ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLXXXII.
SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
indi
DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI
INDICE
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Coppi
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Zuccarini
Bozzi
Colitto
Morelli Renato
Tosato
Rossi Paolo
Perassi
Preti
Dugoni
Codignola
Corbino
Lussu
Nitti
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Fuschini
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La sedata comincia alle 17.
LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Ricordo agli onorevoli colleghi che si deve riprendere l’esame delle materie di competenza legislativa della Regione, contemplate nell’articolo 109. Si è proceduto ieri, esaminando l’emendamento unificato Perassi-Zuccarini, alla votazione sulle voci «industria e commercio»; rimane ancora la voce «Camere di commercio» compresa nella proposta dell’onorevole Zuccarini. Si tratta ora di stabilire se questa voce può considerarsi assorbita dopo la votazione avvenuta ieri che ha escluso la voce «industria e commercio».
COPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COPPI. Vorrei fare osservare ai colleghi che la dizione «Camere di commercio» che si legge nell’emendamento, non mi pare tecnicamente esatta. Si dovrebbe dire «Camere di commercio, industria e agricoltura». Questa è la dizione esatta dell’istituto che noi vorremmo comprendere fra le materie soggette all’attività legislativa della Regione.
Ritengo che in tal senso debba essere rettificato il testo dell’emendamento.
PRESIDENTE. A meno che l’Assemblea, nella sua maggioranza, sia di avviso contrario, ritengo che, non avendo accettato di includere l’industria e il commercio fra le materie di competenza legislativa della Regione, anche le Camere di commercio debbano ritenersi escluse per lo stesso risultato delle votazioni avvenute ieri, e che pertanto l’emendamento dell’onorevole Zuccarini, per quest’ultima parte, debba considerarsi assorbito, cioè non più da porre in discussione.
COPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COPPI. Il fatto che la votazione di ieri abbia escluso le voci «industria e commercio» non esclude – a mio avviso – che le Camere di commercio, industria ed agricoltura possano cadere sotto l’attività legislativa della Regione. Si tratta di cose sostanzialmente diverse. Altro è legiferare in materia di agricoltura, industria e commercio, ed altro in materia di Camere di agricoltura, industria o commercio. Si tratta di cose sostanzialmente diverse, anche se vi è una certa connessione di materie fra le une e le altre.
PRESIDENTE. Vi è forse più che una certa connessione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla chiara osservazione del nostro Presidente, desidero osservare che le Camere di industria, commercio ed agricoltura sono forme rappresentative d’organizzazioni di interesse professionale e sindacale, che non si possono sottoporre esse sole alla legislazione delle singole Regioni, senza tener presente tutto il complesso delle altre organizzazioni di carattere professionale e sindacale. Oltre la ragione formale esattissima che ha prospettato il Presidente, v’è dunque una questione di sostanza, per cui non si può lasciare a sé, nella competenza legislativa della Regione soltanto un pezzo di mosaico di regolamentazione dell’organizzazione d’interessi, che ha importanza così fondamentale nella vita moderna.
ZUCCARINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZUCCARINI. Non insisto nel mio emendamento. Vorrei però osservare che, quando ho incluso questo concetto nell’emendamento, come parte integrante di esso, mi riferivo ad organi, che inizialmente furono organi autonomi, provinciali, e che solo successivamente sono caduti, durante il fascismo, nella regolamentazione dello Stato anzi, divennero organi statali.
Questo concetto desidero affermare qui; e la questione potrà essere risolta in altro momento: questi enti, che non possono essere soggetti ad una speciale legislazione, ma che hanno una origine autonoma, debbano ritornare a funzionare in modo autonomo nella vita del nuovo Stato italiano. Non ho difficoltà, comunque, a rinunziare al mio emendamento.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Coppi se insiste nel suo emendamento.
COPPI. Non insisto.
PRESIDENTE. Passiamo allora all’alinea successivo così formulato: «Altre materie indicate da leggi speciali». V’è a questo proposito un emendamento dell’onorevole Mortati, tendente a sopprimere l’alinea, in quanto assorbito dalla seguente formulazione più ampia, che egli propone e che dovrebbe costituire un nuovo comma:
«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione l’esercizio della funzione legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74».
Vi sono poi altre proposte dell’onorevole Bozzi.
BOZZI. Le ho ritirate.
PRESIDENTE. Sta bene. Allora, la formulazione in discussione rimane quella della Commissione:
«Altre materie indicate da leggi speciali».
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Devo chiarire che la mia proposta di sopprimere tale inciso è da porre in relazione con quella che si riferisce al comma successivo, e che tende ad estendere la possibilità di delega della facoltà regolamentare a favore della Regione, comprendendovi non solo quella esecutiva, ma anche l’altra, che si vuol chiamare indipendente.
Ora, io penso che, una volta che si accetti questo concetto e si ampli nel senso detto la concessione di potestà regolamentare alla Regione, non si presenti il bisogno di prevedere a favore di questa una vera e propria delegazione legislativa.
Infatti lo Stato potrebbe ridurre al minimo le sue statuizioni, lasciando così un amplissimo margine all’intervento normativo della Regione, anche se contenuto nei limiti delle leggi generali.
Se, contrariamente a questo orientamento, si ritenesse di lasciare alla Regione la possibilità di invadere con le sue norme quella che si vuol chiamare la riserva della legge, sembrerebbe opportuno modificare la dizione proposta, sia per fare risultare la distinzione fra le materie elencate, per cui la Costituzione opera un trasferimento istituzionale di competenza, e queste «altre materie», che sono oggetto di semplice delegazione ad opera della legge, e sia altresì per mettere in armonia questa disposizione con quella dell’articolo 74 del progetto, che prevede la concessione di delegazione legislativa al Governo.
Pertanto, in via subordinata, ove non fosse accolto l’emendamento soppressivo dell’ultimo alinea del primo comma dell’articolo 109, propongo la sostituzione del medesimo, con il seguente testo:
«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione la funzione della potestà legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74, il quale si riferisce alla possibilità della concessione di attività legislativa delegata al Governo».
Mi pare che almeno questi limiti generali di materia e di tempo non possono non farsi valere, anche nei riguardi della concessione di potestà legislativa alla Regione, come si sono fatti valere nei riguardi della delegazione al Governo.
PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene di mantenere la sua formulazione, perché la proposta dell’onorevole Mortati, specialmente come l’ha esposta ora, ritornerebbe a complicare quelle linee che sono diventate abbastanza semplici.
MORTATI. Ho già chiarito che la mia proposta sostitutiva era fatta in linea subordinata; sarebbe quindi opportuno che l’onorevole Ruini ci dicesse qual è il pensiero del Comitato in ordine all’emendamento soppressivo proposto in via principale.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già detto, onorevole Mortati, che il Comitato mantiene la sua proposta. Anche per la sua subordinata, non può accettarla.
PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione questo alinea nella formulazione:
«Altre materie indicate da leggi speciali».
(È approvato).
Abbiamo ora il seguente emendamento aggiuntivo, già svolto, dell’onorevole Bozzi:
«Inserire, prima dell’ultimo comma, il seguente:
«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».
Onorevole Bozzi, lo mantiene?
BOZZI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Vi è poi un altro emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Morelli Renato. Esso è così formulato:
«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere:
«sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ricordo che l’onorevole Mannironi ha presentato un emendamento per un articolo aggiuntivo che è presso a poco nello stesso ordine di idee:
«Nelle materie indicate nell’articolo 109, lo Stato potrà provvedere all’emanazione delle leggi che integrino i principî direttivi emanati, qualora non vi abbia provveduto la Regione entro un anno.
«Analogamente, e nelle stesse materie, la legge generale eventualmente emanata dalla Regione, dovrà, entro lo stesso termine, essere adattata alle direttive contenute nella legge emanata dello Stato a norma dello stesso articolo 109».
PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi non è presente e quindi si intende che abbia rinunciato al suo emendamento.
Vi è anche un emendamento dell’onorevole Colitto, che, se accettato, dovrebbe essere inserito prima della norma che abbiamo approvato in questo momento, perché rappresenta ancora una materia specifica delegata alla competenza della Regione. L’emendamento dice:
«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».
Invito l’onorevole Presidente della Commissione a pronunciarsi in merito a questo emendamento.
RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. Non credo che questo emendamento possa essere accolto. Prima di tutto, di quali servizi pubblici si tratta? Bisognerebbe evidentemente dire che si tratta di quelli della stessa Regione. Ma poi, oltre a ciò, non pare che la materia così importante delle socializzazioni e delle nazionalizzazioni, sia pure ridotte qui a regionalizzazioni, possa essere affidata alla legislazione della Regione. È tema da riservare allo Stato, pei grandi interessi economici che importa. La questione è anche d’interesse generale. Non sembra sia da ammettere in via ordinaria una facoltà legislativa della Regione. Se una legge intesa a stabilire principî di socializzazione e nazionalizzazione vorrà delegare talune funzioni anche alla Regione, sarà arbitra di farlo; ma la potestà sistematica di legislazione regionale non sembra inopportuna.
COLITTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Non insisto e ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. Ha facoltà allora di parlare l’onorevole Morelli Renato per illustrare il suo emendamento testé letto.
MORELLI RENATO. Coll’approvazione dell’articolo 109 e con l’approvazione dell’elenco delle materie nelle quali potrà esercitare il potere legislativo, la Regione come organismo nasce, e nasce, come Minerva, armata già tutta dei suoi poteri. Ora, nell’esercizio di questi poteri vi è un limite. Secondo il testo dell’articolo 109, vi è il limite delle direttive e dei principî generali. Col mio emendamento si propone un altro limite. In verità debbo dichiarare che questo secondo limite era già nella formulazione del Relatore, era nel testo approvato dal Comitato di redazione, era in quello approvato dalla Sottocommissione, nonché in quello approvato dalla Commissione dei Settantacinque. Infatti la formulazione originaria del testo era rimasta integra attraverso quattro fasi di elaborazione. Poi, nella fusione dei tre articoli, questo limite è scomparso.
Il mio emendamento tende a farlo rivivere per una ragione evidente: si tratta di sodisfare un’esigenza logica e un’esigenza politica. L’esigenza logica è di stabilire, oltre un limite formale di legittimità – si potrebbe dire, più specificamente, di competenza – all’attività legislativa della Regione, un limite di merito, consistente nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni. Ma si tratta di sodisfare anche un’esigenza politica: che la Regione segua, nella emanazione di norme, un indirizzo comune. Ora, con l’emendamento da me proposto, si assicura che ciascuna Regione svolgerà un’attività legislativa coordinata con quella delle altre Regioni e sottoposta per questo a un controllo superiore.
Affiora dalla mia proposta anche una preoccupazione, un timore; il timore che le Regioni deboli, povere, possano essere trascurate dalle Regioni sorelle più ricche, dopo che il padre – lo Stato – avrà come perduta una parte della patria potestà, cioè il potere legislativo primario.
Si può muovere all’emendamento da me proposto una obiezione, ed è questa: nell’articolo 118 è già contemplato un controllo di merito, in quanto si ipotizza il caso che il Governo o rinvii al Consiglio regionale, perché lo riesamini, un determinato provvedimento, o lo impugni, portandolo all’esame dell’Assemblea legislativa, quando esso viola l’interesse della Nazione o di altre Regioni.
Se non che, questa dell’articolo 118, che dovrà essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea, è una norma procedurale, mentre io tendo, per ragioni anche di sistematica giuridica, a far collocare il limite di merito al posto opportuno, come norma di diritto sostanziale.
Si potrebbe anche dire che il limite dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni è sottinteso. Ma io credo che un tale limite debba essere viceversa esplicito; e spero di trovare d’accordo la Commissione, per coerenza, in quanto, come ho già ricordato, il limite di merito era già contemplato nel testo rimasto integro attraverso varie successive elaborazioni. E potranno essere d’accordo anche i regionalisti, in quanto qualche ragione di diffidenza, di dubbio, potrà essere così superata e l’ostilità verso la Regione attenuata. Quanto agli antiregionalisti, cioè a quelli che sono diffidenti verso l’organismo di nuova istituzione, essi dovranno essere favorevoli, perché stabilire in modo chiaro questo limite di merito, serve ad evitare la possibilità di deviamento nell’esercizio del potere normativo della Regione.
Dunque io spero che siano di accordo gli uni e gli altri; se, invece di una speranza è una illusione, pazienza! Per conto mio, dichiaro in piena sincerità che lo scopo che mi propongo è soltanto quello di stabilire in maniera netta e precisa che l’attività legislativa regionale debba svolgersi nel segno dell’unità e che, anche rispetto alle future norme che emaneranno da ciascuna Regione, supremo sarà sempre l’interesse della Nazione e la solidarietà fra tutte le Regioni.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta dell’onorevole Morelli era già stata avanzata prima dall’onorevole Zotta e poi dall’onorevole Colitto. Il Comitato li aveva pregati di rinviare la questione all’articolo 118, accettando fin d’ora in massima il concetto espresso ed ammettendo che, come collocamento, si sarebbe potuta, quando si farà la sistemazione di tutta la Costituzione, mettere la norma anche qui, nell’articolo che stiamo esaminando.
Di fronte a nuove insistenze, il Comitato non si oppone a che il principio sostanzialmente acquisito già al testo dei Settantacinque, in altra forma, abbia fin d’ora di nuovo formule ed esplicita approvazione. Non vi è nulla di nuovo nel pensiero del Comitato. Su questo principio non v’è dubbio: regionalisti e antiregionalisti sono d’accordo che le disposizioni della legislazione secondaria della Regione non debbano mai contrastare con l’interesse della Nazione e delle altre Regioni.
