Come nasce la Costituzione

MERCOLEDÌ 16 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XCI.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Relazione della Commissione degli «Undici» sulle accuse mosse dal deputato Finocchiaro Aprile ai deputati Campilli e Vaironi (Discussione):

Rubilli, Presidente e Relatore                                                                            

Crispo                                                                                                               

Grassi                                                                                                               

Codignola                                                                                                        

Bertone                                                                                                            

Corbino                                                                                                            

Angelini                                                                                                           

Venditti                                                                                                            

Cappi                                                                                                                 

Grilli                                                                                                                

Leone Giovanni                                                                                                

Mastrojanni                                                                                                    

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Presidente                                                                                                        

Togliatti                                                                                                          

Nenni                                                                                                                

Giannini                                                                                                            

Nitti                                                                                                                  

Pacciardi                                                                                                         

Bruni                                                                                                                

Bassano                                                                                                            

Bergamini                                                                                                         

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Gonella, Ministro della repubblica istruzione                                                     

Sull’ordine del giorno:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 15.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Spataro e Lussu.

L’onorevole Lussu, chiedendo anch’egli congedo, prega di dare lettura all’Assemblea della lettera con la quale la richiesta è presentata:

Roma, 16 aprile.

«Onorevole Presidente, per precedenti impegni devo partire per la Sicilia e mi trovo, quindi, nella impossibilità di partecipare alle sedute dell’Assemblea, che si annunziano particolarmente importanti, specie se il Presidente del Consiglio pone la questione di fiducia.

«Chiedo pertanto congedo con la preghiera di voler comunicare all’Assemblea le ragioni che mi obbligano ad allontanarmi da Roma.

«Distintamente

Emilio Lussu».

(I congedi sono concessi).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Sono state presentate alla Presidenza dell’Assemblea le relazioni della Giunta delle elezioni sulla elezione contestata della Circoscrizione di Catania (XXIX) e la relazione suppletiva su quella della Circoscrizione di Salerno (XXIV).

Saranno stampate e distribuite.

Discussione della relazione della Commissione degli «Undici» sulle accuse mosse dal deputato Finocchiaro Aprile ai deputati Campilli e Vanoni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione della relazione della Commissione degli «Undici» sulle accuse mosse dal deputato Finocchiaro Aprile ai deputati Campilli e Vanoni.

RUBILLI, Presidente e Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente e Relatore. Parlo a nome dell’intera Commissione per una semplice dichiarazione. Noi abbiamo presentato e letto la nostra relazione a cui non abbiamo né da aggiungere né da togliere una parola. Quindi la Commissione, unanime, si astiene dall’intervenire nella discussione e si asterrà anche dal voto. (Commenti).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi. Io non posso, prendendo la parola in questo dibattito, astenermi dall’esprimere, innanzi tutto, la mia sorpresa per l’intervento e specialmente per il modo dell’intervento stesso, da parte del Governo, dopo la lettura della relazione della Commissione per le indagini. Quell’intervento – e il modo ancor mi offende – è un atto di sopraffazione del potere esecutivo su di un altro potere, non dovendo il Governo dimenticare che la Commissione è l’espressione dell’Assemblea in funzione giurisdizionale, onde non può, non deve essere consentita la menomazione dell’organo e della funzione da parte del potere esecutivo che ha preteso d’insorgere, fino alla rampogna e al disdegno, contro il giudizio della Commissione. (Interruzione dell’onorevole Angelini).

Elevo, come Deputato, la mia protesta contro siffatta indefinibile procedura. (Applausi a sinistra e a destra – Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Amerei che non si iniziassero già le interruzioni! Prego di conservare il silenzio. Prosegua, onorevole Crispo.

CRISPO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Rubilli, fatte a nome dell’intera Commissione, io, dinanzi a questo documento, sono indotto a domandarmi quale sia il valore del giudizio emesso sui fatti denunziati.

Vuole essere questo documento una solenne dichiarazione dell’infondatezza degli addebiti, sicché oggi il giudizio dell’Assemblea dovrebbe essere di completa restaurazione dei valori morali e della dignità degli uomini che furono accusati?

O, piuttosto, questo documento esprime uno stato d’animo particolare, quello che si determina nel tormento di una indagine che non riesce a concludere in termini risolutivi? Quello stato d’animo e quel tormento, proprî del giudice, quando, fra il sì e il no, il capo gli tenzona? Ecco il quesito che io mi propongo, e che costituisce la ragione del mio intervento. Se ci si fermasse alla prima conclusione che la Commissione trae per il Ministro Campilli, occorrerebbe, con lealtà, riconoscere che quella conclusione dovrebbe considerarsi definitiva, e che, con essa, la figura morale del Ministro, rivendicata interamente, si leverebbe al disopra dell’accusa e dell’accusatore. Difatti, alla fine della pagina 5 del documento si legge:

«In conclusione, le indagini che sono state fatte con la maggiore diligenza e scrupolosità possibile, ed i risultati ottenuti inducono a ritenere che non è sorto alcun elemento per ammettere che le affermazioni del Ministro Campilli in sua difesa non siano rispondenti a verità».

Per tale conclusione, se dovessi esprimere interamente l’animo mio, mi permetterei di rilevare, col rispetto dovuto agli onorevoli componenti la Commissione, che la forma usata avrebbe potuto, anzi, dovuto essere più incisiva, e meglio rappresentativa d’un giudizio, la cui espressione potrebbe sembrare come preordinata a restringere il significato del giudizio stesso. Si sarebbe dovuto, cioè, affermare chiaramente che l’addebito, fatto al Campilli non sussiste.

Sarebbe stato logico, difatti, che, ritenuto rispondente a verità l’assunto del Ministro Campilli, la Commissione avesse concluso il proprio giudizio con una formula precisa, senza possibilità alcuna di sottintesi. La Commissione ritenne, invece, che il suo compito non fosse esaurito nel giudizio suddetto. Difatti, essa prosegue, a pagina 6: «Resta da esaminare come e da chi i due telegrammi in data 11 e 12 febbraio furono ideati e spediti», e soggiunge: – badate alla gravità, dell’affermazione – «qui il fatto si complica ed appare veramente strano ed incomprensibile»; per riassumere, infine, a pagina 7, il proprio pensiero nel modo seguente: «Insomma, ciò che avvenne per i menzionati telegrammi al Ministero del tesoro è così anormale, che non poteva non produrre in chicchessia una grande impressione e potette certamente e a buon diritto impressionare anche l’onorevole Finocchiaro Aprile».

Nel documento, adunque, non solo manca la deplorazione delle accuse e dell’autore di esse, evidentemente doverosa, nel caso di una calunnia, da parte d’un giudice politico, quale la Commissione; ma vi è chiaramente espressa la giustificazione della denunzia e del denunziante che, nella sua buona fede, doveva necessariamente «impressionarsi».

Giustificazione che vuole essere l’espressione d’un giudizio ispirato al più vigile senso di responsabilità, perché, la Commissione si affretta a renderne conto ricordando una serie di fatti e di circostanze che, chi bene li esamini, stanno come in contrasto con le conclusioni delle quali innanzi vi ho data lettura. La Commissione comincia col proporsi questo quesito: se fosse possibile che provvedimenti relativi alla politica delle Borse potessero essere di competenza di altri, oltre che del Ministro. E, dopo di avere esaminato le norme relative, afferma che l’indole, l’importanza, l’entità e le eventuali ripercussioni dei provvedimenti stessi determinano la competenza esclusiva del Ministro.

La Commissione, inoltre, afferma che non esiste nel Ministero del tesoro un precedente qualunque, nel quale, alla iniziativa del Ministro si fosse sostituita quella del funzionario dipendente, e che, pertanto, il caso Ventura è il caso unico di un direttore generale che prende, di suo arbitrio, il posto del Ministro, in materia così delicata e importante.

E non basta, perché la Commissione rileva che il Ministro Bertone e il dottore Menichella avevano conferito in proposito, concludendo entrambi che non dovesse, per alcun motivo, ripristinarsi il provvedimento relativo alla denunzia mensile, abolito nel febbraio 1945 dal Ministro Soleri, resistendo così a tutte le sollecitazioni ricevute, e fatte anche inutilmente al Ministro Corbino. Conosceva il Ventura tali dati di fatto? Sì, li conosceva, ed era, anzi, stato presente al colloquio Bertone-Menichella.

E, infine, la Commissione ricorda che, più e più volte, il signor Giammei aveva fatto pressioni perfino al Presidente del Consiglio, perché Bertone tornasse sul suo divisamento; e Bertone aveva costantemente opposto il più reciso e categorico rifiuto.

Le cose erano a questo punto, quando, ai primi di febbraio 1947, l’onorevole Campilli diveniva Ministro del tesoro, e nei giorni 11 e 12 dello stesso mese si spedivano i due telegrammi, due distinti telegrammi, l’uno anche relativo al deposito del 25 per cento, l’altro relativo alla denunzia mensile delle operazioni.

Coincidenza di date, per sé sola, impressionante. Perché non si trattava più di richiamare in vita disposizioni già date, o istruzioni già comunicate e non adempiute, ma si trattava, invece, di provvedimento interessante la particolare politica borsistica; un provvedimento già abolito due anni prima, e sul quale era stata persistentemente richiamata l’attenzione di Bertone, di Corbino, e di Menichella, e del quale il dottor Ventura sapeva che non si voleva e non si doveva ripristinare. E, nondimeno, il Ventura fece il telegramma. Perché? Una simile condotta, da parte del dottor Ventura, potrebbe avere una sola spiegazione in un atto di corruzione. Ma tale ipotesi non è consentita, poiché la Commissione conclama l’onestà del Ventura.

Sorge così spontaneo il quesito: se il Ventura è un galantuomo, se è tecnicamente competente, se conosce i precedenti tutti, relativi all’indirizzo della politica borsistica, se non ignora il pensiero di Bertone, di Corbino, di Menichella, se egli stesso, Ventura, aveva trasmesso al Ministero un rapporto, redatto di sua mano, nel quale riconosceva la opportunità e la necessità di evitare provvedimenti a tendenza ribassista, se tutto questo è vero, perché il Ventura trasmise il telegramma? Quell’atto o denunzia un disonesto, o appartiene a un mentecatto. Ma il dottor Ventura non è un disonesto, e non è nemmeno un mentecatto! Dunque? Dunque, la Commissione conclude che il fatto è del tutto incomprensibile. Sì, del tutto incomprensibile. Ma possiamo accontentarci, di una soluzione di questo genere, da parte di un organo giurisdizionale?

Ritengo che non si possa concepire una sentenza, nella quale il giudice dichiari di non poter giudicare perché il fatto gli è incomprensibile. Ecco, perché dicevo, cominciando, che il documento della Commissione tradisce uno stato tormentoso di evidente disagio. In buona sostanza, la Commissione, da una parte si trova dinnanzi ad una determinata prova specifica, raccolta in un ambiente pervaso di timore riverenziale, e siffatta prova le sembra escludere la responsabilità del Ministro Campilli; e, d’altra parte, nello stesso tempo, si trova di fronte ad una condotta inesplicabile, incomprensibile, di fronte, cioè, ad un atto che non si riesce, in alcun modo, ad attribuire alla iniziativa del Ventura, anche quando egli la confessi e l’assicuri a suo carico. Vi sono, peraltro, manchevolezze evidenti e gravi.

Non si è in alcun modo indagato sui rapporti tra il signor Giammei e il Ministro Campilli. Il rilievo ha tanto maggiore importanza, in quanto nella relazione si dice che, mentre il Giammei affermò di non aver veduto il Ministro Campilli, questi, dopo la di lui assunzione al Ministero, non escluse, invece, di essersi incontrato col Giammei.

Ora è certo che il Giammei intervenne presso il Ministro Bertone, insistentemente, sollecitandolo, anche, per mezzo di qualche lettera carpita a De Gasperi, per il ripristino della denunzia mensile. Lo stesso Giammei non nega questo fatto, assumendo di avere agito nientemeno che per fine di interesse nazionale, allo scopo, cioè, di far convergere i capitali verso il prestito in corso. Perché, dunque, il Giammei non si sarebbe rivolto anche al Campilli?

Tanto più in quanto il Giammei è vicesegretario amministrativo della Democrazia cristiana: circostanza, come vedete, del tutto «trascurabile», se non se ne fa cenno alcuno nella relazione!

Occorreva, adunque, proporsi, per lo meno, il quesito se il mistero della condotta del Ventura non trovasse spiegazione nell’intervento dell’amministratore di un partito presso un Ministro appartenente al partito stesso.

Ora, se ci trovassimo dinanzi ad una sentenza, si rileverebbe che la motivazione ne è contradittoria: contradizione evidente, perché, mentre da una parte afferma che l’assunto del Campilli risponde a verità, dall’altra, si affretta a condannare che i motivi per i quali fu ripristinato il provvedimento della denunzia mensile rimangono un imperscrutabile mistero. Intendiamoci, dunque, sul valore di questo documento. La prova testimoniale non è tutta la prova, e può, anzi, dirsi inefficiente, se in contrasto con la prova logica che si riassume nei termini di un ragionamento concludente da premesse certe e precise.

Ora, se l’assunto Campilli è provato per testimoni, esso è smentito dalla prova logica.

Resta così tuttora fermo il dilemma posto dal denunziante.

Il dilemma è questo: se il provvedimento appartiene al Campilli, il Campilli è un disonesto; se il Campilli è del tutto estraneo ad esso, il Campilli è un inetto. Il secondo termine, per vero, non sembra esatto, perché si confonde l’inettitudine, cioè, con la colpa per negligenza per non avere il Campilli impedito il fatto. Ciò chiarito, è inutile domandarsi se i provvedimenti cagionarono danno. Grave, lieve o inesistente, il danno non ha rilevanza ai fini dell’indagine. Siamo dinanzi a fatti di danno potenziale, o di pericolo di danno, i quali, peraltro, pur produssero una flessione dei prezzi, che, sebbene lieve, fu rilevata anche dalla stampa. Resta adunque, il dilemma suddetto. Né mi pare la si possa respingere, perché l’onorevole Finocchiaro non riuscì a produrre le prove dell’accusa.

Altra cosa, infatti, è la prova, ed altra la denunzia, né questa si può dire infondata, perché non sorretta da prova fornita dallo stesso denunziante, se la prova può raccogliersi aliunde, come è avvenuto nel caso nostro per il quale la Commissione non si fermò alle dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, ma esperì tutte le indagini che ritenne opportune.

Né può avere importanza decisiva la confessione della propria responsabilità da parte del Ventura. Quale importanza può, difatti, avere, se il dottor Ventura potette tranquillamente rimanere al proprio posto, nell’esercizio delle stesse funzioni e vi rimane tuttora?

La seconda parte del dilemma appare così ispirata ad un criterio di evidente indulgenza. Comunque, qual è la mia conclusione?

Per il caso Campilli il documento suscita le maggiori perplessità. Il fatto a lui attribuito è vero o no? Non si può rispondere in termini decisivi e mi sembra di non concedere troppo, esprimendomi in tal modo.

Onde deve apparire necessario uscire dall’atmosfera del dubbio o del sospetto, nell’interesse degli stessi accusati.

Qualunque sia, difatti, il voto dell’Assemblea, il documento resta, e sarebbe al di sopra di qualunque voto favorevole. Il documento, difatti, proietta troppe ombre, perché, un qualunque voto possa sodisfare le esigenze d’una elementare sensibilità politica e morale.

Il documento, difatti, non adotta una formula liberatoria, non dice che il fatto non sussiste, né dice che non fu commesso dal Campilli. Il documento rimane come un penoso punto interrogativo. Qual è il rimedio? Uno solo: una ulteriore e più approfondita indagine. Vi sono punti sui quali, a mio avviso, la Commissione dovrebbe tornare. Io li ho già segnalati, e l’indagine non può non proseguirsi. Occorre indagare soprattutto sulla figura del Giammei, sull’intervento di lui, chiedersi chi egli è veramente, se è un cittadino probo o un volgare faccendiere che profitti della sua posizione in un partito politico per inconfessabili interessi personali.

Per questi motivi, io presento sul caso Campilli l’ordine del giorno col quale: «L’Assemblea, esaminata la relazione della Commissione, ne rileva la perplessità delle conclusioni, e dispone il prosieguo delle indagini». (Commenti).

Una parola sul caso Vanoni. Qui non occorre esaminare la prova, perché il fatto che si addebita al Vanoni è del tutto pacifico. Egli ottenne che gli fosse attribuita la somma di 2 milioni e 761 mila lire come compenso dell’opera sua di Commissario, di nomina governativa, prestata per 16 mesi presso la Banca dell’agricoltura.

Tale somma non fu tutta riscossa da lui. Una parte – e non si sa quale – fu devoluta a favore del Partito della Democrazia cristiana – devoluta, nel senso che rimase presso la banca, e ritirata poi – non si sa ad opera di chi – nell’interesse del Partito stesso che ne aveva voluto la nomina. Vi è, dunque, da una parte, un compenso la cui entità non si spiega in alcun modo. Vi è, dall’altra, il fatto che alla prebenda partecipò il Partito del Vanoni, e dal quale il Vanoni fu designato all’incarico. Si è tratti quindi subito a pensare ad un rapporto derivante da uno strano do ut des. Se si consideri, inoltre, che la nomina del Commissario era intesa a defascistizzare la Banca, e ad accertare determinati profitti di regime, si comprende agevolmente che anche per il caso Vanoni le indagini siano state manchevoli. E il prosieguo che io propongo dovrebbe essere inteso, soprattutto, allo scopo di stabilire se quel compenso non trovasse la sua giustificazione in ragioni più o meno inconfessabili. Né credo di dovere aggiungere di più.

Resta, peraltro, il giudizio da dare intorno a questo indefinibile costume politico, per il quale può avvenire che partiti di Governo possono attingere i mezzi della propria organizzazione da simili compensi!

Io confido che l’Assemblea Costituente vorrà votare l’ordine del giorno da me presentato. (Applausi).

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Onorevoli colleghi, sarebbe mio vivo desiderio e penso che sia dovere dell’Assemblea Costituente di precisare i termini del presente dibattito. Nella seduta del 6 marzo scorso il Presidente dell’egregia Commissione parlamentare chiedeva all’Assemblea di poter disporre di poteri per indagare sulla fondatezza delle accuse, lesive dell’onorabilità, formulate contro Deputati nella pubblica discussione. E l’Assemblea, dopo un dibattito svoltosi su queste richieste, decise:

«Udite le dichiarazioni del Presidente della Commissione degli Undici e quelle del Presidente del Consiglio, accoglie le richieste della Commissione e passa all’ordine del giorno».

