ASSEMBLEA COSTITUENTE
XCVI.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 19 APRILE 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TUPINI
INDICE
Interrogazioni (Svolgimento):
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Di Vittorio
Presidente
Di Gloria
Miccolis
Tonello
Bertola
Lozza
Lizzadri
Disegno di legge: Ordinamento dell’industria cinematografica nazionale (Discussione):
Presidente
Proia
Arata
Bubbio
Di Vittorio
Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
Ponti
Giannini
Interrogazioni con richiesta d’urgenza ed interpellanze:
Presidente
Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
Ghidetti
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 10.
FRANCESCHINI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
Sono state presentate le seguenti interrogazioni:
Di Vittorio, Lizzadri, al Ministro della pubblica istruzione «sui motivi che hanno ritardato l’accoglimento delle giuste rivendicazioni del personale insegnante delle scuole medie ed elementari e degli educandati nazionali, nonostante formali promesse fatte dal Governo, da lungo tempo».
Di Gloria, Rossi Paolo, Preti, Salerno, Binni, Filippini, Codignola, Lami Starnuti, al Ministro della pubblica istruzione «per avere tutti i necessari chiarimenti circa il suo atteggiamento relativamente allo sciopero degli insegnanti di scuole medie».
Miccolis, Rodi, Tumminelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) quali siano le ragioni che hanno determinato lo sciopero del personale insegnante della scuola secondaria; 2°) come si è fino ad ora inteso di tradurre in atto gli impegni assunti innanzi all’Assemblea, in sede di esposizione del programma ministeriale, per restituire la scuola italiana alla sua funzione educativa, sociale e morale, negli ordinamenti, nei quadri, nel trattamento economico al personale, nei locali, negli arredamenti e nelle attrezzature».
Tonello, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere se intenda, per l’onore della scuola italiana, accogliere senza altre dilazioni le giuste rivendicazioni dei professori e dei maestri».
Bertola, Cremaschi Carlo, Franceschini, Tumminelli, Lozza, Binni, Giua, Foa, ai Ministri delle finanze e tesoro e della pubblica istruzione, «per sapere se intendano risolvere i problemi che oggi tormentano la scuola media, cioè: i nuovi concorsi e l’indennità di presenza. Si fa presente la necessità dell’urgenza dei provvedimenti per ridare la tranquillità alla scuola».
Bertola, Cremaschi Carlo, Franceschini, Binni, Giua, Foa, Lozza, Silipo, Farina, Platone, ai Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e tesoro, «per sapere se non intendano andare finalmente incontro alle richieste avanzate da parecchi mesi dai maestri elementari: ruoli aperti, sistemazione delle pensioni, bando di concorso. Gli interroganti sono d’avviso che si debbano eliminare sollecitamente i motivi di disagio e le ragioni di turbamento che minacciano l’efficienza della nostra scuola elementare».
Lozza, Silipo, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quali provvedimenti intende prendere per andare incontro alle giuste rivendicazioni degli insegnanti medi e dei Convitti nazionali, in modo da rendere al più presto alla scuola italiana la tranquillità e la serenità indispensabili al funzionamento di essa».
Lizzadri, al Ministro della pubblica istruzione, «sulle ragioni che lo hanno indotto a non accogliere le proposte di soluzione dello sciopero del personale della scuola media, proposte sulle quali erano d’accordo il personale interessato, il Gruppo parlamentare della scuola, la C.G.I.L. e lo stesso Ministro».
L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.
GONELLA. Ministro della pubblica istruzione. Devo rispondere non ad una, ma ad otto interrogazioni e su un problema particolarmente scottante che interessa una vasta categoria. Perciò sono dispiacente di non poter essere breve.
Rispondo a coloro che hanno chiesto quali siano le ragioni che hanno determinato lo sciopero dei professori delle scuole medie e quali siano i provvedimenti che il Governo intende prendere per migliorare le loro condizioni economiche.
Le richieste presentate dal Sindacato della Scuola Media sono otto:
1°) corresponsione dell’indennità di presenza;
2°) concorsi per il personale, insegnante e non insegnante;
3°) retribuzione degli incaricati e supplenti in base al criterio della cattedra e abbassamento dell’obbligo di orario da 20 a 18 ore;
4°) definizione dello stato giuridico del personale direttivo e insegnante di ruolo;
5°) indennità di carica del personale direttivo e indennità di studio del personale insegnante di ruolo e non di ruolo;
6°) inquadramento degli insegnanti di educazione fisica;
7°) miglioramento di carriera per il personale dei convitti nazionali;
8°) assegnazione di fondi per il pagamento del lavoro straordinario al personale non insegnante.
Queste otto rivendicazioni mirano anzitutto al riconoscimento morale dei diritti degli uomini della Scuola; mirano pure a migliorare la ingiustificata situazione di inferiorità economica di questa categoria.
È evidente il particolare disagio in cui versa la categoria degli insegnanti, non da oggi e neppure soltanto da ieri. La vita degli educatori è una vita dura ed eroica, una vita di sacrificio, dedicata alla più difficile opera di ricostruzione: la ricostruzione delle coscienze.
La loro professione richiede, per non meccanizzarsi in una stanca e arida ripetizione, agio spirituale, tempo libero da occupazioni supplementari, le quali purtroppo sono oggi imposte dall’assillante problema del pane quotidiano.
Gli interessi degli insegnanti hanno un posto preminente negli interessi della Scuola, anche se questi non si esauriscono negli interessi degli insegnanti, bensì coincidono con quelli del popolo tutto. È però evidente che la Scuola non si migliora senza migliorare le condizioni economiche degli insegnanti. La dignità economica è una testimonianza della dignità morale. Per poter essere nella Scuola i tutori dei valori ideali, gli insegnanti devono poter vivere in dignitosa tranquillità economica, segno tangibile della stima di cui il popolo onora gli educatori dei suoi figli. Sono perciò evidenti le gravi conseguenze sociali di un disagio e del malcontento diffuso nella classe degli educatori.
Tutti pensiamo che la Scuola è oggi travagliata da gravi problemi, ma anche in questo campo il disagio maggiore nel nostro momento deriva dal fatto che si pagano le conseguenze della guerra; scuole devastate o occupate, aule disagiate, suppellettili deficienti, insegnanti sfollati, assegnazioni provvisorie caotiche, sezioni staccate improvvisate, sovrappopolazione scolastica determinata da una selezione deficiente per le troppe indulgenze; iniziative private spesso ispirate non a un sano intento educativo, ma a fini di poco onesta speculazione.
Questa situazione esige che, oltre a ridare un’anima alla Scuola, lo Stato compia per essa il massimo sforzo finanziario; elevando la sua scuola esso contribuirà, di conseguenza, ad evitare il tono di tutta la scuola italiana. La politica, quindi, del Ministero della pubblica istruzione ha avuto – sul terreno economico – questo duplice obiettivo: ottenere il massimo dei mezzi e realizzare il migliore impiego dei mezzi.
Lo Stato deve fare molto di più per la Scuola, ma i bilanci della pubblica istruzione comportano già spese cinquanta volte superiori a quelle della media dei bilanci prebellici, e se il beneficio di questo notevole aumento di bilanci non è sensibile per la classe degli insegnanti, si deve al fatto che occorre, anche nel campo della scuola, far fronte a nuove gravose necessità poste in essere dalle devastazioni belliche.
Comunque, più volte io stesso ho fatto notare al Consiglio dei Ministri che non è ammissibile che nel nuovo Stato democratico i bilanci dell’istruzione restino al di sotto dei bilanci dei Ministeri militari. (Applausi). Frattanto gli sdoppiamenti nelle scuole numerose da me predisposti, oltre ad avere benefici effetti didattici e disciplinari, contribuiscono ad aumentare le possibilità di impiego del personale insegnante. Così pure si cerca di disciplinare e sanare le sezioni staccate per avviarle a divenire al più presto scuole autonome e per preordinare di conseguenza nuovi posti di ruolo.
È nota e corrente l’accusa di tradizionale inerzia e lentezza nella nostra Amministrazione, se non addirittura di irresponsabilità e assenteismo.
Ammetto che in alcuni casi l’accusa non sia stata priva di fondamento. In altri casi tuttavia può avvenire che si scambi per inerzia la ponderazione e per incuria l’impossibilità.
Gli onorevoli Di Vittorio, Lizzadri, Tonello ed altri mi chiedono i motivi che hanno ritardato l’accoglimento dei provvedimenti relativi agli insegnanti.
Rispondo loro che nel trattare le rivendicazioni presentate dal Sindacato degli insegnanti non vi è stata inerzia: io stesso ho preso l’iniziativa di costituire una Commissione nella quale, accanto ai funzionari, sono stati ammessi i rappresentanti del Sindacato, e questa Commissione, che continua i suoi lavori, ha presentato alcune delle sue proposte, già portate in discussione al Consiglio dei ministri da poco più di un mese.
Successivamente si dovette interessare il Tesoro e preparare tecnicamente i provvedimenti legislativi. Io stesso, contro tutte le consuetudini, mi sono ripetutamente recato al Tesoro per discutere i provvedimenti con i funzionari di quel Dicastero.
È stata lamentata l’inerzia particolarmente per quanto riguarda i concorsi. A parte l’opportunità di attendere il ritorno dei prigionieri, sarebbe stato possibile bandire prima i concorsi, ma a condizione di non mutare le leggi vigenti, mentre tale mutamento era richiesto dal Sindacato, il quale domandava, fra l’altro, che fossero ammessi anche i semplici laureati supplenti al concorso per titoli.
Non ho creduto di poter accettare proposte di questo genere che ritengo lesive degli interessi della Scuola o sono stato confortato in ciò dall’opinione degli stessi insegnanti di ruolo che hanno ottenuto la cattedra solo dopo aver superato seri esami.
Naturalmente questa esigenza importava lunghe discussioni cogli interessati e pure con il Ministero del tesoro competente, a tutelare l’uniformità dei criteri di ammissione negli impieghi delle singole amministrazioni statali.
Infine, ho potuto portare al Consiglio dei Ministri, che l’ha approvato, un provvedimento legislativo il quale, tenendo fermo il principio che non si sale una cattedra senza un esame, ammette coloro che un esame hanno superato, cioè gli idonei e gli abilitati, al concorso per titoli, e gli altri al concorso per esami.
Far prima avrebbe dovuto dire fare male, cioè o sacrificare le giuste aspirazioni dei reduci, degli idonei e degli abilitati, oppure sacrificare la serietà della Scuola di domani. Con la legge già approvata penso che si sia trovata la via giusta.
Comunque, da questo ritardo nessun danno deriva agli interessati dal momento che i vincitori potranno essere immessi nei ruoli per l’anno scolastico 1947-48 e che, anche se il concorso fosse stato bandito sei mesi fa, questa data di immissione nei ruoli non avrebbe potuto tecnicamente essere anticipata.
Così credo di aver risposto anche agli onorevoli Bertola, Cremaschi, Franceschini, Lozza, Giua, Foa ed altri che mi hanno presentato interrogazioni sui concorsi.
Si parla di fedeltà agli impegni assunti di fronte ai rappresentanti della categoria.
Evidentemente ognuno risponde degli impegni che si è direttamente assunti, risponde di ciò che dipende dalla sua volontà e non dall’iniziativa o inerzia o comunque dal consenso di altri dicasteri.
Per essere precisi, gli interroganti Miccolis, Rodi e Tumminelli chiedono come il Governo abbia finora «inteso di tradurre in atto gli impegni assunti innanzi all’Assemblea in sede di esposizione del programma ministeriale».
Ora, nel programma ministeriale sono stati assunti due impegni fondamentali: i ruoli aperti per i maestri e i concorsi per i maestri e professori. Ambedue questi impegni sono stati mantenuti, poiché furono concessi i ruoli aperti e si approvò la legge per il bando dei concorsi che permetterà di immettere nei ruoli circa 25.000 professori e maestri. Nello stesso tempo si lavora per l’indispensabile aumento dei ruoli organici della scuola media dello Stato, come si è già lavorato e realizzato nel campo della scuola elementare dello Stato, arrivando all’istituzione di ben sei mila nuove scuole statali che nessun governo ha mai saputo istituire in così grande numero nel breve giro di pochi mesi.
Ma più che polemizzare sul modo con il quale si è arrivati a questa situazione, importa determinare la portata economica delle richieste presentate dal Sindacato della scuola media.
Nella propaganda sindacale si parla spesso di «modestissime» rivendicazioni di natura «prevalentemente morale e giuridica» e ci si meraviglia perché non si viene a capo di nulla.
La meraviglia può essere invero giustificata per chi non ha presenti le nuove spese che comporta l’accettazione di queste rivendicazioni, spese di cui è giudice ultimo non l’istruzione ma il Tesoro.
Oltre al già notevole aggravio determinato dalla concessione dei ruoli aperti ai maestri, l’accoglimento delle sole nuove richieste degli insegnanti delle scuole medie importa, secondo i calcoli del Tesoro, circa 3 miliardi e mezzo di nuove spese annuali. Infatti il premio di presenza viene a gravare per circa un miliardo annuo. Evidentemente esso è dovuto per stretta giustizia agli insegnanti come a tutti gli impiegati dello Stato, e non venne subito ad essi corrisposto perché il sistema di vacanze dei professori richiedeva, perché questi non fossero danneggiati, speciali riguardi. Si trattava cioè di rettificare a favore degli insegnanti l’interpretazione della legge generale, la quale stabilisce che il premio viene concesso solo nei giorni in cui vi è la presenza fisica nell’ufficio. Comunque la legge è retroattiva, e 600 milioni sono già stati anticipati prima dell’approvazione del provvedimento.
Il provvedimento riguardante la retribuzione degli incaricati e supplenti, in base al criterio della cattedra, e l’abbassamento dell’obbligo di orario per il personale di ruolo dalle 20 alle 18 ore, importa un maggiore onere di circa 800 milioni; la concessione dell’indennità di studio per i professori e di carica per i presidi prevede una spesa approssimativa di 700 milioni per l’istruzione classica, di 260 milioni per l’istruzione tecnica, più 630 milioni per le indennità in favore degli incaricati, richiesta pure dal Sindacato. Quindi, questo solo provvedimento importa una spesa di oltre un miliardo e mezzo. Il pagamento del lavoro straordinario al personale non insegnante verrebbe a costare 50 milioni, mentre nuovi obblighi, sia pure di minima portata, si assume il Tesoro con i provvedimenti relativi agli insegnanti di educazione fisica e dei convitti nazionali, di cui si interessano gli onorevoli Lozza e Silipo.
Si chiede infine l’indennità di studio. Ma perché l’indennità di studio, una volta concessa ai professori delle scuole medie, non potrebbe – come da varie parti è già stato chiesto – essere estesa ai maestri e soprattutto ai professori universitari che hanno il compito specifico della ricerca? Forse per questo gli stessi interessati hanno ripiegato sulla richiesta del semplice riconoscimento del principio, il che significa però sempre un impegno, una promessa da mantenere.
Si pensi inoltre, quando si parla di inadempienza di promesse, come la seconda Commissione permanente di questa Assemblea, trattando delle variazioni alle spese dei vari Ministeri, abbia recentemente raccomandato al Governo che il bilancio attuale «sia considerato limite massimo di espansione delle spese per l’esercizio in corso», aggiungendo che deve essere rivolto ai singoli Ministeri l’invito «di realizzare economie e di stornare stanziamenti». Tale è la direttiva che viene da questa Assemblea al Governo, direttiva che gli onorevoli interroganti dovrebbero tener presente.
Malgrado io avessi assicurato sabato 12 aprile alla segreteria del sindacato che avevo fatto porre all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri del 15 corrente i provvedimenti già pronti, cioè la maggior parte di quelli proposti, malgrado questa inserzione avesse già determinato la decisione di non ricorrere allo sciopero da parte dei maestri, la segreteria generale del Sindacato della scuola media ritenne opportuno dichiarare lo sciopero.
Ora gli onorevoli Di Gloria, Rossi, Preti, Salerno, Binni, Filippini, Codignola e Lami Starnuti mi chiedono quale sia stato l’atteggiamento del Ministro della pubblica istruzione di fronte allo sciopero.
Rispondo che, nelle ore immediatamente anteriori allo sciopero, mi furono segnalati dall’autorità scolastiche periferiche alcuni fatti di cui tengo la precisa documentazione a disposizione degli onorevoli interroganti:
1°) manifesti di Camere del lavoro che diffidavano le autorità scolastiche a influire con atti o parole sugli insegnanti nei riguardi dell’agitazione;
2°) disposizione data da alcuni insegnanti ai loro discepoli a non presentarsi a scuola il giorno 14, limitando in tal modo la libertà di altri insegnanti che eventualmente avessero voluto far scuola;
3°) invito di Sindacati non alla sospensione delle lezioni, ma alla «chiusura» delle scuole.
Sono appunto questi fatti documentati, alcuni dei quali gli stessi promotori dello sciopero mi hanno poi lealmente deplorato, che mi indussero ad inviare ai Provveditori il seguente telegramma:
«Comunico che Sindacato maestri manifestando alto senso responsabilità educatori ha deciso non abbia luogo astensione scuola prevista per domani. Avendo Consiglio Ministri su mia proposta assicurato rapido esame provvedimenti relativi scuola, nella eventualità che in altri ordini di insegnamento si dia inammissibile disposizione chiusura scuole che est di competenza esclusiva autorità scolastica, dispongo che Provveditori informino urgentemente capi istituti che non è ammessa interruzione continuità servizio scolastico segnalando eventuali inadempienti. Provveditori saranno personalmente responsabili esecuzione suddette disposizioni informate inderogabili esigenze difesa dignità scuola».
