Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Per lo svolgimento di una interpellanza:

Bernini

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e foreste

Bulloni

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progres­siva sul patrimonio. (14).

Presidente

Castelli Avolio

Pella, Ministro delle finanze

Arcaini

Corbino

Micheli

De Mercurio

Tosi

Badini Confalonieri

Russo Perez

Dugoni

Cannizzo

Cappi

Vanoni

La Malfa, Relatore

Cifaldi

Scoca

Caroleo

Fabbri

Condorelli

Clerici

Bertone

Veroni

Scoccimarro

Balduzzi

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Per lo svolgimento di una interpellanza.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Ieri sera, in fine di seduta, l’onorevole Presidente ha comunicato di aver avuto comunicazione dal Ministro della pubblica istruzione che egli non avrebbe potuto rispondere all’interpellanza da me e da altri colleghi rivoltagli, e che doveva essere discussa stamattina, perché impegnato per la seduta del Consiglio dei Ministri. Chiedeva, quindi, il rinvio dell’interpellanza. Il Presidente dichiarò che avrebbe domandato al Ministro se sarebbe stato possibile svolgerla nel pomeriggio di oggi o domattina.

PRESIDENTE. Rammento che il Presidente dell’Assemblea si era impegnato di sentire il Ministro questa mattina. La cosa non è stata possibile. Spero comunque che il Ministro della pubblica istruzione possa essere interpellato e che, in fine di seduta, l’onorevole Bernini possa avere una risposta.

BERNINI. Lei ha prevenuto quello che avrei detto. Mi permetto di far presente – a commento dell’argomento addotto dall’onorevole Ministro Gonella – che vedo qui presenti membri del Governo che dovrebbero anch’essi essere impegnati nel Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Faccio rilevare che il Consiglio dei Ministri comincia fra poco e che il Ministro dell’agricoltura e delle foreste è presente per rispondere ad una interrogazione, mentre la sua, onorevole Bernini, è un’interpellanza che richiede maggior tempo per la discussione. Ad ogni modo, non è questo il momento per discutere in merito.

BERNINI. Conto allora che ella, in mattinata, possa darmi una risposta, e faccio nuovamente presente che non si può rinviare la discussione dell’interpellanza a lunedì, data l’estrema urgenza di essa.

 

Svolgimento di una interrogazione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente interrogazione dell’onorevole Bulloni: «Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quale fondamento abbia la notizia recata da un giornale romano del mattino, secondo la quale una ricca proprietaria di terre si sarebbe resa colpevole di istigazione nel reato di sottrazione all’ammasso di notevole quantità di grano e, fermata, sarebbe stata rilasciata a seguito di illeciti interventi; e per conoscere, altresì, quali provvedimenti intendano adottare, nel caso il fatto risponda a verità, per prevenire che altri fatti del genere si ripetano e per punire i responsabili di così gravi violazioni della legge e della solidarietà nazionale».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il giorno 6 luglio una squadra della U.P.S.E.A., composta da un funzionario dell’U.P.S.E.A. e da alcuni agenti di polizia, procedeva, in località Corcolle, al controllo di un’aia in cui veniva eseguita la trebbiatura.

Dal primo controllo eseguito risultava una differenza fra le annotazioni nei registri della trebbia e la quantità di grano controllata esistente nei magazzini dell’azienda. In conseguenza, il giorno successivo veniva dall’Arma dei carabinieri proceduto ad accertamenti, dai quali in un primo momento risultava questo: che si trattava di una compartecipazione fra il proprietario dell’azienda Fratelli De Amicis e un gruppo di coloni, compartecipazione non individuale, ma collettiva per cui la registrazione dei risultati della trebbiatura si sarebbe dovuta effettuare a trebbiatura ultimata per tutti i compartecipanti.

Erano stati fermati, in seguito all’accertamento del primo giorno, sia il gestore della trebbia, sia una certa signorina De Amicis. Ma trascorse le 24 ore, siccome non sembrava accertato il reato, questi furono messi in libertà perché non potevano essere trattenuti col fermo; furono però continuate le indagini. Nei giorni successivi risultò questo: che la compartecipazione era in parte collettiva e in parte individuale, in modo che si spiega l’errore in cui, sulla prima fase di indagini, era caduto il maresciallo dei carabinieri che procedeva alle indagini, perché un gruppo di coloni gestiva una compartecipazione collettiva, cioè in cui i singoli coloni compartecipavano come una sola unità, mentre per gli altri coloni vi era una compartecipazione individuale.

Siccome era mutato lo stato di fatto e di diritto in base al quale il maresciallo dei carabinieri aveva agito, l’U.P.S.E.A. e lo stesso maresciallo sporsero denuncia all’autorità giudiziaria contro i proprietari e contro il gestore dell’azienda con regolare verbale che fu trasmesso all’autorità giudiziaria il 14-15 corrente.

L’autorità giudiziaria, investita della controversia, potrà, in base alla legge vigente sugli ammassi, emettere o non emettere mandato di cattura secondo che riterrà ricorrano gli estremi del primo capoverso dell’articolo 19 della legge sugli ammassi.

Ad ogni modo, risulta da tutte le indagini che nessuna interferenza vi è stata nell’operato dell’U.P.S.E.A. e in quello del maresciallo dei carabinieri; che in seguito alle indagini esperite in una fase successiva si procedette alla denuncia, in quanto si riscontrarono in base agli elementi acquisiti quegli estremi di reato che in una prima fase erano stati invece esclusi. L’incertezza del maresciallo dei carabinieri dipende principalmente dall’esistenza del doppio contratto già accennata.

I primi interrogati dichiararono che si trattava di gestione collettiva, mentre le indagini successive hanno dimostrato l’esistenza di questi due gruppi di compartecipanti che hanno portato alla regolare denuncia all’autorità giudiziaria, che è in corso.

Non ho altro da aggiungere; ripeto solo che nessuna interferenza ha turbato le indagini.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BULLONI. Prendo atto con soddisfazione della risposta dell’onorevole Ministro, il quale ha assicurato che in ordine all’episodio cui si riferiva la mia interrogazione, ispirata esclusivamente dalla preoccupazione di difendere la dignità dell’istituto parlamentare, tanto gli incaricati del controllo agli ammassi, quanto la polizia giudiziaria hanno potuto fare compiutamente il proprio dovere senza esserne ostacolati da illegittimi superiori interventi intesi ad eludere la legge in una materia tanto grave e socialmente delicata.

Mi sia soltanto concesso di aggiungere che, a mio parere, anche in quel delicato servizio, minori forse sarebbero gli inconvenienti e le evasioni, se la stampa sempre fosse serena, responsabile e severa, negando credito a voci incontrollate circa scandali e soperchierie destituite, come in questo caso, di qualsiasi fondamento.

FARALLI. Ma il fatto esiste. C’è la denuncia all’autorità giudiziaria; quindi non è destituito di fondamento.

BULLONI. Si trattava di sapere se vi fossero state illecite interferenze per ottenere il rilascio dell’arrestata, e queste sono risultate escluse. (Commenti).

PRESIDENTE. L’interrogazione è così esaurita.

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente la istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Rammento all’Assemblea che nella seduta di ieri fu votato e respinto un emendamento soppressivo del secondo comma dell’articolo 44.

Proseguiremo oggi nell’esame degli emendamenti.

L’onorevole Foa, unitamente ai colleghi Dugoni, Scoccimarro, Fornara, Carpano Maglioli, Valiani, Codignola, Cianca, Calamandrei, Targetti e Morandi, aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente: «Nei confronti delle banche e delle aziende di credito la facoltà di cui al comma precedente è limitata all’accertamento della reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dai contribuenti».

Un emendamento analogo era stato presentato dagli onorevoli Arcaini, Scoca, Cappi, Valmarana, Braschi, Clerici, Titomanlio Vittoria, Malvestiti, Bertone, Balduzzi, così formulato:

«Al secondo comma aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di richiedere che l’ispettorato del credito accerti la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Foa ha ora comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare il suo emendamento, concordando, con i firmatari del secondo emendamento, la seguente nuova proposta:

«Al secondo comma dell’articolo 44, aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di accertare, valendosi dell’Ispettorato del credito, la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Castelli Avolio ha facoltà di parlare per esprimere il parere della Commissione.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione aderisce; essa si è trovata d’accordo nel dare questo potere di accertamento all’Amministrazione finanziaria; l’esercizio di esso verrebbe ora fatto attraverso gli organi dell’Ispettorato di credito che sono particolarmente competenti in proposito.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è pienamente d’accordo sull’emendamento; prega soltanto di sostituire alle parole «Ispettorato del credito», che possono non essere sufficientemente idonee, le parole «degli organi preposti alla vigilanza sul credito», perché l’Ispettorato rappresenta soltanto una parte degli organi, cui può essere chiesto di intervenire.

CASTELLI AVOLIO. Siamo d’accordo, perché nella dizione proposta dal Ministro potranno essere compresi gli organi periferici.

PRESIDENTE. Domando ai proponenti se accettano la modifica proposta dal Governo.

ARCAINI. Nessuna difficoltà.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ieri avevo dichiarato che avrei votato contro; ma oggi dichiaro di votare a favore dell’emendamento nella forma concordata.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Arcaini-Foa nella nuova dizione concordata:

«Aggiungere al secondo comma le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però facoltà di accertare, valendosi degli organi preposti alla vigilanza sul credito, la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

(È approvato).

Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Micheli:

«Aggiungere come terzo comma:

«Restano ferme le disposizioni dell’articolo 17 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966».

Su questo emendamento, che il proponente ha svolto ieri, il Governo e la Commissione hanno espresso parere contrario. L’onorevole Micheli insiste?

MICHELI. Non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 44 risulta pertanto approvato con l’emendamento testé accolto dall’Assemblea.

Passiamo all’articolo 45. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I notai e tutti coloro che, non esercitando l’industria del credito, abbiano, a qualunque titolo, valori in deposito, spettanti a soggetti indicati nell’articolo 2, sono tenuti a denunziare all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione risiedono, il cognome, il nome, la paternità, ed il domicilio del depositante, e, qualora ad essi sia noto, anche l’ammontare e la natura dei valori depositati».

PRESIDENTE. Sull’articolo 45 è stato presentato e già svolto dall’onorevole De Mercurio il seguente emendamento:

«Modificare le prime tre righe nel modo seguente:

«I notai, le banche e tutti coloro che, esercitando l’industria del credito abbiano a qualunque titolo, valori in deposito, cassette di sicurezza comprese, spettanti a soggetti…».

L’onorevole Castelli Avolio ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione è contraria, anzi riterrebbe che l’emendamento proposto non dovrebbe nemmeno essere messo ai voti, perché assorbito dalla votazione di ieri sul segreto bancario ed anche da quella di oggi.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al parere espresso dalla Commissione.

DE MERCURIO. Non sono d’accordo e chiedo che il mio emendamento sia messo in votazione.

PRESIDENTE. Dovrò chiedere all’Assemblea se ritiene che l’emendamento dell’onorevole De Mercurio possa essere posto in votazione.

TOSI. Vi è una pregiudiziale: l’attuale emendamento contrasta con la votazione di ieri mattina ed anche con quella di pochi minuti fa. (Commenti).

PRESIDENTE. Dinanzi alla pregiudiziale sollevata, faccio presente all’onorevole De Mercurio che dovrò metterla ai voti.

TOSI. Sulla pregiudiziale, se messa ai voti, chiederemo l’appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, insiste?

DE MERCURIO. L’Assemblea ieri ha espresso un parere sfavorevole. Oggi si può chiedere che la questione venga riproposta.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, il regolamento è chiaro: non si potranno riprodurre, sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi, gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può essere opposta la pregiudiziale. Evidentemente, nel nostro caso, ci troviamo di fronte ad una pregiudiziale.

DE MERCURIO. Faccio osservare che l’articolo 45 è circoscritto a determinati istituti, come i notai, già compresi nel progetto di legge. Io ho aggiunto le banche e gli istituti di credito. Mi sembra, quindi, che possa essere messo ai voti.

TOSI. La questione è appunto per le banche!

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Mi pare che neppure si possa trattare di porre in votazione la pregiudiziale. Ora si chiede di porre nuovamente in discussione un argomento già discusso e votato, che non può, quindi, essere più messo in discussione, né votato.

PRESIDENTE. Nel dissenso, desidero che sia l’Assemblea a decidere.

RUSSO PEREZ. Sono d’avviso che non si possa mettere in votazione una proposta che fa riaffacciare dalla porta ciò che è uscito dalla finestra.

PRESIDENTE. Confermo l’intenzione della Presidenza di lasciare la decisione all’Assemblea. Faccio presente all’onorevole De Mercurio che vi è una domanda di appello nominale sulla pregiudiziale. (Commenti).

DE MERCURIO. Dichiaro di ritirare il mio emendamento mantenendo le riserve fatte.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento dell’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Sopprimere le parole: a qualunque titolo».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. La mia proposta è semplice. Si tratta di togliere le parole «a qualunque titolo», per questa ragione; sono accennati i depositi che vengono fatti presso i notai. Ora, vi è una legge la quale stabilisce che i depositi che i notai ricevono dai loro clienti, attraverso le disposizioni che vengono stabilite nelle sentenze e nelle disposizioni dell’autorità giudiziaria, debbono da essi venire dichiarati regolarmente mese per mese. Per questi non c’è questione; ma, se noi mettiamo «a qualsiasi titolo», veniamo a togliere quella segretezza del mandato di fiducia che viene affidata dalle parti al notaio, il quale è un confessore straordinario dal punto di vista degli interessi materiali, e che noi dobbiamo rispettare.

Non si può coartare un pubblico professionista che, con questa sua veste, ha ricevuto un deposito dalla fiducia di un cittadino, a darne pubblica notizia.

Se noi mettiamo «a qualsiasi titolo», veniamo ad impegnare lui stesso a violare questo segreto professionale, che noi abbiamo ammesso non si debba violare per le banche, e sembrerebbe strano se non fosse contemplato allo stesso modo per i notai, i quali sono pubblici ufficiali incaricati della pubblica fede.

Per questo io prego l’Assemblea, il Ministro e la Commissione di voler dare un benevolo sguardo a questa mia proposta e di approvarla, anche per non creare una gravissima diversità di trattamento fra le banche, alle quali si presenteranno infinite occasioni, ed i notai che ne avranno un numero limitato. Evidentemente, se rimane l’articolo, i clienti si dovranno rivolgere agli avvocati, agli ingegneri, ai geometri, a qualsiasi cittadino eliminando forzatamente il notaio che per destinazione sconterebbe di mantenere il consuetudinario incarico.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, a nome della Commissione, l’onorevole Castelli Avolio.

CASTELLI AVOLIO. La Commissione ritiene che l’espressione «a qualunque titolo» si debba riferire ai depositi, non già al concetto espresso dall’onorevole Micheli. Del resto siamo d’accordo con l’onorevole Micheli che, se ci sono disposizioni speciali della legge notarile, il nostro testo non vuole abrogare quelle disposizioni speciali. Con la frase «a qualunque titolo» ci riportiamo a qualsiasi valore in deposito presso questi pubblici ufficiali. Quindi siamo contrari all’abolizione della frase.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego di mantenere le parole «a qualunque titolo», e debbo francamente aggiungere che non condivido la interpretazione del rappresentante la Commissione.

Credo che l’onorevole Micheli non debba temere che l’Amministrazione finanziaria non si renda conto della delicatezza della questione.

Osservo, peraltro, che sotto argomenti di ordine squisitamente morale, possono manifestarsi situazioni meritevoli di essere controllate e l’Amministrazione non desidererebbe restare disarmata in tali casi. Perciò prego di approvare l’articolo 45 così come è formulato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Micheli. Ne ha facoltà.

MICHELI. Di fronte alle dichiarazioni fatte dal rappresentante della Commissione, il quale ha dichiarato che con questo articolo non si intende modificare quanto la legge notarile stabilisce intorno al segreto professionale, ritiro il mio articolo, il quale effettivamente non era affatto un paravento come si è voluto affermare ma una disposizione opportuna che deve esplicarsi in modo parallelo alla concessione fatta alle banche.

Certo, io ho la massima stima dell’Amministrazione finanziaria e del suo discreto procedere. Peraltro, onorevole Ministro, tenga presente che lo stesso riguardo e la stessa comprensione non può essere sempre usata dai componenti la medesima. I funzionari sono infiniti per numero, e queste brave persone, anche nella esplicazione del loro mandato, possono talvolta dimenticare quella comprensione della quale ella è notevole esempio. Ora, bisogna effettivamente che questa nuova psicologia da lei enunciata entri effettivamente, e non solo teoricamente nei rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria del Paese, in quanto purtroppo diversi casi si danno e chi parla è uno che nella sua vita professionale si è trovato in tante occasioni del genere, e ne può parlare con sicura coscienza. Ad ogni modo, date le delucidazioni dal rappresentante della Commissione ritira l’emendamento.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Intendo precisare, a nome della Commissione, che l’interpretazione…

MICHELI. Ma lei parla personalmente.

DUGONI. Parlo a nome della Commissione. L’interpretazione della Commissione è che la disposizione della legge attuale ha il suo pieno vigore e non tocca a noi decidere fra la legge sul notariato e questa quale prevalga: sarà una questione che andrà risolta in sede di applicazione.

PRESIDENTE. Ma l’emendamento è stato ritirato!

DUGONI. Bisogna però, pur sempre, precisare questo.

PRESIDENTE. L’articolo 45, essendo stato ritirato l’emendamento che aveva presentato l’onorevole Micheli, si intende approvato nel testo proposto dal Governo, al quale la Commissione non ha apportato modifiche.

Passiamo ora all’articolo 46. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Commissioni giudicanti hanno tutte le facoltà conferite dall’articolo 44 ai funzionari delle imposte.

«Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già inscritti a ruolo.

«Sono applicabili, ai fini del presente decreto, le disposizioni contenute nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436.

«La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni di prima istanza cessa col 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si verifica la prescrizione dell’azione della finanza, a norma dell’articolo 61 del presente decreto».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un primo emendamento a firma degli onorevoli Cannizzo, Siles, Russo Perez, Condorelli, Venditti, Rescigno, Cimenti, Perugi, Colitto e Jacini, del seguente tenore:

«Al secondo comma, dopo le parole: Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, aggiungere le parole: basandosi su dati certi e non presuntivi».

L’onorevole Cannizzo ha facoltà di svolgerlo.

CANNIZZO. Onorevoli colleghi, l’emendamento che io ho proposto è dovuto alla constatazione che io ho avuto agio di fare che il criterio meccanico che la legge aveva stabilito era venuto meno, obliterandosi e che si sono introdotte delle presunzioni le quali possono ledere molte volte gli interessi dei contribuenti. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema meccanico di accertamento era il più adatto, tanto vero che la Commissione ha fatto delle riserve, osservando che l’accertamento meccanico era garanzia di perequazione. Ora però noi troviamo nella legge vari articoli tra cui il 26 e il 22, che introducono il criterio induttivo. Nell’articolo 26 si notano due ordini di presunzioni: il primo sarebbe quello dato dal tenore di vita, l’altro sarebbe quello di ritenere che tutte le somme che sono pervenute dalla alienazione di beni e di titoli si trovino ancora nel patrimonio del contribuente.

Non c’è bisogno di dire che molte volte queste presunzioni possono giocare a danno del contribuente. Quello che io noto, e desidero che l’Assemblea noti con me, è che queste presunzioni giocheranno molto più a danno dei piccoli contribuenti anziché dei grandi, perché è evidente che colui il quale possiede sei o settecento milioni può tenere un tenore di vita pressoché uguale a chi possegga un miliardo.

La sperequazione invece si nota nei confronti della piccola gente che ha avuto già falcidie notevoli nel suo patrimonio e che vive molto spesso alla giornata.

In altri termini, noi faremo il processo non ai grandi patrimoni, non a coloro che hanno speculato e guadagnato, perché purtroppo l’Assemblea non ha trovato modo di colpire questa gente, ma noi faremo il processo a coloro che hanno un patrimonio di appena tre o quattro milioni, cioè a quella gente che avrà un reddito intorno alle mille lire giornaliere, cifra che tutti sappiamo oggi essere insufficiente a vivere.

Noi potremo avere il caso di colui che possiede un patrimonio di 3 milioni; ne ha alienato per un milione. Oggi in base alle presunzioni non considerando che quel milione sarà servito per integrare il reddito insufficiente degli altri due milioni, su quel milione avremo la presunzione che è ancora in sue mani. E avremo poi ancora l’accertamento basato sul tenore di vita che farà crescere il patrimonio da due milioni, quale effettivamente è, a quattro o più milioni.

Questo mi sembra assurdo, perché per i grandi patrimoni sarà possibile giustificare l’impiego delle somme ricavate vendendo o mutuando, ma per i piccoli patrimoni la legge le chiede una prova che è diabolica: la prova del consumo. Ora io mi domando se qualcuno di voi sappia che in borsa nera si rilasciano quietanze o fatture. Chi ha venduto per vivere, non può dare la prova del consumo. Questa prova del consumo era logico darla per ammessa in determinati casi ma, purtroppo, questo non è stato fatto.

Lo scopo del mio emendamento è un altro. Il Ministro, le autorità ministeriali hanno garantito alla Commissione che vi saranno delle circolari e delle norme integrative che ovvieranno a questi inconvenienti. Mi meraviglio che queste spiegazioni non siano state date già all’Assemblea; ad ogni modo, è augurabile che l’Assemblea le conosca. Ma in attesa di queste spiegazioni, che hanno indotto la Commissione delle finanze a non attenuare la gravità delle disposizioni dell’articolo 26 e anche dell’articolo 22 – perché colui che contrae un debito può trovarsi nelle stesse condizioni – e fino a quando le autorità ministeriali non avranno dato queste disposizioni che potranno concretarsi in circolari, si verificherà questo: che gli Uffici finanziari potranno anche applicare queste norme con discernimento – e noi abbiamo la massima fiducia negli Uffici finanziari, anche perché fidiamo che siano emanate le circolari promesse; ma altra cosa sarà per le Commissioni. Le Commissioni, onorevoli colleghi, nei piccoli centri specialmente, hanno delle impressioni eminentemente subiettive, che possono falsare la verità delle cose. Le Commissioni non analizzeranno tante tragedie familiari che noi sappiamo si svolgono quotidianamente; si vedrà all’ingrosso la situazione, e non si esamineranno i dettagli. Si ignoreranno tutte le sventure delle famiglie; e non si ammetterà che vi è gente che ha preferito vendere i propri beni e non conservarli per conservare la propria onestà. Ed io mi rivolgo proprio ai settori di sinistra, facendo loro notare che la presunzione del tenore di vita agirà proprio contro i piccoli patrimoni e non contro i grandi. Ho già detto, infatti, che colui che possiede un miliardo avrà probabilmente lo stesso tenore di vita di colui che possiede un miliardo e duecento milioni. È la stessa cosa. Ma voi vi dovete preoccupare con noi di eliminare queste ingiustizie. E se è stato riconosciuto opportuno lasciare questa indagine agli Uffici finanziari, per dar modo loro di accertare induttivamente, non credo che alle Commissioni si possa dare eguale facoltà, perché nelle Commissioni giocano elementi personali, giudizi di valutazione, direi anche elementi politici a favore o contro determinate persone appartenenti a determinati partiti.

Del resto, il disegno di legge, nel primo comma dell’articolo 46, fa espresso riferimento all’articolo 44; ed io desidererei proprio che le Commissioni dovessero limitare la loro indagine a quanto è detto nell’articolo 44, cioè alla facoltà di ispezionare i registri, di farsi rilasciare atti, di farsi produrre tutti i documenti giustificativi necessari; ma non lasciare loro il criterio presuntivo perché là dove vi è criterio di presunzione, vi è anche libertà di arbitrio, e noi non possiamo sapere a favore o a danno di chi giocherà l’arbitrio.

Devo ancora far presente che nei piccoli centri – mi preoccupo specialmente dei piccoli centri – non è giusto che noi obblighiamo il contribuente a confessare le sue miserie, a dire le sue pene, a sciorinare i tristi espedienti per vivere alle Commissioni, le quali sono composte da persone che si conoscono e che potrebbero non avere il dono della discrezione.

Del resto, il contribuente è passato attraverso tre vagli: perché l’articolo 46 stabilisce che si può benissimo ricorrere anche dopo l’accertamento definitivo e il concordato. Quindi l’Ufficio finanziario avrà un primo accertamento provvisorio, poi quello definitivo, poi il concordato. Sono tre vagli ed è logico supporre che tutti gli elementi siano stati esaminati e sviscerati dagli uffici finanziari. Ecco perché mi permetto di insistere sul mio emendamento che, secondo me, è molto più giovevole ai piccoli che ai grossi contribuenti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Tosato, così formulato:

«Al terzo comma, alle parole: nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, sostituire le parole: negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

L’onorevole Tosato non è presente.

CAPPI. Faccio mio l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di illustrarlo.

CAPPI. Il terzo comma dell’articolo 46 dice: «Sono applicabili ai fini del presente decreto le disposizioni contenute nell’articolo 15 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

Si tratta di una di quelle disposizioni inserite nei testi di legge – come diciamo noi avvocati – per relazione, sulle quali molte volte sfugge l’attenzione di chi deve interpretare la legge.

Si tratta di questo: l’articolo 15 di questo decreto 27 maggio 1946, che regolava l’imposta sui profitti straordinari di guerra, dice che le Commissioni provinciali hanno facoltà, di propria iniziativa, di aumentare la misura degli accertamenti proposti dagli Uffici e proporre ex novo gli accertamenti di cespiti omessi.

Io non ho difficoltà a riconoscere questa facoltà alle Commissioni provinciali, ma il decreto 27 maggio 1946, oltre all’articolo 15, recava anche l’articolo 21, il quale dava al contribuente facoltà di ricorrere anche in merito alla Commissione centrale. Questo articolo 21 non è stato più richiamato nell’articolo 46 e questo mi pare illogico perché erano articoli connessi; giacché, se noi diamo alle Commissioni provinciali la facoltà di procedere ex novo ad accertamenti, è giusto che vi sia un grado di appello.

Ecco in che cosa consiste dunque l’emendamento proposto. L’obiezione che si può fare è che si aumenteranno i ricorsi alla Commissione centrale; ma chi è pratico sa che i ricorsi si affollano ugualmente, anche quando si tratta di questioni di merito, sotto il profilo di illegittimità o di difetto di motivazione.

Poi, la ragione determinante è questa: che l’autorità finanziaria ha facoltà di iscrivere a ruolo l’imposta anche prima della decisione definitiva. Quindi un danno da questi ricorsi non deriva alla riscossione dell’imposta.

Insisto pertanto nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo, unitamente ad altri colleghi, ha fatto pervenire un emendamento soppressivo del secondo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Onorevoli colleghi, con questo emendamento si chiede che si sopprima il primo capoverso, o secondo comma, dell’articolo 46.

La dizione del primo capoverso dell’articolo è la seguente: «Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già iscritti a ruolo».

A me sembra evidentemente eccessiva e, direi, vessatoria questa facoltà concessa alla Commissione di prima istanza, la quale dovrebbe funzionare in un secondo organo di accertamento sovrapponendolo all’organo proprio deputato all’accertamento fiscale. Si comprenderebbe eventualmente l’esercizio di questa facoltà ove si aggiungesse: nei casi di errori evidentemente riconosciuti o nei casi di omissioni conclamate; ma una facoltà posta così al di sopra del compito proprio dell’organo competente non solo, a mio avviso, costituisce un duplicato ma costituisce un enorme pregiudizio del contribuente perché fino all’eventuale verificarsi della prescrizione dell’azione da parte della finanza lascia sospesa la condizione del contribuente perfino nei casi in cui, a seguito di concordato già avvenuto, si sia verificata la iscrizione a ruolo. Sicché questo contribuente non saprà mai definitivamente quello che dovrà pagare ed il modo con il quale sarà stato accertato; e sarà eternamente sub judice, costituito in secondo grado da questa commissione la quale potrebbe divenire uno strumento odioso di vessazione secondo i particolari ambienti nei quali si vive.

Per queste ragioni mi sembra che questo comma debba essere soppresso.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Mi permetto di richiamare l’attenzione sia dell’onorevole Crispo che dell’onorevole Cannizzo, che hanno presentato due emendamenti al capoverso dell’articolo 46, sul fatto che quel capoverso non rappresenta una novità del nostro sistema tributario, ma l’applicazione a questa particolare legge di un sistema che è universalmente adottato in materia d’imposte dirette. Il fatto che la Commissione di prima istanza abbia la funzione di procedere ad accertamenti od a revisioni di concordati, costituisce norma essenziale del nostro sistema di accertamento delle imposte dirette. È inutile ricordare le ragioni di questa norma: sono ragioni di controllo effettuato da parte della Commissione sull’attività degli organi periferici dell’Amministrazione finanziaria; sono ragioni di maggiore conoscenza delle situazioni di fatto che giustificano determinati accertamenti. Prendere in questa sede una deliberazione diversa da quella che è la normale situazione dell’accertamento di tutte le altre imposte dirette, avrebbe un particolare significato restrittivo, di riduzione delle possibilità di accertamento di questa imposta, di una imposta cioè che è la più difficile ad accertare e che richiede la maggiore collaborazione per l’accertamento esatto.

Così, per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Cannizzo, sottolineo il fatto che qui non si tratta di una facoltà autonoma della Commissione distrettuale di poter procedere ad accertamenti in base ad elementi forniti: le sue osservazioni interessano prevalentemente l’articolo 26, non l’articolo 46: era in quella sede che si doveva discutere se fosse o no conveniente ammettere accertamenti in base a deduzioni o richiedere accertamenti in base a dati precisi e documentati.

In realtà, non bisogna avere delle preoccupazioni nei riguardi dell’accertamento in base a dati presuntivi, perché c’è tutta una esperienza, una tradizione amministrativa di queste forme di accertamento che danno una sufficiente garanzia al contribuente che i suoi diritti fondamentali di difesa saranno sempre tutelati.

Se si riconosce all’ufficio la possibilità di procedere all’accertamento in base a semplice presunzione, non si vede come si possa negare questa facoltà alla Commissione distrettuale, che è una Commissione avente dal punto di vista morale una posizione di preminenza.

A me sembrerebbe una grave contradizione se noi ammettessimo l’accertamento presuntivo effettuato da parte degli uffici e negassimo questa facoltà alla Commissione cui è accordato il diritto di procedere all’accertamento.

La Commissione deve avere istituzionalmente in questa funzione di accertamento tutte le facoltà che sono riconosciute agli uffici distrettuali che procedono all’accertamento dell’imposta.

Per queste ragioni io sono, personalmente, contrario all’emendamento dell’onorevole Crispo ed a quello dell’onorevole Cannizzo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. La mia osservazione, alla quale non mi pare si adatti la risposta dell’onorevole Vanoni, si riferisce a questo punto del comma: facoltà di eseguire d’ufficio; perché è innegabile che la Commissione, in seguito a reclamo o a ricorso, possa provvedere. Quello che io propongo è che si neghi la facoltà di un accertamento da parte dell’ufficio competente.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non può accettare l’emendamento dell’onorevole Cannizzo, per le ragioni già ampiamente svolte dall’onorevole Vanoni. E soprattutto vorrei aggiungere per questo: l’onorevole Cannizzo dice che in fondo questo sistema della legge colpisce i possessori di patrimoni immobiliari e fa sfuggire quelli che volgarmente si chiamano borsari neri. Ora, nel sistema della legge, la presunzione serve in pratica ad andare a colpire, attraverso il tenore di vita, proprio quelli che possono sfuggire alla legge. Quindi negare questa facoltà al momento stesso in cui abbiamo questa preoccupazione non è opportuno. Il tenore di vita è un dato presuntivo che può servire benissimo per questa categoria di persone.

La Commissione, invece, accetta l’emendamento dell’onorevole Tosato come maggiore garanzia per il contribuente.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, confermo il parere già espresso dall’onorevole Vanoni, che si tratta cioè di una disposizione che già esiste in materia di ricchezza mobile.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per brevità mi limito ad associarmi alle conclusioni del Relatore, favorevoli all’emendamento Tosato, contrario all’emendamento dell’onorevole Cannizzo, sebbene essi siano stati brillantemente illustrati.

Si tratta, in sostanza, di difendere quell’accertamento induttivo che è il sostitutivo del mancato censimento della ricchezza al portatore. Qualsiasi emendamento che significasse demolire la procedura di accertamento induttivo, non potrebbe che trovare contrario il Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Cannizzo, ritira il suo emendamento?

CANNIZZO. Ritiro il mio emendamento; però desidero che il Governo ed anche la Commissione prendano atto della necessità che circolari o norme fondamentali siano fatte in modo da essere applicate dagli uffici; e dico questo perché le Commissioni potrebbero benissimo non adattarsi alle circolari in quanto è norma costante di giurisprudenza che le circolari possono non tener luogo di leggi.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero cogliere l’occasione per assicurare l’onorevole Cannizzo che il problema di una migliore regolamentazione del sistema induttivo, che trova già applicazione in alcuni tributi erariali e locali, è un problema che il Governo si è già posto e che risolverà nel senso desiderato dall’onorevole Cannizzo, cioè di fornire al contribuente le possibilità normali di difesa procedurale contro eventuali deviazioni dell’Amministrazione finanziaria. Però l’arma dell’accertamento induttivo è un’arma che il Governo desidera mantenere in vita e potenziare. La questione sarà di delineare gli elementi in base ai quali si fa l’accertamento, ma una volta individuati gli elementi e gli indizi, il contribuente non potrà lamentarsi se l’Amministrazione fa ricorso a questa procedura. Il problema è comune all’imposta complementare sul reddito, all’imposta di famiglia e ricorrere, per quanto in termini diversi, in questa imposta di cui stiamo discutendo.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo mantiene il suo emendamento?.

CRISPO. Lo mantengo.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Dichiaro di votare favorevolmente all’emendamento Crispo, il quale chiede la soppressione del capoverso dell’articolo 46, in ordine alla facoltà concessa alla Commissione di prima istanza di poter sempre procedere d’ufficio anche quando è intervenuto un concordato fra l’Ufficio distrettuale e il contribuente stesso. Evidentemente, questa disposizione vuole riferirsi alla possibilità che l’Ufficio delle imposte abbia trascurato di fare il proprio dovere e quindi la Commissione, al suo posto, possa procedere all’accertamento. Ma io chiedo che venga almeno fissato un termine entro il quale la Commissione di prima istanza possa avvalersi di questa facoltà di accertamento. Desidererei in questa sede che fosse chiarito che la Commissione, la quale tutela gli interessi di tutti, debba tutelare contemporaneamente gli interessi del fisco e del contribuente. La Commissione ha questa facoltà. Ma fino a quando? Certamente ci deve essere un termine entro il quale questa facoltà può esercitarsi.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, presenta allora un emendamento?

CIFALDI. Faccio una dichiarazione di voto. Preferirei, se l’onorevole Presidente mi consente, di avere solo un chiarimento dal Relatore, in modo che resti a verbale.

PRESIDENTE. Sta bene. Qual è il pensiero del Relatore?

LA MALFA, Relatore. Alla Commissione pare che qui, a garanzia del contribuente, valgano i termini normali di prescrizione.

CIFALDI. Qual è il termine di prescrizione?

LA MALFA, Relatore. Tre anni.

CIFALDI. Sono molti, in verità.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, può formulare un emendamento e presentarlo.

LA MALFA, Relatore. Prego gli onorevoli colleghi di considerare che, quando si presenta un emendamento all’ultim’ora, evidentemente la Commissione deve dare un giudizio nella situazione in cui si presenta l’emendamento. Per questa ragione, prego gli onorevoli colleghi di presentare gli emendamenti almeno 24 ore prima, in modo che la Commissione possa dare il parere motivato.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. In termini pratici, se la preoccupazione dell’onorevole Cifaldi è quella di non lasciare aperta all’infinito la facoltà prevista dall’articolo 46, il Governo non avrebbe difficoltà ad ammettere il principio, che ritiene sottinteso, che questa facoltà deve essere esercitata entro i termini dell’articolo 61.

CIFALDI. Che è la prescrizione.

PELLA, Ministro delle finanze. La prescrizione specifica della legge.

CRISPO. In tre anni ci possono essere dieci accertamenti, l’uno successivo all’altro.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare per un breve chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. La facoltà data dal secondo comma dell’articolo 46 è comune in materia di imposta.

La Commissione di prima istanza, in base all’articolo 45 della legge fondamentale sulla ricchezza mobile del 1877, può accertare. In questo caso non è la Commissione che notifica l’accertamento, ma si richiede agli uffici; e questi devono notificare l’avviso di accertamento.

Quindi, il potere accertatore, su iniziativa della Commissione di prima istanza, è sempre dell’Amministrazione finanziaria, e precisamente dell’ufficio distrettuale delle imposte.

Il «termine», non è materia di prescrizione, perché, quando esiste il giudizio amministrativo, questo può durare anche venti anni (si può andare innanzi alla Commissione centrale, poi dinanzi all’Autorità giudiziaria); non si prescrive l’azione della finanza, quando è istituito il giudizio.

Quindi, volere legare questa facoltà della Commissione al termine prescrizionale sarebbe assurdo.

Si dice: Allora le Commissioni di prima istanza possono accertare, attraverso gli Uffici finanziari, senza dare giustificazione o motivazione del proprio operato. Ritengo che questo inconveniente non sussista perché, una volta ammesso il principio fondamentale, in materia di imposte dirette, della facoltà della Commissione di prima istanza di accertare, vuol dire che con questo potere sono connesse anche le facoltà date all’Amministrazione. Ora, in materia di imposta progressiva, oltre all’accertamento deduttivo, e cioè all’indicazione dei singoli cespiti, c’è la norma sostanziale del capoverso dell’articolo 26, che si riferisce al tenore di vita; ma naturalmente in questo caso, qualsiasi ufficio deve avere gli elementi su cui basare la propria tassazione.

Del resto, riprendendo l’argomento dell’abolizione del secondo comma dell’articolo 46, faccio notare che questo secondo comma è legato al terzo, sicché, se si dovesse abolire il secondo comma, bisognerebbe abolire anche il terzo, che – e non è stato detto – in sostanza vuol significare questo: che, quando c’è differenza di metà, la Commissione di prima istanza ed anche quella di seconda istanza (cioè la Commissione provinciale) possono aumentare e modificare l’accertamento. In questo caso, quando la Commissione di seconda istanza, cioè la Commissione provinciale, prende essa l’iniziativa, modifica l’accertamento ed allora giudica quale giudice di prima istanza e, giudicando quale giudice di prima istanza, non si può negare al contribuente il diritto di adire anche per il merito, cioè anche per la valutazione, la Commissione centrale.

CRISPO. Gli vorreste negare anche questo diritto?

CASTELLI AVOLIO. Ma no, noi non lo neghiamo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare una soluzione nel senso che alla fine del secondo comma, dove è detto «…e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già iscritti a ruolo», si potrebbe aggiungere «entro sei mesi dalla data dell’accertamento».

PRESIDENTE. Sta bene. Un emendamento in tal senso perviene ora alla Presidenza a firma dell’onorevole Cifaldi. Esso propone di aggiungere al secondo comma le parole: «nel termine di sei mesi dalla data di accertamento degli uffici distrettuali».

Chiedo all’onorevole Crispo se mantiene il suo emendamento soppressivo.

CRISPO. Lo mantengo.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Prima che l’onorevole Relatore si esprima, vorrei dire due parole sul mio emendamento. Vi sono due ipotesi: l’ipotesi che vi sia già l’accertamento di ufficio fatto dall’Ufficio distrettuale delle imposte, e vi è la possibilità, per la Commissione di prima istanza, di fare l’accertamento per suo conto. In questa ipotesi, il mio emendamento propone di fissare il termine di sei mesi dall’accertamento dell’Ufficio, nel quale la Commissione di prima istanza ha la facoltà di procedere all’accertamento di sua iniziativa.

Quando manca l’accertamento d’ufficio, vi è un termine di tre anni, in cui la Commissione può fare l’accertamento stesso. Nel mio emendamento è quindi prevista la doppia ipotesi delle facoltà della Commissione di prima istanza.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei fare un’osservazione all’onorevole Cifaldi. Potrei avere qualche perplessità sulla prima facoltà data alle Commissioni distrettuali, che consiste nel fare l’accertamento d’ufficio, quando non sia preceduto dall’accertamento dell’Ufficio finanziario. Ma il termine apposto per la seconda ipotesi, quando vi è stato accertamento di ufficio, mi pare che significhi voler distruggere i poteri dell’Ufficio, perché legare a sei mesi dalla data del concordato o dell’accertamento d’ufficio il potere delle Commissioni distrettuali di elevare gli accertamenti fatti dall’Ufficio, vuol dire togliere loro praticamente questa facoltà.

A prescindere da questa considerazione, c’è poi la questione giuridica fondamentale, relativamente ai termini di prescrizione.

Se per eseguire l’accertamento vi è il termine di cui all’articolo 61 di questa legge, viceversa quando l’accertamento dell’Ufficio è fatto, questo termine, secondo me, non vale più perché è messa in moto la macchina del controllo sull’accertamento. Ed allora l’accertamento si può sempre fare finché non abbia giudicato, in ultima istanza, l’organo di controllo.

Per queste ragioni non potrei accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Cifaldi.

CIFALDI. L’osservazione dell’onorevole Scoca si comprende per il caso in cui venisse ancora un ricorso alla Commissione di prima istanza; ma quando si parla dell’ipotesi di una attività iniziale della Commissione di prima istanza, vi è un accertamento che fa l’Ufficio distrettuale, e vi è poi una facoltà della Commissione di prima istanza. È ovvio che se c’è l’accertamento dell’Ufficio distrettuale, il contribuente, che ha fatto il suo reclamo, ricorre alla Commissione, avverso le cui decisioni può ricorrere anche l’Ufficio distrettuale.

Qui si dice che la facoltà iniziale della Commissione di prima istanza coesiste con quella dell’ufficio distrettuale, solamente in aggiunta, ma per un termine di sei mesi.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Le ipotesi che noi dobbiamo considerare sono sostanzialmente queste: che vi sia stato un accertamento d’ufficio, contro il quale non vi è stato ricorso, e quindi l’accertamento di ufficio sia diventato definitivo; che vi sia stato un concordato, ed anche qui abbiamo un accertamento definitivo.

La facoltà concessa alla Commissione di prima istanza di intervenire rispetto a questi due accertamenti, che normalmente sono diventati definitivi, è una facoltà che ha come suo presupposto la necessità di correggere una situazione particolare; cioè si suppone che vi sia stato o un gravissimo errore da parte dell’Amministrazione finanziaria, o addirittura una collusione fra Amministrazione finanziaria, funzionario singolo e contribuente. Ora, il fare intervenire la Commissione distrettuale nei termini che sono stati detti, quando la nostra Amministrazione non ha l’obbligo di comunicare gli accertamenti fatti, significherebbe svuotare quasi interamente la facoltà che si riconosce col capoverso dell’articolo 46. Bisogna, quindi, lasciare un termine sufficientemente lungo perché la competente Commissione, resa edotta di questa situazione irregolare, che si verifica in limitatissimi casi, possa intervenire per correggerla. Stabilire sei mesi dalla notifica dell’accertamento o dalla conclusione del concordato, significherebbe obliterare interamente la facoltà di rettifica concessa alla Commissione. Invece, lasciando il normale termine di prescrizione, che nel caso in cui sia stata presentata una dichiarazione è del secondo anno posteriore a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata (è non è un termine eccessivamente lungo), io credo che si ottenga il duplice risultato di avere una sufficiente certezza del contribuente e di dare alla Commissione la possibilità di intervenire nei casi più clamorosi di irregolarità che si verificassero.

Per questa ragione, prego il collega Cifaldi di ritirare il suo emendamento che complicherebbe inutilmente il sistema, introducendo una situazione che non esiste in nessun’altra parte delle nostre imposte.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Mi pare che la disposizione dell’articolo 46 ci imponga di guardare un po’ alla condizione di quel contribuente del quale ci siamo tanto preoccupati nella seduta di ieri, fino al punto da negare l’opportunità che, specialmente il contribuente infedele, potesse essere legato all’Amministrazione finanziaria da un giuramento.

Oggi si tratta di guardare la questione con un senso di umanità. Sono d’accordo con l’onorevole Crispo: questo potere delle Commissioni andrebbe soppresso, perché, in sostanza, si fonda su un grave discredito degli uffici distrettuali, che si rendono responsabili di quelle collusioni cui accennava poco fa l’onorevole Vanoni, e che debbono essere deferite al potere giudiziario. Si tratterà di concussione, di peculato, ecc., ma in sostanza in certi casi non è un potere discretivo delle Commissioni che può togliere alla competenza del magistrato ciò che è precisamente un reato. D’altra parte, il cittadino ha e deve avere – per quei principî di serietà e di libertà che sono indispensabili – una tutela per quei rapporti conclusi ed attuati con l’Ufficio delle imposte. Non vogliamo nemmeno fissare un termine minimo entro il quale questo potere eccezionale di discredito e di sospetto dei propri uffici da parte dell’Amministrazione finanziaria centrale debba operare?

Se non si accede alla giusta proposta dell’onorevole Crispo, bisogna per lo meno scendere alla subordinata dell’onorevole Cifaldi, per coerenza con quello che qui andiamo approvando, ora a favore ora contro il contribuente. Bisogna che ci sia una linea di coerenza in tutte le manifestazioni ed espressioni della legge che disciplina questa materia.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuto ora un altro emendamento a firma degli onorevoli Crispo, Nasi, Badini Confalonieri ed altri, con il quale si chiede la soppressione delle parole: «o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio».

L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Di fronte a questo emendamento presentato all’ultimo momento, la Commissione trova qualche difficoltà a decidere; ma, in via di massima, è contraria. Dovrebbe, altrimenti, chiedere la sospensiva su questo emendamento.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esprimere l’avviso del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Relatore della Commissione di non insistere sulla proposta di sospensiva, anche perché il Governo deve insistere, a sua volta, per l’approvazione dell’articolo 46, nei commi che sono in discussione, nel loro testo originario.

È stato esattamente illustrato, in particolare dall’onorevole Vanoni, che si tratta della riaffermazione di un principio che già è stato accolto per gli altri tributi e che non è, in fondo, se non la ripetizione dell’articolo 43 della legge organica sull’imposta di ricchezza mobile. E un disposto che ritorna in tutte le leggi, quasi una disposizione di rito; e mi verrebbe il desiderio di sottolineare l’identità (o quasi) di numero dell’articolo 43 di quella legge con l’articolo 46 di questa.

Ora, quando si fa una questione di fiducia o di sfiducia nell’opera dell’Amministrazione finanziaria, affermo subito che non vedo nel disposto di questo articolo un qualsiasi significato di sfiducia in tale opera. È anzi, al contrario, la stessa Amministrazione finanziaria che chiede una attestazione di fiducia nella propria opera.

Per quanto riguarda il termine, è naturale che, se si chiede un’integrazione per correggere eventuali errori, tutto questo debba avvenire entro i normali termini della prescrizione.

Gli onorevoli Crispo ed altri si preoccupano che tutto ciò possa costituire un’arma defatigatoria attraverso lo zelo delle Commissioni, le quali potrebbero agire indiscriminatamente.

Ma io posso assicurare fin d’ora, in base alla consuetudine del passato, che le Commissioni faranno uso di questo rimedio in misura assai limitata e solo quando, nell’ipotesi di cespiti già concordati, sussista un divario notevole fra la realtà riscontrata dalle Commissioni e l’eventuale cifra già concordata.

Tenendo conto di questa prassi, pregherei gli onorevoli presentatori dell’emendamento di non insistere, ma di volere accogliere il testo proposto per il primo ed il secondo comma.

Colgo l’occasione per proporre che nell’ultimo comma, ove è detto: «La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni di prima istanza cessa con il 31 dicembre dell’anno successivo, ecc.», si sopprimano le parole «alle Commissioni di prima istanza», perché le norme portate dagli articoli 15 e 21 del decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 435, secondo l’emendamento Tosato, si riferiscono alle Commissioni provinciali e non a quelle di prima istanza.

È vero che vi sono Commissioni provinciali che funzionerebbero in prima istanza, ma, siccome potrebbe nascere equivoco, riterrei più opportuno sopprimere le parole «alle Commissioni di prima istanza».

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Volevo chiedere soltanto all’onorevole Ministro che cosa pensa circa la facoltà di poter modificare i concordati intervenuti tra i contribuenti e l’ufficio.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo che si debba mantenere questa facoltà, ma non avrei difficoltà ad accettare un emendamento che stabilisse un determinato scarto minimo per l’esercizio di questa facoltà, che stabilisse, cioè, che la revisione del concordato è possibile quando l’errore sia almeno, ad esempio, di un quarto rispetto al valore concordato.

CIFALDI. Vi sia almeno questo!

PRESIDENTE. Vorrei che la Commissione esprimesse il suo parere sulla proposta soppressiva dell’onorevole Ministro.

Onorevole La Malfa, la proposta è di sopprimere nell’ultimo comma dell’articolo 46 le parole «alle Commissioni di prima istanza».

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Si può allora passare ai voti.

Sul primo comma dell’articolo non vi sono emendamenti.

Sul secondo comma, vi è anzitutto l’emendamento radicale dell’onorevole Crispo, il quale ne chiede la soppressione.

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Pongo ora ai voti l’emendamento dell’onorevole Cifaldi di aggiungere al secondo comma le seguenti parole:

«nel termine di sei mesi dalla data di accertamento degli Uffici distrettuali».

(Non è approvato).

Vi è poi un terzo emendamento degli onorevoli Crispo, Nasi, Badini Confalonieri ed altri, con cui si chiede la soppressione delle parole: «o concordate fra i contribuenti e l’Ufficio».

CRISPO. Non ho ancora illustrato questo emendamento.

PRESIDENTE. Può parlare brevemente sotto forma di dichiarazione di voto.

CRISPO. Vorrei far notare ai colleghi che il concordato, in sostanza, è una intenzione di transazione fra l’ufficio e il contribuente. Ora sembra che questa disposizione dovrebbe nientemeno derogare alle norme del Codice civile, ove la transazione ha un carattere definitivo. Non si può tornare sul concordato intervenuto fra l’ufficio e il contribuente. Ecco perché, mi sono permesso di proporre la soppressione per lo meno delle parole «o concordato fra i contribuenti e l’ufficio». E ciò anche per un’altra ragione: che se l’Amministrazione finanziaria ha interesse perché i concordati si facciano, non vi sarà invece nessuno che sia disposto a farli.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Dissento dall’onorevole Crispo che definisce il concordato come una transazione, perché transazione non è. È inutile qui ripetere gli argomenti che la dottrina ormai ha addotto a questo proposito per risolvere una questione che si agitava da tempo. La transazione è sulla misura. Il concordato non è transazione per il semplice fatto che non è nella disponibilità dell’Amministrazione di potere non esigere un’imposta che sia dovuta. Quindi manca l’elemento essenziale del concordato perché l’Amministrazione non può rinunciare alla esazione dell’imposta. Ad ogni modo, non è questa una ragione per potere accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo.

Per quanto riguarda lo stesso emendamento, si deve anche ripetere che se questa – come ha detto il Ministro e come è stato detto da altre parti – è una norma che già esiste nella nostra legislazione finanziaria, non mi pare che proprio in sede di un’imposta straordinaria occorra abolirla o rivederla. Si potrà abolirla o rivederla, ma non in questo momento ed in questa occasione.

CAROLEO. C’è un progresso anche in materia di leggi finanziarie!

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Crispo soppressivo delle parole: «o concordate fra i contribuenti e l’Ufficio».

(Non è approvato).

Pongo ora ai voti l’emendamento dell’onorevole Tosato, fatto proprio dall’onorevole Cappi:

«Al terzo comma, alle parole: nell’articolo 15 del regio decreto legislativo del 27 maggio 1946, n. 436, sostituire le parole: negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436».

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Siccome questo emendamento estende sostanzialmente la competenza di merito delle Commissioni centrali in alcuni casi gravissimi, cioè in quello in cui la Commissione di seconda istanza ha rivisto l’accertamento dell’ufficio, se non si desse questa competenza, vi sarebbe un giudizio di primo grado e non vi sarebbe doppio grado di giurisdizione. Voteremo quindi a favore dell’emendamento.

(L’emendamento è approvato).

PRESIDENTE. Vi è ora da votare la soppressione nell’ultimo comma delle parole: «alle Commissioni di prima istanza» proposta dal Ministro delle finanze.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome sorge la minaccia di un’altra questione, meglio è risolverla in partenza. Sono d’accordo nel limitare la soppressione alle tre parole «di prima istanza»; lasciamo pure le due parole «alle Commissioni», se questo vale ad eliminare qualche perplessità.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di soppressione delle parole:

«di prima istanza».

(È approvata).

L’articolo 46 si intende allora approvato, dopo gli emendamenti testé accolti dall’Assemblea, nel seguente testo:

«Le Commissioni giudicanti hanno tutte le facoltà conferite dall’articolo 44 ai funzionari delle imposte.

«Le Commissioni di prima istanza hanno, inoltre, la facoltà di eseguire d’ufficio accertamenti non proposti dagli Uffici distrettuali e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate tra i contribuenti e l’Ufficio, anche se già inscritte a ruolo.

«Sono applicabili ai fini del presente decreto, le disposizioni contenute negli articoli 15 e 21 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436.

«La facoltà concessa dal comma precedente alle Commissioni cessa col 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si verifica la prescrizione dell’azione della finanza, a norma dell’articolo 61 del presente decreto».

CRISPO. Mi pareva di avere udito che l’onorevole Ministro volesse proporre un emendamento tendente a stabilire che la facoltà di cui all’articolo 46 si dovesse esercitare quando vi fosse una differenza di un quarto.

Per questo non ho presentato un emendamento confidando in quello che il Ministro aveva detto.

PELLA, Ministro delle finanze. Io mi riferivo a quello che accade in linea pratica; che le Commissioni non si muovono, qualora non riscontrino una differenza di notevole rilievo tra le cifre concretamente concordate e quelle che a loro avviso avrebbero dovuto essere accertate. Per cui concludevo che, se fosse stato proposto un emendamento che stabilisse uno scarto minimo, ciò rientrando nella prassi, io avrei espresso parere favorevole.

CRISPO. Allora, ho male interpretato il pensiero del Ministro. Comunque, propongo un emendamento aggiuntivo, così formulato:

«La facoltà di cui al comma precedente può essere esercitata soltanto nel caso di differenza non inferiore a un quarto».

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io ritenevo che l’articolo fosse votato senza possibilità di aggiunta in questo senso. Voglio ripetere che se nell’articolo si ha la riproduzione di una norma che già esiste, non è questo il momento e l’occasione per introdurre modificazioni. D’altra parte, in linea generale, finché l’onorevole Ministro dice che questo è nella prassi, fino a questo punto posso andare; ma un emendamento quale quello ora proposto non potrei votarlo favorevolmente, perché si avrebbe una disposizione che andrebbe a tutto svantaggio dei piccoli contribuenti e a tutto vantaggio dei grandi contribuenti, in quanto, se ci fosse un concordato di un miliardo di lire, la facoltà di rivedere da parte della Commissione sorgerebbe solo quando ci fosse uno scarto di ben 250 milioni.

Mi pare quindi che una disposizione così congegnata, tradotta in legge, non potrebbe essere accolta con tranquillità.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa, nella sua qualità di Relatore, ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questo nuovo emendamento aggiuntivo che è ammissibile in quanto, onorevoli colleghi, non eravamo ancora all’esame dell’articolo successivo.

LA MALFA, Relatore. Ho già espresso il parere della Commissione in occasione di altro emendamento presentato all’ultim’ora. Interpellata, seduta stante, la Commissione e trovatala discorde, ho dovuto accennare alla necessità di una sospensiva.

Comunque, per quello che mi è dato esprimere come parere, sarei contrario all’accoglimento di questo nuovo emendamento.

Mi rimetto, d’altra parte, al parere del Governo.

Il Governo ha espresso parere favorevole, ne assuma la responsabilità, ma non mi si chieda di esprimere un giudizio della Commissione, che non esiste.

Devo dire che con la introduzione dell’articolo 21, la Commissione centrale ha competenza nelle vertenze relative all’imposta straordinaria sui profitti di guerra ogni qual volta il patrimonio superi il doppio di quello dichiarato dal contribuente e sia inferiore a quello proposto dall’ufficio. C’è, quindi, una garanzia per il contribuente. Siccome abbiamo esteso l’articolo 21 all’imposta progressiva, qualora Commissioni centrali…

PELLA, Ministro delle finanze. Qui siamo ancora al comma secondo. Non sarei d’accordo di considerare esteso questo larghissimo limite nella sfera di applicazione del secondo comma.

LA MALFA, Relatore. Esattissimo; ma voglio dire che qualunque sia la situazione che si crea nella Commissione di prima istanza fra il contribuente e la Commissione, c’è sempre questa possibilità e questa garanzia per il contribuente, che mi sembra sufficiente.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne fa facoltà.

FABBRI. Io voterò a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Crispo, perché faccio osservare che in sostanza con il sistema difeso dalla Commissione – e mi pare fatto proprio dal Governo – si crea una incertezza sulle dimensioni del patrimonio che finisce per durare sei o sette anni, il che paralizza tutta la vita economica di un commerciante o di un’industriale. Qui, infatti, vi sono due anni successivi alla dichiarazione, poi quattro anni di prescrizione successivi alla scadenza del primo termine, poi queste facoltà indefinite delle Commissioni di poter intervenire d’ufficio nonostante i concordati e nonostante che tutto sia finito.

Ora, l’argomento dell’onorevole Scoca che se si tratta di una facoltà normale è inutile sopprimerla, in questa occasione dovrebbe essere precisato da parte sua, nel senso di dimostrare che questa facoltà normale, e per un numero di anni corrispondente a quello che sto indicando io, già esiste. Secondariamente, qualora esistesse per un singolo rapporto, non avrebbe mai l’importanza e l’ampiezza che si verifica in questo caso in cui è la totalità del patrimonio di un contribuente che resta a discrezione delle Commissioni, elette con criteri più o meno politici, durante sei o sette anni. Mi pare che sia una cosa veramente enorme come disturbo del normale funzionamento di un sistema economico-politico, il quale è quello che è, ma se si vuole che sussista non bisogna impedirgli di svolgersi in condizioni normali e conformi alla sua natura.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Devo indicare un grave inconveniente, che si comincia già a delineare: il pericolo per l’acquirente della rispondenza per questa imposta, che alcune volte può essere ingente, può paralizzare il commercio degli immobili anche per lungo tempo. Tanto più che potranno esserci variazioni tali nel mercato che potrebbero rendere vane le garanzie delle somme, che si dessero in prestito con garanzie ipotecarie.

Sarà vero che il sistema dell’articolo 46 si trova pressoché in tutte le leggi fiscali; ma dobbiamo tener presente la specialità di questa imposta, che incide sul patrimonio. La sua incertezza può portare alla impossibilità di movimento sia dei capitali che degli stessi immobili.

Prego l’Assemblea di riflettere su questa gravità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero far presente all’onorevole Crispo che la formulazione dell’emendamento da lui proposto forse non aderisce al risultato che voleva raggiungere, perché il secondo comma, cui l’emendamento fa riferimento, configura tre ipotesi: prima, mancato accertamento da parte dell’ufficio; seconda, accertamento in corso di discussione; terza, accertamento concluso col concordato.

Ora, ritengo che, col suo emendamento, l’onorevole Crispo volesse fare riferimento alla terza ipotesi, e penso che esso dovrebbe essere integrato in tal senso.

Per quanto riguarda il pensiero del Governo, mi faccio carico delle argomentazioni dell’onorevole Scoca, che hanno notevole peso.

Devo, però, aggiungere che il concordato è lo strumento essenziale, attraverso cui si definisce la massima parte delle contestazioni sui diversi tributi, cioè il 90 per cento almeno. Guai se non fosse così! Perché, se più di un dieci per cento dovesse andare davanti ai collegi giudicanti, la riscossione dei tributi sarebbe ritardata al punto da esserne compromessa.

La concessione di uno scarto di sicurezza può più facilmente permettere la stipulazione di concordati.

Pensando a questa ragione di ordine pratico, sostanzialmente aderisco al concetto dell’emendamento.

DUGONI. La Commissione è contraria.

PRESIDENTE. Avverto che è in preparazione una modificazione dell’emendamento.

LA MALFA, Relatore. Devo protestare, in maniera assoluta; non si possono presentare emendamenti all’ultim’ora.

PRESIDENTE. Si può risolvere la questione con un parere negativo della Commissione.

CRISPO. Sulla protesta elevata dal presidente della Commissione, mi permetto di osservare che vi è una disposizione categorica nel Regolamento, che dà facoltà di presentare emendamenti, a condizione che siano sottoscritti da dieci deputati. Io esercito precisamente questa facoltà.

LA MALFA, Relatore. Sono dolente, di fronte ad un emendamento presentato all’ultim’ora, di dovere esprimere parere contrario. È un motivo di deferenza verso i colleghi che mi spinge a porre la questione della presentazione degli emendamenti. Se essi presentano gli emendamenti all’ultim’ora, la Commissione o chiede la sospensiva su ogni articolo, per dare tono di serietà ai lavori, o è costretta a esprimere parere negativo. Come volete che su questioni di grande importanza la Commissione dia in quattro e quattr’otto il suo parere? (Approvazioni).

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Crispo ha così definitivamente formulato il suo emendamento, proposto come articolo 46-bis:

«La facoltà di cui al secondo comma dell’articolo 46, può essere esercitata nel solo caso in cui la differenza non sia inferiore al quarto, in rapporto alle cifre fissate dagli Uffici o concordate».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 47.

Se ne dia lettura nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per la riscossione dell’imposta straordinaria progressiva si applicano le disposizioni vigenti per la riscossione dell’imposta di ricchezza mobile.

«I ruoli dell’imposta straordinaria non sono soggetti alla pubblicazione disposta dalla vigente legge di riscossione».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, si intende approvato.

Segue l’articolo 48. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti possono chiedere che il pagamento abbia luogo, anziché in un anno, e rispettivamente due per i patrimoni costituiti per almeno due terzi da cespiti immobiliari, in quattro e sei anni di sei rate bimestrali ciascuna. In tal caso essi corrisponderanno all’Erario, a partire dal secondo e rispettivamente dal terzo anno, un interesse del 2 per cento all’anno da aggiungersi all’annualità d’imposta».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un primo emendamento dell’onorevole Cappi del seguente tenore:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo».

Ricordo all’Assemblea che il testo proposto dal Governo era così formulato:

«L’imposta straordinaria progressiva è dovuta in rate bimestrali entro il 31 dicembre 1951.

«Quando il patrimonio sia costituito, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari, la relativa imposta straordinaria è dovuta in rate bimestrali entro il 31 dicembre 1953, con l’obbligo, per il contribuente, di corrispondere all’Erario l’interesse del 5 per cento, in ragion d’anno, a decorrere dal 1° gennaio 1952».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere il suo emendamento. Ricordo che egli ne ha presentato uno analogo anche all’articolo 49.

CAPPI. Credo che il mio emendamento si illustri da sé, tanto è semplice. Ad ogni modo, dico solo che lo scopo che mi ha indotto a proporre il ripristino del testo proposto dal Governo, sia per l’articolo 48 sia anche per il successivo articolo 49, è stato quello di rendere più facile ed agevole ai contribuenti il pagamento dell’imposta. Stiamo pur fermi sulle aliquote alte e nel rigore contro le evasioni; ma mi sembra giusto che i contribuenti, anche per la convenienza del fisco, abbiano agevolazioni di forma e di tempo per il pagamento di questa imposta. Questa è la ragione per cui ho presentato i miei emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo – unitamente agli onorevoli Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano, Rubilli – ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma del testo ministeriale sostituire il seguente:

«Per il patrimonio costituito in prevalenza da immobili urbani, il pagamento dell’imposta avrà luogo in sei annualità, a cominciare dal termine della imposta proporzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. L’emendamento è chiaro ed obbedisce a questa finalità: rendere meno gravoso il canone, in quanto la contestualità del pagamento dell’una e dell’altra imposta ed il gravame del tributo a me sembra un onere eccessivo, talvolta impossibile ad essere sostenuto. Con l’emendamento da noi proposto per gli immobili, cioè per i patrimoni costituiti in prevalenza da immobili urbani, il pagamento dell’imposta progressiva ha luogo dopo che sia stato esaurito il pagamento dell’imposta proporzionale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Clerici, Alberti, Bovetti, Cavalli, Saggin, Baracco:

«Dopo il primo periodo del testo della Commissione, aggiungere:

«Quando il patrimonio sia costituito per almeno quattro quinti da immobili sottoposti al regime vincolistico dei fitti, i contribuenti possono chiedere che il pagamento abbia luogo, in rate bimestrali, sino a cinque anni dalla cessazione del regime vincolistico e comunque non oltre il 31 dicembre 1957».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. La ragione del mio emendamento è in sostanza la stessa di quella dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo e da altri colleghi. Però, ritengo che il mio emendamento risponda meglio a criteri di chiarezza e di giustizia.

Osservo subito che qualora l’Assemblea ritenesse di votare l’antico articolo 48, il mio emendamento, così com’è proposto, starebbe anche a quell’articolo. Intanto, prego l’onorevole Crispo di vedere se sia possibile fondere i nostri due emendamenti.

Il mio emendamento è più giusto e più chiaro di quello degli altri colleghi, perché, invece di parlare di un patrimonio costituito «in prevalenza» da immobili urbani, parla di patrimonio costituito per almeno quattro quinti da immobili sottoposti a regime vincolistico. La prevalenza è un concetto elastico che darebbe luogo a discussioni ed alla necessità di interventi e di circolari da parte del Ministro, cose che sono sempre da evitarsi perché tendono a creare nuove norme, anziché limitarsi ad interpretare la legge. Nel mio emendamento la norma è categorica, perché prevede i quattro quinti del patrimonio e contempla nel caso di un patrimonio vistoso, tutto il patrimonio, perché l’altro quinto è rappresentato da quel patrimonio presuntivo di gioielli, titoli al portatore, e via dicendo, contemplato all’articolo 25. Né parlando di quattro quinti sottoposti a regime vincolistico, si cade in termini non generici. Vi sono infatti degli immobili urbani (come le costruzioni nuove, quelle ricostruite o riattate, o quelle di cui il proprietario ha in disponibilità i locali per avere da essi, amichevolmente o con altri mezzi, sloggiato gli inquilini), per i quali i proprietari percepiscono dei fitti che sono dieci, venti volte superiori a quelli degli immobili vincolati. Per costoro, evidentemente non vi dovrebbe essere agevolazione; l’agevolazione vi sarà per coloro che sono sottoposti a regime vincolistico.

Infine, ritengo opportuno che il termine di pagamento sia messo in correlazione allo stesso vincolo, come appunto dice il mio emendamento.

Osservo inoltre che il mio emendamento è in relazione ad un altro emendamento, che ho presentato all’articolo 72, e che riguarda la suddivisione dell’imposta straordinaria proporzionale per coloro che versano nelle stesse condizioni previste nell’emendamento presentato all’articolo 48, ed è in relazione ancora ad un ordine del giorno mio, che per ragioni regolamentari non può essere proposto e discusso in questa sede, e che riguarda quella parte notevole di proprietari di case i quali, lungi dal soffrire, in queste condizioni raggiungono dei guadagni straordinari. Parlo di coloro che affittano o subaffittano stanze ed appartamenti in luoghi di cura e di villeggiatura, e che ottengono 40-50 mila lire, ed anche centomila, per stagione e per locale. Per costoro, io invoco da parte del Governo un provvedimento di rigore. (Approvazioni).

Per questo dico che non si può, per ragioni di giustizia, parlare indiscriminatamente di proprietari immobiliari urbani o meno, ma si devono stabilire delle categorie specifiche, perché vi sono categorie che soffrono, come quelle sottoposte a regime vincolistico e che non traggono neppure il necessario per provvedere alle spese dell’immobile, ed altre categorie, invece, che sono favorite dalle circostanze attuali, che fanno una vera speculazione e che possono e debbono e debbono essere considerate alla stregua dei borsari neri. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, per esprimere il giudizio della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 48 è una delle disposizioni fondamentali della legge, ed io debbo esporre le ragioni per cui la Commissione ha modificato in questa materia i criteri governativi.

Una delle preoccupazioni della Commissione è stata quella di trovare un mezzo per rendere percepibile l’imposta nel più breve tempo possibile; perché, se è vero che i contribuenti possono avere difficoltà di pagamento, una delle ragioni fondamentali dell’imposta è quella di produrre una liquidità immediata a favore dello Stato; non solo, ma anche perché l’influenza anti-inflazionistica dell’imposta si esercita solo se l’imposta non è troppo diluita nel tempo. Altrimenti l’imposta non avrebbe un risultato di carattere monetario.

In che cosa consiste la modificazione dell’articolo 48? La Commissione ha fatto sorgere il debito di imposta in un anno per i patrimoni prevalentemente mobiliari, in due anni per i patrimoni prevalentemente immobiliari. A questa modifica è legata anche una modifica del sistema del riscatto.

Si è cercato di anticipare la possibilità del riscatto, all’atto della dichiarazione del contribuente, anziché all’atto della prima iscrizione in ruolo, cioè la si è portata molto vicina nel tempo. Per potere, poi, indurre al riscatto, si sono dovuti aggravare i termini, la pressione sul riscatto dell’imposta essendo in relazione diretta ai termini che si pongono per il pagamento.

Come vedete, dunque, l’aggravamento sta in questo: che il debito d’interesse per il contribuente è stato anticipato; e mentre la legge lo faceva sorgere dopo il 1951, l’emendamento della Commissione lo fa sorgere dopo il 1948-49. Avete un forte premio di riscatto per chi paga prima ed un aggravamento di condizioni per chi paga dopo.

Io avrei fatto pesare di più gli interessi rendendoli crescenti nel tempo, perché le due leve (riscatto e rateazione) debbono agire in maniera che il contribuente man mano che si vale della rateazione abbia un rischio od un costo della rateazione. Ma la maggioranza della Commissione non è stata del mio parere molto più rigido.

Nell’anticipare l’obbligo del contribuente di pagare un interesse, ne abbiamo diminuito la misura. Il 5 per cento del testo governativo diventa un 10 per cento, dato che si pagano rate bimestrali; e questo saggio di interesse percepito dallo Stato, è apparso molto grave. Abbiamo portato il saggio al 2 per cento e l’abbiamo anticipato.

Ritornare, come vuole il collega Cappi, al testo proposto dal Governo significherebbe attenuare la pressione anti-inflazionistica che la Commissione ha avuto di mira. Ora, badate, qui noi non abbiamo dati sicuri per stabilire se un’imposta è liquida o più o meno liquida; sono questioni psicologiche, di valutazione, di intuito, di considerazioni sulla situazione generale. Nell’Assemblea a questo proposito ci sono due sensazioni: ci sono gli onorevoli colleghi che ascoltano i contribuenti, e hanno la sensazione che i contribuenti non possono pagare; c’è la Commissione ed il Governo che sentono che il contribuente può pagare, non solo, ma deve pagare.

Chi ha ragione? È una valutazione di carattere particolare. Hanno ragione coloro che credono che l’imposta possa essere pagata? Io ho l’impressione di sì.

Badate, l’imposta proporzionale è certamente gravosa per i piccoli contribuenti; però, si è avuto un notevole riscatto dell’imposta. In sede generale, cosa vuol significare un accelerato riscatto dell’imposta?

Vuol dire che c’è la possibilità, la liquidità necessaria per pagare l’imposta. E devo anche rilevare che, da quando qui dentro si parla di gravezza di imposta, di impossibilità di pagare, ecc., i contribuenti riscattano molto di meno. È una grave responsabilità che l’Assemblea si assume. Se, in definitiva, vi è una possibilità che questa imposta venga riscattata celermente, cioè che il contribuente paghi perché è stato previdente, perché in campagna i contadini hanno detto: «verrà l’imposta, accantoniamo per l’imposta», non possiamo come legislatori essere più realisti del re.

CRISPO. Allora, aboliamo la discussione!

LA MALFA, Relatore. Questo è lo scopo dell’imposta: non possiamo arrestare questo movimento. Può darsi che ci siano dei casi da considerare; ma non poniamo questi problemi in sede generale. Quando un’imposta la rateiamo troppo lungamente, quella liquidità che il mercato ha per pagare un’imposta va in fumo e va in fumo anche la legge, perché uno scopo fondamentale della legge si perde.

In materia di imposta proporzionale, abbiamo già dei segni di liquidità; credo che questi segni di liquidità si possano ritenere esistenti anche per l’imposta progressiva.

Prego, quindi, gli onorevoli colleghi di avere riguardo alle esigenze di politica generale, oltre che alle legittime esigenze dei contribuenti.

Per queste ragioni, non sarei favorevole ad accogliere l’emendamento dell’onorevole Cappi e pregherei il collega di non insistervi.

La Commissione non è nemmeno favorevole agli altri due emendamenti, per queste ragioni. In effetti, la distinzione di termini che fa la legge, che fa il sistema del decreto legislativo e l’emendamento della Commissione, fra patrimoni immobiliari e patrimoni mobiliari, non riguarda, naturalmente, il cespite in sé. Ma, si dice: «Un patrimonio che ha una certa percentuale di cespiti immobiliari ha possibilità liquide minori dell’altro». Se aggiungiamo un altro criterio, per esempio il regime vincolistico – come vorrebbe l’onorevole Clerici – il fatto che una casa sia soggetta a regime vincolistico fa sì che di questo si tenga conto nella valutazione del reddito e nella valutazione del patrimonio. Non possiamo tener conto dello stesso fenomeno due volte, perché allora creiamo due condizioni privilegiate. Se noi, valutando una casa soggetta a regime vincolistico, ne facciamo una valutazione patrimoniale molto minore di una casa che non è soggetta a regime vincolistico – e l’abbiamo detto – evidentemente non possiamo poi facilitare il pagamento, perché l’imposta gravante su quell’imponibile è molto minore di quella che grava sull’altro. È quindi un fatto obiettivo dato dalla composizione patrimoniale che può indurci a quella divisione nella rateazione. Ma andare ad altre manifestazioni che hanno una portata ed un significato soprattutto per quel che riguarda la valutazione dell’imponibile, ci sembra fuor di luogo.

La Commissione quindi, per le ragioni che ho ora esposte, esprime parere contrario ai due emendamenti Crispo e Clerici.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la richiesta dell’onorevole Cappi di ripristinare il testo ministeriale, siccome questo promana dal Governo, mi rimetto all’Assemblea.

Per gli emendamenti presentati dagli onorevoli Crispo e Clerici, per le ragioni esposte dall’onorevole Relatore, cui pienamente mi associo, debbo esprimere parere nettamente contrario all’accoglimento.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro che potrei rinunziare al mio emendamento e aderire a quello dell’onorevole Clerici nel caso in cui il collega Clerici acconsentisse, là dove è detto «per almeno quattro quinti», a dire invece «per almeno tre quarti».

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici acconsente?

CLERICI. Acconsento.

PRESIDENTE. Passiamo dunque alle votazioni.

Dovrò porre anzitutto ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, il quale propone di ripristinare il testo proposto dal Governo. Non essendo però presente l’onorevole Cappi, si intende che vi abbia rinunciato.

VANONI. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene. Lo pongo ai voti, ricordando che la Commissione ha espresso parere contrario e il Governo si è rimesso all’Assemblea.

(Non è approvato).

L’onorevole Crispo ha rinunciato al suo emendamento.

Resta quindi l’emendamento presentato dall’onorevole Clerici, ed altri, cui l’onorevole Crispo si è associato, con la modifica delle parole «quattro quinti» in «tre quarti».

Lo pongo ai voti, ricordando che la Commissione ha espresso parere contrario e il Governo si è associato al parere della Commissione.

(Non è approvato).

Essendo stati respinti tutti gli emendamenti proposti, l’articolo 48 si intende approvato nel testo proposto dalla Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei chiedere alla Commissione, senza farne oggetto di una proposta specifica, se non riterrebbe opportuno, per il pagamento degli interessi, di farli decorrere non dal secondo e dal terzo anno, ma almeno dal quarto e dal quinto. Io credo infatti che presupporre che un’imposta di tal natura sia pagata nel primo anno significhi pensare una cosa che non avverrà. E un’imposta così grave questa, che nessuno la pagherà nel primo anno. Ora, obbligare il contribuente a pagare fin dal primo anno gli interessi d’una imposta che si riconosce deve essere diluita nel tempo, mi pare un po’ grave. Quindi chiedo alla Commissione se non creda opportuno fissare che il pagamento degli interessi avvenga non dal primo e secondo anno, ma dal quarto o quinto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è già espressa ed è già avvenuta la votazione su questo problema. Mi dispiace, onorevole Bertone.

BERTONE. Anche poco fa l’onorevole Crispo, ad articolo approvato, ha proposto un emendamento aggiuntivo, che è stato votato.

LA MALFA, Relatore. Faccio osservare che quello che l’onorevole Bertone dice era, in fondo, l’emendamento Cappi, che è stato respinto.

BERTONE. Io non ho votato per l’emendamento Cappi: sono per il testo della Commissione, con la sola variante accennata.

PRESIDENTE. Se vuole fare una proposta formale, onorevole Bertone, la invito a far pervenire alla Presidenza il suo emendamento.

La Commissione mantiene, ad ogni modo, il suo parere contrario?

LA MALFA, Relatore, La Commissione si è già espressa: naturalmente è contraria.

BERTONE. Rinuncio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 49.

Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria progressiva su patrimoni il cui ammontare raggiunga il minimo imponibile viene iscritta a ruolo, in via provvisoria, salvo conguagli, in base alla dichiarazione presentata dal contribuente ed è messa in riscossione a partire dalla rata del febbraio 1948.

«L’imposta iscritta a titolo provvisorio o definitivo in ruoli, la cui riscossione si inizia dopo la rata del febbraio 1948, viene ripartita in quote uguali nelle rate residue.

«L’imposta iscritta in ruoli, la cui riscossione s’inizia dopo la scadenza dei due termini fissati dall’articolo 48, a seconda della composizione del patrimonio imponibile, è pagata in sei rate bimestrali con l’interesse corrispondente di cui all’articolo 48».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Cappi ha proposto il seguente emendamento:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Vi rinuncio, essendo stato respinto l’analogo emendamento da me proposto all’articolo precedente.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per la riscossione dell’imposta progressiva compete all’esattore l’aggio contrattuale, esclusa l’addizionale prevista dagli articoli 5 e 8 del decreto legislativo luogotenenziale 18 giugno 1945, n. 424».

VERONI. Questo emendamento contiene lo stesso principio che il legislatore ha previsto per la riscossione dell’imposta straordinaria proporzionale, all’articolo 72.

Questa disposizione va, evidentemente, riprodotta nell’articolo 49.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELEA, Ministro delle finanze. Anche il Governo accetta l’emendamento.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Mi dichiaro contrario a questo emendamento, perché esso determina una situazione di sperequazione tra diverse categorie di contribuenti.

Noi oggi, in materia di aggi di riscossione esattoriali, ci troviamo esattamente in questa posizione: che per far fronte alle aumentate spese di riscossione, si sono aggiunti agli aggi contrattuali dei super-aggi, particolarmente elevati. Questo era dovuto al fatto che i ruoli di riscossione non avevano avuto quell’incremento della loro consistenza che hanno avuto le spese di riscossione.

Oggi noi diamo agli esattori una nuova imposta da riscuotere. La politica logica sarebbe questa: che in relazione all’aumento della cifra di riscossioni si riducano tutti gli aggi di riscossione, e non solo quelli inerenti all’imposta straordinaria sul patrimonio, e che quindi si faccia un’opera di perequazione fra i contribuenti che pagano l’aggio di riscossione sulle normali imposte ed i contribuenti che sono chiamati a pagare l’imposta straordinaria.

La logica sarebbe quindi questa: che l’aggio fosse uniforme per tutte le imposte. Se oggi si determina un nuovo carico tributario per cui quelle spese di riscossione si ripartiscono su una maggior somma da riscuotere, il vantaggio della diminuzione dell’aggio dovrebbe essere accordato a tutti i contribuenti e non solo a quelli cui la diminuzione è concessa ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Quindi io voterò contro questo emendamento, suggerendo al Governo di svolgere quell’opera di riduzione delle aggiunte agli aggi esattoriali che è inerente alla nuova situazione che si determina in conseguenza del maggior carico in relazione alla posizione degli esattori, in maniera da poter arrivare ad una perequazione graduale ma definitiva degli aggi esattoriali per tutte le imposte.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Vorrei rispondere all’onorevole Vanoni che, proprio per cominciare questa graduale perequazione degli aggi, noi proponiamo che, essendosi determinata con l’imposta proporzionale la riscossione di un aggio per gli esattori, ugualmente si faccia per la progressiva.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Corbino così formulato:

«Nel primo e nel secondo comma dell’articolo 49 sostituire: febbraio 1948, con: agosto 1948».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CORBINO. L’emendamento è così chiaro che non credo abbia bisogno di particolare illustrazione. Noi abbiamo prorogato i termini per la denuncia. Ho l’impressione che, per quanto presto si possa fare, gli uffici non saranno in condizione di notificare le cartelle dei pagamenti entro febbraio. Senza spostare i termini generali che abbiamo accettato nella proposta della Commissione, si potrebbe prorogare di sei mesi il gettito globale dell’imposta entro i quattro o sei anni al massimo di termine entro il quale l’imposta dovrà essere pagata.

Devo aggiungere che io non vorrei modificare le condizioni previste per il riscatto, salvo la proroga del termine del 15 settembre di cui all’articolo 71, in maniera da lasciare al contribuente lo stimolo di riscattare l’imposta.

Non è che io tenga molto a questa proposta, ma volevo far presente che ancora durante il 1948 molti contribuenti dovranno pagare la decennale. Ora, se noi ritardiamo i pagamenti alla data del 10 agosto, siccome i pagamenti sarebbero iniziati con valori provvisori, nelle ultime tre rate del 1948 l’onere della progressiva non sarebbe troppo elevato, e quindi noi semplificheremmo il problema del pagamento per una notevole categoria di contribuenti.

PRESIDENTE. Invito il Relatore ad esprimere il suo parere sull’emendamento Corbino.

LA MALFA, Relatore. In un certo senso ho risposto implicitamente all’onorevole Corbino esponendo il pensiero della Commissione, cioè nel senso di rendere esigibile in febbraio quest’imposta, se tecnicamente è possibile l’esazione in febbraio. D’altra parte, l’imposta figura già nel preventivo 1947-48 per 30 miliardi. Ora, si possono anche abolire questi 30 miliardi dal preventivo, ma io credo che sia bene che nel preventivo del nuovo esercizio figurino entrate per l’imposta straordinaria progressiva.

Se tecnicamente non ci sono difficoltà, e il Ministro ha assicurato che non ce ne sono, la Commissione insiste.

Risponderei poi, se mi permette l’onorevole Presidente, al collega Vanoni che la sua tesi è giusta per quanto riguarda la ripartizione dell’aggio fra tutti i contribuenti. Ma, prendendo in considerazione l’emendamento Veroni, si è dovuto considerare l’entrata in riscossione di molti miliardi. Se in attesa della ripartizione tradizionale avessimo lasciato questa addizionale, evidentemente avremmo creato un maggior male.

La soluzione è empirica e contingente, ma pone riparo ad un inconveniente contro il quale non abbiamo per il momento un sistema migliore. Quindi mi associo alla tesi Vanoni, come raccomandazione per una sistemazione futura, ma ritengo opportuno in questo momento applicare l’emendamento Veroni.

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero assicurare il collega Vanoni che già è allo studio presso la Direzione generale competente il problema delle perequazioni degli aggi e dello smantellamento di tutte le sovrastrutture esistenti attualmente.

Mi faccio veramente carico del concetto di perequazione che ispira l’ordine di idee espresso dall’onorevole Vanoni, in contrasto con l’emendamento Veroni, e dico all’onorevole Veroni che proprio il Ministero, per diversi giorni, ha meditato sul problema ed ha dovuto alla fine obbedire alla considerazione empirica e contingente – come bene ha detto l’onorevole La Malfa – di agire in qualche modo in attesa dei risultati migliori che si spera di conseguire con la revisione di tutto il problema.

Non assumo impegni formali, ma vorrei che l’Assemblea credesse alla buona volontà del Ministero di esaminare questa materia con la celerità necessaria, il che potrebbe forse permettere il risolvere, almeno fino ad un certo punto, il complesso problema prima che risultasse di attualità la riscossione dei ruoli. Non è una promessa, perché non vorrei convertire quella che è una buona intenzione in un impegno formale.

Per queste ragioni devo confermare il parere favorevole del Governo all’emendamento Vanoni.

Per quanto riguarda l’emendamento Corbino, che ha come presupposto la probabile impossibilità del Governo di mettere in riscossione i ruoli compilati in base alle dichiarazioni dei contribuenti il 10 febbraio 1948, posso assicurare che col termine del 30 settembre fissato per le dichiarazioni dei possessori di patrimoni superiori a 3 milioni, è possibile di mettere in riscossione i ruoli con la rata di febbraio.

Vorrei fare ancora una volta – e mi sembra che sia la seconda – un appello all’onorevole Corbino, alla sua squisita sensibilità in ordine alle necessità del Tesoro, perché non insista nel suo emendamento.

Sono stati inscritti nel preventivo 1947-48, 30 miliardi, che possono essere riscossi, e non vedrei francamente la ragione di rinunciare per sei mesi a questa riscossione.

Per questi motivi mi duole di non poter accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Corbino.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Ritengo che l’emendamento dell’onorevole Veroni, così come è stato inquadrato dal Governo, troverebbe posto molto meglio nelle norme transitorie, che non nella legge definitiva.

Quanto all’aggio minore, difficilmente riuscirete a ridurre su una cifra importante l’aggio sulle altre riscossioni dell’imposta.

Voglio aggiungere un’altra considerazione che rientra nell’ordine d’idee della Commissione. La Commissione ha studiato tutto questo sistema dell’articolo 48 per rendere più allettevole il riscatto dell’imposta. Ora, se voi riducete l’aggio di riscossione, che è uno dei vantaggi che si viene ad attuare nel riscatto dell’imposta, evidentemente riducete anche l’allettamento. Quindi io ritengo che se veramente siamo sulla strada della perequazione degli aggi e, tenendo conto che oggi si fa pagare il 15 per cento di aggio di riscossione al piccolo proprietario che paga l’imposta fondiaria, mentre si fa al 3 e 50 per cento nell’imposta sul patrimonio, questa perequazione sarà ben difficile a raggiungere. Se vogliamo mettere una norma transitoria, finché nuove norme siano emanate, potrei anche accettare; se si vuol fare entrare la norma nel testo definitivo della legge, allora credo che la perequazione sarà difficile a raggiungere.

SCOCCIMARRO. Propongo che si metta ai voti l’emendamento Veroni, salvo a deciderne la collocazione.

VERONI. D’accordo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Veroni, sul quale vi è il parere favorevole del Governo e della Commissione riservandone la collocazione.

(È approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Corbino. Domando al proponente se intende mantenerlo.

CORBINO. Lo ritiro; però vorrei far rilevare al Ministro che la preoccupazione si può riferire al Bilancio e non alla Tesoreria. In sostanza, la massima parte dei contribuenti, nei primi sei mesi, pagherà l’imposta prelevando da quello che ha di disponibilità bancarie: quindi il Tesoro dovrà cedere da una parte quello che incasserà dall’altra. Questo è quello che sta accadendo in questi giorni per il riscatto della patrimoniale decennale, perché la massima parte dei riscatti viene fatta con i prelevamenti dai depositi bancari. Comunque, non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 49 si intende approvato nel testo della Commissione, con il comma aggiuntivo testé votato, salvo a decidere la definitiva collocazione di tale comma.

Passiamo all’articolo 50 che la Commissione accetta nel testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«È ammesso il pagamento, in buoni del tesoro ordinari, al valore nominale, con deduzione dello sconto al giorno del versamento».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Balduzzi ha proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Sono accettati in pagamento come contante, in base al prezzo di emissione, più interessi maturati, i buoni del Tesoro quinquennali 5 per cento a premi, emessi in forza del decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70».

L’onorevole Balduzzi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BALDUZZI. Onorevoli colleghi, mi riferisco al decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 marzo di detto anno, relativo all’emissione dei Buoni del tesoro 5 per cento a premi, Buoni del tesoro che vanno sotto la denominazione di «prestito Soleri».

In questo decreto c’è l’articolo 3 il quale, tra l’altro, reca: «Il prezzo di emissione è stabilito, ecc.

«Essi (Buoni del tesoro) saranno anche accettati come contante, in base al prezzo di emissione, più interessi maturati:

  1. a) in sottoscrizione del grande Prestito della ricostruzione nazionale…;
  2. b) in pagamento di una eventuale futura imposta personale straordinaria sul patrimonio».

Come vedete, è un impegno preciso preso dal Governo del tempo in ordine ad una istituenda imposta straordinaria sul patrimonio ed io ritengo doveroso richiamare espressamente detto impegno nella legge in esame. Mi si dirà che dal punto di vista finanziario non è opportuno. Si potrà aggiungere anche che è superfluo, in quanto è già una disposizione di legge. Al che io però mi permetto osservare che ritengo invece tale richiamo doveroso, come dicevo poc’anzi, perché è un atto di lealtà che andrà a tutto vantaggio del credito dello Stato, il quale ha sempre bisogno di fare ricorso al credito.

Notate poi che la norma dettata dal decreto summenzionato sarà a tutto vantaggio delle classi abbienti, le quali hanno la possibilità di seguire le norme legislative, e di farsi suggerire da tecnici e competenti la convenienza di utilizzare questi Buoni del tesoro per pagare l’imposta.

La disposizione invece sfuggirà a quel ceto medio, cui l’imposta patrimoniale in esame sarà particolarmente gravosa, quel ceto medio che costituisce la classe più benemerita perché è quella che risponde sempre allorché lo Stato ha necessità di emettere prestiti.

Per questo motivo, mi auguro che l’emendamento venga accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Il collega Balduzzi ha ragione, ma quanto egli propone è già sancito in una norma di legge! Se ne potrà fare oggetto di una circolare: «Si accettano in pagamento come contante anche i Buoni del tesoro quinquennali, ecc.». Ma non si fa altro che ripetere una norma legislativa esistente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Comprendo le considerazioni dell’onorevole Balduzzi, ma credo che l’emendamento sia veramente superfluo dal punto di vista tecnico, perché è evidente che se quella facoltà di pagamento è contemplata dalla legge di emissione, non è necessario ripeterla nell’articolo oggi in discussione. Se poi ci si riferisce alla conoscenza o non conoscenza della norma, credo che non si aumenti molto la conoscenza di essa con la citazione di un decreto, di una data, di un numero. Siccome, da parte dell’onorevole Balduzzi è stato autorevolmente detto che il prestito Soleri è ammesso in pagamento e la Commissione e il Governo lo riconfermano, penso che questo scopo di chiarimento davanti all’opinione pubblica sia già sufficientemente raggiunto, ed è per questo che ritengo di non poter accogliere l’emendamento proposto.

BALDUZZI. Ritiro il mio emendamento, pur osservando che la norma è stata di fatto richiamata per i Buoni del tesoro ordinari, cosa questa che potrebbe generare equivoco.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome può sollevarsi l’eccezione che, dichiarandosi in una legge posteriore a quella di emissione del prestito ammesso il pagamento in Buoni del tesoro ordinari, si potrebbe forse dar motivo di ritenere che non sia ammesso il pagamento in altri Buoni, credo che la formula potrebbe essere la seguente: «È ammesso il pagamento anche in Buoni del tesoro ordinari».

LA MALFA, Relatore. No, perché ci sono altre serie di buoni.

PELLA, Ministro delle finanze. L’articolo 50 dice: «È ammesso il pagamento in Buoni del tesoro ordinari al valore nominale, ecc.».

Siccome resta fermo che il pagamento in contanti è la via normale, se noi aggiungiamo la parola «anche» in Buoni del tesoro ordinari, questo «anche» lo si spiega pensando alla via del pagamento in contanti e si salva così la preoccupazione dell’onorevole Balduzzi, che, però, ripeto, non avrebbe ragion d’essere.

LA MALFA, Relatore. È meglio non modificare nulla, perché si rischia di complicare anziché specificare.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Balduzzi ha dichiarato di ritirare il suo emendamento, dopo le assicurazioni date dal Ministro, l’articolo 50 si intende approvato nel testo proposto.

Il seguito della discussione è rinviato alle 17 di oggi.

La seduta termina alle 12.55.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cxc.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Per l’onomastico del Capo provvisorio dello Stato:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Tonello

Nobile

Lussu

Piemonte

Uberti

Laconi

Targetti

Camposarcuno

Colitto

Bubbio

Dominedò

Codignola

Biagioni

Costa

Persico

Rescigno

Recca

Caroleo

Carbonari

Monterisi

Moro

Nitti

Interpellanze ed interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Bernini

Lussu

Cingolani, Ministro della difesa

Rivera

Faralli

Macrelli

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Scoccimarro

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Parri ha chiesto congedo all’Assemblea con questa lettera che leggo:

«A seguito della grave sciagura che a Loano ha funestato una colonia della Fondazione solidarietà nazionale, La prego di voler chiedere all’Assemblea di autorizzarmi ad un’assenza di alcuni giorni, necessari per i provvedimenti del caso».

L’onorevole Vigorelli, vicepresidente dell’Ente organizzatore di queste colonie, ha chiesto, a sua volta, congedo con la stessa motivazione.

L’Assemblea avverte l’estrema pietà dell’accaduto, particolarmente sottolineata dall’innocenza delle vittime. Accogliendo la richiesta dei nostri due colleghi, sento che essi portano con loro il sentimento di tutta l’Assemblea.

A nome di questa, desidero esprimere solidarietà con le famiglie delle vittime, con la popolazione milanese tutta che, per la seconda volta, in breve volger di tempo, è colpita da una così grave, dolorosa sciagura ed anche con l’Istituto che aveva organizzato questa colonia, e che rappresentando l’eroismo dei nostri partigiani, aveva desiderato raccogliere sui loro figli non lutti come quelli che piangiamo, ma un poco di serenità e di gioia. (Segni di assenso).

(I congedi sono concessi).

Per l’onomastico del Capo provvisorio dello Stato.

PRESIDENTE. Nella ricorrenza dell’onomastico del Capo provvisorio dello Stato, gli ho inviato il seguente telegramma:

«Assemblea Costituente già raccoltasi sul suo nome unanime senso fiducia et ammirazione in occasione recente soluzione grave congiuntura politica mezzo mio rinnova oggi ricorrendo data che celebra il suo nome in serena festività espressioni affettuosa profonda deferenza».

Il Capo provvisorio dello Stato si è compiaciuto di rispondere con il seguente telegramma:

«Gli auguri della Assemblea Costituente giungono particolarmente graditi all’animo mio che non saprà mai manifestare adeguatamente i sentimenti di gratitudine per le continue prove di benevolenza da parte della Rappresentanza nazionale, a cui ricambio infiniti voti augurali e cordialissimi saluti». (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

I nostri lavori sono stati sospesi ieri sera in seguito alla constatazione della mancanza del numero legale; dobbiamo oggi riprenderli al punto, in cui essi si erano arrestati.

Come l’Assemblea rammenta, nella seduta di ieri è stato posto ai voti l’articolo 116 nel testo proposto dal Comitato di redazione.

La prima parte di esso è stata approvata in questa formulazione:

«Un Commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato».

Sulla seconda parte:

«e le coordina con quelle esercitate dalla Regione»,

era stato presentato dall’onorevole Amadei il seguente emendamento sostitutivo:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Indetta la votazione su tale emendamento – per appello nominale su richiesta degli onorevoli Cremaschi Carlo, Uberti, Camposarcuno ed altri – e fatta la chiama, risultò dal computo dei voti la mancanza del numero legale.

Poiché i presentatori della domanda di appello nominale hanno ora comunicato alla Presidenza di rinunziarvi, pongo ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Amadei, per alzata e seduta.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il testo della Commissione: «e le coordina con quelle esercitate dallo Stato».

(È approvato).

L’articolo 116 rimane quindi formulato secondo il testo proposto dalla Commissione:

«Un Commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Dobbiamo ora passare all’articolo 117.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRES0IDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quando noi abbiamo deciso di modificare l’ordine dei lavori e di anticipare la materia della Regione, abbiamo, nello stesso tempo, determinato che, quando questa materia si fosse trovata in connessione con altre di titoli diversi, così che non fosse possibile deliberare, senza avere sott’occhi le soluzioni adottate per queste altre materie, si sarebbe allora dovuto, per tali punti, rinviare.

Ciò che propongo ora è conseguenza del criterio di massima allora stabilito. L’articolo 117 riguarda lo scioglimento dei Consigli regionali, e dispone che debba intervenire una deliberazione conforme della Camera dei senatori. Qualcuno ha annunziato, nel Comitato di redazione, che si proporrebbe di sostituire la Camera dei deputati a quella dei senatori. D’altra parte vi sono emendamenti che farebbero intervenire la Corte costituzionale. Non sembra opportuno decidere, prima che la Costituzione non abbia definito d’esistenza e la natura di tali organi. Formalmente non sappiamo ancora se vi sarà una Camera dei senatori ed una Corte di garanzia.

Viene poi l’articolo 118, per il quale si riproduce la stessa ragione di rinvio. Tutta l’economia dell’articolo riposa sull’intervento della Corte costituzionale, in materia di dichiarazione di incostituzionalità delle leggi della Regione. Evidentemente, fino a che non si sa se e cosa sia la Corte costituzionale, questa materia non può essere regolata.

Viene, infine, l’articolo 119, che riguarda il referendum ed il diritto di iniziativa che si esercita non solo sulle leggi regionali, ma anche su determinati provvedimenti amministrativi; e dice che gli statuti regionali debbono regolare questa materia in relazione ed in armonia con le norme generali stabilite sul referendum. Il Comitato ha fatto il rilievo che – in materia di referendum regionale – v’è un consenso che potrebbe non esservi in materia di referendum nazionale ed ha ritenuto che non sia il caso, qui, di un vero e proprio rinvio a quando si sarà deciso sul referendum per le leggi dello Stato; salvo provvedere, in sede di coordinamento, quando anche queste norme saranno stabilite. Vi è però una necessità di chiedere rinvio; nel senso che l’articolo 124 si occupa degli statuti regionali, in cui dovrebbero essere regolate appunto le modalità per il referendum nella Regione. È, dunque, opportuno esaminare insieme il 117 ed il 124; e qui si tratta o di farlo subito, a proposito del 117, o di rinviare (come si vede è un rinvio diverso dagli altri) al prossimo articolo 124.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. L’Assemblea si trova di fronte, improvvisamente, ad una proposta di rinvio di tre articoli di notevole importanza, in blocco, quasi per dividere le discussioni, rimandarne una ed affrontarne un’altra. Ci sono delle strane premure in questa discussione… (Rumori).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no, onorevole Micheli!

MICHELI. …che non riesco a comprendere e che ho piacere che comprendano gli altri colleghi, coloro che hanno rumoreggiato, indubbiamente per avere compreso. Ora… (Interruzione del deputato Preti). …Ora – e mi scusi l’onorevole Preti se io non rispondo alla sua interruzione, perché risponderò più volentieri ai discorsi che egli farà, piuttosto che alle sue interruzioni, che da qualche tempo sembrano alquanto insipide (Si ride) ora, dal punto di vista della procedura, non si può discutere, in questo momento, del rinvio in blocco di tre articoli, le cui cause di rinvio sono fra di loro diverse.

Incominciamo dall’articolo 117. Io riterrei opportuno che fosse messa in discussione la domanda di rinvio proposta dal signor Presidente della Commissione. Io non sarei del suo avviso, con mio grande rammarico, perché il rinvio è motivato dal fatto che nell’articolo 117 vi è un accenno alla Camera dei senatori, Camera dei senatori che ci sarà, e che potrebbe anche non esserci, che si sapeva che c’era nel progetto o che non c’era nella mente di molti di noi. E allora la questione è incerta ed io non potrei accettare, quindi, questa ragione di rinvio. La Camera dei senatori la possiamo mettere in riserva.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, perché la questione del suo intervento è decisiva.

MICHELI. Non è decisiva, onorevole Ruini, perché, fra le altre cose, debbo ripetermi, lei non sa nemmeno questo: se l’Assemblea l’approverà, o meno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Appunto per questo, non si può parlarne ora.

MICHELI. L’accenno, quindi, alla Camera dei senatori non sarebbe poi quella difficoltà insormontabile. Ed ecco che l’articolo 117 si presta anche ad una discussione di principio assai grave, quale quella della Camera dei senatori. Se vogliamo discuterla ora io sono pronto, e sono pronti certamente anche altri colleghi che da tempo si sono preparati ed hanno represso il loro dissenso su questo argomento. A me pare che, unicamente per questo, non valga la spesa di rimandare tutto l’importante articolo, che stabilisce la competenza del Consiglio regionale. Ritengo sia opportuno, dal momento che abbiamo approvato la Regione, di concretarla nel modo migliore possibile. Non mi sembra lecito, che da parte di coloro che sono stati i più autorevoli, vivaci ed efficaci sostenitori della Regione si venga ad eliminare tutta una parte la quale serve a fissare le linee vere e proprie della Regione. Noi con questo rinvio avremo creato una Regione appariscente, solo e «vana fuor che nell’aspetto», come direbbe il poeta. Io credo che una buona volta ci dobbiamo spiegare chiaramente. Noi desideriamo completamente fissare tutte le linee della Regione, affinché si sappia come deve essere e come deve funzionare domani. Questo continuo rinvio di configurazione, di attribuzioni…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma quali altre cose si sono rinviate, onorevole Micheli?

MICHELI. Lei ora ha proposto di rinviare diversi articoli, ed io parlo, intanto, sull’articolo 117.

DUGONI. È questione di logica… (Interruzione del deputato Tonello).

MICHELI. Onorevole Tonello, e chi ha nominato lei custode della logica; forse l’onorevole Dugoni? (Ilarità).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, con l’onorevole Micheli le interruzioni non valgono, perché sa rispondere a tutte! (Si ride).

Continui, onorevole Micheli.

MICHELI. Le sono grato, onorevole Presidente, di questa constatazione di fatto. Ed allora, ritornando alla questione in discussione, io penso ancora che non si debba rinviare questa discussione. L’abbiamo appena incominciata. Siamo arrivati al punto nel quale noi dobbiamo disegnare e stabilire quella che effettivamente dovrà essere la Regione attraverso i suoi organi.

Per quanto riguarda il Consiglio regionale, chi ha raccontato al Presidente della Commissione che l’Assemblea approverà il testo presentato…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …Nessuno ha raccontato niente; è la Commissione che ha deciso così.

MICHELI. Sta bene ricordarlo ora, si tratta dell’antico progetto che il nostro valorosissimo collega Ambrosini ha predisposto attraverso tante diuturne e diligenti fatiche e che la Camera, la Commissione e lei hanno spesso modificato in modo così notevole. Col consenso ed il voto dell’Assemblea, beninteso; capisco, onorevole Ruini cosa intenda significare il suo gesto larghissimo, e lo potrei amplificare anche, se crede, perché ho le braccia ancora più comprensive delle sue; sta di fatto che il progetto è stato presentato dall’onorevole Ambrosini come relatore, ma è stato in molti punti variato, ed in qualcuno anche sostanzialmente. Ed allora, che cosa mi viene a raccontare lei che questo è il progetto della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì, della Commissione dei Settantacinque e delle Sottocommissioni.

MICHELI. Sia pure, ma quello modificato frettolosamente stamane. Ad ogni modo, ritengo che non sia il caso di rinviare l’articolo 117.

Per quanto riguarda gli articoli 118 e 119, ne parleremo poi, perché sono altre le ragioni che il signor Presidente della Commissione ha creduto di addurre, ed altre saranno le eccezioni che io o altri dell’Assemblea potremo presentare.

Per questo io penso non sia il caso di accettare la proposta di rinvio ma invece di discutere, quando saremo al punto controverso e cruciale, della Camera dei senatori; e, se la maggioranza dell’Assemblea non riterrà di impegnarsi per una Camera dei senatori, che effettivamente può anche non essere nel cuore di molti di noi, cercheremo di eliminarla, il che faremo presentando un semplice emendamento, e sentiremo allora se il signor Presidente potrà o meno accettarlo in virtù dei suoi poteri. Per ora la mia proposta è in questo senso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio precisare all’onorevole Micheli che non vi sono storie da raccontare, ma vi è stato, ed egli lo dovrebbe sapere, un continuo esame di proposte, passate successivamente come attraverso a crogioli. Prima decideva la Sottocommissione, poi intervenivano i Comitati di coordinamento fra le Sottocommissioni; ha, infine, deliberato in adunanza plenaria la Commissione dei Settantacinque. I documenti sono lì; è un lavoro imponente che si può discutere, ma si deve rispettare, onorevole Micheli; non ho bisogno che nessuno mi racconti, come facezie, cose che sono serie.

L’onorevole Micheli parte, a quanto sembra, dall’assillante desiderio di completare il titolo della Regione e di non fare rinvii. Teme, poi, che vi sia una manovra per affrettare altri temi e deciderli di sorpresa.

Tutto ciò non è esatto. Che cosa è avvenuto? Domando perdono al nostro Presidente se ricordo che egli, che è stato autorevole Presidente della seconda Sottocommissione, ha messo in luce l’opportunità di esaminare la questione dei rinvii; in relazione anche a ciò che abbiamo stabilito quando anticipammo il titolo della Regione.

E indubbio che per l’articolo 117 vi sia la connessione e la necessità di rinvio. L’onorevole Micheli dice che possiamo anche respingere l’intervento del Senato in materia di scioglimento dei Consigli regionali. Sia pure, ma per decidere se farne senza o no bisogna sapere se c’è il Senato, se è a base regionale, e cosa sia. D’altra parte l’onorevole Codignola propone l’intervento della Corte costituzionale; il che mi sembra inammissibile; ma per decidere bisogna sapere se c’è e quale fisionomia ha la Corte costituzionale.

Volete discutere subito? E sia; ma sarà una discussione campata, per un punto decisivo, nell’aria.

L’onorevole Micheli ha parlato, con frase energica, di un «blocco» di disposizioni essenziali che si vorrebbero rinviare. Ma non sono disposizioni che toccano, nella sua essenza, l’istituto della Regione: ciò che riguarda l’istituzione e le funzioni essenziali della Regione l’abbiamo stabilito. Si rinvia soltanto il modo di scioglimento del Consiglio regionale; e non è questione da tragicizzare. Decidete come volete; l’importante è che non si perda più tempo in questioni procedurali.

Io non so se l’ho già ricordato all’Assemblea: uno scrittore belga di molto valore, il Lavelege, diceva che gli italiani, quando si mettono a discutere per una settimana, impiegano sei giorni sulle questioni di procedura e l’ultimo giorno si mettono a correre per esaurire la sostanza.

Non credo che se noi rinviamo una materia non essenziale, e non attinente alla istituzione della Regione possiamo incorrere per questo in inconvenienti gravi come quelli temuti dall’onorevole Micheli.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Le ragioni addotte dal Presidente della Commissione mi paiono così evidenti che non valeva la pena di fare la lunga discussione che abbiamo fatto, resa pesante dall’ora e dalla noia del pomeriggio. L’onorevole Micheli si dà l’aria di tutore e di guardiano della nascente istituzione; ma egli si convinca che non si può attribuire ad un organo che ancora non abbiamo istituito, cioè al Senato, delle funzioni di tutela.

Di più noi non vogliamo nemmeno toglierlo; vogliamo solo che questo argomento sia trattato al momento dovuto: verrà il momento di sollevare questa questione e allora metteremo a posto il Senato. Molte volte, del resto, nel passato, si sono trasferite delle questioni da un articolo ad un altro; mi pare, quindi, che nessuna insidia possa celarsi nel fatto che l’Assemblea, eventualmente, accetti la proposta della Commissione. Questo perciò io mi auguro che avvenga e che si possa andare avanti.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io una volta tanto, su questo argomento, sono quasi completamente d’accordo con l’onorevole Micheli. Non vedo infatti perché si debba rinviare la discussione di tutto l’articolo, quando l’unica questione che non si può oggi risolvere è quella dell’organo legislativo il quale debba deliberare lo scioglimento. A me pare che, se noi ci limitassimo a rinviare le nostre eccezioni su questo corpo che non sappiamo ancora quello che sarà, per deliberare soltanto dopo che sarà stata espletata la discussione sul titolo del Parlamento, tutto il resto potrebbe essere discusso e deliberato ora.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che, se noi perdiamo del tempo su questa questione di procedura – mi duole il dirlo – si debba attribuire la colpa alla Commissione. Se la Commissione infatti avesse rispettato l’ordine scritto precedente dei lavori, non si sarebbe perduto questo tempo. Ma debbo aggiungere che, con queste proposte di sospensione, di rinvio, qualcuno di noi – ed io sono fra questi – si sente in certo modo preoccupato.

Dirò poi all’onorevole Tonello che noi non pensiamo per niente che la Regione sia insidiata da lui; ma non potrei certo dire la stessa cosa nei confronti dell’illustre collega onorevole Ruini. L’onorevole Ruini incomincia, infatti, ad apparirci come una balia colta, ma estremamente pericolosa, di questa nostra bambina che è la Regione. Ieri, davanti alla culla, ci ha fatto danzare…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma io non c’entro! Avevo preparato le discussioni. Fu il Comitato a dire, ed io consentii, che era opportuno il rinvio. Non c’è manovra perturbatrice. Anzi…

LUSSU. Allora, quand’è così, passo le mie critiche al Comitato, perché in realtà, quando il Comitato propone una questione in cui molti di noi non sono d’accordo, certamente esso fa una cosa che vorrei giudicare per lo meno non utile, perché ci fa perdere del tempo.

Chiedo pertanto al Comitato: perché si deve rinviare la discussione sugli articoli 117, 118 e 119?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ho spiegato.

LUSSU. Quelli di noi che hanno preso parte ai lavori della seconda Sottocommissione sanno che queste difficoltà le abbiamo in quella sede sempre superate affrontandole immediatamente e facendo di tutto per non rinviare nulla. Questa è stata la procedura seguita in seno alla seconda Sottocommissione ed io credo che la medesima procedura dovrebbe essere rispettata ora.

Debbo, inoltre, farvi considerare che non è già questa una questione politica, ma è una questione tecnica.

Affrontiamo, dunque, senz’altro la discussione: poi vedremo i singoli punti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma decidiamo, insomma!

LUSSU. Mi permetta, onorevole Ruini, perché si deve rinviare l’articolo 117? Perché si parla del Senato? Ma il Senato è una delle due Camere che figurano nel progetto di Costituzione; e vedremo che molti di noi sono favorevoli, invece, a che entri la prima Camera e non la seconda. Quindi, la seconda Camera può essere abolita del tutto, e, comunque, può essere messo un riferimento a quello che faremo dopo. Ma la questione deve essere affrontata immediatamente, perché noi entreremo nel vivo della questione stessa. (Commenti). Non c’è nessuna ragione di rinviare. L’articolo 118…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma parliamo del 117!

LUSSU. Parlo di questione analoga. L’articolo 118 contempla la competenza della Corte costituzionale. Ora la Corte costituzionale potrà avere anche un aspetto diverso da quello fissato nel progetto; e noi subordineremo le nostre decisioni a quella che sarà la figura definitiva della Corte costituzionale, ma non vi è nessuna ragione al mondo perché si rinvii le discussioni. Lo stesso si dica per il referendum. È chiaro che sono questi problemi che vanno affrontati tutti immediatamente, e che non si deve rinviare nulla.

PRESIDENTE. Faccio osservare che c’è una proposta concreta di tutto il Comitato di coordinamento, unanime. (Commenti – Interruzione del deputato Miccolis).

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Vorrei far presente che siccome l’inceppo è costituito dal Senato, e nell’articolo si parla di proposta del Consiglio dei Ministri su deliberazione conforme della Camera dei senatori…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è più il Consiglio dei Ministri; è il testo vecchio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la prego, anche lei, non interrompa!

PIEMONTE. …si potrebbe, per il momento, parlare genericamente di organi legislativi e procedere nella discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, lei entra nel merito. Non stiamo discutendo l’articolo. Potrà fare la sua proposta quando passeremo all’esame dell’articolo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Siccome si è parlato da parte dell’onorevole Tonello di insidia, io credo di aver diritto di replicare a lui, per assicurarlo che le insidie nella mia mente non esistono.

TONELLO. Chiedo di parlare. (Commenti).

MICHELI. Non aggiungo altro per lei!

Ho chiesto la parola per rispondere solamente al Presidente Ruini contestando quanto egli ha affermato, che cioè nella Costituzione nessun rinvio si è fatto. Onorevole Presidente, veda gli articoli accantonati in fondo al testo del progetto. Veda, inoltre, il titolo secondo «Capo dello Stato» ed il titolo terzo. Noi abbiamo rinviato tutti questi titoli, che per il nuovo regime e per la Costituzione ed il funzionamento del nuovo Stato repubblicano italiano erano importantissimi, per andare difilati alla Regione. Quindi i rinvii ci sono stati. Questo per la esattezza storica delle cose da me affermate e non per altro! Siccome le smentite (io ho parlato in modo piuttosto preciso) dànno fastidio anche a me, io respingo onorevole Ruini, la sua negativa e dico: Si ricordi che la prima parte (per non parlare di altre minori), per la quale si è fatto il rinvio è quella dei titoli, che ho ora citato, per parlare subito della Regione. Del resto faccio osservare che ieri un emendamento dell’onorevole Camposarcuno…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, non entri nell’esame dell’articolo, la prego!

MICHELI. Dico questo per dimostrare la consistenza e la verità della mia proposta. Io sono perfettamente a posto e mi perdoni l’onorevole Ruini se non posso consentire il suo richiamo in questa materia. L’onorevole Camposarcuno tendeva ad incardinare la competenza in materia del Consiglio di Stato a sezioni riunite. Quindi era un’altra forma. Allora non vi poteva essere, come qualcuno suggeriva, una mia invenzione per mandare le cose in lungo. Esisteva effettivamente nel fascicolo a stampa, che ci si presenta ogni giorno, un emendamento che affermava una cosa ben diversa, e quelli di noi che sono nell’incertezza se ammettere o no la Camera dei senatori, si sarebbero adattati ben volentieri a creare una competenza particolare al Consiglio di Stato, che ella presiede così degnamente, onorevole Ruini.

Dopo questo non ho altro da aggiungere (Applausi), lieto di ottenere il vostro applauso una volta tanto.

PRESIDENTE. Vi è dunque una proposta formale del Comitato, unanime, di rinviare la discussione dell’articolo 117 nel testo della Commissione. Le motivazioni sono state esposte dal Presidente della Commissione. I colleghi che hanno fatto obiezioni hanno esposto anch’essi i loro argomenti.

Pongo in votazione la proposta del Comitato, di rinviare cioè la discussione dell’articolo 117 a quando si sarà risolto il problema delle materie in esso toccate, sia pure per incidenza.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Dovremmo ora passare all’articolo 118. Da parte del Comitato unanime vi è però la proposta di rinviare anche l’articolo 118 per i motivi già espressi dall’onorevole Ruini. La proposta del Comitato dice testualmente:

«Rinviare l’articolo in quanto in esso si fa riferimento alla Corte costituzionale».

Onorevole Micheli, lei si era riservato di dire le ragioni per cui si opponeva al rinvio dell’articolo 118.

MICHELI. L’articolo 118 mi pare sia collegato con il 117, perché se si richiede che il Consiglio regionale debba essere rinviato evidentemente valgono anche qui le ragioni che si riferiscono all’articolo 118. Non insisto, per omaggio alla decisione dell’Assemblea nell’oppormi al rinvio di questo secondo articolo, per quanto, per le ragioni esposte, io non possa approvarlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta del Comitato di rinviare la discussione dell’articolo 118.

(È approvata).

Una proposta di rinvio il Comitato fa anche per l’articolo 119. Esso propone, infatti, di rinviarlo all’articolo 124.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio ribadire che qui non è un rinvio come gli altri due. Vi è un nesso fra il 119 e il 124. Vediamoli assieme, subito, o fra breve quando verrà in discussione il 124.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io dico, per non fare una opposizione che potrebbe ad una parte dell’Assemblea sembrare sterile e infeconda, che si potrebbe anticipare la discussione dell’articolo 124 in sede di articolo 119. Ed allora, siccome l’articolo 124 dice: «Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri ed a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica», ciò che effettivamente il Comitato ritiene è che vi sia un collegamento tale da dovere sospendere anche questo. Siccome l’articolo 124 non ha collegamento con altri articoli, chiedo che per economia della discussione si discutano abbinati gli articoli 119 e 124; e credo con questo di venire incontro ai desideri del Comitato facendo conto di quella sua unanimità che una volta tanto ci è stata fatta sapere.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché in realtà si tratta di due articoli che si fondono in uno, tanto vale portare la materia dell’articolo 124 nell’articolo 119.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ha nulla in contrario.

PRESIDENTE. Porrò dunque in votazione la proposta di rinviare l’articolo 119 all’articolo 124.

MICHELI. La mia proposta era dello stesso tenore e deve essere essa messa in votazione.

PRESIDENTE. Quando c’è il rinvio, è questo che deve essere posto in votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei rammentare all’Assemblea ed al Presidente della Commissione che i motivi che suggerivano il rinvio dell’articolo 119 non consistevano unicamente nell’affinità di questo articolo con il 124, bensì anche in un’altra considerazione che io feci presente stamani alla Commissione dei Diciotto, cioè il fatto che nell’articolo 119 c’è un riferimento ai principî stabiliti dalla Costituzione per il referendum nazionale. Ora, è difficile risolvere questa questione prima che si esamini se vi sarà il referendum esteso a tutta la Repubblica; perché è chiaro che se vi sarà il riferimento ad esso in questo punto potrà essere fatto; ma se non vi sarà una procedura qualsiasi deve essere prevista in questa sede.

So bene che vi è una proposta dell’onorevole Perassi per cui il riferimento non si farebbe alla procedura adottata per il referendum nazionale, bensì allo Statuto particolare delle Regioni. Ma su questo non tutti siamo d’accordo. Insomma vi è un dissenso, per cui io penso che la questione dell’esistenza o meno di un referendum nazionale deve essere pregiudizialmente risolta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare all’onorevole Laconi, che egli stesso, questa mattina, in Comitato, ha riconosciuto che per il referendum regionale vi possono essere ragioni in cui tutti sono unanimi anche se vi sono dubbi per il referendum nazionale. Non vi è dunque ragione di aspettare che la Costituzione stabilisca le norme per il referendum sulle leggi dello Stato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Devo chiarire semplicemente che non mi riferivo a un legame fra il referendum regionale ed il referendum nazionale. Già stamani ho dichiarato che le questioni sono differenti, e si può prendere posizione in modo diverso. La questione che preoccupa è di procedura. Quando si parla di referendum, si deve pure o prevedere esplicitamente la procedura in questa sede o fare riferimento a una procedura nazionale prevista in altro luogo, o riferirsi allo Statuto. Sono tre tipi di proposte, ma perché si risolva la questione pregiudiziale di scegliere fra queste tre diverse proposte per la procedura, è evidente che dobbiamo conoscere i termini della questione; cioè conoscere se esiste o non esiste una procedura nazionale, se esiste o non esiste uno Statuto al quale fare riferimento. È una questione che non può essere risolta prima che siano risolte le due questioni pregiudiziali e che vi sia o non vi sia un referendum nazionale e che vi siano o meno gli statuti regionali. Per questo insisto non contro la proposta dell’onorevole Ruini, con la quale concordo, ma contro la proposta dell’onorevole Uberti e prego che si ritorni eventualmente a quella proposta che fu accettata stamane dal Comitato dei Diciotto. Votazione di principio per il referendum regionale, salvo l’approvazione dell’articolo nei suoi dettagli e nel suo contenuto procedurale.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Sono perfettamente d’accordo con la proposta fatta dall’onorevole Uberti che coincide colla mia dichiarazione. Ma desidero rappresentare all’Assemblea quello che è il mio pensiero. Si è parlato tanto di preoccupazioni; ne ha espresse il nostro Presidente della Commissione e ne ha espressa qualcuna anche il Presidente della nostra Assemblea; potrò averne ed esporne, se egli me lo permette, qualcuna anche io. La mia preoccupazione è questa: che noi dobbiamo arrivare a discutere con calma e serenità le questioni più importanti che sono inserite nella Costituzione e fra esse quella del referendum. La questione del referendum c’è; lo abbiamo visto discutere in tante occasioni, nei comizi elettorali, nei giornali; se ne è parlato spesso per tante ragioni; qui nell’articolo 119 è accennato di volo, ma non lo possiamo sorpassare. Ecco perché io temo che quando noi arriviamo all’articolo 124 con quei criteri, che ha già così opportunamente spiegati l’onorevole Laconi ed ai quali io in gran parte aderisco, quando si dice che lo statuto di ogni Regione è stabilito in armonia con le norme costituzionali precisamente e semplicemente e quando vedo che nell’articolo 124 di referendum non si parla…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è…

MICHELI. Io ho il testo dell’onorevole Ambrosini…

PRESIDENTE. Quello è superato.

MICHELI. Me ne rincresce che si sia fatto senza opportuno richiamo. Ed allora, se così è, l’articolo 124 del nuovo testo, che sostituisce quello dell’onorevole Ambrosini, mi spinge a fare un’altra dichiarazione che io mi sarei astenuto dal fare per non inciprignire la discussione, ma che adesso devo fare di fronte alla presentazione del nuovo testo, ed è questa.

Sono parecchi mesi che noi discutiamo della Regione; abbiamo un testo sopra il quale abbiamo concretato tutti i nostri studi ed abbiamo informato le nostre discussioni. All’ultima ora, ci si presenta qui un gruppo (non dirò un blocco se la parola non piace) di articoli i quali vengono a cambiare in modo notevole e importantissimo tutto quello che è lo spirito informatore dello statuto che abbiamo in mano da quattro mesi. Io sento con molto piacere che il Comitato è unanime, non so però, se il Comitato avesse convocato la Commissione dei Settantacinque, se ci sarebbe stata la stessa unanimità. La Commissione dei Settantacinque è stata messa da tempo nel dimenticatoio. Io, per esempio, che ne faccio parte da qualche tempo, non sono stato convocato mai, mentre invece se avessi partecipato a questa sostituzione d’infante, avrei avuto l’occasione di esporre questi miei convincimenti allora e non li avrei portati qui col rammarico di far perdere (secondo alcuni, o di far guadagnare secondo il mio convincimento) del tempo all’Assemblea. Certo è che noi ci troviamo di fronte a 4-5 articoli nuovi, i quali congegnano diversamente da quello che era proposto, l’organizzazione regionale. Le Provincie sono state considerate in altro modo; l’articolo 123 elimina tacitamente le Regioni minori sorte ora con tante speranze e stabilisce una categoria di Regioni le quali non so che basi abbiano, se storica o tradizionale, perché il Comitato non si spiega: dobbiamo capire ed intuire noi. L’articolo 124 è quello appunto che parla incidentalmente del referendum. Ed allora io domando, illustrissimo signor Presidente, se sia consentito che noi siamo chiamati a discutere improvvisamente queste proposte cambiate all’ultima ora in questo modo, delle quali noi abbiamo avuto conoscenza in particolari confidenze di corridoio, alterne alle volte e contrastanti; e che vengono a cambiare in modo notevolissimo l’impostazione della discussione.

Ecco perché, o signori, io credo che di fronte a questo, sia opportuno, per lo meno, che se il Comitato ha diritto di fronte ad un emendamento che un deputato propone di chiedere 24 ore per poterlo esaminare e discutere, abbiamo il diritto anche noi di chiederne altrettante per potere esaminare tutta questa complessa materia variata nel modo che ho chiaramente spiegato.,

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Targetti. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che non ci possono essere dubbi sulla necessità di discutere insieme il disposto del 119 e quello del 124. Basta ricordare che nell’uno si parla dell’esercizio dell’iniziativa individuale e del diritto di referendum secondo gli statuti regionali, mentre di statuti regionali non si è ancora parlato. È l’articolo 124 che li prevede. Questi legami tra il 119 e il 124 sono evidenti e indissolubili.

Si può anticipare, come mi sembra abbia proposto l’onorevole Uberti, la discussione del 124? Mi sembra che a questa proposta osti una ragione procedurale insuperabile. Se si anticipa la discussione di un articolo, si viene ad impedire l’esercizio del diritto di presentare emendamenti all’articolo stesso. Oggi che si discutono articoli precedenti l’articolo 124, chi si proponga di presentare emendamenti a quest’articolo, non ha l’obbligo di essere presente. Ma gli si toglierebbe questo diritto se si discutesse l’articolo immediatamente. Si può, insomma, posporre la discussione di un articolo, ma non anticiparla.

In quanto alla proposta dell’onorevole Laconi, di limitarci in questo momento della nostra discussione ad una affermazione del principio sia dell’esercizio dell’iniziativa individuale sia dell’esercizio del diritto di referendum, neppure questa mi sembra accettabile. Non siamo in tema di discussione generale; non siamo quindi in una sede, in cui si possa affermare un principio o l’altro, in un ordine del giorno. Noi stiamo approvando articoli di legge, stiamo facendo la Costituzione.

Quindi, non vi è possibilità di andare incontro alla proposta dell’onorevole Laconi.

Bisogna rassegnarsi a rimandare la discussione dell’articolo 119 al momento in cui discuteremo l’articolo 124.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Micheli devo dire che i Settantacinque non sono stati convocati per questa semplicissima ragione: quando cominciò la discussione del progetto di Costituzione presentato all’Assemblea, i Settantacinque proposero, essi stessi, e l’Assemblea confermò, con particolare deliberazione, che, per agevolare il ritmo dei lavori, il Comitato dei Diciotto avrebbe funzionato in luogo dei Settantacinque, pronunziandosi sugli emendamenti.

Tutte le mattine io convoco i Diciotto; alle volte ne intervengono pochi. Se fossero Settantacinque, come potrebbe funzionare il Comitato?

Non facciamo, quindi, questioni che non esistono.

L’onorevole Micheli ha parlato di metodo strano del Comitato, il quale propone all’ultim’ora degli emendamenti.

Intendiamoci bene! È l’Assemblea: essa propone continuamente emendamenti; di questi emendamenti, secondo l’onorevole Micheli, il Comitato non dovrebbe tener conto.

MICHELI. Non è vero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per non decidere su due piedi e per dar modo all’Assemblea di riflettere, il Comitato, esaminati gli emendamenti, ed in occasione delle riflessioni che sollevano, formula esso stesso emendamenti alle sue prime proposte. Se non lo facesse, non terrebbe conto del lavoro dell’Assemblea. Le nuove formule vengono subito comunicate all’Assemblea per evitare discussioni tumultuose ed eventualmente sospensive per riesami.

Nel tema che oggi consideriamo, si sono presentati due emendamenti: uno dell’onorevole Perassi e l’altro dell’onorevole Mortati.

Il Comitato, nel desiderio di raggiungere un largo consenso e di perfezionare sempre le sue proposte, ha accolto sostanzialmente questi due emendamenti. A pagina 11 del fascicoletto di emendamenti che avete sott’occhio c’è l’emendamento Perassi, che è stato in gran parte accettato dal Comitato. Stamattina l’onorevole Mortati ha proposto un emendamento che non è stato ancora pubblicato, ma ne abbiamo tenuto conto. Facciamo tutti gli sforzi per rendere rapida e coordinata una discussione che diventerebbe caotica coi metodi dell’onorevole Micheli.

Lasciando stare i duelli sulla procedura, potremmo discutere subito gli articoli che riguardano le Province ed i Comuni: ne abbiamo parlato per due mesi e c’è una serie di emendamenti che potremo discutere in tutta tranquillità. Vi è poi il pensiero della Commissione che, come resumé, tenendo conto degli emendamenti stessi, ha formulato un suo nuovo testo. Dedichiamo a tale materia la giornata di oggi; quando saremo all’articolo 124, riprenderemo la questione degli statuti e del referendum.

PRESIDENTE. Abbiamo dunque una proposta conciliativa dell’onorevole Ruini. Come l’Assemblea ha udito, da tre diverse parti è stata sostenuta la tesi del rinvio: l’onorevole Micheli, perché non ha avuto tempo di prendere visione del nuovo testo, ritiene che è un diritto riconosciuto di poterlo esaminare; l’onorevole Targetti, per motivi di procedura; c’è poi la proposta del Comitato. L’onorevole Laconi, per parte sua ha fatto una proposta transattiva.

Io ritengo, d’accordo con l’onorevole Targetti, che non sia questa la sede per votare un principio. Siamo davanti a degli articoli e dobbiamo decidere in merito a questi articoli.

C’è poi la proposta dell’onorevole Uberti, che si differenzia da una proposta di rinvio più o meno lunga. Egli propone di affrontare subito, senz’altro, l’esame dell’articolo 124, nel quale è assorbito l’esame dell’articolo 119, ma poiché ci troviamo di fronte a una proposta formale di rinvio da parte della Commissione, e questa proposta non ammette emendamenti, la pongo in votazione. Con ciò mi pare che anche l’onorevole Micheli veda sodisfatto il suo desiderio di aver tempo per esaminare il nuovo testo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, volevo mettere in votazione questa proposta di rinvio, se lei permette.