Sicché i limiti dell’indagini e, quindi, le conseguenze che da quelle indagini si devono trarre da parte della Commissione e da parte dell’Assemblea devono essere limitate a questo fatto, ossia se le accuse che furono lanciate da parte di un membro dell’Assemblea contro altri membri dell’Assemblea, rivestiti della carica di Ministri, fossero o no fondate; inquantoché da questo fatto o dall’accertamento di questo fatto devono risultare le conseguenze nei confronti dell’onore di determinate persone.

È necessario precisare questo punto, il quale è in corrispondenza a quella che è la prassi della vita parlamentare, e a quella che è la base dell’articolo 80-bis del Regolamento della Camera, il quale stabilisce che, quando un’accusa lanciata da un membro dell’Assemblea contro altri membri è lesiva della onorabilità – quindi vengono ripetute le parole «lesiva della onorabilità» – l’accusato ha il diritto di rivolgersi al Presidente della Camera, perché nomini una Commissione che accerti la fondatezza dell’accusa.

Quindi, in altri termini, è necessario precisare che, tanto l’ordine del giorno votato dall’Assemblea, quanto l’articolo del Regolamento, che rende possibile la nomina delle Commissioni parlamentari d’indagine, hanno questo compito limitato: accertare i fatti lesivi della onorabilità.

E non vi è ragione di dubitare sulla importanza del limite di questa indagine, in quanto che, se è vero che la tribuna parlamentare deve avere la pienezza della libertà, la pienezza del controllo su tutto ciò che riguarda coloro i quali rivestono cariche ed uffici pubblici, e che questa libertà della tribuna parlamentare è garantita dalla immunità in modo che, in nessuna maniera, possa essere limitata o processata; è anche vera l’altra esigenza, per rendere possibile un normale svolgimento nella vita pubblica, che ci sia una remora a questa libertà, a questa attività di controllo; e questo limite è stabilito nel senso che non può essere intaccata l’onorabilità d’un membro del Parlamento. Il rimedio consiste nel giudizio d’una Commissione parlamentare, alla quale si deferisce l’indagine.

Se tenete presenti queste esigenze e questi rimedi, vi spiegate le ragioni dell’attuale dibattito ed i limiti nei quali esso deve essere racchiuso; in quanto che da questo noi dobbiamo ricavare alcune conseguenze: la prima conseguenza – e mi pare che la Commissione l’abbia tenuta presente e quind’io non posso che illustrare quello che la Commissione ha fatto – è l’esame dei fatti, ossia se i fatti, in se stessi, possono influire sulla onorabilità di alcuni membri di questa Assemblea.

La seconda conseguenza è che noi, essendoci surrogati alla Commissione stessa, (in quanto abbiamo avocato, colla decisione dell’altro ieri, il giudizio sulle indagini della Commissione stessa), dobbiamo spogliarci di ogni passione politica e d’ogni tendenza di parte; ed esaminare la questione solamente come giudici, come persone chiamate a giudicare sulla onorabilità di alcuni nostri colleghi.

Su questo terreno, ci dobbiamo porre tutti, anche se non condividiamo la politica dell’intero Gabinetto o d’un determinato Ministro che è a capo di un ramo della pubblica Amministrazione.

Noi dobbiamo, quindi, spogliarci di ogni passione politica per giudicare strettamente e rigorosamente in base ai fatti; in quanto che si tratta col nostro giudizio di intaccare il patrimonio più sacro a ciascuno di noi, qual è l’onore che ognuno deve tutelare e difendere.

Ed allora, alla stregua di queste considerazioni, io ho esaminato e studiato il documento redatto dalla Commissione, che – al contrario dell’onorevole Crispo – trovo assai diligente nei limiti, che essa aveva, dell’indagine.

La Commissione ha preso in esame i due punti del dibattito, ossia ha preso in esame la persona o le persone dei Ministri rispetto ai fatti, sui quali doveva portare il suo esame, ed anzi, direi quasi, ha voluto estenderlo, perché, oltre al giudizio che si riferisce alla persona del Ministro è andata anche ad esaminare quello che avviene nelle amministrazioni statali, per dedurre osservazioni che sono contenute nella relazione. Penso che da questa doppia visione di indagini da parte della Commissione può essere derivata qualche incertezza sui risultati, o può essere apparsa incompleta la conclusione della Commissione. Ma, se noi stiamo strettamente al giudizio emesso dalla Commissione rispetto alle accuse specifiche fatte nei riguardi delle persone, non mi pare che ci possano essere incertezze; perché, come lo stesso onorevole Crispo ha detto, la Commissione, a conclusione della indagine nei riguardi dell’onorevole Campilli, ha finito per escludere ogni responsabilità morale rispetto al fatto dopo aver dichiarato (e questo è importante rilevare) di aver sentito l’onorevole Finocchiaro Aprile, dopo aver detto e scritto che non furono date prove a sostegno dell’accusa lanciata. Non si tratta di scusare o non scusare l’accusatore, ma di precisare che non è esatto quanto l’onorevole Crispo ha affermato, che diversa è la denuncia e diverse sono le prove; mi pare che ogni accusa formulata, specie se questa accusa investe l’onorabilità di un membro dell’Assemblea, debba essere fondata e provata; non si tratta di fare delle denunce, ma di precisare accuse che devono essere motivate e fondate.

In seguito alle dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, di non avere le prove sufficienti per dimostrare la fondatezza delle accuse, la Commissione dice nella sua relazione che avrebbe potuto anche limitare il suo compito a questa semplice indagine e fermarsi; ma ha fatto di più e, secondo me, ha fatto bene ad andare oltre, perché ne aveva ricevuto da parte dell’Assemblea l’incarico. E, dopo avere esaminato tutti i fatti, ed interrogato tutte le persone che potevano portare luce su questi fatti, conclude nella maniera che voi avete letto, ossia dicendo che le indagini fatte con la maggiore diligenza e scrupolosità possibile, ed i risultati ottenuti inducono a ritenere che non è sorto alcun elemento per ammettere che le affermazioni del Ministro Campilli in sua difesa non siano rispondenti a verità. Questa è la verità, questa è la conclusione della Commissione.

Che cosa era il fatto? Il fatto non era se i telegrammi erano stati lanciati o non lanciati l’11 febbraio, ma questo: se la conoscenza di questi telegrammi, prima della loro circolazione presso le Borse, data soltanto ad alcuni operatori in Borsa, avesse portato dei profitti a particolari persone.

Questo è il fatto. Nessuno ha mai messo in dubbio che i telegrammi dell’11 e del 12 siano stati trasmessi; essi portano la firma di un direttore generale.

L’indagine è un’altra: ossia se la conoscenza del documento in anticipo, avesse potuto far approfittare alcuni individui nel campo della Borsa. Ora questo la Commissione lo esclude, lo esclude nel modo più esauriente, nel senso che afferma nella forma più assoluta, che il Ministro Campilli non conosceva il documento stesso.

Ora, qui sta il punto. Forse l’onorevole Campilli avrebbe fatto meglio, dal mio punto di vista, da vecchio parlamentare, ad assumersi – bene o male – la responsabilità del documento. Ma questa è una considerazione di natura politica, perché se è vero (come del resto illustri maestri in questa materia hanno detto, e credo che anche l’onorevole Einaudi abbia scritto qualche articolo al riguardo subito dopo i noti fatti), se è vero che il provvedimento è un provvedimento legittimo, e d’altra parte la stessa Commissione e lo stesso onorevole Finocchiaro Aprile lo ammettono, se è vero che il provvedimento è necessario per infrenare le speculazioni di Borsa, è un provvedimento che poteva benissimo farsi; e pare che questo provvedimento sia ancora rimasto e sia un provvedimento che non ha portato, praticamente, alcuna conseguenza né immediata né in seguito.

Quindi, stiamo drammatizzando su situazioni che non esistono, perché diciamo che si poteva aver speculato, non per l’uso legittimo del provvedimento, ma per l’uso illegittimo, ossia per una propagazione del documento fatta in anticipo.

Ma questa è la gravità dell’accusa, che incide sulla moralità della persona cui è oggi affidato il tesoro dello Stato. Possiamo noi ammettere questa grave accusa? No. La Commissione l’ha escluso e se la Commissione lo ha escluso, noi dobbiamo fermarci; in quanto sarebbe gravissimo continuare ad avvolgere di sospetti l’uomo che è preposto all’amministrazione finanziaria dello Stato, specie in questo momento così delicato e così difficile della vita nazionale.

Questa è la gravità della situazione, donde la necessità di prendere una decisione, in seguito alle indagini, in base alle quali l’intera Commissione – che rappresenta tutti i gruppi dell’Assemblea – ha in forma unanime escluso ogni addebito a carico del Ministro Campilli.

La seconda parte delle indagini fatte da parte della Commissione, ha una grande importanza: la Commissione ha voluto spiegare a sé stessa, e vuole spiegare all’Assemblea, perché questi fatti siano avvenuti: e vuole spiegarlo in una maniera più larga, che forse – direi quasi – non era neanche il compito affidatole da parte dell’Assemblea, in quanto tale compito era limitato all’opera del Ministro Campilli.

Il compito della Commissione poteva considerarsi limitato a questa indagine; comunque, la Commissione è andata anche oltre: ha voluto approfondire e si è trovata di fronte a mille difficoltà d’indagini, anche perché gliene mancavano i poteri, in quanto non era una Commissione d’inchiesta, ma una Commissione parlamentare nei limiti dall’articolo 80-bis. In ogni modo la Commissione ha rilevato una cosa che non possiamo sottacere e che, d’altra parte, è nella convinzione generale di noi tutti e della pubblica opinione: che, effettivamente, la nostra Amministrazione, che era un modello, onorata e rispettata all’interno e all’estero, deve essere liberata da elementi che l’hanno inquinata. Io stesso posso assicurarlo, in quanto in un periodo precedente al fascismo, avendo vissuto all’estero, ho inteso gli apprezzamenti che venivano fatti sullo zelo e sulla capacità, sull’onestà dei nostri funzionari. È passato su tutto il Paese, e quindi sull’Amministrazione dello Stato, un regime autoritario, la guerra, la disfatta: tutto questo ha deformato, spezzato l’Amministrazione dello Stato, che si è andata ricostruendo da Brindisi, poi a Salerno e quindi a Roma, dove ha dovuto cominciare la sua opera di ricostruzione, che non è ancora compiuta.

Questo è un punto delicato e politico che va oltre i limiti dell’indagine che ci interessa. L’indagine che ci interessa è la partita d’onore, una partita nella quale dobbiamo dire se ci sono persone che non meritano di stare in mezzo a noi. Dobbiamo essere sinceri, aperti, dobbiamo dire la nostra parola in base agli elementi che la Commissione ci ha dato. Non può essere diverso il nostro giudizio.

Ora, io non voglio entrare in dettagli. Non credo che, esclusa la colpabilità, dobbiamo giudicare sulla capacità dei Ministri. L’incapacità, del resto, come ha detto l’onorevole Crispo, non sarebbe mai una incapacità intellettuale, ma politica, e per questa li giudicheremo nella loro attività ministeriale. Superiamo questo momento difficile, in cui siamo chiamati come giudici su una questione morale, sulla questione di capacità li giudicheremo prossimamente, ed ognuno prenderà allora il suo posto e la sua funzione; ma, in questo momento, siamo uomini d’onore che dobbiamo giudicare secondo una legge d’onore, alla quale non possiamo sottrarci. Ed in questa legge d’onore dobbiamo esprimere apertamente il nostro pensiero, il nostro giudizio.

Ed allora, non entriamo nei dettagli, perché i dettagli potrebbero rimpicciolire la questione e non metterla nei termini elevati in cui deve essere messa. In questo senso ho presentato un ordine del giorno il quale, partendo dalle conclusioni che la stessa Commissione fa e che sono attendibili, trae le conseguenze accessorie. Potevamo, come altre volte ha fatto l’Assemblea, in altre occasioni, per esempio nel caso Vacirca-Drago, prendere semplice atto delle conclusioni della Commissione, ma dal momento che l’Assemblea ha voluto che si discutessero le conclusioni della Commissione, noi dobbiamo fare questa discussione e concludere affermando che, in base alle dichiarazioni della Commissione, riteniamo che non sono fondate le accuse, e che sia necessario invitare il Governo, in una forma precisa, perché controlli e vigili l’Amministrazione, in modo da renderla degna e stimata nella pubblica opinione, come fu sempre nel passato.

Con questi intendimenti presento il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, constatato che la Commissione degli Undici, in seguito ad accurate indagini sulle accuse mosse dall’onorevole Finocchiaro Aprile agli onorevoli Campilli e Vanoni, membri del Governo, ha riconosciuto «rispondenti a verità» le affermazioni fatte in loro difesa dai predetti Ministri; dichiara che non si possono ritenere fondate le accuse nei loro riguardi; e considerate le osservazioni della Commissione, invita il Governo a svolgere azione oculata ed efficace per liberare le Amministrazioni dello Stato da ogni residuo del passato ed elevarne il prestigio nella pubblica opinione».

Ho ripreso nell’ordine del giorno i concetti fondamentali svolti dalla Commissione, e penso che l’Assemblea non possa non approvare le conclusioni della Commissione. (Applausi al centro).

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi, nella seduta del 18 febbraio, su proposta dell’onorevole Natoli, questa Assemblea deliberò di eleggere una Commissione di inchiesta sulle accuse che erano state mosse dall’onorevole Finocchiaro Aprile agli onorevoli Ministri Vanoni e Campilli: accuse che rientravano in un atteggiamento più generale di opposizione al Governo ed alla politica governativa, manifestato in quella occasione dallo stesso onorevole Finocchiaro Aprile. Dal momento in cui l’Assemblea nominava questa Commissione, cioè le delegava tutti i propri poteri di indagine, essa evidentemente si impegnava a prendere atto delle sue conclusioni e a riconoscere quei risultati che dalle sue indagini sarebbero derivati. Io ricordo che proprio in vista della necessità che questa Commissione rappresentasse l’intero Parlamento, non già con criterî di maggioranza o di minoranza, – criterî che non possono essere validi quando si tratti di problemi morali – proprio in vista di questo fu stabilito che la Commissione sarebbe stata composta di undici deputati e cioè che in essa ciascun gruppo politico rappresentato in questa Assemblea, avrebbe avuto la propria voce in condizioni di parità con gli altri. È quindi assai strano, e direi doloroso, che in qualche organo di stampa, e più propriamente in quell’organo di stampa che meno avrebbe dovuto prendere una simile posizione, si siano fatte delle obiezioni sul modo come questa Commissione è stata composta, e si sia addirittura tentato di insinuare che il giudizio di questa Commissione, la lealtà e l’obiettività di questo giudizio erano viziati, in quanto in questa Commissione non era stato mantenuto quel dosaggio di forze politiche che normalmente è osservato in tutte le altre Commissioni di questa Assemblea.

Credo quindi che il primo compito di questa Assemblea sia quello di dichiarare la propria completa solidarietà con il lavoro fatto dalla Commissione. Dobbiamo prima di tutto dire ai nostri colleghi, che la fiducia dell’Assemblea ha chiamato a far parte di questa Commissione di inchiesta, che il loro lavoro è stato condotto con criterî di grande equità, di grande equilibrio e di grande riservatezza.

Ora, di fronte al parere espresso dalla Commissione, noi, ci domandiamo anzitutto se l’Assemblea possa entrare nell’esame del merito della questione. Evidentemente, noi possiamo giudicare se la Commissione abbia eseguito, dal punto di vista procedurale, esattamente il suo compito: e, da questo punto di vista, mi pare che non vi sia nulla da eccepire. Qualcuno ha parlato di reticenze che si sarebbero riscontrate nel testo della relazione: ma queste appartengono piuttosto alle testimonianze e ai mezzi di prova di cui la Commissione ha dovuto servirsi, e derivano anche dal tipo di poteri di cui questa Commissione poteva disporre. Ma se invece dovessimo entrare nel merito della questione, è chiaro che in questo momento sconfesseremmo la Commissione che abbiamo noi stessi nominata. È chiaro che se oggi, in seduta plenaria, dicessimo che vogliamo riprendere in esame gli elementi in base ai quali la Commissione ha espresso il suo giudizio, nel senso cioè che il giudizio della Commissione non ci ha persuasi e che la Commissione non ha lavorato bene, in questo senso noi sconfesseremmo la Commissione che è espressione della nostra stessa Assemblea. Noi non possiamo in realtà entrare nel merito delle questioni discusse. (Commenti).

Noi potremmo eventualmente aderire alla tesi espressa dall’onorevole Crispo, che cioè sia opportuno riconoscere la necessità di ulteriori indagini che la medesima Commissione dovrebbe essere chiamata a svolgere. Ma io penso che una richiesta di questo genere, non tanto dovrebbe partire da noi, quanto dagli interessati. Spetta eventualmente ai colleghi interessati in questa questione di chiedere che ulteriori indagini siano fatte.

Per parte nostra, crediamo invece che si debba distinguere nettamente in tutta la questione un aspetto di natura personale e un aspetto di natura politica.

A nostro giudizio, il primo aspetto ha trovato nel giudizio della Commissione un chiarimento sufficiente. Quando la Commissione dichiara che le indagini, che sono state fatte con la maggiore diligenza e scrupolosità possibili, e i risultati ottenuti inducono a ritenere che non è sorto alcun elemento per ammettere che le affermazioni del Ministro Campilli in sua difesa non siano rispondenti a verità, io trovo che la Commissione, con questa dichiarazione, ha esaurito il suo compito in quel settore che riguarda la moralità personale dei due deputati, dei due Ministri ai quali l’inchiesta si riferiva. E credo che l’Assemblea, onestamente, lealmente, non debba fare altro che prendere atto di questa dichiarazione, prenderne atto con soddisfazione, poiché è evidente che nel momento in cui le accuse personali, relative all’onorabilità personale, che erano state mosse a due nostri colleghi, sono dichiarate decadute e prive di fondamento da questa Commissione, nello stesso momento si rafforza il prestigio non soltanto degli interessati, ma di tutto il Parlamento, di tutti i membri di questa Assemblea.