Non si tratta con queste parole di voler dividere, come fu detto, la categoria degli educatori o di voler difendere la dignità della scuola contro gli stessi educatori: nel telegramma non si parla di scioperi, ma di chiusura delle scuole, e contro l’ordine di chiusura delle scuole che provenga da autorità non scolastiche o comunque, anche se scolastiche, non competenti e autorizzate, io ho il preciso dovere di intervenire, come sono intervenuto, chiedendo che mi si segnalino le inadempienze per la difesa del prestigio della Scuola e dei diritti delle famiglie. Se mi vengono segnalate errate interpretazioni o abusi nell’applicazione della disposizione ministeriale, sarà mio dovere di intervenire come sono già intervenuto.
Ciò che oggi dichiaro all’Assemblea, ho già da vari giorni dichiarato nei numerosi incontri coi rappresentanti sindacali, e sono certo che le mie parole saranno state giustamente riferite agli interessati. Su questo tema non ho quindi più nulla da aggiungere.
Scoppiato lo sciopero, e a nulla valsi i provvedimenti adottati nel Consiglio dei Ministri del 15 corrente (concorsi e stato giuridico), non ho mai rifiutato alcun colloquio con i rappresentanti della categoria, e la portata di questi colloqui è documentata in una lettera che ho inviato giovedì scorso all’onorevole Bertola, presidente del Gruppo parlamentare della Scuola.
Questa lettera dice:
«Rinnuovo a te e agli altri colleghi del Gruppo parlamentare il più vivo ringraziamento per la vostra opera a favore della cessazione dello sciopero che è nei nostri comuni desideri e negli interessi supremi della Scuola, che così vivamente stanno a cuore al Governo e agli educatori.
«Tu sai bene come, anche alla vigilia dello sciopero, abbia dichiarato che intendevo proporre all’esame dell’ultimo Consiglio dei Ministri i provvedimenti relativi alla scuola sia elementare che media, e come siano già stati approvati alcuni di tali provvedimenti di importanza essenziale, quali i concorsi per le scuole medie e lo stato giuridico dei presidi e professori.
«Nelle riunioni di ieri abbiamo assieme constatato il proposito unanime dei rappresentanti sindacali e parlamentari di porre termine allo sciopero.
«In conseguenza di ciò, vi ho rinnovato il mio proposito di chiedere subito alla Presidenza del Consiglio l’inserzione degli altri provvedimenti non ancora approvati nell’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio dei Ministri.
«La Presidenza del Consiglio ha accettato la mia proposta, e, cessato lo sciopero, è pronta a dare atto di questa accettazione in un pubblico comunicato, di cui ti allego copia.
«Ti prego quindi di portare a conoscenza degli interessati questo nostro proposito».
La lettera è stata letta in una seduta a cui partecipavano i membri del Comitato centrale del Sindacato e i segretari generali della Confederazione generale italiana del lavoro, i quali hanno creduto di respingere una soluzione che sembrava per tutti onorevole. Da ciò la continuazione dello sciopero, mentre il Governo non vede motivo di abbandonare questo suo ragionevole punto di vista.
Circa i motivi dello sciopero non si discute (e anzi si ammette pienamente) l’esistenza di motivi ideali: se mai si può discutere se i mezzi siano ideali. Personalmente capisco che i mezzi sono quelli che la situazione di emergenza può suggerire, ma nello stesso tempo devo constatare che la categoria dei maestri, la quale presentava rivendicazioni di non meno grave peso economico, ha preferito non ricorrere allo sciopero, sapendo che avrebbe ottenuto soddisfazione delle sue rivendicazioni.
Ma si chiede anche perché il Governo per la prima volta faccia resistenza ad uno sciopero e proprio allo sciopero di una delle categorie più immeritatamente umiliate.
Si aggiunge: perché con la minaccia di far fallire lo sciopero si vuol fare di questa categoria una vittima, quasi a compenso dei torti subiti da altre categorie più forti?
Certamente si tratta di considerazioni molto serie e di grave peso morale. Ma a chi rivolge tale domanda, chiedo quali fatti possano suffragare queste impressioni.
Vi invito a chiedere ai colleghi Ministri Gullo, Ferrari e Cacciatore quale sia stato, col concorde consenso di tutto il Governo, il loro atteggiamento di fronte allo sciopero dei magistrati e alle minacce di sciopero dei ferrovieri e dei postelegrafonici, la cui situazione economica ha pure i suoi profondi disagi.
Il Governo forse ha accettato tutte le richieste dei magistrati, pur essendo questi in sciopero ormai da un paio di settimane?
Quindi non si ripeta l’infondato luogo comune secondo il quale sarebbe la prima volta che il Governo dice di «no». Intanto non si dice di «no» quando si accolgono richieste fondate e di possibile realizzazione, come si è fatto nell’ultimo Consiglio dei Ministri; in secondo luogo non si tratta di «prima volta», poiché questo è l’atteggiamento del Governo che è stato identico anche in casi analoghi anteriori all’attuale.
Questi fatti positivi che ho citato dimostrano che l’atteggiamento del Governo non riguarda la specifica categoria degli insegnanti, ma risponde ad una linea di condotta che si è seguita e che si intende seguire per questo genere di scioperi nel pubblico impiego.
Vi sono alcuni insegnanti i quali mi hanno scritto in questi giorni dichiarando esplicitamente che ritengono che lo sciopero sia stato una colpa e temono che lo sciopero possa assumere un carattere politico che per me non può e non deve avere.
Io non ho mai parlato di colpa, e ammetto soggettivamente negli interessati la migliore buona fede; ammetto soprattutto la legittimità oggettiva delle loro rivendicazioni, ma ammetto pure che non tutto ciò che è giusto è possibile. Ciò non toglie che lo sciopero, come altri ritengono possa essere, se non una colpa, uno sbaglio, ai fini delle concrete conquiste della categoria, poiché lo sciopero non allarga le possibilità del Governo, che già prima dello sciopero aveva garantito di continuare, come fece per i maestri, l’ulteriore adozione di provvedimenti in parte adottati.
Se si voleva fare, come si dice, una protesta morale più che avanzare una rivendicazione economica in questo duro e pericoloso momento delle nostre finanze, sarebbe bastato il gesto di una temporanea sospensione delle lezioni e non c’era bisogno di ricorrere ad uno sciopero, che fu dichiarato sciopero ad oltranza.
Comunque io sono il primo ad augurarmi che il prestigio della categoria degli educatori non sia intaccato e neppure scalfito da uno sciopero che è sempre un’arma difficile da manovrare, e tanto più per una categoria che per proprio connaturato temperamento morale ha sempre rifiutato di servirsi di quest’arma.
Nessuno chiede capitolazioni: si chiede solo che i nostri ragazzi possano al più presto ritornare a scuola dopo una disgraziata annata, in cui la scuola ha duramente sofferto perfino della inimicizia del freddo.
Quindi, con il suo atteggiamento, il Governo non si rivolge ai soli insegnanti; si tratta di una questione di carattere generale, di cui l’attuale sciopero non è che un episodio.
Noi non abbiamo dato alcun ultimatum: se mai, l’ultimatum per il 14 aprile fu dato dal Sindacato al Governo. E quanto all’umiliazione che si dice venga chiesta dal Governo agli insegnanti, vi chiedo se sono forse degli umiliati gli educatori dei Convitti nazionali, i quali, dopo due giorni di sciopero, hanno inviato al Ministero, di loro libera iniziativa, un comunicato in cui è detto che la rappresentanza della categoria «per consentire al Governo di decidere sulle richieste sindacali in una atmosfera più serena, ha deliberato la sospensione dello sciopero». Perché questo esempio non è stato e non può essere imitato?
Non è certo per umiliare la categoria che il Consiglio dei Ministri, nel comunicato della sua seduta anteriore allo sciopero, su mia proposta, si era assunto preciso e pubblico impegno di esaminare nella seduta successiva i provvedimenti relativi alla Scuola.
Non è certo per umiliare la categoria che, pur essendo iniziato lo sciopero, ho ottenuto dal Consiglio dei Ministri l’approvazione dei primi due provvedimenti relativi a due fondamentali richieste degli insegnanti, cioè i concorsi per i professori e il nuovo stato giuridico, e che nessuna parola non riguardosa è stata detta nel comunicato ufficiale dell’ultimo Consiglio dei Ministri, tenuto mentre già era stato iniziato lo sciopero.
È certo che queste ultime leggi approvate non segnano umiliazioni ma successi della categoria, successi dei quali non io ma la categoria degli educatori deve andare orgogliosa.
Non so se io abbia, come confido di avere, i titoli sufficienti per comprendere lo stato d’animo attuale degli insegnanti italiani.
Credo di comprendere gli insegnanti anzitutto per essere stato della loro famiglia fino a quando un ordine di Starace non mi trasferì dalla scuola al carcere. So per esperienza personale che è una categoria che ha molto patito e oggi ancor più patisce. Ma qui non si tratta di un esclusivo problema economico, bensì di un profondo e incancrenito problema sociale: è un triste retaggio di tutta la nostra storia nazionale questo fatto che la vita degli educatori si trova permanentemente e assolutamente inferiore al loro altissimo compito, per cui finiscono sempre per ricevere in ritardo e parzialmente ciò che gli altri ricevono subito e totalmente.
Ma io mi appello agli stessi educatori, per chiedere ad essi se ritengono possibile risolvere in un’epoca di miseria un così profondo e vasto problema morale e sociale che non si è risolto nelle epoche di benessere.
La sofferenza degli educatori è naturalmente più acuta in periodi di punta del generale disagio economico e ogni sforzo dello Stato va anzitutto diretto ad eliminare questo particolare disagio dell’ora, ad assicurare almeno quei provvedimenti che hanno un carattere di perequazione, che sono una doverosa riparazione di ingiustizie passate e di decenni di incuria che hanno imposto agli educatori una situazione di umiliante inferiorità, la quale scoraggia gli ingegni migliori a seguire con decoro la via dell’insegnamento e ad essere il nerbo di quel ceto medio che non è più tale per gli scivoloni progressivi verso l’inflazione.
Noi abbiamo indicato la strada per uscire dagli impacci di questa situazione. Gli insegnanti possono oggi stesso ritornare alle loro scuole: il Governo non può certo riunirsi oggi ma, riprese le lezioni, nella sua prima riunione esaminerà i provvedimenti già preordinati; dico esaminerà, poiché nessun Ministro può evidentemente assumere impegni sulle decisioni di un organo collegiale.
Mi auguro che questa sia la strada che verrà al più presto battuta nel comune interesse della scuola, degli educatori e dello stesso Governo. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Le due interrogazioni dell’onorevole Bertola, alle quali ha già risposto il Ministro della pubblica istruzione, sono anche rivolte al Ministro delle finanze e tesoro.
L’onorevole Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro, ha facoltà di rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, per ciò che riguarda i riflessi economici delle questioni che interessano gli insegnanti elementari e gli insegnanti delle scuole medie.
In realtà, presso il Ministero delle finanze e del tesoro sono state discusse varie questioni, ed il Ministro ed io personalmente abbiamo portato tutto il nostro contributo possibile alla loro risoluzione. Alcune richieste affacciate dai rappresentanti delle categorie interessano la classe degli insegnanti elementari; altre, quella degli insegnanti delle scuole medie; altre il personale dei convitti nazionali.
E noto che il Ministero delle finanze e del tesoro ha dato già la sua adesione alla istituzione dei ruoli aperti per gli insegnanti elementari; ed ormai questa proposta del Ministero della pubblica istruzione – alla quale il Ministro, è doveroso che io lo riconosca, ha dato tutto il suo personale interessamento (perché insieme abbiamo discusso presso il Ministero delle finanze e del tesoro la portata di questo problema, sia per quanto riguarda lo stato giuridico, sia per quanto riguarda lo stato economico, conseguenti alla realizzazione di questa iniziativa) – è stata approvata.
Questo importa un onere abbastanza gravoso per le finanze dello Stato, perché supera, da solo, i 3 miliardi annui.
Il Ministero delle finanze e del tesoro ha fatto la sua parte di sacrifici, perché persuaso della opportunità e della giustizia dell’accoglimento della richiesta e dell’aspirazione, ormai annosa, della categoria degli insegnanti elementari.
L’altra richiesta, presa in considerazione dal Ministero delle finanze e del tesoro, su proposta di quello della pubblica istruzione e dei rappresentanti delle categorie interessate, è quella dell’indennità di presenza, questione comune agli insegnanti elementari e medi.
Anche su questo punto si è trovato il perfetto accordo; il Ministero delle finanze e del tesoro ha già dato la sua adesione a quello della pubblica istruzione, per l’approvazione di questa richiesta, nel senso che l’indennità di presenza viene corrisposta per tutti i giorni del calendario scolastico e viene accordata anche durante le ferie natalizie e pasquali, per quei giorni nei quali ci sono gli scrutini trimestrali, nonché in quel breve periodo di tempo in cui la scuola deve restare chiusa per qualche evento di forza maggiore.
Riguardo alla questione delle pensioni degli insegnanti elementari, devo subito dire che essa è stata prospettata pochi giorni or sono, dico pochi giorni, precisamente nella settimana scorsa, al Ministero delle finanze e del tesoro, direttamente dalla categoria degli insegnanti. Non è ancora venuta alcuna richiesta ufficiale dal Ministero della pubblica istruzione, perché è stata una iniziativa proposta senz’altro, omisso medio, direi, non in via ufficiale, ma ufficiosamente al Ministero delle finanze e del tesoro. Posso aggiungere che, nonostante che il Ministero delle finanze e del tesoro non sia stato investito formalmente della questione, io ho già disposto per lo studio della questione stessa, la quale si pone nei seguenti termini: abolizione e soppressione del Monte pensioni dei maestri elementari, devoluzione del patrimonio dallo Stato, accollo da parte dello Stato delle pensioni dei maestri elementari così come di tutti gli altri dipendenti statali.
Come voi ben comprendete, onorevoli colleghi, non è una proposta sulla quale il Ministero delle finanze e del tesoro può adottare una deliberazione a cuor leggero; è una proposta che va studiata in tutti i suoi riflessi per tutti gli eventuali sviluppi che essa può presentare, ed anzitutto deve essere esaminata nella sua base finanziaria, perché la devoluzione allo Stato del patrimonio Monte pensioni dei maestri elementari potrebbe rappresentare per essi (è bene che i maestri lo comprendano) anche un danno economico ed un vantaggio per la finanza dello Stato. Ora noi non vogliamo danneggiare nessuna categoria, vogliamo esaminare obiettivamente la possibilità di realizzare questa aspirazione su un piano di giustizia e su un piano di opportunità. Studi sono stati disposti – l’iniziativa fu presentata soltanto la scorsa settimana – e noi oggettivamente e serenamente proporremo, d’accordo col Ministero della pubblica istruzione, al Consiglio dei Ministri quelle conclusioni che si renderanno opportune e giuste.
La questione dei concorsi, per i quali, come ha già osservato il Ministro della pubblica istruzione, il Ministero delle finanze e del tesoro ha dato anche la sua adesione, è risolta già con deliberazione del Consiglio dei Ministri; e gli onorevoli Di Vittorio e Lizzadri sanno benissimo quale fosse il mio punto di vista, già da parecchio tempo. Ho portato anche il mio personale contributo, il mio modesto contributo in proposito e con tutta cordialità, nella convinzione che si trattasse di una aspirazione che andava accolta e sono lieto che il Consiglio dei Ministri abbia risoluto favorevolmente la questione.
Resta ora in discussione la riforma di quel decreto n. 539 del 1946, che riguarda il personale non di ruolo delle scuole medie.
Ora, anche per questo, come ho già detto ai rappresentanti delle categorie interessate, il Ministro delle finanze e del tesoro ha dimostrato il suo benevolo interessamento e confermo quello che già ho avuto occasione di dire ai rappresentanti della categoria interessata ed al collega onorevole Di Vittorio, cioè che il Ministro delle finanze e tesoro tratterà benevolmente al Consiglio dei Ministri questa proposta, perché è chiaro che né il Ministro del tesoro, né quello della pubblica istruzione possono risolvere, da soli, una questione così importante. Questi Ministri possono portare il loro contributo, però, su una questione che, riguardando in modo particolare la pubblica amministrazione, è di loro particolare competenza, sebbene si tratti per noi di una competenza passiva.
Vi è infine la questione riguardante il personale dei convitti nazionali, cioè il personale degli istitutori ed il personale direttivo. È una questione proposta relativamente da poco tempo e sulla quale io spero di poter comunicare, al più presto, al Ministero della pubblica istruzione, favorevoli disposizioni da parte del Ministero del tesoro, perché si addivenga celermente a miglioramenti di carriera, attraverso l’apertura dei ruoli per i gradi degli istitutori ed uno spostamento anche di organico.
Di altre questioni non credo che il Ministero del tesoro sia stato interessato, e comunque mi rimetto a quanto ha già dichiarato il Ministro della pubblica istruzione.
PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, pur dando atto all’onorevole Ministro della pubblica istruzione e all’onorevole Sottosegretario per il tesoro delle dichiarazioni fatte davanti all’Assemblea, dichiarazioni che esprimono indubbiamente buone intenzioni da parte del Ministero della pubblica istruzione nei confronti del corpo insegnante e di tutto il personale scolastico, sono dolente di non potermi dichiarare completamente sodisfatto.
