Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Adonnino

Caroleo

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Condorelli

Bertone

De Vita

Vanoni

Scoca

Dugoni

Tosi

Scoccimarro

Corbino

Sicignano

Veroni

Fabbri

Cifaldi

Perassi

Micheli

Schiratti

Carbonari

La seduta comincia alle 10.35.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Si riprende la discussione sugli emendamenti all’articolo 3.

Comunico che l’onorevole Adonnino, ha modificato il suo emendamento all’ultimo comma dell’articolo 3, presentando questa nuova formulazione: «Quando si fa luogo al cumulo previsto dal presente articolo, la quota proporzionale di imposta afferente i beni ceduti farà carico, mediante rimborso, all’intestatario fino alla somma che egli avrebbe pagato per il bene ceduto ove esso fosse stato compreso nel suo patrimonio e, per il di più, al contribuente e all’intestatario, in proporzione della ripartizione del valore del patrimonio originario».

Informo che l’onorevole Condorelli ha presentato i seguenti emendamenti all’ultimo comma dell’articolo 3, così formulati:

«Prima dell’ultimo comma inserire il seguente:

«Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge o dai discendenti del primo cedente».

«Alla fine dell’ultimo comma aggiungere: «e non oltre l’importo delle quote proporzionali d’imposta che il cessionario avrebbe dovuto pagare se i beni stessi fossero stati computabili nel suo patrimonio».

Richiamo nuovamente l’attenzione dei colleghi sulla necessità che gli emendamenti siano presentati tempestivamente, in modo che il Governo e la Commissione abbiano la possibilità di esaminarli.

Invito intanto l’onorevole Adonnino a svolgere il suo emendamento.

ADONNINO. Io sono partito da questo concetto pratico. Mi pare che sia un’ingiustizia che il padre che ha ceduto al figlio un bene che può essere relativamente piccolo di fronte ai molti beni rimasti a lui padre, debba farsi rimborsare dal figlio una cifra di tributo progressivo calcolata su tutti i beni rimasti al padre. In tal modo il figlio può essere sottoposto ad un carico che anche se non arriva al cento per cento, come si era in un primo momento ipotizzato, può arrivare però al 61 per cento. Sicché un figlio, per un patrimonio di tre milioni, viene a pagare circa un milione e 700 mila lire, con un sacrificio gravissimo, quale lo stesso progetto ammette solo per i patrimoni elevatissimi.

Ora che il figlio debba pagare in proporzione del tributo afferente al bene ceduto è giusto, ma mi sembra troppo che egli venga a pagare il di più, perché il conteggio si fa aggiungendo il bene ceduto ai beni del padre o di tutti gli altri fratelli a cui la cessione è stata fatta.

È per diminuire questa gravezza che io ricordo che il concetto generale per cui noi accettiamo l’imposta progressiva è che essa è un’imposta anche ad aliquote alte, ma non distruttiva del patrimonio. Le aliquote alte colpiscono chi ha di più. E, per esempio, una persona molto ricca che abbia un miliardo può sopportare un’imposta di 600 milioni, perché gliene rimangono sempre altri 400. Dunque, per diminuire l’ingiustizia della situazione sopra prospettata, io propongo di ripartire il carico della maggiore imposta che viene a gravare sul cespite ceduto, secondo le proporzioni in cui il patrimonio originario è stato suddiviso.

Se il padre si tenne molto, lasciando poco ai figli, è giusto che l’imposta gravi per molto al padre, e per poco al figlio; se si fa il caso che il padre abbia ceduto tutto…

CAROLEO. Questo è già detto.

ADONNINO …ed è rimasto con poco, allora l’eventuale di più lo sopporti il figlio, che è il più ricco. Questo non è già detto. Si parla nell’emendamento due volte di proporzionale: la prima volta, si intende la parte proporzionale di tributi afferente al bene ceduto. E questo è quello che è già detto nel testo della Commissione. Ma io propongo di fare una seconda proporzione, cioè fissare il di più da pagare in quanto si tassa il cespite insieme ai beni del padre, invece che insieme ai beni del figlio e dividere questo di più proporzionalmente alla maniera in cui è stato diviso il patrimonio originario fra padre e figli. Una ingiustizia resta sempre, ma è la meno ingiusta, in quanto il carico maggiore fa carico a colui che è più ricco e non a colui che è più povero. Ecco il senso che ho creduto di raggiungere con questo emendamento.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Mi pare che qui ci sia un grande malinteso, che può facilmente considerarsi, ipotizzando il caso di un padre – caso frequente, onorevoli colleghi – che si è spogliato di tutto il suo patrimonio nei confronti dei figli. Del patrimonio di un milione, di cui ha dato ad uno centomila, all’altro duecentomila e all’altro trecentomila, paga una determinata imposta, che è conseguenza del cumulo e non del fatto di chi ha donato. È conseguenza di questa legge, che è contro i principî che abbiamo fissato nella Carta costituzionale a favore della donna, della famiglia, dei figli; ma il donante non c’entra affatto: egli si è spogliato di tutto il suo patrimonio ed è stato costretto da questa legge a pagare una certa imposta. La deve distribuire: come la distribuisce? Divide la imposta per tutto il valore del patrimonio, poi stabilisce delle unità di mille lire, di diecimila, di centomila e moltiplica le unità contenute nel valore di ciascuna quota, pel quoziente ottenuto. La proporzionale si attua aritmeticamente e si tratta soltanto di aritmetica elementare: l’imposta si distribuisce con quel criterio proporzionale che è nella legge. Può effettivamente esserci qualche inconveniente da eliminare, perché, ripeto, questa legge si è posta contro i diritti delle donne, delle mogli, dei figli, di chi ha lavorato: è la legge contro i pezzenti a favore dei signori. Potrebbe abolirsi il cumulo, per quanto ha detto l’onorevole Adonnino, perché si tratta di imposta personale che dovrebbe andare a colpire colui al quale ciascun cespite risulta intestato.

Ma, fuori di questo, non possiamo fare una politica fiscale contro il donante, perché ciò è irragionevole e non si può prescindere dall’obbligo di integrale rivalsa e dal criterio della proporzionalità, che è già nella legge.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ripeto un’osservazione che a nome della Commissione ho già fatto. Non è possibile alla Commissione, in una materia così importante, valutare gli effetti di un emendamento se non dopo una seria considerazione; e credo che questo problema si ponga per molti emendamenti tecnici. In sede di discussione generale ho anche considerato improbabile che la legge possa rimanere, nei suoi particolari tecnici, immutata. L’esperienza indicherà al Governo quali disposizioni integrative introdurre. Pregherei pertanto gli onorevoli colleghi di non abbondare in emendamenti tecnici e fermarsi alle disposizioni fondamentali della legge, a quelle, cioè, che hanno vasta incidenza, lasciando al Governo, magari con raccomandazioni e voti, di mettere allo studio la revisione di alcune norme tecniche.

Se la Commissione avesse dovuto esaminare la legge in tutti i suoi più minuti aspetti tecnici, avrebbe impiegato sei mesi per discuterla. La Commissione ha fermato la sua attenzione sugli elementi fondamentali della legge, e su essi ha deliberato.

Di fronte alle proposte dell’onorevole Condorelli e dell’onorevole Adonnino, manifesto l’avviso, a nome della Commissione, di mantenere ferma la disposizione della legge e di rimettere i loro voti e la loro formulazione al Governo per uno studio più approfondito della questione.

Dico di più. Avendo esaminato meglio il problema posto dall’onorevole Adonnino, ho dovuto concludere nel senso indicato dalla regge. Se il donante ha stabilito un certo rapporto tra il patrimonio di un figlio e quello dell’altro, la legge non può modificare questo rapporto applicando un suo principio di progressività.

Mi spiego meglio. Se per esempio abbiamo un patrimonio d’un miliardo e una tassazione del 50 per cento, il patrimonio di un figlio che ammonti a cento milioni viene ridotto a cinquanta per il fatto della quota proporzionale, e il patrimonio di un altro figlio, di trecento milioni, viene ridotto a centocinquanta. Il rapporto fra cinquanta e centocinquanta dopo il pagamento dell’imposta è uguale al rapporto fra cento e trecento. E siccome la volontà originaria del donante era di dare cento a un figlio e trecento a un altro, dopo l’applicazione dell’imposta, il rapporto rimane il medesimo. La disposizione di legge, così come è congegnata, rispetta cioè la volontà del testatore o del donante.

PRESIDENTE. Invito il Ministro delle finanze ad esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Relatore ha postulato nell’applicazione della legge delle successive approssimazioni. Mi sembra che, effettivamente, per questa imposta stia verificandosi un fenomeno del genere. Il Governo ha emanato un decreto, che si riteneva fosse il meno imperfetto possibile.

Siamo dinanzi all’Assemblea per perfezionare il decreto governativo, attraverso una prima approssimazione.

L’onorevole La Malfa pensa che, forse, una successiva approssimazione potrebbe apportare altri miglioramenti.

Non nego che questo, da un punto di vista pratico, possa essere un concetto fecondo di ottimi risultati, anche perché si potrebbe tener conto delle prime esperienze, nonché delle critiche rivolte alla formulazione adottata dall’Assemblea.

D’altra parte, un sistema siffatto non sarebbe una novità, perché, anche per la vecchia imposta del 1° gennaio 1920, si è verificata una successione di testi legislativi che vanno da quello del 24 novembre 1919 a quello del 22 aprile 1920, per giungere a quello definitivo, pubblicato a distanza di due anni, il 5 febbraio 1922.

Se l’onorevole Relatore convenisse nel punto di vista che ho espresso, il Governo si farebbe carico di promuovere a tempo opportuno un nuovo strumento legislativo, che dovrebbe costituire uni perfezionamento dì quello anteriore. Tutto questo potrebbe sveltire le nostre discussioni; e, infatti, pur non essendo minimamente mio intendimento di contribuire a strozzare comunque la discussione, devo tuttavia considerare che, applicando una regola di proporzionalità del tipo di quella dell’ultimo comma dell’articolo che stiamo discutendo, arriveremmo a finire la discussione di questo schema di legge forse fra qualche mese.

Se l’Assemblea ritiene opportuno di sveltire la discussione, abbandonando alcune questioni di dettaglio e facendo carico al Governo di riesaminare le questioni stesse e di proporre un successivo provvedimento, il Governo non può non essere d’accordo.

Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Adonnino, credo che, tutto sommato, non convenga complicare la regola di applicazione della rivalsa.

L’onorevole Adonnino, in sostanza, propone di dividere in due parti la somma, alla quale la rivalsa si riferisce; cioè: una prima parte che tenga conto della capacità contributiva del cumulato e una seconda che sia in relazione alla capacità contributiva del cumulante.

A prescindere da qualsiasi considerazione sulla bontà della soluzione proposta (e potrebbero essere considerazioni di ordine adesivo), penso non sia il caso di complicare il sistema, anche perché ci troviamo nell’orbita di un quadro strettamente familiare, in cui grosse questioni non dovrebbero nascere se non in casi veramente eccezionali.

D’altra parte, il cumulo opera essenzialmente là dove si sono effettuati trasferimenti a titolo gratuito, e perciò si può sostenere che non rappresenta un grave sacrificio per il donatario sopportare una rivalsa di imposta secondo la capacità contributiva del donante.

Per quanto riguarda i trasferimenti a titolo oneroso, il cumulo si fa quando non è possibile dare la dimostrazione del reimpiego di beni posseduti prima. Mi augurerai che questa prova sia veramente idonea ad escludere dal cumulo tutti i cespiti che sarebbe ingiusto di farvi rientrare. Ritengo perciò di aderire alla preghiera del relatore in ordine all’emendamento Adonnino.