MICHELI. Io non debbo permetterle nulla, onorevole Presidente. Poiché posso aver usata qualche parola più ardita e conclusiva di quella che il Presidente della Commissione mi ha attribuita, debbo dire che non volevo nemmeno lontanamente assumere la sua funzione (Si ride) in alcun modo. Volevo avvertire solo questo: la situazione per me è questa: ci sono proposte di rinvio per tre articoli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma per due articoli è stato già deciso!

MICHELI. Ad ogni modo c’erano proposte per tre articoli. Per i primi due è stato votato. Per il terzo articolo, c’è la proposta dell’onorevole Uberti, di riunire la discussione nell’articolo 124. Ma, la mia decisione è indipendente da questi tre articoli, perché si riferisce agli articoli 120, 121, 123 e 124. Quindi, mi riservo di svolgere la mia proposta a questo riguardo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la proposta di rinvio della discussione dell’articolo 119 a quando si discuterà l’articolo 124.

(È approvata).

Si dovrà ora passare all’esame degli articoli 120 e 121 secondo il nuovo testo proposto dalla Commissione.

Ricordo all’Assemblea che il testo dell’articolo 120 del progetto era del seguente tenore:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento.

«Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate da Corpi elettivi nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica».

Vi era poi il successivo articolo 121, così formulato:

«Il Comune è autonomo nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali della Repubblica.

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, possono essere creati nuovi Comuni o modificate le circoscrizioni esistenti».

Il Comitato di redazione presenta ora il seguente nuovo testo in cui i due articoli sono unificati:

«Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano i compiti e le funzioni.

«Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«La istituzione di nuove Province è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io ho da ripetermi un po’ perché effettivamente non è una cosa nuova quella che si presenta. L’onorevole Presidente della Commissione ha detto: Noi del Comitato facciamo quello che possiamo; esaminiamo gli emendamenti, veniamo incontro ai colleghi in quanto è possibile e cerchiamo di coordinare il pensiero nostro con quello degli altri presentando un nuovo testo. Questa è una innovazione geniale senza dubbio, perché viene da una mente che veramente ha qualcosa di più della genialità, ma effettivamente non è il sistema al quale noi vecchi parlamentari siamo abituati. Noi abbiamo un testo sul quale discutiamo, sul quale ci prepariamo, e sul quale presentiamo i nostri emendamenti. Ecco perché do perfettamente ragione all’onorevole Targetti, quando dice che noi non possiamo mettere un articolo al posto di un altro perché verremmo a toglierci il diritto di presentare emendamenti, in quanto che l’unione di due articoli, uno antecedente e l’altro posteriore, sminuisce quasi questo diritto. Tutti gli emendamenti presentati su questi articoli verrebbero a decadere. Non ho difficoltà quindi ad aderire a questo concetto, che è di larga affermazione della libertà parlamentare. E questo è quello che ci capita oggi, in quanto che il Comitato avrà fatto benissimo a fare quello che ha fatto, avrà fatto anche opera meritoria, ma un poco di merito dovremo averlo anche noi. E per giungere a questo, aderisco a quanto ha detto l’onorevole Targetti, che se non è il rovescio della medaglia, poco manca, cioè che si diminuisce la nostra facoltà di presentare emendamenti, eliminando di un colpo tutti quelli che sono già stati presentati

Ora, se c’è un punto nel quale è stato sminuito e modificato il progetto predisposto dalla Commissione dei Settantacinque, cioè il progetto Ambrosini, è proprio quello della Provincia.

La Provincia, nel progetto Ambrosini, restava come l’organo di decentramento. Oggi è rimasta quella che è, e non si sa bene ancora quali altre facoltà e competenze ad essa si intende e si voglia aggiungere. Quindi è un ente a linee nuove da definire. Il Comitato si è dato conto di questo, e nelle sue adunanze (limitate a cinque o sei persone, che si alternano secondo gli impegni; i Settantacinque non si convocano per le ragioni addotte dal Presidente della Commissione – e per questo egli è autorizzato a ritenere che se i Diciotto non arrivano, i Settantacinque si troverebbero ancora meno nel numero necessario –) ha predisposto questo nuovo articolo, che parla delle Province e dei Comuni come enti autonomi. Ora, questo articolo è il primo di quelli che riformano tutto quello che noi abbiamo avuto dinanzi, per quattro, cinque mesi, per la discussione. Non dico di essere contrario alla nuova impostazione. Solamente bisognerà vedere cosa si debba fare.

Io voglio pregare i colleghi del Comitato di non aversene a male, ma noi siamo molto meno pratici, avveduti e sapienti in queste amministrative vicissitudini, da poter correntemente approvare da un momento all’altro il completo mutamento della impostazione in un problema così difficile e grave come quello che riguarda la funzione della Provincia nella nuova organizzazione regionale dello Stato unitario.

Quando il Presidente dice che di questo io debbo ancora prendere visione, si sbaglia, perché la visione si prende subito, in un batter d’occhio, ed io ho la vista ancora buona, signor Presidente; ma qui si tratta non di vedere, ma di osservare, di esaminare e di studiare in profondità, perché ogni parola ha la sua importanza, e può avere un notevole riferimento per il domani.

Questo è servito nell’Assemblea a correnti divergenti al riguardo come un compromesso fra il pensiero dei regionalisti più accesi, e quello di coloro che non possono e non vogliono dimenticare lo statalismo antico.

FUSCHINI. Sono piccole fiammelle.

MICHELI. Poco illuminano esse, e necessita che in questa gara di compromesso, ciascuno veda cogli occhi suoi, ma ciascuno di noi sa come quattro occhi vedano ancora meglio di due. Ecco perché io domando che sopra la questione tuttora controversa, almeno nella pratica applicazione, si debba riflettere bene. Non credo di avere detto nulla di men che opportuno sopra questo articolo 123 per cui tanto reo tempo di volse.

Noi siamo stati mandati dalle nostre popolazioni per introdurre questi liberi sensi di nuova vita e questa necessità di rivolgimento nella organizzazione dello Stato, e dopo tante discussioni ci crediamo di essere giunti in fondo quando ci troviamo di fronte ad un articolo che con bel garbo rimanda tutto a quel paese! Onorevoli colleghi, noi abbiamo il diritto di parlare alto e forte e dire: discutiamo. L’Assemblea potrà respingere, se crederà. Io ho detto quello che in coscienza dovevo dire. L’Assemblea voterà come crede.

Questo concetto del referendum è troppo importante per essere sfiorato appena. Se noi crediamo di ammetterlo o di non ammetterlo, ed in caso affermativo si dovrà stabilire come congegnarlo, ciò deve avvenire dopo esauriente discussione e non con una semplice presentazione e relativo rinvio di tre articoli presentati qui all’ultimo momento con una forma alla quale io mi ribello.

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Micheli chiede forse una sospensiva?

Se noi non avessimo avuto lo scrupolo di presentare questo foglietto di carta che esprime il nostro pensiero sugli emendamenti presentati, e che cerca di incanalare la discussione, l’onorevole Micheli non avrebbe detto niente. Io domando perdono di essere andato incontro, per deferenza all’Assemblea, e di aver disposto che questo foglio fosse pubblicato e distribuito. Qualcuno mi ha detto: tu non dovevi pubblicarlo, bastava che tu esprimessi il pensiero della Commissione a voce, dopo di che si poteva discutere e votare. Ma nessuno vieta di discutere ancora finché si vuole, sebbene sia un tema già discusso e forse ridiscusso. Ripeto, esaminiamo subito, senza fare ostruzionismi, il 120 e il 121.

MICHELI. Facciamo il 120 e il 121, io non mi oppongo: ma temo che questo possa spostare le basi della discussione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Micheli se concretamente egli fa la proposta, come emendamento, di riprendere il vecchio testo della Commissione, perché desidero precisare che io stesso replicate volte ho pregato l’onorevole Ruini di procedere in questo lavoro di considerazione, valutazione e riordinamento degli emendamenti, affinché non avvenisse ciò che nei primi tempi del nostro lavoro avveniva, che cioè al momento in cui si doveva affrontare un testo conclusivo, ci si convinceva di non poterlo redigere.

D’altra parte, questo è il lavoro che abbiamo deferito, che l’Assemblea ha deferito, al Comitato di coordinamento.

Come già altre volte è avvenuto prima della seduta di oggi, i membri dell’Assemblea hanno pieno diritto di riprendere in proprio nome il vecchio testo presentato dalla Commissione e proporlo come emendamento.

Quanto alla questione di principio, mi permetto ricordare che l’Assemblea ha votato l’articolo 107, nel quale la conservazione della Provincia nella forma attuale è stata formalmente stabilita. L’articolo 107, approvato dall’Assemblea, dice: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni». Votando questa formulazione, è evidente che l’Assemblea ha annullato quel particolare allineamento della Provincia che, invece, la Commissione dei Settantacinque aveva accettato nella sua formulazione iniziale.

Il problema è quindi risolto in via di principio, e oggi si tratta di passare alle forme pratiche di attuazione.

Quindi, le preoccupazioni dell’onorevole Micheli non rispondono più ad una situazione di fatto, sicché, se l’Assemblea lo ritiene, si può passare alla discussione degli articoli 120 e 121.

MICHELI. Può darsi, e senza dubbio è, che l’Assemblea ha ritenuto nell’articolo cui ella ha accennato, di votare la conservazione della Provincia. E siccome in quella occasione ho espresso, sia pur brevemente, il mio pensiero non so se a questa votazione si possa dare l’estensione a cui arriva il nostro Presidente, perché effettivamente la Provincia era considerata anche nell’antico testo, ma come ente di decentramento; ora non siamo ancora entrati a discutere come possa essere effettivamente congegnata la Provincia, in base a tale deliberazione.

PRESIDENTE. Se lei riprende il verbale, sommario o stenografico, della seduta, potrà constatare che la Provincia è stata in quel momento voluta e decisa dall’Assemblea, non come organo di decentramento amministrativo, ma come un ente autonomo, autarchico.

MICHELI. Autonomo sì, ma non autarchico.

TONELLO. Autonomo è più che autarchico.

MICHELI. Ma è tutto diverso il significato.

FUSCHINI. Ma questa è una discussione sul merito!

MICHELI. Non facciamo né aggiunte né diminuzioni; quello che è, è. Ci sono i verbali.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, lei sta facendo una discussione sul merito: restiamo al problema di procedura. È una questione di procedura e non di merito.

MICHELI. È una questione di procedura; ma effettivamente, per forza di cose, nella procedura c’è nascosto un pochettino di merito.

PRESIDENTE. Ma non bisogna che prevalga il merito sulla procedura.

MICHELI. Ma se affiora di per sé il merito!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma lei, onorevole Micheli, ha già accettato il criterio di accedere alla discussione degli articoli 120 e 121.

MICHELI. Sul testo antico della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non esiste più il vecchio testo.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, può presentare, come emendamento, il vecchio testo della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se l’onorevole Micheli presenta, quale suo emendamento, il vecchio testo della Commissione degli articoli 120 e 121, lo prego di tener conto di quanto dell’articolo 120 è stato trasferito nell’articolo 112.

L’articolo 120 diceva che «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento».

Questo disposto lo abbiamo già contemplato nell’articolo 112 dove, parlando della Provincia, su proposta dell’onorevole Mortati, l’Assemblea ha votato che normalmente la Regione esercita le sue funzioni attraverso la Provincia.

Quanto al secondo comma, esso diceva: «Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite giunte nominate dai corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica». Ma, evidentemente, anche questo è caduto, quando abbiamo stabilito di conservare le Province come enti autonomi.

L’articolo 120 quindi non è più da discutersi e sei lei, onorevole Micheli, vuol tornare al vecchio testo, la sua proposta equivale a rimettere in questione ciò che è stato già deciso.

LUSSU. Ma questo problema non è stato mai affrontato; qui si tratta di circoscrizioni provinciali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se è passato integralmente! Evidentemente l’aver stabilito che rimane la Provincia costituisce un insieme di problemi che gli articoli 119 e 121 nella nuova formulazione considerano. Il problema è qui. Io non saprei dunque come si possa ripescare una disposizione che già è stata inclusa in altri articoli. Se lei vuole, onorevole Micheli, la faccia pure sua, ma io mi alzerò e dirò che si tratta di materia già acquisita alla Costituzione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Chiedo scusa, ma non intendevo già di prendere la parola sulla discussione generale, perché ritenevo che i colleghi i quali non hanno fatto parte della Sottocommissione avessero essi il diritto di parlare e noi di tacere. Ma se ora mi trovo sorpreso da fatti improvvisi e strani, è evidente che sento in coscienza il dovere di intervenire. Come mai dunque viene soppressa la discussione intorno ad una questione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, onorevole Lussu, la discuteremo in sede di articolo 120 e di articolo 121.

LUSSU. Mi dispiace, ma la questione non è stata affrontata ed io credo che noi abbiamo il diritto di parlarne. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mi permetta. Mi pare, a sentirla, come a sentire anche altri colleghi, che qualcuno voglia intendere che gli articoli 120 e 121 siano già senz’altro acquisiti senza discussione. Tutte le cose, infatti, che lei dice e che prima diceva l’onorevole Micheli costituiscono i motivi o gli argomenti o le tesi che saranno sostenute in quella sede.

LUSSU. Il mio intervento è originato, onorevole Presidente, da quanto ha detto l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no.

PRESIDENTE. Desidererei chiarire la questione. Abbiamo un resoconto sommario n. 164, che potrà essere controllato e confrontato sulla base del resoconto stenografico. Comunque, per intanto, dal resoconto sommario della seduta del 27 giugno 1947 risulta che tutti gli argomenti che in questo momento preoccupano gli onorevoli colleghi, tutte le dichiarazioni e le proposte che si vogliono fare per gli articoli 120 e 121 sono già state fatte presenti.

L’onorevole Micheli, in quella seduta, ha parlato, in sede di dichiarazione di voto, contro la formulazione che includeva la Provincia fra le suddivisioni dello Stato, proprio con gli argomenti che in questo momento ha brevemente accennato. E l’onorevole Lussu, a sua volta, ha proprio trattato di questa questione, ampiamente, in quella sede. Ciò nonostante l’Assemblea, anche dopo una dichiarazione di voto dell’onorevole Piccioni, ha votato quella formula che ho detto poco fa, con quel preciso significato.

Quindi, non è vero che noi ci troviamo di fronte ad una questione nuova: noi abbiamo una decisione presa. Secondo le norme generali, una decisione presa è acquisita; ed è naturale che il Comitato di coordinamento valuti oggi gli emendamenti e li svolga in relazione a quanto già acquisito da quella decisione avvenuta. E pertanto, dato che l’Assemblea ha deciso che le Province restino, e restino con quella particolare caratteristica, oggi noi possiamo passare all’esame degli articoli 120 e 121 nel nuovo testo proposto dalla Commissione. Direi anzi che, se come emendamento – e lo diceva già l’onorevole Ruini – si volesse proporre la vecchia formulazione che escludeva questo carattere della Provincia, e che la rappresentava appunto semplicemente come una base di decentramento della Regione, noi non potremmo prendere in esame questo emendamento che andrebbe contro una decisione che è già stata presa. E, come si sa, il Regolamento esclude che sotto forma di emendamenti ad articoli successivi si possa inficiare una decisione già formalmente votata dall’Assemblea.

Mi pare, onorevoli colleghi, che possiamo comunque decidere – se c’è una proposta formale di rinvio – se il rinvio debba farsi; oppure se dobbiamo esaminare il testo degli articoli.

Se nessuno presenta una proposta formale di rinvio, si passerà senz’altro all’esame del testo degli articoli 120 e 121.

CODIGNOLA. C’è una proposta di rinvio. Si stanno raccogliendo le firme.

PRESIDENTE. La proposta può farla lei personalmente; non ha bisogno di firme.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma che cosa significa il rinvio?

PRESIDENTE Avverto l’Assemblea che gli onorevoli Camposarcuno, Codignola ed altri hanno fatto pervenire alla Presidenza una richiesta di rinvio della discussione sugli articoli 120 e 121, nonché sul relativo testo unificato proposto dal Comitato di redazione. La richiesta si basa sull’articolo 90, quinto comma, del Regolamento, che prevede il rinvio esclusivamente di ventiquattr’ore.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io chiederei che i colleghi i quali hanno proposto il rinvio di ventiquattr’ore dicessero le ragioni di questa loro proposta.

FUSCHINI. Si dovrà studiare il nuovo testo…

TARGETTI. Non si tratta di un testo presentato all’ultima ora. La dizione di oggi è un po’ diversa da quella che già figurava negli stampati antecedenti, ma l’argomento è ben conosciuto.

PRESIDENTE. L’onorevole Camposarcuno, primo firmatario della richiesta di rinvio, ha facoltà di parlare.

CAMPOSARCUNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo pomeriggio, venendo alla Camera, abbiamo visto un po’ sconvolto tutto quello che era stato in precedenza scritto ed anche un po’ discusso intorno alla Regione. Anzi, noi che avevamo studiato gli articoli proposti dalla Commissione, articoli non improvvisati, articoli sui quali noi avevamo portato il nostro esame, sui quali noi avevamo presentato i nostri emendamenti, abbiamo veduto questi articoli all’improvviso, senza alcun motivo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come senza alcun motivo!

CAMPOSARCUNO. …presentati completamente modificati alla discussione. Noi ci preoccupiamo soprattutto di questi articoli 120 e 121 e poi di quel famoso articolo 123.

FUSCHINI. Di quello facciamo un’altra questione.

CAMPOSARCUNO. Non si può negare che questo nuovo testo dei due articoli 120 e 121 formula proposte concrete nuove, sulle quali penso che i deputati abbiano il diritto ed il dovere di portare l’esame e di proporre eventuali emendamenti.

FUSCHINI. Ci sono già.

CAMPOSARCUNO. Ma ci sono sul vecchio testo, tanto è vero che quando ci siamo trovati dinanzi ai nuovi articoli proposti dal Comitato di coordinamento, ci si è detto che chi non aveva presentato emendamenti su questo nuovo testo, non aveva il diritto di discutere gli emendamenti presentati sulla base dei vecchi articoli.

Ora io mi domando, e domando soprattutto a quelli che non sono nuovi della vita parlamentare: l’articolo 90 del Regolamento della Camera dice: «Gli articoli aggiuntivi e gli emendamenti devono di regola essere presentati per iscritto al Presidente della Camera almeno ventiquattr’ore prima della discussione degli articoli a cui si riferiscono».

Questo articolo che si dovrebbe discutere, cioè il nuovo testo degli articoli 120 e 121, è stato presentato nel pomeriggio di oggi 17 luglio. Penso che noi abbiamo il diritto di poterlo esaminare e di essere quindi messi nei termini per presentare eventuali emendamenti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Attenda un momento, la prego, onorevole Targetti.

Onorevole Camposarcuno, tanto perché si chiariscano bene le ragioni di queste varie prese di posizione, che hanno carattere procedurale ma che tuttavia è interessante fissare, faccio osservare che ella ha presentato un emendamento al nuovo testo il che significa che non le è mancato completamente il tempo di esaminare questo nuovo testo!

In secondo luogo desidero osservare che la prima parte, che è quella che dà luogo a tutte le preoccupazioni, del nuovo testo dell’articolo 120 e 121 è ripresa dal testo precedente che era stato presentato 1’8 luglio; e che pertanto un semplice confronto del testo dell’8 luglio con questo di oggi sarebbe sufficiente a dimostrare che non ci sono proposte nuove a questo proposito. C’è qualche modificazione di parole, e non di concetti.

TARGETTI. Rinuncio a parlare, perché volevo dire quello che ha detto ora il signor Presidente.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. È vero che ho presentato un emendamento al nuovo testo dell’articolo 123; ma era tale da potersi scrivere in un minuto. Il contenuto di quell’emendamento è l’espressione della passione ardente e indomita dei miei molisani, di tutti i molisani e non solo di quelli che mi hanno eletto alla Costituente. Sostituire alle parole «Abruzzi e Molise» la parola «Molise» non richiedeva né studio, né attenzione, né termini di sorta. (Interruzioni).

Quando io leggo il testo dell’articolo 123 del progetto di Costituzione che considera il Molise come Regione a sé stante, così come era stato proposto dalla seconda Sottocommissione e quando leggo alla pagina 131 del progetto stesso una nota che dice: «Su questo testo, proposto dalla seconda Sottocommissione, la Commissione, in seduta plenaria, ha sospeso ogni decisione, in attesa che siano raccolti gli elementi di giudizio mediante la inchiesta in corso presso gli organi locali delle Regioni di nuova istituzione»; e mi risulta che su questo argomento non c’è stata nessuna discussione, che la Commissione dei Settantacinque non è stata convocata e, di conseguenza, non s’è trattato affatto, sino ad oggi, un problema di sì grande importanza, mi domando se è cosa che può far piacere vedere in un pomeriggio, all’improvviso, mutate o soppresse le Regioni, non sappiamo ad opera di chi, come se si trattasse di cose di nessun rilievo. (Interruzioni).

Io sono stato sempre parco di parole in questa Assemblea; ho avuto premura di parlare soltanto nel momento opportuno ed in caso di necessità. Ma quando appaiono problemi che toccano vivamente, in modo così decisivo ed irrimediabile le popolazioni rappresentate, alzo fieramente la mia voce in difesa del mio Molise. Questo è un mio diritto e soprattutto un mio dovere. Quell’emendamento che mi ha ricordato il Presidente si poteva scrivere in un minuto, come ho detto. Io ho presentato sul problema regionale tanti emendamenti e sono riuscito a discuterne solo alcuni, perché quando sono venuto all’Assemblea ho trovato sovente un nuovo testo proposto dalla Commissione; e mi si è detto sempre che i miei emendamenti non si potevano discutere perché gli articoli erano stati mutati. Questa è stata la sorte non lieta di tutti noi, onorevoli colleghi.

Ora, quando vedo il nuovo testo degli articoli 120 e 121 e 123, io dico che ho il diritto ed il dovere di esaminarlo e con tutto il tempo che mi consente il Regolamento della Camera. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace dover ritornare su questo argomento; ma è stato detto qui, dall’onorevole Camposarcuno che ci siamo divertiti a fare e a disfare. Facciamo presente questo: noi abbiamo presentato dei testi; è venuta una selva di emendamenti. Se avessimo dichiarato che non tenevamo conto di nessun emendamento e lasciavamo cadere tutto, che cosa avrebbe detto l’Assemblea? Noi abbiamo seguito doverosa norma di riguardo verso l’Assemblea. Quindi non è affatto permesso che lei, onorevole Camposarcuno, possa accusarci di aver fatto così a capriccio dei continui cambiamenti. I cambiamenti sono stati fatti tenendo conto degli emendamenti dell’Assemblea.

Veniamo alla questione che l’onorevole Camposarcuno ha toccato più direttamente. Egli ha parlato dell’articolo 123. Il Comitato dei Settantacinque aveva deciso di fare una inchiesta e di riprendere poi la questione. Essendo stato stabilito dal Comitato dei Settantacinque che i suoi poteri erano trasferiti ai Diciotto, i Diciotto erano perfettamente in diritto e in dovere di esaminare essi queste questioni da decidere.

Stamattina c’è stata una discussione in seno ai Diciotto. Di questi, alcuni erano favorevoli al mantenimento del testo dell’antico progetto, altri volevano rinviare. È noto, onorevole Camposarcuno, che ci sono otto emendamenti che volevano rinviare ad una futura legge ogni decisione quali saranno le Regioni. (Interruzione del deputato Camposarcuno). Questa tesi non è prevalsa. C’erano altri emendamenti, quattro o cinque, che chiedevano di stabilire che per ora le Regioni dovevano essere quelle tradizionali e che dopo si sarebbe proceduto alla modifica. Questa tesi è venuta in votazione ed ha prevalso, contro il mio voto.

Ora io dico: cosa volete di più democratico e di più corretto? I Diciotto si sono pronunciati in questo senso. Voi, come Assemblea, potete benissimo distruggere questa deliberazione. Ma c’è bisogno di nuovi elementi? Che cosa è questo dire: vogliamo rinviare? Il Comitato ha esercitato il suo diritto e il suo dovere: l’Assemblea decida.

Aggiungo di più, onorevole Camposarcuno: qui non c’è questione di parte, perché la tesi che è prevalsa l’hanno votata tutti quelli che erano della sua parte. Quindi è inutile voler vedere delle manovre. L’hanno votata proprio quelli che sono stati favorevoli alla Regione. Quando verremo all’articolo 123, esporrò le ragioni che sono state dette in Comitato.

Voi conoscete la questione nel modo più perfetto; discuterete e delibererete.

Veniamo alla proposta di rinvio degli onorevoli Camposarcuno e Codignola.

È un diritto che quando un dato numero di deputati propone il rinvio dell’emendamento, si accolga la richiesta. Ma io chiedo all’onorevole Codignola: è proprio necessario? Anche queste, non sono questioni che abbiamo esaminato da tempo? Cosa c’è di nuovo? Nell’articolo presentato otto giorni fa, dicevamo: «Le Province e i Comuni sono autonomi nell’ambito dei principî fissati, ecc.». E questo è conservato. Nell’articolo presentato stamani, tenendo conto degli emendamenti presentati si è aggiunto qualche cosa. Come voi potevate accettare o respingere l’emendamento, accetterete o respingerete questa decisione della Commissione. Quindi, pregherei i proponenti di rinunziare alla loro domanda di rinvio. Discuteremo sul merito e l’Assemblea deciderà se accettare o meno l’articolo.

Che cosa c’è da meditare ancora su questioni che ormai sono state sviscerate mille volte?

Se si mantiene la proposta di rinvio, evidentemente, in base al Regolamento, dovremo rinviare e allora discuteremo questa sera stessa se si debba rimandare il 122 ed affrontare il 123. Invece io credo sia opportuno esaminare la questione dell’autonomia provinciale e regionale. Deciderete come volete. Ma che cosa vogliamo ancora rinviare dopo che se ne è parlato tanto tempo?

Iniziamo la discussione!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiamo una domanda dell’onorevole Camposarcuno, ed altri per rinviare l’esame dell’articolo 120 e seguenti; il che vuol dire di tutti gli articoli proposti dalla Commissione.

Pertanto mi sento in dovere di esaminare con una certa attenzione questa richiesta anche se dovessi giungere ad una conclusione che non corrisponde alla prima affermazione che ho fatto. Esaminando la richiesta, mi sono posto questa domanda: in realtà il nuovo testo della Commissione rappresenta un articolo aggiuntivo? Ed ho risposto: No, non è un articolo aggiuntivo. Rappresenta un emendamento? No, non è un emendamento. È un nuovo testo, il che è una cosa completamente diversa. Ora, l’articolo 90 del Regolamento, al suo quinto comma, parla specificatamente di articoli aggiuntivi e di emendamenti e pertanto io non dico che non debba essere tenuto conto di questa domanda di rinvio, ma che essa debba essere considerata come una domanda sulla quale l’Assemblea decide e non come una domanda che automaticamente porta ad una conseguenza. Mi pare che questa mia interpretazione non pecchi, o non pecchi eccessivamente, quanto meno; e perciò, onorevoli colleghi, considero questa nuova domanda di rinvio eguale alla domanda di rinvio sulla quale l’Assemblea ha votato poco fa.

MICHELI. Onorevole Presidente, l’accetta come domanda di rinvio? Perché diversamente si dovrebbe fare la questione se il nuovo testo non entri, per analogia, fra quelli che sono contemplati dall’articolo 90 del Regolamento.

PRESIDENTE. È evidente che il comma quinto di questo articolo del Regolamento si preoccupa di creare al Governo o alla Commissione alcune garanzie nei confronti di improvvisi emendamenti o formulazioni presentati da membri dell’Assemblea. In questo caso, invece, la situazione si capovolgerebbe e il Regolamento verrebbe invocato come una salvaguardia dell’Assemblea o di alcuni membri dell’Assemblea nei confronti di una iniziativa della Commissione, con uno spirito diverso cioè da quello che ha ispirato l’articolo 90.

Comunque, se l’interpretazione che ho data è riconosciuta valida, porrò in votazione la richiesta di rinvio e se questa viene accettata, sarà tolta la seduta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. È una questione di Regolamento. Se la Commissione non cambiava le cose…

PRESIDENTE. La prego, non facciamo recriminazioni. Ponga la questione nei suoi termini esatti.

LUSSU. Io credo che l’interpretazione che il Presidente ha data non sia esatta. Credo che questo testo nuovo sia ancor più che un emendamento, e quindi dia ancor maggiore diritto a che sia chiesto il rinvio.

PRESIDENTE. Il rinvio può essere chiesto, ma deve essere deciso dall’Assemblea.

LUSSU. Io sostengo, ripeto, che questo è un emendamento. Infatti si riferisce ad articoli nei quali l’emendamento rivive ancora e non è un totale capovolgimento o una trasformazione. In termini letterari, siamo di fronte ad un emendamento vero e proprio e pertanto non si può mettere ai voti di fronte all’Assemblea se dovrà esserci o no il rinvio.

Il rinvio è automatico. Me ne duole per la Commissione, ma nessuno di noi le ha dato talmente carta bianca, da poter essa presentare un testo totalmente nuovo, al quale noi non eravamo preparati. La responsabilità ricade sulla Commissione.

PRESIDENTE. Le ragioni dei proponenti il rinvio sono state ampiamente svolte.

Hanno parlato gli onorevoli Camposarcuno e Lussu, cioè due dei firmatari della richiesta; e quindi ognuno, che si sia convinto della validità delle loro ragioni, può esprimere il proprio giudizio, votando a favore del richiesto rinvio.

LUSSU. Non si può mettere ai voti.

PRESIDENTE. Io, invece, lo porrò ai voti; perché, in definitiva, la interpretazione del Regolamento, quando vi sono casi controversi, è rimessa al Presidente. In questo caso, poi, non decido di autorità, perché l’Assemblea è chiamata essa a decidere del rinvio. (Interruzione del deputato Lussu).

Voci a sinistra. Basta! Basta!

LUSSU. Non basta affatto! Con questo sistema, con un colpo di maggioranza si può sopraffare la minoranza e il Regolamento.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che il Regolamento ha braccia molto larghe e permette anche di trovare un arbitro della questione.

L’articolo 85, infatti, dice che, quando un deputato fa appello al Regolamento, è la Camera che decide di questo appello.

Io do un’interpretazione dell’articolo 90; lei, onorevole Lussu, si appella contro la mia interpretazione; l’Assemblea decide.

Pertanto, porrò all’Assemblea il quesito.

MICHELI. Chiedo di parlare.

Voci a sinistra. Basta! Basta!

PRESIDENTE. Su che cosa chiede di parlare?

MICHELI. Domando che il signor Presidente abbia la compiacenza di annunciare in modo preciso la questione, in modo che si possa comprendere qual è l’appello al Regolamento, sopra il quale noi dobbiamo votare. (Interruzione del deputato Nobili Tito Oro).

Lei lo sapeva già onorevole Nobili. Io no: sono in ritardo forse anche perché non posso fruire dei consigli del suo vicino onorevole Dugoni. (Si ride).

PRESIDENTE. Preciso la questione. L’onorevole Camposarcuno ed altri, appellandosi al quinto comma dell’articolo 90 del Regolamento, chiedono che la discussione di questi articoli sia rinviata di 24 ore.

L’articolo 90 del Regolamento, al suo quinto comma, prevede la facoltà di questa richiesta esclusivamente per gli articoli aggiuntivi o per emendamenti.

MICHELI. Qui si tratta di emendamento sostitutivo. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, io desidero avere il massimo rispetto e un’estrema benevolenza nei confronti di tutti i colleghi, e particolarmente dei più anziani; ma desidero che anche i colleghi comprendano che vi è una norma alla quale attenersi, che è essenzialmente quella di non turbare o procrastinare troppo i nostri lavori. Lei ha avuto il diritto – che ha esercitato – di prendere numerosissime volte la parola: il processo verbale ne farà testo. Le stavo dando una spiegazione. Mi permetta di portarla a termine. Vi è la richiesta dell’onorevole Camposarcuno perché, in base al quinto comma dell’articolo 90, si rinvii a domani l’esame del nuovo testo della Commissione. Il comma quinto dell’articolo 90 parla dell’esercizio di questo diritto, quando ci si trova di fronte ad un articolo aggiuntivo o ad un emendamento.

MICHELI. Ma si rientra, perché qui si tratta di un emendamento sostitutivo! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego di non interrompermi più. Consideri che il nuovo testo formulato dalla Commissione non è, per quanto si vogliano storcere gli argomenti, né un emendamento, né un articolo aggiuntivo. È il nuovo testo e pertanto ritengo che l’invocazione all’articolo 90 non sia valida. Poiché l’onorevole Lussu contesta la validità di questa mia interpretazione, in base al disposto dell’articolo 85, investo l’Assemblea della decisione e chiedo che voti su questo argomento, cioè se la richiesta dell’onorevole Camposarcuno, dell’onorevole Lussu e di altri colleghi è fondata sull’articolo 90, comma quinto: se l’Assemblea dirà sì, accetterà la proposta di rinvio; se l’Assemblea dirà no, chiuderemo definitivamente questa troppo lunga discussione procedurale e passeremo senz’altro alla discussione sul merito del testo formulato dalla Commissione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non posso dare più la parola a nessuno.

LUSSU. È per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Non c’è dichiarazione di voto, in questa materia. Pongo, quindi, in votazione l’interpretazione che ho data dell’articolo 90, in base alla quale non è ammissibile la richiesta di rinvio, di ventiquattro ore, del nuovo testo proposto dalla Commissione.

(È approvata).

Passiamo finalmente all’esame di questo testo. Invito l’onorevole Segretario a dare lettura del nuovo testo degli articoli 120 e 121, così come è stato formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano i compiti e le funzioni.

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«La istituzione di nuove Provincie è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

PRESIDENTE. Ricordo che, in sede di discussione generale, sono già stati svolti dai presentatori i seguenti emendamenti, attinenti alla prima formulazione del progetto:

«Sostituire il primo comma dell’articolo 120 col seguente:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni a mezzo delle circoscrizioni circondariali che risultano dalla divisione delle Provincie.

«Bruni».

«Al secondo comma, sostituire la dizione: circoscrizioni provinciali, con l’altra: circoscrizioni circondariali.

«Bruni».

«Sostituire l’articolo 120 del progetto col seguente:

«La Provincia, oltre che circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale, è ente autarchico territoriale, con gli organi e le funzioni determinati dalla legge.

«Rescigno».

Sono stati successivamente presentati altri emendamenti al testo primitivo, emendamenti dei quali la Commissione ha tenuto conto per la redazione del nuovo testo. Al penultimo testo, che è quello che più si avvicina all’attuale, e che, anzi, è in parte ripreso dalla Commissione, avevano presentato emendamenti gli onorevoli Colitto, Bubbio e Belotti.

L’emendamento dell’onorevole Colitto è del seguente tenore:

«Sostituirli col seguente:

«La Provincia ed il comune sono autonomi nei limiti delle leggi dello Stato, che ne determinano le funzioni ed i poteri».

Questo emendamento, in sostanza, è stato assorbito dal nuovo testo della Commissione.

COLITTO. Non completamente.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COLITTO. Lo svolgerò rapidamente.

Il mio emendamento non tocca la sostanza della norma, ma tende a migliorarne la forma. Chi legge l’articolo proposto dalla Commissione intende subito che la Costituzione vuole fissare questo concetto: che lo Stato emana leggi per precisare le funzioni delle Provincie e dei Comuni e che la Provincia ed il Comune sono autonomi nell’ambito di esse. Non è necessario, pertanto, a mio avviso, parlare di leggi «generali», che presuppongono anche quelle «particolari», essendo difficile stabilire dove finiscono le prime ed incominciano le altre, ed anche perché principî, cioè direttive, si possono ben ricavare anche da leggi particolari.

Penso, poi, che, invece di «compiti e funzioni», sia meglio parlare di «funzioni e poteri». Compiti e funzioni mi sembrano due parole, che esprimono lo stesso concetto, il che non penso che si possa egualmente dire per le due parole da me indicate.

Prendo atto, infine, con piacere che il Comitato di coordinamento, nella nuova formulazione dell’articolo, non ha parlato più di leggi, attribuenti alle Regioni funzioni di coordinamento. Non si comprende, infatti, in che cosa tali leggi, occupandosi delle funzioni e dei poteri della Provincia e del Comune, si differenziano dalle altre leggi, sì da poter essere indicate a parte.

Insisto, perciò, in quei miei emendamenti, non seguiti dalla Commissione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bubbio e Belotti, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, dopo il primo comma dell’articolo 120 del progetto, il comma seguente:

«Può suddividere le circoscrizioni provinciali in circondari di carattere esclusivamente amministrativo per un ulteriore decentramento».

L’onorevole Bubbio ha facoltà di svolgerlo.

BUBBIO. Onorevoli colleghi, il mio emendamento si è reso necessario dopo che era stato radicalmente cambiato il testo della Commissione.

Il testo del progetto, presentato dalla Commissione, all’articolo 120 suonava in questo modo: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento».

Ora, viceversa, per questo nuovo articolo 120-121, la Commissione ha senz’altro soppresso questa disposizione, cioè la possibilità di suddividere in circondari le circoscrizioni provinciali; il che ha causato una certa sorpresa. Non va dimenticato d’altra parte che molte città italiane avevano manifestato replicatamente le loro aspirazioni per la ricostituzione di questi circondari, a titolo unicamente di decentramento amministrativo, senza alcuna forma autonoma o autarchica. Ritengo, quindi, che la Costituente possa nuovamente soffermarsi su questo problema.

Posso aggiungere anche un’altra considerazione: ad iniziativa della città di Fermo, se non vado errato, fu creata un’Associazione dei Comuni che durante il periodo preparatorio aveva discusso la possibilità di introdurre nella Costituzione, appunto, la riforma attinente alla ricostituzione dei circondari.

Questa Associazione, a cui hanno preso parte molte città illustri per storia e fiorenti per industria e commercio, avevano visto accolte le loro aspirazioni nel progetto di Costituzione, che – come dissi – riconosceva la facoltà di suddividere in circondari le circoscrizioni provinciali. Talmente questa Associazione era persuasa e sicura che la riforma fosse assicurata, che ha mandato a tutti i deputati che rappresentavano le città interessate, un ringraziamento per aver ottenuta una tale riforma!

Quindi è grande la delusione di queste città, nel vedersi in ultimo defraudate di questa loro speranza. Mi permetto, perciò, di insistere su questo emendamento che ripristina l’originaria disposizione. Il fatto che si sia di nuovo ricostituita la Provincia quale ente autonomo, non può far venire meno la necessità della creazione del circondario, che anzi tale necessità ne può riuscire maggiormente affermata. D’altra parte, il mio emendamento non impone la istituzione di queste circoscrizioni; esso invero è un po’ diverso da quello dell’onorevole Bruni, che dice senz’altro che le Provincie debbono essere suddivise in circondari, mentre qui la istituzione del circondario è lasciata come facoltà. Notisi che se una legge del 1923 ha abolito la Sottoprefettura come ufficio di carattere politico locale, tuttavia i circondari, di fatto, ancora esistono relativamente a diversi servizi; e così nel campo giudiziario molti tribunali sono stati ricostituiti; e così si hanno gli Ispettorati finanziari circondariali, gli Ispettorati circondariali per le scuole, gli Uffici tecnici della Provincia, con circoscrizioni circondariali, ecc. In radice, quindi, i circondari già esistono e si tratta soltanto di fare affermare il principio della possibilità della loro ricostituzione. D’altronde, non bisogna deludere le aspirazioni di molte città, perché tutta l’Italia nostra non è costituita soltanto dalle grandi città e dai capoluoghi di provincia; ci sono numerose piccole città, forti per tradizioni storiche e fiorenti nel lavoro e nell’industria, che debbono essere esaudite in queste aspirazioni. Solo in Piemonte, Alba, Saluzzo, Acqui, Mondovì, Pinerolo, Novi, Tortona, Pallanza, Biella, ecc., attendono che sia riparata l’ingiustizia in loro danno perpetrata.

Conseguentemente, mi auguro che il mio emendamento possa essere accolto, ancora una volta insistendo che il circondario non appesantirà la macchina burocratica; trattandosi soltanto di un organo di decentramento amministrativo di carattere esecutivo, che soprattutto nelle Provincie si paleserà indispensabile. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha proposto un articolo aggiuntivo del seguente tenore:

Art. 120-bis.

«La Provincia è ente autonomo e costituisce circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Io avevo presentato, per l’eventuale aggiunta, un articolo 120-bis, proponendo una formula che posso ritenere, sostanzialmente, assorbita nel nuovo testo redatto dal Comitato e sottoposto all’Assemblea. Cosicché il mio emendamento aggiuntivo di un articolo 120-bis resta assorbito nel nuovo testo, essendo fermi questi due concetti: che la Provincia è considerata come persona giuridica e, perciò stesso, è definita con la formula generale di ente autonomo, che ci sembra la più appropriata, per il possibile sviluppo futuro del concetto, senza ricadere in terminologie, tipo ente autarchico, che potrebbero far nascere eventuali perplessità interpretative di carattere restrittivo.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, in cui la Provincia – analogamente al Comune – è chiamata a svolgere funzioni di decentramento sia statuale che regionale, mi pare perfettamente corretto che il testo debba contemperare questo secondo aspetto, in coerenza alle norme già approvate nella Costituzione, che contemplano, per un verso l’attribuzione di funzioni amministrative statuali alla provincia e, per altro verso, il decentramento nell’ambito della Regione, con attribuzione delle funzioni amministrative regionali alla Provincia.

Concludo, perciò, considerando il mio emendamento come assorbito nel testo della Commissione, in favore del quale – dato questo equilibrio armonico di visione, per cui si tengono presenti in modo adeguato gli aspetti della personalità giuridica dell’ente locale e la funzione di decentramento ad esso affidata – voterò, nella nuova formulazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 120 del progetto col seguente:

«L’Amministrazione della Regione potrà istituire nei capoluoghi delle Province in essa comprese Sezioni distaccate degli Uffici tecnici, finanziari e sanitari regionali, per un più agile e perfetto espletamento delle proprie funzioni, nell’interesse delle popolazioni locali».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Seguono gli emendamenti agli articoli 120 e 121 del progetto proposti dall’onorevole Codignola:

«Sostituire l’articolo 120 col seguente:

«La Provincia è un organo di decentramento burocratico, così per le funzioni amministrative di diretta competenza dello Stato, come per quelle di competenza originaria o delegata delle Regioni.

«Un funzionario dello Stato, residente nel capoluogo di provincia, coordina l’attività amministrativa degli uffici statali decentrati nell’ambito provinciale, alle dipendenze del Presidente regionale nella sua qualità di rappresentante del Governo centrale, ovvero del Commissario straordinario previsto dal capoverso dell’articolo 116.

«La Regione può promuovere, nel proprio ambito, consorzi di province, ovvero altri raggruppamenti territoriali, che si dimostrino meglio idonei all’organica soddisfazione d’interessi comuni e al migliore decentramento delle sue funzioni.

«Consorzi di tal genere possono estendersi anche al di fuori dei limiti territoriali di una sola Regione, previo accordo delle Deputazioni interessate».

«Sostituire l’articolo 121 del progetto col seguente:

«Il Comune è un ente autarchico, fornito dei mezzi e dei poteri necessari al suo funzionamento, e di facoltà normative nei limiti fissati dalla legge».

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, possono essere costituiti consorzi di Comuni a fini determinati. Possono egualmente essere costituiti nuovi Comuni, soppressi o suddivisi Comuni esistenti, modificate le rispettive circoscrizioni».

CODIGNOLA. Dichiaro di rinunciare a questi emendamenti.

PRESIDENTE. Seguono due emendamenti presentati rispettivamente dagli onorevoli Canepa e Pera e dall’onorevole Chieffi:

«Al primo comma, alle parole: Il Comune è autonomo, sostituire: Provincie e Comuni sono autonomi.

«Canepa, Pera».

«Al primo comma, alle parole: Il Comune è autonomo, sostituire: La Provincia ed il Comune sono autonomi.

«Chieffi».

Questi emendamenti sono assorbiti, essendo stati accolti nel nuovo testo della Commissione.

Seguono tre emendamenti proposti dai colleghi Biagioni e Clerici all’articolo 121 del progetto:

«Al primo comma aggiungere:

«La legge assicura al Comune l’autosufficienza finanziaria».

«Al secondo comma, dopo le parole: nuovi Comuni, aggiungere: purché esistano le condizioni di autosufficienza finanziaria».

«Aggiungere il seguente terzo comma:

«La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

L’onorevole Biagioni ha facoltà di svolgerli.

BIAGIONI. Poiché ho la ventura di ricoprire la carica di sindaco e dovendo combattere in situazioni disastrose la lotta continua tra i grandi bisogni e la scarsità di mezzi finanziari, mi sia concesso, onorevoli colleghi, di sottoporre alla vostra cortese attenzione gli emendamenti da me proposti.

Dare ai Comuni l’autonomia è una gran bella cosa come principio; ma questa autonomia non ha ragion d’essere, se non si dà ai Comuni la possibilità di disporre dei mezzi necessari per vivere. Se si pensa che almeno il 99 per cento dei Comuni ha bilanci deficitari, e con deficit che arrivano a cifre paurose (si giunge fino ai miliardi), si può dire che, se la Repubblica non sarà in grado di dare ai Comuni la possibilità di vita finanziaria, sarà inutile – è meglio dire pericoloso – enunciare il principio della completa autonomia comunale. Se si pensa che molti Comuni non hanno potuto vivere, in questi due anni dopo la liberazione, se non ricorrendo a delle percentuali sui giuochi d’azzardo, è evidente che la famiglia comunale è scesa, per provvedere ai propri vitali bisogni, al livello morale di colui che specula sui più bassi istinti umani.

Quante sollecitazioni sono giunte a noi deputati da parte di sindaci dei nostri collegi, perché si possa sostenere il loro desiderio di istituire in tutti i capoluoghi di comune delle bische! Essi sanno di chiedere a noi delle cose, diciamo, immorali, ma lo chiedono perché sono spinti dal bisogno e dalle necessità per la vita delle loro amministrazioni.

Pensate che il 99 per cento, ripeto, dei Comuni italiani non riesce neppure a corrispondere con regolarità gli stipendi e i salari ai propri dipendenti. Cerchiamo dunque, onorevoli colleghi, di togliere i gloriosi Comuni italiani da questa posizione di ignominia. Pensate – lo dico per esperienza personale – che molte farmacie si rifiutano di dare i medicinali ai poveri con i buoni del Comune; pensate che i fornitori si rifiutano di dare al Comune persino il cemento di cui esso ha bisogno per i propri piccoli lavori e non è raro il caso in cui il sindaco debba dare un fido personale, perché il Comune possa avere queste materie di primaria necessità.

Si ha sfiducia nel Comune, perché se ne teme la insolvenza. Cerchiamo quindi di risollevare i Comuni da questo così degradante stato di inferiorità in cui versano che, oltre a togliere loro il decoro, toglie anche a questi enti la capacità amministrativa: a questi enti che pure sono quelli che stanno più vicini alla massa del popolo.

Il mio Comune – ab uno disce omnes – non riesce, con tutte le tasse, a riscuotere neppure la cifra necessaria a pagare i suoi dipendenti, perché gli stipendi e i salari dei dipendenti superano essi soli tutte le entrate. Ed io che, ringraziando Iddio, non ho ancora contratto dei debiti personali, sono costretto a vedere quotidianamente davanti alla porta del mio ufficio fornitori che protestano perché il Comune non è in condizioni di pagare quanto è loro dovuto da mesi o anche da anni.

Io prego gli onorevoli colleghi di meditare un poco su queste considerazioni da me esposte e di volermi aiutare perché, oltre che con l’articolo 112, anche con il 121 sia sancito nella Carta costituzionale che la Repubblica si impegna a dare ai Comuni una vera vita autonoma nel campo finanziario.

Così dicasi per i nuovi Comuni, per quei Comuni cioè che dovranno essere costituiti in seguito. Troppi paesi infatti, per divergenze campanilistiche, attendono che l’ente Regione riesca a erigerli a Comune. Non creiamo, onorevoli colleghi, nuovi organismi claudicanti! Se un paese non dà garanzie sufficienti perché possa essere autonomo, se una popolazione non dà garanzie sufficienti che potrà mantenere il suo Comune, non è lecito dargli il consenso per la sua istituzione.

Ci insegni per questo la Sardegna. Io, dopo l’8 settembre, mi sono trovato con i miei soldati in un paese della provincia di Nuoro: Suni, che ha tre frazioni. Ebbene, ho avuto occasione di tornare dopo tre anni in quel paese e invece di un Comune ne ho trovati quattro, uno dei quali non aveva che 240 abitanti! Naturalmente, i nuovi Comuni non riescono neppure a comperare una macchina da scrivere e non riescono a pagare non dico lo stipendio all’applicato di segreteria, ma neppure al segretario.

È per queste considerazioni, onorevoli colleghi, che io vi esorto ad approvare i miei due emendamenti.

L’ultimo mio emendamento aggiuntivo dice: «La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

Farò alcune brevissime considerazioni. Per esempio, c’è la questione dei boschi. Lo Stato, ad un certo momento, ha creato il famoso demanio forestale ed ha espropriato i Comuni di montagna delle loro proprietà boschive. Ora, dal giorno in cui i Comuni di montagna sono stati privati dei loro boschi, si è iniziato il deficit dei loro bilanci. Ho elementi in mano per dimostrarlo. Ho pure delle prove per dimostrarvi che, per esempio, nell’Appennino tosco-emiliano il demanio è stato costituito per volontà di Carlo Scorza, il quale costrinse i podestà a vendere i boschi al 60 per cento del loro valore.

Un’altra proprietà che dovrebbe tornare ai Comuni sono le cosiddette «case del fascio». In ogni città d’Italia, si può dire, o in quasi tutte, nacque la «casa del fascio», non per contributo statale, ma coll’obolo, più o meno forzato, dei cittadini. Oggi lo Stato dice che le «case del fascio» sono sua proprietà. Non è giusto! Le «case del fascio» sono proprietà dei cittadini di quel paese, che hanno col proprio obolo contribuito alla loro costruzione.

Prego quindi l’Assemblea di accogliere i miei emendamenti come un atto doveroso verso i Comuni.

PRESIDENTE. L’onorevole Bovetti ha presentato il seguente emendamento all’articolo 121 del progetto:

«Sostituirla col seguente:

«Il Comune e la Provincia sono autonomi nell’ambito delle leggi generali della Repubblica.

«Con legge della Regione, su richiesta della maggioranza delle popolazioni interessate, sentito il parere delle rispettive Amministrazioni provinciali, possono essere creati nuovi Comuni o modificate le circoscrizioni esistenti».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Costa ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«In fine dell’articolo 121 aggiungere: o mutate denominazioni».

COSTA. Rinunzio a svolgerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo accettato.

COSTA. Appunto; e ringrazio la Commissione per averlo accettato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, per esprimere il parere della stessa sui vari emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Seguirò gli emendamenti nell’ordine in cui si trovano nel fascicolo, per maggiore semplicità e chiarezza.

L’emendamento dell’onorevole Rescigno è stato, in sostanza, accettato. Quindi, non credo si possa più discutere a questo proposito.

L’onorevole Persico non ha svolto il suo emendamento; ad ogni modo, sta di fatto – ed egli l’ha perfettamente compreso – che questa disposizione è contenuta nell’articolo 112, già votato: è lo stessissimo concetto, per cui non credo che egli insisterà sul suo emendamento.

L’emendamento dell’onorevole Codignola parla, in sostanza, di un organo di decentramento burocratico, cioè ammette il concetto da noi accolto.

CODIGNOLA. Ho ritirato l’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene.

C’è poi l’emendamento dell’onorevole Bruni, che è stato svolto, e parla di circoscrizioni circondariali. Vi sono vari emendamenti che parlano di circoscrizioni circondariali, di consorzi di Provincie, di consorzi di Comuni.

Ora, il Comitato ha ritenuto che sono temi da non mettere nella Costituzione e da riservare alle leggi ordinarie amministrative.

Poi vi è un altro emendamento dell’onorevole Dominedò, il quale ha preso atto che noi abbiamo introdotto il suo concetto nella nostra formula nuova.

L’emendamento dell’onorevole Bovetti non è stato svolto.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Biagioni sull’autosufficienza finanziaria dei Comuni. Qui parliamo in generale di funzioni dei Comuni; e non è il caso di entrare nel tema dell’autosufficienza finanziaria; tanto più che non è possibile adottare questa espressione di autosufficienza, che non ha consistenza precisa. Abbiamo parlato di autonomia finanziaria che è espressione più attendibile, a proposito della Regione, ed abbiamo parlato di coordinamento con le finanze delle Provincie e dei Comuni; abbiamo adombrato l’estensione del concetto anche a tali enti. Di più non si può fare.

L’onorevole Biagioni propone poi di regolare il passaggio di certi beni dallo Stato ai Comuni. Questa non è proprio materia costituzionale. Il problema più generale che l’onorevole Biagioni ha sollevato incidentalmente è importante, in quanto i Comuni e le Province non possono ricorrere continuamente alla integrazione dello Stato e vivere una vita grama e stentata; mentre, d’altra parte, il metodo delle integrazioni è un incoraggiamento ad abitudini spendereccie. Nell’esposizione finanziaria Campilli e poi in dichiarazioni del Ministro Pella, si promette che alle integrazioni si porrà fine col nuovo esercizio finanziario e che ai Comuni e alle Provincie sono ormai assicurati cespiti tali che non vi sia più bisogno di integrare i bilanci degli enti locali.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Colitto per mettere la parola «poteri». L’onorevole Colitto osserva che la dizione nostra «compiti e funzioni» non è felice. Possiamo togliere «compiti». Resta «determinate funzioni» ed evidentemente nelle funzioni sono compresi anche i poteri.

Vi è infine l’emendamento dell’onorevole Bubbio. Il Comitato ha ritenuto che, quando non v’era, si sopprimeva la provincia come ente autonomo. Poteva essere opportuno parlare nella Costituzione di decentramento attraverso le provincie ed i circondari. Le cose ora sono mutate; ed il richiamo costituzionale non ha più ragione di essere. Questo dei circondari – come gli altri dei consorzi fra Provincie, fra Comuni ed anche fra Regioni – è tema che decideranno le leggi sull’amministrazione. Il non metterlo qui, non vuol dire che il circondario debba essere sistematicamente escluso. Potrà ammettersi in alcuni casi, sempreché non si moltiplichino i gradini e le complicazioni burocratiche.

BUBBIO. Era la promessa fatta nel primo testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, ma nel primo testo non c’era la Provincia.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha presentato ora un emendamento, proponendo di premettere nel terzo comma del testo le parole: «Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali», continuando poi il testo come proposto.

Prego l’onorevole Presidente della Commissione di esprimere il suo parere in merito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Micheli.

MICHELI. Ringrazio di aver accettato ed avverto che fra le molte variazioni vi è specialmente quella della circoscrizione di Pontremoli. (Commenti). Questa è la ragione che mi ha spinto a fare questa proposta.

PRESIDENTE. Invito gli onorevoli presentatori degli emendamenti di dichiarare se li mantengono.

Onorevole Persico?

PERSICO. Rinunzio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Bruni non è presente; pertanto decadono i suoi due emendamenti.

L’onorevole Dominedò ha dichiarato di rinunciare al suo emendamento, essendo stato accolto dalla Commissione, e così pure l’onorevole Codignola ha rinunziato ai suoi emendamenti.

L’onorevole Bovetti non è presente; s’intende che abbia anch’egli rinunziato.

Onorevole Biagioni, mantiene il suo emendamento?

BIAGIONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Lei, onorevole Colitto?

COLITTO. Il Presidente della Commissione ha già dichiarato che accetta un’altra parte dei miei emendamenti.

PRESIDENTE. Quindi lei rinunzia alla sua proposta. Sta bene.

Onorevole Bubbio?

BUBBIO. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Ruini; ma debbo mantenere il mio emendamento; si tratta invero di una questione di onore, in quanto è stato preso un impegno verso tante piccole città italiane, che hanno sperato e creduto nella promessa fatta dalla Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Sta bene onorevole Bubbio.

L’emendamento dell’onorevole Costa è stato accettato dalla Commissione.

Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Vi rinunzio, ma nell’intesa che autonomia ed autarchia, contrariamente a quello che ha affermato l’onorevole Micheli, sono la stessa cosa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire a questo punto che non intendo affatto confermare le proposizioni dell’onorevole Rescigno. In Italia si è sempre parlato di enti autonomi. V’è un significato nelle leggi e nelle tradizioni che rimane fermo, e al quale io non intendo derogare.

È venuto uno scienziato eminente, il Santi Romano, che ha fatto una teoria dell’autarchia, teoria discutibilissima; che può essere accettata o no in sede dottrinale. Ma, nonostante le lezioni che ci vuol dare l’onorevole Rescigno, non intendiamo abbandonare il solido terreno della tradizione legislativa e politica.

RESCIGNO. Ed allora io debbo mantenere il mio emendamento. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei, così, diminuisce la forza di questi enti, perché autarchia è meno di autonomia.

PRESIDENTE. Viene ora presentato un altro emendamento, a firma dell’onorevole Recca e di altri colleghi. A questo proposito osservo che se i colleghi che lamentano che la Commissione porta in ritardo gli emendamenti, si rendessero conto che il ritardo è provocato innanzi tutto da questo sistema da essi adottato, di presentare emendamenti all’ultimo momento, potremmo tutti evitare di prolungare il nostro lavoro.

L’emendamento dell’onorevole Recca, che reca anche le firme dei colleghi Monterisi, Borsellino, Clerici, Carignani, Baracco, Garlato, Ferreri, Germano e Biagioni, sostituisce il terzo comma dell’articolo con la seguente formulazione:

«L’istituzione di nuove Provincie è stabilita con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni interessati, sentita la Regione a cui appartengono».

L’onorevole Recca ha facoltà di svolgere questo emendamento.

RECCA. Rinunzio a svolgerlo, poiché sono evidenti le ragioni di praticità e di logica che lo hanno determinato.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente della Commissione di dichiarare il suo parere in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che quando si dice «sentite le popolazioni interessate» si usi già l’espressione più opportuna, e che dà sufficienti garanzie.

RECCA. Le popolazioni interessate come vengono sentite? Per mezzo di referendum?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Definiremo poi queste forme.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Io ero firmatario di un emendamento all’articolo 107 circa la creazione di nuove Provincie. L’onorevole Ruini disse, quando si discusse detto articolo, che ne avremmo riparlato quando si sarebbe trattato della Provincia secondo il nuovo ordinamento costituzionale. Vedo con compiacimento che la Commissione ha accettato sostanzialmente il mio emendamento; quindi lo ritiro e aderisco a quello della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ai voti il primo comma nel nuovo testo unificato della Commissione, che vi ha apportato una ulteriore modifica, sopprimendo le parole «i compiti e». La dizione è pertanto la seguente:

«Le Provincie ed i Comuni sono enti autonomi nell’ambito, dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».

(È approvato).

A questo punto vi è la proposta aggiuntiva dell’onorevole Biagioni del seguente tenore:

«La legge assicura ai Comuni l’autosufficienza finanziaria».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Passiamo al secondo comma del testo, sul quale non sono stati presentati emendamenti:

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Vi è a questo punto l’emendamento dell’onorevole Bubbio del seguente tenore:

«Aggiungere il comma seguente:

«Può suddividere le circoscrizioni provinciali in circondari di carattere esclusivamente amministrativo per un ulteriore decentramento».

Ricordo che la Commissione non ha accettato questo emendamento aggiuntivo non per una ragione di principio, ma in quanto non ritiene che tale specificazione debba essere inserita nel testo costituzionale.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A me pare che si dovrebbe dire qualche cosa dei circondari, anche perché c’è l’articolo 125 in cui si prevede la costituzione in Regione di Provincie che abbiano più di 500 mila abitanti. Per queste eventuali nuove costituzioni di Regioni il decentramento come avverrà? Creando nuove provincie, oppure mantenendo i vecchi circondari. Ed allora è utile, anzi, direi, è necessario parlarne.

Io voto pertanto a favore dell’emendamento.

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Mi associo all’emendamento proposto dall’onorevole Bubbio e prendo atto della spiegazione data dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, in merito a tale emendamento, spiegazione con la quale egli dichiarava che la Regione stessa ha la competenza di legiferare in materia di decentramento comunale ed anche circondariale.

In questo senso, voterò a favore dell’emendamento dell’onorevole Bubbio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bubbio.

(È approvato – Applausi al centro).

Essendo stato approvato il comma aggiuntivo resta, naturalmente, inteso che si fa riserva di coordinarlo con il comma precedente.

Passiamo al terzo comma. Su questo comma vi è l’emendamento dell’onorevole Micheli alla prima parte, emendamento che la Commissione ha dichiarato di accettare. L’emendamento risulta del seguente tenore:

«Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Provincie sono stabiliti con leggi della Repubblica».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Sulla seconda parte del testo della Commissione così concepito: «su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate», vi è l’emendamento presentato dall’onorevole Recca. Onorevole Recca, lo mantiene?

RECCA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’emendamento Recca è così concepito: «su iniziativa dei Comuni interessati, sentita la Regione a cui appartengono».

Lo pongo ai voti.

MONTERISI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTERISI. Mi associo all’emendamento Recca, perché più democratico. Bisogna che l’iniziativa parta non dall’alto, ma dal basso, cioè sono le popolazioni interessate che devono dire se vogliono formare una nuova Provincia, sono i Comuni interessati che devono chiedere al Governo la possibilità di formare una Provincia.

È inoltre da considerare un’altra cosa, che è questa: vi sono vecchie aspirazioni di Provincie che credono di aver avuto lesi i loro diritti dal passato regime. Per questa ragione, che è soprattutto una ragione di giustizia, e per assecondare i desideri delle popolazioni, voterò a favore di questo emendamento.

(L’emendamento Recca è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’ultimo comma. Il testo della Commissione è del seguente tenore:

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

Su questo comma vi è un emendamento dell’onorevole Biagioni, il quale propone che dopo le parole «possono essere istituiti nuovi Comuni» venga inserito l’inciso «purché esistano le condizioni di autosufficienza finanziaria».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Pongo intanto in votazione la prima parte del comma.

(È approvato).

Porrò adesso in votazione l’inciso condizionale proposto dall’onorevole Biagioni.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ruini. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mentre per gli altri emendamenti che avevano un’importanza tecnica, la Commissione si è rimessa, per questo insiste perché non sia accolto. Che cosa significa «autosufficienza» per un Comune? Evidentemente si cercherà, quando si istituisce un Comune, che in base alle leggi possa assicurarsi i mezzi sufficienti; ma inserire questa formula, non mi sembra che abbia alcun significato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Moro. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo secondo il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Biagioni.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’ultima parte del comma nel testo della Commissione.

(È approvata).

Vi è infine un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Biagioni e Clerici:

«La legge regola il ritorno ai Comuni dei beni patrimoniali incamerati dallo Stato».

BIAGIONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Il testo unificato degli articoli 120 e 121, risulta, dopo le votazioni testé fatte, approvato nel seguente testo:

«Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.

«Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

«Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari, di carattere esclusivamente amministrativo, per un ulteriore decentramento.

«Il cambiamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Provincie sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione a cui appartengono.

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi Comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni».

(È approvato).

Passiamo all’esame di un articolo aggiuntivo, proposto dall’onorevole Nitti, per il quale sarà poi da indicare il numero o l’incorporamento in altro articolo. L’articolo aggiuntivo è del seguente tenore:

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalla Amministrazione dello Stato e da quelle degli enti locali».

L’onorevole Nitti ha già trattato di questo suo emendamento in alcuni suoi interventi precedenti; non so se intenda ancora parlarne.

NITTI. Vorrei dire brevi parole.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Nitti.

NITTI. Faccio notare che adesso, oltre ad un milione e 200 mila impiegati statali, i quali, in buona parte, non sanno cosa fare, abbiamo 200 mila impiegati presso gli enti locali ed un buon numero di impiegati presso amministrazioni parastatali; numero enorme, che supera, in realtà, la nostra efficienza contributiva.

Bisogna cercare di utilizzare questi impiegati, fra cui vi sono uomini di valore.

Perché le Regioni, prima di prendere impiegati estranei all’Amministrazione, non utilizzano gli elementi migliori? La situazione è da considerare sotto questo punto di vista: scelta del personale, secondo la convenienza, fra quello già esperto di amministrazione.

Credo di non dover aggiungere altro argomento, perché mi sembra evidente e penso che anche gli amici più appassionati della Regione non possano dire nulla in contrario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Circa l’aumento degli impiegati, che è veramente impressionante in Italia, devo dire con sincerità che lo stesso avviene in altri Paesi.

Studiando questo problema, ho notato che in Inghilterra da prima della guerra ad oggi vi è stato un aumento di 900 mila unità; quindi, nella poco burocratica Inghilterra, l’aumento è stato maggiore che in Italia.

È un inconveniente grave, al quale bisogna rimediare. Noi dobbiamo vederlo sotto il riflesso in cui l’ha messo l’onorevole Nitti, per la prima Costituzione della Regione.

Il Comitato accoglie nella sua portata essenziale il concetto dell’onorevole Nitti. Ma fa presente che questo concetto era stato adombrato nell’articolo VIII delle disposizioni transitorie, dove è detto che la legge della Repubblica determina il passaggio di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrale, che si renda necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

Quanto alle Provincie, abbiamo stabilito che la Regione dovrà decentrare il più possibile le sue funzioni attraverso la Provincia; queste avranno quindi ben poca disponibilità di impiegati.

Sono disposto ad accogliere il concetto dell’onorevole Nitti, ma vi sono alcuni limiti. Lo stesso onorevole Nitti ha ammesso, nel suo intervento, che in certi casi si deve poter prendere al di fuori di quegli impiegati che già sono in servizio dello Stato o degli enti locali. Pertanto deve essere temperata la dizione rigida, che egli aveva proposto. Penso che si potrà, a suo luogo, stabilire che quando è necessario, si potrà procedere a nuove assunzioni, nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica, alle quali abbiamo accennato nell’articolo, da me già ricordato, contenuto nelle disposizioni transitorie.

L’onorevole Nitti, anche nel suo ultimo intervento, ha detto che la Regione non sorgerà mai; è la sua idea fissa. Ci consenta di ammettere che, come la Costituzione vuole, la Regione nasca e cominci a funzionare. Il precetto di ricorrere, tranne casi eccezionali, soltanto a chi è già impiegato dello Stato o di enti locali può valere per la prima istituzione della Regione. Ma quando essa, contro le prevenzioni dell’onorevole Nitti, funzioni già da tempo, non vi è più ragione di un precetto così assoluto. La norma proposta dall’onorevole Nitti dovrebbe dunque andare piuttosto nelle disposizioni transitorie.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. C’è un precedente. Già abbiamo deliberato che la Regione, normalmente, si avvale degli uffici esistenti nelle Provincie e nei Comuni e quindi non vi sarebbe la necessità dell’emendamento dell’onorevole Nitti. Se mai, si tratterà della nomina di un personale particolare, che non può essere ereditato da altri dal momento che la Regione – secondo un articolo precedente – normalmente si avvale del personale e degli uffici della Provincia. Allora, se è già così, quel resto di burocrazia, che fosse necessaria, evidentemente deve essere di tal natura da corrispondere ai bisogni locali e quindi scelto con criteri diversi da quelli che sono stati suggeriti dall’onorevole Nitti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io, timidamente, ma con convinzione, esprimo il mio dissenso da quanto ha sostenuto l’onorevole Nitti. In questi termini: è un desiderio di tutti evitare che la costituzione di questo nuovo ente dia luogo ad una nuova burocrazia (usando la parola «burocrazia» in un cattivo senso mentre questa parola ha anche un significato buono che non va dimenticato). Però da questa giusta preoccupazione non si deve essere trascinati ad una affermazione che contrasta con quella che sarà la realtà insuperabile ed inoppugnabile del domani.

Con la disposizione proposta si verrebbe a dire che si creano le Regioni, ma che queste non possono assumere nessun impiegato che già non faccia parte dell’Amministrazione statale o dell’Amministrazione provinciale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io ho proposto un emendamento.

TARGETTI. Mi permetta, onorevole Ruini. Questo desiderio poteva essere, se non totalmente, in parte attuabile qualora si fosse abolito l’ente Provincia. Con l’abolizione dell’ente Provincia, la Regione avrebbe avuto da utilizzare un tal numero di funzionari che avrebbe potuto limitarsi all’assunzione di pochi nuovi elementi. Ma oggi che – fortunatamente – la Provincia sopravvive alla Regione, che cosa si spera? Che quel tanto di decentramento statale che potremo ottenere attraverso l’istituzione della Regione porti una diminuzione tale di impiegati statali da poter con questi sopperire a tutti i bisogni che avranno le Regioni? Evidentemente, questo mi sembra un proposito irraggiungibile. Elementi nuovi saranno assolutamente necessari.

Infine, mi permetto un’altra osservazione contro l’inclusione di questo articolo nella Costituzione. Non mi sembra argomento da Costituzione. (Approvazioni). La Carta costituzionale non può occuparsi di questa assunzione di impiegati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio far presente all’onorevole Targetti che egli ha votato l’articolo 8 delle norme transitorie. Le norme transitorie prevedono espressamente il passaggio di funzionari e dipendenti dello Stato alla Regione. Egli certamente ha presente che noi abbiamo attribuito alla Regione delle funzioni che ora ha lo Stato. Dobbiamo lasciare la burocrazia centrale così com’è, o non dobbiamo cercare di scaricarla? Questa possibilità c’è.

Si tratta di una norma transitoria di Costituzione. Siccome noi abbiamo detto che delle leggi particolari determinano il passaggio alla Regione di funzioni che sono dello Stato, e del passaggio di funzionari dello Stato alla Regione, credo che non ci sarebbe niente di male stabilire anche il principio che la Regione deve, nel suo sorgere, avvalersi prevalentemente di questo personale, salvo (e l’ho detto in modo esplicito, onorevole Targetti) stabilire che è possibile che ne assuma dell’altro, quando è necessario.

Bisogna evitare che la Regione, costituita per semplificare, ingrossi la burocrazia. Io accetto l’emendamento Nitti e faccio le seguenti proposte:

1°) di rinviarlo alle norme transitorie;

2°) di ammettere che sia possibile assumere anche dell’altro personale, ove sia necessario.

PRESIDENTE. Dovrò ora porre in votazione la proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Nitti, salvo poi a determinare, nel caso fosse accettata, il suo inserimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io proporrei il rinvio alle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. La sua proposta, onorevole Ruini, è di rinviare anche la decisione al momento in cui si esamineranno quelle norme, oppure di votare rinviando poi a quel momento?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io propongo il rinvio. Ho aggiunta la mia opinione personale, opinione di cui si potrà tener conto al momento opportuno. Ora propongo il rinvio.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Io voto contro questo rinvio, appellandomi all’articolo 112, già approvato, il quale dice: «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative, delegandole alle Provincie, ai Comuni e agli enti locali».

PRESIDENTE. Non ritorniamo ora, onorevole Piemonte, sulla questione di merito.

Pongo allora ai voti la proposta della Commissione di rinvio dell’esame di questo articolo aggiuntivo dell’onorevole Nitti al momento in cui si esamineranno le norme transitorie.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interpellanze ed interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali siano i motivi di urgenza che lo hanno consigliato ad emanare il decreto 30 giugno 1947, relativo al nuovo ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, decreto che non offre sufficienti garanzie democratiche, presenta notevoli deficienze tecniche ed è stato emesso senza l’osservanza di precise disposizioni di legge.

«Gli interpellanti chiedono, altresì, per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente.

«Codignola, Lami Starnuti, Carboni, Lussu».

Io penso, salvo il parere del Ministro della pubblica istruzione, che lo svolgimento di questa interpellanza possa essere abbinato con quello di altra analoga presentata dall’onorevole Lozza ed altri.

A questo proposito, faccio presente che il Ministro della pubblica istruzione, impegnato domattina al Consiglio dei Ministri, ha chiesto di rinviare la discussione dell’interpellanza Lozza-Bernini alla seduta di lunedì.

Credo che, di fronte ai motivi addotti dal Ministro, non vi sia nulla da obiettare. Pertanto lo svolgimento di questa interpellanza – come dell’altra analoga oggi presentata – potrebbe essere fissata per la seduta di lunedì.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Quale firmatario della interpellanza Lozza, mi permetto di fare presente che in essa avevamo pregato il Ministro di rinviare le elezioni del Consiglio Superiore indette per il 26 luglio. Se il Ministro si riserva di rispondere soltanto lunedì, sarà sempre minore il tempo a nostra disposizione per poter prendere i provvedimenti del caso, qualora il Ministro rifiuti il rinvio.

Protesto, perché quando nel corso della seduta precedente avevo pregato il Ministro della pubblica istruzione di voler fissare lo svolgimento dell’interpellanza al più presto, egli mi assicurò che sarebbe stata certamente discussa venerdì.

PRESIDENTE. La richiesta di rinvio fattami pervenire dal Ministro Gonella non indica, veramente, per la discussione, la giornata di lunedì; tale indicazione mi è stata fatta a voce.

BERNINI. Pregherei di voler discutere l’interpellanza o venerdì nel pomeriggio o sabato mattina; in ogni modo prima di lunedì, perché sarebbe troppo tardi per le ragioni che ho esposto.

PRESIDENTE. Mi riservo di fare presente al Ministro il desiderio da lei espresso.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Proporrei che la discussione delle interpellanze fosse stabilita in seduta diversa da lunedì per modo che in tal giorno possa aver luogo la discussione sulla mozione riguardante la Sardegna.

«PRESIDENTE. Evidentemente, oggi non è possibile stabilire l’ordine del giorno della seduta di lunedì.

Mi riservavo di far presente ai colleghi che sarebbe utile, nella prossima settimana, fare un’eccezione alla norma consueta di non tenere seduta il lunedì mattina per potere appunto accelerare lo svolgimento dei nostri lavori. Come è noto, vi sarebbe il desiderio di poter chiudere, nel corso della prossima settimana, l’attuale sessione e pertanto lo svolgimento della mozione sullo statuto sardo potrebbe aver luogo senz’altro lunedì se si venisse nella determinazione di fare, come ho detto, seduta anche lunedì mattina.

Comunico che sono pervenute inoltre le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dell’aeronautica, per sapere se intendano intervenire urgentemente ed efficacemente per combattere la diffusione della lyda, che sta distruggendo i boschi di pini, faticosamente impiantati nell’Appennino centrale nell’ultimo cinquantennio.

«Rivera».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se e quando intenda di provvedere all’assegnazione di terre da coltivare alla popolazione del comune di Campotosto (Aquila), messa alla disperazione ed alla fame da circa sei anni, per perdita del proprio territorio coltivato, a causa della istituzione di un lago artificiale.

«Rivera».

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare per andare tempestivamente incontro, attraverso facilitazioni nei trasporti ferroviari, ai bisogni dell’Alta Italia circa l’approvvigionamento della legna da ardere, specie a quelli delle provincie, dei comuni, degli enti ospedalieri e di ricovero e degli enti comunali del consumo, in vista dei contratti di acquisto dagli stessi stipulati nelle Regioni centro-meridionali, stante la grave scarsità di legna nell’Alta Italia, dove, in previsione del consumo invernale, i prezzi della legna sono già fin d’ora divenuti proibitivi per il bilancio familiare delle classi meno abbienti.

«Bulloni, Cappi».

Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Assicuro l’onorevole Rivera che, per quanto riguarda l’interrogazione sulla diffusione della lyda nell’Appennino centrale, il mio Ministero ha disposto l’invio di appositi aerei con il compito di cospargere disinfettanti sulla zona infetta.

Per le altre due interrogazioni interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere quando intendono rispondere.

RIVERA. Ringrazio.

FARALLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FARALLI. Vorrei chiedere al Ministro della marina mercantile, anche a nome dell’onorevole collega Barbareschi firmatario con me di una interrogazione allo stesso Ministro, che cosa pensi il Governo circa le dicerie che corrono intorno ad una probabile liquidazione della Finmare.

PRESIDENTE. Nel giorno che verrà fissato per lo svolgimento delle due interpellanze al Ministro della pubblica istruzione, poiché non è pensabile che tutta la seduta debba venir consacrata allo svolgimento stesso, si potrebbe anche fissare lo svolgimento di questa interpellanza degli onorevoli Faralli e Barbareschi.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Ricordo che nella seduta di lunedì è stata rinviata la discussione su due mie interrogazioni urgenti, per le quali il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, onorevole Andreotti, si era dichiarato pronto a rispondere. Chiedo che siano poste all’ordine del giorno della seduta antimeridiana di lunedì prossimo, qualora questa sia dedicata alle interpellanze e alle interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Sta bene, se ne prenderà nota, onorevole Macrelli.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che vi è una richiesta del Ministro delle finanze, perché si voglia discutere sia nella seduta della mattina come in quella del pomeriggio di domani e poi anche nella seduta di sabato, il disegno di legge sulla patrimoniale, allo scopo di poterne accelerare l’esame.

Poiché è opportuno concludere anche l’esame di questo progetto di legge prima di sospendere i nostri lavori, ritengo che la richiesta del Ministro debba essere accolta.

Propongo pertanto che le due sedute di domani e quella di sabato siano destinate solo alla discussione sulla patrimoniale.

(Così rimane stabilito).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Propongo che si faccia seduta anche domani sera, per proseguire la discussione sulla patrimoniale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo ai voti questa proposta.

(È approvata).

Domani, allora, si terranno due sedute, alle 10 e alle 17, con l’intesa che la seduta pomeridiana, dopo un intervallo, sarà proseguita nella serata.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della marina mercantile, per sapere quali provvedimenti intendano prendere per la messa in efficienza con massima urgenza dei piccoli porti in Sicilia – e particolarmente dei piccoli porti pescherecci – che sviluppano una grande attività economico-commerciale.

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi di quei dipendenti dell’Università di Perugia (siano essi professori, aiuti, assistenti, ecc.), i quali, in base alle risultanze delle inchieste tecnico-sanitarie, amministrativa ed universitaria, a suo tempo disposte dalle superiori autorità e già concluse, risultino gravemente compromesse nelle malversazioni compiute a danno della Amministrazione degli Ospedali riuniti e Policlinico della su nominata città.

«Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vivono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e della mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia.

«E per sapere – inoltre – se non intenda provvedere con la costruzione d’urgenza di qualche sanatorio, o con l’adattare altri edifici in condizioni di contingenza.

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non reputa giusto ed opportuno concedere qualche facilitazione – dando disposizioni all’intendenza di finanza di Pavia – per l’esazione di imposte dovute dai coltivatori diretti ed agricoltori dei comuni di Miradolo, Chignolo Po, Inverno ed altri vicini, posti in provincia di Pavia, i quali furono colpiti il 22 giugno ultimo scorso da una furiosa grandinata di cui, a memoria d’uomo, non si ricorda l’eguale e per effetto della quale, specie in Miradolo, andarono distrutti totalmente o quasi i vigneti. Il raccolto dell’uva, non solo risulta per quest’anno definitivamente compromesso per molti piccoli agricoltori, ma si richiederanno spese notevoli per il ripristino delle viti, ed anche per l’anno venturo il reddito risulterà diminuito. D’altronde la vite è la coltura prevalente della zona e quindi le spese occorrenti da una parte ed il mancato ricavo dall’altra, pongono i modesti coltivatori in serie difficoltà finanziarie.

«Come le autorità locali, consapevoli del disagio, hanno concesso agevolazioni per la esazione dei tributi locali, così l’interrogante chiede ali Ministro delle finanze se non ritiene equo provvedere perché l’esazione dei tributi erariali, e, specialmente, dell’imposta patrimoniale proporzionale sia congruamente rinviata almeno per le prossime rate, al fine di permettere ai contribuenti di fare i fondi senza ricorrere ad onerose operazioni patrimoniali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferreri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché sia accertata la notizia secondo la quale il comune di Ravello avrebbe dato inizio ai lavori della progettata strada carrozzabile di allacciamento fra la piazza Vescovado (a pochi metri dall’ingresso della Villa Rufolo) e la piazza Fontana, secondo il primitivo progetto, eludendo le cautele e le modifiche che avrebbero dovuto salvaguardare il complesso incomparabile della villa stessa, secondo le assicurazioni del 24 novembre 1946, a seguito della precedente interrogazione a riguardo.

«L’interrogante chiede che siano precisate le eventuali responsabilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere, con riferimento alla risposta data ad una precedente interrogazione, risposta della quale l’interrogante non si reputa del tutto soddisfatto:

1°) se non ritenga opportuno, per evitare il deplorato mercimonio nell’assegnazione di tradotte per il trasporto di legna da ardere, pubblicare un elenco col quale si stabilisca un turno di precedenza;

2°) se non ritenga opportuno prendere analoghe misure anche per l’assegnazione di carri ferroviari, per i quali risulta esercitarsi su vasta scala un illecito traffico;

3°) se non ritenga necessario, a salvaguardia dei funzionari onesti, che fortunatamente sono la grandissima maggioranza, affidare ai carabinieri un’indagine sul tenore di vita dei funzionari da cui dipendono le assegnazioni anzidette per accertare se alcuno di essi si sia disonestamente arricchito;

4°) se frattanto non ritenga opportuno preporre al servizio per l’assegnazione delle tradotte e dei carri ferroviari funzionari al disopra di qualunque possibilità di sospetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno adeguare al valore attuale della moneta le polizze rilasciate ai combattenti della guerra 1915-18, elevando cioè le polizze di lire 1000 a lire 15.000 e quelle di lire 5000 a lire 30.000. All’interrogante sembra che, aderendo alla presente richiesta, si compirebbe un atto di alta giustizia verso i valorosi soldati della prima guerra mondiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere perché si ostina a voler assegnare agli uffici finanziari la casa dell’ex fascio di Viareggio, invece che cederla in uso al Municipio. L’interrogante ricorda che detta casa del fascio fu costruita col contributo dei cittadini e non col denaro dello Stato  e sembra quindi giusto che torni proprietà del popolo di Viareggio, che intende sistemare nell’edificio un ufficio turistico, indispensabile per la vita della città. L’interrogante ricorda inoltre che gli uffici finanziari statali hanno già in Viareggio una sistemazione adeguata e tale da non dover costringere ad occupare un edificio assai più utile, data la sua ubicazione, per lo scopo predetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare a favore dei radianti d’Italia, i quali, in seguito a documentata domanda, hanno avuto un permesso provvisorio di un mese (il solo mese di giugno) per eseguire esperimenti di trasmissioni radiantistiche.

«Tale categoria di studiosi, che ammonta a parecchie migliaia, si è vista vessata dal nefasto regime passato, perché, per quanto la legge 13 agosto 1926, n. 1159, contenesse norme per l’impianto e l’uso di stazioni radioelettriche trasmittenti e riceventi a scopi di esperimento e di studio, in effetto nessuna licenza è stata mai concessa. Ora, in regime democratico e di libertà, si vedono trascurati e anche il recentissimo decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 2 aprile 1947, n. 428, non si interessa per nulla di dette stazioni radioelettriche trasmittenti a scopo di esperimento e di studio.

«È strano che in Italia, a differenza di tanti altri Stati, si continui una forma di ostracismo non giustificata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere i motivi dei ritardi frapposti dai competenti uffici del Ministero nell’espletamento delle pratiche concernenti l’applicazione delle leggi sul credito agrario e particolarmente di quelle che trattano i seguenti argomenti:

1°) da alcuni anni la liquidazione dei contributi statali sui mutui di miglioramento agrario, ammessi al beneficio del concorso dello Stato nel pagamento degli interessi con regolari pareri dei competenti Ispettorati agrari compartimentali e concessi in base a deliberazioni regolarmente approvate dal Ministero, viene, in numerosi casi, sospesa, sebbene i lavori siano stati eseguiti e collaudati dagli Ispettorati agrari anzidetti. Ciò perché sembra che gli uffici preposti alla liquidazione dei detti contributi non siano d’accordo nel definire quali siano le opere, e particolarmente i fabbricati rurali che, in base all’articolo 43 della legge sulla bonifica integrale, possono essere ammessi al beneficio del contributo statale. Il parere tecnico degli Ispettorati agrari e l’interpretazione che del citato articolo 43 è stata uniformemente data anche da parte di coloro che provvidero, a suo tempo, alla formulazione dell’articolo medesimo, avrebbero dovuto far superare qualsiasi incertezza, mentre invece perdura da anni una sospensiva senza dichiarato motivo nel pagamento della quota dovuta per tali operazioni dal Ministero dell’agricoltura, con evidente danno per gli interessati e con grave perturbamento al funzionamento di questa particolare branca di credito;

2°) con l’articolo 3 del decreto legislativo presidenziale 22 giugno 1946, n. 33, è stata disposta la revoca del contributo statale in caso di estinzione dei mutui di ricostruzione e di miglioramento, prima che sia trascorso un quinquennio dalla data d’inizio dell’ammortamento.

«Questa norma che determina una ingiusta sperequazione tra coloro che, per l’esecuzione di opere di miglioramento, disponendo di mezzi propri, possono ottenere un contributo in capitale e coloro che per il raggiungimento delle stesse finalità debbono ricorrere al credito, si vorrebbe applicare anche ai mutui stipulati sotto l’impero di disposizioni che prevedevano e consentivano l’assoluta libertà di affrancare anticipatamente i mutui, rendendo, per tal modo, retroattiva la disposizione stessa, in contrasto con tutti i principî generali del diritto e delle norme che regolano l’applicazione e la interpretazione delle leggi.

«Nel segnalare l’urgente necessità di una precisazione circa l’inapplicabilità della norma anzidetta ai mutui stipulati anteriormente all’emanazione del citato decreto legislativo presidenziale 22 giugno 1946, n. 33, si chiede che la predetta disposizione dell’articolo 3 sia abrogata in quanto questa, oltre ad appesantire il sistema dei mutui agrari, già di per sé ponderoso e costoso, contrasta con le esigenze non solo della vita e del necessario avvicendarsi dei rapporti giuridici, finanziari ed economici, ma anche con le esigenze degli Istituti mutuanti che trovano negli anticipati rimborsi di capitale mutuato un sollievo alle gravi difficoltà che debbono superare per procurarsi i mezzi, oggi ingentissimi, occorrenti per rispondere alle richieste degli agricoltori, ansiosi di ricostruire ed incrementare l’agricoltura italiana.

«Sulle dette richieste, avanzate da quasi un anno, si chiede di conoscere il pensiero dell’onorevole Ministro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, perché si compiacciano far conoscere il proprio divisamento sui punti di cui appresso:

1°) estensione – ai soli fini del godimento dello speciale trattamento economico di cui all’articolo 5 del regio decreto-legge 14 maggio 1947, n. 384 – anche agli ufficiali generali del beneficio dell’elevazione dei limiti di età, già previsto nello stesso articolo 5 per gli ufficiali superiori.

«Al riguardo si osserva che per gli ufficiali generali, mancando per essi un ruolo mobilitazione, l’adeguamento potrebbe esser fatto rispetto ai limiti di età fissati per i corrispondenti gradi dei ruoli servizio, il cui riferimento non sarebbe una innovazione in quanto è già contemplato nell’ultimo comma del predetto articolo 5;

2°) adeguamento del trattamento economico summenzionato agli aumenti di stipendio concessi successivamente al 16 giugno 1946 (su questo punto l’interrogazione è rivolta in particolare al Ministro del tesoro);

3°) estensione dell’uso del libretto ferroviario agli ufficiali collocati nella riserva, in applicazione del citato decreto sullo sfollamento dei quadri per il tempo in cui tali ufficiali godono dello speciale trattamento economico previsto in detto decreto;

4°) adeguamento all’attuale costo della vita dell’indennità di riserva prevista dall’articolo 48 della legge 9 maggio 1940, n. 369, la quale indennità, se in un primo tempo aveva una effettiva consistenza, oggi ne ha una del tutto irrisoria (anche su questo punto la interrogazione è rivolta in particolare al Ministro del tesoro). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda risolvere la pratica, da lungo tempo pendente, per la nazionalizzazione del Museo di Reggio Calabria, tenuto presente che da molti mesi è stata stipulata una convenzione fra lo Stato ed il comune di Reggio e che è urgente per la vita stessa di quel Museo troncare ogni incertezza sul suo avvenire. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:

  1. a) se intende eliminare il contrasto risultante dal criterio adottato nell’ordinanza ministeriale n. 6790 del 31 maggio 1947, circa ha valutazione del servizio provvisorio prestato nei corsi di avviamento professionale – considerato nella sola durata – e di quello, anch’esso provvisorio, dell’ordine elementare, considerato invece nella durata e nella qualità, in modo che non si determini una condizione di privilegio di una categoria ai danni dell’altra, trattandosi dello stesso ordine di scuola e non essendovi sostanziale differenza ai fini della classificazione annuale di merito;
  2. b) se nei prossimi bandi di concorso, per conferimento di cattedre in tutti gli ordini di scuola, sia stata tenuta presente la speciale categoria dei cennati insegnanti non di ruolo incaricati nei corsi di avviamento in base ad annuale selettiva graduatoria e siano state o siano per essere emanate a favore della stessa provvidenze intese a facultarne l’immissione nel ruolo, tenendo presente che l’insegnamento delle materie di cultura generale nei corsi è stato sempre demandato ad insegnanti elementari di ruolo, in base alle leggi 7 gennaio 1929, n. 8; 22 aprile 1932, n. 490; regio decreto-legge 22 dicembre 1932, n. 1964; 27 gennaio 1933, n. 153 e 29 giugno 1933, n. 1015, o ad insegnanti elementari non di ruolo incaricati anno per anno;
  3. c) se intende disporre in ogni caso, come appare equo, che la cennata attività scolastica prestata nei corsi di avviamento, in via di incarico annuale, sia equiparata senza alcuna disparità a quella provvisoria espletata nell’ordine elementare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento di una interrogazione.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947 n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 17 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Presidente

Crispo

Cappi

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Bonomi Paolo

Corbino

Tosi

Scoca

De Mercurio

Bosco Lucarelli

Pesenti

De Vita

Dugoni

Micheli

Jacini

Arcaini

Chiostergi

Zerbi

Caroleo

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.35.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una proposta di sospensiva che porta la firma dell’onorevole Crispo e di altri 15 colleghi, numero prescritto dall’articolo 93 del Regolamento, il quale stabilisce appunto:

«La questione sospensiva, quella cioè che rinvia la discussione, e la questione pregiudiziale, quella cioè che un dato argomento non si abbia a discutere, possono essere proposte da un singolo deputato prima che si entri nella discussione della legge; ma, quando questa sia già principiata, devono essere sottoscritte da 15 deputati. Esse saranno discusse prima che s’entri o che si continui nella discussione; né questa si prosegue, se prima la Camera non le abbia respinte.

«Due soli deputati, compreso il proponente, potranno parlare in favore e due contro».

Dovrò ora controllare la presenza dei firmatari della proposta di sospensiva.

CRISPO. Mi perdoni, onorevole Presidente, non mi pare che il Regolamento, per questa questione, richieda la presenza dei sottoscrittori. Il Regolamento, a proposito di emendamenti e di altre questioni, richiede la presenza dei firmatari, ma nell’articolo 93 non si trova alcuna disposizione che imponga la presenza dei sottoscrittori.

PRESIDENTE. Ad ogni modo, la presenza è certamente richiesta, perché evidentemente, si deve controllare tra l’altro anche l’autenticità della firma, e questo può farsi soltanto se il deputato è presente e risponde positivamente.

È quindi necessario, onorevole Crispo, fare questa constatazione.

(Segue l’appello dei firmatari).

Comunico all’Assemblea che dall’appello dei firmatari risulta che la presenza dei quindici deputati prescritti non è stata constatata.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Se permette, signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla disposizione precisa dell’articolo 93.

Invano si cercherebbe, signor Presidente, onorevoli colleghi, nell’articolo 93, o negli articoli successivi del Regolamento una qualunque norma che imponesse la presenza nell’Aula dei sottoscrittori dell’ordine del giorno col quale si solleva la questione pregiudiziale.

Lei è di parere contrario, ma io mi permetto di farle notare, signor Presidente, che, a proposito delle altre questioni e a proposito degli emendamenti, il Regolamento prescrive che i sottoscrittori debbano essere presenti a pena di decadenza; sicché potremmo invocare il noto principio che dove la legge volle disse, dove non volle tacque; perché si tratterebbe di una norma restrittiva dell’esercizio d’un diritto. Innegabilmente, senza la norma espressa, non si può dire che occorra la presenza, perché questa presenza mancata si risolverebbe in un divieto di discutere la questione sollevata. Ora, quale è questa norma? Né mi pare che invocare una prassi contro la mancanza di una norma specifica possa essere ammesso; ed inoltre occorrerebbe che si documentasse in quali casi simiglianti si è ricorso a questa prassi.

Quindi, a mio modesto avviso, interpretando e la lettera e lo spirito della legge, basta la sottoscrizione dell’ordine del giorno senza che sia richiesta la presenza.

Il signor Presidente ha fatto un’osservazione: ha detto che la presenza potrebbe, se non altro, essere richiesta per il controllo dell’autenticità delle firme. Non credo che si possa sollevare una questione di questo genere. Se io, che ho presentato l’ordine del giorno, dichiaro che personalmente ho raccolto le firme dei sottoscrittori, non mi pare che si possa sollevare una questione di questo genere.

PRESIDENTE. Mi rimetterò al giudizio dell’Assemblea intorno alla necessità o meno della presenza dei sottoscrittori della domanda di sospensiva. Ma faccio osservare all’onorevole Crispo che v’è nell’articolo stesso del Regolamento l’indicazione di quella che poi è stata la prassi alla quale mi richiamo.

Basta leggere l’articolo. Esso dice che prima che si inizi la discussione basta la richiesta di un deputato; durante la discussione – il che implica la presenza di deputati – è necessario che la pregiudiziale sia sottoscritta da quindici deputati. Evidentemente quindici deputati devono essere presenti durante la discussione. Lei, onorevole Crispo, ha garantito l’autenticità delle firme, e un’affermazione di questo genere non si mette in dubbio. Ma è evidente che il deputato potrebbe aver mandato anche per lettera la sua adesione alla pregiudiziale; e allora il deputato è assente e non presente. Mi pare quindi che la sua interpretazione non sia giusta.

CRISPO. Per non lasciare senza risposta la sua acuta osservazione, mi permetto di rilevare questo: che la differenza tra il momento iniziale, nel quale la questione sia sollevata, e il momento intermedio del corso della discussione non attiene alla questione da noi sollevata. Il pensiero del Regolamento è chiaro: basterà la firma di un solo deputato; un solo deputato può sollevare questa questione. È evidente invece che se la discussione è in corso, il Regolamento non si accontenta della volontà di un solo deputato, ma esige come condizione che almeno quindici deputati, per la importanza che la questione assume nel corso della discussione, presentino la richiesta.

Ad ogni modo ritiro la domanda, riservendomi di ripresentarla in altro momento.

PRESIDENTE. Proseguiamo allora nell’esame degli emendamenti ai vari articoli.

Siamo all’articolo 33. Se ne dia lettura nel testo del Governo, accolto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per quanto riguarda i cespiti, la dichiarazione deve indicare:

  1. a) per i terreni – compresi i fabbricati rurali – il comune e la località in cui sono situati, il numero e la intestazione della partita catastale, la superficie, le colture, il reddito imponibile ai fini dell’imposta terreni e, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario;
  2. b) per i fabbricati, il comune in cui sono situati, la via ed il numero civico, la destinazione, il numero dei piani e dei vani, il reddito imponibile ai fini della imposta sui fabbricati.

«Per i terreni e fabbricati acquisiti dopo il 10 giugno 1940, deve indicarsi anche il titolo di acquisto;

  1. c) per i censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo, il titolo costitutivo, le generalità del debitore e l’ammontare annuo;
  2. d) per le miniere, cave, torbiere, saline, tonnare, laghi e stagni da pesca, il comune e la località in cui sono situati, le attrezzature fisse e gli strumenti;
  3. e) per le opere in corso di costruzione, l’ubicazione, lo stato di avanzamento dei lavori alla data del 28 marzo 1947 e il capitale investito;
  4. f) per le aree fabbricabili, il comune in cui sono situate, il numero e l’intestazione della partita catastale, l’ubicazione, l’estensione e le condizioni dell’area e le eventuali opere in essa eseguite;
  5. g) per le aziende industriali e commerciali, la elencazione dei diversi elementi, attivi e passivi, che le compongono, come il macchinario, le attrezzature, i mobili, gli arredamenti, i crediti, i brevetti ed altri titoli di privativa, i titoli che fanno parte dell’azienda, secondo le risultanze dell’inventario, aggiornato alla data del 28 marzo 1947 od, in mancanza, di un inventario da redigersi ai fini del presente decreto. Le esistenze di magazzino devono risultare da inventario separato ed analitico, con l’indicazione della qualità, quantità e prezzo unitario per ogni tipo di merce;
  6. h) per le quote di partecipazione in società, la denominazione e la sede della società;
  7. i) per i titoli pubblici e privati, la indicazione, per ogni tipo di titoli, dell’ente emittente, della qualità, del taglio e del numero;
  8. l) per i depositi e conti presso istituti di credito e casse postali, l’ente depositario, gli estremi del deposito o conto ed il saldo alla data del 28 marzo 1947;
  9. m) per i crediti, il titolo costitutivo, l’ammontare, anche, se scaduto, da esigere alla data del 28 marzo 1947, le generalità ed il domicilio del debitore, con la specificazione delle eventuali circostanze di fatto che ne lascino presumere la perdita totale o parziale;
  10. n) per ogni altro cespite non elencato nel presente articolo, la consistenza, le caratteristiche ed ogni altro elemento necessario od utile per la sua identificazione.

Un primo emendamento, proposto dall’onorevole Bonomi Paolo, è così concepito:

«Sostituire la lettera a) con la seguente:

  1. a) per i terreni – compresi i fabbricati rurali – il comune e la località in cui sono situati, la intestazione della partita catastale, la superficie, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario».

Questo emendamento dell’onorevole Bonomi è stato già svolto.

Altri tre emendamenti, alle lettere a), b) ed i) sono stati presentati dall’onorevole Cappi, ed altri. Gli emendamenti sono del seguente tenore:

«Alla lettera a), sopprimere le parole: le colture, il reddito imponibile ai fini dell’imposta terreni e, se il terreno è dato in fitto, il canone e le generalità dell’affittuario».

«Alla lettera b), sopprimere le parole: il reddito imponibile ai fini dell’imposta sui fabbricati».

«Alla lettera i), sopprimere le parole: della qualità, del taglio e del numero».

Cappi, Perlingieri, Tosato, Uberti, Quarello, Montini, Di Fausto, Balduzzi, Valenti, Coppi, Bulloni.

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere gli emendamenti.

CAPPI. Sembrano emendamenti piccoli, ma hanno la loro importanza. Non avrei insistito se non avessi saputo ufficiosamente che la Commissione ha dichiarato di non accettarli.

In Italia le tasse non sono molto volentieri pagate. Bisogna cercare almeno di rendere meno difficile ai contribuenti questo adempimento del loro dovere.

Per i terreni, richiamo l’attenzione sull’obbligo di denunciare le colture delle singole particelle catastali e il reddito imponibile. Chi per pratica professionale ha visto un atto di acquisto, si accorge che ci sono qualche centinaia di particelle catastali che hanno la loro denominazione: arborato, seminativo, ecc. Intendiamoci bene, specificazioni che molte volte non rispondono, per le modificazioni intervenute nelle colture, alla realtà.

Ora, domando, costringere un medio, un piccolo proprietario ad andare magari all’archivio notarile per pescare il vecchio atto di acquisto, oppure andare al catasto per indicare particella per particella la qualità della coltura ed il reddito imponibile, mi sembra una fatica eccessiva inutile.

Dato il sistema di accertamento, che è accertamento tecnico, presuntivo, essendo la Commissione catastale che determinerà il valore dei terreni, zona per zona, insisto su questo emendamento con il quale propongo di sopprimere le generalità dell’affittuario. Però su questo capisco che non è una grande fatica e si potrebbe anche lasciare, perché poco male, mettere il nome dell’affittuario.

Per i fabbricati vorrei sopprimere, per le stesse ragioni di semplificazione, la specificazione del reddito imponibile, in quanto esso varia. Per essere sinceri, si dovrebbe costringere ad andare negli uffici finanziari. È una fatica inutile, quindi insisto sul mio emendamento.

Per quanto riguarda l’emendamento alla lettera i) non capisco la notizia dell’opposizione della Commissione. Si dice che per i titoli azionari bisogna specificare la qualità, il taglio ed il numero.

Quanto alla qualità delle azioni posso consentire, perché vi sono azioni privilegiate, ordinarie, ecc. le quali hanno un valore diverso. Quindi è giusto che il contribuente dichiari, se sono di una o di un’altra qualità, ma per il taglio, che cosa interessa al fisco se uno ha cento azioni Fiat in un certificato solo o le ha in dieci certificati da dieci azioni? A me pare che si potrebbe sostituire una dizione molto semplice «denuncia della quantità e della qualità delle azioni»; questa la capisco.

PRESIDENTE. Però il suo emendamento è soppressivo. Lei non ha fatto un emendamento modificativo.

CAPPI. Sostituire la dizione con questa ora enunciata.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio, così formulato:

«Tra le lettere b) e c), dopo la parola: acquisto, aggiungere: la composizione e il presuntivo valore delle scorte del fondo, bestiame, macchinari, attrezzi di qualsiasi natura, ecc.».

Non essendo presente l’onorevole De Mercurio, decade dal diritto di svolgere il suo emendamento.

Il Relatore onorevole La Malfa ha facoltà di esporre il pensiero della Commissione sugli emendamenti presentati.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non ha difficoltà a sopprimere qualcuna delle indicazioni contenute nella lettera a), per esempio il numero catastale, la superficie, anche le colture.

Quanto al reddito imponibile, la Commissione non può aderire alla proposta del presentatore dell’emendamento, perché siccome c’è una liquidazione provvisoria di imposta, occorre che gli uffici finanziari abbiano questa indicazione per risparmiare la revisione di tutte le dichiarazioni. D’altra parte noi non crediamo che la denuncia del reddito imponibile si rilevi dall’ultima cartella esattoriale. Quindi per quanto riguarda il reddito imponibile sia per i terreni, sia per i fabbricati, la Commissione pregherebbe di non insistere nell’emendamento.

L’emendamento De Mercurio non può essere accettato perché la valutazione delle scorte viene fatta per mezzo di coefficienti. Non si può inserire una disposizione per cui si devono denunciare le scorte a partire dal 10 giugno 1940, senza turbare il sistema generale di accertamento delle scorte.

Per quanto riguarda la lettera i), mi pare che il numero non significhi quello che contraddistingue l’azione; significa la quantità. Accogliendo in parte l’emendamento dell’onorevole Cappi, si potrebbe quindi dire: «qualità, quantità e taglio».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Per semplicità mi associo alle conclusioni del Relatore, sottolineando che, quando si parla di numero di azioni, per quanto riguarda la lettera effettivamente si vuol fare riferimento alla quantità delle azioni. Per quanto riguarda il taglio, l’indicazione non è indispensabile: però, siccome penso che non vi sia grande difficoltà ad apporla, prego l’onorevole Cappi di non insistere per la soppressione.

L’indicazione del taglio può rappresentare una difficoltà solo quando il contribuente, al momento della dichiarazione, non abbia sottomano materialmente i titoli, cioè, quando questi siano a dossier presso una banca o a deposito. Vorrei si tenesse presente che si tratta di un complesso di indicazioni, che si raccomandano, sovrattutto, alla diligenza del dichiarante, in quanto non esiste un sistema di sanzioni per l’ipotesi che manchi qualcuno di questi elementi

Per quanto riguarda le modifiche richieste alla lettera a), preferirei, onorevole Relatore, che venisse mantenuta la indicazione della coltura, non quale risulta dai registri catastali, ma quale è in realtà. Ciò significa assicurare due vantaggi: primo, facilità per il contribuente di dichiarare, perché non si tratta di andare a cercare nei registri catastali, ma di indicare la realtà: secondo, fornire il mezzo all’Amministrazione finanziaria per rintracciare le differenze fra risultanze catastali e colture effettive

In ogni modo, per semplicità, mi rimetto alle conclusioni del Relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione sugli emendamenti.

L’onorevole Bonomi insiste nel suo emendamento?

BONOMI PAOLO. Accetto le conclusioni del Relatore.

PRESIDENTE. Si contenta della soppressione del «numero»?

BONOMI PAOLO. Del «numero» e delle «colture». Rinunzio alla soppressione delle parole «del reddito imponibile, ai fini dell’imposta terreni».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei pregare l’onorevole Ministro di non insistere nella richiesta delle «colture», per una ragione di principio generale di finanza. È canone fondamentale della finanza di non ostacolare le trasformazioni fondiarie per un certo periodo di tempo. Se noi oggi assegniamo un terreno alla classe corrispondente alla coltura attuale, che può rappresentare un progresso rispetto alla coltura di 4-5 anni fa, veniamo ad infrangere questo canone fondamentale che non è soltanto di finanza, ma anche di economia agraria.

Ecco perché ritengo che ai fini della determinazione del valore del terreno, debbono essere prese le colture risultanti dal catasto. L’Amministrazione si aggiorni col catasto.

Non creiamo un precedente così grave, che, per dare una piccolissima frazione d’imposta allo Stato, crea uno stato di incertezza, che, secondo me, è lesivo al progresso dell’economia agraria italiana.

Quindi, faccio mio, qualora il proponente lo ritiri, l’emendamento relativo alle colture. E se il Ministro insiste, io voterò a favore dell’emendamento.

LA MALFA, Relatore, Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione deve ritornare sull’articolo 12, che forse chiarisce il problema: e vorrei sentire dal Governo che interpretazione dà di questo articolo che dice

«Contro le valutazioni dei terreni eseguite dagli uffici distrettuali delle imposte dirette, coi coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondano alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette».

Quindi c’è possibilità di revisione, sia per parte dell’Amministrazione, che in favore del contribuente. Evidentemente la richiesta della indicazione di coltura è in relazione a questo articolo e chiedo appunto al Governo di dare un chiarimento al riguardo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELEA, Ministro delle finanze. Quando pregavo, un momento fa, di mantenere la parola: «le colture» e ne indicavo le ragioni, indirettamente rispondevo e risolvevo la domanda che pone ora l’onorevole Relatore.

Il terreno deve essere colpito nella sua consistenza colturale al 28 marzo 1947, quindi non potrei accedere all’ordine di idee dell’onorevole Corbino, che desidera che si faccia riferimento alla coltura, così come risulta dal catasto. La coltura che deve essere presa in considerazione è quella del 28 marzo 1947, ed è per questo che vorrei pregare l’onorevole Bonomi di non insistere per la soppressione delle parole «le colture», dato che costituiscono una indicazione essenziale per poter arrivare ai controlli necessari ed alla valutazione definitiva.

Se l’onorevole Bonomi insistesse nel voler sopprimere le parole «le colture», non potrei che dare parere contrario al suo emendamento; se invece egli non insiste per la soppressione di queste parole, l’emendamento ha il parere favorevole del Governo

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, insiste nel suo emendamento, anche per la soppressione delle parole «le colture»?

BONOMI PAOLO. Insisto nell’emendamento, anche per quanto riguarda la soppressione delle parole «le colture».

PRESIDENTE. Porrò allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo alla cui ultima parte si è associato l’onorevole Corbino.

Prego l’onorevole Bonomi Paolo di voler formulare definitivamente il suo emendamento.

BONOMI PAOLO. Il mio emendamento consiste nella soppressione, alla lettera a), delle parole: il numero, la superficie, le colture.

CORBINO. Ma togliendo l’indicazione del numero, si viene a togliere il solo elemento che indica la partita agli effetti del catasto, perché ogni partita ha un numero.

BONOMI PAOLO. Vorrebbe obbligare i contadini ad andare dal notaio a cercarsi i loro numeri?

TOSI. Ma si tratta del numero catastale di ogni particella, non del numero della partita, onorevole Corbino

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Volevo dichiarare, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che non possiamo accettare la soppressione dell’indicazione delle colture, perché, se ciò facessimo, ci metteremmo in contrasto col contenuto di una disposizione che abbiamo già approvato.

D’altra parte, volevo osservare all’onorevole Corbino che, è vero che è un principio di economia finanziaria e di economia agraria quello che egli ha menzionato: però noi ci troviamo di fronte ad una imposta straordinaria, che si esige una volta tanto. Quindi, il ricordato principio non resta vulnerato nella legislazione ordinaria.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Bonomi, cioè la soppressione, nella lettera a) delle parole: il numero la superficie, le colture.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

LA MALFA, Relatore. Poiché la Commissione ha accettato alcune soppressioni, prego il Presidente di mettere ai voti la soppressione delle parole: «il numero» e «la superficie».

PRESIDENTE. Pongo ai voti tale soppressione.

(È approvata).

L’emendamento dell’onorevole Cappi alla lettera a) si intende assorbito.

Passiamo alla lettera b) sulla quale vi è un emendamento dello stesso onorevole Cappi, per il quale la Commissione ha espresso parere contrario.

CAPPI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo un chiarimento dalla Commissione e dal Governo. Vi sono i fabbricati esenti da imposta e per i quali il reddito imponibile non esiste. Bisognerebbe quindi che si trovasse un sistema di farli accertare d’ufficio oppure, di farli concordare fra il contribuente e l’Ufficio delle imposte.

LA MALFA, Relatore. C’è l’ultimo comma dell’articolo 34.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero far presente che la maggior parte dei fabbricati esenti da imposta hanno un reddito netto imponibile, già determinato e iscritto al catasto, con l’annotazione «esente per venticinque anni» o soggetto a tassazione graduale. Esiste, però, un residuo di fabbricati esenti da imposta che non hanno ancora avuto l’accertamento del reddito, e per questi è valida l’osservazione dell’onorevole Corbino.

Vuol dire che in questo caso non si può indicare il reddito, perché non è stato determinato.

CORBINO. Io mi preoccupo del fatto che, siccome la maggioranza dei fabbricati che si trovano in queste condizioni hanno degli imponibili elevati, noi caricheremo gli Uffici catastali di una richiesta di notizie che essi non saranno in grado di assolvere. Bisognerebbe perciò mettere il contribuente in grado di fare comunque la denuncia, salvo ad integrarla coi documenti del catasto.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio così formulato:

«Tra le lettere b) e c), dopo la parola: acquisto, aggiungere: la composizione e il presuntivo valore delle scorte del fondo, bestiame, macchinari, attrezzi di qualsiasi natura, ecc.».

La Commissione ha espresso parere contrario. L’onorevole De Mercurio mantiene il suo emendamento?

DE MERCURIO. Desidero far presente che la Commissione ha ritenuto che la dizione da me proposta facesse parte dell’ultimo comma lettera b) dell’articolo 33, e che quindi non si riferisse a quei terreni e fabbricati di cui si tratta. La Commissione ha ritenuto che io volessi aggiungere l’emendamento a questo comma, mentre io desidero che esso formi un articolo a sé stante, ed allora il mio emendamento cambierebbe fisionomia. In questo caso la Commissione dovrebbe riesaminare se fosse possibile accoglierlo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. Se non ho inteso male, l’onorevole De Mercurio vorrebbe che si facesse un accertamento diretto delle scorte e quindi che ci fosse una dichiarazione originaria della consistenza delle scorte medesime, mentre, così come è stato redatto l’emendamento, si tratterebbe di una dichiarazione di scorte relative ai contratti fatti dopo il 10 giugno 1940.

Ora, alla proposta dell’onorevole De Mercurio, osta la disposizione dell’articolo 9, già approvato, relativamente al secondo comma. La ragione per cui gli uffici finanziari applicano il coefficiente per le scorte, è la difficoltà dell’accertamento diretto delle scorte dei terreni. Si tratterebbe quindi di ritornare sull’articolo 9 e di cambiare tutto il sistema. La Commissione prega l’onorevole proponente di non insistere.

DE MERCURIO. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Cappi ed altri, che – come l’Assemblea ricorda – è così formulato:

«Alla lettera i), sopprimere le parole: della qualità, del taglio e del numero».

La Commissione ha proposto di sopprimere le parole «e del numero» e di adottare invece la seguente dizione: «della qualità, della quantità e del taglio». Il Governo ha espresso parere favorevole a questa proposta.

Pongo pertanto ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, con la modifica proposta dalla Commissione e accettata dal Governo.

(È approvato).

L’articolo 33 risulta pertanto approvato con gli emendamenti testé votati.

Passiamo ora all’articolo 34. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ai fini della liquidazione provvisoria, i cespiti assoggettati all’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello iscritto nei ruoli dell’imposta medesima, anche se l’iscrizione è stata operata al nome di altre persone, in conformità a quanto disposto negli articoli 3, 4, 5 e 14 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, e negli articoli 3 e 4 del presente decreto.

«I terreni non assoggettati ad imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello ottenuto dalla capitalizzazione al 100 per 5 del reddito risultante dalla revisione disposta con regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, moltiplicato per 10.

«I fabbricati non assoggettati ad imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947 possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello risultante dalla capitalizzazione al 100 per 5 del reddito catastale, moltiplicato per 5».

PRESIDENTE. Al primo comma, l’onorevole Bosco Lucarelli propone il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ai fini della liquidazione provvisoria, i cespiti assoggettati all’imposta ordinaria sul patrimonio saranno denunziati al valore al 1° luglio 1940 maggiorato di 10 volte per i terreni e di 5 volte per i fabbricati».

L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Il mio emendamento tende a chiarire una posizione di fatto.

Come tutti sanno, questo articolo, come l’articolo 68, si fonda sull’imposta ordinaria patrimoniale che fu istituita con decorrenza primo luglio 1940.

Nel 1943, per il triennio 1944-46, fu stabilito, dal decreto-legge 24 giugno 1943, che si sarebbe dovuta conservare, come norma di tassazione, la media del valore venale del triennio 1937-39. Ora, se è esatto quello che mi è stato riferito, in molti uffici distrettuali, in base a questa disposizione, non fu fatto nessun aumento. Quindi, nel triennio 1937-39, furono riprodotti come imponibili i valori del triennio precedente. Viceversa, in altri uffici distrettuali delle imposte dirette, come quello di Benevento, fu nel 1944 proceduto ad una rivalutazione dell’imponibile, moltiplicando per quattro e per cinque volte l’imponibile del triennio 1937-39, di modo che, quando colla nuova disposizione del decreto legislativo 31 ottobre 1946 è stata stabilita una maggiorazione del 10 per cento sui terreni e del 5 per cento sulle case, questa maggiorazione è avvenuta non sull’accertamento e sull’imponibile del 1940, che si riportava al 1936-39; ma viceversa è avvenuta sul reddito già maggiorato di quattro volte. Per cui, attualmente, almeno nell’ufficio distrettuale delle imposte di Benevento, quello che era stato l’imponibile dell’imposta patrimoniale al 1° luglio 1940, risulta moltiplicato per quaranta volte per i terreni e per venti volte per le case.

Io ho fatto presente ai vari Ministri delle finanze questa posizione di fatto, per cui l’imposta ordinaria sul patrimonio del 1947, almeno nel distretto di Benevento, è pagata su questa base e siccome non vi è stato l’avviso ai contribuenti – ma questi hanno avuto notizia attraverso l’avviso dell’esattore – molti contribuenti, avuto l’avviso dell’esattore, si sono resi parte diligente recandosi all’Ufficio distrettuale delle imposte, che tuttavia ha sconsigliato qualsiasi reclamo, dichiarando che era un’applicazione tassativa di norme di legge.

Ora, per evitare questa sperequazione, se effettivamente vi è stata, ed anche per avere un criterio certo di valutazione io mi ero permesso di proporre questo emendamento, il quale chiarisce in maniera certa per tutti i contribuenti italiani quale dev’essere l’imponibile base da moltiplicarsi per dieci e per cinque, per assodare quella che è l’imposta ordinaria del 1947, su cui si basa l’imposta straordinaria proporzionale e anche quella progressiva per la denunzia, che deve fare il contribuente. Per la progressiva questo ha un’importanza molto relativa perché si tratta di una norma di denunzia, ma per quella che viceversa è la proporzionale evidentemente la cosa è diversa, perché la proporzionale ha un valore assoluto e quindi, per l’articolo 68, ha anche una maggiore influenza.

Chiedo pertanto i necessari chiarimenti all’onorevole Relatore della Commissione e all’onorevole Ministro.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole La Malfa a esprimere l’avviso della Commissione sull’emendamento.

LA MALFA, Relatore. Esiste effettivamente la questione sollevata dall’onorevole Bosco Lucarelli, nel senso che, nell’iscrivere l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale, sono avvenute, applicando i coefficienti 10 e 5, delle sperequazioni in quanto molte volte la finanza aveva già per suo conto riveduto molti valori che sono venuti per tal modo ad essere rivalutati eccessivamente.

Mi pare tuttavia che l’onorevole Ministro abbia già dato assicurazioni in proposito assai precise, promettendo che saranno riveduti tutti i redditi e tutti gli imponibili sotto questo riguardo. Io credo, ad ogni modo, che si possa fare un passo avanti in sede di imposta straordinaria proporzionale e il Governo potrà forse dirci se sia possibile fissare una data a partire dalla quale siano applicabili i coefficienti 10 e 5.

La Commissione prega pertanto l’onorevole Bosco Lucarelli di dover consentire il rinvio della questione in sede di imposta straordinaria proporzionale.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, ella ha udito quanto chiede l’onorevole Relatore della Commissione. Acconsente?

BOSCO LUCARELLI. Acconsento, salva la questione del coordinamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra venuto il momento di chiarire una situazione su cui, da diverso tempo, si insiste e sulla stampa e qui nell’Assemblea, perché probabilmente esiste ancora qualche malinteso in materia. Debbo rifare la storia della determinazione di tutti questi imponibili.

Esiste una legge, in data 12 ottobre 1939, la quale istituisce un’imposta ordinaria sul patrimonio. Il sistema fondamentale della legge è quello di valutare gli immobili di triennio in triennio, sulla base dei valori del triennio antecedente. Orbene, per il primo triennio di applicazione – circostanza su cui richiamo particolarmente l’attenzione dei Colleghi, in quanto essa serve a chiarire molti dei malintesi che si sono determinati – per il primo triennio di applicazione, dicevo, la Amministrazione finanziaria diede istruzioni perché, in linea di massima, venissero assunti quali valori imponibili, anziché quelli medi del triennio 1937-39, così come avrebbe dovuto esser fatto secondo la legge fondamentale, i vecchi imponibili assunti ai fini del prestito redimibile 3,50 per cento, di cui al decreto 5 ottobre 1936.

La maggior parte, quindi, degli imponibili dei cespiti immobiliari alla fine del primo triennio riflette i valori dell’ottobre 1936, o meglio quelli che sono venuti a determinarsi in anni precedenti. È esatto che successivamente è venuto il decreto del giugno 1943 il quale, per andare incontro alle richieste dei contribuenti che, per il nuovo triennio, avrebbero dovuto essere tassati sulla base non più del triennio 1937-39, ma su quella del triennio 1940-42, diede valore ancora alla media del triennio 1937-39.

Ma a questo punto nasce un equivoco; la media del triennio 1937-39 non costituisce una ripetizione di quei valori che erano stati assunti provvisoriamente ai fini del primo triennio.

Vi è pertanto un primo ordine di rettifiche (definite per concordati o per decisioni) che sono legittimamente nello spirito del decreto del 1943, cioè di adeguamento ai valori del triennio 1937-39.

Per questi aumenti, nulla vi è da eccepire, perché si è in pieno nel sistema del riferimento al triennio dell’anteguerra.

Vi è, invece, un secondo ordine di rettifiche in aumento, derivanti, al Nord, da applicazioni di leggi repubblichine, e nelle altre Regioni da rettifiche che sono state promosse ancora prima che il decreto del 1943 potesse trovare attuazione, oppure, comunque, da errori di diverso genere.

Per questo secondo ordine di rettifiche – che è, poi, quello che pone il problema della perequazione – ho il piacere di ripetere che il Ministero ha provveduto, per quanto riguarda i fabbricati, con una circolare diramata il 19 giugno 1947, con cui si dispone che tutti gli Uffici delle imposte possano ricevere domande di rettifiche, purché proposte entro il 31 dicembre 1947; e per quanto riguarda i terreni, con successiva circolare ministeriale – dato che il sistema catastale dei terreni può permettere un’automatica rettifica d’ufficio – disponendo che là ove si sono verificati aumenti in dipendenza del secondo ordine di considerazioni, siano gli Uffici stessi a rettificare i valori imponibili. Cosicché dovrebbero automaticamente eliminarsi le sperequazioni di cui giustamente si è fatto carico l’onorevole Bosco Lucarelli.

Questo desideravo far presente fin da questo momento; per quanto sia perfettamente d’accordo che la questione può meglio riallacciarsi all’imposta proporzionale del 4 per cento. Mi è sembrato opportuno approfittare dell’occasione perché è giusto che si chiarisca, il più presto possibile, questo complesso di malintesi che si è creato intorno alla questione.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 34 si intende approvato.

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La nuda proprietà ed i diritti di usufrutto, uso ed abitazione possono essere dichiarati per un valore non inferiore a quello risultante dalla ripartizione, operata in conformità a quanto disposto dall’articolo 14, del valore della piena proprietà determinato a mente dell’articolo precedente».

A questo articolo non sono stati presentati emendamenti, e quindi si intende approvato.

Passiamo all’articolo 36. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le azioni non quotate in borsa e le quote di partecipazione in società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, in società di fatto, in associazioni ed enti sono dichiarate per il valore accertato ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1946 o, in mancanza di accertamento definitivo ai fini di detta imposta, in base al valore complessivo iscritto al nome della società, associazione od ente agli effetti dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947.

«Le quote di partecipazione in navi italiane sono dichiarate in base al valore complessivo della nave, stabilito agli effetti dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947».

PRESIDENTE. Neppure a questo articolo sono stati presentati emendamenti, e pertanto si intende approvato.

Vi è ora la proposta di un articolo 36-bis, presentata dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa e Valiani. Ne do lettura:

«Chiunque, privato o ente, possiede azioni od obbligazioni, depositi e conti presso aziende di credito, è tenuto a presentarne dichiarazione, anche se non raggiunge il minimo stabilito dall’articolo 30.

«Tale obbligazione non si applica per i depositi e i conti di ammontare inferiore alle lire 150.000.

«È fatto obbligo alle aziende di credito di non autorizzare l’uso dei depositi e dei conti o il pagamento degli interessi senza presentazione da parte del depositante di copia della avvenuta dichiarazione vistata dall’ufficio competente.

«Lo stesso obbligo esiste per le società riguardo il pagamento dei dividendi o interessi o per l’esercizio del diritto di voto.

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea.

«Le aziende di credito che contravvengono alle disposizioni dei commi precedenti sono soggette alla pena pecuniaria pari al doppio delle somme indebitamente corrisposte.

«Le società che contravvengono alle disposizioni dei commi precedenti sono soggette ad una pena pecuniaria pari al 50 per cento del valore del titolo non denunciato.

«I titoli non denunciati sono dichiarati non trasferibili e soggetti a confisca».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PESENTI. Onorevoli colleghi, l’obbligo di dichiarare i titoli pubblici e privati, con le indicazioni per ogni tipo di titoli, dell’ente emittente, della qualità, del taglio e del numero, stabilito dall’articolo 33, non sarebbe sufficiente se noi non trovassimo dei modi per renderlo efficace.

A questo dovrebbe ovviare il proposto articolo 36-bis, che stabilisce due obblighi distinti: l’obbligo per il privato possessore dei titoli di denunciare i titoli posseduti, anche se non raggiungono, nel complesso, il minimo imponibile e il minimo per la dichiarazione stabilita dall’articolo 33; e l’obbligo per le società di aderire alla richiesta dell’Amministrazione di indicare i possessori dei titoli azionari, quali essi risultano all’ultima assemblea.

Io ritengo che l’articolo 36-bis sia necessario, perché lo schedario dei titoli azionari – che pure viene alacremente tenuto al corrente delle variazioni – non può essere garanzia sufficiente che vengano scoperti e individuati i possessori di titoli azionari.

Pertanto mi pare chiaro che occorra dare all’Amministrazione finanziaria un’altra garanzia, se noi vogliamo che tutto il patrimonio del contribuente sia individuato.

Voi vedete che l’emendamento che è stato proposto è molto diverso da quello che era stato inizialmente presentato e che si vede pubblicato nel fascicolo degli emendamenti, appunto perché – in seguito a discussioni intervenute nella Commissione di finanza – è stato raggiunto l’accordo di limitare, per il momento, in questo articolo l’obbligo soltanto ai soci di società e l’obbligo della denuncia da parte delle società.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha esaminato l’emendamento dell’onorevole Pesenti e dell’onorevole Scoccimarro ed avrebbe, nella sua maggioranza, deciso di accettare l’ultimo comma dell’emendamento: «Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea», perché, data la nominatività dei titoli, data l’esistenza di uno schedario centrale dei titoli, questa norma finisce col colmare qualsiasi lacuna ed è una norma cautelativa che completa il sistema.

Già in sede di esame del progetto di legge dinanzi alla Commissione, il Governo aveva dato assicurazione che lo schedario dei titoli sarebbe stato perfettamente aggiornato ai fini dell’applicazione dell’imposta progressiva. L’onorevole Scoccimarro ha sollevato qualche dubbio in proposito, e per tener conto di questo dubbio, la Commissione ha questa disposizione cautelativa di cui ho detto.

I commi 1° e 2° hanno questo inconveniente, secondo il pensiero della maggioranza della Commissione: di stabilire un obbligo di denuncia anche per coloro che non hanno nessun obbligo di denunciare il patrimonio; cioè estende quest’obbligo di denuncia a cittadini che possono possedere qualche azione e che sono al di sotto del minimo imponibile, non solo, ma anche al di sotto della necessità della denuncia a fini statistici.

E le conseguenze sono poi piuttosto gravi per costoro, perché essi dovrebbero procurarsi un certificato da cui risulti che sono esenti dall’imposta, per potere prelevare un dividendo.

Ora, siccome il sistema è – come ho detto – completo con l’ultimo comma, se gli onorevoli proponenti fossero d’accordo, ci si potrebbe limitare a questo, senza insistere nella richiesta della non trasferibilità, che mi sembra eccessiva.

Accettando l’ultimo comma, pregherei poi di spostarlo dopo l’articolo 45, in sede di accertamento. Ma questa è una questione formale, una volta che si sia discusso sulla sostanza.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Vorrei dire che, se l’onorevole Ministro risponde a tutto l’emendamento da me presentato, io posso parlare dopo; ma se l’onorevole Ministro considera come definitiva la risposta data dal Relatore, vorrei fare prima qualche osservazione.

PRESIDENTE. Ascoltiamo prima il Ministro. Ha facoltà di parlare.

PELLA. Ministro delle finanze. In sostanza, il Governo si associa alle conclusioni della Commissione, per le considerazioni svolte dall’onorevole Relatore e per qualche altra considerazione che desidero aggiungere.

La situazione dello schedario risente degli avvenimenti del 1943, in cui l’unico schedario esistente a Roma si spezzò in due parti: uno delle società del nord, tenuto a Brescia, ed uno delle società del centro-meridione, tenuto a Roma.

L’arretrato nella tenuta dello schedario non è imputabile a negligenza dell’ufficio competente; ma è stato determinato da detti eventi, ed io non posso che rendere omaggio alla buona volontà dei funzionari i quali hanno saputo, nonostante le apparenze, con una celerità e una diligenza, a mio avviso degna di essere sottolineata, riunire i due tronconi, realizzando una soluzione che, a prima vista, sembrava impossibile.

Io, per molto tempo, sono rimasto scettico sulla possibilità di avere un rapido aggiornamento. Dai sopraluoghi che ho compiuto, sono giunto alla conclusione che, effettivamente, entro l’anno, l’aggiornamento possa essere realizzato. Mi resta un dubbio sopra la veridicità dei risultati dello schedario in ordine a violazioni che possono essere state compiute rispetto all’obbligo di denunziare le girate dei titoli ed è rispetto a questo dubbio che l’Amministrazione sta esaminando l’opportunità di eventuali integrazioni legislative atte a riparare a questo inconveniente, qualora esso dovesse avere una portata degna di rilievo.

Tutto questo mi porta a considerare che non sia il caso di vincolare quello che può essere l’atteggiamento dell’Amministrazione in materia, con la disposizione contenuta nel secondo comma dell’emendamento presentato ed è questa anche una ragione per cui il Governo non può aderire al secondo comma dell’emendamento. Però, fermo restando che il Governo accetta l’ultimo comma, dichiaro che lo spirito con cui l’emendamento è stato redatto e presentato, è comune all’ordine di idee del Governo e, quindi, a titolo di raccomandazione, possono trovare accoglimento le considerazioni svolte dall’onorevole Pesenti.

Sull’ultimo comma mi permetto di suggerire una modificazione. Non vorrei che, autorizzando l’Amministrazione finanziaria a chiedere le risultanze del libro soci, in occasione di una assemblea, si finisse per limitare il potere dell’Amministrazione finanziaria ed impedirle di chiedere la posizione del libro soci a data diversa da quella dell’ultima assemblea. È in questo senso che pregherei di modificare l’ultima parte: «Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari, quali risultano dal libro soci». Forse la formula migliore sarebbe quella di sopprimere le parole «in occasione dell’ultima assemblea».