Ma la Commissione, una volta esaurito questo aspetto del problema, che noi riteniamo chiuso, ha ritenuto giustamente che l’indagine dovesse proseguire, poiché realmente la Commissione aveva – come dicevo da principio – un compito più vasto di quello semplicemente di determinare se vi fossero delle responsabilità di carattere personale. Vi sono – o si pensava che vi potessero essere – responsabilità di diversa natura, responsabilità di carattere politico; e queste responsabilità di carattere politico è evidente che non riguardano, non possono riguardare esclusivamente i due Ministri interessati alla questione, ma riguardano tutto il Governo nel suo complesso, riguardano cioè la direzione della politica governativa, la struttura governativa.

Nella relazione della Commissione leggiamo:

«Chi non vede che i criteri direttivi per la disciplina delle Borse sono di tale importanza che rappresentano tutto un orientamento politico e personale del Ministro in materia tanto delicata?».

E poco dopo si dice: «Succede all’onorevole Bertone il Ministro Campilli, e non appare affatto che sia mutata la politica sulle Borse». Mentre nella stessa pagina si afferma, e con ragione, che i due famosi telegrammi comportavano una reale svolta nella politica delle Borse.

Ancora si osserva: «Prima di ogni altra cosa bisogna vietare rigorosamente che vadano girando per i Ministeri faccendieri o persone non guidate da propri e legittimi interessi, o anche coloro che, privi di ogni carica pubblica, non hanno altra qualità che quella di essere più o meno in vista nei partiti». E più oltre: «È indispensabile che Ministri e Sottosegretari, con la più oculata e personale vigilanza, seguano le pratiche più importanti e specialmente quelle di notevole entità economica».

E si potrebbe continuare. Ora, io penso che mentre questa Assemblea ha il dovere, che è un dovere morale ancor prima che politico, di liberare interamente dalle accuse personali i due Ministri interessati, di liberarli con formula piena, ha anche il dovere di rendersi conto che il Paese non può accontentarsi di questo, deve rendersi conto che il Paese ha ricevuto una scossa psicologica notevole da quanto è accaduto dal febbraio scorso. A questo non possiamo semplicemente rispondere che i due Ministri sono personalmente uomini onesti, poiché la relazione della Commissione ha proceduto oltre, e noi dobbiamo dare una risposta al Paese sulla seconda parte della relazione della Commissione.

L’onorevole Crispo ha parlato, poc’anzi di negligenza amministrativa: si potrebbero usare varie altre espressioni. Mi pare che comunque un risultato appaia indubbio dalla lettera della relazione che è sottoposta al nostro esame, ed è che il Governo ha delle responsabilità generali, che deve rispondere di fronte al Paese di irregolarità nella direzione politica, deve rispondere di fronte al Paese di interferenze extraministeriali che non possono essere accettabili, che il Governo quindi deve esaminare esso quali siano le forme migliori perché il Paese possa riprendere la fiducia nella propria direzione governativa.

Noi veramente avremmo pensato che già dalla seduta di lunedì scorso il Governo si rendesse conto di questo, che il Governo cioè ci presentasse già esso una soluzione che consentisse di uscire nel modo migliore da questa situazione che è spiacevole non soltanto per esso, ma per l’intero Parlamento. E non nascondiamo la nostra meraviglia, condividendo le critiche mosse al riguardo dall’onorevole Crispo, sull’atteggiamento che, nella seduta di lunedì scorso, il Capo del Governo ha ritenuto di prendere su questo argomento. È sembrato quasi, infatti, che egli avesse intenzione di mettere sotto accusa la Commissione, di mettere sotto accusa l’accusatore. Ora, mi pare che non vi siano gli elementi per mettere sotto accusa l’accusatore; ma evidentemente che vi siano tanto meno gli elementi per mettere sotto accusa la Commissione.

Debbo dire che particolarmente grave ci è sembrato questo intervento ministeriale, quando si consideri che i colleghi che sono oggetto di questa inchiesta fanno anch’essi parte del Ministero; e tanto più grave ci è sembrato questo intervento quando si consideri che il Capo del Governo è esso stesso uno dei massimi esponenti di quel partito cui i due Ministri appartengono.

Ormai, dopo questo atteggiamento del Governo nella seduta di lunedì, difficilmente potremo tornare alla soluzione più ovvia, che sarebbe stata quella che l’Assemblea prendesse atto delle conclusioni cui la Commissione è giunta, lasciando al Governo la responsabilità di trarre le conclusioni che esso riteneva di dover trarre.

In questa situazione, che non è stata voluta da noi, ma che è stata voluta dal Governo, il quale ha chiesto questa discussione, quando forse questa discussione, in questi termini, si poteva evitare, mi pare che due soluzioni siano possibili: o accettare la soluzione proposta dall’onorevole Crispo, cioè invitare la Commissione a prendere nuovamente in esame tutto il merito della questione, con maggiori poteri istruttori, in modo da poter emettere una sentenza capace di soddisfare maggiormente l’Assemblea, ovvero limitarsi a lasciare al Governo di assumere esso le decisioni che riterrà più opportune, considerando il valore delle deliberazioni della Commissione e particolarmente della seconda parte della sua relazione.

E con questo io ho terminato. Per il momento non presentiamo ordini del giorno. Ci riserviamo eventualmente di presentarli successivamente.

Desideriamo però, per finire, dichiarare in modo esplicito che qualunque soluzione che possa, in qualunque modo, ledere il prestigio della Commissione, che è il prestigio del Parlamento, sarà da noi respinta. (Approvazioni).

BERTONE. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi. Il rilievo della Commissione, che il Ministro Bertone aveva respinto le sollecitazioni per i provvedimenti che furono poi diramati dalla Direzione generale del tesoro sotto il suo successore, è esatto. Devo tuttavia, e lo credo doveroso, fornire all’Assemblea qualche maggiore chiarimento, utile al giudizio sulla delicata questione, chiarimento già da me fornito alla Commissione stessa alla quale sono veramente grato per la grande e serena deferenza con la quale volle ascoltarmi.

Da Roma e da varie città d’Italia, all’inizio e durante la campagna per il prestito, mi giungevano richiami, consigli, sollecitazioni per adottare provvedimenti di varia natura, intesi ad infrenare il corso, in continua ascesa, dei titoli azionari, indice questo, dicevasi, di indifferenza, se non anche di ostilità al prestito.

Sollecitazioni analoghe giungevano ad altri Ministri ed allo stesso Presidente del Consiglio, che a me le trasmettevano puramente e semplicemente, come oggetto di competenza del Ministero del tesoro. Provvedimenti di tale natura, come ebbe a dichiarare lo stesso onorevole Finocchiaro Aprile – ed il rapporto della Commissione riporta le sue testuali parole – «per se stessi non erano censurabili, perché potevano esercitare, come già in passato, un effetto salutare ai fini del riequilibrio del mercato, spinto troppo in alto dalla speculazione e dalla progressiva svalutazione della lira».

E verosimilmente fu inspirato a tale concetto di tutela della pubblica economia il ripristino del deposito del 25 per cento per le operazioni a termine, disposto dal Ministro Corbino il 2 settembre 1946.

E tuttavia, io stimai di parlarne con le persone con le quali quasi quotidianamente avevo convegno per la preparazione e il buon andamento del prestito, intendo dire con il Governatore della Banca d’Italia, con il suo Direttore generale e con il Direttore generale del tesoro.

E come a persone probe ed espertissime della materia, io chiesi il loro avviso. Concorde ed unanime la risposta.

Il collega onorevole Einaudi, presente, potrà confermarlo. Durante il prestito una qualsiasi misura diretta a variare lo stato di fatto delle Borse avrebbe cagionato o potuto cagionare turbamenti, resistenze e forse anche ritorsioni, in un ambiente già di per sé notoriamente sensibilissimo, e che invece era necessario avere tranquillo e per quanto possibile favorevole per le operazioni del prestito. Senz’altro io presi atto di così autorevole e spassionato consiglio, e ogni misura relativa alle Borse fu per quel momento accantonata. Terminato il prestito, e quando il movimento irregolare delle Borse fosse continuato o si fossero manifestati indizi o sintomi di contrasto, di offesa o di insidia alla pubblica economia, senza alcun dubbio avrei preso in esame un intervento diretto del Ministero, dato che la vigilanza sulle borse è appunto affidata al Ministero del tesoro.

E già nell’ultimo periodo del prestito non era mancato qualche significativo elemento indicatore. Da fonte autorevole, quasi ufficiale, ed assolutamente al di sopra di ogni dubbio o sospetto di riguardo ad interessi privati, era pervenuta segnalazione di riporti passivi, anormali per quantità e rilevanza, nei quali era troppo facile intravedere il fine di creare passività fittizie per elusione dell’imposta straordinaria sul patrimonio, che il Governo aveva ufficialmente dichiarato collegata col prestito, e di non lontana attuazione. Ciò appunto ad opera di taluno di quei ceti abbienti che io nel mio discorso in quest’aula del 25 settembre, e nell’unanime consenso dell’Assemblea, avevo dichiarato dover sostenere il maggior contributo nell’ardua opera della restaurazione del bilancio.

A prestito chiuso, e poiché non vi era alcun pericolo né danno in una breve attesa, utile anzi per meglio raccogliere elementi e prove, un provvedimento inteso ad evitare tale frode fiscale, ed altri tentativi del genere, sarebbe stato non solo opportuno, ma necessario e doveroso: e dichiaro che non avrei esitato a prenderlo. Senonché, appena chiuso il prestito, avvenne la crisi ministeriale e io lasciai l’ufficio.

Questi i dati obiettivi della mia azione in quel tempo. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Credo opportuno informare l’Assemblea sulle ragioni che m’indussero a prendere nel settembre scorso il provvedimento relativo alle Borse, da cui sono derivati i due telegrammi, oggetto delle indagini della Commissione.

Fin dal mese di agosto, nei titoli azionari si era manifestata una spiccata tendenza al rialzo, tendenza che si accompagnava al rialzo del prezzo delle merci, che si svolgeva parallelamente. Da un comitato di Ministri fu esaminato allora il complesso di misure che sarebbero state le più adatte per contenere il fenomeno.

Personalmente escludevo la possibilità del ripristino del 25 per cento di deposito cauzionale per gli acquisti di titoli a termine, perché tecnicamente questa misura mi è parsa sempre inefficace per ottenere una persistente contrazione dei corsi. Non volli quindi accettare l’invito, che mi era già venuto da molte parti, di ripristinare la disposizione che io stesso avevo abolito nel febbraio del 1946. A me ed ai colleghi del Comitato parve più efficace un provvedimento fiscale, ed esso fu preso dal Consiglio dei Ministri nella giornata di venerdì 30 agosto. Con tale provvedimento si impose un altro 25 per cento, ma non a titolo di deposito cauzionale sull’acquisto dei titoli a termine, bensì a titolo di imposta che lo Stato avrebbe dovuto riscuotere sui titoli distribuiti gratuitamente.

Il provvedimento fu annunziato la notte del venerdì, e determinò, come doveva determinare, una lieve contrazione dei corsi.

Nelle due giornate successive, del sabato e della domenica 31 agosto e 1° settembre, le Borse erano chiuse, ma era intervenuta una certa situazione politica che mi indusse nella mattina del lunedì a dare le mie dimissioni al Capo del Governo. E allora, in vista di quello che si sarebbe potuto verificare sul mercato dei titoli azionari, e al fine di non creare una situazione che avrebbe potuto rendere difficile la posizione del mio successore, decisi di ripristinare, com’era nelle mie facoltà di Ministro del tesoro, l’obbligo del versamento del 25 per cento sugli acquisti a termine. Questa decisione, presa da me nel pomeriggio del lunedì, fu resa pubblica nella notte, quando era contemporaneamente resa pubblica la notizia delle mie dimissioni.

Per quello che attiene al fatto specifico in esame presso la Commissione degli Undici, desidero aggiungere che in questa circostanza il Direttore generale del tesoro mi domandò se il ripristino del 25 per cento dovesse essere accompagnato dalla disposizione, abolita dal Soleri nel febbraio del 1945, relativa all’obbligo delle denunzie dei riporti a fine mese. Risposi che in quel momento mi pareva sufficiente ripristinare la disposizione così come vigeva al febbraio quando essa fu revocata, riservandomi di prendere direttamente, o di far prendere al mio successore, la seconda disposizione, nel caso in cui il corso dei titoli, continuando a salire, avesse suggerito l’opportunità di ulteriori misure restrittive.

Devo aggiungere, per rettificare un’affermazione fatta dall’onorevole Crispo, che su questo punto io non ho avuto poi altre sollecitazioni. Della questione si è parlato soltanto una volta fra me e il direttore generale, al momento in cui il 25 per cento era ripristinato. Dopo ero Ministro dimissionario; nessuno sarebbe venuto a sollecitare da me dei provvedimenti; logicamente, li avrebbe dovuti sollecitare al mio successore.

CRISPO. L’affermazione non è mia.

CORBINO. Nella relazione della Commissione è detto solo che io, in sede di emanazione del decreto, non ho contemporaneamente ristabilito l’obbligo del versamento.

Se l’Assemblea me lo consente, vorrei aggiungere qualche particolare, di carattere tecnico, che agevolerà, forse, la comprensione di alcuni dei problemi trattati dalla Commissione; a meno che il Presidente non creda che così uscirei dal fatto personale.

PRESIDENTE. Esce veramente, dal fatto personale; ma se l’Assemblea ritiene sia utile ascoltare queste sue delucidazioni, continui.

Voci. Sì, sì.

CORBINO. Spiegherò così perché non presi il provvedimento.

Il versamento del 25 per cento nelle operazioni di acquisto può essere effettuato in diversi modi, secondo la procedura stabilita dal Ministro. Può essere effettuato dall’agente di cambio, operazione per operazione; oppure globalmente, per tutte le operazioni compiute nella giornata.

Vi rendete subito conto della differenza dei due metodi.

Il primo metodo costituisce un controllo preciso di tutte le operazioni di compera, e immobilizza il 25 per cento per la durata di circa tre giorni, oltre il periodo intermedio che passa fra il nascere e l’estinguersi delle operazioni: mentre, col versamento globale, l’agente di cambio o la banca possono effettuare una compensazione fra le operazioni che si chiudono e quelle che si aprono nella stessa giornata.

In realtà, seguire una via o l’altra significa imporre l’obbligo di effettuare il versamento del 25 per cento o imporre un obbligo teorico del 25 per cento, che di fatto diventa del 15 o del 20 per cento.

Sorge poi il problema del controllo delle operazioni di versamento; controllo che può essere fatto, ed è fatto abitualmente, con ispezioni saltuarie nei registri degli agenti di cambio; o che può, invece, essere effettuato a posteriori, cioè a dire, o col metodo suggerito dal primo telegramma, che chiedeva le notizie statistiche sui versamenti effettuati in gennaio, oppure con un controllo anche più efficace, coll’obbligo, cioè, della denunzia dei riporti al mese successivo. L’una operazione completa l’altra, perché l’una rappresenta il totale d’un mese, l’altra rappresenta la fotografia d’un giorno, di quel giorno caratteristico dei riporti, in cui tutte le operazioni a termine non chiuse vengono rimandate al mese successivo.

I due telegrammi, quindi, avevano lo scopo: primo, di accertare che i versamenti del 25 per cento erano stati effettuati, e bastava a questo scopo chiedere i dati relativi al mese di gennaio e poi di rendere effettivo il controllo per le operazioni del mese di febbraio.

Questa è la tecnica delle operazioni, che sono contemplate dai due telegrammi. Sugli effetti e sulla portata, la relazione della Commissione è così ampia che non credo di dover aggiungere altro.

ANGELINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELINI. Onorevoli colleghi, il collega onorevole Grassi ha giustamente rilevato che questo dibattito rappresenta, direi, il banco di prova della nostra sensibilità politica e morale. Qui oggi noi non giudichiamo uomini di parte; noi, oggi, qui giudichiamo come organo giurisdizionale, due Deputati in funzione di Ministri, e dobbiamo sentire, come certamente sentiamo, tutta la responsabilità del nostro giudizio. Perché, non è un giudizio privatistico, chiuso nell’ambito di una pretura, di un tribunale o di una Corte d’appello. È un giudizio che avrà la sua ripercussione nel Paese, è un giudizio che deve essere chiaro ed onesto e che deve essere spogliato da ogni idea di parte e deve essere dato da noi con serenità, perché tutti noi dobbiamo essere certi che se domani da qualunque parte ci si accusa, qui si può ottenere serena giustizia.

La relazione, date le sue premesse, poteva essere più incisiva e categorica; ma questo non toglie che noi, leggendola ed esaminandola con la dovuta serenità, non si debba riconoscere che essa è decisamente conclusiva. E dall’esame che noi dobbiamo fare del documento, dobbiamo impostare, direi, la materia del contendere nei suoi limiti precisi, dobbiamo riandare alle premesse di fatto onde fissare i limiti del nostro giudizio.

Voi ricorderete la seduta del 17 febbraio 1947, quella seduta che ebbe così larghi commenti nell’opinione pubblica del Paese. In quella seduta l’onorevole Finocchiaro Aprile fece delle dichiarazioni che è bene siano ricordate al fine di fissare la materia del giudizio. Egli disse: «All’onorevole Bertone succedette l’onorevole Campilli. Le stesse suggestioni furono esercitate sull’onorevole Campilli. E l’onorevole Campilli decise di emettere due provvedimenti: il primo, quello di ripristinare il deposito del 25 per cento sugli acquisti di titoli azionari; il secondo, quello di obbligare le banche e gli agenti a denunciare periodicamente i riporti a fine mese. Tali provvedimenti hanno sempre lo scopo di fare abbassare il troppo alto prezzo dei titoli.

«Se le cose si fossero limitate a ciò, non ci sarebbe stato nulla da obiettare».

Vedremo poi che questa dichiarazione di principio è ripetuta. dall’onorevole Finocchiaro Aprile davanti alla Commissione degli Undici. E la Commissione degli Undici la fa propria.