Se, in ipotesi, l’Assemblea approvasse l’emendamento medesimo, pregherei di modificarne la stesura, in quanto dicendo che la quota proporzionale di imposta eccedente i beni ceduti farà carico all’intestatario, si può pensare che venga a cambiare il soggetto d’imposta di fronte alla amministrazione finanziaria, e questo francamente non potrei desiderarlo.

Perciò, se l’emendamento fosse approvato, nonostante il parere contrario del Relatore e del Governo, pregherei modificarne la formulazione in modo che non vi sia dubbio sul suo contenuto.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni del relatore della Commissione e del Governo, chiedo all’onorevole Adonnino se insiste nel suo emendamento.

ADONNINO. Vi insisto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. I miei emendamenti sono due, o meglio il mio emendamento è duplice: uno riflette il problema che ha illustrato l’onorevole Adonnino; l’altro un problema connesso.

Ho proposto l’aggiunta di un comma che dovrebbe precedere l’ultimo comma, in modo che la formulazione definitiva sarebbe la seguente: «Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti del primo cedente».

Mi sembra evidente che si debba necessariamente far così, perché, se il padre, invece di donare o vendere ad un figlio, prima del 28 marzo 1947, avesse venduto a dei terzi, nessuno avrebbe potuto parlare di frode domestica alla legge. Se hanno venduto i figli, cioè i cessionari, evidentemente questi beni sono usciti dal patrimonio cumulabile prima del 28 marzo 1947 e non mi pare che, in questo caso, si dovrebbe operare il cumulo. Il mio emendamento è reso necessario da una inesatta formulazione del comma terzo dell’articolo 3, dove si dice: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti…». Bisognava dire, come si era detto per la moglie: «si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni posseduti dai discendenti, che siano stati loro ceduti dagli ascendenti». Difatti è evidente che, se questi beni non sono più nell’ambito della famiglia, o che li abbia venduti l’originario cedente, o che li abbia venduti il supposto prestanome, il risultato è sempre quello: sono usciti dall’ambito del patrimonio familiare e non possono, dunque, essere cumulati. Questa è certamente una omissione alla quale dobbiamo riparare.

Vi è poi il secondo punto dell’emendamento che riflette, come dicevo, il problema sollevato ieri, molto opportunamente, dall’onorevole Adonnino. Che il problema ci sia non c’è dubbio; è vero che nelle leggi finanziarie opera quella che da alcuni è stata detta la brutalità fiscale; è la spada dello Stato che cade, obbedendo a necessità pubbliche, e cade come cade. Qui però non sono gli interessi dello Stato che noi regoliamo, perché gli interessi dello Stato sono fuori discussione. Qui noi poniamo una norma di diritto privato sostanziale, che regola le rivalse tra le persone private. Noi, perciò, non possiamo essere così sommari. È un problema delicato di giustizia, che è tanto più delicato in quanto si pone nell’ambito della famiglia. I problemi di giustizia vanno risolti con la massima delicatezza, per evitare proprio quelle liti che non debbono verificarsi, soprattutto in quegli ambienti. Noi abbiamo il dovere di presentare una legge che tra gli altri mali necessari, non ne produca altri che non sono necessari, cioè di far scoppiare liti nell’ambito della famiglia. Se noi volessimo ricorrere ad un accorgimento opportuno, potremmo addirittura sopprimere questo comma dell’articolo ed occuparci in altra fase della legge – che potrebbe essere anche alla fine di questa legge o in provvedimento aggiunto – di questo problema.

Ma fissare qui una norma che è certamente ingiusta – e non vi è nemmeno bisognò di dimostrare che è ingiusta – non mi sembra assolutamente opportuno.

Vi dico anche che non appena tutto questo apparato fiscale dovrà funzionare, i rapporti fra i privati devono essere ben guardati, perché qui ci saranno delle persone (gli ascendenti) che dovranno sborsare somme ingenti, e che devono avere la possibilità di recuperare immediatamente da chi di ragione le somme che devono sborsare. Noi non possiamo fare una legge che vada in vigore successivamente; noi dobbiamo mettere i contribuenti nella possibilità di ottenere la rivalsa quasi con la stessa rapidità con cui lo Stato potrà ottenere il pagamento.

Si rifletta, dunque, sul problema.

A me pare che la soluzione dell’onorevole Adonnino sia perfetta e sia la più rispondente ad una giustizia scrupolosa.

Penso che si potrebbe votare oggi e, per facilitare la votazione, rinuncio ai miei emendamenti, per aderire a quello dell’onorevole Adonnino. Ma se il Governo e se la Commissione avessero delle perplessità, sopprimiamolo pure questo comma dell’articolo e rinviamo l’esame ad altro momento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore.

LA MALFA, Relatore. Se gli onorevoli Condorelli e Adonnino insistono, la Commissione deve chiedere 24 ore di tempo per esaminare e decidere.

CONDORELLI. La mia, in sostanza, è una proposta sospensiva.

LA MALFA, Relatore. Sarei d’avviso che sia opportuno sospendere l’approvazione dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora, si può sospendere l’approvazione di questo articolo con i relativi emendamenti, perché la Commissione chiede 24 ore di tempo per pronunciarsi sul comma in questione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Poiché si rinvia, io vorrei pregare la Commissione di porre mente ad un’altra difficoltà che potrebbe insorgere nell’applicazione di questo articolo 3.

Questo articolo 3, nei rapporti fra ascendenti e discendenti, ha una parte che è assistita da una presunzione juris et de jure, quella che riguarda i trasferimenti avvenuti a titolo gratuito, ed un’altra parte che è assistita da una presunzione juris tantum, riguardante i trasferimenti avvenuti a titolo oneroso. Per questi trasferimenti avvenuti a titolo oneroso, è consentito alla parte interessata di dare la dimostrazione che essi non sono stati ceduti in modo da poter essere colpiti in nome del cedente. Il quesito che mi pongo è questo: l’articolo dice che si considerano facenti parte del patrimonio anche i beni ceduti. Quindi, questa iscrizione al nome del cedente, può avvenire di ufficio, ed il cedente avrà sempre il diritto di dare la dimostrazione contraria. Ma quando dovrà dare questa dimostrazione? Può darla preventivamente se è avvertito in tempo, quando cioè gli viene fatta questa contestazione; se la contestazione è avvenuta senza contraddittorio, senza cioè che il cedente lo sapesse, avrà tempo di dirlo dopo. Ma quando egli lo dice dopo viene a ferire la valutazione che è già stata iscritta a ruolo, mediante il corrispondente carico dell’imposta.

Vorrei che la Commissione, esaminando l’articolo, esaminasse anche il punto in questione, quello cioè fare in modo che la chiarificazione sull’appartenenza del patrimonio all’una o all’altra persona avvenga in sede preventiva di istruttoria, sicché, una volta fatto l’accertamento, il fisco non sia obbligato a ritornare sull’accertamento stesso.

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione, avendo 24 ore di tempo per decidere sul comma in questione, potrebbe convocare i presentatori di emendamenti per combinare insieme con essi il testo definitivo, che potrebbe essere messo ai voti domani.

Propongo intanto che la discussione su questo articolo sia rinviata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I beni indivisi sono ripartiti, agli effetti dell’imposta straordinaria, nelle quote spettanti ai singoli aventi diritto, secondo il disposto dell’articolo 1101 del Codice civile.

«Il patrimonio costituito da beni dotali è considerato di spettanza della moglie».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 5. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato dall’onorevole De Vita il seguente emendamento aggiuntivo:

«Aggiungere il seguente comma:

«In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

L’onorevole De Vita ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

DE VITA. L’emendamento è di per sé chiaro. Ritengo giusto che siano osservate le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, come è previsto dall’articolo 5, ma ritengo altresì giusto che, in ogni caso, i beni posseduti all’estero dai cittadini italiani siano considerati come facenti parte del loro patrimonio ai fini, almeno, della determinazione dell’aliquota,

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che l’onorevole De Vita abbia già spiegato sufficientemente il suo concetto. Egli propone che i beni esistenti all’estero siano computati ai fini della determinazione dell’aliquota. Il concetto si potrebbe accettare. Naturalmente qualora il cittadino – in caso di doppia imposizione – abbia pagato una imposta doppia, bisognerebbe decurtare l’imposta di ciò che è stato pagato all’estero.

SCOCA. Ma chi fa l’accertamento?

LA MALFA, Relatore. Che questi valori siano accertabili, lo dice la stessa legge. Non si può fare l’obiezione che non siano accertabili questi valori all’estero, quando il fisco ne prevede l’accertamento. Se la disposizione di legge dice questo, vuol dire che l’accertamento è possibile. L’esenzione di questi beni residenti all’estero è quindi data soltanto nel caso della doppia imposizione. Sorge allora la questione, sollevata molto sottilmente dall’onorevole De Vita, ossia quale aliquota debba applicarsi a questo patrimonio.

Se effettivamente questi valori sono accertati, si dovrebbe applicare una aliquota diversa, salvo però il caso – che l’onorevole De Vita non ha previsto – in cui il cittadino italiano abbia pagato anche una imposta all’estero, nel qual caso si dovrebbe decurtare di questa imposta. L’emendamento dell’onorevole De Vita può essere pertanto accettato con questa modifica.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desideravo chiedere all’onorevole De Vita se quella frase «in ogni caso» si riferisce all’imposta di cui al primo capoverso o anche a quella di cui al secondo.

DE VITA. Si riferisce anche al caso della seconda imposizione, ed in ogni modo si riferisce al cittadino.

VANONI. Io faccio una domanda precisa: il primo capoverso accenna alla posizione del cittadino straniero o italiano residente all’estero il quale abbia beni in Italia; il secondo invece contempla l’ipotesi di un cittadino italiano residente in Italia che abbia beni all’estero. Sorge pertanto il dubbio se quell’«in ogni caso» si riferisce soltanto all’ipotesi prevista nel primo capoverso o anche a quella prevista nel secondo.

DE VITA. No, si riferisce al cittadino.

VANONI. Bisognerebbe quindi usare un’espressione diversa?

Mi pare poi che l’opportunità di deduzione non si ponga nel caso specifico. Dice infatti l’onorevole De Vita che noi dobbiamo, su cento ipotetici milioni che sono in Italia, nel caso in cui i cento milioni che sono all’estero non siano assoggettabili all’imposta in Italia, applicare non già l’aliquota corrispondente ai cento milioni, ma quella corrispondente ai duecento milioni. È dunque un puro problema di aliquota, non un problema di duplicazione d’imposta. È infatti sui cento milioni accertati in Italia che si chiede di applicare l’aliquota corrispondente al patrimonio complessivo dei duecento milioni.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Desidero osservare che il regime che viene adottato per i beni dei cittadini italiani esistenti all’estero, secondo il progetto di legge, è questo: o sono tassati all’estero e allora sono esclusi dalla tassazione in Italia, o non sono tassati all’estero e allora sono tassati in Italia. Ora, nella seconda ipotesi, quando cioè non sono tassati all’estero, sono computati in Italia e quindi sono conglobati ai fini dell’applicazione dell’aliquota.

Il problema quindi non sorge; il problema sorgerebbe invece nel caso in cui i beni del cittadino italiano fossero tassati all’estero; ma in questo caso, non pare equo che questi beni debbano essere sempre computati in Italia, sia pure ai fini del calcolo dell’aliquota, poiché, essendo tassati all’estero, può anche darsi che lo siano in una misura superiore a quella esistente in Italia. Vi è quanto meno la possibilità che si incorra in un aggravamento di tassazione o in una violazione di accordi internazionali sulle doppie imposizioni.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare, circa quanto ha detto l’onorevole Scoca, che non si tratta di sottoporre tutto il patrimonio all’imposta straordinaria in Italia. Si tratta di sommare i due tronconi del patrimonio, di cui uno si trova in Italia e l’altro all’estero, ai fini della determinazione dell’aliquota, per assicurare la progressività dell’imposta. L’imposta in realtà si applica soltanto sul patrimonio che esiste in Italia.