PRESIDENTE. Allora, per precisare bene: sul primo e sul secondo comma il Governo è di parere contrario, mentre il terzo comma sarebbe accettato con la soppressione delle ultime parole.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Debbo chiarire un punto, perché il Relatore ha affermato che in Commissione si era giunti alla accettazione di quel comma che è stato accettato anche dal Governo.

Ora, a me pare, se ben ricordo, e come del resto possono ricordare i colleghi, che non sia proprio così. Effettivamente, l’emendamento che noi abbiamo presentato – che del resto è pubblicato anche nel n. 9 degli emendamenti – prevedeva la ricerca del contribuente ed obblighi speciali dei contribuenti non solo possessori di titoli azionari, ma anche che possedessero dei depositi o conti presso le banche, perché, se noi vogliamo rendere effettivo l’obbligo stabilito dall’articolo 33, e quindi creare quella giusta perequazione fra possessori di ricchezza mobiliare e possessori di ricchezza immobiliare, occorre rendere effettivi gli obblighi stabiliti dalla legge.

È per questo che avevamo proposto un emendamento che ponesse degli obblighi sia ai possessori di titoli azionari sia ai possessori di depositi. In Commissione si è avuta una discussione e si è riconosciuto che era possibile accettare l’obbligo imposto ai soci di società o ai possessori di titoli azionari senza che ciò provocasse il minimo disturbo nel mercato dei valori azionari e senza che ciò provocasse un danno per l’Amministrazione.

Le osservazioni fatte ora dal Relatore perciò, mi sorprendono, e quindi io mantengo l’emendamento così come è stato letto dal Presidente dell’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha preso in esame l’emendamento 36-bis dell’onorevole Pesenti, quale risulta stampato. In questo emendamento è riprodotto, al quinto comma, esattamente l’ultimo comma del nuovo emendamento:

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci in occasione dell’ultima assemblea».

La Commissione ignora i primi due commi del nuovo emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro. Quindi, preso in esame l’emendamento 36-bis, prega l’onorevole Pesenti di non insistere.

La Commissione, dopo ampia discussione, ha accettato nella sua dizione letterale, come dicevo, il 5° comma che risulta dal nuovo emendamento. Ha accettato anche il 7° comma che fissa una sanzione; ed ha pregato gli onorevoli proponenti di portare questa sanzione nella sede opportuna. Questo è l’emendamento che ha preso in esame la Commissione. Ad ogni modo, tengo a dichiarare, nonostante le affermazioni dell’onorevole Pesenti, che i commi 1° e 2° dell’articolo 36-bis del nuovo emendamento sono stati conosciuti dalla Commissione dopo la discussione del 36-bis che risulta nel fascicolo degli emendamenti.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Pregherei gli onorevoli Pesenti e Scoccimarro di aderire al punto di vista del Ministro e della Commissione.

In sostanza, l’accertamento del patrimonio costituito da azioni ai fini dell’imposta sul patrimonio, con le leggi attuali e con la disposizione che Commissione e Ministro e tutti noi siamo disposti ad accettare, si potrà fare fino all’ultima azione. Resteranno evidentemente fuori solo le azioni nominative di coloro che non avrebbero l’obbligo della denuncia per avere un patrimonio inferiore al minimo imponibile.

Ora, in sostanza, ponendo l’obbligo proposto dagli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, noi veniamo a creare dei fastidi solo proprio a quella categoria di persone che, appunto per la scarsa rilevanza del loro patrimonio, vogliamo esentare anche dall’obbligo della dichiarazione, ed aggraveremo sensibilmente il compito degli uffici che sarebbero oberati dalla presentazione di infinite dichiarazioni, e dalla richiesta di certificati per potere riscuotere interessi e dividendi.

Quindi, aderisco al pensiero della Commissione e del Ministro. Vorrei poi andare anche più in là per ciò che concerne il comma che dà all’Amministrazione il diritto di chiedere notizie sullo stato dei soci.

Bisogna riferirsi all’articolo 26, che noi abbiamo già approvato e in base al quale, denaro e titoli di credito al portatore entrati nel patrimonio del contribuente dopo il 1° gennaio 1944, in dipendenza di alienazione di beni, si presume facciano parte del patrimonio del contribuente.

Dobbiamo quindi mettere l’Amministrazione in condizioni di accertare eventuali trasferimenti di titoli che siano intervenuti dopo il 1° gennaio 1944.

Ecco perché io non solo aderisco alla proposta della Commissione e del Ministro, di togliere la frase «in occasione dell’ultima assemblea», ma forse penso che si dovrebbe integrare questa facoltà dell’Amministrazione retrodatandola al 1° gennaio 1944.

PRESIDENTE. Ne fa una proposta?

CORBINO. Lo vedremo. Se l’onorevole Ministro crede che basti, allora posso fare a meno di presentare una proposta formale.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Io penso che da un punto di vista logico non dovrei accedere alla proposta dell’onorevole Corbino, per il semplice fatto che l’obbligo della dichiarazione stabilita dall’articolo 33 è sul presunto contribuente e quindi la sanzione dovrebbe corrispondere a questo obbligo che è stabilito per il contribuente.

Ed io dichiarerei anche presunto contribuente colui che non ha il minimo imponibile in titoli. Ma lasciare soltanto la possibilità dell’Amministrazione di richiedere alle società per azioni l’elenco dei soci e il possesso di titoli azionari, mi sembra inutile, non significhi cioè stabilire nulla di nuovo nella nostra legislazione. Però, visto che la Commissione ed anche parte dell’Assemblea insistono nel togliere i due primi commi, che io continuo a ritenere importanti ai fini dell’accertamento, accedo all’idea di lasciare soltanto il terzo e quarto comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Se il Relatore e l’onorevole Pesenti lo ritengono opportuno – ed io lo riterrei opportuno – non ho difficoltà ad accogliere l’aggiunta proposta dall’onorevole Corbino: «quali risultano dal libro dei soci dal 1° gennaio 1944 in avanti».

TOSI. Io debbo dimostrare cosa ho al 28 marzo; ho diritto di dimostrare cosa ho fatto prima!

PELLA, Ministro delle finanze. Per non allungare la discussione, ritengo che potremmo fermarci a questa dizione: «quali risultano dai libri dei soci».

SCOCA. Vorrei fare una dichiarazione di voto circa l’emendamento dell’onorevole Pesenti, riferendomi al primo ed al secondo comma.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Pesenti ha ritirato il primo ed il secondo comma del suo emendamento!

SCOCA. Allora siamo tutti d’accordo.

PRESIDENTE. Dato che il primo ed il secondo comma dell’emendamento Pesenti sono stati ritirati, porrò in votazione il terzo comma, che dovrebbe divenire articolo 36-bis.

LA MALFA, Relatore. Io lo metterei dopo l’articolo 45.

PRESIDENTE. E una questione che vedremo in seguito.

Pongo quindi in votazione l’articolo 36-bis nella seguente dizione:

«Su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, le società per azioni sono tenute a dichiarare i possessori dei loro titoli azionari quali risultano dai libri dei soci».

(È approvato).

Segue l’articolo 37. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti i cespiti non indicati negli articoli 34, 35 e 36 sono dichiarati per il valore da determinarsi in conformità alle disposizioni del capo IV del presente decreto».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti, l’articolo s’intende approvato.

Passiamo ora all’articolo 38. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per quanto riguarda le passività, la dichiarazione deve indicare:

  1. a) per i debiti, le generalità e la residenza del creditore, la data di stipulazione e di registrazione dell’atto costitutivo o gli altri elementi di prova della loro esistenza, il tasso di interesse, la scadenza, l’ammontare ancora dovuto alla data del 28 marzo 1947;
  2. b) per i censi, canoni e livelli ed altre prestazioni previste dall’articolo 15, le generalità e la residenza del creditore, il titolo costitutivo, l’ammontare annuo ed il valore determinato a mente dell’articolo suddetto;
  3. c) per gli usi civici, la natura ed il valore dell’onere;
  4. d) per le imposte, tasse e gravami indicati nell’articolo 22, lettera d), l’ammontare del debito e gli altri estremi che lo identificano».

PRESIDENTE. A questo articolo vi è un emendamento proposto dall’onorevole De Vita, che è del seguente tenore:

«Sopprimere la lettera d)».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. La disposizione della lettera d) dell’articolo 38 è connessa con la corrispondente disposizione della lettera d) dell’articolo 22. Ritengo che le imposte indicate nella lettera d) dell’articolo 22, e che si vogliono detrarre dall’ammontare complessivo del patrimonio, sono imposte che vengono pagate col reddito. È probabile quindi che il patrimonio del contribuente non subisca diminuzione alcuna a causa del pagamento delle imposte stesse, perché le imposte sul reddito ed in genere tutte le imposte che non incidono sul patrimonio sono pagate con quella parte del reddito che non è risparmiato. Se consentiamo a tutti coloro che non hanno pagato le imposte, di detrarle dal patrimonio imponibile, io credo che facciamo un trattamento di favore ai cattivi contribuenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole De Vita fa – direi in una sede non propria, perché la questione sorse in sede all’articolo 22 – un’elegante questione che può anche avere un fondamento.

La Commissione ha dovuto considerare la questione da un punto di vista pratico.

Innanzitutto, naturalmente, queste imposte arretrate possono essere imposte sul patrimonio (per esempio, l’imposta straordinaria proporzionale) come debiti quando si va a riscuotere la imposta progressiva. Bisognerebbe introdurre la distinzione tra imposta sul capitale e imposta sul reddito. D’altra parte, siccome l’imposta sul patrimonio colpisce il denaro, vi è un momento in cui non si sa se sia colpito il reddito o il patrimonio.

Pur riconoscendo che la questione, da un punto di vista teorico, è molto importante, la Commissione pregherebbe l’onorevole De Vita di non insistere, perché bisognerebbe ritornare sull’articolo 22 che l’Assemblea ha già approvato.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Sono dolente di non potere accogliere l’invito della Commissione. Se ritirassi l’emendamento, violerei la mia coscienza.

Ritengo ingiusta questa disposizione, principalmente perché l’imposta che colpisce il reddito si paga col reddito. Anche per coloro che hanno depositi in banca, bisognerebbe dimostrare che le imposte sono state pagate col denaro depositato in banca. È probabile che anche il denaro depositato in banca non abbia subito alcuna diminuzione a causa del pagamento delle imposte. Quindi, questo trattamento a favore di coloro che hanno, con qualunque mezzo, dilazionato il pagamento dell’imposta, non lo ritengo giusto. Pertanto, mantengo il mio emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei osservare che la questione, nel suo aspetto sostanziale, è superata dal fatto che, a suo tempo, abbiamo discusso delle passività detraibili. Ora, mi pare fuori dubbio che se esiste un debito deducibile, per tasse arretrate, questo debito debba essere indicato nella dichiarazione, e ritengo che possa essere anche utile prendere atto della previsione che fa il contribuente in ordine all’ammontare delle imposte da pagare, cioè vedere come il contribuente trovi il punto limite fra il desiderio della massima detrazione possibile e la concreta previsione di definizione delle imposte ancora dovute.

Anche per questo aspetto accessorio, che forse ha una importanza maggiore di quello che possa sembrare a prima vista, io insisto perché sia mantenuta la lettera d) dell’articolo 38.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione dell’emendamento De Vita, il quale propone di sopprimere la lettera d) dell’articolo 38.

DE VITA. E, conseguentemente, anche la corrispondente, lettera d) dell’articolo 22.

PRESIDENTE. Quella è già votata. Io devo mettere in votazione solo la soppressione della lettera d) dell’articolo 38. Le conseguenze saranno esaminate dall’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Naturalmente, richiamo l’attenzione sul fatto che c’è in riscossione l’imposta straordinaria proporzionale, e sarebbe curioso che, specie nelle campagne, non ammettessimo questa detrazione.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero ancora far presente che, qualora venisse accolto l’emendamento De Vita, la sola conseguenza sarebbe che il contribuente non verrebbe invitato a indicare questa specifica passività. Penso, però, che, per tutto il sistema delle norme che costituiscono la legge, il contribuente manterrebbe egualmente il diritto alla detrazione di tale passività, sino a quando è aperta la procedura di accertamento.

Per questo io prego di non accogliere l’emendamento presentato dall’onorevole De Vita.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la soppressione della lettera d) dell’articolo 38, proposta con l’emendamento dell’onorevole De Vita.

(Non è approvata).

Sugli articoli dal 39 al 43 non vi sono emendamenti. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Art. 39.

«A richiesta dell’Ufficio distrettuale, il contribuente deve presentare le copie o gli estratti, in carta semplice, dei documenti indicati all’articolo 38, lettere a) e b)».

Art. 40.

«Tutti coloro che, nel quinquennio anteriore all’anno di entrata in vigore del presente decreto, abbiano prestato la loro opera per l’acquisto di titoli ed altri beni all’estero, o per la sottoscrizione di titoli esteri nello Stato, o per l’apertura di crediti all’estero presso loro filiali od altri istituti, o che abbiano comunque cooperato per l’invio di beni di ogni specie all’estero, hanno l’obbligo di indicare, su richiesta della finanza, il cognome, il nome ed il domicilio del committente o creditore, la quantità e la qualità, il prezzo unitario e complessivo dei titoli, crediti ed altri beni, oggetto dell’acquisto, della trasmissione o dell’accreditamento all’estero».

Art. 41.

«Per quanto non previsto nel presente decreto, si applicano, per la dichiarazione ai fini dell’imposta straordinaria, le disposizioni valevoli per la dichiarazione ai fini delle imposte dirette ordinarie».

Art. 42.

«Il contribuente che dichiari, ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, cespiti non dichiarati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio e delle imposte sui redditi, va esente da qualsiasi sanzione per l’omessa dichiarazione».

 

Capo VII.

Accertamento.

Art. 43.

«L’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune in cui il contribuente ha il suo domicilio fiscale, è competente per l’accertamento della imposta straordinaria sul patrimonio.

«Per l’accertamento stesso e per le risoluzioni delle vertenze relative, valgono le disposizioni applicabili per l’imposta di ricchezza mobile, in quanto non siano in contrasto con le disposizioni del presente decreto.

«Il Ministro delle finanze e tesoro può, con proprio decreto, costituire presso le Commissioni distrettuali e provinciali, nonché presso la Commissione centrale, secondo le norme generali vigenti in materia, Sezioni speciali per la risoluzione delle vertenze in materia di imposta straordinaria sul patrimonio».

Non essendovi osservazioni, questi articoli si intendono approvati.

Passiamo all’articolo 44. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo che è stato accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I funzionari dell’Amministrazione delle imposte dirette oltre alle facoltà loro conferite dall’articolo 37 del testo unico 24 agosto 1877, n. 4021, sull’imposta di ricchezza mobile, possono, ai fini della applicazione del presente decreto, farsi presentare ed ispezionare tutti i registri, anche ausiliari e comunque tenuti, atti e documenti degli enti pubblici e privati, delle società, amministrazioni, imprese, commissionari, agenti e mediatori di ogni genere, e farsi rilasciare copie ed estratti dei registri, atti e documenti, anche se riguardino interessi di persone fisiche od enti collettivi non tenuti al pagamento dell’imposta istituita col presente decreto.

«La presente disposizione non si applica in confronto delle banche e delle aziende di credito».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

I due primi emendamenti, rispettivamente a firma dell’onorevole De Mercurio e degli onorevoli Dugoni, Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo e Di Gloria, hanno la medesima finalità: sopprimere il secondo comma.

L’onorevole De Mercurio ha già svolto il primo emendamento.

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il secondo.

DUGONI. Credo che ognuno si renda conto dell’importanza che riveste l’ultimo capoverso dell’articolo 44. Questo capoverso, sostanzialmente, chiude le porte delle banche a qualsiasi indagine intesa a determinare la consistenza del patrimonio che deve essere soggetto all’imposta. Credo che non stupirà nessuno se da questi banchi verrà l’affermazione che, in materia finanziaria, si devono avere dei particolari riguardi, che cioè, il mondo finanziario vive – nella situazione attuale – in un modo suo proprio, il quale ha bisogno di un determinato ambiente che gli consenta uno svolgimento tecnicamente normale.

Quindi, noi non chiediamo una mutazione all’articolo 44, che voglia significare una presa di posizione di principio, per quello che riguarda il funzionamento del sistema finanziario attuale del nostro Paese. Noi sappiamo benissimo che in molti altri Paesi esiste la possibilità dell’ispezione bancaria. Noi sappiamo anche che in altri Paesi esistono dei sistemi intermedi.

Noi abbiamo sempre sostenuto che si debba arrivare ad un controllo dell’attività bancaria nel suo insieme, piuttosto che ad un controllo delle operazioni bancarie compiute da ciascun singolo depositante, o debitore, o comunque cliente della banca.

Però, di fronte all’importanza dell’imposta attuale, di fronte al significato che ad essa noi annettiamo, e che ogni cittadino dovrebbe annettere a questa imposta straordinaria, – che significa uno dei più grandi sforzi della Nazione, tesa alla propria ricostruzione – di fronte, dicevo, al carattere straordinario e alla straordinaria gravità (mi si consenta la ripetizione) che questa imposta comporta, noi crediamo che si possa e si debba fare, non dico uno strappo, perché uno strappo sarebbe troppo, ma una eccezione, una precisa eccezione alla regola del segreto bancario.

Dopo questa guerra, tutti i Paesi che hanno subito l’occupazione tedesca, hanno tolto il segreto bancario per permettere di ricercare dove erano andati a finire i soldi spesi e profusi dai tedeschi, durante il periodo di occupazione. In generale, a questo si è accompagnato il cambio della moneta, cioè si è istituito un insieme di provvedimenti immediatamente susseguenti al periodo di occupazione, in virtù del quale si sono potuti colpire, entro i limiti delle umane possibilità, gli speculatori e i profittatori di una situazione che era una situazione di servaggio per la grande maggioranza degli abitanti del Paese e una situazione di privilegio per pochi asserviti alla politica dell’occupazione tedesca.

Crediamo quindi che, poiché il nostro Paese, per una serie di circostanze che io non voglio analizzare e che sarebbe, in ogni caso, troppo lungo analizzare – non ha fatto ricorso a questi mezzi drastici per colpire, sia quelle fortune di cui parlavo prima, sia gli altri tipi di fortune mobiliari che si sono create esclusivamente in seguito ad una favorevole congiuntura ed a sfacciate speculazioni sui bisogni delle classi medie e delle classi lavoratrici; poiché, dicevo, questo non si è fatto, noi crediamo di essere autorizzati oggi a venire a chiedere un provvedimento – ripeto – di eccezione.

Questo provvedimento di eccezione in anatomia si chiamerebbe una «sezione»; cioè chiediamo che sia fatta una sezione della situazione bancaria alla data del 28 marzo 1947. Noi ci rendiamo conto della gravità delle obiezioni che sono state mosse, gravità sia di ordine politico, sia di ordine tecnico-finanziario. La prima obiezione che è stata messa avanti è costituita da questo avviso che si è creduto di darci. Guardate che, con questo, noi veniamo a turbare tutto l’andamento del mercato finanziario. Ebbene, signori, quando noi abbiamo discusso intorno a questo problema in sede di Commissione per la finanza – Commissione alla quale io mi onoro di appartenere – si è potuto ben chiaramente rilevare che solo perché abbiamo avuto un alto parere contrario, la Commissione si è pronunciata contro la soppressione dell’ultimo capoverso.

Questa pronunzia di un alto personaggio della finanza e dell’Amministrazione italiana contro la soppressione dell’articolo 44 nessuno può negare che abbia avuto un peso determinante nella decisione della Commissione. Noi abbiamo quindi, diciamo così, subito – parlo almeno alludendo a una parte di noi – una specie di timore reverenziale. La lettera il cui contenuto ci è stato fatto conoscere dall’onorevole Campilli in sede di Commissione per la finanza ha rappresentato dunque per noi, o almeno per alcuni di noi, un «alto là», cioè ci ha condotti a considerare che, se un preminente esponente della Banca italiana, e della sana Banca italiana, credeva nei pericoli di una abolizione del segreto bancario anche occasionale, questo pericolo esisteva; e molti di noi si sono piegati ed hanno creduto di aderire a questa alta opinione.

Noi non ci siamo piegati; noi abbiamo sino all’ultimo detto e sostenuto che si doveva ad ogni modo cercare di spingere questa imposta, che giustamente viene considerata unilaterale, verso una maggiore pressione sui patrimoni mobiliari. Tutti hanno levato la loro voce in quest’Assemblea per sostenere che l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio costituisce un’iniquità perché colpisce soprattutto le fortune immobiliari: però, nello stesso tempo, noi non abbiamo mai potuto ottenere l’appoggio di una parte dell’Assemblea per approvare quelle disposizioni che tendono a colpire i patrimoni mobiliari. Ecco la contradizione in cui siamo caduti. Ci si è venuti a dire che l’imposta avrebbe rovinato l’Italia meridionale, ci si son portate un’infinità di altre ragioni e contemporaneamente siamo venuti a disarmare l’Amministrazione del Governo di fronte all’intento della ricerca, necessaria e inderogabile a nostro avviso, di quei patrimoni che hanno una costituzione prevalentemente mobiliare.

Naturalmente questa preoccupazione di giustizia comporta diverse attuazioni. Non basta cioè l’articolo 44 per colpire le fortune mobiliari; però l’articolo 44 è uno degli strumenti che noi reputiamo essenziali per colpire le fortune mobiliari e per colpire quelle forme di speculazione che sono state qui denunziate dall’onorevole Bertone e da molti altri oratori, i quali hanno insistito su quei tipici indebitamenti dell’ultima ora allo scopo di diminuire l’importanza del proprio patrimonio agli effetti del peso della progressività dell’imposta.

Ebbene, onorevoli colleghi, proprio per questo senso di giustizia che deve animare il legislatore di fronte ad una grave imposizione, come quella che è sottoposta alla vostra approvazione, io credo che voi non potrete sottrarvi dal considerare la necessità di aprire la porta – se non si può aprire un portone, si apra uno spiraglio – su quelle combinazioni bancarie che così gravemente pesano sia sul rendimento dell’imposta, sia, soprattutto, sull’animo dei cittadini. Perché, ricordate bene che quello che si dice nel Paese ha un enorme valore. Si pensa dappertutto: «Ancora una volta sono gli stracci che ballano. Coloro i quali hanno fatto le grosse fortune nel modo più vergognoso, non pagheranno. Coloro i quali hanno la casa ereditata dal padre, e che l’hanno ricostruita dopo i bombardamenti, quelli pagheranno.

Ebbene, onorevoli colleghi, questa è una di quelle disposizioni che deve permettere di riportare una certa giustizia tributaria nell’ambito di questa legge.

Per queste ragioni io vi chiedo, con tutto il calore di cui sono capace, di approvare la soppressione dell’ultimo capoverso dell’articolo 44. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere come terzo comma:

«Restano ferme le disposizioni dell’articolo 17 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966».

Ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Ho una modestissima preghiera da fare alla Commissione e all’onorevole Ministro riguardo al segreto.

L’Istituto nazionale delle assicurazioni ha una legge del 29 aprile 1923, nella quale è detto all’articolo 17:

«Chiunque, nell’adempimento delle proprie attribuzioni, presso l’Istituto, viene a conoscenza delle trattative e dei rapporti fra l’Istituto e le imprese di assicurazione e i privati, deve serbare il segreto su tutto quanto è a sua conoscenza, sotto le comminatorie di legge.

«È, in ogni caso, vietato ai pubblici funzionari e al personale dell’Istituto di tutte le categorie, di comunicare anche agli agenti delle imposte, notizie e dati comunque riferentisi a contratti fra l’Istituto e le imprese di assicurazioni e i privati».

SCOCCIMARRO. Bisogna chiedere l’abolizione di questa legge.

MICHELI. Io ho chiesto invece questo riferimento. Mi pare che l’opinione dell’onorevole Scoccimarro non sia perfettamente eguale alla mia. Me ne rincresce per lui, e un poco anche per me.

SCPCCIMARRO. Mi rincresce per lei.

MICHELI. Ed allora rincresca per entrambi!

Non vedo le ragioni per una diversa disposizione da quella con fondatissimi motivi stabilita allora. Io credo che, ove questa dichiarazione ora non venisse fatta, verrebbe ad essere turbata una consuetudine, che la legge ha creato, di particolare riguardo, la quale mi sembra anche ora sommamente necessaria in operazioni di questo genere.

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Onorevoli colleghi, io non entro nell’esame della portata di questo emendamento per quanto si riferisce al sistema creditizio italiano. Persone a questo riguardo assai più competenti di me parleranno del turbamento che esso potrebbe recare. Porto qui la voce di una particolare categoria di depositanti, quelli delle Casse di risparmio, che ho l’onore di rappresentare, e faccio osservare che questo minacciatissimo settore del risparmio sarebbe, a mio avviso, addirittura rovinato dall’accettazione dell’emendamento Dugoni. E mi spiego: il risparmio oggi non ha nessuna attrattiva per il pubblico. Il risparmiatore è un eroe; esso non ritrae dal proprio risparmio alcun vantaggio, perché l’interesse che ne ricava è addirittura irrisorio. (Commenti a sinistra). Non ha neanche la sicurezza, perché quale che sia la solidità dell’Istituto nel quale egli fa confluire il proprio danaro, questo è minacciato dalle continue alterazioni di valore della moneta, sicché quando il risparmiatore deposita 100 lire al 1° gennaio non sa quanto potrà riscuotere al 31 dicembre.

Se, ciononostante, il risparmio cresce – e cresce in misura confortevole – ciò è dovuto ad un istinto profondo, insito nell’animo del contribuente italiano.

Ma se voi togliete al risparmiatore la sola garanzia che gli rimane, quella data dalla riservatezza e dall’anonimato (Commenti a sinistra) del risparmio, voi gli togliete l’unica ragione che abbia per non sperperarlo, o per non conservare i suoi denari nel pagliericcio! Non vi è altra ragione che possa indurlo a portar danaro alle banche.

E badate che, per chi conosce lo spirito familiare delle nostre campagne, questa questione della segretezza del risparmio è di tale importanza che soverchia ogni altra considerazione. Siamo a questo punto, onorevoli colleghi; presso le vecchie Casse di risparmio (adesso non più, ma fino a pochi mesi fa era così), e specialmente presso la Cassa di risparmio delle provincie lombarde, si sceglievano le sedi delle filiali in località recondite e un po’ nascoste, appunto per permettere al contribuente di recarvisi segretamente. Questo concetto del segreto è profondamente connaturato con l’animo dei nostri lavoratori. (Commenti a sinistra). Se sopprimerete il segreto, voi rovinerete completamente il risparmio, che è una delle grandi forze della Nazione! (Approvazioni al centro).

Io aderirò a quei temperamenti che alcuni miei amici proporranno in argomento, ma tengo a sottolineare l’estrema gravità di quello che l’Assemblea sta per deliberare a questo riguardo.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. È molto strano che solo in Italia ci siano tanti limiti posti all’attività che l’Amministrazione finanziaria deve svolgere per accertarsi…

JACINI. E in Svizzera? La Svizzera è il Paese della riservatezza ed è per questo che alle banche svizzere affluiscono i depositi.

PESENTI. …della situazione patrimoniale del contribuente, quasi che non si avesse nessuna fiducia nell’Amministrazione finanziaria, come se l’Amministrazione finanziaria, dovesse rivelare a tutti i dati di cui viene a conoscenza esclusivamente a scopi fiscali.

Ma il motivo è un altro: è che il contribuente italiano non vuole pagare le imposte, e noi purtroppo siamo qui tutti (o meglio, non tutti, ma la maggioranza) ad aiutare questo sforzo del contribuente italiano per non denunciare il proprio patrimonio e per non pagare l’imposta.

In quest’Assemblea vi sono profondi conoscitori del sistema bancario ed anche dell’economia politica. Io faccio appello anzitutto a loro, da un punto di vista astratto, per chiedere se, nella loro buona fede di studiosi, possono veramente sostenere che l’abolizione del segreto bancario possa scuotere il sistema bancario…

SAGGIN. Scuote l’economia nazionale!

PESENTI. …e di conseguenza l’economia nazionale.

Io vorrei chieder loro com’è possibile che un’istituzione propria del sistema economico nel quale viviamo possa mutare soltanto perché, ed ai fini esclusivi dell’Amministrazione finanziaria, viene tolto il segreto bancario. Noi vedremo probabilmente – secondo questi signori – che i vari industriali non ricorreranno più alle banche. Coloro che hanno delle riserve liquide o per ammortamenti o per manutenzioni, oppure perché hanno avuto dei profitti eccezionali, le chiuderanno nella cassaforte di casa, e non saranno più clienti delle banche. È questo che si vuol sostenere? Una cosa simile non è sostenibile.

Io posso anche ammettere che vi siano particolarmente i piccoli depositanti delle Casse di risparmio, una categoria che noi non vogliamo colpire. Posso anche comprendere che da un punto di vista psicologico vi possa anche essere qualche timore. Si può dunque vedere di trovare dei temperamenti in questi casi, e del resto l’Amministrazione finanziaria non avrà bisogno di andare a vedere nelle Casse di risparmio.

L’Amministrazione finanziaria, se vuol conoscere la verità, cioè se vorrà fare uso di questa facoltà, si rivolgerà soltanto ai grandi istituti di credito che hanno i grandi clienti sottoposti all’imposta patrimoniale.

Perciò questa preoccupazione non ci deve essere. Ad ogni modo, si tratta di un timore psicologico. Se noi chiariamo che si tratta qui non di rilevare la consistenza attuale o la consistenza di quelli che sono i depositi e i conti quando la legge uscirà nella Gazzetta Ufficiale, ma si tratta di rilevare i depositi e i conti ad una data già passata, quella del 29 marzo, che ha già fissato chiaramente la situazione di ogni singolo contribuente, non vedo come possano verificarsi o ritiri di depositi o altri fenomeni che possano scuotere il sistema bancario.

Si tratta di accertare la consistenza ad una data trascorsa, che è quella che fissa la posizione dei contribuenti e la loro situazione che non può mutare da quello che è segnato nei libri alla data del 29 marzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Arcaini ha fatto pervenire un emendamento anche a firma degli onorevoli Scoca, Cappi ed altri. L’emendamento dice:

«Al secondo comma dell’articolo 44, aggiungere le parole: nei confronti delle quali l’Amministrazione finanziaria ha però la facoltà di richiedere che l’ispettorato del credito accerti la reale consistenza, alla data del 28 marzo 1947, dei debiti denunciati dal contribuente».

L’onorevole Arcaini ha facoltà di svolgere questo emendamento.

ARCAINI. Illustrerò brevemente il mio emendamento a cui si sono associati molti autorevoli colleghi.

La necessità di tutelare il segreto bancario che il disegno di legge riconosce, e che gli emendamenti De Mercurio, Dugoni e compagni vorrebbero sopprimere, mentre altri, come ha fatto l’onorevole Jacini con molta efficacia, strenuamente difendono prospettando le catastrofiche conseguenze nel delicatissimo settore del risparmio con conseguenze ancora più gravi in quello del credito, ma alle quali personalmente non credo per quanto mi lascino profondamente perplesso per la gravità delle temute conseguenze, mi pare non possa concepirsi e concretarsi in formule così rigide ed integrali da offrire di fatto una zona franca in cui possano trovare sicuro asilo i possibili evasori della legge.

E poiché specialmente m’impressiona la possibilità che esiste di far apparire attraverso le banche debiti che in realtà hanno contropartite attive costituite da dossiers di titoli al portatore o conti in denaro o altre attività di pertinenza dello stesso debitore, e quindi debiti fittizi, con la conseguenza di ridurre il patrimonio decurtandolo proprio nella parte che dovrebbe essere colpita dalle più alte aliquote dell’imposta, ritengo che sia doveroso riconoscere all’Amministrazione fiscale la facoltà di accertare l’effettiva consistenza e la natura dei debiti denunciati esistenti presso le banche e le aziende di credito. Affinché l’indagine, ove occorra, sia compiuta da organo competente senza lasciar adito a dubbi ed a sospetti che l’ambiente delicato delle banche e delle aziende di credito sia aperto alle incursioni del fisco, io propongo col mio emendamento che l’indagine sia svolta dall’Ispettorato del credito che è indubbiamente l’organo idoneo, che gode alta autorità e prestigio presso le banche e le aziende di credito e che per legge ha già ampie facoltà di ispezione e di vigilanza delle aziende stesse.

Una voce a sinistra. Non funziona!

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Prego di considerare la mia come una dichiarazione di voto. Io non credo che si possa fare il paragone fra l’economia creditizia italiana e l’economia creditizia di altri paesi in materia di segreto bancario. Fra i grandi paesi del mondo, l’Italia, in materia di credito, viene ultima nella graduatoria. Per abitante, le quote di risparmio, di cui dispongono le nostre banche, ragguagliate a unità monetarie uguali, sono le più piccole fra tutti i grandi paesi civili. Questo perché? Questo perché la tradizione del credito nel nostro paese è relativamente recente; è una tradizione che non si può spingere fino agli estremi ai quali si è spinta e si spinge tuttora in altri paesi più evoluti di noi.

L’onorevole Dugoni mi consenta di ricordargli che nel 1913 noi avevamo una circolazione di biglietti di due miliardi e duecento ottantatre milioni, cioè a dire, qualche cosa che corrispondeva a cinquecento milioni di sterline di quell’epoca. La Banca d’Inghilterra, alla stessa epoca, aveva una circolazione di sterline presso a poco uguale a quella dell’Italia. Perché? Perché in Inghilterra il sistema bancario era così perfezionato, era in tutti così radicato l’uso della banca, che l’Inghilterra effettuava nove transazioni su dieci per il tramite della moneta bancaria.

Né voi potete ricordarmi il caso della Svizzera, perché io vi posso assicurare che in Isvizzera il segreto bancario è così bene assicurato che la Svizzera ha resistito alle pressioni internazionali più forti che le sono venute recentemente per appurare quanto oro, trafugato dai Paesi occupati, i tedeschi avevano nascosto presso le banche svizzere; e solo in via transattiva il Governo federale è venuto nella determinazione di riconoscere – senza precisare dove, come o quando questo oro fosse stato depositato – che una parte dell’oro era da accreditare alla Germania. Nel nostro paese, purtroppo, le condizioni sono quelle che sono, e noi dobbiamo sforzarci di modificarle in meglio; quindi io non escludo che da qui a dieci, quindici, venti anni il segreto bancario possa non essere più rispettato in Italia di quanto non sia rispettato in alcuni dei paesi nei quali il fisco ha diritto di intervenire. Ma nel momento attuale, nella situazione attuale del nostro Paese, il segreto bancario è uno degli elementi fondamentali per il funzionamento degli istituti bancari. Gli istituti bancari d’Italia in questo momento sono in una posizione di estrema delicatezza. Io non so quale sia l’alta personalità del mondo finanziario la cui voce alla Commissione di finanza avrebbe fatto ammutolire tutti. Io credo che la Commissione di finanza avrebbe potuto anche ammutolire se avesse domandato il parere non ad una tanta alta personalità bancaria, ma a tutti quelli che in questi giorni, per gli esami di maturità negli istituti tecnici, devono fare l’esame di economia politica. Immagino che queste sono cose che sanno tutti. Non c’è bisogno che vengano i grandi banchieri per fare da eminenze grigie delle Commissioni.

VERONI. È il parere della Banca d’Italia.

Una voce al centro. Potrebbe darsi che abbia fatto ammutolire dei muti.

CORBINO. Ci sarà stato qualche tecnico che avrà detto: se noi violiamo il segreto bancario succederà la catastrofe.

Naturalmente succederanno delle conseguenze, ma non succederà nessun terremoto. Se noi approveremo l’emendamento accadrà questo: la gente constaterà che il segreto bancario una prima volta è stato violato per la imposta sul patrimonio, dopodomani si farà un’imposta complementare ed in linea di eccezione violeremo il segreto bancario anche per la complementare; fra un mese, fra due o tre anni probabilmente rifaremo l’imposta sul patrimonio e continueremo a violare il segreto bancario ed allora la gente si regolerà in questo modo: non porterà il proprio denaro in deposito alle banche.

Voci a sinistra. E dove lo metterà? Il segreto bancario va bene a voi.

CORBINO. Ora, il bilancio economico delle nostre banche (non è questo un segreto per nessuno, né credo che io dicendolo contribuisca a creare uno stato di allarme) è passivo, perché la massa dei depositi non è sufficiente per compensare le enormi spese di amministrazione. Noi abbiamo imposto alle banche di assumere reduci, noi abbiamo imposto alle banche di assumere militari in congedo, combattenti, mutilati. Il personale delle banche oggi è, per lo meno, doppio di quello che occorrerebbe per una economica amministrazione dei depositi.

Ora, le banche non sono enti privati, perché di banche private in Italia ce ne sono pochissime. Le Casse di Risparmio sono enti di diritto pubblico e le grosse banche di credito, alle quali l’onorevole Pesenti voleva riservare il privilegio negativo di essere le sole sottoposte all’obbligo di aver rapporti con il fisco, come voi sapete, sono dello Stato, sono dell’I.R.I., di maniera che le passività delle banche le dovrebbero pagare quegli stessi contribuenti ai quali voi fate pagare l’imposta per un verso e i deficit delle amministrazioni bancarie che sarebbero determinati dall’applicazione dell’imposta. (Rumori a sinistra). Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo, possiamo dire alle banche: bloccate i depositi, fate tutte le moratorie che volete. Io vorrei che tutta quella categoria di gente che crede che in questo campo si possa legiferare con grande semplicità, prendesse il potere per otto giorni e facesse tutto quello che crede di fare. Non so che cosa succederebbe al nono giorno.

Ecco perché sono contrario all’emendamento Dugoni.

Quanto all’emendamento proposto dall’onorevole Arcaini, la cosa potrebbe anche accogliersi; però, si badi bene, noi in questo momento veniamo sempre a creare un precedente di violazione del segreto bancario, sia pure attraverso l’Ispettorato del credito, sia pure attraverso misure adeguate di protezione. Ma poi, a che servirebbe l’emendamento Arcaini? A documentare il debito. Ma il debito è il contribuente che lo deve documentare: se io dichiaro che sono debitore della Banca Commerciale per un milione di lire, io devo documentare il mio debito; sono io che devo presentare il documento dal quale risulta che sono debitore al 28 marzo. Noi invece vogliamo porre l’onere della prova del debito a carico della amministrazione finanziaria…

SCOCA. Non è così. Ha diritto di controllare la dichiarazione del contribuente.

CORBINO. Il contribuente i debiti li deve documentare, tanto è vero che noi abbiamo stabilito all’articolo 27 che quando il creditore dichiara che il debito non esiste, il debito è nullo a tutti gli effetti.

La sostanza dell’emendamento non serve a niente. La forma serve soltanto ad accogliere in parte la tesi della violazione del segreto bancario. Io, in questo momento, giudico pernicioso all’economia del Paese l’accoglimento di questa tesi e quindi voterò contro l’uno e contro l’altro emendamento.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Siccome ci sono due proposte di emendamenti, quella soppressiva del capoverso dell’articolo 44, e l’altra dell’onorevole Arcaini che vuole si vada ad indagare se il debito bancario denunziato ha una contropartita attiva, e quindi se è vero o fittizio, vorrei chiedere che si sospenda per qualche minuto la discussione, naturalmente sentendo anche la Commissione ed il Governo, al fine di cercare una soluzione concordata che soddisfi tutti.

PRESIDENTE. Prima di decidere sulla proposta di sospensione dell’onorevole Scoca, vorrei sentire l’opinione del Relatore e quella del Governo. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Prima di esprimere l’opinione della Commissione, mi sia consentito di esprimere uno stato d’animo personale: in tutta quella che è stata la discussione sulla imposta patrimoniale, mi sono trovato nella dolorosa situazione di esporre dei punti di vista che rispondono a necessità contingenti, non a mie personali convinzioni. Ciò è avvenuto a proposito del cambio della moneta (sono stato sempre strenuo difensore del cambio); ciò avviene in materia di giuramento. Ritengo che in un paese civile, che sente i problemi della vita collettiva, il giuramento ai fini fiscali debba essere senz’altro adottato. Così pure ritengo che il segreto bancario non debba essere mantenuto nei confronti del fisco. La finanza non è un problema di questo o quell’individuo, ma interessa tutta la collettività e quindi lo Stato deve avere i mezzi d’accertamento necessari per stabilire quale è la reale condizione del contribuente. Lo Stato deve arrivare a questo risultato, senza di che non si ha una finanza moderna, cioè non si ha una finanza democratica.

Capirete così il mio imbarazzo: avendo questa visione dei problemi della finanza moderna, mi sono trovato coi colleghi ad esaminare un progetto di imposta al quale mancavano alcuni presupposti. Non voglio tornare sulla questione del cambio della moneta, circa la quale mi sono trovato in contrasto contingente con alcuni amici di partito. È certo che dall’abbandono del cambio della moneta, sono derivate conseguenze assai gravi. Vorrei dire che quando l’amico e collega Corbino rileva che il sistema creditizio di altri paesi è molto più sviluppato che in Italia, e fa un rapporto fra la circolazione e il volume del credito in Inghilterra, dà la conferma della necessità che avrebbe avuto l’Italia di fare il cambio della moneta. Se in Italia si detiene la moneta, vuol dire che il mezzo di scambio è ancora la moneta, s’intende non la moneta creditizia. È chiaro che se vogliamo tassare i patrimoni mobiliari e naturalmente prima di tassarli, li dobbiamo accertare, dobbiamo avere come punto di partenza il cambio. Non voglio tornare su una vecchia polemica. Caduto il cambio, la legge ha zoppicato ed abbiamo dovuto esaminare appunto una situazione zoppicante.

Dopo questa necessaria premessa, vengo alla questione del segreto bancario. Una conseguenza della caduta del cambio è che noi, abolendo il segreto bancario, andiamo a colpire i depositi che, nell’ordine dei valori mobiliari tassabili, sono i meno meritevoli di essere tassati. Quando parliamo di colpire i «borsari neri» noi intendiamo colpirli nell’accantonamento di moneta, frutto delle loro speculazioni immediate. Ma avendo abbandonato il cambio, abbiamo abbandonato la sola concreta possibilità di colpire i «borsari neri».

Escludendo la moneta e accertando i depositi, direi che abbiamo tolto dalla catena l’elemento più tassabile. Se tassiamo i depositi, possiamo escludere i titoli al portatore ed i titoli di Stato? Non li possiamo escludere, ed andiamo in un campo in cui commettiamo una maggiore ingiustizia fiscale, perché i titoli di Stato sono quelli che hanno subito il maggior danno dalla svalutazione. Questo sistema di cadute a catena io già ebbi occasione d’illustrarlo nella relazione agli onorevoli colleghi. Caduto un pilastro, ne cade un altro. Venuta la questione del segreto bancario, la Commissione ha detto: caduta la moneta, vediamo di arrestare ulteriori cadute e cerchiamo di prendere in considerazione i depositi bancari. L’argomentazione della Commissione è stata perfettamente obiettiva e, del resto, gli onorevoli colleghi hanno potuto non so se condannare od elogiare il rigido spirito fiscale della Commissione, che d’altra parte non poteva essere diverso.

La Commissione, come dicevo, rispetto a questo problema si è messa in condizione di estrema obiettività, senza preconcetti. Siccome nella quasi totalità la Commissione era favorevole al cambio, ha detto: una volta caduto il cambio della moneta, vediamo di non lasciare sfuggire i depositi bancari. (Interruzione dell’onorevole Corbino).

Onorevole Corbino, non è che ci siano state delle eminenze grigie. La Commissione, di fronte a un problema così grave, ha pregato il Ministro Campilli di manifestare l’opinione del Governo, che era un elemento necessario di giudizio. Non solo, ma siccome responsabile tecnicamente della politica creditizia del Paese è, finché c’è un Governatore della Banca d’Italia, il Governatore della Banca d’Italia, la Commissione ha pregato il Ministro di accertare formalmente il pensiero del Governatore. Ed ha voluto una manifestazione formale, cioè una lettera.

Il Ministro, in base alla lettera del Governatore, ha dichiarato che il Governo riteneva di non dover violare il segreto bancario. Che importanza ha questo dato di fatto? Evidentemente la questione della abolizione o meno del segreto bancario deve essere ponderata, come doveva essere pesata la questione del cambio della moneta. Ripeto, ero favorevole al cambio ma ad un certo punto ho dovuto negare la possibilità di farlo. La valutazione psicologica, l’apprezzamento delle condizioni del mercato, delle reazioni del mercato, sono dati di fatto che il Governo ed il Governatore della Banca d’Italia soltanto possono avere. Noi possiamo non credere a questa opinione del Governo e del Governatore della Banca d’Italia, ma dobbiamo accertarla perché è un elemento tecnico indispensabile. Noi abbiamo così accertata una opinione sfavorevole alla violazione del segreto bancario.

Prego l’Assemblea di tener conto di questo: se noi non facessimo oggi una lotta contro l’inflazione, e dovessimo violare il segreto bancario, in un momento in cui non si tratta di difendere la moneta, ma di applicare inflessibilmente un tributo (non in tutti i Paesi l’imposta ha scopo antinflazionistico), se noi non avessimo il dovere di combattere l’inflazione, non esisterebbe secondo me – e dissento da Corbino e Jacini – nessun problema. Ma quando si tratta di frenare la spinta speculativa, violando il segreto bancario, determiniamo una situazione di mercato contraria ai nostri fini. Prendendo questa decisione, la prendiamo a favore del nostro avversario, ed il nostro avversario è la speculazione inflazionistica.

Questo è un dato che, dal punto di vista della violazione del segreto bancario, bisogna tener presente. Non bisogna fare operazioni passive, per lo scopo della nostra battaglia e per l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Se riteniamo che non ci sia un effetto inflazionistico, nel senso che si determini un panico fra i risparmiatori, possiamo tranquillamente violare il segreto bancario; se invece temiamo che ci sia, allora bisogna agire diversamente.

Debbo soggiungere che sulla materia del segreto bancario la Commissione si è divisa; ed io, all’infuori dei miei sentimenti personali, esprimo quella che è l’opinione della maggioranza. L’opinione della maggioranza si adeguò al giudizio tecnico del Ministro. Si disse: se il Governo si assume la responsabilità di non violare il segreto bancario, la Commissione non può andare oltre, ma deve prospettare all’Assemblea la situazione, in maniera che ciascuno possa assumere le proprie responsabilità.

Anche dopo avere riesaminata la questione in sede di emendamenti, la Commissione ha ritenuto di mantenere il suo giudizio, ed ha conservato la sua opposizione agli ordini del giorno De Mercurio, Pesenti-Scoccimarro ed altri.

Il pensiero della Commissione è invece favorevole all’emendamento Arcaini, che implica il giusto diritto di andare a vedere che cosa avviene nelle banche. Come abbiamo visto in materia di prestito della ricostruzione, c’è la possibilità che si siano fatte operazioni fittizie, ed è giusto che la finanza abbia una possibilità di controllo attraverso l’Ispettorato del credito. L’Ispettorato del credito, messo di fronte a questa responsabilità, farà il proprio dovere.

In quanto all’emendamento dell’onorevole Micheli, la Commissione è contraria al suo accoglimento perché, dato le circostanze in cui si crea l’imposta, si determinerebbe una condizione di privilegio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Quando il Governo del tempo, all’unanimità, ritenne di rispettare il segreto bancario, inserendo nell’articolo 44 l’ultimo comma di cui discutiamo, evidentemente non poteva non riferirsi a considerazioni di ordine tecnico attinenti genericamente alla politica monetaria ed economica. Il Governo attuale si è trovato dinanzi ad una legge non sua e per la quale attende dall’Assemblea un contributo di miglioramento e di perfezionamento; comunque esso ritiene che non siano venute meno le ragioni per cui si è inserito allora l’ultimo comma dell’articolo 44.

Ed è per questo che io non posso dare parere favorevole all’emendamento Dugoni.

Desidererei però, come contributo eminentemente pratico – poiché, tante volte, in questo nostro simpatico Paese, sul piano tributario, facciamo molte magnifiche disquisizioni di ordine teorico per avere in partenza la legge più perfetta possibile, senza preoccuparci troppo di quello che avverrà in sede di applicazione pratica di quel determinato tributo – desidererei che il problema dei depositi bancari venisse esaminato al lume di queste semplici considerazioni.

I titolari dei depositi possono appartenere all’una o all’altra delle seguenti categorie:

1°) Enti morali: credo che possiamo trascurare questa categoria, perché sappiamo che gli Enti morali sono assai più carichi di debiti che non titolari di depositi.

2°) Società azionarie quotate in borsa. Sia chiaro che per queste società la questione non ha alcuna importanza, poiché, ai fini della valutazione dei titoli si tiene conto della quotazione di borsa, e perciò i depositi di quelle determinate società sono automaticamente assorbiti, sul piano pratico, attraverso alla quotazione di mercato.

3°) Imprese industriali e commerciali azionarie, non quotate in borsa, oppure aventi altra forma giuridica di società di persone o imprese individuali.

Sul piano pratico avverrà – ed è opportuno che così avvenga in omaggio a quei principî di semplificazione nell’applicazione dell’imposta, che sono stati adottati per la valutazione dei terpeni e dei fabbricati – avverrà che, tramite probabilmente un organo da costituire con tutte le idonee garanzie, si stabiliranno, settore per settore, criteri e coefficienti per la valutazione di quelle determinato imprese.

Cosicché per tutti questi settori la questione dei depositi bancari avrà una importanza pratica pressoché nulla.

Quindi, la vera questione del censimento dei depositi bancari riflette la categoria residuale dei depositanti, che non sono né commercianti, né industriali, né società azionarie quotate in Borsa, né enti morali.

Queste sono le dimensioni pratiche del problema, onorevoli colleghi: esso si limita ai depositi appartenenti ai cosiddetti privati.

Ora, io non so se questa zona sia così notevole, sia così interessante per l’Amministrazione finanziaria da poter postulare un problema della violazione del segreto bancario, perché è la zona di tutti i piccoli depositanti, è la zona di quei libretti al portatore che, se anche hanno avuto origine presso categorie di speculatori, non facciamoci illusioni, al momento in cui avremo escogitato il sistema più perfetto per afferrarli, ci si presenteranno suddivisi su moltissime teste, cosicché proprio in quel momento in cui vorremo combattere una evasione, inconsapevolmente avremo creato proprio noi una evasione ancora maggiore. Vi è, però, un aspetto di questo controllo bancario, che è stato portato alla ribalta dall’emendamento Arcaini, cioè vi possono essere dei debiti bancari i quali hanno un loro corrispettivo in un altro conto bancario attivo.

A questo riguardo, ho già avuto occasione di far presente (in sede di illustrazione dell’articolo 27 se non erro) che l’Amministrazione finanziaria non si accontenterà di una semplice dichiarazione di debito alla data stabilita; la legge prescrive l’obbligo della presentazione di copia degli estratti-conto; e noi sappiamo che la lettura degli estratti-conto, se verrà eseguita con una certa intelligenza, è già di per sé una fonte tecnicamente idonea ad individuare la nascita di qualche contropartita fittizia.

Se tuttavia l’onorevole Arcaini ritiene che questo suo emendamento possa venire incontro in qualche modo alle preoccupazioni dell’Assemblea di colpire i debiti simulati, il Governo non ha difficoltà a rimettersi a quello che l’Assemblea deciderà al riguardo.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Desidero prendere brevemente la parola per far considerare che se, a nome degli amici repubblicani, ritirai l’ordine del giorno relativo al cambio della moneta, tale mio gesto era condizionato appunto a certe misure che permettessero una maggiore perequazione nell’applicazione dell’imposta patrimoniale. Ora, è questo uno dei casi più patenti ed è per questo che riteniamo sia doveroso da parte nostra, da parte del gruppo repubblicano, di insistere e di appoggiare con tutte le nostre forze la proposta dell’onorevole De Mercurio intesa alla soppressione del secondo comma dell’articolo.

Noi ritorneremo dunque sempre all’attacco su queste posizioni, poiché altrimenti noi avremmo giuocato un giuoco poco simpatico a coloro i quali ci hanno conferito il preciso mandato di sostenere questa posizione.

ZERBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZERBI. Vorrei permettermi un breve chiarimento realistico, che valga ad eliminare dalle determinanti della imminente votazione quella che, a modesto parer imo, è per gran parte un’ombra senza corpo.

Se non ho mal compreso, da parte di taluni dei colleghi che hanno precedentemente parlato, si ritiene che la soppressione del segreto bancario proposta dall’onorevole Dugoni, soprattutto in quanto consentirebbe d’indagare sui depositi, renderebbe possibile di perseguire efficacemente i capitati di malo acquisto di molti speculatori. Senonché la speranza di cogliere gli speculatori in credito verso banche è per lo meno tanto tenue da imporci di ponderare meditatamente se essa valga il prezzo del sicuro gravissimo turbamento che la proposta abolizione del segreto bancario prospetta.

Ma io vorrei chiedere in sostanza: credete voi davvero che coloro che noi ci sforziamo di perseguire fiscalmente siano stati così ingenui da tenere delle larghe disponibilità presso le banche? (Commenti).

Specie in tempi di prezzi rapidamente crescenti come quelli che ci affliggono, gli speculatori ben si guarderebbero dal lasciare giacenti in banca delle proprie disponibilità, poiché la convenienza economica li pungola a investire assiduamente in beni reali tutti i propri capitali e ad incrementare tali propri investimenti con tutto il credito bancario e non bancario che a loro riesca di ottenere. È di ovvia evidenza, in tempi come quelli che attraversiamo, che l’interesse stesso di coloro che noi ci proponiamo di perseguire fiscalmente, anche con l’abolizione del segreto bancario, li porta a non essere creditori delle banche, ma bensì debitori delle banche medesime. (Commenti).

Se una breccia dovessimo ritenere conveniente di aprire nelle inviolate mura del segreto bancario, questa dovrebbe essere aperta dal lato delle operazioni attive di banca, al limitato intento di consentire indagini su passività dei contribuenti sospettate artificiose e collegate a non denunciate attività. Anche tale breccia andrebbe praticata in misura e con strumenti che non provochino crepe o rotture pericolose nel delicato congegno bancario e nell’ipersensibile mondo dei risparmiatori, soprattutto dei piccoli. Dell’una e dell’altra esigenza parmi preoccupato l’onorevole Arcaini, il quale, con opportune cautele, si appunta realisticamente sul caso di partite passive sospette di avere delle contropartite attive.

È per questi motivi che io, onorevoli colleghi, ritengo che noi dovremmo respingere l’emendamento dell’onorevole Dugoni ed accogliere, semmai, quello dell’onorevole Arcaini.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

Voci a sinistra. Ai voti! Ai voti!

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Sono dolente di dover interloquire in questa discussione di competenti e di tecnici, ma io sono un po’ chiamato in causa, perché ho presentato un emendamento all’articolo 54.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ne parlerà al momento opportuno.

CAROLEO. Volevo dire questo che, in sostanza, siamo qui di fronte ad un grave problema di giustizia tributaria. Nella Carta costituzionale siamo arrivati a superare il domicilio individuale, quel tale diritto sacro all’uomo, e, anche nei confronti dei professionisti, voi ricordate che si è stabilito il principio che si può andare a frugare anche fra i loro documenti, per questo dovere di rispondere a quelle che sono le esigenze della finanza dello Stato.

Noi qui ci troviamo dinanzi ad una legge estremamente grave; quindi non possiamo assolutamente preoccuparci delle formule di ieri, di oggi e di domani. Tutti devono pagare. Qui la legge, come è congegnata, ha detto bene l’onorevole Dugoni, tende a colpire soltanto i proprietari di immobili, a cui si mettono perfino fittiziamente i soldi in tasca, perché il fisco abbia diritto di reclamarli. Perché, come dicevo l’altro ieri, nei riguardi dei proprietari di fabbricati bloccati, si arriva a presumere per questi signori delle quote di mobilio e di denaro, che non hanno mai avuto. Ora, di fronte a questo, un senso elementare di giustizia tributaria, in questo momento eccezionale della vita del nostro Paese, esige che anche i possessori di denaro, e tutti i possessori di denaro, paghino. (Applausi a sinistra).

La data è quella del 28 marzo 1947; quindi nessuna preoccupazione per la funzione creditizia avvenire. È una data-catenaccio che ha bloccato i valori immobiliari, per cui non c’era necessità di blocco, data la rigorosa vigilanza del settore delle imposte coi catasti e registri censuari. La data di blocco doveva unicamente funzionare nei riguardi dei possessori di denaro. E come noi potremmo colpirli, se non daremo almeno alla finanza questo diritto di controllo?

Mi sorprende che l’onorevole Ministro delle finanze abbia messo avanti degli argomenti, che io, modestamente, non posso condividere. Si afferma che sono pochi i risparmiatori delle banche; ebbene, in tal caso, questo provvedimento avrà limitate conseguenze. Ma siccome noi pensiamo – come molti di questa Assemblea pensano – che i possessori di denaro siano parecchi – e sono i cosiddetti «borsari neri» – non c’è altro modo di colpirli che l’indagine bancaria.

Per queste ragioni voterò a favore. (Applausi a sinistra).

Voci al centro. Ai voti! Ai voti!

PRESIDENTE. C’è una proposta dell’onorevole Scoca di rinviare…

Voci a sinistra. No! No!

PRESIDENTE. Dovrò mettere ai voti tale proposta.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Qui sono state prospettate due questioni: la questione del cambio della moneta e la questione del segreto bancario, che non possono essere lasciate insolute fino a domani.

Io mi permetto di ricordare agli amici proponenti che, quando l’altra volta questa stessa proposta fu fatta qui, fuori di qui vi furono delle manovre speculative. E noi non dobbiamo prestarci a questo giuoco. (Commenti).

Insisto quindi per una decisione immediata.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di pronunciarsi.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Scoca – per le considerazioni che ha svolto l’onorevole Corbino e che in questo momento il Governo fa proprie – di rinunciare alla sua proposta di sospensiva o di rinvio.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Signor Presidente, io non avevo chiesto la sospensiva nel significato che è stato inteso. Io avevo chiesto – ed i colleghi che mi hanno udito possono testimoniarlo – la sospensione per cinque minuti al solo scopo di trovare una soluzione concordata. (Commenti). Anch’io sono del parere che in una questione così delicata non conviene rimandare i lavori a domani, ma conviene decidere subito.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione. Avverto l’Assemblea che sull’emendamento De Mercurio, soppressivo del secondo comma dell’articolo, vi è una domanda di votazione per appello nominale, firmata dagli onorevoli Valmarana, Perlingieri, Fuschini, Tosi, Cremaschi Carlo, Rescigno, Bosco Lucarelli, Cavalli, Arcaini, Angelini, Morelli Luigi, Cappi e Malvestiti.

Sulla soppressione del comma dell’articolo altra richiesta di votazione per appello nominale è pervenuta dagli onorevoli De Mercurio, Romita, Stampacchia, Bellusci, Rossi Paolo, Macrelli, De Vita, Nasi, Vigorelli, Capolari, Arata, Cianca, Cevolotto, Pieri, Foa, Morini.

È però pervenuta anche una richiesta di votazione a scrutinio segreto, che reca le firme degli onorevoli Chieffi, Cremaschi Carlo, Giordani, Medi, Nicotra Maria, Clerici, Mortati, Foresi, Castelli Avolio, Fabriani, De Palma, Mastino Gesumino, Lazzati, Angelini, Adonnino, Monticelli, Chatrian, Vanoni, Morelli Luigi e Zerbi.

Nella concorrenza delle due domande di votazione, quella a scrutinio segreto ha la precedenza.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sull’emendamento De Mercurio soppressivo dell’ultimo comma dell’articolo 44.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione segreta.

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     342

Maggioranza           172

Voti favorevoli        159

Voti contrari           183

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benedetti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti Bruschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Borato.

Caccuri – Cairo – Calamandrei – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Caprani – Carbonari – Carboni Enrico – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Noce Teresa – Novella.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perlingieri – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Segala – Segni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vaironi – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bernabei – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Tomba.

Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sostituzione di un Commissario:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Perassi

Lami Starnuti

Mattarella

Codignola

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Colitto

Camporsarcuno

Mortati

Caroleo

Amadei

Cevolotto

Nobile

Uberti

Laconi

Lussu

Tonello

Grassi

Persico

Dominedò

Amadei

Cremaschi Carlo

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Sostituzione di un Commissario.

PRESIDENTE. Comunico che in sostituzione dell’onorevole Guido Giacometti, dimissionario, ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Enrico Grazi.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che nella seduta di ieri è stato approvato l’articolo 113.

Passiamo quindi all’articolo 114, che, nel progetto, era del seguente tenore:

«Sono organi della Regione il Consiglio regionale, la Deputazione regionale ed il suo Presidente.

«Una legge della Repubblica stabilisce il numero dei membri del Consiglio ed il sistema elettorale, che deve essere conforme a quello per la formazione della Camera dei deputati.

«Il Presidente ed i membri della Deputazione regionale sono eletti dal Consiglio regionale, che elegge pure nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza per i propri lavori.

«I membri del Consiglio regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

Il Comitato di coordinamento ha ora presentato un nuovo testo che servirà di base per la discussione. Il nuovo testo è così formulato:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente.

«Il numero ed il sistema di elezione dei consiglieri ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono stabiliti con leggi dello Stato.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale.

«I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, per i propri lavori.

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti».

All’articolo 114 sono stati presentati vari emendamenti.

Vi è anzitutto quello proposto dall’onorevole Parassi, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente.

«Il numero ed il sistema di elezione dei membri del Consiglio ed i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l’ufficio di consigliere regionale sono stabiliti con legge dello Stato.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento nazionale o di un altro Consiglio regionale.

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di presidenza.

«Le deliberazioni del Consiglio non sono valide, se non è presente la maggioranza dei suoi membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale.

«Il Consiglio adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri.

«I membri del Consiglio regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento sostitutivo che avevo presentato è stato già esaminato dal Comitato di coordinamento e, a seguito di questo esame, il Comitato ha presentato il testo che è stato distribuito. Le modificazioni da me proposte, rispetto al testo primitivo, risultano dalla lettura e non sono molto rilevanti.

Alcune sono modificazioni di pura forma o di terminologia. Così, in luogo di «Deputazione», ho proposto «Giunta».

Questa sostituzione di parola è stata suggerita da due considerazioni:

1°) Si era usata la denominazione di Deputazione, quando il progetto prevedeva la soppressione della Provincia come ente. Una volta deciso il mantenimento della Provincia, il cui organo esecutivo si chiama Deputazione, è opportuno evitare che la denominazione sia usata per i due enti;

2°) La denominazione «Giunta» è già in applicazione per quanto concerne la Sicilia e la Val d’Aosta. Sarebbe un po’ strano che un organo avente medesime funzioni si chiami ad Aosta «Giunta» e a Torino «Deputazione».

Per queste considerazioni, avevo proposto questa modificazione. Il Comitato di coordinamento l’ha accolta.

Un’altra modificazione riguarda la soppressione di una disposizione che era inserita nel testo primitivo, nel quale si diceva che, per l’elezione dei membri del Consiglio regionale, dovrà, obbligatoriamente seguirsi la legge elettorale della Calmerà dei deputati. Ora, anche da diversi altri colleghi, è stato fatto presente che non si vede la necessità di stabilire nella Costituzione questa correlazione obbligatoria fra le leggi: elettorali dei due organi.

Ciò che basta dire è che il sistema di elezione dei Consiglieri sarà regolato dalla legge dello Stato come crederà. Il Comitato di coordinamento ha pure accolto questo punto di vista nel nuovo testo da esso presentato. Esso ha anche aderito ad inserire nell’articolo la disposizione, con la quale si prevede che la legge dello Stato regolerà anche i casi di ineleggibilità e di incompatibilità. In particolare è parso opportuno stabilire direttamente nella Costituzione un caso di incompatibilità, e cioè che nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale.

Per quanto mi concerne, io avevo proposto questo emendamento, che è stato accolto dal Comitato, partendo dall’idea che conviene evitare questo cumulo di cariche e che vi sia una certa divisione di lavoro. È bene, cioè, che coloro che sono eletti a far parte di Consigli regionali si occupino di questa funzione e non siano distratti da altre cariche. In particolare, il cumulo della carica di consigliere regionale con quella di membro di una delle Camere del Parlamento sarebbe dannoso per la Regione e per lo Stato.

Le modificazioni, alle quali ho finora accennato, sono quelle formulate nel mio emendamento, che sono state accolte dal Comitato di coordinamento, nel nuovo testo da esso presentato.

Nel mio emendamento vi erano altri due commi, i quali stabilivano alcune disposizioni fondamentali circa il funzionamento del Consiglio regionale. Uno diceva:

«Le deliberazioni del Consiglio non sono valide se non presentate a maggioranza dei suoi membri, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale».

Il secondo comma diceva:

«Il Consiglio adotta il proprio Regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri».

Questi due commi ripetono testualmente le disposizioni corrispondenti che figurano nell’articolo 61 per quanto concerne le Camere. Mi pare opportuno che questi principî fondamentali, relativi al modo di funzionare dei Consigli regionali, siano inseriti nella Costituzione.

Comunque, su questo punto io attendo che il Presidente della Commissione esponga le ragioni per le quali il Comitato ha ritenuto opportuno di non inserirli nel testo che ha presentato. Mi riservo, pertanto, di esporre il mio punto di vista definitivo circa questa parte del mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Preti, così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La legge delta Stato disciplina l’elezione e la composizione del Consiglio regionale».

Non essendo presente l’onorevole Preti, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Lami Starnuti così formulato:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: che deve essere conforme a quello per la formazione della Camera dei deputati».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Il mio emendamento è già accolto dal nuovo testo presentato dal Comitato di coordinamento, e perciò ritengo superfluo svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma dell’onorevole Micheli, così formulato:

«Al secondo comma, dopo le parole: per la formazione della Camera dei deputati, aggiungere: adottandosi le circoscrizioni provinciali».

Non essendo presente l’onorevole Micheli, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Preti, così formulato:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Il Consiglio regionale elegge nel suo seno:

il proprio Presidente;

il Presidente e i membri della Deputazione regionale».

Non essendo presente l’onorevole Preti si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mattarella, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«L’appartenenza al Consiglio regionale è incompatibile con l’appartenenza ad altro Consiglio regionale o ad una delle Assemblee legislative nazionali».

L’onorevole Mattarella ha facoltà di svolgerlo.

MATTARELLA. Rinuncio a svolgerlo, perché il mio emendamento fa parte integrante del nuovo testo del Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bruni, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Sono incompatibili le funzioni di deputato al Parlamento e di consigliere regionale. Un consigliere regionale eletto senatore non decade dalla carica».

Non essendo presente l’onorevole Bruni, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’emendamento dell’onorevole Codignola, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I membri di un Consiglio regionale non possono far parte del Parlamento nazionale».

CODIGNOLA. Anche il mio emendamento è accolto nel nuovo testo del Comitato di redazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembra che tutti gli emendamenti siano caduti.

Io non devo fare altro che invitare l’Assemblea a votare il testo nella dizione ultima che è stata presentata dal Comitato e che, in sostanza, rispecchia le proposte che sono state fatte dal collega Perassi, tranne due punti.

Il collega Perassi aveva proposto alcune norme sul funzionamento del Consiglio – quorum di maggioranza, modi di approvazione del regolamento del Consiglio – norme che evidentemente hanno un valore. Ma il Comitato ha ritenuto che non conviene stabilire soltanto alcune norme, che riguardano il funzionamento dei Consigli; le altre, non inserite, poteva sembrare fossero escluse. Ad ogni modo – ed in questo spero che il collega Perassi aderisca – ha dichiarato che queste norme debbano far parte degli statuti regionali, dove saranno accolti principî, che già vigono pel Parlamento nazionale, e sono di evidente giustizia.

Non debbo far altro che pregare l’Assemblea di votare il testo, così come è stato proposto dal Comitato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. Prendo atto della dichiarazione del Presidente del Comitato, nel senso che la determinazione dei principî relativi al funzionamento del Consiglio regionale sarà di competenza dello statuto regionale previsto nell’articolo 124. Secondo il mio avviso, sarebbe stato forse opportuno farne cenno nella Costituzione. Comunque, di fronte alla dichiarazione dell’onorevole Ruini, non insisto nei due commi dell’emendamento che avevo proposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 114:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Il numero ed il sistema di elezione dei consiglieri ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono stabiliti con leggi dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Nessuno può essere contemporaneamente membro di un Consiglio regionale e di una delle Camere del Parlamento o di altro Consiglio regionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma:

«I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Pongo in votazione il quinto comma:

«Il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, per i propri lavori».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma dell’articolo 114:

«Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 114 nel suo complesso, secondo il nuovo testo proposto dalla Commissione, testé approvato nei singoli commi.

(È approvato).

Vi è ora un articolo aggiuntivo, 114-bis, proposto dall’onorevole Persico, del seguente tenore:

«In ogni Regione è costituito un Consiglio economico regionale, composto nei modi stabiliti dalla legge.

«Il Consiglio economico regionale è organo di consulenza dei pubblici poteri nelle materie interessanti l’economia regionale, ed esercita tutte le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

Non essendo presente l’onorevole Persico, s’intende che vi abbia rinunciato.

Passiamo all’articolo 115. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e quella regolamentare delegata dallo Stato. Può proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Adempie le altre funzioni conferite dalle leggi.

«La Deputazione regionale è l’organo esecutivo della Regione.

«Il presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

PRESIDENTE. Il Comitato di coordinamento propone ora il seguente nuovo testo, che sarà tenuto come base nella discussione:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può proporre disegni di legge al Parlamento.

«La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni.

«Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; promulga le leggi ed i regolamenti regionali e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

A questo articolo è stato proposto dall’onorevole Codignola, il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La potestà legislativa sulle materie di cui all’articolo 109 e quella regolamentare sulle materie di cui l’amministrazione sia delegata dallo Stato alla Regione a norma dell’articolo 112, sono esercitate dal Consiglio regionale. Esso può inoltre proporre al Parlamento nazionale, nei modi previsti dagli statuti, voti e progetti di legge su materie d’interesse regionale.

«La potestà esecutiva, nonché la potestà regolamentare sulle materie di diretta pertinenza della Regione, spetta alla Deputazione ed al suo presidente.

«A quest’ultimo spettano altresì la rappresentanza della Regione, la promulgazione delle leggi regionali e l’emanazione dei regolamenti».

Non essendo presente l’onorevole Codignola, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue un emendamento dell’onorevole Caroleo:

«Al primo comma, sostituire il primo periodo col seguente:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa delegata alla Regione».

Non essendo presente l’onorevole Caroleo, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue un emendamento dell’onorevole Colitto:

«Nel primo comma, alle parole: e quella regolamentare delegata dallo Stato, sostituire: e quella delegata da leggi della Repubblica».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Il primo comma dell’articolo 115, nel vecchio testo presentato dalla Commissione, era così redatto:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e quella regolamentare delegata dallo Stato. Può proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Adempie le altre funzioni conferite dalle leggi».

In riferimento ad esso io proposi che fosse soppressa la parola «regolamentare».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma nella formulazione del nuovo testo è stata già soppressa.

COLITTO. È esatto. Io ho constatato con piacere che l’emendamento da me proposto è stato accolto dal Comitato. Ma io ho proposto anche un altro emendamento. Ho proposto che alle parole del primo comma «e quella regolamentare delegata dallo Stato», vengano sostituite le seguenti altre: «e quella delegata da leggi della Repubblica». La ragione dell’emendamento è nel fatto che anche negli articoli in precedenza approvati si parla di potestà legislativa delegata non dallo Stato, ma da leggi della Repubblica. Il mio emendamento ha, quindi, una ragione di mera euritmia legislativa, che ha anche la sua importanza.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Camposarcuno, di cui do lettura:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il presidente della Deputazione rappresenta il Governo centrale nella Regione per le materie di competenza dello Stato o delegate da questo alla Regione per la esecuzione».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Con la modificazione da me proposta all’ultimo comma dell’articolo 115, io ho inteso di dare una rappresentanza al Governo centrale nella Regione. Mi pare che il presidente della Deputazione possa esercitare funzioni di rappresentanza per le materie di competenza dello Stato o delegate da questo alla Regione per la esecuzione.

Né vale osservare che ciò sia già previsto dal nuovo articolo 116, il quale è del seguente tenore:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

Non vale, dicevo, invocare tale formulazione, perché questo commissario di Governo, di cui qui è fatto cenno, sovraintende soltanto alle funzioni amministrative, mentre, con il mio emendamento, io intendo che vi sia proprio un rappresentante del Governo per le materie, ripeto, che siano di competenza dello Stato e vengano delegate alla Regione per l’esecuzione. Con questo emendamento, intendo, in altre parole, che per l’esecuzione della funzione statale delegata alla Regione vi sia il presidente della Deputazione in veste di rappresentante del Governo.

PRESIDENTE. Sono stati presentati i seguenti altri emendamenti dall’onorevole Mortati:

«Aggiungere al primo comma, dopo la frase: Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione, le parole: nonché quella regolamentare delegata ad essa dallo Stato».

«Sostituire il terzo comma col seguente testo:

«Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione, promulga le leggi regionali, emana i regolamenti delle materie attribuite alla competenza legislativa della Regione».

«Sopprimere le parole: conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerli.

MORTATI. A me pare che il nuovo testo proposto dal Comitato presenti questo inconveniente di lasciare incerta la determinazione della competenza normativa in ordine alla potestà legislativa delegata dal Governo centrale.

Noi sappiamo che la Regione può esercitare una potestà normativa delegata e una potestà regolamentare delegata, e si tratta di stabilire – il che mi pare importante, dal punto di vista della certezza del diritto – quale sia l’organo competente a provvedere in materia di legislazione delegata. Ora, mentre dalla disposizione proposta si desume chiaramente la competenza del Consiglio regionale per la prima, rimane incerta quella relativa alla seconda. Credo opportuno si chiarisca che la potestà normativa dell’esecutivo regionale è limitata semplicemente ai regolamenti nella materia legislativa propria della Regione.

Il secondo emendamento tende a precisare questo punto: che il presidente della Giunta non solo promulga, ma emana i regolamenti nelle materie attribuite alla competenza regolamentare propria della Regione: mancherebbe altrimenti ogni determinazione in ordine all’organo titolare di tale potere di emanazione, il che mi pare un’impostazione da evitare.

Per quanto riguarda il terzo punto, non credo opportuno insistere nell’emendamento, anche perché l’esame di questo dovrebbe farsi in correlazione con l’altro proposto pel successivo articolo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 115 è, in sostanza, il testo vecchio, con alcuni piccoli ritocchi, che non credo possano sollevare difficoltà nell’Assemblea.

L’onorevole Colitto ha chiesto che sia tolta «la facoltà regolamentare delegata dallo Stato»; ed è stata tolta nel nuovo testo; il suo desiderio è quindi sodisfatto. Quanto all’altra espressione che egli propone «delegata da leggi della Repubblica», noi abbiamo messo «attribuita», che è frase più larga e giuridicamente preferibile.

L’onorevole Mortati vuole si parli specificamente delle potestà regolamentari, cioè di emanare regolamenti, che la legge può dare alla Regione. È un problema che abbiamo esaminato; e si è ritenuto che non occorra specificare, per un insieme di considerazioni, che hanno anche fatto capo ad una mia frase – sarà una «boutade», ma un fondamento c’è – che ormai una vera e propria distinzione tra leggi e regolamenti non esiste più; esisteva quando c’era un taglio netto fra ciò che deliberava il Parlamento e le norme esecutive che faceva il Governo. Ora vi sono tanti gradi intermedi: i decreti legislativi, i regolamenti che emanano dalle norme che hanno forza legislativa, ecc. Volutamente l’Assemblea si astenne dal parlare di regolamenti. Parlò bensì in generale di facoltà di emanare le norme secondo la delegazione che avrebbe fatto la legge dello Stato. In ciò è compreso il regolamento, senza specificarlo. Non vorrei che, aggiungendo quello che propone l’onorevole Mortati, si creasse una specie di asimmetria, perché ora verremmo a parlare di regolamenti, mentre non ne abbiamo parlato allora. Entreremmo poi in un campo minuto: regolamenti che spettano al Consiglio, quelli che spettano alla Giunta, ecc. Pregherei di rimanere al testo della Commissione; secondo il quale non è dubbio che, tra le funzioni che le leggi della Repubblica possono conferire alla Regione, vi è la facoltà di emanare regolamenti.

L’emendamento dell’onorevole Camposarcuno, che è assorbito in altre parti dalle nostre proposte, solleva incidentalmente un problema di una certa importanza: il presidente della Giunta dovrebbe rappresentare il Governo centrale nella Regione non solo – come dice il testo nostro – per le materie che lo Stato delega alle Regioni, ma anche per le materie di competenza dello Stato. Questo problema va meglio esaminato nell’articolo successivo, quando parleremo del Commissario del Governo.

CAMPOSARCUNO. Allora si rinvia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io mantengo il testo della Commissione, ed eventualmente risponderò nella discussione del prossimo articolo; ma il luogo di trattare non è questo.

CAMPOSARCUNO. Il secondo emendamento si potrebbe accettare?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non è favorevole, nel senso che la responsabilità del Presidente di fronte al Consiglio è norma generale di diritto amministrativo, e vale nelle province, nei comuni ed in tutti gli enti. Non v’è motivo di metterlo soltanto per le Regioni. Aggiungo che lo statuto delle Regioni potrà dare norme precise al riguardo.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Il Presidente Ruini, in definitiva, per quanto riguarda il primo emendamento da me proposto, pur convenendo sulla sua importanza, ha espresso il desiderio che se ne parli nella discussione del prossimo articolo, dove potrebbe trovare utilmente posto.

Dopo i chiarimenti dati in merito al mio secondo emendamento – che sostanzialmente viene accettato, ma che non si ritiene opportuno inserire nel testo della Costituzione, in quanto il regolamento della Regione potrebbe contenerlo – dichiaro di non insistervi.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati insiste nel suo emendamento?

MORTATI. Sono perplesso, perché mi pare che il testo del Comitato peggiori la dizione del progetto dei Settantacinque, ingenerando l’incertezza della quale ho parlato. Non mi pare che l’incertezza sia sanata dalla frase generica, con cui si fa riferimento alle altre funzioni. Di quali funzioni si vuol parlare? Se solo di quelle legislative, è bene precisare il punto relativo all’attività Regolamentare, tanto più in presenza dell’altro comma, con cui si fa riferimento a tale attività. Se invece si intendono comprese anche altre funzioni, di indole amministrativa, si dice qualcosa di inesatto.

Comunque non insisto, ma con questo chiarimento.

PRESIDENTE. Allora, essendo ritirati o decaduti tutti gli emendamenti, resta soltanto il testo della Commissione, che sarà votato comma per comma.

Pongo in votazione il primo comma:

«Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa attribuita alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può proporre disegni di legge al Parlamento».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«La Giunta regionale è l’organo esecutiva delle Regioni».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Il presidente della Giunta rappresenta la Regione; promulga le leggi ed i regolamenti regionali e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 115 nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 116. Ricordo che, nel progetto, l’articolo era del seguente tenore:

«Il presidente della Deputazione regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale.

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato».

Il Comitato di coordinamento, soppresso il primo comma, inserito nell’articolo precedente, ha ora proposto il seguente nuovo testo dell’articolo:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

A questo articolo l’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il presidente della Deputazione regionale è anche il rappresentante del Governo centrale nella Regione. Esso vigila e coordina le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato ed ai suoi organi locali. Partecipa, con voto consultivo, alle sedute del Consiglio dei Ministri quando esse abbiano per oggetto argomento di interesse specifico per la Regione.

«Il Governo centrale si accerta dell’efficace tutela degli interessi dello Stato nel territorio della Regione mediante propri ispettori e, ove grandi ragioni lo consiglino, affidando temporaneamente la cura delle funzioni dello Stato non delegate alla Regione a un proprio commissario straordinario, che assume in tal caso i poteri di rappresentante dello Stato nella Regione».

Non essendo presente l’onorevole Codignola, l’emendamento s’intende decaduto.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Caroleo, del seguente tenore:

«Al primo comma, dopo le parole: alla Regione, aggiungere: e controlla anche l’esercizio di quelle riservate allo Stato».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Ho già accennato, a proposito di un precedente emendamento che aveva quasi l’identico contenuto, alla necessità che dagli enti locali siano controllati i servizi di stretta competenza statale. Ricordo che l’onorevole Ruini disse che il mio rilievo era fondato, e che si sarebbe tenuto conto di questo in sede di coordinamento delle varie norme. Quindi non faccio che ripetere la raccomandazione, a suo tempo accolta dall’onorevole Ruini, sulla necessità che gli enti locali controllino anche i servizi di competenza statale.

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento al nuovo testo a firma degli onorevoli Amadei, Jacometti, Carpano Maglioli, Dugoni, Tega, Priolo, Vernocchi, Fornara, Cacciatore, Mariani Enrico e Bonomelli, così formulato:

«Alle parole: e le coordina con quelle esercitate dalla Regione, sostituire: coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

L’onorevole Amadei ha facoltà di svolgere questo emendamento.

AMADEI. L’emendamento mio e di altri colleghi riguarda una questione di forma ed una questione di sostanza. Una questione di forma, perché a noi sembra che l’emendamento sia più chiaro del testo e meglio si adatti allo spirito che ha informato il nostro lavoro costituzionale; una questione di sostanza, perché è evidente che se coordinare significa aggiungere, togliere, trovare uno spirito di adattamento ed uno spirito di collaborazione, è evidente che questo spirito debba essere adoperato più dalla Regione che dallo Stato. Il lavoro di coordinamento, che deve essere indubbiamente fatto, deve essere tale da far sì che sia la funzione amministrativa della Regione che si accosti alla funzione amministrativa dello Stato, e non il contrario. Bisogna, in una parola, che la funzione amministrativa della Regione sia subordinata alla funzione amministrativa dello Stato. Per queste ragioni abbiamo proposto l’emendamento. Confidiamo che sia accolto dall’Assemblea.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Vorrei chiedere all’onorevole Ruini di voler chiarire quali saranno i rapporti di questo commissario del Governo con il prefetto, perché non li ho capiti. Vorrei sapere se il prefetto resta o è soppresso. Se i prefetti dovessero restare (e si tratta di una grossa questione che non pare ancora decisa) non vorrei che si costituisse un commissario del Governo col relativo Gabinetto, con i relativi uffici, con il relativo palazzo, vicino al quale vi sarebbe il palazzo del Governo della Regione con i relativi uffici, mentre resterebbe l’attuale «Palazzo del Governo» con il prefetto ed altri uffici. Mi sembra che, come semplificazione burocratica, noi stiamo facendo cosa che raggiunge vertici eccelsi.

PRESIDENTE. Salvo la risposta che l’onorevole Ruini le darà, le faccio presente che in tutto il testo del progetto di Costituzione non vi è cenno dell’esistenza, di un istituto, organo, funzionario, che si chiami prefetto o che adempia una funzione correlativa. Mi sembra, pertanto, che la questione che lei pone ne implichi una che non esiste. Comunque l’onorevole Ruini risponderà alla sua domanda.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei un chiarimento. L’articolo 116, come era nel primitivo testo approvato dalla Commissione, diceva così: «Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni…». Il testo nuovo presentato dal Comitato sopprime la parola «vigila» e con la parola sopprime anche una funzione che io ritengo importante e vitale, perché lo Stato, il quale delega alla Regione una parte delle sue funzioni, ha il diritto, ha il dovere di vigilare e controllare come questo esercizio viene fatto.

Pertanto vorrei chiedere spiegazioni, perché al testo primitivo votato dalla Commissione è stato sostituito un nuovo testo, il quale ne differisce in questa parte così essenziale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. V’è una questione importante che cadrebbe con la decadenza dell’emendamento Codignola, ma che è stata sollevata incidentalmente dall’onorevole Camposarcuno, ed è l’esistenza del Commissario del Governo nel capoluogo della Regione.

La tesi dell’onorevole Camposarcuno, accennata così per incidenza e non come una formale proposta, è che non vi sia commissario del Governo e che il Presidente della Giunta ne eserciti le funzioni.

La Commissione, dopo aver esaminato lungamente questa tesi e l’altra, che si stabilisca un Commissario ad hoc, ha ritenuto che la prima soluzione non sia da accettare. Le funzioni esercitate dallo Stato nella Regione richiedono criteri uniformi di applicazione nelle varie Regioni, e sono così strettamente connesse alla qualità di rappresentante dello Stato, di suo delegato, di suo funzionario, di persona di sua fiducia, che non possono essere senza pericolo affidate ad un elemento elettivo della Regione, senza pericolo di attriti e di complicazioni, anziché semplificazione. In conformità allo spirito che ha animato la nostra riforma, e che mantiene allo Stato la maggior parte delle funzioni che ora ha nella Regione, si è ritenuto che non possa sopprimersi la figura del Commissario del Governo. Ad ogni modo, quella dell’onorevole Camposarcuno è sorta incidentalmente e non è una vera proposta.

Vi è poi un’altra questione che ha sollevato, mi pare, l’onorevole Caroleo.

CAROLEO. Vi rinunzio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi è anche una domanda dell’onorevole Cevolotto, relativa ai rapporti fra il commissario governativo della Regione ed il prefetto.

Il Presidente dell’Assemblea ha notato che dei prefetti non si parla affatto nel nuovo testo della Costituzione. Anche nei lavori della Commissione dei Settantacinque, non vi è a questo riguardo nessuna deliberazione formale della Commissione. Le discussioni della seconda Sottocommissione si sono ispirate e si orientano complessivamente contro la conservazione del prefetto, almeno come ora è; vale a dire il prefetto di tipo napoleonico, che è un rappresentante del potere politico ed ha dato luogo ad abusi ed inconvenienti nel regime passato. Comunque, se vi è stata, per così dire, una conclusione tragica, non vi è stata una vera deliberazione o proposta di disposizione, così che la questione dovrà essere rimessa al nuovo ordinamento comunale e provinciale e si potranno allora tener presenti gli atti della Sottocommissione.

L’onorevole Nobile si è lagnato che nell’ultimo testo sia stata tolta la parola «vigila». Nel primo testo si diceva che un commissario del Governo vigila e coordina secondo le direttive generali del Governo gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alla Regione. È sembrato che (poiché abbiamo già detto nell’articolo precedente che per tali funzioni il presidente della Giunta deve conformarsi alle istruzioni del Governo centrale) sia evidente ed implicito che il Governo centrale si varrà del commissario per esercitare i suoi poteri di vigilanza e di coordinamento. L’obbligo di conformarsi alle istruzioni governative è più vasto di ogni altra formulazione.

Abbiamo inoltre un ultimo emendamento dell’onorevole Amadei, che capovolge un po’ la dizione del Comitato, secondo la quale il commissario coordina le funzioni dello Stato con quelle della Regione. Per l’onorevole Amadei, invece, il commissario coordina le funzioni della Regione con quelle dello Stato.

Intendiamoci bene. Il Comitato ha voluto mirare a qualche cosa di sostanziale, al coordinamento che è opportuno ed anzi necessario nelle funzioni amministrative che si svolgono nella Regione, come è indispensabile, e quasi una esigenza, uno stato d’animo, una parola d’ordine per tutta la vita del Paese, in un momento di minacce, di dissolvimento e di discrasia, specialmente economica. La maggioranza del Comitato non ha ritenuto di accettare la formula Amadei. Si teme che, se si attribuisse al commissario del Governo di coordinare le funzioni proprie della Regione, si verrebbe a dare al Governo facoltà di vigilanza, di ispezione, di ingerenza negli atti della Regione, non conformi alla autonomia di questo ente. Personalmente io ritengo che il coordinamento si otterrebbe meglio con la formula Amadei; ma – data la posizione del Comitato – bisogna cercare di ottenere il risultato nella via da esso indicata.

Il commissario del Governo sovrintende a tutte quelle che sono le funzioni proprie dello Stato, e poi coordina queste funzioni che dipendono da lui, che sono sue, con quelle che spettano per potere proprio alla Regione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Codignola essendo decaduto e quello dell’onorevole Caroleo risultando assorbito dal nuovo testo della Commissione, rimane l’emendamento proposto dall’onorevole Amadei.

Domando all’onorevole Amadei se, di fronte alle spiegazioni date dell’onorevole Ruini, egli mantenga il suo emendamento.

AMADEI. Sì, vi insisto.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. L’onorevole Ruini, rispondendo all’onorevole Cevolotto e parlando della configurazione della provincia, ha detto che la questione è rimasta accantonata; mentre nella seconda Sottocommissione si è stabilito di non prendere una deliberazione positiva, in quanto tutte le norme escludevano quella figura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho detto che non vi è stata né proposta di norma né deliberazione formale. Ed è la pura verità.

UBERTI. Non possiamo accettare la proposta Amadei, inquantoché essa sovvertirebbe la configurazione della Regione, poiché porrebbe la Regione alle dipendenze del Commissario governativo regionale, così come oggi la Provincia è alle dipendenze del prefetto.

Sull’emendamento Amadei chiediamo la votazione per appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare, per far mio come emendamento il testo originario della Commissione dei Settantacinque.

PRESIDENTE. Le do facoltà di parlare; ma le ricordo che proprio ieri sera ho fatto presente che le proposte si presentano prima che il Presidente della Commissione esprima il suo parere sui vari emendamenti.

LACONI. Le cose che dirò probabilmente sono note al Presidente della Commissione.

Il testo originario della Commissione ci sembra più rispondente a quella differenziazione di competenze attribuite alla Regione nei precedenti articoli.

Quel testo della Commissione dei Settantacinque, infatti, diceva:

«Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, vigila e coordina, secondo le direttive generali del Governo, gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni e presiede all’esercizio di quelle riservate allo Stato».

Nell’emendamento accettato, e ripresentato come nuovo testo dalla Commissione dei Diciotto, è completamente perduta la differenziazione tra le funzioni delegate dallo Stato alla Regione e quelle invece riservate allo Stato; ed è rimasta al commissario governativo soltanto la competenza sulle materie riservate allo Stato.

Noi pensiamo che, trattandosi di materie delegate, non si possa evitare del tutto un minimo di controllo da parte dello Stato. Se noi precludessimo allo Stato la possibilità di esercitare questo controllo, attraverso quel suo rappresentante locale, che è il commissario, ciò significherebbe unicamente che lo Stato dovrebbe esercitare direttamente, attraverso i suoi organi centrali, questo controllo; cosa che porterebbe disordine nell’amministrazione, inquantoché lo Stato dovrebbe esercitare il controllo con organi diversi, diminuendo l’autorità di quell’organo qualificato, che è il commissario regionale.

Per questo preferiamo la formula originaria della Commissione dei Settantacinque e la ripresentiamo come emendamento.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Prima che si passi alla votazione desidererei che l’onorevole Ruini, come Presidente della Commissione, fosse molto più chiaro e sulla funzione e sulla personalità del commissario, rispondendo anche alle richieste fatte sul prefetto. L’onorevole nostro Presidente dell’Assemblea è stato, in proposito, infinitamente più esplicito dell’onorevole Ruini.

Si tratta di una questione estremamente importante, e sarebbe veramente lamentevole se questa questione dell’istituto prefettizio dovesse improvvisamente risolversi o in quest’Aula, o in sede di interpretazione, in altra sede. Desidererei quindi che l’onorevole Ruini fosse esplicito e dicesse chiaramente qual è stata la sostanza dei lavori concordemente fatti in seno alla seconda Sottocommissione, per cui non vi sia nessun dubbio, e l’onorevole Cevolotto possa essere totalmente tranquillizzato, prima che si voti questo testo. Ed a mio parere l’onorevole Cevolotto ha diritto ad essere tranquillizzato, perché egli non ha preso parte ai lavori della seconda Sottocommissione.

Personalmente, prima di finire, debbo dichiarare – e servirà come dichiarazione di voto – che, se l’onorevole Codignola fosse stato presente ed avesse sostenuto l’articolo 116 con l’emendamento presentato, io avrei sostenuto l’onorevole Codignola. Penso cioè che sarà estremamente pericolosa, nella pratica, questa figura di commissario del Governo, il quale può rischiare di assumere un atteggiamento antagonistico di fronte al capo della Regione, cioè al Presidente della Deputazione regionale. Non vi è dubbio che questo è un pericolo. L’emendamento dell’onorevole Codignola evitava questo pericolo e dava al Presidente della Deputazione regionale, investito delle funzioni per delega dello Stato, una figura preminente ed una personalità morale obbligata ad immedesimarsi nei doveri dello Stato e ad essere quindi un vero e leale interprete, nella Regione, degli interessi reali dello Stato. Credo che l’onorevole Codignola si sia ispirato a questo principio quando…

PRESIDENTE. Onorevole Lussu! Avrebbe potuto far suo l’emendamento Codignola a suo tempo, ma poiché questo emendamento è decaduto, sarebbe bene parlare del testo.

LUSSU. La mia è una dichiarazione di voto. Per finire: non faccio nessun emendamento in questa sede, ma pregherei la Commissione, se si è ancora in tempo, di cambiare la denominazione di commissario del Governo, perché c’è il giustificato timore che attorno a questo commissario si creino confraternite locali, clan locali e si stringano interessi locali che interferiscano nelle funzioni dello Stato, e che risorga, attraverso la figura del commissario del Governo, la funzione prefettizia che tutti abbiamo voluto sopprimere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Lussu, le mie affermazioni, assolutamente ineccepibili, non contrastano con quanto ha detto il Presidente dell’Assemblea, quando ha osservato che la Costituzione non parla in nessun luogo del prefetto. Non ho nulla da mutare, e mi dispiace di dover ripetere che in seno alla Sottocommissione si è manifestata l’opinione contraria al prefetto e vi è stato in questo senso un orientamento generale, ma non è stato né deliberato, né proposto di mettere una norma nella Costituzione; ed allora bisogna rimettersi al futuro legislatore.

LUSSU. Allora, bisogna inserire un articolo in cui risulti che la funzione prefettizia è soppressa. Altrimenti c’è equivoco.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’equivoco è dell’onorevole Lussu, che prende un orientamento per una norma che non è stata proposta. Perché non l’ha proposta lei prima? Anche ora siamo nel campo delle aspirazioni vaghe… Tutto ciò osservo a prescindere dalla questione se l’istituzione o no del prefetto sia tema di Costituzione, o non sia da rinviarsi alla legge ordinaria, come si dovrebbe logicamente dedurre da ciò che fece la seconda Sottocommissione.

Venendo alla proposta che ora ha avanzato l’onorevole Laconi, io devo dire che la colpa è sua, perché egli è membro del Comitato di redazione; e noi lavoriamo con lui molto volentieri; ma egli non ha presentato questo dubbio in seno al Comitato. Ho già detto – quante volte debbo ripetere! ma la colpa non è mia – che, avendo stabilito che il presidente della Giunta, per le funzioni delegate dallo Stato alla Regione, si deve attenere alle istruzioni del Governo centrale, era parso inutile stabilire che queste istruzioni dovevano passare, come normalmente passeranno, attraverso il commissario del Governo. Tutto è qui. È un punto di così scarso rilievo, che non dovrebbe farci perdere del tempo. Se per non perdere tempo e per evitare discussioni può giovare il ritorno al vecchio testo, lo faccia pure quando lo creda, l’Assemblea Costituente.

Il punto su cui debbo insistere è nel respingere l’idea dell’onorevole Lussu (che non è ancora una proposta) di lasciar cadere la figura del commissario del Governo, attribuendo i suoi compiti al presidente della Giunta, cioè al presidente regionale, e nel respingere la proposta Amadei, di cui ho già parlato.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Lussu?

LUSSU. Siccome non siamo ancora in votazione, posso ancora parlare…

PRESIDENTE. Lei, poco fa, ha detto di fare una dichiarazione di voto.

LUSSU. La questione è troppo grave! Chiedo all’Assemblea di consentirmi di chiarirla. Le osservazioni dell’onorevole Ruini – lo dico con tutta deferenza – sono non dico equivoche, ma poco chiare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come, dopo quello che ho detto?

LUSSU. Ho ancora il diritto di presentare un emendamento!

PRESIDENTE. Sì, onorevole Lussu, lei ha questo diritto. Se intende presentare un emendamento, la invito a farlo per iscritto, con la firma di almeno dieci colleghi.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è questo il momento – parliamo dell’ente Regione – di esaminare la questione del prefetto. Se ella, onorevole Lussu, che trova tutto poco chiaro, ma non formula mai proposte concrete, vuol sopprimere nella Costituzione il prefetto, presenti un emendamento, che sarà esaminato a suo luogo.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ha udito le precedenti dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini circa la sua proposta? L’onorevole Ruini ha dichiarato che non ha nulla in contrario ad accettare la sua formulazione.

LACONI. Ringrazio.

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Lussu, ha presentato, corredato dalle firme necessarie, un emendamento così formulato:

«Alle parole: un commissario del Governo, sostituire le altre: un rappresentante del Governo (in sostituzione del prefetto, il cui istituto è soppresso)».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Lussu.

LUSSU. Per la ragione che ho detto poc’anzi, un commissario può tramutarsi in un alto commissario e diventare un duplicato del prefetto molto pericoloso. Proporrei un rappresentante del Governo, ma non un commissario. Inoltre vorrei aggiungere – dopo la questione del rappresentante del Governo – una formulazione di questo genere: «in sostituzione del prefetto, il cui istituto è soppresso». Resta inteso che questa affermazione può entrare in un’altra parte della Costituzione, in un altro articolo, con altra forma. Desidero solo che la sostanza dell’affermazione sia chiarita in questo momento, per evitare che, dopo questa votazione, ci sia ancora qualcuno qui e fuori di qui, nel Paese, il quale pensi che l’istituto prefettizio rimane a fianco della provincia.

Mi sia poi consentito fare appello ai colleghi della Democrazia cristiana: avvertite voi il pericolo o non lo avvertite? Credete che la dichiarazione dell’onorevole Ruini risponda alla richiesta molto giustificata dell’onorevole Cevolotto, oppure no? È un problema che deve richiamare l’attenzione comune, oppure è una questione secondaria?

Voglio che voi rispondiate con la coscienza di democratici e di autonomisti.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, le faccio osservare che il suo emendamento non ha nulla a che fare con la materia che è al nostro esame. È un inciso che ha il suo valore; ma, allo stesso titolo, avrebbe potuto essere inserito in qualunque articolo già votato. Se si tratta soltanto di ottenere dall’Assemblea un’affermazione in proposito, io vorrei pregarla di ripresentare la sua proposta in altra sede, quando parleremo della Provincia, perché questa parentesi che si apre d’improvviso a proposito di un funzionario che la tradizione e la legge stabiliscono essere un funzionario nella Provincia, non avrebbe alcun significato.

LUSSU Credo che il momento più tempestivo per presentare questa affermazione, sia pure dando ad essa un contenuto sostanziale, non formale, sia proprio questo. La Commissione avrà poi sempre il diritto di collocare questa affermazione dove vuole, al posto più opportuno. L’onorevole Cevolotto ha espresso preoccupazioni non sue soltanto, ma di parecchi in quest’Aula; e noi abbiamo chiesto un chiarimento che dal Presidente della Commissione non è venuto. Anzi, il Presidente della Commissione ha fatto una dichiarazione che ha preoccupato tutti, comunque ha preoccupato moltissimi fra noi in quest’Aula, i quali erano convinti che dell’istituto prefettizio non fosse più il caso di parlare, poiché era pacifico che sarebbe stato soppresso.

Ora, mi pare, onorevole Presidente, che sia questo il momento più tempestivo. Ella mi dice: Può essere presentato in qualsiasi momento della discussione. Perfettamente; ma io preferisco questo momento e chiedo all’onorevole Presidente di mettere in votazione la mia proposta.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io pongo una pregiudiziale, perché ricordo che proprio il collega Lussu contro una mia proposta sollevò la pregiudiziale che essa era fuori di luogo.

Ora, se c’è una proposta fuori di luogo, è questa della soppressione del prefetto in questo momento.

Quando verrà l’ora e quando parleremo della Provincia, potremo a nostro bell’agio discutere e vedere se si tratta di una soppressione definitiva, oppure di un cambiamento di denominazione, per arrivare alle conclusioni che dovremo prendere. Ma adesso, onorevole Lussu, non possiamo votare questa proposta, mentre non abbiamo ancora parlato della provincia, delle sue funzioni, ecc.

Domando quindi che, non essendo la proposta Lussu pertinente all’argomento di cui si tratta in questo momento, venga aggiornata.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere l’avviso della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Presidente dell’Assemblea ha portato un’argomentazione di carattere assolutamente decisivo. All’onorevole Lussu osservo che, a prescindere da ogni altra considerazione, il voler decidere, improvvisamente e senza discussione, dell’abolizione del prefetto, può essere anche controproducente, perché se il suo emendamento venisse respinto, sarebbe compromessa la questione, che poteva essere esaminata da noi in altra sede o lasciata impregiudicata per il futuro. Ad ogni modo, non essendo questo il luogo per parlare del prefetto, è necessario un rinvio.

Se l’onorevole Lussu poi non dovesse addivenire a questo mio punto di vista, domando formalmente, come me ne dà diritto il Regolamento, che si sospenda la discussione, perché il Comitato abbia la possibilità di esaminare con la dovuta ponderazione ih problema.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, la questione sollevata dal collega onorevole Lussu pare anche a me che sia stata posta in anticipo. Soprattutto mi pare che la Carta costituzionale non possa contenere una norma come quella proposta dall’onorevole Lussu; siamo infatti tutti d’accordo sulla sostanza del problema, che cioè il prefetto debba scomparire, in quanto la nuova struttura dello Stato esclude non soltanto la figura del prefetto, ma soprattutto le funzioni che al prefetto sono affidate dall’attuale legge comunale e provinciale.

Io penso pertanto che, piuttosto che con una norma di carattere costituzionale – sono su questo punto completamente d’accordo con l’onorevole Ruini – questa questione dovrà essere risolta quando il Parlamento discuterà e approverà la legge sulle Amministrazioni locali, sui Comuni e le Province. Penso cioè che l’Assemblea Costituente debba, se mai, limitarsi a manifestare la sua opinione attraverso un ordine del giorno vincolativo per il Governo e, in certo modo, per la futura Camera legislativa, nel quale l’Assemblea stessa affermi la sua volontà ed il suo proposito di voler vedere soppressa la figura e la funzione del prefetto.

FUSCHINI. Alcune delle funzioni, non la funzione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevole Presidente, l’onorevole Ruini ha fatto appello al diritto che gli dà il Regolamento ed io sono troppo cortese avversario per non comprendere che si tratta di un diritto che va riconosciuto: né io voglio far perdere tempo all’Assemblea. Aderirei pertanto all’opinione espressa dal collega onorevole Lami Starnuti, confermando peraltro un principio già esposto per cui il prefetto, in virtù di tutto quanto consegue dal complesso dei nostri lavori compiuti fino a questo momento, scompare come istituto, perché le funzioni prefettizie vengono trasferite e alla Regione e ai Comuni. (Commenti).

FUSCHINI. Alcune funzioni, non tutte!

LUSSU. Ciò che io, in altri termini, desidero, è che la consacrazione del chiarimento di questo problema avvenga in sede di articoli aggiuntivi, di disposizioni transitorie. Forse quello è il momento più opportuno; ma resti ben chiaro che noi sempre abbiamo lavorato nella seconda Sottocommissione nel senso – né l’onorevole Ruini ci ha mai annunciata alcuna conclusione contradittoria – che l’istituto prefettizio scompare, e che non esisterà più, con l’ordinamento autonomistico, il prefetto nelle Provincie.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Grassi. Ne ha facoltà.

GRASSI. Avevo chiesto di parlare quando l’onorevole Lussu aveva detto di voler presentare un emendamento a questo articolo 116, perché la soppressione del prefetto mi sembra inopportuna in questo istante. Ma ora pare che l’onorevole Lussu abbia cambiata la proposta, nel senso di voler presentare questo suo emendamento in occasione della discussione sulle disposizioni transitorie.

Su questo possiamo essere perfettamente d’accordo, nel senso che non c’è dubbio che, dato il nuovo ordinamento regionale, la figura del prefetto, così come è stata concepita nel passato non può più mantenersi.

D’altra parte, è necessario studiare ed approfondire questo punto, che rappresenta una sostanziale modifica costituzionale e amministrativa, perché la Provincia non è soltanto un ente amministrativo, ma è un ente che ha anche funzioni governative, in quanto l’azione centrale dello Stato si realizza nella periferia oggi attraverso il prefetto. Bisogna trovare la maniera e il modo e gli organi che devono sostituire quest’organo, se dobbiamo sopprimerlo. Non si può improvvisare in questa materia, perché si tratta di tutta la parte per mezzo della quale si irradia l’attività centrale dello Stato, e questa, non tutta, potrà essere attribuita alla Regione, ma una parte dovrà essere sempre riservata alla organizzazione statale.

MICHELI. Ma non governativa!

GRASSI. È una materia molto delicata e molto complessa, che non si può improvvisare, e che non credo sia stata ancora studiata nella sua essenza da parte della Commissione per la Costituzione.

Importante è oggi affermare la Regione, come entità di decentramento delle funzioni dell’ordinamento centrale. Vedremo, quando parleremo della Provincia, la competenza riservata alla Provincia, e quella della Regione. È in quell’occasione che si vedrà come dividere e come organizzare le funzioni veramente amministrative che prima erano date alle Amministrazioni provinciali, e quelle governative affidate alla prefettura. Questo dovremo esaminare con molta calma e serenità. Bisogna non improvvisare in questa materia una decisione, perché improvvisarla potrebbe portare ad una eventuale paralisi della vita dello Stato.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se gli onorevoli colleghi consentono, mi permetto di osservare che noi stiamo cadendo in un grosso equivoco. Qui ci occupiamo della Regione, e nella Regione il prefetto non esiste: esiste nella Provincia. Ma, anche quando parleremo della Provincia, nel campo che riguarda l’attività del prefetto non potremo entrare perché ci occuperemo soltanto dell’Amministrazione autarchica provinciale, cioè del presidente della Deputazione, del Presidente del Consiglio, della Deputazione provinciale, dei consiglieri provinciali, ecc., quali organi funzionali della Provincia come ente autarchico.

Il prefetto è l’organo dello Stato nelle province e la sua funzione risponde a tutt’altri criteri; ce ne potremo occupare solo il giorno che ci sarà sottoposto un disegno di legge sulla riforma della legge comunale e provinciale (Commenti), perché quel famoso articolo 19, contro cui si appuntano tutti gli strali (compresi i miei) sta nella legge comunale e provinciale, e quella è l’unica sede nella quale potremo ampiamente parlarne.

PRESIDENTE. Comunque, non anticipiamo quella discussione, che lei stesso riconosce sarebbe ora prematura.

L’onorevole Lussu ha già aderito indirettamente alle sollecitazioni rivoltegli da varie parti, accettando il rinvio alle norme transitorie.

PERSICO. Comunque, è una discussione fuori luogo.

PRESIDENTE. E non prolunghiamola.

Resterebbe da esaminare la proposta dell’onorevole Lami Starnuti.

LAMI STARNUTI. Non c’è più ragione che io mantenga la proposta di un ordine del giorno, dal momento che l’onorevole Lussu non insiste, almeno per ora, nel suo emendamento.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Lussu non insiste nel suo emendamento, la questione è rimandata ad altro momento.

Passiamo pertanto alla votazione sull’articolo 116.

Rammento che la Commissione ha dichiarato di accettare – in massima – il ritorno alla primitiva formulazione del progetto, che l’onorevole Laconi aveva dichiarato di far sua.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Dichiaro di far mio il testo dell’articolo 116 concordato dalla Commissione. Secondo me dovrebbe essere votato per primo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io ho dichiarato che il testo nuovo del Comitato era stato formulato nel perfetto spirito del testo antecedente, e che non occorreva ritornare a questo; mi sono comunque rimesso, appunto perché la questione non è importante, all’Assemblea. Come ordine di votazione, mi è indifferente partire dall’un testo o dall’altro.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, il problema che io le pongo è questo: che cosa si dovrà votare? La votazione deve avvenire su un certo testo, a seconda della posizione che assume la Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Partiamo pure dal nuovo testo. L’Assemblea è libera di accettarlo o di tornare al testo anteriore.

DOMINEDÒ Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che accogliamo il nuovo testo della Commissione nella formulazione ultima dell’articolo 116, perché riteniamo che rappresenti un miglioramento, in quanto, se nell’articolo precedente è stabilito che il presidente della Giunta dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alle Regioni, mi sembra più coerente nella successiva disposizione dire che la funzione del commissario si limita esattamente al potere di coordinamento con le funzioni esercitate dallo Stato. Sotto questo profilo noi voteremo per questo testo, rimettendoci alla Commissione per quanto riguarda la scelta fra il testo originario ed il nuovo. Noi voteremo per la nuova formulazione.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, nell’emendamento che lei ha presentato vi era, oltre alla questione del prefetto che abbiamo accantonato, un’altra proposta: invece di dire «un commissario del Governo» lei proponeva «un rappresentante del Governo».

LUSSU. Se la Commissione accetta…

FUSCHINI. No, no!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Un Comitato non si può raccogliere all’improvviso; ma avendo sentito alcuni colleghi, dichiaro di mantenere la espressione «commissario»; che ha un significato ed una tradizione. «Rappresentante» è dizione molto generica che non avrebbe nessun profilo chiaro di una funzione amministrativa continuativa. Resti «commissario». In sede di coordinamento, se non si volesse la frase «del Governo», si potrebbe mettere «un commissario della Repubblica». Ma vedremo di scegliere allora.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mantiene il suo emendamento?

LUSSU. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione. Poiché la Commissione ha dichiarato di conservare il nuovo testo proposto e l’onorevole Laconi ha dichiarato di far proprio il vecchio testo come emendamento, voteremo questo per primo. Ricordo che la dizione del vecchio testo è la seguente:

«Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione vigila e coordina, secondo le direttive generali del Governo, gli atti dell’Amministrazione regionale per le funzioni delegate alle Regioni…».

Qui occorre fermarsi, perché sull’ultima parte vi è l’emendamento dell’onorevole Amadei.

Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una domanda di votazione per appello nominale di questa prima parte dell’articolo 116, nella formulazione del vecchio testo della Commissione, ripresentato come emendamento dall’onorevole Laconi.

La domanda è firmata dagli onorevoli Cremaschi Carlo, Giordani, Medi, Nicotra, Foresi, Clerici, Mortati, Moro, Castelli Avolio, Fabriani, De Palma, Carbonari, Mastino Gesumino, Lazzati, Alberti e Adonnino.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sull’emendamento dell’onorevole Laconi.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dal deputato Coccia.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe.

Cacciatore – Canevari – Caporali – Caprani – Carboni Angelo – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Cianca – Cifaldi – Colitto – Condorelli – Corbi – Corbino – Costa – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Raffaele – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Fabbri – Faccio – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fornara – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Massola – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Morini – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Paratore – Pastore Raffaele – Pellegrini – Perugi – Pesenti – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Scoccimarro – Secchia – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello.

Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zannerini – Zappelli.

Rispondono no:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Caiati – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caroleo – Caronia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsanego – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

Lazzati – Lizier – Lussu.

Macrelli – Magrassi – Malvestiti – Marazza – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Motolese – Mùrdaca.

Nicotra Maria.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Proia.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Romano – Roselli – Rumor.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sardiello – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Siles – Spallicci – Spataro – Storchi.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Viale – Vicentini.

Zaccagnini – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrario Celestino – Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mannironi – Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Tomba.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti e votanti          364

Maggioranza                183

Hanno risposto           173

Hanno risposto no         191

(L’Assemblea non approva l’emendamento Laconi).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte dell’articolo 116 nel nuovo testo proposto dal Comitato di redazione:

«Un commissario del Governo residente nel capoluogo della Regione sovraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato».

(È approvata).

Segue, nel testo proposto dalla Commissione, la dizione:

«e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

A queste parole, un emendamento dell’onorevole Amadei ed altri, propone di sostituire le altre:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Onorevole Amadei, mantiene il suo emendamento?

AMADEI. Sì.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Cremaschi Carlo, Cimenti, Uberti, Camposarcuno, Adonnino, Baracco, Valenti, Carbonari, Clerici, Medi, Bosco Lucarelli, Sampietro, Firrao, Avanzini e Rescigno. (Commenti).

La domanda è mantenuta?

CREMASCHI CARLO. Sì.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sull’emendamento proposto dall’onorevole Amadei ed altri:

«e coordina con esse quelle esercitate dalla Regione».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Pella.

Si faccia la chiama.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole collega, essendo cominciato l’appello non si possono – a termini del Regolamento – fare dichiarazioni di voto, e non è più concessa la parola fino alla proclamazione del risultato del voto.

LAMI STARNUTI. Onorevole Presidente, ella non ha inteso prima la mia richiesta per il chiasso che v’era nell’Aula, non perché io non avessi domandato la parola al momento opportuno.

PRESIDENTE. Comunque, la sua richiesta è stata notata quando io avevo già estratto il nome del deputato che doveva essere chiamato come primo nell’appello.

Si faccia dunque la chiama.

AMADEI, Segretario, fa la chiama.

CREMASCHI CARLO. Ritiriamo la richiesta di appello nominale.

PRESIDENTE. L’appello è ormai cominciato e non è possibile tornare indietro.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Comunico che dal computo dei voti è risultato che l’Assemblea non è in numero legale.

Il nome degli assenti sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La seduta è sciolta e rinviata a domani alle ore 17, per riprendere i lavori al punto in cui sono stati lasciati questa sera.

Rammento che domattina si terrà seduta alle ore 10.30 per il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale.

La seduta termina alle 20.35.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Benedetti

Monticelli

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Presidente

Tozzi Condivi

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Bosco Lucarelli

Crispo

Rescigno

Perrone Capano

Micheli

Scoccimarro

Lombardi Riccardo

Valiani

Corbino

Veroni

Fabbri

Cappi

Dugoni

Caroleo

Zerbi

Mastino Gesumino

Camposarcuno

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Presidente

Di Giovanni, Presidente della Commissione per l’esame delle autorizzazioni a procedere in giudizio

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Svolgimento della seguente interrogazione:

Benedetti, al Ministro dell’interno «per conoscere le disposizioni che intende impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo».

L’onorevole Monticelli, per parte sua, ha fatto pervenire alla Presidenza una interrogazione sullo stesso argomento così concepita:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se, dopo la revoca delle autorizzazioni all’esercizio delle case da gioco, non ritenga necessario impedire che il gioco d’azzardo prosegua, camuffato sotto altre insegne, senza alcuna modalità e garanzia, dando luogo a losche speculazioni e sottraendo allo Stato e agli enti di assistenza ingenti entrate».

Trattandosi di materia analoga, le due interrogazioni saranno svolte congiuntamente.

Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, come loro sanno la materia dei giochi di azzardo è regolata dal Codice penale che all’articolo 718 ne sancisce appunto il divieto. Ed allorché il regime fascista volle inaugurare la politica delle case da gioco, dovette fare ricorso a una legge speciale; e con leggi speciali sono stati istituiti il Casinò di Venezia e quello di San Remo. Successivamente, dagli alleati, fu dato vita al Casinò di Campione.

La politica contraria alla istituzione di altre case da gioco è stata ripetutamente affermata da tutti i Governi di cui ho fatto parte, col voto di tutti i Ministri senza distinzione di colore politico. Questa politica attuale il Governo intende per suo conto continuare. Quindi non è in facoltà del Ministro dell’interno di derogare alla legge penale, ma spetterebbe, caso mai, al Governo con una legge, di proporre l’eventuale istituzione di case da gioco.

Al Ministro dell’interno spetta unicamente il compito ed il dovere, attraverso i suoi organi periferici e centrali, di vigilare perché le contravvenzioni alla legge penale siano ridotte al minimo e comunque siano perseguiti i contravventori alla legge penale. È questo che io vado facendo dal giorno in cui sono entrato al Ministero dell’interno. È infatti continuo, direi quasi quotidiano, l’intervento del Ministero dell’interno per reprimere queste manifestazioni di illegalità tipiche dei periodi di disquilibrio morale dei dopo guerra. Gente che cerca di divertirsi e soprattutto di fare facile fortuna nel gioco. Non c’è, si può dire, grande città d’Italia in cui un compiacente circolo per stranieri o qualche altra cosa del genere, non dia ospitalità e ricetto a gente che desidera fare facile fortuna.

I motivi a cui si ricorre per sollecitare autorizzazioni al gioco sono sempre nobili, alti: e in modo particolare s’invocano le esigenze dell’assistenza. In realtà, oggi, pullula una massa di biscazzieri che cerca di trarre lauti profitti dalla situazione e in cui la parte destinata all’assistenza è una misera parte; mentre i più alti profitti vengono fatti proprio dai biscazzieri di professione o da biscazzieri improvvisati.

Contro l’attività di questi autentici manigoldi, l’intervento del Ministero dell’interno è quotidiano. Io potrei citare all’Assemblea tutti i telegrammi che il Ministero dell’interno quasi quotidianamente manda (ma affliggerei l’Assemblea se dovessi leggere questi telegrammi) non soltanto per ricordare la norma generale del divieto di case da gioco, ma anche per intervenire singolarmente su denunce anche anonime; e spesse volte le denunce trovano convalida nei fatti che da tutte le parti vengono segnalati al Ministero dell’interno.

Basta una semplice segnalazione perché il Ministero dell’interno richiami l’attenzione delle Prefetture, delle Questure e l’attività dei carabinieri perché si reprima una forma di violazione così palese alla legge penale.

Mi limito a citare la disposizione di carattere generale. È del 17 febbraio la prima norma. Appena arrivai al Ministero dell’interno trovai che era in corso una grande concessione in tutta Italia del famoso «Tiro o lancio 900». Era un vero e proprio giuoco d’azzardo, mascherato a favore di enti ed associazioni di reduci o partigiani. Le proteste arrivavano anche da parte di padri e madri di famiglia, che vedevano sciupare dai loro figli il magro salario, la sera, in questi giochetti sparsi in tutti i caffè. Ed appena arrivato al Ministero ed avuta conoscenza di queste concessioni, inviai a tutti i prefetti una circolare del seguente tenore: «Pregasi disporre revoca con effetto immediato, ecc. I contravventori dovranno essere rigorosamente perseguiti. Rinnovasi raccomandazione ove esercizio gioco d’azzardo continui…, ecc.».

E successivamente, poiché enti ed associazioni reclamavano che potesse essere consentita la proroga delle licenze già concesse, con altro telegramma intervenivo perché i provvedimenti di revoca dovesse considerarsi definitivo.

Altre circolari sono state mandate per giochi particolari perché tutti questo giochi camuffati comunque, in realtà, mascherano giochi di azzardo. C’è un elenco di comuni in cui l’intervento ha avuto esito positivo. I più recenti centri in cui ciò è avvenuto sono Carrara, Milano, Modena, Reggio Emilia, Parma, Venezia, Genova, Lucca. Ad Alassio, la polizia ha effettuato una sorpresa nel Circolo Orientale; è stata elevata contravvenzione, sono state arrestate numerose persone e sono state sequestrate somme di denaro. E così a Milano e a Genova, dove sono state denunciate ultimamente 34 persone. Quindi l’opera dei Governo in questo campo è continua e sollecita.

Non posso garantire, anzi non vi garantisco affatto che le bische non ci siano più in Italia. Non garantisco affatto che le Questure compiano tutte il loro dovere in materia, perché purtroppo la forza del denaro raggiunge anche centri ed uffici che dovrebbero essere i più insospettabili. Io posso assicurare l’Assemblea di aver avvertito i questori che se risulteranno non dico delle connivenze che rappresenterebbero già un reato, ma semplici negligenze, saranno presi provvedimenti rigorosissimi. Oggi s’invoca dal Ministro dell’interno che egli chiuda gli occhi, perché nel passato si chiudevano uno e spesso tutti e due; si chiede al Ministero dell’interno che si continui in questa politica. Io questa politica non me la sento di fare, perché allora tanto vale che lo Stato regoli la materia; e se ci sono utili vadano a finire allo Stato o alle organizzazioni di assistenza; mentre con la politica di chiudere gli occhi, gli utili vanno a speculatori privati.

DUGONI. Ci parli del Casinò di Venezia e di quello di Saint Vincent.

SCELBA, Ministro dell’interno. Parlerò anche di questi. Ho avvertito i questori che risponderanno personalmente e che non mi limiterò, nel caso in cui sia accertata la loro compiacenza, al collocamento a riposo, ma procederò denunziandoli all’autorità giudiziaria. Questo è il pensiero del Ministero dell’interno, e questa è la politica che facciamo in tutta Italia. Le disposizioni valgono anche per la Val d’Aosta.

VERONI. Ma a San Remo si gioca.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non si gioca soltanto a San Remo, immagino, ma si gioca anche in altre città d’Italia. Ieri a Milano, al prefetto, ho dato ordine che facesse chiudere una casa da gioco. Si sono quasi ribellati all’ordine del prefetto e questi mi ha fatto capire che l’esecuzione dell’ordine del Ministro avrebbe potuto anche pregiudicare l’ordine pubblico.

Siamo arrivati a questo punto in Italia: che si pregiudica l’ordine pubblico, se si chiede l’osservanza di una legge! Questa è una mentalità, che deriva dal malcostume passato; mentalità molto difficile a correggere, anche in funzionari. Ai prefetti sono state mandate circolari perentorie e tassative. Nonostante questo, per esempio, il prefetto di Torino, al quale domandavo perché non chiudeva il casinò di San Mauro, mi rispondeva che in altre parti d’Italia erano state date autorizzazioni per l’apertura di case da gioco. Ora, come può un prefetto, nello stesso momento in cui il Ministro dell’interno conduce una politica contro i giuochi d’azzardo, pensare che il Ministro dell’interno stesso o altra autorità, ammesso che esista, possa concedere autorizzazioni contrarie?

Io non ho mai voluto ricevere nessuna commissione, per quanto raccomandata da personalità influenti, che voleva trattare questa materia; perché in questa materia è facile il sospetto che, anche soltanto a chiudere gli occhi, ci si guadagni qualche cosa, se non personalmente, per il proprio partito.

Nonostante tutte le circolari diramate e gli ordini impartiti, i prefetti quasi non credono a questa politica; e dicono: «in altre provincie è stata data l’autorizzazione». Non è vero; sono i sotterfugi, cui ricorrono i richiedenti, per sollecitare dai prefetti l’autorizzazione.

TONELLO. Siete un Governo autorevole!

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Prima di lui chi c’era?

SCELBA, Ministro dell’interno. Io potrei dire questo all’onorevole Tonello: che, da quando è Ministro dell’interno un democratico cristiano, le case da giuoco in Italia sono perseguitate spietatamente. Non sono in grado di affermare altrettanto per il passato; ma, dal comportamento attuale dei prefetti, i quali quasi non credono alla serietà delle istruzioni del Ministro dell’interno, presumo che nel passato ci sia stata molta larghezza; non fosse altro perché gli organi di polizia, impegnati in altri campi, non potevano dedicarsi alla repressione di questa particolare violazione della legge penale.

Una voce a sinistra. E la Sisal?

SCELBA, Ministro dell’interno. Alla Sisal la concessione è stata data, prima che io fossi al Ministero dell’interno, con regolare autorizzazione rilasciata dai Ministri dell’interno e delle finanze. Se qualcosa l’attuale Ministro dell’interno ha fatto è questa: ha richiamato l’attenzione del Ministro delle finanze sulla inopportunità di rinnovare una concessione che ha assicurato ad una organizzazione privata, per quanto importante, utili che si aggirano sul miliardo. Quest’opera è documentabile.

Le disposizioni impartite riguardano anche la Val d’Aosta. Ma, purtroppo, l’onorevole Dugoni sa qual è la situazione in Val d’Aosta.

VERONI. C’è l’autonomia regionale.

SCELBA, Ministro dell’interno. Si tratta di un problema molto delicato.

A parte l’esistenza di uno statuto speciale per la Val d’Aosta, per considerazioni politiche di carattere generale, in quella regione si è dovuta usare molta larghezza in tutti i campi.

Comunque, non esiste nessuna autorizzazione per quanto riguardo il Ministro dell’interno; e disposizioni sono state impartite perché anche quella casa da giuoco che, badate bene, funziona clandestinamente, possa essere chiusa.

Se l’Assemblea – come mi auguro – mi sorreggerà in questa politica e mi autorizza perché io continui su questa direttiva, sono convinto di poter proseguire con maggiore influenza e maggiore autorità la repressione delle case da giuoco, che costituisce una delle mie preoccupazioni.

BULLONI. Tutte le case da giuoco, però!

TONELLO. Anche il Casinò di Venezia, tenuto dai democristiani! (Rumori al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Tonello! Ho già accennato che il fascismo, quando ha instaurato la politica dei «casinò», ha modificato il Codice penale con una legge…

BULLONI. Signor Ministro, è in errore. Non è vero: legga pure il testo della legge e vedrà che è in errore.

SCELBA, Ministro dell’interno. Le posso accennare il testo della legge con cui il fascismo ha istituito, sulla base dei regi decreti-legge 22 dicembre 1927, n. 244, 2 marzo 1933, n. 201, e 18 luglio 1936, n. 1414, rispettivamente i casinò municipali di San Remo, di Venezia e di Campione. Sono tre regi decreti-legge con…

BULLONI. È un errore: bisogna leggere il testo del decreto e non il riassunto!

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Bulloni, non spetta al Ministro dell’interno rendersi promotore dell’abrogazione di una legge vigente.

BULLONI. Ma spetta al Ministro dell’interno rendersi garante dell’applicazione dell’articolo 718 del Codice penale. Sì! Perché l’Italia è una ed il Codice penale vige anche a Venezia, a San Remo e a Campione: finché saranno tollerati questi abusi, non si potranno reprimere gli altri abusi denunciati dal signor Ministro. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Sarei lieto se l’Assemblea, facendosi iniziatrice di una proposta di legge in materia, abolisse anche i Casinò di Venezia, di San Remo e di Campione, perché in questo caso darei senz’altro voto favorevole. Ripeto, però, non è questo compito del Ministro dell’interno, di rendersi promotore dell’abrogazione di un decreto-legge vigente, ma solo quello di impedire che altre violazioni siano compiute in danno della legge. (Commenti e rumori a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti, interrogante, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTI. Signor Presidente! Non ho l’abitudine di abusare molto della pazienza dell’Assemblea. Le sarei assai grato se volesse concedermi qualche minuto.

PRESIDENTE. Cinque minuti, onorevole Benedetti!

BENEDETTI. Un anno fa, a metà luglio del 1946, insieme con altri colleghi, gli onorevoli Covelli, Crispo, Vito Reale e Lombardi, il compianto collega socialista, presentai una interpellanza che credo opportuno rileggere: «per conoscere: a) i motivi che lo indussero (naturalmente ci si rivolge al Ministro dell’interno) a concedere e poi a revocare l’autorizzazione all’esercizio di case da giuoco; b) le ragioni per cui queste autorizzazioni sarebbero, secondo notizie della stampa, nuovamente concesse. Gli interpellanti chiedono altresì al Ministro dell’interno di voler comunicare con quali modalità e garanzie sono regolate queste concessioni che si possono prestare a speculazioni losche». Ricordo l’interpellanza, per rilevare che rimase oltre un anno senza risposta e senza eco di provvedimenti di Governo.

Non ho nessuna ragione per far torto a lei, onorevole Ministro, per la mancata risposta, perché lei, il quel momento, non reggeva il Ministero dell’interno. Rilevo soltanto che si è acuito il male che già era denunciato fin dall’anno scorso, mentre forse tempestivi provvedimenti ne avrebbero evitato il dilagare.

Io devo ringraziarla, onorevole Ministro, innanzi tutto, della cortesia e della prontezza con le quali ha risposto all’interrogazione attuale. Il suo sistema è migliore di quello del suo predecessore che non rispose alla mia interpellanza; le sono grato di questa sua diligenza.

Nel presentare la mia interrogazione non sono stato mosso affatto dal desiderio di stimolare lei, affinché faccia più di quello che fa, ma soltanto dal desiderio di aiutarla. Io non saprei esortarla, perché lei già fa tutto il possibile per reprimere il giuoco. Intendo aiutarla, perché sento dalla sua stessa voce che lei dispone e nessuno obbedisce alle sue istruzioni. Queste sono le sue dichiarazioni, onorevole Ministro! E sono appunto le sue dichiarazioni che mi rafforzano nel proposito di venirle in aiuto. L’opinione pubblica è turbata da questa forma di attività, basata sul vizio, che abbassa il livello morale della Nazione.

Io le ho rivolto la mia interrogazione per confortarla del consenso, che le esprimo, dell’opinione pubblica, solidale con lei; e rendere evidente l’atteggiamento dei colleghi, i quali stanno dimostrando di approvare completamente le mie parole. A me interessa che si ponga un rimedio al male. Lei ha detto che il prestigio del Ministero dell’interno è ridotto a zero per la disobbedienza forse non disinteressata degli organi periferici. Quindi, bisogna approvare qui lei, e con lei, difendere il prestigio dello Stato. Che cosa è successo per queste case da giuoco? Non sono mai stato in vita mia in una casa da gioco e non ho preso mai in mano un mazzo di carte nemmeno per giocare a scopone. (Commenti). Ma nella mia circoscrizione elettorale esistono tre case da gioco, le quali appestano tutto l’ambiente, di modo che, per opera di quelli che vivono in queste case da gioco, non si capisce più chi è persona per bene e chi no, chi lavora e vive di lavoro onesto, e chi vive ai margini di una attività illecita.