Ma l’onorevole Finocchiaro Aprile continua: «Ora, la domanda che io faccio all’onorevole De Gasperi è questa: quando l’onorevole Campilli decise questi due provvedimenti, egli ne fu informato? E il Ministro Campilli ne informò, per caso, qualche commissionario di Borsa, amico dell’onorevole Presidente del Consiglio e dello stesso Ministro del tesoro? Lei non ne sa niente, onorevole De Gasperi: eppure, veda, si dice questo da tutti, ed è strano che lei non lo sappia, non sappia, cioè, che vi furono dei commissionari di Borsa – per giunta democristiani – che si misero a speculare largamente al ribasso venerdì, vendendo masse di titoli a Roma comperati a Milano. In due giorni le operazioni furono di molti e molti milioni di lire, i titoli precipitarono e gli speculatori al ribasso realizzarono ingenti guadagni».

Questa è una precisa denunzia. Questa è la denunzia per la quale consapevolmente si accusa il Ministro del tesoro. Qui si dice aver adottati lui questi provvedimenti, al fine di propagarli anticipatamente, al fine preciso e determinato di operare un ribasso di Borsa a favore di persone sue amiche, per realizzare ingenti guadagni. E questa dichiarazione l’onorevole Finocchiaro Aprile ha ripetuto, attenuandola, davanti alla Commissione degli Undici. Ha corretto, ad un certo punto, e ha detto: «o questo è avvenuto, oppure, se non è avvenuto, il Ministro è un inetto».

Davanti a questa Assemblea il dilemma non fu posto: la denunzia fu categorica, la denunzia resta. È questo il punto che dobbiamo accertare, perché io ho sentito parlare dal collega onorevole Crispo, ho sentito parlare molto su questi due telegrammi; ho sentito fare molte richieste, ricamare molto su questi due telegrammi.

Ma io mi chiedo se questi due telegrammi hanno proprio il valore politico che è loro attribuito dall’onorevole Crispo; e mi riferisco alle dichiarazioni dell’accusatore davanti alla Commissione. Nella relazione, infatti, è detto che, per quanto riguarda i due provvedimenti del Ministro del tesoro, l’onorevole Finocchiaro Aprile riconobbe che essi non sarebbero stati censurabili per sé stessi «poiché potevano esercitare, come già in passato, un effetto salutare ai fini del riequilibrio del mercato, spinto troppo in alto dalla speculazione e dalla progressiva svalutazione della lira».

Adunque, l’accusatore riconosce che i due telegrammi, di per se stessi, presi a sé stanti, non avevano alcun significato ai fini di infirmare quella che poteva essere la responsabilità morale del Ministro. Poteva essere discusso il provvedimento in sede politica, come provvedimento di Governo, ma noi qui non siamo chiamati a fare questo. Noi siamo chiamati a stabilire se quello fu il mezzo per raggiungere un fine, se quello fu uno strumento che servì al Ministro Campilli per raggiungere il fine di realizzare un vantaggio. E la Commissione, onorevoli colleghi, è esplicita in questo senso. La Commissione, ripeto, a questo proposito dice: «Lo stesso onorevole Finocchiaro Aprile disse, ripetendolo poi dinanzi alla Commissione, che i provvedimenti per se stessi non erano censurabili, poiché potevano esercitare, ecc.». «Quindi – aggiunge la Commissione – il Ministro ben poteva, senza sottrarsi a censure ed a sospetti, provvedere come credeva nell’ambito della sua esclusiva competenza e nessuno poteva trovar da ridire; una propalazione anticipata soltanto avrebbe costituito una grave e deplorevole scorrettezza, per il fine di profittare o di far profittare altri delle costanti oscillazioni che ogni provvedimento produce sulla Borsa; e ciò avrebbe potuto verificarsi ugualmente sia che il Ministro firmasse i telegrammi, sia che li facesse firmare da funzionari».

Ed allora, noi dobbiamo risolvere qui questo quesito: il Ministro Campilli ha dato notizia ad altri dei provvedimenti prima di emanarli, oppure non li ha emanati lui? È un’indagine, direi, puramente pregiudiziale, è una indagine di fatto. Ed allora, la Commissione qui è esplicita. Qui non si tratta, onorevole Crispo, di vedere se il Ventura è stato sollecitato o no dal Ministro Campilli, perché tutti mi dicono – e lei lo riconosce, e lo ha riconosciuto il Ministro Corbino, e lo ha riconosciuto il Ministro Bertone – che il Ventura è un galantuomo; e se è tale, il suo galantomismo è in contrasto con qualunque atteggiamento, che egli avesse potuto assumere, di compiacenza nei confronti del Ministro. Ma non è solo il Ventura che ha operato, perché la Commissione dice espressamente: «Non deve poi dimenticarsi che il direttore generale» (che è Ventura), «l’Ispettore Marzano e gli uffici dipendenti», (qui è tutta la Direzione generale del tesoro), «fin dal principio e con dichiarazioni persistenti, sempre mantenute, si assumono intera ed esclusiva la responsabilità dei due telegrammi, pur non potendo ignorare che trattasi di fatti di non poco conto e di non tenue gravità, come si dirà meglio di qui a poco».

Siamo noi di fronte ad una costatazione di fatto; i due telegrammi sono stati redatti dalla Direzione generale del tesoro e le dichiarazioni di questi funzionari assicurano che la dichiarazione del Ministro, che la Commissione dice «dopo matura e diligente indagine risulta vera», è rispondente a verità.

Qui è necessario che l’Assemblea Costituente concentri la sua attenzione. La Commissione ha detto che nessuna prova si è potuta addurre dall’accusatore, nessuna prova si è potuta raccogliere da altre parti per dimostrare che il Ministro Campilli abbia potuto, comunque, fare a chicchessia qualsiasi comunicazione. Noi oggi aggiungiamo di più, ed è un ragionamento di una logica impeccabile acquisito ai risultati della Commissione, che il Ministro Campilli non conosceva i provvedimenti e che li ha soltanto conosciuti il 14 febbraio, quando il Ministro Morandi glieli accennò. È dunque escluso che egli avesse potuto, in qualunque circostanza, comunicare ad altri quello che egli non conosceva, per fare operare, nei due giorni precedenti, i fatti che sono avvenuti e che la Commissione dice non essere di grande gravità. Noi siamo di fronte a qualcosa che impone dalla nostra coscienza un giudizio onesto.

Qui svanisce il democratico cristiano, il comunista o il socialista; qui c’è un galantuomo da giudicare, qui c’è una persona che non ha commesso il fatto, qui c’è una persona che non sapeva del provvedimento che era stato preso dalla Direzione generale del tesoro, provvedimento che non occorre drammatizzare perché lo stesso Ministro Corbino e lo stesso Ministro Bertone vi dicono che poteva essere tranquillamente preso e vi dicono che in certe circostanze questi sono provvedimenti che si adottano. Potremo noi lamentarci che il Ministro non sia stato informato; ma questa non è inettitudine di Ministro; il fatto deriva dalla circostanza che per 20 anni la nostra burocrazia ha avuto nel suo cassetto un pezzo di potere legislativo, ed in forza di questa mentalità la nostra burocrazia crede spesso di poter fare a meno dei Ministri e del Parlamento; è per questa mentalità che i nostri burocrati – rispettabilissimi se voi volete – sono abituati a legiferare e a fare cose che molti anni fa non potevano fare. Bisogna rieducarli in questo settore della nostra vita politica e, per questo, ha fatto molto bene la Commissione a chiedere al Governo che il Governo si preoccupi di rieducare e di moralizzare questo settore che è così importante nella nostra vita politica.

Adunque l’accusa principale è da considerarsi svanita. Non dobbiamo qui trastullarci sul fatto se i telegrammi siano stati emessi dal Ministro o dalla Direzione generale del tesoro. Io desidero che sia constatato, da oneste persone quali voi siete, che nessuna prova è assolutamente data per cui si possa ritenere che l’accusa di Finocchiaro Aprile sia, non dico fondata, ma circondata dalla più tenue possibilità di fondamento.

Resta un’altra accusa sul Campilli; accusa che è venuta più tardi: Finocchiaro Aprile pregava la Commissione di assumere le debite informazioni su di una ingente importazione di zucchero ad una compagnia cubana della quale fa parte il fratello dell’onorevole Campilli, allora Ministro del commercio estero. Il Campilli ha risposto e ha detto che l’operazione fu iniziata da una società di recente costituzione, la C.I.C.A.; che in quella occasione egli, notando che si trattava di una importazione di 200 mila quintali di zucchero, stabilì: primo, che l’importazione fosse fatta non nell’interesse di una ditta, ma di tutti gli industriali dolciari d’Italia e dei commercianti in materia dolciaria e di liquori, il che doveva risultare da impegni e dichiarazioni della Federazione nazionale rappresentante, le categorie industriali e commerciali; secondo, che il Ministero dell’industria e del commercio riconoscesse l’utilità dell’importazione ai fini dell’industria nazionale; terzo, che venisse dichiarato il nome dell’ente o della persona che metteva a disposizione la valuta estera necessaria per l’importazione.

Risulta dagli atti del Ministero, e la Commissione lo ha constatato, che le tre condizioni sono corrispondenti al vero. Durante la permanenza del Ministro Campilli al Ministero del commercio estero si verificarono le due prime condizioni, cioè che intervenne la Federazione dolciaria e il Ministero dell’industria e del commercio si pronunciò favorevolmente. Senonché a questo punto scoppiò nella stampa nazionale un certo determinato – diciamo così – sapore scandalistico per questa grossa importazione, e risulta accertato che il Ministro Campilli sospese l’operazione.

Intanto l’onorevole Campilli divenne Ministro delle finanze e tesoro e lasciò il Ministero del commercio estero. Il 22 febbraio, in una riunione che è stata tenuta al Ministero del commercio estero, alla presenza del Ministro Vanoni, del Ministro Morandi, del dottor Ferretti, capo servizio al commercio estero, e del dottor Santoro, direttore generale dell’industria, con verbale di quel giorno fu senz’altro dato corso all’operazione; la quale operazione andava a beneficio dell’industria dolciaria nazionale, ma che ancora non ha avuto, in realtà, alcun seguito.

Accertati questi dati di fatto, io dico che è facile arrivare alla conclusione dell’insussistenza del fatto che è stato addebitato al Ministro Campilli.

Resta la posizione del Ministro Vanoni. Voi ricordate le accuse che sono state fatte al Ministro Vanoni. Egli liberamente dichiarò: «Ho riscosso circa due milioni ottocento mila lire». Finocchiaro Aprile ribatté: «Ha riscosso anche due milioni e quattrocento mila lire dalla Sezione ammassi, per cui il beneficio è stato di oltre cinque milioni». Più tardi si è parlato di irregolarità avvenute alla Banca nazionale di agricoltura, per sconti di effetti operati dal Ministro Vanoni, anzi dal professor Vanoni, perché nel momento in cui Vanoni è stato commissario della Banca nazionale dell’agricoltura, nominato con decreto alleato, non aveva nessuna carica pubblica. La Commissione ha accertato che in realtà il Vanoni ha riscosso, per sedici mesi di lavoro, due milioni e settecentosessantun mila lire. Le spese di rappresentanza in quel periodo sono state di duecentoquaranta mila lire; il che significa che il Vanoni – e questo è un dato di fatto che può essere accertato da chiunque – Vanoni, che aveva chiuso il suo studio di avvocato a Milano, che aveva cessato la sua attività professionale, ha riscosso, per la sua posizione di responsabile primo di una Banca dell’importanza della Banca dell’agricoltura, centocinquantadue mila lire mensili. (Commenti – Interruzione dell’onorevole Pajetta Giancarlo).

Che possa sembrare questo un notevole, un discreto emolumento (Commenti a sinistra) io non lo metto in dubbio; ma che si possa affermare – come ha affermato la Commissione – che questo è superiore a quanto normalmente guadagnano i più emeriti professionisti in Italia, su questo punto permettete che vi dica che noi tutti sappiamo perfettamente che i guadagni degli emeriti professionisti in Italia, di qualunque categoria, sono sostanzialmente superiori. (Commenti a sinistra).

Noi siamo di fronte a qualche cosa, onorevoli colleghi, che deve essere precisamente determinato; ed è questo: che la Banca nazionale dell’agricoltura non è una Banca statale o parastatale. Come rileva la Commissione, la liquidazione dell’onorario del professor Vanoni fu fatta dall’Assemblea dei soci della Banca nazionale dell’agricoltura sopra gli utili realizzati dalla Banca, prendendo per base quella che era stata nel passato e sempre la regola di liquidazione dell’onorario spettante al Capo dell’istituto. Ora, noi siamo di fronte ad una situazione talmente chiara e talmente onesta, che non ha bisogno di apprezzamenti più o meno ironici; siamo di fronte ad una realtà tale per cui si conclama, e si deve conclamare da qualunque galantuomo la perfetta onorabilità del professor Vanoni.

Si è detto, da parte del collega onorevole Crispo, che se questa relazione fosse stata scritta nei suoi confronti, egli avrebbe chiesto il giudizio di appello; si è parlato della necessità da parte sua di una eventuale ulteriore indagine; si è parlato di prosecuzione di inchiesta. Io mi permetto di rilevare che noi questa relazione possiamo accettarla con piena tranquillità, perché essa proviene da undici persone appartenenti a tutti i gruppi dell’Assemblea, da undici uomini che si sono trovati unanimemente d’accordo nelle conclusioni e nei rilievi che testé vi ho enunciato. Noi siamo di fronte ad una relazione unanime tale che acquieta e tranquillizza la nostra coscienza; essa può restare, onorevole Crispo, nella storia del Parlamento. Io mi auguro onorevoli colleghi, che nella storia del Parlamento italiano (Commenti a sinistra), insieme con la relazione degli Undici, vi sia la vostra pronunzia, la quale serva a stabilire che non si calunnia impunemente, la quale serva a stabilire che noi dobbiamo dare atto dell’insussistenza dei fatti che sono stati addebitati ai due Ministri, perché questi due Ministri, che sono dei galantuomini, hanno bisogno ed hanno diritto di ottenere questa vostra parola e questo vostro onesto giudizio. (Applausi al centro).

VENDITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VENDITTI. Onorevoli colleghi, le accuse mosse dall’onorevole Finocchiaro Aprile al Ministro Campilli assunsero la forma logica e morale di un dilemma: o, diceva l’accusatore, i due famosi telegrammi dell’11 e del 12 febbraio del corrente anno furono sciente opera del Campilli e questi ne informò i suoi amici al fine di favorirne la speculazione in borsa, ed in tal caso il Campilli si è reso, per la sua disonestà, indegno dell’alta carica che ricopre; o i due telegrammi furono opera dei suoi funzionari, da lui completamente ignorata, ed in tal caso egli è un inetto. Nell’un caso e nell’altro – concludeva l’accusatore – l’onorevole Campilli non può rimanere al suo posto.

Ora, leggendo con un minimum di attenzione la relazione degli Undici, non vi è, credo, persona di elementare intelligenza la quale non si convinca che, dei due corni del dilemma, quello rispondente a verità apparirebbe il primo, che cioè i due telegrammi, la cui gravità è messa pienamente in risalto dalla relazione, furono sciente e volontaria opera del Campilli.

Comunque, volendo tradurre in linguaggio giudiziario penale la situazione del Campilli, quale dalla relazione promana, la formula assolutoria di lui non potrebbe che essere dubitativa, il che basta a renderlo, se non indegno, incompatibile con la carica di Ministro del tesoro.

Rimane poi, ultima accusa, quella di inettitudine. Che dei due telegrammi l’onorevole Campilli fosse pienamente consapevole, promana dai seguenti elementi probatori:

1°) dato il precedente indirizzo borsistico dei ministri Corbino e Bertone, noto ai funzionari del Ministero, con a capo il direttore generale Ventura, i detti funzionari non si sarebbero permessi di redigere i due telegrammi, rappresentanti un radicale mutamento dell’anzidetto indirizzo, senza il beneplacito del Ministro;

2°) l’iniziativa del Ventura e degli altri funzionari era tanto più da escludere in quanto è risaputa, perché da tutti conclamata, la competenza dell’onorevole Campilli in materia di borsa.

3°) il comportamento dell’onorevole Campilli nei riguardi dei funzionari, e specialmente del direttore generale Ventura.

Se la responsabilità di costui, stranamente ed inverosimilmente ammessa dal medesimo nella sua nota dichiarazione, rispondesse a verità, toccherebbe i vertici dell’assurdo il comportamento remissivo del Ministro, il quale, ad onta dei fastidi avuti per colpa del Ventura e degli altri funzionari responsabili, non ha a tutto oggi torto loro un capello. Tale remissività nel Ministro Campilli è stata da lui spiegata dinanzi alla Commissione degli Undici con strane ed assurde ragioni, tra cui quella, prospettatagli dal dottor Menichella e da altri, di non riversare su altri la propria responsabilità.

L’onorevole Campilli, onorevoli colleghi, non riversa sui propri funzionari alcuna responsabilità, essendo questa esclusivamente sua.

Comunque, volendo abbondare in longanimità verso l’onorevole Campilli, assolvendolo dall’accusa mossagli, la formula terminativa dell’assoluzione non può essere quella piena di non aver commesso il fatto, bensì, se mai, quella dubitativa di insufficienza di prove, la quale lascia sempre aperto nei riguardi dell’incolpato il problema della sua incompatibilità con la carica altissima che egli ricopre.

Situazione analoga è quella dell’altro Ministro, l’onorevole Vanoni, il quale percepì, per l’esercizio del commissariato alla Banca di agricoltura di appena 16 mesi, l’ingente corrispettivo di lire due milioni e 800 mila.

Anche per l’onorevole Vanoni esistono osservazioni e rilievi della Commissione degli Undici che rivelano la di lui scarsa correttezza, data la anormalità del compenso percepito; anormalità non attenuata, ma, sotto alcuni aspetti, aggravata dal fatto che buona parte di detto compenso affluì nelle casse del partito della Democrazia cristiana.

Un tal fatto, invero, ribadisce e dà anzi la tangibile prova dello scopo propostosi dagli organi direttivi della Banca nazionale dell’agricoltura: quello di accaparrarsi, attraverso la ingente somma versata ad uno dei più alti esponenti della Democrazia cristiana, il favore del detto partito.

In presenza di tali risultanze della inchiesta sarebbe in verità, onorevoli colleghi, assai grave la permanenza dei due Ministri nei loro seggi di Governo. Dinanzi alla fitta rete di sospetti e di accuse che circonda da ogni parte la rinata democrazia italiana; dinanzi al precoce discredito che minaccia i passi ancora vacillanti della giovane Repubblica; dinanzi allo spettacolo di miseria e di dolore che tormenta in questo terribile dopoguerra la enorme maggioranza del popolo italiano; dinanzi alla sete di luce, di purezza, di verità e di giustizia che anima la parte migliore di questo popolo, io credo di interpretarne il sentimento più profondo, formulando il voto delle dimissioni dei due Ministri, inizio ed auspicio di un profondo e radicale risanamento morale della nostra vita pubblica, ritorno alla tradizione morale gloriosa della democrazia italiana. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.