Mi pare quindi che nessuna discussione si possa fare a questo proposito e che si debba senz’altro accettare l’emendamento proposto dall’onorevole De Vita.

L’altro punto è quello cui accennava poc’anzi l’onorevole La Malfa, che si dovrebbe cioè tener conto dell’imposta pagata all’estero. Mi pare che non si possa fare questo ragionamento, perché una volta che l’imposta è pagata all’estero, il patrimonio è decurtato di altrettanto e nell’accertamento si rileverà che il patrimonio, che era di un milione, è diventato di trecentomila lire in seguito al pagamento di un’imposta all’estero; e quindi si farà il cumulo di quello che residua del patrimonio all’estero e quello che è il patrimonio in Italia, al semplice fine – ripeto – della determinazione dell’aliquota. Quindi, non credo ci debbano essere delle difficoltà.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Desidero rispondere all’osservazione dell’onorevole Dugoni. Le aliquote sono state determinate in funzione di uno scopo, sono stati previsti, perciò, i patrimoni dei singoli cittadini e la gravità dell’imposta che deve incidere su di essi. Accettando la tesi dell’onorevole Dugoni, che è la tesi del collega De Vita, si avrebbe questo inconveniente: di non sapere con quali criteri sono tassati all’estero i primi tronconi. Perciò l’effetto dell’imposta, che per noi è stata studiata relativamente a tutto il patrimonio dell’individuo, subisce una variazione in funzione di quello che può essere stato il criterio accertatore dello Stato estero sul primo troncone rimasto all’estero. Quindi può accadere, ad esempio, che, se per un caso, all’estero è stata applicata l’imposta del cinquanta per cento sul primo troncone e noi sommiamo il 60-61 per cento sulla somma totale, veniamo a portar via tutto il patrimonio.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Prego l’Assemblea di voler guardare al profilo della questione che è questo: noi veniamo a fare un trattamento peggiore al cittadino italiano che, pur essendosi trasferito all’estero, ha voluto conservare la cittadinanza italiana, mentre quegli italiani che si sono trasferiti all’estero e hanno accettato, o chiesto la cittadinanza straniera, verrebbero ad essere privilegiati. Mi pare che l’Assemblea Costituente italiana non possa assolutamente adottare un principio di questo genere.

DUGONI. Ma è detto «il cittadino italiano residente in Italia», onorevole Condorelli.

CONDORELLI. No, l’emendamento si riferisce tanto al cittadino quanto allo straniero sul patrimonio esistente nello Stato.

DUGONI. Ma no.

CONDORELLI. Anzi, per l’emendamento De Vita, è stato domandato se si deve applicare allo straniero.

DUGONI. Ed è stato risposto di no.

CONDORELLI. Allo straniero non si deve applicare. Dunque, è chiaro che l’italiano che abbia acquistato la cittadinanza estera verrebbe ad essere trattato meglio del cittadino italiano che è stato geloso della sua nazionalità.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desideravo solo far presente un’osservazione. Ho l’impressione che si stiano confondendo cose molto semplici e che si dimentichi quello che è il criterio di razionalità dell’imposta. Facciamo un esempio concreto: un tale possiede un patrimonio di duecento milioni: cento milioni in Italia e cento milioni all’estero.

In Italia ed all’estero vi è un’imposta straordinaria progressiva. Se io considero in Italia – e il legislatore estero all’estero – solo il patrimonio che risiede nel territorio, in definitiva chi possiede un patrimonio di 200 milioni paga l’aliquota di chi possiede il patrimonio di 100 milioni.

Questo dimostra l’irrazionalità delle osservazioni fatte ed è quindi giusta la proposta dell’onorevole De Vita.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze ad esprimere il proprio pensiero.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Vita, sarei tentato di dichiarare che il Governo l’accetta, perché comporta una soluzione elegante la quale potrebbe trovare applicazione anche in altri casi, principalmente quando una imposta reale interferisca con un’imposta personale e si debba stabilire il trattamento di cespiti dichiarati esenti ai fini di imposte reali, che facciano parte però di un patrimonio da assoggettare ad imposta personale.

Mi preoccupano, però, le pratiche conseguenze dell’emendamento. Esso non potrebbe – credo – portare gran vantaggio e, probabilmente, creerebbe un lavoro notevole all’Amministrazione qualora questa volesse darsi carico di un’effettiva applicazione della disposizione contenuta in questo emendamento.

Ed è unicamente sotto questo profilo nettamente empirico che non do parere favorevole all’emendamento stesso.

Vorrei rivendicare un po’ il diritto anche al Governo di complicare la discussione, presentando a mia volta tre emendamenti all’articolo 5.

Il primo emendamento riguarda il secondo comma, fermo restando che il Governo accetta il testo della Commissione. Occorre osservare che la formula finale: «salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni» può essere insufficiente a raggiungere il risultato prefìsso. Cioè, se facciamo l’ipotesi che un altro Stato estero applichi un’imposta straordinaria sul patrimonio, la posizione di fatto è nettamente configurata; allora entra in giuoco il sistema delle norme relative alle doppie imposizioni. Ma la imposta straordinaria sul patrimonio non è un tributo molto diffuso negli altri Stati. Può darsi che alcuni Stati adottino altre forme di imposizione che, pur avendo carattere di straordinarietà e pur incidendo sopra quei cespiti a cui noi vogliamo avere riguardo, non abbiano una veste specifica di imposta straordinaria sul patrimonio.

Ed è per questo che io presento alla Presidenza un primo emendamento con cui il Governo suggerisce di aggiungere, dopo le parole: «contro le doppie imposizioni», le parole: «derivanti da tributi di carattere eccezionale».

Fissato il principio della eventuale esenzione di beni esistenti all’estero in applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione, dobbiamo considerare la posizione di società azionarie le quali hanno cespiti patrimoniali esistenti all’estero, che potrebbero sottrarsi alla imposta per le regole relative alle doppie imposizioni.

Si propone quindi un terzo comma del seguente tenore:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalla società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari ai sensi del comma precedente».

Da ultimo, sono stati completamente dimenticati i beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazione diversa da quella italiana. Sarebbe assurdo di considerare tali beni alla stregua di cespiti pienamente tassabili, in quanto non si sa con esattezza quale sorte, in definitiva, essi potranno avere.

Non sarebbe nemmeno giusto il trascurarli completamente. Per questo presento un terzo emendamento che dice:

«I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e zone metropolitane sotto amministrazioni diverse da quella italiana devono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuova disposizione, a formare il patrimonio imponibile».

Cioè dovrebbe esistere l’obbligo di dichiararli, rinviando a nuove disposizioni il regime di tassazione, per attendere che si creino le condizioni di fatto e di diritto necessarie per stabilire l’assoggettabilità o meno all’imposta di tali beni. (Commenti).

PRESIDENTE. Evidentemente, con questi emendamenti presentati, noi ci rimettiamo a fare il testo della legge, e non credo che la Commissione sia in grado di seguire il lavoro in questo modo.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente la Commissione non è in grado di dire il suo parere.

PRESIDENTE. Potremmo passare all’articolo 5, sospendendo l’approvazione anche di questo articolo 4. Ma intanto desidero conoscere dal Governo se intende proporre altri emendamenti al testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il primo dei successivi emendamenti sarà all’articolo 17.

PRESIDENTE. E allora sarà opportuno che il Governo presenti tutti i suoi emendamenti alla Commissione, in modo che questa possa studiarli e riferire all’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Io insisto nel fare presente che non è possibile continuare nell’esame della legge con questo sistema. Insisto perché si studi un provvedimento integrativo, portando tutti gli emendamenti alla Commissione. Ma intanto bisogna andare avanti nell’esame della legge, anche se essa non è ancora perfetta.

Pregherei dunque l’Assemblea di limitarsi alla discussione dei principî fondamentali della legge, e se siamo d’accordo su di essi, di mandare avanti la legge, salvo dopo qualche mese ad emanare un provvedimento integrativo tenendo conto delle modifiche che nel frattempo si saranno potute elaborare. L’Assemblea non può dimenticare che il termine dell’applicazione della legge, termine già prorogato, scade il 31 luglio.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi associo al pensiero espresso dal Relatore circa la procedura da seguire per l’applicazione di questa legge.

Noi dovremmo qui fermarci ai punti che possono formare oggetto di discussione sui criteri politici, o sui criteri fondamentali della legge. Potremmo poi pregare la Commissione e il Governo di considerare tutti gli emendamenti di carattere tecnico come raccomandazioni per un provvedimento integrativo che il Governo potrà o emanare per conto proprio, come ne ha la facoltà, o sottoporre all’approvazione dell’Assemblea in un secondo tempo. Altrimenti andremo avanti per tutto il mese di agosto e non finiremo mai.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Dissento dall’onorevole Corbino e dal Relatore. Mi permetto di Sottoporre all’Assemblea la gravità della materia che abbiamo dinanzi: gravità per lo Stato ed anche per i singoli cittadini. Vorrei ricordare che quando si discuteva la pena di morte, a chi diceva: «ma come riparerete voi a un errore giudiziario?» si rispondeva: questi sono piccoli inconvenienti della vita comune. E l’onorevole Ferri osservava: «fare questi ragionamenti sulla pelle degli altri, è comodo». Anche nel caso nostro, può essere comodo dire: limitiamoci a deliberare i concetti generali e non perdiamo tempo nei particolari. Ma qui si tratta di gravi interessi dei cittadini. Ed anche dell’interesse dello Stato, il quale non può tendere a stremare i cittadini. Dunque io credo che sia dovere e diritto nostro di discutere la legge in tutti i suoi particolari. D’altra parte, non è una legge tanto ponderosa, per la quale si possa dire che saremo occupati tre mesi. Io credo che con questo accorgimento adottato oggi, per cui, quando sorge una questione si può rinviare di un giorno o due il punto su cui la questione sorge, andando avanti negli altri punti della legge, invece di stare quattro giorni staremo otto giorni, ma non potrà essere troppo lungo il periodo del nostro lavoro. Anche se perciò si dovesse protrarre di qualche giorno il termine per la denuncia, ciò non sarà gran male. Ma io mi permetto ancora di far presente agli onorevoli colleghi che hanno fatto quella proposta, e a tutta l’Assemblea, che la questione è altrettanto grave quanto quella della Costituzione che stiamo studiando. Abbiamo il dovere di adoperare la massima coscienza e precisione.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. A me sembra alquanto strana la procedura seguita dal Governo. Secondo questa procedura, l’Assemblea verrebbe a trovarsi, nell’esame dei singoli articoli, dinanzi a proposte presentate dal Governo seduta stante. Per Queste considerazioni mi associo agli onorevoli La Malfa e Corbino.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dissento dall’opinione manifestata dall’onorevole Corbino e da altri, che si possa ovviare agli inconvenienti denunciati mediante un provvedimento a venire che si chiamerà «provvedimento integrativo». Mi permetto di rappresentare all’Assemblea la grandissima gravità di una decisione di questo genere, la quale in pratica significherà l’arresto degli uffici fiscali: perché gli uffici finanziari, che sono chiamati ad applicare l’imposta, quando sapranno che questo provvedimento non è completo e che dovrà essere integrato non faranno più niente e diranno: attendiamo le nuove istruzioni.