In che forma si esercita questa attività? Prima esistevano le case da giuoco controllate, quelle che si chiamavano «Casinò», ed esistevano anche le case da giuoco clandestine, le quali erano represse dalla legge. Il «Casinò» era un ambiente dove tutti andavano, dove era consentito recarsi apertamente e dove esisteva anche una vigilanza da parte dell’autorità; le case clandestine invece sono quelle non controllate, che corrono il rischio della sorpresa e quindi dell’arresto dei giocatori, ma nelle quali sono possibili tutte le cose illecite, perché non c’è nessuna vigilanza.

Voi avete lasciato che si creasse un sistema nuovo. Pullulano ormai ovunque istituti intermedi tra il Casinò e la bisca clandestina, i quali beneficiano dei vantaggi dell’un sistema e dell’altro senza sopportare gli svantaggi né dell’uno né dell’altro.

Voi avete lasciato sorgere i cosidetti Circoli ricreativi, che hanno il consenso della prefettura, della questura, ecc. Sono circoli che apparentemente debbono avere una funzione lecita; però, quando vengono creati, si sa benissimo che lo sono esclusivamente per esercitare il gioco. Perché? Perché la loro sede è nel Casinò, perché chi richiede il permesso lo fa nell’interesse del proprietario del Casinò, perché ha il preventivo consenso dell’autorità a non rispettare le leggi sul giuoco. Accade che lì dentro tutti quanti entrano con una tesserina, come quella che ho sott’occhio, che voi conoscete che dice: Circolo ricreativo di… Il signor Tale dei Tali è ammesso a frequentare la sede del circolo ricreativo di… fino al giorno… Nessuno è disturbato quando entra in quel circolo per giocare.

Ora, tali circoli, in questa forma, non hanno – ripeto – il danno della casa controllata, non hanno il danno della casa clandestina, mentre hanno tutti i benefici della tolleranza. In questi luoghi si può giuocare in ogni modo, senza che vi sia nessun impedimento e nessuna vigilanza; mentre, siccome vi si affollano soprattutto gli ingenui, sarebbe almeno dovere vigilare più che altrove. È in questi ambienti che avvengono abusi e si adottano sistemi di giuoco che sono veri e propri furti.

Io vi invito a chiuderli. Il circolo ricreativo, di solito, è esercitato da associazioni di partigiani, di reduci, ecc., come è scritto nella tesserina che ho sott’occhio. Ed anche a questo riguardo io, vecchio partigiano, debbo dire che l’intromissione del partigiano nel giuoco illecito offende profondamente.

È una ingerenza che non deve essere ammessa sotto nessuna forma, perché accade sempre che si fanno poi, nel nome abusato dei partigiani, imposizioni alle prefetture, alle questure, ecc. per tramite delle associazioni dei partigiani, dei reduci, ecc.; le quali invocano a torto condiscendenza: e ne deriva un regime di tolleranza che si presta poi tutti gli abusi e a tutti i sospetti.

Ne è derivato, come conseguenza, che si è arrivati perfino a dire che i partiti politici approfittano delle case da gioco. Anche per liberare il mondo politico da queste accuse, bisogna intervenire energicamente per stroncare questa attività.

Come intendete provvedere? Credete forse che il giuoco debba essere incoraggiato? Io escludo che voi perseguiate un intento di questo genere. Il giuoco deve essere represso: siamo quasi tutti d’accordo. Eppure un onorevole Ministro mi ha detto: «Ma il giuoco è sempre esistito; sarebbe vano illudersi di poterlo reprimere. Il giuoco è un vizio che è sempre esistito e sempre esisterà». Rispondo che altra cosa è incoraggiarlo, ed altra il tentare di reprimerlo.

Se, d’altronde, voi sentite di non avere la forza di reprimerlo, io vi dico che almeno bisogna che cerchiate di regolamentarlo. Vi dirò che io sono anche nettamente contrario alle concessioni dei casinò. Quelli che vivono in regime di vecchie concessioni date ai tempi del fascismo, e convalidate dagli Alleati per iscopi che mi astengo dal discutere, dovrebbero pure essere chiusi.

E d’altronde il conservare alcuni casinò con il pretesto che essi hanno ormai creato una situazione locale immodificabile, è argomentare falso, è fatto che assolutamente deve essere bandito.

Ad ogni modo, io vi esorto alla revisione anche di queste concessioni. Ma c’è comunque un caso specifico sul quale io desidererei da lei, onorevole Ministro, una spiegazione concreta: è il caso di Campione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, Onorevole Benedetti. Sono già dieci minuti che parla.

BENEDETTI. Il caso di Campione è questo: la Svizzera ha creduto opportuno che non si giuocasse in quel posto e ha messo tutti gli ostacoli; viene quindi a difettare, per il Casinò di Campione, anche la ragione che è sempre addotta dell’interesse locale, poiché il casinò è chiuso. Ma il vecchio concessionario sta per ottenere che la sua concessione venga trasferita in altra città «del bello italo regno». E allora: dove è l’interesse locale, dove è la situazione immodificabile? Se fosse vero, il Governo sarebbe sollecito di tutelare soltanto l’interesse privato del vecchio concessionario.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non è vero, onorevole Benedetti.

BENEDETTI. Benissimo, prendo atto con piacere. Voglio però soggiungerle che se per avventura concessioni simili dovessero venire qualche volta accordate, io la esorterei, onorevole Ministro, ad accordarle a beneficio di qualche cosa di nobile e non già per impinguare una banda di biscazzieri e di protettori senza scrupoli.

Io sono, in conclusione, sodisfatto condizionatamente; sono, cioè, convintissimo delle sue buone intenzioni, sono convintissimo, cioè, che lei farà tutto quanto sarà in suo potere per estirpare la mala pianta, ma sono tuttavia del pari convinto che ella non vi riuscirà. Sarò pertanto completamente sodisfatto solo quando avrò potuto constatare i buoni e concreti risultati della sua opera.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTICELLI. Avrei voluto dichiararmi sodisfatto, ma le stesse dichiarazioni dell’onorevole Ministro dimostrano l’importanza del problema e giustificano la mia parziale sodisfazione. Il problema è molto grave e preoccupante; il giuoco dilaga, e nello sconcertamento generale che ha lasciato la guerra, è un fenomeno comune a tutti i Paesi.

Si giuoca dappertutto, non soltanto nelle grandi città – come ha detto il Ministro dell’interno – ma anche nelle piccole e in tutti i circoli, e in molti caffè. E allora il problema va esaminato anche sotto questo aspetto. Il denaro sembra aver perduto il suo valore e quello che è più grave ancora, si va in cerca di altre emozioni violente, dopo quelle a cui malauguratamente ci siamo abituati.

È necessario affrontare il problema nei suoi due aspetti, quello giuridico-morale e quello pratico, e bisogna decidersi, o per l’uno o per l’altro.

Secondo l’aspetto giuridico-morale, esistono delle disposizioni del Codice penale contenute negli articoli 713 e successivi, che puniscono e reprimono il giuoco d’azzardo. Queste disposizioni sono in vigore e devono essere fatte rispettare. Soltanto il legislatore fascista poteva derogare a queste disposizioni penali, con il decreto del 22 dicembre 1927 che, in deroga a tali disposizioni, concedeva al Ministro dell’interno la facoltà di dare autorizzazioni per case da giuoco. E di questa facoltà si avvalse il Ministro dell’interno del tempo per concedere l’apertura dei casinò di Venezia, di San Remo e di Campione. Ma questa deroga si riferiva evidentemente soltanto alle disposizioni amministrative, perché un decreto non poteva venir meno a quelli che erano gli articoli del Codice penale. Naturalmente, durante il fascismo, si facevano queste ed altre cose; e tutto era lecito. Ma oggi, in regime democratico, dobbiamo esaminare la questione e dire: se ragioni morali e giuridiche impongono che il gioco debba essere represso e stroncato, allora occorre l’energico intervento del Ministro dell’interno. Ma poiché attraverso lei stesse dichiarazioni dell’onorevole Ministro abbiamo sentito che si è nell’impossibilità di reprimere questi giuochi d’azzardo perché le stesse sue disposizioni, gli stessi suoi telegrammi urtano contro la suscettibilità di certi prefetti, che pongono nel nulla quelli che sono gli ordini che vengono da Roma…

SCELBA, Ministro dell’interno. Si è chiuso, nonostante la resistenza prefettizia, tanto a Milano che a Torino. Non creda che siano rimasti inosservati gli ordini!

MONTICELLI. Allora, qualche cosa è stata fatta, ma non si può arrivare a tutto. Esaminiamo, quindi, il problema sotto questo aspetto. È vero o non è vero che vi sono dei comuni che potrebbero avere da queste concessioni degli introiti per poter risanare i loro bilanci? È vero o non è vero, che attraverso queste concessioni, questa disciplina del gioco si può far sì che alcune popolazioni vengano sgravate da tasse e si possa provvedere alle riparazioni dei danni di guerra? Se ci troviamo nell’impossibilità di reprimere il gioco, non dobbiamo lasciare, però, che si giuochi impunemente dappertutto. Altrimenti, avviene come è avvenuto a Montecatini, dove l’anno scorso si giuocava nel «Kursaal», ed un bel giorno, per disposizione del Ministro dell’interno, il «Kursaal» fu chiuso. Ma il giorno dopo, senza interruzione di continuità, il giuoco si trasportò in un altro albergo vicino, con le stesse insegne luminose, con gli stessi frequentatori, ma con la differenza che mentre al «Kursaal» il 25 per cento dei proventi andava a beneficio del Comune, viceversa in quest’altro albergo i proventi andavano ad ingrossare soltanto le tasche degli speculatori e dei biscazzieri. E ciò senza nessuna garanzia per i giuocatori, perché mentre nel «Kursaal» si giuocava alla «roulette», con uno zero, su trentasei numeri, qui si giuocava al «cavallino», con uno zero su dodici numeri. Questa è la situazione.

Concludo rapidamente: occorre reprimere il giuoco d’azzardo con quella solerzia ed energia che il Ministro dell’interno ha dimostrato in altri campi e che io vorrei dimostrasse anche in questo. Se ciò non sarà possibile, ed al di sopra di ogni considerazione morale, si vorrà trovare una giustificazione pratica, è necessario prendere posizione netta e precisa e regolamentarlo con una opportuna legge da sottoporre alla Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Le interrogazioni sono così esaurite.

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Rammento all’Assemblea che nella precedente seduta è stato discusso l’articolo 28, e sono stati svolti tutti gli emendamenti presentati all’articolo stesso. Non si passò alla votazione sugli emendamenti, perché il Ministro ritenne opportuno concertarsi preventivamente con la Commissione.

Informo l’Assemblea che nel frattempo è stato presentato un nuovo emendamento dagli onorevoli Tozzi Condivi, Arcangeli, Ponti, Franceschini, Angelucci, Cappi, Foresi, Cotellessa, Rescigno e Cremaschi Carlo.

L’emendamento è così concepito:

«Al terzo comma sopprimere il periodo:

«La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire».

L’onorevole Tozzi Condivi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TOZZI CONDIVI. Lo svolgerò brevissimamente. Lo spirito della disposizione che il Governo aveva dato nel progetto di legge era questo: di detrarre un ventesimo per ogni figlio sul patrimonio tassato. E il Governo stesso si era preoccupato di non dare un’esenzione troppo sensibile ponendo un limite, per ogni ventesimo, al massimo di 300 mila lire. Di modo che, anche per un grande patrimonio, un ventesimo non poteva portare al disopra di 300 mila lire.

La Commissione ha tenuto presente questo principio, ha ammessa questa stessa detrazione e l’ha ridotta a 250 mila lire. Questo concetto può essere accolto.

Successivamente, la Commissione ha aggiunto una nuova limitazione: ha detto che nel patrimonio dovesse essere cumulato quello del marito e quello della moglie, di entrambi i coniugi. Ed anche questa nuova limitazione può essere accolta.

L’ultima limitazione, che è quella segnata dall’inciso: «La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire», non mi sembra accettabile in quanto, con questo inciso, non si viene a facilitare la riscossione dell’imposta, ma si viene a porre la famiglia in una condizione di diversità a seconda del numero dei figli, perché una famiglia con dieci figli ed un patrimonio di 10 milioni ha una detrazione di 2 milioni e mezzo, mentre una famiglia che abbia 11 milioni e dieci figli non ha nessuna detrazione.

Questo non mi sembra né logico né giusto. Questa disposizione viene a colpire la famiglia numerosa, mentre non c’è pericolo che possa essere una detrazione eccessiva in quanto rimane fermo il limite che per ogni figlio la detrazione non possa superare le 250 mila lire.

Quindi insisto perché venga soppresso l’inciso: «La detrazione stessa non si applica, ecc.».

Tale inciso si può sopprimere o si può votare per divisione il comma.

PRESIDENTE. Domando il parere della Commissione su questo nuovo emendamento.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole collega Tozzi Condivi ha prospettato un caso limite, quello cioè di una famiglia che abbia un numeroso stuolo di figli ed un patrimonio leggermente superiore ai 10 milioni. Ma questa non è la normalità. E d’altra parte, la Commissione è ferma nel principio di non fare concessioni che dal punto di vista dell’equità e della giustizia non fossero strettamente necessarie.

PRESIDENTE. Su tutti gli altri emendamenti mantiene il parere che è stato espresso la seduta precedente?

LA MALFA, Relatore. Sì.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per tutti gli emendamenti sull’articolo 28 mi associo al parere espresso dalla Commissione. In particolare per quel che riguarda il minimo imponibile di 3 milioni, il Governo non ritiene che esso possa essere aumentato alla somma di 5 milioni, per le ragioni esposte esaurientemente e dal Relatore, onorevole La Malfa, e dagli onorevoli Cappi, Dugoni e Scoccimarro nella precedente seduta.

Così pure, per quanto riguarda la proposta di elevazione dell’abbattimento alla base di 2 milioni per portarla a 3 milioni, per le stesse considerazioni il Governo prega di mantenere ferma la cifra di 2 milioni.

Sull’emendamento testé svolto dall’onorevole Tozzi Condivi, debbo condividere il pensiero della Commissione. Purtroppo, un limite è necessario porre in questi casi e quando si pone un limite vi è sempre il caso limite: quello prospettato dall’onorevole Tozzi. Se andassimo da 10 milioni ad una somma più elevata, non risolveremmo il problema. Sopprimere qualsiasi limitazione, non sarebbe neppure giusto, perché la detrazione e la facilitazione sono concesse in un quadro di patrimoni modesti.

Per queste considerazioni, mi duole non poter accogliere l’emendamento dell’onorevole Tozzi Condivi.

PRESIDENTE. Dovremo passare allora alla votazione sui vari emendamenti. Domando ai presentatori se vi insistono.

Onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni del Governo e della Commissione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Crispo, Ella mantiene il suo emendamento?

CRISPO. Sì.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato un emendamento identico a quello dell’onorevole Crispo.

RESCIGNO. Desidererei illustrarlo brevemente.

PRESIDENTE. Non posso concederle questa facoltà, perché, non essendo stato presente al momento dello svolgimento degli emendamenti, Ella è decaduto dal diritto di poter svolgere il suo.

L’emendamento stesso, tuttavia, sarà posto in votazione.

RESCIGNO. Allora mantengo il mio emendamento, senza svolgerlo, riservandomi di fare una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Tozzi Condivi e Perrone Capano mantengono i loro emendamenti?

TOZZI CONDIVI. Sì; mantengo il mio emendamento.

PERRONE CAPANO. Anch’io lo mantengo.

PRESIDENTE. Avverto l’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una richiesta di appello nominale, sull’emendamento presentato per il primo comma, che propone lo spostamento da tre a cinque milioni del minimo imponibile.

Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero rappresentare la seria preoccupazione del Governo per tutto quello che può significare un rallentamento dei lavori per l’esame di questo disegno di legge e vorrei chiedere proprio ai presentatori della richiesta dell’appello nominale se ritengono di doverla mantenere in relazione alla necessità di accelerare i nostri lavori.

CRISPO. A nome dei firmatari della richiesta di appello nominale, dichiaro che con questa richiesta si vuole far assumere a ciascuno la propria responsabilità tanto più in quanto il Governo e la Commissione hanno ritenuto, d’accordo, che l’emendamento sia da respingere.

LA MALFA, Relatore. Poiché l’Assemblea non è molto numerosa, data l’importanza dell’argomento, proporrei di rinviare la votazione ancora una volta su questo articolo e di proseguire nella discussione sugli altri articoli.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Desidero appoggiare il rinvio proposto dall’onorevole La Malfa, in quanto effettivamente c’è un collegamento fra le disposizioni a favore della piccola proprietà nella proporzionale che ora si discutono e quelle della progressiva. Anche io, che sono stato da tanti anni sostenitore, in quest’Aula, della piccola proprietà, ed ho sempre perorato per gli sgravi fiscali di essa, devo riconoscere la difficoltà nella quale in questo momento si trova il Governo e che è stata esposta dal signor Ministro; ed allora noi stessi, che siamo i più grandi fautori della piccola proprietà, se abbiamo dall’altra parte il contrappeso che il Governo ci farà per essa un particolare trattamento nella imposta proporzionale, potremmo rinunciare ad insistere sull’altra. Ecco perché, data questa situazione, che potrà domani portare un equilibrio ed accontentare noi e gli altri sostenitori, io sono d’accordo con il Relatore e prego l’Assemblea di rinviare questa discussione. Così si potrà fare insieme all’altra nella quale i sostenitori della piccola proprietà avranno argomento di poter essere accontentati.

PRESIDENTE. Faccio osservare che il rinvio della votazione sull’articolo 28 comporta anche il rinvio dell’esame e dell’approvazione dell’articolo 29, nonché del 29-bis e 29-ter proposti dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro ed altri e probabilmente anche dell’articolo 30.

Chiedo all’Assemblea se intende venire in questa determinazione.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Sono favorevole ad accettare la proposta dell’onorevole Micheli, cioè l’abbinamento di questa decisione a quella che sullo stesso tema sarà presa al momento in cui verrà in esame l’imposta proporzionale ordinaria. (Interruzione del deputato Crispo).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi che insistono sull’emendamento. C’è un emendamento all’articolo 68 firmato da me e dagli onorevoli Pesenti e Lombardi col quale si risolve nel punto più giusto e nel modo più efficace il problema della difesa della piccola proprietà. È sul piano della «proporzionale» che bisogna portare uno sgravio effettivo ai piccoli proprietari. Per questo sono favorevole al rinvio; discutendo di quell’emendamento si vedrà che è molto più sensibile il beneficio che si porta in quel punto piuttosto che in questo. Quando discuteremo quell’emendamento, si vedrà che lì si risolve il problema della difesa della piccola proprietà. Perciò vorrei pregare i colleghi di accogliere l’invito al rinvio.

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo su questa domanda di rinvio.

PELLA, Ministro delle finanze. Non ho difficoltà ad accedere alla proposta di rinvio, anche per considerazioni di ordine pratico.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Mi pare che essendo legate diverse questioni relative all’imposta straordinaria progressiva, al trattamento che verrà fatto in sede di proporzionale, converrebbe, se la Commissione ed il Governo sono d’accordo, votare subito l’articolo 28 e poi anticipare tutti gli argomenti del capitolo XIII, perché diversamente per tutti gli articoli che discuteremo ci sarà una proposta di rinvio.

Se non è possibile accogliere integralmente la mia proposta, insisto per la votazione immediata dell’articolo 28.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che vi sarebbe un argomento che potrebbe essere stralciato da tutto il resto ed è il Capo sesto, relativo alle dichiarazioni. Questa mattina si potrebbe affrontare la discussione su questo Capo, che contempla norme di ordine procedurale che possono essere benissimo esaminate, anche lasciando in sospeso gli altri argomenti di cui ora si discute.

Ripeto la mia preoccupazione sul tempo che i nostri lavori stanno richiedendo. Se effettivamente l’Assemblea ha intenzione di finire i suoi lavori entro un periodo di tempo relativamente breve, occorre accelerare questi nostri lavori.

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Sul Capo sesto vi sono questioni di principio più gravi anche di quelle che ora stiamo discutendo.

Il Ministro è pronto a discutere tutto? Per esempio all’articolo 36 v’è un emendamento che riguarda la questione del segreto bancario. Se ci mettiamo a rinviare anche questa questione, la legge finirà col non essere mai votata.

Prima di accedere alla proposta del Ministro, desidererei perciò sapere se il Governo è pronto a discutere l’intero Capo, con tutti gli emendamenti ad esso proposti.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è pronto a discutere anche tutti gli emendamenti presentati sugli articoli di questo Capo.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la proposta di rinvio delle votazioni sugli emendamenti all’articolo 28, e della discussione sull’articolo 29 e relativi articoli aggiuntivi al momento in cui si discuterà l’articolo 68 (Titolo II Capo XIII. Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio).

(È approvata).

Passiamo allora al Capo VI (Dichiarazioni).

Si dia lettura dell’articolo 30 nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio devono presentare la relativa dichiarazione all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione coloro che, pur non essendo soggetti all’imposta straordinaria, abbiano un patrimonio che, al lordo delle passività, secondo la consistenza al 28 marzo 1947, raggiunga l’importo di lire 1.500.000.

«La dichiarazione deve essere presentata nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. Detto termine è portato a sei mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato considerandosi valida la presentazione fatta presso gli uffici diplomatici e consolari all’estero.

«I prigionieri di guerra e gli internati civili e militari all’estero possono ottenere di essere riammessi in termine, quando dimostrino di non aver tempestivamente adempiuto all’obbligo della dichiarazione per effetto della prigionia o dell’internamento».

Su questo articolo vi è, anzitutto, un emendamento dell’onorevole Veroni, così formulato:

«Al primo comma, alla cifra: 1.500.000, sostituire: 3.000.000.

VERONI. Anche questo emendamento è connesso alla precedente materia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che non possiamo andare avanti a forza di rinvii. Sono personalmente pronto a discutere questa legge anche nel mese di agosto: ma non so se dello stesso avviso sia l’Assemblea.

D’altra parte, non possiamo chiudere i lavori senza l’approvazione di questa legge.

Per quanto riguarda l’articolo 30 e la questione del minimo, è vero che vi è una connessione, ma ritengo sottinteso che il limite del milione e 500.000, è un limite di dichiarazione agli effetti statistici ed ha effetto di appoggio del sistema di accertamento induttivo.

È evidente che, per quanto riguarda la presentazione delle dichiarazioni vere e proprie, questo obbligo è collegato alla determinazione del definitivo limite. Ora, nel lavoro di coordinamento finale, non sarà difficile armonizzare ogni eventuale discordanza fra l’articolo 30 e il 28.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sull’articolo 30 mi permetto di fare due osservazioni circa la data di decorrenza dei termini per la presentazione della denuncia o circa la durata del termine entro il quale la denuncia deve essere presentata.

Dal momento che le denunce relative ai patrimoni inferiori hanno soltanto un fine statistico, perché non le facciamo presentare nei tre mesi successivi alla scadenza del termine per coloro rispetto ai quali ci sarà l’obbligo del pagamento dell’imposta? Alleggeriremmo enormemente il lavoro degli uffici…

PRESIDENTE. Presenti, se crede, un emendamento scritto.

CORBINO. Prima di fare questo, vorrei sapere se si è d’accordo, nel qual caso, nella forma più rapida che sia possibile, potremmo concretare qualche cosa di questo genere.

Poi vorrei fare formale proposta che il termine delle denunce sia prorogato per lo meno di altri tre mesi. Esso è ora già scaduto, e la gente non saprà neanche nel mese di settembre a quali condizioni dovrà ubbidire per presentare la denuncia.

PRESIDENTE. Faccio presente che gli onorevoli Bosco Lucarelli e Cappi, unitamente ad altri colleghi, hanno presentato i seguenti emendamenti riguardo alla modificazione dei termini:

«Sostituire il primo periodo del secondo comma col seguente:

«La dichiarazione deve essere presentata nel termine di due mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica della convalida del presente decreto data dall’Assemblea Costituente».

«Al secondo comma, alle parole: tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, sostituire le altre: due mesi dalla convalida del presente decreto da parte dell’Assemblea Costituente».

CORBINO. Aderisco senz’altro all’uno ed all’altro emendamento.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Possiamo approvare il primo comma dell’articolo 30, stabilendo che l’obbligo di denunzia statistica equivalga alla metà del minimo imponibile stabilito.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

LA MALFA, Relatore. Circa la proposta dell’onorevole Corbino, cioè che la dichiarazione debba essere presentata nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, entro il 13 ottobre, la Commissione esprime parere favorevole se anche il Governo si dimostra favorevole. Come pure, nessuna difficoltà ha la Commissione di prorogare la data per la dichiarazione statistica di tre mesi rispetto alla data della denunzia fiscale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego gli onorevoli proponenti del termine di sei mesi di volere accedere alla determinazione di una data fissa e cioè il 30 settembre, anziché il 13 ottobre; inquantoché il mese di ottobre dovrà essere utilizzato per vagliare le dichiarazioni e predisporre la pubblicazione dei patrimoni che superano la metà del Minimo imponibile.

Propongo inoltre che sia fissata la data del 31 dicembre per la dichiarazione statistica, cioè dare altri tre mesi ai detentori di patrimoni, che superano la metà del minimo imponibile.

CORBINO. D’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, dopo le spiegazioni del Ministro, insiste nel suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Non insisto. La data del 30 settembre corrisponde press’a poco a quella che io proponevo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che, siccome nel testo emendato dalla Commissione il primo periodo contempla la dichiarazione vera e propria, ed il secondo periodo la dichiarazione a scopo statistico, potremmo inserire il termine già nel primo periodo: «Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio devono presentare entro il 30 settembre 1947 la relativa dichiarazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione entro il 31 dicembre 1947 coloro che, pur non essendo soggetti alla imposta straordinaria, abbiano un patrimonio, ecc.». Dopo di che occorrerebbe sopprimere «La dichiarazione deve essere presentata nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto».

LA MALFA, Relatore. E per i contribuenti residenti all’estero?

PELLA, Ministro delle finanze. Il termine di cui sopra è portato al… e dovremmo mettere una data fissa.

LA MALFA, Relatore. Il 31 dicembre!

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo? «I termini suddetti sono prorogati di tre mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato». Cosicché, se si tratta di dichiarazioni vere e proprie, 31 dicembre; se si tratta invece di dichiarazioni statistiche, 31 marzo.

PRESIDENTE. È d’accordo l’onorevole Cappi?

CAPPI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Anch’io sono d’accordo.

PRESIDENTE. Allora il testo del primo comma dell’articolo 30 può essere il seguente:

«Tutti coloro che, a norma del presente decreto, sono tenuti al pagamento dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, devono presentare, entro il 30 settembre 1947, la relativa dichiarazione all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il contribuente ha il suo domicilio fiscale. Sono anche tenuti a presentare la dichiarazione, entro il 31 dicembre 1947, coloro che, pur non essendo soggetti alla imposta straordinaria, abbiano un patrimonio che, al lordo delle passività, secondo la consistenza al 28 marzo 1947, raggiunga la metà del limite imponibile».

LA MALFA, Relatore. Con riserva di mettere la cifra.

PELLA, Ministro delle finanze. Se ho ben capito, lasciare in bianco la cifra, sapendo che essa sarà fissata dopo, in sede di coordinamento. Resta inteso che sarà la metà del minimo imponibile.

LA MALFA, Relatore. Esatto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo nel testo ora letto.

(È approvata).

Passiamo al successivo comma di cui Commissione e Governo propongono la seguente formulazione:

«I termini suddetti sono prorogati di tre mesi per i contribuenti residenti fuori dello Stato, considerandosi valida la presentazione fatta presso gli uffici diplomatici e consolari all’estero.

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il comma finale rimane invariato:

«I prigionieri di guerra e gli internati civili e militari all’estero possono ottenere di essere riammessi in termine, quando dimostrino di non avere tempestivamente adempiuto all’obbligo della dichiarazione per effetto della prigionia o dell’internamento».

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 30 si intende approvato nella formulazione testé letta.

Passiamo all’articolo 31. Se ne dia lettura nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, di fatto, le associazioni ed enti sono tenuti a dichiarare all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione hanno la loro sede, il cognome, nome, domicilio od indirizzo dei singoli soci ed i crediti di finanziamento spettanti ai medesimi. Dette società, in quanto non siano soggette all’imposta di negoziazione, devono, inoltre, dichiarare il loro patrimonio, con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci, fermo restando l’obbligo dei soci stessi di comprendere le rispettive quote nella dichiarazione individuale del loro patrimonio.

«Le sanzioni non di carattere penale stabilite per omessa od infedele dichiarazione per i singoli contribuenti sono applicabili in confronto delle società anzidette».

PRESIDENTE. Poiché non vi sono emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura nel testo del Governo accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La dichiarazione deve indicare:

1°) il cognome, nome, paternità e domicilio fiscale del contribuente, o – se si tratti di enti collettivi – la denominazione e la sede;

2°) le attività e passività patrimoniali, singolarmente specificate, che concorrono a formare il patrimonio di ciascun obbligato alla dichiarazione ed il valore di ciascun cespite, determinato secondo le disposizioni contenute negli articoli da 34 a 37.

«Quando taluna delle attività intestate al contribuente sia di proprietà di terzi, il contribuente intestatario deve, nella propria dichiarazione, designare l’effettivo proprietario ed indicare la prova relativa».

PRESIDENTE. All’articolo 32 vi è un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Scoccimarro e Veroni che, nella sua ultima formulazione, che modifica altra precedentemente proposta, è del seguente tenore:

«La denuncia del patrimonio deve essere presentata all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette accompagnata da una dichiarazione con la quale il contribuente giura che i cespiti denunciati rispondono alla effettiva totalità dei cespiti costituenti il patrimonio».

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Svolgerò rapidamente l’emendamento che reca la firma del collega Scoccimarro e mia. In fondo, questo emendamento riproduce un criterio di legge tributaria che è già contenuto nel decreto-legge del 12 aprile 1920, n. 494, perché anche allora per l’imposta patrimoniale (articolo 38) l’Amministrazione finanziaria si riservava di assumere con giuramento la denuncia del contribuente per vedere se essa rispondesse o meno a verità. La differenza che corre fra la disposizione della legge di allora e l’emendamento che abbiamo presentato è questa: mentre nella disposizione precedente si attribuisce all’Amministrazione finanziaria la facoltà di assumere col giuramento la denuncia del contribuente, nell’emendamento da noi presentato si fissa e si determina l’obbligo del contribuente di accompagnare la denuncia con una dichiarazione nella quale giuri che i cespiti denunciati sono effettivamente rispondenti ai veri cespiti di cui egli sia il proprietario.

In tal senso provvede il sistema tributario inglese che dispone l’obbligo di ogni contribuente di accompagnare con giuramento la denuncia dei propri cespiti. Nulla vieta che anche la nostra legislazione preveda similmente il dovere di denunciare con giuramento il cespite tassabile. Deve essere, in altri termini, accelerata la formazione di quella coscienza tributaria che universalmente viene reclamata.

A ciò s’indirizza il nostro emendamento, restando inteso che alla disposizione, contenuta nel nostro emendamento, deve fare riscontro un altro emendamento già da noi presentato e che al momento opportuno dovrà essere svolto, secondo cui coloro che omettano, totalmente o parzialmente di denunciare i propri cespiti, debbono essere soggetti ad una penalità.

Ora, l’articolo 54, a suo tempo dovrà essere rivisto, perché conviene modificare tutto il sistema delle sanzioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Faccio presente una circostanza di fatto: secondo me, non si può far giuocare contemporaneamente una presunzione – che nei casi dei grandi capitali supera molto probabilmente quello che ne è il contenuto normale, perché il prevedere il 12 per cento di denaro liquido, come i gioielli, come i mobili, ecc. per i patrimoni imponenti è una altissima quota, mentre può risultare inadeguata per i patrimoni piccoli – ed un giuramento.

Ad ogni modo, se dalla presunzione forfetaria si passa al giuramento specifico, mi pare che sia un controsenso ed una impossibilità giuridica quella di far giuocare contemporaneamente un giuramento ed una presunzione, perché vuol dire mettere in discussione, all’atto stesso in cui si richiede il giuramento, il contenuto del giuramento stesso.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Personalmente non ritengo di poter approvare l’emendamento proposto. A parte l’efficacia del giuramento, io richiamo l’attenzione dei proponenti sul fatto che un giuramento falso comporta una pena restrittiva della libertà personale.

Ora, quando si pensi alla complessità del patrimonio, uno che si dimentica di un libretto, di un titolo al portatore, di un quadro, di un cespite minimo – per il quale provvede la quota presuntiva – deve arrischiare il carcere per questo?

Dato che oggi per la grande massa dei titoli azionari, nominativi, vi è facilità di controllo, mi pare che la forma del giuramento sia eccessiva.

DUGONI. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Avevo in animo di riprendere la disposizione che era contenuta nella legge Schanzer del 1922, la quale autorizzava gli uffici finanziari a richiedere il giuramento di volta in volta. Invece di obbligare il contribuente a presentare la denuncia, sempre avvalorata dal giuramento, erano gli uffici che quando credevano che vi fosse infedeltà nella denuncia, potevano richiedere al contribuente il giuramento sulla denuncia presentata.

Una voce al centro. E vi era facoltà di rifiutarsi.

DUGONI. Comunque, l’impostazione che io intendevo dare alla questione del giuramento era duplice. Cioè, prima di tutto evitare che diventasse una formalità. Perché, purtroppo, la verità è questa: se tutti i denuncianti devono giurare, evidentemente diventa una formalità. In secondo luogo, se il denunziante è chiamato all’ufficio delle imposte e gli viene detto: noi abbiamo ragione di credere che la denunzia da lei fatta sia infedele; o lei la rettifica entro cinque giorni, o l’assevera con il giuramento, io credo che questo sarebbe di grande momento.

D’altra parte noi, in Italia, non vogliamo assoggettarci ad una prassi dei Paesi anglosassoni, quella cioè della prigione per il mancato pagamento delle imposte. Noi continuiamo a credere che il mancato pagamento delle imposte sia un atto di astuzia che vada per lo meno premiato con la croce di cavaliere!

Una voce al centro. Vorrebbe proporre la tortura?

DUGONI. Vi sono molti patrimoni che provengono dal mercato nero e da altre fonti più o meno losche. (Commenti).

Si deve ricordare che in America i «gangster» che non si è riusciti a colpire con la condanna capitale, sono stati colpiti con le leggi sull’imposta: Al Capone insegni. Ora, io dico che è tempo che anche in Italia si facciano delle leggi tributarie con quelle penalità e con quelle sanzioni che veramente inducano i cittadini a credere che il pagamento delle imposte è una cosa seria. D’altra parte, dato il periodo di inflazione che noi abbiamo passato, occupazioni multiple, le fortune nate non si sa come, io credo che l’asseverare le dichiarazioni che si presumono infedeli con il giuramento potrebbe avere un effetto veramente risanatorio in Italia.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Credo che l’emendamento degli onorevoli Veroni e Scoccimarro meriti di essere approvato dall’Assemblea. Noi dobbiamo infatti preoccuparci, e seriamente preoccuparci, dei contribuenti onesti, non dei contribuenti infedeli. Dei contribuenti infedeli ci siamo già preoccupati poco fa quando abbiamo deciso di prorogare fino al 31 dicembre 1947 le denunzie. È stato detto che si intendeva farlo a fini statistici, ma io credo invece che non soltanto questo sia stato l’intento; non lo credo, perché è evidente che si è voluto anche dar modo alla finanza di perseguire il contribuente il quale esponga una valutazione del suo patrimonio non corrispondente al valore reale.

La finanza sarà sempre in grado di contestare la veridicità delle dichiarazioni infedeli; ma che oggi si chieda, così come in precedenti norme era stato stabilito, una conferma mediante giuramento non credo che sia male.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi a nome della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Come l’Assemblea avrà certamente notato, su questo emendamento, vi è stata divisione in seno alla Commissione. La maggioranza si è pronunciata infatti contro la formula del giuramento, mentre una minoranza ha proposto le due soluzioni, del giuramento prestato in sede di dichiarazione di voto o, proposta Dugoni, di una richiesta di giuramento che potrebbe essere rivolta al contribuente dall’Amministrazione finanziaria.

La maggioranza si è pronunciata contro per ragioni di indole pratica e soprattutto per l’impossibilità di dare efficacia concreta al giuramento medesimo. La maggioranza della Commissione ha ritenuto che quest’atto del giuramento debba avere un’importanza formale e debba anche trovare rispondenza nel clima in cui opera il contribuente. A parte l’aggravio di lavoro che necessariamente deriverebbe agli uffici finanziari con l’adozione del giuramento (essi non possono accettare una formula scritta e metterla puramente nel cassetto), la maggioranza della Commissione si preoccupa che se al giuramento non segue una possibilità da parte dell’Amministrazione di accertare esattamente la situazione del contribuente, esso diventa quasi un atto inutile, cioè privo di sanzione, per il caso di falso. E questo, purtroppo, date le centinaia di migliaia di denuncie che l’Amministrazione riceverà, sarà il solo risultato prevedibile, cioè l’impossibilità di far seguire all’adozione del giuramento effettive sanzioni che servano a colpire il falso del contribuente.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Dugoni, di dare potestà all’Amministrazione finanziaria di chiedere il giuramento, la Commissione ritiene che venga così attribuita una grande facoltà discrezionale all’Amministrazione, mettendola in condizione di chiedere il giuramento in determinati casi e di non chiederlo in altri. Ora, la Commissione si preoccupa di usare uno strumento obiettivo, cioè che tuteli anche il contribuente nei rispetti dell’Amministrazione. Per questa ragione, essa respinge la proposta Dugoni.

Ma c’è poi l’obiezione sollevata dall’onorevole Fabbri e che ha valore sostanziale. Effettivamente, abbiamo adottato una quota presuntiva per quanto riguarda alcuni speciali cespiti; ora, se introduciamo il giuramento, non possiamo più applicare questa quota presuntiva, ma dobbiamo prestar fede a quello che il dichiarante denuncia. Anche per tali ragioni dovremo modificare tutto il sistema della legge. Facevo notare agli onorevoli Scoccimarro e Veroni, che adottando il giuramento bisogna rivedere tutto il sistema di sanzioni, perché le sanzioni previste non sono più compatibili col sistema del giuramento: infatti se il cespite denunciato attraverso il giuramento non corrisponde al patrimonio effettivo, si ha una sanzione, ma allora il caso di mancata denuncia di tutto il patrimonio dovrebbe avere una sanzione molto maggiore.

Per queste considerazioni la maggioranza della Commissione si è pronunciata contro i vari emendamenti.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io ho l’impressione che si ricorra in questo problema ad una vecchia tattica; quando si vuole silurare o bocciare un quesito lo si allarga smisuratamente, invece di contenerlo nei suoi giusti termini, che sono abbastanza limitati.

Quale è lo scopo dell’emendamento? Fornire all’amministrazione finanziaria tutti i mezzi possibili ed immaginabili per combattere le evasioni e le frodi. Null’altro che questo. Se poi si vuole congegnarlo in modo da evitare particolari difficoltà, la questione si può discutere. Ma, io mi domando perché in Italia non si possa mai fare nulla di quello, che pur si fa in altri Paesi. Sempre, sistematicamente, quando si tratta di toccare il contribuente, si creano all’Amministrazione finanziaria le maggiori difficoltà: impossibile in Italia fare il cambio della moneta, impossibile toccare il segreto bancario, impossibile istituirle il giuramento. Perché tutte queste cose sono possibili in America, in Francia, in Inghilterra, e in Italia no?

Desidero precisare che il giuramento si riferisce soltanto alla denuncia dei cespiti, e non alla loro valutazione. Si tratta concretamente di dire: «Io non ho nascosto al fisco alcun cespite patrimoniale».

L’obiezione dell’onorevole Fabbri può esserle facilmente risolta quando si dicesse che, per quanto riguarda la quota presuntiva, ecc., in quel caso il giuramento logicamente vale al di là del limite della quota presuntiva. (Commenti).

C’è troppa gente che da più di un anno ha comprato gioielli in Italia: Trieste è diventata il mercato di diamanti per coloro che attendevano l’imposta straordinaria. Non c’è modo di fare un controllo sul possesso dei gioielli, ma se l’Amministrazione finanziaria domani viene a conoscenza che qualcuno possiede quantità ingenti di diamanti e brillanti non denunciati e riesce a metterci le mano sopra, una sanzione severa è bene appropriata.

Rimane il fatto che senza questo emendamento noi faremmo una legge che rispetto a quella del 1922 fa un passo indietro: per lo meno la legge Nitti del 1922 offriva all’Amministrazione finanziaria la facoltà di chiedere il giuramento.

Una voice. Ma non è stata applicata mai!

VERONI. È stata applicata!

SCOOCIMARRO. Ora, l’esperienza ha dimostrato che questa facoltà lasciata all’Amministrazione può dar luogo ad arbitri.

FABBRI. Ma allora non c’erano i titoli nominativi; oggi sì, perché la ricchezza mobiliare in gran parte è nominativa.

SCOCCIMARRO. Non importa. Io voglio dire ancora di più, onorevole Fabbri: io insisto in questo emendamento perché, per me, quando nella prossima Assemblea legislativa, si dovrà discutere della riforma tributaria, il principio del giuramento deve divenire norma nella nostra legislazione finanziaria.

Perciò propongo che fin d’ora nell’imposta straordinaria si affermi questo principio. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere l’opinione del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si associa alle conclusioni dell’onorevole Relatore, per quanto – in via subordinata – non avrebbe difficoltà ad accogliere il concetto incluso nell’emendamento dell’onorevole Duroni.

PRESIDENTE. Preciso all’Assemblea che oltre all’emendamento aggiuntivo Scoccimarro-Veroni ne è stato presentato un altro dall’onorevole Dugoni, così formulato:

L’Amministrazione delle finanze ed i collegi giudicanti possono in ogni tempo invitare il contribuente a presentarsi, non oltre il termine di quindici giorni dalla notificazione di regolare avviso, per sottoscrivere una formula di giuramento, nella quale si affermi che le dichiarazioni fatte dal contribuente stesso, e da confermarsi o correggersi in questa occasione, sono integrali e veritiere in rapporto alla qualità e quantità dei beni di spettanza del contribuente e alla esistenza delle passività e dei carichi relativi.

«Il giuramento è raccolto nei singoli casi dall’autorità che ha invitato a prestare il giuramento».

L’emendamento Scoccimarro-Veroni, evidentemente, è più lato perché impone il giuramento al momento della dichiarazione. Quindi questo emendamento deve avere la precedenza nella votazione. Domando ai proponenti se vi insistono.

VERONI. Sì.

PRESIDENTE. Porrò dunque ai voti l’emendamento Scoccimarro-Veroni.

RESCIGNO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto;

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Dichiaro di votare contro questo emendamento. Che altrove vi siano disposizioni di questo genere, non rivela la nostra inferiorità: rivela soltanto la nostra più squisita sensibilità giuridica. (Commenti – Rumori a sinistra).

È inutile che facciate rumore. Qui ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione, e l’opinione mia è questa: che il giuramento che si chiede al contribuente è un po’ come la dichiarazione contro se stesso dell’imputato. Parliamoci chiaro. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Proprio così!

RESCIGNO. Voi non risolverete nulla, e avrete soltanto creato numerosi spergiuri. (Commenti a sinistra). L’educazione del contribuente si fa in un’altra maniera, si fa educando alla sincerità, innanzi tutto, il fisco, perché il contribuente oggi è restio a pagare, soprattutto perché da parte del fisco non vi è la sincerità. Il fisco accerta esageratamente ed obbliga così il contribuente ad esagerare nel senso opposto.

Abituare alla sincerità l’uno e l’altro è il solo mezzo per rimediare a questo stato di cose. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che è pervenuta alla Presidenza una domanda di votazione per appello nominale sull’emendamento Scoccimarro-Veroni.

La domanda è firmata dagli onorevoli Zerbi, Saggin, Ferreri, Bovetti, Quintieri Adolfo, De Palma, Bonomi Paolo, Mastino Gesumino, Rivera, Jacini, Bubbio, Codacci Pisanelli, Fuschini, Cappi ed Uberti.

Si insiste in questa domanda?

ZERBI. Sì, insistiamo.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale, sull’emendamento degli onorevoli Scoccimarro e Veroni.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Secchia.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bellusci – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bruni – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Caporali – Caprani – Carmagnola – Caroleo – Carpano Maglioli – Cavallari – Cavallotti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Corbi – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Vita – Di Giovanni – Di Vittorio – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giolitti – Giua – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Jacometti.

Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minio – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Morini – Musolino.

Nasi – Nobile Umberto – Nobili Oro.

Pajetta Gian Carlo – Pastore Raffaele – Pellegrini – Persico – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bellato – Belotti – Bencivenga – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Camposarcuno – Gannizzo – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Cassiani – Castelli Avolio – Cavalli – Cerreti – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Palma – Dossetti.

Einaudi.

Fabbri – Fabriam – Fantoni – Ferreri – Firrao – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gatta – Germano – Geuna – Giacchèro – Gonella – Gotelli Angela – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – Lazzati.

Magrini – Malvestiti – Marazza – Marinaro – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mùrdaca.

Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Rodi – Romano – Roselli – Rubilli – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Selvaggi – Siles – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Viale – Vicentini – Villabruna.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Conti.

Della Seta.

Sono in congedo:

Bassano – Bellavista – Bernabei – Bianchi Costantino.

Carratelli.

Ferrario Celestino – Ferrarese – Fogagnolo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mannironi – Matteotti Matteo – Musotto.

Raimondi – Ravagnan – Rumor.

Saragat.

Tomba.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione per appello nominate e invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento Scoccimarro-Veroni:

Presenti                  322

Votanti                   320

Astenuti                    2

Maggioranza           161

Hanno risposto sì     152

Hanno risposto no   168

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Dugoni che il proponente dichiara di modificare nei seguenti termini:

«Qualora sussistano elementi che lascino fondatamente presumere l’omessa dichiarazione di cespiti soggetti ad imposta, l’Amministrazione delle finanze può, nel corso della procedura di accertamento, invitare il contribuente a presentarsi, non oltre il termine di 15 giorni dalla notificazione di regolare avviso per sottoscrivere una formula di giuramento, nella quale si affermi che le dichiarazioni fatte dal contribuente stesso, e da confermarsi o correggersi in questa occasione, sono integrali e veritiere in rapporto alla qualità e quantità dei beni di spettanza del contribuente ed alla esistenza delle passività e dei carichi relativi.

«Il giuramento è raccolto nei singoli casi dall’autorità che ha invitato a prestare il giuramento».

Il Ministro delle finanze è invitato ad esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Questo emendamento ha, in linea di massima, il parere favorevole del Governo. Si tratta di trasferire sul piano della facoltatività quello che, secondo l’emendamento precedente, doveva rappresentare invece un obbligo. Si ritorna cioè al sistema della legge 1922.

PRESIDENTE. Avverto che su questo emendamento è stata richiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Camposarcuno, Monterisi, Gullo Fausto, Zotta, Caso, Bianchini Laura, Monticelli, Coccia, Angelucci, Micheli, Gotelli Angela, Angelini, Castelli Avolio, Foresi, Medi, Valenti, Ciampitti, Baracco, Gabrieli, Pallastrelli e Carbonari.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Faccio osservare che dopo la votazione avvenuta, nella quale si è respinto il giuramento nella parte principale, non comprendo come possa risorgere in modo secondario e venga così ad entrare dalla finestra quello che l’Assemblea ha inteso di cacciare dalla porta. (Commenti).

Chi deve pagare pagherà, ma deve pagare nei modi che la legge ha stabilito e quelli che dobbiamo stabilire oggi noi devono essere conformi alle nostre consuetudini e non inventati ora come altro strumento di oppressione fiscale. Ci sono inoltre due ragioni per le quali io dichiarerei di votare eventualmente contro: la prima è basata sulla presunzione contro il contribuente. L’altra perché decide l’arbitrio del funzionario.

Io comprendo che le materne viscere del Ministro possono avere un riguardo particolare pei suoi funzionari, ed a questo forse è dovuta la sua accettazione, ma io credo che l’Assemblea manterrà fede al voto antecedente; perché il voto che si chiede adesso è un notevole peggioramento di quello che è stato respinto. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli Micheli, lei fa una questione sulla possibilità di votazione di questo emendamento?

MICHELI. Io ritengo che la proposta dell’onorevole Dugoni non sia più presentabile. Se la Presidenza riterrà di farla votare, valgano le dichiarazioni che ho fatto, ma io eccepisco che la procedura non è normale e che non si può portare qui la questione di un giuramento limitato, mentre abbiamo respinto il giuramento intero.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha posto la questione e la Presidenza rimette alla Assemblea la decisione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Desidero proporre la sospensiva. Credo che tutta l’Assemblea sia concorde nel riconoscere che si tratta di un problema degno di attenta discussione che, data l’ora tarda, non potrebbe aversi.

Propongo formalmente che la discussione sia rinviata alla prima seduta.

PRESIDENTE. Dovrò allora mettere ai voti la proposta di rinvio dell’onorevole Mastino Gesumino.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Si è chiesta la sospensiva per riflettere sul contenuto del nuovo emendamento?

MASTINO GESUMINO. Per poterlo discutere.

SCOCCIMARRO. Desidero fare presente che in seno alla Commissione è stata considerata anche questa proposta; e non l’abbiamo accettata, perché l’esperienza del passato e la previsione di quello che può avvenire in futuro, ci hanno portato alla conclusione che, allo stato attuale delle cose, non si possa lasciare alla facoltà dell’Amministrazione finanziaria di chiedere o no il giuramento; perché questo può divenire strumento di persecuzione verso alcuni contribuenti. (Approvazioni).

Per questa ragione non siamo favorevoli all’emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, è contrario anche alla sospensiva?

SCOCCIMARRO. Si, sono contrario.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino insiste nella sua proposta?

MASTINO GESUMINO. Dato che abbiamo un accordo nel merito, rinunzio alla richiesta di sospensiva.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Non per entrare nel merito dell’emendamento, su cui il Governo si è già pronunziato, ma per riallacciarmi al riferimento alle «materne viscere», cui ha fatto cenno l’onorevole Micheli, mi si permetta di non condividere l’apprezzamento circa le eventuali conseguenze dipendenti dal contegno di determinati funzionari. Io devo ritenere l’Amministrazione finanziaria provvista di sufficiente senso di equilibrio per saper utilizzare questo strumento. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, insiste nel suo emendamento?

DUGONI. Sì, insisto.

PRESIDENTE. I firmatari della richiesta di votazione per appello nominale vi insistono?

CAMPOSARCUNO. A nome dei firmatari, dichiaro di ritirare la richiesta.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti per alzata e seduta l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

(Non è approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI. Mi onoro di presentare all’Assemblea le relazioni sulle domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Tega e Bernamonti.

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

La seduta termina alle 13.15.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nitti

De Vita

Bertone

Preti

Dugoni

Colitto

Zotta

Foa

Cartia

Micheli

Sullo

Pignatari

Nobile

Romano

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Laconi

Corbino

Uberti

Carbonari

Tessitori

Gasparotto

Condorelli

Presentazione di relazioni:

Presidente

Gronchi

Nitti

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Bulloni

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Come l’Assemblea ricorda, nella precedente seduta il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, aveva chiarito e commentato il nuovo testo proposto per l’articolo 113 dal Comitato di coordinamento. Si tratta adesso di esaminare gli emendamenti presentati a questo testo della Commissione, che è così formulato:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali per provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Un primo emendamento, presentato dall’onorevole Nitti, è del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni».

L’onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. È essenziale stabilire quali potranno essere le entrate delle Regioni, come degli altri enti locali. Finora gli enti locali erano la Provincia e il Comune, che si reggevano essenzialmente sul sistema dei centesimi addizionali delle grandi imposte dirette, soprattutto fondiarie. Ogni provincia, poiché vi era una imposta fondiaria sui terreni e sui fabbricati, metteva, come ogni Comune, dei centesimi addizionali. Era un regime facile. In fondo, la Provincia non aveva come base delle sue entrate che i centesimi addizionai i sulle imposte dirette, ed i Comuni avevano, insieme a questi, soprattutto i dazi di consumo. Queste erano le entrate fondamentali. Poi si sono aggiunte per i Comuni altre entrate, imposte e tasse differenti.

Quando nel 1862 fu fatta l’unificazione tributaria e fu stabilito il regime del nuovo regno, si andò sempre verso l’idea di mettere le Provincie ed i Comuni accanto allo Stato. Poi la Provincia è rimasta chiusa nelle sue funzioni economiche e sociali in limiti ristretti e non ha sviluppato i suoi servizi; il Comune li ha sviluppati e ha dovuto necessariamente ricorrere ad altre imposte: la Provincia si è sempre basata sui centesimi addizionali.

Il sistema del 1862 era in realtà molto pratico. Si basava su entrate sicure e definite. La Cassa depositi e prestiti forniva il credito agli enti locali, e perché il credito fosse sicuramente garantito, gli enti locali cedevano un certo numero di centesimi addizionali. Lo Stato fece operazioni di credito di tanti miliardi e non perdette mai in queste operazioni una sola lira. I Comuni potevano attingere e potevano chiedere credito allo Stato. Allora i Comuni erano molto parchi. Chiedevano alla Cassa depositi e prestiti. La Cassa aveva entrate che derivavano da una parte di alcuni servizi pubblici e dall’altra entrate che venivano dai depositi postali. Il sistema non era complicato e funzionava con regolarità.

Ora, dobbiamo stabilire le entrate di questi tre enti: regioni, province, comuni. L’onorevole Ruini ha detto, in generale, come può orientarsi la finanza locale. Ma sono lontane visioni e occorre invece uscire dall’indeterminato: prevedendo le spese bisogna stabilire quali, una per una, e stabilire dove i comuni, le provincie e le regioni potranno attingere le entrate.

Naturalmente la provincia si trova in parte esautorata, ma vive della sua vita; e la Regione di quali entrate deve vivere? Bisognerà pure definirlo e precisarlo fin da ora. Quindi, siccome non è materia che adesso possiamo improvvisare, sarà necessario fare fin da ora una legge speciale: o una legge speciale o il caos. Su questo non vedo che vi possa essere materia di controversia. Perciò ho presentato questo articolo aggiuntivo che non credo possa incontrare opposizione, a meno che non si continui nel sistema di annunziare come definite e sicure le cose che non sono né definite né sicure, com’è stato finora tante volte in questo schema di Costituzione in cui le aspirazioni si confondono con i propositi e i propositi sono irrealizzabili perché mancano i mezzi di esecuzione.

Si faranno Regioni che pretenderanno, esautorando lo Stato, vivere dello Stato, che ha esso stesso, per l’eccesso di spese e la mancanza di entrate corrispondenti, mancanza di mezzi per vivere vita sicura.

Ignotum per ignotius, questa sarà la finanza delle regioni e degli enti locali che si prepara o per dir meglio che non si prepara.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dall’onorevole De Vita, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«La Regione provvede al proprio fabbisogno finanziario con i redditi patrimoniali e con i tributi deliberati dalla medesima nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione.

«Le leggi dello Stato in materia economica, finanziaria e doganale sono ispirate al principio di evitare la creazione di qualsiasi privilegio in favore di una o più Regioni a danno di altre».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. In base al principio per cui l’imposta deve seguire l’economia, ciò che soprattutto si richiede ad un ordinamento tributario, che del sistema finanziario costituisce la parte più importante, è un grado massimo di elasticità, ben difficile a raggiungersi in un sistema rigidamente unitario ed in un Paese come il nostro che è variamente articolato nella sua struttura economica.

È dunque necessario adeguare l’imposizione alle condizioni economiche delle singole Regioni, tenendo in debito conto non solo il grado di evoluzione economica, ma anche etnica e psicologica delle singole popolazioni. Si dirà che così si introduce un elemento di disordine e di anarchia nel nostro sistema tributario. Io ritengo che si introduce un elemento di ordine, se è vero che l’ordine è l’armonia dei contrasti.

In Svizzera è stato possibile raggiungere un perfetto equilibrio fra la libera vita cantonale e l’unità federale. La legislazione tributaria in Svizzera è diversa da Cantone a Cantone; è diversa l’imposta sul patrimonio, e la stessa imposta sul reddito trova diversità di applicazione da Cantone a Cantone, per quanto riguarda le aliquote e per quanto concerne il minimo imponibile. Non risulta tuttavia che questa estrema varietà della legislazione svizzera abbia determinato nessun cataclisma in quel Paese. Per quanto riguarda l’ultimo comma del mio emendamento, debbo rilevare che potrebbe apparire paradossale se non fosse a tutti nota l’esperienza storica ormai secolare. L’esperienza dimostra che la politica economica e finanziaria dello Stato unitario ha operato un enorme spostamento di ricchezza da regione a regione.

Lo stesso onorevole Nitti, in una sua pubblicazione: «Principî di scienza delle finanze» si è chiesto dove era verso il 1860 la ricchezza in Italia, e pubblicava il seguente quadro, che non potrebbe essere più istruttivo: «La moneta degli antichi Stati italiani al momento della annessione era così ripartita: Regno delle Due Sicilie 443 milioni; Lombardia 8 milioni; Ducato di Modena 0,4 milioni; Parma e Piacenza 1,2 milioni; Roma 35,3 milioni; Romagna-Emilia 55 milioni; Piemonte e Liguria 27 milioni; Toscana 85 milioni; Veneto 12 milioni.

Il regno delle Due Sicilie aveva due volte più moneta di tutti gli altri paesi della penisola messi insieme. L’unità non fu, come si vede, magro affare finanziario per il settentrione.

Io, per omaggio alla memoria di un grande milanese, Carlo Cattaneo, non intendo porre il problema in termini stridenti. Faccio soltanto appello al sentimento di giustizia che anima tutti coloro che in questo momento sostengono la giusta battaglia per il regionalismo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bertone e Baracco hanno proposto il seguente emendamento:

«Sostituire i primi tre commi con i seguenti:

«Alle Regioni è assicurata autonomia finanziaria coi mezzi, nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Se ed in quanto necessario, lo Stato integrerà i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Onorevoli colleghi, fissato il principio della costituzione della Regione, consegue naturalmente che la Regione debba avere l’autonomia finanziaria, in termini più semplici, il proprio bilancio, perché non sarebbe concepibile l’esistenza della Regione, se la Regione non avesse un suo bilancio.

Dire bilancio è dire una parola semplice; però, nel caso nostro, l’indagine che ci si impone è abbastanza complessa, perché le Regioni sono così profondamente diverse l’una dall’altra per economia, per tradizioni, per misura di tributi fiscali atti a consentire lo svolgimento delle proprie funzioni, che una indagine anche sommaria è indispensabile per rendersi esatto conto del problema.

Sabato scorso il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ci ha fatto un quadro interessantissimo in proposito, ricordando e richiamando dati finanziari relativi alle varie Regioni fino al 1944 e 1945.

Chiedo all’Assemblea di consentirmi di aggiornare questi dati, riportandoli al 1946 e 1947, esaminando cioè dieci mesi dell’esercizio attuale, in rapporto alle singole Regioni.

Abbiamo Regioni deficitarie e Regioni non deficitarie. Rientrano fra le prime, in dieci mesi di esercizio (i dati sono tolti dall’ultimo conto della Tesoreria e quindi sono dati presumibilmente informati alla maggiore esattezza desiderabile, e riguardano la differenza tra gli incassi e i pagamenti di bilancio, riferiti ad ogni Ministero e riferiti ad ogni ramo di attività finanziaria): la Sicilia, in dieci mesi di esercizio ha un supero di spese in confronto agli incassi di 6 miliardi e 710 milioni; la Sardegna 2 miliardi e 639 milioni; la Calabria 2 miliardi e 384 milioni; le Puglie 8 miliardi e 570 milioni; la Lucania 924 milioni; la Campania 10 miliardi e 215 milioni; gli Abruzzi 2 miliardi e 616 milioni; le Marche 929 milioni; la Venezia Tridentina 448 milioni; la Venezia Giulia – e richiamo la benevola attenzione dell’Assemblea su questa cifra, che è la maggiore di tutte le Regioni d’Italia, come passivo – la Venezia Giulia, 11 miliardi e 304 milioni.

Vengono poi le Regioni in cui gli incassi sono superiori alle spese. Si incomincia dall’Umbria con 292 milioni in più; abbiamo poi la Toscana con un supero di 2 miliardi 942 milioni; l’Emilia con 3 miliardi 581 milioni; la Liguria con 4 miliardi 102 milioni; il Piemonte con 17 miliardi 242 milioni; il Veneto con 3 miliardi 395 milioni, la Lombardia con un supero di 54 miliardi 692 milioni.

Ora, questa differenza di incassi e di spese, così profonda fra Regione e Regione, non è una novità dell’oggi; essa fu sempre corretta e regolata dallo Stato unitario. Lo Stato ha sempre dato alle Regioni del Mezzogiorno deficitarie ciò che occorreva ad esse per completare i loro bilanci. E qui è bene chiarire un punto che ha dato luogo troppo spesso ad una voce non fondata, cioè che lo Stato unitario abbia soltanto sfruttato il Mezzogiorno e abbia dato la maggior parte delle sue risorse al Settentrione.

NITTI. Non è vero.

BERTONE. Lo so, onorevole Nitti, ma questo fu detto e ripetuto: fu detto e ripetuto che la maggior parte delle sue risorse lo Stato l’abbia devoluta a beneficio del Settentrione. Io chiedo all’Assemblea che mi sia consentito di esporre brevissimamente qualche dato di fatto al riguardo. Nel 1927, il Ministero delle finanze ha pubblicato uno studio interessantissimo, un grosso volume il quale analizza ed espone tutte indistintamente le spese per lavori pubblici, per bonifiche, per strade, per acquedotti, per ferrovie, che lo Stato ha fatto in tutte le singole regioni d’Italia, a partire dal 1870, per giungere sino al 1924, prendendo cioè in considerazione 54 anni di pubblica gestione.

Orbene, in questi 54 anni di gestione, risulta da queste statistiche ufficiali che l’onere complessivo a carico dei lavori pubblici è stato il seguente: per l’Italia settentrionale 5 miliardi 974 milioni; per l’Italia centrale 4 miliardi 718 milioni; per l’Italia meridionale e insulare 8 miliardi e 47 milioni, cioè una cifra superiore.

CORBINO. Ma sono lire che hanno un diverso potere d’acquisto.

BERTONE. Ma io le riferisco a tutte le regioni d’Italia ed evidentemente la moneta era uguale per tutte a parità di tempo.

Scendendo a particolari settori, per strade in Italia settentrionale si sono spesi 173 milioni 461 mila, in Italia centrale 148 milioni 689 mila, in Italia meridionale e insulare 752 milioni 915 mila. Sono milioni di allora questi, intendiamoci bene. Ciò significa che i 752 milioni di quell’epoca possono per lo meno essere moltiplicati per cento.

AMBROSINI. Ma dopo l’altra guerra, la moneta era già svalutata e bisogna tenere presente che le maggiori spese per il Meridione furono fatte specialmente dopo la prima guerra mondiale.

BERTONE. Ma io ho accennato a queste cifre unicamente per richiamarmi ad un concetto esposto qui da un oratore del Partito comunista, che ha pronunziato uno dei più eloquenti e appassionati discorsi, l’onorevole Gullo. Il resoconto sommario così riporta il suo discorso: «Egli è calabrese, ma onestamente deve dichiarare che è un falso luogo comune quello che le provincie meridionali siano state sfruttate più che aiutate dallo Stato unitario italiano. Così dicendo, si afferma una condanna ingiusta al centralismo italiano, giusta invece se diretta a colpire la sola classe dirigente del Mezzogiorno d’Italia. Non il centralismo, ma la complicità e la connivenza vergognosa delle classi dirigenti meridionali, gelose dei loro privilegi, con alcuni interessi altrettanto egoistici dell’Alta Italia, furono la causa della lentezza con cui il Meridione seguì lo sviluppo della civiltà del resto del Paese». E qui il resoconto sommario segna «applausi» di consenso.

Ora, io questo volevo dire: che lo Stato, evidentemente, dovrà sempre tener conto di questa differenza di posizione, di economia, di tradizioni tra Regione e Regione, e ciò che è stato fatto in passato, non solo dovrà ancora essere fatto per l’avvenire: dare più a chi ha maggiori bisogni, dare meno a chi bisogni non ha; ma la differenza starà in questo: che, se è vero che per il passato con questo sistema centralistico le spese dedicate al Mezzogiorno non hanno reso quello che dovevano rendere; se si sono spesi miliardi per le strade, e le strade non ci sono, vuol dire che i miliardi non sono stati spesi bene; e non furono spesi bene probabilmente perché mancava il controllo; il controllo delle autorità, delle popolazioni e dei centri locali.

Ora, a questo tende la costituzione della Regione. Io mi domando se, quando lo Stato darà somme per opere pubbliche, integrerà i bilanci delle Regioni che di integrazione hanno bisogno; quando in base al regime democratico oggi costituito le popolazioni locali creeranno le loro amministrazioni con maggiore indipendenza, con spirito di iniziativa, spesso con responsabilità maggiore di quella che non hanno avuto fino ad oggi, mi domando se allora non avremo una maggiore garanzia che le somme destinate alle Regioni che di integrazione hanno bisogno saranno meglio spese; e se non avremo fatto un passo avanti nel progresso generale.

Non ho altro da dire in proposito, se non osservare che, in fondo, vi è già stata un’anticipazione, per merito, credo, dello stesso onorevole Ruini, quando si sono costituiti i Provveditorati regionali per le opere pubbliche. Questi Provveditorati regionali hanno veramente dato la sensazione che qualche cosa di nuovo ormai sia avvenuto nelle amministrazioni regionali. Se si guardano le spese fatte dai Provveditorati, si ha la sensazione precisa che lo Stato non dimentica i suoi doveri da Regione a Regione, distinguendo quelle che hanno maggiori risorse da quelle che ne hanno meno. Ma queste spese sono state fatte con maggiore oculatezza, e i Provveditorati hanno assunto tale quantità di opere pubbliche che non so in quali anni precedenti possa dirsi essere stata ragguagliata all’attuale.

In dieci mesi di esercizio l’Italia settentrionale ha avuto spese di opere pubbliche assegnate per 8 miliardi 193 milioni; l’Italia centrale per 5 miliardi 586 milioni; l’Italia meridionale e insulare per 18 miliardi 12 milioni.

Ora, queste spese sono state controllate localmente, sono state elargite dai Provveditorati, ed i Provveditorati hanno vigilato come queste spese venivano fatte, per mezzo del genio civile, per mezzo dei propri uffici.

Ora, questo mi sembra sia già un’anticipazione in piccola misura di quello che può essere la costituzione e l’amministrazione regionale. E io da questo buon risultato dei Provveditorati traggo auspicio per l’avvenire della Regione in quanto riguarda le spese pubbliche e il modo in cui le spese pubbliche vengono erogate e controllate.

Non ho altro da aggiungere, se non avvertire che il passato insegna che quando lo Stato continuerà a fare tutto il suo dovere verso le Regioni, come sempre ha fatto, noi avremo una maggiore garanzia che le risorse dello Stato e locali saranno spese meglio che non in passato.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Ho presentato un emendamento inteso ad escludere che la finanza regionale sia regolata – come dice il 1° comma dell’articolo 113 – da leggi costituzionali.

Sostanzialmente mi sembra più che sufficiente che la finanza regionale sia regolata attraverso la normale procedura legislativa. Mi sembra che, facendo diversamente, si complicherebbero le cose inutilmente.

D’altra parte si tratta d’una disposizione che direi senza precedenti anche dal punto di vista – se non erro – del diritto comparato; e quindi voglio sperare che la Commissione vorrà accettare questo emendamento.

Ho presentato in seguito alcuni emendamenti soppressivi, in quanto modestamente – poiché non sono un tecnico della materia – io penso che sia piuttosto difficile, e forse anche inopportuno, regolare la materia dei tributi – dire cioè quali tributi siano assegnati e quali non siano assegnati alla Regione – in un articolo della Costituzione.

Del resto questo stesso pensiero hanno espresso deputati molto più autorevoli di me e non è quindi il caso che io stia a dare una dimostrazione di questo asserto.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le parole: da leggi costituzionali con le altre: dalle leggi dello Stato».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. Mantengo l’emendamento e rinuncio per il momento a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: nelle forme, e sostituire alle parole: che la coordinano le altre: che, nel precisarli, provvedano altresì a coordinarla».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COLITTO. Queste mie brevissime modifiche attengono puramente alla forma. L’articolo 113 nel suo primo comma inizia con le parole: «Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti».

Ora a me sembra che la parola «limiti» accenni senz’altro a binari che non possono essere trapiantati anche nel campo delle forme. Le parole quindi «nelle forme» che si leggono in quella dizione mi sembrano superflue.

Non insisto invece nell’altra modifica. Potrà eventualmente tenersene conto quando si vorrà rivedere la forma degli articoli della Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Bosco Lucarelli, Dominedò, Petrilli, Jacini, Gabriele, Perrone Capano, Caccuri, Chieffi, Lettieri, Abozzi, Franceschini, De Maria, Camposarcuno, Caiati, Recca, Coccia, Perlingieri, Angelucci, De Martino, Viale, Orlando Camillo, Broggio, Guerrieri e Monterisi:

«Sostituire il secondo e il terzo comma con i seguenti:

«Alle Regioni sono assegnati tributi propri e quote di tributi erariali. Il gettito complessivo del tributo erariale è ripartito in modo che le Regioni meno fornite di mezzi possono provvedere alle loro funzioni e al loro sviluppo per il raggiungimento di un livello comune di benessere e di progresso in tutto il Paese.

«Allo stesso scopo, lo Stato può assegnare alle singole Regioni contributi speciali».

Ha facoltà di svolgerlo.

ZOTTA. Siamo così giunti al punto più delicato della vita delle Regioni: all’autonomia finanziaria, senza la quale vano è parlare di autonomia legislativa ed amministrativa. Per esercitare le funzioni loro assegnate, le Regioni hanno bisogno di mezzi finanziari, cioè di entrate.

Qui sorgono due problemi:

Quali entrate deve lo Stato assegnare alle Regioni? Vi sono Regioni che hanno bisogni, per cui le entrate normali non sono sufficienti?

Alla prima questione ha dato risposta esauriente nell’ultima seduta l’onorevole Ruini, con ricchezza e precisione di dati, mostrando infondate le preoccupazioni di coloro che temono non possa la Regione assolvere i suoi compiti senza turbare l’equilibrio del bilancio statale col sottrarre all’erario cospicue entrate o senza aggravare l’onere tributario dei cittadini.

Noi abbiamo visto come siano rimaste allo Stato le funzioni che mirano alla tutela giuridica dei consociati. Le altre funzioni, le quali possono definirsi di carattere sociale, in quanto mirano direttamente al miglioramento fisico, economico e spirituale della popolazione, sono esercitate dallo Stato o sono affidate alle Regioni, secondo che siano di carattere generale e interessino tutta la collettività o tocchino interessi esclusivamente o prevalentemente locali. Sicché, dal lato finanziario, per entità di spese, la sfera di attività propria delle Regioni, riguarda in prima linea le opere pubbliche e l’agricoltura, poi l’assistenza sanitaria ed ospedaliera, l’igiene e la sanità, ed infine, con lieve ripercussione sul bilancio regionale, le altre funzioni.

Di quale ammontare ha bisogno la Regione per vivere?

L’onorevole Ruini ha presentato un quadro, da cui risulta che nel bilancio dello Stato 1938-39 su una spesa di quaranta miliardi, un miliardo e mezzo sono assorbiti per lavori pubblici. È questa la spesa maggiore tra quelle in esame: tutti gli altri titoli di spesa sono destinati a gravare in misura relativamente tenue sul bilancio dello Stato.

Io mi sono fermato ad esaminare le spese dello Stato, negli anni finanziari 1931-32, 1932-33, 1933-34 ed ho constatato che l’ammontare percentuale delle spese per opere pubbliche si aggira sulla media di 7,5 per cento. Aggiungendo gli altri titoli, che ora passano alla Regione, si giunge ad un 10 per cento.

Bisogna, dunque, che lo Stato assegni alla Regione il 10 per cento delle sue entrate.

E qui, esattamente osservava l’onorevole Ruini, basta passare alle Regioni il gettito delle imposte immobiliari ed una quota delle imposte di ricchezza mobile. In materia di imposizione, le ricchezze che risentono vantaggio da determinati servizi, ne sostengono anche le spese. Delle varie ricchezze costituenti la materia imponibile, la proprietà immobiliare ha carattere di ricchezza prevalentemente locale, essendo dal punto di vista territoriale localizzata. Un sistema tributario razionale tende a riservare allo Stato le entrate derivanti da ricchezze di carattere nazionale e agli enti locali quelle provenienti da ricchezze di carattere locale.

Ora, assegnando alla Regione l’imposta fondiaria e fabbricati, nonché una quota della imposta di ricchezza mobile, si può raggiungere quel 10 per cento di entrate, occorrenti per sostenere le spese necessarie per le funzioni che lo Stato devolve alle Regioni.

Lo Stato perde di entrate di quanto si sgrava di spese.

Alla prima questione si risponde dunque esaurientemente: l’autonomia finanziaria delle Regioni non importa aggravio né per lo Stato né per i cittadini.

Ma vi è un’altra questione: vi sono Regioni, che hanno bisogni, per cui le entrate normali non sono sufficienti. Su questo punto vi è una lacuna nel Progetto, nella nuova formulazione della Commissione e nella Relazione dell’onorevole Ruini, il quale, in proposito, si è limitato a dire semplicemente che il nuovo testo prevede l’assegnazione di contributi speciali per determinati compiti.

È una triste realtà. In Italia vi sono Regioni che bastano a se stesse ed altre che, per povertà naturale, per ragioni storiche ed anche per incomprensione di governanti, sono oggi a tal punto da avere imprescindibile bisogno di integrazione e di aiuto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto si dia in sede di finanza, non potranno con ciò raggiungere il livello di benessere economico che è determinato da tante altre ragioni.

ZOTTA. Noi abbiamo affidato alla Regione una complessità di compiti di carattere amministrativo. Prendiamo ad esempio la viabilità, gli acquedotti, i lavori pubblici di interesse regionale, i servizi pubblici, l’assistenza, l’igiene e la sanità pubblica, parte della pubblica istruzione, l’agricoltura. Si sa che le maggiori deficienze in questo vasto campo si riscontrano nelle Regioni povere. In talune vi sono condizioni di vita addirittura primitive. Mentre si assiste con compiacimento al rinfittirsi della rete stradale in alcune zone d’Italia, intersecate in tutti i sensi da strade di ogni specie, noi vediamo per contro, con profondo rammarico, paesi che o per mancanza di vie carrozzabili o per deficienza di servizi pubblici, non sono affatto collegati col mondo civile o ne restano separati per tutta la stagione invernale (della mia Lucania, ad esempio: Brindisi di Montagna, Castelsaraceno, ecc.). Quivi le persone che avessero bisogno di un pronto intervento chirurgico sono dannate a morire come bestie. Mancano in molta parte dei Comuni lucani le fognature. I contadini vivono in casette rudimentali di un unico vano, che hanno del tugurio o della spelonca: ivi dormono promiscuamente uomini, donne, animali.

Cito la Lucania, perché è la Regione che conosco meglio. Non molto superiori sono le condizioni di vita delle altre terre dell’Italia meridionale, di alcune dell’Italia centrale e, qua e là, anche di qualcuna dell’Italia settentrionale, specie nelle zone alpine e carsiche. Ma il problema è fondamentalmente meridionale. Dal lato finanziario, esso si presenta così: vi sono Regioni, che in confronto delle altre, hanno un gettito di entrate più ridotto e nel contempo son quelle che hanno un maggior numero di bisogni. Sicché i bilanci regionali più grami debbono affrontare i compiti più gravosi.

Ora come si pone il problema dell’autonomia finanziaria di fronte a queste Regioni? Se noi attribuiamo loro le imposte immobiliari e una quota, uguale per tutte, di ricchezza mobile potranno esse vivere e prosperare?

Indubbiamente no.

Codeste Regioni hanno i bisogni delle altre agiate o ricche; e in più quelli che derivano dalla umana ed insopprimibile aspirazione di portarsi al livello di quelle o quanto meno di raggiungere condizioni possibili di vita civile. Esse debbono poter vivere; esse debbono poter prosperare. E invece con l’accennata ripartizione di tributi non hanno tutti i mezzi necessari per vivere; non ne hanno affatto per prosperare.

Questa è la storia dolorosa delle Regioni povere d’Italia, di cui occorre tener conto nella impostazione del capitolo sull’autonomia finanziaria, per stabilire, con aderenza alla realtà, i rapporti tra codesti enti che sorgono a vita autonoma e lo Stato.

Ecco la domanda: il regionalismo importa una politica di separatismo e di isolazionismo finanziario, ovvero si innesta sul tronco della solidarietà e dell’unità degli interessi nazionali? In altre parole, l’autonomia finanziaria è destinata a chiudere per sempre nei loro confini le miserie di alcune Regioni e le ricchezze di altre, perpetuando con codeste barriere l’inferiorità del Mezzogiorno di fronte al resto del Paese? Siamo cioè al punto di dire: ogni Regione ormai viva per conto proprio?

Io sono tra i fautori più ardenti del regionalismo, perché sono convinto che stimolando le energie e le iniziative locali, nel campo pubblico e privato, le nostre terre possono uscire dall’attuale fase di miseria, la quale è in parte dovuta anche al senso di avvilimento e di rinunzia, in cui il nostro popolo è caduto dinanzi alle tristi vicende della storia e all’ineluttabile avversità della natura. Ritengo pernicioso il sistema paternalistico, per cui si pretende di ottenere dallo Stato il rimedio contro tutti i mali. Ma intanto bisogna preparare il terreno per questa auspicata fioritura. E le condizioni attuali sono tristi e le risorse locali quanto mai impotenti ad eliminarle. Noi abbiamo problemi immensi: come quello della viabilità, del rimboschimento, della sistemazione dei bacini montani, del regolamento del corso dei fiumi, del latifondo, della bonifica dei terreni, della irrigazione, della malaria, della tubercolosi. Sono tutte operazioni, cui non sono in grado di attendere con possibilità di risultati concreti né i privati, né gli enti locali, ma solo lo Stato.

Il Progetto ha solo sfiorato il problema, che è di importanza costituzionale, e, nell’intento di superare la visione isolazionista, ha escogitato due rimedi.

Si preoccupa innanzi tutto che alle Regioni povere siano assicurati i mezzi per adempiere alle loro «funzioni essenziali».

Ha poi previsto la possibilità della creazione di una cassa nazionale di integrazione.

Il «fine» è quello di venire incontro alle Regioni povere per le spese necessarie alle loro «funzioni essenziali». Io domando: sono funzioni essenziali quelle che, a mo’ di esempio, ho citato dianzi: viabilità, acquedotti, lavori pubblici in genere? Mi sembra che quell’aggettivo sia posto lì in veste usuraria, con carattere restrittivo, a significare quelle funzioni primarie, senza di cui l’ente non vive: e che esuli tutto ciò che sa di conforto, di miglioramento, di progresso.

Ora l’onorevole Bertone propone un emendamento, per cui lo Stato integra i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie, «se e in quanto necessario».

Vi è un miglioramento di fronte al Progetto. Dire «spese straordinarie» significa andare al di là delle «spese essenziali», le quali si svolgono nell’ambito delle spese ordinarie.

Ma la prima parte della proposizione mi sembra monca: «se e in quanto necessario». A che? L’idea della necessità sorge in rapporto ad un fine. E un concetto di relazione. Per non morire d’inedia noi diciamo che è necessaria una somma; per vivere agiatamente noi diciamo che è necessaria un’altra. La necessità muta secondo il tenore di vita che l’uomo si prefigge.

Si parla qui delle necessità ridotte di Regioni povere ed arretrate o di necessità di elevare codeste Regioni al livello di quelle ricche e progredite?

Questo occorre dire, perché sia completa, logicamente e sostanzialmente, la proposizione.

Tutti i partiti hanno assunto a loro principio programmatico la risoluzione del problema del Mezzogiorno: non solo ne hanno fatto oggetto di voti e di ordini del giorno nei rispettivi congressi, ma – quel che più conta – ne hanno fatto oggetto di discussioni nella campagna elettorale: sicché si è promesso al popolo che la rappresentanza legislativa in seno alla Costituente importava tra l’altro il dovere della impostazione del problema sul terreno costituzionale.

Vanamente ora si direbbe che la discussione vada rimessa alla legislazione ordinaria. Sarebbe questa l’ennesima delusione, la più solenne e la più amara, per il nostro povero popolo, il quale, anche questa volta, ci aveva creduto!

Il problema è costituzionale. Che altro è la Costituzione se non l’insieme dei principî che fissano i momenti fondamentali della vita di una collettività di persone? E non è fondamentale forse stabilire come una metà circa della popolazione debba vivere con l’altra metà, in quelle condizioni di unità sociale, civile, morale, senza delle quali non esiste l’unità politica? È costituzionale il problema, come i medici dicono sia costituzionale una malattia, anche se si manifesti in un punto solo dell’organismo umano. Qui l’organismo sociale italiano non è sano.

Qual è la ragione di questa Costituzione? Dare al Paese ordinamenti democratici; superare, nel contrasto tra il ricco e il povero, la distanza che li separa e che fa del primo il tiranno del secondo.

Noi avremo attuato solo in parte questi due fondamentali principî, se limiteremo la nostra visione ai rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro.

Il problema è più ampio. Esiste una Italia florida ed una Italia grama. Vi è dunque, nel campo geografico, una contrapposizione tra il ricco e il povero, con la tirannia del primo sul secondo, come nel campo sociale.

Abbiamo eliminato gli effetti di una tal contrapposizione sul terreno sociale, nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Dobbiamo ora eliminarla sul terreno nazionale, nei rapporti tra Regioni ricche e Regioni povere.

Oggi l’Italia presenta questo quadro: privilegi e differenze sociali, economiche e politiche esistono sotto due aspetti, l’uno di classe, l’altro geografico. Noi abbiamo il dovere di sforzarci per eliminare entrambi. Se la Costituzione ciò non facesse, mancherebbe al suo scopo e noi tradiremmo il popolo, che ci ha eletti.

Il problema del Mezzogiorno sta nel far convergere gli sforzi particolari delle Regioni interessate e quelli collettivi dello Stato verso la eliminazione di quella barriera, che divide profondamente il Nord dal Sud, nel campo economico e sociale, e nel rendere possibile il raggiungimento di un livello comune di benessere e di prosperità in tutto il Paese.

A fissare questo principio e questa esigenza mira il mio emendamento.

Faccio appello ai colleghi, al di sopra di ogni distinzione di partiti, che in questo caso non avrebbe senso: ai deputati meridionali, perché in questo punto della Costituzione, che è quello proprio, si sforzino di portare intera la voce del popolo, che li ha eletti; ai deputati settentrionali, perché si associno in quest’opera di solidarietà umana e nazionale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La Regione provvede alle proprie necessità finanziarie mediante sovrimposte o quote di tributi erariali e comunali, o contributi erariali ad essa riservati dallo Stato, o con tributi propri, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Per l’accertamento e l’esazione dei tributi, la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò designati».

L’onorevole Codignola non è presente.

FOA. Faccio mio l’emendamento Codignola.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

FOA. Poche parole, onorevole Presidente, perché l’emendamento mi sembra tanto chiaro che non ha bisogno di un’esposizione dettagliata. La sua caratteristica principale consiste nel richiamo alla legislazione ordinaria per quanto riguarda la regolamentazione della finanza regionale. Questo, non solo per ragioni di principio, ma per ragioni pratiche, perché le riforme eventualmente necessarie non seguano una complicata procedura di revisione. La specificazione in sede costituzionale delle fonti finanziarie delle Regioni, risponde alla necessità, che è da noi acutamente avvertita, di evitare che, attraverso l’autonomia finanziaria, si possano compromettere, oggi o in avvenire, quelle che sono le caratteristiche fondamentali del sistema tributario nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cartia ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo le parole: e quote di tributi erariali, aggiungere: le quali saranno determinate secondo criterio di redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di attuare una perequazione interregionale».

«Sopprimere il resto del comma».

L’onorevole Cartia ha facoltà di svolgerlo.

CARTIA. Onorevoli colleghi, il problema dell’autonomia finanziaria non si può improvvisare con note sentimentali. Sono numeri ed i numeri non sono suscettibili di note sentimentali. Le previsioni in questo campo vanno fatte con un concreto esame di dati. Regionalisti o anti-regionalisti si ha il dovere, una volta istituito quest’ente, di collaborare perché quest’istituto sia vivo e vitale. Insieme dobbiamo vedere quale deve essere la forma da dare a questa autonomia finanziaria che si afferma nell’articolo del progetto, e quale il risultato pratico che si può raggiungere, di modo che l’autonomia in parola non resti una affermazione astratta. Il problema va posto in questi termini: autonomia finanziaria sì, ma in funzione di autosufficienza finanziaria delle Regioni. C’è questa autosufficienza delle Regioni? È qui il punto cruciale dell’indagine. Ieri l’altro, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, ha fatto tutto un esame di dati e ci rimandò anche a pagina 191 della relazione della Commissione. Ho voluto controllare che cosa dice questa pagina. È una pagina che mette molta sete ma non dà nulla da bere, perché finisce col dirci che il 40 per cento delle entrate statali è suscettibile di essere ripartito regionalmente, per il 25 per cento si potrebbero far ricerche nei vari uffici dell’Amministrazione centrale, e del 35 per cento non è possibile sapere nulla. Ed allora, bisogna convenire che siamo su un terreno di dati incerti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

CARTIA. Se abbiamo solo un 40 per cento suscettibile di essere statisticamente distribuito fra le Regioni, e questa distribuzione può farsi solo per un certo numero di anni, evidentemente non mi pare che abbiamo dati certi per affermare che ci siano elementi per conclusioni precise.

Comunque, ammetto anche il ragionamento dell’illustre Presidente della Commissione, il quale però deve darmi atto che ieri l’altro ci presentò un’autosufficienza in questi termini: le entrate tratte dal bilancio dello Stato e ripartite secondo gli incassi per Regioni, e poi le spese ripartite anch’esse per Regioni sempre secondo il bilancio generale delle passate esperienze, tenendo conto dei compiti passati ora alle Regioni: con questi incassi regionali, si dice, sarà possibile provvedere alle spese regionali.

Questo, in sintesi, il discorso che fu illustrato con cifre ineccepibili. Se noi limitiamo però nel campo finanziario l’autonomia regionale al fatto che le Regioni quello che incasseranno lo dedicheranno ai loro compiti nei limiti di spesa ricavati dal bilancio centrale dello Stato, come ci sono prospettati da una tradizione di circa ottant’anni, allora non facciamo altro che presentare un bilancio decentrato; cioè a dire decentriamo il bilancio e il conto torna. Ma non torna per le finalità che la Regione si propone, che sono finalità dirette ad aumentare il livello di vita della Regione stessa, sono finalità dirette a potenziare economicamente la Regione, dirette, insomma, a sollevare le Regioni più derelitte.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non ho mai detto questo.

CARTIA. Ed allora il conto non torna, perché allora dobbiamo tornare all’esame dell’autosufficienza con le cifre alla mano.

Infatti io dico: oltre ai dati statistici generali è proprio l’esperimento che si è fatto in Sicilia che non autorizza ad avere questa rosea visione della autonomia finanziaria. Si è detto: la Sicilia si è sovraccaricata di un eccesso di compiti e può darsi che si trovi in difficoltà finanziarie.

Io guardo con grande trepidazione l’autonomia finanziaria siciliana, perché non condivido l’ottimismo sulle possibilità finanziarie autonome. Ed a questo riguardo vi è un esperimento recente; l’impostazione del bilancio della Regione siciliana, pubblicato sette giorni fa. Vediamo come il Governo della Regione ha impostato il bilancio: 12 miliardi di bilancio, attivo e passivo. È vero che sono innumerevoli i compiti che la Regione ha, ma sono altrettanto cospicui i cespiti che la Regione siciliana si è riservati. Essa ha tutte le entrate, di qualsiasi natura, compresi i dazi di protezione, ed allo Stato sono riservate soltanto le imposte di fabbricazione ed i monopoli, che in Sicilia si riducono al lotto e ai tabacchi. Lo Stato non ha altro. Le entrate siciliane dovrebbero essere più che sufficienti, quindi, se calzasse il ragionamento che ha fatto il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma la Sicilia ha molte spese che la Regione normale non ha.

CARTIA. Ha però tutti gli incassi, perché ho già spiegato che lo Stato incassa soltanto tabacchi, imposte di fabbricazione e lotto, che si aggirano soltanto sui tre o quattro miliardi. Quindi non calza il ragionamento che si è fatto a questo riguardo per dimostrare la pretesa autosufficienza di tutte le Ragioni.

Che cosa avviene nel bilancio siciliano? Come si fa tornare il conto? Gli incassi delle entrate ordinarie arrivano a 7-8 miliardi; bisogna arrivare a dodici, ce ne vogliono altri quattro o cinque per completare e si completa in questa maniera: si incamera, si mette nel preventivo il gettito della proporzionale che stiamo ancora discutendo, in questi giorni in questa Assemblea. Ma non basta: si aggiunge la progressiva, ed allora si arriva ai dodici miliardi. Quindi le entrate straordinarie vengono assorbite per il normale bilancio di esercizio. Ma questo non è un bilancio autosuffìciente!

Come la Sicilia raggiunge la sua autonomia in funzione degli scopi che questa si propone? La raggiunge quando a quei miliardi della patrimoniale che fanno tornare il conto dei dodici miliardi del bilancio (e si noti che allo Stato restano nei confronti della Sicilia degli oneri non indifferenti come quelli relativi agli affari esteri, all’interno, alla giustizia, ai ministeri delle forze armate, all’istruzione media superiore ecc.) si aggiungono i miliardi del fondo di solidarietà nazionale.

Questo è congegnato in modo (per l’articolo 36 dello Statuto siciliano) che si può avere un contributo statale rapportato alla media nazionale della popolazione attiva per cui il Governo regionale può contare su sedici o diciassette miliardi all’anno approssimativamente.

Con altro contributo statale annuo di tre miliardi e duecento milioni la Sicilia affronterà il problema dell’elettricità e della bonifica di 700 ettari di terra, ma non con fondi suoi, bensì con mezzi che darà la finanza nazionale.

Tutto questo ha un grande significato, e tengo a dirlo all’Assemblea, perché, come siciliano, desidero dimostrare che la Sicilia deve considerarsi inscindibile dal resto del territorio nazionale. E quindi le tendenze separatiste o filo-separatiste non trovano fondamento nella realtà dei fatti finanziari. La Sicilia non può che “aspirare all’unità con l’Italia ed alla solidarietà nazionale. Questa esigenza sorge dalle stesse cifre, che hanno appunto un chiaro significato. Questo esempio ci dice che, solamente attraverso un fondo di solidarietà nazionale, si può pensare di risolvere il problema delle Regioni più disagiate.

Del resto, il risultato di questo ragionamento fu segnalato in sede di seconda Sottocommissione, presieduta dall’onorevole Terracini, relatore l’onorevole Ambrosini. La seconda Sottocommissione non mise per nulla in forse, in nessun momento delle sue discussioni, che ci fosse la necessità di andare incontro alle Regioni più disagiate attraverso un fondo di solidarietà nazionale. La mancata autosufficienza di alcune Regioni fu da tutti i Commissari ammessa.

L’onorevole Bertone ha richiamato l’ultimo bollettino del Ministero del tesoro: questo mostra come ben dieci su diciotto Regioni non siano autosufficienti, stando alla ripartizione per Regioni delle entrate e delle spese dello Stato.

Quindi, che ci siano Regioni non autosufficienti mi pare che dovrebbe essere ammesso e la Costituzione deve anche prevedere, sia pure in via di ipotesi – tanto per andare incontro alla tesi dell’onorevole Ruini – deve prevedere ed ammettere che ci possano essere Regioni non autosufficienti.

Allora, si pone il problema della autonomia finanziaria: come risolverlo?

Ecco il mio emendamento. Col mio emendamento, non ho fatto altro che trarre dalle discussioni della seconda Sottocommissione quello che era, in sostanza, il punto di incontro di tutti i partiti in seno alla seconda Sottocommissione stessa, per trarre una formula equitativa che tenesse conto delle esigenze delle Regioni non autosufficienti. Perché, una volta ammesso che la finanza regionale non potrà per molti anni sopperire alle esigenze del miglioramento economico della Regione e del suo sviluppo, balza evidente un principio che non dobbiamo esitare ad affermare – un principio che nel campo finanziario si rivela in maniera matematica – cioè il principio della solidarietà nazionale. La finanza regionale deve quindi attingere alla finanza nazionale. Ma come attingere alla finanza nazionale? È qui il punto.

Si sono profilate nella discussione, in sede di Sottocommissione, tre forme, che si riproducono nei vari emendamenti che sono stati ora proposti: una, che sia lo Stato a dispensare e a ripartire un fondo di solidarietà; un’altra, che sia un Comitato di coordinamento interregionale; una terza, che ci sia un criterio automatico di ripartizione delle entrate tra le varie Regioni.

Questi sono stati i tre criteri.

Il primo criterio fu senz’altro scartato.

Perché la seconda Sottocommissione respinse subito il criterio che fosse lo Stato il ripartitore? Io sarei per lo Stato, perché la funzione dello Stato è appunto quella di essere il coordinatore e il distributore nel quadro degli interessi collettivi, e perché lo Stato è il più autentico rappresentante della collettività; starei per questa soluzione senza esitazioni e senza preoccupazioni: lo Stato siamo tutti.

Ma ci sono ragioni politiche che spesso attenuano la evidenza di tali argomenti: e si riferiscono appunto a quello stato di diffidenza che si è determinato in molte Regioni d’Italia, specialmente in quelle che per un lungo passato sono state trascurate, le quali nutrono una viva diffidenza nei riguardi della funzione regolatrice dello Stato.

E c’è in proposito il problema annoso ed angoscioso di Nord e Sud, che io non voglio affrontare per esaminare i torti del Nord, in quanto, come siciliano, riconosco che molte delle cause di inferiorità delle Regioni meridionali sono dovute anche alla vecchia classe dirigente locale, che ha la responsabilità storica di aver tenuto il sacco ad altre classi dirigenti di altre Regioni in un reciproco giuoco di interessi tutt’altro che collettivi.

Ora, questo stato di diffidenza non si può superare se non arrivando ad una ripartizione, fuori dall’intervento dello Stato e assolutamente indipendente da esso. E in qual modo? Si propose nei lavori preparatori un Comitato coordinatore interregionale: ma si profilò il pericolo di dissidî aspri fra le Regioni, di particolarismi, di egoismi regionalistici e si addivenne allora al criterio di una ripartizione automatica per legge.

A questo criterio fu possibile quasi unanimemente accedere dopo una discussione veramente ampia e generale che si fece in sede di Sottocommissione, sotto la presidenza dell’onorevole Terracini. Questi, a un determinato momento della discussione, mise il punto sui risultati del dibattito con queste testuali parole: «Il fondo di solidarietà non può essere un istituto destinato a sopperire ai bisogni delle regioni in seguito ad eventi eccezionali, nel qual caso sarebbe svuotato e privo di ogni portata pratica, bensì un istituto da utilizzare per i bisogni normali: l’importante è che i mezzi di cui il Paese dispone vengano equamente ripartiti e che questo scopo si ottenga nella maniera più dignitosa».

Anche l’onorevole Vanoni fu dello stesso avviso, affermando precisamente che il criterio migliore sarebbe appunto quello di seguire un sistema automatico.

E l’onorevole Mortati propose, in conseguenza, la formula, che ho fatto mia coll’emendamento proposto, della legge tributaria ispirata a criteri di redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di ottenere una perequazione interregionale, in modo così da sanzionare un principio di giustizia distributiva e da evitare controlli centrali, che farebbero uscire dalla finestra l’autonomia entrata dalla porta. Finiremmo infatti, nel caso di intervento di controlli statali, con l’aumentare la bardatura del centralismo, venendo a far sorgere una Commissione centrale di finanza per le Regioni.

PRESIDENTE. Onorevole Cartia, sono già venti minuti che parla. La prego di concludere.

CARTIA. Ho finito. Si tratta dunque di venire a questa conclusione cui già la seconda Sottocommissione era pervenuta e che io ho riproposto col mio emendamento. Ciò ha un significato non soltanto di equità finanziaria, ma anche di possibilismo finanziario nei limiti delle risorse nazionali, perché l’emendamento dell’onorevole Zotta, reclamando un intervento della finanza nazionale nella misura dei bisogni delle Regioni non tien conto delle limitate disponibilità del bilancio generale come se lo Stato fosse un pozzo di San Patrizio; egli diceva assai bene delle esigenze delle Regioni più bisognose, ma io gli faccio osservare che il rimedio non può essere se non quello di adottare un criterio di giustizia distributiva, secondo un sistema di perequazione interregionale.

Questo ha anche un grande significato politico, giacché è proprio attraverso tale sistema che, anziché saltare il problema, accantonando la necessaria soluzione del quesito se debba o meno la distribuzione del fondo integrativo essere affidata allo Stato o ad un Comitato interregionale o a una legge di perequazione automatica, si fissa costituzionalmente un criterio automatico sul quale dovrà più tardi impostarsi la riforma tributaria per andare incontro alle Regioni più abbandonate. Ed è con tale criterio che, mentre sorgono le Regioni con tanto entusiasmo e con tanti contrasti, si afferma in pari tempo un principio che tutti ci lega, il principio, animatore dell’unità, che è quello della solidarietà nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se il gettito di essi (tributi regionali) non è sufficiente alle spese strettamente necessarie, si provvederà con l’integrazione dello Stato».

MICHELI. Ho ascoltato con molto interesse quanto ha ora detto l’onorevole Cartia, perché l’emendamento che io ho avuto l’onore di proporre, se indirettamente per la questione di forma, può entrare anche direttamente nella sostanza della questione che egli ha sollevato. L’articolo 113, in fondo, salva la questione di forma. E nella forma si può sempre trovare il modo di andare d’accordo. Esso stabilisce come le Regioni scarse di mezzi possano provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni essenziali.

In fondo questa è la base, in quanto il gettito dei tributi che sono assegnati alle Regioni è relativo alle loro funzioni essenziali. Ora, è chiaro che in una Regione, secondo le necessità di essa, si alzerà o si diminuirà la richiesta dei tributi. Come abbiamo le sovraimposte comunali e provinciali, le quali si alzano o si diminuiscono nelle province e nei comuni, nelle Regioni si opererà con analogia. Questo è il criterio.

Il dissenso può incominciare quando si venga ad esaminare quali possono essere le funzioni essenziali. Ed allora noi stessi ci possiamo trovare di fronte alle medesime preoccupazioni che ha avvertito l’onorevole Cartia nei riguardi della regione in Sicilia: essa ha assorbito molte delle funzioni dello Stato; essa le ha conglobate nel suo statuto, ed ora pare si trovi a disagio nella pratica attuazione, giacché la finanza non è ancora formata, ed essa deve vivere con espedienti contabili, assegnandosi, ad esempio, le imposte proporzionali e progressive sul patrimonio che non sono state ancora definitivamente votate dall’Assemblea, e che, comunque, pare debbano essere di competenza dello Stato.

Però, mi sembra indiscutibile che questa eccezione non si può fare all’organizzazione regionale come noi l’abbiamo approvata. Nella discussione vi è stata una grande tendenza a diminuire quelle che erano le funzioni essenziali, mentre un’altra parte dell’Assemblea era disposta ad aumentarle per dare alla Regione l’esplicazione completa di una grande nuova organizzazione. Non abbiamo voluto insistere troppo e ci siamo accontentati di un primo esperimento, anche più modesto di quello che fu il primo originario pensiero così magistralmente predisposto dall’onorevole Ambrosini. Poco per volta la tradizione regionale che dovrà sostituirsi ad altre tradizioni, si verrà formando, e la Regione si fortificherà.

Ma se altri concetti più larghi sono prevalsi nelle autonomie locali delle isole, e di questo noi siamo ben lieti, non possiamo accettare le osservazioni fatte a quelle. Noi qui accettiamo la discussione sulle funzioni più modeste della Regione così e come è stata finora approvata dalla Costituente.

Ecco, perché io ritengo che le spese necessarie per le funzioni essenziali della Regione siano meglio precisate nell’emendamento Bertone, il quale parla di spese straordinarie con intervento dello Stato. Le spese ordinarie essenziali sono quelle alle quali si fa fronte col tributo ordinario, che può ogni anno anche mutare se cambiano i bisogni. Le spese straordinarie, invece, sono senz’altro quelle che mancano di corrispettivo ordinario e per le quali lo Stato deve concorrere. Ecco che allora entra in giuoco il concetto del fondo della solidarietà nazionale, per il quale ha spezzato molto opportunamente una lancia il nostro collega Cartia.

Io in questo ho aggiunto poco di diverso: mi sono limitato a parlare invece di spese strettamente necessarie. Io non immaginavo quello che il collega avrebbe detto oggi quando una settimana fa ho stilato questo emendamento, che oggi riesce assai opportuno. Dalla discussione odierna ora, e domani nelle discussioni che si faranno nelle adunanze regionali, nelle quali si dovrà provvedere alla organizzazione finanziaria della Regione, risulteranno le spese strettamente necessarie al funzionamento e quelle straordinarie, secondo l’importanza e l’entità delle quali dovrà intervenire lo Stato.

Ecco come attraverso queste varie forme si possa giungere ad accettare anche il concetto espresso dall’onorevole Cartia, salvo le diversità determinate dalla differenza fra il modo con cui risulta congegnata l’autonomia della Regione siciliana e la nostra più modesta che speriamo, in questo primo esperimento, sia quale il popolo italiano aspetta ed attende da noi.

Questo è quanto volevo dire al collega Cartia, anche per dimostrare che dalla democrazia cristiana – alla quale egli ha accennato – non è vero che si siano abbandonati i concetti del fondo di solidarietà nazionale. Questo concetto espresso dall’onorevole Mortati è sempre nel sentimento di tutti noi ed anche l’onorevole Ambrosini nella sua magnifica esposizione non ha mancato di parlarne. Questo stesso concetto abbiamo raccolto nei nostri emendamenti, senza darvi forme solenni perché non sembrasse voler fare quasi affermazioni di parte in una discussione mantenuta al di sopra di ogni considerazione politica.

Ma entriamo nel più vivo dell’argomento. Io appartengo a quel numeroso reparto di regionalisti i quali credono, intendono e vogliono che la Regione sia strumento di rimedio del passato e di riparo pel futuro a quella che l’onorevole Francesco Saverio Nitti ha con frase caratteristica chiamato «elefantiasi burocratica», la quale effettivamente è uno dei maggiori travagli del nostro dopoguerra.

Per questo io vorrei che nell’articolo che si discute e che indica, sia pure a grandi linee, le possibilità della finanza regionale, vi fosse anche qualche parola che segnasse questo concetto. Io desidererei, parlando di spese, affermare appunto la stretta necessità di esse, in modo che questo potesse anche essere constatato attraverso il vaglio della integrazione statale. Criterio che si aggiunge anche per maggiore tranquillità di non pochi contraddittori i quali in buona fede potrebbero ritenere che chissà mai quale novello caos, nella gestione amministrativa dello Stato, possa venire a sostituirsi a quello attuale che ha indiscutibile bisogno di essere fermato nella paurosa china per la quale si è incamminato. Così per le Regioni meno fornite di mezzi vi sarà anche questa remora.

Ecco un altro concetto che si riattacca a quanto ha detto il nostro collega. L’integrazione dello Stato avrà modo di intervenire e sorvegliare la finanza delle Regioni. Se lo Stato deve aggiungere quattrini, deve avere anche la facoltà e il diritto di vedere come essi si spendono. Ma vi sarà un altro più efficace controllo. Quello che nasce dalla stessa forma della nuova organizzazione, più vicina a tutti, più aperta all’esame ed alla constatazione del popolo e delle sue organizzazioni.

E, fatte queste dichiarazioni, osservo, in via di cortese replica, quanto disse l’onorevole Bernini in una delle ultime sedute. Si discuteva della istruzione artigiana. L’onorevole Bernini, a cui riconosco la competenza superiore nella materia scolastica…

Una voce al centro. Ed artigiana.

MICHELI. …parlò a questo proposito. L’onorevole Bernini (egli era stato provveditore agli studi) osservava che vi erano sotto di Lui varie scuole che costavano allo Stato parecchi quattrini, le quali avevano solo due o tre alunni; e che da ogni parte si chiedeva il concorso e l’iniziativa dello Stato per aprirne delle nuove, per modo che la Regione dovrà andare incontro e consentire spese sempre maggiori. Qui sta l’errore di previsione. Nessuna amministrazione regionale consentirà mai, come fa lo Stato, che si aprano scuole con così scarso numero di alunni. Non avremo bisogno di inviare sopra luogo ispettori per riferimenti accomodanti, giacché, conoscendo le necessità dei luoghi, sapremo noi rispondere subito a coloro che ci chiedono indebitamente. Dirò di più: nella Regione che controlla localmente non si avrà il coraggio di venire a fare certe domande che non corrispondono a necessità reali e dimostrate.

Perché si chiedono ora scuole da tutte le parti dello Stato, anche quando non ce ne è bisogno? Per una ragione semplice: perché si sa che lo Stato paga; e dallo Stato si pretende tutto. C’è questa stranissima psicologia post-bellica attraverso la quale lo Stato, che pure non ha quattrini, deve trovarli per accontentare tutti. Sembrerà difficile a molti, ma il pubblico dovrà pur cercare di modificare quella strana mentalità per la quale allo Stato si può chiedere, domandare e pretendere ogni cosa. La Regione sarà una cosa più nostra, e quanto più sarà modesta e piccola – insisto vivamente su questo – il controllo sarà maggiore, più facile e più efficace. Essa diventerà una cosa più intima e, quasi direi, l’amministrazione di una grande famiglia. Cominceremo a persuaderci che paghiamo, noi, con i nostri denari, quelli che ci caviamo di tasca nostra, ed incominceremo la nostra vita più modesta, più sorvegliata, cercando d’impedire tutte le spese non necessarie e non indispensabili. In essa il sacrificio del tributo, anche il più elevato, sarà sopportato con maggiore persuasione per la effettiva conoscenza di esso e del suo impiego. Saranno consigli provinciali ampliati i nostri parlamenti regionali. Ci conosceremo tutti, ci controlleremo gli uni con gli altri, ci apprezzeremo di più e cominceremo a formare quelle minori unità spirituali, che si affinano nel quotidiano contrasto e che porteranno nel Parlamento di domani la voce locale più preparata e meglio predisposta. Da tutte le parti d’Italia verrà un afflato di vita nuova e di nuova solidarietà. Ho detto quasi familiare e lo ripeto; e ciascuno nella nuova famiglia incomincerà a limitarsi alle spese strettamente necessarie ed a fare economia. È proprio quanto affermo nel mio emendamento.

Se ne parla ora per lo Stato perché non si sa più come fare ad andare innanzi; e lo facciamo costretti, coartati a limitarci. Ci riusciremo? Io non lo so, perché scarse sono le possibilità di resistenza dello Stato che ha perduto prestigio ed autorità e che non può più dire di no ad alcuno. Nella Regione lo diremo alto e forte tutte le volte che sarà necessario, avviando una nuova consuetudine che domani gioverà anche allo Stato, che ne uscirà rinforzato dal nuovo costume che riusciremo ad iniziare.

Fra le spese strettamente necessarie, alle quali allude il mio emendamento, sono e saranno precipue quelle degli impiegati. Occorre sapere quali competenze saranno riservate alla regione, quali saranno invece in via di esperimento da eseguire attraverso le provincie ed i comuni e come efficacemente potrà organizzarsi tutta questa nuova amministrazione. È una responsabilità che i fautori della regione a ragion veduta si assumono, dopo aver meditato e studiato, con fede sicura nella sua riuscita. E questa fede profonda abbiamo perché dobbiamo riuscire a sminuire questo formidabile castello statale, che ci toglie il respiro, eliminando in esso tutte le spese non necessarie e sono tante. Tutti lo sanno, tutti lo dicono, ma nessuno si azzarda di iniziare il taglio, faticoso e difficile, ma non impossibile.

Organizzando i reparti impiegatizi, quotidianamente sotto i controlli locali, noi incominceremo a prendere di fronte il colossale problema della burocrazia centralizzata, con qualche speranza di riuscita. Chi si adatterà a lasciare gli uffici di Roma potrà trovare nuovi impieghi presso di noi. Li attendiamo a braccia aperte e la nostra ospitalità provincialmente larga e modesta farà dimenticare le attrattive della capitale.

Oggi per lo Stato è questione di vita o di morte il risolver questa questione. Così non si va più avanti. In pochi anni gli impiegati si sono raddoppiati. Con la svalutazione della moneta lo Stato, per forza di cose, deve aumentare l’aggravio che da essi ne deriva. Di più, tutti vogliono diventare impiegati e tutti vogliono laurearsi; noi abbiamo questa elefantiasi di impiegati e di laureati. Quando stamane sentivo la discussione per i professori, dicevo: peccato che ogni giorno questi professori ci mandino una quantità di persone che noi ogni giorno più non sappiamo dove mettere ed impiegare. Ci vuole la regione che dia ancora sviluppo all’iniziativa privata e sviluppi altri traffici e prepari per essi gli operai specializzati che ora mancano. Bisogna avere il coraggio di proclamarlo ed allora tutta questa gente, invece di studiare tutto quello che tanti sapienti professori espongono, sia pure in modo mirabile, dovranno prendere altre strade. Tutti i giorni, voi lo sapete, è un assalto per avere un impiego. I petenti sono infiniti. Io ricevo dieci-dodici richieste al giorno attraverso tutte le vie più strane, perché questa è la principale preoccupazione. Come facciamo, amici miei, ad andare avanti in questo modo? che cosa succederà? Succederà che presto noi vedremo dividersi tutti i cittadini in due qualità: coloro che pagano allo Stato e coloro che dallo Stato traggono lo stipendio in corrispettivo dell’opera propria. Tutte le altre categorie verranno a scomparire ed allora avremo un’altra lotta di classe, di ben altro genere, che noi deprechiamo e che speriamo di poter eliminare attraverso questa forma nuova di organizzazione dello Stato. Ma noi dobbiamo convincerci dell’opera necessaria facendo sì che la nuova organizzazione statale sia l’affermazione vigorosa di questo proposito.

Ho finito, onorevoli colleghi: la regione dobbiamo farla; è un grande esperimento che la Repubblica fa attraverso la nuova organizzazione del nuovo regime; dobbiamo concorrere tutti a formarla convenientemente, anche voi che eravate contrari. Permettete che affermi la mia certezza che anche col vostro concorso, la regione sorgerà istituto degno e fecondo della genialità latina, che dopo tanti secoli il nostro popolo ancora conserva nel suo spirito creatore. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo ha presentato il seguente emendamento firmato anche dagli onorevoli Monterisi, Codacci Pisanelli, Quintieri Adolfo, Rapelli, Cappugi, Cassiani, Caso, Aldisio, De Maria, Franceschini, Delli Castelli Filomena, Cotellessa, Pat, Titomanlio Vittoria, Adonnino, Arcaini:

«Sostituire il terzo comma col seguente: «Allo stesso scopo, e principalmente per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole, saranno istituiti fondi speciali, le cui modalità di gestione e di ripartizione saranno determinate dalla legge».

L’onorevole Sullo ha facoltà di svolgerlo.

SULLO. A nome anche di altri colleghi, avevo proposto, prima che fosse presentato il nuovo testo del Comitato di coordinamento, questo emendamento, che voleva correggere qualche manchevolezza del precedente testo.

L’emendamento aveva lo scopo di affermare la necessità e non la possibilità di fondi speciali che venissero incontro alle esigenze straordinarie della regione e di affermare anche che i fini speciali a cui il progetto di Costituzione alludeva sono o, meglio, possono essere, specificatamente e principalmente, quelli della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Comprendo certamente che il Mezzogiorno non si può aiutare includendo una proposizione in un articolo della Costituzione; comprendo anche che il problema del Mezzogiorno è un problema che si può risolvere quanto meno se ne parli; ma tuttavia, poiché la seconda Sottocommissione nella sua seduta del 9 dicembre 1946 aveva approvato, ed all’unanimità, un ordine del giorno in cui si affermava la necessità di provvedere alla formulazione di un piano (sono le parole testuali) per la trasformazione delle attuali condizioni economico-sociali delle regioni meridionali ed insulari da attuare dallo Stato con provvedimenti continuativi adeguati all’urgenza della trasformazione stessa, mi premeva allora che questo ordine del giorno non rimanesse lettera morta, ma che in realtà vi fosse un impegno specifico da parte dei costituenti di oggi e della Camera successiva perché qualche cosa di concreto si facesse.

A chi esamina infatti l’articolo 113 come era congegnato prima, balza immediatamente all’attenzione il fatto che qui si parla quasi di una possibilità della istituzione di un fondo per fini speciali come un’eccezione possibile nel futuro, quasi come se la norma per il futuro fosse che la regione potesse bastare a sé stessa con la divisione automatica dei tributi. Sono andato a rileggere il verbale della seconda Sottocommissione ed ho cercato di studiare a fondo principalmente quello che l’onorevole Vanoni diceva a proposito della possibilità di attuare automaticamente una ripartizione dei fondi ai fini di una perequazione regionale, ma mi sono convinto che questo automatismo di fatto non ci potrà essere. Basterebbe osservare che l’onorevole Vanoni parlava della possibilità di ripartire, a seconda della popolazione delle varie Regioni, determinate imposte. Orbene, anche se si dovessero ripartire automaticamente determinate imposte a seconda della popolazione, vi sarebbe di fatto una sperequazione dal punto di vista della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Basterebbe pensare, per esempio, che la superficie del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, della Venezia Tridentina, del Veneto e dell’Emilia, complessivamente presa, è di 119.000 chilometri quadrati ed ha una popolazione di 19 milioni di abitanti, mentre la Campania, la Basilicata, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, che hanno quasi la medesima superficie o poco meno, hanno 13 milioni e mezzo di abitanti. In realtà, dobbiamo convenire con quello che l’onorevole Cartia ha detto prima, che cioè, se si vuole dare alla Regione possibilità di vita e di vita autonoma, bisogna anche sin da questo momento mettersi bene in mente che si debba venire da parte dello Stato, in una forma o nell’altra, e in una forma di perequazione regionale, in soccorso delle Regioni più povere; non dico, più socialmente arretrate ma almeno più economicamente arretrate. L’ammettere che lo Stato possa dare dei contributi o che i fondi possano venire soltanto in casi eccezionali, significa dimenticare la realtà. Ed è precisamente questo lo scopo preciso per cui ho presentato, insieme con i colleghi, questo emendamento, anche se è mutata la forma tecnica con cui lo Stato verrebbe incontro ai bisogni delle Regioni più povere.

Nell’articolo 113 si diceva che alle spese essenziali bastava la distribuzione del gettito complessivo dei tributi erariali con una determinata ripartizione. Poi, allo stesso scopo, possono essere istituiti dei fondi. Anche qui si dice: per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali. Mi pare che quindi rimanga fondamentale da parte dei presentatori dell’ordine del giorno, l’esigenza, il desiderio che viene formulato dal Comitato di coordinamento, che si cambi la dizione: al posto di un «potere», si dica che ci sarà questa assegnazione; si usi un termine preciso e positivo, il quale dia assicurazione che questo avverrà normalmente.

Devo dissentire da quello che ha detto l’onorevole Micheli, in quanto, se è vero, come è vero in fatto, che le Regioni meridionali hanno avuto bisogno di larghi aiuti statali per il passato; se è vero, come è vero, che la finanza dello Stato ha dovuto venire in soccorso di queste Regioni, parlare di spese necessarie, per giunta quando il contributo va dato dallo Stato, significa dare nelle mani della burocrazia statale, che, attraverso il Governo, presenterà i disegni di legge, la possibilità di limitare automaticamente la vita di queste Regioni.

Cosa può significare spesa essenziale, spesa necessaria per la Regione? Se cominciamo a dare la possibilità di restringere l’attività della Regioni, non daremo ad esse i mezzi per una vita veramente autonoma né daremo alle Regioni dell’Italia Meridionale la possibilità di ottenere un buon impiego dei fondi dello Stato per la loro resurrezione.

Nell’Italia Meridionale si sono spesi molti milioni. Sono d’accordo con l’onorevole Corbino che questi milioni sono stati ingenti, nell’ultimo periodo, rispetto ai milioni dati precedentemente. Ma sono stati spesi per le grandi strade statali, da servire per le grandi manovre, cioè per opere che potevano essere utili soltanto per essere viste dallo straniero, ma che non portavano nessun risultato effettivamente pratico e che non creavano le condizioni fondamentali per l’industrializzazione del Mezzogiorno.

Anche adesso, quando si è parlato di lavori pubblici, a parte l’osservazione che la maggior parte delle somme spese per lavori pubblici nell’Italia Meridionale sono state spese per danni di guerra, dobbiamo citare il caso dei Ministri, che si sono poco curati dei Provveditorati ed hanno fatto le assegnazioni da Roma, ascoltando uomini ed organizzazioni, cioè ascoltando voci di elettori sparuti o di masse, ma non in vista delle necessità geoeconomiche del Mezzogiorno.

Da parte dello Stato deve esserci un contributo, in una forma o nell’altra, che sia veramente continuo e non soltanto soggetto a possibilità, come nell’articolo della Costituzione che dobbiamo approvare.

Personalmente, io non comprendo perché il Comitato di coordinamento sia tornato sulla decisione della seconda Sottocommissione; a me pare più democratico lasciare il fondo come è stato concepito da parte della seconda Sottocommissione, non come contributo.

Il Presidente di questa Assemblea, onorevole Terracini, in sede di seconda Sottocommissione, ha osservato che è più dignitosa una ripartizione attraverso un fondo del contributo che viene dato, allorché si bussa alle porte dello Stato.

Non starò a citare i molti argomenti, che sono a favore del fondo. Non voglio qui dare una dimostrazione di avere approfondito, in certo senso, questo problema, anche dal punto di vista tecnico.

Prego dunque il Presidente del Comitato di coordinamento di tenere presente che noi vorremmo questa inclusione specifica: che il contributo, che lo Stato può dare, deve essere anche, e principalmente, per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole. E gli amici dell’Italia e del Mezzogiorno la finiscano di dire che noi ci debilitiamo, se mettiamo questo nella Costituzione.

Oggi il Mezzogiorno, storicamente parlando, rappresenta una parte d’Italia, economicamente poco evoluta. Quando, tra cento anni, il Mezzogiorno non sarà più in questo anacronismo, noi diremo che nel 1947 il Mezzogiorno era giù e che nel 2047 non è più giù. A quella medesima maniera, vi sono tanti anacronismi nella Costituzione inglese che permangono, e permangono dei titoli di merito di quelli che sono venuti dopo. Noi meridionali adesso non dobbiamo avere quindi un senso di sfiducia e di timore, che questo possa essere per noi un segno d’inferiorità. È un segno d’inferiorità se rimarrà questo e sarà disdoro di quanti siederanno, dopo di noi, in questo Parlamento, e dei Governi che verranno dopo, se tutto questo resterà lettera morta. Lasciamo a quelli che vengono dopo e che siederanno nel Parlamento, il compito di far sì che tutto questo non resti lettera morta, e dimostriamo che comunque ci proponiamo obiettivi ben determinati e che questa formulazione può essere accolta nell’articolo 113 della Costituzione. (Applausi al centro).

Presentazione di relazioni.

PRESIDENTE. Hanno chiesto di parlare gli onorevoli Gronchi e Nitti. Ne hanno facoltà.

GRONCHI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione di maggioranza sul disegno di legge: «Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze alleate ed associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947».

NITTI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione di minoranza sullo stesso disegno di legge.

PRESIDENTE. Do atto agli onorevoli Gronchi e Nitti della presentazione di queste relazioni. Saranno stampate e distribuite.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione. L’onorevole Pignatari, insieme agli onorevoli Marinaro, Porzio, Rescigno, Caporali, Salerno, De Mercurio, Lopardi, Paolucci, Morelli Renato, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Allo stesso scopo lo Stato integrerà i bilanci delle Regioni per le spese straordinarie, dirette a favorire lo sviluppo di quelle più sfornite di mezzi e ad eliminare lo stato d’inferiorità nel quale si trovano le Regioni del mezzogiorno».

L’onorevole Pignatari ha facoltà di svolgerlo.

PIGNATARI. Onorevoli colleghi! L’emendamento presentato da me e da altri nove colleghi è sostanzialmente simile a quello presentato e testé discusso dall’onorevole Sullo, onde potrei limitarmi a richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla grave ed angosciosa situazione in cui si trova il Mezzogiorno della cui sorte tutti i partiti, durante la campagna elettorale, si sono mostrati pensosi, ma che è stato del tutto dimenticato nella formulazione del nostro nuovo Statuto. Il problema meridionale ha tale importanza ed ha tale rilevanza che il proposito di volerlo risolvere deve essere un impegno della nuova Carta costituzionale.

L’onorevole Bertone ci ha fornito dati molto interessanti, ma, a parte i rilievi che sono stati già fatti, essi avrebbero avuto bisogno di una maggiore specificazione, perché i miliardi che sono stati spesi dopo il 1919 indubbiamente non hanno il valore di quelli che sono stati spesi prima della grande guerra. Se pur è vero che nel Mezzogiorno d’Italia si è speso più che nel nord, nessuno potrà negare che ci troviamo in una situazione di paurosa inferiorità di fronte alle regioni più progredite d’Italia. Si è affermato che per le nostre strade si è speso più di quanto non sia stato speso per le strade dell’Italia settentrionale, ma è un fatto certo ed incontrovertibile che le vie di comunicazione tra comune e comune e tra provincia e provincia sono in pessime condizioni e ci sono paesi non ancora allacciati da strade rotabili. Viaggiare poi nelle nostre ferrovie è quanto di più penoso ed umiliante si possa immaginare. Carlo Levi ha scritto che Cristo si è fermato ad Eboli: avrebbe dovuto farlo fermare alla stazione precedente, cioè a Battipaglia. Oltre Battipaglia si arresta ogni forma di progresso e si viaggia ancora come si viaggiava subito dopo l’armistizio.

Ma non vi è bisogno di riandare al passato: le condizioni d’inferiorità nelle quali si trovano la Lucania, il Napoletano, la Calabria, le Puglie, gli Abruzzi, la Sardegna e la Sicilia sono una dolorosa realtà e non è possibile che il nuovo Statuto ad ordinamento regionale non tenga presente la necessità di un adeguamento fra le condizioni delle regioni più povere e quelle delle regioni più favorite. Vi è bisogno dì questo adeguamento e se l’Assemblea Costituente non prende oggi il solenne impegno di venire incontro ai bisogni delle povere regioni meridionali, sarà impossibile nel futuro risolvere quei problemi cui è condizionato il progresso e la stessa vita delle su popolazioni.

Se l’onorevole Rubilli avesse presentato il suo ordine del giorno alla fine della discussione sull’ordinamento regionale, dopo che nel suo corso tante difficoltà sono venute in luce, credo che ben diversa ne sarebbe stata la sorte.

I miei amici e colleghi onorevoli Zotta e Sullo, che con tanto entusiasmo avevano sostenuto l’ordinamento regionale durante la discussione generale, hanno dimostrato oggi la loro perplessità e nella loro perplessità si riverbera il timore delle popolazioni meridionali, perché nel nostro Mezzogiorno si guarda con un senso di diffidenza e di sconforto al nuovo ordinamento regionale, acuito dal fatto che nel progetto della nuova Carta costituzionale non vi è una sola parola che impegni il legislatore ad affrontare il problema meridionale.

Le regioni meridionali non hanno i mezzi per superare lo stato di marasma e di abbandono in cui si trovano. La nuova Carta costituzionale deve impegnare le future Assemblee legislative alla valorizzazione del Mezzogiorno, fornendo i mezzi che devono servire per gli impegni e le spese straordinarie come si propone nel mio emendamento ed in quello dell’onorevole Sullo.

L’onorevole Micheli vorrebbe limitare l’integrazione dello Stato alle spese strettamente necessarie, ma questa limitazione non può essere accolta, perché stroncherebbe l’avvenire dell’Italia meridionale che è strettamente legato alla sua industrializzazione. Il Mezzogiorno soffre di tutti i mali del sistema capitalistico senza averne i vantaggi ed una delle cause delle condizioni arretrate in cui si trova è costituita dalla esagerata pressione fiscale, imposta dopo l’unificazione. Queste condizioni oggi si aggravano. Il Mezzogiorno non può, con i suoi mezzi, affrontare e risolvere i suoi problemi. Una esigenza di giustizia sociale impone che lo Stato venga incontro al Mezzogiorno. Non dimentichiamo che l’egoismo è molte volte la molla delle azioni umane e degli aggregati sociali. Le regioni ricche non verranno spontaneamente incontro alle necessità dì vita e di sviluppo delle regioni povere del Mezzogiorno.

La seconda Sottocommissione aveva, col suo ordine del giorno, preso impegno per la risoluzione della questione meridionale; con l’emendamento Sullo e con il mio noi intendiamo che la Costituente impegni il futuro legislatore a voler considerare il problema meridionale come un problema nazionale, perché solo favorendo lo sviluppo ed eliminando lo stato d’inferiorità delle sue regioni, si potranno allontanare i pericoli cui va incontro il nostro Paese con l’adozione dell’ordinamento regionale.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Codignola:

«Fare del quinto comma un articolo a sé del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che mirino comunque alla creazione di privilegi in favore di una o più Regioni a danno di altre o della generalità dei cittadini. L’unità dell’economia nazionale ed internazionale e la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni non troveranno ostacolo nell’ordinamento autonomistico dello Stato».

In assenza dell’onorevole Codignola, l’onorevole Foa dichiara di farlo proprio. Ha facoltà di svolgerlo.

FOA. Posso dire soltanto, onorevole Presidente, che questa materia è già così istruita che bastano poche parole per illustrare questo emendamento. Noi riteniamo che sia opportuno di sottolineare con particolare rilievo e solennità il principio dell’unità economica nazionale e dell’avviamento verso la cooperazione e l’unità economica internazionale.

Per questa ragione l’emendamento propone che il quinto comma del testo formi un articolo a sé, e porta anche qualche elemento di variazione, in questo senso: che noi crediamo convenga di specificare maggiormente i limiti delle iniziative regionali in materia finanziaria. Non è sufficiente stabilire il divieto dei dazi di importazione, di esportazione e di transito ed il principio generale che vieta la limitazione della libertà di movimento delle persone e delle cose. L’inventività umana, in materia di interessi economici, è così grande, che indubbiamente possono ricorrere casi per cui, senza cadere nell’ipotesi dei dazi di importazione, esportazione e transito o di provvedimenti che formalmente pongano ostacoli al movimento delle persone e delle cose, occorra adottare provvedimenti che creino delle zone di interessi preferenziali.

Ora, noi crediamo che la Costituzione debba sancire il principio di salvaguardare l’unità economica statale e far decadere provvedimenti che possano rompere questo principio.

PRESIDENTE. Segue un emendamento degli onorevoli Nobile, Porzio, Di Gloria, Persico, Bernini, Veroni, Morelli Renato, Gasparotto, Lami Starnuti, Corsi, Finocchiaro Aprile, Giannini, Massini, così formulato:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione o mestiere».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. L’emendamento che abbiamo presentato stabilisce il principio che ogni cittadino della Repubblica ha il diritto di esercitare la propria professione, il proprio mestiere o la propria arte dovunque gli aggrada, in qualsiasi Regione. Un emendamento analogo fu già da me presentato quando si discusse l’articolo 31, e portava la firma di autorevoli colleghi, di vari settori dell’Assemblea, dall’onorevole Corbino all’onorevole Di Vittorio, ma esso allora fu per pochi voti respinto, nonostante che, in mia assenza, l’emendamento fosse stato fatto proprio dall’onorevole Einaudi.

L’emendamento viene ora riproposto in questa sede, appoggiato anche questa volta da autorevoli deputati di sinistra e di destra.

L’emendamento si ricollega all’ultimo comma del testo proposto dal Comitato, il quale suona così: «Non possono istituirsi dazi d’importazione, di esportazione o di transito tra l’una e l’altra regione, né prendere provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

È evidente, secondo me, che, se si è sentito il bisogno di prendere cautele contro la possibilità che una Regione stabilisca dazi di importazione e di esportazione o impedisca, perfino, la libera circolazione delle persone, a maggior ragione bisogna preoccuparsi del pericolo che una Regione possa in qualche modo limitare il diritto dei cittadini della Repubblica di esercitare la propria attività di lavoro dovunque ad essi piaccia.

Che questo pericolo non sia molto improbabile è dimostrato da quanto già oggi avviene. Già oggi, come ebbi occasione altra volta di accennare all’Assemblea, avviene che in qualche regione d’Italia – e mi riferisco in particolare al Trentino e all’Alto Adige – i professionisti del Mezzogiorno siano, in un modo e nell’altro, costretti ad allontanarsi, pur avendo essi per molti anni onorevolmente esercitato in quella regione la propria professione.