CAPPI. Se lei permette, rinuncio alla parola, volendo limitare il mio intervento ad una semplice dichiarazione di voto, che farò quando si passerà alla votazione sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene.

È stato presentato alla Presidenza dell’Assemblea il seguente ordine del giorno dagli onorevoli Grilli, Vigorelli, Cairo, Carboni, Longhena, Corsi, Ruggiero, Zanardi, Taddia, Lami Starnuti, Canevari, Filippini, Montemartini, Preti, Morini, Persico, Fietta, Ghidini:

«L’Assemblea prende atto della relazione della Commissione degli Undici, rilevandone lo scrupolo e la moderazione,

e, considerata la gravità dei fatti, afferma la necessità, sopra ogni altra preminente, di restaurare i principî della moralità nella condotta della cosa pubblica, nelle burocrazie ministeriali e, particolarmente, nell’azione di tutti i partiti in specie quando abbiano responsabilità di Governo;

delibera di conferire alla Commissione i poteri giudiziari per l’accertamento delle circostanze rimaste non chiarite nella relazione e per il proseguimento delle sue indagini».

L’onorevole Grilli ha facoltà di svolgere questo ordine del giorno.

GRILLI. Onorevoli colleghi, io non farò una indagine particolareggiata su questa relazione. Questa indagine è stata fatta dall’onorevole Crispo con il quale mi trovo perfettamente d’accordo su tutti i rilievi che egli ha fatto. A me basta, onorevoli colleghi, questa relazione nel suo complesso, nel suo insieme. E non sentite voi, come sentono, che da questa relazione emana un sospetto, un dubbio, una diffidenza, un mistero che non ci può tranquillizzare, non può tranquillizzare noi che vorremmo che gli uomini del Governo fossero, come la moglie di Cesare, nemmeno sospettabili? Non può tranquillizzare il Governo, non può tranquillizzare il Presidente del Consiglio, nonostante gli sforzi che egli ha fatto per difendere i due uomini del suo gabinetto. Le accuse di Finocchiaro Aprile, sono presentate e ripetute nelle sedute del 14-15 e 17 febbraio. Il 18 febbraio l’onorevole Natoli fa la sua interrogazione e l’Assemblea propone la Commissione d’indagine che il Presidente nomina il 19. L’esame della questione era rimesso alla Commissione d’inchiesta, la quale dà indubbio affidamento in quanto è composta di elementi che rappresentano tutte le correnti dell’Assemblea, e di elementi indiscutibilmente superiori ad ogni sospetto per rettitudine ed ingegno.

A questo punto, dico io, il Governo avrebbe dovuto mettersi sull’attesa per rispetto al giudice che stava per decidere. Invece l’onorevole De Gasperi nella seduta del 25 febbraio – e badate che quattro giorni prima si era radunata per la prima volta la Commissione d’inchiesta, il 21 febbraio, e aveva deciso di domandare all’Assemblea dei poteri più vasti – il 25 febbraio, rispondendo l’onorevole De Gasperi alle osservazioni degli oratori che avevano discusso le comunicazioni del Governo, fece la difesa personale dei suoi Ministri e li assolse con queste parole:

«Egregi colleghi, ho voluto diffondermi in dettagli su questo argomento, non perché le prove già addotte non bastino a chiarire la posizione del Ministro Campilli, ma perché non si poteva tollerare che nemmeno la più piccola ombra cadesse sul Ministro del tesoro, il quale anche nella missione recente ha ottenuto personali successi che egli avrebbe utilizzato in prossimi negoziati».

Il Presidente del Consiglio, senza curarsi del tribunale che stava per giudicare, assolse per conto suo, con una formula che voleva essere piena, per lo meno uno dei due accusati, il Ministro Campilli. Io mi domando allora che cosa ci stava a fare quella Commissione di inchiesta.

Badate che questo intervento del Presidente del Consiglio, con tutta l’autorità che egli possiede come parlamentare di indubbia probità, e come Presidente del Consiglio, poteva avere delle conseguenze.

L’Assemblea approvò le comunicazioni del Governo: votò a favore del Governo. Si potrebbe pensare che avesse implicitamente votato anche per questa assoluzione fatta di sua iniziativa dal Presidente del Consiglio. Il che non è. Ecco come sono possibili certi equivoci, onorevole De Gasperi! Infatti poco tempo dopo, precisamente il 6 marzo, quando l’onorevole Rubilli a nome della Commissione chiedeva i più ampi poteri per poter accertare se vi fossero tra i Deputati e quindi anche fra i membri del Governo, degli elementi incompatibili per immoralità ecc., l’Assemblea, all’unanimità, concesse questi più ampi poteri. Il che vuol dire che l’Assemblea non aveva preso in considerazione la vostra assoluzione, e si rivolgeva e tornava a rivolgersi con maggior entusiasmo al tribunale.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. È inesatto, perché l’Assemblea ha votato anche in relazione alle mie dichiarazioni di Governo.

GRILLI. Ma non l’assoluzione che il Presidente del Consiglio aveva fatta.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questo riguardava me. Era mio dovere di Capo del Governo. Il mio pensiero non l’ho imposto a nessuno. (Applausi al centro – Commenti).

GRILLI. Mi permetta, onorevole De Gasperi, che io faccia precedere quello che dico dalla mia specialissima considerazione in suo favore. Né creda che, la mia, voglia essere un’opposizione preconcetta alla sua persona e al suo gabinetto. Il suo dovere, mi scusi, era quello di attendere, prima di pronunciarsi da codesto alto seggio, il giudizio del tribunale che l’Assemblea aveva eletto. Questo era il suo dovere. (Approvazioni a sinistra).

Viene poi la relazione letta dall’onorevole Rubilli. Era stata appena letta – non tutti l’avevano interamente, forse, compresa; avevo chiesto io che si stampasse, per poterla leggere con tranquillità – ed Ella, onorevole Presidente del Consiglio, sentiva il bisogno di alzarsi, per ripetere ancora la sua assoluzione; che l’altra volta fondava sopra una sua certezza intima e questa volta, invece, fondava proprio su questa relazione.

Ora, francamente, è vero che a pagina 5 della relazione si legge qualcosa, che può sembrare assoluzione per mancanza di prova:

«I risultati ottenuti inducono a ritenere che non è sorto alcun elemento per ammettere che le affermazioni del Ministro Campilli in sua difesa non sieno rispondenti a verità».

È vero che è scritto così. Ma, siccome la relazione è lunga, bisognerebbe leggerla tutta; richiamo l’attenzione dell’Assemblea sopra uno degli ultimi periodi:

«Non si può dire con sicura coscienza se sia riuscita ad accertare tutta quanta la verità, ad onta di ogni sforzo di fronte a non lievi difficoltà e anche talora a mal celate reticenze».

Ora, io vi dico, signori: se volete fondare questa vostra assoluzione piena sopra queste «non lievi difficoltà» o sopra le «malcelate reticenze», voi non la fonderete mai sopra il granito, ma sulla sabbia.

E badate, signori, che quando si tratta d’un Ministro, accusato di questioni morali abbastanza gravi, non basta un’assoluzione qualunque, egregi onorevoli Angelini e Grassi; occorre un’assoluzione assoluta, completa, che ci tranquillizzi interamente; e nel caso nostro, siccome l’accusa era venuta da questi banchi, da un Deputato, bisognava che, nell’alternativa fra la colpa del Ministro e la calunnia del Deputato, risultasse questa calunnia. La relazione non parla di calunnia, non solo, ma assolve anche l’accusatore, con queste parole: «Insomma, ciò che avvenne per i menzionati telegrammi al Ministero del tesoro è così anormale, che non poteva non produrre in chicchessia una grande impressione e potette certamente e a buon diritto impressionare anche l’onorevole Finocchiaro Aprile».

Signori, vuol dire che c’è qualcosa di grave, che giustifica l’impressione dell’onorevole Finocchiaro Aprile. E questo qualcosa di grave, infatti, qual è? Si può riassumere in due parole.

Quei tali provvedimenti presi, che, se anche non hanno prodotto delle speculazioni borsistiche rilevanti, erano, tuttavia, tali da poterle permettere; quei provvedimenti, i quali erano di esclusiva competenza del Ministro, quei tali provvedimenti che un uomo di Borsa aveva ripetutamente chiesti a Bertone e questi aveva rifiutati, quei tali provvedimenti che non si dovevano prendere, che erano fuori dell’indirizzo attuale del Ministro del tesoro – tanto vero che se ne era parlato in una discussione, alla quale presenziavano Bertone, Menichella, Einaudi, Ventura ed altri – quei provvedimenti, all’improvviso, sono presi da un funzionario qualunque, non si sa chi precisamente, da un funzionario del Ministero; e questo funzionario non viene punito.

Intendiamoci, signori, la questione è tutta qui: o il Ministro lo sapeva, ed allora perché nega di aver presi i provvedimenti? – o il Ministro non lo sapeva, e perché non ha punito il funzionario che prende di sua iniziativa provvedimenti di spettanza del Ministro senza domandarne il permesso, ingenerando il sospetto legittimo che lo possa aver fatto per favorire delle speculazioni di Borsa?

Il Presidente del Consiglio ha detto che il Consiglio dei Ministri ha ritenuto che non fosse il caso di prendere dei provvedimenti contro questo funzionario; ma non pensate, o signori, che questa mancanza di provvedimenti può far pensare alla gente, al popolo e al Paese che non li avete presi perché avete paura che questi funzionari cantino? (Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non abbiamo nessuna paura.

GRILLI. Badate, io vi confesso francamente, signori colleghi, che avrei desiderato che per il Ministro Campilli e per il Ministro Vanoni si avesse una relazione di assoluta e completa assoluzione; perché, si può essere all’opposizione e non approvare l’indirizzo politico del Governo, ma desideriamo, come cittadini e come Deputati, che non vi sia una parola da dire sulla moralità e sulla onestà dei rappresentanti del Governo. Io ricordo con quale gioia tutta l’Assemblea fece una manifestazione di simpatia all’onorevole Parri, quando fu letta la relazione che lo riabilitava completamente di fronte al Paese; fu una gioia per tutti noi, amici o non amici di Parri. Sarei stato felice se ieri l’altro avessi potuto dire altrettanto prendendo visione di questa relazione; perché il Paese ci coinvolge tutti, il Paese non guarda a chi è o non è all’opposizione; il Paese confonde tutti noi che stiamo qui a parlare e a lavorare a Montecitorio, ed in un momento come questo si dice che siamo qui a continuare una tradizione del periodo fascista. Dunque, questa relazione non mi sodisfa e non può sodisfare nemmeno voi.

E per quanto riguarda il Vanoni, li ha avuti o non li ha avuti, quei due milioni e 761 mila lire per un lavoro che egli ha prestato per 16 mesi? È troppo, signori miei. Diceva un Deputato che ha parlato prima di me che oggi non c’è professionista, che non li guadagni. Io in 45 anni che faccio il professionista non ci sono ancora arrivato! (Commenti).

Dunque, è un po’ troppo, e badate che questo troppo fa impressione in un momento come l’attuale nel quale i Presidenti di Tribunale, se si fanno le scarpe non hanno da farsi il vestito, ed i funzionari, a centinaia di migliaia, che lavorano e dedicano il loro ingegno e la loro attività al loro ufficio, eh, santo cielo, per guadagnare due milioni e 800 mila lire avrebbero bisogno di lavorare per 50 anni!

Non basta però questo: l’onorevole Vanoni ha preso una parte di quei due milioni e 800 mila lire, e l’altra parte l’ha presa uno sconosciuto per conto del Partito.

Ora, io qui non voglio fare un processo al Partito democristiano, Dio me ne guardi! Io dico: facciamola finita con certi sistemi, mettiamoci d’accordo, per non farle più queste cose, e che non sia più permesso ad un Partito di Governo di andare a spiluzzicare su questi enormi guadagni di un funzionario, che lo stesso Governo ha posto a quell’incarico. (Proteste al centro).

Siamo d’accordo, o non siamo d’accordo? Diciamo a tutti i partiti, anche al mio, che se ci dovessero capitare di queste occasioni, liberiamoci dalle occasioni prossime del peccato! (Si ride).

Insomma, signori, io ho preso questa occasione, non tanto per fare il pubblico ministero e tanto meno per fare l’avvocato difensore in questo processo, ma per rivendicare le tradizioni nobilissime dell’antica vita politica italiana. L’onorevole Angelini poc’anzi diceva che questa relazione dovrebbe rappresentare qualche cosa nella storia del Parlamento italiano: per l’amor di Dio, che non rappresenti nulla! Il Parlamento italiano ha una storia; ma bisogna andare al di là delle guerre per trovarla, quando Marcello Soleri chiamato nel 1920 al Ministero aveva diecimila lire depositate in una Banca di Cuneo e, quando riprendeva dopo la catastrofe, a fare l’avvocato a Cuneo, aveva perduto tante speranze e tante illusioni, ma aveva perduto anche le diecimila lire; e quando il Sacchi scriveva agli avvocati d’Italia offrendo l’opera sua di procuratore anche per le preture e prometteva onestà, correttezza e diligenza; quando il Facta tornava a difendere le cause nel suo Piemonte e così Bertone, che è qui presente, e tanti altri ancora che hanno onorato veramente il Parlamento italiano! Torniamo a quelle tradizioni; bisogna tornarci nell’interesse, o signori, dell’antica nobiltà del Parlamento, nell’interesse del Paese. Torniamoci! Bisogna purificare quest’aria che è ammorbata e inquinata! Bisogna ridare al Paese la fiducia nei suoi governanti. Bisogna che il popolo si ricreda dal sospetto che Roma, il Governo, i Ministri non siano che un grande mercato!

Io, a costo di sembrare un laudator temporis acti o, magari, un reazionario, vi dico che bisogna tornare a quella correttezza di trent’anni fa. Va bene che non siamo sodisfatti di quel mondo politico e di quel mondo parlamentare: è vero che tutti noi dobbiamo fare dei grandi passi nell’avvenire, è vero. Ma siccome la storia non va per salti, se vogliamo andare avanti, dobbiamo ripassare su quel periodo di probità e di onestà che si era raggiunto; se vogliamo fare dei salti avanti abbiamo bisogno di un trampolino e questo trampolino non può essere che quello della ricostruzione morale. Altrimenti qualunque salto non potrà essere che un salto nel buio. (Applausi a sinistra).

(La seduta, sospesa alle 18,15, è ripresa alle 18,45).

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Per adeguarmi alla significativa serenità di questo dibattito, io vorrò esprimere poche proposizioni atte a ristabilire il problema nelle sue vere linee giuridiche e politiche. Ed a tal fine, io penso che soprattutto serva lo schema di discussione sul quale ha impostato il suo intervento l’onorevole collega Crispo.

Evidentemente, noi ci troviamo di fronte a due tesi. Una è stata espressa dall’ordine del giorno Grassi, con il quale, mentre si prende atto che dalla relazione esce affermata in maniera chiara e indiscutibile la probità e l’onorabilità dei Ministri Campilli e Vanoni, si esprime l’augurio, l’invito, la speranza che il Governo voglia provvedere a perfezionare in Italia l’opera di ristabilimento di una perfetta amministrazione. In opposizione si trova la tesi contenuta nell’ordine del giorno Crispo, con la quale si chiede, in sostanza, un prosieguo di istruzione. Su che cosa fonda la sua tesi l’onorevole Cristo? Per quanto concerne il primo dei due giudicabili (il Ministro Campilli) l’onorevole Crispo osserva che, se la Commissione si fosse fermata al giudizio espresso alla fine della pagina 5 della relazione, egli avrebbe potuto senz’altro accettare nella sua coscienza un giudizio definitivo di probità e d’innocenza del giudicabile. Anzi io devo rendere omaggio alla sua lealtà quando, pur sostenendo una tesi opposta, egli ha detto che a suo giudizio quella espressione conclusiva di pagina 5 avrebbe potuto essere formulata in maniera più energica, in maniera che rispondesse meglio alla chiara interpretazione che di quel documento si deve dare, cioè l’esclusione di ogni responsabilità di Campilli e Vanoni. Senonché, egli aggiunge: «Io ritengo che la Commissione debba passare ad un’ulteriore zona di indagine. La Commissione riconosce che quei provvedimenti erano di competenza ministeriale, che Ventura è un galantuomo, che pertanto la spedizione dei telegrammi da parte del Ventura «non è comprensibile». Questa posizione della Commissione, successiva alla conclusione di pagina 5, nella quale è affermata in maniera chiara la perfetta insussistenza degli addebiti a carico dei Ministri, dà diritto all’onorevole Crispo di pensare che la Commissione debba continuare l’indagine per poter accertare, eventualmente, nuovi elementi. Ma la risposta a questa sua impostazione, per quanto riguarda l’onorevole Campilli, noi la troviamo nella stessa relazione, e soprattutto nella logica di questo dibattito e nei limiti, che bisogna ricostruire, delle attribuzioni della Commissione.

La Commissione quando passa a questa seconda posizione che ricordavo ora, a pagina 7, quasi a conclusione della impostazione di questo problema e di questo accenno, afferma che essa «non può occuparsi che di quanto riguarda il Ministro; ogni altra indagine spetta al Governo».

Ora io osserverò innanzi tutto che i precedenti rilievi tratti dall’onorevole Crispo dalla relazione non vennero da lui interpretati nel modo come io l’interpreto: essi mirano, in sostanza, a stabilire solo questo punto, che cioè quelle manifestazioni sui telegrammi determinarono una certa impressione, la quale si poté riverberare sull’animo del deputato denunciante. Quindi, solo a questo fine, al fine cioè di accertare il delinearsi e il formarsi di una certa impressione, possono essere prese in considerazione. Ma, onorevoli colleghi, non vorrei isterilire l’indagine a questa interpretazione, la quale potrebbe essere anche oggetto di controversia da parte di altri colleghi, e dovrò ridurla ad una osservazione preliminare. A che cosa mirerebbero le richieste di ulteriori indagini? Le richieste di ulteriori indagini non potrebbero concernere il Ministro per lo stesso fatto per cui, fino a pagina 5 della relazione, la Commissione, senza esitazioni, senza incertezze, senza ombre, senza lasciare alcun punto in sospetto, in maniera chiara, definitiva e irrefutabile, ha stabilito che il Ministro Campilli non conosceva i provvedimenti che erano stati dati attraverso i telegrammi, fino a quel giorno in cui ne ebbe comunicazione dal collega Morandi.