Ora, abbiamo bisogno di un provvedimento concreto, definitivo, anche se non perfetto: naturalmente, nulla vieta che possa venire dopo un altro provvedimento. Ma il dire fin d’ora che approviamo un provvedimento che dovrà essere integrato da un altro provvedimento, mi sembra significhi l’arresto della macchina fiscale, mentre abbiamo bisogno invece che essa proceda rapidamente. Quindi ritengo che sia giusto quanto ha espresso il Presidente dell’Assemblea, che cioè gli emendamenti – specie quelli proposti dal Ministro delle finanze a tutti gli articoli – se sono pronti, siano passati alla Commissione, la quale in due o tre giorni avrà tempo di esaminarli e, man mano che verranno in esame gli articoli, sarà in grado di dire il suo pensiero e d’istruire l’Assemblea. Tanto meglio se questi saranno conosciuti anche dall’Assemblea: ciascuno di noi sarà preparato a discutere l’articolo a cui l’emendamento si riferisce e così noi giungeremo in porto non con una legge perfetta, ma con una legge completa nella massima misura possibile. Quindi ritengo che si debba procedere nella discussione del progetto di legge, senza rinviare, per una eventuale integrazione della legge che stiamo per approvare, ad un provvedimento di là da venire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. Mi si permetta di concludere. Forse i colleghi non si rendono conto dell’imbarazzo in cui ci troviamo. In questa materia un emendamento non può essere sempre rapidamente valutato in tutte le sue possibili conseguenze e quindi noi abbiamo bisogno di qualche tempo per studiarlo e per metterci d’accordo col Governo.

Noi abbiamo già rinviato la decisione su molti articoli, rischiamo di rinviare tutti gli articoli all’esame della Commissione. Dovete tener conto delle condizioni in cui lavora l’Assemblea e in cui lavorano le Commissioni. D’altra parte la macchina fiscale non si può arrestare, essa è già in funzione su questo decreto.

Non è possibile che una imposta così complessa sia messa a punto in poco tempo. Giorno per giorno sorgeranno nuovi casi. Si tratta di non commettere errori fondamentali, ma anche di non soffermarsi troppo su problemi particolari, rischiando di peggiorare la legge.

Per esempio, l’emendamento dell’onorevole De Vita sembra nel complesso giusto; ma tutti i prevedibili effetti di questo emendamento non possono essere immediatamente valutati. Rischiamo di approvare un emendamento senza prevederne tutti gli effetti.

PRESIDENTE. Mi sembra di poter concludere così: Vi sono due correnti, una sostenuta dall’onorevole La Malfa e dall’onorevole Corbino, per la quale con provvedimenti integrativi dovrebbe provvedersi a tutto quanto la legge non ha potuto prevedere; l’altra, della quale si è fatto esponente l’onorevole Bertone, la quale, considerata la importanza del problema, sostiene la necessità di una soluzione ponderata. Penso che se si continua a discutere sugli emendamenti proposti e su quelli che potessero aggiungersi da un momento all’altro, si perderebbe troppo tempo, e chiedo all’Assemblea se non ritenga opportuno che la Commissione esamini, insieme con il Governo, gli emendamenti presentati dal Governo stesso e dagli onorevoli deputati, rinviando il seguito di questa discussione. (Commenti).

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Il Regolamento ammette che con dieci firme si possa presentare qualsiasi emendamento anche all’ultimo momento. Vorrei fare la proposta che coloro che intendono presentare emendamenti lo facciano subito, in modo che quando la Commissione si sarà riunita per esaminare a fondo il problema, non debba temere che poi sopravvengano ulteriori emendamenti.

PRESIDENTE. Ho già rivolto ai colleghi questa raccomandazione.

Ora però bisogna decidere su un altro punto; quando cioè l’Assemblea dovrà riunirsi per continuare la discussione.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Faccio la proposta formale di continuare la discussione perché in tutte le leggi e quindi anche in questa, ci sono dei punti senza aver risolto i quali non si può andare avanti, ma ci sono dei punti che si possono accantonare e risolvere domani o posdomani. Per esempio, il punto sul quale ora discutiamo credo si possa accantonare e andare avanti con l’articolo successivo. Questo mi pare possa essere il sistema da seguire per non perdere troppo tempo e insieme per dar modo di presentare tutti gli emendamenti che si ritengano opportuni.

Ritengo che non si possa vietare ad alcuno, se vogliamo lavorare con coscienza, di fare nuove proposte anche all’ultimo momento, perché proprio allora possono sorgere – dalla discussione – le migliori idee.

PRESIDENTE. D’accordo, ma questo dovrebbe accadere in via eccezionale.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Faccio presente che, per parte mia, ho presentato l’emendamento in tempo debito e chiedo quindi all’Assemblea se ritiene opportuno di passare alla votazione del mio emendamento regolarmente presentato nei modi e nei termini previsti dal Regolamento.

PRESIDENTE. Ma non è in discussione la regolarità della presentazione; è l’accordo della Commissione con il Governo!

DE VITA. Faccio formale richiesta all’Assemblea di pronunciarsi sulla mia proposta.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’Assemblea mi permetta di esprimere il mio senso di sconcerto davanti alla fatale lentezza con cui i lavori finiscono per procedere.

Passando da accantonamento ad accantonamento siamo arrivati a questo risultato: che sono stati approvati soltanto gli articoli ai quali non erano stati proposti emendamenti.

L’articolo 2, per la questione degli enti collettivi, l’abbiamo accantonato, e non per colpa del Governo.

L’articolo 3 è stato accantonato perché, non si trova la formula da inserire nell’ultimo comma, e anche questo non per colpa del Governo.

L’articolo 5 vorremmo accantonarlo, e qui forse la colpa si ripartisce fra Assemblea e Governo…

Non so se questo metodo del rinvio ci permetterà di arrivare a risultati solleciti e concreti.

Naturalmente, la formula per la futura disciplina dei lavori non può che essere di competenza dell’Assemblea. Segnalo però la gravità di una situazione che va delineandosi. Per la prosecuzione dei lavori, evidentemente, io non ho che da rimettermi a quello che decide la Presidenza. Mi si permetta, però, di osservare che lunedì mattina difficilmente sarà presente un numero tale di deputati che possano contribuire efficacemente alla discussione.

Non sarebbe il caso di invertire l’ordine del giorno per lunedì? Senza sminuire di importanza le interrogazioni, molte hanno carattere eminentemente locale, ovvero nettamente specifico, ed allora esse potrebbero essere discusse al mattino, riservando la patrimoniale alla seduta pomeridiana.

In questo senso, rivolgo, quindi, una proposta alla Presidenza: se lunedì si dovrà discutere, come mi sembra opportuno, la imposta patrimoniale, chiedo che essa sia discussa nella seduta pomeridiana. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Mi pare che si possa venire ad una decisione. Il Presidente della Commissione ha fatto sapere che la Commissione è disposta a dare subito il suo parere sugli emendamenti agli articoli, e che si può passare anche alle votazioni. Stando così le cose, evidentemente possiamo continuare il nostro lavoro oggi ed anche domani, senza che si presenti la necessità di uno spostamento o di un rinvio delle interrogazioni fissate lunedì.

Procediamo allora nell’esame degli emendamenti all’articolo 5. Comunico all’Assemblea che il Governo propone di aggiungere, dopo le parole «doppie imposizioni», le altre: «derivanti da tributi di carattere eccezionale». Prego la Commissione di esprimere il suo parere in merito all’emendamento proposto dal Governo.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non accetta l’emendamento, perché ne ritiene il principio implicito alla legge.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ritira l’emendamento, prendendo atto dell’affermazione del Relatore che il suo contenuto è implicito nello spirito della norma.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole De Vita, di cui ricordo la formulazione: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

DE VITA. Chiedo di parlare per dare un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, onorevole De Vita, ma si ricordi che ella ha già svolto il suo emendamento.

DE VITA. Il chiarimento è questo: invece di aggiungere un altro comma, si potrebbe emendare l’ultimo comma nel senso da me proposto, senza fare nessun’altra modificazione.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetterebbe l’emendamento De Vita così modificato:

«I beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai soli fini della aliquota».

CORBINO. Io direi: «della determinazione dell’aliquota».

LA MALFA, Relatore. Accetto la modifica.

DE VITA. Bisogna mantenere l’espressione: «in ogni caso». Se si mantiene questa espressione, posso anche aderire alla formula della Commissione.

SICIGNANO. Prego la Commissione di accettare integralmente il testo dell’onorevole De Vita.

LA MALFA, Relatore. Se l’onorevole De Vita accetta le altre modificazioni proposte, la Commissione aderisce, accettando la frase: «in ogni caso».

DE VITA. Accetto le altre modifiche della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il nuovo testo concordato dell’emendamento: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

(È approvato).

Vi è ora la proposta del Governo, di aggiungere un terzo comma così formulato: «Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia, si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalle società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari, ai sensi del comma precedente».

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Io faccio una domanda: è possibile che noi ci mettiamo a discutere un emendamento del Governo, senza che l’Assemblea lo conosca in precedenza? L’emendamento deve essere prima stampato e distribuito, perché possa essere esaminato.

PRESIDENTE. Trattandosi di emendamenti aggiuntivi, possono anche essere approvati in un secondo momento, dopo essere stati stampati e distribuiti.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome l’emendamento si ricollega alla questione della tassazione degli enti collettivi, esso può essere accantonato e discusso quando si parlerà di tale questione.

PRESIDENTE. Resta inteso allora, che questi emendamenti saranno stampati e distribuiti, e discussi in un secondo tempo.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. C’è un altro emendamento del Governo, riguardante i beni residenti nei territori coloniali. Su questo si potrebbe discutere anche ora.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento è così formulato: «I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazioni diverse da quella italiana, debbono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuove diposizioni, a formare il patrimonio imponibile».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Ha perfettamente ragione l’onorevole Veroni, ed hanno egualmente ragione quei colleghi che sostengono l’opportunità di distribuire gli emendamenti prima che essi siano posti in discussione.

In questo senso il Governo si impegna per il futuro, invocando, però, un trattamento di reciprocità! Per quanto riguarda gli emendamenti governativi, essi saranno tutti consegnati entro brevissimo tempo alla Commissione competente e alla Presidenza dell’Assemblea.

La portata di questo emendamento non ha bisogno di molte illustrazioni; vi sono dei beni di cittadini italiani nelle colonie e nei possedimenti sotto amministrazioni diverse dalla nostra.

La sorte definitiva di questi beni è incerta; comprenderli nel patrimonio tassabile sarebbe evidentemente ingiusto.

D’altra parte, sarebbe pericoloso dimenticarli o comunque trascurarli, anche perché la loro sistemazione definitiva nel quadro internazionale potrebbe farsi attendere parecchio tempo: ed a mano a mano che ci allontaniamo dal 28 marzo 1947 può essere difficile il loro reperimento.

Perciò l’emendamento propone l’obbligo di dichiarare tali beni e di non tenerne conto per il momento nella determinazione del patrimonio tassato.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ci sono dei beni di cittadini italiani residenti in Italia ma che sono situati in paesi nei quali, rispetto alla situazione del Trattato di pace, i cittadini corrono il rischio di una espropriazione più o meno totale. Quale sarà il modo con cui ci regoleremo? Una risoluzione esplicita è evidente che non la possiamo adottare; ma è bene comunque che si ponga il problema, perché una disposizione con riserva mi pare che si potrebbe prendere.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi sembra che la preoccupazione dell’onorevole Corbino non abbia ragione di essere perché, se ho ben compreso il chiarimento del Ministro delle finanze, la dichiarazione viene fatta a fine puramente informativo, non già a quello dell’imposizione di una tassa; viene fatto al fine soltanto di un accertamento e ciò mi sembra sia utile. La tassazione verrà più tardi.

CORBINO. Ma io non mi riferisco a beni nelle colonie, ma ai beni italiani in Europa.

BERTONE. Ma è la stessa cosa.