Con precedenti di questo genere, non vi sarebbe da meravigliarsi che altre Regioni possano essere tentate di seguire il deplorevole esempio. La tentazione sarebbe tanto più facile, a mio avviso, in quanto inevitabilmente con l’ordinamento regionale si riacutiranno gli egoismi delle varie regioni. Se non si stabilisce un principio chiaro e preciso che lo impedisca, non sarei sorpreso se un giorno dovessi apprendere che nel Veneto, ad esempio, si è votata una legge che vieta ad un calabrese di esercitare in quella regione la sua professione di medico; e che per ritorsione in Calabria si vieta ad un ingegnere veneto di esercitare la propria professione.

Contro questo pericolo grave bisogna premunirsi. Se non vogliamo che l’ordinamento regionale sia un incentivo alla disunione degli italiani, nel momento in cui essi dovrebbero più che mai essere uniti, dobbiamo stabilire nella Costituzione un principio che impedisca un’aberrazione di tal genere. Se la Commissione dei Settantacinque ha sentito il bisogno di sancire che nessuna Regione può istituire dazi di importazione e di esportazione e vincolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose, io – e con me i colleghi che han firmato l’emendamento – sentiamo il bisogno che sia esplicitamente affermato che altrettanto libero deve essere l’esercizio del proprio mestiere, della propria professione, della propria arte.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano aveva presentato la seguente proposta di articolo aggiuntivo:

Art. 113-bis.

«Per portare su un piano di uguaglianza le Regioni del Mezzogiorno, della Sicilia e della Sardegna, lo Stato provvederà con i tributi erariali, nei modi e nel tempo che la legge stabilirà, alla costruzione in dette Regioni di opere pubbliche ed alla creazione di servizi di interesse pubblico, pur se compresi tra le materie di competenza della Regione, ed in concorso con l’attività regionale, fino ad eliminare lo stato di inferiorità nel quale oggi si trovano le Regioni meridionali».

Successivamente ha dichiarato di trasformarlo in emendamento aggiuntivo al terzo comma dell’articolo 113.

L’onorevole Romano ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

ROMANO. L’articolo aggiuntivo da me proposto, e che sono stato costretto a ridurre in emendamento all’articolo 113, mira a impostare nella Carta costituzionale la questione del Mezzogiorno, che non è solo questione meridionale, ma è anche questione italiana.

Io avrei desiderato che questo argomenta avesse trovato il suo posto in un articolo a sé stante; e infatti depositai molto tempo addietro questo articolo aggiuntivo. Ma successivamente ho notato che la stessa oggettività di questo articolo aggiuntivo è stata compresa sotto i due emendamenti proposti dagli onorevoli Sullo e Pignatari; anzi l’emendamento dell’onorevole Pignatari termina proprio con le stesse parole con le quali termina il mio articolo aggiuntivo, anteriormente depositato.

Dico questo per giustificare il perché sono stato costretto a trasformare questo articolo aggiuntivo in emendamento ed anche per rivendicare la priorità dell’iniziativa.

Indubbiamente il Titolo quinto della Carta costituzionale presenta una lacuna, se non sarà approvato dall’Assemblea l’emendamento relativo all’obbligo dello Stato di riparare con il ricavato di tributi erariali le ingiustizie subite dal Mezzogiorno.

Il Titolo quinto del nuovo Statuto porterà ad una trasformazione dell’ordinamento dello Stato ed è giusto che in questa trasformazione si tenga conto della annosa e vessata questione meridionale; è giusto che una norma sia dedicata a questo argomento, altrimenti non potrebbe sperarsi di tranquillizzare il Mezzogiorno, la Sicilia e la Sardegna.

E penso che di questo mio emendamento non si possa fare a meno ripetendo ancora oggi le stesse argomentazioni che si sono ripetute negli 80 anni della nostra unità nazionale, considerando il Mezzogiorno come un peso morto. Si sono ripetute in quest’Aula, da parte di alcuni colleghi, cifre riguardanti gli incassi ed i pagamenti del Tesoro nelle diverse Regioni d’Italia che risalgono all’epoca che va dal 1° luglio 1945 al 31 marzo 1946. Si è detto che per la Sicilia gli incassi sono stati di 4 miliardi e 479 milioni, che i pagamenti sono stati invece di 10 miliardi e 493 milioni e che il supero dei pagamenti sugli incassi è stato di 6 miliardi circa.

Altri disavanzi sono stati messi in rilievo per altre Regioni, affermandosi che soltanto per la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, l’Emilia e la Liguria vi è stato un supero dei pagamenti sugli incassi. Ora, debbo innanzi tutto osservare che queste cifre si riferiscono ad un periodo eccezionale; ma se per l’ipotesi il supero dei pagamenti sugli incassi fosse stato un fatto costante anteriormente al 1943 e questo ancora perdurasse, ciò ammettendo, si riconoscerebbe la necessità della integrazione statale per i bilanci delle Regioni del Sud.

Non posso poi essere d’accordo con i colleghi onorevoli Gullo e Bertone, per i quali nel Mezzogiorno sarebbe stato speso male il danaro ricevuto. Prima di affermare ciò bisogna guardare l’economia del Mezzogiorno con un criterio realistico, prenderla in esame nel suo complesso, tenendo conto del suo sviluppo storico.

Per rendersi conto della economia del Mezzogiorno, bisogna tenere presenti tutti gli spostamenti di capitali che il Mezzogiorno ha subito negli 80 anni della nostra unità. Non dobbiamo mai dimenticare, quando si fanno discorsi di tal natura, che dal 1910 le forniture militari succhiano buona parte del bilancio del Paese; noi siamo passati attraverso una serie quasi ininterrotta di guerre: la guerra libica, la prima guerra mondiale, l’intervento nella Spagna, la spedizione in Albania, la guerra di Etiopia, la seconda guerra mondiale. Che cosa significano tutte queste guerre? Tutte queste guerre significano forniture militari; e tutte queste forniture militari venivano contrattate e stipulate nel Nord d’Italia, e venivano poi pagate anche dai contribuenti del Mezzogiorno.

Non deve quindi far meraviglia se il gettito della ricchezza mobile si appalesa maggiore nel Nord, perché la sperequazione è dovuta appunto a tali spostamenti di capitali ed ai conseguenti maggiori guadagni degli industriali del Nord. Ma gli spostamenti di capitale non sono dipesi soltanto da questo; altre cause vi hanno contribuito, come la permanenza di un esercito di più milioni di uomini per oltre quattro anni tra le Alpi e l’Appennino settentrionale.

Lo spostamento è dipeso anche dalla cosiddetta economia controllata solo in parte, perché questa economia parzialmente controllata è stata deleteria per il Mezzogiorno. L’agricoltore del Mezzogiorno ha dovuto portare agli ammassi il grano e l’olio ad un prezzo inferiore al costo, ed acquistare poi sul mercato libero i manufatti a prezzi arbitrariamente fissati dagli industriali del Nord.

Il Sud ha subìto tutto ciò silenziosamente, ma ha dato in tutti i tempi il suo valido contributo al bilancio nazionale, facendo affluire moneta pregiata con i prodotti agricoli esportati all’estero e con l’emigrazione. Prima del fascismo gli emigrati del Sud facevano affluire annualmente in Italia 600 milioni oro, ed anche quest’anno la sola Sicilia ha esportato dai trenta ai quaranta miliardi di agrumi andati in Francia, in Inghilterra, che ci hanno pagato in valuta pregiata, in Cecoslovacchia che ci ha dato il carbone, in Norvegia che ci ha mandato il baccalà.

Questo affluire di moneta pregiata è servito per l’acquisto all’estero della materia prima necessaria per le industrie del Nord.

L’onorevole Bertone ha detto che si è speso parecchio per il Mezzogiorno, ma che egli purtroppo non sa spiegarsi come poche opere si siano compiute. Egli ha portato al nostro esame dei dati statistici al riguardo: ebbene, ho anch’io dei dati statistici da portarvi e su di essi vorrò intrattenervi facendo brevi considerazioni. Stando ai dati statistici più attendibili, risulta che nell’Italia settentrionale, su ogni 100 mila abitanti, esistono 333 scuole elementari, mentre nell’Italia meridionale non ne esistono che 224. Ora, se le scuole non sono state istituite, non si può dire che il danaro sia stato speso male.

Ebbene, a questa situazione il Meridione ha reagito, tanto vero che, mentre nel Settentrione ogni scuola è popolata in media da 25 alunni, nel Mezzogiorno la popolazione scolastica si aggira in media sui trenta alunni per ogni scuola.

Una voce a sinistra. Teoricamente.

ROMANO. La media è questa; poi mi potrà contraddire. E la gravità dell’analfabetismo dipende appunto da questo; infatti nel Centro-Nord gli analfabeti non raggiungono il 20 per cento; in alcune regioni del Sud, purtroppo, abbiamo ancora il 40 per cento di analfabeti.

Altro dato statistico: dal 1928 al 1938 sono stati sussidiati 552 acquedotti, per un percorso di duemila chilometri; ebbene di questi 552 acquedotti, 505, per una lunghezza di 1900 chilometri sono stati fatti nel Centro-Nord e solo 52, per un percorso di un centinaio di chilometri in tutto il Mezzogiorno d’Italia; in Sicilia quasi nulla.

Deve poi considerarsi ancora che mentre nel Centro-Nord, su ogni cento comuni solo 18 non hanno telefono, nel Mezzogiorno d’Italia il cinquanta per cento dei Comuni sono senza telefono. Questo non significa denaro speso male; non si è fatto, quindi non è vero che il Mezzogiorno non ha saputo spendere il denaro ricevuto dallo Stato. Prima di fare queste gratuite affermazioni, bisogna consultare le statistiche e venire qua con dei dati rispondenti a verità.

Veniamo alle ferrovie: in Italia abbiamo 16.500 chilometri di ferrovie, ossia 375 chilometri per ogni milione di abitanti; ebbene, la distribuzione è la seguente: nel Centro-Nord 11.600 chilometri, nel Sud 4900. Se la dislocazione fosse stata fatta in base ai 29 milioni di abitanti del Centro-Nord ed ai 15 milioni del Mezzogiorno avremmo dovuto avere 10.875 chilometri di ferrovie al Centro-Nord e 5620 al Sud. Dunque in proporzione il Mezzogiorno ha 725 chilometri di strade ferrate in meno, vale a dire un percorso come da Roma a Messina.

Voci. È vero!

PRESIDENTE. Onorevole Romano, la prego di stare all’emendamento.

ROMANO. Ho cominciato appena: sono cinque minuti.

PRESIDENTE, Sono dieci minuti. Volevo dirle solo questo: volere svolgere la questione meridionale nell’ambito di un emendamento, significa soffocarla e sminuirla. Resti, la prego, alla questione del suo emendamento.

ROMANO. Ma esso tratta appunto della questione meridionale. Onorevole Presidente, la Carta costituzionale – diceva Gaetano Filangieri – è un contratto che un popolo stipula con se stesso. Ora se questo contratto si deve stipulare, è giusto che le parti contraenti si trovino su un piede di eguaglianza.

PRESIDENTE. Anche in un contratto, vi sono i singoli capitoli che si riferiscono alle diverse questioni. Le ricordo che lei deve svolgere un emendamento all’articolo 113 della Costituzione.

ROMANO. Onorevole Presidente, il mio emendamento…

PRESIDENTE. L’ho letto molto attentamente. Ma lei non può trattare la questione meridionale in sede di un emendamento.

ROMANO. È la questione meridionale che è inserita in questo emendamento. Abbiamo perduto questi pochi minuti… mentre avrei potuto continuare a parlare.

PRESIDENTE. Riprenda, onorevole Romano, e tenga presente che sono più di dieci minuti che lei sta parlando.

ROMANO. L’Italia del Sud ha appena un terzo delle ferrovie elettrificate del Nord ed appena un sesto delle ferrovie a doppio binario esistenti nel Nord. La Sicilia non ha nessun tronco ferroviario elettrificato.

Mentre nel Nord le ferrovie sono quasi tutte a scartamento ordinario, quelle del Sud a scartamento ridotto sono tre o quattro volte quelle del Nord.

Uguale disparità di trattamento è da notarsi per i sussidi erogati per opere di irrigazione dal 1922 al 1938.

Anche nell’applicazione della legge Serpieri solo poco di quello che è stato speso è stato destinato al Mezzogiorno, e la legge Serpieri mirava al rimboschimento del Mezzogiorno.

Tutte queste ingiustizie sono state causate dalla dittatura fiscale, che ha subito il Mezzogiorno. Così la Campania, la Calabria, la Sicilia, che prima rappresentavano la ricchezza maggiore della penisola, si sono ridotte le più povere d’Italia. E questo non è avvenuto nel corso di secoli, perché ancora al principio dell’unità d’Italia la sola parte d’Italia che rivaleggiasse col Lombardo-Veneto era il Regno delle due Sicilie.

Ora, andando in vigore la Carta costituzionale senza una norma che prenda in esame la questione meridionale, indubbiamente noi ci troveremo sempre in uno stato di inferiorità, che ci umilia e ci offende, giacché le Regioni dovrebbero incominciare a far affidamento esclusivamente sulle proprie risorse; in tal maniera, date le condizioni di povertà, le regioni del Mezzogiorno sarebbero costrette a camminare indietro di un secolo alle regioni del Nord. E questo non è giusto.

Così giammai si raggiungerebbe quella parità economica, che costituisce la migliore forza unitaria.

Il comma secondo dell’articolo 113 prevede la ripartizione del gettito complessivo dei tributi erariali in modo che le Regioni meno provviste di mezzi possano provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni essenziali.

Questa disposizione non può sodisfare la legittima aspettativa del Mezzogiorno, che d’altra parte non chiede un trattamento di favore, ma solo delle riparazioni alle ingiustizie subite.

Non accettando l’emendamento proposto ed attuandosi l’autonomia regionale, cesserebbe sì la dittatura fiscale, le regioni del Mezzogiorno potrebbero cominciare a fare affidamento sulle proprie risorse senza la preoccupazione di disparità di trattamento, ma la questione meridionale rimarrebbe insoluta.

Ho sentito anche l’emendamento dell’onorevole Micheli, il quale ha parlato di «spese strettamente necessarie».

Quasi si sente l’egoismo, la Regione che si chiude in se stessa e guarda alle altre Regioni con diffidenza, come se le più abbienti dicessero alle Regioni meno abbienti: «Vi soccorreremo solo se dimostrerete di non poter vivere».

Ora questo non è umano! Se noi siamo in uno stato d’inferiorità per tutte le ingiustizie che abbiamo subite, abbiamo bisogno di fissare in questa Carta costituzionale una norma alla quale si dovranno attenere i legislatori futuri, alla quale si dovranno uniformare quelli che qui ci seguiranno.

E così, anche l’emendamento proposto dall’onorevole Zotta è troppo generico. Egli ha voluto manifestare la preoccupazione che nella Carta costituzionale si parli del Mezzogiorno.

A suo avviso bisognerebbe non parlarne per non umiliare il Mezzogiorno. Invece è giusto che se ne parli. Se è una questione che ancora esiste e che ancora tormenta il nostro Paese, perché non dobbiamo farne parola? Riconoscendo lo stato d’inferiorità, dobbiamo affermare in questa legge suprema che intendiamo riparare tutti gli errori del passato. La questione del Mezzogiorno non deve più servire come ritornello di tutti i programmi governativi, non deve più servire come propaganda elettorale dei vari partiti.

Onorevoli colleghi! La vera Costituzione si avrà solo quando noi dimostreremo di sapere consegnare ai nostri figli non più due Italie come esistono oggi, non più due Italie che si guardano quasi con certa diffidenza, ma un’Italia sola, unita su un piano di eguaglianza, un’Italia che marci costantemente sulle vie del progresso civile nel suo eterno divenire. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni, unitamente agli onorevoli Malagugini, De Michelis, Ghislandi, Merlin Lina, Pieri, Mariani, Costa e Stampacchia, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 113 col seguente:

«Alle regioni sono assegnati per legge tributi propri e quote di tributi statali determinati in modo da garantire l’adempimento delle loro funzioni essenziali.

«Se ed in quanto necessario, lo Stato potrà attribuire a singole Regioni la facoltà di applicare tributi speciali ed inoltre potrà provvedere all’integrazione del loro bilancio.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione, d’esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione, né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Ha chiesto di parlare l’onorevole Targetti. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A nome dei firmatari dell’emendamento, dichiaro di mantenerlo, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Vi è infine un emendamento dell’onorevole Mortati, il quale propone di sostituire, al terzo comma del testo della Commissione, le parole «lo Stato può assegnare» con le altre «le leggi della Repubblica possono assegnare».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettato.

NITTI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Le proposte che avevo fatto, credevo che non fossero materia di discussione perché rispondono ad evidente necessità. Avevo detto nell’emendamento che «con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Province e dei Comuni».

Questa è cosa su cui dovrebbe esser facile mettersi d’accordo. Bisognerà pure assegnare alle Regioni, alle Province, ed ai Comuni le imposte di cui hanno bisogno e perché l’una non sia contro l’altra, avevo trovato questa formula semplice a cui pareva accedesse anche il relatore. Su questa questione è venuta una serie di discussioni che erano estranee alla mia proposta; e anzitutto l’onorevole Bertone ha creduto, insieme con altri, di fare una serie di dissertazioni sul nord ed il sud e sul contributo di ciascuna regione. Tutto ciò è estraneo all’argomento della regione e quanto è stato detto si basa su equivoci e anche su errori che intendo di respingere fin da ora. È un argomento che studio da cinquanta anni e sul quale ho scritto opera fondamentale e mi è capitato di ascoltare con sorpresa improvvisazioni senza fondamento del contributo attuale di ogni provincia alle entrate e alle spese dello Stato. Non rilevo le inesattezze dell’onorevole Bertone, ma la sua stessa tesi fondamentale non ha base.

L’onorevole Bertone invece di parlare del regime di finanza locale da adottare da ora in poi sulla base dei nuovi ordinamenti che si vogliono attuare, si è abbandonato a una serie di confronti fra spese e entrate di ogni provincia traendone motivo di conclusione errata. Tutto questo è un po’ aereo e non entra nella discussione. In questa materia vi è un equivoco e un volontario equivoco.

Con l’evidente intenzione di dimostrare che non solo il sud non è stato sacrificato nei suoi interessi, ma gode di un regime privilegiato, ha presentato per varie province una lista delle entrate e delle spese dello Stato. Risulterebbe dunque, che le spese superano notevolmente le entrate proprio in alcune province del Mezzogiorno. E da ciò vorrebbe andare alla conseguenza che è l’Italia meridionale che si è avvantaggiata del regime.

In una grossa opera sulla storia del bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97, cioè di un quarto di secolo, io feci questo calcolo solo per dimostrare che in conseguenza del regime unitario l’Italia meridionale e le isole perdettero gran parte delle loro risorse, che vi fu drenaggio di capitali dal sud al nord e che il regime doganale obbligò l’Italia meridionale dopo la caduta delle sue industrie principali a funzionare come colonia di consumo della Italia del nord. Queste cose non sono mai state smentite e né meno rettificate. Dimostrai allora che anche le spese dello Stato erano state in grandissima parte a vantaggio dell’Italia del Nord: dove tutte le grandi istituzioni dello Stato erano tutte concentrate.

Ardente unitario e convinto che l’Italia non può svilupparsi, né progredire se non soffocando ogni forma di particolarismo, vedo con terrore che purtroppo il particolarismo risorge con l’equivoco delle regioni, che è la negazione dell’opera di Cavour e del 1860, come è anche sotto altra forma la negazione del 1870.

Cavour, che fu uomo politico di genio, contribuì a diffondere pregiudizi che più nocquero al Mezzogiorno. Credeva che l’Italia meridionale fosse naturalmente molto fertile e che solo la incuria dei governi e la inattività degli uomini l’avessero ostacolata nei suoi progressi. Esagerava le idee dei patrioti italiani esuli a Torino, che per ragione di lotta volevano far cadere sul regime borbonico la responsabilità di tutte le sventure del loro paese.

Cavour non conosceva l’Italia, non l’aveva mai vista; non conosceva che due città italiane: Torino e Genova. Non aveva visto, io credo, altro. E quando nel 1861, compiuta l’unità, la base della unità italiana, egli accompagnò il re a Firenze, vide per la prima volta una città italiana fuori del regno sardo; non vide mai nella sua vita Roma, non vide Napoli: non vide mai veramente l’Italia. Egli fu l’uomo del genio: l’intuizione prima ancora dell’osservazione. Come Balzac descrive tutte le società che non aveva viste, così Cavour creò l’Italia che non vide mai. Questo uomo singolare capì tanti problemi dell’Italia; non poteva comprendere le cose che noi discutiamo ora: la diversa struttura delle varie parti d’Italia e da che cosa dipendesse la diversità delle situazioni economiche. L’Italia che egli non conobbe, era la maggior parte, essendo vissuto da prima in Isvizzera poi in Inghilterra; e non parlava nemmeno l’italiano sufficientemente e con precisione. (Nei primi tempi, quando tornò, i suoi discorsi furono sempre pronunciati in lingua francese, tanta poca pratica aveva dell’italiano). Ma si sbagliò sull’Italia meridionale, perché credette sulla testimonianza dei patrioti meridionali. Egli credette a tutte le accuse al regime borbonico, e siccome i combattenti per la libertà accusavano il Governo borbonico di aver depresso sempre l’Italia meridionale, egli ripetette le stesse cose. Parlò del disordine della finanza del regno delle due Sicilie e ripetette anche sulla Tesoreria e sul sistema di amministrazione delle due Sicilie tutti gli errori allora in voga. Deciso a mutare la tesoreria borbonica, mandò a Napoli, per rendersi conto del disordine napoletano e meridionale, un consigliere della Corte dei Conti che passava come una grande competenza, il cavaliere Sacchi, perché vedesse che cosa era il regime finanziario meridionale che gli avevano descritto. Quando il Sacchi arrivò, studiò il problema, fece una relazione che era il contrario di ciò che Cavour attendeva. Disse che la Tesoreria era semplice e ben ordinata; non solo non bisognava abolire il sistema tributario, ma bisogna imitarlo. Questa constatazione dette a Cavour la prima sensazione che vi era qualche cosa di diverso da ciò che gli avevano detto e da ciò che egli pensava.

Dopo il 1862 venne l’unificazione tributaria. Quali effetti ebbe? Io ho scritto lungamente di ciò e ho dimostrato che insieme alla caduta della economia industriale del Mezzogiorno, venne un lungo e continuo drenaggio di capitali dal sud al nord. L’Italia meridionale per gli ordinamenti adottati fu sottoposta per necessità, in gran parte, a un regime che la privò delle migliori sue risorse. L’Italia meridionale aveva fabbriche importanti: era stato il primo paese d’Italia che aveva introdotto le ferrovie; era stato il primo paese che aveva sviluppato l’industria del ferro. Ebbene, con l’ordinamento doganale, col fatto che l’Italia del nord era così vicina al confine e poteva valersi di capitali e di dirigenti francesi e svizzeri (e dopo anche tedeschi), si determinò una situazione per cui gran parte delle industrie meridionali caddero l’una dopo l’altra. Quindi, il sacrificio che fece l’Italia meridionale non fu soltanto finanziario: fu che tutto l’ordinamento dello Stato si orientò a danno del Mezzogiorno. E fu effetto di mala volontà.

Io ho ripetuto tante volte anche in «Nord e Sud», che sono ardente unitario, che non mi dolgo dei sacrifizi e del danno del mio paese e che sacrificherei tutto per un’Italia libera unita e solidale nell’azione economica. Ora, dunque, il male dell’Italia meridionale fu in questo speciale ordinamento: una dopo l’altra caddero tutte le forze dell’economia meridionale.

Ho avuto sempre, appunto perché ardente unitario, sentimenti e parole cordiali per l’Italia del nord. Sono convinto che negli anni terribili che seguiranno dobbiamo ora sopra tutto essere uniti e perciò detesto la politica delle regioni e il regionalismo che sono pericolo di rovina. Anche economicamente, l’Italia deve contare, sopra tutto, su se stessa. Essa deve essere il suo più grande e solido mercato. L’Italia del sud ha il suo migliore mercato nel nord; ed è sopra tutto l’Italia del nord che ama il mercato del sud.

L’industria del nord non potette formarsi in principio, alla origine, che col sacrifizio dell’Italia meridionale. È evidente che l’Italia settentrionale doveva produrre a costi elevati nelle sue industrie alla origine del loro primo sviluppo. L’industria cotoniera, sorta con capitali svizzeri e tedeschi, si sviluppò con il sacrificio dell’Italia meridionale. Essa dovette comperare sul mercato del nord. Il protezionismo industriale del nord fu a spese del sud che rese per parecchio tempo economica una produzione antieconomica.

L’industria del cotone italiana, che è stata ed è la più importante, non poteva sorgere senza il sacrificio dell’Italia meridionale. Noi siamo stati la grande colonia. L’Italia meridionale e le isole con i loro abitanti, più numerosi che due grandi dominions britannici, sono state per l’Italia del nord industriale una colonia sicura.

Il doppio di abitanti del Canadà, o il Canadà e l’Australia uniti assieme, non hanno avuto libertà di mercato: han dovuto comperare secondo le esigenze e, vorrei dire, le imposizioni del regime doganale. Non facciamo dunque piccoli calcoli e ridicoli. Non indaghiamo, in questo periodo di disordine, quanto lo Stato incassa e quanto spende in ciascuna provincia. Ho fatto calcoli in passato, ma per dimostrare soltanto quello che si diceva cinquant’anni fa. Si diceva cioè che l’Italia del nord desse le sue risorse per la vita economica ed industriale dell’Italia del sud. Io ho dimostrato che non era vero e che anche le entrate dello Stato andavano in gran parte a beneficio dell’Italia del nord. Anche per la distribuzione di tutti gli istituti pubblici, non solo politici, ma di tutti gli istituti economici e di cultura. Fu, come ho detto, risultato di condizioni storiche, effetto di necessità e non effetto di maggiori attitudini e né meno di malvolenza. L’Italia meridionale non deve dolersi di aver sacrificato le sue industrie che caddero l’una dopo l’altra a beneficio del nord, anche se questo fu causa di depressione. L’Italia meridionale compì un grande sacrificio ignorato e di cui essa stessa non si rese conto sufficientemente, perché fu risultato di adattamento che parve di necessità. La inferiorità economica del Mezzogiorno parve, a chi nulla conosceva dei termini del problema, inferiorità di situazione e per l’agricoltura difficoltà della natura.

Mi duole che non sia presente l’onorevole Bertone che dice che le cifre non hanno importanza. Permettete che io vi dica che mi dolgo quando in un momento come questo sento che si comincia a parlare di conti malinconici fra le varie province e della parte di ciascuna nel dare e nell’avere. Ma quando in una famiglia in completo disordine si cominciano a far conti, in generale anche erronei, vuol dire che si rompono i rapporti di solidarietà e che l’unità è minacciata.

Purtroppo l’Italia traversa anche e sopra tutto dal punto di vista economico situazione minacciosa. Dobbiamo ora tener conto nei limiti del possibile dei bisogni di ciascuno e anche delle difficoltà di appagarli. Dobbiamo tener conto della situazione reale. Vi prego dunque di considerare se in tutti in provvedimenti che dovremo prendere quando il Mezzogiorno non può bastare a sé stesso, l’azione di Stato (nei limiti di una situazione finanziaria minacciosa) si renda conto di questo e delle sofferenze e dei bisogni delle varie parti d’Italia. Questa è la fede e il desiderio dei nostri amici ed anche la mia; ma tutto questo deve avvenire in uno spirito di unità, senza diffidenze. Occorre spirito di unione: solo così l’Italia si salverà. I nostri partiti sono in gran parte scomparsi dinanzi ai pericoli che ci sovrastano. Sono effetto di fazioni ed è la fazione che soffoca la nazione e deve scomparire.

Io ho chiesto la parola per fatto personale, perché l’onorevole Bertone ha portato la discussione in campo estraneo, dove non doveva essere.

L’emendamento da me presentato aveva un fine preciso: indicare soltanto come devono essere regolati i rapporti finanziari degli enti, che sono al disotto dello Stato: cioè regioni, province e comuni; e come devono essere ordinate le loro finanze, perché l’uno non intervenga nel campo dell’altro, perché non ci sia continua lotta e sopra tutto continuo equivoco.

Io desidero anche che non solo le spese e le entrate siano regolate, ma che si cerchi all’inizio delle regioni di evitare grandi e inutili spese.

Io ho presentato un altro emendamento, con cui propongo che tutta la burocrazia, di cui la regione avrà bisogno, sia prelevata dallo Stato e dagli enti locali.

Noi abbiamo un milione e settecento mila impiegati, che rappresentano numero enorme rispetto ai bisogni reali del paese. Molti fanno poco o niente perché non vi è lavoro per essi.

Senza nuove spese per la collettività, la Regione può avere tutti gli impiegati che le occorrono.

Dunque io vi prego di votare il mio emendamento, il quale dice soltanto che la legge deve stabilire la finanza della Regione, della Provincia e dei Comuni, senza precisare nulla, perché questa non può essere materia di invenzione o di rapida improvvisazione: è cosa che si deve fare per legge, ponderatamente.

Quindi vi prego anche di non intervenire in tutto quello che riguarda i rapporti tra Provincia e Provincia, tra zona e zona.

Io vi prego, chiudendo le mie parole, di fare in guisa che onestamente si tenga conto della situazione grave dell’Italia meridionale e che vi sia in noi spirito di comprensione e che i bisogni e le necessità della Italia meridionale e delle isole siano tenuti in speciale considerazione. Data la nostra gravissima situazione finanziaria, poco si potrà fare per qualche tempo; ma ciò che si può deve’esser fatto.

In questo sentimento almeno potremo essere d’accordo e io confido nel vostro buon volere e nel vostro sentimento. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Constato di essere, in sostanza, perfettamente d’accordo con l’onorevole Nitti. Egli propone nel suo emendamento di rinviare alle leggi della Repubblica la determinazione del regime tributario delle regioni, delle provincie e dei comuni.

È chiaro che la Costituzione non può che prescrivere alcuni criteri direttivi. Occorre poi la grande legge finanziaria, che l’onorevole Nitti invoca, e si deve porre mano ad essa, senza ritardo, appena approvata questa parte della Costituzione. Non faccio una indiscrezione riferendo che l’onorevole Pella pensa già ad istituire una Commissione di studio per la riforma sistematica dei tributi di Stato e di quelli locali, che sono temi inscindibili fra loro.

Onorevole Nitti, nel mio intervento dell’altro giorno, col quale ho cercato dimostrare che i problemi delle finanza regionale non sono insolubili (e spero che ella concordi, perché non ha fatto osservazioni in contrario) avevo anch’io affermata la necessità della grande legge tributaria per il nostro paese. Non possiamo qui farne l’anticipazione; ma ho già pensato alle sue grandi linee, ed al posto che vi potrà trovare la finanza della Regione. Ad essa ed agli altri enti locali potranno assegnarsi le imposte dirette nelle tre forme della ricchezza mobile, della importa fabbricati e della imposta fondiaria. Su questa base delle tre cedolari, lo Stato eleverà quella imposta progressiva sul reddito che è una necessità dello Stato moderno, democratico-sociale. Se vi fosse già in Italia, avremmo potuto superare molte difficoltà di questo dopoguerra, evitando di ricorrere ad altri tributi improvvisati. Nei tributi diretti gli enti locali troveranno una adeguata piattaforma finanziaria. Non escludo ad ogni modo che si possa ricorrere anche alle imposte sui consumi (che sono più spesso di produzione) sulle quali si basano ora, come su principale pilone, le finanze comunali; e non escludo neppure che a tali imposte possa partecipare anche la Regione. Dico tutto ciò a titolo personale, come vecchio studioso della materia; per dimostrare ancora una volta che non esiste l’insolubilità paurosa, denunziata dall’onorevole Nitti, su questo problema,

Tornando al suo emendamento, l’onorevole Nitti vuol sostituire «leggi della Repubblica» a «leggi costituzionali». Il Comitato, come dichiarai nel mio intervento, aveva già accolto un emendamento Preti a cui si è aggiunto più tardi un altro dell’onorevole Dugoni. Ne ho dette le ragioni: non è ammissibile che tutte le volte che si sostituisca ad un’imposta A un’imposta B, si debba mettere in moto la procedura della legge costituzionale.

Debbo dichiarare che si è ottenuto il consenso di tutti i componenti del Comitato, ma i più accesi regionalisti hanno posto due condizioni: 1°) che si affermi l’autonomia della Regione (ed anche di queste ho già parlato); 2°) che si stabilisca nella Costituzione qualche criterio sulla finanza della Regione (come si è fatto appunto nel testo del Comitato ed anche di ciò ho parlato minutamente). Ora l’onorevole Nitti, volendo tutto rinviare, sopprime l’indicazione di questi criteri; sui quali, del resto, non ha espresso alcuna critica; e quindi dovrei ritenere che li ha accettati. Avrei desiderato da lei, onorevole Nitti, quel «determinato» che ella chiede ad altri; invece ella si è limitata a divagazioni generiche; ed ora, col rifiutare ogni inizio di «determinazione» e col proporre un assoluto rinvio, rimette tutto in questione. Una volta che la Costituente ha deliberato di istituire l’ente Regione, non si può lasciare addirittura in bianco il suo assetto tributario. Anche il nostro è un rinvio alle leggi dello Stato, ma dopo aver fissato i principî cui si dovranno attenere. Non possiamo andare al di là.

Come prima approssimazione – altro non è possibile ora – stabiliremo nella Costituzione che le Regioni avranno autonomia finanziaria, in quanto le leggi dovranno assegnare ad esse fonti tributarie tali da bastare alle loro funzioni normali; che sempre negli intenti dell’autonomia saranno date quote più alte di partecipazione ai tributi dello Stato per le Regioni ove ciò è necessario per provvedere appunto alle loro funzioni normali; che per determinati scopi eccedenti le funzioni normali, si accorderanno dallo Stato contributi speciali. Le leggi della Repubblica determinano questi punti. Non credo che si potrebbe trovare un sistema più adeguato. Comunque, avrei desiderato che l’onorevole Nitti facesse altre proposte, o almeno, critiche puntuali.

Risponderò ora a singoli emendamenti che sono stati presentati.

L’onorevole De Vita vorrebbe parlare di redditi patrimoniali. Evidentemente, i redditi patrimoniali sono compresi nel nostro articolo; che parla in un altro comma di un patrimonio e di un demanio della Regione. Non mi pare che la determinazione sia necessaria. L’emendamento De Vita ha poi il principale intento di stabilire che dev’essere la Regione a deliberare i tributi, nei limiti fissati dallo Stato. Ora, intendiamoci bene: il significato del testo del Comitato è che la legge della Repubblica assegna alla Regione la facoltà di emettere tributi in determinate materie; la Regione ne farà l’uso che crede. Se usassimo la formula De Vita, potrebbe sorgere l’equivoco che la Regione possa essa determinare tributi che non sono previsti dalla legge dello Stato. Poiché la materia imponibile è sempre la stessa, è necessario che sia lo Stato con le sue leggi a precisare i tributi, ai quali può attingere la Regione. Resta fermo che la Regione delibererà ed applicherà essa i tributi che la legge le attribuisce. Credo che, ponendo mente a ciò, l’onorevole De Vita potrà essere tranquillo.

L’ultima parte del suo emendamento dice che: «Le leggi dello Stato in materia economica, finanziaria e doganale sono inspirate al principio di evitare la creazione di qualsiasi privilegio di una o più Regioni a danno di altre».

La formulazione è anche più radicale di un’altra proposta dall’onorevole Codignola, su cui si è pronunciato il Comitato. È una dichiarazione troppo generica ed anche equivoca, perché si potrebbe vedere un privilegio in ogni differenza. Sta poi fermo che il divieto dei privilegi rientra nei principii di eguaglianza affermati nelle disposizioni generali della Carta costituzionale.

L’onorevole Bertone ha presentato un emendamento. Svolgendolo, ha ripreso il tema dei confronti tra Regione e Regione; ed io lo ringrazio di aver aggiornati anche per l’esercizio in corso i dati che avevo riferiti. Debbo tuttavia confermare che non si può trarre sicure conclusioni, tanto più in momenti di generale disavanzo. E debbo pur notare che non è più il caso di continuare in questi confronti di dare e di avere fra le varie Regioni ed il bilancio dello Stato; raffronti che vennero impostati per la prima volta dall’onorevole Nitti; ed anche poche settimane fa sembrava che li continuasse, rovesciandoli a vantaggio del sud; ma ha finito col riconoscere nel suo ultimo intervento che è meglio abbandonarli.

Quanto all’emendamento Bertone, non dice nulla di sostanzialmente diverso dal nostro testo; ma è più generico, e non contiene alcune di quelle indicazioni che gli amici di sua parte ritengono opportune sull’autonomia finanziaria delle Regioni.

Ho già detto che il Comitato accoglie gli emendamenti Preti e Dugoni, e sostituisce a «leggi costituzionali» «leggi ordinarie dello Stato»; ma non può accettare l’altra proposta Preti di sopprimere, tranne il primo, i rimanenti commi dell’articolo; la maggioranza del Comitato – ho avuto occasione di dire anche questo – consente a non richiedere leggi costituzionali; purché con le altre disposizioni si dia qualche indicazione a garanzia della finanza regionale.

L’onorevole Colitto vuole che si parli solo di «limite» non di «forme» stabilite dalle leggi; ma le forme bisogna pur determinarle; e non mi pare opportuna la soppressione che egli suggerisce.

L’onorevole Zotta e vari altri hanno fatto questione di perequazione del livello di benessere, e di distribuzione del reddito nazionale fra Regione e Regione. Ma partono da un presupposto inammissibile; che si possa, con soli provvedimenti finanziari, togliere quelle disuguaglianze economiche fra Regioni, che dipendono da tanti altri fattori. Si può cercare di attenuarle, non pretendere di distruggerle. Quanto al concetto di una redistribuzione del reddito nazionale fra le Regioni, è anch’esso inammissibile: le Regioni più ricche, debbono dare e daranno per le meno provviste di mezzi; ma come si fa a chiedere che rinuncino ai frutti delle loro attività e sopprimano lo stimolo di un maggior rendimento in loro vantaggio?

L’onorevole Codignola insiste sul punto relativo all’accertamento dei tributi, ma anche il Comitato insiste nel punto di vista che non è il caso di vietare in senso assoluto che possa aver luogo a cura degli enti locali; le leggi ne stabiliranno i casi e le cautele.

L’onorevole Cartia ha fatto alcune osservazioni sul mio intervento dell’altro giorno. Io non ho nulla da mutare circa quello che ho detto allora. Ho voluto dimostrare che il problema, per quanto grave, non si presenta così pauroso e non richiede una rivoluzione finanziaria come sembrava a prima vista per alcuni.

L’onorevole Cartia non si può discostare dal procedimento che ho seguito: vedere quali sono le attribuzioni amministrative che il nostro testo attribuisce alle Regioni e valutare nel modo più largo ciò che lo Stato spende ora per esse. Ho con cifre dimostrato che basterebbe spostare quanto del gettito delle due dirette immobiliari percepisce ancora lo Stato ed una quota della ricchezza mobile o di altro tributo erariale; le spese sarebbero coperte.

L’onorevole Cartia dice che le Regioni devono fare di più. Ma la Costituente ha stabilito che ad esse si attribuiscono date funzioni; e di esse bisogna tener conto. Se lo Stato ne accorderà con sue leggi delle altre, o se in seguito si amplierà l’elenco fissato dalla Costituzione, si penserà ai relativi mezzi; ma oggi non sorge il problema.

L’onorevole Cartia fa la questione della Sicilia; che non possiamo prendere come termine di paragone per le altre Regioni, perché ha un’autonomia speciale, e cerca di spingerla avanti anche nel campo tributario. Se ho ben capito, mi sembra che l’onorevole Cartia abbia detto che la Sicilia ha assunto molti compiti, ma non tutte le spese e si è presa tutte le entrate dello Stato (Interruzione dell’onorevole Cartia); lo Stato non riscuote nulla dalla Sicilia, ed anzi, deve dare esso qualche cosa.

Questo è un sistema che non possiamo considerare come normale, almeno per le altre Regioni. Noi dobbiamo partire dalle funzioni ben delimitate delle Regioni ordinarie, entro i limiti dai quali la nostra Assemblea ha deliberato di non uscire. Mi pare strano che coloro che nelle nostre discussioni furono meno favorevoli al regionalismo – e credo che fra essi sia l’onorevole Cartia – cerchino oggi di esagerare i compiti e le funzioni attribuiti dalla Costituzione, e sostengano che la Regione debba avere compiti così immani da sbalestrare tutta la finanza dello Stato.

CARTIA. È la coerenza dell’istituto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma quale coerenza? Si può benissimo, e si deve, almeno alle origini, contenere la Regione in limiti ben conterminati.

CARTIA. Allora, era inutile fare le Regioni!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa è un’altra cosa! Fra la tendenza di chi non voleva la Regione e l’altra, prevalente di numero, per un più acceso regionalismo, si è affermata la soluzione intermedia di far sorgere la Regione con poteri e funzioni delimitati in modo che non sconcertino la struttura dello Stato e si prestino ad una savia gradualità. Non arrivo a capire, onorevole Cartia, se ella è ancora antiregionalista, o è diventato spinto regionalista. Per mio conto, mi attengo alla soluzione che ho sostenuta e son lieto che sia stata adottata.

Inutile dire, onorevole Cartia, per le ragioni già da me ripetute, che non posso accettare la formula di «redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di attuare una perequazione interregionale», formula illogica e che sarebbe in ogni modo vana.

L’onorevole Micheli parla di integrazione del bilancio della Regione da parte dello Stato. Integrazione è una frase che a noi non piace, perché rievoca un sistema non molto lodevole, seguito fino ad ora, come stato di necessità, per i bilanci comunali e provinciali; ma appena è possibile, e ne fo lode al Governo, viene abbandonato. Meglio che di integrazione si deve parlare di contributi speciali a scopi determinati, tenendo anche conto di quelli che sono stati proposti dai colleghi.

L’onorevole Sullo propone di istituire fondi speciali per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole. Mi dispiace, ma – poiché ritornano sempre in molteplici emendamenti le stesse idee – debbo ripetermi. Il Comitato non è favorevole ai fondi speciali o di solidarietà, e preferisce i contributi speciali da parte dello Stato.

Al sistema dei contributi speciali per scopi determinati che eccedono l’attività normale della Regione, mi richiamo per non accettare l’emendamento Pignatari che riguarda l’integrazione dei bilanci delle Regioni per le spese straordinarie. Faccio osservare all’onorevole Pignatari che non è opportuno parlare di spese «straordinarie» che possono, come è nella contabilità e nei bilanci attuali, entrare nelle funzioni normali della Regione.

Debbo ripetermi ancora: non può essere accolta l’aggiunta dell’onorevole Codignola all’ultimo comma per condannare anche i privilegi, oltre ai dazi di importazione e di esportazione: disposizione che non mi parrebbe necessaria neppure per tali dazi…

Una voce a sinistra. Il fatto dei dazi sta succedendo anche adesso, onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se è per la Val d’Aosta, vigono lassù norme particolari.

Una voce a sinistra. Ma è successo anche per la provincia di Mantova.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, il mio ritegno è personale; il Comitato ha mantenuto il comma pei dazi. Non ha invece creduto di arrivare, con l’onorevole Codignola, a parlare di unità dell’economia italiana e interregionale; che è principio finalistico, giustissimo, ma non ha nulla di concreto; e ripugna alla natura di una norma costituzionale.

L’onorevole Nobile è tornato alla sua proposta di stabilire che non si possa vietare ai cittadini il diritto di esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione o mestiere. Sul principio siamo d’accordo tutti. Ma è dubbio se sia necessario dedicargli una espressa disposizione, e se – nel caso che si ravvisi la necessità o l’opportunità di stabilirlo – sia da collocarlo proprio qui.

All’onorevole Romano ho già implicitamente risposto dicendo le ragioni per cui noi non possiamo stabilire fondi speciali.

Ed ora veniamo al testo che il Comitato propone di votare. Domando perdono al Presidente, ma vi è qualche altra variante da introdurre, oltre a quelle di cui ho reso conto. Sono varianti suggerite dagli emendamenti e dal corso della discussione.

Al terzo comma, per i contributi speciali, si sostituisce alla frase «lo Stato può assegnare» l’altra: «assegna»; e si aggiunge «con legge». Risalta così che è sempre lo Stato a valutare e decidere se sia il caso di assegnare i contributi speciali; ma questi costituiscono una fondata attesa della Regione, e la loro assegnazione non ha luogo arbitrariamente e capricciosamente come favore di governo o burocrazia, ma coi criteri stabiliti per legge.

Ho riservata per ultima, proprio per la sua importanza, la questione del Mezzogiorno che è stata qui prospettata dagli onorevoli Zotta, Sullo, Pignatari, Romano e da altri oratori. Spero che possa essere una questione transitoria e che la Costituzione che noi voteremo viva anche quando il Mezzogiorno non avrà bisogno più di aiuti speciali. Ad ogni modo la questione sollevata non può non aver eco anche in questa sede. Il Comitato non è perfettamente concorde. Una tendenza propone un ordine del giorno dell’Assemblea il quale stabilisca che si deve provvedere in modo particolare ai bisogni del Mezzogiorno e delle Isole ed allo sviluppo dei loro lavori; un’altra, che io condivido, va più in là ed è disposta ad accettare un’aggiunta nel terzo comma, così formulata: «Per provvedere ad altri scopi determinati, e più particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna con legge a singole Regioni ecc.» Un semplice inciso può bastare, ed essere più efficace di altre proclamazioni. Ritengo che i presentatori di emendamenti saranno soddisfatti (Approvazioni).

E mi auguro che, dopo le mie conclusioni, l’Assemblea possa trovare un punto d’incontro per deliberare questa sera l’intero articolo e avvicinarsi così alle desiderate vacanze. (Applausi).

Una sola parola ancora. Desidero aggiungere che l’onorevole Corbino aveva l’intenzione di presentare un emendamento, appunto nel senso dei contributi speciali per i bisogni del Mezzogiorno; ma, essendo all’ultimo momento, e non volendo prolungare la discussione, eravamo rimasti d’accordo che io ne avrei dato comunicazione all’Assemblea.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori degli emendamenti se vi insistono.

Faccio presente all’onorevole Preti che il suo emendamento è stato accolto nel testo della Commissione e quindi è assorbito. Lo stesso può dirsi per l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

Gli onorevoli Nitti e De Vita insistono nei loro emendamenti?

NITTI. Insisto.

DE VITA. Mantengo integralmente il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone?

BERTONE. Accetto il testo della Commissione e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto insiste?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. L’emendamento soppressivo dell’onorevole Preti verrà automaticamente in rilievo nel corso della votazione.

L’onorevole Zotta mantiene il suo emendamento?

ZOTTA. Non vi insisto, constatando che la Commissione ne ha integralmente accettata la sostanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Foa insiste sugli emendamenti dell’onorevole Codignola che ha fatto suoi?

FOA. Sul primo emendamento non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Cartia insiste?

CARTIA. Non insisto sul mio emendamento, se venisse accettata la formula «con leggi dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È accettata.

CARTIA. Allora non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli mantiene il suo emendamento?

MICHELI. Aderendo ai concetti esposti dal Presidente della Commissione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo insiste?

SULLO. Poiché il Comitato ha fatto suo l’inciso «per la valorizzazione del Mezzogiorno» ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Pignatari insiste?

PIGNATARI. Per la stessa ragione, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Foa, insiste sul secondo emendamento Codignola?

FOA. Mantengo il secondo emendamento.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Nobile è stato accettato dalla Commissione.

Non essendo presente l’onorevole Romano, il suo emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Dugoni insiste?

DUGONI. Insisto nell’emendamento sostitutivo di tutto il testo.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Mortati è stato accettato dalla Commissione.

Si può quindi passare alla votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei parlare sulla formula ultima che è stata accettata dalla Commissione dei Diciotto e parlerei per la minoranza della Commissione dei Diciotto, formulando alcune riserve su quanto ha ritenuto di accogliere la maggioranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Ruini ha fatto una relazione. Le tesi contrapposte sono state sostenute in sede di Commissione. Qui, onorevole Laconi, non si tratta di presentare delle relazioni.

LACONI. Si tratta di una questione generale e non particolare. Quando la Commissione accetta un determinato emendamento al testo, evidentemente il testo originale della Commissione cessa di esistere e non è più oggetto di votazione da parte dell’Assemblea. La minoranza si trova allora o a ripresentare il testo della Commissione come emendamento, oppure a tacere. Io mi trovo in questo caso, in questa situazione, ma desidererei semplicemente che la mia preoccupazione trovasse degli argomenti in contrario.

Se questi argomenti sono per me chiari e sufficienti, io non ritengo affatto di dover presentare un emendamento. Quindi la prego di consentirmi questo chiarimento.

PRESIDENTE. Io voglio solo osservare che quando si lavora in un organismo collettivo – sia esso Commissione dei Settantacinque o Sottocommissione o Comitato di coordinamento – è chiaro che quest’organo collettivo ad un certo momento ha un’idea da presentare: quella della maggioranza. Coloro che restano in minoranza possono presentare emendamenti. E allora, in sede di emendamenti, coloro che non accettano la posizione prescelta dalla maggioranza possono parlare e chiedere d’intervenire. Lei dunque, onorevole Laconi, avrebbe dovuto farlo in quella sede. In questo momento gli emendamenti sono stati svolti, il Presidente della Commissione ha risposto, siamo giunti in sede di dichiarazione di voto, e lei onorevole Laconi ne può approfittare.

LACONI. Ma vi è un emendamento che è stato accolto in questo istante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quale?.

LACONI. Voglio esternare la mia preoccupazione. Voglio riferirmi all’emendamento accolto dalla maggioranza della Commissione dei Diciotto al secondo comma dell’articolo 113. Il presidente della Commissione ha dichiarato che avrebbe accolto l’emendamento secondo il quale si consente una determinata differenziazione tra Regione e Regione in ordine ai tributi propri ed alle quote erariali. La mia preoccupazione, già affacciata al Presidente della Commissione, è che, ammettendo una differenziazione in questa materia, si viene implicitamente a stabilire nella finanza dello Stato una differenziazione tra Regione e Regione e a portare il caos. Lo Stato, io credo, deve poter contare sopra tributi uniformi riguardo alle Regioni.

Io non nego che le Regioni abbiano differenti esigenze, ma si può stabilire una differenziazione in quelle provvidenze che lo Stato riterrà di emanare per venire incontro ai bisogni regionali; introdurre invece una differenziazione su questo punto relativo a tributi propri ed alle quote dei tributi erariali, porta conseguenze forse utili alle Regioni, ma costringe lo Stato a seguire norme particolari da Regione a Regione. (Commenti – Proteste al centro).

Non v’è ragione di eccitarsi fuor di luogo: è una preoccupazione che affaccio. (Commenti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Laconi non era presente, o per lo meno non ricorda quando questo comma è stato esaminato dal Comitato. Già nel testo originario era stato fissato il criterio che ora desta le sue preoccupazioni ed egli aveva tutto il tempo di esprimere tali preoccupazioni nelle successive elaborazioni. Non c’è pericolo di disordine e caos nella finanza del paese. Né col primo né con l’ultimo testo.

LACONI. Ma non è la stessa cosa!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È la stessa cosa; si tratta del riparto delle quote dei tributi dello Stato, che vengono attribuite alle Regioni, perché provvedano alle loro funzioni normali. A tutte le Regioni non spetta la stessa quota; ma viene determinata e graduata a seconda che i tributi propri bastino più o meno all’adempimento di quelle funzioni. Non è una graduazione, che si discuta volta per volta; ma che deve essere, in certo senso, automatica, come diceva l’onorevole Cartia, in base a criteri stabiliti una volta tanto per legge. Non so cosa vi sia di caotico in ciò. Vuole l’onorevole Laconi che le Regioni meno provviste di mezzi, ad esempio la Basilicata, siano trattate come le Regioni più ricche, e non abbiano altre risorse per provvedere ai loro bisogni?

GULLO FAUSTO. Che cosa significa: «ai bisogni»?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace che lei non abbia capito: sono i bisogni, cui si provvede con le funzioni normali.

LACONI. Allora non è chiaro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma come! Sono attribuiti alla Regione tributi propri o quote di tributi erariali; tali quote saranno determinate e graduate per provvedere alle spese necessarie. Questo concetto è abbastanza chiaro. Potete discuterlo, rifiutarlo; ma non dire che non è chiaro e non proporre qualcosa di diverso. La critica deve essere costruttiva.

PRESIDENTE. Darò ora la parola per le dichiarazioni di voto.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono favorevole al testo presentato dalla Commissione in accoglimento più o meno parziale degli emendamenti che sono stati precedentemente presentati. Non sono favorevole all’Ente regione, ma una volta che lo abbiamo introdotto nella Costituzione, abbiamo il dovere di renderlo meno nocivo e più utile che sia possibile. Rispetto a questi due fini credo che il testo elaborato dal Comitato, come ultima espressione di accordi, sia accettabile da chi come me, meridionale e meridionalista siciliano, che ha dato la firma alla legge per l’autonomia della Sicilia, si renda perfettamente conto della importanza del problema meridionale come problema nazionale. Vi confesso che io ho ascoltato con vivo dolore le espressioni che da una parte o dall’altra sono venute per tentare di fare il bilancio di quello che il nord ha dato o avuto, o che il sud ha dato o avuto. Bilanci di questo genere non si possono fare sulla base di cifre. Se mettiamo insieme i dieci statistici più profondi che vi siano in Italia, essi non riusciranno mai a raggiungere soluzioni in cui tutti e dieci siano d’accordo: probabilmente non ce ne saranno neanche due. I rapporti fra una Regione e l’altra, in un paese unitario come il nostro, sono rapporti economici ma sono anche rapporti politici; e se il sud ha sacrificato qualche cosa sul terreno economico, non si può negare che esso abbia ricevuto dal nord influssi di progresso che in altre condizioni di ambiente avrebbero potuto dare frutti molto più cospicui. Tuttavia certi problemi, una volta posti, non possono non trovare un richiamo esplicito nella Carta costituzionale che noi andiamo ad approvare; ed il richiamo che la Commissione ha voluto inserire nel terzo capoverso dell’articolo 113 mi sembra più che sufficiente, perché coloro che questa Carta costituzionale dovranno applicare in avvenire ricordino che il problema meridionale in questa sede è stato affrontato non per delle contese vane fra sud e nord, ma con un solo desiderio che è nostro, e deve esserlo anche dei colleghi e delle popolazioni delle altre Regioni d’Italia: che si sia tutti concordi per assicurare le migliori fortune del nostro Paese. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace, io credo che la disposizione sia abbastanza chiara; ad ogni modo nessuno ha proposto una dizione diversa per renderla più chiara.

DUGONI. Prego l’onorevole Ruini di leggere la formulazione definitivamente proposta dalla Commissione per il secondo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. «Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali le quali sono determinate, in relaziona ai bisogni delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali».

PRESIDENTE. Effettivamente questa formulazione modifica ancora quella letta in precedenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La discussione, malgrado gli sforzi del Presidente per mettervi ordine, avviene con la presentazione continua di nuovi emendamenti, non solo, ma col ritorno improvviso a formule già abbandonate. Inchiodato a questo posto, faccio di tutto per seguire l’Assemblea, ma non posso fare miracoli. Pel punto qui in esame non vedo grande differenza tra la formula di prima e la recente. Se l’Assemblea crede di rimanere al mio testo…

Voci. Sì, sì.

PRESIDENTE. Dovrò allora porre in votazione il testo dell’articolo.

NITTI. Onorevole Presidente, io ho presentato un articolo che credo abbia la precedenza…

PRESIDENTE. Non c’è dubbio, io non ho detto che per primo si sarebbe votato il testo della Commissione. Gli emendamenti sono stati svolti: numerosi sono stati ritirati. Dobbiamo votare sul testo attuale della Commissione. In relazione agli emendamenti che sono restati, il primo di questi emendamenti è quello dell’onorevole Nitti, primo non per ordine di presentazione, ma perché è l’emendamento che praticamente pone nel nulla tutti i commi successivi. Egli propone infatti di sostituire l’articolo con il seguente:

«Con legge della Repubblica sarà stabilito il regime tributario delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni». Questo emendamento – senza dubbio – è quello che più si allontana dal testo della Commissione, in quanto, rimettendo tutto alla legge dello Stato, cioè ai prossimi Parlamenti, esonera l’Assemblea dall’indicare qualunque elemento di orientamento.

NOBILE. Desidererei che l’onorevole Nitti chiarisse se intende con questo emendamento che venga abolito anche l’ultimo comma. (Commenti).

Voci al centro. È naturale.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, i due interventi molto precisi dell’onorevole Nitti hanno posto chiaramente la questione.

Ha chiesto la parola per dichiarazione di voto l’onorevole Uberti. Ne ha facoltà.

UBERTI. Per tutte le ragioni che abbiamo esposto, noi voteremo esclusivamente il testo della Commissione e voteremo contro tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Nitti.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché il risultato della votazione è incerto si procede alla votazione per divisione.

(L’emendamento dell’onorevole Nitti è respinto).

Passiamo alla votazione del primo comma del testo proposto dalla Commissione:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni».

In questo comma vi è un primo inciso, che fa richiamo espresso alla autonomia finanziaria: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria».

Poiché nessuno degli emendamenti presentati considera questa prima parte del comma, la porrò in votazione.

Mi è pervenuta una domanda di appello nominale. Desidero che i firmatari specifichino a che cosa essa si riferisca. (Commenti).

L’articolo si compone di cinque commi, ciascuno dei quali dovrà essere votato in due o tre parti diverse. Desidero sapere se si domanda che tutte le votazioni abbiano luogo per appello nominale! (Commenti).

UBERTI. A nome dei firmatari della domanda di appello nominale, preciso che se si fosse votato l’articolo 113 unicamente, domandavamo l’appello nominale su tutto l’articolo; se invece si vota per divisione, domandiamo l’appello nominale sul secondo comma.

TONELLO. Noi ce ne andiamo! (Rumori al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Dugoni aveva presentato un emendamento al primo comma per sostituire a «leggi costituzionali» «leggi dello Stato». L’emendamento è stato accolto e l’onorevole Dugoni, logicamente, dovrebbe votare per il primo comma. Il voto contrario significherebbe che non vuol dar corso alle sue stesse idee.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, queste dichiarazioni non si possono fare ora.

Pongo pertanto in votazione le prime parole del comma, nel testo della Commissione: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la seconda parte del testo proposto dalla Commissione: «nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica».

(È approvata).

Segue l’ultima parte del comma: «che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni». A questo punto vi è un emendamento dell’onorevole De Vita.

DE VITA. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’ultima parte del comma nel testo della Commissione.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma che, nella formulazione proposta dalla Commissione, è del seguente tenore:

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali le quali sono determinate in relazione al bisogno delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali».

A questo comma non vi è alcun emendamento, poiché tutti sono stati ritirati.

PRETI. Avevo presentato un emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, come già ho fatto più volte presente, l’emendamento soppressivo si esprime votando contro la formula positiva.

UBERTI. Ritiro la mia richiesta di appello nominale su questo comma.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo allora in votazione il secondo comma, del quale ho dato testé lettura, nell’ultima redazione della Commissione.

(È approvato).

Passiamo al terzo comma, che è del seguente tenore:

«Per provvedere ad altri scopi determinati e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna con legge a singole Regioni contributi speciali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. «Per legge», non «con legge».

PRESIDENTE. Sta bene. Modifichiamo: «per legge».

Voci. No, «con legge».

«PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non ci soffermiamo su questi piccoli particolari. In un secondo momento, si provvederà anche alla forma.

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

Il quarto comma, è così formulato:

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’ultimo comma è del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi di importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

Su questo comma, vi è un emendamento a firma dell’onorevole Codignola, che l’onorevole Foa ha fatto suo e svolto. L’onorevole Foa non è presente e pertanto l’emendamento s’intende decaduto.

Pongo pertanto in votazione il quinto comma nella formulazione testé letta.

(È approvato).

Vi è ora un emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Nobile e da altri colleghi. La Commissione ha dichiarato di accettarlo, salvo a deliberare, dopo la eventuale approvazione, il posto nel quale inserire, se non la dizione, il concetto.

CARBONARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. L’onorevole Nobile domandava che la Regione non potesse limitare il diritto dei cittadini ad esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro arte, professione o mestiere.

In via di principio io sono d’accordo con questa dizione; però debbo osservare – siccome l’onorevole Nobile ha nominato il Trentino ed Alto Adige in modo particolare – che, specialmente in Alto Adige, su oltre 3 mila impiegati statali e parastatali occupati, fino ad epoca recente, gli indigeni erano soltanto 243.

Quindi osservo che anzitutto la giustizia distributiva deve essere alla base di ogni reggimento statale e regionale. (Commenti a sinistra).

TESSITORI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TESSITORI. A nome del mio Gruppo dichiaro che voteremo contro l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile per una considerazione che prescinde dal merito. La considerazione è questa: l’emendamento presentato in forma negativa non mi pare che sotto l’aspetto giuridico possa trovar posto nella Carta costituzionale; anche perché, quello che è l’aspetto positivo della norma, sottinteso nell’emendamento, è già compreso nella prima parte della Costituzione, dove sono indicati tutti i diritti dei cittadini italiani.

Mi pare che il collocamento e la forma di questo emendamento siano fuor di luogo e inutili. Perciò io vorrei pregare l’onorevole Nobile di ritirare il suo emendamento, e lo vorrei invitare ad una considerazione, che è questa: il collocare, onorevoli colleghi, nella Carta costituzionale una disposizione di questo genere sembra echeggiare rancori, differenze, campanilismi, che vorrei non avessero nessuna eco in questa Aula. Per queste considerazioni noi votiamo contro l’emendamento.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Appunto per le ragioni dette nobilmente dal collega Tessitori, io voterò a favore, perché temo il separatismo professionale. Ho già accennato in altra occasione ad un precedente, intorno al quale oggi posso presentare i documenti. E cioè: il Consiglio della Valle, il che è a dire il governo della Val d’Aosta, ha presentato al Governo nel mese di marzo scorso una proposta di decreto legislativo sull’ordinamento delle guide e dei maestri di sci, la quale diceva, all’articolo 2, testualmente così:

«L’esercizio saltuario della professione in Val d’Aosta da parte di guide e maestri autorizzati provenienti con i loro clienti da altre regioni italiane e straniere non è soggetto a restrizioni di sorta.

«L’esercizio stabile, anche se solo stagionale, l’apertura di corsi, scuole e analoghe iniziative, comunque presentate, sono invece subordinate, oltre che all’osservanza della disciplina del Consiglio della Valle alla stabile residenza in un comune della Valle e all’iscrizione nei ruoli di una società locale».

MICHELI. Ma si tratta di guide alpine!

FUSCHINI. Che c’entra questo? (Commenti).

GASPAROTTO. È bensì vero che il Governo con decreto legislativo del 1° aprile 1947 ha moderato queste disposizioni, in seguito di che è rimasto nel testo definitivo questo articolo 2, che dice: «Nella Valle d’Aosta l’esercizio saltuario della professione da parte di guide, portatori e maestri autorizzati provenienti con i loro clienti da altre regioni italiane e dall’estero non è soggetto all’autorizzazione degli organi della Valle»; ma a questo il Consiglio dei Ministri è dovuto addivenire, appunto per impedire che fosse sanzionato in uno statuto speciale il principio che il cittadino italiano era, nell’esercizio della sua professione, straniero in una regione d’Italia diversa dalla sua. (Applausi a sinistra).

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. L’onorevole Gasparotto mi pare che abbia una particolare simpatia per quanto ha determinato la Valle d’Aosta e quel decreto l’ha già letto altre volte…

GASPAROTTO. Io ho l’antipatia per i separatismi!

MICHELI. …Capisco; è stato esaminato dal Consiglio dei Ministri di cui l’onorevole Gasparotto faceva parte.

Posso dichiarare che, effettivamente, in Valle d’Aosta c’era questa limitazione, a favore delle guide che dovevano essere del luogo, per una ragione molto semplice: perché quelli che vanno sul Monte Cervino e ad altre cime portano della gente, sono responsabili della loro vita e devono essere dei luoghi perché ne hanno la maggiore pratica.

Però avverto questo: che tutte le guide del Club Alpino del quale faccio parte, a qualunque provincia appartengano, possono andare liberamente in Val d’Aosta, ad esercitare nelle escursioni alpine la loro professione.

È un’altra la questione, onorevole Gasparotto; si tratta di cosa molto diversa. Io debbo ripetere al collega ed amico che le guide di qualunque parte d’Italia… (Rumori) sono ammesse anche nelle scuole accennate…

GASPAROTTO. Ma si tratta non solo di guide, ma di scuole!

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego di concludere.

MICHELI. Onorevole Presidente, una volta che lei ha consentito che il collega leggesse un documento di questo genere in discussione all’Assemblea, io avevo tutto il diritto di contestarlo (Rumori) e l’ho fatto con due parole.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo che, nonostante questo occasionale dissenso sulla questione delle guide, noi siamo, sul concetto espresso dall’onorevole Nobile, tutti d’accordo. Abbiamo però tutti delle riserve sulla collocazione e credo che anche l’onorevole Tessitori, che ha parlato poco fa, fosse mosso dalla stessa preoccupazione. Del resto, se così non è, sia per non detto.

Io comunque ho di queste riserve. Vorrei dunque pregare che si votasse soltanto sul contenuto dell’emendamento dell’onorevole Nobile, lasciando impregiudicata la questione della forma e della collocazione. (Rumori).

PRESIDENTE. Ma su questo siamo d’accordo, è stato già detto, onorevole Laconi.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Instaurando un ordinamento regionale, ci si dovrebbe anche preoccupare degli impieghi per evitare che una Regione potesse impedire l’accesso agli impieghi ai provenienti da altre Regioni, il che sarebbe deprecabile, perché creeremmo in tal modo dei compartimenti stagni, renderemmo cioè poco aerabile la Regione.

Prego pertanto l’onorevole Nobile di estendere il suo emendamento anche agli impieghi.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, ella ha inteso la proposta dell’onorevole Condorelli? La accetta?

NOBILE. Non ho alcuna difficoltà ad accettarla.

PRESIDENTE. Sta bene; passiamo dunque ai voti.

Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Nobili, che con la modifica proposta dall’onorevole Condorelli, e accettata dall’onorevole Nobile, risulta così formulato:

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione, mestiere o impiego.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

L’emendamento risulta approvato.

Voci al centro. No, non è approvato! (Rumori a sinistra).

MICHELI. Votiamo per divisione! (Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ho l’impressione che vi sia ancora questo presupposto, che le votazioni debbano avere tutte la stessa conclusione. Occorre però tener conto del momento in cui si vota, perché è evidente che le votazioni che si trascinano per un quarto d’ora o venti minuti, possono mutare di continuo la proporzione dei voti. (Commenti).

Confermo che l’emendamento dell’onorevole Nobile è stato, secondo la votazione ora effettuata, approvato dall’Assemblea.

Do lettura del testo completo dell’articolo 113 quale risulta dopo le varie votazioni di oggi:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, le quali sono determinate in relazione ai bisogni delle Regioni, in modo da poter provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione, né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose.

«La Regione non può in alcun modo limitare il diritto dei cittadini ad esercitare in qualunque parte del territorio nazionale paia ad essi conveniente, la loro arte, professione mestiere o impiego.».

Resta inteso che la formulazione definitiva e il collocamento di quest’ultimo comma sono deferiti al Comitato di coordinamento.

Pongo ai voti l’articolo nel testo ora letto. (È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Benedettini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno comunicare all’Assemblea i risultati dell’istruttoria testé terminata sulla fine del tesoro di Dongo». (Commenti a sinistra).

Interesserò il Ministro della difesa perché faccia sapere quando intende rispondere a questa interrogazione.

BULLONI. Vorrei sollecitare le risposte dei Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, a due mie interrogazioni urgenti loro dirette, riguardanti: la prima un’inchiesta per gravi infrazioni annonarie, la seconda la crisi dell’energia elettrica in Alta Italia.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò all’interrogazione che mi riguarda nella seduta antimeridiana di venerdì prossimo. Interesserò il Ministro dell’industria e commercio affinché risponda, se possibile, all’interrogazione a lui diretta nella stessa seduta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere so non ritenga rispondente ai fini di giustizia estendere agli «sminatori marini» l’aumento di lire 300 sull’indennità «pericolo mine» recentemente concesso agli sminatori terrestri.

«Stampacchia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, in relazione all’impegno del Governo italiano di indennizzare le persone fisiche e gli enti, i cui beni siano stati confiscati in conseguenza dell’applicazione delle disposizioni relative alle riparazioni (vedere articolo 74, lettera D, titolo 4 del Trattato di pace), ed in considerazione che fra le persone che hanno subito la totale confisca dei macchinari e delle attrezzature per costruzioni, figurano imprese che svolgevano la loro attività civile nei Balcani e particolarmente in Albania e Jugoslavia, dove potentemente le imprese predette contribuirono per migliorare le condizioni ed il tenore di vita civile di quei paesi, non ritenga equo, utile ed opportuno, per il nostro Paese, che gli enti, le persone e le imprese danneggiate con la confisca delle loro attrezzature e macchinari, vengano messi in condizioni di riprendere anche parzialmente la loro attività, risarcendo loro le perdite subìte, mediante cessione di attrezzature e macchinari, analoghi a quelli loro confiscati o perduti, da prelevare dalle disponibilità dell’A.R.A.R. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere in quale maniera intenda risolvere la tragica situazione economica di quegli ufficiali che, fatti prigionieri in Africa Orientale Italiana nel 1941, sono stati costretti ad abbandonare le famiglie nel territorio già occupato all’epoca predetta, le quali si sono trovate costrette a contrarre ingenti debiti per poter vivere.

«A questi ufficiali rientrati in Patria sono stati corrisposti i soli stipendi con i carovita dell’epoca, mentre il costo della vita in Africa Orientale Italiana si aggirava intorno ad una sterlina giornaliera (700 lire circa di valore medio per gli anni 1941-44) per un ammontare complessivo individuale di parecchie centinaia di migliaia di lire.

«Tali famiglie si trovano ora in Patria, senza casa, per aver perso tutto in territorio dell’Africa Orientale Italiana, con l’onere dei predetti debiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bencivenga».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se e quale azione il Governo abbia svolto, o intenda svolgere per placare le ansie dei familiari delle molte migliaia di giuliani deportati in Jugoslavia, dei quali dopo due anni non si è riusciti, neppure per il tramite della Croce Rossa e del Vaticano, ad avere notizie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cappi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, in relazione alle mutate e ridotte necessità delle forze armate ed alle ristrettezze del bilancio dello Stato, abbia già provveduto o, in caso negativo, se ritenga o meno opportuno:

1°) di provvedere d’urgenza alla soppressione dello Stato Maggiore generale; alla creazione di uno Stato Maggiore della difesa ed alla conseguente soppressione dei tre Stati Maggiori ora esistenti; all’unificazione dei servizi logistici ed amministrativi comuni alle tre forze armate, tanto degli organi centrali, quanto di quelli periferici; alla separazione dal Ministero della difesa degli organi incaricati della liquidazione del passato; al decentramento agli organi periferici di gran parte dei compiti e delle attribuzioni ora dannosamente accentrate negli organi centrali; alla trasformazione dei tre mastodontici ex Gabinetti ministeriali in più leggeri organismi dei tre Segretariati generali creati presso le Amministrazioni centrali delle tre forze armate; alla definizione delle pratiche di discriminazione di ufficiali e sottufficiali di carriera ed allo sfollamento di quelli giudicati immeritevoli di continuare nel servizio; all’industrializzazione degli arsenali e degli stabilimenti militari; alla soppressione od alla riduzione dei «centri rifornimento quadrupedi», dei campi d’aviazione e dei poligoni di tiro non necessari, concedendo la conduzione dei terreni ricuperati a cooperative agricole di ex partigiani, reduci e combattenti; alla cessione secondo un piano organico ad enti pubblici od a privati, o alla trasformazione in alloggi demaniali per ufficiali e sottufficiali di tutti gli immobili militari (caserme, depositi, magazzini, ecc.), che, risultando esuberanti alle esigenze militari, costituissero un inutile e notevole aggravio di spesa per la loro vigilanza e per la loro manutenzione;

2°) di provvedere d’urgenza all’eliminazione delle irregolarità amministrative, delle deficienze di governo disciplinare del personale; delle deficienze di conduzione delle aziende agricole a gestione diretta e delle irregolari concessioni di terreni demaniali a privati speculatori, che caratterizzano l’andamento disciplinare, amministrativo e agricolo di alcuni «centri rifornimento quadrupedi» e di poligoni di tiro, con particolare riferimento ai centri di Montemaggiore, di Persano e di Grosseto e del poligono d’artiglieria di Nettuno; irregolarità e deficienze che, essendo di dominio pubblico, poco favorevolmente depongono nei riguardi dell’interessamento del Ministero della difesa e della apposita Commissione che da dieci mesi si occupa dello studio e della soluzione del problema con risultati sinora non molto soddisfacenti;

3°) di provvedere d’urgenza a devolvere parte delle economie realizzabili con l’adozione dei provvedimenti di cui ai precedenti comma 1°) e 2°), all’aumento dell’indennità militare degli ufficiali e dei sottufficiali, oggi del tutto insufficiente ad attenuare il disagio economico derivante ai militari di carriera di ogni grado dai frequenti trasferimenti cui sono soggetti per necessità riorganizzative delle forze armate e dalla relativa frequente necessità di dividere in due le proprie famiglie, nonché dalle esigenze di un servizio che, in confronto con quello dei funzionari civili di tutte le Amministrazioni statali e parastatali, non ha limiti di orario, senza beneficiare, per altro, di un corrispondente ed equo compenso straordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Azzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali, a tre anni dalla liberazione, nella importante strada provinciale «marittima» che collega le provincie di Frosinone e di Latina non sono stati ancora ripagati i danni bellici che non consentono tutt’ora l’uso della strada stessa, con grave pregiudizio degli interessi delle due provincie.

«E per conoscere, altresì, perché, oltre a dare il massimo impulso alla ricostruzione delle opere d’arte, non si provvede anche all’inizio dei lavori di ripristino del piano viabile onde non prolungare ulteriormente, dopo la ultimazione delle opere di cui sopra, la inefficienza della vitale arteria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere la esatta storia, la attuale situazione e i provvedimenti disposti o da disporre per risolvere il grave problema dell’acquedotto di Sora (Frosinone), con particolare riferimento alle ragioni per le quali il Consiglio comunale ritenne addirittura di dover deliberare fin dal 21 marzo ultimo scorso la costituzione di una Commissione di inchiesta.

«L’interrogante chiede, in particolare, all’onorevole Ministro dell’interno di informarlo circa le ragioni per le quali detta Commissione non è stata ancora convocata e investita del mandato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere:

1°) se non ritenga opportuno accertare, a mezzo dell’Arma dei carabinieri, se e quali degli appartenenti ai ruoli militari e civili nell’aeronautica, da tempo in attesa di reimpiego, abbiano trovato altra occupazione, sufficientemente remunerativa, nella vita civile;

2°) se, in base ai risultati delle indagini suddette, non ritenga opportuno, dopo aver sentito gli interessati, effettivamente impiegarli, se non abbiano altra occupazione; oppure collocarli a riposo nel caso contrario; e ciò allo scopo di mettere fine allo sconcio per cui ufficiali e civili, effettivamente non impiegati dal tempo dell’armistizio, continuino a figurare m servizio, percependo gli interi assegni, anche quando essi abbiano trovato una lucrativa attività nella vita civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere:

1°) per quali motivi non si sia dato ancora corso al decreto legislativo già esaminato dalla prima Commissione permanente dell’Assemblea Costituente concernente l’aumento dell’indennità di volo;

2°) se non ritiene che sia urgente emanare il decreto suddetto nella considerazione che il volo costituisce la parte essenziale delle attribuzioni degli ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica e che le indennità stabilite dallo schema di decreto legislativo suddetto sono pur sempre assai modeste rispetto a quelle che venivano corrisposte prima della guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno, per sapere se non ritengano opportuno, anzi necessario ed urgente, in vista della esasperante deficienza di alloggi nella città di Roma, emanare un provvedimento che faccia obbligo all’INCIS ed all’Istituto delle case popolari di dare la precedenza assoluta, nell’assegnazione degli appartamenti liberi, ai funzionari di ruolo delle Amministrazioni statali, che per ragioni di ufficio siano obbligati a risiedere a Roma, e che di fatto già vi risiedono da anni, ma che si trovino ad essere sprovvisti di alloggio in seguito a sentenze di sfratto, promosse da proprietari che abbiano richiesto l’alloggio per proprio uso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno prendere provvedimenti idonei ad esonerare dal pagamento del canone obbligatorio di abbonamento alle radio-audizioni, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 1° dicembre 1945, n. 834, le sedi dei Partiti politici, dalle quali invece viene attualmente preteso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Dugoni».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e come intenda affrontare e risolvere il problema dei segretari degli Istituti medi, i quali da tempo hanno chiesto il passaggio dal gruppo C, in cui ingiustamente si trovano, al gruppo B.

«Si rammenta a tale proposito che nell’ultimo congresso dei segretari, tenutosi a Roma, si era data per certa ed imminente la pubblicazione del provvedimento, che avrebbe posto fine ad una condizione di inferiorità ingiustificata ed ingiustificabile, per la quale i segretari degli Istituti medi, pur essendo muniti di diploma di scuola media di secondo grado, hanno un trattamento inferiore non solo a quello degli impiegati del gruppo B, ma anche a quello degli impiegati del gruppo C. Difatti, mentre questi ultimi arrivano al grado VIII, i segretari, che iniziano la carriera col grado XII, la finiscono col grado XI. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) se non ritenga opportuno e doveroso un maggiore e più severo controllo sulla vendita dei generi alimentari somministrati dai ristoranti di molte stazioni ferroviarie sia in rapporto alla loro qualità, che tende a peggiorare, che alla loro quantità unitaria, che tende a diminuire, e specialmente in rapporto ai loro prezzi, che tendono a salire, giorno per giorno, in modo vertiginoso e non giustificato, né da particolari esigenze, né da particolari situazioni di mercato, ma solo determinato da spirito di esosa speculazione, costringendo così i viaggiatori a sottostare, per necessità, ad un maggior aggravio di spese vieppiù dannoso per i meno abbienti;
  2. b) se del pari non ritenga necessario, per evidenti ragioni di giustizia e di rispetto ai regolamenti, eliminare lo sconveniente e deplorevole mercato nero dei biglietti ferroviari che si fa in alcune stazioni ed in modo massimamente impudente in quella di Roma, così da riservare solo ai viaggiatori che hanno larga disponibilità di danaro la possibilità di occupare, a loro piacimento ed in qualunque momento, i posti a sedere nelle vetture dei vari treni a lungo percorso e che dovrebbero invece restare liberi a tutti, secondo le normali regole di precedenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. Svolgimento della seguente interrogazione:

Benedetti. – Al Ministro dell’interno. – «Per conoscere le disposizioni che intenda impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo».

  1. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 14 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 14 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14)

Presidente

Cappi

Bertone

Bubbio

Marinaro

Condorelli

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle Finanze

Scoccimarro

Tosi

Fabbri

Adonnino

Piemonte

Fuschini

Dugoni

Canevari

Micheli

Perrone Capano

Bosco Lucarelli

Paris

Pallastrelli

Stampacchia

Tonello

Crispo

Presentazione di una relazione:

Uberti

Presidente

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Benedetti

Presentazione di una mozione:

Presidente

Lussu

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Continuiamo la discussione degli emendamenti all’articolo 27.

Rammento che la formulazione dell’articolo proposto dalla Commissione è la seguente:

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi, sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati presuntivamente nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26. Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

Al primo comma vi è un emendamento a firma dell’onorevole Cappi, così concepito:

«Al primo comma, alle parole: in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito, sostituire le altre: in detrazione dai beni».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Il mio emendamento è semplice: più che svolgerlo, non ho che da enunciarlo. Esso è in favore dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione. Si è parlato già molto in questa Assemblea dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione, i quali sono rimasti danneggiati dal fatto che, mentre il governo di allora aveva dato assicurazione che il prestito sarebbe stato allacciato al cambio della moneta, tale impegno non è stato poi mantenuto.

Quello del cambio della moneta fu anche un argomento assai valido per la propaganda ed io stesso me ne servii. Se avete del denaro nascosto – si diceva infatti per indurre a sottoscrivere – tanto vale che lo investiate nei titoli del prestito, perché poi, quando verrà il cambio della moneta, esso sarà decurtato.

Il mio emendamento è inteso dunque a venire incontro ai sottoscrittori. Esso consiste nel sostituire alle parole «in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito», le seguenti altre: «in detrazione dai beni».

Mi spiego. Secondo il testo del progetto, i sottoscrittori al prestito della ricostruzione i quali dimostrino di essere ancora in possesso dei titoli sottoscritti possono dedurli da quella quota presuntiva di denaro e titoli di credito che è stabilita, credo, dall’articolo 25. Io vorrei pertanto che fosse possibile la detrazione dalla quota presuntiva anche di mobilio o di arredamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bertone, Bosco Lucarelli, Micheli, Perlingieri, Quarello, Arcangeli, Germano, Bulloni, Bubbio, Cappi.

«Al primo comma, dopo le parole: accertati presuntivamente a mente degli articoli 25 e 26, aggiungere: o nella cifra maggiore denunciata dal contribuente».

L’onorevole Bertone ha facoltà di illustrarlo.

BERTONE. Il mio emendamento è diretto più che altro a chiarire la portata dell’articolo. In questo si ammette che il sottoscrittore al prestito della ricostruzione abbia il diritto di ottenere che l’importo dei titoli sia portato in detrazione dalla quota del 5 per cento presuntiva della ricchezza mobiliare che è stata sostituita all’accertamento mediante il cambio della moneta non più avvenuto. Su questo non c’è niente da dire, se non che potrebbe darsi o che il contribuente denunci una quota di valore superiore al 5 per cento, come potrebbe darsi che la stessa Amministrazione finanziaria, in base all’articolo 25, venisse per altre vie ad accertare a carico del contribuente una quota di patrimonio mobiliare superiore al 5 per cento. Di fatti l’articolo 25, prima parte, stabilisce che «le quote fissate nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà, da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto».

Rilevo qui, per incidente, la situazione, un po’ delicata e sotto certi punti di vista paradossale, in cui verranno a trovarsi i contribuenti possessori di ricchezze mobiliari; non gioielli o mobili, ma ricchezze mobiliari rappresentate da titoli al portatore, da moneta sonante oppure da depositi bancari. Il progetto di legge stabilisce, per questi valori, una quota presuntiva del 5 per cento, ma contemporaneamente dispone l’obbligo per il contribuente di dichiarare ugualmente tutti i cespiti e stabilisce che la quota posta a carico del contribuente potrà anche risultare dall’accertamento fatto dalla finanza, che sia venuta a conoscenza di questi cespiti mobiliari.

Ora, la prima osservazione da farsi su questo punto è la seguente: è chiaro che, se per avventura il contribuente dichiari una quota di ricchezza mobiliare superiore a questo presunto 5 per cento, oppure se la finanza venga ad accertare a carico del contribuente una quota maggiore del 5 per cento, il contribuente deve aver diritto di portare in detrazione altrettanta quota di prestito della ricostruzione che sia in sue mani.

Questo mi pare evidente, ed è in questo senso e a questo proposito che ho presentato il mio emendamento, contro il quale credo non vi possano essere obiezioni serie.

PRESIDENTE. L’onorevole Bubbio ha facoltà di illustrare il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie potranno essere computati a favore del marito, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 3, si considerino come beni del marito quelli acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937».

BUBBIO. È ovvio il fondamento dell’emendamento da me proposto. Dato che secondo l’articolo 3 del disegno di legge si considerano facenti parte del patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937, si potrebbe porre il quesito se agli effetti dell’articolo 29 in esame il marito possa portare a detrazione, propria, nei limiti fissati dalla stessa norma, l’importo dei titoli del prestito della ricostruzione che eventualmente fossero stati sottoscritti dalla moglie.

Pare a me e ad altri colleghi, che avrebbero sottoscritto l’emendamento se lo avessi loro in tempo proposto, che tale facoltà debba essere consentita, per tre ordini di motivi:

1°) perché, per la stessa presunzione che costituisce il fondamento dell’articolo 3 relativamente agli altri beni, si deve presumere che la moglie abbia sottoscritto al prestito della ricostruzione con il denaro somministratole dal marito;

2°) perché se è obbligatorio il coacervo dei beni dei coniugi agli effetti dell’imposta, in contrapposizione deve aversi la possibilità di uguale coacervo dei titoli del prestito predetto agli effetti della detrazione, con un logico parallelismo tra attivo e passivo, tra onere e deduzione;

3°) perché occorre tenere presente equitativamente la considerazione che la moglie, la quale non poteva sapere del coacervo più tardi disposto, dall’attuale disegno di legge, verosimilmente abbia sottoscritto i titoli a nome proprio, pur trattandosi di mezzi fornitile dal marito, nella fondata fiducia di poterne poi ottenere la detrazione ai fini dell’imposta progressiva.

Comunque considerando, questo sarà un ulteriore piccolo beneficio per i sottoscrittori del prestito di cui trattasi, la cui questione rimane tuttora aperta dopo le promesse fatte, e venute purtroppo meno, del cambio della moneta.

Confido perciò che l’emendamento sarà accolto.

Con l’occasione, e per quanto ciò esuli dalla discussione, mi sia lecito di rivolgere vivissima istanza al competente Ministro perché al più presto siano consegnati ai sottoscrittori del prestito predetto i titoli definitivi; e ciò soprattutto allo scopo di agevolare l’esazione degli interessi scaduti, senza obbligare i detentori alla presentazione dei titoli provvisori alle Ricevitorie provinciali, con operazioni che risultano assai complesse anche per i competenti uffici, attesa la necessità di elencare in tutti gli estremi i titoli provvisori, di stampigliarli e di farne la restituzione; il tutto con un lavoro ingente e costoso per gli istituti e, soprattutto, gravoso per i sottoscrittori.

Mi auguro che questa semplice raccomandazione possa essere anch’essa accolta.

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma, ripristinando il testo ministeriale».

L’onorevole Marinaro ha facoltà di svolgerlo.

MARINARO. Onorevoli colleghi, io richiamo tutta la vostra attenzione su questo emendamento. Qui non si tratta di fare una norma fiscale più o meno buona, più o meno opportuna, ma si tratta di evitare che nel sistema e nell’economia generale della legge entri una disposizione che a me sembra profondamente ingiusta.

Siamo in tema d’imposta straordinaria sul patrimonio: siamo quindi in tema d’imposta non reale ma personale, d’imposta cioè che colpisce i cittadini nel complesso dei loro rapporti con gli altri individui, relativamente al patrimonio tassato. Si tratta quindi d’una imposta globale, che tiene conto di tutti gli elementi patrimoniali, che si trasformano in valori e costituiscono un solo tutto ai fini dell’accertamento del patrimonio tassato.

Data questa natura dell’imposta personale che noi stiamo discutendo, è evidente, onorevoli colleghi, che noi dobbiamo tener conto di questa situazione di cose, dobbiamo cioè fare in modo che l’imposta patrimoniale straordinaria sia considerata come la sintesi di tutte le attività e di tutte le passività del contribuente, come la somma algebrica intorno alla quale si deve incidere fiscalmente.

Data questa natura dell’imposta è evidente, a mio avviso, che l’emendamento proposto dalla Commissione, il quale tende a non consentire la detrazione del debito contratto ai fini della sottoscrizione al prestito, contrasta sostanzialmente con il concetto dell’imposta e con lo spirito della legge che stiamo esaminando.

Questo detto in linea generale, secondo me potrebbe essere sufficiente a consigliare la Commissione a desistere dal proposito di aggiungere alla fine del primo comma dell’articolo 27 le parole che non si riscontrano nel testo ministeriale: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo». In base a questo principio di carattere generale, l’Assemblea può trarre il convincimento sicuro che l’inciso dev’essere eliminato così come non l’aveva incluso il testo ministeriale. Qual è la situazione che si verifica nel caso in esame? La situazione è questa. Lo Stato, in un determinato momento, si è trovato nella necessità di trovare moneta per le sue esigenze di cassa, per la sua politica finanziaria; ed ha detto ai cittadini: Venitemi incontro in questo momento, liquidate, eventualmente, anche una parte del vostro patrimonio; vi prometto che il vostro patrimonio residuo sarà esente dalla istituenda imposta patrimoniale.

Questo è l’impegno che ha preso lo Stato al momento in cui è stato indetto il prestito della ricostruzione (Interruzione del deputato Fuschini).

Io facevo, dopo la seduta di sabato, un esempio, onorevole Fuschini, che mi sembrava di una evidenza lapalissiana. Io e l’onorevole Fuschini siamo due contribuenti; abbiamo entrambi due appartamenti del valore complessivo di venti milioni, dieci milioni ciascuno. L’onorevole Fuschini vuol rispondere all’appello del Governo e vuole sottoscrivere al prestito della ricostruzione. Deciso in questo senso, vende un appartamento, ricava dieci milioni e sottoscrive al prestito della ricostruzione per dieci milioni. Che cosa succede? Come deve essere tassato, agli effetti dell’imposta patrimoniale l’onorevole Fuschini? Deve essere tassato per il residuo netto, poiché questo è il carattere dell’imposta patrimoniale personale straordinaria.

La tassabilità viene fatta sul patrimonio netto, quindi l’onorevole Fuschini viene tassato per il residuo patrimonio di dieci milioni.

Io, invece, che avevo al momento dell’emissione del prestito ugualmente due appartamenti, ritengo più opportuno di non vendere un appartamento ma di sottoscrivere ugualmente al prestito per dieci milioni e contraggo un debito con un privato o con una banca, magari concedendo l’ipoteca su uno dei due appartamenti. Ho contratto un debito di dieci milioni che devo estinguere. È questa una passività che deve essere detratta dal patrimonio? Questo è il punto essenziale, su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, se non si vuol correre il rischio di creare una grave ingiustizia. Tutti e due avevamo lo stesso patrimonio lordo al momento dell’emissione del prestito, vale a dire due appartamenti del valore di dieci milioni. Dopo la sottoscrizione al prestito tutti e due che cosa abbiamo? Lo stesso patrimonio netto, poiché l’onorevole Fuschini ha un appartamento invece di due; io ne ho due, ma ho dieci milioni di debito e tutti e due abbiamo lo stesso quantitativo di titoli del prestito della ricostruzione.

Onorevoli colleghi, mi sembra di una evidenza così convincente questo ragionamento che non è possibile resistere alla sua logicità.

Io dico che voi fate ai contribuenti due trattamenti diversi; voi create due forme di contribuenti. Tutti e due, al momento della emissione del prestito, si trovavano nella medesima posizione; oggi si trovano in una posizione diversa rispetto al fisco. E ad ogni modo la legge verrebbe a contraddire un principio fondamentale nel diritto finanziario che è quello, cioè, che in materia di imposta personale straordinaria la tassazione deve essere fatta sul patrimonio netto e non sul patrimonio lordo. Quando la Commissione nella sua relazione dice: «è il debito che non viene detratto dal patrimonio lordo», questo è un gioco di parole, perché, in definitiva, ciò che non viene esentato è il debito contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.

Confido pertanto che l’Assemblea vorrà accogliere il mio ragionamento.

FUSCHINI. È un ragionamento sbagliato.

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgere i seguenti emendamenti presentati unitamente ai colleghi Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo.

«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».

«Aggiungere al secondo comma: e, ove ne sia il caso, della persona a cui mezzo ha eseguito la sottoscrizione, che, facendo prima fede del mandato, firma l’elenco indicando, ove lo abbia eseguito o lo debba eseguire, il luogo della propria dichiarazione in ottemperanza della presente legge».

CONDORELLI. Se l’onorevole Presidente me lo permette vorrei premettere qualche considerazione su quanto ha dichiarato l’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Purché sia breve.

CONDORELLI. Sarò brevissimo.

Mi pare che quanto ha sostenuto l’onorevole Marinaro sia di una evidenza lapalissiana. Evidentemente, la Commissione è caduta in un equivoco, poiché ha voluto impedire, con la sua formulazione, che qualcuno si giovasse due volte della sottoscrizione. Perché chi sottoscrive al prestito della ricostruzione, giusto la legge che stiamo esaminando, viene ad avere due vantaggi: prima di tutto che non è tassato per quello che ha sottoscritto; secondo che quello che ha sottoscritto viene diffalcato dalla percentuale, diciamo così, per numerario.

Ora, indubbiamente, questi vantaggi spettano ambedue. Ma vediamo la situazione. Consideriamo due soggetti, che abbiano ugualmente un patrimonio di cento. Uno sottoscrive venti, ma prendendo il denaro dal suo cassetto. Che cosa avviene? Egli ha venti che non è tassato, perché prestito della ricostruzione. Inoltre questo venti gioca nel senso che viene diffalcato dal suo numerario. Dunque sarà tassato su 60; pagherà l’imposta del patrimonio su 60.

Quale sarà la situazione dell’altro soggetto il quale avrà sottoscritto con denaro che ha preso in prestito? Egli avrà venti che non è tassato, perché prestito, dunque pagherà su ottanta, mentre l’altro viene a pagare sii sessanta.

BUBBIO. Nessuno ha fatto dei prestiti!

CONDORELLI. Questo è proprio il caso di uno che ha contratto un prestito.

Se fate il conto, avete, indubbiamente, che quello che ha sottoscritto prendendo il denaro dal suo cassetto viene tassato su sessanta, avendo egli cento, mentre l’altro che se l’è fatto prestare, pur avendo il debito, che dovrà pagare, viene ad essere tassato su 80.

PRESIDENTE. La questione è stata posta con chiarezza. Passi ora ai suoi emendamenti.

CONDORELLI. Io dico non solo che è stata posta con chiarezza, ma che è stata risoluta con chiarezza. Se fate la giusta considerazione è così.

Il mio emendamento vuole soccorrere a una situazione che si è creata in dipendenza della interpretazione del decreto che apriva la sottoscrizione.

Quel decreto prometteva la esenzione dall’imposta sul patrimonio per i titoli del prestito della ricostruzione. Ora, la legge, molto opportunamente, prevede un secondo beneficio, cioè che quello che si è sottoscritto in titoli della ricostruzione venga diffalcato dalla quota presunta per numerario.

È avvenuto questo, che al dovere verso il Paese si sia adempiuto come si adempie in genere in tutte le sottoscrizioni di titoli al portatore: non era necessaria la presenza del sottoscrittore. Si poteva incaricare un figliolo, si poteva incaricare un fratello, si poteva incaricare il coniuge. Anzi, in rapporto al coniuge, avviene sempre così, per lo meno nei nostri Paesi meridionali, e forse anche negli altri paesi del Nord; è il marito che va a sottoscrivere. Se la moglie ha da fare una sottoscrizione, il marito si reca alla Banca per non far fare la coda alla moglie. Può capitare il caso del padre del minore che debba sottoscrivere per il figliolo, del tutore che debba sottoscrivere per il pupillo. Se questi avessero dovuto fare una sottoscrizione in nome del loro rappresentato, si sarebbero dovuti far autorizzare, ma trattandosi di sottoscrizione di titoli al portatore, non era necessario: si andava, si sottoscriveva, sicuri di garantire al proprio rappresentato o al proprio mandante il vantaggio.

L’interessante era di avere questi titoli. Ma la legge, molto opportunamente, ha assicurato un altro vantaggio: quello del diffalco di questi titoli dal numerario. Per assicurarsi questo vantaggio è però necessario dimostrare di aver sottoscritto personalmente.

Ora io domando all’Assemblea se non è il caso di accogliere il mio emendamento nel quale si chiede che quello che ha sottoscritto a mezzo di stretti congiunti o di mandatario possa, in base ad una dichiarazione, usufruire di questo vantaggio. Si fanno dei cumuli presumendo la rappresentanza da parte di altri membri della famiglia. Questa presunzione che deriva dai rapporti domestici, e che noi applichiamo largamente a danno del contribuente, una volta tanto applichiamola a suo vantaggio. Non è facile che il terzo dichiari di non esser lui il vero interessato alla sottoscrizione quando perde dei vantaggi.

A questo tende l’emendamento che io propongo, il quale calca perfettamente la realtà della nostra organizzazione domestica in cui è sempre l’elemento più fattivo il marito, il padre o, quando questi è vecchio, il figliolo, che provvede a queste operazioni di banca, quando – per la natura dell’operazione – non è necessaria la presenza del vero titolare.

Vorrei far notare anche il caso dei nostri emigranti. Ci sono stati molti emigranti che hanno incaricato la loro famiglia di fare una sottoscrizione. Di questi emigranti, ci ricordiamo quando dobbiamo tassarli, e adesso che potrebbero avere questo beneficio li dimentichiamo.

Il mio secondo emendamento, è correlativo a quello che ho illustrato perché vuole avvisare gli accorgimenti tecnici per far risaltare il mandante. Io propongo che basti una dichiarazione del mandatario perché si operi il trapasso dall’uno all’altro.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. La questione relativa all’articolo 27 è molto più grave di quanto l’Assemblea non si configuri finora, a giudicare almeno dai precedenti discorsi degli onorevoli colleghi. La Commissione, quando ha esaminato la disposizione dell’articolo 27, ha dovuto esaminare anche gli effetti che, sull’applicazione dell’imposta, avrebbe avuto l’esenzione stabilita dalla legge di emissione del Prestito ai fini della imposta medesima.

La Commissione ha dovuto constatare che chi ha sottoscritto il prestito della ricostruzione, presupponendo il cambio della moneta e l’imposta, ed ha visto svalutati i suoi titoli in Borsa, ha avuto una perdita, se la consistenza del suo patrimonio toccava una certa cifra; ha avuto un enorme vantaggio se la consistenza del suo patrimonio superava una determinata cifra. Mi spiego con un esempio molto chiaro: il possessore di un patrimonio di un miliardo pagherebbe a termine della legge il cinquanta per cento di imposta, pagherebbe cioè 500 milioni; se lo stesso possessore di un miliardo avesse convertito 500 milioni in Prestito della ricostruzione, il patrimonio tassabile, ai fini dell’imposta, risulterebbe di 500 milioni e il possessore pagherebbe, di imposta, circa 165 milioni, cioè, per il semplice fatto di aver sottoscritto 500 milioni di prestito della ricostruzione, il possessore risparmierebbe, in base alla legge sulla Patrimoniale, 335 milioni. Questo è il fatto che la Commissione ha dovuto prendere in considerazione.

BUBBIO. Ma questa è l’eccezione!

LA MALFA, Relatore. Noi dobbiamo stabilire la situazione del contribuente rispetto alla imposta. Ho detto che i patrimoni piccoli sono colpiti; per il fatto di aver sottoscritto il prestito, i patrimoni grossi non solo non subiscono una perdita, ma ne hanno enorme vantaggio. La Commissione ha dovuto tener conto degli effetti della esenzione del prestito dell’imposta, tanto per i piccoli come per i grossi patrimoni.

Dichiaro che se la Commissione avesse trovato un mezzo per impedire questo effetto dell’applicazione della legge l’avrebbe adottato, perché essa trova iniquo che la semplice sottoscrizione del prestito della ricostruzione assicuri, a possessori di un patrimonio al disopra di 500 milioni, vantaggi di alcune centinaia di milioni. La Commissione tuttavia si è resa conto che non aveva nessun mezzo legale per ovviare a questo inconveniente, poiché avrebbe dovuto revocare le concessioni fatte, durante la sottoscrizione al prestito, con la legge del prestito. Aggiungo che l’esenzione del prestito, che è stata legata, nel momento dell’emissione, alla legge sulla imposta patrimoniale, ha fatto oggetto di grandi speculazioni, specialmente sul mercato di Milano. Non si tratta di speculazioni in frode della legge – la legge non si conosceva – ma in previsione di quelle che sarebbero state le aliquote progressive e vi è stata una copertura, attraverso il prestito, ai fini della imposta medesima. A noi della Commissione è risultato, ad esempio, che sul mercato di Milano si sono sottoscritti sei-otto miliardi di prestito per evadere o per sfuggire alla progressività dell’aliquota. Come si sono sottoscritti questi sei-otto miliardi? I possessori di grossi patrimoni hanno contratto un debito in banca dando in contropartita azioni in loro possesso. Così, il loro patrimonio si presenta oggi all’attivo con una parte del patrimonio in beni reali ed una parte in prestito della ricostruzione, esente dall’imposta; al passivo con il debito verso la banca.

La Commissione ha tenuto conto di quello che è stato rilevato dagli onorevoli Marinaro e Condorelli, e non si è sentita in grado di fare una distinzione fra sottoscrizione ottenuta vendendo i propri beni e sottoscrizione ottenuta contraendo un debito in banca. Naturalmente, nell’ordine dei vantaggi che il prestito della ricostruzione ha dato, il fatto di avere contratto un debito è stato un ulteriore vantaggio, perché i possessori di grossi patrimoni, contraendo il debito, si sono garantiti anche contro la svalutazione della moneta, cioè hanno conservato intero il loro patrimonio. Quindi, hanno fatto un’operazione perfetta e brillantissima dal punto di vista dei loro interessi; mentre lo Stato ha fatto un cattivissimo affare nei loro confronti.

Ma la Commissione, pur rilevandolo, non ha potuto colpire questo fatto, non potendo distinguere fra prestito sottoscritto vendendo parte del proprio patrimonio o impiegando proprie liquidità, e prestito sottoscritto accendendo un debito in banca. Ed allora, ha cercato di colpire coloro che si sono coperti con debiti in banca, non vietando l’iscrizione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini di quella quota presuntiva di cui parla l’articolo 27. L’emendamento della Commissione non si deve interpretare nel senso che non sia ammessa la detrazione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini della quota presunta. Ed a questa correzione di portata assai limitata la Commissione è pervenuta con rammarico, dopo aver constatato l’impossibilità di stroncare con mezzi legali i vantaggi assicuratisi dai grossi patrimoni.

Perché la Commissione ha fatto l’emendamento ai fini della quota presuntiva? Essa ha ritenuto che l’esenzione della quota presunta in danaro volesse significare questo: presumo che tu abbia avuto una liquidità e che sottoscrivendo al prestito abbia impiegato questa liquidità; quindi, ti do modo di detrarre dalla quota presuntiva il prestito che hai sottoscritto. Ma se un tizio ha sottoscritto al prestito contraendo un debito, non ha impiegato le proprie liquidità nel prestito, ma ha impiegato le liquidità altrui. Non è quindi possibile concedergli il vantaggio di detrarre l’ammontare sottoscritto della quota presunta.

L’espressione usata dalla Commissione non è felice e può dare luogo a qualche dubbio. Comunque, il caso previsto dalla Commissione era quello che ho esposto, mentre sulla stampa è stato interpretato in maniera più estensiva. Il che indica come in definitiva ci fosse un po’ di coda di paglia in questa faccenda.

Ora, se l’emendamento della Commissione è mantenuto, è mantenuto in questo senso: colpisce, cioè, coloro che hanno contratto un debito a fronte del prestito della ricostruzione. Per costoro non vi è il diritto alla detrazione della quota presuntiva.

La Commissione sarebbe inoltre dell’idea di colpire integralmente i grossi patrimoni, che hanno già avuto molti vantaggi dal prestito della ricostruzione e quindi, limitare l’efficacia dell’applicazione dell’articolo 27 ai patrimoni non superiori ai 50 milioni.

In quanto all’emendamento Condorelli, esso sembra eccessivo alla Commissione. Si tenga anche conto del prestito della ricostruzione sottoscritto dalla moglie; però, estendere la facilitazione a qualsiasi altro congiunto fino al secondo grado o ad un rappresentante, significa ammettere che tutto il prestito della ricostruzione vada a diminuzione della quota presuntiva.

CONDORELLI. E il caso del procuratore, il quale non ha detto che agisce per procura.

LA MALFA, Relatore. Le leggi fiscali non possono essere vedute con criterio strettamente giuridico, perché altrimenti non si percepisce un soldo. Mi rammarico, ma la Commissione non può accettare l’emendamento Condorelli.

Per quanto riguarda l’emendamento Cappi, la detrazione del denaro ha, come dicevo, questo significato: presumo che tu avevi una liquidità e che, investendo nel prestito della ricostruzione, hai impiegato di questa liquidità. Ma se ammetto il prestito nella detrazione dei beni, allora il possessore di un miliardo, che abbia sottoscritto 500 milioni, non paga 500 milioni per sottoscrizione, e 500 per detrazione dai beni, e quindi praticamente non paga nulla. Questo non è possibile.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, c’è poi l’emendamento Bertone.

LA MALFA, Relatore. Al collega Bertone, osservo che se il prestito della ricostruzione va in detrazione della quota presuntiva, va nella presunzione che io non possiedo liquidità attuale. Detraggo dalla quota presuntiva, perché presumo che tu abbia investito nel prestito. Ma se una liquidità è esistente e reale ad oggi, a quale titolo detraggo? Non posso detrarre, perché la liquidità c’è e non la posso presumere. Anche il suo emendamento non può essere quindi accolto.

L’emendamento Tosi viene superato dalla nuova proposta della Commissione, e così l’emendamento Marinaro.

PRESIDENTE. Quale è la nuova proposta della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione proporrebbe, in prima istanza, di tornare al testo governativo e di aggiungere, come secondo comma:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori a 50 milioni».

Il secondo emendamento Condorelli la Commissione lo respinge, considerando implicito che, facendo il coacervo, si debba fare il coacervo di tutti i beni della moglie.

L’emendamento Bubbio può essere accettato come raccomandazione.

BUBBIO. È meglio accoglierlo ed inserirlo nel decreto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo condivide, in linea di massima, l’ordine di idee del Relatore e si associa alle sue considerazioni sui diversi emendamenti.

Se ho ben capito, sull’emendamento Bubbio la Commissione ha dato parere favorevole. È così?

LA MALFA. Relatore. Sì, come interpretazione.

BUBBIO. Tanto vale metterlo nel decreto.

PELLA, Ministro delle finanze. Se la Commissione, accettandolo a titolo di raccomandazione, ritiene di accoglierne il contenuto, il Governo preferisce che esso sia inserito nel decreto. Non vorrebbe che la potestà normativa dell’Amministrazione finanziaria, in sede di istruzioni, trasmodasse sino a dettar norme che il decreto non contiene.

LA MALFA, Relatore. La difficoltà di inserire l’emendamento consiste nel fatto che lo stesso caso può sorgere circa il patrimonio dei discendenti, quindi dovremmo fare una norma più completa.

Da questo punto di vista, è conveniente lasciare le cose come sono. La norma dovrebbe essere estesa anche al patrimonio dei discendenti cumulato al patrimonio dell’ascendente.

BUBBIO. Completatela la norma; è meglio dirle certe cose.

LA MALFA, Relatore. Non mi pare che sia rilevante…

PELLA, Ministro delle finanze. Propongo un compromesso. Accogliamo nella legge l’emendamento per quanto riguarda la moglie e lasciamo – e qui veramente può avere adito un’interpretazione per analogia – e lasciamo, dicevo, alle istruzioni di regolare la situazione per quanto riguarda i discendenti.

PRESIDENTE. Ma allora bisogna modificare l’emendamento radicalmente. Onorevole Bubbio, se lei è d’accordo sulla modificazione dell’emendamento, ne formuli un nuovo testo nel senso ora proposto e lo faccia pervenire alla Presidenza.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei far presente all’onorevole Ministro che o si indicano specificamente entrambi i casi o non se ne indica alcuno, giacché l’indicarne uno solo può significare che si intenda implicitamente escludere l’altro. Io non sono per nulla contrario che se ne faccia esplicita indicazione nella legge; vorrei però che così fosse fatto per l’un caso e per l’altro.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA. Relatore. Insisterei perché l’emendamento venisse considerato come raccomandazione, anche perché soltanto in tal modo sarà possibile studiarlo e vederne l’estensione. In caso contrario, invece, saremmo forse costretti a sospendere l’approvazione dell’articolo. Mi pare insomma che accettare, così di punto in bianco, una cosa di questo genere, soprattutto quando l’applicazione potrebbe essere anche più estensiva, non sia prudente.

PRESIDENTE. Invito il Governo a manifestare il proprio punto di vista.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo preferirebbe l’inserzione dell’emendamento in calce all’articolo e pertanto prega l’onorevole Bubbio di completarlo facendo riferimento anche ai discendenti.

PRESIDENTE. Nell’attesa che l’onorevole Bubbio completi l’emendamento, poiché si tratta di un’aggiunta finale, sulla quale potrà deliberarsi più tardi, esauriamo l’esame degli emendamenti proposti al primo comma dell’articolo.

Vi è anzitutto l’emendamento proposto per il primo comma dagli onorevoli Condorelli, Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo, non accettato dalla Commissione e neppure dal Governo:

«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».

L’onorevole Condorelli, vi insiste?

CONDORELLI. Vi insisto.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Sempre al secondo comma, vi è poi l’emendamento dell’onorevole Cappi, anche questo non accettato né dalla Commissione né dal Governo.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.

CAPPI. Ritiro l’emendamento. Avevo però chiesto di parlare per esprimere una opinione sull’altra parte dell’articolo che riguarda i debiti fatti per sottoscrivere al prestito. Vorrei richiamare l’attenzione della Commissione e del Ministro sulla facile possibilità di frodi a questo riguardo. Mi pare strano che vi siano stati dei forti capitalisti che abbiano fatto un debito pagando dal 7 all’8 per cento di interesse, per sottoscrivere un prestito al 3,50 per cento. (Approvazioni a sinistra).

A difesa del fisco mi parrebbero opportune due cautele: anzitutto, che il fisco potesse, in deroga al rispetto del segreto bancario, accertare – anche con ispezioni sui registri delle Banche – la realtà dei debiti che si affermano contratti; in secondo luogo, che anche per la detrazione di questi debiti sia necessario che al 28 marzo i titoli del prestito fossero ancora posseduti, perché mi consta che una delle facili manovre era questa: si contraeva un debito realmente, poi, dopo due o tre giorni, si vendevano i titoli e si riaveva il denaro. E, in questo caso, sarebbe ingiusto ammettere in detrazione il debito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Cappi mi fornisce la possibilità, anticipando in parte quello che sarà meglio sviluppato successivamente, di rassicurare l’Assemblea in ordine alle prove che l’Amministrazione richiederà per la documentazione dei debiti da ammettere in detrazione.

È esatto che forse si indulgeva troppo nel passato a richiedere, come documento sufficiente per tale dimostrazione, la dichiarazione del saldo del debito ad una determinata epoca. Ma vedremo meglio, esaminando i successivi articoli, che si parla di una più ampia documentazione e che è nelle intenzioni dell’Amministrazione finanziaria di chiedere estratti-conti per un determinato periodo di tempo; cosicché le operazioni di contemporaneo addebito ed accredito risulteranno evidenti dall’esame di un estratto-conto dei tre o sei mesi anteriori e di qualche mese successivo. Tale esame permetterà di individuare quelle passività fittizie che l’onorevole Cappi giustamente intende colpire.

Quest’accertamento può essere opportunamente ammesso, senza compromettere la questione del segreto bancario.

PRESIDENTE. Procediamo ora all’esame dell’emendamento dell’onorevole Bertone ed altri sul primo comma. Onorevole Bertone, lo mantiene?

BERTONE. Potrei ritirare il mio emendamento se la Commissione e il Ministro consentissero a togliere la parola «presuntivamente», dopo «accertati».

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Ripeto al collega Bertone l’argomentazione che avevo già fatta: si presume una quota di denaro, e si presume che chi abbia sottoscritto al prestito non abbia più quella quota di denaro. Ma se ce l’ha, a che titolo gli diamo l’esenzione? Se mi risulta che il contribuente detiene il denaro, non posso presumere che l’abbia investito nel prestito della ricostruzione.

PRESIDENTE. Dunque la Commissione è contraria a questo emendamento?

LA MALFA, Relatore. Sarebbe una contraddizione in termini.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi pare che la richiesta dell’onorevole Bertone sia – mi si consenta – abbastanza innocente perché gli articoli 25 e 26 riposano entrambi sul sistema presuntivo.

Ora, quando si chiede di evitare l’avverbio «presuntivamente» e di lasciare: «accertato nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26», non si tende – a mio avviso – che a togliere una parola probabilmente pleonastica.

Ma se ciò può servire all’onorevole Bertone per placare determinate perplessità, potrei aderire all’abolizione dell’avverbio «presuntivamente».

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Bertone ha rinunciato al suo emendamento principale, proponendo però l’eliminazione dell’avverbio «presuntivamente», pongo ai voti tale proposta, accettata dal Governo e non accettata dalla Commissione.

(È approvata).

Passiamo all’emendamento Tosi, già svolto nella precedente seduta:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma:

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

TOSI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Marinaro, mantiene il suo emendamento?

MARINARO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Si dovrebbe tornare, allora, al testo ministeriale, cui la Commissione proporrebbe l’aggiunta di un secondo comma così formulato:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 50 milioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra necessario chiarire la portata dell’articolo 25, per giudicare sull’opportunità di questo nuovo emendamento.

L’articolo 25 – non ancora discusso – dice che si calcola presuntivamente un tanto per cento in conto del denaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore.

Ora se, parlando di titoli di credito al portatore, si vuole alludere soltanto ai titoli di credito assoggettabili all’imposta e non già a quelli esenti, allora l’articolo 27 ha veramente una portata di agevolazione a favore dei portatori del prestito, perché in tale ipotesi, effettivamente, si dedurrebbe da una massa tassabile un determinato ammontare pari al valore dei titoli 3,50 per cento, oltre ad avere concesso l’esenzione a questi ultimi. Ma se si volesse dare all’articolo 25 – e qui è un peccato che l’Assemblea non abbia ancora manifestato il suo pensiero – una portata di accertamento globale induttivo di titoli al portatore esenti e non esenti, la detrazione prevista dall’articolo 27 è una detrazione sotto un certo profilo pleonastica perché se – a cagion di esempio – col 5 per cento si accertano a nome del contribuente 10 milioni di denaro e di titoli e se in questi 10 milioni vi sono due milioni di prestito della ricostruzione 3 e mezzo per cento, questi due milioni vanno già imputati in detrazione, in forza della legge di emissione del prestito, senza bisogno di particolare disposizione. E se questa fosse l’interpretazione dell’articolo 27, l’emendamento limitativo, che ci si propone oggi, dei 50 milioni, purtroppo rappresenterebbe una violazione dell’esenzione. Per questo prego l’Assemblea di considerare come, votando l’emendamento della limitazione dei 50 milioni, indirettamente si venga a dare una interpretazione all’articolo 25. Questa è l’osservazione che volevo fare prima di passare alla votazione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Per quanto riguarda l’articolo 25, mi pare che le dichiarazioni del Ministro precisino un punto: la quota presuntiva di titoli, denaro, depositi, da computare nel patrimonio è soggetta all’imposta; e poiché i titoli del prestito della ricostruzione non sono soggetti all’imposta è chiaro che non sono compresi nella quota presuntiva.

Desidero richiamare l’attenzione sul voto che ha dato l’Assemblea: quando noi consentiamo la detrazione dalla quota presuntiva dell’importo sottoscritto al prestito, in definitiva noi presupponiamo il caso di chi avendo denaro liquido lo ha impiegato nella sottoscrizione al prestito; ed ora con l’attribuzione della quota presuntiva soggetta a imposta, se non si consente la detrazione, di fatto per lui si annullerebbe il beneficio concesso ai sottoscrittori del prestito. Se il possesso di liquido effettivamente esiste, significa che non è stato impiegato nella sottoscrizione, ed allora non è giustificata la deduzione dell’importo sottoscritto. Ma se il possesso di denaro liquido presunto di fatto non esiste, perché impiegato nella sottoscrizione al prestito, allora è pienamente giustificata la deduzione.

È chiaro che nel primo caso si concede un beneficio che supera i limiti delle concessioni previste nella legge del prestito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Scoccimarro ha fatto delle considerazioni esattissime, che non avrebbero bisogno di ulteriori aggiunte se venissero considerate nel quadro esclusivo dell’imposta straordinaria sul patrimonio, indipendentemente da qualsiasi considerazione di altri settori. Però qui siamo nel campo di agevolazioni particolari accordate in sede empirica, in dipendenza della rinunzia al cambio della moneta. Tale è la genesi di questa ulteriore detrazione.

Quando si è emesso il prestito della ricostruzione del 3,50 per cento, si sono fatte molte promesse, fra cui due: una di carattere positivo (esonero dall’imposta); l’altra, di carattere negativo (bastonata a chi non sottoscrive al prestito data mediante il cambio della moneta). Siccome questa bastonata non ci fu, si cerca di colpire ugualmente la ricchezza del portatore con altri mezzi. Ad ogni modo, sarebbe opportuno accordare questa prima agevolazione, in aggiunta ad altra contemplata nel disegno di legge a favore di chi ha sottoscritto al prestito 3,50 per cento. È certamente un’agevolazione empirica: ma è appunto in questo senso che io prego l’onorevole Scoccimarro di considerarla.

PRESIDENTE. La Commissione insiste nell’aggiunta proposta?

LA MALFA, Relatore. Come ho già detto, la Commissione torna al testo governativo senza l’aggiunta già proposta dalla Commissione medesima.

Propone inoltre di aggiungere al primo comma un secondo, in cui si dica: «La detrazione del denaro, depositi, ecc., si applica soltanto per patrimoni non superiori ai 50 milioni».

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Osservo che c’è un contrasto netto fra quello che dice la Commissione e quelle che sono state le giuste ragioni portate dal Governo a favore dei sottoscrittori al prestito.

Se lo scopo dell’agevolazione del Governo è quello di detrarre l’importo impiegato nella sottoscrizione del prestito della ricostruzione, non c’è ragione di porre il limite ai 50 milioni, perché questa gente che ha sottoscritto ha diritto a quei vantaggi empirici, come li ha chiamati il Ministro.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Mi pare di aver detto che per i possessori di patrimoni al disopra di una certa cifra l’esenzione dall’imposta del prestito è già un vantaggio maggiore di qualsiasi altro vantaggio. Quindi è inutile che aggiungiamo un vantaggio, perché ho dimostrato che colui che possiede un miliardo e sottoscrive 500 milioni, risparmia 325 milioni di imposta.

Ora siccome i piccoli patrimoni sono colpiti, abbiamo stabilito un limite perché questi piccoli patrimoni abbiano un vantaggio e gli altri patrimoni non lo abbiano.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Fabbri. Ne ha facoltà

FABBRI. Francamente, o io non ho capito, o qui stiamo violando le condizioni del prestito. In una parte c’è stato l’emendamento Bertone il quale facendo togliere il «presuntivamente» ha creato una confusione dell’altro mondo, perché se un tale dice di avere dei titoli nel suo patrimonio in eccedenza alla quota presunta, perché mai, avendoli, non gli dovrebbero essere considerati anche se ha sottoscritto al prestito in larga misura? Sarebbe una seconda esenzione che non capisco. Nella legge tributaria c’è una presunzione di una disponibilità liquida. La legge del prestito diceva che quella parte di liquido presunto che sarebbe stata impiegata nel prestito non sarebbe stata conseguentemente considerata nel patrimonio. Quindi, se io ho una presunzione di un milione di liquido e dimostro di aver preso 900.000 lire di prestito, io non posso essere tassato che per cento mila lire, perché con le altre 900.000 lire ho comprato il prestito. Se però, dopo aver goduta la esenzione dalle 900.000 lire, spese pel prestito, dichiaro di avere anche altro denaro, questo altro denaro deve essere tassato. Quindi non ho capito perché si è tolto il «presuntivamente».

Adesso vi è dalla stessa fonte un secondo emendamento ed è di fare la detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere il prestito soltanto per coloro che hanno meno di cinquanta milioni. Ma l’eventuale possessore anche di dieci miliardi, al quale è stato garantito che se sottoscriveva il prestito era per il corrispondente importo esente dall’imposta… (Rumori).

LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Effettivamente nel votare la soppressione dell’avverbio «presuntivamente», noi abbiamo spostato la base dell’articolo 27.

FABBRI. Ma poi si è insistito nel dire che vi sarà detrazione…

LA MALFA, Relatore. Precisamente. Per rimediare a questa che è stata una conseguenza, la Commissione ha apportato un emendamento al primo comma, che suona così: «Aggiungere, dopo «a mente degli articoli 25 e 26», le parole: «nei limiti della quota presuntiva». Così si chiarisce un dubbio dell’onorevole Bertone.

Per quel che riguarda il secondo comma, non è che noi non ammettiamo più le agevolazioni fatte in materia di prestito. A giudizio della Commissione il prestito è sempre esente. Ma il secondo comma, stabilendo che: «La detrazione si ammette per patrimoni non superiori a cinquanta milioni», afferma implicitamente che siccome al di là dei cinquanta milioni o dei cento milioni, come volete – ma la Commissione è per la prima soluzione – il vantaggio dato dall’esenzione del prestito è sufficiente, il contribuente non ha più diritto ad altri vantaggi. Non c’è quindi nessuna contradizione ed il testo proposto dalla Commissione mette in chiaro tutte le questioni poste dall’Assemblea.

ADONN1NO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Ritengo, onorevoli colleghi, che quanto all’avverbio «presuntivamente» dell’articolo in esame sia perfettamente esatto il testo primitivo della Commissione. Se noi presumiamo che quei denari ci siano, è inutile venire a dire che i denari furono impiegati nel prestito. Io lascerei: «presuntivamente», né mi pare che migliori le cose la nuova formula ora proposta dalla Commissione; «nei limiti della quota presuntiva». A me pare che la situazione resti sempre la stessa. Cosa significa questa dizione? Significa che il denaro non c’è, ma presumiamo che ci sia. Se invece il denaro è dichiarato esistente dal contribuente, è assurdo che diciamo che con questo denaro sarebbe stato contratto il prestito, perché con questo denaro il prestito non è stato contratto, tanto vero che il contribuente lo dichiara ancora esistente. Siamo nelle strette di una logica a cui non si può sfuggire: o il denaro c’è, e non dobbiamo detrarre nulla perché con questo denaro non si è contratto il prestito, tanto vero che il denaro ancora esiste; o il denaro non c’è, ed allora possiamo presumerlo soltanto, e possiamo detrarre il prestito. Dunque si deve trattare soltanto di «accertamento presuntivo» e mai «dichiarato».

Per quanto riguarda poi l’altro punto, vale a dire l’emendamento Tosi, mi pare che la formula nuova della Commissione faccia un giudizio salomonico, cioè l’accetta per metà, per i patrimoni fino a 50 milioni. È esatta o no la logica dell’onorevole Tosi? È esatta, perché il debito fatto…

TOSI. Ma l’emendamento è ritirato ormai!

ADONNINO. Per me la proposta Tosi era esattissima, ma se è ritirata, allora va modificata la proposta della Commissione nel senso di non ammettere la detrazione in nessun caso e non solo per i capitali fino a 50 milioni.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Voglio chiarire che, se io avevo fatto la proposta di ritirare il mio emendamento, accettando di sopprimere la parola «presuntivamente», è stato perché questo invito mi era stato rivolto da un membro autorevole della Commissione che credevo parlasse a nome della Commissione stessa. Poiché è stato rilevato, come ha fatto giustamente osservare l’onorevole Fabbri, che togliere questa parola può portare ad inconvenienti e a confusioni, io aderisco alla nuova formula dell’onorevole La Malfa. Lungi da me il voler fare delle confusioni.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Desidero fare una proposta concreta. Per non ridurre quasi a nulla i vantaggi concessi a favore dei sottoscrittori del prestito, cui ha accennato il Ministro, propongo, in linea conciliativa, che la limitazione della detrazione sia portata dai capitali di 50 milioni fino a 100 milioni. (Approvazioni).

MARINARO. Mi associo alla proposta e ritiro il mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Vorrei leggere il testo dell’articolo 27 proposto dalla Commissione:

«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva».

Questo è il primo comma.

Il secondo comma suonerebbe così:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 100 milioni», secondo l’emendamento Cappi, che noi accettiamo.

Mi pare che non c’entri più la questione del debito, perché la Commissione ha ritirato l’emendamento proposto a suo tempo.

Ora, stiamo considerando la detrazione del prestito dalla quota presuntiva.

MARINARO. Con questo, resta inteso che la Commissione ha abbandonato il primitivo emendamento relativo alla detrazione del debito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministra delle finanze. Mi si consenta di affermare che l’avverbio «presuntivamente», a mio avviso, era superfluo e che quindi è indifferente sia lasciato o ritirato. Quando nell’articolo 27 parliamo di depositi, titoli di credito, ecc., accertati a mente degli articoli 25 e 26, ci riferiamo a due articoli che regolano soltanto gli accertamenti presuntivi. Non vi è nulla, in questi due articoli, che significhi dichiarazione analitica o accertamento analitico. La portata dei due articoli si inquadra nettamente ed esclusivamente nel sistema presuntivo.

BERTONE. L’articolo 25, secondo comma, parla degli accertamenti analitici.

PELLA, Ministro delle finanze. Va bene, ma è un riferimento all’obbligo generale. Ad ogni modo, la questione è superata.

Vorrei, però, pregare l’onorevole La Malfa di riflettere sulla portata dell’emendamento della Commissione, così come è stato formulato. Quando parliamo di patrimoni non superiori ai 50 milioni, evidentemente ci riferiamo ad un patrimonio accertato in sede fiscale. Ora, io faccio un caso limite, attraverso cui potrebbe sfuggire qualche grossissima cifra. Caso limite di chi aveva un pacchetto azionario di 500 milioni ed ha acceso un debito di 460 milioni. Vi sono 460 milioni di titoli che entrano nel gioco. Ora, 500 milioni di titoli meno 460 di debito, danno come differenza 40 milioni. In questo caso si sarebbe avuto il beneficio della detrazione del debito dei 460 milioni; inoltre, si avrebbe ancora il beneficio dell’ulteriore detrazione nei limiti della quota presuntiva.

Ora, il Governo non può essere tenuto ad usare agevolazioni nei confronti di coloro che hanno maliziosamente acceso dei debiti per sottoscrivere al prestito, perché il suo scopo era di chiamare a contributo la ricchezza liquida, che era in possesso dei sottoscrittori.

Il gravare sull’apparato bancario e sulla circolazione, certamente non rientrava nelle intenzioni del Governo.

Se una interpretazione letterale di coordinate disposizioni di legge non risulta sufficiente per respingere la detrazione di questi debiti, cerchiamo almeno di adottare delle formule che non significhino creare ulteriori vantaggi. In concreto, io vorrei suggerire che il proposto emendamento venisse trasformato in questo ordine di idee: qualunque sia il limite di cifre, oltre il quale non c’è più l’agevolazione, tale limite sia determinato, solo a questo scopo specifico, tenendo conto anche dell’ammontare dei titoli, perché solo così si riesce ad evitare che si concedano agevolazioni anche a chi ha posto in essere qualche grosso indebitamento a scopo di evasione.

PRESIDENTE. Faccio presente all’Assemblea che è necessario giungere ad una soluzione. Prospetto l’opportunità che la Commissione, insieme con i proponenti degli emendamenti, si riunisca e cerchi di pervenire ad un accordo, sia pure relativo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La difficoltà in cui si trova la Commissione è notevole. Da sabato ad oggi sono stati presentati emendamenti che allargano la base del problema, e la Commissione deve trovare una soluzione seduta stante. Ciò presenta notevoli difficoltà.

Detto questo, credo di poter chiarire all’onorevole Ministro delle finanze che questa preoccupazione dei debiti l’ha avuta anche la Commissione. Ma ad un certo punto l’ha superata mettendosi da un punto di vista più generale, cioè queste speculazioni, che si sono risolte nel contrarre un debito per sottoscrivere al Prestito, riguardano i grossi patrimoni. Se noi stabiliamo il limite di 50 o 100 milioni, noi in un certo senso mettiamo fuori causa queste speculazioni, perché per queste speculazioni non applichiamo più la detrazione.

Per i piccoli patrimoni, che hanno bisogno di questo vantaggio perché hanno avuto una perdita secca sottoscrivendo al prestito, manteniamo l’agevolazione.

Credo che, votando il testo della Commissione, non si commettano errori e si stabilisca una perequazione tra le varie posizioni.

Pregherei, quindi, di mettere in votazione il testo così come è stato presentato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Piemonte. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Io sono sorpreso dalla facilità con cui si passa da 50 a 100 milioni. E sono anche sorpreso dal fatto che fra la proposta della Commissione e quella che ha esposto il Ministro delle finanze c’è una profonda differenza.

Propongo che si sospenda la seduta per qualche minuto, in modo che il Governo e la Commissione possano mettersi d’accordo.

FUSCHINI. Concordo con l’onorevole Piemonte.

LA MALFA, Relatore. Ma siamo già d’accordo.

PRESIDENTE. Mi pare che si sia giunti ad un punto in cui si possa passare alla votazione.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi dispiace, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, di dover interloquire così spesso, ma ritengo che la questione sia veramente importante e credo che possa essere risolta ponendola nei termini seguenti. Quello che può turbare la bontà del limite – a parte la considerazione della elevatezza della cifra – è l’introduzione dell’elemento pericoloso dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.

Io vorrei pregare che, magari, si elevi la cifra, ma che ai fini di questo limite, non si ammettano in detrazione i debiti contratti per la sottoscrizione del prestito.

TOSI. È ingiusto, ed è contrario all’articolo 22!

PELLA, Ministro delle finanze. Prego quanti sono fautori della detrazione del debito di tener ben presente che qui siamo su un campo accessorio.