L’Assemblea voti, dunque, il principio in modo che rimanga definitivamente stabilito. In quanto al collocamento, meglio forse che rimanere nell’ultima parte dell’articolo attuale, dovrebbe essere trasferito nel suo primo comma. Ma si può ancora riservare la questione se metterlo qui o altrove, alla revisione sistematica che avrà luogo dopo che tutta la Costituzione sarà approvata.
PRESIDENTE. L’onorevole Morelli è d’accordo?
MORELLI RENATO. Sono d’accordo.
TOSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOSATO. Riterrei opportuno di rinviare la votazione anche sulla questione di principio, perché questa materia della competenza regionale ha subito tante trasformazioni da indurre a pensare che qualche dubbio sia sorto sulla questione del controllo di merito nella legislazione regionale in relazione agli interessi dello Stato e delle altre Regioni. La nuova configurazione della legislazione regionale rimane talmente delimitata e precisata, che la questione del controllo di merito, concesso anche dall’articolo 118 al Governo per opporsi alle leggi regionali (in quanto eventualmente contrastanti coll’interesse delle altre Regioni e dello Stato), va riveduta e meditata. Per questo propongo che tutto l’insieme della questione sia riesaminato in sede di articolo 118.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il suo pensiero.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ciò che ha detto l’onorevole Tosato non mi sembra avere un fondamento decisivo. Che la legislazione secondaria regionale non debba contrastare con gli interessi nazionali o delle altre Regioni è un punto talmente acquisito a tutta l’elaborazione della Costituzione, e così inerente alla struttura unitaria dello Stato, che l’onorevole Tosato non ne può certamente dubitare. Posto il principio, si tratterà di vedere le vie e gli organi di controllo. Che sia sempre la Corte costituzionale o che, essendo questo controllo di merito, spetti piuttosto al Parlamento o ad un suo ramo, è questione che sarà decisa dall’Assemblea nel modo che crederà migliore; ma ciò non tocca, ed anzi presuppone, il principio che ora è da votare.
ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI PAOLO. Non sarei intervenuto nella discussione se l’onorevole Tosato non me ne avesse dato l’occasione. Egli ha dimostrato chiaramente col suo intervento che l’emendamento dell’onorevole Morelli è perfettamente giustificato, che è urgente, che è necessario e che dobbiamo votarlo. Un qualche dubbio ci poteva essere circa l’opportunità dell’inserimento, finché avevamo sentito le parole dell’onorevole Presidente, il quale ci diceva: badate che è solo un di più, perché questo principio è ammesso e pacifico. Ma se un’ombra di dubbio c’è, è bene votare subito l’emendamento dell’onorevole Morelli. C’è una questione, eventualmente, di ridondanza. Ma, a questo proposito, rilevo che, se il nostro testo costituzionale fosse uno di quei politi e torniti documenti giuridici cui non si può togliere o aggiungere una virgola senza turbarne l’euritmia, non saremmo né io né l’onorevole Morelli a volerne rompere la perfezione. Ma ci sono in esso tante tautologie e ridondanze che questa affermazione necessaria e principale mi pare possa esservi compresa. Quindi voterò per l’emendamento Morelli.
TOSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che proposito?
TOSATO. Soltanto per una chiarificazione circa l’esistenza di limiti di merito alla legislazione regionale. Questa va intesa nel senso che la legislazione regionale trova un limite nell’interesse delle altre Regioni e nell’interesse generale dello Stato; siamo tutti d’accordo su questo punto; ma il problema non è sul limite, ma sul terreno tecnico. Il problema è, tecnicamente, di procedura, e per questo va esaminato sotto il profilo dell’articolo 118.
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. A me sembra, contrariamente a quanto ha detto l’onorevole Tosato, che il problema non sia di procedura, ma di sostanza: incide sulla qualificazione della potestà legislativa della Regione. Nel momento in cui la Costituzione conferisce un potere di dettare leggi alla Regione, e lo precisa con un limite estrinseco, che è quello che abbiamo segnato nel primo comma, è necessario anche un limite di merito, che attiene alla quantità, per così dire, di questa potestà legiferante della Regione. La questione di procedura verrà dopo se e in quanto ci sarà un limite di sostanza, che noi dobbiamo fissare proprio in questa sede. Direi di più: che questa precisazione è indispensabile, anche se non ci dovesse essere la possibilità di un controllo costituzionale. È, in altri termini, una direttiva, un orientamento che lo Stato dà alla Regione. Esso dice alla Regione: puoi fare delle leggi, ma esse incontrano questo limite: non violare gli interessi della Nazione e delle altre Regioni. Se ci potrà essere una possibilità di sanzione è un altro problema. Ciò non toglie che questa necessità d’imposizione di un limite chiaro e preciso, che tranquillizzi sulla unità del sistema legislativo debba essere posto. Perciò voterò a favore dell’emendamento Morelli.
PRESIDENTE. Pongo anzitutto in votazione la proposta dell’onorevole Tosato di rinviare la decisione su questo particolare emendamento.
(Non è approvata).
Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Morelli Renato del seguente tenore:
«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere: sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».
(È approvato).
Resta inteso che si dovrà, in sede di coordinamento, stabilire il collocamento di questa proposizione.
Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 109, che è del seguente tenore:
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».
Su questo comma sono stati proposti alcuni emendamenti.
L’onorevole Mortati propone che il comma sia sostituito dal seguente:
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione l’emanazione delle norme regolamentari per la loro integrazione ed esecuzione».
Invece l’onorevole Preti propone soltanto di aggiungere dopo la parola «norme», la specificazione» regolamentari».
Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi ed Azzi propongono, infine, di sostituire alla parola «esecuzione», la parola «attuazione».
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Il nostro emendamento si riduce alla sostituzione della parola «esecuzione», con la parola «attuazione». Perciò, lo svolgimento dovrebbe essere brevissimo. Tuttavia, vorrei approfittare di questa occasione, per sottolineare il valore di questo comma, allo stato attuale dei nostri lavori. Dopo le lunghe discussioni sull’articolo 109, si è arrivati a fare una elencazione, relativamente ristretta, delle materie sulle quali le Regioni hanno un potere legislativo, nell’ambito dei principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato.
L’ultimo comma, così come figura nel testo della Commissione, proviene dall’ultimo comma dell’articolo 111 dell’antico progetto, e risente un po’ di questa sua origine, in quanto nel testo primitivo si parlava, in realtà, di esecuzione, ma si parlava anche di norme regolamentari; invece, il testo attuale della Commissione non parla più di norme regolamentari, ma di norme, puramente e semplicemente.
Ora, a noi pare che questa modificazione, già accolta dal Comitato, è certamente da accogliersi; ma, appunto per questo, è anche da rettificarsi l’ultima parola usata nel comma, dicendo «attuazione» in luogo di «esecuzione».
La parola «esecuzione» poteva comprendersi, quando si parlava soltanto di norme regolamentari. Allargato, invece, il concetto, conviene usare una espressione più larga. Ora, fra le formule abitualmente usate per indicare qualcosa di più della «esecuzione», cioè una integrazione, un’emanazione di norme complementari in dettaglio, la nostra tecnica legislativa usa di solito «attuazione».
Questo comma, dicevo, rappresenta, in fondo, una norma complementare di quella che sarebbe stata la formula generale, quale era proposta da alcuni colleghi e particolarmente dall’onorevole Targetti, anzi è meno ardita. È una formula che viene a completare il quadro e che potrà e dovrà avere una notevole importanza pratica; in quanto, secondo questo sistema, lo Stato, facendo una legge, al di fuori di quelle materie elencate in maniera tassativa nella parte prima, avrà una notevole elasticità di movimento, una notevole libertà di disciplina. E potrà usare varî modi; uno potrà essere questo: che lo Stato, facendo una legge su una certa materia, lasci alle Regioni una notevole ampiezza nello stabilire le norme di integrazione e di attuazione; ma lo Stato potrà anche usare quest’altro espediente: stabilire delle norme aventi carattere dispositivo, nel senso che esse avranno efficacia, se ed in quanto la Regione, utilizzando il potere attribuitole dall’ultimo comma di questo articolo, non adotti essa stessa delle norme di attuazione.
Ritengo, dunque, che questo articolo avrà notevole importanza pratica. In definitiva, forse, più che la prima parte, questa seconda parte darà la misura dell’intervento regionale nel campo legislativo.
Chi ha seguito, anche in questi ultimi giorni, la discussione di leggi in quest’Assemblea, ha vissuto un’esperienza che dà molti insegnamenti; cioè dimostra come un Parlamento difficilmente possa fare leggi, che scendano al dettaglio. In queste condizioni, il Parlamento si trova esposto al pericolo che, non potendo scendere al dettaglio, sia facilmente indotto a delegare al Governo la competenza di fare norme complementari. Ora, questo comma offre invece un’altra possibilità, che potrà avere una notevole utilizzazione, e cioè che la legge statale regoli una certa materia con norme che restino in un campo abbastanza generale, e deferisca alle singole Regioni la competenza di fare le norme di dettaglio e di attuazione.
Ritengo, dunque, che questo articolo ha notevole importanza. La modificazione proposta mi pare che non possa incontrare difficoltà e mi auguro che su questo comma si manifesti l’unanimità dell’Assemblea, con l’adesione, cioè, anche di tutte quelle parti politiche che finora si sono, per ragioni che non voglio discutere, rifiutate o, per lo meno, hanno resistito nell’attribuire alle Regioni il potere legislativo così come è indicato nella parte prima di questo articolo.
PRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRETI. Dirò brevi parole. Dopo una lunga discussione si sono stabilite le varie materie sulle quali la Regione è chiamata ad emanare norme legislative. Ora, mi sembra evidente che su tutte le altre materie la Regione non potrebbe essere chiamata che ad emanare norme regolamentari. Perciò mi sembra opportuno che nel testo dell’ultimo comma dell’articolo non si dica semplicemente che le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione «il potere di emanare norme», bensì specificamente si abbia a parlare di «potere di emanare norme regolamentari». Mi sembra che tutti debbano arrivare a questa conclusione, a meno che non si mediti un allargamento del concetto di norma di cui a questo ultimo comma, come mi ha lasciato pensare l’onorevole Perassi. Se prima ero in dubbio se sostenere il mio emendamento, ora, dopo aver sentito le parole dell’onorevole Perassi, ritengo necessario insistere.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.
MORTATI. A me pare che all’onorevole Preti sia sfuggito il significato della votazione avvenuta poco fa, che ha portato all’approvazione della dizione «altre materie stabilite dalla legge». Con tale norma si è data al legislatore la podestà di attribuire alla Regione un’attività legislativa assai vasta, in cui possono rientrare tutte le forme di legislazione delegata. Non vi è luogo perciò, all’infuori di questa, se non ad un conferimento di potere regolamentare. Credo pertanto che non sia il caso di insistere sull’inserzione della frase «regolamentare», essendo tale carattere implicito.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.
DUGONI. Devo dire che queste sono cose stupefacenti, in quanto si sta ricreando la triplice distinzione della facoltà legislativa da parte della Regione, che si era voluta cancellare abolendo i vecchi articoli 109, 110 e 111. Si era detto: creiamo un’unica facoltà per la Regione, in modo che sia uniforme e che sia senza possibilità di equivoci e soprattutto che sia estremamente semplice. Oggi noi vediamo che si torna a creare la facoltà legislativa quasi a tipo esclusivo, perché attraverso l’emendamento attuale si respinge verso l’esclusività, cioè verso una menomazione della facoltà legislativa dello Stato. Questo è il concetto che oggi viene fuori; si va verso la restrizione della possibilità dello Stato di legiferare su determinate materie.
PERASSI. Non è vero.
DUGONI. Ma sì, questo è il gioco che si sta facendo.
PERASSI. Non facciamo nessun gioco.
DUGONI. Parlo con molta precisione di linguaggio. Si sta facendo il gioco (Commenti) di far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Il problema che si viene ponendo è questo: dopo che si è trovato un accordo, dopo che si era cercato in tutti i modi di confluire verso un sistema unico di potestà legislativa della Regione, adesso si stanno creando i tre tipi, cioè la legislazione esclusiva, la legislazione integrativa e la legislazione regolamentare. Se questo non si chiama riportare dalla finestra quello che l’Assemblea ha già buttato fuori dalla porta col suo voto, io non so che cosa questo significhi. Noi ci opponiamo a questo sistema soprattutto per una ragione di lealtà. (Commenti). Non avendo tutte le frecce al vostro arco, voi adoperate le frecce dell’avversario quando vi fa comodo. Questo è un sistema che non è giusto e che non è leale e noi lo respingiamo con tutte le nostre forze.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Dugoni, che vede oscuri intenti e manovre, voglio osservare che il richiamo della potestà regolamentare da lui sostenuto è messo avanti proprio dall’onorevole Mortati, della tendenza da cui partirebbero le manovre. La questione è anzitutto tecnico-giuridica, e va decisa da tale punto di vista. Del resto prego l’onorevole Dugoni di riflettere che alcune delle apprensioni che qui lo muovono, non gli furono presenti quando accettò l’emendamento Giua, che aveva qualcosa d’affine agli emendamenti ora da lui combattuti. Non è difficile smarrirsi in questa galleria di facoltà legislative e regolamentari.
Come punto di partenza resta fermo che noi abbiamo unificato i tre tipi sottili e complicati, che erano stati predisposti per la competenza legislativa della Regione. Resta fermo che lo Stato stabilisce nelle sue leggi i principî entro i cui limiti la Regione ha una facoltà di dettare norme, che abbiamo chiamata legislativa. Resta fermo che lo Stato, stabilendo i principî, traccia come un cerchio nel quale si deve tenere la Regione, che è bensì libera entro il cerchio (la cornice, come dicono i giuristi tedeschi), ha entro quel cerchio una competenza propria, che però è sempre, in sostanza, quella di integrare i principî posti dallo Stato.