Ora, se queste ulteriori indagini non potrebbero portare ad altro che a stabilire eventuali responsabilità nel seno dell’Amministrazione e del Ministero, responsabilità da staccarsi assolutamente dal Ministro che non conosceva quei provvedimenti, esse sono assolutamente irrilevanti per la finalità alla quale noi dobbiamo mirare esclusivamente, cioè quella di ricavare dall’inchiesta un giudizio sulla onorabilità e sulla probità dei due Ministri denunciati. Questa proroga istruttoria, questo prosieguo d’istruzione richiesto dall’onorevole Crispo, non può interessare il Ministro Campilli, non solo per quello che è detto in maniera chiara e senza lasciare incertezze, che cioè il Ministro Campilli ignorava i provvedimenti presi e che li conobbe successivamente attraverso le rivelazioni dell’onorevole Morandi; ma non può interessare il Ministro Campilli neppure per un giudizio di colpa che l’onorevole Crispo esattamente configurava come negligenza più che come inettitudine. Questo per due ragioni che l’Assemblea deve avere la bontà di prendere in considerazione, perché sono due ragioni rispondenti al senso della vita e dell’esperienza quotidiana nella quale ci muoviamo: perché Campilli era Ministro da pochissimi giorni e aveva alle sue dipendenze 25 tra Direzioni generali e uffici equiparati a cui accudire; e perché i provvedimenti erano stati già virtualmente predisposti dal suo predecessore onorevole Bertone.

Ho sentito con grande interesse il sereno intervento che ha fatto poco fa l’onorevole Bertone. Egli ha dichiarato che a prestito chiuso non vi era alcun pericolo né danno per una breve attesa, utile anzi per meglio raccogliere elementi di prova e che questo e altri tentativi del genere sarebbero stati non solo opportuni, ma necessari e doverosi, e dichiara che non avrebbe esitato a prenderli; senonché, appena chiuso il prestito, avvenne la crisi ministeriale ed egli lasciò l’ufficio».

Sicché dovete tener conto, al fine di un eventuale giudizio di negligenza, che quei provvedimenti erano già nell’atmosfera e nell’ambiente del Ministero stesso e che quei provvedimenti, in quanto già fissati e predisposti, erano ritenuti necessari e indispensabili dal Ministro Bertone e potevano dirsi già anticipati anche per l’attività futura che doveva essere perseguita dal nuovo Ministro, che peraltro si poteva sospettare si ponesse sulla stessa linea politica del Ministro Bertone, perché proveniente dallo stesso Gruppo parlamentare. A parte questo notevole rilievo, anche se voi con questo prosieguo di indagine, di istruttoria, poteste stabilire qualche ulteriore elemento, poiché ogni indagine circa la presunta responsabilità dolosa del Ministro Campilli è completamente chiusa dalle conclusioni definitive della Commissione, potrebbe trattarsi soltanto di elementi di colpa; ma io penso che questa indagine uscirebbe dal nostro compito odierno. Non è da dire che noi non abbiamo il diritto, onorevoli colleghi, di giudicare anche il comportamento di diligenza o di negligenza dei Ministri e dei Sottosegretari. Ma l’Assemblea questi giudizi li esprime non in questa sede, che è una sede di giudizio morale, ma in altra sede, in sede politica, quando, esprimendo un voto di fiducia sull’operato del Governo o in linea preventiva o conclusiva, emette un giudizio generale di valutazione collettiva della politica generale complessiva, di tutto l’operato del Governo e dei singoli Ministri.

Appare, perciò, chiaro come questo giudizio politico sia estraneo alla sede odierna, e come il giudizio morale, per quanto concerne il Ministro Campilli, sia chiuso definitivamente proprio da quella pagina 5 della relazione alla quale faceva appello l’onorevole Crispo. Né si può, per sostenere questa richiesta di prosieguo di istruttoria, rifarsi a uno degli ultimi periodi della relazione (pagina 10) che è stato letto dal collega Onorevole Grilli. È chiaro – e la riprova è data dal fatto che l’onorevole Crispo, che è uno dei più esperti in indagini giudiziarie, perché è uno dei più noti avvocati, non ha fermato affatto su questo punto la sua attenzione, ed ha dato a quel periodo un’interpretazione analoga a quella che do io – è chiaro che quel «Non si può dire con sicura coscienza se sia riuscita ad accertare tutta quanta la verità, ecc.» si riferisce alla seconda ulteriore indagine che la Commissione prospetta al Governo, indagine da portare nell’ambito delle amministrazioni. Tanto è vero che questa è l’esatta interpretazione, che quel periodo è seguito immediatamente da un «ma». Dice, infatti, la relazione: «Ma è apparso evidente e indispensabile che una oculata vigilanza e un efficace controllo elevino il prestigio delle Amministrazioni dello Stato, liberandole da ogni residuo del passato e rassicurando in pari tempo completamente la pubblica opinione».

Quel giudizio, quella espressione finale, alla quale faceva riferimento l’onorevole Grilli, collegata col periodo che segue, che è l’ultimo della relazione, non vale a stabilire altro che l’ansia, che si prospetta la Commissione e che essa fa presente al Governo, per una più oculata vigilanza delle amministrazioni statali, per ricondurle a quel periodo di normalità che è stato ucciso non solo dal ventennio, ma soprattutto, direi, dalle infinite conseguenze della guerra.

Non si può, per dubitare che la relazione, per quanto attiene al giudizio morale sul Ministro Campilli, abbia avuto delle esitanze, prendere a base il presupposto che, a giudizio dell’onorevole Grilli, si sarebbe pronunciata l’assoluzione dell’onorevole Finocchiaro Aprile. L’onorevole Finocchiaro Aprile è assente; e questo mi costringe soprattutto ad essere cavalleresco nei suoi confronti e a non esprimere un giudizio sul suo comportamento, anche perché questo giudizio sarebbe prematuro, come lo sarebbe per la Commissione. La Commissione prosegue le indagini nei confronti delle altre accuse che l’onorevole Finocchiaro Aprile ha rivolto ad altri nostri colleghi. Fino a quando non sarà chiusa questa dolorosa pagina della nostra vita parlamentare, né la Commissione può esprimere un giudizio, che deve essere un giudizio complessivo sull’attività e sulle accuse dell’onorevole Finocchiaro Aprile, né noi possiamo esprimere un giudizio in questo momento. Ora, non è questa pretesa assoluzione dell’onorevole Finocchiaro Aprile a creare una situazione di incertezza nella relazione della Commissione; né si può porre il problema così come, con estrema analisi, l’ha posto l’onorevole Grilli, dicendo: «La situazione è qui: o Campilli sapeva del provvedimento, o non avendolo saputo egli non è stato avvertito dal Ventura»; perché su questo punto gli elementi prospettati dal Governo sono stati indiscutibilmente accertati. È stato riferito dal Presidente del Consiglio che il Governo, il Consiglio dei Ministri, quando ebbe inizio questo doloroso incidente, desiderò di rimandare ogni decisione disciplinare concernente il direttore generale Ventura od altri funzionarî da lui dipendenti, per un desiderio altissimo, per un desiderio nobilissimo, che va segnalato e ricordato, per non turbare cioè la serenità e l’obbiettività dell’indagine giudiziaria.

Si sarebbe infatti potuto dire, speculando sul fatto o perfino in buona fede, che il Governo, attraverso il capro espiatorio Ventura, si liberava di qualsiasi pericolo e di qualsiasi accusa, impedendo così che si risalisse ad altre responsabilità.

Bene invece ha fatto il Governo a mantenere per ora il direttore generale Ventura nel suo ufficio: vedrà in seguito il Governo quali provvedimenti saranno da adottarsi.

Voi, onorevoli colleghi, potrete anche ritenere che il Governo meglio avrebbe fatto ad allontanare il direttore generale Ventura; ma ciò non vi dà il diritto di pensare che il mancato allontanamento significhi ombra per quanto attiene alla conclusione nei confronti del Ministro Campilli.

E qual è allora la conclusione nei confronti del Ministro Campilli? Ve l’ha detto poco fa l’onorevole Codignola, quando vi ha affermato che i Ministri sono sostanzialmente immuni da qualsiasi accusa. Ma è una conclusione che si può trarre anche da quanto ci ha detto 1’onorevole Crispo, il quale, riferendosi a pagina 5, non può omettere di riconoscere che a pagina 5 si pone la pietra sepolcrale sulla responsabilità morale dei due Ministri.

E allora come si interpreta il documento? Esso è, onorevoli colleghi, un documento complesso; esso, per una parte, è una sentenza, un giudizio; un giudizio che noi dobbiamo alla Commissione, cui dobbiamo esser grati. Da quel giudizio apprendiamo che il Ministro Campilli e il Ministro Vanoni sono immuni, sono esenti da qualsiasi responsabilità morale, sono uomini probi; e che le accuse mosse nei loro confronti sono assolutamente destituite di qualsiasi elemento di fatto.

Ma vi è un altro aspetto della relazione, un’altra parte, che non è più una sentenza. Più che trattarsi di un giudizio, questa parte della relazione della Commissione può definirsi un documento politico. La Commissione avrebbe potuto infatti omettere questo passo, la Commissione avrebbe potuto dire, in linea formale: qui cessa il nostro compito. Invece la Commissione è andata oltre, ed ha fatto bene. Ha fatto bene, perché la nostra Assemblea è un’Assemblea investita di una funzione che trascende perfino le normali funzioni delle Assemblee legislative ed ha pertanto il diritto, anche se questo non collima perfettamente con alcuni limiti formali, di segnalare al Governo qual sia la strada che esso deve percorrere, quali siano le rettifiche che esso deve porre al suo cammino, quali siano i movimenti psicologici che si determinano nel Paese nei confronti dell’operato del Governo.

Ora, la Commissione ha stabilito che non vi è alcun elemento a carico dei due Ministri, che i fatti sono insussistenti; ma è andata anche oltre, ed ha potuto assodare poche cose, perché non aveva soprattutto i poteri necessari ed era pressata dall’urgenza di darci la sua relazione, di placare la nostra ansia, di far sapere all’Assemblea se a quel banco siedano dei galantuomini oppur no.

Ora, quando la relazione della Commissione degli Undici, superando questi limiti formali, ha messo l’occhio a fondo nell’amministrazione statale, è lì che la Commissione esprime delle riserve, è lì che enuncia delle necessità, è lì che addita delle finalità da raggiungere.

Ecco dunque, la ragione della seconda parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Grassi. Guardate dunque come l’ordine del giorno dell’onorevole Grassi, che noi pensiamo possa essere votato, si configuri, si modelli, sulla relazione della Commissione degli Undici.

La prima parte, nella quale si dà atto che sono risultate infondate le accuse contro i Ministri, che sono risultati insussistenti i fatti, si adegua alla prima parte della relazione della Commissione, più sopra ricordata.

La seconda parte dell’ordine del giorno Grassi utilizza il resto della relazione, laddove la relazione esprime delle riserve, delle ansie, delle preoccupazioni intorno alle amministrazioni statali ed esprime quindi al Governo un augurio, una necessità, e gli addita una strada.

Per quanto riguarda il Ministro Vanoni, quali altre indagini si potrebbero fare? Qui il problema è più semplice.

La Commissione ha preso atto della lealtà con la quale il Ministro Vanoni ha rilevato alcune circostanze attinenti alla sua amministrazione ed anche qui si deve dire che il Vanoni era solo professore universitario, uno dei più insigni professori universitari d’Italia di scienza delle finanze – ed è bene che ciò sia ricordato qui da uno dei suoi colleghi – ma non era né Ministro né deputato.

Ora, a proposito delle competenze liquidate si esprime un giudizio comparativo; ma questo giudizio è inficiato da una inesattezza di interpretazione delle funzioni del Vanoni. Non è un rilievo che si fa alla Commissione. Probabilmente, per la fretta delle indagini, non si è potuto configurare esattamente quale era il mandato del professor Vanoni. Egli non era un funzionario governativo. Ecco perché i raffronti con le indennità dei funzionari sono inesatti e ogni raffronto con gli onorari dei professionisti è inopportuno. Il raffronto con i funzionari governativi è inesatto, perché il Vanoni non ebbe la posizione di commissario governativo prevista dalle leggi bancarie; ma fu nominato commissario ai sensi del decreto del settembre 1944. In forza di questo documento, il Ministero del tesoro, con decreto ministeriale 5 ottobre 1944, scioglieva il Consiglio di Amministrazione della Banca di agricoltura, e, confermando la nomina del Vanoni, che era stata già fatta dal Comando alleato, a commissario straordinario con poteri del Presidente del Consiglio di amministrazione e del Comitato esecutivo, stabiliva il suo obbligo a riferire all’Assemblea degli azionisti da convocarsi appena possibile. Sicché, secondo questo decreto di nomina del Vanoni, egli non doveva essere ritenuto come un funzionario governativo immesso nell’amministrazione della banca; ma soltanto come una persona che sostituiva l’amministrazione ordinaria della banca ed agiva pertanto – ecco il punto da sottolineare – non nell’interesse del Governo, non nell’esercizio di una funzione pubblica, ma soltanto nell’interesse degli azionisti.

Badate che questo è un punto delicato. Qui egli non agiva per una funzione pubblica, per conto del Governo, per perseguire finalità pubbliche. Egli sostituiva il Consiglio di amministrazione ordinario e come tale era il servitore degli interessi degli azionisti, che, alla fine della conclusione di questa gestione commissariale, delegarono al nuovo Consiglio di Amministrazione la liquidazione delle indennità, che ebbe luogo secondo la prassi corrente.

Ed allora quali altre indagini da fare circa il Ministro Vanoni? Indagini di fatto, nessuna; perché egli, riducendo le esagerazioni non apprezzabili dell’onorevole Finocchiaro Aprile, stabilì la vera essenza delle indennità percepite. Nessuna indagine; perché egli disse per quanti mesi aveva percepito: 16 e non 11. Nessuna indagine; perché egli disse attraverso quale procedimento queste indennità furono liquidate. E questo procedimento fu lo stesso procedimento ordinario che si attua nelle banche e che venne predisposto nello stesso provvedimento di nomina, per cui non ebbe nessuna relazione postuma col Ministro del tesoro.

Ed allora per l’uno e per l’altro punto dovete, onorevoli colleghi, esprimere un giudizio. Un prosieguo d’indagini sarebbe inutile. Non è che noi lo vorremmo impedire, se occorresse. Se occorresse, non lo impediremmo, non ostacoleremmo mai l’estensione delle indagini.

Noi, fin dal primo momento, non ci siamo mai opposti, ed anche il Governo non si oppose, all’estensione delle indagini; perché queste fossero le più ampie e le più complete. Queste indagini sono state ampiamente condotte; tutti gli elementi sono stati acquisiti agli atti dell’istruttoria perché si potessero stabilire i fatti e risalire ad una eventuale responsabilità morale. Questa ulteriore indagine servirebbe soltanto, per il Campilli, ad assodare se nell’amministrazione, alla quale è stato preposto, vi siano delle interferenze, vi siano delle discrasie da rettificare; e questa è opera del Governo, alla quale naturalmente noi possiamo collaborare con segnalazioni e con la nostra attiva partecipazione. Per il Vanoni le indagini sarebbero inutili, in quanto i fatti sono quelli che sono; fatti banalissimi sui quali abbiamo già portato a fondo la nostra indagine.

Ho finito. Se nelle vostre coscienze trovate che, dopo queste indagini serene – sulle quali noi non abbiamo voluto scendere assolutamente nel dettaglio, e non abbiamo voluto scendere nel dettaglio soprattutto per un atto di riguardo alla Commissione; e appunto perché i due Ministri appartengono alla nostra famiglia noi non abbiamo voluto esaminare criticamente il documento, ma l’abbiamo voluto prendere nel suo complesso e soltanto interpretarlo nelle due distinte parti, la parte che riguarda il giudizio morale, e la parte che riguarda non il giudizio, ma le impressioni, le segnalazioni date al Governo – la probità dei due Ministri è chiaramente assodata; se, quindi, questo documento, come risulta da tutti gli interventi, perché con piena consapevolezza e con molto senso di responsabilità nessuno ha pensato di lanciare ombra su questi due nostri rispettabili colleghi, dice alla vostra coscienza, in maniera chiara, in maniera sicura, in maniera definitiva che è rifermata la probità di questi colleghi ed amici; ebbene io penso che non bisogna tardare a dichiararlo.

Quando avremo liberato da queste pesanti scorie il nostro duro cammino, domani potremo riprendere con serenità il lavoro fondamentale della Costituzione della Repubblica italiana, la quale deve essere espressione non soltanto della nostra civiltà giuridica, ma anche e soprattutto della nostra probità morale. (Applausi).

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Non prendo la parola perché si discute qui di uomini che sono rivestiti di così alte funzioni; ma sento il dovere di prendere la parola perché qui vi è una responsabilità morale che investe ciascuno di noi. Accettare o respingere la relazione della Commissione degli «Undici» significa dimostrare quella che è la nostra sensibilità in materia morale. La coerenza, onorevoli colleghi, non è una qualità superiore che distingua determinate personalità, ma la coerenza è un dovere per gli uomini politici, ed è un dovere che ha come riflesso dei diritti, di cui sono investiti gli elettori, diritti di cui è investito l’intero popolo che, dando a noi il mandato di rappresentanti, ha il diritto di seguirci nelle vicende politiche e ha il diritto di constatare quale sia il nostro atteggiamento e la nostra morale nell’esercizio del mandato parlamentare.

Questa Assemblea Costituente ha dimostrato una sensibilità acuta, confortevole, direi quasi sublime, allorché, discutendosi or è qualche mese sull’opportunità che uomini investiti del mandato parlamentare potessero esercitarlo, stabilì che tale mandato dovesse essere revocato allorquando, per una virtuale possibilità di interferenze e di influenze verso il Governo, potesse presumersi una diminuita resistenza della pubblica amministrazione, nei confronti del deputato.