Agli effetti del bonifico sulla quota presunta del danaro, depositi e titoli di credito al portatore, insisto di non detrarre i debiti contratti per sottoscrivere il prestito.

Soltanto per questa via si arriva ad eliminare l’inconveniente cui ho accennato.

Naturalmente il Governo si rimette a quello che decide l’Assemblea; ma desidero che resti traccia, nel verbale della seduta, che il Governo si è fatto carico di questa situazione.

PRESIDENTE. Dovrei allora mettere in votazione il testo proposto dalla Commissione.

PIEMONTE. Vi è la mia proposta di sospensione.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, lei fa una proposta formale?

PIEMONTE. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la proposta dell’onorevole Piemonte di sospendere la seduta per qualche minuto, onde giungere alla compilazione di un testo concordato.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 18.45, è ripresa alle 19.10).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. A nome dei colleghi della Commissione, insisto sul testo proposto dalla Commissione stessa, che, a nostro giudizio, è quello che risolve meglio la questione.

Il Governo può accettarlo o chiedere la sospensiva.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Per la controversia che stiamo dibattendo esistono due ordini di questioni; una relativa alla detraibilità dei debiti accessi appositamente per sottoscrivere al prestito; l’altra relativa ai limiti della detraibilità dalla quota presunta, cioè relativa alle agevolazioni da dare ai sottoscrittori al prestito.

Se ho ben compreso, l’ultima proposta della Commissione implicitamente significa ammettere in detrazione i debiti accessi per la sottoscrizione al prestito.

È questo che veramente rende perplesso il Governo. Quando ci si dice che in sostanza tutto ciò rientra nel sistema di tassazione del patrimonio netto, vorrei rilevare che appunto in questo momento noi stiamo redigendo la legge che deve regolare questa imposta e quindi non vi è nulla di prefissato che ci impedisca di esaminare la questione alla luce della giustizia e – vorrei aggiungere – anche alla luce della morale.

Non è la prima volta che in sede tributaria determinate detrazioni sono subordinate a che la contropartita attiva sia assoggettata al tributo. È vero che questo concetto trova applicazione nel campo delle imposte reali, mentre qui ci troviamo in sede di imposta personale, ma non è chi non veda come ragioni di giustizia richiederebbero che, se detrazione vi è per un debito acceso allo scopo di acquisire un determinato cespite, quel cespite sia pure acquisito all’imposta.

Qui ci troviamo invece davanti a debiti che sono stati accesi per acquisire un cespite che è sottratto all’imposta.

Né si venga a dire che con questo noi violiamo la legge di emissione del prestito. Protesto nella forma più vibrata e – vorrei aggiungere – nella forma più solenne contro affermazioni di questo genere. Lo Stato in questo momento, qualunque sia la soluzione che sarà adottata dall’Assemblea in ordine alla detraibilità dei debiti, non viola alcun impegno. E questo desidero che l’Assemblea senta e, con l’Assemblea, lo senta anche il Paese.

Il decreto di emissione del prestito conteneva un impegno; quello di esentare il titolo dall’imposta. Questo impegno è solennemente mantenuto!

Ora, in ordine alle determinazioni che l’Assemblea dovrà prendere per decidere sulla detraibilità o meno dei debiti, mi si consenta di ricordare la fisionomia assunta dalle sottoscrizioni al prestito. Le statistiche ci hanno detto che larghissime affluenze si sono avute da parte di piccoli sottoscrittori – quelli che non avevano un interesse fiscale alla sottoscrizione – mentre invece sappiamo che molte grosse sottoscrizioni sono state effettuate proprio calcolando l’onere dell’imposta a cui ci si poteva sottrarre. Ed è su questa situazione di fatto, che non può non influire sull’atteggiamento che dovremo tenere nel decidere sulla detrazione o meno, che io desidero richiamare in questo momento l’attenzione degli onorevoli colleghi, pur senza cercare di influenzare la loro decisione.

Il Governo preferirebbe che questa questione così delicata non venisse decisa con una votazione di maggioranza, che probabilmente sarebbe votazione di stretta maggioranza.

Non dispero che, assieme alla onorevole Commissione, si possa trovare la via soddisfacente per tutti. Qualche passo in avanti è stato fatto nel breve intervallo di sospensione della seduta; probabilmente prima della prossima seduta la soluzione si troverà.

Per questo mi associo alla richiesta di sospensione della discussione di questo articolo formulata dal Relatore.

PRESIDENTE. Siamo dunque di fronte ad una proposta di sospensiva di questo articolo 27.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero manifestare ben chiaramente il mio pensiero, perché quando la Commissione e il Governo avessero concordato la proposta da portare all’Assemblea, forse sarebbe difficile ritornare sulla questione.

Voglio parlare brevissimamente soltanto sul punto della detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.

Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità di questa questione, che ho avuto occasione di sentire nel momento in cui nasceva, quando cioè, nella mia qualità di Ministro del tesoro, mi recai nelle più grandi città d’Italia a far propaganda per il prestito. Fui allora avvertito, da persone di altissima responsabilità, nelle città più importanti per la finanza, per il commercio e per l’industria, che si stava organizzando su larghissima scala l’evasione dall’imposta sul patrimonio mediante la creazione di riporti fittizi, di anticipazioni fittizie e di mutui fittizi presso istituti di credito. (Approvazioni a sinistra).

Dunque questo addebito non poteva certamente riferirsi né ai piccoli né ai medi risparmiatori, che hanno fatto onore alle loro tradizioni come risulta dalle cifre statistiche che abbiamo sentito, in questa Assemblea, esporre dal Ministro del bilancio in risposta ad una precisa domanda. Questi appunti e questi addebiti vanno invece riferiti alle grandi classi abbienti, use alle grandi operazioni finanziarie, sulle quali è difficile poter gettare lo sguardo a fondo, perché nessuna indagine anche fiscale riesce a penetrare nel fondo di queste operazioni.

Orbene, io mi chiedo se si possa ammettere, se si ragiona con il buon senso e seguendo la rettitudine e la moralità, che vi sia stato qualcuno che abbia contratto debiti presso una banca od un istituto di credito qualsiasi, debiti correnti ad un interesse che non può essere stato inferiore al 7 o all’8 per cento, per investire somme in un titolo che gli rendeva il 3,50 per cento. (Commenti).

MARINARO. Ma c’era il vantaggio del prestito!

BERTONE. Domando se sia ammissibile che si sia contratto un debito che doveva essere pagato in quattro o sei mesi al massimo per ricevere un titolo che sarà pagabile fra trent’anni; se sia ammissibile che si sia contratto un debito da pagarsi al cento per cento per ricevere un titolo che nei corsi di borsa avrebbe perduto parte del suo valore nominale.

Può essere avvenuto che operazioni di tal genere siano state fatte. Io, personalmente, manifesto la mia opinione che queste operazioni non possono essere che fittizie, perché una persona di buon senso, si sarebbe regolata in tutt’altro modo, non certo ricorrendo a prestiti fatti sotto forma di riporti o di anticipazioni o di mutui bancari.

Poiché nell’articolo 22 sta scritto che tutti i debiti contratti esistenti all’epoca del 28 marzo 1947 possono essere detratti, se non si esclude il debito che fu contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione, noi veniamo a inferire una ferita sanguinosa al fianco di questo prestito. A questa manovra dichiaro assolutamente di non prestarmi. (Vivi applausi).

Perciò, se la Commissione rinuncia all’emendamento, lo faccio mio; domando, cioè, che sia posto in votazione il testo integrale inizialmente proposto dalla Commissione per l’articolo 27, salvo la parte riguardante la detrazione circa la quota presuntiva, al cui proposito vi è una nuova proposta dell’onorevole La Malfa sulla quale non ho nulla da dire. Ma ciò che intendo precisare è la posizione che credo necessario assumere circa i debiti contratti per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.

PRESIDENTE. Pongo innanzitutto ai voti la proposta di sospensiva.

(Non è approvata).

Comunico all’Assemblea il seguente emendamento fatto pervenire ora alla Presidenza dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro:

«Aggiungere alla fine del primo periodo dell’articolo 27: Se il Prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo quando esso superi i 50 milioni».

Pongo ora in votazione la formulazione del comma, proposta dalla Commissione, che aggiunge alla fine del testo ministeriale le parole: «nei limiti della quota presuntiva».

(È approvata).

Passiamo ora all’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

DUGONI. Chiedo che l’emendamento sia votato per divisione.

PRESIDENTE. D’accordo. Si voterà prima fino alle parole «patrimonio lordo» e successivamente la proposizione finale «quando esso superi i 50 milioni».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Sono estremamente sensibile alle considerazioni di ordine morale dell’onorevole Bertone, le quali, in sostanza, si riducono alla supposizione di debiti fittizi per sottoscrivere al prestito.

Ora, in realtà, da che mondo è mondo, nessuno ha mai potuto sostenere che in occasione di imposte sul patrimonio o di qualsiasi altra imposta, a questo riferentesi le passività, che sono sempre deducibili, possano essere passività fittizie.

Fiscalmente, giuridicamente e secondo anche il senso comune, una passività per essere deducibile deve avere certe determinate caratteristiche di verità e di dimostrabilità. Ma una volta che questa dimostrazione sia stata data e, nel caso particolare, sia stato garantito che chi sottoscriveva era, per la parte del patrimonio impiegata nella sottoscrizione, esente dall’imposta è, secondo me, una cosa abbastanza analoga alla truffa quella di sostenere che dalla entità di un patrimonio non si deducono le passività fatte per sottoscrivere e tutte le passività in genere, qualunque sia il motivo per cui le passività sono state contratte. E quando dal banco del Governo sento sostenere questo sofisma e questo gioco di parole, che il Governo mantiene il suo impegno, perché tiene ferme le esenzioni dall’imposta relativamente al titolo, ma non ammette la detrazione del debito acceso per avere il denaro che abbia servito per acquistare il titolo, si tratta di un volgare gioco di parole.

Mi dispiace di usare una espressione così grave, ma è un gioco di parole il quale è estremamente pregiudizievole per il credito dello Stato.

Se non si ammette la detrazione del debito contratto per sottoscrivere e si colpisce il patrimonio senza la detrazione di questa cifra, in realtà si colpisce obiettivamente il titolo, che per legge è stato dichiarato esente e quindi si viene meno all’impegno solennemente contratto, il che torna a grave pregiudizio del credito dello Stato.

Può darsi benissimo che non sia stato nell’intendimento del Governo, come si è espresso l’onorevole Pella, che suggerendo di sottoscrivere non si sia suggerito di far anche debiti per sottoscrivere. Ma non era neanche nell’intendimento dei sottoscrittori che avendo sottoscritto e pagato una determinata cifra hanno constatato dopo poche settimane la caduta di questo titolo a 72-73 lire, di fare una perdita secca di quella entità.

Personalmente la cosa non mi interessa né punto, né poco, ma dal punto di vista del credito dello Stato la trovo straordinariamente grave e soprattutto trovo grave che dal banco del Governo si facciano dei giochetti di parole e si dica che non si ammette la detrazione, ma si mantiene la esenzione del titolo. Questo non è serio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Devo evidentemente respingere l’apprezzamento dell’onorevole collega. Non vado oltre quei limiti che sono sufficienti per difendere le intenzioni del Governo e per difenderne la lealtà, ma sino a quei limiti, e non oltre, la mia protesta non può che essere vibrata. Quando noi affermiamo la esenzione del titolo del 3 1/2 per cento, noi rispettiamo in pieno quello che è l’impegno del decreto di emissione. Tutto il resto è discussione sul principio se l’imposta straordinaria sul patrimonio debba colpire quel patrimonio che risulta dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi e passivi o soltanto quel patrimonio residuante dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi soggetti dell’imposta e di tutti gli elementi passivi che hanno concorso a formare i cespiti tassabili.

Ricordiamoci bene che la detrazione di cui parliamo è la detrazione che non ha il corrispettivo in un cespite tassabile. Devo anche qui – mi perdoni l’onorevole collega – deplorare che amore di tesi, sia pure con la più innocente delle intenzioni, porti ad affermazioni che non possono che essere troppo gravi. Poiché si pone in discussione la lealtà dello Stato nell’adempiere ai propri impegni, impegni che invece sono osservati scrupolosamente, mi permetta l’Assemblea di respingere nel modo più vibrato simili affermazioni. (Applausi al centro).

Voci. Basta! Basta!

LA MALFA, Relatore. Non credo che basti, e noi abbiamo il dovere di stabilire a questo punto le responsabilità rispettive. La prima responsabilità delle condizioni in cui è stato emesso il prestito risale al Ministro Bertone e non può essere colmata da nessun’altra supposizione. Mi è d’uopo dire ciò per lealtà verso il Paese e verso l’Assemblea. Il Ministro Bertone ed i suoi consulenti non hanno calcolato tutte le condizioni alle quali hanno emesso il prestito.

BERTONE. Dite «il Governo», non «il Ministro Bertone».

LA MALFA, Relatore. Affermo appunto una responsabilità del Governo, del Ministro Bertone, del Governatore e del Direttore della Banca d’Italia, e la stabilisco pubblicamente, perché quando sono stato interpellato sul prestito, ho dichiarato che non si può emettere un prestito concedendo agevolazioni su due provvedimenti – cambio della moneta ed imposta – che non sono stati concretamente emanati. Nessun Governo può emettere un prestito dichiarando di favorirlo circa l’imposta patrimoniale e il cambio, senza aver detto ai possibili sottoscrittori che cosa sarà l’imposta e che cosa sarà il cambio.

Si tratta di una svista tecnica fondamentale. Conseguenza: se un sottoscrittore, fa i suoi conti e calcolando la progressività delle aliquote, maschera il suo patrimonio attraverso il debito, era dovere del Governo di prevedere il caso e dire: «Nella emissione del prestito, al di là di un limite patrimoniale, non consento l’esenzione del prestito della ricostruzione»; e il Governo doveva sapere di aver a che fare non soltanto con i piccoli risparmiatori, ma anche con coloro che hanno un grosso patrimonio e vogliono fare attentamente i loro calcoli.

FABBRI. E lo doveva dire prima!

LA MALFA, Relatore. Giusto: e lo doveva dire prima. È avvenuto quello che la Commissione ha accertato. Fatti i calcoli su aliquote che erano state più o meno pubblicate, i grandi possessori di patrimonio si sono coperti per mascherare il loro patrimonio. Il Governo in quel momento non ha detto a nessuno quali erano le condizioni ed ha permesso questa speculazione e direi che l’ha, in quel momento, legalizzata. (Interruzione dell’onorevole Bertone). La Commissione ha dovuto esaminare il problema ed ha rilevato che, attraverso l’emissione del prestito, è stato consentito, a possessori di grandi patrimoni, un risparmio che, come dicevo prima, per i patrimoni di un miliardo, si aggira sui 325 milioni di imposta. La Commissione ha dovuto decidere se c’era uno strumento legale per evitare questa speculazione che – badate bene – non è relativa soltanto a coloro che hanno fatto debiti in banca per sottoscrivere il prestito, ma riguarda anche chi ha venduto azioni (se io avevo un patrimonio di un miliardo e vendevo 500 milioni di azioni, guadagnavo 325 milioni di imposta, come colui che ha contratto un debito).

L’Assemblea si trova oggi a dover approvare una disposizione che stronchi a posteriori il movimento speculativo di allora che era legalmente consentito dalle condizioni di emissione del prestito.

FABBRI. Bravo!

LA MALFA, Relatore. Noi, se mai, dobbiamo fissare la responsabilità governativa per avere reso possibile il fatto. Ma non possiamo distruggere un fatto legalmente consentito.

BERTONE. Chiedo di parlare, per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Debbo rispondere al collega, onorevole La Malfa; ed in verità non comprendo questo suo tono polemico, sia contro il Ministro del tesoro, che contro il Governo e contro coloro che hanno lanciato il prestito. Le osservazioni potevano farsi allora e si sono fatte in tutti i campi, da tutte le persone competenti, ed il Governo ha tenuto conto di tutto quello di cui si doveva tener conto.

Si dice: allora il Governo non ha detto che si potessero fare dei debiti per contrarre il prestito. Chi può mai pensare che il Governo dovesse dire una cosa simile? Il Governo lancia un prestito: chi vuole sottoscriverlo, lo sottoscrive nel modo che egli crede, vendendo, utilizzando i suoi risparmi, contraendo debiti. (Approvazioni). Questa non è cosa di cui si deve occupare il Governo. Ma ciò che mi meraviglia, soprattutto, è che io ho creduto di prendere le difese delle conclusioni a cui era giunta la Commissione; perciò non comprendo l’accento polemico del collega ed amico La Malfa. Ho fatto mio ciò che aveva concluso la Commissione. Non avevo proposto nessun emendamento in proposito. Quando ho sentito dire le parole della Commissione: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo» salvo la variante portata dall’onorevole Dugoni e dall’onorevole Scoccimarro, quando ho sentito il Governo dichiarare, per bocca del Ministro Pella, che accettava tutte le nuove formulazioni proposte dalla Commissione, mi sono eretto a difesa di una conclusione specifica adottata dalla Commissione ed accettata dal Governo. Adesso che io difendo la Commissione, la Commissione, in persona del suo Presidente, accusa me! (Commenti). La Commissione ha rinunciato al suo punto di vista, e può avere i suoi legittimi motivi per rinunciare, ma ciò non toglie che coloro i quali sostengono il punto di vista, in un primo tempo espresso dalla Commissione, abbiano anche ragione in questo loro atteggiamento.

Quindi, io credo che il Relatore ed il Governo non dovrebbero essere malcontenti che vi sia qualcuno nell’Assemblea che difende ciò che esse hanno studiato, elaborato e deciso. Se, in un successivo momento, possono aver mutato opinione, la discussione è sempre preziosa ed utile in questo campo.

Ripeto che sostenendo ciò che ho sostenuto ho creduto di far mio il voto e la decisione cui era pervenuta la Commissione. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

CONDORELLI. Ritengo che dovrebbe avere la precedenza l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei è proprio sulla linea che è già stata tracciata.

Mettendo in votazione l’emendamento soppressivo, si mette in votazione lo stesso testo. Se l’Assemblea respinge l’emendamento soppressivo, si intende approvato il testo.

Dovrò porre pertanto in votazione per divisione, l’emendamento Dugoni e Scoccimarro, che, nella sua prima parte, è del seguente tenore:

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro a nome del Gruppo della Democrazia cristiana che noi voteremo a favore del testo della Commissione.

DUGONI. Ma il testo della Commissione non c’è più!

BERTONE. Se la Commissione non mantiene il suo testo, lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ricordo all’Assemblea che la Commissione è tornata al testo governativo, rinunciando al suo emendamento, che viene ripreso nella prima parte dell’emendamento proposto dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

BERTONE. Preciso allora che il Gruppo della Democrazia cristiana voterà a favore della prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro e contro la seconda.

MARINARO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Dopo tutto quello che è stato detto in proposito, io mi limito a far presente all’Assemblea che la prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro è in pieno, assoluto ed inconcepibile contrasto con l’articolo 22, che l’Assemblea ha già approvato, il quale stabilisce che tutti i debiti a carico del contribuente – di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza – sono esclusi dalla tassazione. Pertanto voterò contro.

CANEVARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Dichiaro a nome del mio Gruppo che noi voteremo a favore della prima parte e contro la seconda parte dell’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

(È approvata).

Si dovrà ora passare alla votazione sulla seconda parte dell’emendamento; «quando esso superi i 50 milioni».

DUGONI. Ritiro la seconda parte dell’emendamento. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli altri emendamenti si intendono assorbiti. Segue il comma proposto dalla Commissione:

«Ai fini della disposizioni contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

Su questa seconda parte dell’articolo 27 sono stati presentati due emendamenti dagli onorevoli Condorelli ed altri.

CONDORELLI. Si possono intendere ritirati.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti il comma proposto dalla Commissione.

(È approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Bubbio, che il proponente ha così definitivamente formulato:

«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».

La Commissione ed il Governo dichiarano di accettare tale formulazione.

La pongo ai voti.

(È approvata).

L’articolo 27, dopo gli emendamenti approvati, si intende approvato nel seguente testo:

«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva.

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero.

«I titoli del Prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».

Passiamo allora all’articolo 28.

Voci. Rinviamo a domani!

PRESIDENTE. Prego i colleghi di tener presente che, se sospendiamo il nostro lavoro, il disegno di legge non potrà essere approvato entro la settimana, perché saremo distratti da tanto altro lavoro.

PELLA, Ministro delle finanze. Non so se la proposta avrà successo. Cosa ne penserebbero la Presidenza e gli onorevoli colleghi, se si facesse per questa imposta qualche seduta serale? (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Micheli. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io credo che si possano anticipare le sedute di qualche ora, ma non fare sedute notturne. Bisogna tener presente che il giorno in cui si fa una seduta notturna non è possibile fare tre sedute consecutive.

Vi è poi un’altra ragione: bisogna tener presente il personale di segreteria che assiste alle sedute, gli stenografi, i resocontisti, il personale dell’Aula: come è possibile che tutta questa brava gente resista, salvo casi eccezionali, per tre sedute continuative?

Bisognerebbe attuare un turno e, come è noto, non abbiamo sufficiente personale per farlo. Noi soli, quando siamo stanchi di ascoltare o quando abbiamo fatto il nostro discorso o la nostra interruzione, usciamo fuori e ci possiamo riposare o distrarre.

Il Presidente comprenderà le altre ragioni che sconsigliano le sedute notturne, salvo casi straordinari, ed io più oltre non mi dilungo.

PRESIDENTE. Lei, dunque, è contrario, onorevole Micheli.

MICHELI. Senza dubbio.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze propone una seduta notturna alle ore 21, dopo la sospensione di un’ora?

PELLA, Ministro delle finanze. No, non per oggi.

PRESIDENTE. Ma l’andamento delle sedute future non dipende da una eventuale nostra decisione odierna. La proposta di una seduta notturna si porrà al momento opportuno.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desideravo riprendere la giusta proposta già fatta da altri colleghi di invitare la Commissione a convocare i presentatori di emendamenti, per portare qui un lavoro già finito od almeno abbozzato.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi ero permesso di presentare la proposta relativa alle sedute serali, non per suggerire all’Assemblea di tenere tre sedute al giorno, ma per tenerne ugualmente due. Accade infatti che la mattinata è spesso impegnata per il lavoro delle Commissioni e risulta anche molto utile per la Commissione di finanza ai fini dell’esame dei diversi emendamenti. Essa inoltre potrebbe anche servire alla persona che vi parla, perché francamente non si sa più come mandare avanti il lavoro ministeriale. Anche per questo, cioè per venire incontro alle necessità del Ministero, vi prego di impegnare il Ministro nelle ore serali.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la questione non è in discussione adesso, ma lo sarà nella prossima seduta. Aggiungo che si potrà rimanere d’accordo, come è stato già fatto presente, perché la Commissione si convochi, insieme con il Ministro e con i presentatori di emendamenti, per presentarsi alla prossima seduta con un testo già stabilito.

Passiamo dunque all’esame dell’articolo 28.

Ricordo che la Commissione ha proposto la soppressione dell’articolo 28 del progetto ministeriale, così formulato:

«Dal patrimonio netto è ammesso in detrazione l’importo di un ventesimo per ogni figlio, con il massimo di lire 300.000. Per i figli premorti, la detrazione è ammessa a condizione che esistano eredi chiamati a succedere per rappresentanza».

Non essendovi osservazioni, la soppressione si intende approvata.

Si passa all’articolo successivo, che, nel testo della Commissione, diviene il 28. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono soggetti all’imposta i contribuenti il cui patrimonio imponibile, al lordo della detrazione stabilita nel comma successivo, raggiunga il valore di lire 3.000.000.

«Dal patrimonio imponibile si detrae la somma di lire 2.000.000.

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa un’ulteriore detrazione pari a un ventesimo, con un massimo di lire 250.000 per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni. La detrazione stessa non sì applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire.

«L’ammontare della detrazione è calcolato sul patrimonio di ciascun figlio ai fini dell’imposta straordinaria».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Vi sono innanzi tutto i tre seguenti:

«Al primo comma, alle parole: valore di lire 3.000.000, sostituire le altre: valore di lire 5.000.000».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.

«Al secondo comma, alle parole: si detrae la somma di lire 2.000.000, sostituire le altre: si detrae la somma di lire 3.000.000».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.

«Aggiungere in fine le parole seguenti: Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico le aliquote suddette vengono ridotte alla metà».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli contemporaneamente.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, ho presentato, insieme con altri colleghi, tre emendamenti all’articolo 28 e vorrei in breve svolgerli contemporaneamente, anche perché il primo e il secondo si integrano a vicenda.

Gli emendamenti in oggetto si chiariscono e si raccomandano da se stessi; ragion per cui avrò bisogno di brevi osservazioni per illustrarli. Con il primo si propone che il minimo imponibile fissato dal progetto e accettato dalla Commissione, in lire 3 milioni, sia elevato a 5 milioni.

Noi parliamo di milioni; e, adoperando questa locuzione, crediamo immediatamente, con la memoria al passato, di alludere a cifre, a sostanze vistose. Ma dobbiamo purtroppo un po’ smobilitare la nostra mente e soprattutto confinare in soffitta il ricordo di ciò che i milioni valevano in passato. Riconoscere, come la legge fa, un minimo imponibile di soli tre milioni, significa colpire in maniera drastica e crudele la piccola proprietà, la piccola proprietà immobiliare; con conseguenze particolarmente gravi nel Mezzogiorno, dove vi sono zone nelle quali la proprietà immobiliare risulta letteralmente polverizzata; la piccola proprietà che costituisce la garanzia e tutto il fine della vita di tanti impiegati, operai, coltivatori diretti, dei rappresentanti, in genere, di quel ceto medio, di cui sempre si tesse l’elogio, ma che poi, viceversa, con questa legge si tenderebbe a colpire. Tre milioni, oggi, pur tenendosi presente un coefficiente molto relativo, corrispondono, sì e no, ad un centinaio di migliaia di lire anteguerra; forse anche a qualche cosa di meno, e di notevolmente meno. Si tratta, quindi, in sostanza, della casetta, del piccolo appartamento, molte volte comperato con danaro prebellico o con danaro avente altro valore, stentatamente, anno per anno, da soggetti che non dispongono di liquido, di altre risorse, e che oggi, vedendosi colpita la casa, o dovrebbero venderla, dandola in pasto ai borsa-neristi o a coloro che comunque con la speculazione hanno profittato delle contingenze eccezionali nelle quali abbiamo vissuto, oppure dovrebbero ricomprarsela con nuovi e drammatici sacrifici.

È doveroso, quindi, elevare questo minimo imponibile. Si tratta, ripeto, mantenendosi nei limiti dei tre milioni, del podere, del fondicello del coltivatore diretto, il quale ugualmente, come l’impiegato, come il risparmiatore che avesse comperato la sua casa, il suo appartamento, si troverebbe di fronte al tragico bivio o di vendere o di trovare, attraverso lo strozzinaggio, il modo come ricomprarsi il fondo, pagando somme molto elevate, ciò che egli ha invece pagato col sudore della sua. fronte, attraverso un lungo sacrificio di anni.

Il secondo emendamento è la conseguenza del primo. Elevandosi il minimo imponibile, è giusto che si elevi ugualmente la misura della detrazione consentita dalla legge.

L’ultimo emendamento: «Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico, le aliquote suddette vengono ridotte alla metà», costituisce esattamente l’applicazione del principio che è stato fissato e approvato con l’ultima parte dell’articolo 10 della legge, articolo che abbiamo precedentemente discusso. Il principio fissato con l’ultima parte del richiamato articolo 10 è che bisognerà procedere, in sede di valutazione degli immobili urbani, ad una discriminazione fra immobili urbani soggetti a regime vincolistico e immobili urbani non soggetti a regime vincolistico.

Ora sembra a me che aver fissato questo principio sia men che nulla, se poi non lo concretiamo con un precetto preciso il quale valga a chiarire ed a mettere in sicura efficienza la bontà del principio stesso.

Che cosa significa discriminazione? Significa lasciare agli organi del fisco la possibilità di valutare ad libitum la differenza, e quindi diversamente, ma non in modo specifico, l’immobile soggetto a regime vincolistico.

Il nostro emendamento precisa che per il patrimonio in prevalenza costituito da immobili soggetti al regime vincolistico la discriminazione debba attuarsi nel senso che le aliquote relative a quei patrimoni debbono essere ridotte alla metà. Ciò è doveroso e giusto ed io confido che l’Assemblea, dandosene conto, lo disponga.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo camma, alle parole: il valore di lire 3.000.000, sostituire le parole: il valore di lire 5.000.000».

L’onorevole Rescigno non è presente, si intende quindi che abbia rinunciato a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. È esattamente quello che ho svolto io.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire al primo comma la cifra: 3.000.000, con la cifra: 5.000.000, ed al secondo comma la cifra: 2.000.000, con la cifra: 3.000.000».

L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BOSCO LUCARELLI. L’emendamento mio è identico a quello svolto dall’onorevole Perrone Capano: si propone la difesa della piccola e della media proprietà; ed anche l’aumento della cifra di detrazione del patrimonio imponibile mira alla difesa della piccola proprietà perché un milione in meno o in più non influisce molto su un grande patrimonio, ma su un piccolo patrimonio influisce moltissimo.

Dichiaro in ogni caso di parlare a nome mio personale.

PRESIDENTE. L’onorevole Paris ha presentato, insieme con gli onorevoli Piemonte, Preziosi, Tonello, Ghislandi, Corsi, Gullo Rocco, Segala, Preti, Grilli, Caporali, Canevari e Bocconi, il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo e. quarto comma con i seguenti:

«Dal cumulo dei cespiti che costituiscono un patrimonio familiare, al netto ciascuno della detrazione fissa di 2.000.000, è ammessa una ulteriore detrazione pari a un ventesimo per ogni congiunto dei contribuenti fino al secondo grado in linea diretta ascendente, discendente e laterale, purché alla data del 28 marzo 1947 convivessero con la famiglia e per coloro che alla stessa data avevano compiuto i 21 anni e prestassero inoltre la loro opera nella gestione del patrimonio. La detrazione non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione dei 2.000.000, superi gli 8.000.000.

«L’ammontare della detrazione è suddiviso proporzionalmente tra i patrimoni dei singoli contribuenti».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PARIS. È naturale che, dopo approvato l’articolo 10, non si concepisce più quest’imposta patrimoniale pura, perché nell’articolo 10 si tien conto, per la tassazione dei fabbricati, di quelli soggetti a regime vincolistico e di quelli non soggetti a tale regime. Del resto, per l’articolo 7, le collezioni artistiche sono esentate perché non danno nessun reddito.

Quindi l’imposta sul patrimonio è connessa con la capacità redditizia di questo patrimonio.

Vi sono ancora in Italia – ed in modo particolare in Alto Adige – delle famiglie patriarcali. Vige colà ancora la legge del «maso» chiuso, che è un patrimonio concepito come una unità inscindibile. Ma su questo patrimonio, anzi, del suo reddito, vivono insieme due, tre, quattro famiglie. Ora nella economia generale, o meglio nel processo dell’eredità, questi «masi» verrebbero suddivisi e quindi non sarebbero soggetti all’imposta sul patrimonio.

Però siccome il reddito è limitato e molti sono gli elementi che costituiscono le famiglie che vivono di questo reddito, è giusto tenerne il debito conto. Non è soltanto il figlio maggiore che eredita, in caso di morte del padre, ma anche i fratelli vivono di quel reddito: ecco perché ho esteso l’esenzione anche ai congiunti laterali.

Oltre che in Alto Adige, anche nelle altre parti d’Italia vi sono famiglie di artigiani e di contadini i quali lavorano insieme e gestiscono tutti insieme il patrimonio. Questo è il concetto che mi ha indotto a presentare l’emendamento. Non è giusto che un patrimonio che dia un determinato reddito sia tassato come un altro, se il reddito del primo è goduto soltanto da una o due persone, mentre nel secondo caso può trattarsi anche di una quindicina di persone.

Il testo della Commissione prevede l’esenzione, ma soltanto per i figli. Ora siccome questi patrimoni formano una unità inscindibile perché non è possibile, specie nei paesi di vallate lontane da centri industriali, dove i figli non possono andare a lavorare, dividere il patrimonio, e solo così i patrimoni si sono mantenuti saldi, io credo che essi, attraverso questa legge, debbano essere favoriti perché su quei patrimoni vivono famiglie numerose. Si tratta, dunque, anche di una misura di giustizia fiscale, anche di un provvedimento che mira a favorire, ad alleggerire dall’imposta queste famiglie numerose.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Per stabilire l’equità o meno del punto di partenza della progressiva, secondo me bisogna guardare innanzi tutto all’imposta patrimoniale proporzionale.

L’imposta proporzionale parte col 4 per cento, prendendo a base un minimo imponibile di lire 100.000. Cioè, colui che possiede più di 100 mila lire paga il 4 per cento.

Ora, se vogliamo stabilire, direi, una curva di equità di questa imposta, dobbiamo avere come punto di partenza il 4 per cento. E come vedete le considerazioni, da molti punti di vista fondate del collega Perrone Capano, perdono di importanza. Se il possessore di un patrimonio minimo di 100 mila-150 mila lire paga il 4 per cento, non c’è nessuna ragione che il possessore di un patrimonio di 3 milioni paghi meno del 6 per cento. Perché? Perché se voi calcolate che c’è un abbattimento alla base di due milioni, la progressiva al 6 per cento su un patrimonio di tre milioni sopporta un peso del 2 per cento; più 4 di proporzionale. Chi possiede 3 milioni paga il 6 per cento.

Avete questo andamento dell’imposta. Da 100 mila lire fino a 3 milioni, il 4 per cento; da 3 milioni, il 6 per cento. Quando si discusse, in sede di Commissione, dei rapporti fra le due imposte, io vi confesso che proponevo l’abbassamento di 3 milioni, parendomi più equo. Se io parto dal 4 per cento per i piccolissimi patrimoni non devo aspettare i 3 milioni per arrivare al 6 per cento. Mi pareva perciò che dovessimo andare più in giù dei 3 milioni: e ciò dal punto di vista della giustizia fiscale. Ma c’è un’altra ragione: i tre milioni in Italia si considerano patrimonio irrisorio. Io dico che in Italia, invece, 3 milioni rappresentano, anche con la moneta svalutata, un discreto patrimonio.

PALLASTRELLI. Neanche mezzo ettaro di terreno!

LA MALFA, Relatore. Prego il collega Pallastrelli di dirmi cosa rappresentano 100 mila lire tassate col 4 per cento.

PALLASTRELLI. Le dico una cosa soltanto: che in questo modo, mentre volete difendere la piccola proprietà, la distruggete.

Una voce. Benissimo!

LA MALFA, Relatore. Allora io capirei che la proposta fosse questa: esentare dall’imposta tutti patrimoni fino a 3 milioni. Ma è illogico che io mantenga la proporzionale del 4 per cento fino a 3 milioni. (Interruzioni – Commenti).

Questa storia della piccola proprietà conviene a tutti. Prego di mettersi dal punto di vista non soltanto della piccola proprietà, ma anche delle necessità dello Stato. (Interruzioni – Commenti).

BOSCO LUCARELLI. Lo Stato rimette 20 miliardi all’anno su l’I.R.I.!

LA MALFA, Relatore. Quindi dico che è sembrato più equo a me ed alla Commissione mettere in relazione le due imposte: del 6 per cento su 3 milioni rispetto al 4 per cento al di sotto dei 3 milioni. Non credo che i colleghi che discuteranno la proporzionale vorranno discuterla fino a distruggerla. Ma c’è un’altra ragione ed è questa: noi possiamo applicare un concetto di giustizia tributaria e tassare fortemente i grossi patrimoni, come la Commissione ha fatto alzando le aliquote del Governo e portandole per i grossi patrimoni, fino al 60 per cento. Però è mio dovere dichiarare che la massa del gettito dell’imposta è data in Italia dai piccoli e medi patrimoni. Non esiste nessuna imposta in Italia che non si percepisca sui piccoli e medi redditi. (Commenti). Se voi, onorevoli colleghi, volete percepire le imposte tassando i grossi patrimoni, non avrete un sistema fiscale degno di questo nome, ma un aborto. L’economia italiana è fondata sulla piccola e media proprietà e questa proprietà deve contribuire a pagare le imposte. Se volete applicare una giusta legge fiscale, dovete tassare fortemente i grossi patrimoni, ma non potete esentare i piccoli e medi patrimoni senza annullare il significato tributario di qualsiasi legge.

C’è un’altra ragione ed è data dalla precedente legge del 1920-22, la quale tassava col 4 per cento i patrimoni a partire da 50 mila lire e 50 mila lire di allora sono il 60° dei 3 milioni attuali. Ora, io non credo che la svalutazione monetaria dal 1920-22 sia tale che noi dobbiamo applicare un coefficiente di 60, cioè che per trovare la corrispondenza fra la tassazione del 1920-22 e quella attuale possiamo moltiplicare per 60.

Ritengo, cioè, che questo coefficiente di tassazione sia molto alto. Ecco perché propendevo per l’abbassamento del minimo imponibile dal punto di vista del gettito fiscale. L’imposta del 1920-22 dava il minimo imponibile vicino a 50 mila e non vicino ai grossi patrimoni.

Questo è detto chiaramente nella relazione. La massima parte del gettito dell’imposta del 1920-22 fu data dai piccoli e medi patrimoni, vicini al minimo imponibile. Man mano che alziamo il minimo imponibile annulliamo l’imposta. Possiamo prendere tutto quello che volete ai miliardari, ma senza la tassazione sulla diffusa proprietà annulliamo l’imposta.

Ora, onorevoli colleghi, qui bisogna una buona volta che noi ci decidiamo. Vogliamo una patrimoniale che tassi i contribuenti al fine della difesa della lira? Sì, o no? Se vogliamo che il contribuente sia tassato ai fini della difesa della lira, bisogna che grossi, grandi, piccoli e medi proprietari facciano sacrifici tributari. Se noi non vogliamo questo, allora cancelliamo l’imposta patrimoniale.

Chiedo ai colleghi: con quali provvedimenti essi intendono risanare la moneta?

CRISPO. Non creando una massa di straccioni e di pezzenti!

LA MALFA, Relatore. Trovo che nessun collega abbia risposto al mio quesito. Sento commenti, ma nessuna risposta.

Quando gli onorevoli colleghi e la stampa criticano il controllo del credito, dicono che la patrimoniale tartassa i piccoli e medi, io dico: un Governo che vuol difendere la lira che cosa deve fare?

Ora, guardate, se voi alzate il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, quasi certamente la metà dell’imposta salta. Siccome la Commissione di finanza non può prescindere dal punto di vista fiscale e dal punto di vista antinflazionistico del provvedimento, non può assumersi la responsabilità di esentare la massa dei patrimoni che costituiscono ancora la ricchezza italiana. Ripeto: se andate in campagna voi non mi potete dire che il patrimonio di tre milioni sia per gli italiani una inezia. C’è in Italia una massa di gente che non ha né uno, né due, né tre milioni di patrimonio. Per questa ragione la Commissione respinge tutti gli emendamenti che spostano la base dell’imponibile dell’imposta.

PRESIDENTE. C’è ancora un ultimo emendamento degli onorevoli Crispo, Perrone Capano ed altri, sul quale prego il Relatore di dire il suo pensiero.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda il regime vincolistico, la Commissione ha tenuto presente la situazione dei fabbricati in tema di valutazione. Facendo una concessione in quella sede, la Commissione non può farla in sede di aliquota. Si farebbero due concessioni ai proprietari di fabbricati a regime vincolistico: si abbasserebbe una volta la valutazione ed un’altra l’aliquota. È molto più ragionevole che si tenga conto del regime vincolistico in sede di valutazione e che le aliquote si applichino come per tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Stampacchia. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Il discorso dell’onorevole La Malfa mi dà la sensazione che egli si sia affezionato assai alla posizione di Presidente di questa Commissione fiscale. Egli invero molto candidamente ha confessato che in Italia questa imposta sarà pagata dalle piccole e medie proprietà e non dalle maggiori. (Commenti – Proteste al centro).

Spiego: egli ha detto che, in fondo, i grandi patrimoni – dato il limitato loro numero – non potrebbero fronteggiare le necessità per cui l’imposta viene creata, onde dovranno le proprietà piccole e medie, assai numerose, far fronte a tali necessità. (Rumori).

L’onorevole La Malfa ha ricordato, ad avvalorare la sua tesi, che ciò si verificò pure con la legge del 1922. In proposito, è da osservare che la legge del 1922 sorgeva e si realizzava in condizioni molto diverse dalle presenti.

Infatti l’onorevole La Malfa, e naturalmente la Commissione, solidale col Presidente, dimentica che l’imposta di cui discutiamo faceva parte di un complesso di altri provvedimenti fiscali – ora abbandonati – coi quali si doveva raggiungere il risanamento economico del paese. Fu avulsa da quel complesso, per cui è a codesta imposta patrimoniale che oggi si affida essenzialmente il compito di quel risanamento. E la legge vien presentata ora in termini e clausole di tal natura che si finisce per colpire soprattutto il Mezzogiorno, ove la piccola e media proprietà è diffusissima. (Commenti).

Questa è la verità, se pur dispiaccia sentirla. Ciò si verifica, strano a dirsi, nel momento in cui tutti – uomini e partiti – si dichiarano paladini della piccola e media proprietà e tutti svisceratamente amici del Mezzogiorno, di cui vogliono sollevare le sorti. Fondamento adunque di giustizia ha l’emendamento che vuol portare da tre a cinque milioni il valore dei patrimoni soggetti ad imposta, e da due a tre milioni la detrazione, non tassabile, da farsi su detti patrimoni.

Ai valori attuali, ben minuscolo patrimonio deve considerarsi quello che raggiunga soltanto tre milioni di lire. Un collega, che ha interrotto poco fa il precedente oratore, ha detto che i tre milioni rappresentano mezzo ettaro di terreno. Io non so se ciò sia esatto: so però che da noi, nel Salento, con tre milioni di lire non molto al di là di quanto ha precisato il collega può andarsi. Non è dunque ammissibile che si possa colpire tanto duramente la piccola proprietà inferendo ancora al Mezzogiorno una nuova atroce tortura nel tempo stesso in cui i valori mobiliari, di cui abbonda il Settentrione, godono ogni favore. A tal riguardo voglio ricordare che vi è un emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, col quale si vuole che le società in collettiva vengano esonerate dall’imposta sino al valore di cinque milioni. Dal Governo…

PRESIDENTE. Tale emendamento non è stato presentato su questo articolo.

STAMPACCHIA. Dal Governo, dicevo – e l’onorevole Lombardi me lo ricorda in questo momento – è stato fatto osservare che le predette società, per la legislazione in vigore, sono esonerate del tutto onde quello del progetto in discussione costituirebbe un tentativo di farle rientrare nella legge comune, per cui si è stati costretti ad adottare nei loro confronti, nella legge in discussione, un criterio indulgente di tassazione. Questo non persuade. Per quanto attiene al prestito – di cui si è discusso discutendo il precedente articolo – si è poi creduto giustamente, di poter fare qualche innovazione a quanto annunziato al momento dell’emissione, però scalfendo in misura assai modesta l’esonero dalla tassazione.

PELLA, Ministro delle finanze. Integralmente esente: qui il Governo è irriducibile.

STAMPACCHIA. Ora – checché dica il Ministro – quando si ammette la possibilità giuridica di tassare le società predette, non si comprende poi l’indulgenza nel colpirle, o si capisce anche troppo, essendo ormai chiaro come verso i beni e patrimoni mobiliari il legislatore è di una inverosimile benignità. E invece si colpisce senza pietà alcuna il piccolo e medio proprietario di beni immobili: il proprietario della casetta o del piccolo podere. Anche questa volta il Mezzogiorno deve accollarsi gran parte delle nuove gravezze fiscali; ad essere giusti però, non soltanto il piccolo e medio proprietario del Mezzogiorno, ma in genere la piccola e media proprietà di ogni regione d’Italia. Da Bologna, dalla Confederazione lavoratori della terra, viene infatti rivolto al Gruppo parlamentare del Partito socialista italiano un appello, di cui sono autorizzato a farmi eco. In esso, per quanto attiene all’Emilia, non sono diverse le doglianze di cui ho detto innanzi in rapporto alle condizioni della piccola e media proprietà delle province meridionali. Egli è perciò che non soltanto per mio conto personale, ma pure di compagni meridionali e non meridionali, dichiaro di votare per l’emendamento proposto.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Farò brevemente osservare, a proposito dell’emendamento che tende a portare il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, che un patrimonio il quale sia costituito da beni immobili e raggiunga il valore di tre milioni, secondo la legge e secondo gli emendamenti proposti dalla Commissione, paga 60.000 lire rateate in 6 anni. Ora la piccola proprietà, per quanto piccola essa sia, può, a nostro giudizio, sopportare un carico che è stato ridotto al minimo possibile ed è stato rateato in modo da facilitare il pagamento per quei piccoli patrimoni che sono meno liquidi e che si trovano quindi in maggior difficoltà. (Approvazioni a sinistra). Faccio osservare che l’argomento portato dal Presidente della Commissione, circa la necessità di correlazione tra l’imposta patrimoniale progressiva e l’imposta patrimoniale proporzionale ha un leggero difetto, che è stato rilevato dall’onorevole Perrone Capano: noi non abbiamo ancora approvato la parte della legge riguardante l’imposta proporzionale e vi sono forti pressioni da parte dell’opinione pubblica, perché venga modificato il sistema dell’imposta proporzionale.

Ora, a nostro giudizio, l’imposta patrimoniale che colpisce i piccoli patrimoni di 100 mila lire, e che li colpisce con una imposta del 4 per cento, da pagarsi in 10 bimestralità, è vero che è una imposta che deve essere riveduta proprio per salvaguardare la piccola proprietà, la quale, onorevoli colleghi, sarà salvaguardata soprattutto se noi salveremo la lira.

Questo è il concetto dal quale dobbiamo partire. Per salvare la lira noi dobbiamo fare due cose: permettere che le imposte siano pagate con regolarità (e quindi non mettere imposte eccessive), e nello stesso tempo pesare, in modo più efficace, sui grandi patrimoni. Questo ci siamo promessi di fare con la legge che abbiamo sottoposto alla vostra approvazione. Noi chiediamo però di rendere alla piccola proprietà, in questo momento, la vita più facile. Manterremo questo nostro proposito, modificando e votando a favore di modifiche dell’imposta proporzionale. Per l’imposta progressiva noi crediamo che essa debba essere votata nelle grandi linee, come risulta dal testo della Commissione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero fare una breve dichiarazione che potrà servire anche a scopo di chiarimento. Così come è nelle sue due parti, quella progressiva e quella proporzionale, la legge è nel suo complesso eccessivamente gravosa per le piccole proprietà. Però, il punto dove essa deve essere corretta non è questo, ma quello che riguarda l’imposta proporzionale. In quell’occasione presenterò un emendamento per mitigare il peso che graverebbe sulla piccola proprietà.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Rappresento la voce di tanti piccoli proprietari del Veneto, e vi so dire che l’imposta che voi imponete ai piccoli proprietari non è logica. Vi è gente che possiede due o tre campi e che è costretta, per poter vivere, ad andare a lavorare perché altrimenti il pane non basta per tutte le bocche della famiglia. Questa povera gente ha uno strumento meschino. Da noi, con tre milioni non si acquistano nemmeno due ettari di terreno. (Commenti). Non dovete perseguitare questa povera gente, perché non avrà la possibilità di pagare.

Io esprimo l’avviso che si debba tassare il meno possibile e che si tenga conto delle condizioni in cui vive questa gente. Ci sono dei padri che, morendo, hanno lasciato eredità indivise.

Orbene, costoro vivono in queste piccole comunità familiari e perciò figura che vi sia un solo titolare, mentre in realtà sono tre o quattro famiglie che vivono unite. Voi dovete tenere conto di questo perché altrimenti andrete ad affamare di più la povera gente.

Noi vediamo che anche questa gente, che pure possiede qualche cosa, vive di stenti e di fame, specie in quelle zone dove il raccolto è scarso, dove non basta il pane e dove si deve andare a cercare altri lavori supplementari per tirare avanti l’azienda agricola. Come possono pagare questi disgraziati?

È un problema che va quindi meditato.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Vorrei fare osservare che i due argomenti addotti dal Relatore sono privi di consistenza. Il primo si riferisce a quanto è stato stabilito in ordine all’imposta proporzionale; ma l’imposta proporzionale è regolata dagli ultimi articoli della legge che stiamo esaminando e di conseguenza non è stata ancora oggetto della nostra convalida o meno.

Ci riserbiamo in quella sede di dimostrare come gli argomenti addotti dall’onorevole La Malfa non siano accoglibili, giacché anche la proporzionale deve essere riveduta in relazione alle condizioni della piccola proprietà. Quando poi l’onorevole La Malfa ha detto che tutte le imposte patrimoniali in Italia sono state in molta parte fronteggiate e pagate dalle piccole sostanze, dalla piccola proprietà, ha finito per porre il dito su quella piaga che si sta ormai da tempo mettendo a nudo sulla stampa e nelle libere discussioni che riguardano l’imposta patrimoniale. Ha messo in rilievo – in sostanza – la crudeltà e l’ingiustizia profonda di questo balzello, il quale dovrebbe essere pagato – secondo quanto dice il Presidente della Commissione – dalla piccola proprietà, cioè dai coltivatori diretti e dai proprietari delle case normalmente abitate dalla famiglia del proprietario, stroncando, insomma, il ceto medio. Così dicendo l’onorevole La Malfa ha parlato per noi, non contro di noi.

LA MALFA, Relatore. Non ho detto questo. E troppo facile rispondere così!

PERRONE CAPANO. Lei ha detto che queste imposte sono, in generale, pagate dalla piccola proprietà, non che non sono pagate anche dalle grandi proprietà; questo non lo poteva dire. Ma lei ha detto che la massima parte dei patrimoni soggetti all’imposta sono i piccoli patrimoni…

SCOCA. E questa è la verità!

DUGONI. Lei vuole cambiare le statistiche, onorevole Perrone Capano? (Commenti).

PERRONE CAPANO. Io, infatti, riconosco esatto il rilievo del Presidente della Commissione; ma dico che, in quel rilievo, è esattamente la dimostrazione della bontà del nostro assunto. Non si può far pagare la rivalutazione della lira dai piccoli patrimoni, dai coltivatori diretti, da coloro che hanno tanto poco quanto basta per la vita quotidiana. Di conseguenza, mi pare che sia profondamente giusto operare questa modificazione del minimo imponibile, a tutela dei diritti della piccola proprietà ed elevare in favore di tutti la misura della detrazione automatica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Ho chiesto di parlare, perché redattore dei due emendamenti che hanno dato luogo alla discussione attuale, sono più di ogni altro in grado di chiarirne lo spirito e il concetto.

Consentitemi, intanto, una dichiarazione personale. Io sono contro questa legge, perché ritengo che essa costituisca un mal congegnato sistema di norme, inteso a perturbare profondamente l’economia del Paese, senza che possa avere alcuna influenza sul processo di risanamento della lira, del quale tanto si va parlando in quest’aula.

Mi riservo di sviluppare questo concetto quando saremo chiamati a dare il voto per la convalida, della quale, per altro, non riesco a rendermi conto, perché una delle due: o il decreto fu emesso nell’ambito della potestà legislativa delegata al Governo e non c’è bisogno dell’intervento dell’Assemblea, o il Governo ritenne che la materia fosse tecnicamente e politicamente così importante da essere demandata alla deliberazione dell’Assemblea, tanto da richiedere la discussione delle Commissioni, ed in tal caso avremmo noi dovuto deliberare e non essere chiamati ad approvare il fatto compiuto.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, parli sull’emendamento.

CRISPO. Il concetto dell’emendamento è questo: aumentare il minimo imponibile a 5 milioni significa impedire che un patrimonio di 3 milioni sia gravato, nello stesso tempo, e dell’imposta patrimoniale straordinaria e dell’imposta progressiva; aggravio tanto più notevole per la proprietà edilizia, soggetta a regime vincolistico, in quanto essa fu già assoggettata al prezzo politico della casa, pagando così già un’imposta del 16 per cento. Ed è davvero odioso che a danno del Mezzogiorno d’Italia, cui si levano sempre inni in quest’Aula, oggi ci si irrigidisca e si voglia colpire, soprattutto, la piccola proprietà. (Applausi – Commenti).

Per questa ragione sostengo il mio emendamento.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Ho presentato anche io un emendamento in questo senso; ma, se un termine medio potesse rappresentare l’avvicinamento delle due tesi, proporrei di stabilire il limite dei patrimoni non tassabili a 4 milioni, nella speranza che questa mia proposta possa trovare consenzienti anche i presentatori dell’altro emendamento.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Parlo a titolo personale per dichiarazione di voto; ma, se ne avessi l’autorità, vorrei richiamare l’Assemblea a un senso di responsabilità cui già l’hanno richiamata altri oratori di vari partiti. Se noi non vogliamo rendere impossibile la vita dello Stato, badiamo bene a quello che facciamo. (Approvazioni).

L’onorevole Pallastrelli, quando ha detto che tre milioni rappresentano il valore di mezzo ettaro, ha detto una cosa assolutamente contraria alla verità: io sono della Lombardia, dove i terreni sono fertili, e posso assicurarvi che in Lombardia, dove i terreni hanno un valore molto elevato, con tre milioni non si compera mezzo ettaro, ma si comperano sei o sette ettari. (Approvazioni – Commenti). Questa è la verità.

All’altra osservazione dell’onorevole Perrone Capano, quella cioè secondo cui la massima parte delle imposte sono pagate dalla piccola e dalla media proprietà, rispondo che ciò non dipende dal fiscalismo, ma dalla costituzione del patrimonio nazionale. Se noi andiamo all’assurdo, onorevole Perrone Capano, in un Paese in cui tutta la proprietà fosse piccola o media, nessuno dovrebbe pagare.

Quanto poi alla preoccupazione dell’onorevole Tonello circa la questione dei patrimoni indivisi, mi permetto di ricordarvi che la questione è regolata dall’articolo 4 della legge. La tassazione avviene dunque a norma del Codice civile e nel caso da lui fatto, del patrimonio lasciato da un padre di dieci figli, i figli pagano per un decimo del patrimonio, anche se non formalmente diviso.

Per queste considerazioni io, personalmente, dichiaro di votare contro l’emendamento.

PRESIDENTE. Dovrei ora invitare il rappresentante del Governo a pronunciarsi su questa questione. Faccio però osservare all’onorevole Ministro e all’Assemblea che c’è una richiesta di appello nominale. (Commenti).

DUGONI. È giusto: bisogna che ciascuno assuma le proprie responsabilità. (Rumori).

PRESIDENTE. Ora, se procediamo alla votazione per appello nominale, difficilmente si raggiungerà il numero legale. Propongo pertanto che le dichiarazioni dell’onorevole Ministro e la votazione siano rinviate alla prossima seduta.

(Così rimane stabilito).

Presentazione di una relazione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: «Norme sull’elettorato attivo e sulla revisione annuale delle liste elettorali».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della difesa, per sapere se risponde a verità che la base navale di Messina sarà trasferita prossimamente ad Augusta; e per conoscere se, nell’ipotesi affermativa, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno revocare tale provvedimento che accrescerebbe la disoccupazione nella città di Messina, già così duramente provata dalla guerra, giustificando tra l’altro gravi agitazioni, che già si preparano, suscettibili di turbare l’ordine pubblico.

«Martino Gaetano».

«Al Ministro della difesa, per conoscere se intende revocare i provvedimenti predisposti dallo Stato Maggiore della marina relativi al trasferimento della base navale di Messina ad Augusta.

«Fiore».

«Al Ministro degli affari esteri, per sapere se corrisponde a verità quanto è stato pubblicato dalla stampa brasiliana di San Paulo circa i bandi di vendita dei beni italiani congelati in Brasile e, in caso positivo, per conoscere quale è l’azione del Governo italiano a tutela dei nostri connazionali allarmati da dette notizie.

«Giacchèro».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che ritardano l’istituzione dell’ente coordinatore per i servizi dei danni di guerra (Alto Commissariato o Sottosegretariato), di cui alle ultime dichiarazioni del Governo, e per attuare ordine e disciplina giuridica in materia che riguarda milioni di famiglie, le quali è bene che sappiano quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da scartare.

«Caso, Bastianetto, Titomanlio Vittoria, De Maria, Riccio, Mazza, Lizier».

«Ai Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se, in considerazione della particolare crisi economica che attraversa il nostro Paese e per premiare le benemerenze di guerra e di pace contratte dai vigili del fuoco, non ritengano di rimandare il licenziamento di mille unità, per lo meno fino al 31 dicembre 1947, onde dare tempo di altrimenti occupare i licenziandi.

«L’interrogante, che si occupa del problema da circa otto mesi, auspica il proposto decentramento del servizio antincendio, specie nei capoluoghi di zone boschive, che ogni anno, per incendi spontanei, colposi o dolosi, sono sottoposte ad ingenti perdite proprio perché non vi è la tempestività dell’intervento del servizio contro gli incendi.

«L’interrogante, pur preoccupato dell’ingente onere finanziario per lo Stato, pensa che vi si possa far fronte con l’aumentare il contributo capitario dei comuni e delle società di assicurazione, per potenziare così un servizio civile e sociale che, in nome del progresso, si rende ogni giorno di più indilazionabile.

«Caso».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere le disposizioni che intenda impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo.

«Benedetti».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947.

«Canevari».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Alle interrogazioni che riguardano il Ministro delle finanze potrei rispondere anche subito. Per le altre interrogazioni interesserò i Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Insisto affinché la mia interrogazione sui giuochi d’azzardo venga posta in discussione prima della chiusura dei lavori parlamentari.

L’anno scorso, esattamente il 17 luglio, presentai la stessa interrogazione. Oggi mi trovo a ripeterla.

Prego il Presidente di raccomandare al Governo d’impegnarsi a rispondere su questo mio argomento che è gravissimo e coinvolge il senso di moralità che noi tutti dobbiamo sentire più che ogni altro. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Farò presente al Ministro dell’interno la sua richiesta.

Comunico inoltre che sono state presentate anche le seguenti interpellanze con richiesta di discussione urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali criteri il Governo segua per far cessare in Sicilia le violenze organizzate che si sono manifestate in questi ultimi tempi; e, in seguito agli ultimi risultati delle indagini per il delitto di Pian delle Ginestre, attentati alle sedi comuniste, al Mattino di Sicilia, caso Miraglia (che si desiderano conoscere), quali provvedimenti siano stati e saranno presi.

«Russo Perez».

«Al Ministro dell’interno, sullo stato dell’ordine pubblico in Sicilia.

«Mattarella».

Queste interpellanze saranno discusse, insieme con quella dell’onorevole Li Causi, anch’essa sulla situazione in Sicilia, nella seduta antimeridiana di domani.

Presentazione di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata alla Presidenza dell’Assemblea la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente,

considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte Regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica,

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia,

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto,

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta Regionale sarda presentato al Governo,

che, se si seguitasse il regolare andamento della discussione sulla Costituzione, l’Assemblea Costituente non potrebbe esaminare lo Statuto sardo neppure in settembre, per cui le elezioni regionali in Sardegna non potrebbero aver luogo entro l’anno, mettendo così l’isola in uno stato ingiusto di disparità rispetto alla Sicilia,

delibera:

che per lo Statuto sardo sia adottata la stessa procedura usata per lo Statuto siciliano; e pertanto l’Assemblea Costituente autorizza il Governo all’approvazione immediata dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, sì da rendere possibile in Sardegna la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno, riservandosi, come per lo Statuto siciliano, per la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente il diritto di un maggiore esame per coordinare lo Statuto con la nuova Costituzione della Repubblica.

«Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni, Binni, Fiorentino Giosuè, Schiavetti, Tosato, Fuschini».

Ha chiesto di parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ritengo che si potrà parlare di questa mozione domani mattina, quando sarà presente il Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Domani si terranno due sedute; alle 10, per lo svolgimento di interpellanze ed il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale, ed alle 17 per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

Ne ha facoltà.

PELLA, Ministra delle finanze. Forse è necessario che domani il Governo si riunisca con la Commissione, perché la discussione di oggi sull’imposta patrimoniale ha dimostrato l’utilità di una migliore intesa.

PRESIDENTE. Credo che si possa venire ad una transazione: durante lo svolgimento delle interpellanze, la Commissione si riunirà con il Governo, in modo che si possa essere pronti poi per il seguito della discussione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali urgenti provvedimenti intenda adottare in favore delle migliaia di connazionali civili e militari e delle loro famiglie, reduci dalla prigionia e dai campi di internamento, che da mesi in Eritrea attendono l’aiuto del Governo per rimpatriare in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se sarà provveduto, per il prossimo inverno, da parte dello Stato ad una adeguata assegnazione di carbone o di altro combustibile per il riscaldamento delle aule scolastiche e se non si ritenga opportuno anticipare a settembre l’inizio delle lezioni onde potere nei mesi più freddi (dicembre-gennaio) sospendere le lezioni senza danno per lo svolgimento dei programmi scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi degli ufficiali dell’esercito che ottennero, durante la ultima guerra, proposte di promozione per merito di guerra approvate dal Ministero, alle quali non seguì il decreto di promozione soltanto perché tali ufficiali vennero fatti nel frattempo prigionieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non voglia provvedere, affinché tutti i direttori di conservatori musicali (tanto di prima quanto di seconda classe) possano fruire della stessa carriera, grado gerarchico e stipendio dei professori universitari, cioè dal grado sesto al grado quarto:

«È noto che i direttori di conservatori musicali sono nominati per chiara fama, mentre ciò raramente avviene per i professori universitari; inoltre l’attività artistica dei direttori di conservatori ha sempre risonanza internazionale, mentre (pur senza sminuire l’attività culturale e scientifica dei docenti universitari) non sempre ciò si verifica per i professori citati.

«L’interrogante ritiene che, pur mantenendo la distinzione tra conservatori di prima e di seconda classe, sia logico e necessario che il Ministero provveda con sollecitudine in merito a quanto esposto, che graverà sul bilancio per un maggiore onere che s’aggirerà sulle cinquecentomila lire annue.

«L’interrogante è certo che l’onorevole Ministro troverà ingiusto e soprattutto non pari alla risonanza, che un direttore di conservatorio sia equiparato come grado e stipendio a un preside di liceo o d’istituto (grado sesto per i conservatori di seconda classe) o un provveditore agli studi o ispettore di prima categoria (grado quinto per i conservatori di prima classe. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali non ancora è stata estesa ai privati la legge 4 dicembre 1946, n. 671 (relativa alla sospensione del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici nei riguardi dei comuni, provincie, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti ecclesiastici beneficiarî) per la evidente lesiva sproporzione fra il valore della moneta e quello delle derrate agricole, dichiarando inoltre estinti i procedimenti di affrancazione in corso di giudizio e di appello.

«Sarà scongiurata così l’ulteriore spogliazione di direttari, quasi sempre piccoli proprietari e sinistrati di guerra.

«In linea subordinata si chiede l’adeguamento dei canoni stessi al valore attuale della lira. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere quali ragioni si oppongono a che i direttori degli educandati e dei convitti nazionali possano fruire dei «fondi a disposizione» per provvedere direttamente al pagamento del personale fuori ruolo, incaricato o supplente, come accade in tutti gli altri istituti e scuole. La mancanza di tale possibilità determina lunghe e penose quanto ingiustificabili more nella corresponsione degli stipendi a istitutori e professori non di ruolo, i quali debbono spesso attendere circa un anno prima di poter percepire anche una minima parte delle loro spettanze; con evidente gravissimo disagio economico e morale e aperta violazione di ogni giustizia remunerativa. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Franceschini, Rapelli, Quarello Gioacchino, Lizier, Foresi, Zaccagnini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno trasmesse ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 21.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento di interpellanze.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 12 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIII.

SEDUTA DI SABATO 12 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14)

Presidente

Rescigno

De Vita

Bosco Lucarelli

Caroleo

Scoca

Pella, Ministro delle finanze

Tosi

Corbino

La Malfa, Relatore

Bertone

Condorelli

Perrone Capano

Pesenti

De Mercurio

Balduzzi

Cifaldi

Perlingieri

Bulloni

Castelli Avolio

Dugoni

Scoccimarro

Fabbri

Bubbio

Carboni Angelo

Marinaro

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Scoccimarro

Presidente

La seduta comincia alle 9.30.

PRETI, il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole deputato Fogagnolo.

(È concesso).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto amministrativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14)».

Riprendiamo l’esame del decreto, all’articolo 9. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I terreni si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con il regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, di coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria centrale.

«Le scorte dei terreni agrari, anche se dati in affitto, si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione ai redditi imponibili agrari iscritti in catasto, depurati dalla parte corrispondente al lavoro direttivo, di coefficienti stabiliti dalla Commissione suddetta.

«Quando le scorte sono di spettanza del proprietario e del colono, la quota di reddito agrario da attribuirsi al colono è determinata dall’ufficio distrettuale delle imposte, salvo ricorso alle Commissioni amministrative.

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione alla loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria centrale.

«Le aree fabbricabili si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, determinati caso per caso».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Vi è anzitutto quello dell’onorevole Rescigno, del seguente tenore:

«Al primo comma, dopo le parole: I terreni si valutano in base ai valori medi, aggiungere la parola: stimati».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Due parole sole, tanto più che la proposta aggiunta della parola «stimati», più che costituire un emendamento, è determinata dall’esigenza di chiarire e di fissare bene un punto essenziale; perché a me sembra che il sistema di valutazione escogitato dalla legge della quale ci stiamo occupando, sia un sistema piuttosto farraginoso, macchinoso; né credo che altri possa suggerirne uno migliore. Forse sarebbe stato più opportuno continuare nel sistema attuale, un po’ superficiale, sbrigativo, ma evidentemente più economico, quello cioè di moltiplicare gli attuali valori per un coefficiente fisso. Ad ogni modo, osservo questo: che la legge dice che i terreni si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947; mentre tecnicamente avrebbe dovuto dire meglio: in base ai valori venali in comune commercio del periodo indicato, così come si è fatto per le precedenti leggi di imposta sul patrimonio.

La locuzione che si è adoperata lascia comprendere appunto che il Governo e la Commissione si sono preoccupati di ciò e hanno compreso che base della valutazione non potevano essere le compravendite effettuate in questo periodo, perché influenzate da circostanze straordinarie, da circostanze anormali, contingenti, come ad esempio il grande squilibrio tra l’offerta limitata e la domanda vasta, gli investimenti fatti dagli arricchiti di guerra, decisi ad investire a qualunque costo, a sbarazzarsi della carta moneta.

Ora, il valore deve essere depurato di tutte queste circostanze anormali; e credo che questo sia anche il pensiero della Commissione censuaria centrale, la quale intende riferirsi appunto ad un valore stimato.

Perciò, con questo emendamento, io intendo soprattutto precisare e chiarire questo concetto: che si tratti, cioè, di valori «stimati».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Al primo comma del testo governativo sopprimere: in base ai valori medi del 1946».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’emendamento da me proposto è soltanto di carattere formale; esso non tocca la sostanza della disposizione ed è connesso all’altro emendamento da me presentato all’articolo 10.

PRESIDENTE. Si limiti ad illustrare quello all’articolo 9.

DE VITA. Debbo riferirmi anche a questo secondo emendamento, perché è strettamente connesso al primo.

Con il mio primo emendamento, risulterebbe più chiaro l’articolo 9, il cui testo sarebbe il seguente:

«I terreni si valutano mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con il regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, di coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria centrale».

Ora, i coefficienti come sonò determinati? Questa domanda mi ha suggerito l’altro emendamento all’articolo 10, cioè di proporre l’aggiunta al primo comma, dopo le parole «per zone economiche agrarie» delle parole «in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947». Il primo comma dell’articolo 10 suonerebbe così: «Il coefficienti per la valutazione dei terreni e relative scorte sono stabiliti per zone economiche agrarie, in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, e con riguardo alla qualità di coltura ed alla classe di produttività».

Sostanzialmente non muta niente. Ripeto, si tratta soltanto di un emendamento di carattere formale.

PRESIDENTE. L’onorevole Bonomi Paolo ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, secondo rigo, sostituire le parole: 1° luglio 1946-31 marzo 1947, con le seguenti: 1° gennaio-31 dicembre 1946».

«Al secondo comma, terzo rigo, sostituire alle parole: del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, le seguenti: del periodo 1° gennaio-31 dicembre 1946».

«Dopo il terzo comma aggiungere il seguente:

«Per proprietari coltivatori diretti il reddito agrario al quale si dovranno applicare i coefficienti di cui al precedente comma verrà depurato della parte corrispondente alle anticipazioni colturali».

L’onorevole Bonomi non è presente.

BOSCO LUCARELLI. Faccio miei questi emendamenti, rinunciando a svolgerli.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento al quarto comma:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, tenuto conto del reddito effettivo alla stessa epoca, in relazione ai provvedimenti vincolistici intervenuti dal 1915 in poi e distinguendo tra cespiti sbloccati e cespiti soggetti ancora alle restrizioni di legge».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Dirò poche parole. La posizione dei proprietari di fabbricati è abbastanza nota. Le condizioni difficili di questa categoria di abbienti (che può dirsi benemerita perché la proprietà edilizia risponde preminentemente a quella funzione sociale che si va affermando nel campo della proprietà), le condizioni difficili – dicevo – risalgono al 1917, allorché intervenne il primo blocco – non per merito allora dei comunisti, ma dei liberali – ed il blocco stabiliva anche l’istituzione di alcune Commissioni arbitrali per l’equo affitto. Dal 1917 si andò, sempre in regime vincolistico, al 1927, in cui si consentì soltanto che il canone potesse essere quadruplicato rispetto alla consistenza del 1914, e si consentì anche che i proprietari potessero conseguire un certo adeguamento all’imposta che andavano a pagare, stabilendosi così il principio – in via generale – che al proprietario di fabbricati fosse soltanto concesso di esigere quanto poteva essere sufficiente per pagare l’imposta.

Dopo il 1927, ci troviamo di fronte al decreto del 1934, per cui si disse che – poiché la lira si era rivalutata e potevamo ormai contare sulla lira oro – bisognava che si riducessero anche le pigioni che erano state vincolate dal 1917 in poi, e si apportò una decurtazione variabile dal 12 al 15 per cento.

È sui canoni così ridotti che poi giuoca quel tale aumento (perché c’è il periodo 1936-1945, durante il quale il blocco delle locazioni di fondi urbani è perfetto); giuoca appunto dopo la diminuzione del 12-15 per cento quell’aumento, prima del 30 e poi del 25, che è stato apportato dalle nuove disposizioni.

Naturalmente questo ha rappresentato, onorevoli colleghi, la piena espropriazione della proprietà edilizia, anzi ha rappresentato un trasferimento di questa proprietà dai titolari del diritto di dominio agli inquilini, i quali si sono sostituiti ai proprietari con un appetito che non ha forse precedenti in nessuna storia dell’economia. Gli inquilini fanno speculazione attraverso il subaffitto, non solo, ma anche attraverso la vendita. È a tutti noto che a Roma, se si vuol vendere un fabbricato bloccato, bisogna pagare un prezzo al proprietario ed un prezzo, a volte anche maggiore – in ogni caso almeno uguale – agli inquilini. In tale situazione interviene prima l’imposta ordinaria che si sta pagando. Noi sappiamo che cosa sta avvenendo fra le popolazioni meridionali per i possessori dell’unica casetta, per i pensionati, per i funzionari dello Stato che avevano fondato tutte le risorse della loro vecchiaia nell’unica casetta: piangono in mezzo alle strade, vanno girando presso questo o quell’istituto per aver i mezzi onde fronteggiare questa imposta ordinaria. Si è sentito dire qui, anche da parte dell’illustre Relatore della Commissione, che si è esercitato, per quell’imposta, largamente il riscatto. Ma, quando si fa questa affermazione, bisogna dire a iniziativa di chi questo riscatto è stato operato; perché, se gli accertamenti si fossero eseguiti, ad esempio in Calabria, si sarebbe visto che il riscatto si è potuto attuare soltanto a iniziativa di proprietari di uliveti, di agrumeti e di castagneti, ma non di proprietari di fabbricati; perché i possessori di fabbricati vanno svendendo attualmente le loro case per adempiere a questo dovere, indiscutibilmente insopprimibile, di concorrere al risanamento finanziario dello Stato. Espropriazione, dico, e anche soppressione dell’iniziativa privata in questo campo, perché abbiamo veramente qui assistito a una specie di collettivizzazione: il primo esperimento, che non è merito dei comunisti ma dei liberali del 1917, come ho già detto. Ora, che cosa chiedo con questo emendamento? Anche i proprietari dei fabbricati, che non esistono più, hanno il dovere di concorrere al risanamento della finanza nazionale; però, compiamo una volta tanto questo atto di giustizia, riconosciamo che questi proprietari devono rispondere per quello che hanno, per quello che è stato loro lasciato. E, quindi, ogni valutazione non si allontani da quello che è il primo, fondamentale elemento di ogni stima di cespiti mobiliari ed immobiliari, cioè dal reddito. Ci sono fitti sbloccati ed i proprietari paghino in relazione al reddito dello sblocco; ma si tenga anche conto dei canoni vincolati. In secondo luogo, bisogna fissare l’epoca in riferimento alla quale questa valutazione deve essere fatta. Il Governo proponeva in base ai valori medi del 1946. La Commissione estende dal luglio 1946 al marzo 1947; ma ricordiamo che questo è il più grave periodo inflazionistico: c’era la minaccia del cambio della moneta, si correva dietro ai proprietari per ottenere, con le lusinghe di molta carta, delle cessioni di immobili. Perché far coincidere con questo momento la valutazione dei fabbricati?

Io parlo anche a nome del collega Veroni, che ha pure presentato un emendamento in proposito, così formulato: Al quarto comma, sostituire alle parole: «ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947» le parole: «ai valori medi alla data del 1° gennaio 1946».

Interpreto specialmente i voti di una vasta categoria, cioè dell’Associazione nazionale dei piccoli proprietari, che si vede posta in condizioni assolutamente impossibili, e mi auguro che l’emendamento dell’onorevole Veroni ed il mio possano riscuotere il consenso di questa Assemblea.

PRESIDENTE. Segue un secondo emendamento presentato dall’onorevole Rescigno:

«Al quarto comma, dopo le parole: I fabbricati si valutano in base ai valori medi, aggiungere la parola: stimati».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Valgano le stesse considerazioni fatte per i fabbricati.

PRESIDENTE. L’onorevole De Mercurio ha già svolto il seguente emendamento:

«Modificare il quarto comma nel modo seguente:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, mediante applicazione alla loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria, per le diverse destinazioni, o diverso adattamento delle singole sue parti».

Invito la Commissione ad esprimere il proprio parere sugli emendamenti presentati all’articolo 9.

SCOCA. A nome della Commissione, dichiaro di ritenere che l’aggiunta della parola «stimati», proposta dall’onorevole Rescigno, sia superflua, perché evidentemente nel concetto dei valori medi è incluso il concetto della stima.

RESCIGNO. Tenevo a che risultasse stabilito questo. Dopo tale dichiarazione, posso anche rinunziare ai miei emendamenti.

SCOCA. L’onorevole De Vita, il quale sposterebbe dall’articolo 9 all’articolo 10 la frase «in base ai valori medi dell’anno 1946» (ovvero, secondo il testo modificato dalla Commissione, la frase «nel periodo dal 1° luglio 1946 al 31 marzo 1947») ha dichiarato che questo non implicherebbe una modificazione sostanziale.

La Commissione ritiene di non potere accettare la proposta, perché, altrimenti, bisognerebbe spostare anche altre dizioni, come quella del secondo comma dell’articolo 9; quindi bisognerebbe riordinare un po’ tutto; ma, dal momento che si tratta di correzione formale, si corre il rischio, per correggere, di fare un danno maggiore; quindi, è meglio lasciare così.

L’onorevole Bonomi propone il ritorno al testo del Governo per quanto riguarda la data. Ma siccome la Commissione è stata essa a proporre lo spostamento della data, in ciò è implicito il rigetto degli emendamenti Bonomi.

Riguardo all’emendamento proposto dall’onorevole Caroleo, sono perfettamente convinto delle ragioni da lui addotte; ma mi pare che la Commissione ne abbia già tenuto conto, nell’includere all’articolo 10 questo concetto della discriminazione fra fabbricati, secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico. Più in là la Commissione non crede di poter andare, cioè non crede di accedere al concetto più ampio esposto dall’onorevole Caroleo, che si tenga conto dei provvedimenti vincolistici emanati dal 1915 in poi.

Non possiamo andare a date tanto lontane, perché si complicherebbero la stima e le valutazioni.

D’altra parte, si tratta di imposta sul patrimonio, e il valore del patrimonio dipende, in gran parte, dal reddito, poiché, secondo i principî economici, il valore del patrimonio equivale alla capitalizzazione del reddito.

Se ci sono delle circostanze, che influiscono a far divergere dal concetto economico, queste devono essere tenute presenti anche dal legislatore, che fa una legge finanziaria, perché bisogna colpire il patrimonio per quello che è.

Indubbiamente, questo elemento vincolistico, questo fatto che dai fabbricati non si ritrae il reddito, che si potrebbe in regime di assenze di vincoli e perciò li pone in stato di svantaggio rispetto ad altri beni, influisce sulla valutazione.

La Commissione ha introdotto questo concetto nell’articolo modificato e più in là non può andare.

Sull’emendamento De Mercurio, per le stesse ragioni, la Commissione esprime parere contrario.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda gli emendamenti dell’onorevole Rescigno, sia in ordine ai terreni, sia ai fabbricati…

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha dichiarato di rinunziarvi.

PELLA, Ministro delle finanze. Allora sta bene.

Per quanto riflette gli emendamenti dell’onorevole Bonomi, che in sostanza vogliono riproporre il sistema del testo governativo, il Governo potrebbe essere tentato di aderirvi. Ma, per deferenza, il Governo ha accettato le modifiche della Commissione: perciò non posso che respingere gli emendamenti dell’onorevole Bonomi.

Per l’emendamento dell’onorevole Caroleo, nella prima parte, valgono le considerazioni esposte in ordine all’emendamento Bonomi.

Il riferimento ai valori dell’anno 1946 rappresenta il sistema proposto dal Governo, che la Commissione ha modificato. Quindi il Governo è d’accordo con la Commissione nel respingere questa parte dell’emendamento.

Per la seconda parte, l’emendamento sembra superfluo, perché, come ha osservato l’onorevole Scoca, già all’articolo 10 si fa riferimento al regime vincolistico come ad un elemento ai fini della valutazione.

Aggiungo che tutto questo era già implicito nel testo governativo, perché nella determinazione dei valori, va tenuto conto di tutti gli elementi, compresa la possibilità di reddito.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Mercurio valgono le stesse considerazioni, nel senso che il concetto del riferimento all’anno 1946 è superato dalle proposte della Commissione.

Analoga osservazione debbo fare per l’emendamento dell’onorevole Veroni.

Per quanto concerne l’emendamento dell’onorevole De Vita, convengo con l’onorevole Scoca che sul suo contenuto potremmo dichiararci tutti d’accordo. Ma devo osservare che si tratta di una questione soltanto formale, e non mi sembra sia il caso di rendere più pesante il nostro lavoro, sconvolgendo il sistema dell’articolazione.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. A proposito degli emendamenti presentati dall’onorevole Bonomi e dall’onorevole De Mercurio, vorrei far presente – a nome della Commissione – che se non possono essere accettati come emendamenti da inserire nel testo, potrebbero però essere tenuti eventualmente presenti dal Governo come raccomandazione per un criterio da dare alle Commissioni nella valutazione.

Infatti, l’onorevole De Mercurio parla di una valutazione da determinarsi tenuto conto delle diverse destinazioni o dei diversi adattamenti dei singoli immobili, e l’onorevole Bonomi parla di determinazione dei valori per i coltivatori diretti, valutando i loro terreni e detraendoli dall’importo delle anticipazioni colturali. Queste, praticamente, sono dei debiti ed entrano nel concetto generale; si tratta, insomma, di criteri di valutazione che non possono evidentemente essere inseriti nella legge, ma di cui il Governo potrebbe tener conto per le sue eventuali determinazioni.

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Bosco Lucarelli, che ha fatto propri gli emendamenti dell’onorevole Bonomi Paolo, se li mantiene.

BOSCO LUCARELLI. Li mantengo.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo nella richiesta della Commissione di accettare a titolo di raccomandazione i suggerimenti di cui al terzo comma, dell’emendamento Bonomi e di cui alla seconda parte dell’emendamento De Mercurio.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo chiedere alla Commissione ed al Governo un chiarimento circa le sanzioni che sarebbero applicate a carico del contribuente il quale ignorando i valori che saranno stabiliti dalla Commissione censuaria centrale, potrebbe credere di essere esonerato dall’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini dell’imposta. In questo modo noi introduciamo, nel fatto dell’obbligo della dichiarazione, un elemento di incertezza che, probabilmente, peserà sul 60-70 per cento delle dichiarazioni.

TOSI. Se ne parlerà quando tratteremo delle sanzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, ha udito. La Commissione assicura che se ne parlerà al momento opportuno.

LA MALFA, Relatore. Si può chiarire senz’altro. In definitiva il contribuente deve fare la dichiarazione in base all’imponibile già accertato, e tutto il resto verrà concordato dopo. Non si può quindi cadere in nessuna sanzione.

CORBINO. Non mi sembra. Supponiamo che io ho un cespite colpito in base a un imponibile attuale di un milione. Sono pertanto esentato dall’obbligo della dichiarazione. Viene la Commissione censuaria…

LA MALFA, Relatore. L’obbligo della dichiarazione c’è sempre in base agli imponibili già accertati.

CORBINO. Per chi ha un patrimonio superiore ad un milione e mezzo. Per chi abbia, invece, un patrimonio inferiore a tale cifra non c’è obbligo di dichiarazione. Chi ha l’obbligo di dichiarazione per un milione e mezzo e ha fatto la dichiarazione in sede di accertamento, si vedrà mutare i valori che formano l’imponibile per l’imposta straordinaria, ma chi credeva di essere nel limite di esenzione…

LA MALFA, Relatore. Vorrei sentire prima il parere del Governo. Ad ogni modo credo che, essendoci obbligo di dichiarazione solo degli imponibili accertati, quando non c’è imponibile non ci può essere sanzione. La cifra di un milione e mezzo stabilisce il limite della obbligatorietà.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione sui vari emendamenti. Si dovrebbe iniziare da quello presentato dall’onorevole De Vita al primo comma.

DE VITA. Se l’onorevole Ministro e la Commissione ritengono che il mio emendamento non valga a chiarire meglio l’articolo, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Bonomi Paolo, fatti propri dall’onorevole Bosco Lucarelli.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni del Governo, che accetta come raccomandazione l’emendamento al terzo comma, non vi insisto. Insisto invece sui due emendamenti al primo ed al secondo comma, con i quali si intende riportare la valutazione all’intero anno 1946, anziché fissarla al periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, come proposto.

Prego il Governo e la Commissione di accettare tali emendamenti.

PRESIDENTE. Ricordo che la Commissione ed il Governo hanno espresso parere contrario.

Pongo ai voti l’emendamento al primo comma proposto dall’onorevole Bonomi Paolo e fatto proprio dall’onorevole Bosco Lucarelli.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento al secondo comma dello stesso onorevole Bonomi Paolo.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Caroleo, sostitutivo del quarto comma.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io voto a favore dell’emendamento Caroleo per quanto non sia del tutto d’accordo sulla forma che egli ha adoperato per esprimere il suo concetto. In sostanza, non vorrei tener conto dei provvedimenti vincolistici che vi sono stati dal 1915 ad ora: sono passati trent’anni! Piuttosto, vorrei che le Commissioni censuarie centrali tenessero conto di quelle che potranno essere le probabilità del regime vincolistico nei riguardi dell’avvenire, perché in sostanza se noi valutiamo, agli effetti dell’imposta, i fabbricati in base ai valori medi corrispondenti ai prezzi realizzati nei contratti di compra-vendita, che sono stati stipulati in questo ultimo anno, oppure in base al costo delle nuove costruzioni, noi evidentemente veniamo a determinare dei valori patrimoniali che non hanno nessun riferimento con la realtà, specialmente nei riguardi delle abitazioni bloccate.

Ecco perché anche se in questa sede, per ragioni di equilibrio generale della legge, noi non vogliamo modificare il sistema che si è introdotto, è bene che il Governo tenga presente che la legislazione sugli affitti la fa lo Stato e non l’hanno fatta né gli inquilini, né i proprietari di case. Ora, lo Stato non può, in sede di imposizione, ignorare una serie di provvedimenti che nella sua potestà ha creduto necessario di prendere; ma deve tener conto anche delle conseguenze che derivano su coloro che devono pagare l’imposta.

Ecco perché vorrei che, per lo meno, l’emendamento Caroleo fosse tenuto presente come una raccomandazione al Governo, perché ne tenga conto in sede di quei provvedimenti integrativi che certamente dovranno venire, dopo che avremo convalidato questo decreto legislativo.

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Caroleo, pur consentendo nella opinione espressa dall’onorevole Corbino che del contenuto di esso sia tenuto conto come raccomandazione.

Voterò contro perché questo emendamento porta a sostituire, ad un criterio che deve essere generale per tutta l’Italia nello stabilire i metodi con cui si debbono fare le valutazioni (criterio che verrà applicato dalla Commissione censuaria centrale), altri criteri che non si sa da chi dovranno essere applicati, e che potranno essere applicati con criteri diversi da ufficio ad ufficio, da regione a regione, portando disparità in una materia che deve essere regolata da una legge uniforme.

Quindi, rimango al testo della Commissione; e, se si vuole intendere che il suggerimento dell’onorevole Caroleo debba essere tenuto presente come raccomandazione, sarà la Commissione censuaria che dovrà raccogliere questa raccomandazione.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Nella speranza che il Governo e la Commissione tengano conto del mio emendamento nella forma di una raccomandazione, potrei ritirarlo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Bisogna tener presente un fatto: che i proprietari di fabbricati hanno già dato largamente il loro contributo alla difesa della lira. Non si tratta di pensare al valore attuale, ma bisogna pensare che questa imposta sul patrimonio è stata già largamente pagata dai proprietari, sotto altra forma, e in modo esorbitante.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Faccio notare ai colleghi che la Commissione si è preoccupata di questo, e all’articolo 10 ha aggiunto la dizione: «discriminando i fabbricati a seconda che siano soggetti o no al regime vincolistico».

Credo che questa aggiunta della Commissione valga a stabilire un criterio rigoroso in sede di valutazione ed in relazione al regime vincolistico.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Non solo aderisco alle considerazioni dell’onorevole Relatore, nel senso che la Commissione censuaria centrale, in sede di determinazione dei valori, dovrà farsi carico, per le categorie dei fabbricati soggetti a regime vincolistico, di quelle che sono le ripercussioni del vincolo; ma vorrei, nell’ordine di considerazione di quanti si preoccupano dei fabbricati vincolati, sottolineare quello che succederà a mano a mano che ci allontaneremo dal 28 marzo.

Se non si stabilirà diversamente quando discuteremo l’articolo 10, i valori dei fabbricati vincolati saranno determinati in relazione alla entità, alla incidenza del vincolo nel periodo di riferimento 1° luglio-31 marzo.

Ora, è legittimo prevedere che, nel prossimo futuro, la disciplina dei fitti potrà essere soggetta a revisione.

Faccio naturalmente delle ipotesi, che non intendono costituire alcuna indicazione rispetto a quella che può essere la politica del Governo, perché evidentemente non ne sarebbe questa la sede.

Ora, se, per ipotesi, nel 1949, anno in cui effettivamente comincerà a pesare l’imposta (perché nel 1948, prevalentemente, si comincerà a pagare sulla base delle dichiarazioni) il regime vincolistico sarà attenuato, quale sarà la conseguenza?

Che i proprietari di fabbricati vincolati pagheranno in un’epoca in cui il vincolo sarà minore, rispetto a valori determinati nell’epoca in cui il vincolo era più rigoroso.

Dico questo, non già per ipotizzare un qualche emendamento che possa rendere più rigorosa la valutazione, ma perché desidero sottolineare due punti: primo, che l’articolo 10 emendato secondo il testo della Commissione consente di tener conto delle preoccupazioni dei proprietari vincolati; secondo, che i proprietari vincolati finiranno per trovarsi in una situazione di particolare facilitazione e cioè di pagare, forse in un’epoca in cui il regime di vincolo sarà meno rigoroso, sopra valori accertati con riferimento ad un regime di vincolo più rigoroso. (Commenti).

CAROLEO. Dopo le spiegazioni del Ministro delle finanze non posso non insistere sul mio emendamento. Conosco il destino di questo emendamento; ma intendo che l’Assemblea rifletta sull’opportunità di respingerlo o di accoglierlo. Vuol dire che, se non sarà accolto, ognuno avrà assunto la propria responsabilità di fronte ad una categoria di proprietari che sono stati completamente espropriati in Italia.

Io non mi preoccupo tanto dell’espropriazione quanto delle conseguenze che questa espropriazione può avere; già non costruisce più nessuno in Italia; costruisce lo Stato e per ogni piccolo vano comincia già a far pagare, per le case popolari, mille e più lire mensili.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Pregherei l’onorevole Caroleo di non insistere nel suo emendamento, diversamente metterebbe in forse l’importanza della modifica che la Commissione ha introdotto all’articolo 10.

A noi è parsa talmente chiara la direttiva che abbiamo segnato alla Commissione centrale all’articolo 10, che il respingere l’emendamento Caroleo potrebbe prendere senso diverso da quello che ha.

CAROLEO. Vorrei semplicemente osservare che non avevo ignorato questa difficoltà per la Commissione censuaria, perché naturalmente la raccomandazione, il suggerimento era per la Commissione censuaria centrale e non per gli uffici distrettuali.

PRESIDENTE. Dopo le osservazioni del Relatore ritira l’emendamento, onorevole Caroleo?

CAROLEO. Sì, lo ritiro, trasformandolo in raccomandazione, e credo che in questo possa ottenere il voto unanime dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio al quarto comma.

Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Vi è ora da porre ai voti un emendamento sostitutivo del quarto comma, proposto dall’onorevole De Vita.

DE VITA. Desidero illustrare questo mio emendamento.

PRESIDENTE. Le avevo già dato facoltà di parlare per illustrare tutti i suoi emendamenti all’articolo. Comunque, illustri ora questo emendamento. Rammento che esso è così formulato:

«Sostituire il quarto comma con il seguente:

«I fabbricati si valutano mediante applicazione alla loro consistenza dei valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947 determinati dalla Commissione censuaria centrale per singole unità immobiliari».

DE VITA. Attribuisco importanza a questo emendamento, perché, se si può parlare di coefficienti di valutazione per i terreni, non si può più parlare di coefficienti di valutazione per i fabbricati. Se per i fabbricati si fa ricorso al catasto edilizio, dobbiamo parlare di unità immobiliare tipo e di valori che si riferiscano all’unità immobiliare tipo.

Ritengo di aver così chiarito il mio emendamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi al riguardo.

LA MALFA, Relatore. Non comprendo lo spirito dell’emendamento. Esprimo parere contrario.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Anche il Governo è contrario.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole De Vita.

(Non è approvato).

Quanto all’emendamento dell’onorevole Veroni, si intende assorbito in quello dell’onorevole Caroleo, trasformato in raccomandazione.

L’articolo 9 s’intende così approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 10.

Si dia lettura del testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I coefficienti per la valutazione dei terreni e relative scorte sono stabiliti per zone economico-agrarie, con riguardo alla qualità di coltura ed alla classe di produttività.

«I coefficienti per la valutazione dei fabbricati sono stabiliti per ogni comune, con riguardo alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, ai sensi del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito nella legge 11 agosto 1939, n. 1249, discriminando i fabbricati, secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico».

A questo articolo sono stati presentati tre emendamenti. Il primo, a firma degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi e Cifaldi è del seguente tenore:

«Aggiungere alle parole: discriminando i fabbricati secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico, le seguenti: con riferimento al reddito vincolato».

Essendo assenti tutti gli onorevoli presentatori, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene; allora ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Io credo che l’emendamento valga a chiarire ancor meglio di quanto non abbia fatto la Commissione il testo del secondo comma dell’articolo 10 e assorba il contenuto della discussione che si è svolta poco fa intorno all’emendamento dell’onorevole Caroleo.

Il testo del secondo comma dell’articolo 10, così come è stato formulato dalla Commissione, detta in ultimo: «…discriminando i fabbricati secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico». L’emendamento propone di aggiungere a questo punto le parole «con riferimento al reddito vincolato», perché in questa maniera riesca più preciso e più chiaro che le Commissioni debbono tener conto in concreto del reddito vincolato.

PRESIDENTE. Segue un emendamento al secondo comma, a firma dell’onorevole Veroni:

«Al secondo comma, alle ultime parole: regime vincolistico, aggiungere le altre: tenendo conto della data iniziale del blocco subito da ciascun fabbricato ai fini di una graduazione dell’entità di limitazione del reddito».

L’onorevole Caroleo ha dichiarato di far suo anche questo emendamento. Intende svolgerlo?

CAROLEO. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Al primo comma, dopo le parole: per zone economico-agrarie, aggiungere: in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Rinuncio al mio emendamento, in quanto esso è collegato con quello proposto al precedente articolo, che non è stato approvato dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 10.

LA MALFA, Relatore. Vorrei pregare i presentatori di emendamenti di non insistere, perché mi pare naturale che il regime vincolistico debba venir considerato solo in sede di accertamento di reddito. Noi qui specifichiamo concetti che sono impliciti nel testo della Commissione.

PERRONE CAPANO. Dichiaro di non insistere.

CAROLEO. Anch’io non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 10 si intende allora approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 11.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I coefficienti previsti negli articoli precedenti sono predisposti dall’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, la quale li comunica, per tutti i comuni di ciascuna provincia, alle singole Commissioni censuarie comunali ed alla Commissione censuaria provinciale.

«Le Commissioni censuarie comunali hanno facoltà di presentare, entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti, alla Commissione censuaria provinciale le proprie osservazioni sui coefficienti stessi.

«Entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale, questa inoltra, con le proprie proposte, alla Commissione censuaria centrale, per il tramite dell’Ufficio tecnico erariale, contemporaneamente per tutte le zone economico-agrarie e per tutti i comuni della provincia, le osservazioni che siano state formulate dalle Commissioni censuarie comunali.

«La Commissione censuaria centrale, tenute presenti le proposte presentate in termini dalle Commissioni censuarie provinciali e sentita l’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, stabilisce in via definitiva i coefficienti per ciascuna zona economico-agraria e per ciascun comune».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei fare una precisazione di forma circa i termini previsti nell’articolo.

Si dice, nel secondo comma, che «le Commissioni censuarie comunali hanno facoltà di presentare, entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale le proprie osservazioni sui coefficienti stessi». E poi si prosegue: «Entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale, questa inoltra, ecc.».

Ora, questi novanta giorni da. quando decorrono? Perché le Commissioni censuarie comunali sono molte; per ogni Comune vi è la Commissione censuaria comunale: una può presentare le sue osservazioni il primo giorno, un’altra il quindicesimo, un’altra il trentesimo e così via. Quindi non si sa esattamente la decorrenza di questi novanta giorni, entro i quali la Commissione provinciale deve inoltrare queste osservazioni.

Io suggerirei, perciò, di dire: «Entro novanta giorni dalla scadenza dei trenta giorni di cui al termine del comma precedente». Così la decorrenza è sicura.

CORBINO. Si potrebbe dire: «Entro i successivi novanta giorni».

LA MALFA, Relatore. Non abbiamo difficoltà; se il Governo accetta.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Il terzo comma secondo l’emendamento Bertone suonerebbe così:

«Entro novanta giorni dalla scadenza dei trenta giorni di cui al comma precedente, ecc.»

LA MALFA, Relatore. Forse la formula suggerita dall’onorevole Corbino: «Entro i successivi novanta giorni» è migliore.

BERTONE. No, perché i successivi novanta giorni possono riferirsi ai Comuni che hanno presentato le osservazioni in data diversa. Io voglio riferirmi alla scadenza dei trenta giorni, cioè ad una data fissa: è una questione di precisione.

CORBINO. Diamo mandato al Governo o alla Commissione di studiare la formula migliore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione propone la dizione: «Entro novanta giorni dalla scadenza del termine sopra stabilito».

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la formula proposta dall’onorevole Relatore.

(È approvata).

L’articolo 11 si intende approvato con l’emendamento testé votato.

Passiamo all’articolo 12, il cui testo è accettato dalle Commissione nella formulazione proposta dal Ministero. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Contro le valutazioni dei terreni, eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte dirette con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli Uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondano alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette.

«Contro le valutazioni dei fabbricati eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono, ai soli fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, quando la destinazione o le caratteristiche di esso siano, in atto, notevolmente diverse da quelle dell’unità tipo, approvate dalla Commissione censuaria centrale come rappresentative della categoria o classe cui il fabbricato è stato assegnato».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole De Mercurio, già svolto, così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Contro la valutazione dei terreni, eseguita dagli uffici in base alle risultanze catastali ed ai coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per la non corrispondenza alle qualità di coltura risultanti dal catasto. D’altra parte gli uffici potranno rettificare la valutazione dei terreni da essi effettuata, nel termine di un anno dall’eseguita notifica dell’accertamento, tutte le volte che le risultanze catastali non corrispondano allo stato di fatto e che si siano verificati errori di calcolo».

L’onorevole Rescigno ha proposto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo le parole: per questioni riflettenti, aggiungere le parole: la natura, la consistenza o».

Ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Dirò brevi parole d’illustrazione del mio emendamento e prego i colleghi di prestare una cortese attenzione, trattandosi di un argomento di importanza sostanziale.

L’applicazione dell’articolo 12 presuppone l’esistenza del catasto edilizio urbano, il quale adesso è invece soltanto in formazione, in base alla legge 11 agosto 1939 n. 1249; e che io sappia, in nessun comune del territorio nazionale il nuovo catasto è stato reso pubblico.

Ora, i dati di questo catasto non sono definitivi. Non sono definitivi non solamente riguardo all’assegnazione del fabbricato alla classe o alla categoria, ma non sono neanche definitivi riguardo alla consistenza, cioè riguardo al numero dei vani che compongono il fabbricato, e – quello che è più grave – non sono neanche definitivi riguardo alla natura urbana o rustica o industriale o commerciale del fabbricato stesso.

Ora, l’articolo 12 limita il ricorso del contribuente alle questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, in maniera che il contribuente non ha nessuna difesa contro le valutazioni ingiuste, contro indebite pretese della Finanza e, soprattutto, contro le duplicazioni di imposizione. Infatti, queste duplicazioni d’imposizione potranno essere molto estese, perché nel nuovo catasto edilizio urbano si trovano accertati molti cespiti, molti fabbricati i quali attualmente sono censiti al rustico, e poi si trovano accertati tutti i fabbricati industriali e commerciali.

D’altro canto, il valore dei fabbricati rurali è contenuto già istituzionalmente nel valore dei fondi rustici dove essi si trovano, così come i fabbricati industriali e commerciali sono contenuti nel valore delle rispettive aziende industriali e commerciali.

Difatti all’articolo 17 si dice che «le aziende industriali e commerciali si valutano nel loro complesso, tenuto conto dei vari elementi che li compongono, sulla base ecc.».

Di modo che il pericolo della duplicazione di valutazione è grave ed esteso.

Più grave ancora è la mancata concessione al contribuente del ricorso contro l’accertamento che si riferisce alla consistenza. Perché? Perché il famoso catasto edilizio in formazione adotta al riguardo delle unità e dei metodi molto complicati, che solamente gli iniziati conoscono; e per giunta, questi metodi sono anche un po’ arbitrari, perché non sono contenuti in quella legge 11 agosto 1939 n. 1249, né sono contenuti in alcun regolamento, perché non c’è stato nessun regolamento per questa legge.

Ne consegue che contro questi abusi, contro questi metodi, contro queste unità complicatissime – che, ripeto, soltanto pochi iniziati possono comprendere – al contribuente non è dato nessun riparo, nessun rimedio.

Di qui la necessità di dare al contribuente la facoltà di ricorrere non solamente contro l’assegnazione alla classe o alla categoria, ma anche contro l’accertamento della consistenza o della natura del fabbricato.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Foa, Pesenti, Scoccimarro e Valiani:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora il valore dei fabbricanti risultante dall’applicazione dei coefficienti di cui all’articolo 9 sia superiore di almeno un quinto al valore medio effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può chiedere all’ufficio distrettuale delle imposte l’accertamento del valore effettivo e l’applicazione dell’imposta in base ad esso. Contro l’accertamento dell’ufficio è concesso il ricorso alle Commissioni amministrative. Il ricorso non sospende l’iscrizione a ruolo dell’imposta».

In assenza dell’onorevole Foa, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Pesenti, secondo firmatario.

PESENTI. L’emendamento proposto risponde ad un senso di giustizia perché la valutazione meccanica fatta in base ai coefficienti, stabilita dall’articolo 9, può essere non corrispondente a quello che è l’effettivo valore dei fabbricati. Per questo, quando lo scarto sia superiore ad un quinto, cioè al 20 per cento del valore effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può avere il diritto di ricorrere per stabilire la giusta valutazione di mercato indicata dalla media.

Per quel che riguarda questo emendamento, ripeto che noi crediamo che esso risponda ad un senso di giustizia. Mi è stato fatto rilevare il pericolo che possa aprire una breccia nel sistema, e per questo ci rivolgiamo al Governo per sentire il suo parere in proposito.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. La Commissione trova molto limitativo nell’emendamento De Mercurio il termine di un anno dato agli uffici distrettuali per rettificare la valutazione dei terreni. Non credo che si possa assegnare agli Uffici un termine così breve. Ma su questo la Commissione vorrebbe sentire il parere del Governo.

Quanto all’emendamento Rescigno, la Commissione lo accetterebbe; e sull’emendamento Foa-Pesenti la Commissione, essendo divisa, intenderebbe rimettersi all’opinione del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Mercurio, osservo che purtroppo gli uffici non saranno in grado, nel giro di un anno, di rilevare le discrepanze esistenti fra la situazione reale e le risultanze catastali, quando tali discrepanze sarebbero da eccepire nell’interesse dell’amministrazione. Per questo prego l’onorevole De Mercurio di non insistere.

Circa l’emendamento dell’onorevole Rescigno, penso che esso possa essere accettato.

Per l’emendamento Foa, Pesenti, Scoccimarro, Valiani, sebbene il ricorso non sospenda l’iscrizione a ruolo dell’imposta e quindi non turbi la riscossione, sono perplesso circa le conseguenze di un cumulo di lavoro che fatalmente verrebbe a gravare sopra gli uffici.

Desidero riservare la risposta definitiva alla prossima seduta dopo avere interpellato gli uffici sulla portata pratica dell’emendamento, pregando fin da ora i presentatori, nell’ipotesi che si possa accedere a questo ordine di idee, di aumentare lo scarto del quinto che mi sembra troppo tenue per ammettere un ricorso speciale del genere.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, mantiene il suo emendamento?

DE MERCURIO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti?

PESENTI. In conformità a quanto è stato rilevato dall’onorevole Ministro, sono d’accordo nel rinviare e rivedere l’emendamento tenendo conto del consiglio di aumentare lo scarto qualora il principio fosse accettato dal Governo.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni l’emendamento sarà ripreso in esame alla prossima seduta.

(Così rimane stabilito).

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero fare un’osservazione all’emendamento dell’onorevole Rescigno.

Chiederei al collega Rescigno, alla Commissione, ed anche al Ministro, se non riterrebbero opportuno di rinviarne l’esame, come si propone per l’emendamento Pesenti, giacché è una materia coordinata.

L’osservazione è dettata dal rilievo fatto dal Ministro, che non si sa quali conseguenze l’accoglimento dell’emendamento possa portare per gli uffici fiscali. Riconosco la gravità delle ragioni che l’hanno suggerito; però è mio dovere fare osservare che dare al contribuente la facoltà di ricorrere non solo per l’assegnazione del fabbricato alla categoria ma anche per la natura e la consistenza, significa spingere tutti, indistintamente, i possessori di fabbricati a ricorrere. E questo può portare agli uffici fiscali una complicazione di lavoro che deve essere ponderata prima. Perciò, se viene rimandato ad un ulteriore esame l’emendamento Pesenti, credo sia opportuno un esame più ponderato anche per questo emendamento Rescigno.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Rilevo solamente che il maggiore o minor lavoro cui potranno essere sottoposti gli uffici non è un elemento tale che possa influire. Noi siamo qui per assolvere alla funzione principale del Parlamento. I Parlamenti sono sorti per tutelare le ragioni dei contribuenti; e sono quelle che ci devono preoccupare. Quindi insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Rescigno sul quale hanno espresso parere favorevole Governo e Commissione.

(È approvato).

La decisione sull’emendamento degli onorevoli Foa ed altri si intende rinviata.

Segue l’articolo 13. Se ne dia lettura nel testo ministeriale, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nel caso di terreni dati in affitto, l’accertamento, mediante l’applicazione al reddito agrario iscritto in catasto dei coefficienti previsti nel secondo comma dell’articolo 9, è eseguito previa detrazione della quota del reddito stesso, stabilita dall’Ufficio distrettuale delle imposte, da attribuire al proprietario, per la parte di scorte che sia, eventualmente, di spettanza del medesimo.

«La stessa norma si applica in caso di soccida o di contratti analoghi».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo di intende approvato.

Passiamo all’articolo 14. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il valore della nuda proprietà è determinato in base alla differenza tra il valore dell’intera proprietà – stabilito ai sensi degli articoli precedenti – e quello dell’usufrutto. Lo stesso criterio si applica per la valutazione della proprietà, quando questa è gravata da diritti di uso e di abitazione.

«Il valore da attribuire ai diritti di usufrutto, uso o abitazione, si calcola scontando alla data del 28 marzo 1947 il valore dell’annualità di reddito percepita, riferita al periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947:

  1. a) alla ragione del tasso contrattuale, o, in mancanza, alla ragione composta del 5 per cento, se trattasi di diritti la cui scadenza è esattamente conosciuta;
  2. b) alla ragione del tasso contrattuale, o, in mancanza, alla ragione composta del 5 per cento e con riguardo alle probabilità di vita corrispondenti alla classe di età del reddituario, se trattasi di diritti che cesseranno con la morte di lui, in conformità ad una tabella da approvarsi con decreto del Ministro per le finanze e tesoro.

«Qualora l’annualità di reddito sia percepita in natura, il valore di essa è calcolato in base alla quantità dei prodotti nel triennio 1944-1946 ed ai prezzi correnti nel periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947.

«Nei casi di assicurazione sulla vita, previsti nel n. 3 dell’articolo 8, il capitale corrispondente è valutato al prezzo di riscatto alla data del 28 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo articolo hanno presentato emendamenti l’onorevole Bonomi Paolo e l’onorevole Balduzzi. L’emendamento dell’onorevole Bonomi è del seguente tenore:

«Sostituire il primo periodo del secondo comma col seguente:

«Il valore da attribuire ai diritti di usufrutto, uso o abitazione, si calcola scontando alla data del 28 marzo 1947 il valore dell’annualità di reddito percepita, riferita al periodo 1° gennaio 1946-31 dicembre 1946».

L’onorevole Bonomi non è presente: s’intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

L’emendamento dell’onorevole Balduzzi è così formulato:

«Al penultimo comma, aggiungere: intendendosi i prezzi corrisposti dagli ammassi per i prodotti soggetti a tale regime».

L’onorevole Balduzzi ha facoltà di svolgerlo.

BALDUZZI. Faccio osservare soltanto che il mio emendamento tende ad eliminare dubbi sulla applicazione della disposizione.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Riguardo all’emendamento Balduzzi, il concetto è implicito, nel senso che la Commissione farà le valutazioni per i prodotti soggetti all’ammasso in base ai prezzi ufficiali.

BALDUZZI. Insisto nel mio emendamento, poiché si tratta d’una precisazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Comprendo le preoccupazioni dell’onorevole Balduzzi, il quale fa l’ipotesi che si possa tenere conto di prezzi diversi da quelli legali, cioè da quelli dell’ammasso.

Evidentemente, non possiamo, in sede legislativa, avvalorare questa ipotesi. Per questo, non posso entrare affatto nell’ordine di idee che ispira l’emendamento; e quindi dichiaro di non poterlo accettare.

PRESIDENTE. Onorevole Balduzzi, insiste?

BALDUZZI. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’articolo 14 si intende allora approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 15. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo o enfiteutico, compresi i canoni da colonia perpetua, si tengono in conto in ragione del 100 per 5 del rispettivo ammontare, a meno che, per convenzione o per legge, non debbasi applicare, per il riscatto, un saggio diverso.

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. L’onorevole Bonomi Paolo propone di sostituire il secondo comma col seguente:

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° gennaio 1937-31 dicembre 1946».

L’onorevole Bonomi non è presente.

BOSCO LUCARELLI. Faccio mio l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. È nella tradizione giuridica ed anche nella tradizione dell’accertamento fiscale che i valori si capitalizzino sempre in base alla media decennale; è nella legge per i canoni enfiteutici e nelle norme con cui vengono valutati i cespiti anche in materia fiscale. Non vedo perché si dovrebbe trascurare questo criterio costantemente seguito dalla legge e dalla pratica, sia legale che fiscale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi propone un emendamento analogo:

«Aggiungere, al secondo comma, dopo la parola: media, la parola: decennale, e sopprimere le parole: del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

Ha facoltà di svolgerlo.

CIFALDI. Sostanzialmente, la mia proposta coincide con quella dell’onorevole Bonomi Paolo, illustrata dall’onorevole Bosco Lucarelli; quindi non richiede altra illustrazione.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Faccio notare che, trattandosi di canoni in natura, essi, data la svalutazione monetaria, riacquistano valore nel tempo.

La Commissione non ha trovato ragione di fare a questi canoni un trattamento diverso da quello che fa a tutti i cespiti.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. L’onorevole La Malfa non tiene presente che per i canoni enfiteutici in natura si procede, per legge, alla capitalizzazione, in base alla media decennale del valore dei prodotti in natura. Il canone, per legge, può essere affrancato in qualunque momento. Si può verificare, quindi, questa ipotesi: che si pagherebbe su un capitale determinato in misura superiore, cioè non secondo la media decennale, e dopo aver pagato il reddente affrancherebbe con le norme di legge. A me pare che questo si traduca in una imposizione su un valore patrimoniale superiore a quello effettivo. Quindi noi ci troviamo in un determinato binario.

SCOCA. Fate modificare quell’altra legge, non questa.

PERLINGIERI. Ma è il Codice civile!

SCOCA. Fate modificare il Codice civile.

PERLINGIERI. Ma la imposta opera su questo terreno e non su quello che potrà essere domani. Come si affranca? Secondo le norme stabilite dalla legge: ossia capitalizzando il canone, e tenuto presente, quando il canone è in natura, la media decennale del valore del canone stesso. Non mi pare si possa sfuggire da questa legge. In caso diverso la imposta non graverebbe più sul patrimonio, sul capitale, ma su un valore superiore a quello capitale.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Perlingieri, certamente, ha toccato un punto delicato e non nego che sarebbe opportuno stabilire un parallelismo tra il sistema della valutazione ai fini dell’affrancamento e il sistema della valutazione ai fini della imposta patrimoniale.

Si tratta di argomento che merita di essere ulteriormente approfondito, anche rispetto ad eventuali modifiche del sistema di valutazione. Ed è per questo che prego di non rimproverare il Governo se chiedo di rinviare la discussione alla prossima seduta.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea è d’accordo nell’accogliere la proposta del Ministro, cioè di rinviare alla prossima seduta l’emendamento dell’onorevole Cifaldi, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 16. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I crediti si valutano al loro importo nominale.

«Quando concorrano circostanze di fatto che lascino fondatamente presumere la perdita totale o parziale del credito, il contribuente può chiedere che fra le attività patrimoniali non sia computato il credito stesso, oppure che sia accordata una riduzione del valore nominale di esso.

«Per i debiti non ancora scaduti ed improduttivi di interessi, la valutazione è fatta sulla base del valore alla data del 28 marzo 1947, scontando l’importo nominale all’interesse composto del 5 per cento annuo, fino alla data di scadenza».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 17. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le aziende industriali e commerciali, comprese in esse quelle esercenti industrie agrarie di qualsiasi genere, si valutano nel loro complesso, tenuto conto dei vari elementi che le compongono, sulla base dei valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo testo proposto dalla Commissione vi è un emendamento dell’onorevole Bulloni, il quale propone di aggiungere il seguente comma:

«Nella valutazione delle aziende industriali e commerciali, ai sensi del comma precedente, si tiene conto anche dell’avviamento senza pregiudizio dell’assoggettamento del medesimo all’imposta sul reddito in conformità alla legislazione vigente in materia».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

BULLONI. Il mio emendamento è inteso a fissare una precisazione stabilita nell’ordinamento giurisprudenziale.

Con esso si vuole chiarire che l’avviamento è assoggettato a imposta patrimoniale e altresì, ogni qualvolta si verificano dei trasferimenti, anche alle altre imposte.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. In sede di Commissione abbiamo inteso includere tutti gli elementi dell’azienda, quindi anche l’avviamento. L’espressione è stata usata proprio in questo senso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che nell’emendamento dell’onorevole Bulloni dobbiamo configurare due concetti. Il primo afferma che l’avviamento costituisce elemento tassabile. Su questo punto siamo tutti d’accordo. E ricordo che in seno alle Commissioni di studio ed in seno alla Commissione di finanza, non si era fatto esplicito riferimento all’avviamento, perché questo si intendeva compreso nella concezione di valore globale dell’azienda.

C’è, però, un secondo concetto dell’emendamento Bulloni, ed è quello che afferma che l’avviamento, anche se colpito con imposta straordinaria sul patrimonio, successivamente, qualora venga realizzato, può essere colpito ancora col tributo mobiliare di categoria B, come reddito conseguito. Sono grato all’onorevole Bulloni che dà occasione di risolvere legislativamente una questione sorta attraverso ad una giurisprudenza che molti ritengono discutibile e che, in ogni caso, è a danno della Finanza. Secondo, infatti, una giurisprudenza creatasi dopo l’imposta straordinaria sul patrimonio del 1920, se in una azienda già si era colpito l’avviamento allo stato potenziale al 1° gennaio 1920, non poteva più questo avviamento essere colpito con il tributo mobiliare al momento in cui esso veniva realizzato.

Ad evitare le conseguenze dell’applicazione di questo concetto, che certamente sarebbe trasferito dal 28 marzo 1947 in avanti per tutti i trapassi di aziende, potrà giovare l’emendamento proposto dall’onorevole Bulloni, che il Governo, naturalmente, è pronto ad accettare.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. L’opinione della Commissione è che, essendo l’avviamento compreso nella formula generale, non è necessario aggiungere un altro emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Probabilmente ho reso male il pensiero del Governo e lo stesso onorevole Bulloni non si è soffermato molto ad illustrare la portata della seconda parte dell’emendamento.

Se non viene accolto questo emendamento, arriveremo a conseguenze di questa specie: azienda industriale X, avviamento valutato 2 milioni, colpito con imposta straordinaria sul patrimonio.

E fin qui, d’accordo. Ma se legislativamente non diciamo altro, può avvenire che, quando questa azienda venga trasferita, successivamente al 28 di marzo, e quell’avviamento venga realizzato, non possiamo più colpirlo con l’imposta di ricchezza mobile, che grava la realizzazione di tutti gli avviamenti come redditi una tantum. E non riusciamo più a colpirlo, perché si è consolidato, dopo l’imposta straordinaria sul patrimonio al primo gennaio 1920, il concetto giurisprudenziale per cui, se un avviamento è stato colpito da imposta sul patrimonio, non può essere più colpito dalla imposta sul reddito, in base ad argomentazioni che possono essere riassunte in questi termini: una volta considerato capitale, l’avviamento non può più essere considerato reddito.

Ora, su tale concezione la stessa dottrina è tutt’altro che concorde.

Detta giurisprudenza è a netto danno dell’amministrazione finanziaria e per questo prego di inserire in sede legislativa il concetto espresso dall’emendamento dell’onorevole Bulloni che vivamente ringrazio, perché permette di meglio difendere l’amministrazione finanziaria.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. L’indirizzo della giurisprudenza è quello che ha riferito l’onorevole Ministro; ossia: avvenuto il trasferimento dell’azienda e dovendosi applicare, all’atto di trasferimento, l’imposta di ricchezza mobile, viene ad essere individuato quale è l’avviamento dell’azienda in quel determinato momento in cui è avvenuto il trasferimento stesso. Ed allora se, precisamente come avvenne nel 1922, questo valore di avviamento, che è uno degli elementi dell’azienda – perché un’azienda non avviata evidentemente non è in esercizio – è già stato convertito in capitale, si potrà, nel trasferimento successivo dell’azienda, colpire l’avviamento cosiddetto successivo, ma non è ammissibile una seconda tassazione, che rappresenterebbe una non formale ma sostanziale duplicazione, e noi siamo contro il concetto della duplicazione.

La questione è vero che in dottrina è controversa, ma la giurisprudenza è pacifica, ed è stata pacifica quando si è applicata la legge del 1922 nel senso che, assoggettato alla tassazione dell’imposta patrimoniale del 1922 l’avviamento, successivamente, nel caso di trasferimento dell’azienda, si dovesse escludere il valore di avviamento. Ora, con l’emendamento proposto dall’onorevole Bulloni, si verrebbe ad applicare un concetto contrario, e cioè, percepita l’imposta sull’avviamento quale elemento essenziale dell’azienda, in applicazione della legge che ora stiamo discutendo, e poi successivamente trasferendosi l’azienda stessa, l’avviamento sarebbe di nuovo assoggettato alla imposta di ricchezza mobile.

Io credo che in sede di imposta straordinaria sul patrimonio, noi non ci dobbiamo preoccupare di queste cose. Lasciamo che l’accertamento dell’avviamento sia discusso e sia deciso in sede di ricchezza mobile, ed atteniamoci al testo del nostro articolo 17, laddove parla di aziende industriali e commerciali «nel loro complesso», cioè nel complesso di tutti i fattori che le costituiscono e quindi compreso l’avviamento, senza preoccuparci ora di ciò che potrà avvenire in materia di tassazione in sede di applicazione della imposta di ricchezza mobile.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi perdoni l’onorevole Presidente e mi perdoni l’Assemblea se faccio ancora perdere qualche minuto su questo argomento. L’onorevole Castelli Avolio ha perfettamente riassunto i termini della questione. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’avviamento, considerato capitale ai fini di una imposta sul capitale, non possa successivamente essere considerato reddito ai fini della imposta di ricchezza mobile. L’onorevole Castelli Avolio, particolarmente colto in questa materia, mi insegna però che la dottrina è tutt’altro che concorde e che questo indirizzo giurisprudenziale dal mondo dei contribuenti è stato considerato un vero e proprio regalo piovuto dal cielo. Ora, rinviare e non preoccuparci oggi della questione, perché si discute dell’imposta straordinaria sul patrimonio, e lasciare che l’accertamento dell’avviamento in sede di ricchezza mobile faccia il suo corso, significa – lo tenga presente l’Assemblea – la certezza che questi accertamenti non possono più essere fatti. E mi sembra che sarebbe ben più disarmonico provvedere con un decreto successivo, che non invece affrontare ora la materia.

Intende l’Assemblea aderire al concetto che l’avviamento, considerato allo stato potenziale in sede di tassazione di un patrimonio, non possa più essere materia di tassazione in sede di ricchezza mobile? Questo è il quesito che debbo portare davanti all’onorevole consesso. L’Assemblea, respingendo o accettando l’emendamento Bulloni, entra nel merito della questione e risponde a questa mia domanda. Era mio dovere prospettare la questione nei termini precisi.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Come l’Assemblea ha sentito dall’esposizione fatta dal Ministro e da quella del collega Castelli Avolio, la questione è di una delicatezza estrema. Ora, io non vorrei che questa questione, la quale non investe soltanto l’imposta sul patrimonio, ma investe anche l’imposta sul reddito, venga decisa senza un approfondito esame. Io mi preoccupo proprio del fatto che in questo momento noi accettiamo o respingiamo una certa tesi, senza che sia approfondita.

A me pare che sarebbe opportuno occuparci in questa sede soltanto dell’imposta sul patrimonio, lasciando impregiudicata la questione d’ordine generale sulla natura e la tassabilità dell’avviamento. Oggi la potremmo pregiudicare, perché credo che tutti siano, a incominciare da me, non ben preparati a risolverla. E correremmo il rischio di fare non gli interessi dell’Amministrazione, ma di andare contro l’Amministrazione stessa.

PRESIDENTE. In sostanza, questa è una proposta sospensiva.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Pregherei il Ministro di volersi attenere al parere quasi unanime della Commissione, risolvendo la questione, senza rinvio. Poiché per quanto riguarda l’avviamento, ai fini dell’imposta straordinaria, l’articolo ci sembra completo, la questione dell’avviamento in sede di ricchezza mobile può essere risolta a parte, con altro provvedimento legislativo.

Invece di rinviare la questione e di aumentare il numero degli articoli sui quali dobbiamo ancora decidere, pregherei il Ministro di prendere immediata decisione.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desideravo, prima di rivolgere una preghiera all’onorevole Bulloni, far presente che qui sono in discussione rilevanti interessi dell’Amministrazione finanziaria; non vi è dubbio che l’emendamento, che sto difendendo, significa possibilità per l’Amministrazione di percepire entrambe le imposte. Perciò, non vorrei che l’Assemblea potesse pensare che vi sia da fare una scelta tra l’una e l’altra imposta, per decidere, tenendo conto dei rispettivi gettiti. Vi può essere tuttavia perplessità circa l’interesse superiore della giustizia, ed in questo senso ammetto che si possa discutere.

Ora, siccome si configura la possibilità di risollevare la questione con separato provvedimento legislativo, io preferirei che l’emendamento non venisse respinto, perché la sua reiezione potrebbe assumere un significato ed uno spirito diversi da quelli che si potrebbero desiderare.

Ed è in questo senso che, ringraziando l’onorevole Bulloni di avere portato alla ribalta un argomento così importante, lo prego di non insistere sul suo emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Bulloni se intende ritirare il suo emendamento.

BULLONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’articolo 17 s’intende così approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 18. Se ne dia lettura nel testo ministeriale, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I buoni del tesoro ordinari si valutano per il loro importo nominale, con deduzione dello sconto dalla data del 28 marzo 1947 a quella della loro scadenza. Gli altri titoli emessi o garantiti dallo Stato si valutano in base alla quotazione media ufficiale del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947.

«Le azioni, obbligazioni, cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito quotato in borsa sono valutati in base alla media dei prezzi di compenso del semestre indicato nel comma precedente.

«I buoni postali fruttiferi sono valutati per l’importo nominale, con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947.

«I valori medi dei titoli quotati in borsa saranno rilevati in apposita tabella da approvarsi con decreto del Ministro delle finanze e tesoro».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti:

«Alla fine del primo comma, alle parole: del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, sostituire le seguenti: del trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947.

«Valiani, Valmarana, Dugoni»;

«Al penultimo comma, sopprimere le parole: con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947.

«De Vita».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di illustrare il primo emendamento, a nome dei firmatari.

DUGONI. Debbo premettere che l’emendamento, come è stato proposto, è leggermente incompleto, perché anche nel secondo comma noi dovremmo mettere l’indicazione dei prezzi di compenso dei trimestri indicati nel comma precedente; cioè allineare tutto l’articolo a questo emendamento.

Questo è un dettaglio tecnico, di formulazione; ma la ragione che ci ha indotto a proporre questo emendamento è stata determinata dall’andamento delle quotazioni di borsa successivamente al 28 marzo 1947. Dal 28 marzo – cioè dal giorno in cui è stata fissata la data della composizione del patrimonio agli effetti dell’imposta progressiva – noi abbiamo visto scatenarsi una delle più violente campagne borsistiche che si siano conosciute in Italia, con rivalutazione di capitali, aperture di sottoscrizioni a nuovi capitali, rivalutazioni dei cespiti costituenti le diverse aziende ecc. Io non ho sotto mano i dati, ma sta di fatto che noi siamo passati da 1700 – indice generale di borsa – a 2400 ed abbiamo avuto un aumento di circa il 45 per cento dei titoli quotati in borsa, subito dopo la fissazione del catenaccio della imposta patrimoniale.

Ora, molti dei nostri colleghi propendevano per uno spostamento della data, chiedendo che l’inventario dei beni appartenenti ai cittadini fosse fatto ad una data successiva al 28 marzo, appunto per colpire questa ondata speculativa che ne è derivata.

Il senso di giustizia, che deve animare il legislatore, ci ha trattenuto dallo spostare questa data. Il Governo aveva preso un impegno verso il Paese, e questo impegno andava rispettato. Noi abbiamo voluto mantenerlo; però, dal momento che alcune categorie di contribuenti hanno fatto una speculazione evidente su questa data, noi abbiamo il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per difenderci da questa speculazione successiva, e quindi, invece di prendere un periodo di riferimento di nove mesi, nel corso del quale per sei mesi le borse sono state molto stazionarie su valori bassi, abbiamo riportato agli ultimi tre mesi il periodo medio di valutazione, in modo da elevare il valore medio dei titoli che saranno compresi nella denuncia dell’imposta patrimoniale. È, sostanzialmente, un provvedimento contro gli speculatori e contro la speculazione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. L’emendamento soppressivo che ho proposto al penultimo comma dell’articolo 18, poggia su due considerazioni: la prima è che i buoni postali fruttiferi, nella stragrande maggioranza, appartengono a cittadini che non hanno un patrimonio superiore al minimo imponibile.

La seconda considerazione è che la soppressione da me proposta, incoraggerebbe gli investimenti di piccoli risparmi in buoni postali fruttiferi, cioè sarebbe, io ritengo, un vantaggio enorme per il Tesoro.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. L’emendamento Valiani è stato accettato dalla Commissione, tenendo conto dell’andamento del mercato azionario in questi ultimi mesi.

Io leggo gli indici del semestre, perché l’Assemblea possa valutare la portata dell’emendamento stesso.

La quotazione dei titoli azionari alla Borsa di Milano dall’ottobre in poi ha avuto questo andamento:

Nell’ottobre l’indice era di 748; nel novembre saliva a 1059; nel dicembre 1301.

Questo sarebbe il trimestre che noi sopprimeremmo. Nel gennaio l’indice è ripiegato a 1227; nel febbraio era di 1569; nel marzo 2376; nell’aprile 3354; nel maggio 3169.

Dopo il maggio non ho i dati; ma alla fine di giugno siamo andati molto giù.

Ora, riducendo i valori medi dal semestre al trimestre, noi alzeremmo la quota, quindi il valore medio, di circa 400 o 500 punti. Tuttavia questo valore medio rimarrebbe quasi la metà di quello che si è avuto nel trimestre dall’aprile al giugno; quindi è ancora una valutazione molto favorevole agli azionisti. E questo spiega perché l’integrazione di tassazione attraverso gli enti collettivi serva un po’ a correggere quella che è la difficoltà che incontriamo, di valutare il patrimonio azionario secondo i corsi che si sono manifestati dopo la data del 28 marzo.

La Commissione ha esaminato una proposta che voleva spostare la data in cui si accertavano i patrimoni; ma all’unanimità non ha ritenuto di fare questo, perché il Governo aveva preso un impegno.

Però, per ragioni, direi, di giustizia tributaria e per ragioni di perequazione del trattamento fatto alla proprietà mobiliare ed a quella immobiliare, la Commissione ha ritenuto di accettare la riduzione dal semestre al trimestre, perché i valori della proprietà immobiliare non hanno seguito l’andamento dei valori mobiliari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Pella, Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. In linea di massima, l’Amministrazione dovrebbe essere contraria a sistemi di valutazione che comportino medie di valori su periodi troppo ristretti.

Tale concetto, di ordine generale, dovrebbe portare alla conseguenza di respingere l’emendamento proposto. Però non posso farmi carico delle considerazioni svolte dall’onorevole Dugoni e dall’onorevole Relatore. Per questo mi rimetto senz’altro al parere della Commissione e al giudizio dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a proposito dell’emendamento De Vita.

LA MALFA, Relatore. La Commissione conviene che l’emendamento De Vita può favorire i piccoli risparmiatori, anche perché, se non erro, gli interessi dei buoni postali fruttiferi maturano e sono percepibili dopo un certo periodo. Il solo inconveniente che presenta l’attuazione della proposta è dato dalla circostanza che, se si sono accumulati molti interessi sui buoni, si finisce col fare a tali titoli un trattamento di favore.

Comunque, in linea di massima, la Commissione accetta l’emendamento.

PRESIDENTE. Invito il Governo a esprimere il proprio avviso.

PELLA, Ministro delle finanze. La proposta dell’onorevole De Vita non è molto ortodossa alla luce di una giustizia pura, perché bisognerebbe effettivamente considerare tale rateo di interessi per determinare il valore del capitale al 28 marzo. Però, per la considerazione che si tratta di modesti portatori di titoli e, in ogni caso, di un settore nel quale è bene dare qualche prova di benevolenza, aderisco all’emendamento.

PESENTI. Chiedo di parlare.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Pesenti.