Vi sono state battaglie sulle parole «potestà legislativa». Sorsero e rimangono parecchi scrupoli sulla figura di «legge della Regione». Forse, se invece di parlare di «norme legislative» si fosse parlato di «norme che abbiano valore di legge» vi sarebbero stati meno scrupoli. Tutti sanno che vi sono atti che non sono formalmente leggi, ma hanno valore come se fossero leggi. Io penso che la classica e tipica distinzione fra legge e regolamento non abbia più il rilievo ed il taglio netto di un tempo; quando le due categorie risalivano ad una distinzione anch’essa più netta e recisa, tra i compiti del Parlamento e del Governo. Per la maggior complessità della vita dello Stato e per le esigenze pratiche del suo funzionamento, si sono sempre più sviluppate forme intermedie: di legge delegata, di regolamento indipendente; e così via. Si viene delineando, e noi che facciamo la Costituzione ne sappiamo qualcosa, una scala e gerarchia di norme: che vanno dalla Costituzione e dalle leggi di valore costituzionale alle leggi ordinarie dello Stato; e vengono fuori altre categorie secondarie di norme, come queste emanate dalla Regione, che prendono anch’esse rango e nome di leggi. Molto si spiega con un fatto, sul quale ho più volte insistito di fronte all’Assemblea: il Parlamento non è più in grado di fare tutte le leggi necessarie alla vita attuale del Paese; ed allora (oltre i congegni interni che dovranno svilupparsi nel suo seno di delega a sue speciali Commissioni) si fa strada l’attribuzione di compiti legislativi, sempre secondari ed in dati limiti, alla Regione e ad altri organi (come potrebbero essere i Consigli economici). È tutta una materia in movimento; e se fra legge e regolamento non vi sono più i confini di un tempo; e se la parola «legge» si espande, sollevando i giovanili furori dell’onorevole Preti, pur così colto e preparato, non è arbitrio o capriccio o manovra terminologica; né tutto si riduce a voler valorizzare la Regione. È un processo in cammino; che non possiamo definire ancora in tutti i suoi particolari; un processo di decentramento legislativo, che dobbiamo registrare, cercando nel tempo stesso di evitare gli equivoci.
A tale scopo, dopo aver combattuto la legge della Regione, l’onorevole Preti non vuole ora che si parli di regolamento; e qui gli do ragione, appunto perché non c’è più la distinzione e la configurazione rigida di un tempo. Invece l’onorevole Zotta vorrebbe, come l’onorevole Mortati, parlare di regolamento; ed a me non sembra opportuno; come non mi sembra opportuno parlare, come egli vorrebbe, d’«integrazione»; perché, lo ho già detto, anche nella potestà legislativa del primo comma vi è in sostanza una integrazione di norme dello Stato. Accetto, invece, l’emendamento Perassi, che invece di «esecuzione», dice «attuazione»; e ritengo che l’espressione si addica a quanto veniamo a dire in questo ultimo comma.
Ciò che in esso stabiliamo non contraddice alle disposizioni del primo comma; in forza del quale lo Stato, in date materie, si limita a stabilire principî fondamentali, e la Regione ha una competenza propria a far norme entro i limiti posti dallo Stato. Nelle altre materie, in tutte le materie, lo Stato fa leggi comuni, particolareggiate e minute, e può per la loro attuazione, caso per caso, attribuire facoltà di dar norme alla Regione, anziché al Governo centrale. Preferisco non parlare (lo ripeto) di norme regolamentari. Non insista, onorevole Preti, perché sarebbe controproducente alla sua concezione delle norme del primo comma, di cui accentuerebbe il carattere legislativo. Non parliamo, in quest’ultimo comma, né di legislazione integrativa, né di regolamento. Siamo ai margini. Nomi e designazioni verranno fissati; e vi avrà la sua parte la dottrina. Quel che importa, intanto, è che si ponga una differenza di processo fra il primo e l’ultimo comma. Il Comitato ritiene che basti il suo testo; ed accoglie soltanto l’emendamento Perassi.
PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?
MORTATI. Ho spiegato che il mio emendamento non ha più ragione di essere, una volta approvato l’inciso «altre materie». Pertanto lo ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Preti?
PRETI. Voglio osservare che il mio emendamento non è controproducente. Il Presidente Ruini ha detto che ho combattuto la famosa distinzione tra norme e regolamento, quando si trattò del primo comma dell’articolo. Ed invero io sostenni che si doveva genericamente parlare di potestà normativa, e non di potestà legislativa. Ma, poiché per il primo comma è stata adottata la dizione «potestà legislativa», è chiaro che è prevalsa l’altra tendenza. Proprio per questo io chiedo che in questo ultimo comma, per togliere ogni equivoco, si dovrebbe meglio specificare.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è, onorevole Preti, il taglio netto fra legge e regolamento.
PRESIDENTE. Al testo della Commissione sono stati dunque proposti due emendamenti, uno dei quali, quello dell’onorevole Perassi, è stato accettato dalla Commissione, mentre l’altro, presentato dall’onorevole Preti, non è stato accettato.
Pongo prima in votazione il testo con l’emendamento dell’onorevole Preti, per il quale la dizione suonerebbe così:
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme regolamentari per la loro attuazione».
(Non è approvato).
Dovremo ora passare alla votazione del testo della Commissione, comprendendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi, accolto dalla Commissione stessa.
DUGONI. Onorevole Presidente, ritengo che si debba votare per divisione su questo punto. Che la Commissione abbia accettato l’emendamento Perassi è altra questione.
PRESIDENTE. Quando si fanno questioni procedurali esse devono avere uno sbocco. A cosa sbocca questa questione? Lo sbocco è che dobbiamo votare il testo della Commissione, includendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi.
L’onorevole Dugoni, vorrebbe che l’emendamento Perassi fosse votato subito?
DUGONI. Domando se vi saranno due votazioni.
PRESIDENTE. Soltanto se il testo comprensivo dell’emendamento Perassi fosse respinto, faremmo una seconda votazione.
Pongo dunque in votazione il testo della Commissione con l’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».
(È approvato).
È esaurita pertanto la votazione sui vari commi dell’articolo 109, il cui testo risulta così formulato:
«La Regione emana norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, nelle seguenti materie:
ordinamento degli uffici degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;
modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali;
polizia locale urbana e rurale;
fiere e mercati;
beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;
istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;
musei e biblioteche di enti locali;
urbanistica;
turismo e industria alberghiera;
tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;
navigazione e porti lacuali;
acque minerali e termali;
cave e torbiere;
caccia;
pesca nelle acque interne;
agricoltura e foreste;
artigianato;
altre materie indicate da leggi speciali, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni.
«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».
Presidenza del Vicepresidente TARGETTI
PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 112. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie indicate negli articoli 109 e 110 e nelle altre delle quali lo Stato le delega la gestione».
PRESIDENTE. Per questo articolo il Comitato di redazione ha ora proposto la seguente nuova formulazione:
«Spettano alle Regioni le funzioni amministrative per le materie indicate nel precedente articolo, in quanto regolate da norme speciali, salvo quelle di interesse esclusivamente locale attribuite con leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni e ad altri enti locali».
In relazione a tale articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.
Il primo emendamento è quello sostitutivo dell’onorevole Mortati. Lo leggo nella sua definitiva formulazione:
«Sostituire l’articolo con il seguente:
«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali.
«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
Do la parola all’onorevole Ruini perché esprima il pensiero della Commissione su questo emendamento.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato fa proprio l’emendamento Mortati, ed io ne dirò le ragioni. Il testo dell’articolo 112 si limitava e stabilire che spettano alla Regione le funzioni amministrative corrispondenti alle materie in cui la Regione ha competenza legislativa. Questo in via di massima, come principio; perché è sembrato alla maggioranza del Comitato che tra l’uno e l’altro ordine di funzioni, legislativa ed amministrativa, vi sia un rapporto di connessione; e sarebbero insorte molte questioni non facili a risolversi in sede costituzionale, se si fosse voluta fissare una serie di attribuzioni amministrative. Vi sarebbe stato anche l’inconveniente di irrigidire in forma costituzionale la distribuzione di funzioni fra Regione ed altri enti locali. Il Comitato è stato unanime nello stabilire che non vi sia parallelismo rigido fra funzioni legislative ed amministrative della Regione e che le funzioni amministrative, attribuite in via di massima alla Regione per la correlazione alle sue funzioni legislative, possano essere, con leggi dello Stato affidate ad altri enti locali; in vista di quel riordinamento e di quella redistribuzione di attività amministrative, deve essere uno dei migliori risultati di questa nostra riforma, che parte dalla istituzione dell’ente Regione.
Potevano sorgere e son sorte a tal punto questioni. Come? L’elenco delle materie in cui spetta competenza legislativa alla Regione è tale, che passando anche su tale materia le funzioni amministrative, la Provincia sarebbe privata del suo attuale contenuto di attribuzioni. Non basta, osservano i (diciamo così) provincialisti, che la Regione possa volontariamente incaricare la Provincia di esercitare funzioni che spetterebbero a lei Regione. D’altra parte, dicono i regionalisti, se lasciamo alle leggi ordinarie dello Stato di togliere alle Regioni funzioni che le abbiamo, in via di massima, attribuite, e di darle invece agli altri enti locali, che cosa resta della Regione?
Si è trovato un accordo nell’ammettere che agli altri enti possano passare soltanto funzioni di esclusivo interesse locale, non regionale. Indicazione non ben determinata; ma intanto, e tutti furono di quest’idea, si è aperta la via alla redistribuzione di funzioni locali, che è la cosa che più importava.
L’emendamento Mortati mantiene e non tocca la prima parte dell’articolo. Vi aggiunge che «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici». Non è cosa nuova; era acquisita al vecchio testo, per evitare la burocratizzazione della Regione. Messo qui, ed espresso in forma migliore, con la distinzione della delega e dell’utilizzazione degli uffici locali, la disposizione assume un efficace risalto; e conferisce ad inquadrare subito, nel suo aspetto generale, la fisionomia e la struttura della Regione.
Non ho altro da dire. L’emendamento dell’onorevole Mortati raccoglie felicemente quegli elementi che prima erano trasferiti in varie parti del progetto. Pertanto il Comitato lo fa proprio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.
MORTATI. Desidero richiamare l’attenzione sulla notevole importanza di questo articolo, che stabilisce la competenza amministrativa della Regione. Secondo l’orientamento che sembra più opportuno, questa competenza dev’essere concepita in funzione prevalentemente direttiva, normativa, di impulso, di controllo. Si deve evitare il pericolo, che molti temono, e che non è ipotetico, di un accentramento regionale, che potrebbe portare all’inconveniente di trasportare nel seno della Regione quell’accentramento che si vuole sopprimere nell’organizzazione dello Stato.
Quindi, l’opportunità di stabilire nello stesso articolo che determina la sfera dell’attività amministrativa della Regione, il principio del decentramento.
C’è un altro punto che mi pare di notevole importanza, quello di stabilire un parallelismo tra la funzione normativa e la funzione amministrativa della Regione. Questo parallelismo era stato stabilito dal Comitato con una formula che a me non sembrava esatta, perché parlava di potestà amministrativa genericamente nella materia normativa.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene; ma abbiamo fatto nostro il suo testo.
MORTATI. Allora è inutile soffermarsi; volevo soltanto segnalare l’importanza che ha dal punto di vista politico il collegare l’attività amministrativa della Regione all’attività normativa propria istituzionalmente della medesima.
PRESIDENTE. Vi è un altro emendamento presentato dagli onorevoli Bozzi, Colitto, Crispo, Villabruna, Morelli Renato, Preziosi, Cifaldi, Bencivenga, Fresa, Caroleo, Condorelli:
«Le Regioni, le Provincie ed i Comuni provvedono all’amministrazione nelle materie indicate dalle leggi della Repubblica».
L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.
BOZZI. Onorevoli colleghi, noi dobbiamo oggi affrontare il secondo argomento di maggiore importanza, nel tema della Regione. Abbiamo finora trattato della potestà normativa ed abbiamo tutti sentito la necessità di fissare alcuni limiti.
Adesso passiamo al secondo capitolo: la competenza amministrativa della Regione, cioè l’attività che attiene all’esecuzione delle leggi. Le leggi non sono dichiarazioni accademiche; hanno importanza in quanto si traducano in atto; quindi, la necessità di stabilire l’organo, l’ufficio che deve amministrare, che deve eseguire le leggi e dare soddisfazioni, nei limiti di esse, ai pubblici interessi.
Io, che pure non passo per un regionalista, sento la necessità di un decentramento amministrativo. (Approvazioni al centro). Però sento altrettanto imperiosa la necessità di chiarezza.
Ora, mi sembra che, tanto nel testo originario, quanto – sia pure in minor grado – nel testo proposto dal collega professore Mortati ed accettato ora dal Comitato di redazione, si stabilisca un collegamento, che io non approvo, fra potestà normativa della Regione e potestà amministrativa. Si dice: la Regione ha competenza di amministrare in quelle materie nelle quali ha competenza di far leggi; quindi, non solo in quelle particolarmente elencate, ma in tutte quelle altre per le quali con leggi speciali lo Stato potrà delegare l’esercizio del potere legiferante alla Regione.
MORTATI. No, no.