Desidero evitare ogni parola che possa costituire un ostacolo alla composizione onorevole dello sciopero degli insegnanti delle scuole medie, sciopero che noi ci auguriamo possa cessare al più presto perché sia ristabilita la normalità in questo settore veramente delicato della nostra vita nazionale e portata la tranquillità nelle famiglie dei ragazzi interessati. Tuttavia, bisogna dire che questo sciopero, come altri scioperi di lavoratori dello Stato, di enti parastatali e di enti locali, avrebbe potuto essere evitato. Il fatto è che nel nostro Paese, ed in alcune ruote dell’ingranaggio dello Stato, vi è un andazzo di cose che non si può approvare. Invece di risolvere i problemi a mano a mano che sorgono e maturano, si preferisce rinviarli e accumularli, e così i problemi, invece di essere risolti, si moltiplicano e si complicano. Sembrerebbe, ad esaminare certi atti e certi atteggiamenti specialmente della Ragioneria generale dello Stato, che vi sia della gente che prova un gusto addirittura satanico ad aggrovigliare i problemi, a complicarli e aggravarli per impedirne le soluzioni.
Così, oggi, l’onorevole Gonella ha voluto impressionare l’Assemblea ed il Paese sulle rivendicazioni del corpo insegnante in genere, e dei professori delle scuole medie in particolare, gettando la cifra di 3 miliardi. E una cifra impressionante, nonostante il valore, disgraziatamente ridotto, della nostra moneta. Perché si arriva alla cifra di 3 miliardi? Perché alcuni problemi che sarebbero costati qualche diecina, o al massimo qualche centinaio di milioni, due anni fa, un anno e mezzo fa, un anno fa, man mano che sono sorti non sono stati risolti e così abbiamo da una parte le condizioni economiche di questa categoria di lavoratori intellettuali che si aggravano sempre di più e, dall’altra parte, l’onere dello Stato che si moltiplica, fino ad assumere un carattere di tale gravità da presentare come impossibile ogni soluzione.
Bisogna risolvere i problemi a mano a mano che sorgono, e occorrerebbe una maggiore energia, io credo, da parte degli onorevoli Ministri interessati verso la Ragioneria generale dello Stato, la quale deve esercitare la sua funzione utilissima di controllo e di freno, deve cercare di impedire che sia dissipata qualsiasi parte delle finanze dello Stato, ma non deve giungere, come giunge in moltissimi casi, ad essere il fattore determinante della soluzione, anzi della non soluzione, dei problemi, non soltanto in ordine alla scuola, ma anche a tutte le altre attività dello Stato che hanno rapporti diretti con la nostra azione sindacale.
Io non discuto nemmeno del fondamento delle richieste successivamente avanzate, sia dal Sindacato nazionale della scuola media, come da quello dei maestri, come dall’insieme della Federazione della scuola. Il fondamento di queste richieste non è discusso da nessuno nel Paese e lo stesso Ministro, poco fa, ha ampiamente riconosciuto che queste richieste sono più che legittime, più che giustificate. Non si possono discutere oggi le richieste avanzate da tutti gli altri lavoratori dello Stato, richieste contenute e moderate, perché questi ceti di lavoratori dello Stato, degli enti parastatali e degli enti locali, sono i più sacrificati nelle contingenze attuali del nostro Paese. È perciò che, da parte dello Stato, non vi debbono essere soltanto manifestazioni di buona intenzione, ma vi deve essere uno sforzo concreto diretto ad alleviare la atroce miseria di cui soffrono questi lavoratori a reddito fisso. Dobbiamo dare un aiuto concreto ad essi per alleviare la loro miseria. Sappiamo che il bilancio dello Stato ha delle possibilità limitate, ha da far fronte a tanti altri bisogni, gravi, urgenti del nostro Paese, ha da pensare a riattivare la vita economica, ha da attenuare il terribile e angoscioso problema della disoccupazione, ha da utilizzare tutte le possibilità produttive del Paese per cercare, con la ripresa della vita economica, con l’aumento delle possibilità di lavoro, di attenuare la miseria di cui soffre tutto il popolo.
Bisogna che lo Stato, per far fronte alle esigenze urgenti ed assillanti del Paese, e per andare incontro ai bisogni vitali di queste categorie di lavoratori del medio ceto, dei dipendenti statali, parastatali e degli enti locali, trovi l’energia sufficiente e i mezzi necessari ed efficaci per prendere il denaro dai ceti che lo hanno accumulato sulla miseria del popolo, sulla sventura della Patria.
Credo che in tali condizioni non si possano disconoscere la legittimità e la necessità dello sciopero dei professori delle scuole medie. Da due anni sono state ripetute delle promesse, e nel corso di due anni, ben poco o quasi nulla è stato mantenuto, e le condizioni di questi lavoratori sono andate sempre più aggravandosi. Quale altro mezzo hanno i lavoratori, quando sono giunti al limite della sopportabilità, per far sentire al Paese che non hanno più la possibilità materiale di andare avanti, che bisogna che si faccia qualche cosa per loro; quando tutti gli altri mezzi normali sono stati esauriti: le richieste, le insistenze, gli ordini del giorno, le riunioni, le commissioni, le trattative? Quando tutti questi mezzi sono esauriti, che cosa rimane ai lavoratori per attirare l’attenzione generale sui propri problemi vitali? Lo sciopero. Perciò la legittimità dello sciopero; perciò la necessità del diritto di sciopero riconosciuto a tutti i lavoratori, senza nessuna eccezione.
Io, per le mie funzioni, sono a contatto in questi giorni in modo più diretto col corpo insegnante. Devo dichiarare davanti a voi, onorevoli colleghi, che nessuno più dei professori soffre in questi giorni di questo sciopero e dell’anormalità della vita scolastica; nessuno è più preoccupato di voler ristabilire al più presto la vita normale della scuola. E questa è la prova dell’alto senso di responsabilità, di dignità della scuola che anima il nostro corpo insegnante; e questa è una garanzia per il nostro Paese. Ed è per questo che noi ci siamo compiaciuti quando, avendo interpretato una circolare telegrafica del Ministro dell’istruzione e alcune affermazioni attribuite, probabilmente a torto, al Presidente del Consiglio, come qualche cosa che tendesse ad umiliare, ad offendere il corpo insegnante, tutti i professori, i presidi, i vicepresidi, tutte le autorità scolastiche hanno protestato contro questa supposta offesa alla loro dignità. Essi hanno dimostrato in questo modo di avere una grande sensibilità e un senso altissimo della propria indipendenza. Lo spirito di indipendenza, lo spirito elevato di dignità personale e professionale per coloro che hanno l’alto compito di formare la nostra gioventù, è una garanzia per il nostro popolo, e perciò è da lodare.
Noi prendiamo atto delle dichiarazioni che ha testé fatto l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, affermando che in nessun modo si è voluto offendere od umiliare il personale scolastico. Sono lieto che questo equivoco sia stato in tal modo chiarito; mi debbo tuttavia felicitare pubblicamente per la compattezza, la disciplina, la solidarietà totale che ha dimostrato questa volta, con la riuscita completa dello sciopero, il personale insegnante e non insegnante delle scuole medie, come sono pronti a dimostrarlo tutti gli altri lavoratori della scuola e i lavoratori dello Stato e degli enti pubblici in genere, qualora ciò fosse necessario per la difesa dei propri interessi, che in questo caso si riducono soprattutto alla difesa del proprio diritto alla vita, all’esistenza più elementare. (Applausi a sinistra).
Le conclusioni dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione offrono, a mio giudizio, la possibilità di quella composizione onorevole dello sciopero che noi abbiamo ricercato nelle nostre discussioni.
Io prendo atto perciò di quelle dichiarazioni ed evito di entrare in polemica, trascurando alcuni punti polemici ai quali l’onorevole Ministro della pubblica istruzione non ha creduto di potersi sottrarre.
Concludendo, mi auguro che lo sciopero possa cessare presto, nell’interesse della dignità della scuola e dei diritti riconosciuti del personale insegnante e non insegnante. Dichiaro, in pari tempo, che tutti i lavoratori italiani hanno in questa occasione dimostrato la loro solidarietà con i lavoratori della scuola, come esprimono la loro solidarietà con i lavoratori di tutti gli enti pubblici. E il Governo faccia tutto quello che può per soddisfare al più presto le rivendicazioni legittime ed urgentissime di tutti questi lavoratori, sapendo che i lavoratori del ceto medio, i professori, i maestri, i lavoratori dello Stato, degli enti parastatali e di quelli locali hanno dietro di sé la solidarietà attiva di tutto il proletariato italiano. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Di Gloria, debbo ricordare all’Assemblea che il tempo concesso agli interroganti è di cinque minuti. L’onorevole Di Vittorio lo ha invece superato notevolmente arrivando a parlare per quindici minuti. Tutto questo si può consentire in linea eccezionale, ma l’eccezione non può diventare la regola. Ricordo quindi a tutti gli onorevoli interroganti questa disposizione del Regolamento.
L’onorevole Di Gloria ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
DI GLORIA. Onorevoli colleghi, la mia interrogazione si riferisce all’atteggiamento assunto dal Ministro Gonella relativamente allo sciopero degli insegnanti delle scuole medie. È difficile, molto difficile, parlare allo stomaco perché lo stomaco non ha orecchie: così si esprime un celebre oratore latino e il Ministro Gonella avrebbe dovuto tener presente questo pensiero quando ha scritto il suo telegramma. Interpretato bene o interpretato male, il telegramma è stato la principale causa dell’irrigidimento degli insegnanti di scuole medie sulla posizione assunta in seguito allo sciopero, anche se a fondamento dello sciopero ci sono le gravi condizioni economiche nelle quali versa la categoria degli insegnanti. Evidentemente gli insegnanti di scuole medie non possono continuare a vivere tra gli stenti: si può infatti parlare di dignità dell’educatore se esso deve continuamente far fronte alla sua crescente miseria materiale? Il telegramma del Ministro Gonella rivela, attraverso il suo tono di paternalistica sufficienza, una errata interpretazione del concetto di autorità. Proclamare che è di competenza esclusiva dell’autorità scolastica ogni disposizione in materia di chiusura delle scuole; disporre che i provveditori comunichino a stretto giro di posta ogni eventuale inadempienza, è qualche cosa che va al di là dei normali poteri di un Ministero così poco poliziesco quale è o quale dovrebbe essere il Ministero della pubblica istruzione. Gli insegnanti delle scuole medie appartengono alla categoria di coloro che hanno veramente sofferto e che veramente soffrono. Essi hanno venduto tutto il vendibile per non avvilirsi eccessivamente. Ora non ne possono più e chiedono che il Governo vada loro incontro in qualche modo. Con lo stipendio percepito, spesse volte inferiore al salario di molti operai che pure stanno male, non possono comprarsi nemmeno dei libri per alimentare o rinnovellare la loro cultura. Costretti a dare molte lezioni private, essi diventano, per dirla collo Schelling, delle macchine esperte, capaci cioè di ripetere solo quello che hanno imparato nei lunghi anni di preparazione professionale. E quanto questo sia dannoso alla scuola ed agli interessi del Paese, lo dimostra il fatto che la science livresque impartita ai giovani fa di essi delle teste piene ma non delle teste buone.
I desideri degli insegnanti sono stati ritrovati giusti dallo stesso Ministro Gonella, ed insistendo nel loro accoglimento nessuno intende gettare il discredito sul Governo o mettere il Governo in imbarazzo. Solo se si andrà effettivamente incontro alla categoria degli insegnanti delle scuole medie, il Governo potrà avere in queste persone i suoi più validi collaboratori nello sforzo di ricostruzione morale e materiale del Paese, giacché, oggi come ieri, oggi come sempre, la scuola è e resta la migliore difesa della società e del suo reggimento democratico.
L’autorità, mi si permetta e mi si perdoni questo richiamo, non è soltanto quella che ci deriva dalla carica di Governo, ma è anche e soprattutto quella che gli altri ci riconoscono per le nostre doti, quella che gli altri ci danno in seguito alla nostra condotta.
L’onorevole Gonella si faccia vindice delle legittime aspirazioni degli insegnanti delle scuole medie in seno al Consiglio dei Ministri e vedrà rafforzato il suo potere di guida intelligente, consapevole e operosa della scuola italiana nel momento difficile che attraversiamo.
Costringere la cultura a prostituirsi o a vendersi è la più grave sciagura che possa colpire una Nazione. In questo mondo venale, tutto può essere asservito. Solo il pensiero, per la sua natura, può sfuggire a tutte le catene di tutte le tirannie. Si salvi quindi il pensiero difendendo la dignità degli insegnanti e le loro ragioni di vita! Questo è il caldo appello che noi rivolgiamo al Ministro Gonella. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MICCOLIS. Ringrazio l’onorevole Ministro della pubblica istruzione che ha voluto rispondere, su di uno scottante problema, a tutti gli interroganti e a me. Mi duole assai di non potermi dichiarare sodisfatto. La mia interrogazione ha un significato molto più vasto di quello che oggi è nello sciopero dei docenti, che è pure una delle tante manifestazioni di disordini che affliggono la nostra scuola. La scuola, onorevole Ministro Gonella, non è fatta solo di personale; è fatta di allievi, è fatta di famiglie, è fatta di case, è fatta di banchi, di attrezzature, di cui oggi la scuola quasi completamente manca. La mia interrogazione, dunque, investe un problema molto più vasto, ed io mi sono voluto inserire in questo momento unicamente per richiamare l’attenzione del Governo sul gravissimo problema della scuola. Ma qui ricorderemo che in una delle prime sedute la onorevole Bianchi richiamò l’attenzione del Governo sul problema della scuola, di cui il Governo nel suo programma ministeriale non aveva fatto cenno. Nell’ultimo programma esposto dallo stesso Ministero De Gasperi rimpastato, noi abbiamo sentito che c’era anche il problema della scuola. Oggi l’onorevole Ministro Gonella ci dice che quel problema si riduceva semplicemente a due punti che riguardano il personale. No, onorevole Gonella, il problema della scuola non è questo.
Oggi, dunque, io mi permetto di richiamare l’attenzione del Governo perché questo problema sia effettivamente messo nella sua giusta veste. Io non starò a dimostrare cose impossibili a dire in pochi minuti, specialmente con l’onorevole Presidente il quale ha chiuso un occhio a sinistra e non lo chiude a destra…
PRESIDENTE. Per non fare diventare regola la eccezione.
MICCOLIS. Io non starò a dire al Ministro quali sono le condizioni della scuola. Noi abbiamo visto la scuola riaprirsi dopo la guerra, quando era stata distrutta, abbiamo visto il personale della scuola presentarsi in servizio quando non aveva più né case né arredamenti. Ebbene, questo forse è stato l’unico personale dello Stato che si è presentato in servizio appena chiamato. Le aule – aule per modo di dire, perché non erano che baraccamenti – non avevano vetri, ed il personale ha ripreso il suo lavoro. Oggi la scuola, dopo anni, si trova in identiche condizioni: non ha locali, non ha banchi, non ha attrezzature, non ha quadri di personale selezionato. Eppure la scuola è fatta innanzitutto di quadri e la deficienza dei quadri nelle scuole italiane si aggira intorno al 50 per cento.
Abbiamo la piaga del supplentato. Ebbene, questi supplenti ad ogni principio d’anno scolastico fanno la Via Crucis per avere un posto, e mentre gli alunni sono senza insegnanti, il complesso delle pratiche burocratiche è tale che non si riesce a sistemare il servizio. Un’errata ordinanza sulla nomina dei supplenti ha portato quest’anno alla situazione, per cui nel mese di febbraio si procedeva ancora alla nomina di docenti. Ebbene, quei supplenti hanno il diritto, o faranno valere il loro diritto, ad essere pagati per l’intero anno. Ne vanno di mezzo la dignità degli insegnanti, il profitto degli allievi e la serietà della scuola.
Le questioni sollevate dagli insegnanti, per quanto io sappia, non sono dell’ultim’ora: ne ho sentito parlare da un anno e mezzo.
Perché non si è provveduto prima? domanda l’onorevole Di Vittorio. Non è esatto quello che egli diceva, che ciò che costava cento oggi costerebbe 500: quello che ieri costava 100 oggi costerebbe 2000.
Dal punto di vista finanziario, onorevole Sottosegretario alle finanze, la risoluzione del problema della scuola, ben lo sappiamo, importerebbe una spesa di 4 o 5 miliardi. È vero, ma noi dobbiamo rifare la scuola se vogliamo ricostruire la Nazione. Bisogna tener conto che di tasse scolastiche si paga meno del costo di un libro e io non dico di aumentare le tasse, ma, come mi pare avesse osservato già l’onorevole Bosco Lucarelli, oggi è opportuno fare la selezione tra quelli che possono pagare e quelli che non possono pagare; chi può pagare è necessario che paghi la tassa scolastica in nuova misura. Perché se lo Stato non è in condizione di dare la scuola gratuita, è necessario che trovi il modo di uscire da una situazione insostenibile.
PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, cerchi di concludere.
MICCOLIS. Devo parlare un po’ dello sciopero. (Commenti).