PESENTI. L’emendamento proposto e accettato dalla Commissione e dal Governo riguardo alla media del trimestre anziché del semestre è frutto di un compromesso che io intendo ancora illustrare, perché esso ha una importanza molto rilevante. Una proposta era stata fatta da alcuni membri della Commissione – fra l’altro, da me e dall’onorevole Scoccimarro – e intendeva, come già è stato detto, spostare il termine, di imposizione e di valutazione dei beni del patrimonio del contribuente stabilito dall’articolo 1 della legge dal 28 di marzo al 30 di giugno. E questo non soltanto per una questione di valutazione di beni. Ciò avrebbe portato come conseguenza lo spostamento anche del semestre dal periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 al periodo 1° gennaio-30 giugno 1947, il che, come è stato possibile rilevare anche poco fa dalle cifre degli aumenti delle quotazioni di Borsa, avrebbe condotto a una diversa valutazione del patrimonio dei singoli contribuenti, questione questa di grande importanza specie se, come il Governo sembra consentire, si addivenisse anche alla tassazione del patrimonio degli enti collettivi.

Ma non si sarebbe trattato soltanto di una diversa valutazione del patrimonio imponibile con lo spostamento del termine indicato dall’articolo 1 della legge, ma anche di una più esatta valutazione della entità del patrimonio dei singoli contribuenti, cioè di quali cespiti fanno parte del patrimonio. Noi sappiamo, per esempio, che, se è vero che la legge elenca – all’articolo 33 – tutti i cespiti soggetti a tassazione ed indica fra questi anche le azioni e le obbligazioni, i depositi, nonché la moneta posseduta dal contribuente, noi sappiamo che questa elencazione è soltanto formale, perché sostanzialmente l’accertamento di questi cespiti mobiliari non è agevole. A questo proposito, noi presenteremo degli emendamenti perché sia reso più agevole anche questo accertamento, ma è certo che tutta la ricchezza mobiliare che noi abbiamo visto poi apparire alla ribalta in occasione della rivalutazione di capitali, della emissione di azioni gratuite che sono state distribuite tra i soci, tutta questa ricchezza, dicevo, che noi abbiamo visto apparire e che effettivamente esisteva anche prima al 28 di marzo sia pure presso altri contribuenti, difficilmente potrebbe essere colpita. Spostando invece i termini dell’accertamento alla data del 30 giugno, tutta questa ricchezza sarebbe apparsa alla luce, in quanto che molte società avevano già, a quella data, emesso delle azioni gratuite e compiuto l’aumento di capitale.

È perciò con rammarico che noi abbiamo accettata la decisione della Commissione di giungere ad un compromesso, e di accettare come valutazione il trimestre dal gennaio al marzo del 1947, ferma tenendo la data dell’accertamento del patrimonio del contribuente quale era al 29 marzo.

Io credo, in questo momento, di riproporre all’attenzione dell’Assemblea la possibilità, pur mantenendo ferma la data dell’accertamento riguardo al contribuente del 29 marzo, di spostare la valutazione non al trimestre 1° gennaio-31 marzo 1947, ma al semestre 1° gennaio-30 giugno del 1947.

Si dirà, forse, che questo è un contravvenire ai sani principî, in quanto che il patrimonio del contribuente deve essere valutato come termine ultimo alla data in cui egli è soggetto all’obbligo dell’imposta. Però, considerando che anche la valutazione dei titoli azionari, in questo caso, del giorno, sconta anche quello che è l’andamento futuro del titolo azionario, considerando che se noi vogliamo fare un punto medio, bisogna tener conto non soltanto del passato, ma anche del futuro, non trovo così contro alla logica il fatto che la valutazione, per esempio, dei titoli azionari, sia fatta in base alle quotazioni di tutto il semestre dal 1° gennaio al 30 giugno.

Perciò sottopongo questo, che può essere un emendamento, al giudizio dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Se vuole presentare un emendamento, onorevole Pesenti, la invito a farmelo pervenire.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Intendevo dire le stesse cose dette ora dall’onorevole Pesenti.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Tosi, membro della Commissione.

TOSI. Onorevoli colleghi, l’onorevole Pesenti ha accennato ad un compromesso. Mi vorrà perdonare se mi esprimo contro di lui. C’è un errore che vorrei far rilevare, ed è questo: fin qui si è parlato di un’intesa sui titoli azionari e obbligazionari. L’emendamento che esaminiamo si riferisce invece ai titoli di Stato.

LA MALFA, Relatore. È un errore.

TOSI. Pregherei perciò di lasciare il semestre al primo comma, per quello che riguarda i titoli di Stato; e pregherei l’onorevole Dugoni…

PALLASTRELLI. I membri della Commissione non potevano mettersi d’accordo prima?

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, non interrompa.

TOSI. Il trimestre 1° gennaio 31 marzo 1947, dovrebbe valere per i titoli azionari ed andrebbe sostituito nel secondo comma alle parole: «semestre indicato al comma precedente».

Se l’onorevole Dugoni accetta questa modifica, non avrei altro da dire.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono contrario all’emendamento relativo all’accertamento dei valori per un solo trimestre, e, quindi, voterò per il testo che precedentemente era stato proposto dal Governo ed accettato dalla Commissione.

Indipendentemente dalla soluzione che daremo al problema della tassazione degli enti collettivi, io trovo che prendere un trimestre a base di un accertamento di valori, quando questo trimestre presenta non un andamento normale, ma un andamento particolarmente delicato, per influenze di fattori che sono estranei ai problemi di patrimonio in sé e per sé, costituisce un errore di tecnica finanziaria.

Non dobbiamo confondere la speculazione con la massa di coloro che possiedono i titoli azionari. La speculazione di Borsa concerne una piccolissima frazione dei titoli azionari: è appena l’1 per cento al mese che cambia di mano, e lo speculatore che si vorrebbe colpire accorciando il periodo di formazione della media è quello che non sarà colpito, perché lo speculatore in borsa ha pochissimi titoli in portafoglio e quei pochi che ha li compra e vende per guadagnare sulle differenze dei corsi. Noi veniamo ad introdurre un criterio di determinazione del capitale che forma la base imponibile dell’imposta per tanta gente che con la Borsa non ha niente a che fare, e che ha comprato i titoli senza nessun riferimento ai valori correnti.

Per me vi è un problema su questo punto, e non è tanto rispetto al passato quanto rispetto all’avvenire; ed è questo che mi turba. Quando noi dobbiamo risolvere il problema del periodo in cui i valori devono essere accertati, siamo proprio convinti che i valori di Borsa media del semestre ottobre-marzo, del trimestre gennaio-marzo, del semestre gennaio-giugno (come vorrebbe l’onorevole Pesenti) corrispondano ad una realtà di valore patrimoniale? Io vi confesso sinceramente che ho molti dubbi su questo punto.

SCOCCIMARRO. Ma neanche per un terreno o per un fabbricato!

CORBINO. No; sui terreni e sui fabbricati abbiamo degli elementi che attenuano l’ampiezza delle oscillazioni, tanto è vero che non abbiamo quotazioni di Borsa dei terreni e dei fabbricati. Abbiamo invece quotazioni di Borsa per i valori industriali, perché sono quei valori su cui le influenze di carattere economico, che derivano da particolari situazioni anche psicologiche o da altri fattori, si possono esercitare con maggiore facilità.

Noi abbiamo oggi saggi di capitalizzazione dei valori industriali che vanno da 0,10 a 0,90 per cento. Che cosa significa questo? Significa o che i valori sono per lo meno quattro volte superiori a quelli che dovrebbero essere se si capitalizzasse un reddito certo, o queste quattro volte in più non sono che la copertura del rischio di una svalutazione monetaria.

E allora è evidente che se la svalutazione monetaria non avverrà (come ci auguriamo), i valori azionari si dovranno adeguare al reddito e dovranno necessariamente perdere una parte delle quotazioni che in questo momento noi consideriamo come acquisite agli effetti della determinazione dell’imposta.

Sono inconvenienti ai quali non si può sfuggire con nessuna delle soluzioni prospettate. Si tratta di scegliere la soluzione relativamente meno sfavorevole rispetto a tutti gli elementi che sono in giuoco; e perciò io mi attengo alla soluzione che era stata prospettata dal Governo e che era stata accettata dalla Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Vorrei prima di tutto dire che sarei disposto ad accettare la modifica al mio emendamento proposta dall’onorevole Tosi, se questo non costituisse un danno per i portatori di titoli a reddito fisso, perché gli indici di Borsa – per i valori a reddito fisso – del trimestre gennaio-marzo sono inferiori di poco, ma sono inferiori, alla media del semestre 1° luglio 1946-31 dicembre 1946.

Quindi, se l’onorevole Tosi insiste, lo possiamo fare. Ma questo in definitiva si risolve in un danno per i portatori di titoli a reddito fisso.

In secondo luogo volevo osservare all’onorevole Corbino che non è possibile correre dietro al valore dei beni economici in un periodo d’inflazione. Su questo punto siamo perfettamente d’accordo; non c’è norma possibile che permetta veramente di colpire i beni per il valore che hanno in quell’istante, ma in quell’istante determinato, nel corso dell’inflazione. Però, noi dobbiamo cercare di avvicinarci il più possibile a questi valori e soprattutto quando abbiamo un mercato ideale che riflette nel miglior modo possibile il valore rappresentato da determinati beni, come dovrebbe essere il mercato borsistico.

Quello che l’onorevole Corbino ha detto circa la mancanza di un consimile metro per i beni immobili è proprio l’arma migliore che possiamo avere per credere che noi siamo sulla strada giusta, che cioè, proprio perché abbiamo un indice elastico quotidiano delle mutazioni di certi valori mobiliari o delle valutazioni che fanno gli operatori di questi valori, noi dobbiamo andare il più vicino possibile al momento in cui dobbiamo fissare il patrimonio del contribuente. Direi quasi che avremmo potuto prendere il valore di Borsa del 28 marzo. Sarebbe stata in un certo senso la misura più giusta. Ma certo è che portando ad un trimestre, mantenendo ferma la nostra proposta, noi diamo prova di equanimità e verso il contribuente e verso lo Stato. Non possiamo infatti dimenticare che ci sono necessità alle quali dobbiamo far fronte in tutti i modi possibili.

Questa è la mia opinione, e per questo credo di dover mantenere l’emendamento presentato da me e degli onorevoli Valiani e Valmarana.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei brevemente rispondere ad un’osservazione giusta dell’onorevole Corbino. In materia di valutazione di titoli, il termine di tre mesi, da un punto di vista tecnico, è troppo breve, e per questo approvo che sia portato a sei mesi, però non all’indietro ma in avanti, non dall’ottobre al marzo, ma dal gennaio al giugno 1947.

È vero che in questi sei mesi ci sono state speculazioni in Borsa e anch’io ne ho parlato largamente, ma non c’è stata soltanto speculazione. Accanto al fenomeno speculativo c’è stato pure un processo di rivalutazione di aziende, di aumenti di capitali, insomma un processo che non è speculativo. Si è compiuta una revisione di valori che non sono puramente fittizi e, pertanto, destinati a sgonfiarsi per tornare al giusto equilibrio. Ci si è avvicinati, insomma, a quello che è il valore reale dei titoli azionari. Il mutamento di valori azionari avvenuto nel semestre gennaio-giugno ha perciò un duplice aspetto; uno speculativo che dà luogo ad inflazione di valori destinati a sgonfiarsi, ed a ritornare al loro livello normale; e l’altro di adeguamento di valori derivanti da rivalutazione di aziende, aumento di capitali, ecc., che segna una nuova posizione di equilibrio. I nuovi valori potranno avere delle oscillazioni, ma si consolideranno ad un livello più elevato. Infatti che cosa è avvenuto? Molti titoli sono aumentati del 100, 200, 300 per cento; qualcuno ha avuto qualche oscillazione in meno in questi ultimi mesi, però tutti sono ben lungi dal ritornare ai valori del dicembre 1946. Oramai ne sono lontanissimi. Per un criterio di giustizia noi vogliamo che la ricchezza che si esprime in titoli azionari venga colpita con gli stessi criteri con i quali colpiamo la ricchezza immobiliare. Dobbiamo adeguare i termini di valutazione in rapporto a questo semestre gennaio-giugno 1947. Se in avvenire si constaterà che c’è qualche cosa di artificioso in questi valori per cui questo provvedimento rischia di divenire eccessivamente gravoso per i possessori di titoli azionari, il Governo che sorveglia l’andamento della situazione economica ed i riflessi che l’imposta straordinaria ha su di essa, può sempre intervenire con provvedimenti integrativi.

Dando la mia adesione all’emendamento Dugoni con la proposta di estendere il trimestre al semestre, noi correggiamo almeno in parte l’errore di aver lasciato la data del 28 marzo per l’accertamento dei patrimoni. So che i colleghi la pensano diversamente. Ma io penso che per un atto di giustizia avremmo dovuto spostare quella data dal 28 marzo al 30 giugno. Non lo si è fatto; correggiamone almeno le conseguenze negative. Le ragioni dei lavori degli uffici sono di scarso valore: quando una cosa occorre farla, la si fa anche se implica un certo lavoro in più negli uffici. Per le ragioni esposte propongo il semestre gennaio-giugno come termine di valutazione dei valori. Se questa proposta non sarà accolta approverò l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ripeto che la Commissione nella sua maggioranza, anzi all’unanimità, presi in considerazione tutti gli elementi, si era fermata al trimestre 1° gennaio-31 marzo 1947. Molte delle argomentazioni dell’onorevole Corbino sono esatte e devono preoccupare l’Assemblea: noi non possiamo fissare l’imposta su dei valori estremamente mutevoli, perché altrimenti daremmo all’imposta una base di irrealità. Tuttavia, dato l’andamento del corso dei titoli azionari, è apparso alla Commissione che si potesse arrivare a considerare quel trimestre come un periodo rappresentativo di un valore sufficientemente capace di garantire anche i diritti degli azionisti: cioè le azioni effettivamente scontano una svalutazione monetaria, ma non si sono ancora adeguate al corso stesso dei prezzi nel campo dei prodotti alimentari e di altri prodotti. Ora l’hanno scontata molto di più dopo il 28 marzo, indubbiamente. Noi abbiamo avuto delle oscillazioni nell’ultimo periodo, ma si può considerare che le azioni non ritorneranno mai ad una base tanto lontana dal livello generale dei prezzi, da far ritenere il trimestre scelto come lontano dalle condizioni reali del mercato.

L’emendamento presentato dai colleghi Scoccimarro e Pesenti mi sorprende, perché avevamo esaminato anche la proposta di estendere al semestre l’accertamento dei valori delle azioni e l’avevamo esclusa: accertare valori al di là della data in cui si stabiliscono le consistenze patrimoniali, è una contraddizione in termini. Il termine ultimo è quello nel quale il contribuente deve dichiarare il suo patrimonio. Se portiamo i valori nel futuro possiamo arrivare a conseguenze assai gravi.

Credo perciò poter esprimere parere contrario all’emendamento presentato dai colleghi onorevoli Scoccimarro e Pesenti, ed insisto per l’accettazione dell’emendamento presentato dalla Commissione.

La questione sollevata dall’onorevole Tosi ha effettivamente rilievo.

Abbiamo considerato il mercato dei titoli azionari e non abbiamo considerato la situazione degli altri titoli. Tuttavia accetto per questi altri titoli il trimestre gennaio-marzo. Quando il mercato azionario va su, il mercato delle obbligazioni e dei titoli di Stato è depresso; se accettiamo il nuovo trimestre per l’accertamento dei valori facciamo condizioni più favorevoli ai possessori di redditi fissi, maggiormente colpiti dall’imposta.

Il trimestre si può adottare, per tutte le quotazioni di Borsa, anche per i portatori di titoli a reddito fisso, i quali guadagnano da una valutazione più bassa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Aderisco alle considerazioni fatte dall’onorevole Relatore.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, mantiene il suo emendamento?

DUGONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Scoccimarro e Pesenti, mantengono il loro emendamento?

SCOCCIMARRO. Lo manteniamo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento Scoccimarro-Pesenti, con il quale si propone di sostituire alle parole: «1° ottobre 1946-31 marzo 1947», le altre: «1° gennaio 1947-30 giugno 1947».

Ricordo che su questo emendamento il Governo e la Commissione hanno espresso parere contrario.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento degli onorevoli Valiani, Valmarana e Dugoni i quali propongono di sostituire alle parole: «del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947», le altre: «del trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947».

Questo emendamento è accettato dal Governo e dalla Commissione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro, perché mi pare assurdo e non equo prendere come base di quotazione solo un trimestre.

(L’emendamento è approvato).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 12.20).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Vorrei rilevare che, in seguito all’approvazione dell’emendamento testé avvenuta, si dovrà – per il necessario coordinamento – tener presente che al secondo comma dovrà dirsi: «dei prezzi di compenso del trimestre indicato nel comma precedente», invece «del semestre».

PRESIDENTE. È giusto. Pongo ai voti la modifica proposta al secondo comma dell’onorevole Dugoni.

(È approvata).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole De Vita al penultimo comma, soppressivo delle parole:

«Con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947».

Nell’assenza dell’onorevole De Vita, l’onorevole De Mercurio dichiara di fare proprio l’emendamento e di mantenerlo.

Ricordo che l’emendamento è accettato dalla Commissione e dal Governo. Lo pongo ai voti.

BUBBIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento, nella prevalente considerazione della natura di questi cespiti, in cui tanti risparmiatori hanno avuto fiducia, che la pubblica finanza ha interesse di mantenere inalterata. Aggiungasi che tali titoli non sono compresi in quelli contemplati dall’articolo 25, con conseguente doppia tassazione in fatto; cioè la prima sul loro effettivo importo e la seconda per la mancata possibilità di comprendere il loro importo nella percentuale fissata dal predetto articolo in conto del denaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore.

(L’emendamento De Vita è approvato).

PRESIDENTE. L’articolo 18 si intende approvato con gli emendamenti testé accolti dall’Assemblea.

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in Borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, accertati con la procedura relativa all’imposta di negoziazione.

«Quando si tratti di quote di partecipazione, in società non soggette all’imposta di negoziazione il valore è determinato valutando il patrimonio della società, ai sensi del precedente articolo 17, e ripartendone l’importo tra i soci in proporzione alle quote di spettanza di ciascuno».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Sull’articolo 19 proporrei un rinvio, di cui desidero brevemente spiegare le ragioni.

PRESIDENTE. Credo che l’Assemblea sarà d’accordo nel rinviare. Comunque do la parola all’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Sull’articolo 19, se non sbaglio, vi sono due emendamenti. Vi è un emendamento Foa-Pesenti-Scoccimarro che tende a cambiare il criterio di valutazione per i titoli non quotati in Borsa, trasferendo la valutazione dal titolo all’azienda. Ora, su questo problema la Commissione si era pronunciata. Aveva lungamente discusso e aveva mantenuto ferma la valutazione dei titoli invece delle aziende. La valutazione di queste ultime sarebbe infatti di estrema difficoltà per gli uffici finanziari.

PRESIDENTE. Ritengo che il Governo voglia proporre un rinvio, perché questo articolo 19 è connesso con la questione degli enti collettivi.

TOSI. È connesso con un provvedimento approvato due giorni fa.

LA MALFA, Relatore. Se permette, onorevole Presidente, vorrei chiarire. La Commissione si è preoccupata del sistema di valutazione di questi titoli ed ha chiesto al Governo che studiasse un provvedimento tale da perfezionare tale valutazione ai fini dell’applicazione dell’imposta di negoziazione. Poiché il Governo ha adottato un provvedimento che verrà esaminato dalla Commissione, non credo si debba sospendere l’approvazione dell’articolo. Possiamo approvare l’articolo 19 che resta integrato con il provvedimento che il Governo manderà alla Commissione. Non rimarrebbe perciò altro problema che quello della media, e a questo riguardo la Commissione potrebbe accettare l’emendamento De Mercurio.

Pregherei, quindi, il Ministro, se non ha altre ragioni di rinvio, di permettere l’approvazione dell’articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Ringrazio l’onorevole Relatore. La richiesta di rinvio dipende da questo; è esatto che è stato approvato nel Consiglio dei Ministri di ieri mattina il nuovo provvedimento che modifica le norme di valutazione di titoli e quote soggetti alla imposta di negoziazione, non quotati in Borsa, provvedimento su cui il Consiglio dei Ministri della settimana scorsa già aveva dato il suo benestare di massima. Con questo provvedimento – è bene che l’Assemblea ne conosca gli estremi – si adottano, oltre ad alcune disposizioni di minore importanza, due ordini di provvidenze di maggiore portata. Primo ordine: innovazioni nella composizione degli organi chiamati a valutare. In luogo del Comitato direttivo che era emanazione unicamente del settore agenti di cambio, senza che l’Amministrazione finanziaria vi avesse suoi rappresentanti diretti con potere deliberativo, si istituisce un collegio giudicante, quindi con funzioni giurisdizionali, composto in parte da rappresentanti diretti dell’Amministrazione finanziaria, e in parte da membri designati dal Comitato direttivo degli agenti di cambio. Contro la determinazione del valore fatto dal collegio di primo grado, è ammesso l’appello ad un collegio centrale di secondo grado, formato in parte da rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria e di altre pubbliche amministrazioni, ed in parte da tecnici nominati con le necessarie cautele. Questo per quanto riguarda gli organi chiamati alla valutazione.

Per quanto attiene ai criteri di valutazione, si riafferma, in sede legislativa, quanto già faceva parte della prassi amministrativa, che cioè la valutazione debba essere diretta ad accertare il valore venale effettivo dei singoli cespiti patrimoniali.

Il provvedimento tende ad evitare che, indipendentemente dalla diligenza e dalla buona volontà degli organi di valutazione, si possa attraverso società fittiziamente modeste, far valutare in misura inadeguata, patrimoni che spesso sono di portata notevolissima.

In questo provvedimento avrebbe dovuto trovar posto anche una disposizione speciale, relativa alle valutazioni ai fini della imposta straordinaria sul patrimonio.

Poiché, peraltro, il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri in primo luogo era ed è diretto a salvaguardare il gettito della imposta ordinaria di negoziazione, per ragioni di tecnica legislativa si è ritenuto opportuno che la parte relativa alla valutazione ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, venga trasferita nel provvedimento che è in esame, in quanto si tratta di norma o di complesso di norme di portata transitoria, che esauriscono la loro funzione con l’esaurirsi dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

E questa è la vera ragione della richiesta di rinvio.

Io ho qui con me il testo dell’emendamento governativo all’articolo 19, ma siccome so che non sarebbe molto simpatico da parte mia distribuirlo in questo momento, la richiesta di rinvio ha anche lo scopo di poter trasmetterne il testo alla Commissione.

L’emendamento ha lo scopo di assicurare che nei riguardi delle società, per le quali nella forma si provvede a valutare il titolo, ma nella sostanza si vuole valutare il patrimonio, la valutazione abbia luogo con quegli stessi precisi criteri che saranno adottati ai fini della valutazione di aziende analoghe, di proprietà dei così detti contribuenti privati: sicché più non debba verificarsi la disarmonia di una valutazione diversa di due aziende di pari dimensioni, per il semplice fatto che l’una appartiene ad una società per azioni e l’altra ad una società in nome collettivo o ad una singola persona fisica.

Questa è la portata dell’emendamento che mi onorerò consegnare al Presidente dell’Assemblea ed al Presidente della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro, la Commissione è d’accordo nel rinviare l’articolo 19.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta stabilito che l’articolo 19 è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’esame dell’articolo 20. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I titoli esteri sono valutati in base alla media delle quotazioni ufficiali nel luogo di emissione, o, in mancanza di tali quotazioni, in base ai valori correnti di mercato del luogo di emissione, nel periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, rapportando il valore così determinato a quello corrispondente al valore in lire italiane, sulla base del cambio corrente alla data del 28 marzo 1947, che sarà rilevato in una tabella da approvarsi con decreto del Ministro delle finanze e tesoro».

PRESIDENTE. Su questo testo non sono stati presentati emendamenti e pertanto l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 21. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti i cespiti, non specificati negli articoli precedenti, si valutano in base alla media dei valori del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’esame dell’articolo 22. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Dall’ammontare lordo del patrimonio complessivo sono ammessi in detrazione:

  1. a) tutti i debiti a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza alla data del 28 marzo 1947. Per i debiti contratti dopo il 10 giugno 1940 o che non abbiano data certa, la detrazione è subordinata alla dimostrazione del loro impiego;
  2. b) la somma corrispondente alla capitalizzazione, fatta a norma dell’articolo 15, dei censi, canoni, livelli ed altre prestazioni previste nell’articolo stesso;
  3. c) le somme corrispondenti al valore degli usi civici e di ogni altro onere reale gravante sui cespiti facenti parte del patrimonio del contribuente;
  4. d) tutte le imposte, tasse e contributi a favore dello Stato, provincie, comuni ed altri enti autorizzati per legge ad imporre tributi obbligatori, riferentisi al periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947 ed ancora dovuti a tale data».

PRESIDENTE. Su questo articolo, l’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Alla lettera d), dopo le parole: tutte le imposte, tasse e contributi a favore dello Stato, aggiungere le parole: compresi i contributi di bonifica».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Dirò pochissime parole. A carico dei proprietari c’è un contributo del 12,50 per cento per l’esecuzione delle opere di bonifica. Penso che sia opportuno precisare che anche questo contributo, naturalmente limitatamente alla quota dovuta ancora alla data del 28 marzo 1947, sia da detrarsi dal valore del patrimonio.

LA MALFA, Relatore. Ma questo concetto è implicito nella dizione della Commissione. È preferibile lasciare la disposizione così come è. La Commissione è contraria all’emendamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio notare che, se mai, l’emendamento dovrebbe riferirsi all’alinea a), perché costituisce un debito per il futuro, mentre l’alinea d) si riferisce ad imposte per il periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Se dovessi esprimere il mio pensiero sull’articolo 22, dovrei dire che, a mio avviso, la enunciazione contenuta nei comma a), b), c), d) non avrebbe ragione di essere. Affermato il principio che deve essere tassato il patrimonio netto, evidentemente devono essere ammessi in detrazione tutti i debiti, liquidi e non liquidi, certi e non certi, salvo naturalmente l’esame di queste diverse passività ai fini di accertarne la reale esistenza.

Quindi, la elencazione dell’articolo 22 non può che essere una elencazione esemplificativa, e, così stando le cose, non avrebbe ragione di essere la preoccupazione dell’onorevole Rescigno, nel senso che, se esistono altre passività oltre a quelle tassativamente indicate – purché si tratti di passività inerenti al patrimonio, gravanti il patrimonio al 28 marzo 1947, anche se liquidate posteriormente – sono senza dubbio detraibili.

Desidero, quindi, pregare l’onorevole Rescigno di non insistere nel suo emendamento, perché la casistica troppo spinta, finisce, troppo spesso, per snaturare il carattere esemplificativo della elencazione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Rescigno se, dopo le dichiarazioni del Governo, mantiene il suo emendamento.

RESCIGNO. Lo ritiro.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei chiedere un chiarimento al Governo sulla portata della lettera d) dell’articolo 22. In questo comma si dice: «tutte le imposte, tasse e gravami a favore dello Stato, provincie, comuni ed altri enti autorizzati per legge ad imporre tributi obbligatori, riferentisi al periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947, ed ancora dovuti».

Io vorrei sapere con precisione che cosa importa la norma, Perché i casi sono due: o le imposte riferentisi al periodo anteriore al 28 marzo 1947 sono state pagate e non si detraggono; o non sono state pagate e si detraggono. È vero che trattasi di un debito del contribuente sorto prima dalla data di riferimento, ma mi pare che si faccia un trattamento di disparità, perché, mentre colui che ha pagato regolarmente le imposte ordinarie non ha nessun beneficio, il contribuente moroso, ha un premio per la sua inadempienza. L’osservazione non sembrerà irrilevante, se si pone mente che le imposte ordinarie si pagano col reddito. La natura del debito autorizzerebbe la indetraibilità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. La portata della lettera d) è questa: detrazione delle imposte, tasse, contributi che alla data del 28 marzo 1947 siano ancora da pagare che, cioè, rappresentino un debito. E mi perdoni l’onorevole Scoca, perché non vorrei che si arrivasse alla conclusione che penalizziamo quelli che hanno pagato.

Quelli che hanno pagato hanno già visto uscire dal patrimonio la relativa attività, e, quindi, non c’è più attività e nemmeno il debito; quelli che devono pagare hanno un debito da ammettere in detrazione. E molti si trovano in queste condizioni, perché purtroppo parecchie imposte, principalmente di natura straordinaria, sono ancora largamente arretrate, nonostante la buona volontà degli uffici. Abbiamo l’imposta sugli utili di guerra, l’avocazione degli utili di guerra, l’avocazione dei profitti di speculazione, l’avocazione dei profitti di regime, che rappresentano altrettanti debiti esistenti, ma spesso ancora da liquidare.

La lettera d) è da interpretarsi come pleonastica, rispetto all’affermazione generica che tutti i debiti sono detraibili; ma, in ogni caso, non può che riferirsi a imposte, tasse e contributi ancora da pagare.

Questo è il chiarimento, in sede interpretativa, perché non vorrei che si pensasse che si possa ammettere una detrazione di imposte già pagate.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 22 si intende approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI. Segretario, legge:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti.

«Per i crediti derivanti da rapporti con imprese commerciali e sempre che si tratti di atti inerenti all’esercizio dell’impresa, la esistenza del debito può venire provata in base alle scritture contabili dell’impresa creditrice regolarmente tenute.

«Quando si tratti di rapporti con aziende di credito indicate alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141, ed al regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito nella legge 7 aprile 1938, n. 636, la esistenza del debito può essere provata in base agli estratti dei saldi conti, certificati conformi alle scritturazioni da uno dei dirigenti dell’istituto».

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato un emendamento soppressivo dell’intero primo comma. Ha facoltà di illustrarlo.

BOSCO LUCARELLI. A me pare che il principio affermato in questo comma sia molto grave, perché, per colpire una inadempienza fiscale, si verrebbe a dichiarare inesistente a tutti gli effetti giuridici – anche fra le parti – il rapporto giuridico interceduto tra un creditore e un debitore.

Ora, che di fatto si colpisca con una penalità il contribuente che non fa la dichiarazione esatta, lo comprendo perfettamente e l’ho riscontrato anche in altri articoli della legge. Ma che da questa inadempienza fiscale si voglia arrivare ad una dichiarazione di inesistenza di un rapporto giuridico, mi pare sia cosa molto grave, che è stata anche criticata altre volte che ha avuto la sua attuazione in provvedimenti fiscali.

Quindi, penso che questo comma vada soppresso: chi non fa la denunzia incorre in penalità, contravvenzioni che sono contemplate in altra parte del progetto di legge; ma non si può assolutamente, per una questione fiscale, mettere in nulla un rapporto giuridico avvenuto fra le parti. Questo a me pare un principio molto grave e penso che non possa essere affermato nella legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Volevo far presente che l’espressione dell’articolo 23 è abbastanza chiara; data l’esistenza di un debito, se questo è denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, ma è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti. Qual è dunque la vera portata di questa disposizione? Io, debitore, verso l’onorevole Bosco Lucarelli di una determinata somma, indico come passività detraibile dal mio patrimonio la somma che devo all’onorevole Bosco Lucarelli, se effettivamente io sono debitore verso di lui della somma: è questo un controllo necessario per non permettere improvvisazioni di debiti.

Se l’onorevole Bosco Lucarelli, per considerazioni che non riuscirei ad immaginare in questo momento, in quanto si tratterebbe di vero autolesionismo, ritiene di negare la esistenza del suo credito, io sono allora liberato dal pagamento nei suoi confronti.

Una voce al centro. Paga l’imposta e non paga il debitore.

PELLA, Ministro delle finanze. Pago l’imposta e non pago il debitore. Debbo, però, ammettere di essere stato inesatto quando ho accennato ad un autolesionismo di cui non so vedere la ragione; ci può essere invece qualche circostanza che suggerisca di nascondere una determinata attività. Si noti bene, comunque, che il diniego del creditore non immobilizza la finanza nei confronti del creditore stesso. È una prima sanzione per impedire la collusione fra debitore e creditore; ma la Finanza ha ancora mani libere per andare alla scoperta di tutta la verità.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, dopo i chiarimenti dell’onorevole Ministro, mantiene il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo ritiro.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Rilevo che il Ministro si è preoccupato del debitore e del creditore, ma non si è affatto preoccupato del terzo sequestrante o pignorante che può avere alle volte interessi anche superiori a quelli della Finanza ed evidentemente anche del debitore e del creditore che hanno potuto colludere fra di loro.

PELLA, Ministro delle finanze. Si potrebbe aggiungere: «fermi restando i diritti dei terzi».

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Condividendo in pieno l’esattezza delle considerazioni fatte dall’onorevole Ministro e l’opportunità della disposizione, mi rendo conto però anche della giustezza del rilievo fatto dall’onorevole Caroleo. Proporrei pertanto che si adottasse la seguente formula: «è dichiarato inesistente a tutti gli effetti fra le parti, salvo il diritto dei terzi».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare che questo inciso annulla completamente il valore dell’articolo, perché qualsiasi persona che si presenti come terzo va dall’onorevole Ministro Pella e si fa pagare quella somma che ha diniegato prima di dovere all’onorevole Bosco Lucarelli. E in questa maniera ci troviamo a frodare il fisco.

LA MALFA, Relatore. E il terzo paga.

DUGONI. No, il terzo non paga perché non ha denunziato. Diventa allora una posizione incredibile, tantoché non vi può essere altro che tagliare la testa al toro, dicendo semplicemente: «Ne è negata l’esistenza a tutti gli effetti». Noi verremmo altrimenti a creare debiti su debiti, sequestri su sequestri, una serie di non so quante altre complicazioni di questo genere, le quali permetteranno di negare il debito e di mantenerlo in vita attraverso un terzo sequestratario di cui si ignora l’esistenza al momento della dichiarazione della patrimoniale.

Anzi, dirò di più: metto vivamente in guardia l’Assemblea contro la tesi dell’onorevole Caroleo e dell’onorevole Carboni, perché ne potrebbero uscire veramente delle grosse falle fiscali.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che qualche volta ricredersi sia da saggi. Ora, l’idea di aggiungere «salvi restando i diritti dei terzi» che a prima vista mi sembrava idonea per tranquillizzare l’onorevole Caroleo e l’onorevole Carboni, dopo le argomentazioni dell’onorevole Dugoni, mi sembra veramente pericolosa.

Per cui chiedo al l’onorevole Caroleo se egli effettivamente insiste.

CAROLEO. Sì.

PELLA, Ministro delle finanze. È vero che vi sono i rimedi ordinari contro le simulazioni, contro le frodi, che possono naturalmente essere strumenti anche a disposizione della Finanza. È vero che la simulazione può sempre essere colpita con i mezzi del diritto comune…

DUGONI. Forse si potrebbe dire: «salvi i diritti dei terzi risultanti da atto pubblico o da scrittura privata avente data certa».

Questa, potrebbe essere una formulazione.

BUBBIO. Io propongo di rinviare e di studiare la formula, data la delicatezza della materia nei rapporti con i terzi.

PRESIDENTE. Allora, vi è una proposta di rinvio. È d’accordo l’onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che sia opportuno rinviare: è un lavoro di cesello che dobbiamo fare. Forse, si potrebbe dire: «salvi i diritti dei terzi legittimamente accertati». Ad ogni modo, concordo sull’opportunità di rinviare.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, rimane stabilito che questo articolo sarà rinviato per una migliore formulazione.

(Così rimane stabilito).

Segue l’articolo 24. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie in anticipazione è soggetto all’imposta straordinaria per il valore dei titoli stessi, determinato a mente degli articoli 18 e 19 del presente decreto e ha diritto di ottenere in deduzione l’ammontare del debito verso l’istituto od il privato sovventore dell’anticipazione. Quando l’anticipazione abbia avuto luogo dopo il 1° gennaio 1946 la deduzione è subordinata alla dimostrazione dell’impiego dell’importo del debito.

«Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie a riporto è soggetto all’imposta straordinaria pel valore dei titoli stessi risultante dal prezzo di compenso del mese di marzo 1947 o determinato per lo stesso mese ai sensi dell’articolo 19 e ha diritto di ottenere in deduzione l’ammontare del debito verso l’istituto o verso il prenditore dei titoli a riporto. Quando il riporto abbia avuto luogo dopo il 1° gennaio 1946 la deduzione è subordinata alla dimostrazione dell’impiego dell’importo del debito.

«Il prenditore dei titoli a riporto è soggetto all’imposta straordinaria per la somma che, alla data del 28 marzo 1947, aveva impiegata in operazioni di riporto».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Marinaro ha presentato i seguenti emendamenti.

«Al primo comma, primo periodo, dopo le parole: Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie in anticipazione, aggiungere: o a riporto bancario che abbia sostanziale carattere di anticipazione; e, al secondo periodo, alle parole: Quando l’anticipazione abbia, sostituire le seguenti: Quando le operazioni di cui sopra abbiano.

«Al secondo comma, primo periodo, dopo le parole: Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie a riporto, aggiungere: di Borsa o di speculazione; e, al secondo periodo, dopo le parole: Quando il riporto, aggiungere: di Borsa o di speculazione».

L’onorevole Marinaro ha facoltà di illustrarli.

MARINARO. La Commissione si è discostata dal testo ministeriale nel punto in cui si determina il criterio di valutazione dei titoli dati in anticipazione ed a riporto. Infatti, mentre il testo ministeriale stabilisce che dei titoli dati in anticipazione o a riporto la valutazione viene fatta sulla base della media dei prezzi di compenso del semestre ottobre-marzo 1947, per quanto riguarda, invece, i titoli dati a riporto, la Commissione ha proposto che la valutazione sia fatta sulla base del prezzo di compenso del marzo 1947. Ora, non è chi non veda l’ingiustizia di questa distinzione fatta dalla Commissione, in quanto che, dato l’andamento ascendente del valore dei titoli negli ultimi tempi, ai titoli dati a riporto è fatto un trattamento peggiore di quello fatto ai titoli dati in anticipazione.

Vero è che l’onorevole La Malfa ha giustificato nella sua relazione queste differenziazioni con la considerazione che i riporti sono spesso usati a scopo speculativo. Siamo perfettamente d’accordo, onorevole La Malfa, ma dobbiamo distinguere fra riporti intesi come speculazione, intesi cioè come mezzo per sistemazione di operazioni di Borsa, e riporti puramente bancari. E se la memoria non mi tradisce (credo che questa distinzione esista anche nella pratica) ho letto proprio in un libro del nostro Ministro delle finanze, una distinzione precisamente in questi termini: riporti di speculazione, cioè che servono come mezzo di sistemazione di operazioni di speculazione; e riporti bancari, i quali non sono altro che vere e proprie anticipazioni in senso economico, salvo la diversa natura giuridica; si tratta cioè, in sostanza, di prestiti in denaro che la banca fa a chi consegna delle azioni e si garantisce con queste azioni. Ed in pratica avviene che le banche preferiscono all’operazione di anticipazione l’operazione di riporto, appunto perché i titoli passano poi in proprietà.

Io non vedo perciò la necessità di mantenere questa distinzione. Piuttosto si può vedere l’opportunità di distinguere fra le due specie di riporto; e il mio emendamento tende appunto a questo, a distinguere fra riporti di speculazione e riporti bancari.

Quando si può provare che il riporto è bancario, non c’è ragione di fare la distinzione. E naturalmente il testo del mio emendamento al primo comma non menoma affatto la potestà di accertamento da parte del fisco, il quale può in ogni circostanza accertare se si tratti di un riporto veramente bancario o no.

L’emendamento da me proposto al secondo comma, poi, è giustificato dalle necessità di coordinamento con il primo.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta gli emendamenti dell’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Il Governo accetta?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Marinaro al primo comma dell’articolo.

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento dello stesso onorevole Marinaro al secondo comma.

(È approvato).

L’articolo 24 si intende approvato con gli emendamenti testé posti in votazione.

Passiamo all’articolo 25. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Si presume che facciano parte del patrimonio del contribuente le seguenti quote percentuali in conto rispettivamente del valore del mobilio, dell’arredamento e dei gioielli, del danaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore:

Mobilio, arredamenti e gioielli: 3 per cento fino a 5 milioni, 5 per cento fino a 10 milioni, 7 per cento fino a 50 milioni, 10 per cento oltre 50 milioni;

Denaro, depositi e titoli di credito al portatore: 2 per cento fino a 5 milioni, 4 per cento fino a 10 milioni, 6 per cento fino a 50 milioni, 10 per cento oltre 50 milioni.

«Dette quote si computano con riferimento al patrimonio netto, risultante dalla differenza tra il valore lordo delle attività, escluse quelle costituite dai cespiti sopra indicati e l’ammontare delle passività deducibili.

«Le quote stabilite nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto.

«La quota presunta in conto mobilio, arredamento e gioielli è ridotta alla metà nei riguardi del cittadino e dello straniero residenti all’estero, che abbiano beni nello Stato. La quota non si aggiunge se non risulti che detti contribuenti possiedano del mobilio nello Stato».

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Credo che, per ragioni di opportunità, vada discusso prima l’articolo 28 che fissa i minimi tassabili – e sul quale sono stati proposti emendamenti – e poi l’articolo 25 che tiene presenti i minimi di cui all’articolo 28.

PRESIDENTE. Faccio presente che l’articolo 28 del testo ministeriale è soppresso e che l’articolo 28 della Commissione corrisponde all’articolo 29 del testo ministeriale.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Sono di opinione che noi dovremmo oggi approvare l’articolo 25, perché se non lo approvassimo sotto la specie che vi sono degli emendamenti che attendono di essere esaminati riguardanti lo spostamento del minimo imponibile, noi indicheremmo una certa preferenza verso l’accettazione di questi emendamenti, cosa che l’Assemblea non vuol fare in questo momento.

Quindi sono di opinione che si debba esaminare l’articolo 25, salvo poi a modificarlo nella eventualità che i minimi siano mutati. I minimi attuali sono quelli proposti dalla Commissione ed accettati dal Governo e non abbiamo nessun motivo per ritenere che vengano mutati.

In queste condizioni, propongo che si esamini l’articolo 25.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Noi abbiamo lasciato in sospeso tante questioni di una certa importanza, e senza pregiudicare la questione di merito potremmo anche mettere da parte l’articolo 25 e passare agli articoli 26 e 27.

Quanto all’articolo 29 del testo governativo che diventa 28 nel testo della Commissione, se approveremo gli articoli 26 e 27, io vorrei fare la proposta di rinvio. Infatti la questione di un minimo va risolta con ponderazione. Ecco perché io vorrei dire: Prendiamo tempo, approviamo gli articoli 26 e 27 senza pregiudicare la questione di fissare il minimo e rimandiamo alla prossima seduta gli articoli 25 e 28 della Commissione.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Penso anch’io che l’articolo 25 non possa essere considerato a sé stante. Dipende fra l’altro dai mezzi che avremo per l’accertamento dei beni mobiliari. La presunzione che qui viene considerata dipende dalle forme molto imperfette di accertamento che la legge prescrive per i beni mobiliari, come mobili, arredamenti, gioielli, denaro, depositi. Se si accettasse di abolire il segreto bancario, è chiaro che la dizione potrebbe modificarsi. Quindi, penso che si debba rinviare la discussione dell’articolo 25 a quando saranno noti gli altri articoli della legge.

DUGONI. Aderisco alle considerazioni dell’onorevole Pesenti.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, resta stabilito che l’articolo 25 è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 26. Se ne dia lettura, nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il danaro ed i titoli di credito al portatore entrati nel patrimonio del contribuente dopo il 1° gennaio 1944, in dipendenza di alienazione di beni, di successione ereditaria e di donazione, si presumono ancora posseduti alla data del 28 marzo 1947, salvo al contribuente di dimostrarne il consumo o l’impiego in cespiti dichiarati o comunque accertati ai fini della imposta straordinaria, o esenti dall’imposta stessa.

«Quando il tenore di vita del contribuente, posto in relazione con i suoi redditi conosciuti o altri elementi indiziari, lasci fondatamente ritenere che il patrimonio accertato a suo carico in via analitica sia inferiore a quello effettivamente posseduto, può procedersi ad accertamento presuntivo».

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno propone la soppressione del primo comma e, subordinatamente, di aggiungere il seguente capoverso:

«La detta presunzione non ha luogo per i contribuenti che traggano i loro mezzi di vita esclusivamente dalla loro retribuzione di impiegati o salariati».

Non essendo presente l’onorevole Rescigno, s’intende che abbia rinunciato ai suoi emendamenti.

Sul secondo comma è stato presentato il seguente emendamento dagli onorevoli Corbino, Cannizzo, Colitto, Condorelli, Perrone Capano, Perugi, Marinaro, Bencivenga, Maffioli, ed altri, così concepito:

«Fare del secondo comma un articolo a parte premettendo le seguenti parole: Nel caso di contribuenti, il cui patrimonio sia prevalentemente composto di valori mobiliari».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Desidererei che il secondo comma dell’articolo 26 fosse staccato per farne un articolo a parte; ma vorrei limitarne la possibilità di applicazione ai contribuenti il cui patrimonio sia prevalentemente mobiliare. È vero che in questo modo noi verremo a contenere i poteri del fisco per l’accertamento dei patrimoni; ma dobbiamo tener conto che rispetto alla patrimoniale noi abbiamo due tipi quasi estremi di contribuenti: il contribuente che ha il patrimonio prevalentemente immobiliare, che non può sfuggire all’imposta e rispetto al quale la presunzione di evasione è relativamente piccola; ed il contribuente, che invece ha valori mobiliari, e rispetto al quale la presunzione di evasione è forte. Quindi, introdurre i metodi induttivi nell’accertamento del patrimonio può costituire un ottimo strumento di perequazione fiscale nel caso dei contribuenti che abbiano il patrimonio prevalentemente mobiliare. Non lo estenderei agli altri patrimoni; perché per costoro eventualmente potrebbero intervenire le Commissioni in base all’articolo 46, che il Governo ha già proposto e la Commissione ha accettato, che dà alle Commissioni di prima istanza la facoltà di eseguire anche aumenti sugli accertamenti fatti dagli uffici, nel caso in cui vi siano elementi per ritenere che questi accertamenti siano inferiori al vero.

In sostanza, perché noi ricorriamo all’emendamento indiziario? Per colpire soprattutto coloro che, avendo ricchezze mobiliari, possono più facilmente sfuggire all’imposta. Per costoro lasciamo per intero la facoltà al fisco. Ma per gli altri, che saranno accertati quasi certamente fino all’ultimo centesimo, cerchiamo di non metterli alla mercé di tanti nemici personali che talvolta possono benissimo dire: «Tizio vive agiatamente». I contribuenti potranno, sì, dimostrare che non vivono agiatamente, ma avranno un sacco di pasticci. Quindi lasciamo la facoltà di accertare su indizi soltanto per coloro per i quali gli indizi siano i soli elementi.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo pensiero.

LA MALFA, Relatore. Mi rendo conto delle argomentazioni dell’onorevole Corbino. Osservo tuttavia che aggiungendo che la disposizione si applica ai contribuenti che hanno prevalentemente patrimonio mobiliare, non modificheremmo nulla. Implicitamente la norma non si può che applicare a quei contribuenti. Se risultano patrimoni immobiliari, la finanza non ha ragione di applicare questa disposizione poiché conosce la composizione del patrimonio e, quindi, può stabilire l’equivalenza del tenore di vita col patrimonio posseduto. È solo quando non conosce la composizione del patrimonio, che applica la disposizione.

Ci può essere d’altronde un possessore di patrimonio immobiliare che abbia reddito mobiliare nascosto e il suo patrimonio immobiliare può non essere proporzionato al tenore di vita.

Pregherei l’onorevole Corbino di non insistere nel suo emendamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In sostanza resterebbe affermato il principio che il sistema indiziario si limiterebbe soprattutto al patrimonio mobiliare. Credo opportuno poi di farne un articolo separato, perché l’averlo collocato con la disponibilità, di danaro, titoli di credito, provenienti da operazioni effettuate dopo il 1° gennaio 1944, farebbe supporre che questo accertamento indiziario sia da limitare soltanto in questo caso, mentre a me pare che la disposizione, per la sua importanza, dovrebbe formare un articolo a sé.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente sarebbe più esatto dividere, salvo a riordinare, il testo legislativo.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il proprio parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la proposta di dividere l’articolo 26 in due parti, sono perfettamente d’accordo. Anzi sono grato all’onorevole Corbino del suo suggerimento, perché la enucleazione della seconda parte e la formulazione di un articolo autonomo servono a scolpire meglio l’importanza del sistema di accertamento induttivo.

Francamente, però, non posso aderire alla proposta di limitare l’accertamento induttivo generico ai casi in cui prevale il patrimonio mobiliare, perché, all’atto pratico, svuoteremmo di contenuto l’accertamento induttivo, in quanto il punto di partenza è quasi sempre l’aver trovato dei cespiti immobiliari. Né d’altra parte deve preoccuparsi l’onorevole Corbino di quello che può succedere in rapporto ai contribuenti possessori di patrimonio immobiliari, perché, una delle due: o il reddito di questi cespiti immobiliari giustifica il tenore di vita, ed allora la questione è risolta, o il reddito suddetto non giustifica il tenore di vita e il contribuente non dà altra giustificazione al riguardo, e allora non vedo la ragione di sottrarlo all’accertamento induttivo per il semplice fatto che abbia patrimonio immobiliare.

Per questo prego l’onorevole Corbino, che è maestro della materia, ed ha così vivo il senso della tutela degli interessi della Finanza, di non insistere sulla seconda parte del suo emendamento.

CORBINO. Accetto l’invito dell’onorevole Ministro, raccomandando però che l’Amministrazione sia piuttosto cautelativa con quei contribuenti che dovranno pagare al cento per cento.

PRESIDIENTE. Poiché l’onorevole Corbino ritira il suo emendamento per la parte che si riferisce all’aggiunta, pongo ai voti la sua proposta, accettata dal Governo e dalla Commissione, di dividere l’articolo in due parti. La prima parte andrà fino alle parole: «sono esenti dalla imposta stessa». Un successivo articolo, 26-bis, comincerà con le parole: «Quando il tenore di vita del contribuente ecc.».

(La proposta di divisione è approvata).

Con questa modifica, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 27. Se ne dia lettura nel testo modificato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati presuntivamente nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26. Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

PRESIDENTE. L’onorevole Tosi ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma: Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

Ha facoltà di illustrarlo.

TOSI. Si tratta di questo. Con l’emendamento introdotto dalla Commissione si è attuato un principio che è contrario agli articoli della legge fin qui votati. Noi abbiamo approvato gli articoli 22 e 24 nella loro formula; abbiamo in sospeso l’articolo 25, dove si ripete lo stesso concetto: vale a dire che tutti i debiti del contribuente devono essere sottratti dal patrimonio lordo. L’affermazione non vale soltanto per la legge, ma vale anche come principio generale, perché quando si parla di imposta sul patrimonio, nella legge fiscale, nel concetto giuridico, nel concetto economico si intende sempre il patrimonio netto e non quello lordo.

Il che vorrebbe dire che se noi in questo caso specifico, proprio perché il contribuente ha sottoscritto il prestito della ricostruzione, non dovessimo accordare la detrazione del debito, proprio in questo caso, dico, noi creeremmo il danno di chi ha in buona fede concorso ad aiutare lo Stato. Quali altri argomenti abbiamo a nostro appoggio? Si dice: se quell’individuo avesse venduto una sua proprietà e con quei soldi avesse sottoscritto al prestito, avrebbe compiuto un’azione diversa da colui che andò a contrarre un debito per sottoscrivere al prestito. Vediamo se è vero. Supponiamo che un Tizio abbia prima della proposta di emissione del prestito un patrimonio di 100 e questo è l’individuo che vende il bene. Dall’altra parte un altro individuo, che è quello che sottoscrive col debito ha pure cento. Al momento della sottoscrizione il primo aliena una quota di 20 del suo patrimonio che tramuta in prestito; il che vuol dire che dopo questa operazione gli sono rimasti: 80 di beni vari, più 20 di prestito: totale 100 come all’origine. Al secondo, che aveva 100 di patrimonio originario meno 20 di debito che ha contratto, più 20 di prestito sottoscritto, è rimasto pure un patrimonio di 100 come era all’origine.

Veniamo ora alla tassazione con la imposta sul patrimonio: il primo individuo ha una quota di 80, da essere sottoposta all’imposta patrimoniale, più 20 di esenzione. Il secondo individuo ha un patrimonio di 100 meno 20 del debito, quindi 80 che deve essere tassato e 20 che ne è esente.

L’esempio mi pare così semplice da persuadere anche i meno adatti ad accorgersi dell’errore.

C’è poi un’altra considerazione. Se noi non accettassimo la detraibilità del debito dal patrimonio, finiremmo col venir meno al principio affermato con la legge di sottoscrizione del prestito, quando si disse che chiunque sottoscriveva al prestito, per quella parte sottoscritta sarebbe stato esente. La norma da me impugnata arriverebbe a questa conclusione: che la legge dichiara esente il prestito e questa imposta colpisce il denaro con cui l’individuo ha sottoscritto al prestito. Secondo me c’è, in questi argomenti, la logica sufficiente a suggerirci che qui si deve fare come negli altri casi, applicando la norma comune: togliere dall’attivo lordo le passività. Resta un’ulteriore eccezione che mi sono sentito dire ed è questa: chi ha contratto il debito, ha sottratto alla imposta patrimoniale parte del suo patrimonio. La risposta è nella legge relativa al prestito. La sera stessa in cui il Ministro Bertone annunciava che 225 miliardi di prestito erano stati sottoscritti, in quel momento ciascuno di noi accettava per vero, perché contenuto nel testo stesso della legge del prestito, che 225 miliardi di patrimonio italiano dovevano andare esenti dalla imposta straordinaria sul patrimonio.

Non capisco perché, nel momento in cui si attua questa imposta, si debba venir meno al principio inserito nella legge generale e voluto in quel determinato momento. Un’altra osservazione è che questi debiti, essendo stati in generale accesi con enti collettivi, non tassati da questa legge, evidentemente sfuggono all’imposta. A parte la considerazione fatta ora sulla legge del prestito, resta quest’altra: anche chi ha venduto di suo bene ad enti collettivi si trova nella stessa identica situazione di vedere i beni sottratti all’imposta. Mi pare che con queste brevi argomentazioni ho dato succintamente ragione del mio emendamento.

C’è, secondo me, un altro ragionamento che ci viene in aiuto ed è questo: se il secondo individuo non avesse contratto il debito per sottoscrivere al prestito, ritenete voi che quei soldi si sarebbero tramutati nel prestito? Io affermo di no, perché se è vero che colui il quale ha prestato i soldi o ha comprato i beni, ha preferito queste due forme di investimento anziché la sottoscrizione diretta ed immediata del prestito, vuol dire che, senza la volontà dell’altro, quei soldi non si sarebbero mai trasferiti nel prestito. E non capisco perché il sottoscrittore che ha fornito alla Patria soldi in un momento in cui lo Stato diceva di averne bisogno, anche per salvare la lira, deve, lui solo, cadere nell’errore voluto dall’articolo 27. Qualcuno potrebbe sostenere che da anteporre ai suesposti argomenti tecnici ed economici ve n’è uno morale, cioè che questa gente ha tentato, attraverso debiti, di nascondere parte del proprio patrimonio. Dopo le spiegazioni date, voglio affermare: 1°) i sottoscrittori al prestito anche se hanno contratto debiti, non hanno fatto altro che seguire quanto una legge speciale invitava a fare, e dichiarava essere nell’interesse dello Stato; 2°) per me il problema morale non è quello di chiedere al sottoscrittore perché ha contratto un debito, ma quello di chiedere allo Stato se vuole o non vuole mantenere fede alla parola data, cioè di rendere esenti i patrimoni che sono stati sottoscritti al prestito.

Messo il problema nei giusti termini, viene come conclusione che se quest’ultimo periodo, del primo paragrafo, vuol dire la non detraibilità del debito dal patrimonio lordo, tutti gli elementi concorrono a dimostrare che esso periodo deve essere modificato. Infine se il debito fosse contratto con un privato, cadremmo anche nella doppia tassazione, perché lo prenderemmo presso il primo contribuente come debito, e lo prenderemmo come credito presso l’altro contribuente.

Insisto dunque nel chiedere che deve assolutamente essere accolto il mio emendamento.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Farei la proposta di rinviare questa discussione per una ragione importante: la discussione è di grande momento. Le banche e i direttori di banche hanno segnalato a me, come membro della Commissione di finanza, al momento della sottoscrizione del prestito, il tipo di operazione di cui ha parlato Tosi, diretto a frodare l’imposta patrimoniale. Ora, io darò la dimostrazione che queste operazioni si sono compiute esattamente come ha detto l’onorevole Tosi, e poiché si tratta di parecchie centinaia di milioni solo per le banche milanesi, credo che sia il caso di rinviare la nostra discussione.

TOSI. In ogni caso, non possono superare i 225 miliardi del prestito sottoscritto. Questa era la volontà della legge originaria. Se l’abbiamo accettata allora, abbiamo il dovere di rispettarla oggi, e sempre.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Io sono contro l’emendamento e contro il rinvio. La proposta, nei limiti posti dalla Commissione, è semplice poiché si vuole evitare una duplice detrazione, nei soli confronti di coloro che per sottoscrivere al prestito hanno fatto delle anticipazioni. Al solito, queste sottoscrizioni avvengono con anticipazioni presso banche. Mi pare che non sia opportuna la proposta di rinvio, perché l’impostazione del quesito è già chiara nella legge.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La questione, effettivamente ha una certa gravità. È stata ampiamente discussa in sede di Commissione, e la Commissione si è divisa ed ha approvato a maggioranza un emendamento che dovrebbe essere ampiamente illustrato. Credo che il rinvio sia necessario, anche perché quest’argomento ha avuto molte ripercussioni sulla stampa. Discuterlo così, in fine di seduta, non mi sembra opportuno.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di lunedì 14.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne è di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri.

«Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne».

«Gallico Spano Nadia, Merlin Lina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se rispondano a verità le notizie diffuse negli ambienti popolari ed impiegatizi di Siracusa sull’accertamento di gravi irregolarità nell’ufficio alimentazione e razionamento di Siracusa, per ammanchi o sottrazioni di notevoli quantità di farina, col peggioramento della confezione del pane, irregolarità che avrebbero determinato la nomina di un commissario prefettizio; e se e quali provvedimenti siano stati o si intendano adottare contro i responsabili di imperdonabili malefatte, in un momento così delicato ed in materia così sensibile, date le gravi deficienze del grano.

«Di Giovanni».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di precisare la data in cui intende rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione, pure con richiesta di urgenza:

«Al Ministro delle finanze, per invitarlo, in considerazione dell’enorme lavoro cui sono sottoposti gli uffici distrettuali delle imposte, ad aumentare il personale tecnico, richiamandolo da uffici scarsamente produttivi e compensandolo con adeguata partecipazione economica, in rapporto al gettito dell’imposta patrimoniale così come – del resto – è già stato praticato per le ricevitorie postali, nelle quali è stato sottoscritto, con una percentuale di premio, il prestito della ricostruzione.

«Caso, De Michele, Numeroso».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, sugli incidenti di Palermo del giorno 11 luglio, nel corso dei quali la polizia ha aggredito donne inermi che protestavano contro il vertiginoso rincaro dei prezzi e contro il mancato intervento delle autorità regionali.

«Merlin Angelina, Fiorentino Giosuè».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se non ritengano giusto e opportuno, urgente e necessario, estendere a tutti gli agricoltori italiani, per tutti i lavori agricoli, i beneficî della esenzione dal dazio doganale sui carburanti liquidi in distribuzione e assegnazione, beneficî già accordati in passato ed oggi conservati e mantenuti per gli agricoltori siciliani, per i Consorzi di bonifica e per la motopesca. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Braschi, Pallastrelli».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere:

1°) quali provvedimenti sono stati presi verso l’ufficiale che dava luogo ad una grave provocazione contro gli allievi della scuola di Polizia di Nettuno;

2°) quali motivi hanno determinato l’esonero dal servizio di una trentina di allievi (partigiani), avendo tutti gli appartenenti alla scuola manifestato a favore di alcuni compagni trattenuti dal suddetto ufficiale nel corpo di guardia, e non in cella di punizione evidentemente perché non meritavano alcuna punizione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Mezzadra, Lombardi Carlo».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

Sull’ordine dei lavori.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Siccome nella discussione sull’imposta patrimoniale si sta per affrontare questioni molto importanti come quella relativa agli enti collettivi, ed arrivati all’articolo 29, non sarà possibile proseguire se in precedenza non sarà stato risolto questo problema, si potrebbe rinviare la discussione a martedì prossimo anziché a lunedì, poiché lunedì non saranno presenti molti deputati.

PRESIDENTE. Se non si tiene seduta lunedì per continuare la discussione sulla patrimoniale, tutto il programma dei lavori verrebbe a cadere.

Ritengo quindi opportuno fissare la prossima seduta a lunedì, e raccomando agli onorevoli deputati di essere presenti.

Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.35.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 14 luglio 1947.

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

«Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Coppi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Zuccarini

Bozzi

Colitto

Morelli Renato

Tosato

Rossi Paolo

Perassi

Preti

Dugoni

Codignola

Corbino

Lussu

Nitti

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Fuschini

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La sedata comincia alle 17.

LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo agli onorevoli colleghi che si deve riprendere l’esame delle materie di competenza legislativa della Regione, contemplate nell’articolo 109. Si è proceduto ieri, esaminando l’emendamento unificato Perassi-Zuccarini, alla votazione sulle voci «industria e commercio»; rimane ancora la voce «Camere di commercio» compresa nella proposta dell’onorevole Zuccarini. Si tratta ora di stabilire se questa voce può considerarsi assorbita dopo la votazione avvenuta ieri che ha escluso la voce «industria e commercio».

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Vorrei fare osservare ai colleghi che la dizione «Camere di commercio» che si legge nell’emendamento, non mi pare tecnicamente esatta. Si dovrebbe dire «Camere di commercio, industria e agricoltura». Questa è la dizione esatta dell’istituto che noi vorremmo comprendere fra le materie soggette all’attività legislativa della Regione.

Ritengo che in tal senso debba essere rettificato il testo dell’emendamento.

PRESIDENTE. A meno che l’Assemblea, nella sua maggioranza, sia di avviso contrario, ritengo che, non avendo accettato di includere l’industria e il commercio fra le materie di competenza legislativa della Regione, anche le Camere di commercio debbano ritenersi escluse per lo stesso risultato delle votazioni avvenute ieri, e che pertanto l’emendamento dell’onorevole Zuccarini, per quest’ultima parte, debba considerarsi assorbito, cioè non più da porre in discussione.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Il fatto che la votazione di ieri abbia escluso le voci «industria e commercio» non esclude – a mio avviso – che le Camere di commercio, industria ed agricoltura possano cadere sotto l’attività legislativa della Regione. Si tratta di cose sostanzialmente diverse. Altro è legiferare in materia di agricoltura, industria e commercio, ed altro in materia di Camere di agricoltura, industria o commercio. Si tratta di cose sostanzialmente diverse, anche se vi è una certa connessione di materie fra le une e le altre.

PRESIDENTE. Vi è forse più che una certa connessione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla chiara osservazione del nostro Presidente, desidero osservare che le Camere di industria, commercio ed agricoltura sono forme rappresentative d’organizzazioni di interesse professionale e sindacale, che non si possono sottoporre esse sole alla legislazione delle singole Regioni, senza tener presente tutto il complesso delle altre organizzazioni di carattere professionale e sindacale. Oltre la ragione formale esattissima che ha prospettato il Presidente, v’è dunque una questione di sostanza, per cui non si può lasciare a sé, nella competenza legislativa della Regione soltanto un pezzo di mosaico di regolamentazione dell’organizzazione d’interessi, che ha importanza così fondamentale nella vita moderna.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Non insisto nel mio emendamento. Vorrei però osservare che, quando ho incluso questo concetto nell’emendamento, come parte integrante di esso, mi riferivo ad organi, che inizialmente furono organi autonomi, provinciali, e che solo successivamente sono caduti, durante il fascismo, nella regolamentazione dello Stato anzi, divennero organi statali.

Questo concetto desidero affermare qui; e la questione potrà essere risolta in altro momento: questi enti, che non possono essere soggetti ad una speciale legislazione, ma che hanno una origine autonoma, debbano ritornare a funzionare in modo autonomo nella vita del nuovo Stato italiano. Non ho difficoltà, comunque, a rinunziare al mio emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Coppi se insiste nel suo emendamento.

COPPI. Non insisto.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’alinea successivo così formulato: «Altre materie indicate da leggi speciali». V’è a questo proposito un emendamento dell’onorevole Mortati, tendente a sopprimere l’alinea, in quanto assorbito dalla seguente formulazione più ampia, che egli propone e che dovrebbe costituire un nuovo comma:

«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione l’esercizio della funzione legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74».

Vi sono poi altre proposte dell’onorevole Bozzi.

BOZZI. Le ho ritirate.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, la formulazione in discussione rimane quella della Commissione:

«Altre materie indicate da leggi speciali».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Devo chiarire che la mia proposta di sopprimere tale inciso è da porre in relazione con quella che si riferisce al comma successivo, e che tende ad estendere la possibilità di delega della facoltà regolamentare a favore della Regione, comprendendovi non solo quella esecutiva, ma anche l’altra, che si vuol chiamare indipendente.

Ora, io penso che, una volta che si accetti questo concetto e si ampli nel senso detto la concessione di potestà regolamentare alla Regione, non si presenti il bisogno di prevedere a favore di questa una vera e propria delegazione legislativa.

Infatti lo Stato potrebbe ridurre al minimo le sue statuizioni, lasciando così un amplissimo margine all’intervento normativo della Regione, anche se contenuto nei limiti delle leggi generali.

Se, contrariamente a questo orientamento, si ritenesse di lasciare alla Regione la possibilità di invadere con le sue norme quella che si vuol chiamare la riserva della legge, sembrerebbe opportuno modificare la dizione proposta, sia per fare risultare la distinzione fra le materie elencate, per cui la Costituzione opera un trasferimento istituzionale di competenza, e queste «altre materie», che sono oggetto di semplice delegazione ad opera della legge, e sia altresì per mettere in armonia questa disposizione con quella dell’articolo 74 del progetto, che prevede la concessione di delegazione legislativa al Governo.

Pertanto, in via subordinata, ove non fosse accolto l’emendamento soppressivo dell’ultimo alinea del primo comma dell’articolo 109, propongo la sostituzione del medesimo, con il seguente testo:

«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione la funzione della potestà legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74, il quale si riferisce alla possibilità della concessione di attività legislativa delegata al Governo».

Mi pare che almeno questi limiti generali di materia e di tempo non possono non farsi valere, anche nei riguardi della concessione di potestà legislativa alla Regione, come si sono fatti valere nei riguardi della delegazione al Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene di mantenere la sua formulazione, perché la proposta dell’onorevole Mortati, specialmente come l’ha esposta ora, ritornerebbe a complicare quelle linee che sono diventate abbastanza semplici.

MORTATI. Ho già chiarito che la mia proposta sostitutiva era fatta in linea subordinata; sarebbe quindi opportuno che l’onorevole Ruini ci dicesse qual è il pensiero del Comitato in ordine all’emendamento soppressivo proposto in via principale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già detto, onorevole Mortati, che il Comitato mantiene la sua proposta. Anche per la sua subordinata, non può accettarla.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione questo alinea nella formulazione:

«Altre materie indicate da leggi speciali».

(È approvato).

Abbiamo ora il seguente emendamento aggiuntivo, già svolto, dell’onorevole Bozzi:

«Inserire, prima dell’ultimo comma, il seguente:

«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Onorevole Bozzi, lo mantiene?

BOZZI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Vi è poi un altro emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Morelli Renato. Esso è così formulato:

«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere:

«sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ricordo che l’onorevole Mannironi ha presentato un emendamento per un articolo aggiuntivo che è presso a poco nello stesso ordine di idee:

«Nelle materie indicate nell’articolo 109, lo Stato potrà provvedere all’emanazione delle leggi che integrino i principî direttivi emanati, qualora non vi abbia provveduto la Regione entro un anno.

«Analogamente, e nelle stesse materie, la legge generale eventualmente emanata dalla Regione, dovrà, entro lo stesso termine, essere adattata alle direttive contenute nella legge emanata dello Stato a norma dello stesso articolo 109».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi non è presente e quindi si intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

Vi è anche un emendamento dell’onorevole Colitto, che, se accettato, dovrebbe essere inserito prima della norma che abbiamo approvato in questo momento, perché rappresenta ancora una materia specifica delegata alla competenza della Regione. L’emendamento dice:

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Invito l’onorevole Presidente della Commissione a pronunciarsi in merito a questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. Non credo che questo emendamento possa essere accolto. Prima di tutto, di quali servizi pubblici si tratta? Bisognerebbe evidentemente dire che si tratta di quelli della stessa Regione. Ma poi, oltre a ciò, non pare che la materia così importante delle socializzazioni e delle nazionalizzazioni, sia pure ridotte qui a regionalizzazioni, possa essere affidata alla legislazione della Regione. È tema da riservare allo Stato, pei grandi interessi economici che importa. La questione è anche d’interesse generale. Non sembra sia da ammettere in via ordinaria una facoltà legislativa della Regione. Se una legge intesa a stabilire principî di socializzazione e nazionalizzazione vorrà delegare talune funzioni anche alla Regione, sarà arbitra di farlo; ma la potestà sistematica di legislazione regionale non sembra inopportuna.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Non insisto e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà allora di parlare l’onorevole Morelli Renato per illustrare il suo emendamento testé letto.

MORELLI RENATO. Coll’approvazione dell’articolo 109 e con l’approvazione dell’elenco delle materie nelle quali potrà esercitare il potere legislativo, la Regione come organismo nasce, e nasce, come Minerva, armata già tutta dei suoi poteri. Ora, nell’esercizio di questi poteri vi è un limite. Secondo il testo dell’articolo 109, vi è il limite delle direttive e dei principî generali. Col mio emendamento si propone un altro limite. In verità debbo dichiarare che questo secondo limite era già nella formulazione del Relatore, era nel testo approvato dal Comitato di redazione, era in quello approvato dalla Sottocommissione, nonché in quello approvato dalla Commissione dei Settantacinque. Infatti la formulazione originaria del testo era rimasta integra attraverso quattro fasi di elaborazione. Poi, nella fusione dei tre articoli, questo limite è scomparso.

Il mio emendamento tende a farlo rivivere per una ragione evidente: si tratta di sodisfare un’esigenza logica e un’esigenza politica. L’esigenza logica è di stabilire, oltre un limite formale di legittimità – si potrebbe dire, più specificamente, di competenza – all’attività legislativa della Regione, un limite di merito, consistente nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni. Ma si tratta di sodisfare anche un’esigenza politica: che la Regione segua, nella emanazione di norme, un indirizzo comune. Ora, con l’emendamento da me proposto, si assicura che ciascuna Regione svolgerà un’attività legislativa coordinata con quella delle altre Regioni e sottoposta per questo a un controllo superiore.

Affiora dalla mia proposta anche una preoccupazione, un timore; il timore che le Regioni deboli, povere, possano essere trascurate dalle Regioni sorelle più ricche, dopo che il padre – lo Stato – avrà come perduta una parte della patria potestà, cioè il potere legislativo primario.

Si può muovere all’emendamento da me proposto una obiezione, ed è questa: nell’articolo 118 è già contemplato un controllo di merito, in quanto si ipotizza il caso che il Governo o rinvii al Consiglio regionale, perché lo riesamini, un determinato provvedimento, o lo impugni, portandolo all’esame dell’Assemblea legislativa, quando esso viola l’interesse della Nazione o di altre Regioni.

Se non che, questa dell’articolo 118, che dovrà essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea, è una norma procedurale, mentre io tendo, per ragioni anche di sistematica giuridica, a far collocare il limite di merito al posto opportuno, come norma di diritto sostanziale.

Si potrebbe anche dire che il limite dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni è sottinteso. Ma io credo che un tale limite debba essere viceversa esplicito; e spero di trovare d’accordo la Commissione, per coerenza, in quanto, come ho già ricordato, il limite di merito era già contemplato nel testo rimasto integro attraverso varie successive elaborazioni. E potranno essere d’accordo anche i regionalisti, in quanto qualche ragione di diffidenza, di dubbio, potrà essere così superata e l’ostilità verso la Regione attenuata. Quanto agli antiregionalisti, cioè a quelli che sono diffidenti verso l’organismo di nuova istituzione, essi dovranno essere favorevoli, perché stabilire in modo chiaro questo limite di merito, serve ad evitare la possibilità di deviamento nell’esercizio del potere normativo della Regione.

Dunque io spero che siano di accordo gli uni e gli altri; se, invece di una speranza è una illusione, pazienza! Per conto mio, dichiaro in piena sincerità che lo scopo che mi propongo è soltanto quello di stabilire in maniera netta e precisa che l’attività legislativa regionale debba svolgersi nel segno dell’unità e che, anche rispetto alle future norme che emaneranno da ciascuna Regione, supremo sarà sempre l’interesse della Nazione e la solidarietà fra tutte le Regioni.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta dell’onorevole Morelli era già stata avanzata prima dall’onorevole Zotta e poi dall’onorevole Colitto. Il Comitato li aveva pregati di rinviare la questione all’articolo 118, accettando fin d’ora in massima il concetto espresso ed ammettendo che, come collocamento, si sarebbe potuta, quando si farà la sistemazione di tutta la Costituzione, mettere la norma anche qui, nell’articolo che stiamo esaminando.

Di fronte a nuove insistenze, il Comitato non si oppone a che il principio sostanzialmente acquisito già al testo dei Settantacinque, in altra forma, abbia fin d’ora di nuovo formule ed esplicita approvazione. Non vi è nulla di nuovo nel pensiero del Comitato. Su questo principio non v’è dubbio: regionalisti e antiregionalisti sono d’accordo che le disposizioni della legislazione secondaria della Regione non debbano mai contrastare con l’interesse della Nazione e delle altre Regioni.

L’Assemblea voti, dunque, il principio in modo che rimanga definitivamente stabilito. In quanto al collocamento, meglio forse che rimanere nell’ultima parte dell’articolo attuale, dovrebbe essere trasferito nel suo primo comma. Ma si può ancora riservare la questione se metterlo qui o altrove, alla revisione sistematica che avrà luogo dopo che tutta la Costituzione sarà approvata.

PRESIDENTE. L’onorevole Morelli è d’accordo?

MORELLI RENATO. Sono d’accordo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Riterrei opportuno di rinviare la votazione anche sulla questione di principio, perché questa materia della competenza regionale ha subito tante trasformazioni da indurre a pensare che qualche dubbio sia sorto sulla questione del controllo di merito nella legislazione regionale in relazione agli interessi dello Stato e delle altre Regioni. La nuova configurazione della legislazione regionale rimane talmente delimitata e precisata, che la questione del controllo di merito, concesso anche dall’articolo 118 al Governo per opporsi alle leggi regionali (in quanto eventualmente contrastanti coll’interesse delle altre Regioni e dello Stato), va riveduta e meditata. Per questo propongo che tutto l’insieme della questione sia riesaminato in sede di articolo 118.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il suo pensiero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ciò che ha detto l’onorevole Tosato non mi sembra avere un fondamento decisivo. Che la legislazione secondaria regionale non debba contrastare con gli interessi nazionali o delle altre Regioni è un punto talmente acquisito a tutta l’elaborazione della Costituzione, e così inerente alla struttura unitaria dello Stato, che l’onorevole Tosato non ne può certamente dubitare. Posto il principio, si tratterà di vedere le vie e gli organi di controllo. Che sia sempre la Corte costituzionale o che, essendo questo controllo di merito, spetti piuttosto al Parlamento o ad un suo ramo, è questione che sarà decisa dall’Assemblea nel modo che crederà migliore; ma ciò non tocca, ed anzi presuppone, il principio che ora è da votare.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Non sarei intervenuto nella discussione se l’onorevole Tosato non me ne avesse dato l’occasione. Egli ha dimostrato chiaramente col suo intervento che l’emendamento dell’onorevole Morelli è perfettamente giustificato, che è urgente, che è necessario e che dobbiamo votarlo. Un qualche dubbio ci poteva essere circa l’opportunità dell’inserimento, finché avevamo sentito le parole dell’onorevole Presidente, il quale ci diceva: badate che è solo un di più, perché questo principio è ammesso e pacifico. Ma se un’ombra di dubbio c’è, è bene votare subito l’emendamento dell’onorevole Morelli. C’è una questione, eventualmente, di ridondanza. Ma, a questo proposito, rilevo che, se il nostro testo costituzionale fosse uno di quei politi e torniti documenti giuridici cui non si può togliere o aggiungere una virgola senza turbarne l’euritmia, non saremmo né io né l’onorevole Morelli a volerne rompere la perfezione. Ma ci sono in esso tante tautologie e ridondanze che questa affermazione necessaria e principale mi pare possa esservi compresa. Quindi voterò per l’emendamento Morelli.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che proposito?

TOSATO. Soltanto per una chiarificazione circa l’esistenza di limiti di merito alla legislazione regionale. Questa va intesa nel senso che la legislazione regionale trova un limite nell’interesse delle altre Regioni e nell’interesse generale dello Stato; siamo tutti d’accordo su questo punto; ma il problema non è sul limite, ma sul terreno tecnico. Il problema è, tecnicamente, di procedura, e per questo va esaminato sotto il profilo dell’articolo 118.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. A me sembra, contrariamente a quanto ha detto l’onorevole Tosato, che il problema non sia di procedura, ma di sostanza: incide sulla qualificazione della potestà legislativa della Regione. Nel momento in cui la Costituzione conferisce un potere di dettare leggi alla Regione, e lo precisa con un limite estrinseco, che è quello che abbiamo segnato nel primo comma, è necessario anche un limite di merito, che attiene alla quantità, per così dire, di questa potestà legiferante della Regione. La questione di procedura verrà dopo se e in quanto ci sarà un limite di sostanza, che noi dobbiamo fissare proprio in questa sede. Direi di più: che questa precisazione è indispensabile, anche se non ci dovesse essere la possibilità di un controllo costituzionale. È, in altri termini, una direttiva, un orientamento che lo Stato dà alla Regione. Esso dice alla Regione: puoi fare delle leggi, ma esse incontrano questo limite: non violare gli interessi della Nazione e delle altre Regioni. Se ci potrà essere una possibilità di sanzione è un altro problema. Ciò non toglie che questa necessità d’imposizione di un limite chiaro e preciso, che tranquillizzi sulla unità del sistema legislativo debba essere posto. Perciò voterò a favore dell’emendamento Morelli.

PRESIDENTE. Pongo anzitutto in votazione la proposta dell’onorevole Tosato di rinviare la decisione su questo particolare emendamento.

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Morelli Renato del seguente tenore:

«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere: sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».

(È approvato).

Resta inteso che si dovrà, in sede di coordinamento, stabilire il collocamento di questa proposizione.

Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 109, che è del seguente tenore:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

Su questo comma sono stati proposti alcuni emendamenti.

L’onorevole Mortati propone che il comma sia sostituito dal seguente:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione l’emanazione delle norme regolamentari per la loro integrazione ed esecuzione».

Invece l’onorevole Preti propone soltanto di aggiungere dopo la parola «norme», la specificazione» regolamentari».

Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi ed Azzi propongono, infine, di sostituire alla parola «esecuzione», la parola «attuazione».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Il nostro emendamento si riduce alla sostituzione della parola «esecuzione», con la parola «attuazione». Perciò, lo svolgimento dovrebbe essere brevissimo. Tuttavia, vorrei approfittare di questa occasione, per sottolineare il valore di questo comma, allo stato attuale dei nostri lavori. Dopo le lunghe discussioni sull’articolo 109, si è arrivati a fare una elencazione, relativamente ristretta, delle materie sulle quali le Regioni hanno un potere legislativo, nell’ambito dei principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato.

L’ultimo comma, così come figura nel testo della Commissione, proviene dall’ultimo comma dell’articolo 111 dell’antico progetto, e risente un po’ di questa sua origine, in quanto nel testo primitivo si parlava, in realtà, di esecuzione, ma si parlava anche di norme regolamentari; invece, il testo attuale della Commissione non parla più di norme regolamentari, ma di norme, puramente e semplicemente.

Ora, a noi pare che questa modificazione, già accolta dal Comitato, è certamente da accogliersi; ma, appunto per questo, è anche da rettificarsi l’ultima parola usata nel comma, dicendo «attuazione» in luogo di «esecuzione».

La parola «esecuzione» poteva comprendersi, quando si parlava soltanto di norme regolamentari. Allargato, invece, il concetto, conviene usare una espressione più larga. Ora, fra le formule abitualmente usate per indicare qualcosa di più della «esecuzione», cioè una integrazione, un’emanazione di norme complementari in dettaglio, la nostra tecnica legislativa usa di solito «attuazione».

Questo comma, dicevo, rappresenta, in fondo, una norma complementare di quella che sarebbe stata la formula generale, quale era proposta da alcuni colleghi e particolarmente dall’onorevole Targetti, anzi è meno ardita. È una formula che viene a completare il quadro e che potrà e dovrà avere una notevole importanza pratica; in quanto, secondo questo sistema, lo Stato, facendo una legge, al di fuori di quelle materie elencate in maniera tassativa nella parte prima, avrà una notevole elasticità di movimento, una notevole libertà di disciplina. E potrà usare varî modi; uno potrà essere questo: che lo Stato, facendo una legge su una certa materia, lasci alle Regioni una notevole ampiezza nello stabilire le norme di integrazione e di attuazione; ma lo Stato potrà anche usare quest’altro espediente: stabilire delle norme aventi carattere dispositivo, nel senso che esse avranno efficacia, se ed in quanto la Regione, utilizzando il potere attribuitole dall’ultimo comma di questo articolo, non adotti essa stessa delle norme di attuazione.

Ritengo, dunque, che questo articolo avrà notevole importanza pratica. In definitiva, forse, più che la prima parte, questa seconda parte darà la misura dell’intervento regionale nel campo legislativo.

Chi ha seguito, anche in questi ultimi giorni, la discussione di leggi in quest’Assemblea, ha vissuto un’esperienza che dà molti insegnamenti; cioè dimostra come un Parlamento difficilmente possa fare leggi, che scendano al dettaglio. In queste condizioni, il Parlamento si trova esposto al pericolo che, non potendo scendere al dettaglio, sia facilmente indotto a delegare al Governo la competenza di fare norme complementari. Ora, questo comma offre invece un’altra possibilità, che potrà avere una notevole utilizzazione, e cioè che la legge statale regoli una certa materia con norme che restino in un campo abbastanza generale, e deferisca alle singole Regioni la competenza di fare le norme di dettaglio e di attuazione.

Ritengo, dunque, che questo articolo ha notevole importanza. La modificazione proposta mi pare che non possa incontrare difficoltà e mi auguro che su questo comma si manifesti l’unanimità dell’Assemblea, con l’adesione, cioè, anche di tutte quelle parti politiche che finora si sono, per ragioni che non voglio discutere, rifiutate o, per lo meno, hanno resistito nell’attribuire alle Regioni il potere legislativo così come è indicato nella parte prima di questo articolo.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Dirò brevi parole. Dopo una lunga discussione si sono stabilite le varie materie sulle quali la Regione è chiamata ad emanare norme legislative. Ora, mi sembra evidente che su tutte le altre materie la Regione non potrebbe essere chiamata che ad emanare norme regolamentari. Perciò mi sembra opportuno che nel testo dell’ultimo comma dell’articolo non si dica semplicemente che le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione «il potere di emanare norme», bensì specificamente si abbia a parlare di «potere di emanare norme regolamentari». Mi sembra che tutti debbano arrivare a questa conclusione, a meno che non si mediti un allargamento del concetto di norma di cui a questo ultimo comma, come mi ha lasciato pensare l’onorevole Perassi. Se prima ero in dubbio se sostenere il mio emendamento, ora, dopo aver sentito le parole dell’onorevole Perassi, ritengo necessario insistere.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

MORTATI. A me pare che all’onorevole Preti sia sfuggito il significato della votazione avvenuta poco fa, che ha portato all’approvazione della dizione «altre materie stabilite dalla legge». Con tale norma si è data al legislatore la podestà di attribuire alla Regione un’attività legislativa assai vasta, in cui possono rientrare tutte le forme di legislazione delegata. Non vi è luogo perciò, all’infuori di questa, se non ad un conferimento di potere regolamentare. Credo pertanto che non sia il caso di insistere sull’inserzione della frase «regolamentare», essendo tale carattere implicito.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

DUGONI. Devo dire che queste sono cose stupefacenti, in quanto si sta ricreando la triplice distinzione della facoltà legislativa da parte della Regione, che si era voluta cancellare abolendo i vecchi articoli 109, 110 e 111. Si era detto: creiamo un’unica facoltà per la Regione, in modo che sia uniforme e che sia senza possibilità di equivoci e soprattutto che sia estremamente semplice. Oggi noi vediamo che si torna a creare la facoltà legislativa quasi a tipo esclusivo, perché attraverso l’emendamento attuale si respinge verso l’esclusività, cioè verso una menomazione della facoltà legislativa dello Stato. Questo è il concetto che oggi viene fuori; si va verso la restrizione della possibilità dello Stato di legiferare su determinate materie.

PERASSI. Non è vero.

DUGONI. Ma sì, questo è il gioco che si sta facendo.

PERASSI. Non facciamo nessun gioco.

DUGONI. Parlo con molta precisione di linguaggio. Si sta facendo il gioco (Commenti) di far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Il problema che si viene ponendo è questo: dopo che si è trovato un accordo, dopo che si era cercato in tutti i modi di confluire verso un sistema unico di potestà legislativa della Regione, adesso si stanno creando i tre tipi, cioè la legislazione esclusiva, la legislazione integrativa e la legislazione regolamentare. Se questo non si chiama riportare dalla finestra quello che l’Assemblea ha già buttato fuori dalla porta col suo voto, io non so che cosa questo significhi. Noi ci opponiamo a questo sistema soprattutto per una ragione di lealtà. (Commenti). Non avendo tutte le frecce al vostro arco, voi adoperate le frecce dell’avversario quando vi fa comodo. Questo è un sistema che non è giusto e che non è leale e noi lo respingiamo con tutte le nostre forze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Dugoni, che vede oscuri intenti e manovre, voglio osservare che il richiamo della potestà regolamentare da lui sostenuto è messo avanti proprio dall’onorevole Mortati, della tendenza da cui partirebbero le manovre. La questione è anzitutto tecnico-giuridica, e va decisa da tale punto di vista. Del resto prego l’onorevole Dugoni di riflettere che alcune delle apprensioni che qui lo muovono, non gli furono presenti quando accettò l’emendamento Giua, che aveva qualcosa d’affine agli emendamenti ora da lui combattuti. Non è difficile smarrirsi in questa galleria di facoltà legislative e regolamentari.

Come punto di partenza resta fermo che noi abbiamo unificato i tre tipi sottili e complicati, che erano stati predisposti per la competenza legislativa della Regione. Resta fermo che lo Stato stabilisce nelle sue leggi i principî entro i cui limiti la Regione ha una facoltà di dettare norme, che abbiamo chiamata legislativa. Resta fermo che lo Stato, stabilendo i principî, traccia come un cerchio nel quale si deve tenere la Regione, che è bensì libera entro il cerchio (la cornice, come dicono i giuristi tedeschi), ha entro quel cerchio una competenza propria, che però è sempre, in sostanza, quella di integrare i principî posti dallo Stato.

Vi sono state battaglie sulle parole «potestà legislativa». Sorsero e rimangono parecchi scrupoli sulla figura di «legge della Regione». Forse, se invece di parlare di «norme legislative» si fosse parlato di «norme che abbiano valore di legge» vi sarebbero stati meno scrupoli. Tutti sanno che vi sono atti che non sono formalmente leggi, ma hanno valore come se fossero leggi. Io penso che la classica e tipica distinzione fra legge e regolamento non abbia più il rilievo ed il taglio netto di un tempo; quando le due categorie risalivano ad una distinzione anch’essa più netta e recisa, tra i compiti del Parlamento e del Governo. Per la maggior complessità della vita dello Stato e per le esigenze pratiche del suo funzionamento, si sono sempre più sviluppate forme intermedie: di legge delegata, di regolamento indipendente; e così via. Si viene delineando, e noi che facciamo la Costituzione ne sappiamo qualcosa, una scala e gerarchia di norme: che vanno dalla Costituzione e dalle leggi di valore costituzionale alle leggi ordinarie dello Stato; e vengono fuori altre categorie secondarie di norme, come queste emanate dalla Regione, che prendono anch’esse rango e nome di leggi. Molto si spiega con un fatto, sul quale ho più volte insistito di fronte all’Assemblea: il Parlamento non è più in grado di fare tutte le leggi necessarie alla vita attuale del Paese; ed allora (oltre i congegni interni che dovranno svilupparsi nel suo seno di delega a sue speciali Commissioni) si fa strada l’attribuzione di compiti legislativi, sempre secondari ed in dati limiti, alla Regione e ad altri organi (come potrebbero essere i Consigli economici). È tutta una materia in movimento; e se fra legge e regolamento non vi sono più i confini di un tempo; e se la parola «legge» si espande, sollevando i giovanili furori dell’onorevole Preti, pur così colto e preparato, non è arbitrio o capriccio o manovra terminologica; né tutto si riduce a voler valorizzare la Regione. È un processo in cammino; che non possiamo definire ancora in tutti i suoi particolari; un processo di decentramento legislativo, che dobbiamo registrare, cercando nel tempo stesso di evitare gli equivoci.

A tale scopo, dopo aver combattuto la legge della Regione, l’onorevole Preti non vuole ora che si parli di regolamento; e qui gli do ragione, appunto perché non c’è più la distinzione e la configurazione rigida di un tempo. Invece l’onorevole Zotta vorrebbe, come l’onorevole Mortati, parlare di regolamento; ed a me non sembra opportuno; come non mi sembra opportuno parlare, come egli vorrebbe, d’«integrazione»; perché, lo ho già detto, anche nella potestà legislativa del primo comma vi è in sostanza una integrazione di norme dello Stato. Accetto, invece, l’emendamento Perassi, che invece di «esecuzione», dice «attuazione»; e ritengo che l’espressione si addica a quanto veniamo a dire in questo ultimo comma.

Ciò che in esso stabiliamo non contraddice alle disposizioni del primo comma; in forza del quale lo Stato, in date materie, si limita a stabilire principî fondamentali, e la Regione ha una competenza propria a far norme entro i limiti posti dallo Stato. Nelle altre materie, in tutte le materie, lo Stato fa leggi comuni, particolareggiate e minute, e può per la loro attuazione, caso per caso, attribuire facoltà di dar norme alla Regione, anziché al Governo centrale. Preferisco non parlare (lo ripeto) di norme regolamentari. Non insista, onorevole Preti, perché sarebbe controproducente alla sua concezione delle norme del primo comma, di cui accentuerebbe il carattere legislativo. Non parliamo, in quest’ultimo comma, né di legislazione integrativa, né di regolamento. Siamo ai margini. Nomi e designazioni verranno fissati; e vi avrà la sua parte la dottrina. Quel che importa, intanto, è che si ponga una differenza di processo fra il primo e l’ultimo comma. Il Comitato ritiene che basti il suo testo; ed accoglie soltanto l’emendamento Perassi.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Ho spiegato che il mio emendamento non ha più ragione di essere, una volta approvato l’inciso «altre materie». Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Preti?

PRETI. Voglio osservare che il mio emendamento non è controproducente. Il Presidente Ruini ha detto che ho combattuto la famosa distinzione tra norme e regolamento, quando si trattò del primo comma dell’articolo. Ed invero io sostenni che si doveva genericamente parlare di potestà normativa, e non di potestà legislativa. Ma, poiché per il primo comma è stata adottata la dizione «potestà legislativa», è chiaro che è prevalsa l’altra tendenza. Proprio per questo io chiedo che in questo ultimo comma, per togliere ogni equivoco, si dovrebbe meglio specificare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è, onorevole Preti, il taglio netto fra legge e regolamento.

PRESIDENTE. Al testo della Commissione sono stati dunque proposti due emendamenti, uno dei quali, quello dell’onorevole Perassi, è stato accettato dalla Commissione, mentre l’altro, presentato dall’onorevole Preti, non è stato accettato.

Pongo prima in votazione il testo con l’emendamento dell’onorevole Preti, per il quale la dizione suonerebbe così:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme regolamentari per la loro attuazione».

(Non è approvato).

Dovremo ora passare alla votazione del testo della Commissione, comprendendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi, accolto dalla Commissione stessa.

DUGONI. Onorevole Presidente, ritengo che si debba votare per divisione su questo punto. Che la Commissione abbia accettato l’emendamento Perassi è altra questione.

PRESIDENTE. Quando si fanno questioni procedurali esse devono avere uno sbocco. A cosa sbocca questa questione? Lo sbocco è che dobbiamo votare il testo della Commissione, includendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi.

L’onorevole Dugoni, vorrebbe che l’emendamento Perassi fosse votato subito?

DUGONI. Domando se vi saranno due votazioni.

PRESIDENTE. Soltanto se il testo comprensivo dell’emendamento Perassi fosse respinto, faremmo una seconda votazione.

Pongo dunque in votazione il testo della Commissione con l’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

(È approvato).

È esaurita pertanto la votazione sui vari commi dell’articolo 109, il cui testo risulta così formulato:

«La Regione emana norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, nelle seguenti materie:

ordinamento degli uffici degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;

modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali;

polizia locale urbana e rurale;

fiere e mercati;

beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;

istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;

musei e biblioteche di enti locali;

urbanistica;

turismo e industria alberghiera;

tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;

viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;

navigazione e porti lacuali;

acque minerali e termali;

cave e torbiere;

caccia;

pesca nelle acque interne;

agricoltura e foreste;

artigianato;

altre materie indicate da leggi speciali, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 112. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie indicate negli articoli 109 e 110 e nelle altre delle quali lo Stato le delega la gestione».

PRESIDENTE. Per questo articolo il Comitato di redazione ha ora proposto la seguente nuova formulazione:

«Spettano alle Regioni le funzioni amministrative per le materie indicate nel precedente articolo, in quanto regolate da norme speciali, salvo quelle di interesse esclusivamente locale attribuite con leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni e ad altri enti locali».

In relazione a tale articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo emendamento è quello sostitutivo dell’onorevole Mortati. Lo leggo nella sua definitiva formulazione:

«Sostituire l’articolo con il seguente:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

Do la parola all’onorevole Ruini perché esprima il pensiero della Commissione su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato fa proprio l’emendamento Mortati, ed io ne dirò le ragioni. Il testo dell’articolo 112 si limitava e stabilire che spettano alla Regione le funzioni amministrative corrispondenti alle materie in cui la Regione ha competenza legislativa. Questo in via di massima, come principio; perché è sembrato alla maggioranza del Comitato che tra l’uno e l’altro ordine di funzioni, legislativa ed amministrativa, vi sia un rapporto di connessione; e sarebbero insorte molte questioni non facili a risolversi in sede costituzionale, se si fosse voluta fissare una serie di attribuzioni amministrative. Vi sarebbe stato anche l’inconveniente di irrigidire in forma costituzionale la distribuzione di funzioni fra Regione ed altri enti locali. Il Comitato è stato unanime nello stabilire che non vi sia parallelismo rigido fra funzioni legislative ed amministrative della Regione e che le funzioni amministrative, attribuite in via di massima alla Regione per la correlazione alle sue funzioni legislative, possano essere, con leggi dello Stato affidate ad altri enti locali; in vista di quel riordinamento e di quella redistribuzione di attività amministrative, deve essere uno dei migliori risultati di questa nostra riforma, che parte dalla istituzione dell’ente Regione.

Potevano sorgere e son sorte a tal punto questioni. Come? L’elenco delle materie in cui spetta competenza legislativa alla Regione è tale, che passando anche su tale materia le funzioni amministrative, la Provincia sarebbe privata del suo attuale contenuto di attribuzioni. Non basta, osservano i (diciamo così) provincialisti, che la Regione possa volontariamente incaricare la Provincia di esercitare funzioni che spetterebbero a lei Regione. D’altra parte, dicono i regionalisti, se lasciamo alle leggi ordinarie dello Stato di togliere alle Regioni funzioni che le abbiamo, in via di massima, attribuite, e di darle invece agli altri enti locali, che cosa resta della Regione?

Si è trovato un accordo nell’ammettere che agli altri enti possano passare soltanto funzioni di esclusivo interesse locale, non regionale. Indicazione non ben determinata; ma intanto, e tutti furono di quest’idea, si è aperta la via alla redistribuzione di funzioni locali, che è la cosa che più importava.

L’emendamento Mortati mantiene e non tocca la prima parte dell’articolo. Vi aggiunge che «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici». Non è cosa nuova; era acquisita al vecchio testo, per evitare la burocratizzazione della Regione. Messo qui, ed espresso in forma migliore, con la distinzione della delega e dell’utilizzazione degli uffici locali, la disposizione assume un efficace risalto; e conferisce ad inquadrare subito, nel suo aspetto generale, la fisionomia e la struttura della Regione.

Non ho altro da dire. L’emendamento dell’onorevole Mortati raccoglie felicemente quegli elementi che prima erano trasferiti in varie parti del progetto. Pertanto il Comitato lo fa proprio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero richiamare l’attenzione sulla notevole importanza di questo articolo, che stabilisce la competenza amministrativa della Regione. Secondo l’orientamento che sembra più opportuno, questa competenza dev’essere concepita in funzione prevalentemente direttiva, normativa, di impulso, di controllo. Si deve evitare il pericolo, che molti temono, e che non è ipotetico, di un accentramento regionale, che potrebbe portare all’inconveniente di trasportare nel seno della Regione quell’accentramento che si vuole sopprimere nell’organizzazione dello Stato.

Quindi, l’opportunità di stabilire nello stesso articolo che determina la sfera dell’attività amministrativa della Regione, il principio del decentramento.

C’è un altro punto che mi pare di notevole importanza, quello di stabilire un parallelismo tra la funzione normativa e la funzione amministrativa della Regione. Questo parallelismo era stato stabilito dal Comitato con una formula che a me non sembrava esatta, perché parlava di potestà amministrativa genericamente nella materia normativa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene; ma abbiamo fatto nostro il suo testo.

MORTATI. Allora è inutile soffermarsi; volevo soltanto segnalare l’importanza che ha dal punto di vista politico il collegare l’attività amministrativa della Regione all’attività normativa propria istituzionalmente della medesima.

PRESIDENTE. Vi è un altro emendamento presentato dagli onorevoli Bozzi, Colitto, Crispo, Villabruna, Morelli Renato, Preziosi, Cifaldi, Bencivenga, Fresa, Caroleo, Condorelli:

«Le Regioni, le Provincie ed i Comuni provvedono all’amministrazione nelle materie indicate dalle leggi della Repubblica».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, noi dobbiamo oggi affrontare il secondo argomento di maggiore importanza, nel tema della Regione. Abbiamo finora trattato della potestà normativa ed abbiamo tutti sentito la necessità di fissare alcuni limiti.

Adesso passiamo al secondo capitolo: la competenza amministrativa della Regione, cioè l’attività che attiene all’esecuzione delle leggi. Le leggi non sono dichiarazioni accademiche; hanno importanza in quanto si traducano in atto; quindi, la necessità di stabilire l’organo, l’ufficio che deve amministrare, che deve eseguire le leggi e dare soddisfazioni, nei limiti di esse, ai pubblici interessi.

Io, che pure non passo per un regionalista, sento la necessità di un decentramento amministrativo. (Approvazioni al centro). Però sento altrettanto imperiosa la necessità di chiarezza.

Ora, mi sembra che, tanto nel testo originario, quanto – sia pure in minor grado – nel testo proposto dal collega professore Mortati ed accettato ora dal Comitato di redazione, si stabilisca un collegamento, che io non approvo, fra potestà normativa della Regione e potestà amministrativa. Si dice: la Regione ha competenza di amministrare in quelle materie nelle quali ha competenza di far leggi; quindi, non solo in quelle particolarmente elencate, ma in tutte quelle altre per le quali con leggi speciali lo Stato potrà delegare l’esercizio del potere legiferante alla Regione.

MORTATI. No, no.

BOZZI. Credo di sì; l’articolo proposto si riferisce al primo comma dell’articolo sulla potestà normativa della Regione, che comprende anche la possibilità di delega di cui ho detto.

Ora, mi sembra che questo collegamento tra competenza amministrativa e competenza normativa sia un difetto di impostazione e causa di incertezze. Io credo che non sia da escludere che alla Regione possa essere attribuita potestà di amministrare, anche in materie per le quali essa non abbia potestà normativa.

Noi ieri abbiamo, per esempio, escluso dalla potestà normativa della Regione le materie dell’industria e del commercio, ma io non vedrei nulla di male che su queste materie fosse conferita alla Regione stessa una certa competenza amministrativa. I Comuni già oggi ne sono titolari.

Questo articolo poi mi sembra limitativo. L’interpretazione che io ne do è questa: le materie che possono amministrare le Regioni, le Province e i Comuni sono quelle, e soltanto esse, previste per rinvio in questo articolo; donde la conseguenza che le leggi della Repubblica possono distribuire la potestà di amministrare fra Regione, Province e Comuni, ma soltanto nell’ambito delle materie elencate. Ma questo è un errore, e grave. Si pensi che oggi il Comune ha scopi illimitati; si può dire che sia suscettivo di massima espansione, che è paragonabile soltanto con quella dello Stato.

Ma vorrei, in modo particolare, che la Commissione mi desse un chiarimento intorno ad un altro mio dubbio, che stimo di qualche rilevanza. Noi abbiamo stabilito una potestà normativa delle Regioni, la quale è indiscutibilmente una potestà subordinata ai fini fondamentali dello Stato; la Regione, cioè, si muove con le sue leggi entro zone che sono predeterminate dalle leggi dello Stato e – secondo quanto abbiamo oggi aggiunto – con vincoli di merito, perché la Regione non può mai dettare norme che contrastino con l’interesse dello Stato o di altre Regioni. Ma la potestà amministrativa della Regione è del pari subordinata, così come la potestà normativa? In sostanza, come noi abbiamo cercato di assicurare una unità legislativa, cercheremo di assicurare anche l’unità amministrativa, cioè l’unità nell’esecuzione delle leggi? E come cureremo l’attuazione amministrativa dei principî fondamentali che sono riservati alla potestà legislativa dello Stato? Questo è un dubbio, egregi colleghi, che si pone alla mia coscienza di giurista; è un dubbio che è balzato ai miei occhi non appena ho letto quest’articolo, e che desidero mi venga chiarito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo.

BOZZI. Io desidero, in altri termini, sapere quali saranno i rapporti fra gli uffici autarchici regionali e gli organi burocratici dello Stato, se esisteranno ancora.

Ma qui la visuale dei dubbi si allarga. Onorevoli colleghi, ho l’impressione che abbiamo dimenticato un punto importante, o non lo abbiamo tenuto nella giusta luce. Noi abbiamo istituito la Provincia come ente autarchico: ebbene, non è questa una introduzione di poco momento; è questo, invece, un istituto che incide nella struttura di tutto il sistema di autonomie che abbiamo creato.

Non solo, ma si parla anche di altri enti locali, che non si sa bene quali potranno essere. Ora, quale sarà la distribuzione dei compiti? Che cosa sarà la Regione? Lo Stato amministra; ma amministrano anche le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti. Dov’è l’ordinamento di questo complessò sistema? Qual è la linea? Accentreremo noi forse le funzioni amministrative nella Provincia, così che la Regione sarà quasi un consorzio obbligatorio di Province e avrà prevalentemente una funzione di coordinamento? Io vedo, per esempio, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, un alinea che mi fa pensare che le funzioni amministrative saranno prevalentemente esercitate dalle Province e dai Comuni, sia pure attraverso una delega delle Regioni. Ora, io dico: un decentramento vivo e reale lo vogliamo tutti; tutti sentiamo i danni di un accentramento statale, opprimente alcune volte. Ma perché un decentramento possa avvenire è necessario che noi riorganizziamo, con una visione organica e completa, non solo la competenza degli enti locali, ma le competenze amministrative dello Stato. Si impone, cioè, una riforma completa della pubblica amministrazione, statale e indiretta, come si chiama da taluni quella dei Comuni e delle Province.

Ed ecco la ragione del mio emendamento: facciamo un articolo di rinvio. I Comuni, le Province, le Regioni avranno la competenza amministrativa nelle materie che saranno indicate dalla legge. E con ciò – e il Presidente onorevole Ruini me ne può far fede – non propongo, in definitiva, cosa diversa da quanto non sia stabilito nell’articolo 8 delle Disposizioni transitorie e di attuazione, là dove si dice che con legge della Repubblica sarà regolato il trapasso delle funzioni dallo Stato alle Regioni.

In altri termini, perché questa riforma possa avere cominciamento, attuazione e sviluppo, è necessaria una legge organica. E allora dico: non pregiudichiamo il problema con affermazioni che potrebbero domani turbare la linea di quella che deve essere una riforma organica. Attendiamo questa riforma del decentramento amministrativo, del quale oggi dovremmo solo affermare la necessità e stabilire l’impegno per il futuro legislatore.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero eliminare il possibile equivoco, quale può desumersi dalle parole dell’onorevole Bozzi. Il mio emendamento, quando fa riferimento alle materie indicate nel primo comma del precedente articolo, intende riferirsi alle materie comprese nell’elencazione, escludendo cioè quelle indicate genericamente, come delegabili dal legislatore ordinario. Queste ultime, dando luogo ad una competenza temporanea, e sempre revocabile, perciò non istituzionale, della Regione, non possono importare un passaggio automatico di competenza amministrativa.

Se me lo permette l’onorevole Presidente, vorrei ancora precisare molto brevemente la ragione di questo parallelismo fra potere legislativo e potere amministrativo della Regione. In sostanza, noi abbiamo voluto con questa proposta dare un primo avviamento al principio del decentramento amministrativo dello Stato; abbiamo voluto, cioè, nella stessa Costituzione affermare un criterio del passaggio alla Regione di tutte quelle attività amministrative inerenti a materie per cui essa ha potere esclusivo di legislazione integrativa dei principî.

Ciò dovrebbe consentire l’eliminazione degli uffici locali dello Stato per interi gruppi di materie, iniziando la decongestione dell’Amministrazione statale in modo razionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo col seguente:

«La Regione esercita funzioni amministrative, oltre che nelle materie di cui all’articolo precedente, in tutte le altre che le siano delegate dallo Stato.

«Funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia e al Comune dalle leggi dello Stato o da quelle della Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Vorrei far presente due punti. Anzitutto, come ha rilevato l’onorevole Bozzi, mi pare che accettando l’emendamento dell’onorevole Mortati noi veniamo a stabilire che si possano decentrare funzioni amministrative ai Comuni e alle Province solo nell’ambito delle materie indicate nell’articolo 109. Almeno, se non sbaglio, questa è l’interpretazione letterale dell’emendamento dell’onorevole Mortati: insisterei quindi nel mio emendamento per la parte che dice che «funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia o al Comune dalle leggi dello Stato»; e aggiungerei poi «o da quelle della Regione», significando cioè, che anche la Regione può decentrare le proprie funzioni amministrative alla Provincia e al Comune.

Non sarei favorevole all’accettazione dell’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Mortati, che riporta alla materia disciplinata dall’articolo 120 del progetto. Credo che questa materia dell’articolo 120 sia opportuno lasciarla dove l’ha posta il progetto; essa riguarda anche i consorzi e la definizione della Provincia: è un problema più vasto, che non può essere ristretto negli angusti limiti di quest’ultimo comma, così come è proposto dall’onorevole Mortati.

In via di massima accetterei quindi i primi due commi dell’emendamento dell’onorevole Mortati, ma a condizione che sia chiarito che ai Comuni e alle Province possono essere delegate funzioni amministrative anche in materie non comprese fra quelle deferite dall’articolo 109 alla Regione agli effetti legislativi.

PRESIDENTE. Mi permetta, allora lei aderirebbe all’emendamento Mortati.

CODIGNOLA. Con la precisazione che ho detto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Comincio col rispondere all’onorevole Bozzi sulle questioni minori che ha sollevato con la consueta acutezza. Egli esprime il dubbio che siano attribuite alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti non solo alle materie tassativamente indicate dall’articolo precedente per la potestà legislativa della Regione, ma anche alle «altre materie» in cui pure può essere accordata eguale facoltà. L’intento del Comitato è proprio di evitare che avvenga tale estensione; ed è in vista di ciò che nell’ultimo testo proponiamo di dire materie «elencate», e cioè indicate nell’elenco, non comprese genericamente nelle «altre materie». Comunque, se sarà necessario un chiarimento maggiore, lo potremo fare in sede di coordinamento. Nulla vieta che delle «altre materie» si possa fare un comma a sé, in modo che non possa più sorgere il menomo dubbio.

L’onorevole Bozzi si preoccupa poi (e la sua preoccupazione mi sembra condivisa dall’onorevole Codignola) che ai Comuni ed alle Province non possano essere attribuite altre funzioni oltre a quelle indicate nell’articolo precedente. Non è così. Quest’articolo considera solo le funzioni amministrative, spettanti in via di massima alla Regione, che possono da leggi dello Stato essere trasferite alle Province ed ai Comuni. Ma questi enti possono e debbono avere altre funzioni e compiti attribuiti ad essi da leggi dello Stato. Lo dice il successivo articolo 121, che definisce più direttamente (qui nel 112 si parla di Regione) la figura delle Province e dei Comuni. Il dubbio degli onorevoli Bozzi e Codignola non regge. Del resto potranno, in occasione dell’articolo 121, proporre, se lo credono necessario, formulazioni anche più esplicite nel senso desiderato.

Altra preoccupazione dell’onorevole Bozzi: che, dove la Regione ha funzioni legislative ed amministrative, si debbano sopprimere gli uffici centrali. È chiaro che, quando dati servizi passano dallo Stato alle Regioni, dovranno passare alle Regioni dati uffici ed il relativo personale. Ma è altrettanto chiaro che quando si danno alle Regioni funzioni legislative ed amministrative, ad esempio, sull’agricoltura e sulle foreste, non deve con ciò intendersi soppresso il Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Lo Stato, che stabilisce i principî generali della legislazione in siffatte materie, deve evidentemente conservare funzioni di vigilanza e di controllo. Sarà un compito diverso da quello di prima; si dovranno evitare doppioni e pesantezze burocratiche; ma insomma vi saranno anche uffici centrali.

Su questi tre punti l’onorevole Bozzi può essere tranquillo.

Veniamo al problema principale: il nesso fra le potestà legislative e le funzioni amministrative delle Regioni. Questo nesso non è indispensabile, siamo d’accordo; si poteva (l’ho già detto in un altro intervento) far due elenchi ben distinti di materie di competenza legislativa, e di funzioni amministrative. Ma quante difficoltà ed incertezze. E sarebbe giovato – proprio contro gli intendimenti dell’onorevole Bozzi – irrigidire anche le funzioni amministrative in un elenco di Costituzione?

Che cosa si è fatto? Si è tenuto presente che un nesso, sia pure non inscindibile, esiste fra le materie in cui la Regione pone le mani, sia come legislazione secondaria, sia come gestione. Dacché ci voleva un criterio, si è preso questo; ma subito dopo si è provveduto alla possibile disgiunzione, in quanto leggi ordinarie dello Stato possono trasferire ad altri enti locali le funzioni che, essendo connesse alla sua potestà legislativa, erano attribuite, come principio e schema, alla Regione. In altri interventi ho spiegato, e non mi ripeterò, come si sia realizzato l’accordo fra regionalisti e provincialisti, che temevano venisse spogliato, a vantaggio dell’altro, il loro ente. In sostanza, onorevole Bozzi, si è rinviata effettivamente la definitiva distribuzione di compiti fra Regione, Provincia e Comune, alla legislazione ordinaria, che provvederà gradualmente e sistematicamente.

Questo è savio rinvio, onorevole Bozzi. Non si può invece accettare il suo, che non vorrebbe neppur dare un primo schema delle funzioni della Regione, così che questa sorgerebbe del tutto teoricamente ed astrattamente; ossia in realtà non comincerebbe a vivere, se non quando una legge fondamentale avesse risoluto il problema dell’attribuzione dei suoi compiti. Invece, come ha ideata questa nascita il Comitato, e come risulterà dalle Disposizioni transitorie, Province e Comuni conserveranno le funzioni che hanno attualmente, e la Regione assumerà quelle altre che corrispondano alle sue funzioni legislative; salvo che, in virtù dell’articolo 112 che ora discutiamo, trasferisca alcune di queste agli enti minori. È il sistema più elastico possibile; risponde, onorevole Bozzi, alla concezione con cui io ho inteso la creazione della Regione; ed è sistema che, col riordinamento degli enti e di tutta la vita locale, apre orizzonti più vasti che la visione, limitata alla sola Regione, dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, è soddisfatto?

BOZZI. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Ruini, che ritengo valgano a dare una interpretazione autentica al testo, ritiro al mio emendamento perché mi ritengo soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola?

CODIGNOLA. Rinuncerei al primo comma del mio emendamento aderendo a quello dell’onorevole Mortati. Quanto al secondo comma, invece, lo manterrei in sostituzione della seconda parte della formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

Preciso. Approvo la prima parte dell’emendamento Mortati: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo articolo». In sostituzione della seconda parte; mantengo invece il secondo comma del mio emendamento: «Funzioni amministrative di carattere locale, ecc.».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che questo emendamento Codignola cancelli il significato della nostra proposta; perché va a finire che la Regione ha fatalmente, assolutamente tutte le funzioni comprese nell’articolo precedente e poi «funzioni amministrative di carattere locale», cioè altre funzioni. Noi, invece, abbiamo ammesso che le stesse funzioni, date alla Regione, possono essere trasferite alle Province ed ai Comuni.

Quindi, la disposizione Codignola è molto più restrittiva.

CODIGNOLA. Ma ho rinunziato al primo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se non mette «salvo quelle d’interesse esclusivamente locale, attribuite…» viene a togliere quella che è la virtù di adattamento e di equilibrio, che abbiamo introdotto.

Con questa disposizione, l’onorevole Codignola vuol dire che tutte le funzioni amministrative, relative all’articolo precedente, passano, massicciamente, senza eccezione, alla Regione; poi, si possono attribuire altre funzioni; questo è molto meno di quello stabilito dal Comitato.

CODIGNOLA. Il secondo comma riguarda le Province ed i Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta di fatto che con le sue proposte verrebbero tolte alle Province ed ai Comuni tutte le materie su cui la Regione ha facoltà legislativa; ossia sarebbero svuotate del loro attuale contenuto: e potrebbero essere attribuite soltanto «altre funzioni di carattere locale». Bisogna invece stabilire chiaramente, come primo passo al riordinamento della vita locale, che agli enti minori possano attribuirsi anche funzioni su cui alla Regione compete una legislazione secondaria.

CODIGNOLA. Non sono d’accordo con quanto afferma l’onorevole Ruini.

L’emendamento Mortati dice espressamente che la Regione esercita le normali funzioni amministrative sulle materie di sua competenza delegandole alle Province ed ai Comuni. Di conseguenza, l’emendamento Mortati prevede che solo le materie dell’articolo 109 possano essere delegate, per l’amministrazione, alle Province ed ai Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No. In questo caso è la volontà della Regione, che delega o meno. Qui, invece, è la legge dello Stato a stabilire che date funzioni, anche se soggette alla facoltà legislativa della Regione, vanno alle Province ed ai Comuni. È intuitiva la differenza delle due posizioni.

Inutile poi aggiungere che lo scopo del secondo comma dell’emendamento è perfettamente garantito, quando, parlando all’articolo 121 delle Province e dei Comuni, diremo che la legge dello Stato può attribuire loro tutte le «altre» funzioni che vuole. Ma, non prevedendo il trasferimento delle funzioni che l’emendamento lascia alla Regione, la sua disposizione, onorevole Codignola, è molto limitativa.

CODIGNOLA. Vorrei sapere se vi sono delle materie oltre quelle elencate nell’articolo 109 la cui amministrazione può essere deferita.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma senza dubbio; è scritto nel nostro testo, e non so quante volte ho ripetuto, che possono essere retribuite dalle leggi dello Stato a Province ed a Comuni le funzioni che in via di massima spetterebbero alle Regioni.

CODIGNOLA. Con questa assicurazione ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Si tratta allora di passare alla votazione dell’articolo, nel testo emendato dall’onorevole Mortati e accettato dalla Commissione. Su questo testo viene presentato un emendamento dell’onorevole Corbino. L’articolo dispone: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma». L’emendamento dell’onorevole Corbino tende ad aggiungere l’avverbio «esplicitamente», onde si dica «spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie esplicitamente elencate pel primo comma».

L’onorevole Mortati accetta questa modificazione?

MORTATI. Nella sostanza siamo d’accordo, nel senso che ho già specificato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, ormai si tratta di un testo della Commissione, non più dell’onorevole Mortati.

MORTATI. Non mi pare dubbia la necessità di precisare in sede di coordinamento, ciò anche perché la formula attuale non è sintatticamente corretta, non coordinandosi l’alinea in discorso con la dizione del primo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Qui ognuno vuol essere maestro anche di grammatica e di sintassi e si improvvisa non solo legislatore ma purista. Alla pulizia formale passeremo da ultimo, dopo aver votato tutti gli articoli. Anche una formula che parla di «elencazione esplicita» non pare bella e corretta. Ciò che importa è la sostanza: che sia escluso di dare alla Regione i servizi amministrativi per le «altre materie» in cui le siano attribuiti poteri legislativi, oltre quelle elencate nell’articolo precedente. Mi tocca purtroppo di dovermi, una volta ancora, ripetere. Ho detto all’onorevole Bozzi che, se non basta l’espressione usata, potremo adottarne un’altra più chiara in quell’articolo che abbiamo approvato, ma potremo rivedere nel coordinamento finale.

PRESIDENTE. Il Comitato di redazione accetta la proposta dell’onorevole Corbino?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si oppone, e si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, insiste?

CORBINO. Se io avessi la certezza che in sede di coordinamento si chiarirà il significato limitativo della parola «elencate», ritirerei la mia proposta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le do assicurazione.

CORBINO. Allora non insisto.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione il nuovo testo accettato dal Comitato di redazione, del quale do lettura:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare che si potrebbero mettere d’accordo l’onorevole Corbino e l’onorevole Mortati (Commenti al centrò) qualora si dicesse: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie specificatamente elencate nel precedente articolo».

Non si parla di comma e si toglie ogni dubbio.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, le faccio osservare per regolarità di procedura, che siamo in votazione sul testo approvato dal Comitato di redazione. Non è possibile fare nuove proposte.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che si possa giungere a un chiarimento. Intanto chiederei che si votasse per divisione. Se l’onorevole Mortati conserva l’ultima parte, cioè «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni, ecc.», io debbo votare contro. Che cosa questo, infatti, significa? Significa, o può significare, che la Regione, nell’esercitare le funzioni suddette, non le esercita direttamente, ma le esercita per il tramite della Provincia, del Comune, ecc. In altre parole, si viene a togliere alla Regione quella funzione amministrativa diretta che non le può essere tolta né dalla Provincia, né dal Comune, né da altri. Questo credo appaia chiaro a tutti, e questo è grave, perché si passa a conservare la Provincia come ente autarchico improvvisamente, senza una preparazione adeguata. Si poteva arrivare ad una conclusione pacificamente accettata dalla grande maggioranza.

Non si è fatto questo, e adesso si vorrebbe concedere a questa Provincia – rimasta così, per un colpo improvviso e che la grande maggioranza dell’Assemblea fino a pochi giorni fa intendeva trasformare – anche una funzione amministrativa delegata per tutte quelle materie che invece, secondo noi, spettano alla Regione, e se non alla Regione in forma diretta, ai suoi organismi amministrativi. Così viene smontata tutta la Regione e si riempie la Provincia…

Voci. Ai voti, ai voti!

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, se voleva svolgere questo tema, doveva farlo nella sede opportuna.

LUSSU. È una questione estremamente delicata. Prego l’onorevole Mortati o di rinunciare, oppure di modificare il suo emendamento nel senso che la Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici. Questo sarebbe un concetto accettabile da tutti o, almeno, da quanti ritengono l’economia della Regione una cosa seria.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Osservo questo: che il testo proposto dalla Commissione riproduce l’articolo 120, che l’onorevole Lussu ha, a suo tempo, approvato e che dice: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali…». Ad ogni modo mi pare che l’emendamento Lussu nella sostanza non alteri lo spirito informatore di questa disposizione e perciò non avrei difficoltà ad accettarlo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Lussu di precisare il suo emendamento.

LUSSU. Il testo della mia proposta è questo: «La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali, o valendosi dei loro uffici».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si può accettare la proposta dell’onorevole Lussu. Secondo la concezione del Comitato, che l’Assemblea va accogliendo, le Province ed i Comuni debbono vivere di vita, se è possibile, anche più piena sotto le ali della Regione, che deve vivificarli e potenziarli. La Regione ricorre «normalmente» a Provincie e Comuni per esercitare le sue funzioni amministrative. Ma il significato di «normalmente» non è che debba farlo sempre. Vi sono funzioni, proprie della Regione, che non possono essere esercitate a mezzo delle Province e dei Comuni, ma direttamente dalla Regione stessa. Tranne tali casi, da ritenersi eccezionali, la Regione si varrà dei minori enti locali, che hanno già uffici costituiti e capaci; e bisogna evitare – è un’altra idea fissa del Comitato – le nuove ed inutili burocratizzazioni. Non mi sembra che l’onorevole Lussu abbia compreso lo spirito e l’equilibrio della nostra proposta, che non possiamo alterare.

PRESIDENTE. Mantiene la sua formulazione, onorevole Lussu?

LUSSU. Non vi rinuncio.

PRESIDENTE. Dato che non vi rinuncia, le faccio presente che non si può ammettere un emendamento orale. Perché gli emendamenti si possano presentare alla votazione dell’Assemblea, bisogna presentarli per iscritto.

LUSSU. Io intendevo usare un atto di delicatezza verso il collega Mortati e verso la Commissione. Anziché presentare un emendamento, poiché la questione mi sembrava estremamente chiara e ragionevole, chiedevo alla Commissione di voler essa stessa procedere alla modifica.

Chiedo, comunque, che si voti per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo della Commissione, onorevole Presidente, è quello scritto. Chiediamo che si voti comma per comma questo testo; come abbiamo votato sempre comma per comma. Non si tratta, quindi, di una votazione per divisione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo comma, che è del seguente tenore:

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento, ora pervenutomi, proposto dall’onorevole Lussu, per il terzo comma, del seguente tenore:

«La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici».

(Non è approvato).

Pongo allora in votazione il terzo comma nel testo delle Commissioni:

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

(È approvato).

L’articolo 112 risulta, quindi, così formulato:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

Sospendo la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.20).

Si passa ora all’articolo 113 nel nuovo testo presentato dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali per provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

PRESIDENTE. Passiamo subito allo svolgimento dei vari emendamenti.

L’onorevole Codignola ha presentato due emendamenti su questo articolo. Il primo emendamento è così formulato:

«Sostituire i primi quattro commi coi seguenti:

«La Regione provvede alle proprie necessità finanziarie mediante sovrimposte o quote di tributi erariali e comunali, o contributi erariali ad essa riservati dallo Stato, o con tributi propri, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Per l’accertamento e l’esazione dei tributi, la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò designati.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio secondo le disposizioni di legge.

«Lo Stato conserva la facoltà di assegnare alle Regioni meno provviste di mezzi, particolari sovvenzioni, nell’interesse del loro sviluppo ovvero in quello generale del Paese».

Inoltre l’onorevole Codignola propone il seguente altro emendamento:

«Fare del quinto comma un articolo a sé del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che mirino comunque alla creazione di privilegi in favore di una o più Regioni a danno di altre o della generalità dei cittadini. L’unità dell’economia nazionale ed internazionale e la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni non troveranno ostacolo nell’ordinamento autonomistico dello Stato».

L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere i suoi emendamenti.

CODIGNOLA. Il Comitato di redazione ha già modificato la primitiva formula, in quanto ha soppresso quella parte che riguardava i cosiddetti fondi per fini speciali. Ma anche l’attuale formulazione presenta, mi pare, qualche punto oscuro. Anzitutto, non si accenna affatto alla necessità, che me pare fondamentale, dell’unicità degli organi di accertamento e di esazione dei tributi. A questo riguardo non vi è alcuna indicazione, neanche nel nuovo testo dell’articolo 113.

Io ritengo che, se la cosiddetta autonomia finanziaria dovesse comportare una moltiplicazione degli organi di accertamento e di esazione dei tributi, noi verremmo a creare una serie di difficoltà molto notevoli, e perciò ritengo che nel testo costituzionale sia opportuno inserire il principio che per l’accertamento e l’esazione dei tributi la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò destinati.

Mi pare, anche, che sarebbe opportuna qualche altra precisazione. Anzitutto, vorrei sapere dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, che cosa la Commissione abbia voluto intendere con l’espressione «autonomia finanziaria» che, a dire il vero, è molto oscura.

Cosa significhi, dal punto di vista tecnico, «autonomia finanziaria» di una Regione, non riesco a capire. Possiamo dire semplicemente che la Regione provvede alle proprie necessità con determinati tributi; ma dire che la Regione ha una propria autonomia finanziaria, quando l’intero Paese costituisce tutta un’unità dal punto di vista finanziario, non riesco a capirlo. E penso che sarebbe opportuno che nel testo definitivo questa espressione venisse meno e si trovasse una formula meno equivoca.

Vorrei poi fare osservare che al comma secondo si afferma che alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali. Ora, mi pare che si dovrebbe precisare «quote di tributi erariali e comunali», poiché ci possono essere dei casi in cui la Regione applica una addizionale su tributi comunali. È un caso che dovrebbe essere, comunque, previsto, perché non si deve precludere la possibilità che esso si verifichi.

Quindi io suggerirei, come è indicato nel mio emendamento, la formula «mediante sovrimposte, o quote di tributi erariali o comunali, o contributi erariali ad essa riservali dallo Stato».

Ricordo che nello Statuto siciliano sono passate alcune cose estremamente gravi su questo argomento, poiché nello Statuto siciliano si è data, in sostanza, facoltà al Governo della Regione di stabilire esso quali saranno i tributi dello Stato che restano allo Stato e quali quelli che passano alla Regione: tanto è vero che il Governo siciliano ha interpretato questa norma, nel senso che tutti i tributi erariali, salvo quei pochi espressamente indicati dallo Stato, come di sua pertinenza, passano alla Regione.

Ora, bisogna ben chiarire che è lo Stato che determina quali sono i tributi erariali che restano ad esso e quali quelli che devono passare alla Regione, e ciò per evitare la possibilità che sia, invece, la Regione a determinare quali siano i tributi erariali che essa assume a proprio favore.

Un’ultima cosa: il quinto comma del testo proposto dalla Commissione accenna al punto fondamentale del divieto di dazî di importazione e di diritti doganali. Mi pare che bisognerebbe dare maggior rilievo anche formale a questo quinto comma, perché esso è fondamentale. Questo comma ci garantisce che l’autonomia regionale non costituirà ostacolo allo sviluppo economico del Paese; quindi, non soltanto propongo di fare di questo comma un articolo a sé, ma credo che sia necessario adottare una formulazione più ampia, che stabilisca esplicitamente che non vi potrà essere alcun ostacolo alla libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni sul territorio nazionale, e che costituisca una maggiore garanzia rispetto alla formulazione proposta dalla Commissione.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, su che cosa desidera prendere la parola?

NITTI. Per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

NITTI. Noi siamo stati finora nell’indeterminato. Qui ci troviamo di fronte ad un argomento concreto e preciso di cui non possiamo parlare senza avere una guida, una traccia, un’indicazione. Quale sarà cioè la finanza della Regione? Quale sarà la finanza locale? Improvvisazione: nessuno di noi, infatti, in questo momento, è preparato a fare progetti concreti sulla finanza regionale.

Ma è evidente che la Commissione e il relatore soprattutto debbono aver studiato questo argomento e debbono essere in grado di esporci il loro programma in forma concreta. Quale sarà la finanza della Regione, quale sarà quella della Provincia, quale sarà quella del Comune? Come sarà organizzata? In qual modo e in base a quali criteri saranno prelevate le entrate? E in che misura?

È evidente che tutto questo noi dovremmo sapere con una certa precisione, in modo da fare la discussione che ci apprestiamo a condurre, su dati concreti. Vorrei, quindi, pregare l’onorevole relatore di esporre egli, prima che altri parli, i risultati delle sue ricerche. Vorrei insomma conoscere, sia pure in modo relativo, quali siano le previsioni delle entrate, quali siano le previsioni delle spese. La mia mozione d’ordine consiste, quindi, nel proporre, prima che ci si lanci nelle ipotesi e nelle discussioni, che l’onorevole Ruini ci esponga le sue considerazioni sulla materia: spero che egli non avrà nulla in contrario.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a dichiarare se intenda fornire le notizie richieste dall’onorevole Nitti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avrei preferito che i presentatori di emendamenti li avessero svolti, così da non costringermi a parlare altre volte. Avrei desiderato che si sentisse un po’ di pietà per la mia persona e per la mia stanchezza. Comunque, parlerò subito.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, è una sua facoltà; nessuno la obbliga.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No; io mi inchino di fronte all’invito dell’onorevole Nitti.