BOZZI. Credo di sì; l’articolo proposto si riferisce al primo comma dell’articolo sulla potestà normativa della Regione, che comprende anche la possibilità di delega di cui ho detto.
Ora, mi sembra che questo collegamento tra competenza amministrativa e competenza normativa sia un difetto di impostazione e causa di incertezze. Io credo che non sia da escludere che alla Regione possa essere attribuita potestà di amministrare, anche in materie per le quali essa non abbia potestà normativa.
Noi ieri abbiamo, per esempio, escluso dalla potestà normativa della Regione le materie dell’industria e del commercio, ma io non vedrei nulla di male che su queste materie fosse conferita alla Regione stessa una certa competenza amministrativa. I Comuni già oggi ne sono titolari.
Questo articolo poi mi sembra limitativo. L’interpretazione che io ne do è questa: le materie che possono amministrare le Regioni, le Province e i Comuni sono quelle, e soltanto esse, previste per rinvio in questo articolo; donde la conseguenza che le leggi della Repubblica possono distribuire la potestà di amministrare fra Regione, Province e Comuni, ma soltanto nell’ambito delle materie elencate. Ma questo è un errore, e grave. Si pensi che oggi il Comune ha scopi illimitati; si può dire che sia suscettivo di massima espansione, che è paragonabile soltanto con quella dello Stato.
Ma vorrei, in modo particolare, che la Commissione mi desse un chiarimento intorno ad un altro mio dubbio, che stimo di qualche rilevanza. Noi abbiamo stabilito una potestà normativa delle Regioni, la quale è indiscutibilmente una potestà subordinata ai fini fondamentali dello Stato; la Regione, cioè, si muove con le sue leggi entro zone che sono predeterminate dalle leggi dello Stato e – secondo quanto abbiamo oggi aggiunto – con vincoli di merito, perché la Regione non può mai dettare norme che contrastino con l’interesse dello Stato o di altre Regioni. Ma la potestà amministrativa della Regione è del pari subordinata, così come la potestà normativa? In sostanza, come noi abbiamo cercato di assicurare una unità legislativa, cercheremo di assicurare anche l’unità amministrativa, cioè l’unità nell’esecuzione delle leggi? E come cureremo l’attuazione amministrativa dei principî fondamentali che sono riservati alla potestà legislativa dello Stato? Questo è un dubbio, egregi colleghi, che si pone alla mia coscienza di giurista; è un dubbio che è balzato ai miei occhi non appena ho letto quest’articolo, e che desidero mi venga chiarito.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo.
BOZZI. Io desidero, in altri termini, sapere quali saranno i rapporti fra gli uffici autarchici regionali e gli organi burocratici dello Stato, se esisteranno ancora.
Ma qui la visuale dei dubbi si allarga. Onorevoli colleghi, ho l’impressione che abbiamo dimenticato un punto importante, o non lo abbiamo tenuto nella giusta luce. Noi abbiamo istituito la Provincia come ente autarchico: ebbene, non è questa una introduzione di poco momento; è questo, invece, un istituto che incide nella struttura di tutto il sistema di autonomie che abbiamo creato.
Non solo, ma si parla anche di altri enti locali, che non si sa bene quali potranno essere. Ora, quale sarà la distribuzione dei compiti? Che cosa sarà la Regione? Lo Stato amministra; ma amministrano anche le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti. Dov’è l’ordinamento di questo complessò sistema? Qual è la linea? Accentreremo noi forse le funzioni amministrative nella Provincia, così che la Regione sarà quasi un consorzio obbligatorio di Province e avrà prevalentemente una funzione di coordinamento? Io vedo, per esempio, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, un alinea che mi fa pensare che le funzioni amministrative saranno prevalentemente esercitate dalle Province e dai Comuni, sia pure attraverso una delega delle Regioni. Ora, io dico: un decentramento vivo e reale lo vogliamo tutti; tutti sentiamo i danni di un accentramento statale, opprimente alcune volte. Ma perché un decentramento possa avvenire è necessario che noi riorganizziamo, con una visione organica e completa, non solo la competenza degli enti locali, ma le competenze amministrative dello Stato. Si impone, cioè, una riforma completa della pubblica amministrazione, statale e indiretta, come si chiama da taluni quella dei Comuni e delle Province.
Ed ecco la ragione del mio emendamento: facciamo un articolo di rinvio. I Comuni, le Province, le Regioni avranno la competenza amministrativa nelle materie che saranno indicate dalla legge. E con ciò – e il Presidente onorevole Ruini me ne può far fede – non propongo, in definitiva, cosa diversa da quanto non sia stabilito nell’articolo 8 delle Disposizioni transitorie e di attuazione, là dove si dice che con legge della Repubblica sarà regolato il trapasso delle funzioni dallo Stato alle Regioni.
In altri termini, perché questa riforma possa avere cominciamento, attuazione e sviluppo, è necessaria una legge organica. E allora dico: non pregiudichiamo il problema con affermazioni che potrebbero domani turbare la linea di quella che deve essere una riforma organica. Attendiamo questa riforma del decentramento amministrativo, del quale oggi dovremmo solo affermare la necessità e stabilire l’impegno per il futuro legislatore.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Desidero eliminare il possibile equivoco, quale può desumersi dalle parole dell’onorevole Bozzi. Il mio emendamento, quando fa riferimento alle materie indicate nel primo comma del precedente articolo, intende riferirsi alle materie comprese nell’elencazione, escludendo cioè quelle indicate genericamente, come delegabili dal legislatore ordinario. Queste ultime, dando luogo ad una competenza temporanea, e sempre revocabile, perciò non istituzionale, della Regione, non possono importare un passaggio automatico di competenza amministrativa.
Se me lo permette l’onorevole Presidente, vorrei ancora precisare molto brevemente la ragione di questo parallelismo fra potere legislativo e potere amministrativo della Regione. In sostanza, noi abbiamo voluto con questa proposta dare un primo avviamento al principio del decentramento amministrativo dello Stato; abbiamo voluto, cioè, nella stessa Costituzione affermare un criterio del passaggio alla Regione di tutte quelle attività amministrative inerenti a materie per cui essa ha potere esclusivo di legislazione integrativa dei principî.
Ciò dovrebbe consentire l’eliminazione degli uffici locali dello Stato per interi gruppi di materie, iniziando la decongestione dell’Amministrazione statale in modo razionale.
PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire l’articolo col seguente:
«La Regione esercita funzioni amministrative, oltre che nelle materie di cui all’articolo precedente, in tutte le altre che le siano delegate dallo Stato.
«Funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia e al Comune dalle leggi dello Stato o da quelle della Regione».
Ha facoltà di svolgerlo.
CODIGNOLA. Vorrei far presente due punti. Anzitutto, come ha rilevato l’onorevole Bozzi, mi pare che accettando l’emendamento dell’onorevole Mortati noi veniamo a stabilire che si possano decentrare funzioni amministrative ai Comuni e alle Province solo nell’ambito delle materie indicate nell’articolo 109. Almeno, se non sbaglio, questa è l’interpretazione letterale dell’emendamento dell’onorevole Mortati: insisterei quindi nel mio emendamento per la parte che dice che «funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia o al Comune dalle leggi dello Stato»; e aggiungerei poi «o da quelle della Regione», significando cioè, che anche la Regione può decentrare le proprie funzioni amministrative alla Provincia e al Comune.
Non sarei favorevole all’accettazione dell’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Mortati, che riporta alla materia disciplinata dall’articolo 120 del progetto. Credo che questa materia dell’articolo 120 sia opportuno lasciarla dove l’ha posta il progetto; essa riguarda anche i consorzi e la definizione della Provincia: è un problema più vasto, che non può essere ristretto negli angusti limiti di quest’ultimo comma, così come è proposto dall’onorevole Mortati.
In via di massima accetterei quindi i primi due commi dell’emendamento dell’onorevole Mortati, ma a condizione che sia chiarito che ai Comuni e alle Province possono essere delegate funzioni amministrative anche in materie non comprese fra quelle deferite dall’articolo 109 alla Regione agli effetti legislativi.
PRESIDENTE. Mi permetta, allora lei aderirebbe all’emendamento Mortati.
CODIGNOLA. Con la precisazione che ho detto.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Comincio col rispondere all’onorevole Bozzi sulle questioni minori che ha sollevato con la consueta acutezza. Egli esprime il dubbio che siano attribuite alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti non solo alle materie tassativamente indicate dall’articolo precedente per la potestà legislativa della Regione, ma anche alle «altre materie» in cui pure può essere accordata eguale facoltà. L’intento del Comitato è proprio di evitare che avvenga tale estensione; ed è in vista di ciò che nell’ultimo testo proponiamo di dire materie «elencate», e cioè indicate nell’elenco, non comprese genericamente nelle «altre materie». Comunque, se sarà necessario un chiarimento maggiore, lo potremo fare in sede di coordinamento. Nulla vieta che delle «altre materie» si possa fare un comma a sé, in modo che non possa più sorgere il menomo dubbio.
L’onorevole Bozzi si preoccupa poi (e la sua preoccupazione mi sembra condivisa dall’onorevole Codignola) che ai Comuni ed alle Province non possano essere attribuite altre funzioni oltre a quelle indicate nell’articolo precedente. Non è così. Quest’articolo considera solo le funzioni amministrative, spettanti in via di massima alla Regione, che possono da leggi dello Stato essere trasferite alle Province ed ai Comuni. Ma questi enti possono e debbono avere altre funzioni e compiti attribuiti ad essi da leggi dello Stato. Lo dice il successivo articolo 121, che definisce più direttamente (qui nel 112 si parla di Regione) la figura delle Province e dei Comuni. Il dubbio degli onorevoli Bozzi e Codignola non regge. Del resto potranno, in occasione dell’articolo 121, proporre, se lo credono necessario, formulazioni anche più esplicite nel senso desiderato.
Altra preoccupazione dell’onorevole Bozzi: che, dove la Regione ha funzioni legislative ed amministrative, si debbano sopprimere gli uffici centrali. È chiaro che, quando dati servizi passano dallo Stato alle Regioni, dovranno passare alle Regioni dati uffici ed il relativo personale. Ma è altrettanto chiaro che quando si danno alle Regioni funzioni legislative ed amministrative, ad esempio, sull’agricoltura e sulle foreste, non deve con ciò intendersi soppresso il Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Lo Stato, che stabilisce i principî generali della legislazione in siffatte materie, deve evidentemente conservare funzioni di vigilanza e di controllo. Sarà un compito diverso da quello di prima; si dovranno evitare doppioni e pesantezze burocratiche; ma insomma vi saranno anche uffici centrali.
Su questi tre punti l’onorevole Bozzi può essere tranquillo.
Veniamo al problema principale: il nesso fra le potestà legislative e le funzioni amministrative delle Regioni. Questo nesso non è indispensabile, siamo d’accordo; si poteva (l’ho già detto in un altro intervento) far due elenchi ben distinti di materie di competenza legislativa, e di funzioni amministrative. Ma quante difficoltà ed incertezze. E sarebbe giovato – proprio contro gli intendimenti dell’onorevole Bozzi – irrigidire anche le funzioni amministrative in un elenco di Costituzione?
Che cosa si è fatto? Si è tenuto presente che un nesso, sia pure non inscindibile, esiste fra le materie in cui la Regione pone le mani, sia come legislazione secondaria, sia come gestione. Dacché ci voleva un criterio, si è preso questo; ma subito dopo si è provveduto alla possibile disgiunzione, in quanto leggi ordinarie dello Stato possono trasferire ad altri enti locali le funzioni che, essendo connesse alla sua potestà legislativa, erano attribuite, come principio e schema, alla Regione. In altri interventi ho spiegato, e non mi ripeterò, come si sia realizzato l’accordo fra regionalisti e provincialisti, che temevano venisse spogliato, a vantaggio dell’altro, il loro ente. In sostanza, onorevole Bozzi, si è rinviata effettivamente la definitiva distribuzione di compiti fra Regione, Provincia e Comune, alla legislazione ordinaria, che provvederà gradualmente e sistematicamente.
Questo è savio rinvio, onorevole Bozzi. Non si può invece accettare il suo, che non vorrebbe neppur dare un primo schema delle funzioni della Regione, così che questa sorgerebbe del tutto teoricamente ed astrattamente; ossia in realtà non comincerebbe a vivere, se non quando una legge fondamentale avesse risoluto il problema dell’attribuzione dei suoi compiti. Invece, come ha ideata questa nascita il Comitato, e come risulterà dalle Disposizioni transitorie, Province e Comuni conserveranno le funzioni che hanno attualmente, e la Regione assumerà quelle altre che corrispondano alle sue funzioni legislative; salvo che, in virtù dell’articolo 112 che ora discutiamo, trasferisca alcune di queste agli enti minori. È il sistema più elastico possibile; risponde, onorevole Bozzi, alla concezione con cui io ho inteso la creazione della Regione; ed è sistema che, col riordinamento degli enti e di tutta la vita locale, apre orizzonti più vasti che la visione, limitata alla sola Regione, dell’onorevole Bozzi.
PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, è soddisfatto?
BOZZI. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Ruini, che ritengo valgano a dare una interpretazione autentica al testo, ritiro al mio emendamento perché mi ritengo soddisfatto.
PRESIDENTE. Onorevole Codignola?
CODIGNOLA. Rinuncerei al primo comma del mio emendamento aderendo a quello dell’onorevole Mortati. Quanto al secondo comma, invece, lo manterrei in sostituzione della seconda parte della formulazione proposta dall’onorevole Mortati.
Preciso. Approvo la prima parte dell’emendamento Mortati: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo articolo». In sostituzione della seconda parte; mantengo invece il secondo comma del mio emendamento: «Funzioni amministrative di carattere locale, ecc.».