Questa Assemblea Costituente, discutendosi sulla convalida o meno del deputato ingegnere Visocchi, solo perché lo stesso era concessionario di derivazioni di acque pubbliche, derivazioni le quali sono regolate da un sacramentale «disciplinare», decise che non è compatibile l’esercizio del mandato parlamentare per il concessionario di derivazioni di acque pubbliche.

Considerate, onorevoli colleghi, che il rapporto tra il cittadino e lo Stato, regolato da un «disciplinare», si esaurisce nel momento stesso in cui la concessione viene data, e che le eventuali infrazioni possono essere rilevate e punite dalla pubblica amministrazione. Ma poiché nella repressione delle infrazioni eventuali si presume che il deputato possa esercitare influenza sugli organi dello Stato, questa Assemblea ha deciso che sia privato del mandato parlamentare il cittadino che questa influenza può virtualmente esercitare.

E allora mi sono domandato, e mi domando, onorevole Grassi, come voi potete presumere che questa Assemblea Costituente possa senz’altro ritenere chiusa la parentesi di questa vicenda che così da vicino tocca la nostra sensibilità e la onorabilità di due Ministri in carica?

In questa vicenda che suscita in noi emozioni, l’intero popolo italiano, esasperato da questa nebbiosa atmosfera che si è creata intorno a noi, attende da noi una parola chiara e precisa, una parola che restituisca a noi la dignità collegiale a cui abbiamo diritto e dica al popolo italiano che la pubblica amministrazione è tutt’ora lontana da ogni sospetto, e che contro di essa, qualsiasi ombra che possa oscurarla rimane diradata, sicché essa è restituita alla sua cristallina trasparenza.

Onorevoli colleghi, ho seguìto questo appassionato dibattito, da cui diverse opinioni sono scaturite. Tutti hanno puntato decisamente verso la Commissione degli Undici, alla quale si è fatto, direttamente o non, un addebito nel senso che da essa si attendeva una decisione limpida e categorica.

L’errore è grave: la Commissione degli Undici ha espletato in modo impeccabile, con sensibilità squisita, con senso giuridico profondo, il suo mandato; ed ha offerto alla intelligenza ed alla sensibilità di questa Assemblea tutti gli elementi, che valgano a fare pronunziare con fondamento una sua decisione.

D’altra parte, la Commissione avrebbe travisato il suo mandato, se fosse pervenuta a conclusioni decisive.

Noi dobbiamo ricordare i termini del mandato specifico, dato alla Commissione, che è premesso nella relazione e che è inutile rileggere. Ma resta accertato, in punto di fatto, che la Commissione non è Commissione d’inchiesta; ma è – e questo concetto è stato in questa Assemblea chiarito – Commissione d’indagine.

Pertanto, espletate le indagini, con i poteri limitati di cui poteva disporre, essa offre all’Assemblea il materiale ammannito: materiale in senso favorevole, materiale in senso negativo; apprezza giustamente, esattamente, con acuto senso critico e con profonda sensibilità e intuizione quanto vi ha di favorevole; adombra tutto quanto è rimasto oscuro e incerto.

Ed allora, se noi accedessimo alle proposte dell’onorevole Grassi e ci fermassimo su questa relazione – la quale, essendo relazione, è ovvio non possa essere decisione o sentenza – noi, ritengo, non solo faremmo torto a noi stessi, ma offenderemmo la suscettibilità di uomini sì illustri, i quali, ovviamente, non possono ritenersi soddisfatti del componimento complesso delle indagini ammannite.

Ma essi hanno diritto, come uomini, come cittadini, come Deputati, come Ministri, di attendersi un giudizio chiaro, preciso, inequivoco, lampante; sì che da questa Assemblea possa levarsi caloroso e sentito un applauso, che sia un inno alla loro dirittura morale ed alla loro onorabilità.

Onorevole Vanoni, onorevole Campilli, io sono sicuro che voi non vi arresterete di fronte ad una relazione, che può suscitare sospetti nell’animo di persone anche maliziose se volete o di gente che, per temperamento, è usa a vedere l’illecito dove non esiste ma che comunque nulla decide nei vostri confronti in un senso o nell’altro.

Son sicuro che voi chiederete e pretenderete un giudizio chiaro e preciso, che ci consenta di potervi stringere ancora la mano.

Allo stato degli atti, onorevoli colleghi, specie voi, colleghi della Democrazia cristiana, fareste un torto ai vostri illustri esponenti, se vi accontentaste di questa relazione.

Dite che essa è esauriente, che essa precisa in modo inequivoco la situazione morale di questi valentuomini; non è vero!

Io lo nego e con me lo negano sicuramente gli interessati. Quando voi, per alcune circostanze, onorevoli colleghi della Commissione degli Undici, adombrate determinate situazioni, quando voi ponete degli interrogativi, quando lasciate all’intelligenza ed all’intuito del lettore le conseguenze che scaturiscono dalle premesse logiche che voi avete poste, voi avete fin troppo detto, ma voi non potevate d’altra parte pervenire a giudizî concreti e decisivi. Non lo potevate, perché così come avete riferito nella vostra dotta ed elaborata relazione, alcuni che sono venuti a deporre, mentre inizialmente hanno in maniera categorica precisate situazioni gravi, successivamente, degradando dalle prime affermazioni, sono pervenuti a conclusioni che distruggevano le premesse iniziali. Voi non potevate giungere a conclusioni decisive perché non ne avevate i mezzi e i poteri; voi avete citato ed invitato cittadini illustri perché venissero a portare il contributo della loro scienza e della loro conoscenza, in un settore così delicato della vita finanziaria, ma noi non sappiamo se questi valentuomini si sono degnati di venire a voi. Se non fossero venuti, nessun mezzo era nelle nostre mani per costringerli a venire, per costringerli a deporre dinnanzi a voi.

Non solo, ma di fronte a situazione tanto delicata, voi non potevate esaminare testimoni né ammonire con la formula sacramentale del giuramento che intimidisce anche i temperamenti più duri ed incerti e che rende ligi e sicuri anche i più perplessi e i più tetragoni. Di fronte alla maestà del giuramento, la coscienza dell’uomo è eccitata verso la via diritta e onesta ed è svincolata da ogni interesse particolaristico, affettivo o reverenziale, onde è che la verità voi potete comprendere se sia o non nelle vostre mani riposta. Ed allora, come esprimere un giudizio di onorabilità o meno, quando gli elementi di prova sono stati raccolti senza formalità legali e tranquillanti?

Come dare questo giudizio quando la Commissione degli Undici aveva solamente poteri di indagine?

Attraverso il materiale che ci è stato ammannito, noi dobbiamo dire se esula qualsiasi indizio che consenta la instaurazione di una regolare procedura, talché si deve, (come si verifica in tema di procedimento penale) archiviare la denuncia, o gli indizi sufficienti di colpa affiorano ed in tal caso per accertare quanto vi sia di vero e quanto vi sia di falso devesi invertire della procedura l’organo competente. La questione da decidere dunque è per noi questa: stabilire se esistono gli indizi sufficienti o se devesi archiviare la pratica. Noi riteniamo che la pratica non possa essere archiviata, e nel nostro interesse e per la nostra dignità e per la nostra stessa correttezza e coerenza, e soprattutto per i diritti sacrosanti che reclamano le persone che sono state trascinate in questa incresciosa vicenda politica. Né valgono le obiezioni che alcuni colleghi hanno fatto, restringendo la materia del contendere ad un sillogismo semplicistico, che fu impostato in questi termini: se l’onorevole Finocchiaro Aprile ha presentato una denuncia, egli deve provare il suo assunto, e se non lo prova egli decade dal suo diritto; ché anzi dovrà subire le conseguenze della sua leggerezza o della sua malvagità.

Ma qui, onorevoli colleghi, si è confusa la procedura civile con la procedura penale o disciplinare; vero è che onus probandi incumbit ei qui dicit, ma questo è un aforisma che vale in tema di procedura civile, ma in sede penale o in sede disciplinare, onorevoli colleghi, questo aforisma non ha alcun valore. Il cittadino, e tanto più il Deputato, che presenta una denuncia, ha il sacro diritto di vedere espletata ed istruita la sua denuncia; e solo se appaia la sua pervicacia nell’accusare alcuno di fatti inesistenti o di fatti per i quali egli abbia la consapevolezza dell’innocenza, provvede il Codice penale, che la ipotesi delittuosa identifica nel reato di calunnia.

Ma, l’organo investito della denuncia deve espletare tutte le indagini, interrogare gli imputati, esaminare testimoni, procedere a confronti e perizie e sopraluoghi, controllare documenti e quanto altro occorra per stabilire se sia fondata o meno la denuncia. Pertanto, onorevoli colleghi, le obiezioni che si sono fatte con tanta semplicità per chiudere senz’altro questa parentesi che contiene una vicenda di tanta importanza, quale quella di cui discutiamo, mi sembra che siano, se non altro, assai poco convincenti ed addirittura assai ingenue.

La gravità dei fatti che noi dobbiamo esaminare in questa incresciosa vicenda ci investe di una responsabilità tremenda, onorevoli colleghi. Se riandiamo nel passato per attingere da esso il costume parlamentare, nella espressione più significativa della sua moralità profonda, esempio luminoso troviamo in atteggiamenti di parlamentari illustri, che, noi dobbiamo ricordare. Da questi banchi Enrico Ferri… (Commenti).

Una voce a sinistra. Da questi banchi!

MASTROJANNI. I luminari dell’arte e della scienza, i maestri del diritto e del sapere, sono, onorevole collega che mi ha interrotto, patrimonio dell’intera umanità e non esclusività di alcun partito! (Applausi a destra).

Enrico Ferri, dicevo, da questi banchi, chiamò l’ammiraglio Bettòlo, allora Ministro della marina, «divoratore di corazze», perché alcun dubbio si era levato sulla gestione di quell’Amministrazione, durante la costruzione di corazzate. Eppure Egli, maestro luminoso del diritto, sapeva il peso, il significato le conseguenze dell’accusa!…

Voi ricorderete Pietro Rosano, che, accusato da un anarchico di essersi adoperato per mercanteggiare una grazia, non sopportò l’accusa e si tolse la vita. (Commenti a sinistra). Voi ricorderete, onorevoli colleghi, il Ministro Francesco Tedesco. Può il cervello umano subire involuzioni, obnubilazioni, decadimenti, contrasti od impressioni così forti, per cui si perda l’orientamento nel tempo e nello spazio; ma è pur vero che, se qualche lacuna la scienza annovera e identifica fra le malattie mentali, tuttavia, onorevoli colleghi, noi non possiamo negare che anche là dove esiste il morbo, contemporaneamente può esistere una esagerata sensibilità che, sopravalutando lo stimolo esterno, determina decisioni irrimediabili contro se stesso. Ed è per rispondere a quei colleghi, i quali giudicarono normale la vistosa fortuna finanziaria in poco tempo creatasi dalle persone di cui discutiamo, io ricordo Francesco Tedesco, che pur Ministro del tesoro, giunse povero alla vecchiezza, e privo persino della minima possibilità di apprestare a sé i mezzi di cura, qui, in questa Roma, serena ed opulenta, tragicamente troncava la sua esistenza. (Commenti).

Onorevoli colleghi, la questione merita – specie perché si discute dell’onore e dell’onorabilità di uomini rivestiti di sì alta carica – tutta la nostra attenzione.

Sono dell’opinione – e pertanto presento un ordine del giorno – che la vicenda non può qui dichiararsi esaurita, ma che questo complesso di indagini, fornito dalla Commissione degli Undici, debba costituire il materiale sufficiente di indizi e di prove che consentano l’apertura di una regolare procedura per un giudizio definitivo; giudizio definitivo che non può essere affidato che ad una Commissione d’inchiesta. La Commissione d’inchiesta avrà i poteri, avrà il modo, il mezzo, le possibilità di approfondire le indagini in ogni settore, di chiarire gli interrogativi che sono stati posti, di illuminare le ombre che si intravedono nella relazione e di concludere in senso decisivo e in modo che si acquieti la nostra coscienza, la nostra dignità e la nostra sensibilità; ed in modo che si acqueti la pubblica opinione, in modo che sia restituito agli interessati e al Governo stesso quel prestigio di cui ha necessità, per potere degnamente assolvere il suo gravissimo compito, specie in questo momento in cui la pubblica opinione è fortemente scossa nei confronti del Governo stesso. Noi vorremmo, onorevoli colleghi, dire al Governo, che reiteratamente ha assicurato questa Assemblea Costituente di avere esaminato la questione, e che nulla aveva da obiettare, che dopo quanto ha detto e può tornare a dire, e che io mi auguro risponda esattamente a verità, la pubblica opinione e questa Assemblea hanno il diritto di pervenire alle conclusioni governative solo dopo il giudizio scaturito da una regolare inchiesta, che tutti acquieti e che a tutti restituisca dignità, onore e tranquillità. (Applausi a destra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Credo che abbiamo tutti, egregi colleghi, la consapevolezza della gravità delle nostre decisioni e del nostro voto. Mi sono trovato nella mia lunga vita politica in molte situazioni difficili e in certi momenti ho trovato la via d’uscita nel compromesso. Mi si è accusato di essere troppo esperto di compromessi. Il compromesso l’ho fatto quando, per servire gli interessi del Paese, potevo abbandonare per utilità un mio giudizio particolare sopra questi interessi. Il compromesso non lo posso fare quando v’è di mezzo una questione morale. (Approvazioni).

La situazione del Governo in Italia è difficilissima perché, disgraziatamente, indipendentemente dalla nostra buona volontà e dai nostri sforzi, è gravissima la situazione del Paese. Non temete, io non faccio accenno alla gravità della situazione per trarne illazioni di carattere politico e oscurare il carattere morale della decisione che dovete prendere, che dobbiamo prendere insieme. Tutt’altro; è per dire che, nonostante questo, io, in questo momento, giudicherò soltanto secondo la legge dell’onore e della coscienza.

Non si farebbe, del resto, nessun servizio al Paese mantenendosi al Governo menomati nella questione essenziale, nella questione vitale per il Governo stesso. Non si farebbe servizio all’Assemblea cercando in una questione di carattere morale un compromesso che salvi gli uni e lasci cadere gli altri.

Soprattutto io arrossirei se in questo momento non mi ricordassi della legge della solidarietà ministeriale, ripetutamente applicata in questa particolare questione.

In verità, se le conclusioni della Commissione mi portassero a cambiare il mio giudizio sopra i miei collaboratori, allora sarei in dovere e in diritto di mutare anche i miei rapporti con essi. Ma le conclusioni non sono in tal senso. E ciò è stato ammesso dalla maggioranza degli oratori, anche da coloro che eventualmente voteranno in senso contrario al mio desiderio.

È troppo evidente che si può discutere sopra alcune formule della Commissione: trovarle favorevoli o non favorevoli, sufficienti o insufficienti, abili o meno abili, come tutte le cose di fattura umana; ma non si può escludere che dalle conclusioni della Commissione, l’onorabilità dei membri del Governo è messa fuori causa. La questione, dunque, è essenzialmente morale.

La questione, per un Capo di Governo e per i colleghi di Governo è anche una questione di lealtà e di probità politica. Ciò in modo particolare per quel che riguarda le responsabilità ministeriali dell’onorevole Campilli. Qui non siamo nella sfera privatistica; siamo nella sfera di corresponsabilità ministeriale, ed era mio dovere di esaminare profondamente, con tutti i mezzi a mia disposizione, se le accuse qui portate avessero l’ombra di verità. L’ho fatto. Sono venuto lealmente dinanzi all’Assemblea e prima di chiedere un voto in generale sulla politica del Governo, sull’atteggiamento del Governo, ho portato una esatta, lunga relazione, munita di dati e di dichiarazioni di persone estranee alla politica ed eminenti nell’economia, che secondo me doveva bastare a chiudere sulle accuse al Campilli completamente la discussione.

Mi meraviglio che un Deputato mi abbia fatto il rimprovero d’aver quasi cercato di forzare, di coartare o mettere in imbarazzo le decisioni della Commissione, facendo qui opera di difesa, di solidarietà con i Ministri colpiti. No, signori miei, qui si tratta di responsabilità ministeriale: i primi che sono chiamati a decidere della responsabilità ministeriale, offesa o non offesa da un loro collega, sono Ministri; è il Consiglio dei Ministri, che ha il dovere di dire prima la sua parola e di assumere o non assumere la corresponsabilità e la solidarietà del Gabinetto. Perciò, la prima cosa che noi abbiamo fatto è stata di discutere in seno al Consiglio dei Ministri le accuse mosse; poi, di riferire intorno alle indagini fatte; poi, di deliberare intorno alla nostra solidarietà che è stata piena. La questione non riguardava soltanto il Ministro Campilli, ma anche altri Ministri, che in quel momento erano messi in discussione da una stampa che aveva esagerato, gonfiato alcune apparenze di accuse. Qui mi avete visto venire a difendere Ministri che non appartengono al mio Partito, con la stessa energia, con lo stesso senso del dovere con cui oggi difendo quelli che al mio Partito appartengono. (Approvazioni al centro).

Mi fa meraviglia invero che si dica che con ciò io abbia voluto coartare i signori della Commissione. I signori della Commissione, se non sbaglio, nella loro relazione, non accennano nemmeno alle dichiarazioni del Governo dinanzi all’Assemblea e hanno avuto libertà per quaranta giorni di decidere e discutere quello che volessero; e se ho mostrato impazienza, non era perché mi preoccupassi del merito delle cose, ma solo perché l’angosciosa situazione del Paese esigeva che uomini che sono accusati – e specialmente Campilli – potessero prendere parte attiva ai lavori dell’Assemblea e assumere responsabilità proprio nel settore nel quale si portavano le accuse. Ecco perché mi sono augurato che queste conclusioni venissero presto; non per volere, come che sia, influire sopra la relazione della Commissione, ma nell’interesse del Paese. E credo che non mi vorrete far torto se considero che in un momento in cui la situazione finanziaria è così grave, il tenere in sospeso la questione sull’onorabilità e la responsabilità o meno di un Ministro, proprio per riguardo a ragioni amministrative e finanziarie, è un punto debole del Governo, del Paese e dell’Assemblea.