PELLA, Ministro delle finanze. Posso assicurare l’onorevole Corbino, il quale vorrà comprendere le ragioni per le quali il Governo, illustrando l’emendamento, si è limitato a mettere l’accento sui beni esistenti nelle colonie, che l’emendamento stesso comprende anche i casi da lui accennati, perché parla di beni esistenti nelle zone metropolitane soggette ad amministrazione diversa da quella italiana.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desidero domandare al Governo che voglia considerare se veramente sia da ritenersi indispensabile chiedere, con una dichiarazione particolare, la denuncia di questi beni situati nelle colonie o nelle zone metropolitane soggette ad altra amministrazione. Io prego il Governo di voler considerare che noi non abbiamo il potere di sceverare se questi territori siano giuridicamente ancora italiani o meno; ritengo pertanto che non sia forse delicato porre l’accento su questa questione.

Il problema è invece un altro: sapere in qual modo si debbano valutare questi beni ai fini dell’imposta. E siccome esiste quella situazione di incertezza giuridica cui accennava poc’anzi l’onorevole Ministro, a me pare che tale situazione si possa risolvere in sede amministrativa, arrivando anche alla soluzione accennata dall’emendamento, mediante un accertamento condizionato, salvo a risolvere la cosa definitivamente più tardi, quando sarà possibile determinare quale sarà la valutazione effettiva dei beni stessi.

Mi sembra che, se questo mio punto di vista verrà accettato dal Governo, noi potremo rinunziare benissimo all’emendamento, salvo a dirimere definitivamente la questione il giorno in cui saranno prese delle risoluzioni definitive riflettenti le nostre colonie.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei una spiegazione dal Governo in ordine alla risposta che l’onorevole Ministro delle finanze ha dato all’onorevole Corbino. Mi pare che l’onorevole Corbino si preoccupasse di beni esistenti in territorio propriamente estero, supponiamo in Romania o in Ungheria. Ora l’onorevole Ministro ha letto un emendamento dove si parla di luoghi metropolitani non soggetti all’amministrazione italiana. Ma l’onorevole Corbino parlava di Paesi diversi. L’onorevole Ministro ha detto che quell’emendamento era idoneo a soddisfare l’esigenza dell’onorevole Corbino: ora, o io non capisco l’esigenza o non capisco l’emendamento che la soddisfarebbe. Supponendo, ad esempio, che l’onorevole Corbino parli di beni esistenti in Romania o in Ungheria, non capisco in che cosa l’emendamento sodisfi.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritenevo che l’onorevole Corbino avesse fatto l’ipotesi di beni in zone metropolitane. Se invece l’ipotesi che ha fatto è quella di beni nella situazione cui ha accennato l’onorevole Fabbri, è esatto che questa ipotesi non è compresa nell’emendamento. Ma, arrivati a questo punto – se mi concede il Presidente di dire la mia opinione sul suggerimento dell’onorevole Vanoni – ringrazio l’onorevole Vanoni, perché con le sue dichiarazioni – se condivise dall’Assemblea – si fornisce all’Amministrazione la possibilità di risolvere il problema in sede di istruzioni. Se, cioè, si ritiene che l’Amministrazione possa, con provvedimento interno, dettare quei temperamenti cui ha accennato l’onorevole Vanoni, è esatto che l’emendamento non ha ragione di essere, e quelle istruzioni interne possono risolvere anche gli altri casi prospettati dall’onorevole Fabbri.

Se questo è il pensiero dell’Assemblea, il Governo ritira l’emendamento. (Commenti).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta la decisione del Ministro in questo senso: che la materia è molto complessa e riguarda molti casi: territori metropolitani ceduti, beni sequestrati in Paesi esteri e territori coloniali. La Commissione lascia al Governo la scelta, o di studiare un provvedimento apposito per questi casi o di farne oggetto di istruzioni interne.

PELLA, Ministro delle Finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Non so se ho reso bene il mio pensiero. Se l’Assemblea riconosce che possa essere nei poteri della Amministrazione di dettare norme interne in sede di valutazione, norme che abbiano quell’elasticità sufficiente per arrivare a stabilire una provvisoria sospensiva, salvo a riprendere la valutazione, norme che permettano di stabilire dei temperamenti in sede di valutazione; se tutto questo l’Assemblea ritiene che l’Amministrazione possa fare, il Governo ritira l’emendamento.

Ma però questo ritiro è subordinato a che esplicitamente l’Assemblea risponda su questo punto: se riconosce che l’Amministrazione abbia i poteri accennati.

PRESIDENTE. Evidentemente l’Assemblea non può pronunciarsi, onorevole Ministro. Io posso darle atto che l’Assemblea non ha fatto osservazioni di sorta intorno alle considerazioni che ella ha esposte, ritirando l’emendamento. Il che significa che l’Assemblea consente nelle motivazioni da lei date.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’interpretazione che ha dato l’onorevole Presidente vi è il presupposto per ritirate l’emendamento. E quindi lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, ha udito; il Governo ritira l’emendamento.

BERTONE. Ma lo ha ritirato nel senso che ritiene di avere la facoltà di dare quelle istruzioni?

PRESIDENTE. Evidentemente, onorevole Bertone.

BERTONE. Ritengo che con ciò si crei un precedente troppo pericoloso.

Questo demandare all’Amministrazione di risolvere essa internamente dei problemi, i quali possiamo prevedere avranno grandissima portata finanziaria ed economica, è un atto che mi sembra pericoloso non solo per l’argomento stesso in oggetto, ma anche perché crea un precedente che apre la porta a chiedere la stessa cosa in altre contingenze, per cui verremo poco per volta a scalfire, a vulnerare, a ridurre i poteri che sono anche i doveri dell’Assemblea. Quello che è stato chiesto oggi sarà chiesto domani e non potremo dire di no, perché abbiamo detto di sì oggi. Io conosco perfettamente gli imbarazzi in cui può trovarsi un’Amministrazione finanziaria nell’eseguire un provvedimento, so quanta libertà bisogna dare all’Amministrazione finanziaria, nella esecuzione e nella interpretazione dei provvedimenti. Sono in questo campo per la più larga libertà, ma non fino al punto di abbandonare all’Amministrazione ciò che è di competenza di organi superiori. Quindi, credo opportuno che l’emendamento proposto dal Ministro delle finanze venga esaminato e discusso.

PRESIDENTE. Se il Governo lo ritira!

PORZIO. Ma c’è un presupposto.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Io volevo chiarire il mio pensiero che ho impressione non sia stato esattamente compreso dall’onorevole Bertone. Io non chiedo e non ho proposto di mettere da parte i poteri dell’Assemblea in materia di legislazione, ma ho fatto una semplice considerazione: che i beni, che si trovano all’estero o in colonia, debbono essere dichiarati è già detto nella legge, e non c’è bisogno di parlare di colonie esplicitamente. Il problema, quindi, non esiste e non sorge, almeno secondo me.

Secondo punto, invece: questi beni, sia che si trovino in colonia, sia che si trovino in territori metropolitani ceduti, sia che si trovino all’estero, sequestrati per una ragione o per un’altra, connessa con gli eventi bellici, sono in una posizione giuridica di incertezza che incide sulla loro valutazione ai fini del computo del patrimonio, e questa incertezza ha un grado maggiore o minore che noi non potremo risolvere con norme legislative oggi, perché in ogni situazione, rispetto ad ogni Paese, e col passare del tempo, anzi di tempo in tempo, questa incertezza si colorirà di una certezza particolare: o nel senso che i beni siano interamente perduti o nel senso che i beni siano recuperabili – in tutto o in parte – da parte del soggetto.

È in questo senso che l’Amministrazione – come per altri settori in cui detta norme interne di valutazione per indirizzare gli uffici nel fare uso del loro potere discrezionale di valutazione, che la legge stessa ha ammesso e delimitato – è in questo senso, dicevo, che l’Amministrazione può risolvere, con le sue istruzioni, le incertezze di cui oggi è stato il Governo.

Non che io dica che si debba dare al Governo la potestà di dare delle istruzioni in materia puramente legislativa. Io ho dietro di me una lunga battaglia, combattuta in periodo fascista con argomenti tecnici e giuridici, contro il malcostume dell’Amministrazione di prendere decisioni e provvedimenti finanziari con circolari interne, e non ammetterei mai che su questa strada pericolosa si ritornasse oggi, in regime democratico. Ma di fronte a questa situazione, impostato così il problema giuridico, rientra proprio nei compiti dell’Amministrazione di dare questi criteri discrezionali – nei limiti sempre dei poteri discrezionali dell’Amministrazione – per fare delle valutazioni di situazioni concrete incerte, che noi oggi non possiamo esattamente valutare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento proposto dal Governo muove dal presupposto che l’Amministrazione non sia investita di quei poteri discrezionali di cui si sta parlando. Il Governo, quindi, presuppone di dover derivare dall’Assemblea i propri poteri in questa materia.

Ora, è esatto che questi beni sono già soggetti ad un obbligo di dichiarazione, ma io sono perplesso ad accogliere le conclusioni dell’onorevole Vanoni, perché non credo che all’atto pratico sia semplice e facile arrivare a quelle soluzioni cui egli accenna. Infatti, o quel bene ha un valore zero per la sua situazione giuridica particolare, per i rischi inerenti, e allora non vi è l’obbligo di dichiarazione; o il bene non ha un valore zero e allora entrano in scena le regole di valutazione della legge, la quale non contempla beni di valore incerto.

Vedremo, passando ai successivi articoli, che vi sono regole per la prima dichiarazione e per la prima valutazione dei terreni, dei fabbricati, dei titoli, ma non è configurata la possibilità di valutazione in una posizione di incertezza.

Se non si ritiene opportuno mettere in votazione questo emendamento, posso aderire a questo criterio di opportunità; il Governo perciò lo ritira e si riserva di ripresentarlo quando si giungerà a discutere della materia della valutazione.

PRESIDENTE. L’emendamento allora si considera ritirato. Dopo l’approvazione dell’emendamento De Vita, l’articolo 5 risulta così formulato:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato e i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

Lo pongo ai voti nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Si considerano esistenti nello Stato:

1°) i terreni ed i fabbricati situati nel territorio dello Stato ed i diritti reali sui medesimi;

2°) i beni facenti parte di aziende industriali, commerciali ed agricole a carattere individuale che siano situati nel territorio dello Stato;

3°) le quote e le azioni di società italiane, nonché le obbligazioni ed ogni altro titolo di credito emesso in Italia dalle società stesse, dallo Stato, dalle Amministrazioni dello Stato, dalle Provincie, dai Comuni od altri enti italiani, dovunque posseduti, dal cittadino o dallo straniero;

4°) le quote di comproprietà di navi italiane;

5°) i crediti che fanno carico a debitori domiciliati nello Stato;

6°) i capitali comunque investiti nello Stato, o iscritti negli uffici ipotecari dello Stato;

7°) i buoni postali fruttiferi, i depositi a risparmio ed i conti correnti presso aziende, Casse di risparmio, postali ed ordinarie, e presso altri istituti di credito e banche, che siano stati raccolti nel territorio dello Stato;

8°) i biglietti dello Stato italiano, i biglietti a corso legale della Banca d’Italia e quelli emessi in lire dal Governo militare alleato, ovunque si trovano;

9°) i diritti di autore, nonché i brevetti, i modelli di utilità, i marchi di fabbrica e simili, iscritti nei pubblici registri dello Stato, limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato;

10°) i gioielli appartenenti a cittadini italiani;

11°) i quadri, gli arazzi, le statue, i tappeti, le porcellane, le stampe, le medaglie e simili, posseduti nel territorio dello Stato;

12°) tutti gli altri beni situati nel territorio dello Stato ed i titoli che rappresentano beni reali situati nel territorio stesso.

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un emendamento dell’onorevole De Vita, il quale propone di sopprimere l’alinea 9°.

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. Per chiarire il mio pensiero non mi resta che leggere a questa Assemblea una massima giurisprudenziale della Commissione centrale di finanza. È una massima di giurisprudenza costante, che si riferisce all’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio 1920. Dice questa massima: «Il brevetto di invenzione in sé e per sé non può costituire una entità patrimoniale comunque valutabile in denaro. Il brevetto è l’atto col quale l’inventore tende a garantirsi contro lo sfruttamento da parte di altri dell’invenzione, e quindi non è che il riconoscimento dell’esistenza dell’invenzione da parte dello Stato, il quale assume la tutela giuridica ed economica dell’inventore.