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che questo emendamento Codignola cancelli il significato della nostra proposta; perché va a finire che la Regione ha fatalmente, assolutamente tutte le funzioni comprese nell’articolo precedente e poi «funzioni amministrative di carattere locale», cioè altre funzioni. Noi, invece, abbiamo ammesso che le stesse funzioni, date alla Regione, possono essere trasferite alle Province ed ai Comuni.
Quindi, la disposizione Codignola è molto più restrittiva.
CODIGNOLA. Ma ho rinunziato al primo comma.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se non mette «salvo quelle d’interesse esclusivamente locale, attribuite…» viene a togliere quella che è la virtù di adattamento e di equilibrio, che abbiamo introdotto.
Con questa disposizione, l’onorevole Codignola vuol dire che tutte le funzioni amministrative, relative all’articolo precedente, passano, massicciamente, senza eccezione, alla Regione; poi, si possono attribuire altre funzioni; questo è molto meno di quello stabilito dal Comitato.
CODIGNOLA. Il secondo comma riguarda le Province ed i Comuni.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta di fatto che con le sue proposte verrebbero tolte alle Province ed ai Comuni tutte le materie su cui la Regione ha facoltà legislativa; ossia sarebbero svuotate del loro attuale contenuto: e potrebbero essere attribuite soltanto «altre funzioni di carattere locale». Bisogna invece stabilire chiaramente, come primo passo al riordinamento della vita locale, che agli enti minori possano attribuirsi anche funzioni su cui alla Regione compete una legislazione secondaria.
CODIGNOLA. Non sono d’accordo con quanto afferma l’onorevole Ruini.
L’emendamento Mortati dice espressamente che la Regione esercita le normali funzioni amministrative sulle materie di sua competenza delegandole alle Province ed ai Comuni. Di conseguenza, l’emendamento Mortati prevede che solo le materie dell’articolo 109 possano essere delegate, per l’amministrazione, alle Province ed ai Comuni.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No. In questo caso è la volontà della Regione, che delega o meno. Qui, invece, è la legge dello Stato a stabilire che date funzioni, anche se soggette alla facoltà legislativa della Regione, vanno alle Province ed ai Comuni. È intuitiva la differenza delle due posizioni.
Inutile poi aggiungere che lo scopo del secondo comma dell’emendamento è perfettamente garantito, quando, parlando all’articolo 121 delle Province e dei Comuni, diremo che la legge dello Stato può attribuire loro tutte le «altre» funzioni che vuole. Ma, non prevedendo il trasferimento delle funzioni che l’emendamento lascia alla Regione, la sua disposizione, onorevole Codignola, è molto limitativa.
CODIGNOLA. Vorrei sapere se vi sono delle materie oltre quelle elencate nell’articolo 109 la cui amministrazione può essere deferita.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma senza dubbio; è scritto nel nostro testo, e non so quante volte ho ripetuto, che possono essere retribuite dalle leggi dello Stato a Province ed a Comuni le funzioni che in via di massima spetterebbero alle Regioni.
CODIGNOLA. Con questa assicurazione ritiro il mio emendamento.
PRESIDENTE. Si tratta allora di passare alla votazione dell’articolo, nel testo emendato dall’onorevole Mortati e accettato dalla Commissione. Su questo testo viene presentato un emendamento dell’onorevole Corbino. L’articolo dispone: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma». L’emendamento dell’onorevole Corbino tende ad aggiungere l’avverbio «esplicitamente», onde si dica «spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie esplicitamente elencate pel primo comma».
L’onorevole Mortati accetta questa modificazione?
MORTATI. Nella sostanza siamo d’accordo, nel senso che ho già specificato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, ormai si tratta di un testo della Commissione, non più dell’onorevole Mortati.
MORTATI. Non mi pare dubbia la necessità di precisare in sede di coordinamento, ciò anche perché la formula attuale non è sintatticamente corretta, non coordinandosi l’alinea in discorso con la dizione del primo comma.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Qui ognuno vuol essere maestro anche di grammatica e di sintassi e si improvvisa non solo legislatore ma purista. Alla pulizia formale passeremo da ultimo, dopo aver votato tutti gli articoli. Anche una formula che parla di «elencazione esplicita» non pare bella e corretta. Ciò che importa è la sostanza: che sia escluso di dare alla Regione i servizi amministrativi per le «altre materie» in cui le siano attribuiti poteri legislativi, oltre quelle elencate nell’articolo precedente. Mi tocca purtroppo di dovermi, una volta ancora, ripetere. Ho detto all’onorevole Bozzi che, se non basta l’espressione usata, potremo adottarne un’altra più chiara in quell’articolo che abbiamo approvato, ma potremo rivedere nel coordinamento finale.
PRESIDENTE. Il Comitato di redazione accetta la proposta dell’onorevole Corbino?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si oppone, e si rimette all’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevole Corbino, insiste?
CORBINO. Se io avessi la certezza che in sede di coordinamento si chiarirà il significato limitativo della parola «elencate», ritirerei la mia proposta.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le do assicurazione.
CORBINO. Allora non insisto.
PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione il nuovo testo accettato dal Comitato di redazione, del quale do lettura:
«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.
«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Faccio osservare che si potrebbero mettere d’accordo l’onorevole Corbino e l’onorevole Mortati (Commenti al centrò) qualora si dicesse: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie specificatamente elencate nel precedente articolo».
Non si parla di comma e si toglie ogni dubbio.
PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, le faccio osservare per regolarità di procedura, che siamo in votazione sul testo approvato dal Comitato di redazione. Non è possibile fare nuove proposte.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Io credo che si possa giungere a un chiarimento. Intanto chiederei che si votasse per divisione. Se l’onorevole Mortati conserva l’ultima parte, cioè «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni, ecc.», io debbo votare contro. Che cosa questo, infatti, significa? Significa, o può significare, che la Regione, nell’esercitare le funzioni suddette, non le esercita direttamente, ma le esercita per il tramite della Provincia, del Comune, ecc. In altre parole, si viene a togliere alla Regione quella funzione amministrativa diretta che non le può essere tolta né dalla Provincia, né dal Comune, né da altri. Questo credo appaia chiaro a tutti, e questo è grave, perché si passa a conservare la Provincia come ente autarchico improvvisamente, senza una preparazione adeguata. Si poteva arrivare ad una conclusione pacificamente accettata dalla grande maggioranza.
Non si è fatto questo, e adesso si vorrebbe concedere a questa Provincia – rimasta così, per un colpo improvviso e che la grande maggioranza dell’Assemblea fino a pochi giorni fa intendeva trasformare – anche una funzione amministrativa delegata per tutte quelle materie che invece, secondo noi, spettano alla Regione, e se non alla Regione in forma diretta, ai suoi organismi amministrativi. Così viene smontata tutta la Regione e si riempie la Provincia…
Voci. Ai voti, ai voti!
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, se voleva svolgere questo tema, doveva farlo nella sede opportuna.
LUSSU. È una questione estremamente delicata. Prego l’onorevole Mortati o di rinunciare, oppure di modificare il suo emendamento nel senso che la Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici. Questo sarebbe un concetto accettabile da tutti o, almeno, da quanti ritengono l’economia della Regione una cosa seria.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Osservo questo: che il testo proposto dalla Commissione riproduce l’articolo 120, che l’onorevole Lussu ha, a suo tempo, approvato e che dice: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali…». Ad ogni modo mi pare che l’emendamento Lussu nella sostanza non alteri lo spirito informatore di questa disposizione e perciò non avrei difficoltà ad accettarlo.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Lussu di precisare il suo emendamento.
LUSSU. Il testo della mia proposta è questo: «La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali, o valendosi dei loro uffici».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si può accettare la proposta dell’onorevole Lussu. Secondo la concezione del Comitato, che l’Assemblea va accogliendo, le Province ed i Comuni debbono vivere di vita, se è possibile, anche più piena sotto le ali della Regione, che deve vivificarli e potenziarli. La Regione ricorre «normalmente» a Provincie e Comuni per esercitare le sue funzioni amministrative. Ma il significato di «normalmente» non è che debba farlo sempre. Vi sono funzioni, proprie della Regione, che non possono essere esercitate a mezzo delle Province e dei Comuni, ma direttamente dalla Regione stessa. Tranne tali casi, da ritenersi eccezionali, la Regione si varrà dei minori enti locali, che hanno già uffici costituiti e capaci; e bisogna evitare – è un’altra idea fissa del Comitato – le nuove ed inutili burocratizzazioni. Non mi sembra che l’onorevole Lussu abbia compreso lo spirito e l’equilibrio della nostra proposta, che non possiamo alterare.
PRESIDENTE. Mantiene la sua formulazione, onorevole Lussu?
LUSSU. Non vi rinuncio.
PRESIDENTE. Dato che non vi rinuncia, le faccio presente che non si può ammettere un emendamento orale. Perché gli emendamenti si possano presentare alla votazione dell’Assemblea, bisogna presentarli per iscritto.
LUSSU. Io intendevo usare un atto di delicatezza verso il collega Mortati e verso la Commissione. Anziché presentare un emendamento, poiché la questione mi sembrava estremamente chiara e ragionevole, chiedevo alla Commissione di voler essa stessa procedere alla modifica.
Chiedo, comunque, che si voti per divisione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo della Commissione, onorevole Presidente, è quello scritto. Chiediamo che si voti comma per comma questo testo; come abbiamo votato sempre comma per comma. Non si tratta, quindi, di una votazione per divisione.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo:
«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali».
(È approvato).
Pongo ai voti il secondo comma, che è del seguente tenore:
«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative».
(È approvato).
Pongo in votazione l’emendamento, ora pervenutomi, proposto dall’onorevole Lussu, per il terzo comma, del seguente tenore:
«La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici».
(Non è approvato).
Pongo allora in votazione il terzo comma nel testo delle Commissioni:
«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
(È approvato).
L’articolo 112 risulta, quindi, così formulato:
«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.
«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
Sospendo la seduta per alcuni minuti.
(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.20).
Si passa ora all’articolo 113 nel nuovo testo presentato dal Comitato di redazione.
PRESIDENTE. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.
«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali per provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.
«Per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali.
«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.
«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».
PRESIDENTE. Passiamo subito allo svolgimento dei vari emendamenti.
L’onorevole Codignola ha presentato due emendamenti su questo articolo. Il primo emendamento è così formulato:
«Sostituire i primi quattro commi coi seguenti:
«La Regione provvede alle proprie necessità finanziarie mediante sovrimposte o quote di tributi erariali e comunali, o contributi erariali ad essa riservati dallo Stato, o con tributi propri, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Per l’accertamento e l’esazione dei tributi, la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò designati.
«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio secondo le disposizioni di legge.
«Lo Stato conserva la facoltà di assegnare alle Regioni meno provviste di mezzi, particolari sovvenzioni, nell’interesse del loro sviluppo ovvero in quello generale del Paese».
Inoltre l’onorevole Codignola propone il seguente altro emendamento:
«Fare del quinto comma un articolo a sé del seguente tenore:
«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che mirino comunque alla creazione di privilegi in favore di una o più Regioni a danno di altre o della generalità dei cittadini. L’unità dell’economia nazionale ed internazionale e la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni non troveranno ostacolo nell’ordinamento autonomistico dello Stato».
L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere i suoi emendamenti.
CODIGNOLA. Il Comitato di redazione ha già modificato la primitiva formula, in quanto ha soppresso quella parte che riguardava i cosiddetti fondi per fini speciali. Ma anche l’attuale formulazione presenta, mi pare, qualche punto oscuro. Anzitutto, non si accenna affatto alla necessità, che me pare fondamentale, dell’unicità degli organi di accertamento e di esazione dei tributi. A questo riguardo non vi è alcuna indicazione, neanche nel nuovo testo dell’articolo 113.
Io ritengo che, se la cosiddetta autonomia finanziaria dovesse comportare una moltiplicazione degli organi di accertamento e di esazione dei tributi, noi verremmo a creare una serie di difficoltà molto notevoli, e perciò ritengo che nel testo costituzionale sia opportuno inserire il principio che per l’accertamento e l’esazione dei tributi la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò destinati.
Mi pare, anche, che sarebbe opportuna qualche altra precisazione. Anzitutto, vorrei sapere dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, che cosa la Commissione abbia voluto intendere con l’espressione «autonomia finanziaria» che, a dire il vero, è molto oscura.
Cosa significhi, dal punto di vista tecnico, «autonomia finanziaria» di una Regione, non riesco a capire. Possiamo dire semplicemente che la Regione provvede alle proprie necessità con determinati tributi; ma dire che la Regione ha una propria autonomia finanziaria, quando l’intero Paese costituisce tutta un’unità dal punto di vista finanziario, non riesco a capirlo. E penso che sarebbe opportuno che nel testo definitivo questa espressione venisse meno e si trovasse una formula meno equivoca.
Vorrei poi fare osservare che al comma secondo si afferma che alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali. Ora, mi pare che si dovrebbe precisare «quote di tributi erariali e comunali», poiché ci possono essere dei casi in cui la Regione applica una addizionale su tributi comunali. È un caso che dovrebbe essere, comunque, previsto, perché non si deve precludere la possibilità che esso si verifichi.
Quindi io suggerirei, come è indicato nel mio emendamento, la formula «mediante sovrimposte, o quote di tributi erariali o comunali, o contributi erariali ad essa riservali dallo Stato».