Per dargli i chiarimenti che mi ha richiesti, debbo prima di tutto spiegare quali sono le nostre proposte. È necessario aver davanti un quadro d’insieme; non per conoscere fin da ora, nei suoi dettagli, il sistema tributario della Regione; ma per saperne le grandi linee, per «uscire dall’indeterminato», come dice l’onorevole Nitti, che domanda soltanto, ed io concordo con lui, delle tracce e delle direttive.

L’articolo sulla finanza della Regione è composto di cinque commi. Prima delle ultime modifiche, era foggiato così. Si cominciava affermando l’autonomia finanziaria della Regione ed il coordinamento del suo sistema tributario con quello dello Stato e degli altri enti locali. Qualcuno potrebbe osservare che l’affermazione dell’autonomia è un pennacchio; e che, se autonomia finanziaria vi è, deve risultare da tutto l’insieme dell’articolo. Ma qualche volta anche i pennacchi hanno la loro ragione d’essere.

Secondo comma. Si stabiliva di dare alle Regioni tributi propri o quote di tributi erariali, in modo che anche le Regioni meno provviste di mezzi potessero provvedere alle loro funzioni essenziali. Ecco la sostanza dell’autonomia; da realizzare appunto, sia con tributi esclusivamente assegnati alla Regione, sia con quote di tributi dello Stato; il quale punto va inteso non soltanto nel senso che vada alla Regione una parte di dati tributi riscossi nel suo territorio, ma che possa spettare una parte del gettito generale di qualche tributo dello Stato. Con la graduazione delle quote, diversa a seconda dei bisogni delle Regioni (maggiore nella Basilicata che nelle ricche Regioni del Settentrione) si ha modo di mettere le più povere in grado di adempiere le loro funzioni essenziali.

Ma non basta. Oltre alle attività ordinarie, le Regioni, specialmente le povere, possono sentire il bisogno di svolgere, per determinati scopi attinenti al proprio compito, lavori e sforzi che eccedono il criterio di normalità, e non si possono sostenere coi mezzi tributari assegnati alle Regioni stesse. Ecco dunque il terzo comma dell’articolo, che nel testo originario prevedeva fondi speciali – i cosiddetti fondi di solidarietà – da istituire con leggi della Repubblica, che ne avrebbero determinato le fonti, la gestione, col concorso di tutte le Regioni, ed i modi di riparto e di elargizione alle Regioni bisognose.

Questi erano i capisaldi della finanza regionale. Gli ultimi due capoversi riguardano il demanio e patrimonio, ed il divieto di imporre dazi di esportazione ed importazione da Regione a Regione.

Il Comitato di redazione, nell’incessante lavoro di revisione al quale si assoggetta, di fronte alla pioggia di emendamenti presentati nell’Assemblea, ed alla nuova riflessione che suscitano questi non facili problemi, ha proposto alcune modifiche all’anteriore formulazione.

Il primo comma resta quale era. Richiamo la vostra attenzione sull’esigenza di coordinamento con la finanza delle Province e dei Comuni; esigenza che corrisponde all’altra – l’abbiamo già visto all’articolo 112 – di rivedere e ridistribuire le funzioni di tutti gli enti locali, agli effetti della loro efficienza e del loro potenziamento.

Resta anche il secondo comma, nella sua sostanza. Soltanto, invece di «essenziali» abbiamo messo «funzioni normali»; perché la prima espressione poteva sembrare troppo stretta, troppo all’osso; e così le altre che si presentavano di funzioni facoltative o straordinarie, collegate alle attuali categorie di spese, nei riflessi contabili e di bilancio. Si è preferito far capo al criterio di normalità, che non va inteso in un senso di mera conservazione e manutenzione; ed imprimere un ritmo progressivo di sviluppo, nel limite delle risorse finanziarie attribuite stabilmente alla Regione.

Quando, invece, si tratta di attività straordinarie ed eccezionali che, sempre nell’ambito dei propri compiti, la Regione intende svolgere per intensificare ed agevolare il proprio sviluppo – ed a tale sforzo non possono bastare le risorse normali – allora sorge la necessità di provvedere in modo particolare. A questo riguardo il Comitato ha creduto di abbandonare il sistema dei «fondi speciali» o di solidarietà, che dà luogo a complicazioni ed a possibili contrasti fra Regioni che elargiscono e Regioni che ricevono. Non ha creduto, come fanno alcuni emendamenti, di parlare di «sovvenzioni», che non è espressione degna, o di «integrazione di bilancio», che richiama metodi ed inconvenienti, ai quali si vuole ora por fine, per gli enti locali. È molto meglio stabilire, e dire semplicemente, che per determinati scopi, al di là delle funzioni normali – nel senso che ho spiegato – lo Stato assegnerà, con le sue leggi, alle Regioni, contributi speciali. Il che potrà avvenire di fatto, con attribuzioni di cespiti ad hoc o con prelievo dal complesso del bilancio statale; senza bisogno di istituire macchinosi e contesi fondi di solidarietà. Le Regioni potranno avanzare le loro richieste, e farle valere attraverso il Parlamento, e specialmente il Senato, dove avranno una più diretta rappresentanza. Io ho sostenuto e difendo questo modo più pronto e più lineare di venir incontro alle aspirazioni delle Regioni meno fortunate.

Nulla dirò degli ultimi due commi, che si mantengono; sebbene a me personalmente non sembri necessario l’ovvio richiamo al demanio ed al patrimonio della Regione; e mi sembri pure non necessario ed un po’ strano il divieto, che fu messo per insistenza dell’onorevole Einaudi, di dazi d’esportazione ed importazione all’interno di uno Stato unitario ed «indivisibile», come l’abbiamo esplicitamente dichiarato. Non si dovrebbe pensare, neppure in via di ipotesi, a simili dazi. Comunque, poiché la questione fu messa, il Comitato conserva la disposizione.

Resta così tracciato il quadro delle proposte che il Comitato fa, in tema di finanza della Regione.

Riservandomi di esaminare, uno ad uno, i numerosi emendamenti presentati da numerosi colleghi, accennerò soltanto, per ora, a due di essi, che hanno una portata generale, come l’emendamento Preti, o sistematica, come l’emendamento Codignola. Col primo non si richiede più una legge di valore costituzionale, ma una legge ordinaria della Repubblica per stabilire le norme sull’autonomia finanziaria della Regione e sul coordinamento con le finanze locali. Il Comitato dapprima aveva ritenuto che, trattandosi di garantire l’autonomia, sarebbe occorsa una legge costituzionale; ma poi è prevalsa la riflessione che, se così fosse, ogni pur lieve modifica di tributo assegnato alla Regione avrebbe richiesta la lunga procedura necessaria per tali leggi di tipo costituzionale. Può bastare la legge ordinaria della Repubblica, tenendo conto che l’autonomia finanziaria è garantita dal complesso delle norme tracciate in questo stretto articolo. L’emendamento Preti è dunque accettato.

L’onorevole Codignola ha testé svolto un emendamento che rivela la sua diligenza ed il suo desiderio di precisione. Vorrebbe perfezionare, comma per comma, il nostro testo. Ma non lo possiamo seguire, quando sopprime la dichiarazione d’autonomia tributaria, che, per quanto di principio, ha un significato nel fermare, anche sotto tale aspetto, il volto della Regione; e diventa ancor più opportuna, in quanto ci rimettiamo a leggi ordinarie della Repubblica. Nel secondo comma l’onorevole Codignola indica, fra le possibili fonti, anche le sovrimposte; ma sembra che possano rientrare nella designazione generale da noi adottata. Prosegue, l’onorevole Codignola, suggerendo di stabilire che l’accertamento dei tributi debba sempre aver luogo da parte di uffici governativi; ma ciò non è necessario, e contrasta con quanto ora avviene per certi tributi che sono accertati e riscossi da enti locali; le leggi che regoleranno queste materie provvederanno nel modo più acconcio e sicuro; né occorre, al riguardo degli accertamenti, una norma nella Costituzione. L’onorevole Codignola parla già di «sovvenzioni» che lo Stato ha facoltà di assegnare alle Regioni…

CODIGNOLA. Ho rinunciato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene. Non insisterò sull’aggiunta all’ultimo comma – anzi, l’onorevole Codignola vorrebbe farne un articolo a parte – per vietare alle Regioni di stabilire «privilegi» per sé e pei propri abitanti. Che cosa vuol dire? Qui non c’è lo spirito di precisione dell’onorevole Codignola; la sua non è una norma di chiara consistenza giuridica; ed il generico diniego dei privilegi rientra nel principio generale dell’eguaglianza, che la Costituzione proclama in uno dei primi suoi articoli. Non possiamo, dunque, aderire al tentativo, lodevole ma non riuscito, dell’onorevole Codignola di migliorare il nostro testo.

Ho spiegato quali saranno i principî da introdurre nella Costituzione; e ciò anche per andare incontro al desiderio di chiarimenti dell’onorevole Nitti. Egli vuol «uscire dall’indeterminato»; ma intanto crede che non si dovrebbe mettere nulla nella Costituzione sulla finanza delle Regioni. Sono problemi, secondo lui, insolubili; e si aspetta che io non potrò corrispondere al suo invito. Non è così.

Intendiamoci bene. La Costituzione non può stabilire che principî generali. Dovrà poi intervenire una grande legge tributaria sulla finanza degli enti locali, in coordinazione a quella dello Stato. In tale legge soltanto si avrà la maggior determinazione richiesta dall’onorevole Nitti, ed io spero di dargli fin d’ora la sensazione di una sufficiente concretezza, senza pretendere di adottare fin d’ora soluzioni, che soltanto tale legge potrà specificare.

La Commissione dei Settantacinque ha tenuto presenti i problemi che l’onorevole Nitti ritiene insolubili. Ed ha cercato di raccogliere dati al riguardo. A pagina 191 del primo volume degli atti della Commissione, distribuito a tutti i deputati, vi è un programma completo di ricerche – steso da me ed approvato pienamente dall’onorevole Einaudi – sulla consistenza sia finanziaria sia economica delle Regioni. Grande è la difficoltà di raccogliere questi dati, per l’incompletezza, la lentezza e la resistenza degli uffici che dovrebbero darli. Io avevo proposto che il Governo promovesse fin da principio (e certamente dovrà farlo nel preparare la legge tributaria) una vera e propria inchiesta con tutti i poteri d’accertamento necessari. La Commissione preferì che si raccogliessero, intanto, a sua cura, tutti gli elementi disponibili; ed io dovetti assumermi anche questa fatica. Non credo che si potesse fare di più; tale è anche il giudizio dell’onorevole Einaudi. Tengo i dati raccolti a disposizione dell’onorevole Nitti.

Per suo conto, ad interessamento del suo Presidente, l’istituto centrale di statistica ha pubblicato un volume sulle Regioni, nel quale la parte finanziaria ed economica ha scarso sviluppo, ma ove si cerca di raffigurare la fisionomia delle Regioni sotto altri aspetti, e specialmente sotto l’aspetto demografico.

L’onorevole Nitti può essere sicuro che non si sono ignorati i problemi. Nessuno meglio di lui sa… da mezzo secolo le difficoltà di simili ricerche. Risale al 1900 il suo luminoso libro: Nord e Sud, che destò tanto scalpore. Per me, che arrivavo allora a Roma, appena laureato, fu una rivelazione; e cominciò allora la mia devozione, che non venne mai meno; andai con lui al Governo; ed egli è testimone che, del primo gruppo che lo circondava, fui il solo che gli rimasi veramente fedele; perché nulla ho concesso al fascismo. Nel mio attuale dibattito con lui desidero considerarmi sempre suo discepolo.

Nel libro del 1900 l’onorevole Nitti cominciava ad impostare i raffronti finanziari ed economici fra le Regioni. Combatteva l’opinione, in quei tempi diffusa, che il Sud vivesse a spese del Nord e fosse un peso morto per l’economia italiana. Quanti «miti» vi sono stati pel Sud! Il grande unificatore, Cavour, ed uno dei meridionali più colti ed intelligenti, Antonio Scialoja, dicevano che bastava battere il piedi sul suolo del Mezzogiorno, perché ne scaturissero infinite ricchezze. Purtroppo non era così; e si andò poi ad un altro eccesso, al grido di Giobbe della irrimediabile povertà, ed alla «politica del nulla» – non c’era nulla da fare – del nostro amico Giustino Fortunato. Bisogna riconoscere che l’onorevole Nitti serbò sempre una posizione intermedia, aliena dagli estremi.

E pur sollevando in forma drastica i confronti fra Nord e Sud, e fra Regione e Regione, non abbandonò mai una nota fortemente unitaria. Sostenne che il Sud non aveva guadagnato, ed anzi aveva economicamente perduto nell’unificazione; ma scrisse nel Nord e Sud che «l’Italia non può essere che unitaria; una Lombardia o una Sicilia autonome non sarebbero nulla, se anche questo non senso storico noi potessimo solo per maligna ipotesi ammettere». Vero è che nell’altro libro su Napoli e la questione meridionale, attaccava «l’unitarismo assurdo sotto la forma di unità legislativa» e dichiarava che «avanzando l’ipotesi economica che il Mezzogiorno si separasse dal resto dell’Italia, non si potrebbero che rilevare i vantaggi del distacco, derivanti dall’impiego delle proprie risorse».

Non credo si possa condividere un recente rilievo del De Maria sui «sedicenti studiosi della questione meridionale» che avrebbero più o meno direttamente suscitato il pericolo del separatismo. Ciò non può certamente dirsi dell’onorevole Nitti; e credo che, quand’egli vagheggiava una diversità legislativa, si rimettesse sempre alla legislazione dello Stato; se no, non sarebbe stato così tenace avversario dei poteri che abbiamo ora attribuiti alla Regione.

Dal suo libro del 1900 risultava che «il Mezzogiorno è il più duramente aggravato dalle imposte»; e che «la più grande mole di spese dello Stato avviene nell’Italia settentrionale e nella centrale». Per ogni 10 lire che si riscuoteva di imposte e tasse, lo Stato pagava 13 lire in Liguria, 12 nel Lazio, quasi 10 in Toscana, da 8 a 9 in Piemonte e Lombardia, e così via fino a scendere a meno di 5 in Abruzzo, Basilicata e Puglie. Queste cifre furono allora contestate da vari scrittori; ma insomma, rovesciando la anteriore credenza, si ebbe l’impressione che le Regioni del Mezzogiorno non ricevevano più di quello che davano in tributi.

Sembra che, per quanto riguarda la situazione attuale, l’onorevole Nitti non sia più di siffatta opinione. Egli ha detto, in quest’Aula, che «nei primi 5 mesi del 1946 lo Stato ha incassato con le tasse in Sicilia 4 miliardi e mezzo; ha speso 6 miliardi…». Così per altre Regioni del Sud; che, teme l’onorevole Nitti, avrebbero più da perdere che da guadagnare con l’autonomia regionale.

Anche l’onorevole Einaudi ha fatto sulla stampa rilievi per mettere in luce che in generale, oggi, le Regioni meridionali ricevono dallo Stato più di quello che gli versano in tributi.

Credo doveroso mettere in guardia; perché quanto vanno dicendo anche due maestri come Nitti ed Einaudi non può portare ancora a conclusioni complete e definite. Osservo anzitutto che se si trova in quasi ogni Regione, un disavanzo, nel senso che le spese che lo Stato vi fa non sono coperte dalle entrate che ne ricava, ciò va messo in relazione al bilancio dello Stato, nel momento che attraversiamo. È inutile poi avvertire che, raffrontando gli incassi ed i versamenti che lo Stato fa attraverso le tesorerie provinciali, non sempre quanto lo Stato versa, ad esempio a fornitori ed appaltatori, corrisponde a prestazioni e lavori fatti in quella Provincia.

Ad ogni modo, poiché è l’unico metodo d’indagine che si può seguire, ho esaminato tutti i dati, che si sono cominciati a raccogliere, riservatamente, dal 1940, ed a pubblicare dal 1945. Cominciamo ad osservare le medie dei bienni 1943-44, 1944-45, 1945-46, che comprendono la gestione dello Stato italiano libero e quello della cosidetta repubblica di Salò. Risulta che solo in Piemonte l’amministrazione statale ha incassato, più che non abbia speso, il 2,4 per cento. Nelle altre Regioni è l’inverso. Ha incassato il 25 per cento circa di meno in Toscana e nella Venezia tridentina; dal 30 al 40 in Emilia, Marche, Veneto e Liguria; poi vi è un gruppo di Regioni, col 50 circa per cento, Calabria, Sicilia, Umbria, Campania, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; infine lo Stato ha incassato oltre il 60 per cento di meno in Puglia, Lombardia, Venezia Giulia, Lazio; (e vi spiego anche perché; in Puglia vi fu per un po’ la capitale temporanea; e così in Lombardia a Salò; nel Lazio vi è Roma: e le capitali richieggono spese maggiori). I dati che ho esposti si riferiscono ad un periodo veramente eccezionale, con la guerra nel suo acme ed il grandissimo disordine tributario.

Se prendiamo il solo esercizio 1945-46, che è sempre, ma meno accentuatamente, anormale, troviamo che lo Stato ha incassato di più di quanto ha pagato – 1’80 per cento – in Lombardia e Piemonte; ha riscosso di meno dovunque nelle altre parti d’Italia; e le cifre vanno da meno di 20 nel Veneto, da meno di 30 nella Venezia Tridentina ed in Emilia, e da meno di 50 in Liguria, Marche, Umbria e Toscana ad una percentuale dal 60 al 70 in Sicilia, Sardegna, Calabria, Venezia Giulia, Campania, Abruzzi, Puglie e Basilicata. Infine il Lazio giunge al 70 per cento.

Bisogna però tener conto che nelle Regioni del Nord, ed in esse soltanto, figurano gli incassi del prestito Soleri, che era stato emesso nel Sud un anno prima. Se si esclude il gettito del prestito Soleri, si ha che nel 1945-46 lo Stato, in tutte le Regioni, nessuna eccettuata, ha incassato meno di quel che non abbia speso. La percentuale minima è del 3 in Lombardia e del 18 in Piemonte; sale man mano, per vari gruppi dal 40 al 50 nelle Marche, in Umbria, Toscana, nella Venezia tridentina e nel Veneto, e va ad oltre il 60 nelle rimanenti Regioni.

Se veniamo infine ad un periodo più vicino – ho i dati dei primi nove mesi dell’esercizio in corso 1946-47, perché solo a tal data è aggiornato il conto del Tesoro – troviamo che lo Stato ha incassato più del pagato in parecchie Regioni. Si arriva quasi al cento per cento – il 93 – in Lombardia; al 56 in Piemonte; e si sta attorno al 15 in Umbria, Liguria, Emilia, Toscana, Veneto; anche le Marche superano dell’l per cento i pagamenti. Nelle altre parti d’Italia gli incassi di Stato sono inferiori agli esborsi, del 5 per cento nella Venezia tridentina, dal 20 al 35 in Calabria, Campania, Sicilia, Puglie, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; si va al 50 nel Lazio; e si ha un massimo dell’80 per cento in Venezia Giulia.

Ma non bisogna fare affrettate conclusioni; durante i nove mesi vi è stato il prestito della Ricostruzione, al quale le Regioni hanno partecipato in proporzioni assai diverse (la Lombardia ha dato un quarto dell’intero prestito); e non mi è possibile questa volta rettificare le cifre come pel prestito Soleri, giacché la Banca d’Italia non ha ancora reso noto il riparto delle sottoscrizioni. Certo è che, ove non si tenesse conto degli incassi pel prestito, in ben poche Regioni lo Stato avrebbe incassato più dello speso (forse nella sola Lombardia e nel Piemonte).

Ho insistito in dettagli e precisazioni, perché ritengo necessario mettere in guardia contro le conclusioni che anche cari eminenti colleghi traggono nei confronti tra le Regioni. Come linea generale, il fenomeno degli incassi di Stato minori ai suoi versamenti è, come si doveva attendere, più sensibile nel Sud che nel Nord: ma vi sono spostamenti, e non vi è una netta distinzione ed una scala corrispondente alle condizioni economiche delle Regioni. Né i dati disponibili si prestano, lo ripeto, a giudizi definitivi e sicuri, Lasciamo dunque stare per ora, calcoli che dan luogo a non ben fondate impressioni.

LUSSU. Sono comprese, per le Regioni del Sud, le spese per i Dicasteri delle Forze armate.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho fatto il calcolo in via generale; sarebbe in ogni modo un altro elemento di non comparabilità.

Affrontiamo ora il tema che più risponde alle domande che mi ha fatto l’onorevole Nitti. Come sarà possibile, egli chiede, fabbricare un bilancio della Regione? Molti, anche regionalisti, hanno timore che non riusciremo a cavarne le mani.

Ho detto sempre con senso di responsabilità, che questo problema della sistemazione finanziaria della Regione è difficile. Ora che l’ho esaminato attentamente ancora una volta, posso affermare con altrettanto senso di responsabilità, che non è un problema insolubile, ed anzi è meno difficile di quello che può apparire a prima vista. Difficile sempre; non difficilissimo; non insolubile.

Non si può risolverlo concretamente, qui nella Costituzione. L’onorevole Nitti si rimette ad una legge futura; e molto correttamente mi chiede di dare delle tracce e delle direttive.

Quali saranno le spese e le entrate delle Regioni? Studi speciali sono stati condotti per il Trentino-Alto Adige, dalla Commissione presieduta dall’onorevole Bonomi, che ne predispone lo Statuto. Ma quella Regione non può essere presa a modello, perché, avendo un’autonomia particolare, molte spese ad esempio scolastiche e di lavori pubblici passano alla Regione, come non è delle altre di tipo ordinario. È alle Regioni di questo tipo che ci dobbiamo riferire. Lo farò con la maggiore esattezza possibile, in via generale; e starò attento, perché da un maestro come l’onorevole Nitti vi è sempre da ricevere delle lezioni.

Per valutare quali saranno le spese e le entrate dell’ente Regione, bisogna partire dalla considerazione delle funzioni amministrative che, in base a quanto abbiamo stabilito nella Costituzione, passeranno dallo Stato alla Regione. Cominciamo ad esaminare i dati dell’esercizio 1938-39, che si può considerare come un anno medio del preguerra.

Sopra, un complesso di 40 miliardi di spese, la parte di gran lunga maggiore sarebbe sempre rimasta allo Stato, anche se si fossero fin da allora applicati i criteri della Costituzione. Sarebbero rimaste allo Stato le spese di tesoro (12 miliardi e mezzo, un terzo di tutte le spese); quelle militari (15 miliardi, più che un altro terzo di tutte le spese); le spese di amministrazione dell’interno e della giustizia (2 miliardi, il 6 per cento della spesa totale); ed altri gruppi di spese.

Dove si sarebbero verificati passaggi di funzioni, e quindi di spese? Essenzialmente in tre categorie: l’istruzione, per cui allora si spendevano 2 miliardi (il 5 per cento della spesa complessiva), i lavori pubblici con 1 miliardo e mezzo (il 4 per cento), l’agricoltura con 900 milioni (il 2 per cento).

Non tutte però le spese di queste tre categorie si sarebbero trasferite alla Regione. Dell’istruzione sarebbe rimasto allo Stato il grande complesso di attività e di spese; essendo attribuite alle Regioni solo le scuole professionali ed artigiane, con un passaggio non rilevante di fondi. Vediamo pei lavori pubblici, servendoci della distribuzione per genere di opere, secondo i dati raccolti dall’Ufficio di statistica di quel Ministero, e pubblicate dall’annuario statistico. Nel 1938-39 lo Stato spendeva, e gli sarebbero rimaste, anche secondo la nostra Costituzione, 500 milioni per strade statali, 130 di opere idrauliche e di navigazione interna, 100 per utilizzazioni idroelettriche, 150 per porti, 200 per edilizia statale e scolastica, 150 per danni e calamità. Cosa poteva passare alla Regione? Al più 100 milioni di spese per nuove costruzioni stradali; 150 per acquedotti; 100 per edilizia popolare. In complesso facendo le previsioni più larghe, 350 milioni. Ed eccoci all’agricoltura, che ebbe nel 1938-39 per bonifiche, una spesa di 550 milioni di lire; e si noti che vi sono bonifiche che, pel loro carattere sovraregionale o interregionale, lo Stato riserverà sempre a se stesso; e la nostra Costituzione non lo esclude. Ad ogni modo passiamo pur tutte queste cifre – 350 milioni di lavori pubblici, 550 di bonifiche, una somma minore per l’istruzione – arriveremmo al miliardo.

Aggiungiamo pure una quota di spese generali e di personale; teniamo conto di passaggi per altre minori categorie: arrotondiamo fin che si vuole; non saliremo oltre 1 miliardo e mezzo (s’intende di lire 1938), che non è cifra da far paura. Si tenga presente che in quell’anno le spese ordinarie per tutti i comuni non superarono i 6 miliardi e mezzo, per le provincie 1 miliardo e mezzo. Se fossero sorte allora le Regioni – una quindicina – nei limiti e con le funzioni che ora abbiamo stabilite, non sarebbe costato più delle provincie, che sono verso il centinaio. Un miliardo e mezzo non è cifra paurosa.

Ho esaminato anche la media dei tre bilanci 1943-44, (1944-45), 1945-46; ed inoltre, a sé, le cifre del 1945-46; quelle dell’esercizio in corso (fino a marzo); le previsioni del 1947-48, e tengo, onorevole Nitti, tutti questi elementi a sua disposizione. Vi citerò per ora soltanto i dati del 1945-46, che si prestano ad un certo raffronto col 1938-39. Non sono più milioni, ma miliardi; lirette recenti, d’un anno fa. Sopra un insieme di 540 miliardi di spese rimarrebbero allo Stato 170 di spese del tesoro (un terzo del totale), 130 di spese militari (il quarto), 60 di spese degli interni e della giustizia (poco più del decimo), con altri minori gruppi. Anche qui le categorie che potrebbero in parte passare sono i lavori pubblici (100 miliardi, il quinto del totale), l’agricoltura (6 miliardi, l’1 per cento), ed in parte ben minore l’istruzione (25 miliardi, il 5 per cento). Debbo dichiarare che per gli ultimi esercizi il Ministero dei lavori pubblici, nella sua lentezza, non fornisce ancora le statistiche della distinzione fra i gruppi di opere; così che non è possibile una valutazione abbastanza approssimata come pel 1938-39. Ad ogni modo, anche applicando le proporzioni di quell’esercizio, le spese da passare alle Regioni non dovrebbero complessivamente superare dal 5 al 10 per cento le intere spese dell’Italia. Debbo poi fare un’altra dichiarazione; anche per rispondere ad una domanda che mi fece alcuni giorni fa l’onorevole Porzio. Vi è un fatto nuovo: vi è la ricostruzione. Quasi tutte le spese di lavori pubblici sono oggi di ricostruzione. E sono spese che non si possono addossare alle Regioni; rimangono in ogni caso allo Stato; do piena assicurazione all’onorevole Porzio che con la nuova Costituzione non si è inteso addossare queste spese eccezionali alle Regioni. Lo Stato potrà bensì, se crede, valersi degli enti locali, della Regione, quando vi sarà, come ora può – per una legge da me promossa – valersi delle Province e dei Comuni; un savio decentramento sarà molto opportuno. In un mio recente discorso sul programma di governo mi sono lagnato che non vi sia fatto sufficiente ricorso; ma sarà sempre lo Stato che dirigerà, spenderà e sarà responsabile. Stabilito ciò, onorevoli colleghi, vedete che le spese che passerebbero alla Regione in regime 1945-46 sarebbero proporzionalmente minori di quelle che fossero passate nel 1938-39.

Ho voluto dare la dimostrazione, e credo di esservi riuscito, che, come ordine di grandezza, non sono cifre che possono spaventare. Il passaggio di funzioni e di spese sarà sempre delicato e non agevole; ma non presenterà ostacoli insuperabili.

Bisognerà naturalmente far fronte con corrispondenti entrate alle spese che spetteranno alle Regioni. Partiamo anche qui dall’esercizio 1938-39. Su 27 miliardi di entrate effettive vi erano 500 milioni di imposte dirette immobiliari (fondiaria e fabbricati, e cioè il 2 per cento dell’entrata totale), e la ricchezza mobile con 4 miliardi e 200 milioni (il 15 per cento dell’intera spesa). Se si fosse, nel 1938-39, istituita la Regione avremmo potuto attribuirle quanto lo Stato incassava dalle immobiliari (è noto che la maggior parte di ciò che i contribuenti pagano pei fondi e pei fabbricati va oggi come sovrimposta ai Comuni ed alle Province). Col passaggio in pieno di queste imposizioni si sarebbero attuate idee che sostenemmo ai nostri giovani anni, Bonomi con un bel libro ed io con alcuni studi su riviste. Se poi, oltre al passare i tributi reali, avessimo attribuito alla Regione una quota di ciò che riguarda l’altro tributo diretto dell’imposta sulla ricchezza mobile, si sarebbero coperte tutte le spese spettanti alla Regione, che abbiamo calcolate attorno ad 1 miliardo e mezzo (lire 1938).

Ho parlato di quote della ricchezza mobile, perché è imposta diretta, e non vi nascondo che, senza fare anticipazioni avveniristiche, mi sembra logico e desiderabile, quando si addivenisse ad una concreta sistemazione di tutte le finanze statali e locali, assegnare alla Regione ed agli altri enti locali le tre cedolari – fondiaria, fabbricati e ricchezza mobile – per edificarci sopra, come progressiva sul reddito, una grande imposta di Stato. Prescindendo da ciò, se invece di una quota della ricchezza mobile, sceglierete una quota di un’altra imposta erariale, otterrete lo stesso risultato di provvedere alle entrate della Regione.

Con lo schema che vi ho tracciato, riferendomi al 1938-39, allo Stato sarebbero restati i 12 miliardi delle indirette (affari e consumi, che erano il 40 per cento del totale); i 4 miliardi e mezzo dei monopoli e del Lotto (il 15 per cento); ed altre ancora. E cioè la gran massa delle entrate, con le quali lo Stato, oltre a provvedere ai suoi servizi, avrebbe potuto: a) assegnare alle Regioni i contributi speciali per scopi determinati oltre le funzioni normali; b) provvedere alle spese delle funzioni che avesse delegate volontariamente alle Regioni.

Vi risparmierò, onorevoli colleghi, altre indagini ed altre cifre. Vi dirò solo che nel 1945-46 le imposte dirette – tutte e tre – hanno dato soltanto 22 miliardi; ed è da temere che in tal misura non basterebbero a coprire le spese delle Regioni. Ma nel bilancio 1946-1947 si calcolano 66 miliardi; ed il loro gettito va aumentando così che il timore sembra superato.

Ho parlato del complesso delle Regioni. Naturalmente non tutte le Regioni presentano le stesse esigenze e le stesse proporzioni di spese e di entrate. Vi sono Regioni che per la situazione più arretrata in cui si trovano hanno bisogno di maggiori attività e lavori, e d’altra parte con le fonti tributarie assegnate alle Regioni più ricche non riuscirebbero a provvedere alle loro funzioni normali. Entrerà qui in azione, nella quota di contributo, la gradazione che consentirà di raggiungere un equilibrio. Si sono fatti scandagli per alcune Regioni, e si stanno ancora raccogliendo elementi. Ma penso di aver assolto il compito che per ora mi proponevo: dissipare l’impressione che non si potrebbe far fronte alle spese delle Regioni senza mettere a soqquadro e senza devastare il bilancio dello Stato e la finanza ordinaria.

Ho finito. Parto sempre dal concetto: la Regione c’è, e dobbiamo fare in modo che funzioni il meglio possibile.

Contro la creazione della Regione vi sono motivi etico-politici, perché si teme che possa incrinare ed insidiare la compagine dell’Italia. Noi abbiamo affermata l’unità e indissolubilità dello Stato; e la difenderemo sempre con ogni fermezza, regionalisti ed antiregionalisti. Abbiamo intanto dato alla Regioni funzioni e poteri, limitati in modo che non vi sia il pericolo di turbare l’ordinamento unitario.

Vi sono poi, contro la Regione, apprensioni di ordine amministrativo ed economico. La necessità del decentramento l’hanno proclamata tutti, anche coloro che non vorrebbero la formazione di un ente autonomo, ma uno spostamento d’uffici governativi nelle Regioni. Dovremo fare anche ciò, per le funzioni che restano allo Stato. Quando fui ai lavori pubblici, istituii i Provveditori regionali alle opere. Qualcosa di corrispondente si potrebbe fare in altri rami, se non per tutti, per molti Ministeri, al fine di mettere gli organi dello Stato a contatto con i bisogni e le richieste locali. Su questi punti l’accordo è pieno. Ma sono molti a temere che il decentramento amministrativo, a base burocratica, non basti; e che lo spostare in loco i funzionari del Governo non vinca le abitudini, le resistenze, le lentezze proprie della burocrazia. Si sostiene che è opportuno dar voce e peso più diretto alle forze vive della Regione, con una savia e contenuta autonomia dell’ente regionale.

Questa tendenza ha vinto. Tutta l’Assemblea, tutto il Paese devono inchinarsi, e collaborare sinceramente e fervidamente perché l’esperienza riesca. La nostra Costituzione avrà molti difetti, ma – soprattutto in questo Titolo – si ispira a criteri di elasticità. La Regione nasce e comincia a muoversi con passi saviamente misurati. Sta a lei stessa di guadagnare, gradualmente e sperimentalmente, la possibilità di maggiori conquiste. (Applausi).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Avverto che nella seduta antimeridiana di domani sarà proseguita la discussione sull’imposta patrimoniale.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Propongo che domani, sabato, si mantenga quella consuetudine che si è venuta creando, cioè d’iniziare alle 9.30 per terminare verso le 13.30 o le 14, in modo da tenere un’unica seduta. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che la Direzione generale dell’A.P.B. abbia destinato la somma di lire 25 milioni alla città di Pescara per la costituzione di colonie estive assistenziali; e se sia vero che l’amministrazione di detta somma, per disposizione ministeriale, sia stata affidata al Centro italiano femminile con esclusione di ogni altra organizzazione assistenziale esistente nella provincia di Pescara.

«Corbi, D’Onofrio, Spano Gallico Nadia».

«Ai Ministri dell’agricoltura, dell’industria e commercio e del commercio estero, per conoscere se e come intendano fronteggiare il gravissimo pericolo che incombe sulla coltura e sull’industria della seta. Il prezzo dei bozzoli è infatti sceso quest’anno, sul mercato interno, a un terzo o poco più di quello dell’anno scorso, e cioè ad una quota del tutto inadeguata e tale da rendere prevedibile con quasi assoluta certezza l’abbandono della coltura del baco da seta e la sostituzione dei gelsi nelle campagne.

«La cessazione della bachicoltura in Italia – che dopo il Giappone è stato ed è tuttora il paese più intensamente sericolo – oltre che troncare un nobile ramo dell’esportazione nazionale che, se aiutato, potrebbe ancora riprendersi e rifiorire, sarebbe di irreparabile danno a grandi masse di lavoratori (contadini e donne filandiere soprattutto) specie nelle regioni maggiormente produttrici, quali il Veneto e la Lombardia. È, pertanto, necessario che il Governo si preoccupi con tutta urgenza di tale problema che interessa al vivo la stessa vita economica e sociale di numerose provincie».

«Franceschini, Lizier, Ferrarese, Baracco, Ponti, Carbonari, Fantoni, Valmarana, Schiratti, Rapelli, Alberti, Rumor, Giacchero, Cappelletti, Uberti, Micheli, Sartor, Tessitori, Del Curto, Giordani, Guerrieri Filippo, Dominedò, Moro, Firrao, Valenti, Stella, Bastianetti, Monticelli, Tosato, Balduzzi, Cappugi, Fabriani, Bellato, Burato, Marzarotto, Cremaschi Carlo, Biagioni».

«Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quale fondamento abbia la notizia recata da un giornale romano del mattino di oggi, secondo la quale una ricca proprietaria di terre si sarebbe resa colpevole di istigazione nel reato di sottrazione all’ammasso di notevole quantità di grano e, fermata, sarebbe stata rilasciata a seguito di illeciti interventi; e per conoscere, altresì, quali provvedimenti intendano adottare, nel caso il fatto risponda a verità, per prevenire che altri fatti del genere si ripetano e per punire i responsabili di così gravi violazioni della legge e della solidarietà nazionale».

«Bulloni».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere:

1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso;

2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire.

«Perugi».

Ne darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano conoscere quando intendono rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (Enel) e poscia con decreto del famigerato gerarca Ricci liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nel ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, necessario e urgente intervenire subito a disciplinare l’uso delle acque del sottosuolo destinate alla irrigazione, disponendo la limitazione delle perforazioni e dei pozzi artesiani.

«Si osserva, al riguardo, che il diffondersi e l’allargarsi in zone ristrette di tale sistema di irrigazione determina un graduale corrispondente abbassamento e una progressiva contrazione delle vene e dei pozzi con grave danno e con pericolosa minaccia per gli impianti già esistenti e operanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Adonnino

Caroleo

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Condorelli

Bertone

De Vita

Vanoni

Scoca

Dugoni

Tosi

Scoccimarro

Corbino

Sicignano

Veroni

Fabbri

Cifaldi

Perassi

Micheli

Schiratti

Carbonari

La seduta comincia alle 10.35.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Si riprende la discussione sugli emendamenti all’articolo 3.

Comunico che l’onorevole Adonnino, ha modificato il suo emendamento all’ultimo comma dell’articolo 3, presentando questa nuova formulazione: «Quando si fa luogo al cumulo previsto dal presente articolo, la quota proporzionale di imposta afferente i beni ceduti farà carico, mediante rimborso, all’intestatario fino alla somma che egli avrebbe pagato per il bene ceduto ove esso fosse stato compreso nel suo patrimonio e, per il di più, al contribuente e all’intestatario, in proporzione della ripartizione del valore del patrimonio originario».

Informo che l’onorevole Condorelli ha presentato i seguenti emendamenti all’ultimo comma dell’articolo 3, così formulati:

«Prima dell’ultimo comma inserire il seguente:

«Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge o dai discendenti del primo cedente».

«Alla fine dell’ultimo comma aggiungere: «e non oltre l’importo delle quote proporzionali d’imposta che il cessionario avrebbe dovuto pagare se i beni stessi fossero stati computabili nel suo patrimonio».

Richiamo nuovamente l’attenzione dei colleghi sulla necessità che gli emendamenti siano presentati tempestivamente, in modo che il Governo e la Commissione abbiano la possibilità di esaminarli.

Invito intanto l’onorevole Adonnino a svolgere il suo emendamento.

ADONNINO. Io sono partito da questo concetto pratico. Mi pare che sia un’ingiustizia che il padre che ha ceduto al figlio un bene che può essere relativamente piccolo di fronte ai molti beni rimasti a lui padre, debba farsi rimborsare dal figlio una cifra di tributo progressivo calcolata su tutti i beni rimasti al padre. In tal modo il figlio può essere sottoposto ad un carico che anche se non arriva al cento per cento, come si era in un primo momento ipotizzato, può arrivare però al 61 per cento. Sicché un figlio, per un patrimonio di tre milioni, viene a pagare circa un milione e 700 mila lire, con un sacrificio gravissimo, quale lo stesso progetto ammette solo per i patrimoni elevatissimi.

Ora che il figlio debba pagare in proporzione del tributo afferente al bene ceduto è giusto, ma mi sembra troppo che egli venga a pagare il di più, perché il conteggio si fa aggiungendo il bene ceduto ai beni del padre o di tutti gli altri fratelli a cui la cessione è stata fatta.

È per diminuire questa gravezza che io ricordo che il concetto generale per cui noi accettiamo l’imposta progressiva è che essa è un’imposta anche ad aliquote alte, ma non distruttiva del patrimonio. Le aliquote alte colpiscono chi ha di più. E, per esempio, una persona molto ricca che abbia un miliardo può sopportare un’imposta di 600 milioni, perché gliene rimangono sempre altri 400. Dunque, per diminuire l’ingiustizia della situazione sopra prospettata, io propongo di ripartire il carico della maggiore imposta che viene a gravare sul cespite ceduto, secondo le proporzioni in cui il patrimonio originario è stato suddiviso.

Se il padre si tenne molto, lasciando poco ai figli, è giusto che l’imposta gravi per molto al padre, e per poco al figlio; se si fa il caso che il padre abbia ceduto tutto…

CAROLEO. Questo è già detto.

ADONNINO …ed è rimasto con poco, allora l’eventuale di più lo sopporti il figlio, che è il più ricco. Questo non è già detto. Si parla nell’emendamento due volte di proporzionale: la prima volta, si intende la parte proporzionale di tributi afferente al bene ceduto. E questo è quello che è già detto nel testo della Commissione. Ma io propongo di fare una seconda proporzione, cioè fissare il di più da pagare in quanto si tassa il cespite insieme ai beni del padre, invece che insieme ai beni del figlio e dividere questo di più proporzionalmente alla maniera in cui è stato diviso il patrimonio originario fra padre e figli. Una ingiustizia resta sempre, ma è la meno ingiusta, in quanto il carico maggiore fa carico a colui che è più ricco e non a colui che è più povero. Ecco il senso che ho creduto di raggiungere con questo emendamento.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Mi pare che qui ci sia un grande malinteso, che può facilmente considerarsi, ipotizzando il caso di un padre – caso frequente, onorevoli colleghi – che si è spogliato di tutto il suo patrimonio nei confronti dei figli. Del patrimonio di un milione, di cui ha dato ad uno centomila, all’altro duecentomila e all’altro trecentomila, paga una determinata imposta, che è conseguenza del cumulo e non del fatto di chi ha donato. È conseguenza di questa legge, che è contro i principî che abbiamo fissato nella Carta costituzionale a favore della donna, della famiglia, dei figli; ma il donante non c’entra affatto: egli si è spogliato di tutto il suo patrimonio ed è stato costretto da questa legge a pagare una certa imposta. La deve distribuire: come la distribuisce? Divide la imposta per tutto il valore del patrimonio, poi stabilisce delle unità di mille lire, di diecimila, di centomila e moltiplica le unità contenute nel valore di ciascuna quota, pel quoziente ottenuto. La proporzionale si attua aritmeticamente e si tratta soltanto di aritmetica elementare: l’imposta si distribuisce con quel criterio proporzionale che è nella legge. Può effettivamente esserci qualche inconveniente da eliminare, perché, ripeto, questa legge si è posta contro i diritti delle donne, delle mogli, dei figli, di chi ha lavorato: è la legge contro i pezzenti a favore dei signori. Potrebbe abolirsi il cumulo, per quanto ha detto l’onorevole Adonnino, perché si tratta di imposta personale che dovrebbe andare a colpire colui al quale ciascun cespite risulta intestato.

Ma, fuori di questo, non possiamo fare una politica fiscale contro il donante, perché ciò è irragionevole e non si può prescindere dall’obbligo di integrale rivalsa e dal criterio della proporzionalità, che è già nella legge.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ripeto un’osservazione che a nome della Commissione ho già fatto. Non è possibile alla Commissione, in una materia così importante, valutare gli effetti di un emendamento se non dopo una seria considerazione; e credo che questo problema si ponga per molti emendamenti tecnici. In sede di discussione generale ho anche considerato improbabile che la legge possa rimanere, nei suoi particolari tecnici, immutata. L’esperienza indicherà al Governo quali disposizioni integrative introdurre. Pregherei pertanto gli onorevoli colleghi di non abbondare in emendamenti tecnici e fermarsi alle disposizioni fondamentali della legge, a quelle, cioè, che hanno vasta incidenza, lasciando al Governo, magari con raccomandazioni e voti, di mettere allo studio la revisione di alcune norme tecniche.

Se la Commissione avesse dovuto esaminare la legge in tutti i suoi più minuti aspetti tecnici, avrebbe impiegato sei mesi per discuterla. La Commissione ha fermato la sua attenzione sugli elementi fondamentali della legge, e su essi ha deliberato.

Di fronte alle proposte dell’onorevole Condorelli e dell’onorevole Adonnino, manifesto l’avviso, a nome della Commissione, di mantenere ferma la disposizione della legge e di rimettere i loro voti e la loro formulazione al Governo per uno studio più approfondito della questione.

Dico di più. Avendo esaminato meglio il problema posto dall’onorevole Adonnino, ho dovuto concludere nel senso indicato dalla regge. Se il donante ha stabilito un certo rapporto tra il patrimonio di un figlio e quello dell’altro, la legge non può modificare questo rapporto applicando un suo principio di progressività.

Mi spiego meglio. Se per esempio abbiamo un patrimonio d’un miliardo e una tassazione del 50 per cento, il patrimonio di un figlio che ammonti a cento milioni viene ridotto a cinquanta per il fatto della quota proporzionale, e il patrimonio di un altro figlio, di trecento milioni, viene ridotto a centocinquanta. Il rapporto fra cinquanta e centocinquanta dopo il pagamento dell’imposta è uguale al rapporto fra cento e trecento. E siccome la volontà originaria del donante era di dare cento a un figlio e trecento a un altro, dopo l’applicazione dell’imposta, il rapporto rimane il medesimo. La disposizione di legge, così come è congegnata, rispetta cioè la volontà del testatore o del donante.

PRESIDENTE. Invito il Ministro delle finanze ad esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Relatore ha postulato nell’applicazione della legge delle successive approssimazioni. Mi sembra che, effettivamente, per questa imposta stia verificandosi un fenomeno del genere. Il Governo ha emanato un decreto, che si riteneva fosse il meno imperfetto possibile.

Siamo dinanzi all’Assemblea per perfezionare il decreto governativo, attraverso una prima approssimazione.

L’onorevole La Malfa pensa che, forse, una successiva approssimazione potrebbe apportare altri miglioramenti.

Non nego che questo, da un punto di vista pratico, possa essere un concetto fecondo di ottimi risultati, anche perché si potrebbe tener conto delle prime esperienze, nonché delle critiche rivolte alla formulazione adottata dall’Assemblea.

D’altra parte, un sistema siffatto non sarebbe una novità, perché, anche per la vecchia imposta del 1° gennaio 1920, si è verificata una successione di testi legislativi che vanno da quello del 24 novembre 1919 a quello del 22 aprile 1920, per giungere a quello definitivo, pubblicato a distanza di due anni, il 5 febbraio 1922.

Se l’onorevole Relatore convenisse nel punto di vista che ho espresso, il Governo si farebbe carico di promuovere a tempo opportuno un nuovo strumento legislativo, che dovrebbe costituire uni perfezionamento dì quello anteriore. Tutto questo potrebbe sveltire le nostre discussioni; e, infatti, pur non essendo minimamente mio intendimento di contribuire a strozzare comunque la discussione, devo tuttavia considerare che, applicando una regola di proporzionalità del tipo di quella dell’ultimo comma dell’articolo che stiamo discutendo, arriveremmo a finire la discussione di questo schema di legge forse fra qualche mese.

Se l’Assemblea ritiene opportuno di sveltire la discussione, abbandonando alcune questioni di dettaglio e facendo carico al Governo di riesaminare le questioni stesse e di proporre un successivo provvedimento, il Governo non può non essere d’accordo.

Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Adonnino, credo che, tutto sommato, non convenga complicare la regola di applicazione della rivalsa.

L’onorevole Adonnino, in sostanza, propone di dividere in due parti la somma, alla quale la rivalsa si riferisce; cioè: una prima parte che tenga conto della capacità contributiva del cumulato e una seconda che sia in relazione alla capacità contributiva del cumulante.

A prescindere da qualsiasi considerazione sulla bontà della soluzione proposta (e potrebbero essere considerazioni di ordine adesivo), penso non sia il caso di complicare il sistema, anche perché ci troviamo nell’orbita di un quadro strettamente familiare, in cui grosse questioni non dovrebbero nascere se non in casi veramente eccezionali.

D’altra parte, il cumulo opera essenzialmente là dove si sono effettuati trasferimenti a titolo gratuito, e perciò si può sostenere che non rappresenta un grave sacrificio per il donatario sopportare una rivalsa di imposta secondo la capacità contributiva del donante.

Per quanto riguarda i trasferimenti a titolo oneroso, il cumulo si fa quando non è possibile dare la dimostrazione del reimpiego di beni posseduti prima. Mi augurerai che questa prova sia veramente idonea ad escludere dal cumulo tutti i cespiti che sarebbe ingiusto di farvi rientrare. Ritengo perciò di aderire alla preghiera del relatore in ordine all’emendamento Adonnino.

Se, in ipotesi, l’Assemblea approvasse l’emendamento medesimo, pregherei di modificarne la stesura, in quanto dicendo che la quota proporzionale di imposta eccedente i beni ceduti farà carico all’intestatario, si può pensare che venga a cambiare il soggetto d’imposta di fronte alla amministrazione finanziaria, e questo francamente non potrei desiderarlo.

Perciò, se l’emendamento fosse approvato, nonostante il parere contrario del Relatore e del Governo, pregherei modificarne la formulazione in modo che non vi sia dubbio sul suo contenuto.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni del relatore della Commissione e del Governo, chiedo all’onorevole Adonnino se insiste nel suo emendamento.

ADONNINO. Vi insisto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. I miei emendamenti sono due, o meglio il mio emendamento è duplice: uno riflette il problema che ha illustrato l’onorevole Adonnino; l’altro un problema connesso.

Ho proposto l’aggiunta di un comma che dovrebbe precedere l’ultimo comma, in modo che la formulazione definitiva sarebbe la seguente: «Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti del primo cedente».

Mi sembra evidente che si debba necessariamente far così, perché, se il padre, invece di donare o vendere ad un figlio, prima del 28 marzo 1947, avesse venduto a dei terzi, nessuno avrebbe potuto parlare di frode domestica alla legge. Se hanno venduto i figli, cioè i cessionari, evidentemente questi beni sono usciti dal patrimonio cumulabile prima del 28 marzo 1947 e non mi pare che, in questo caso, si dovrebbe operare il cumulo. Il mio emendamento è reso necessario da una inesatta formulazione del comma terzo dell’articolo 3, dove si dice: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti…». Bisognava dire, come si era detto per la moglie: «si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni posseduti dai discendenti, che siano stati loro ceduti dagli ascendenti». Difatti è evidente che, se questi beni non sono più nell’ambito della famiglia, o che li abbia venduti l’originario cedente, o che li abbia venduti il supposto prestanome, il risultato è sempre quello: sono usciti dall’ambito del patrimonio familiare e non possono, dunque, essere cumulati. Questa è certamente una omissione alla quale dobbiamo riparare.

Vi è poi il secondo punto dell’emendamento che riflette, come dicevo, il problema sollevato ieri, molto opportunamente, dall’onorevole Adonnino. Che il problema ci sia non c’è dubbio; è vero che nelle leggi finanziarie opera quella che da alcuni è stata detta la brutalità fiscale; è la spada dello Stato che cade, obbedendo a necessità pubbliche, e cade come cade. Qui però non sono gli interessi dello Stato che noi regoliamo, perché gli interessi dello Stato sono fuori discussione. Qui noi poniamo una norma di diritto privato sostanziale, che regola le rivalse tra le persone private. Noi, perciò, non possiamo essere così sommari. È un problema delicato di giustizia, che è tanto più delicato in quanto si pone nell’ambito della famiglia. I problemi di giustizia vanno risolti con la massima delicatezza, per evitare proprio quelle liti che non debbono verificarsi, soprattutto in quegli ambienti. Noi abbiamo il dovere di presentare una legge che tra gli altri mali necessari, non ne produca altri che non sono necessari, cioè di far scoppiare liti nell’ambito della famiglia. Se noi volessimo ricorrere ad un accorgimento opportuno, potremmo addirittura sopprimere questo comma dell’articolo ed occuparci in altra fase della legge – che potrebbe essere anche alla fine di questa legge o in provvedimento aggiunto – di questo problema.

Ma fissare qui una norma che è certamente ingiusta – e non vi è nemmeno bisognò di dimostrare che è ingiusta – non mi sembra assolutamente opportuno.

Vi dico anche che non appena tutto questo apparato fiscale dovrà funzionare, i rapporti fra i privati devono essere ben guardati, perché qui ci saranno delle persone (gli ascendenti) che dovranno sborsare somme ingenti, e che devono avere la possibilità di recuperare immediatamente da chi di ragione le somme che devono sborsare. Noi non possiamo fare una legge che vada in vigore successivamente; noi dobbiamo mettere i contribuenti nella possibilità di ottenere la rivalsa quasi con la stessa rapidità con cui lo Stato potrà ottenere il pagamento.

Si rifletta, dunque, sul problema.

A me pare che la soluzione dell’onorevole Adonnino sia perfetta e sia la più rispondente ad una giustizia scrupolosa.

Penso che si potrebbe votare oggi e, per facilitare la votazione, rinuncio ai miei emendamenti, per aderire a quello dell’onorevole Adonnino. Ma se il Governo e se la Commissione avessero delle perplessità, sopprimiamolo pure questo comma dell’articolo e rinviamo l’esame ad altro momento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore.

LA MALFA, Relatore. Se gli onorevoli Condorelli e Adonnino insistono, la Commissione deve chiedere 24 ore di tempo per esaminare e decidere.

CONDORELLI. La mia, in sostanza, è una proposta sospensiva.

LA MALFA, Relatore. Sarei d’avviso che sia opportuno sospendere l’approvazione dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora, si può sospendere l’approvazione di questo articolo con i relativi emendamenti, perché la Commissione chiede 24 ore di tempo per pronunciarsi sul comma in questione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Poiché si rinvia, io vorrei pregare la Commissione di porre mente ad un’altra difficoltà che potrebbe insorgere nell’applicazione di questo articolo 3.

Questo articolo 3, nei rapporti fra ascendenti e discendenti, ha una parte che è assistita da una presunzione juris et de jure, quella che riguarda i trasferimenti avvenuti a titolo gratuito, ed un’altra parte che è assistita da una presunzione juris tantum, riguardante i trasferimenti avvenuti a titolo oneroso. Per questi trasferimenti avvenuti a titolo oneroso, è consentito alla parte interessata di dare la dimostrazione che essi non sono stati ceduti in modo da poter essere colpiti in nome del cedente. Il quesito che mi pongo è questo: l’articolo dice che si considerano facenti parte del patrimonio anche i beni ceduti. Quindi, questa iscrizione al nome del cedente, può avvenire di ufficio, ed il cedente avrà sempre il diritto di dare la dimostrazione contraria. Ma quando dovrà dare questa dimostrazione? Può darla preventivamente se è avvertito in tempo, quando cioè gli viene fatta questa contestazione; se la contestazione è avvenuta senza contraddittorio, senza cioè che il cedente lo sapesse, avrà tempo di dirlo dopo. Ma quando egli lo dice dopo viene a ferire la valutazione che è già stata iscritta a ruolo, mediante il corrispondente carico dell’imposta.

Vorrei che la Commissione, esaminando l’articolo, esaminasse anche il punto in questione, quello cioè fare in modo che la chiarificazione sull’appartenenza del patrimonio all’una o all’altra persona avvenga in sede preventiva di istruttoria, sicché, una volta fatto l’accertamento, il fisco non sia obbligato a ritornare sull’accertamento stesso.

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione, avendo 24 ore di tempo per decidere sul comma in questione, potrebbe convocare i presentatori di emendamenti per combinare insieme con essi il testo definitivo, che potrebbe essere messo ai voti domani.

Propongo intanto che la discussione su questo articolo sia rinviata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I beni indivisi sono ripartiti, agli effetti dell’imposta straordinaria, nelle quote spettanti ai singoli aventi diritto, secondo il disposto dell’articolo 1101 del Codice civile.

«Il patrimonio costituito da beni dotali è considerato di spettanza della moglie».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 5. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato dall’onorevole De Vita il seguente emendamento aggiuntivo:

«Aggiungere il seguente comma:

«In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

L’onorevole De Vita ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

DE VITA. L’emendamento è di per sé chiaro. Ritengo giusto che siano osservate le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, come è previsto dall’articolo 5, ma ritengo altresì giusto che, in ogni caso, i beni posseduti all’estero dai cittadini italiani siano considerati come facenti parte del loro patrimonio ai fini, almeno, della determinazione dell’aliquota,

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che l’onorevole De Vita abbia già spiegato sufficientemente il suo concetto. Egli propone che i beni esistenti all’estero siano computati ai fini della determinazione dell’aliquota. Il concetto si potrebbe accettare. Naturalmente qualora il cittadino – in caso di doppia imposizione – abbia pagato una imposta doppia, bisognerebbe decurtare l’imposta di ciò che è stato pagato all’estero.

SCOCA. Ma chi fa l’accertamento?

LA MALFA, Relatore. Che questi valori siano accertabili, lo dice la stessa legge. Non si può fare l’obiezione che non siano accertabili questi valori all’estero, quando il fisco ne prevede l’accertamento. Se la disposizione di legge dice questo, vuol dire che l’accertamento è possibile. L’esenzione di questi beni residenti all’estero è quindi data soltanto nel caso della doppia imposizione. Sorge allora la questione, sollevata molto sottilmente dall’onorevole De Vita, ossia quale aliquota debba applicarsi a questo patrimonio.

Se effettivamente questi valori sono accertati, si dovrebbe applicare una aliquota diversa, salvo però il caso – che l’onorevole De Vita non ha previsto – in cui il cittadino italiano abbia pagato anche una imposta all’estero, nel qual caso si dovrebbe decurtare di questa imposta. L’emendamento dell’onorevole De Vita può essere pertanto accettato con questa modifica.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desideravo chiedere all’onorevole De Vita se quella frase «in ogni caso» si riferisce all’imposta di cui al primo capoverso o anche a quella di cui al secondo.

DE VITA. Si riferisce anche al caso della seconda imposizione, ed in ogni modo si riferisce al cittadino.

VANONI. Io faccio una domanda precisa: il primo capoverso accenna alla posizione del cittadino straniero o italiano residente all’estero il quale abbia beni in Italia; il secondo invece contempla l’ipotesi di un cittadino italiano residente in Italia che abbia beni all’estero. Sorge pertanto il dubbio se quell’«in ogni caso» si riferisce soltanto all’ipotesi prevista nel primo capoverso o anche a quella prevista nel secondo.

DE VITA. No, si riferisce al cittadino.

VANONI. Bisognerebbe quindi usare un’espressione diversa?

Mi pare poi che l’opportunità di deduzione non si ponga nel caso specifico. Dice infatti l’onorevole De Vita che noi dobbiamo, su cento ipotetici milioni che sono in Italia, nel caso in cui i cento milioni che sono all’estero non siano assoggettabili all’imposta in Italia, applicare non già l’aliquota corrispondente ai cento milioni, ma quella corrispondente ai duecento milioni. È dunque un puro problema di aliquota, non un problema di duplicazione d’imposta. È infatti sui cento milioni accertati in Italia che si chiede di applicare l’aliquota corrispondente al patrimonio complessivo dei duecento milioni.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Desidero osservare che il regime che viene adottato per i beni dei cittadini italiani esistenti all’estero, secondo il progetto di legge, è questo: o sono tassati all’estero e allora sono esclusi dalla tassazione in Italia, o non sono tassati all’estero e allora sono tassati in Italia. Ora, nella seconda ipotesi, quando cioè non sono tassati all’estero, sono computati in Italia e quindi sono conglobati ai fini dell’applicazione dell’aliquota.

Il problema quindi non sorge; il problema sorgerebbe invece nel caso in cui i beni del cittadino italiano fossero tassati all’estero; ma in questo caso, non pare equo che questi beni debbano essere sempre computati in Italia, sia pure ai fini del calcolo dell’aliquota, poiché, essendo tassati all’estero, può anche darsi che lo siano in una misura superiore a quella esistente in Italia. Vi è quanto meno la possibilità che si incorra in un aggravamento di tassazione o in una violazione di accordi internazionali sulle doppie imposizioni.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare, circa quanto ha detto l’onorevole Scoca, che non si tratta di sottoporre tutto il patrimonio all’imposta straordinaria in Italia. Si tratta di sommare i due tronconi del patrimonio, di cui uno si trova in Italia e l’altro all’estero, ai fini della determinazione dell’aliquota, per assicurare la progressività dell’imposta. L’imposta in realtà si applica soltanto sul patrimonio che esiste in Italia.

Mi pare quindi che nessuna discussione si possa fare a questo proposito e che si debba senz’altro accettare l’emendamento proposto dall’onorevole De Vita.

L’altro punto è quello cui accennava poc’anzi l’onorevole La Malfa, che si dovrebbe cioè tener conto dell’imposta pagata all’estero. Mi pare che non si possa fare questo ragionamento, perché una volta che l’imposta è pagata all’estero, il patrimonio è decurtato di altrettanto e nell’accertamento si rileverà che il patrimonio, che era di un milione, è diventato di trecentomila lire in seguito al pagamento di un’imposta all’estero; e quindi si farà il cumulo di quello che residua del patrimonio all’estero e quello che è il patrimonio in Italia, al semplice fine – ripeto – della determinazione dell’aliquota. Quindi, non credo ci debbano essere delle difficoltà.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Desidero rispondere all’osservazione dell’onorevole Dugoni. Le aliquote sono state determinate in funzione di uno scopo, sono stati previsti, perciò, i patrimoni dei singoli cittadini e la gravità dell’imposta che deve incidere su di essi. Accettando la tesi dell’onorevole Dugoni, che è la tesi del collega De Vita, si avrebbe questo inconveniente: di non sapere con quali criteri sono tassati all’estero i primi tronconi. Perciò l’effetto dell’imposta, che per noi è stata studiata relativamente a tutto il patrimonio dell’individuo, subisce una variazione in funzione di quello che può essere stato il criterio accertatore dello Stato estero sul primo troncone rimasto all’estero. Quindi può accadere, ad esempio, che, se per un caso, all’estero è stata applicata l’imposta del cinquanta per cento sul primo troncone e noi sommiamo il 60-61 per cento sulla somma totale, veniamo a portar via tutto il patrimonio.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Prego l’Assemblea di voler guardare al profilo della questione che è questo: noi veniamo a fare un trattamento peggiore al cittadino italiano che, pur essendosi trasferito all’estero, ha voluto conservare la cittadinanza italiana, mentre quegli italiani che si sono trasferiti all’estero e hanno accettato, o chiesto la cittadinanza straniera, verrebbero ad essere privilegiati. Mi pare che l’Assemblea Costituente italiana non possa assolutamente adottare un principio di questo genere.

DUGONI. Ma è detto «il cittadino italiano residente in Italia», onorevole Condorelli.

CONDORELLI. No, l’emendamento si riferisce tanto al cittadino quanto allo straniero sul patrimonio esistente nello Stato.

DUGONI. Ma no.

CONDORELLI. Anzi, per l’emendamento De Vita, è stato domandato se si deve applicare allo straniero.

DUGONI. Ed è stato risposto di no.

CONDORELLI. Allo straniero non si deve applicare. Dunque, è chiaro che l’italiano che abbia acquistato la cittadinanza estera verrebbe ad essere trattato meglio del cittadino italiano che è stato geloso della sua nazionalità.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desideravo solo far presente un’osservazione. Ho l’impressione che si stiano confondendo cose molto semplici e che si dimentichi quello che è il criterio di razionalità dell’imposta. Facciamo un esempio concreto: un tale possiede un patrimonio di duecento milioni: cento milioni in Italia e cento milioni all’estero.

In Italia ed all’estero vi è un’imposta straordinaria progressiva. Se io considero in Italia – e il legislatore estero all’estero – solo il patrimonio che risiede nel territorio, in definitiva chi possiede un patrimonio di 200 milioni paga l’aliquota di chi possiede il patrimonio di 100 milioni.

Questo dimostra l’irrazionalità delle osservazioni fatte ed è quindi giusta la proposta dell’onorevole De Vita.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze ad esprimere il proprio pensiero.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Vita, sarei tentato di dichiarare che il Governo l’accetta, perché comporta una soluzione elegante la quale potrebbe trovare applicazione anche in altri casi, principalmente quando una imposta reale interferisca con un’imposta personale e si debba stabilire il trattamento di cespiti dichiarati esenti ai fini di imposte reali, che facciano parte però di un patrimonio da assoggettare ad imposta personale.

Mi preoccupano, però, le pratiche conseguenze dell’emendamento. Esso non potrebbe – credo – portare gran vantaggio e, probabilmente, creerebbe un lavoro notevole all’Amministrazione qualora questa volesse darsi carico di un’effettiva applicazione della disposizione contenuta in questo emendamento.

Ed è unicamente sotto questo profilo nettamente empirico che non do parere favorevole all’emendamento stesso.

Vorrei rivendicare un po’ il diritto anche al Governo di complicare la discussione, presentando a mia volta tre emendamenti all’articolo 5.

Il primo emendamento riguarda il secondo comma, fermo restando che il Governo accetta il testo della Commissione. Occorre osservare che la formula finale: «salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni» può essere insufficiente a raggiungere il risultato prefìsso. Cioè, se facciamo l’ipotesi che un altro Stato estero applichi un’imposta straordinaria sul patrimonio, la posizione di fatto è nettamente configurata; allora entra in giuoco il sistema delle norme relative alle doppie imposizioni. Ma la imposta straordinaria sul patrimonio non è un tributo molto diffuso negli altri Stati. Può darsi che alcuni Stati adottino altre forme di imposizione che, pur avendo carattere di straordinarietà e pur incidendo sopra quei cespiti a cui noi vogliamo avere riguardo, non abbiano una veste specifica di imposta straordinaria sul patrimonio.

Ed è per questo che io presento alla Presidenza un primo emendamento con cui il Governo suggerisce di aggiungere, dopo le parole: «contro le doppie imposizioni», le parole: «derivanti da tributi di carattere eccezionale».

Fissato il principio della eventuale esenzione di beni esistenti all’estero in applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione, dobbiamo considerare la posizione di società azionarie le quali hanno cespiti patrimoniali esistenti all’estero, che potrebbero sottrarsi alla imposta per le regole relative alle doppie imposizioni.

Si propone quindi un terzo comma del seguente tenore:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalla società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari ai sensi del comma precedente».

Da ultimo, sono stati completamente dimenticati i beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazione diversa da quella italiana. Sarebbe assurdo di considerare tali beni alla stregua di cespiti pienamente tassabili, in quanto non si sa con esattezza quale sorte, in definitiva, essi potranno avere.

Non sarebbe nemmeno giusto il trascurarli completamente. Per questo presento un terzo emendamento che dice:

«I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e zone metropolitane sotto amministrazioni diverse da quella italiana devono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuova disposizione, a formare il patrimonio imponibile».

Cioè dovrebbe esistere l’obbligo di dichiararli, rinviando a nuove disposizioni il regime di tassazione, per attendere che si creino le condizioni di fatto e di diritto necessarie per stabilire l’assoggettabilità o meno all’imposta di tali beni. (Commenti).

PRESIDENTE. Evidentemente, con questi emendamenti presentati, noi ci rimettiamo a fare il testo della legge, e non credo che la Commissione sia in grado di seguire il lavoro in questo modo.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente la Commissione non è in grado di dire il suo parere.

PRESIDENTE. Potremmo passare all’articolo 5, sospendendo l’approvazione anche di questo articolo 4. Ma intanto desidero conoscere dal Governo se intende proporre altri emendamenti al testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il primo dei successivi emendamenti sarà all’articolo 17.

PRESIDENTE. E allora sarà opportuno che il Governo presenti tutti i suoi emendamenti alla Commissione, in modo che questa possa studiarli e riferire all’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Io insisto nel fare presente che non è possibile continuare nell’esame della legge con questo sistema. Insisto perché si studi un provvedimento integrativo, portando tutti gli emendamenti alla Commissione. Ma intanto bisogna andare avanti nell’esame della legge, anche se essa non è ancora perfetta.

Pregherei dunque l’Assemblea di limitarsi alla discussione dei principî fondamentali della legge, e se siamo d’accordo su di essi, di mandare avanti la legge, salvo dopo qualche mese ad emanare un provvedimento integrativo tenendo conto delle modifiche che nel frattempo si saranno potute elaborare. L’Assemblea non può dimenticare che il termine dell’applicazione della legge, termine già prorogato, scade il 31 luglio.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi associo al pensiero espresso dal Relatore circa la procedura da seguire per l’applicazione di questa legge.

Noi dovremmo qui fermarci ai punti che possono formare oggetto di discussione sui criteri politici, o sui criteri fondamentali della legge. Potremmo poi pregare la Commissione e il Governo di considerare tutti gli emendamenti di carattere tecnico come raccomandazioni per un provvedimento integrativo che il Governo potrà o emanare per conto proprio, come ne ha la facoltà, o sottoporre all’approvazione dell’Assemblea in un secondo tempo. Altrimenti andremo avanti per tutto il mese di agosto e non finiremo mai.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Dissento dall’onorevole Corbino e dal Relatore. Mi permetto di Sottoporre all’Assemblea la gravità della materia che abbiamo dinanzi: gravità per lo Stato ed anche per i singoli cittadini. Vorrei ricordare che quando si discuteva la pena di morte, a chi diceva: «ma come riparerete voi a un errore giudiziario?» si rispondeva: questi sono piccoli inconvenienti della vita comune. E l’onorevole Ferri osservava: «fare questi ragionamenti sulla pelle degli altri, è comodo». Anche nel caso nostro, può essere comodo dire: limitiamoci a deliberare i concetti generali e non perdiamo tempo nei particolari. Ma qui si tratta di gravi interessi dei cittadini. Ed anche dell’interesse dello Stato, il quale non può tendere a stremare i cittadini. Dunque io credo che sia dovere e diritto nostro di discutere la legge in tutti i suoi particolari. D’altra parte, non è una legge tanto ponderosa, per la quale si possa dire che saremo occupati tre mesi. Io credo che con questo accorgimento adottato oggi, per cui, quando sorge una questione si può rinviare di un giorno o due il punto su cui la questione sorge, andando avanti negli altri punti della legge, invece di stare quattro giorni staremo otto giorni, ma non potrà essere troppo lungo il periodo del nostro lavoro. Anche se perciò si dovesse protrarre di qualche giorno il termine per la denuncia, ciò non sarà gran male. Ma io mi permetto ancora di far presente agli onorevoli colleghi che hanno fatto quella proposta, e a tutta l’Assemblea, che la questione è altrettanto grave quanto quella della Costituzione che stiamo studiando. Abbiamo il dovere di adoperare la massima coscienza e precisione.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. A me sembra alquanto strana la procedura seguita dal Governo. Secondo questa procedura, l’Assemblea verrebbe a trovarsi, nell’esame dei singoli articoli, dinanzi a proposte presentate dal Governo seduta stante. Per Queste considerazioni mi associo agli onorevoli La Malfa e Corbino.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dissento dall’opinione manifestata dall’onorevole Corbino e da altri, che si possa ovviare agli inconvenienti denunciati mediante un provvedimento a venire che si chiamerà «provvedimento integrativo». Mi permetto di rappresentare all’Assemblea la grandissima gravità di una decisione di questo genere, la quale in pratica significherà l’arresto degli uffici fiscali: perché gli uffici finanziari, che sono chiamati ad applicare l’imposta, quando sapranno che questo provvedimento non è completo e che dovrà essere integrato non faranno più niente e diranno: attendiamo le nuove istruzioni.

Ora, abbiamo bisogno di un provvedimento concreto, definitivo, anche se non perfetto: naturalmente, nulla vieta che possa venire dopo un altro provvedimento. Ma il dire fin d’ora che approviamo un provvedimento che dovrà essere integrato da un altro provvedimento, mi sembra significhi l’arresto della macchina fiscale, mentre abbiamo bisogno invece che essa proceda rapidamente. Quindi ritengo che sia giusto quanto ha espresso il Presidente dell’Assemblea, che cioè gli emendamenti – specie quelli proposti dal Ministro delle finanze a tutti gli articoli – se sono pronti, siano passati alla Commissione, la quale in due o tre giorni avrà tempo di esaminarli e, man mano che verranno in esame gli articoli, sarà in grado di dire il suo pensiero e d’istruire l’Assemblea. Tanto meglio se questi saranno conosciuti anche dall’Assemblea: ciascuno di noi sarà preparato a discutere l’articolo a cui l’emendamento si riferisce e così noi giungeremo in porto non con una legge perfetta, ma con una legge completa nella massima misura possibile. Quindi ritengo che si debba procedere nella discussione del progetto di legge, senza rinviare, per una eventuale integrazione della legge che stiamo per approvare, ad un provvedimento di là da venire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. Mi si permetta di concludere. Forse i colleghi non si rendono conto dell’imbarazzo in cui ci troviamo. In questa materia un emendamento non può essere sempre rapidamente valutato in tutte le sue possibili conseguenze e quindi noi abbiamo bisogno di qualche tempo per studiarlo e per metterci d’accordo col Governo.

Noi abbiamo già rinviato la decisione su molti articoli, rischiamo di rinviare tutti gli articoli all’esame della Commissione. Dovete tener conto delle condizioni in cui lavora l’Assemblea e in cui lavorano le Commissioni. D’altra parte la macchina fiscale non si può arrestare, essa è già in funzione su questo decreto.

Non è possibile che una imposta così complessa sia messa a punto in poco tempo. Giorno per giorno sorgeranno nuovi casi. Si tratta di non commettere errori fondamentali, ma anche di non soffermarsi troppo su problemi particolari, rischiando di peggiorare la legge.

Per esempio, l’emendamento dell’onorevole De Vita sembra nel complesso giusto; ma tutti i prevedibili effetti di questo emendamento non possono essere immediatamente valutati. Rischiamo di approvare un emendamento senza prevederne tutti gli effetti.

PRESIDENTE. Mi sembra di poter concludere così: Vi sono due correnti, una sostenuta dall’onorevole La Malfa e dall’onorevole Corbino, per la quale con provvedimenti integrativi dovrebbe provvedersi a tutto quanto la legge non ha potuto prevedere; l’altra, della quale si è fatto esponente l’onorevole Bertone, la quale, considerata la importanza del problema, sostiene la necessità di una soluzione ponderata. Penso che se si continua a discutere sugli emendamenti proposti e su quelli che potessero aggiungersi da un momento all’altro, si perderebbe troppo tempo, e chiedo all’Assemblea se non ritenga opportuno che la Commissione esamini, insieme con il Governo, gli emendamenti presentati dal Governo stesso e dagli onorevoli deputati, rinviando il seguito di questa discussione. (Commenti).

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Il Regolamento ammette che con dieci firme si possa presentare qualsiasi emendamento anche all’ultimo momento. Vorrei fare la proposta che coloro che intendono presentare emendamenti lo facciano subito, in modo che quando la Commissione si sarà riunita per esaminare a fondo il problema, non debba temere che poi sopravvengano ulteriori emendamenti.

PRESIDENTE. Ho già rivolto ai colleghi questa raccomandazione.

Ora però bisogna decidere su un altro punto; quando cioè l’Assemblea dovrà riunirsi per continuare la discussione.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Faccio la proposta formale di continuare la discussione perché in tutte le leggi e quindi anche in questa, ci sono dei punti senza aver risolto i quali non si può andare avanti, ma ci sono dei punti che si possono accantonare e risolvere domani o posdomani. Per esempio, il punto sul quale ora discutiamo credo si possa accantonare e andare avanti con l’articolo successivo. Questo mi pare possa essere il sistema da seguire per non perdere troppo tempo e insieme per dar modo di presentare tutti gli emendamenti che si ritengano opportuni.

Ritengo che non si possa vietare ad alcuno, se vogliamo lavorare con coscienza, di fare nuove proposte anche all’ultimo momento, perché proprio allora possono sorgere – dalla discussione – le migliori idee.

PRESIDENTE. D’accordo, ma questo dovrebbe accadere in via eccezionale.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Faccio presente che, per parte mia, ho presentato l’emendamento in tempo debito e chiedo quindi all’Assemblea se ritiene opportuno di passare alla votazione del mio emendamento regolarmente presentato nei modi e nei termini previsti dal Regolamento.

PRESIDENTE. Ma non è in discussione la regolarità della presentazione; è l’accordo della Commissione con il Governo!

DE VITA. Faccio formale richiesta all’Assemblea di pronunciarsi sulla mia proposta.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’Assemblea mi permetta di esprimere il mio senso di sconcerto davanti alla fatale lentezza con cui i lavori finiscono per procedere.

Passando da accantonamento ad accantonamento siamo arrivati a questo risultato: che sono stati approvati soltanto gli articoli ai quali non erano stati proposti emendamenti.

L’articolo 2, per la questione degli enti collettivi, l’abbiamo accantonato, e non per colpa del Governo.

L’articolo 3 è stato accantonato perché, non si trova la formula da inserire nell’ultimo comma, e anche questo non per colpa del Governo.

L’articolo 5 vorremmo accantonarlo, e qui forse la colpa si ripartisce fra Assemblea e Governo…

Non so se questo metodo del rinvio ci permetterà di arrivare a risultati solleciti e concreti.

Naturalmente, la formula per la futura disciplina dei lavori non può che essere di competenza dell’Assemblea. Segnalo però la gravità di una situazione che va delineandosi. Per la prosecuzione dei lavori, evidentemente, io non ho che da rimettermi a quello che decide la Presidenza. Mi si permetta, però, di osservare che lunedì mattina difficilmente sarà presente un numero tale di deputati che possano contribuire efficacemente alla discussione.

Non sarebbe il caso di invertire l’ordine del giorno per lunedì? Senza sminuire di importanza le interrogazioni, molte hanno carattere eminentemente locale, ovvero nettamente specifico, ed allora esse potrebbero essere discusse al mattino, riservando la patrimoniale alla seduta pomeridiana.

In questo senso, rivolgo, quindi, una proposta alla Presidenza: se lunedì si dovrà discutere, come mi sembra opportuno, la imposta patrimoniale, chiedo che essa sia discussa nella seduta pomeridiana. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Mi pare che si possa venire ad una decisione. Il Presidente della Commissione ha fatto sapere che la Commissione è disposta a dare subito il suo parere sugli emendamenti agli articoli, e che si può passare anche alle votazioni. Stando così le cose, evidentemente possiamo continuare il nostro lavoro oggi ed anche domani, senza che si presenti la necessità di uno spostamento o di un rinvio delle interrogazioni fissate lunedì.

Procediamo allora nell’esame degli emendamenti all’articolo 5. Comunico all’Assemblea che il Governo propone di aggiungere, dopo le parole «doppie imposizioni», le altre: «derivanti da tributi di carattere eccezionale». Prego la Commissione di esprimere il suo parere in merito all’emendamento proposto dal Governo.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non accetta l’emendamento, perché ne ritiene il principio implicito alla legge.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ritira l’emendamento, prendendo atto dell’affermazione del Relatore che il suo contenuto è implicito nello spirito della norma.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole De Vita, di cui ricordo la formulazione: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

DE VITA. Chiedo di parlare per dare un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, onorevole De Vita, ma si ricordi che ella ha già svolto il suo emendamento.

DE VITA. Il chiarimento è questo: invece di aggiungere un altro comma, si potrebbe emendare l’ultimo comma nel senso da me proposto, senza fare nessun’altra modificazione.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetterebbe l’emendamento De Vita così modificato:

«I beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai soli fini della aliquota».

CORBINO. Io direi: «della determinazione dell’aliquota».

LA MALFA, Relatore. Accetto la modifica.

DE VITA. Bisogna mantenere l’espressione: «in ogni caso». Se si mantiene questa espressione, posso anche aderire alla formula della Commissione.

SICIGNANO. Prego la Commissione di accettare integralmente il testo dell’onorevole De Vita.

LA MALFA, Relatore. Se l’onorevole De Vita accetta le altre modificazioni proposte, la Commissione aderisce, accettando la frase: «in ogni caso».

DE VITA. Accetto le altre modifiche della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il nuovo testo concordato dell’emendamento: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

(È approvato).

Vi è ora la proposta del Governo, di aggiungere un terzo comma così formulato: «Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia, si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalle società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari, ai sensi del comma precedente».

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Io faccio una domanda: è possibile che noi ci mettiamo a discutere un emendamento del Governo, senza che l’Assemblea lo conosca in precedenza? L’emendamento deve essere prima stampato e distribuito, perché possa essere esaminato.

PRESIDENTE. Trattandosi di emendamenti aggiuntivi, possono anche essere approvati in un secondo momento, dopo essere stati stampati e distribuiti.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome l’emendamento si ricollega alla questione della tassazione degli enti collettivi, esso può essere accantonato e discusso quando si parlerà di tale questione.

PRESIDENTE. Resta inteso allora, che questi emendamenti saranno stampati e distribuiti, e discussi in un secondo tempo.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. C’è un altro emendamento del Governo, riguardante i beni residenti nei territori coloniali. Su questo si potrebbe discutere anche ora.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento è così formulato: «I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazioni diverse da quella italiana, debbono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuove diposizioni, a formare il patrimonio imponibile».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Ha perfettamente ragione l’onorevole Veroni, ed hanno egualmente ragione quei colleghi che sostengono l’opportunità di distribuire gli emendamenti prima che essi siano posti in discussione.

In questo senso il Governo si impegna per il futuro, invocando, però, un trattamento di reciprocità! Per quanto riguarda gli emendamenti governativi, essi saranno tutti consegnati entro brevissimo tempo alla Commissione competente e alla Presidenza dell’Assemblea.

La portata di questo emendamento non ha bisogno di molte illustrazioni; vi sono dei beni di cittadini italiani nelle colonie e nei possedimenti sotto amministrazioni diverse dalla nostra.

La sorte definitiva di questi beni è incerta; comprenderli nel patrimonio tassabile sarebbe evidentemente ingiusto.

D’altra parte, sarebbe pericoloso dimenticarli o comunque trascurarli, anche perché la loro sistemazione definitiva nel quadro internazionale potrebbe farsi attendere parecchio tempo: ed a mano a mano che ci allontaniamo dal 28 marzo 1947 può essere difficile il loro reperimento.

Perciò l’emendamento propone l’obbligo di dichiarare tali beni e di non tenerne conto per il momento nella determinazione del patrimonio tassato.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ci sono dei beni di cittadini italiani residenti in Italia ma che sono situati in paesi nei quali, rispetto alla situazione del Trattato di pace, i cittadini corrono il rischio di una espropriazione più o meno totale. Quale sarà il modo con cui ci regoleremo? Una risoluzione esplicita è evidente che non la possiamo adottare; ma è bene comunque che si ponga il problema, perché una disposizione con riserva mi pare che si potrebbe prendere.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi sembra che la preoccupazione dell’onorevole Corbino non abbia ragione di essere perché, se ho ben compreso il chiarimento del Ministro delle finanze, la dichiarazione viene fatta a fine puramente informativo, non già a quello dell’imposizione di una tassa; viene fatto al fine soltanto di un accertamento e ciò mi sembra sia utile. La tassazione verrà più tardi.

CORBINO. Ma io non mi riferisco a beni nelle colonie, ma ai beni italiani in Europa.

BERTONE. Ma è la stessa cosa.

PELLA, Ministro delle finanze. Posso assicurare l’onorevole Corbino, il quale vorrà comprendere le ragioni per le quali il Governo, illustrando l’emendamento, si è limitato a mettere l’accento sui beni esistenti nelle colonie, che l’emendamento stesso comprende anche i casi da lui accennati, perché parla di beni esistenti nelle zone metropolitane soggette ad amministrazione diversa da quella italiana.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desidero domandare al Governo che voglia considerare se veramente sia da ritenersi indispensabile chiedere, con una dichiarazione particolare, la denuncia di questi beni situati nelle colonie o nelle zone metropolitane soggette ad altra amministrazione. Io prego il Governo di voler considerare che noi non abbiamo il potere di sceverare se questi territori siano giuridicamente ancora italiani o meno; ritengo pertanto che non sia forse delicato porre l’accento su questa questione.

Il problema è invece un altro: sapere in qual modo si debbano valutare questi beni ai fini dell’imposta. E siccome esiste quella situazione di incertezza giuridica cui accennava poc’anzi l’onorevole Ministro, a me pare che tale situazione si possa risolvere in sede amministrativa, arrivando anche alla soluzione accennata dall’emendamento, mediante un accertamento condizionato, salvo a risolvere la cosa definitivamente più tardi, quando sarà possibile determinare quale sarà la valutazione effettiva dei beni stessi.

Mi sembra che, se questo mio punto di vista verrà accettato dal Governo, noi potremo rinunziare benissimo all’emendamento, salvo a dirimere definitivamente la questione il giorno in cui saranno prese delle risoluzioni definitive riflettenti le nostre colonie.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei una spiegazione dal Governo in ordine alla risposta che l’onorevole Ministro delle finanze ha dato all’onorevole Corbino. Mi pare che l’onorevole Corbino si preoccupasse di beni esistenti in territorio propriamente estero, supponiamo in Romania o in Ungheria. Ora l’onorevole Ministro ha letto un emendamento dove si parla di luoghi metropolitani non soggetti all’amministrazione italiana. Ma l’onorevole Corbino parlava di Paesi diversi. L’onorevole Ministro ha detto che quell’emendamento era idoneo a soddisfare l’esigenza dell’onorevole Corbino: ora, o io non capisco l’esigenza o non capisco l’emendamento che la soddisfarebbe. Supponendo, ad esempio, che l’onorevole Corbino parli di beni esistenti in Romania o in Ungheria, non capisco in che cosa l’emendamento sodisfi.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritenevo che l’onorevole Corbino avesse fatto l’ipotesi di beni in zone metropolitane. Se invece l’ipotesi che ha fatto è quella di beni nella situazione cui ha accennato l’onorevole Fabbri, è esatto che questa ipotesi non è compresa nell’emendamento. Ma, arrivati a questo punto – se mi concede il Presidente di dire la mia opinione sul suggerimento dell’onorevole Vanoni – ringrazio l’onorevole Vanoni, perché con le sue dichiarazioni – se condivise dall’Assemblea – si fornisce all’Amministrazione la possibilità di risolvere il problema in sede di istruzioni. Se, cioè, si ritiene che l’Amministrazione possa, con provvedimento interno, dettare quei temperamenti cui ha accennato l’onorevole Vanoni, è esatto che l’emendamento non ha ragione di essere, e quelle istruzioni interne possono risolvere anche gli altri casi prospettati dall’onorevole Fabbri.

Se questo è il pensiero dell’Assemblea, il Governo ritira l’emendamento. (Commenti).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta la decisione del Ministro in questo senso: che la materia è molto complessa e riguarda molti casi: territori metropolitani ceduti, beni sequestrati in Paesi esteri e territori coloniali. La Commissione lascia al Governo la scelta, o di studiare un provvedimento apposito per questi casi o di farne oggetto di istruzioni interne.

PELLA, Ministro delle Finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Non so se ho reso bene il mio pensiero. Se l’Assemblea riconosce che possa essere nei poteri della Amministrazione di dettare norme interne in sede di valutazione, norme che abbiano quell’elasticità sufficiente per arrivare a stabilire una provvisoria sospensiva, salvo a riprendere la valutazione, norme che permettano di stabilire dei temperamenti in sede di valutazione; se tutto questo l’Assemblea ritiene che l’Amministrazione possa fare, il Governo ritira l’emendamento.

Ma però questo ritiro è subordinato a che esplicitamente l’Assemblea risponda su questo punto: se riconosce che l’Amministrazione abbia i poteri accennati.

PRESIDENTE. Evidentemente l’Assemblea non può pronunciarsi, onorevole Ministro. Io posso darle atto che l’Assemblea non ha fatto osservazioni di sorta intorno alle considerazioni che ella ha esposte, ritirando l’emendamento. Il che significa che l’Assemblea consente nelle motivazioni da lei date.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’interpretazione che ha dato l’onorevole Presidente vi è il presupposto per ritirate l’emendamento. E quindi lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, ha udito; il Governo ritira l’emendamento.

BERTONE. Ma lo ha ritirato nel senso che ritiene di avere la facoltà di dare quelle istruzioni?

PRESIDENTE. Evidentemente, onorevole Bertone.

BERTONE. Ritengo che con ciò si crei un precedente troppo pericoloso.

Questo demandare all’Amministrazione di risolvere essa internamente dei problemi, i quali possiamo prevedere avranno grandissima portata finanziaria ed economica, è un atto che mi sembra pericoloso non solo per l’argomento stesso in oggetto, ma anche perché crea un precedente che apre la porta a chiedere la stessa cosa in altre contingenze, per cui verremo poco per volta a scalfire, a vulnerare, a ridurre i poteri che sono anche i doveri dell’Assemblea. Quello che è stato chiesto oggi sarà chiesto domani e non potremo dire di no, perché abbiamo detto di sì oggi. Io conosco perfettamente gli imbarazzi in cui può trovarsi un’Amministrazione finanziaria nell’eseguire un provvedimento, so quanta libertà bisogna dare all’Amministrazione finanziaria, nella esecuzione e nella interpretazione dei provvedimenti. Sono in questo campo per la più larga libertà, ma non fino al punto di abbandonare all’Amministrazione ciò che è di competenza di organi superiori. Quindi, credo opportuno che l’emendamento proposto dal Ministro delle finanze venga esaminato e discusso.

PRESIDENTE. Se il Governo lo ritira!

PORZIO. Ma c’è un presupposto.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Io volevo chiarire il mio pensiero che ho impressione non sia stato esattamente compreso dall’onorevole Bertone. Io non chiedo e non ho proposto di mettere da parte i poteri dell’Assemblea in materia di legislazione, ma ho fatto una semplice considerazione: che i beni, che si trovano all’estero o in colonia, debbono essere dichiarati è già detto nella legge, e non c’è bisogno di parlare di colonie esplicitamente. Il problema, quindi, non esiste e non sorge, almeno secondo me.

Secondo punto, invece: questi beni, sia che si trovino in colonia, sia che si trovino in territori metropolitani ceduti, sia che si trovino all’estero, sequestrati per una ragione o per un’altra, connessa con gli eventi bellici, sono in una posizione giuridica di incertezza che incide sulla loro valutazione ai fini del computo del patrimonio, e questa incertezza ha un grado maggiore o minore che noi non potremo risolvere con norme legislative oggi, perché in ogni situazione, rispetto ad ogni Paese, e col passare del tempo, anzi di tempo in tempo, questa incertezza si colorirà di una certezza particolare: o nel senso che i beni siano interamente perduti o nel senso che i beni siano recuperabili – in tutto o in parte – da parte del soggetto.

È in questo senso che l’Amministrazione – come per altri settori in cui detta norme interne di valutazione per indirizzare gli uffici nel fare uso del loro potere discrezionale di valutazione, che la legge stessa ha ammesso e delimitato – è in questo senso, dicevo, che l’Amministrazione può risolvere, con le sue istruzioni, le incertezze di cui oggi è stato il Governo.

Non che io dica che si debba dare al Governo la potestà di dare delle istruzioni in materia puramente legislativa. Io ho dietro di me una lunga battaglia, combattuta in periodo fascista con argomenti tecnici e giuridici, contro il malcostume dell’Amministrazione di prendere decisioni e provvedimenti finanziari con circolari interne, e non ammetterei mai che su questa strada pericolosa si ritornasse oggi, in regime democratico. Ma di fronte a questa situazione, impostato così il problema giuridico, rientra proprio nei compiti dell’Amministrazione di dare questi criteri discrezionali – nei limiti sempre dei poteri discrezionali dell’Amministrazione – per fare delle valutazioni di situazioni concrete incerte, che noi oggi non possiamo esattamente valutare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento proposto dal Governo muove dal presupposto che l’Amministrazione non sia investita di quei poteri discrezionali di cui si sta parlando. Il Governo, quindi, presuppone di dover derivare dall’Assemblea i propri poteri in questa materia.

Ora, è esatto che questi beni sono già soggetti ad un obbligo di dichiarazione, ma io sono perplesso ad accogliere le conclusioni dell’onorevole Vanoni, perché non credo che all’atto pratico sia semplice e facile arrivare a quelle soluzioni cui egli accenna. Infatti, o quel bene ha un valore zero per la sua situazione giuridica particolare, per i rischi inerenti, e allora non vi è l’obbligo di dichiarazione; o il bene non ha un valore zero e allora entrano in scena le regole di valutazione della legge, la quale non contempla beni di valore incerto.

Vedremo, passando ai successivi articoli, che vi sono regole per la prima dichiarazione e per la prima valutazione dei terreni, dei fabbricati, dei titoli, ma non è configurata la possibilità di valutazione in una posizione di incertezza.

Se non si ritiene opportuno mettere in votazione questo emendamento, posso aderire a questo criterio di opportunità; il Governo perciò lo ritira e si riserva di ripresentarlo quando si giungerà a discutere della materia della valutazione.

PRESIDENTE. L’emendamento allora si considera ritirato. Dopo l’approvazione dell’emendamento De Vita, l’articolo 5 risulta così formulato:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato e i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

Lo pongo ai voti nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Si considerano esistenti nello Stato:

1°) i terreni ed i fabbricati situati nel territorio dello Stato ed i diritti reali sui medesimi;

2°) i beni facenti parte di aziende industriali, commerciali ed agricole a carattere individuale che siano situati nel territorio dello Stato;

3°) le quote e le azioni di società italiane, nonché le obbligazioni ed ogni altro titolo di credito emesso in Italia dalle società stesse, dallo Stato, dalle Amministrazioni dello Stato, dalle Provincie, dai Comuni od altri enti italiani, dovunque posseduti, dal cittadino o dallo straniero;

4°) le quote di comproprietà di navi italiane;

5°) i crediti che fanno carico a debitori domiciliati nello Stato;

6°) i capitali comunque investiti nello Stato, o iscritti negli uffici ipotecari dello Stato;

7°) i buoni postali fruttiferi, i depositi a risparmio ed i conti correnti presso aziende, Casse di risparmio, postali ed ordinarie, e presso altri istituti di credito e banche, che siano stati raccolti nel territorio dello Stato;

8°) i biglietti dello Stato italiano, i biglietti a corso legale della Banca d’Italia e quelli emessi in lire dal Governo militare alleato, ovunque si trovano;

9°) i diritti di autore, nonché i brevetti, i modelli di utilità, i marchi di fabbrica e simili, iscritti nei pubblici registri dello Stato, limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato;

10°) i gioielli appartenenti a cittadini italiani;

11°) i quadri, gli arazzi, le statue, i tappeti, le porcellane, le stampe, le medaglie e simili, posseduti nel territorio dello Stato;

12°) tutti gli altri beni situati nel territorio dello Stato ed i titoli che rappresentano beni reali situati nel territorio stesso.

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un emendamento dell’onorevole De Vita, il quale propone di sopprimere l’alinea 9°.

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. Per chiarire il mio pensiero non mi resta che leggere a questa Assemblea una massima giurisprudenziale della Commissione centrale di finanza. È una massima di giurisprudenza costante, che si riferisce all’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio 1920. Dice questa massima: «Il brevetto di invenzione in sé e per sé non può costituire una entità patrimoniale comunque valutabile in denaro. Il brevetto è l’atto col quale l’inventore tende a garantirsi contro lo sfruttamento da parte di altri dell’invenzione, e quindi non è che il riconoscimento dell’esistenza dell’invenzione da parte dello Stato, il quale assume la tutela giuridica ed economica dell’inventore.

Nel campo dell’applicazione, però, rappresenta soltanto una entità patrimoniale, alla quale non può attribuirsi un valore qualsiasi fino a quando lo sfruttamento del brevetto non porti l’invenzione al campo della pratica attuazione».

Io credo di aver chiarito la portata del mio emendamento, e chiedo, quindi, alla Commissione e al Governo se i brevetti di cui si parla nel testo si riferiscano proprio a quei brevetti che hanno già trovato sfruttamento in Italia, e anche a quei brevetti che sono stati soltanto registrati per la tutela.

LA MALFA, Relatore. Il n. 9 dice: «limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato».

DE VITA. Quando un brevetto è stato registrato all’estero ha dei diritti all’estero, ma sono diritti potenziali di sfruttamento. Finché il brevetto non è stato sfruttato non si può considerare come un patrimonio assoggettabile all’imposta.

LA MALFA, Relatore. Si parla di diritti di sfruttamento nello Stato. La Commissione prega mantenere la disposizione.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Lo mantengo, perché non risulta chiara la portata dell’articolo.

PRESIDENTE. Si procederà allora alla votazione dell’emendamento dell’onorevole De Vita soppressivo dell’alinea 9°.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Poiché nell’alinea oltre che di brevetti si parla anche di diritti di autore, propongo che la votazione abbia luogo per divisione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole De Vita riguarda l’alinea nel suo complesso, e non può esser votato per divisione.

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

L’articolo 6 s’intende pertanto approvato nel testo del Governo, accettato dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 7 del Capo III, concernente le esenzioni. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario legge:

Capo III.

Esenzioni.

Art. 7.

«È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, e quello posseduto dai consoli ed agenti consolari di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari.

«Sono, altresì, esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni costituite all’estero aventi finalità religiose, culturali, assistenziali e di beneficenza».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un primo emendamento dell’onorevole Dugoni, così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Sono esenti dalla imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera accreditati presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, nonché i consoli di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DUGONI. Lo mantengo, ma rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Al primo comma, alle parole: È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, sostituire: Sono esenti dall’imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera; ed alle parole: e quello posseduto, dai consoli, sostituire le altre: ed i consoli».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. L’emendamento che ho proposto si può scindere in due parti: una è una pura questione di forma, direi di stile; si tratta di dare al primo comma una formulazione analoga a quella usata per il secondo comma. In questo articolo 7, che fa parte del titolo concernente le esenzioni, si stabiliscono alcune esenzioni soggettive, cioè si indicano certi soggetti ai quali l’imposta non si applica. E infatti, nel secondo comma dell’articolo 7, si dice: «Sono esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni ecc.». Per la stessa ragione anche nel primo comma occorre seguire, dal punto di vista formale, lo stesso metodo, cioè indicare i soggetti che sono esenti, cioè gli agenti diplomatici. Questa è, del resto, la formula usata anche nella legge del 1920.

La seconda parte del l’emendamento proposto consiste in una precisazione. Anziché dire, come si dice nel testo: «agenti diplomatici di nazioni estere», si propone di dire: «agenti diplomatici di cittadinanza straniera». La ragione di questa precisazione è la seguente. Nelle varie leggi tributarie della nostra legislazione, nel regolare le esenzioni concesse agli agenti diplomatici, si è abitualmente usata la dizione che è riprodotta nel testo attuale del disegno di legge: cioè «agenti diplomatici di nazioni estere». Ora, questa formula ha dato luogo ad alcune controversie. Si è fatto questo quesito: in questa dizione rientra anche un agente diplomatico di una Potenza estera che sia cittadino italiano?

La questione ha dato luogo a contestazioni in sede giurisprudenziale. Ricordo che la Commissione centrale per le imposte dirette, a Sezioni unite, con una elaborata decisione del 26 marzo 1941, ha interpretato questa espressione, nel senso che non comprende gli agenti diplomatici che abbiano la cittadinanza italiana. Il diritto internazionale relativo ai privilegi diplomatici non obbliga, infatti, uno Stato a concedere esenzioni tributarie ad agenti diplomatici di Governi esteri che siano suoi cittadini.

Ora sembra opportuno di prendere questa occasione per chiarire questo punto, in modo che quella espressione che è stata usata in leggi precedenti sia intesa nel senso che ormai la giurisprudenza le ha dato, cioè nel senso che l’esenzione è concessa solo agli agenti diplomatici di cittadinanza straniera.

È questa dunque la portata dell’emendamento il quale, mentre usa nel presente disegno di legge una dizione più precisa, intende avere un valore interpretativo della formula meno chiara usata nelle leggi tributarie precedenti.

Dal punto di vista pratico c’era una certa ragione per fare questa precisazione. E la ragione è che il trattamento di esenzione concesso agli agenti diplomatici di Governi esteri accreditati presso il Governo della Repubblica si deve estendere, in virtù di impegni internazionali, agli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede, e a taluni alti funzionari di Istituti internazionali. C’è dunque l’opportunità di usare la dizione proposta, la quale toglie ogni equivoco ed elimina ogni eventuale contestazione.

Il mio emendamento differisce in un solo punto da quello dell’onorevole Dugoni, inquantoché l’onorevole Dugoni oltre che, come nel mio emendamento, menzionare gli agenti diplomatici di nazionalità straniera accreditati presso lo Stato italiano, menziona espressamente gli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede.

Mi sembra che non convenga uscire, a questo riguardo, dal sistema adottato dalle varie leggi analoghe, poiché l’esenzione degli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede deriva automaticamente dall’articolo 12 del Trattato del Laterano. Non c’è bisogno di ripetere qui la stessa cosa. Se noi lo facessimo, dovremmo allora trovare qualche altra frase per coprire altre ipotesi, cioè quelle accennate prima di taluni alti funzionari di Istituti internazionali. Per queste considerazioni, ritengo opportuno che non si parli di queste categorie speciali e che l’emendamento al primo comma dell’articolo 7 del disegno di legge si limiti ad introdurvi la precisazione da me proposta, la quale ha lo scopo di eliminare contestazioni che in passato hanno avuto luogo nell’applicazione di analoghe esenzioni previste da altre leggi tributarie.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni mantiene il suo emendamento?

DUGONI. Non lo ritiro, a meno che l’onorevole Perassi accetti la precisazione che io ho fatto riguardante l’accreditamento presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, perché, data la possibilità di confusione, e certamente la ricerca di creare delle situazioni particolari per sottrarsi al pagamento dell’imposta, nella formula dell’onorevole Perassi si possono introdurre degli elementi di dubbio. Quando si parla di agenti diplomatici delle nazioni estere, questi agenti possono prestar servizio in un altro Paese ed avere dei beni in Italia, ed allora questa ipotesi, che io configuro, darebbe loro diritto, secondo la dizione dell’onorevole Perassi, ad una esenzione del loro patrimonio. Quindi la mia specificazione intende soltanto restringere in un campo ben delimitato il numero delle persone che in ragione della loro attività hanno diritto a questa specifica esenzione.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero dell’onorevole Perassi, dopo la precisazione dell’onorevole Dugoni?

PERASSI. L’aggiunta dell’onorevole Dugoni non è necessaria, perché l’equivoco a cui accenna non può avvenire, in quanto qui si dice agenti diplomatici di cittadinanza straniera, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano: il che significa dire che noi abbiamo riguardo soltanto agli agenti diplomatici che sono tali rispetto allo Stato italiano, cioè accreditati presso il Governo della Repubblica. L’estensione agli agenti della Santa Sede deriva dal Trattato Lateranense. Per conseguenza non mi pare il caso di aggiungere altre specificazioni, perché l’equivoco non c’è, e il dubbio, al quale ha accennato l’onorevole Dugoni, non si è mai sollevato nell’applicazione delle altre leggi nelle quali è stata usata una dizione analoga a quella in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha la parola per esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Perassi, la Commissione dichiara di preferire l’emendamento da lui presentato.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, insiste nel suo emendamento?

DUGONI. Ritiro il mio emendamento, pur confermando che la dizione dell’onorevole Perassi è nettamente equivoca.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro delle finanze, la prego di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alle conclusioni dell’onorevole Relatore, nello spirito con cui l’onorevole Perassi ha illustrato il suo emendamento.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Perassi, avendo l’onorevole Dugoni ritirato il suo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 8 con l’emendamento Perassi, testé approvato.

(È approvato).

Si passa all’articolo 8. Se ne dia lettura nel testo emendato della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio i seguenti cespiti:

1°) i capitali corrispondenti a contributi che, per legge o per contratto, siano stati versati a Casse di previdenza, o di soccorso, istituite contro i rischi di malattia, infortuni, vecchiaia ed invalidità; a Casse di previdenza o Casse di pensione per gli impiegati privati, od a Casse di pensione per vedove o orfani, contemplate alle lettere c) ed f) dell’articolo 2 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966;

2°) i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo;

3°) il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, fatta eccezione per i contratti di assicurazione a premio unico, stipulati dopo il 10 giugno 1940;

4°) le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, col mobilio, gli arredi sacri, i reliquiari e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa;

5°) gli immobili dichiarati esenti da tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;

6°) i titoli del Prestito della ricostruzione, autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento;

7°) le cose mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, quando facciano parte di collezioni o serie notificate ai sensi dell’articolo 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, oppure siano soggette a pubblico uso o godimento;

8°) le rendite di benefici ecclesiastici maggiori e minori».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti. Il primo, dell’onorevole Costa, è del seguente tenore:

«Al n. 3°), alle parole: dopo il 10 giugno 1940, sostituire: dopo il 28 marzo 1937».

L’onorevole Costa non è presente.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Costa, e se la Commissione l’accetta, rinunzio ad illustrarlo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Limitare il n. 3°) alle parole: il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, sopprimendo il rimanente.

«Ove rimanesse integro il testo proposto, alle parole: stipulati dopo il 10 giugno 1940, sostituire le altre: stipulati dopo l’8 settembre 1943, ed aggiungere: Il prezzo di riscatto relativo a siffatti contratti non è cumulabile col restante patrimonio del contribuente; da detto prezzo è detratta, per ciascun contratto, la somma indicata al secondo comma dell’articolo 29».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. I principî generali del diritto considerano, come fuori del patrimonio dell’assicurato, il risparmio assicurativo. Per questa ragione appare pericoloso che attraverso questa legge si instituisca un tributo che colpisca le somme assicurate nel corso del contratto, cioè prima che esse entrino a far parte del patrimonio del beneficiato.

La deroga ai principî generali del diritto sembra ancora più grave, in quanto la legge colpirebbe le assicurazioni stipulate dopo il 10 giugno 1940, e si riferisce quindi all’ipotesi che al principio della guerra non poteva, in nessun modo, essere ancora concepita.

Questo concetto lo spiegai anche ieri in una dichiarazione di voto. La decisione stabilita in genere per i contratti assicurativi costituirebbe una innovazione assai pregiudizievole all’industria assicurativa, la quale trovasi già in serie difficoltà a causa della svalutazione monetaria.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, ella ha presentato anche quest’altro emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

Ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Al riguardo, vi è già un emendamento del collega Schiratti, che, presso a poco, dice la stessa cosa. Io ho voluto fare una ulteriore precisazione. La questione dei tributi dei terreni montani al di sopra dei 700 metri è antica quanto la mia presenza in questo Parlamento. Nel 1916 io ricordo di averne parlato in occasione della discussione del bilancio delle finanze, sostenendo questa tesi, che venne accolta, per la prima volta, dalla provincia di Aosta, unicamente, si comprende, per quello che riguardava la sovraimposta. Questa è stata la prima vittoria che ha ottenuto quel gruppo di deputati presieduti dal compianto Luchino Dal Verme per l’esenzione fiscale per quei terreni, in modo da poter incoraggiare i cittadini che abitano le più alte pendici delle Alpi e degli Appennini, evitando la loro coatta emigrazione, a restare lassù, quasi custodi dei loro terreni. Si diceva, allora, che questi cittadini benemeriti avessero quasi diritto di essere favoriti ed indennizzati. Una volta gli antichi Longobardi mandavano sui più alti luoghi delle Alpi e degli Appennini i loro vecchi soldati pensionati perché custodissero i confini e si formarono quelle formidabili «grimannie» montane, che nei valichi più pericolosi tante volte sbarravano il passo al nemico.

Per la legge proposta si deve pagare la imposta patrimoniale in dieci rate. Ora faccio notare che esse diventano, in molti casi dei possessori di questi piccoli «predii» montani, troppo gravose e pressanti.

Perché non seguire quanto, con lungimirante criterio, ha fatto il nostro legislatore in altre leggi? Nella questione dei terreni montani, l’obiezione del Ministro delle finanze che si tratti della imposta in corso anticipata e condensata, non ha fondamento. Vi erano i contributi unificati, dai quali si era esonerati oltre i 700 metri. Poi si è ritenuto di farli riscuotere ancora. Durante il precedente Ministero, Ministro l’onorevole Scoccimarro, si è approvato il decreto 27 giugno 1946 n. 98, che fu poi integrato dall’altro successivo del 7 gennaio 1947, n. 12. Mentre il primo stabiliva che dovessero essere esonerati dai contributi fondiari solamente quei comuni nei quali il capoluogo fosse al di sopra dei 700 metri, di fatto si deve osservare che quasi sempre gli abitati ed i capoluoghi sono in fondo alle valli, mentre la maggior parte dei terreni sono in alto. Ed allora, di fronte a questa constatazione, che ho potuto far valere anche in Consiglio dei Ministri, si è provveduto al secondo decreto, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 1947, veniva concessa l’esenzione dalla imposta fondiaria e dal reddito agrario anche per i territori situati ad una altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare, qualunque fosse l’altitudine alla quale si trova il capoluogo, rimanendo per altro escluso – altro piccolo guaio – lo sgravio d’ufficio, il che impone all’interessato una domanda e, purtroppo, una documentazione a base di carte topografiche o di perizie gravose a procurarsi. Ma, pazienza! Ora succederebbe che, mentre per quella legge dal 1° gennaio 1947 questi piccoli proprietari, che vivono in alto lassù in quelle zone montane, erano esonerati, ora, hanno appena goduto da poche rate un piccolo vantaggio, che già arriva loro addosso una imposta molto più forte ed ingente per le loro modeste forze e tale che toglie ad essi qualsiasi beneficio. Ciascun d’essi dirà: «Appena vidi il sol che ne fui privo»!

Ora, in considerazione di questa particolare situazione, che è in contrasto colla vigente legislazione fiscale, io chiedo che si tengano presenti questi casi e la nostra tradizione non si interrompa. Non si può adesso togliere con una mano ciò che si è dato coll’altra appena pochi mesi or sono, per non creare una contradizione in termini. Dal lato morale poi mi pare che lo Stato debba incoraggiare questi forti cittadini che risiedono e lavorano fra le nevi e i ghiacci parte dell’anno, serbando fede ai loro monti, rendendoli produttivi col loro lavoro, in modo che anch’essi siano a ciò confortati dal sapere che lo Stato ha tenuto presente la loro particolare situazione, con rinnovata benevolenza mantenendo quella stessa esenzione, così come essa era stata già stabilita dal precedente Governo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente alinea:

9°) i terreni montani situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIRATTI. Mi associo alle considerazioni esposte dall’onorevole Micheli.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Prego gli onorevoli colleghi di voler accogliere ed inserire tra le esenzioni anche quella dei beni immobili che sono stati danneggiati dalla guerra per oltre un quarto. Unitamente ai colleghi Crispo, Morelli Renato e Bozzi, propongo pertanto il seguente emendamento:

«Aggiungere dopo il numero 8°):

9°) i beni immobili danneggiati dalla guerra per oltre un quarto».

L’onorevole La Malfa, mi pare, si è occupato anch’egli della questione, e, se non ricordo male, ha accennato che, in sede di esecuzione della legge, si sarebbe potuto tener conto delle diverse situazioni che si sarebbero potute prospettare man mano. Mi permetto di osservare che la questione riveste grande importanza e rilievo, in quanto interessa moltissime località colpite dalla guerra e moltissime proprietà immobiliari urbane: caseggiati distrutti per metà, per un terzo, per una parte rilevantissima; caseggiati esentati dal tributo fondiario perché riconosciuti assolutamente non abitabili.

Si tratta, cioè, di proprietà potenziale più che di proprietà effettiva. Bisognerebbe poi distinguere fra i beni che hanno avuto una riparazione dal 1943 e quelli che invece non l’hanno ancora avuta. Ora, per i beni che ancora non sono stati riparati, credo che si potrebbe senz’altro accedere al criterio dell’inclusione, mentre per gli altri si potrebbe tener conto del fatto che le riparazioni sono state effettuate con il concorso dello Stato, ma con grande sacrificio anche da parte dei privati. Vi è poi la questione degli immobili rustici, i quali sono privati della loro capacità produttiva o perché hanno avuto distrutte le case coloniche, o perché hanno avuto degli impianti di irrigazione distrutti o perché sono ancora minati.

Io vorrei dunque pregare l’Assemblea di volere accogliere questa inclusione nell’articolo delle esenzioni e, in via subordinata, nell’ipotesi peggiore, che l’Assemblea voglia raccomandare al Ministro di dare disposizioni agli uffici finanziari perché tengano conto, all’atto degli accertamenti, dell’effettiva capacità produttiva dei singoli cespiti.

Bisogna pur fare qualche cosa per la vasta e dolente categoria dei sinistrati di guerra.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei un chiarimento a proposito del numero 5° dell’articolo 8, secondo il quale sono esenti dall’imposta sul patrimonio gli immobili dichiarati esenti dai tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato del Laterano. Io mi domando: perché questo comma è stato inserito? Io non ne vedo la ragione. Mi pare anzitutto inutile perché c’è già il Trattato del Laterano, ma, oltre che inutile, mi pare anche del tutto fuori posto.

L’articolo 8 concerne le esenzioni oggettive, in contrapposto all’articolo 7. L’articolo 8 presuppone che esistano dei soggetti all’imposta. Ora, allo stato attuale delle cose, lo schema di legge riguarda soltanto le persone fisiche, mentre il numero 5° dell’articolo riguarda dei beni i quali, per la loro stessa natura, appartengono ad un ente, la Santa Sede. Aggiungo che, inserendo questa specificazione, sorgerebbero altri delicati problemi, qual è, il trattamento che si farà ai beni di Stati esteri? Esistono Stati, per esempio, che sono proprietari di stabili in Italia, ove hanno loro Accademie. Lo stesso dicasi per i beni di Istituti internazionali.

Sono quindi del parere che il numero 5° si dovrebbe senz’altro stralciare, perché in ogni caso inutile. Ove debba restare aperta la questione se all’imposta, ora limitata alle persone fisiche, siano da assoggettarsi anche enti diversi, questo numero 5° si potrebbe almeno accantonare, perché, se venisse risoluta in senso affermativo la sottoposizione di enti all’imposta, bisognerebbe vedere se non sia necessario qualche ritocco o qualche ampliamento.

PRESIDENTE. Avverto che sono pervenuti alla Presidenza altri emendamenti. Uno è a firma degli onorevoli Carbonari, Rescigno ed altri colleghi, e dice:

«Aggiungere dopo il n. 8°):

«I beni immobili costituenti l’azienda agricola il cui reddito non superi il minimo di esistenza necessario per la famiglia del piccolo proprietario».

Gli onorevoli Scoccimarro, Dugoni ed altri hanno poi presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituire il n. 8°) col seguente:

«Le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori, che abbiano diritto a congrua o che con la detrazione dell’imposta rientrino nella categoria degli aventi diritto a congrua».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Avevo rinunziato prima a sviluppare l’emendamento dell’onorevole Costa, che avevo ripreso a mio nome, riguardante i contratti di assicurazione a premio unico.

Dirò in una parola le ragioni per le quali noi riteniamo che la data di suspicione riguardante questi contratti deve essere spostata dal 10 giugno 1940 al 28 marzo 1937.

Queste operazioni, come è ben noto, sono delle vere e proprie operazioni di speculazione finanziaria, le quali vengono compiute attraverso cessioni di queste polizze a premio unico mediante semplice girata, e costituiscono sostanzialmente dei veri e propri grossi contratti finanziari. Quindi, non c’è nessuna ragione che noi accettiamo questa decurtazione del patrimonio, questo taglio che è stato volontariamente dato alla consistenza del proprio patrimonio, perché Sarebbe come se si esentasse un qualsiasi proprietario il quale avesse un determinato pacchetto di titoli di Stato al 5 per cento o di Buoni del tesoro decennali. È esattamente la stessa situazione, cioè, come se si dicesse: sono esentati coloro che hanno comperato Buoni del tesoro decennali.

Quindi, per conto mio, la data di suspicione si deve riportare al 1937.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sui vari emendamenti ora illustrati.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento Costa, la maggioranza della Commissione esprime parere contrario alla sua accettazione. Essa trova che non ricorrano qui le ragioni per portare la data al 1937, come in materia di divisione del patrimonio in seno alla famiglia. Sembra alla maggioranza della Commissione che in questo caso la data del 10 giugno 1940 – che è la data della dichiarazione di guerra – rispecchi meglio la situazione.

La Commissione respinge poi gli emendamenti dell’onorevole Micheli, riguardanti i contratti di assicurazione, e propone di mantenere il testo del Governo.

Così pure respinge da modificazione di carattere puramente formale dell’onorevole Costa al n. 4.

Per quanto riguarda i terreni montani situati al di sopra di 700 metri, la Commissione non può accettare l’emendamento Micheli e neppure quello Schiratti, perché della condizione di tali terreni si tiene già conto in sede di determinazione del loro valore. Stabilire un’esenzione generale darebbe luogo a sperequazioni assai gravi. La situazione dei terreni al di sopra dei 700 metri è diversa da un luogo all’altro, da una regione all’altra, da una provincia all’altra, e non si vede per quale ragione obiettiva tali terreni si debbono porre in condizione di privilegio.

Come ho detto, la valutazione rispecchierà la situazione diversa dei vari terreni, e quindi l’imposta sarà maggiore o minore secondo il rendimento dei terreni.

Per la stessa ragione prego il collega Cifaldi di non insistere nel suo emendamento. Anche per quanto riguarda gli immobili sinistrati è operativo il criterio di tenere conto del loro stato in sede di valutazione, ma non è possibile neanche per essi costituire una categoria speciale di privilegi.

Questi sono gli emendamenti che la Commissione conosce e ha preso in esame. Ci sono poi due emendamenti che la Commissione non conosce nel loro preciso testo, ma solo attraverso la lettura che qui se ne è data.

Volevo esprimermi, infine, non direi sull’emendamento, ma sulla proposta dell’onorevole Perassi. Mi pare giusto che la disposizione di cui al numero cinque non sia necessaria nel testo; tuttavia, siccome si deve esaminare la questione degli enti collettivi, converrà sospendere la decisione di questo paragrafo in attesa della discussione sugli enti collettivi.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole La Malfa ad esprimere il pensiero della Commissione anche sugli emendamenti degli onorevoli Carbonari e Scoccimarro.

LA MALFA, Relatore. La Commissione esprime parere contrario al primo emendamento.

Sul secondo, dell’onorevole Scoccimarro, la Commissione non è in grado di esprimersi, dovendo fare un esame accurato della proposta. Chiedo pertanto la sospensiva anche su questo, come l’ho chiesta per quanto riguarda la disposizione del paragrafo 5°.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Costa, il Governo ritiene che si possa mantenere ferma la data del 10 giugno 1940 per le ragioni che più avanti richiamerò per motivare il pensiero del Governo, contrario all’emendamento dell’onorevole Micheli.

L’onorevole Micheli vorrebbe che fossero esenti dall’imposta anche le polizze costituite con versamento a premio unico dopo il 10 giugno 1940, e motiva brillantemente la sua richiesta (che – mi permetta l’onorevole Micheli – francamente, però, non mi ha persuaso) parlando di retroattività. Ma qui non è questione di retroattività; qui si tratta di colpire un’attività esistente al 28 marzo 1947, ma sorta posteriormente al 10 giugno 1940. Così come non costituisce retroattività colpire una casa esistente dopo il 28 marzo 1947, ma costruita prima del 10 giugno del 1940. Ed anche per le esperienze personali acquisite seguendo la propaganda che veniva fatta di questa forma di assicurazione, credo che essa abbia servito spesso da rifugio contro il pericolo di imposte straordinarie sul patrimonio. Devo, però, onestamente, riconoscere che questa forma di propaganda è stata effettuata negli ultimi anni; per questa ragione, non ritengo opportuno andare fino al 28 marzo 1937 così come vorrebbe l’onorevole Costa.

Per quanto riguarda l’esenzione per i terreni montani, dobbiamo prima di tutto osservare che si tratterebbe di esenzione connessa con l’imposta straordinaria progressiva, cioè con la personale, quella per la quale funziona il minimo di esenzione dei tre milioni.

Siamo tutti d’accordo per appoggiare i desiderati della montagna, ma naturalmente, non dobbiamo lasciarci fuorviare da questa comune simpatia.

Se i terreni montani rendono poco, il loro valore capitale deve essere quasi nullo; abbiamo demandato alla Commissione censuaria centrale di stabilirlo. Certamente si terrà conto – in tale sede – della scarsità del reddito di detti terreni. Ma se questi, sia pure a reddito scarsissimo, nella valutazione portassero all’accertamento di un patrimonio superiore ai 3 milioni, non vedo la ragione per concedere l’esenzione. Quindi mi perdonino gli onorevoli Micheli e Schiratti se devo associarmi al pensiero del Relatore il quale è contrario all’accoglimento dei loro emendamenti.

Per l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo e da altri, ed illustrato dall’onorevole Cifaldi, devo osservare che siamo tutti d’accordo nel deplorare che la materia dei danni di guerra, per ragioni estranee, ritengo, alla buona volontà di organi e persone, non abbia sinora trovato una soluzione sodisfacente.

Ma non ritengo che al risarcimento del danno di guerra possa arrivarsi nella forma proposta dall’emendamento, che dice che il proprietario dell’immobile lesionato oltre il quarto, dovrebbe fruire dell’esenzione dall’imposta per tutto l’immobile residuo.

Ammesso il principio che l’immobile deve essere valutato secondo il suo stato attuale, mi sembra tecnicamente inaccoglibile la proposta di concedere, a titolo di compenso, a forfait, l’esenzione della parte residua, quasi in acconto sulla liquidazione definitiva dei danni di guerra. Per queste ragioni, pur apprezzando lo spirito che ha animato i proponenti, dichiaro che il Governo non può accettare questi emendamenti.

Per quanto riguarda il quasi emendamento dell’onorevole Perassi, ho il dovere di aderire alle conclusioni…

LA MALFA, Relatore. Non c’è un emendamento Perassi.

PRESIDENTE. C’è una proposta di sospensiva. Se ne riparlerà.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo; la materia è connessa con quella degli enti collettivi.

Sono dello stesso avviso del Relatore di non poter accettare l’emendamento Carbonari, Rescigno ed altri.

Sono d’accordo altresì di non essere in grado di valutare l’emendamento Scoccimarro e di dover riservare la risposta del Governo in materia.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Sulla proposta Perassi mi permetto di chiedere se si tratta di una formale proposta sospensiva, perché allora potremmo senz’altro cancellare l’alinea 5°, senza rinviarlo ad una seconda discussione.

L’alinea 5° fa riferimento all’articolo 16 del Trattato lateranense, articolo che dopo l’elencazione specifica di beni conclude che tutti questi beni non saranno mai assoggettati a vincoli od espropri per cause di pubblica utilità e saranno esenti da tributi, sia ordinari che straordinari, tanto verso lo Stato che verso altre nazioni, ecc. Messo perciò l’argomento in questi precisi termini, è pleonastico l’averlo inserito, ma è altrettanto inutile rinviare la discussione. E allora, se la proposta è messa in termini ufficiali, io dico: cancelliamo l’alinea 5°, perché non c’è più bisogno di esaminarlo in altra sede.

LA MALFA, Relatore. Concordo.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo anch’io.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. A proposito degli emendamenti degli onorevoli Schiratti e Micheli per i terreni montani situati al di sopra dei 700 metri, ho l’impressione che la breve discussione svoltasi non abbia chiarito un equivoco, il quale rimane anche dopo le dichiarazioni del Ministro. Si tratta, cioè, di questo. In questo progetto c’è un’imposta personale progressiva, e una seconda parte che è l’imposta ordinaria reale sul patrimonio. Per l’imposta progressiva gli emendamenti non hanno senso, perché c’è un minimo imponibile e quel minimo imponibile è operante indipendentemente dalla ubicazione dei terreni: chi possiede una proprietà al di sotto dei 700 metri e al di sotto dei 3 milioni è esente da imposta. Chi avesse più di tre milioni anche se sopra i 700 metri…

MICHELI. La parte dei tre milioni resta fuori.

SCOCCIMARRO. Permetta, onorevole Micheli. Il problema che lei pone è giusto solo per quanto riguarda l’imposta ordinaria. Vorrei chiedere una cosa: siccome a tal proposito presenterò un emendamento quando discuteremo la parte proporzionale dell’imposta, chiedo agli onorevoli Schiratti e Micheli di rinviare la questione a quando discuteremo quella parte del progetto, non ponendo all’imposta personale limitazioni di questo genere, il che è impossibile.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Giacché abbiamo accantonato tante questioni, non ho nessuna difficoltà ad accantonare anche questa. Però quella lieve confusione cui ha accennato l’onorevole Scoccimarro effettivamente può in questa parte non esistere; perché è vero che il problema dell’esenzione dai tributi dei terreni montani è più sensibile nell’imposta progressiva che in quella proporzionale, ma anche nella proporzionale ha il suo riferimento e può recare un contributo notevole all’elevamento della quota di ciascuno. Ha un’importanza notevole se domani, per la mia proposta, i terreni al di sopra dei 700 metri non fossero calcolati, indipendentemente dalla loro quantità.

SCOCCIMARRO. Ma lei in questo modo non viene ad aiutare i piccoli proprietari, ma i grandi.

MICHELI. Gli uni e gli altri, ed i piccoli di più perché in numero maggiore: tanto è vero che siete giunti ad esonerare i 3 milioni. Giacché il concetto del legislatore è fondato, mi pare, sulla concezione per cui, imponendo un tributo nuovo non si debba colpire troppo ma lasciare la possibilità che il contribuente viva. Ora, debbo rispondere all’onorevole La Malfa, il quale ha affermato che si tratterebbe di una situazione di privilegio.

Privilegio, sia pure, perché esso è stato riconosciuto recentissimamente dal legislatore in due provvedimenti, in corrispettivo delle condizioni particolari in cui la vita economica dei privilegiati si svolge, e che lo Stato non solo ha il dovere, ma ha l’interesse di riconoscere… (Commenti).

Non è una invenzione mia, o signori, c’è la firma dell’onorevole Scoccimarro in questi due decreti, e io lo ricordo a titolo di onore e ho piacere che egli sia qui a confermarlo. Naturalmente io avrei desiderato che, come egli ci ha aiutato allora e nella imposta progressiva, si fosse spinto un po’ più in su con la sua parola autorevole anche in questa parte, che era quella che aveva bisogno di essere aiutata.

Comunque, sono lieto di constatare come nella seconda parte – cioè nell’imposta progressiva – si sia tutti d’accordo, in quanto anche il Ministro ha detto che riteneva, riferendosi alla mia proposta, che in qualche parte avrebbe potuto consentire. Ora io prendo atto di questa dichiarazione del Ministro, perché mi assicura che in questa altra prossima parte riusciremo ad ottenere, non un nuovo privilegio, ma un piccolo conforto a coloro che continuano imperterriti ad abitare lassù e restano a coltivare e custodire le loro terre.

Ad ogni modo, anche per la parte prima, debbo insistere affinché nelle leggi nostre non vi siano due cose in contrasto l’una con l’altra. E per questo io mantengo l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli emendamenti.

C’è innanzi tutto una proposta dell’onorevole Tosi, che riferendosi alla osservazione dell’onorevole Perassi, porterebbe alla eliminazione dell’alinea 5°.

TOSI. Soppressione definitiva senza che torni più in discussione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la soppressione dell’alinea 5°.

(È approvata).

Passiamo agli altri emendamenti. Onorevole Dugoni, ella ha fatto suo l’emendamento dell’onorevole Costa. Lo mantiene?

DUGONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Costa, fatto proprio dall’onorevole Dugoni, tendente a sostituire nel n. 3°), alle parole: «dopo il 10 giugno 1940», le altre: «dopo il 28 marzo 1037».

Pongo ai voti questo emendamento.

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Micheli.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Dovrei insistere sul mio emendamento, perché la mia convinzione è che effettivamente, come ha detto il Ministro, questa formazione di polizze per investimento di capitali è cosa di questi ultimi anni, determinatasi attraverso la propaganda cui egli ha accennato. Ad ogni modo, siccome la Commissione insiste, io preferisco il 1940 al 1937 dell’onorevole Costa ed al 1935 dell’onorevole Dugoni. Rinuncio quindi al mio emendamento ed aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Vi è poi un altro emendamento dell’onorevole Costa:

«Al n. 4°), alle parole: di spettanza della chiesa, sostituire: inservienti al culto».

DUGONI. È ritirato.

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Schiratti ha ritirato il suo emendamento.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Cifaldi.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero dichiarare che di fronte alle dichiarazioni contrarie dell’onorevole Presidente della Commissione, fatte a nome della Commissione tutta, e di fronte alle dichiarazioni del Ministro, io mi trovo in grande perplessità. Non vorrei che l’Assemblea, rigettando il mio emendamento, avesse l’aria di non voler venire incontro ai danneggiati di guerra. Quindi mi permetto ricordare al Ministro di tener conto di questa situazione.

L’onorevole Ministro delle finanze ha detto che si rendeva conto dello spirito del mio emendamento; onde desidero aggiungere che egli nelle istruzioni che dovrà dare voglia dare anche norme perché i fabbricati quasi distrutti dalla guerra e i beni rustici notevolmente danneggiati dalla guerra siano esentati dal calcolo globale con quelle norme…

PRESIDENTE. Tutta l’Assemblea è d’accordo.

CIFALDI. Ritiro perciò il mio emendamento, trasformandolo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento aggiuntivo?

MICHELI. Insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, così concepito:

«Aggiungere il seguente alinea:

«9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento Carbonari non accettato dal Governo e dalla Commissione…

CARBONARI. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Ricordo che l’emendamento dell’onorevole Scoccimarro è stato rinviato.

SCOCCIMARRO. Resta inteso che l’alinea 8° dell’articolo 8 resta sospeso.

PRESIDENTE. Naturalmente.

Con questa intesa e con la soppressione dell’alinea 5°, l’articolo 8 si intende approvato.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.