Personalmente io sono contrario al concetto dello sciopero come mezzo per risolvere problemi sociali, perché a me pare che in uno Stato veramente libero e di democrazia ordinata, l’educazione – e siamo in argomento – la reciproca comprensione, e la civiltà ci possono portare in altri concetti per risolvere certe questioni. Ma quando il diritto di sciopero è già nel progetto della nostra Costituzione, e quando è dimostrato che è solo con lo sciopero che si può arrivare a delle conclusioni, a me non pare che si debba negare il diritto di sciopero al personale insegnante. È doloroso, perché lo sciopero del personale insegnante incide, e sensibilmente, su una categoria di fanciulli e di giovani che molto imparano dal nostro esempio.
È necessario dunque che il Governo si occupi e si preoccupi della scuola. È necessario che guardi innanzitutto il problema della scuola dal punto di vista del personale, ma anche dal punto di vista organizzativo. E io dico all’onorevole Ministro Gonella che guardi a tutto il nostro ordinamento scolastico dal punto di vista tecnico, perché ha fatto il suo tempo e deve essere rivisto e radicalmente mutato. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Tonello ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
TONELLO. Devo confessare che io non sono tenero per il Ministro attuale. (Si ride). Egli è un fautore convinto della scuola confessionale; io sono un fautore convinto della scuola laica italiana. Questa dichiarazione è necessaria. (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Tonello, cerchi di stare al tema.
TONELLO. C’è nell’animo mio una convinzione – che mi auguro sia errata – e cioè che l’onorevole Ministro Gonella, lasciando andare l’acqua per il mulino cattolico, non voglia assolutamente che la scuola della Repubblica italiana assuma la sua funzione civile e sociale.
Vedete a che cosa siamo ridotti!
È la prima volta, onorevole Ministro, che lei viene qui a rendere conto dell’opera sua, a dare delle delucidazioni; è la prima volta. Se ella ha avuto la fortuna della barca di San Pietro, ricoverandosi nel porto franco del Vaticano, di restare incolume dal naufragio delle varie crisi ministeriali ed è rimasto lì, quasi che una volontà divina lo abbia inchiodato al posto di Ministro, perché non ha mai sentito il bisogno, data questa sicurezza del posto, di presentarsi all’Assemblea con un programma?
Perché non ha parlato prima qui dentro, dove è rappresentato il Paese e la volontà del Paese si esprime?
Soltanto all’ultimo momento, ella si è presentata, con un’aria di buonissimo uomo (Commenti); sarà anche! Vorrebbe fare, naturalmente, la voce del leone, ma sente di non poterla fare, cogli insegnanti italiani. Ella sente che gli insegnanti italiani hanno ragione, cento volte ragione, di fare quello che hanno fatto e che manterranno.
Nel chiudere la sua relazione, l’onorevole Ministro ha fatto capire che gli insegnanti devono ritornare all’insegnamento; ma non ha dato l’assicurazione formale che il problema sarà risolto.
L’onorevole Ministro deve, per un momento, dimenticarsi di essere un rappresentante della Democrazia cristiana, e ricordarsi di essere Ministro della pubblica istruzione della Repubblica italiana; deve, cioè, mettere da parte tutto quello che può essere antipatia o simpatia di parte e risolvere equamente questo problema.
I professori – mi dice qualcuno – sono quasi tutti democristiani.
Ebbene, a questi professori democristiani, in questo momento di battaglia e di lotta, io mando la mia parola di solidarietà, a nome anche del mio partito (Approvazioni); perché noi vogliamo che la scuola italiana si formi mediante l’unione del pensiero e del sentimento di tutti gli educatori italiani.
Abbiamo avuto un periodo di diseducazione nazionale; abbiamo avuto un periodo di corruzione nella gioventù italiana; vogliamo che la scuola italiana torni alla sua santa opera di redenzione morale e intellettuale; vogliamo che sia tolto ogni meschino ostacolo e che la scuola italiana possa proseguire il suo lungo e faticoso cammino.
Chi vi parla, onorevole Ministro, per quasi trent’anni dette l’opera sua nelle scuole italiane come insegnante o con modeste funzioni ispettive. Io so tutti i dolori e tutte le lacrime della scuola italiana e tutte le sue miserie. Date un po’ di tranquillità agli educatori italiani. Ma, se voi continuerete così, se avremo un bilancio della guerra tante volte maggiore di quello che dovrebbe essere il bilancio della scuola, questa sarà sempre così, come la chiamava un mio compianto amico, «la Cenerentola d’Italia» e nulla si potrà fare. Noi socialisti abbiamo il compito di far comprendere questo bisogno assoluto di risurrezione della scuola italiana per i lavoratori italiani.
Permettetemi di chiudere con un ricordo: più di trent’anni or sono, nei campi delle risaie di Molinella, sorgevano delle piccole ville fiorite dove c’erano i nidi dei figli delle risaiuole, con insegnanti pagati meglio dei maestri elementari delle scuole pubbliche. Ebbene, erano gli asili che le operaie di Molinella fondavano e mantenevano per le proprie creature; era la prima attestazione che il popolo dava di contributo diretto alla scuola. Le risaiuole dicevano: per gli educatori dei nostri figli vogliamo che ci siano delle condizioni più umane e civili.
Noi, invece, se andiamo avanti così non faremo altro che moltiplicare l’esercito degli spostati in Italia. Voi dovreste preoccuparvi del problema scolastico, come ha ben accennato il collega che ha parlato prima di me; dobbiamo rispondere a tutte le esigenze nuove della vita scolastica italiana. Bisogna che la scuola abbia una trasformazione ab imis; bisogna che la scuola diventi un organismo nuovo, che diventi la fonte nuova delle aspirazioni nazionali, e non dobbiamo lasciarla morire così, avvilendola con le controversie che rendono impossibile ogni spirito di vita. Ai professori in sciopero, ai maestri elementari italiani, l’Assemblea esprima il proprio sentimento di solidarietà, che sarà anche solidarietà del popolo italiano; a voi, signor Ministro, la raccomandazione di non perdere più tempo, di farla finita in modo che i professori possano tornare serenamente al loro lavoro. Non dobbiamo far continuare questo stato di vita, altrimenti sarà l’avvantaggiarsi della distruzione dell’istituto scolastico italiano, sarà il prevalere di tutte le forze cieche della reazione, mentre noi vogliamo che viva e prosperi la scuola italiana, la scuola della Repubblica italiana. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Bertola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
BERTOLA. Ero certo che le parole del Ministro della pubblica istruzione avrebbero portato una distensione di animi in questo problema della scuola. Personalmente mi dichiaro sodisfatto delle sue parole. Del resto è bene che si sappia che la protesta in atto da parte dei professori non fu e non è certo contro la incomprensione del Ministro per le loro rivendicazioni. Esplicitamente la Segreteria del Sindacato ed il Comitato centrale fecero a lui dichiarazioni precise. Ma tale protesta si rivolge contro certe more e certe incomprensioni dell’apparato burocratico statale. Che il Ministro abbia da tempo fatte sue tali rivendicazioni, questo è noto a tutti coloro che si occupano dei problemi della scuola.
Qui non vi erano due parti in causa, l’una contro l’altra, ma erano, Ministro e Sindacato, tesi per raggiungere tutti e due lo stesso scopo: l’elevazione, sia morale che economica, del personale della scuola.
Sotto questo aspetto, se da una parte questa protesta ha recato al Ministro Gonella dolore, dall’altra, oserei dire, egli può trovare in essa un certo compiacimento, poiché gli darà una forza nuova per sostenere le rivendicazioni della scuola, che sono le sue rivendicazioni, nel prossimo Consiglio dei Ministri. Faccia presente il Ministro, al Consiglio stesso quali sono le condizioni di vita e quale compito delicato e difficile è quello degli educatori della nuova generazione d’Italia. Io sono certo che mai come oggi gli educatori hanno la coscienza delle difficoltà nelle quali si muove il Governo nostro, e sono lieto di poter dichiarare che oggi, come non mai, la scuola italiana è seria e cosciente. Domani, gli educatori riprenderanno certo sereni il loro lavoro eminentemente spirituale. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Lozza ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
LOZZA. Mi associo pienamente alle parole pronunciate dall’onorevole Di Vittorio. Al Ministro del tesoro una precisazione: occorrano tre miliardi, occorrano 10 miliardi, in Italia vi sono moltissimi miliardari e moltissime fortune personali che superano la cifra di tre miliardi. Da tempo noi chiediamo che si venga alla risoluzione dei giusti problemi e delle giuste rivendicazioni degli insegnanti. Il danaro lo si può trovare, lo si deve trovare. Una raccomandazione al Governo: non si dimentichino i convitti nazionali ed i loro insegnanti, che hanno avuto ed hanno in Italia una importantissima funzione. Io non vorrei che si dimenticassero e si trascurassero, per avvantaggiare una certa categoria di convitti, cioè i convitti privati. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Lizzadri ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
LIZZADRI. Devo confessarvi una mia perplessità: è la prima volta che ho fatto una interrogazione e dovrei rispondere al Ministro se sono sodisfatto o se invece non sono sodisfatto. Devo dire che non sono né sodisfatto, né insoddisfatto, perché devo riconoscere che il tono del discorso del Ministro ha dimostrato tale buona volontà, come ha dimostrato buona volontà fino a questo momento il Sindacato, che da questa coincidenza di buone volontà io credo che siamo sulla via per poter arrivare ad una felice soluzione dello sciopero in corso.
Mi permetto solo sottolineare, anzitutto, il riconoscimento che il Ministro ha dato, nel corso del suo discorso, della grande opera morale che la benemerita categoria degli insegnanti esercita in questo travagliato dopoguerra per la ricostruzione delle coscienze (sono queste le parole del Ministro Gonella). Lo stesso Ministro però ha riconosciuto che, di fronte a questa altissima funzione morale degli insegnanti in genere, esiste una sperequazione economica anche nei confronti di altre categorie di lavoratori, e che è necessario un atto di giustizia peor sanare al più presto questa sperequazione.
Una seconda affermazione del Ministro che tengo a sottolineare è che nessuna umiliazione si è mai avuto in animo di dare a questa categoria, né la si può dare ora, e credo che questo sia molto importante non solo nei riguardi della pubblica opinione in genere, ma nei riguardi degli stessi scolari. Credo che niente sarebbe più grave per la dignità degli insegnanti che essi dovessero mostrarsi ai loro stessi scolari, in un certo senso, anche in minima parte, menomati nella loro dignità. Comunque è mia impressione che nel suo discorso il Ministro, come ho detto, abbia dimostrato la stessa buona volontà che ha dimostrato il Sindacato. Probabilmente se questa dimostrazione di buona volontà fosse avvenuta, onorevole Gonella, dieci giorni fa, non sarebbe nato lo sciopero.
Comunque, allo stato attuale, non resta che prendere atto delle dichiarazioni del Ministro e, nell’ambito delle nostre possibilità, lavorare perché al più presto possibile, anche entro oggi stesso, abbia ad avvenire la felice soluzione della vertenza.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ringrazio vivamente gli onorevoli interroganti che hanno portato un contributo alla auspicata distensione degli animi, attorno a questo duro problema. Io, in sostanza, non avrei nulla da aggiungere. Desidero però, nei limiti dei cinque minuti, fare delle brevissime precisazioni.
L’onorevole Di Vittorio ha detto che la politica del Ministero della pubblica istruzione è la politica delle buone intenzioni. Può darsi che questa sua impressione sia stata e sia convalidata da fatti. Però egli parla di buone intenzioni proprio una settimana dopo che il Consiglio dei Ministri ha approvato quella legge sui ruoli aperti che, come egli sa, costa all’erario ben più di tre miliardi. Così egli ha detto che si tratta di promesse che da due anni gli interessati hanno da parte del Governo. Anche su questo desidererei che si fosse un po’ più precisi, perché non circolassero dei luoghi comuni inesatti. Per esempio, non si può parlare certo di richieste che datano da due anni, per il premio di presenza, quando la legge istitutiva del premio stesso è dell’aprile dell’anno scorso. Così non si può certo parlare di due anni di attesa per la legge relativa ai supplenti e all’abbassamento delle ore da 20 a 18, perché qui si tratta di modificare proprio una legge approvata nel giugno dello scorso anno e che era stata considerata, in quel momento, come una conquista per la categoria. Così pure l’indennità di studio, in fondo, è una rivendicazione relativamente recente, sulla quale ancora in questo momento la categoria non domanda che specificamente vi sia una consacrazione in un provvedimento legislativo.
Questo dico così frammentariamente, senza entrare nel merito delle considerazioni sulle quali, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Di Vittorio, io stesso concordo.
Così ringrazio l’onorevole Di Gloria per quello che ha detto sulla nobiltà della funzione educativa e penso che le ultime parole della sua dichiarazione appaiono una smentita delle prime, in cui egli aveva prevalentemente posto l’accento sopra il carattere, diciamo così, esclusivamente economico dello sciopero, mentre penso che anche egli condivida la mia convinzione che il problema ha un respiro ben più ampio. Ma io sono d’accordo con lui – e credo, con la mia vita, di averlo anche dimostrato – che il valore dell’indipendenza del pensiero è un valore assoluto sul quale mi troverà sempre come combattente deciso ad affermarlo al di sopra di tutti gli altri valori della cultura stessa.
L’onorevole Miccolis ha posto sul tappeto questioni molto vaste e molto interessanti. A questo proposito, per non andare ora fuori teina, associando quanto ha detto l’onorevole Miccolis con quanto ha detto, sia pure dalla parte opposta, l’onorevole Tonello, devo ripetere che io più volte ho proposto, e propongo anche attualmente all’Assemblea, che si faccia un dibattito ampio, completo, esauriente sui problemi della scuola. Se la Presidenza troverà il modo di inserire nei nostri lavori e in questi orari così avari una tale discussione, non ho nulla in contrario e, ripeto, questo è anche il mio desiderio, più volte da me espresso.
Infine, all’onorevole Tonello debbo dire una sola cosa: io non sono un sostenitore della scuola confessionale; sono un sostenitore della libertà della scuola: è una posizione ben diversa.
TONELLO. Avete dei pessimi incensatori.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Lei mi ha parlato – andiamo fuori tema – della barca di San Pietro. Lei sa che a quel tempo la barca di San Pietro era una specie di Arca di Noè in cui c’era posto per tutti e vi sarebbe stato posto anche per lei. (Applausi al centro).
TONELLO. Non so nuotare. (Si ride).
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Avrebbe trovato anche dei compagni là dentro; e ci si poteva trovare benissimo anche lei. Si dice che non ho dato delle assicurazioni. Mi pare di aver ribadito oggi quello che avevo detto agli organizzatori dello sciopero, ancora prima che lo sciopero si iniziasse: ho detto loro il mio punto di vista, non perché fosse il mio, ma perché era la risultante di studi che erano stati compiuti da Commissioni miste di funzionari del Ministero della pubblica istruzione e di rappresentanti del sindacato. Quindi si trattava già di punti di vista concordati e che avevano permesso sia al Ministero, sia alle rappresentanze sindacali, si trovare quella giusta via intermedia che dava soddisfazione a esigenze fondamentali, e che d’altra parte presentava un programma ragionevole al Tesoro.
Infine, ringrazio gli onorevoli Bertola, Lozza e Lizzadri di quello che hanno detto; e termino facendo mio l’augurio che l’onorevole Di Vittorio all’inizio della discussione e l’onorevole Bertola alla fine hanno espresso, cioè l’augurio che le mie dichiarazioni di oggi offrano la possibilità di una rapida, immediata e soddisfacente risoluzione del problema. Questo è il mio profondo convincimento, questo è l’augurio che parte dal mio animo. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.
Discussione del disegno di legge: Ordinamento dell’industria cinematografica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Ordinamento dell’industria cinematografica nazionale.
Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare l’onorevole Proia, che ha presentato anche alcuni emendamenti. Egli ha facoltà di parlare, con la intesa, che, in sede di discussione generale, svolgerà anche gli emendamenti.
PROIA. Onorevoli colleghi, l’Assemblea costituente è chiamata ad affrontare e a discutere un serio problema: quello della cinematografia, la seconda industria mondiale per ordine d’importanza economica e finanziaria.
Un argomento, quindi, molto appassionante al quale si interessano vastissime correnti di opinione pubblica.
La produzione cinematografica, per i suoi elementi artistici e per gli altri molteplici requisiti che richiede, dà all’industria una possibilità ed una fisionomia del tutto speciali.
E la discussione della legga sulla cinematografia viene in quest’Aula come primo problema concreto di carattere industriale; problema alla cui soluzione sono legati i destini di tante famiglie, di tanti lavoratori e problema che incide sull’economia e sull’educazione morale di tutto un popolo.
In quest’Assemblea si è discusso e si sta lungamente discutendo sulla nuova Costituzione, per cui gli onorevoli colleghi che prendono parte ad un tale dibattito devono rievocare – per le necessarie analogie della storia del pensiero umano – le ombre pensose di una folla di filosofi, storici e giuristi.
La cinematografia, che nell’insieme è arte ed industria, ma soprattutto arte, non ha – sul piano industriale – una lunga storia.
Ha una storia di mezzo secolo!
Coincide presso a poco con l’età parlamentare di un nostro insigne Maestro, di quella cioè di Vittorio Emanuele Orlando.
Infatti, soltanto nel 1895 fu aperto il primo così detto cinematografo. Quindi storia industriale breve, ma tradizione scientifica ultra secolare. Basti pensare che Lucrezio già parlava di permanenza di immagini sulla retina nel suo De rerum natura; come più tardi dissero Leonardo, Newton e come nel secolo scorso più diffusamente s’interessarono del fenomeno Peter Mark Roger, Plateau, Horner e tanti altri.