Ricordo che nello Statuto siciliano sono passate alcune cose estremamente gravi su questo argomento, poiché nello Statuto siciliano si è data, in sostanza, facoltà al Governo della Regione di stabilire esso quali saranno i tributi dello Stato che restano allo Stato e quali quelli che passano alla Regione: tanto è vero che il Governo siciliano ha interpretato questa norma, nel senso che tutti i tributi erariali, salvo quei pochi espressamente indicati dallo Stato, come di sua pertinenza, passano alla Regione.
Ora, bisogna ben chiarire che è lo Stato che determina quali sono i tributi erariali che restano ad esso e quali quelli che devono passare alla Regione, e ciò per evitare la possibilità che sia, invece, la Regione a determinare quali siano i tributi erariali che essa assume a proprio favore.
Un’ultima cosa: il quinto comma del testo proposto dalla Commissione accenna al punto fondamentale del divieto di dazî di importazione e di diritti doganali. Mi pare che bisognerebbe dare maggior rilievo anche formale a questo quinto comma, perché esso è fondamentale. Questo comma ci garantisce che l’autonomia regionale non costituirà ostacolo allo sviluppo economico del Paese; quindi, non soltanto propongo di fare di questo comma un articolo a sé, ma credo che sia necessario adottare una formulazione più ampia, che stabilisca esplicitamente che non vi potrà essere alcun ostacolo alla libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni sul territorio nazionale, e che costituisca una maggiore garanzia rispetto alla formulazione proposta dalla Commissione.
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Nitti, su che cosa desidera prendere la parola?
NITTI. Per una mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
NITTI. Noi siamo stati finora nell’indeterminato. Qui ci troviamo di fronte ad un argomento concreto e preciso di cui non possiamo parlare senza avere una guida, una traccia, un’indicazione. Quale sarà cioè la finanza della Regione? Quale sarà la finanza locale? Improvvisazione: nessuno di noi, infatti, in questo momento, è preparato a fare progetti concreti sulla finanza regionale.
Ma è evidente che la Commissione e il relatore soprattutto debbono aver studiato questo argomento e debbono essere in grado di esporci il loro programma in forma concreta. Quale sarà la finanza della Regione, quale sarà quella della Provincia, quale sarà quella del Comune? Come sarà organizzata? In qual modo e in base a quali criteri saranno prelevate le entrate? E in che misura?
È evidente che tutto questo noi dovremmo sapere con una certa precisione, in modo da fare la discussione che ci apprestiamo a condurre, su dati concreti. Vorrei, quindi, pregare l’onorevole relatore di esporre egli, prima che altri parli, i risultati delle sue ricerche. Vorrei insomma conoscere, sia pure in modo relativo, quali siano le previsioni delle entrate, quali siano le previsioni delle spese. La mia mozione d’ordine consiste, quindi, nel proporre, prima che ci si lanci nelle ipotesi e nelle discussioni, che l’onorevole Ruini ci esponga le sue considerazioni sulla materia: spero che egli non avrà nulla in contrario.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a dichiarare se intenda fornire le notizie richieste dall’onorevole Nitti.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avrei preferito che i presentatori di emendamenti li avessero svolti, così da non costringermi a parlare altre volte. Avrei desiderato che si sentisse un po’ di pietà per la mia persona e per la mia stanchezza. Comunque, parlerò subito.
PRESIDENTE. Onorevole Ruini, è una sua facoltà; nessuno la obbliga.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No; io mi inchino di fronte all’invito dell’onorevole Nitti.
Per dargli i chiarimenti che mi ha richiesti, debbo prima di tutto spiegare quali sono le nostre proposte. È necessario aver davanti un quadro d’insieme; non per conoscere fin da ora, nei suoi dettagli, il sistema tributario della Regione; ma per saperne le grandi linee, per «uscire dall’indeterminato», come dice l’onorevole Nitti, che domanda soltanto, ed io concordo con lui, delle tracce e delle direttive.
L’articolo sulla finanza della Regione è composto di cinque commi. Prima delle ultime modifiche, era foggiato così. Si cominciava affermando l’autonomia finanziaria della Regione ed il coordinamento del suo sistema tributario con quello dello Stato e degli altri enti locali. Qualcuno potrebbe osservare che l’affermazione dell’autonomia è un pennacchio; e che, se autonomia finanziaria vi è, deve risultare da tutto l’insieme dell’articolo. Ma qualche volta anche i pennacchi hanno la loro ragione d’essere.
Secondo comma. Si stabiliva di dare alle Regioni tributi propri o quote di tributi erariali, in modo che anche le Regioni meno provviste di mezzi potessero provvedere alle loro funzioni essenziali. Ecco la sostanza dell’autonomia; da realizzare appunto, sia con tributi esclusivamente assegnati alla Regione, sia con quote di tributi dello Stato; il quale punto va inteso non soltanto nel senso che vada alla Regione una parte di dati tributi riscossi nel suo territorio, ma che possa spettare una parte del gettito generale di qualche tributo dello Stato. Con la graduazione delle quote, diversa a seconda dei bisogni delle Regioni (maggiore nella Basilicata che nelle ricche Regioni del Settentrione) si ha modo di mettere le più povere in grado di adempiere le loro funzioni essenziali.
Ma non basta. Oltre alle attività ordinarie, le Regioni, specialmente le povere, possono sentire il bisogno di svolgere, per determinati scopi attinenti al proprio compito, lavori e sforzi che eccedono il criterio di normalità, e non si possono sostenere coi mezzi tributari assegnati alle Regioni stesse. Ecco dunque il terzo comma dell’articolo, che nel testo originario prevedeva fondi speciali – i cosiddetti fondi di solidarietà – da istituire con leggi della Repubblica, che ne avrebbero determinato le fonti, la gestione, col concorso di tutte le Regioni, ed i modi di riparto e di elargizione alle Regioni bisognose.
Questi erano i capisaldi della finanza regionale. Gli ultimi due capoversi riguardano il demanio e patrimonio, ed il divieto di imporre dazi di esportazione ed importazione da Regione a Regione.
Il Comitato di redazione, nell’incessante lavoro di revisione al quale si assoggetta, di fronte alla pioggia di emendamenti presentati nell’Assemblea, ed alla nuova riflessione che suscitano questi non facili problemi, ha proposto alcune modifiche all’anteriore formulazione.
Il primo comma resta quale era. Richiamo la vostra attenzione sull’esigenza di coordinamento con la finanza delle Province e dei Comuni; esigenza che corrisponde all’altra – l’abbiamo già visto all’articolo 112 – di rivedere e ridistribuire le funzioni di tutti gli enti locali, agli effetti della loro efficienza e del loro potenziamento.
Resta anche il secondo comma, nella sua sostanza. Soltanto, invece di «essenziali» abbiamo messo «funzioni normali»; perché la prima espressione poteva sembrare troppo stretta, troppo all’osso; e così le altre che si presentavano di funzioni facoltative o straordinarie, collegate alle attuali categorie di spese, nei riflessi contabili e di bilancio. Si è preferito far capo al criterio di normalità, che non va inteso in un senso di mera conservazione e manutenzione; ed imprimere un ritmo progressivo di sviluppo, nel limite delle risorse finanziarie attribuite stabilmente alla Regione.
Quando, invece, si tratta di attività straordinarie ed eccezionali che, sempre nell’ambito dei propri compiti, la Regione intende svolgere per intensificare ed agevolare il proprio sviluppo – ed a tale sforzo non possono bastare le risorse normali – allora sorge la necessità di provvedere in modo particolare. A questo riguardo il Comitato ha creduto di abbandonare il sistema dei «fondi speciali» o di solidarietà, che dà luogo a complicazioni ed a possibili contrasti fra Regioni che elargiscono e Regioni che ricevono. Non ha creduto, come fanno alcuni emendamenti, di parlare di «sovvenzioni», che non è espressione degna, o di «integrazione di bilancio», che richiama metodi ed inconvenienti, ai quali si vuole ora por fine, per gli enti locali. È molto meglio stabilire, e dire semplicemente, che per determinati scopi, al di là delle funzioni normali – nel senso che ho spiegato – lo Stato assegnerà, con le sue leggi, alle Regioni, contributi speciali. Il che potrà avvenire di fatto, con attribuzioni di cespiti ad hoc o con prelievo dal complesso del bilancio statale; senza bisogno di istituire macchinosi e contesi fondi di solidarietà. Le Regioni potranno avanzare le loro richieste, e farle valere attraverso il Parlamento, e specialmente il Senato, dove avranno una più diretta rappresentanza. Io ho sostenuto e difendo questo modo più pronto e più lineare di venir incontro alle aspirazioni delle Regioni meno fortunate.
Nulla dirò degli ultimi due commi, che si mantengono; sebbene a me personalmente non sembri necessario l’ovvio richiamo al demanio ed al patrimonio della Regione; e mi sembri pure non necessario ed un po’ strano il divieto, che fu messo per insistenza dell’onorevole Einaudi, di dazi d’esportazione ed importazione all’interno di uno Stato unitario ed «indivisibile», come l’abbiamo esplicitamente dichiarato. Non si dovrebbe pensare, neppure in via di ipotesi, a simili dazi. Comunque, poiché la questione fu messa, il Comitato conserva la disposizione.
Resta così tracciato il quadro delle proposte che il Comitato fa, in tema di finanza della Regione.
Riservandomi di esaminare, uno ad uno, i numerosi emendamenti presentati da numerosi colleghi, accennerò soltanto, per ora, a due di essi, che hanno una portata generale, come l’emendamento Preti, o sistematica, come l’emendamento Codignola. Col primo non si richiede più una legge di valore costituzionale, ma una legge ordinaria della Repubblica per stabilire le norme sull’autonomia finanziaria della Regione e sul coordinamento con le finanze locali. Il Comitato dapprima aveva ritenuto che, trattandosi di garantire l’autonomia, sarebbe occorsa una legge costituzionale; ma poi è prevalsa la riflessione che, se così fosse, ogni pur lieve modifica di tributo assegnato alla Regione avrebbe richiesta la lunga procedura necessaria per tali leggi di tipo costituzionale. Può bastare la legge ordinaria della Repubblica, tenendo conto che l’autonomia finanziaria è garantita dal complesso delle norme tracciate in questo stretto articolo. L’emendamento Preti è dunque accettato.
L’onorevole Codignola ha testé svolto un emendamento che rivela la sua diligenza ed il suo desiderio di precisione. Vorrebbe perfezionare, comma per comma, il nostro testo. Ma non lo possiamo seguire, quando sopprime la dichiarazione d’autonomia tributaria, che, per quanto di principio, ha un significato nel fermare, anche sotto tale aspetto, il volto della Regione; e diventa ancor più opportuna, in quanto ci rimettiamo a leggi ordinarie della Repubblica. Nel secondo comma l’onorevole Codignola indica, fra le possibili fonti, anche le sovrimposte; ma sembra che possano rientrare nella designazione generale da noi adottata. Prosegue, l’onorevole Codignola, suggerendo di stabilire che l’accertamento dei tributi debba sempre aver luogo da parte di uffici governativi; ma ciò non è necessario, e contrasta con quanto ora avviene per certi tributi che sono accertati e riscossi da enti locali; le leggi che regoleranno queste materie provvederanno nel modo più acconcio e sicuro; né occorre, al riguardo degli accertamenti, una norma nella Costituzione. L’onorevole Codignola parla già di «sovvenzioni» che lo Stato ha facoltà di assegnare alle Regioni…
CODIGNOLA. Ho rinunciato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene. Non insisterò sull’aggiunta all’ultimo comma – anzi, l’onorevole Codignola vorrebbe farne un articolo a parte – per vietare alle Regioni di stabilire «privilegi» per sé e pei propri abitanti. Che cosa vuol dire? Qui non c’è lo spirito di precisione dell’onorevole Codignola; la sua non è una norma di chiara consistenza giuridica; ed il generico diniego dei privilegi rientra nel principio generale dell’eguaglianza, che la Costituzione proclama in uno dei primi suoi articoli. Non possiamo, dunque, aderire al tentativo, lodevole ma non riuscito, dell’onorevole Codignola di migliorare il nostro testo.
Ho spiegato quali saranno i principî da introdurre nella Costituzione; e ciò anche per andare incontro al desiderio di chiarimenti dell’onorevole Nitti. Egli vuol «uscire dall’indeterminato»; ma intanto crede che non si dovrebbe mettere nulla nella Costituzione sulla finanza delle Regioni. Sono problemi, secondo lui, insolubili; e si aspetta che io non potrò corrispondere al suo invito. Non è così.
Intendiamoci bene. La Costituzione non può stabilire che principî generali. Dovrà poi intervenire una grande legge tributaria sulla finanza degli enti locali, in coordinazione a quella dello Stato. In tale legge soltanto si avrà la maggior determinazione richiesta dall’onorevole Nitti, ed io spero di dargli fin d’ora la sensazione di una sufficiente concretezza, senza pretendere di adottare fin d’ora soluzioni, che soltanto tale legge potrà specificare.
La Commissione dei Settantacinque ha tenuto presenti i problemi che l’onorevole Nitti ritiene insolubili. Ed ha cercato di raccogliere dati al riguardo. A pagina 191 del primo volume degli atti della Commissione, distribuito a tutti i deputati, vi è un programma completo di ricerche – steso da me ed approvato pienamente dall’onorevole Einaudi – sulla consistenza sia finanziaria sia economica delle Regioni. Grande è la difficoltà di raccogliere questi dati, per l’incompletezza, la lentezza e la resistenza degli uffici che dovrebbero darli. Io avevo proposto che il Governo promovesse fin da principio (e certamente dovrà farlo nel preparare la legge tributaria) una vera e propria inchiesta con tutti i poteri d’accertamento necessari. La Commissione preferì che si raccogliessero, intanto, a sua cura, tutti gli elementi disponibili; ed io dovetti assumermi anche questa fatica. Non credo che si potesse fare di più; tale è anche il giudizio dell’onorevole Einaudi. Tengo i dati raccolti a disposizione dell’onorevole Nitti.