Nel campo dell’applicazione, però, rappresenta soltanto una entità patrimoniale, alla quale non può attribuirsi un valore qualsiasi fino a quando lo sfruttamento del brevetto non porti l’invenzione al campo della pratica attuazione».

Io credo di aver chiarito la portata del mio emendamento, e chiedo, quindi, alla Commissione e al Governo se i brevetti di cui si parla nel testo si riferiscano proprio a quei brevetti che hanno già trovato sfruttamento in Italia, e anche a quei brevetti che sono stati soltanto registrati per la tutela.

LA MALFA, Relatore. Il n. 9 dice: «limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato».

DE VITA. Quando un brevetto è stato registrato all’estero ha dei diritti all’estero, ma sono diritti potenziali di sfruttamento. Finché il brevetto non è stato sfruttato non si può considerare come un patrimonio assoggettabile all’imposta.

LA MALFA, Relatore. Si parla di diritti di sfruttamento nello Stato. La Commissione prega mantenere la disposizione.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Lo mantengo, perché non risulta chiara la portata dell’articolo.

PRESIDENTE. Si procederà allora alla votazione dell’emendamento dell’onorevole De Vita soppressivo dell’alinea 9°.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Poiché nell’alinea oltre che di brevetti si parla anche di diritti di autore, propongo che la votazione abbia luogo per divisione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole De Vita riguarda l’alinea nel suo complesso, e non può esser votato per divisione.

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

L’articolo 6 s’intende pertanto approvato nel testo del Governo, accettato dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 7 del Capo III, concernente le esenzioni. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario legge:

Capo III.

Esenzioni.

Art. 7.

«È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, e quello posseduto dai consoli ed agenti consolari di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari.

«Sono, altresì, esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni costituite all’estero aventi finalità religiose, culturali, assistenziali e di beneficenza».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un primo emendamento dell’onorevole Dugoni, così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Sono esenti dalla imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera accreditati presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, nonché i consoli di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DUGONI. Lo mantengo, ma rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Al primo comma, alle parole: È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, sostituire: Sono esenti dall’imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera; ed alle parole: e quello posseduto, dai consoli, sostituire le altre: ed i consoli».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. L’emendamento che ho proposto si può scindere in due parti: una è una pura questione di forma, direi di stile; si tratta di dare al primo comma una formulazione analoga a quella usata per il secondo comma. In questo articolo 7, che fa parte del titolo concernente le esenzioni, si stabiliscono alcune esenzioni soggettive, cioè si indicano certi soggetti ai quali l’imposta non si applica. E infatti, nel secondo comma dell’articolo 7, si dice: «Sono esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni ecc.». Per la stessa ragione anche nel primo comma occorre seguire, dal punto di vista formale, lo stesso metodo, cioè indicare i soggetti che sono esenti, cioè gli agenti diplomatici. Questa è, del resto, la formula usata anche nella legge del 1920.

La seconda parte del l’emendamento proposto consiste in una precisazione. Anziché dire, come si dice nel testo: «agenti diplomatici di nazioni estere», si propone di dire: «agenti diplomatici di cittadinanza straniera». La ragione di questa precisazione è la seguente. Nelle varie leggi tributarie della nostra legislazione, nel regolare le esenzioni concesse agli agenti diplomatici, si è abitualmente usata la dizione che è riprodotta nel testo attuale del disegno di legge: cioè «agenti diplomatici di nazioni estere». Ora, questa formula ha dato luogo ad alcune controversie. Si è fatto questo quesito: in questa dizione rientra anche un agente diplomatico di una Potenza estera che sia cittadino italiano?

La questione ha dato luogo a contestazioni in sede giurisprudenziale. Ricordo che la Commissione centrale per le imposte dirette, a Sezioni unite, con una elaborata decisione del 26 marzo 1941, ha interpretato questa espressione, nel senso che non comprende gli agenti diplomatici che abbiano la cittadinanza italiana. Il diritto internazionale relativo ai privilegi diplomatici non obbliga, infatti, uno Stato a concedere esenzioni tributarie ad agenti diplomatici di Governi esteri che siano suoi cittadini.

Ora sembra opportuno di prendere questa occasione per chiarire questo punto, in modo che quella espressione che è stata usata in leggi precedenti sia intesa nel senso che ormai la giurisprudenza le ha dato, cioè nel senso che l’esenzione è concessa solo agli agenti diplomatici di cittadinanza straniera.

È questa dunque la portata dell’emendamento il quale, mentre usa nel presente disegno di legge una dizione più precisa, intende avere un valore interpretativo della formula meno chiara usata nelle leggi tributarie precedenti.

Dal punto di vista pratico c’era una certa ragione per fare questa precisazione. E la ragione è che il trattamento di esenzione concesso agli agenti diplomatici di Governi esteri accreditati presso il Governo della Repubblica si deve estendere, in virtù di impegni internazionali, agli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede, e a taluni alti funzionari di Istituti internazionali. C’è dunque l’opportunità di usare la dizione proposta, la quale toglie ogni equivoco ed elimina ogni eventuale contestazione.

Il mio emendamento differisce in un solo punto da quello dell’onorevole Dugoni, inquantoché l’onorevole Dugoni oltre che, come nel mio emendamento, menzionare gli agenti diplomatici di nazionalità straniera accreditati presso lo Stato italiano, menziona espressamente gli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede.

Mi sembra che non convenga uscire, a questo riguardo, dal sistema adottato dalle varie leggi analoghe, poiché l’esenzione degli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede deriva automaticamente dall’articolo 12 del Trattato del Laterano. Non c’è bisogno di ripetere qui la stessa cosa. Se noi lo facessimo, dovremmo allora trovare qualche altra frase per coprire altre ipotesi, cioè quelle accennate prima di taluni alti funzionari di Istituti internazionali. Per queste considerazioni, ritengo opportuno che non si parli di queste categorie speciali e che l’emendamento al primo comma dell’articolo 7 del disegno di legge si limiti ad introdurvi la precisazione da me proposta, la quale ha lo scopo di eliminare contestazioni che in passato hanno avuto luogo nell’applicazione di analoghe esenzioni previste da altre leggi tributarie.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni mantiene il suo emendamento?

DUGONI. Non lo ritiro, a meno che l’onorevole Perassi accetti la precisazione che io ho fatto riguardante l’accreditamento presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, perché, data la possibilità di confusione, e certamente la ricerca di creare delle situazioni particolari per sottrarsi al pagamento dell’imposta, nella formula dell’onorevole Perassi si possono introdurre degli elementi di dubbio. Quando si parla di agenti diplomatici delle nazioni estere, questi agenti possono prestar servizio in un altro Paese ed avere dei beni in Italia, ed allora questa ipotesi, che io configuro, darebbe loro diritto, secondo la dizione dell’onorevole Perassi, ad una esenzione del loro patrimonio. Quindi la mia specificazione intende soltanto restringere in un campo ben delimitato il numero delle persone che in ragione della loro attività hanno diritto a questa specifica esenzione.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero dell’onorevole Perassi, dopo la precisazione dell’onorevole Dugoni?

PERASSI. L’aggiunta dell’onorevole Dugoni non è necessaria, perché l’equivoco a cui accenna non può avvenire, in quanto qui si dice agenti diplomatici di cittadinanza straniera, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano: il che significa dire che noi abbiamo riguardo soltanto agli agenti diplomatici che sono tali rispetto allo Stato italiano, cioè accreditati presso il Governo della Repubblica. L’estensione agli agenti della Santa Sede deriva dal Trattato Lateranense. Per conseguenza non mi pare il caso di aggiungere altre specificazioni, perché l’equivoco non c’è, e il dubbio, al quale ha accennato l’onorevole Dugoni, non si è mai sollevato nell’applicazione delle altre leggi nelle quali è stata usata una dizione analoga a quella in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha la parola per esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Perassi, la Commissione dichiara di preferire l’emendamento da lui presentato.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, insiste nel suo emendamento?

DUGONI. Ritiro il mio emendamento, pur confermando che la dizione dell’onorevole Perassi è nettamente equivoca.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro delle finanze, la prego di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alle conclusioni dell’onorevole Relatore, nello spirito con cui l’onorevole Perassi ha illustrato il suo emendamento.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Perassi, avendo l’onorevole Dugoni ritirato il suo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 8 con l’emendamento Perassi, testé approvato.

(È approvato).

Si passa all’articolo 8. Se ne dia lettura nel testo emendato della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio i seguenti cespiti:

1°) i capitali corrispondenti a contributi che, per legge o per contratto, siano stati versati a Casse di previdenza, o di soccorso, istituite contro i rischi di malattia, infortuni, vecchiaia ed invalidità; a Casse di previdenza o Casse di pensione per gli impiegati privati, od a Casse di pensione per vedove o orfani, contemplate alle lettere c) ed f) dell’articolo 2 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966;

2°) i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo;

3°) il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, fatta eccezione per i contratti di assicurazione a premio unico, stipulati dopo il 10 giugno 1940;

4°) le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, col mobilio, gli arredi sacri, i reliquiari e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa;

5°) gli immobili dichiarati esenti da tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;

6°) i titoli del Prestito della ricostruzione, autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento;

7°) le cose mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, quando facciano parte di collezioni o serie notificate ai sensi dell’articolo 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, oppure siano soggette a pubblico uso o godimento;

8°) le rendite di benefici ecclesiastici maggiori e minori».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti. Il primo, dell’onorevole Costa, è del seguente tenore:

«Al n. 3°), alle parole: dopo il 10 giugno 1940, sostituire: dopo il 28 marzo 1937».

L’onorevole Costa non è presente.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Costa, e se la Commissione l’accetta, rinunzio ad illustrarlo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Limitare il n. 3°) alle parole: il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, sopprimendo il rimanente.

«Ove rimanesse integro il testo proposto, alle parole: stipulati dopo il 10 giugno 1940, sostituire le altre: stipulati dopo l’8 settembre 1943, ed aggiungere: Il prezzo di riscatto relativo a siffatti contratti non è cumulabile col restante patrimonio del contribuente; da detto prezzo è detratta, per ciascun contratto, la somma indicata al secondo comma dell’articolo 29».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. I principî generali del diritto considerano, come fuori del patrimonio dell’assicurato, il risparmio assicurativo. Per questa ragione appare pericoloso che attraverso questa legge si instituisca un tributo che colpisca le somme assicurate nel corso del contratto, cioè prima che esse entrino a far parte del patrimonio del beneficiato.

La deroga ai principî generali del diritto sembra ancora più grave, in quanto la legge colpirebbe le assicurazioni stipulate dopo il 10 giugno 1940, e si riferisce quindi all’ipotesi che al principio della guerra non poteva, in nessun modo, essere ancora concepita.

Questo concetto lo spiegai anche ieri in una dichiarazione di voto. La decisione stabilita in genere per i contratti assicurativi costituirebbe una innovazione assai pregiudizievole all’industria assicurativa, la quale trovasi già in serie difficoltà a causa della svalutazione monetaria.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, ella ha presentato anche quest’altro emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

Ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Al riguardo, vi è già un emendamento del collega Schiratti, che, presso a poco, dice la stessa cosa. Io ho voluto fare una ulteriore precisazione. La questione dei tributi dei terreni montani al di sopra dei 700 metri è antica quanto la mia presenza in questo Parlamento. Nel 1916 io ricordo di averne parlato in occasione della discussione del bilancio delle finanze, sostenendo questa tesi, che venne accolta, per la prima volta, dalla provincia di Aosta, unicamente, si comprende, per quello che riguardava la sovraimposta. Questa è stata la prima vittoria che ha ottenuto quel gruppo di deputati presieduti dal compianto Luchino Dal Verme per l’esenzione fiscale per quei terreni, in modo da poter incoraggiare i cittadini che abitano le più alte pendici delle Alpi e degli Appennini, evitando la loro coatta emigrazione, a restare lassù, quasi custodi dei loro terreni. Si diceva, allora, che questi cittadini benemeriti avessero quasi diritto di essere favoriti ed indennizzati. Una volta gli antichi Longobardi mandavano sui più alti luoghi delle Alpi e degli Appennini i loro vecchi soldati pensionati perché custodissero i confini e si formarono quelle formidabili «grimannie» montane, che nei valichi più pericolosi tante volte sbarravano il passo al nemico.