Ma la gloria di aver portato la cinematografia all’attuale stato di pratico sfruttamento spetta ai Fratelli Lumière.
E che cosa è avvenuto dal 1895 ad oggi?
La cinematografia – come espressione artistica – ha travolto tutte le altre forme di spettacolo, poiché essa sprigiona una forza ed un valore eccezionali; forza e valore che dal campo industriale e commerciale si estendono a quello spirituale e culturale.
Spettacolo alla portata di tutti; spettacolo essenzialmente popolare perché si rivolge e parla non soltanto al nostro, ma al cuore ed alla mente di tutte le genti.
Dai 35 franchi incassati da Luigi Lumière nel lontano 1895, allorquando presentò al pubblico parigino i suoi primi e brevi saggi, agli incassi mondiali di oggi, che si calcola aggirarsi sui mille miliardi annui, si vedrà come lo sviluppo di una tale industria, così complessa per i suoi vari e molteplici aspetti, richiami la vigile attenzione degli uomini di Stato e dei legislatori.
Ecco la ragione della legge che il Governo porta alla nostra discussione e di cui siamo grati. Questa legge è e deve considerarsi certamente, un necessario ed indispensabile punto di partenza, perché la nostra ripresa industriale cinematografica si attui.
Spesso mi si domanda: – Ma perché una protezione all’industria cinematografica italiana?
Sta di fatto, onorevoli colleghi, che la cinematografia nacque, è vero, in Francia, ma essa crebbe e prosperò in Italia. Più di 20 anni or sono l’Italia era il solo Paese produttore di films spettacolari esportati, come in gergo si dice, «a scatola chiusa». Ma dopo l’avvento del film sonoro e per altre circostanze e cause di natura politica ed economica, il nostro Paese fu sopraffatto ed il primato della produzione passò ad altri Stati più potenti economicamente e con popolazione molto più vasta della nostra. E fu veramente encomiabile l’opera indefessa di alcuni produttori italiani, ai quali va anche la nostra riconoscenza, se questa voce, se questa espressione della nostra civiltà non fu addirittura soffocata.
Poco per volta, quindi, anche l’Italia, dopo una breve parentesi, fu presente sui mercati internazionali col prodotto cinematografico.
Perché, onorevoli colleghi, la cinematografia oltre che ad essere una realizzazione industriale è anche un’espressione visiva della civiltà, delle caratteristiche, dei costumi, del pensiero di un popolo ed attrae, nella sua orbita, i valori più rappresentativi dell’arte narrativa e contende il primato economico alle altre industrie fondamentali, come quella agricola o tessile, metallurgica o radiofonica.
Il nostro Paese – che non è vasto né ricco – deve quindi gareggiare, in materia di produzione cinematografica, con altre nazioni che hanno vasti territori nazionali e vasti imperi ai quali la produzione cinematografica è indirizzata naturalmente.
Fui recentemente a Parigi, come capo di una delegazione per la ripresa dei rapporti industriali cinematografici, e fu per me di grande sodisfazione constatare l’entusiastica accoglienza riservata ad alcuni films italiani che narravano le nostre reali recenti e cocenti disgrazie, le nostre ansie e aspirazioni. Sui boulevards parigini la gente sostava numerosa e paziente, in attesa di entrare in quei grandi cinematografi.
La stampa si occupava largamente della nostra industria cinematografica.
Le Figaro scriveva:
«Si può, dunque, ammettere che il cinema italiano marcia decisamente verso il primato europeo».
George Sadoul, uno dei più eminenti critici francesi, così si esprime nel Les Lettres françaises:
«II cinema italiano se continuerà così come ha fatto in questi ultimi due anni sarà uno dei primi del mondo».
Francesco Chalais, in un titolo su 2 colonne di un articolo su Carrefour, è arrivato ad affermare, con senso di discutibile ironia, ma in ogni modo con una affermazione molto significativa, a proposito di un film italiano:
«L’Italia dovrà più al regista Rossellini che ai signori De Gasperi e Togliatti». (Ilarità).
Negli ambienti cinematografici internazionali si nota un crescente interesse per il film italiano; esponenti dell’industria e dell’arte cinematografica di numerosi paesi, hanno avviato trattative o definito accordi di produzione in compartecipazione con case cinematografiche italiane.
Può quindi l’Italia rinunciare ad un mezzo ed a un’arma così potente?
L’onorevole Vernocchi, relatore della legge, nella sua pregiata relazione vi ha elencato le legislazioni speciali che vigono in tutti i Paesi del mondo per la protezione dell’industria cinematografica. Debbo, in materia, dare maggiori particolari:
1°) in Inghilterra, oltre alla quota di «contingentamento allo schermo», e cioè al numero di ore di spettacolo che deve essere periodicamente riservato alla proiezione di films inglesi, il «Film Act» del 1927 fa obbligo ai noleggiatori di films di riservare il 25 per cento del proprio listino alla distribuzione di films di produzione inglese;
2°) in Francia l’obbligatorietà di 105 giornate riservate al «contingentamento allo schermo»;
3°) in Spagna, non soltanto la legislazione in vigore istituisce tasse di notevole entità per l’importazione e per il doppiaggio di films esteri, non soltanto la legislazione stessa limita a determinati contingenti sia l’importazione che il doppiaggio, ma ciò che è più importante è che la legge riserva i permessi di importazione e di doppiaggio ai produttori di films nazionali, in numero proporzionale al valore della produzione stessa;
4°) nel Portogallo il 29 ottobre 1946 è stata emanata una nuova legge per la protezione del cinema portoghese. Con tale legge si prevede, oltre al contingentamento dell’importazione dall’estero, il divieto del doppiaggio dei films stessi. Anche in Portogallo vige la proiezione obbligatoria dei film nazionali con la determinazione di canoni di noleggio obbligatori a favore dei films stessi;
5°) per quanto riguarda i Paesi dell’Europa orientale e sud-orientale, l’importazione di films esteri è affidata esclusivamente a monopoli statali che riducono al minimo l’importazione stessa, pagando i diritti di esclusività dei films a prezzo fisso.
Per le Americhe:
6°) in Brasile tutti i cinematografi hanno l’obbligo di proiettare i films di produzione brasiliana che a mano a mano siano disponibili sul mercato;
7°) l’Argentina ed il Messico hanno applicato notevoli restrizioni all’importazione;
8°) per quanto, infine, riguarda gli Stati Uniti, i trusts finanziari attuano un regime di protezione molto più rigoroso di quello degli altri Paesi.
L’attuale schema di disegno di legge non chiede che una modesta, anzi modestissima protezione del film italiano con un contingentamento allo schermo di 60 giorni, ed un rimborso di tassa erariale nella misura rispettivamente dal 12 al 18 per cento.
Ma qual è, onorevoli colleghi, lo sviluppo dell’industria e dello spettacolo cinematografico in Italia?
Poche cifre bastano a dimostrarlo.
Gli incassi lordi dei cinematografi dal 1936 ad oggi risultano così specificati:
1936: 440 milioni;
1946: 13 miliardi e 500 milioni.
Gli incassi lordi dei cinematografi seguono un ritmo ininterrotto e progressivo di aumento.
Si può affermare che la cadenza attuale degli incassi degli spettacoli cinematografici in Italia è di circa 18 miliardi di lire all’anno: ciò vuol dire che l’Italia ha raggiunto il terzo posto dopo la Russia e l’Inghilterra per quanto si riferisce all’importanza finanziaria dei rispettivi mercati, ed ha superato la stessa Francia, ove per il 1946 gli incassi lordi si aggirano ad 8 miliardi di franchi, pari a circa 14 miliardi di lire.
Spesso mi si domanda: «Ma con incassi così imponenti e con sale rigurgitanti di spettatori, i produttori dei films dovrebbero guadagnare moltissimo».
Sono costretto a fare rapidamente la ripartizione degli incassi, prendendo per unità di misura 100 lire. Di queste 100 lire lo Stato ne preleva 53 per tassa erariale e imposta sull’entrata, 3 lire per diritti d’autore e documentario, 4 lire per pubblicità, 24 lire sono prelevate dai gestori dei cinema che debbono destinare una parte notevole di questa quota al pagamento dell’affitto a favore del proprietario dell’immobile e delle imposte dirette. Sulle residuali 16 lire debbono essere pagate le spese per la distribuzione ed il noleggio che si calcolano sulla base di circa il 33 per cento dei proventi lordi del film. Su 100 lire al produttore non resta che la misera moneta di 10 lire.
Questo è il calcolo per locali di prima visione; per la grande massa dei cinema rurali, ove il noleggio deve essere fatto a condizioni più favorevoli per il gestore, la quota di spettanza del produttore diminuisce ancora.
Quali proventi invece ha ricavato lo Stato dallo spettacolo cinematografico? Senza tener conto del gettito di tutte le imposte dirette e indirette che gravano in questo come in tutti gli altri settori, la sola tassa erariale applicata sui biglietti d’ingresso nei cinematografi ha dato i seguenti proventi:
1936: 66 milioni;
1942: 180 milioni;
1946: 2 miliardi e 700 milioni.
I dati per il 1946 sono stati calcolati in base ad una incidenza media del 25 per cento delle tasse erariali negli incassi lordi previsti per quest’anno. Sommando i diritti erariali e l’imposta sull’entrata, lo Stato preleverà, per il 1946, circa 4 miliardi di lire dalle «casse» dei cinematografi.
In confronto a questa rispettabile somma, molto modesta è quella che lo Stato pagherà per lo stesso periodo a titolo di parziale rimborso delle tasse erariali a favore dei produttori di films nazionali.
Per il 1947 l’incasso lordo dei soli films italiani può essere preventivato in 4 miliardi di lire e l’ammontare complessivo dei premi (in media il 14 per cento) in 560 milioni.
Sono dati semplici e sufficienti a dimostrare la mancanza di fondamento delle accuse superficiali rivolte al cinema italiano; i denigratori del nostro sforzo di ripresa amano parlare di un cinema parassita, di un cinema divoratore dei milioni dello Stato, mentre è vero esattamente il contrario: lo Stato trae vantaggi finanziari sempre più elevati dallo sviluppo dell’attività cinematografica nazionale.
Ancora più evidenti sono i benefici che lo Stato può trarre dallo sviluppo della nostra produzione per quanto si riferisce alla bilancia dei pagamenti con l’estero.
Il nostro mercato cinematografico si era orientato su un consumo annuo medio (nel 1936 non esistevano ancora norme protettive o di monopolio e, quindi, il fenomeno può considerarsi dovuto esclusivamente al libero gioco delle forze economiche) inferiore ai 250 films inediti: di questo fabbisogno l’industria nazionale ha coperto una percentuale che oscilla fra il 20 e 1’80 per cento.
Nel 1946 la situazione cambia radicalmente: al 31 dicembre risultavano concessi ben 503 permessi di importazione di pellicole estere provenienti dai seguenti Paesi:
Stati Uniti 296
Francia 120
Inghilterra 49
Svezia 17
Russia 10
Spagna 6
Altri Paesi 5
Questa massa di films si aggiunge a quella introdotta nel periodo 1944-45 con i mezzi militari. Attualmente si doppiano nei nostri stabilimenti di doppiaggio da 40 a 50 films al mese. Nello stesso periodo di tempo – 1° gennaio-31 dicembre 1946 – risultano prodotti 54 films italiani.
Quali saranno le conseguenze nei nostri conti con l’estero di questa disordinata politica di importazione che non può non nuocere agli stessi interessi dei più seri produttori stranieri per la impossibilità di assicurare una circolazione normale e proficua ai films migliori soffocati dalla crescente massa di pellicole mediocri?
La risposta è facile: togliendo dai 20 miliardi di incassi lordi 4 miliardi derivanti dalla proiezione di films italiani, e calcolando che solo il 15 per cento dell’incasso lordo resti in definitiva a disposizione del produttore straniero, si ha un indebitamento verso l’estero di oltre 2 miliardi e mezzo di lire all’anno.
Un po’ troppo per un Paese che deve importare grano, carbone, petrolio.
Lusinghieri, invece, sono stati i primi risultati della nostra esportazione di films. Purtroppo mancano ancora statistiche anche approssimative dei proventi netti dei films italiani esportati. Risultano comunque concessi nel 1946 da 800 a 1.000 permessi di esportazione: ciò vuol dire che circa 100 films italiani sono stati venduti in 8 o 10 Stati ciascuno. Anche volendo limitare – con eccessiva prudenza – a solo mezzo milione di lire il controvalore delle valute pregiate che possono essere percepite per ciascuna vendita, si raggiunge un «attivo» per la nostra bilancia commerciale di oltre mezzo miliardo. Questa cifra potrà rapidamente aumentare attraverso una più razionale organizzazione delle nostre vendite e della presentazione dei nostri films sui vari mercati, e più ancora con il miglioramento del livello artistico della produzione e con una rigorosa selezione dell’esportazione.
Sta di fatto che – indipendentemente dall’eventuale revisione delle vigenti disposizioni governative sull’importazione – ogni incremento – numerico e di qualità – dei films italiani esercita una duplice influenza benefica sui nostri conti con l’estero: da una parte riduce l’indebitamento spostando una quota degli incassi lordi dei nostri cinematografi dal settore del film estero a quello del film italiano; dall’altra aumenta le rimesse di valuta dall’estero per maggiori proventi dell’esportazione.
Ma l’Italia ha gli impianti e i quadri industriali occorrenti per un sano sviluppo della produzione cinematografica?
La risposta è affermativa: sono attualmente in attività 31 teatri di posa, ai quali si potranno aggiungere presto i 12 teatri di Cinecittà in corso di ricostruzione; con questo complesso di teatri il volume della produzione annua potrebbe facilmente superare i 100 films. Ottanta case di produzione e 30 organizzazioni nazionali di distribuzione costituiscono i quadri dell’industria e del commercio cinematografico italiano. Risultano inoltre in attività 5.400 sale cinematografiche: la rete dell’esercizio è in continuo incremento, mentre numerose iniziative in corso di realizzazione consentono di sperare nella disponibilità, entro un breve periodo di tempo, di una vasta rete di sale a passo ridotto.
Nel quadro generale del nuovo assetto della cinematografia, in vista del futuro sviluppo della produzione nazionale, riveste particolare importanza il riordinamento degli enti cinematografici di interesse statale.
Cinecittà deve essere al più presto rimessa in efficienza, anche se per una parte soltanto degli impianti originari.
La Sezione di Credito cinematografico, in virtù dell’aumento del fondo di dotazione, disposto dall’articolo 11 del disegno di legge in esame, dovrà riprendere il ritmo normale di finanziamento della nostra industria.
Ma è all’ENIC che l’industria italiana guarda con maggiore attenzione e preoccupazione: data l’indiscriminata libertà di importazione di films esteri, i produttori debbono avere la certezza di poter contare su un saldo ed efficiente circuito di prima visione per la tempestiva presentazione dei loro film: lo Stato pertanto deve con il suo controllo tenere la stessa ENIC al riparo dalle mire di speculatori privati e dai pericoli di sfaldamento della rete dei cinematografi da essa gestiti.
Anche per quanto concerne la materia prima occorrente all’industria cinematografica – la pellicola – la situazione dell’Italia è buona. Mentre, infatti, fino al 1924 l’Italia era un paese dipendente dall’importazione straniera per quanto concerneva la pellicola, il continuo incremento degli impianti industriali della «Ferrania» ha reso possibile non soltanto la copertura del fabbisogno dell’industria e del commercio cinematografico italiano, ma anche una notevole esportazione di questo importante prodotto. La «Ferrania» è entrata a far parte delle poche industrie mondiali fornitrici di prodotti sensibili per la cinematografia e per la fotografia.
Le difficoltà, inerenti alla situazione generale dell’industria italiana in questo dopo guerra, hanno temporaneamente contratto il ritmo di produzione degli stabilimenti Ferrania, ma possiamo ritenere che fra breve l’attività della «Ferrania» possa avviarsi verso la normalizzazione: sono in corso ampliamenti degli impianti e perfezionamenti tecnici che consentiranno l’alimentazione di una larga corrente di esportazione.
Di fronte a queste favorevoli prospettive industriali inerenti ai benefici effetti della legge in esame, c’è peraltro da temere che i beneficî stessi possano essere seriamente compromessi e neutralizzati dal recente decreto che, trasferendo ai comuni i proventi dei diritti erariali sullo spettacolo cinematografico, aumenta le aliquote degli stessi diritti che avevano già raggiunto proporzioni insostenibili. Con tali aumenti si viene soprattutto a colpire il vecchio esercizio già oberato di forti spese di gestione e già messo in difficoltà dal recente aumento del 300 per cento sugli affitti. Per questi locali la nuova tassa inciderà sui prezzi con l’incredibile percentuale del 53 per cento, arrivando fino al 63 per cento in quei comuni, e non sono pochi, ove esistono le addizionali per il turismo.
Inattività cinematografica è legata da rapporti d’interdipendenza più sensibili di qualsiasi altra attività economica. Un aggravio della tassa erariale colpisce la produzione in forma diretta ed indiretta: diretta, perché assottiglia i già magri proventi che spettano al film ed indiretta perché un aumento di prezzi porta – per inevitabile conseguenza – ad una diminuzione di vendita e ad una contrazione degli incassi. E tutto lascia prevedere che la contrazione sarà sensibile, poiché ancor prima di questo aggravio si stava verificando in tutte le zone, e specialmente nei piccoli centri, una notevole crisi.