Per suo conto, ad interessamento del suo Presidente, l’istituto centrale di statistica ha pubblicato un volume sulle Regioni, nel quale la parte finanziaria ed economica ha scarso sviluppo, ma ove si cerca di raffigurare la fisionomia delle Regioni sotto altri aspetti, e specialmente sotto l’aspetto demografico.
L’onorevole Nitti può essere sicuro che non si sono ignorati i problemi. Nessuno meglio di lui sa… da mezzo secolo le difficoltà di simili ricerche. Risale al 1900 il suo luminoso libro: Nord e Sud, che destò tanto scalpore. Per me, che arrivavo allora a Roma, appena laureato, fu una rivelazione; e cominciò allora la mia devozione, che non venne mai meno; andai con lui al Governo; ed egli è testimone che, del primo gruppo che lo circondava, fui il solo che gli rimasi veramente fedele; perché nulla ho concesso al fascismo. Nel mio attuale dibattito con lui desidero considerarmi sempre suo discepolo.
Nel libro del 1900 l’onorevole Nitti cominciava ad impostare i raffronti finanziari ed economici fra le Regioni. Combatteva l’opinione, in quei tempi diffusa, che il Sud vivesse a spese del Nord e fosse un peso morto per l’economia italiana. Quanti «miti» vi sono stati pel Sud! Il grande unificatore, Cavour, ed uno dei meridionali più colti ed intelligenti, Antonio Scialoja, dicevano che bastava battere il piedi sul suolo del Mezzogiorno, perché ne scaturissero infinite ricchezze. Purtroppo non era così; e si andò poi ad un altro eccesso, al grido di Giobbe della irrimediabile povertà, ed alla «politica del nulla» – non c’era nulla da fare – del nostro amico Giustino Fortunato. Bisogna riconoscere che l’onorevole Nitti serbò sempre una posizione intermedia, aliena dagli estremi.
E pur sollevando in forma drastica i confronti fra Nord e Sud, e fra Regione e Regione, non abbandonò mai una nota fortemente unitaria. Sostenne che il Sud non aveva guadagnato, ed anzi aveva economicamente perduto nell’unificazione; ma scrisse nel Nord e Sud che «l’Italia non può essere che unitaria; una Lombardia o una Sicilia autonome non sarebbero nulla, se anche questo non senso storico noi potessimo solo per maligna ipotesi ammettere». Vero è che nell’altro libro su Napoli e la questione meridionale, attaccava «l’unitarismo assurdo sotto la forma di unità legislativa» e dichiarava che «avanzando l’ipotesi economica che il Mezzogiorno si separasse dal resto dell’Italia, non si potrebbero che rilevare i vantaggi del distacco, derivanti dall’impiego delle proprie risorse».
Non credo si possa condividere un recente rilievo del De Maria sui «sedicenti studiosi della questione meridionale» che avrebbero più o meno direttamente suscitato il pericolo del separatismo. Ciò non può certamente dirsi dell’onorevole Nitti; e credo che, quand’egli vagheggiava una diversità legislativa, si rimettesse sempre alla legislazione dello Stato; se no, non sarebbe stato così tenace avversario dei poteri che abbiamo ora attribuiti alla Regione.
Dal suo libro del 1900 risultava che «il Mezzogiorno è il più duramente aggravato dalle imposte»; e che «la più grande mole di spese dello Stato avviene nell’Italia settentrionale e nella centrale». Per ogni 10 lire che si riscuoteva di imposte e tasse, lo Stato pagava 13 lire in Liguria, 12 nel Lazio, quasi 10 in Toscana, da 8 a 9 in Piemonte e Lombardia, e così via fino a scendere a meno di 5 in Abruzzo, Basilicata e Puglie. Queste cifre furono allora contestate da vari scrittori; ma insomma, rovesciando la anteriore credenza, si ebbe l’impressione che le Regioni del Mezzogiorno non ricevevano più di quello che davano in tributi.
Sembra che, per quanto riguarda la situazione attuale, l’onorevole Nitti non sia più di siffatta opinione. Egli ha detto, in quest’Aula, che «nei primi 5 mesi del 1946 lo Stato ha incassato con le tasse in Sicilia 4 miliardi e mezzo; ha speso 6 miliardi…». Così per altre Regioni del Sud; che, teme l’onorevole Nitti, avrebbero più da perdere che da guadagnare con l’autonomia regionale.
Anche l’onorevole Einaudi ha fatto sulla stampa rilievi per mettere in luce che in generale, oggi, le Regioni meridionali ricevono dallo Stato più di quello che gli versano in tributi.
Credo doveroso mettere in guardia; perché quanto vanno dicendo anche due maestri come Nitti ed Einaudi non può portare ancora a conclusioni complete e definite. Osservo anzitutto che se si trova in quasi ogni Regione, un disavanzo, nel senso che le spese che lo Stato vi fa non sono coperte dalle entrate che ne ricava, ciò va messo in relazione al bilancio dello Stato, nel momento che attraversiamo. È inutile poi avvertire che, raffrontando gli incassi ed i versamenti che lo Stato fa attraverso le tesorerie provinciali, non sempre quanto lo Stato versa, ad esempio a fornitori ed appaltatori, corrisponde a prestazioni e lavori fatti in quella Provincia.
Ad ogni modo, poiché è l’unico metodo d’indagine che si può seguire, ho esaminato tutti i dati, che si sono cominciati a raccogliere, riservatamente, dal 1940, ed a pubblicare dal 1945. Cominciamo ad osservare le medie dei bienni 1943-44, 1944-45, 1945-46, che comprendono la gestione dello Stato italiano libero e quello della cosidetta repubblica di Salò. Risulta che solo in Piemonte l’amministrazione statale ha incassato, più che non abbia speso, il 2,4 per cento. Nelle altre Regioni è l’inverso. Ha incassato il 25 per cento circa di meno in Toscana e nella Venezia tridentina; dal 30 al 40 in Emilia, Marche, Veneto e Liguria; poi vi è un gruppo di Regioni, col 50 circa per cento, Calabria, Sicilia, Umbria, Campania, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; infine lo Stato ha incassato oltre il 60 per cento di meno in Puglia, Lombardia, Venezia Giulia, Lazio; (e vi spiego anche perché; in Puglia vi fu per un po’ la capitale temporanea; e così in Lombardia a Salò; nel Lazio vi è Roma: e le capitali richieggono spese maggiori). I dati che ho esposti si riferiscono ad un periodo veramente eccezionale, con la guerra nel suo acme ed il grandissimo disordine tributario.
Se prendiamo il solo esercizio 1945-46, che è sempre, ma meno accentuatamente, anormale, troviamo che lo Stato ha incassato di più di quanto ha pagato – 1’80 per cento – in Lombardia e Piemonte; ha riscosso di meno dovunque nelle altre parti d’Italia; e le cifre vanno da meno di 20 nel Veneto, da meno di 30 nella Venezia Tridentina ed in Emilia, e da meno di 50 in Liguria, Marche, Umbria e Toscana ad una percentuale dal 60 al 70 in Sicilia, Sardegna, Calabria, Venezia Giulia, Campania, Abruzzi, Puglie e Basilicata. Infine il Lazio giunge al 70 per cento.
Bisogna però tener conto che nelle Regioni del Nord, ed in esse soltanto, figurano gli incassi del prestito Soleri, che era stato emesso nel Sud un anno prima. Se si esclude il gettito del prestito Soleri, si ha che nel 1945-46 lo Stato, in tutte le Regioni, nessuna eccettuata, ha incassato meno di quel che non abbia speso. La percentuale minima è del 3 in Lombardia e del 18 in Piemonte; sale man mano, per vari gruppi dal 40 al 50 nelle Marche, in Umbria, Toscana, nella Venezia tridentina e nel Veneto, e va ad oltre il 60 nelle rimanenti Regioni.
Se veniamo infine ad un periodo più vicino – ho i dati dei primi nove mesi dell’esercizio in corso 1946-47, perché solo a tal data è aggiornato il conto del Tesoro – troviamo che lo Stato ha incassato più del pagato in parecchie Regioni. Si arriva quasi al cento per cento – il 93 – in Lombardia; al 56 in Piemonte; e si sta attorno al 15 in Umbria, Liguria, Emilia, Toscana, Veneto; anche le Marche superano dell’l per cento i pagamenti. Nelle altre parti d’Italia gli incassi di Stato sono inferiori agli esborsi, del 5 per cento nella Venezia tridentina, dal 20 al 35 in Calabria, Campania, Sicilia, Puglie, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; si va al 50 nel Lazio; e si ha un massimo dell’80 per cento in Venezia Giulia.
Ma non bisogna fare affrettate conclusioni; durante i nove mesi vi è stato il prestito della Ricostruzione, al quale le Regioni hanno partecipato in proporzioni assai diverse (la Lombardia ha dato un quarto dell’intero prestito); e non mi è possibile questa volta rettificare le cifre come pel prestito Soleri, giacché la Banca d’Italia non ha ancora reso noto il riparto delle sottoscrizioni. Certo è che, ove non si tenesse conto degli incassi pel prestito, in ben poche Regioni lo Stato avrebbe incassato più dello speso (forse nella sola Lombardia e nel Piemonte).
Ho insistito in dettagli e precisazioni, perché ritengo necessario mettere in guardia contro le conclusioni che anche cari eminenti colleghi traggono nei confronti tra le Regioni. Come linea generale, il fenomeno degli incassi di Stato minori ai suoi versamenti è, come si doveva attendere, più sensibile nel Sud che nel Nord: ma vi sono spostamenti, e non vi è una netta distinzione ed una scala corrispondente alle condizioni economiche delle Regioni. Né i dati disponibili si prestano, lo ripeto, a giudizi definitivi e sicuri, Lasciamo dunque stare per ora, calcoli che dan luogo a non ben fondate impressioni.
LUSSU. Sono comprese, per le Regioni del Sud, le spese per i Dicasteri delle Forze armate.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho fatto il calcolo in via generale; sarebbe in ogni modo un altro elemento di non comparabilità.
Affrontiamo ora il tema che più risponde alle domande che mi ha fatto l’onorevole Nitti. Come sarà possibile, egli chiede, fabbricare un bilancio della Regione? Molti, anche regionalisti, hanno timore che non riusciremo a cavarne le mani.
Ho detto sempre con senso di responsabilità, che questo problema della sistemazione finanziaria della Regione è difficile. Ora che l’ho esaminato attentamente ancora una volta, posso affermare con altrettanto senso di responsabilità, che non è un problema insolubile, ed anzi è meno difficile di quello che può apparire a prima vista. Difficile sempre; non difficilissimo; non insolubile.
Non si può risolverlo concretamente, qui nella Costituzione. L’onorevole Nitti si rimette ad una legge futura; e molto correttamente mi chiede di dare delle tracce e delle direttive.
Quali saranno le spese e le entrate delle Regioni? Studi speciali sono stati condotti per il Trentino-Alto Adige, dalla Commissione presieduta dall’onorevole Bonomi, che ne predispone lo Statuto. Ma quella Regione non può essere presa a modello, perché, avendo un’autonomia particolare, molte spese ad esempio scolastiche e di lavori pubblici passano alla Regione, come non è delle altre di tipo ordinario. È alle Regioni di questo tipo che ci dobbiamo riferire. Lo farò con la maggiore esattezza possibile, in via generale; e starò attento, perché da un maestro come l’onorevole Nitti vi è sempre da ricevere delle lezioni.
Per valutare quali saranno le spese e le entrate dell’ente Regione, bisogna partire dalla considerazione delle funzioni amministrative che, in base a quanto abbiamo stabilito nella Costituzione, passeranno dallo Stato alla Regione. Cominciamo ad esaminare i dati dell’esercizio 1938-39, che si può considerare come un anno medio del preguerra.
Sopra, un complesso di 40 miliardi di spese, la parte di gran lunga maggiore sarebbe sempre rimasta allo Stato, anche se si fossero fin da allora applicati i criteri della Costituzione. Sarebbero rimaste allo Stato le spese di tesoro (12 miliardi e mezzo, un terzo di tutte le spese); quelle militari (15 miliardi, più che un altro terzo di tutte le spese); le spese di amministrazione dell’interno e della giustizia (2 miliardi, il 6 per cento della spesa totale); ed altri gruppi di spese.
Dove si sarebbero verificati passaggi di funzioni, e quindi di spese? Essenzialmente in tre categorie: l’istruzione, per cui allora si spendevano 2 miliardi (il 5 per cento della spesa complessiva), i lavori pubblici con 1 miliardo e mezzo (il 4 per cento), l’agricoltura con 900 milioni (il 2 per cento).
Non tutte però le spese di queste tre categorie si sarebbero trasferite alla Regione. Dell’istruzione sarebbe rimasto allo Stato il grande complesso di attività e di spese; essendo attribuite alle Regioni solo le scuole professionali ed artigiane, con un passaggio non rilevante di fondi. Vediamo pei lavori pubblici, servendoci della distribuzione per genere di opere, secondo i dati raccolti dall’Ufficio di statistica di quel Ministero, e pubblicate dall’annuario statistico. Nel 1938-39 lo Stato spendeva, e gli sarebbero rimaste, anche secondo la nostra Costituzione, 500 milioni per strade statali, 130 di opere idrauliche e di navigazione interna, 100 per utilizzazioni idroelettriche, 150 per porti, 200 per edilizia statale e scolastica, 150 per danni e calamità. Cosa poteva passare alla Regione? Al più 100 milioni di spese per nuove costruzioni stradali; 150 per acquedotti; 100 per edilizia popolare. In complesso facendo le previsioni più larghe, 350 milioni. Ed eccoci all’agricoltura, che ebbe nel 1938-39 per bonifiche, una spesa di 550 milioni di lire; e si noti che vi sono bonifiche che, pel loro carattere sovraregionale o interregionale, lo Stato riserverà sempre a se stesso; e la nostra Costituzione non lo esclude. Ad ogni modo passiamo pur tutte queste cifre – 350 milioni di lavori pubblici, 550 di bonifiche, una somma minore per l’istruzione – arriveremmo al miliardo.