Per la legge proposta si deve pagare la imposta patrimoniale in dieci rate. Ora faccio notare che esse diventano, in molti casi dei possessori di questi piccoli «predii» montani, troppo gravose e pressanti.

Perché non seguire quanto, con lungimirante criterio, ha fatto il nostro legislatore in altre leggi? Nella questione dei terreni montani, l’obiezione del Ministro delle finanze che si tratti della imposta in corso anticipata e condensata, non ha fondamento. Vi erano i contributi unificati, dai quali si era esonerati oltre i 700 metri. Poi si è ritenuto di farli riscuotere ancora. Durante il precedente Ministero, Ministro l’onorevole Scoccimarro, si è approvato il decreto 27 giugno 1946 n. 98, che fu poi integrato dall’altro successivo del 7 gennaio 1947, n. 12. Mentre il primo stabiliva che dovessero essere esonerati dai contributi fondiari solamente quei comuni nei quali il capoluogo fosse al di sopra dei 700 metri, di fatto si deve osservare che quasi sempre gli abitati ed i capoluoghi sono in fondo alle valli, mentre la maggior parte dei terreni sono in alto. Ed allora, di fronte a questa constatazione, che ho potuto far valere anche in Consiglio dei Ministri, si è provveduto al secondo decreto, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 1947, veniva concessa l’esenzione dalla imposta fondiaria e dal reddito agrario anche per i territori situati ad una altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare, qualunque fosse l’altitudine alla quale si trova il capoluogo, rimanendo per altro escluso – altro piccolo guaio – lo sgravio d’ufficio, il che impone all’interessato una domanda e, purtroppo, una documentazione a base di carte topografiche o di perizie gravose a procurarsi. Ma, pazienza! Ora succederebbe che, mentre per quella legge dal 1° gennaio 1947 questi piccoli proprietari, che vivono in alto lassù in quelle zone montane, erano esonerati, ora, hanno appena goduto da poche rate un piccolo vantaggio, che già arriva loro addosso una imposta molto più forte ed ingente per le loro modeste forze e tale che toglie ad essi qualsiasi beneficio. Ciascun d’essi dirà: «Appena vidi il sol che ne fui privo»!

Ora, in considerazione di questa particolare situazione, che è in contrasto colla vigente legislazione fiscale, io chiedo che si tengano presenti questi casi e la nostra tradizione non si interrompa. Non si può adesso togliere con una mano ciò che si è dato coll’altra appena pochi mesi or sono, per non creare una contradizione in termini. Dal lato morale poi mi pare che lo Stato debba incoraggiare questi forti cittadini che risiedono e lavorano fra le nevi e i ghiacci parte dell’anno, serbando fede ai loro monti, rendendoli produttivi col loro lavoro, in modo che anch’essi siano a ciò confortati dal sapere che lo Stato ha tenuto presente la loro particolare situazione, con rinnovata benevolenza mantenendo quella stessa esenzione, così come essa era stata già stabilita dal precedente Governo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente alinea:

9°) i terreni montani situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIRATTI. Mi associo alle considerazioni esposte dall’onorevole Micheli.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Prego gli onorevoli colleghi di voler accogliere ed inserire tra le esenzioni anche quella dei beni immobili che sono stati danneggiati dalla guerra per oltre un quarto. Unitamente ai colleghi Crispo, Morelli Renato e Bozzi, propongo pertanto il seguente emendamento:

«Aggiungere dopo il numero 8°):

9°) i beni immobili danneggiati dalla guerra per oltre un quarto».

L’onorevole La Malfa, mi pare, si è occupato anch’egli della questione, e, se non ricordo male, ha accennato che, in sede di esecuzione della legge, si sarebbe potuto tener conto delle diverse situazioni che si sarebbero potute prospettare man mano. Mi permetto di osservare che la questione riveste grande importanza e rilievo, in quanto interessa moltissime località colpite dalla guerra e moltissime proprietà immobiliari urbane: caseggiati distrutti per metà, per un terzo, per una parte rilevantissima; caseggiati esentati dal tributo fondiario perché riconosciuti assolutamente non abitabili.

Si tratta, cioè, di proprietà potenziale più che di proprietà effettiva. Bisognerebbe poi distinguere fra i beni che hanno avuto una riparazione dal 1943 e quelli che invece non l’hanno ancora avuta. Ora, per i beni che ancora non sono stati riparati, credo che si potrebbe senz’altro accedere al criterio dell’inclusione, mentre per gli altri si potrebbe tener conto del fatto che le riparazioni sono state effettuate con il concorso dello Stato, ma con grande sacrificio anche da parte dei privati. Vi è poi la questione degli immobili rustici, i quali sono privati della loro capacità produttiva o perché hanno avuto distrutte le case coloniche, o perché hanno avuto degli impianti di irrigazione distrutti o perché sono ancora minati.

Io vorrei dunque pregare l’Assemblea di volere accogliere questa inclusione nell’articolo delle esenzioni e, in via subordinata, nell’ipotesi peggiore, che l’Assemblea voglia raccomandare al Ministro di dare disposizioni agli uffici finanziari perché tengano conto, all’atto degli accertamenti, dell’effettiva capacità produttiva dei singoli cespiti.

Bisogna pur fare qualche cosa per la vasta e dolente categoria dei sinistrati di guerra.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei un chiarimento a proposito del numero 5° dell’articolo 8, secondo il quale sono esenti dall’imposta sul patrimonio gli immobili dichiarati esenti dai tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato del Laterano. Io mi domando: perché questo comma è stato inserito? Io non ne vedo la ragione. Mi pare anzitutto inutile perché c’è già il Trattato del Laterano, ma, oltre che inutile, mi pare anche del tutto fuori posto.

L’articolo 8 concerne le esenzioni oggettive, in contrapposto all’articolo 7. L’articolo 8 presuppone che esistano dei soggetti all’imposta. Ora, allo stato attuale delle cose, lo schema di legge riguarda soltanto le persone fisiche, mentre il numero 5° dell’articolo riguarda dei beni i quali, per la loro stessa natura, appartengono ad un ente, la Santa Sede. Aggiungo che, inserendo questa specificazione, sorgerebbero altri delicati problemi, qual è, il trattamento che si farà ai beni di Stati esteri? Esistono Stati, per esempio, che sono proprietari di stabili in Italia, ove hanno loro Accademie. Lo stesso dicasi per i beni di Istituti internazionali.

Sono quindi del parere che il numero 5° si dovrebbe senz’altro stralciare, perché in ogni caso inutile. Ove debba restare aperta la questione se all’imposta, ora limitata alle persone fisiche, siano da assoggettarsi anche enti diversi, questo numero 5° si potrebbe almeno accantonare, perché, se venisse risoluta in senso affermativo la sottoposizione di enti all’imposta, bisognerebbe vedere se non sia necessario qualche ritocco o qualche ampliamento.

PRESIDENTE. Avverto che sono pervenuti alla Presidenza altri emendamenti. Uno è a firma degli onorevoli Carbonari, Rescigno ed altri colleghi, e dice:

«Aggiungere dopo il n. 8°):

«I beni immobili costituenti l’azienda agricola il cui reddito non superi il minimo di esistenza necessario per la famiglia del piccolo proprietario».

Gli onorevoli Scoccimarro, Dugoni ed altri hanno poi presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituire il n. 8°) col seguente:

«Le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori, che abbiano diritto a congrua o che con la detrazione dell’imposta rientrino nella categoria degli aventi diritto a congrua».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Avevo rinunziato prima a sviluppare l’emendamento dell’onorevole Costa, che avevo ripreso a mio nome, riguardante i contratti di assicurazione a premio unico.

Dirò in una parola le ragioni per le quali noi riteniamo che la data di suspicione riguardante questi contratti deve essere spostata dal 10 giugno 1940 al 28 marzo 1937.

Queste operazioni, come è ben noto, sono delle vere e proprie operazioni di speculazione finanziaria, le quali vengono compiute attraverso cessioni di queste polizze a premio unico mediante semplice girata, e costituiscono sostanzialmente dei veri e propri grossi contratti finanziari. Quindi, non c’è nessuna ragione che noi accettiamo questa decurtazione del patrimonio, questo taglio che è stato volontariamente dato alla consistenza del proprio patrimonio, perché Sarebbe come se si esentasse un qualsiasi proprietario il quale avesse un determinato pacchetto di titoli di Stato al 5 per cento o di Buoni del tesoro decennali. È esattamente la stessa situazione, cioè, come se si dicesse: sono esentati coloro che hanno comperato Buoni del tesoro decennali.

Quindi, per conto mio, la data di suspicione si deve riportare al 1937.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sui vari emendamenti ora illustrati.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento Costa, la maggioranza della Commissione esprime parere contrario alla sua accettazione. Essa trova che non ricorrano qui le ragioni per portare la data al 1937, come in materia di divisione del patrimonio in seno alla famiglia. Sembra alla maggioranza della Commissione che in questo caso la data del 10 giugno 1940 – che è la data della dichiarazione di guerra – rispecchi meglio la situazione.

La Commissione respinge poi gli emendamenti dell’onorevole Micheli, riguardanti i contratti di assicurazione, e propone di mantenere il testo del Governo.

Così pure respinge da modificazione di carattere puramente formale dell’onorevole Costa al n. 4.

Per quanto riguarda i terreni montani situati al di sopra di 700 metri, la Commissione non può accettare l’emendamento Micheli e neppure quello Schiratti, perché della condizione di tali terreni si tiene già conto in sede di determinazione del loro valore. Stabilire un’esenzione generale darebbe luogo a sperequazioni assai gravi. La situazione dei terreni al di sopra dei 700 metri è diversa da un luogo all’altro, da una regione all’altra, da una provincia all’altra, e non si vede per quale ragione obiettiva tali terreni si debbono porre in condizione di privilegio.

Come ho detto, la valutazione rispecchierà la situazione diversa dei vari terreni, e quindi l’imposta sarà maggiore o minore secondo il rendimento dei terreni.

Per la stessa ragione prego il collega Cifaldi di non insistere nel suo emendamento. Anche per quanto riguarda gli immobili sinistrati è operativo il criterio di tenere conto del loro stato in sede di valutazione, ma non è possibile neanche per essi costituire una categoria speciale di privilegi.

Questi sono gli emendamenti che la Commissione conosce e ha preso in esame. Ci sono poi due emendamenti che la Commissione non conosce nel loro preciso testo, ma solo attraverso la lettura che qui se ne è data.

Volevo esprimermi, infine, non direi sull’emendamento, ma sulla proposta dell’onorevole Perassi. Mi pare giusto che la disposizione di cui al numero cinque non sia necessaria nel testo; tuttavia, siccome si deve esaminare la questione degli enti collettivi, converrà sospendere la decisione di questo paragrafo in attesa della discussione sugli enti collettivi.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole La Malfa ad esprimere il pensiero della Commissione anche sugli emendamenti degli onorevoli Carbonari e Scoccimarro.

LA MALFA, Relatore. La Commissione esprime parere contrario al primo emendamento.