D’altra parte questo provvedimento, preso avventatamente senza i necessari accordi con le categorie interessate, è anche viziato da un errore tecnico, poiché apporta l’aumento nelle aliquote fissate per i prezzi di un anno fa, mentre tali prezzi, a causa dei continui aggravi verificatisi, sono oggi pressoché raddoppiati. Infatti la nuova legge lascia immutata l’aliquota del 15 per cento per i biglietti fino a 20 lire, che praticamente non esistono più, nemmeno nei piccoli centri rurali, e porta al 35 per cento l’aliquota per quelli da 20 a 60 lire che sono ormai i prezzi dei cinema popolari.
Sarebbe perciò necessario, ove non fosse possibile rinunciare a questo aggravio, adeguare le aliquote ai prezzi attuali, portando a 30 lire il limite per l’aliquota del 15 per cento, da 50 a 150 quello del 35 per cento e lasciare l’aliquota del 50 per cento per i biglietti oltre 150 lire che sono in uso nei grandi locali.
Solo così può evitarsi una crisi di pubblico che avrebbe ripercussioni incalcolabili per tutta l’economia cinematografica risolvendosi in un danno per lo stesso erario.
Venendo all’esame particolareggiato degli articoli della legge, debbo suggerire alcuni emendamenti.
Per l’articolo 3. L’aspetto più favorevole della ripresa in atto della nostra industria cinematografica è dato dalla possibilità di accordi e di intese – nel settore stesso della produzione – con l’industria di altri Paesi produttori.
Un recente accordo italo-francese prevede per il 1947 la realizzazione in Italia ed in Francia rispettivamente di 10 e di 5 films di co-produzione italo-francese. Sono films prodotti con la partecipazione di capitali, di artisti e di tecnici dei due Paesi; altre iniziative di produzione in compartecipazione sono in corso di attuazione e di studio con l’industria di altri Stati, fra i quali l’Inghilterra, il Brasile, l’Argentina, la Spagna, la Svizzera, l’Austria e gli stessi Stati Uniti.
Queste iniziative meritano ogni incoraggiamento perché consentono di produrre film di importanza internazionale, con l’impiego di più vasti mezzi finanziari e con la utilizzazione di elementi tecnici ed artistici di diversi Paesi.
Già molti produttori stranieri lavorano in Italia in collaborazione con produttori italiani: non è possibile peraltro che i films prodotti in Italia ottengano il riconoscimento della nazionalità del Paese al quale appartengono il produttore, gli artisti e i tecnici stranieri, se non siamo in grado di assicurare un trattamento di reciprocità. Occorre, cioè, riconoscere «italiani» anche i films che i produttori italiani, con propri capitali e con la partecipazione di artisti e tecnici italiani, realizzano nello stesso paese estero in collaborazione con produttori stranieri.
Il testo dell’articolo 3 del disegno di legge sottoposto alla vostra approvazione non consente tale riconoscimento, poiché fra le altre condizioni al primo comma si richiede che i films «siano stati girati prevalentemente in Italia».
Per eliminare questa difficoltà, che può costituire un grave ostacolo per le future intese cinematografiche internazionali, propongo una modifica. Questa modifica, mentre consente di eliminare gli ostacoli al sovracennato sviluppo delle intese internazionali di co-produzione, è redatta in termini atti ad evitare ogni abuso; l’emendamento proposto infatti, oltre a sottolineare il carattere eccezionale della concessione, la subordina ad un preciso accertamento, caso per caso, dell’effettivo interesse finanziario ed artistico, con l’intervento del Comitato tecnico.
Per l’articolo 4. L’articolo 4 del disegno di legge stabilisce le aliquote del 12 e del 6 per cento rispettivamente per il contributo governativo a favore di tutti i films di produzione nazionale e per la quota suppletiva a favore dei films più meritevoli per il loro valore culturale ed artistico. Queste aliquote segnano una lieve maggiorazione rispetto a quelle fissate dalla legge precedente (10 per cento e 4 per cento). Considerato che gli elementi che hanno indotto il Governo a concedere tale miglioramento (aumento dei costi di produzione, accresciuta concorrenza dei films esteri, maggiori gravami fiscali sui prezzi dei biglietti d’ingresso, ecc.) sussistono già da vari mesi e che la prima elaborazione del testo della nuova legge risale al novembre 1946, si ritiene opportuno estendere i benefici dell’articolo 4 alla produzione più recente, e pertanto si propone di modificare la prima parte dello stesso articolo 4 sostituendo all’inciso: «dopo l’entrata in vigore della presente legge», l’altro: «dopo il 1° gennaio 1947».
Per gli articoli 12 e 13. L’articolo 12 prevede l’istituzione di una Commissione consultiva per l’esame dei problemi di carattere generale interessanti la cinematografia; mentre l’articolo 13 istituisce un Comitato tecnico per l’ammissione delle singole pellicole al beneficio dei premi e della proiezione obbligatoria.
Del Comitato tecnico è chiamato a far parte anche un rappresentante del Ministero del commercio con l’estero; ciò deve essere dipeso da un equivoco, in quanto, mentre è opportuno che il rappresentante di quel Ministero possa partecipare all’esame dei problemi economici generali della cinematografia, che tanti riflessi hanno sui nostri scambi commerciali con l’estero, appare evidente che egli non ha alcuna competenza o interesse per la valutazione tecnico-artistica dei caratteri dei singoli films ai fini della concessione dei premi o dei benefici della proiezione obbligatoria.
Si nota inoltre che nella composizione della Commissione tecnica è non sufficiente prevedere un solo rappresentante per ciascuna delle due categorie dei lavoratori e degli industriali; sia per la complessità dei pareri da emettere sull’intera produzione dei films spettacolari e documentari, sia per far fronte ad eccezionali casi di incompatibilità, è preferibile che nel Comitato siano inclusi due rappresentanti dei lavoratori e due dei produttori.
Allo scopo inoltre di consentire anche ai rappresentanti degli esercenti cinema, a carico dei quali è sancito l’obbligo della proiezione obbligatoria dei films italiani, di partecipare all’esame delle pellicole che saranno ammesse alla proiezione stessa, è opportuno prevederne l’inclusione nel Comitato tecnico.
Onorevoli colleghi, questa è, in grandi linee, la situazione dell’industria cinematografica in Italia.
È quindi un’industria alla quale s’interessano tutti.
Guardate! Allorquando in quest’Aula le discussioni diventano vivaci, anzi troppo vivaci, sapete cosa dice la gente fuori di qui?
«Hai visto, che cinematografo a Montecitorio?» (Ilarità).
Che significa questo?
Significa che tutti voi, che tutti noi siamo degli attori, significa che il cinema è vita, è movimento, è espressione, è sintesi della vita, della civiltà, della cultura di un popolo.
L’Italia, che seppe nei secoli scorsi, anche quando era divisa e negletta, inondare il mondo con i capolavori dei suoi letterati, pittori, scultori, musicisti, filosofi e continuare così la sua millenaria missione educativa, non può oggi rinunziare ad un mezzo così potente e moderno di pacifica espansione.
Noi siamo certi che la cinematografia, decisamente, contribuirà alla rinascita morale, politica ed economica del nostro Paese. (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE, È iscritto a parlare l’onorevole Arata. Ne ha facoltà.
ARATA. Onorevoli colleghi, l’onorevole Proia ha già inquadrato la cinematografia nella sua storia artistica ed economica. Io non intendevo, e non intendo, pronunciare un discorso su questa materia, tanto più che l’onorevole collega che mi ha preceduto ha già mietuto in ogni campo, con quella competenza specifica che egli ha. Mi limiterò ad esprimere alcune modestissime osservazioni che ho tratto dalla lettura del disegno di legge e della relazione del valoroso relatore che mi sta ascoltando, e che mi perdonerà se nella mia incompetenza dirò qualche inesattezza.
D’accordo, io penso, siamo tutti nel salutare con molto fervore questo disegno di legge per le provvidenze che esso intende apportare alla nostra cinematografia, uno slogan comune, oggi, che l’Italia ha perduto tutto e che non le sono rimaste che le sue ricchezze naturali, le sue ricchezze morali, il suo genio nazionale. Allora è necessario, in mancanza di altro, diffondere il più possibile questo nostro genio nazionale, non per tradurlo in una potenza militare, ma per tradurlo in un prestigio spirituale ed intellettuale, che, molte volte, è una causa indiretta di benessere materiale. Ed allora, se è vero – com’è vero – quel che detta la relazione sull’importanza della cinematografia, necessarie e salutari sono le provvidenze dirette a diffondere la nostra cinematografia all’estero ed a diffonderla, in modo speciale, sul piano della qualità, all’interno.
La relazione quasi si scusa di dover indulgere a certi criteri protezionistici a favore della nostra cinematografia e, quindi, di dovere violare i sacri canoni del liberismo in questa materia. Io penso che gli autori del disegno di legge siano già scusati e perdonati, perché, in siffatta materia, purtroppo, e nel tempo in cui viviamo, il protezionismo è la regola.
Vediamo infatti come tutte le altre nazioni hanno provveduto e provvedono a difendersi, e come tutte lavorano per il potenziamento della rispettiva cinematografia in base ad un duplice criterio: l’uno di difesa dalla invasione estera e l’altro di penetrazione la più ampia possibile all’estero.
Il disegno di legge, in esame – ed io, ripeto, intendo limitarmi a brevissime osservazioni per illustrare un mio emendamento – per quello che riguarda il primo criterio, e cioè la difesa dalla concorrenza estera, ha in fondo anche un contenuto profondamente morale, perché non involge soltanto un problema di bilancia dei pagamenti, ma tocca e riflette anche una questione di qualità, in quanto non sempre la cinematografia estera è all’altezza di quella considerazione che noi ce ne eravamo formata. Una parte della produzione estera nella pubblica opinione è già screditata, e questo potrebbe rappresentare per noi un forte punto di vantaggio, in quanto è appunto su questo scadimento almeno temporaneo della cinematografia estera che possiamo e dobbiamo inserire la nostra produzione per raggiungere, se non un primato, per lo meno quella preminente posizione che un giorno essa aveva saputo conquistare e acquisire al Paese.
Il disegno di legge che ci viene presentato ha cercato di attuare il criterio in parola con la norma stabilita all’articolo 7, secondo la quale è imposto agli esercenti di sale cinematografiche di riservare quindici giorni per ciascun trimestre alla proiezione di film nazionali. A me sembra che questa quota di riserva, questa specie di quota legittima, sia insufficiente. Quindici giorni su 90 equivalgono a 60 giorni all’anno. Or bene, la stessa relazione ci segnala che in Inghilterra è riservato ai films nazionali la metà delle proiezioni cinematografiche. In Francia abbiamo 105 giorni all’anno di proiezioni di films nazionali. Questo limite potrebbe forse sembrare modesto, ma non dobbiamo dimenticare che la cinematografia francese vive ancora sulla sua produzione ed ha una fortissima esportazione. Questo le può permettere di essere più generosa nei riguardi della produzione estera. Ad ogni modo, è un fatto che in tutti i paesi la misura obbligatoria di proiezione dei films nazionali in confronto degli esteri è molto rigorosa, e perciò mi sembra che abbiamo troppo scarseggiato nello stabilire 60 giorni di proiezioni di films nazionali, in confronto dei 300 giorni per i films esteri. Questo difetto mi sembra che venga a pregiudicare quella finalità che il disegno di legge si è prefissa: di difendere, cioè, la cinematografia italiana dall’invasione dei films esteri. Ecco perché io proporrei che questa quota fosse elevata a 25 giorni.
LOMBARDO IVAN MATTEO. Questa è autarchia!
ARATA. A 25 per trimestre, cioè 100 giorni all’anno. (Commenti). In verità debbo precisare che io propongo un aumento immediato a giorni 20 per trimestre, mentre la misura di giorni 25 per trimestre dovrebbe iniziare il 1° gennaio 1949; pur rendendomi conto dell’obiezione secondo cui nel 1949 la produzione potrà cominciare a dirsi normalizzata non soltanto in Italia ma anche all’estero. Se così sarà potranno imporsi altri criteri. Ad ogni modo, sono del parere che oggi, se vogliamo difendere, se vogliamo veramente potenziare e incoraggiare la nostra produzione, bisogna elevare quella quota di riserva di 15 giorni prevista dal disegno di legge. (Commenti).
LOMBARDO IVAN MATTEO. Non ci sono i films: questo è l’importante!
ARATA. Prendo atto dell’osservazione, ma mantengo da mia proposta, perché penso che i films ci siano; se il Relatore mi dirà che non ci sono potrò ricredermi e ritirarmi, ma non ne sarò, certo, felice. Io mi guardo bene dal fare enunciazioni categoriche, imperative, in una materia nella quale mi escludo una qualsiasi speciale competenza. Tuttavia ritengo di poter riconfermare il suggerimento che, ove sussista una minima sufficiente produzione, la quota riservata ai films italiani debba essere aumentata. Diversamente non ha valore lo stabilire un periodo per la proiezione di films italiani in confronto agli esteri: tanto vale, allora, non mettere nessuna riserva e nessun divieto.
Poiché, infine, per le proiezioni di films italiani che abbiano luogo prima del 31 dicembre 1949, è stato stabilito, con l’articolo 4, un contributo pari al 12 per cento dell’introito lordo degli spettacoli nei quali il film nazionale sia stato proiettato, ecc., cui si aggiunge un altro contributo del 6 per cento come premio per il valore intrinseco del film, io suggerirei al Relatore, pur senza presentare emendamenti su questo punto – che il 6 per cento comprendesse anche una particolare finalità: andasse, cioè, a premiare i nostri films destinati all’estero e che all’estero abbiano saputo imporsi. Il disegno di legge non prevede alcun riconoscimento concreto per la nostra esportazione: non prevede cioè né premi, né contributi, né quote di riserva, ecc. Io penso però che bisogna provvedere anche a questo, perché non basta difenderci dall’invasione estera, ma bisogna sapere anche noi imporci nel campo estero. Certo, la contemporanea azione di difesa dalla concorrenza estera e di penetrazione nel mercato estero esige molta cura ed una mano leggera e abile. Ma in ogni caso mi sembra che il premiare i films i quali, vincendo le grandi difficoltà che vengono loro frapposte, sappiano imporsi anche nel campo estero, assolvendo così quelle grandi funzioni morali e intellettuali cui ho accennato all’inizio, costituisca un dovere per noi, e risponda anche a un criterio di saggezza economica, perché se è vero, come detta la relazione, che noi dobbiamo anche pensare a sanare la nostra bilancia dei pagamenti, è chiaro che bisogna incoraggiare la nostra esportazione all’estero. Ecco quindi perché insisto nelle mie raccomandazioni, il cui scopo, si intende, è quello d’incoraggiare la esportazione della nostra sana produzione, non già di proteggere quella scadente, perché so bene che mandare all’estero il film cattivo significa deprimere la nostra cinematografia e chiuderci ogni porta e ogni buona possibilità.
Ma il film che abbia saputo degnamente uscir fuori dei confini e che si sia saputo imporre merita un incoraggiamento, onde mi auguro che i compilatori del disegno di legge tengano, di questo consiglio, il debito conto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bubbio, il quale ha presentato il seguente emendamento firmato anche dagli onorevoli Siles, Cappi, Rescigno, Cingolani, Clerici, Guidi, Bollato, Perlingieri:
«All’articolo 2, ultimo capoverso, sopprimere le parole: «nonché la Commissione tecnica per l’esame delle domande di costruzione e di apertura di nuove sale cinematografiche, di cui alla legge 30 novembre 1939, n. 2100».
L’onorevole Bubbio ha facoltà di parlare.
BUBBIO. Le ragioni del mio emendamento sono intuitive; esiste a Roma, in base alla legge 30 novembre 1939, una Commissione centrale la quale deve provvedere in ordine alle domande di apertura di nuove sale cinematografiche. Ora, se è essenziale l’esistenza di una simile commissione e se siamo d’accordo che essa vada mantenuta, in relazione peraltro al proposito nostro di attuare, in quanto possibile, un inizio del decentramento, può essere opportuno considerare la possibilità di esplicare tale funzione, anziché mediante un’unica Commissione centrale, mediante Commissioni di carattere provinciale o regionale.
L’esperienza ci dimostra che, allorquando un piccolo e lontano comune, per iniziativa di un ufficio del lavoro locale, o di un circolo sociale, o di una parrocchia, intende aprire un cinematografo, la prescritta documentazione dev’essere presentata a Roma, ove tali pratiche si insabbiano e talora passano mesi ed anni prima che si possa ottenere il provvedimento; il che non è dovuto a minore zelo dei preposti, ma all’eccessivo accentramento ed alle complicazioni dell’istruttoria, la quale invece può essere condotta più agevolmente dalle autorità decentrate. Conseguentemente, in quanto possibile e dato che si tratta non già di decidere se si possa o non si possa accordare la concessione, ma soltanto di esaminare dal punto di vista tecnico se la sala risponda alle esigenze che sono richieste per poter aprire il cinematografo, occorre sveltire, sollecitare, semplificare, istituendo le Commissioni tecniche locali.