Aggiungiamo pure una quota di spese generali e di personale; teniamo conto di passaggi per altre minori categorie: arrotondiamo fin che si vuole; non saliremo oltre 1 miliardo e mezzo (s’intende di lire 1938), che non è cifra da far paura. Si tenga presente che in quell’anno le spese ordinarie per tutti i comuni non superarono i 6 miliardi e mezzo, per le provincie 1 miliardo e mezzo. Se fossero sorte allora le Regioni – una quindicina – nei limiti e con le funzioni che ora abbiamo stabilite, non sarebbe costato più delle provincie, che sono verso il centinaio. Un miliardo e mezzo non è cifra paurosa.
Ho esaminato anche la media dei tre bilanci 1943-44, (1944-45), 1945-46; ed inoltre, a sé, le cifre del 1945-46; quelle dell’esercizio in corso (fino a marzo); le previsioni del 1947-48, e tengo, onorevole Nitti, tutti questi elementi a sua disposizione. Vi citerò per ora soltanto i dati del 1945-46, che si prestano ad un certo raffronto col 1938-39. Non sono più milioni, ma miliardi; lirette recenti, d’un anno fa. Sopra un insieme di 540 miliardi di spese rimarrebbero allo Stato 170 di spese del tesoro (un terzo del totale), 130 di spese militari (il quarto), 60 di spese degli interni e della giustizia (poco più del decimo), con altri minori gruppi. Anche qui le categorie che potrebbero in parte passare sono i lavori pubblici (100 miliardi, il quinto del totale), l’agricoltura (6 miliardi, l’1 per cento), ed in parte ben minore l’istruzione (25 miliardi, il 5 per cento). Debbo dichiarare che per gli ultimi esercizi il Ministero dei lavori pubblici, nella sua lentezza, non fornisce ancora le statistiche della distinzione fra i gruppi di opere; così che non è possibile una valutazione abbastanza approssimata come pel 1938-39. Ad ogni modo, anche applicando le proporzioni di quell’esercizio, le spese da passare alle Regioni non dovrebbero complessivamente superare dal 5 al 10 per cento le intere spese dell’Italia. Debbo poi fare un’altra dichiarazione; anche per rispondere ad una domanda che mi fece alcuni giorni fa l’onorevole Porzio. Vi è un fatto nuovo: vi è la ricostruzione. Quasi tutte le spese di lavori pubblici sono oggi di ricostruzione. E sono spese che non si possono addossare alle Regioni; rimangono in ogni caso allo Stato; do piena assicurazione all’onorevole Porzio che con la nuova Costituzione non si è inteso addossare queste spese eccezionali alle Regioni. Lo Stato potrà bensì, se crede, valersi degli enti locali, della Regione, quando vi sarà, come ora può – per una legge da me promossa – valersi delle Province e dei Comuni; un savio decentramento sarà molto opportuno. In un mio recente discorso sul programma di governo mi sono lagnato che non vi sia fatto sufficiente ricorso; ma sarà sempre lo Stato che dirigerà, spenderà e sarà responsabile. Stabilito ciò, onorevoli colleghi, vedete che le spese che passerebbero alla Regione in regime 1945-46 sarebbero proporzionalmente minori di quelle che fossero passate nel 1938-39.
Ho voluto dare la dimostrazione, e credo di esservi riuscito, che, come ordine di grandezza, non sono cifre che possono spaventare. Il passaggio di funzioni e di spese sarà sempre delicato e non agevole; ma non presenterà ostacoli insuperabili.
Bisognerà naturalmente far fronte con corrispondenti entrate alle spese che spetteranno alle Regioni. Partiamo anche qui dall’esercizio 1938-39. Su 27 miliardi di entrate effettive vi erano 500 milioni di imposte dirette immobiliari (fondiaria e fabbricati, e cioè il 2 per cento dell’entrata totale), e la ricchezza mobile con 4 miliardi e 200 milioni (il 15 per cento dell’intera spesa). Se si fosse, nel 1938-39, istituita la Regione avremmo potuto attribuirle quanto lo Stato incassava dalle immobiliari (è noto che la maggior parte di ciò che i contribuenti pagano pei fondi e pei fabbricati va oggi come sovrimposta ai Comuni ed alle Province). Col passaggio in pieno di queste imposizioni si sarebbero attuate idee che sostenemmo ai nostri giovani anni, Bonomi con un bel libro ed io con alcuni studi su riviste. Se poi, oltre al passare i tributi reali, avessimo attribuito alla Regione una quota di ciò che riguarda l’altro tributo diretto dell’imposta sulla ricchezza mobile, si sarebbero coperte tutte le spese spettanti alla Regione, che abbiamo calcolate attorno ad 1 miliardo e mezzo (lire 1938).
Ho parlato di quote della ricchezza mobile, perché è imposta diretta, e non vi nascondo che, senza fare anticipazioni avveniristiche, mi sembra logico e desiderabile, quando si addivenisse ad una concreta sistemazione di tutte le finanze statali e locali, assegnare alla Regione ed agli altri enti locali le tre cedolari – fondiaria, fabbricati e ricchezza mobile – per edificarci sopra, come progressiva sul reddito, una grande imposta di Stato. Prescindendo da ciò, se invece di una quota della ricchezza mobile, sceglierete una quota di un’altra imposta erariale, otterrete lo stesso risultato di provvedere alle entrate della Regione.
Con lo schema che vi ho tracciato, riferendomi al 1938-39, allo Stato sarebbero restati i 12 miliardi delle indirette (affari e consumi, che erano il 40 per cento del totale); i 4 miliardi e mezzo dei monopoli e del Lotto (il 15 per cento); ed altre ancora. E cioè la gran massa delle entrate, con le quali lo Stato, oltre a provvedere ai suoi servizi, avrebbe potuto: a) assegnare alle Regioni i contributi speciali per scopi determinati oltre le funzioni normali; b) provvedere alle spese delle funzioni che avesse delegate volontariamente alle Regioni.
Vi risparmierò, onorevoli colleghi, altre indagini ed altre cifre. Vi dirò solo che nel 1945-46 le imposte dirette – tutte e tre – hanno dato soltanto 22 miliardi; ed è da temere che in tal misura non basterebbero a coprire le spese delle Regioni. Ma nel bilancio 1946-1947 si calcolano 66 miliardi; ed il loro gettito va aumentando così che il timore sembra superato.
Ho parlato del complesso delle Regioni. Naturalmente non tutte le Regioni presentano le stesse esigenze e le stesse proporzioni di spese e di entrate. Vi sono Regioni che per la situazione più arretrata in cui si trovano hanno bisogno di maggiori attività e lavori, e d’altra parte con le fonti tributarie assegnate alle Regioni più ricche non riuscirebbero a provvedere alle loro funzioni normali. Entrerà qui in azione, nella quota di contributo, la gradazione che consentirà di raggiungere un equilibrio. Si sono fatti scandagli per alcune Regioni, e si stanno ancora raccogliendo elementi. Ma penso di aver assolto il compito che per ora mi proponevo: dissipare l’impressione che non si potrebbe far fronte alle spese delle Regioni senza mettere a soqquadro e senza devastare il bilancio dello Stato e la finanza ordinaria.
Ho finito. Parto sempre dal concetto: la Regione c’è, e dobbiamo fare in modo che funzioni il meglio possibile.
Contro la creazione della Regione vi sono motivi etico-politici, perché si teme che possa incrinare ed insidiare la compagine dell’Italia. Noi abbiamo affermata l’unità e indissolubilità dello Stato; e la difenderemo sempre con ogni fermezza, regionalisti ed antiregionalisti. Abbiamo intanto dato alla Regioni funzioni e poteri, limitati in modo che non vi sia il pericolo di turbare l’ordinamento unitario.
Vi sono poi, contro la Regione, apprensioni di ordine amministrativo ed economico. La necessità del decentramento l’hanno proclamata tutti, anche coloro che non vorrebbero la formazione di un ente autonomo, ma uno spostamento d’uffici governativi nelle Regioni. Dovremo fare anche ciò, per le funzioni che restano allo Stato. Quando fui ai lavori pubblici, istituii i Provveditori regionali alle opere. Qualcosa di corrispondente si potrebbe fare in altri rami, se non per tutti, per molti Ministeri, al fine di mettere gli organi dello Stato a contatto con i bisogni e le richieste locali. Su questi punti l’accordo è pieno. Ma sono molti a temere che il decentramento amministrativo, a base burocratica, non basti; e che lo spostare in loco i funzionari del Governo non vinca le abitudini, le resistenze, le lentezze proprie della burocrazia. Si sostiene che è opportuno dar voce e peso più diretto alle forze vive della Regione, con una savia e contenuta autonomia dell’ente regionale.
Questa tendenza ha vinto. Tutta l’Assemblea, tutto il Paese devono inchinarsi, e collaborare sinceramente e fervidamente perché l’esperienza riesca. La nostra Costituzione avrà molti difetti, ma – soprattutto in questo Titolo – si ispira a criteri di elasticità. La Regione nasce e comincia a muoversi con passi saviamente misurati. Sta a lei stessa di guadagnare, gradualmente e sperimentalmente, la possibilità di maggiori conquiste. (Applausi).
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Avverto che nella seduta antimeridiana di domani sarà proseguita la discussione sull’imposta patrimoniale.
FUSCHINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FUSCHINI. Propongo che domani, sabato, si mantenga quella consuetudine che si è venuta creando, cioè d’iniziare alle 9.30 per terminare verso le 13.30 o le 14, in modo da tenere un’unica seduta. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.
(Così rimane stabilito).
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che la Direzione generale dell’A.P.B. abbia destinato la somma di lire 25 milioni alla città di Pescara per la costituzione di colonie estive assistenziali; e se sia vero che l’amministrazione di detta somma, per disposizione ministeriale, sia stata affidata al Centro italiano femminile con esclusione di ogni altra organizzazione assistenziale esistente nella provincia di Pescara.
«Corbi, D’Onofrio, Spano Gallico Nadia».
«Ai Ministri dell’agricoltura, dell’industria e commercio e del commercio estero, per conoscere se e come intendano fronteggiare il gravissimo pericolo che incombe sulla coltura e sull’industria della seta. Il prezzo dei bozzoli è infatti sceso quest’anno, sul mercato interno, a un terzo o poco più di quello dell’anno scorso, e cioè ad una quota del tutto inadeguata e tale da rendere prevedibile con quasi assoluta certezza l’abbandono della coltura del baco da seta e la sostituzione dei gelsi nelle campagne.
«La cessazione della bachicoltura in Italia – che dopo il Giappone è stato ed è tuttora il paese più intensamente sericolo – oltre che troncare un nobile ramo dell’esportazione nazionale che, se aiutato, potrebbe ancora riprendersi e rifiorire, sarebbe di irreparabile danno a grandi masse di lavoratori (contadini e donne filandiere soprattutto) specie nelle regioni maggiormente produttrici, quali il Veneto e la Lombardia. È, pertanto, necessario che il Governo si preoccupi con tutta urgenza di tale problema che interessa al vivo la stessa vita economica e sociale di numerose provincie».
«Franceschini, Lizier, Ferrarese, Baracco, Ponti, Carbonari, Fantoni, Valmarana, Schiratti, Rapelli, Alberti, Rumor, Giacchero, Cappelletti, Uberti, Micheli, Sartor, Tessitori, Del Curto, Giordani, Guerrieri Filippo, Dominedò, Moro, Firrao, Valenti, Stella, Bastianetti, Monticelli, Tosato, Balduzzi, Cappugi, Fabriani, Bellato, Burato, Marzarotto, Cremaschi Carlo, Biagioni».
«Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quale fondamento abbia la notizia recata da un giornale romano del mattino di oggi, secondo la quale una ricca proprietaria di terre si sarebbe resa colpevole di istigazione nel reato di sottrazione all’ammasso di notevole quantità di grano e, fermata, sarebbe stata rilasciata a seguito di illeciti interventi; e per conoscere, altresì, quali provvedimenti intendano adottare, nel caso il fatto risponda a verità, per prevenire che altri fatti del genere si ripetano e per punire i responsabili di così gravi violazioni della legge e della solidarietà nazionale».
«Bulloni».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere:
1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso;
2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire.
«Perugi».
Ne darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano conoscere quando intendono rispondere.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge.
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (Enel) e poscia con decreto del famigerato gerarca Ricci liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nel ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.
«Vinciguerra».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, necessario e urgente intervenire subito a disciplinare l’uso delle acque del sottosuolo destinate alla irrigazione, disponendo la limitazione delle perforazioni e dei pozzi artesiani.
«Si osserva, al riguardo, che il diffondersi e l’allargarsi in zone ristrette di tale sistema di irrigazione determina un graduale corrispondente abbassamento e una progressiva contrazione delle vene e dei pozzi con grave danno e con pericolosa minaccia per gli impianti già esistenti e operanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.15.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 9.30:
Seguito della discussione sul disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).