Sul secondo, dell’onorevole Scoccimarro, la Commissione non è in grado di esprimersi, dovendo fare un esame accurato della proposta. Chiedo pertanto la sospensiva anche su questo, come l’ho chiesta per quanto riguarda la disposizione del paragrafo 5°.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Costa, il Governo ritiene che si possa mantenere ferma la data del 10 giugno 1940 per le ragioni che più avanti richiamerò per motivare il pensiero del Governo, contrario all’emendamento dell’onorevole Micheli.

L’onorevole Micheli vorrebbe che fossero esenti dall’imposta anche le polizze costituite con versamento a premio unico dopo il 10 giugno 1940, e motiva brillantemente la sua richiesta (che – mi permetta l’onorevole Micheli – francamente, però, non mi ha persuaso) parlando di retroattività. Ma qui non è questione di retroattività; qui si tratta di colpire un’attività esistente al 28 marzo 1947, ma sorta posteriormente al 10 giugno 1940. Così come non costituisce retroattività colpire una casa esistente dopo il 28 marzo 1947, ma costruita prima del 10 giugno del 1940. Ed anche per le esperienze personali acquisite seguendo la propaganda che veniva fatta di questa forma di assicurazione, credo che essa abbia servito spesso da rifugio contro il pericolo di imposte straordinarie sul patrimonio. Devo, però, onestamente, riconoscere che questa forma di propaganda è stata effettuata negli ultimi anni; per questa ragione, non ritengo opportuno andare fino al 28 marzo 1937 così come vorrebbe l’onorevole Costa.

Per quanto riguarda l’esenzione per i terreni montani, dobbiamo prima di tutto osservare che si tratterebbe di esenzione connessa con l’imposta straordinaria progressiva, cioè con la personale, quella per la quale funziona il minimo di esenzione dei tre milioni.

Siamo tutti d’accordo per appoggiare i desiderati della montagna, ma naturalmente, non dobbiamo lasciarci fuorviare da questa comune simpatia.

Se i terreni montani rendono poco, il loro valore capitale deve essere quasi nullo; abbiamo demandato alla Commissione censuaria centrale di stabilirlo. Certamente si terrà conto – in tale sede – della scarsità del reddito di detti terreni. Ma se questi, sia pure a reddito scarsissimo, nella valutazione portassero all’accertamento di un patrimonio superiore ai 3 milioni, non vedo la ragione per concedere l’esenzione. Quindi mi perdonino gli onorevoli Micheli e Schiratti se devo associarmi al pensiero del Relatore il quale è contrario all’accoglimento dei loro emendamenti.

Per l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo e da altri, ed illustrato dall’onorevole Cifaldi, devo osservare che siamo tutti d’accordo nel deplorare che la materia dei danni di guerra, per ragioni estranee, ritengo, alla buona volontà di organi e persone, non abbia sinora trovato una soluzione sodisfacente.

Ma non ritengo che al risarcimento del danno di guerra possa arrivarsi nella forma proposta dall’emendamento, che dice che il proprietario dell’immobile lesionato oltre il quarto, dovrebbe fruire dell’esenzione dall’imposta per tutto l’immobile residuo.

Ammesso il principio che l’immobile deve essere valutato secondo il suo stato attuale, mi sembra tecnicamente inaccoglibile la proposta di concedere, a titolo di compenso, a forfait, l’esenzione della parte residua, quasi in acconto sulla liquidazione definitiva dei danni di guerra. Per queste ragioni, pur apprezzando lo spirito che ha animato i proponenti, dichiaro che il Governo non può accettare questi emendamenti.

Per quanto riguarda il quasi emendamento dell’onorevole Perassi, ho il dovere di aderire alle conclusioni…

LA MALFA, Relatore. Non c’è un emendamento Perassi.

PRESIDENTE. C’è una proposta di sospensiva. Se ne riparlerà.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo; la materia è connessa con quella degli enti collettivi.

Sono dello stesso avviso del Relatore di non poter accettare l’emendamento Carbonari, Rescigno ed altri.

Sono d’accordo altresì di non essere in grado di valutare l’emendamento Scoccimarro e di dover riservare la risposta del Governo in materia.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Sulla proposta Perassi mi permetto di chiedere se si tratta di una formale proposta sospensiva, perché allora potremmo senz’altro cancellare l’alinea 5°, senza rinviarlo ad una seconda discussione.

L’alinea 5° fa riferimento all’articolo 16 del Trattato lateranense, articolo che dopo l’elencazione specifica di beni conclude che tutti questi beni non saranno mai assoggettati a vincoli od espropri per cause di pubblica utilità e saranno esenti da tributi, sia ordinari che straordinari, tanto verso lo Stato che verso altre nazioni, ecc. Messo perciò l’argomento in questi precisi termini, è pleonastico l’averlo inserito, ma è altrettanto inutile rinviare la discussione. E allora, se la proposta è messa in termini ufficiali, io dico: cancelliamo l’alinea 5°, perché non c’è più bisogno di esaminarlo in altra sede.

LA MALFA, Relatore. Concordo.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo anch’io.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. A proposito degli emendamenti degli onorevoli Schiratti e Micheli per i terreni montani situati al di sopra dei 700 metri, ho l’impressione che la breve discussione svoltasi non abbia chiarito un equivoco, il quale rimane anche dopo le dichiarazioni del Ministro. Si tratta, cioè, di questo. In questo progetto c’è un’imposta personale progressiva, e una seconda parte che è l’imposta ordinaria reale sul patrimonio. Per l’imposta progressiva gli emendamenti non hanno senso, perché c’è un minimo imponibile e quel minimo imponibile è operante indipendentemente dalla ubicazione dei terreni: chi possiede una proprietà al di sotto dei 700 metri e al di sotto dei 3 milioni è esente da imposta. Chi avesse più di tre milioni anche se sopra i 700 metri…

MICHELI. La parte dei tre milioni resta fuori.

SCOCCIMARRO. Permetta, onorevole Micheli. Il problema che lei pone è giusto solo per quanto riguarda l’imposta ordinaria. Vorrei chiedere una cosa: siccome a tal proposito presenterò un emendamento quando discuteremo la parte proporzionale dell’imposta, chiedo agli onorevoli Schiratti e Micheli di rinviare la questione a quando discuteremo quella parte del progetto, non ponendo all’imposta personale limitazioni di questo genere, il che è impossibile.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Giacché abbiamo accantonato tante questioni, non ho nessuna difficoltà ad accantonare anche questa. Però quella lieve confusione cui ha accennato l’onorevole Scoccimarro effettivamente può in questa parte non esistere; perché è vero che il problema dell’esenzione dai tributi dei terreni montani è più sensibile nell’imposta progressiva che in quella proporzionale, ma anche nella proporzionale ha il suo riferimento e può recare un contributo notevole all’elevamento della quota di ciascuno. Ha un’importanza notevole se domani, per la mia proposta, i terreni al di sopra dei 700 metri non fossero calcolati, indipendentemente dalla loro quantità.

SCOCCIMARRO. Ma lei in questo modo non viene ad aiutare i piccoli proprietari, ma i grandi.

MICHELI. Gli uni e gli altri, ed i piccoli di più perché in numero maggiore: tanto è vero che siete giunti ad esonerare i 3 milioni. Giacché il concetto del legislatore è fondato, mi pare, sulla concezione per cui, imponendo un tributo nuovo non si debba colpire troppo ma lasciare la possibilità che il contribuente viva. Ora, debbo rispondere all’onorevole La Malfa, il quale ha affermato che si tratterebbe di una situazione di privilegio.

Privilegio, sia pure, perché esso è stato riconosciuto recentissimamente dal legislatore in due provvedimenti, in corrispettivo delle condizioni particolari in cui la vita economica dei privilegiati si svolge, e che lo Stato non solo ha il dovere, ma ha l’interesse di riconoscere… (Commenti).

Non è una invenzione mia, o signori, c’è la firma dell’onorevole Scoccimarro in questi due decreti, e io lo ricordo a titolo di onore e ho piacere che egli sia qui a confermarlo. Naturalmente io avrei desiderato che, come egli ci ha aiutato allora e nella imposta progressiva, si fosse spinto un po’ più in su con la sua parola autorevole anche in questa parte, che era quella che aveva bisogno di essere aiutata.

Comunque, sono lieto di constatare come nella seconda parte – cioè nell’imposta progressiva – si sia tutti d’accordo, in quanto anche il Ministro ha detto che riteneva, riferendosi alla mia proposta, che in qualche parte avrebbe potuto consentire. Ora io prendo atto di questa dichiarazione del Ministro, perché mi assicura che in questa altra prossima parte riusciremo ad ottenere, non un nuovo privilegio, ma un piccolo conforto a coloro che continuano imperterriti ad abitare lassù e restano a coltivare e custodire le loro terre.

Ad ogni modo, anche per la parte prima, debbo insistere affinché nelle leggi nostre non vi siano due cose in contrasto l’una con l’altra. E per questo io mantengo l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli emendamenti.

C’è innanzi tutto una proposta dell’onorevole Tosi, che riferendosi alla osservazione dell’onorevole Perassi, porterebbe alla eliminazione dell’alinea 5°.

TOSI. Soppressione definitiva senza che torni più in discussione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la soppressione dell’alinea 5°.

(È approvata).

Passiamo agli altri emendamenti. Onorevole Dugoni, ella ha fatto suo l’emendamento dell’onorevole Costa. Lo mantiene?

DUGONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Costa, fatto proprio dall’onorevole Dugoni, tendente a sostituire nel n. 3°), alle parole: «dopo il 10 giugno 1940», le altre: «dopo il 28 marzo 1037».

Pongo ai voti questo emendamento.

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Micheli.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Dovrei insistere sul mio emendamento, perché la mia convinzione è che effettivamente, come ha detto il Ministro, questa formazione di polizze per investimento di capitali è cosa di questi ultimi anni, determinatasi attraverso la propaganda cui egli ha accennato. Ad ogni modo, siccome la Commissione insiste, io preferisco il 1940 al 1937 dell’onorevole Costa ed al 1935 dell’onorevole Dugoni. Rinuncio quindi al mio emendamento ed aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Vi è poi un altro emendamento dell’onorevole Costa:

«Al n. 4°), alle parole: di spettanza della chiesa, sostituire: inservienti al culto».

DUGONI. È ritirato.

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Schiratti ha ritirato il suo emendamento.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Cifaldi.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero dichiarare che di fronte alle dichiarazioni contrarie dell’onorevole Presidente della Commissione, fatte a nome della Commissione tutta, e di fronte alle dichiarazioni del Ministro, io mi trovo in grande perplessità. Non vorrei che l’Assemblea, rigettando il mio emendamento, avesse l’aria di non voler venire incontro ai danneggiati di guerra. Quindi mi permetto ricordare al Ministro di tener conto di questa situazione.

L’onorevole Ministro delle finanze ha detto che si rendeva conto dello spirito del mio emendamento; onde desidero aggiungere che egli nelle istruzioni che dovrà dare voglia dare anche norme perché i fabbricati quasi distrutti dalla guerra e i beni rustici notevolmente danneggiati dalla guerra siano esentati dal calcolo globale con quelle norme…

PRESIDENTE. Tutta l’Assemblea è d’accordo.

CIFALDI. Ritiro perciò il mio emendamento, trasformandolo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento aggiuntivo?

MICHELI. Insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, così concepito:

«Aggiungere il seguente alinea:

«9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento Carbonari non accettato dal Governo e dalla Commissione…

CARBONARI. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Ricordo che l’emendamento dell’onorevole Scoccimarro è stato rinviato.

SCOCCIMARRO. Resta inteso che l’alinea 8° dell’articolo 8 resta sospeso.

PRESIDENTE. Naturalmente.

Con questa intesa e con la soppressione dell’alinea 5°, l’articolo 8 si intende approvato.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.