Ho quindi domandato la soppressione dell’ultima parte dell’articolo 2 e conseguentemente che il Governo in via regolamentare, o con un nuovo disegno di legge, disponga norme concrete con cui questa funzione tecnica centrale sia smistata e decentrata attraverso le commissioni locali. Questo mio emendamento è stato firmato da diversi onorevoli colleghi che hanno come me compreso come esso sia dettato dalla necessità incombente di sveltire e di semplificare, iniziando alfine con questa modesta riforma un primo passo nel decentramento burocratico di questo servizio, e confido che il Governo vorrà accettarlo, unitamente al seguente ordine del giorno che ne è la conseguenza.
«L’Assemblea, ritenuto che ad evitare centralizzazioni, fonte di spese e di ritardi, sia opportuno demandare a speciali Commissioni regionali tecniche l’esame delle domande di costruzione e di apertura di nuove sale cinematografiche, di cui alla legge 30 novembre 1939, n. 2100, fa voti perché il Governo provveda alla soppressione della Commissione tecnica centrale ed alla istituzione di Commissioni di carattere regionale».
PRESIDENTE. Onorevole Bubbio, è chiaro che ove fosse approvato l’emendamento, cadrebbe il suo ordine del giorno.
È iscritto a parlare l’onorevole Di Vittorio. Ne ha facoltà.
DI VITTORIO. Credo che questo disegno di legge risponda ad una esigenza così evidente della nostra vita nazionale da non richiedere lunghi discorsi. Si tratta di assicurare alcune condizioni di vita e di sviluppo all’industria cinematografica italiana, la quale è una delle poche industrie che non richiedono troppe materie prime da importare dall’estero. È una industria che si basa fondamentalmente sul senso artistico, sulla capacità di esprimere i sentimenti, le passioni del nostro popolo, ed io credo che il popolo italiano possegga ad un grado abbastanza elevato questa capacità. Vi sono perciò le condizioni obiettive per dare uno sviluppo soddisfacente a questa industria che procura lavoro, pane e soddisfazioni a molte migliaia di lavoratori manuali ed intellettuali del nostro Paese.
Non è vero un luogo comune che ha trovato molta fortuna in Italia, secondo il quale i films che ci vengono dall’estero sono generalmente migliori di quelli italiani. Ho avuto frequenti occasioni di viaggiare all’estero recentemente e dappertutto ho sentito esprimere delle opinioni molto elevate sui pochi films italiani che sono stati fatti, specialmente in tempi recenti, dopo la liberazione di Roma. Questi films hanno avuto in molti paesi esteri notevoli successi. Né noi possiamo fermarci a considerare se dobbiamo porci su un terreno protezionistico o liberistico. Per noi comunisti, ed io mi auguro per tutti gli italiani, specialmente in un momento come questo, una simile questione di principio non esiste, non può esistere. La sola questione di principio che possa esistere oggi è quella di compiere ogni sforzo per procurare le maggiori possibilità di lavoro e di pane per il nostro popolo. Lo sviluppo dell’industria cinematografica può portare un contributo non indifferente alla realizzazione di questo scopo. Perciò noi comunisti approviamo questo disegno di legge, che avremmo voluto in alcuni punti anche più radicale.
È un fatto che sui principî generali ai quali si ispira questo disegno di legge è stato raggiunto un accordo completo fra lavoratori, industriali ed altre categorie intermedie interessate alla produzione e all’esercizio dei films. È un esempio di collaborazione utile, produttiva, e perciò progressiva, incoraggiante, specialmente nella situazione attuale del nostro Paese. Perciò raccomandiamo l’approvazione di questo disegno di legge come un riconoscimento agli artisti, agli scrittori, ai tecnici, a tutti i lavoratori italiani della cinematografia, della fiducia che l’Assemblea Costituente e il popolo hanno nella loro capacità di creare delle opere d’arte, atte ad affermarsi sul mercato italiano e sul mercato internazionale.
Noi desideriamo solamente suggerire alcuni emendamenti, diretti a dare l’ordinamento più democratico possibile agli organismi che devono occuparsi dello sviluppo di questa industria nazionale.
Così al secondo comma dell’articolo 2, dove si parla dell’ufficio centrale e se ne determinano le attribuzioni, desidereremmo aggiungere questa frase: «valendosi dell’assistenza della Commissione consultiva di cui all’articolo 12».
PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, le faccio osservare che questo emendamento non è stato presentato. Per la presentazione occorrono, a norma del regolamento, dieci firme. Forse ella potrebbe associarsi all’emendamento di altri colleghi.
Di VITTORIO. Allora dovrei avere la possibilità di consultarli.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Onorevole Di Vittorio, quello che ella propone è già nel testo della legge. L’articolo 2 parla dell’ufficio centrale della cinematografia e ne determina le attribuzioni; l’articolo 12 dice che è nominata una Commissione consultiva e ne precisa gli scopi di collaborazione.
MACRELLI. Ma questa precisazione non dice tutto.
PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, devo ripeterle con dispiacere che la sua proposta di emendamento è tardiva.
DI VITTORIO. Mi permetta di redigere subito l’emendamento e di presentarlo.
PRESIDENTE. Concluda per ora il suo discorso sulle considerazioni generali. Avrà modo di presentare l’emendamento in altra seduta. Speravo che stamane si potesse concludere l’esame della legge; ma vedo che ormai non è più possibile. Sono infatti iscritti a parlare ancora vari deputati, e poi vi sono gli emendamenti. Quindi mi pare che dobbiamo limitarci a concludere la discussione generale, riservando per una prossima seduta la parola al Governo e al relatore.
DI VITTORIO. All’articolo 3 proponiamo un altro emendamento, che tende a rafforzare la rappresentanza dei lavoratori nell’ufficio che deve pronunziarsi sul carattere italiano di determinate produzioni, perché noi intendiamo rafforzare l’attività di questo ufficio, diretta a resistere alla pressione di monopoli stranieri che inondano il mercato italiano di films che non soltanto non rispondono al nostro gusto ma, per il loro carattere di assoluta mediocrità, urtano lo spirito italiano ed hanno soltanto lo scopo di esercitare una concorrenza che impedisca all’industria italiana di affermarsi anche sul proprio mercato.
Io credo che con questi emendamenti il progetto di legge possa essere accolto.
Pertanto, ne raccomando l’approvazione a tutti i settori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, presenti gli emendamenti proposti alla Presidenza, dopo averli corredati del numero di firme necessario perché possano essere presi in considerazione.
È iscritto a parlare l’onorevole Ponti. Ne ha facoltà.
PONTI. Sarò molto breve, per quanto l’argomento mi tenti, anche nella mia particolare qualità di Commissario della Biennale d’Arte di Venezia.
Dico che l’argomento mi tenta effettivamente e potrebbe portarmi a fare un discorso piuttosto ampio e lungo, per spiegarvi quali sono i criteri che hanno ispirato la Biennale nell’estendere la sua attività artistica al campo cinematografico; e per rivolgere poi le mie parole agli onorevoli colleghi, perché appoggino pienamente questo progetto di legge.
Qui si parla di industria cinematografica, ed è evidente che il termine è esattissimo.
Ma noi vediamo il problema sotto altro aspetto, cioè sotto l’aspetto di arte cinematografica; quando diciamo «arte cinematografica» intendiamo elevare il tono di questa industria, per dire, precisamente, che abbiamo un’esigenza particolare verso l’industria cinematografica, la quale è industria sotto certi aspetti, ma sotto tutti gli aspetti deve essere sempre arte.
La Biennale è stata criticata, a suo tempo, quando ha esteso la sua attività da quella limitata alle arti plastiche all’arte cinematografica come all’arte drammatica.
Ma la Biennale, invece, è stata, proprio in quel momento, una precorritrice del giudizio critico comune oggi a tutto il mondo.
La Biennale ha avuto, in quel momento, il felice intuito di aggregare alle altre manifestazioni artistiche anche quella dell’arte cinematografica, che in un certo senso può ritenersi la sintesi di tutte le arti. Perché, nella cinematografia, abbiamo tutte le arti raccolte in forma sintetica, dalla drammatica alla musicale, fino a tutte le arti minori.
Come in tempi precedenti, nella storia dell’arte, abbiamo visto affermarsi espressioni analoghe – per esempio, il melodramma, sintesi di arte poetica, drammatica e musicale – così l’arte cinematografica è diventata un’arte sintesi nella fusione o cooperazione di tutte quelle arti, che hanno avuto la loro precedente espressione.
E appunto come sintesi e come antologia o scelta delle espressioni migliori delle forme artistiche, la cinematografia è diventata espressione artistica per eccellenza del mondo moderno.
E, badate bene, è un’arte che ha assunto un ruolo eminentemente divulgativo, arte diretta al popolo, arte che penetra nell’anima del popolo e, quindi, lo può anche formare artisticamente, lo educa e lo richiama a tutte le manifestazioni della vita, perché la cinematografia, rimanendo sempre espressione artistica, si estende anche al campo delle scienze, del turismo, della geografia, della scuola, ecc.
Ora, noi italiani abbiamo la coscienza di essere tutt’ora un popolo generatore di forze artistiche, e non è questa una riserva nella quale noi ci rifugiamo; ma supponiamo di poter dare molto in questo campo, e daremo certamente molto, perché è un’attività corrispondente alla nostra natura ed alla nostra tradizione. L’attività artistica deve essere effettivamente una delle nostre forze, e dobbiamo far sì che la nostra arte cinematografica sia un’espressione nuova e dignitosa del nostro spirito e della nostra natura geniale. Questa legge ha un’importanza notevole indubbiamente e dovrebbe essere un mezzo ed un punto di partenza per arrivare ad un’arte cinematografica che sia degna dell’Italia.
Raccomandiamo al Governo di tenere presenti tutte le manifestazioni più notevoli in questo campo e la più importante di tutte, quella della Biennale d’arte di Venezia. Badate che questa manifestazione, che è stata unica per molto tempo, ha oggi concorrenti potentissimi in molte parti d’Europa e del mondo. Noi dobbiamo mantenere questa tradizione e questo primato organizzativo nei confronti di altre manifestazioni cinematografiche straniere; e qui mi permetta l’onorevole collega che mi ha preceduto e che ha fatto un accenno ad una maggior limitazione dei films stranieri, di dirgli che io non condivido la sua opinione, per questa ragione: che noi oggi non siamo in grado di produrre un numero di films sufficienti per imporre un aumento di quella proporzione; non solo, ma dobbiamo anche riconoscere che la produzione straniera è molto ampia e progredita rispetto alla nostra, che è regredita soprattutto per colpa del fascismo. Perché se il fascismo da una parte ha avuto delle benemerenze che dobbiamo riconoscergli, e che sono state quelle di promulgare leggi favorevoli alla cinematografia, ha imposto però con il suo spirito, con la sua intransigenza, miope e nazionalistica, delle limitazioni tali nel campo cinematografico che hanno arrecato danni gravissimi all’Italia, proprio con la volontà di diffondere all’estero dei films che erano infelicissimi propagatori della nostra civiltà e del nostro spirito, che era effettivamente regredito, ed era documentata, questa regressione proprio da quelle manifestazioni cinematografiche che all’estero avrebbero dovuto fare réclame al nostro Paese ed hanno invece fatto una réclame a rovescio. Ora noi, che siamo in questo campo molto in arretrato dobbiamo cercare di guadagnare i tempi, e come li guadagnamo i tempi? Anche qui, ritorna la questione della Biennale d’arte di Venezia: un vero progresso si ottiene dai confronti, dalla gara. Perché è sorta la Biennale d’arte di Venezia come esposizione delle arti plastiche? Perché i pittori e gli scultori italiani (non solo i visitatori) vedessero quali erano le forme dell’arte degli altri paesi, perché sentissero dove erano arrivati gli altri. E per questo è sorta anche la Mostra cinematografica di Venezia, non come volevano il fascismo ed il nazismo, per mettere davanti i films italiani in numero e quantità, o per dare premi immeritati alla nostra produzione, ma perché i nostri produttori, i nostri artisti, i tecnici di quest’arte cinematografica vedessero a qual punto erano arrivati gli altri, quali erano i gradini che dovevano anch’essi salire, in modo che si sentissero veramente in gara per essere all’altezza dei migliori.
Per questo ritengo che non si debba aumentare quel numero e si debba riconoscere ampia libertà alla cinematografia straniera di venire qui, perché, state ben sicuri, ove la cinematografia non sia in grado di manifestarsi nelle forme più elevate, non c’è nessuna disposizione che valga a potenziarla, come hanno dimostrato proprio il regime fascista e quello nazista, quando, nonostante tutti gli sforzi per potenziare la produzione cinematografica ispirata alle loro ideologie, non sono riusciti affatto a diffonderla, ma l’hanno vista crollare. La cinematografia, come tutte le forme artistiche, si potenzia col valore intrinseco, con la manifestazione di effettive capacità artistiche.
Quindi, non preoccupiamoci tanto del numero e della quantità della nostra produzione, preoccupiamoci invece che al più presto essa riesca a conquistare quel posto al quale noi dobbiamo aspirare come popolo geniale di artisti, in tutti i campi delle arti, di quelle arti di cui – ripeto – la cinematografia è una vera sintesi, tale da poter in un certo momento, se noi avremo la forza di conquistare veramente delle posizioni degne nel campo dell’arte, portare il nome dell’Italia artistica in tutti i paesi, non per imposizioni di carattere politico, ma per efficiente conquista determinata dal giudizio critico, effettivo ed oggettivo dato dai popoli, i quali, qualunque essi siano, davanti alle vere manifestazioni artistiche si inchinano e riconoscono riverenti la superiorità degli altri. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io non deluderò né tradirò la vostra speranza di andare prestissimo a colazione. Io chiedo il rinvio della discussione su questa legge. Sono uno dei più vecchi cinematografisti d’Italia, perché ho incominciato nel 1914; sono quindi più di 30 anni che faccio cinematografo e lo conosco come pochi. Aggiungerò che sono stato il primo che ha creato in Italia quella speciale industria del sonoro raffazzonato, perché quando venne la cinematografia sonora in Italia noi non avevamo niente, nemmeno i tavoli di montaggio. Esiste, ancora oggi, un tavolo di montaggio muto che io ho, personalmente, col cacciavite, ridotto a sonoro. Ho diretto molti films e scritto molti films; ho fatto molte sceneggiature, ho fatto migliaia di riduzioni, e credo di avere una competenza abbastanza profonda di cinematografia. Con tutto ciò, questo disegno di legge mi coglie alla sprovvista. Ci sono cose che non capisco, ed io che sono praticissimo di cinematografia ho bisogno di rileggerle, di studiarle, di ponderarci sopra, perché non saprei, votando a favore o votando contro, di far bene o di far male. Voglio accennare ad uno dei più madornali errori di superficialità che sono in questo progetto di legge.
Incominciamo dal fatto che si dice: «films» al plurale. Ora il plurale in italiano non si fa con la «s». Si deve quindi dire il «film» e i «film», come si dice la città e le città. Quindi bisognerebbe cominciare col fissare questo. (Commenti).
Una voce. Non è una parola italiana.
GIANNINI; È una parola italianizzata e che è entrata nell’uso. Poi se si volesse adoperare la parola straniera nella forma grammaticale straniera, bisognerebbe metterla in corsivo.
Comunque, questa è una osservazione che non ha nessuna importanza e serve solo per aggiungere un sorriso al dramma della vita.
In secondo luogo, praticamente noi istituiamo un ufficio centrale della cinematografia e ripristiniamo – amico Proia – la vecchia Direzione generale della cinematografia, tale e quale. Questa Direzione generale sorse per ovviare a degli inconvenienti che vi erano nella cinematografia. Fece molto bene, ma fece anche molto male, perché nella Direzione generale della cinematografia fascista vi fu un accampamento di padreterni, vi fu un complesso di esclusivismi, vi furono quelle camorre che esistono in tutti i monopoli. Noi praticamente, con questo disegno di legge, diamo a questa rinnovata Direzione generale della cinematografia italiana, non più fascista, il diritto esclusivo di consentire la fabbricazione di film. Permettete che ci si veda chiaro, permettete che per lo meno noi, che siamo dovuti andare a fare dei salamelecchi e degli inchini, e anche dei piccoli «inghippi» per fare un film, non torniamo nelle stesse condizioni di prima, perché gli uomini non variano.
Altra inesattezza enorme è che nell’articolo 4 è menzionata una Società italiana autori ed editori, alla quale nientedimeno si deferisce il compito finanziario di accertare gli introiti.
PROIA. Ma già lo fa.
GIANNINI. Gli introiti sui quali vengono liquidati i contributi, di cui al presente articolo, sono determinati secondo il disegno di legge dalla Società italiana autori ed editori. Ma, signori, la Società italiana autori ed editori non esiste; esiste un Ente italiano per il diritto di autore il quale è successore della Società italiana autori ed editori defunta già da sei o sette anni. Esiste poi una Società italiana degli autori composta di soli autori, senza editori, che ha solo funzioni artistiche e amministrative relativamente alle percentuali dei diritti di autore incassati dagli autori stessi. Quindi, gli estensori di questa legge non sanno nemmeno che esiste un Ente italiano per il diritto di autore, e si riferiscono ad una istituzione che esisteva cinque o sei anni fa. (Commenti – Interruzioni).
PROIA. Ma esiste anche adesso!
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il progetto non è stato portato in modo inopinato davanti all’Assemblea, come ha affermato l’onorevole Giannini, ma è stato regolarmente trasmesso dal Governo alla Presidenza dell’Assemblea.
GIANNINI. La Società italiana autori ed editori fu una concezione corporativistica del fascismo e fu trasformata, ancora sotto il fascismo, in Ente italiano per il diritto di autore.
PROIA. Ma adesso ha ripreso la vecchia denominazione.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ripeto che il provvedimento non è stato portato all’Assemblea in modo inopinato.
GIANNINI. Anche questa è una questione di poca importanza.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Sì, ma volevo correggere l’affermazione che esso sia stato in modo inopinato portato all’Assemblea, perché è stato già discusso dalla Commissione permanente dell’Assemblea stessa.
GIANNINI. Va bene, onorevole Sottosegretario, questo fa parte di tutto l’andamento dei lavori della Costituente.
Comunque, se mi interrompete, non potrò mantenere la promessa di mandarvi a colazione subito.
C’è poi il vincolo di 15 giorni per trimestre. Signori, questo è uno scherzo. Noi vogliamo il grande film straniero; noi lo vogliamo, lo apprezziamo e ci studiamo sopra. Nessuno più di me può desiderarlo. Io ho fatto la riduzione della «Signora delle camelie» che è stata la più perfetta riduzione, o almeno è stata giudicata così precisamente in quelle grandi assise del cinematografo che si tenevano a Venezia. Quindi, devo amare il grande film straniero; ma il grande film straniero anzitutto può venirci soltanto alla «Biennale», senza pretendere di sfruttare tutte le nostre sale cinematografiche in circuiti che alle volte sono d’acciaio, che escludono tutti gli altri. Secondo: la presenza del grande film non deve giustificare la presenza della paccottiglia, del mediocre film straniero; perché al mediocre film straniero preferisco il mediocre film italiano.
Non è vero che noi dobbiamo prima raggiungere un grado di maturità nell’arte e quindi aspirare all’estero. Posso assicurare gli onorevoli colleghi che sono di questo parere, che le nostre maestranze, i nostri registi, i nostri autori sono in grado di produrre film bellissimi e ne hanno prodotti e continuano ancora a produrne.
LOMBARDO IVAN MATTEO. Ne hanno prodotti due in tutto.
GIANNINI. E hanno poco da apprendere dai grandi direttori americani: dico dai direttori e non dalla grande industria, perché l’industria cinematografica non ha bisogno di colossali impianti; e lo abbiamo dimostrato in tempi di necessità, quando abbiamo girato nelle stalle, per la strada, senza luce, senza mezzi e senza denari.
Una voce al centro. E come va che non si affermano allora questi films?
GIANNINI. Ci vorrebbero tre giorni per discutere questa legge. Noi vogliamo fare troppe cose; noi vogliamo in nove mesi sistemare il mondo. Questo è lo sbaglio. Noi vogliamo far tutto, crediamo di essere tutti dei padreterni, e invece ognuno di noi ha una specifica competenza limitata a qualche cosa, e ringrazi Iddio se ce l’ha.
Ora, quindici giorni su tre mesi sono una irrisione; io domando quarantacinque giorni. Eh, sì, è la funzione che sviluppa l’organo; finché non avremo esercenti affamati di pellicole italiane, non avremo un’industria italiana, e le nostre maestranze, i nostri operai, i nostri artisti, i nostri direttori non avranno mai modo di manifestarsi e di imporsi all’attenzione del pubblico.
Ultimo rilievo, perché la colazione urge. Si dice all’ultimo comma dell’articolo 7: «L’Ufficio centrale per la cinematografia, sentito il parere del Comitato tecnico di cui al seguente articolo 13, escluderà dal beneficio di cui al presente articolo i films sforniti (due «s» una appresso all’altra) dei requisiti minimi di idoneità tecnica, artistica e commerciale».
Signori, non scherziamo: questa disposizione è pericolosissima, perché può escludere dal beneficio del film il produttore isolato, può escludere la cooperativa di attori, può escludere la cooperativa di artisti, può escludere il regista, il quale riesca a concludere questo tipo di contratto con i lavoratori: «Io metto in società l’opera mia; a voi do una paga qualsiasi; facciamo il film: quando sarà proiettato, vi ricompenso».
Poiché questo produttore isolato non è protetto da nessuno, non ha santi in paradiso, non ha maniglie nel Comitato, non ha protettori nell’Ufficio, chi ci garantisce che sia tutelato in tale Comitato che ha la facoltà di giudicare e mandare come Minosse? Chi è che può giudicare l’arte?
Io posso fare un film con tutti esterni e mi si può dire che non c’è dignità commerciale, perché non ci sono interni, mentre invece se io lo proietto in pubblico, è maggiore la sorpresa di aver creato un nuovo genere.
Chi può dunque avere l’autorità di giudicare il contenuto artistico di un film? Ecco perché, onorevoli colleghi, io vi chiedo di approvare il rinvio di questa legge, perché venga studiata con maggiore attenzione. Ed ho finito.
PRESIDENTE. Onorevole Giannini, lei ha fatto una proposta di sospensiva, motivandola con la ragione di una certa fretta nella discussione della legge. Ora, io le faccio osservare che la relazione di questo disegno di legge è stata distribuita da tre o quattro giorni.
Desidero dirle inoltre che, a norma del Regolamento, le proposte di sospensiva debbono essere avanzate prima che si inizi la discussione, a meno che le proposte stesse non rechino le firme di quindici deputati.
Stando la cosa in questi termini, io le domando se ella è in grado di raccogliere le quindici firme.
GIANNINI. Desidero innanzi tutto chiarire che non credo che vi sia un componente di questa Assemblea più rispettoso di me verso la Presidenza. Quindi, la mia critica sulla frettolosità della legge non è rivolta alla Presidenza, né al Governo; la mia critica è di carattere generale e mi permetto, quindi, di preannunciare che la farò nella settimana entrante e dopo le elezioni siciliane, e la farò su tutta la discussione.
Per quanto riguarda le quindici firme che dovrebbero appoggiare la richiesta di sospensiva, io credo di poterle raccogliere sui banchi più diversi.
Non voglio affatto fare dell’ostruzionismo. La mia proposta è solo di rinviare la discussione del disegno di legge di tre o quattro giorni:
PRESIDENTE. Non trattandosi più di una proposta di sospensiva, di fronte a una semplice richiesta di rinvio di qualche giorno della discussione, cadono tutte le ragioni di formalità. Se non vi sono osservazioni in contrario, la discussione del disegno di legge è rinviata al giorno che la Presidenza fisserà.
(Così rimane stabilito).
Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di svolgimento urgente:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se sia a conoscenza della reazione determinata, in tutti gli ambienti solleciti della serietà della scuola, dalla sua circolare n. 6742 del 31 marzo ultimo scorso, con cui viene estesa a tutti gli studenti in debito di esame la sessione speciale già predisposta per i soli reduci; e se abbia qualche notizia delle gravi conseguenze che quel provvedimento potrebbe determinare.
«Colonnetti».
Il Ministro della pubblica istruzione ha comunicato che risponderà a questa interrogazione nella seduta antimeridiana di martedì.
È stata presentata la seguente interpellanza:
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere, anche in riferimento a precedenti interrogazioni, se intende provvedere ad una disciplina dell’insegnamento della procedura penale nelle Università statali, sia in riferimento alla destinazione a tale insegnamento di cattedre di ruolo per lo meno nei più popolosi Atenei, sia e soprattutto in riferimento ad una maggiore considerazione del medesimo nell’imminente bando dei concorsi a cattedre universitarie.
«In particolare si ha ragione di temere che nella pur larga sfera di concorsi di prossimo bando non sia compresa la procedura penale, per la quale fu già nel 1943 bandito il concorso che non poté aver luogo per la sopravvenuta situazione di armistizio; mentre dalla conquistata autonomia didattica della materia (1938) nessun concorso è stato mai bandito con grave danno del progresso degli studi in tale materia e dell’insegnamento medesimo che è di estrema importanza scientifica e professionale.
«Bettiol, Leone Giovanni, Ermini, Caristia, Corsanego, Di Fausto, Mariani Francesco, Colonnetti, Ruini».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento di questa interpellanza.
GHIDETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GHIDETTI. Vorrei sollecitare la risposta ad una mia interpellanza concernente i lavoratori italiani infortunati sul lavoro in Germania, presentata nella seduta del 27 marzo scorso.
PRESIDENTE. Dovrà essere fissata a suo tempo una seduta per lo svolgimento delle interpellanze.
Comunque, può trasformare la sua interpellanza in interrogazione urgente.
GHIDETTI. Sta bene; allora la trasformo subito in interrogazione urgente.
PRESIDENTE. Domando al Governo quando è disposto a rispondere a questa interrogazione urgente.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il Governo potrà rispondere nella seduta antimeridiana di martedì.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge:
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e tesoro e dei lavori pubblici, per sapere se è vero che la Sicilia, pur avendo eccezionali inderogabili necessità per i senza tetto, case Incis, case popolari e contributi per la riparazione dei danni di guerra, sia stata esclusa da qualsiasi partecipazione alla ripartizione dei 35 miliardi recentemente assegnati a tutta la Nazione per le suddette esigenze.
«Nel caso affermativo l’interrogante chiede come si possa giustificare siffatto provvedimento lesivo di elementari ragioni di giustizia ed in contrasto con esigenze eccezionali derivanti dai disastri subiti per causa di guerra, specialmente da alcuni centri come Messina, danneggiata pel 98 per cento, Randazzo danneggiata per 1’87 per cento e Trapani, Marsala ed altri importanti centri tutti danneggiati ad alta percentuale. Né il provvedimento potrebbe trovare spiegazione nella precedente tardiva assegnazione di otto miliardi destinati ad altre opere di eccezionale urgenza dipendenti da precedenti omissioni e insufficientemente inquadrati nella politica generale di lavori pubblici del Governo, che nei confronti della Sicilia non sempre è stata aderente alle proporzioni fissate dalla prassi, in relazione a criteri di giustizia distributiva fra le regioni.
«Cartia».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quando vorrà provvedere alla promozione al grado XI dei funzionari della Ragioneria generale dello Stato di gruppo C e di grado XII, che tale promozione ansiosamente attendono da diversi lustri. Non si comprende come mai in base alla legge Bonomi del 1944 si sia provveduto alla ricostruzione della carriera dei funzionari del gruppo A e nulla si sia fatto per quelli del gruppo C, che pure esplicano funzioni delicatissime quanto gli altri nel campo dell’amministrazione statale.
«Colitto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga necessario addivenire ad una sollecita e favorevole soluzione del provvedimento promosso dal Ministro della difesa nei confronti degli ufficiali in servizio permanente effettivo dei carabinieri, di fanteria e di amministrazione, che rivestirono la qualifica di primo tenente, tenendo presente che il provvedimento stesso:
- a) è elementare atto di giustizia riparatrice dovuto ad un esiguo numero di valorosi ufficiali combattenti nella guerra italo-austriaca 1915-18, i quali dopo 30 anni di spalline sono ancora capitani o maggiori, gradi iniziali della carriera;
- b) è ispirato a criteri di analogia con le disposizioni di cui al decreto legislativo 9 gennaio 1944, n. 9, relativo alla ricostruzione delle carriere danneggiate dall’arbitrio di leggi fasciste;
- c) ha strette e logiche relazioni di armonia integrativa con le disposizioni di cui al decreto legislativo 26 agosto 1945, n. 659, relativo all’aumento dei limiti di età per gli ufficiali dei carabinieri, in quanto assicura identità di trattamento agli ufficiali di che trattasi;
- d) è confortato dall’alto parere del Consiglio di Stato, il quale ha convenuto che la materia trattata dall’articolo 140 della legge 9 maggio 1940, n. 370, merita di essere riveduta al fine di emanare quelle disposizioni ulteriori, che assicurino una perfetta rispondenza ed armonia tra la norma e la sua finalità, onde eliminare le verificatesi sperequazioni di carriera;
- e) non costituisce aggravio alle finanze dello Stato in quanto non comporta corresponsione di arretrati, né eccessivo aumento di emolumenti perché trattasi di un esiguo numero di ufficiali i quali, per la loro anzianità di spalline, percepiscono già le indennità del grado superiore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Selvaggi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per potenziare l’opera dei carabinieri, che con tanta abnegazione si prodigano per la tutela dell’ordine pubblico nelle nostre provincie: essi difettano di armamento, di automezzi leggeri capaci di 10-12 militi, difettanti di vestiario, di scarpe ed altro.
«Per il prestigio dell’Arma occorre provvedere e d’urgenza. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Ferrarese, Burato, Franceschini, Cimenti, Guariento».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere l’attuale situazione della Cartiera del Rapido di Sant’Elia Fiumerapido (Frosinone) e quale fondamento abbiano le voci che agitano quelle popolazioni, secondo cui essa non soltanto non verrebbe riattivata riparando i danni bellici, ma verrebbe addirittura smobilitata.
«Se così fosse, si sopprimerebbe una già florida industria, che utilizzava una notevole produzione idroelettrica e dava lavoro ad una media di oltre 500 operai. L’interrogante chiede, pertanto, di conoscere il parere ed i propositi del Ministero competente in merito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Camangi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi per i quali si trovano ancora in Albania nostri connazionali (medici, ingegneri e tecnici), già prigionieri di guerra, senza possibilità di ritorno in Patria per divieto, pare, del Governo albanese, dopo tanti anni di disagiata assenza.
«Per conoscere, inoltre, quali azioni ha svolto il Governo a favore di questi nostri soldati per accelerarne il ritorno, quando esso potrà aver luogo e quali provvedimenti intende adottare, nell’attesa, per sollevare dal grave disagio economico le famiglie di questi ex prigionieri, costrette a vivere con un modesto sussidio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Puoti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intende adottare a favore del personale in servizio permanente della disciolta milizia della strada, arbitrariamente licenziato, esistendo un regolare stato giuridico.
«Risulta che il Consiglio di Stato, interpellato in proposito, fino dal 6 ottobre 1946 ha espresso l’avviso sulla necessità di provvedere al più presto a sistemare la situazione del personale della predetta milizia già in servizio permanente, consentendogli, nella più ampia misura possibile, l’ammissione nel nuovo organismo di polizia stradale, salvo i motivi di incompatibilità politica, così come è stato deciso per le altre milizie speciali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Puoti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare in favore dei giornalisti anziani collocati a riposo per migliorare l’assegno mensile di lire 1500, che attualmente è loro versato, in misura evidentemente non confacente a qualsiasi minima possibilità di vita, disponendo il ripristino del contributo da parte della R.A.I. – pari al 2 per cento sul gettito della pubblicità radiofonica – e le partecipazioni alla futura lotteria di Merano ed all’incasso dei diritti di autore per le opere cadute in pubblico dominio, ad integrazione ed aumento del fondo pensioni dei giornalisti stessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Selvaggi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, sulla urgenza di estendere ai lavori di tutte le Amministrazioni dello Stato, degli enti locali e parastatali, le disposizioni per la revisione dei prezzi contrattuali, contenute nel decreto legislativo 23 novembre 1946, n. 463, in relazione al voto in proposito espresso nella seduta del 5 marzo 1947 della quarta Commissione permanente. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Canevari, Merighi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere che cosa gli risulti in merito a quanto denunciato nel Domani d’Italia di Napoli del 12 aprile 1947 (edizione delle provincie), sotto il titolo «A Cava dei Tirreni – Il fattaccio del giorno nella Manifattura Tabacchi», e se intenda disporre una indispensabile inchiesta presso la detta Manifattura, al fine di ristabilirvi la necessaria autorità degli effettivi dirigenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, ai fini dell’incarico dell’insegnamento di economia domestica e lavoro nelle scuole medie, intenda equiparare il titolo di abilitazione all’insegnamento dei lavori femminili a quello dell’insegnamento dell’economia domestica, e ciò per un atto di doverosa giustizia verso non poche insegnanti fornite dell’abilitazione all’insegnamento dei lavori femminili che, dopo lustri di lodevole opera prestata alla scuola, versano in dolorose condizioni di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se col nuovo orario che andrà in vigore il 4 maggio 1947, intenda ripristinare il treno accelerato in partenza da Salerno per Napoli alle ore 7,10, utilizzando il materiale del treno accelerato 1949, ed accorciare gli orari dei treni accelerati sul tratto Salerno-Napoli e viceversa, essendosi su esso ripristinato il doppio binario; e per sapere ancora se intenda ritardare alle ore 14 la partenza da Sapri per Salerno del treno E.T.760, attualmente fissata alle ore 12,20. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del lavoro e previdenza sociale, dell’industria e commercio e del commercio con l’estero, per sapere a chi risalga la responsabilità di non avere tempestivamente concessa l’importazione di 2200 quintali di cemento dall’Austria, concordata a Udine con il consenso delle Autorità alleate il 7 agosto 1946 per coprire i risparmi accantonati in 2 mesi di lavoro da 596 fornaciari emigrati nella Carinzia e nella Stiria; talché l’avviamento dei nostri operai in questa direzione non fu potuto continuare (con grave danno dei lavoratori disoccupati); agli operai rimpatriati furono soltanto a grande stento e con molto ritardo corrisposte anticipazioni dai Ministeri del lavoro e dell’assistenza post-bellica, e il cemento fu respinto alla frontiera, mentre per deficienza di questo agglomerante si dovevano interrompere lavori pubblici urgenti; e per sapere come intendano provvedere affinché episodi così deplorevoli non abbiano a ripetersi in avvenire, e si cominci con attuare senza indugi il trasferimento dall’Austria in Italia di 2500 tonnellate di cemento secondo gli accordi stipulati il 1° aprile corrente a Bolzano con le autorità del Tirolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gortani».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno o svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 13.35.