Oggi stesso, quindi, per un senso di solidarietà morale, in logica ed armonica aderenza con l’atteggiamento preso nel Consiglio dei Ministri da me e dagli altri colleghi, senza eccezione, oggi, con un senso di responsabilità che mi si fa più che mai acuto per la visione panoramica che ho del gravissimo momento che attraversiamo, non posso accettare niente che sospenda o differisca la decisione.

Per questo ho domandato, contro forse il mio interesse politico, che alla relazione seguissero subito la discussione e il voto. Non per me: dinanzi ad una questione di fiducia che abbandono totalmente, non chiedo un appoggio dal punto di vista politico del Governo; chiedo che ciascuno assuma le sue responsabilità nella questione morale e nelle conseguenze che la soluzione di questa questione porta naturalmente, perché né io, né altri abbiamo via di scelta, quando si tratta di una questione di coscienza. Mi si può chiedere, infatti, che io rimanga al servizio del Paese nelle più gravi situazioni, anche quando molti componenti dell’Assemblea sono ben felici di non avere le stesse responsabilità che ho io; mi si può chiedere che porti la croce fino all’ultimo, a costo anche di conseguenze disastrose dal punto di vista elettorale (Applausi al centro); tutto mi si può chiedere, ma una cosa sola non mi si può chiedere, ed è che io non agisca secondo la mia profonda coscienza, secondo il mio senso dell’onore e secondo la logica morale della posizione che abbiamo preso finora. (Applausi al centro).

Mi scuserete, egregi colleghi, se trovo superfluo entrare ancora nella questione del merito, dopo le ragioni, addotte pro e contro, da varie parti. Dirò soltanto, poiché mi è stata rivolta anche l’accusa di avere la tendenza a sdrammatizzare, che qui si sono pronunziate grandi parole, si sono fatti grandi paragoni, come se in questo momento noi del Governo democratico potessimo essere sottoposti ad un giudizio di paragone con altri valentuomini di altri tempi. Ora, credo che anche noi abbiamo esempi luminosi che dimostrano come lo spirito di sacrificio sia ancora quello che anima la classe dirigente italiana. (Applausi al centro). Io credo che possiamo sopportare il confronto soprattutto dei venti anni di governo che ci hanno preceduto e credo che l’Assemblea abbia argomenti obiettivi per salvare il suo decoro o salvare anche le leggi della coscienza e dell’onorabilità, giudicando i membri del Governo.

Certamente, se avessimo avuto la forza di superare la nostra lotta politica e se sentissimo davvero la voce di quei milioni di nostri fratelli che ci chiedono soccorso ed aiuto e sentissimo la gravità della situazione che dipende tutta dall’unione e dalla concordia nostra, sia in confronto dell’interno che dell’estero, avremmo sentito il dovere di assumere la corresponsabilità in questa situazione politica generale e, in ogni caso, di non acuire il conflitto in un momento in cui la decisione può essere grave.

Ho compiuto ripetutamente il tentativo di allargare le basi del Governo per dare una base più sicura alla democrazia, alla Repubblica, per salvare soprattutto il popolo italiano nella grande angoscia in cui si trovava, e trarlo dalla minaccia del baratro in cui domani potrà precipitare. Ho la coscienza tranquilla. Ho fatto tutto quello che potevo. Ho fatto appello ai partiti. Non ho mai posta una questione pregiudiziale di carattere di partito per questo appello all’unità. Ed oggi lo rinnovo ancora. Ma vi dico che, contro certe ostinazioni e contro certi calcoli elettorali, non è possibile lottare. (Applausi al centro).

Alquanto diverso è il caso dell’amico Vanoni, nel senso che, almeno per quelle parti di accusa che ci erano note prima che avvenissero le deposizioni presso la Commissione, non si trattava di responsabilità ministeriale, ma della sua attività privata, in un momento in cui non era né deputato, né ministro.

Ora devo dire che ho conosciuto Vanoni durante il periodo clandestino, né prima avevo notizie della sua esistenza che da lontano, avendone sentito parlare come di un grande esperto finanziario e di un perito in materia giuridica ed in materia finanziaria fiscale. Sapevo che era stato per molti anni membro delle Commissioni che dovevano preparare la legislazione, e fui a contatto con lui durante il periodo clandestino, quando era qui ed aveva dovuto distruggere il suo studio e subire gravi perdite (era uno studio che dava lautissimi guadagni, perché egli era consulente di società italiane e straniere che avevano interessi commerciali di grande importanza). Egli si trovava con la famiglia, in condizioni assai precarie, presso un suo cognato. Ho conosciuto Vanoni in quel momento e mi son fatto l’idea di un uomo di rara conoscenza nel campo finanziario. I colleghi, del resto, del Consiglio dei Ministri possono darvene conferma, perché hanno notato l’acutezza delle sue osservazioni, la profondità dei suoi consigli, e quelli che hanno collaborato con lui, sia alla Banca d’Italia che fuori, sanno che nei momenti difficili, uomini di questa preparazione sono assolutamente preziosi.

Ora, quando io gli ho offerto di entrare al Governo, pensavo che fosse l’uomo adatto per darci consigli e notizie che a noi mancavano, perché se tutti fossero come quel tale signore, di cui l’onorevole Giannini l’altro giorno ha detto: «È un uomo intelligente, ma un miserabile, che non è arrivato a farsi una fortuna: fa il fattore, fa il mezzadro (e si riferiva a me)», evidentemente l’esperienza finanziaria può mancare al Governo in certi momenti!

Ora, io ho saputo della liquidazione Vanoni quando se ne sono occupati i giornali. Ma devo osservare una cosa. Vanoni è stato nominato prima dagli alleati dopo la liberazione di Roma, ed è stato confermato da Soleri, il quale si è sempre rifiutato di fissare emolumenti, dicendo che doveva fissarli la Banca. Ad un certo punto, alla chiusura alla sua relazione generale, senza che fosse stata presa alcuna iniziativa, l’assemblea ha fatto una liquidazione, la quale corrispondeva a certi criteri obiettivi statutari. Ha fatto bene o male? È un’altra questione. Non discuto. Ma, certo, non è in causa né il profittantesimo di Vanoni, Deputato o Ministro, perché questa è l’accusa che è partita la prima volta dall’onorevole Finocchiaro Aprile, né, comunque, una sua attività contro il proprio onore per farsi aumentare o diminuire l’indennità.

Ignoravo assolutamente l’importo della sua liquidazione, ma devo stabilire: 1°) che non fu sollecitata; 2°) che fu decisa dalla Banca secondo le sue norme statutarie; 3°) che una parte di essa non fu da lui intascata, il che – a parte che si possa discutere sulla destinazione della somma – è certo una delle prove che egli non è stato così profittatore come diceva l’accusa. Io lo invitai ad entrare nel Ministero soprattutto come tecnico, nell’interesse del Paese. Lo credo anche persona di retta coscienza ed in tutti gli affari di cui ci ha riferito al Consiglio dei Ministri, circa le sue nuove responsabilità ministeriali, abbiamo trovato un uomo che agisce con molta coscienza e soprattutto con molta ponderazione, benché sia notorio che il Ministero in cui si trova è un campo minato. Tante sono le dicerie sulle decisioni che si devono prendere, che nessun Ministro è sfuggito in questi ultimi periodi all’accusa di favorire una parte o l’altra nelle assegnazioni che da quel Ministero sono fatte.

Sugli ordini del giorno mi esprimerò più tardi.

Egregi colleghi, non fo nessun appello: votate secondo coscienza; io agisco secondo la mia. E poiché avete avuto la bontà di attribuirmi purezza di intenzioni nelle prove che ho dato in tutta la vita, voi sapete che avete dinanzi un uomo non attaccato al potere, il quale sarebbe felice se, senza ledere gli interessi del Paese e senza doversene pentire, potesse abbandonare in questo momento questo posto di estremo sacrificio e di estremo rischio. Dico sarebbe felice, ma non lo farà se l’Assemblea vorrà appoggiarlo nei suoi sforzi, e non vorrà imporgli un atteggiamento che manchi alle leggi di probità, di solidarietà e amicizia, che sono sacre. (Vivissimi prolungati applausi).

PRESIDENTE. Comunico che gli ordini del giorno presentati sono i seguenti, fra i quali quello dell’onorevole Grassi in una nuova formulazione:

«L’Assemblea, preso atto della relazione della Commissione degli Undici, passa all’ordine del giorno.

«Corbino, Morelli, Colonna».

«L’Assemblea, approva la relazione della Commissione degli Undici; prende atto che essa ha posto fuori causa l’onorabilità dei Ministri Campilli e Vanoni; e sollecita le misure richieste dalla Commissione per liberare le Amministrazioni dello Stato da ogni residuo del passato ed elevarne il prestigio nella pubblica opinione.

«Grassi».

«L’Assemblea Costituente, preso atto della relazione della Commissione degli Undici, constatato che i Ministri Campilli e Vanoni risultano indenni dalle accuse formulate contro di loro, ma che rimane aperto il problema della responsabilità politica del Governo per i fenomeni di disordine amministrativo e di interferenza politica lamentati nella relazione; invita il Governo ad esaminare quali conseguenze debbano trarsi dalla situazione.

«Codignola, Bassano».

«L’Assemblea, esaminata la Relazione della Commissione, ne rileva la perplessità delle conclusioni e dispone il prosieguo delle indagini.

«Crispo, Badini Confalonieri».

«L’Assemblea prende atto della relazione della Commissione degli Undici, rilevandone lo scrupolo e la moderazione,

e, considerata la gravità dei fatti, afferma la necessità, sopra ogni altra preminente, di restaurare i principî della moralità nella condotta della cosa pubblica, nelle burocrazie ministeriali e, particolarmente, nell’azione di tutti i partiti in specie quando abbiano responsabilità di Governo;

delibera di conferire alla Commissione i poteri giudiziari per l’accertamento delle circostanze rimaste non chiarite nella relazione e per il proseguimento delle sue indagini.

«Grilli, Vigorelli, Cairo».

«L’Assemblea, esaminata la relazione della Commissione degli Undici e poiché dalla relazione stessa emergono indizi contro i Ministri Campilli e Vanoni in ordine ai fatti ad essi attribuiti; manda ad una Commissione d’inchiesta perché proceda con i suoi poteri.

«Mastrojanni, Perugi, Tumminelli, De Falco, Tieri, Capua, Miccolis, La Gravinese Nicola, Lagravinese Pasquale, Venditti, Vilardi, Rodi, Maffioli, Puoti, Rognoni».

Chiedo all’onorevole Presidente del Consiglio di esprimere il suo parere su questi ordini del giorno.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se permettete, dirò la mia opinione sui vari ordini del giorno.

Evidentemente, per le ragioni dette prima, non posso accettare l’ordine del giorno Crispo, che domanda la prosecuzione delle indagini dichiarando insufficienti le conclusioni della Commissione.

Posso accettare la prima parte dell’ordine del giorno Codignola, la quale constata che «i Ministri Campilli e Vanoni risultano indenni dalle accuse formulate contro di loro».

La seconda parte, nella quale si dice che «rimane aperto il problema della responsabilità politica del Governo» non la posso accettare, perché implica un atteggiamento di carattere negativo.

L’ordine del giorno Corbino è anodino: non dice niente (Si ride). Forse nelle sue intenzioni dice qualche cosa, ma letteralmente non dice niente. Il passaggio all’ordine del giorno si potrebbe accettare se questa discussione non avesse messo in luce che le formule della Commissione sono diversamente interpretate.

Non posso accettare l’inchiesta parlamentare che si chiede nell’ordine del giorno Mastrojanni. Il Governo che accetta un’inchiesta parlamentare evidentemente non può essere che un Governo che non sta al suo posto.

Non posso accettare nemmeno il drammatico ordine del giorno dell’onorevole Grilli. E a questo proposito mi pare che è stato proprio egli che ha dato grande rilievo ad un’osservazione della Commissione, che non si fosse trovato chi aveva redatto l’ordine telegrafico. È bastata stamane una telefonata perché si venisse a sapere chi lo ha compilato.

PERTINI. Marzano l’ha sempre negato dinanzi a noi. Perché non l’ha detto? (Vivaci commenti – Rumori).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. A questo riguardo, devo osservare – l’abbiamo detto altre volte, ma bisogna ripeterlo – che noi, come Governo, abbiamo l’obbligo di cercare e vigilare, più che possibile, sopra l’onorabilità dei nostri funzionari. Questo è stato fatto in misura che nessun altro Governo ha fatto.

I miei colleghi possono dire che in ogni Dicastero si sono prese misure, e delle più gravi, che ho citato altre volte.

Abbiamo dato la sensazione che vogliamo, e possiamo e sappiamo fare in questa materia.

Però, devo aggiungere: credo non sia intenzione dell’Assemblea di lasciare che pesi, oltre che sul Governo, sulla burocrazia il sospetto che si tratti nella maggioranza di gente che debba essere vigilata, perché non si lasci corrompere.

Altra volta io non mi son lasciato sfuggire l’occasione – e lo ha fatto anche il Ministro Scoccimarro – per dichiarare che la maggior parte dei funzionari è costituita da persone onorate, che resistono a tutte le tentazioni da parte dei corruttori, i quali appartengono a ben altre categorie. Ed io in questo momento ho il dovere di dire: non generalizziamo; il Governo sa, in via di massima, di avere al suo servizio una burocrazia onesta, la quale non sarà all’altezza in tutti i suoi compiti perché purtroppo, attraverso il ventennio fascista, anche la qualità è venuta a scarseggiare, ma che merita il nostro rispetto e lavora in condizioni difficili. (Approvazioni).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi sono deciso all’ultimo momento a presentare il mio ordine del giorno, che – a giudizio dell’onorevole Presidente del Consiglio – non dice niente. Io penso – dal momento che il Governo ha dichiarato di non voler fare una questione di fiducia politica – che forse su questo ordine del giorno potremmo raggiungere l’unanimità; mentre sugli altri ordini del giorno, o da una parte o dall’altra, vi sono delle perplessità, e delle riserve che non vanno riferite alle persone dei due Ministri Campilli e Vanoni. Io devo, infatti, constatare che tutti gli oratori hanno detto che nella relazione c’è tanto da poter ritenere questi due Ministri come esenti da qualsiasi ombra di rimprovero per quella che è stata l’origine della inchiesta. Vi sono delle altre ombre che vanno al di là della loro persona; ma la loro persona a mio giudizio è fuori causa, e, mentre all’inizio della seduta un ordine del giorno puro e semplice non sarebbe stato conveniente, dopo che tutti hanno parlato e per il modo con cui hanno parlato, l’ordine del giorno puro e semplice potrebbe chiudere ottimamente una discussione, nella quale vi è un fondo politico.

È bene che noi su questo punto si parli chiaro; perché noi non vogliamo la crisi. Lo creda pure il Presidente del Consiglio, che nessuno di noi è desideroso di prendere la sedia coi chiodi sulla quale egli in questo momento è seduto.

DE GASPERI, Presidente del Consiglia dei Ministri. Lo so bene.

CORBINO. Quindi non si tratta di crisi, ma di rafforzare l’autorità ed il prestigio dello Stato.

Io mi domando (ed è un quesito che mi sono posto durante tutta la giornata) se la nostra discussione oggi sarebbe stata diversa qualora i due Ministri Campilli e Vanoni, invece di essere ancora Ministri, fossero stati due semplici Deputati. Ed io mi domando se nel voto che noi andremo a prendere non vi sia l’influenza di qualche cosa che sta dentro di noi, ma che probabilmente ciascuno di noi avrebbe timore di dire. Io personalmente sono disposto a dire a Campilli e Vanoni: voi uscite bene da questa inchiesta, ma tutti saremmo disposti a dirlo più nettamente se avessimo la certezza che domani essi non saranno più al banco del Governo. Io sono abituato a dire le cose chiare come le penso e non ho bisogno di mandarle a dire, mi sono riferito a questa certezza non perché io non li reputi adatti a stare a quel posto anche dal punto di vista morale, ma perché io ritengo che quando si sta a quel posto, uscendo da una situazione come quella dalla quale essi escono, sarebbe nell’interesse del Governo che loro per i primi dicessero: abbiate pazienza, noi siamo stati riconosciuti uomini d’onore, ma uomini di Governo in questo momento non vogliamo essere più. Così io vedo il problema, che diventa quindi problema di solidarietà politica ministeriale, e un problema di solidarietà politica nell’Assemblea. Ma mi consenta il Presidente del Consiglio di rilevare che la solidarietà politica ministeriale non ha trovato la sua eco nella solidarietà politica dell’Assemblea, perché da questi banchi hanno parlato gli esponenti dell’opposizione, hanno parlato gli esponenti della Democrazia cristiana, ma gli esponenti degli altri due gruppi che sono al Governo non hanno parlato. (Approvazioni).

Ed allora io mi domando: che cosa c’è sotto a questo silenzio dal punto di vista politico? Perché la solidarietà di partito che avvertono i colleghi della Democrazia cristiana verso i loro colleghi di Gabinetto non si estende alla solidarietà politica dei tre partiti che formano il Governo dentro l’Assemblea? Noi fino a questo momento non sappiamo, per voci autorizzate di questi partiti, se, di fronte all’ordine del giorno Grassi, saremo soli a votare a favore o contro, o con noi ci saranno anche altri gruppi o se in questi gruppi, non ci sarà quella disciplina che talvolta si osserva in occasioni di minore portata politica. Ecco il dubbio che ciascuno di noi ha in questo momento.

Ho parlato con franchezza, con quella rudezza che, a mio giudizio, era necessaria per esporvi – per lo meno – la mia crisi di coscienza, che forse non è soltanto mia, ma è crisi di coscienza di molti, e che nasce dal fatto che in molti di noi c’è stima per i colleghi che hanno subito questo infortunio – come se ne subiscono tanti nella vita politica – c’è stima per i colleghi della Commissione che si sono cavati da un compito estremamente difficile e delicato, non soltanto per i suoi aspetti tecnici, ma anche per il substrato politico che tutti abbiamo sentito e che oggi è qui affiorato. Di fronte a tutto ciò io mi domando se non convenga al Governo di accettare il mio ordine del giorno.

Io non intendo premere: sarebbe, forse, questa la maniera migliore di uscirne e non ne deriverebbe quel disastro politico al quale ha accennato il Presidente del Consiglio, perché, in sostanza, la solidarietà ministeriale non potrebbe legare le persone dell’onorevole De Gasperi e dei suoi colleghi tutti di gabinetto, con gli altri due, fino al punto da doverli tenere per forza al banco del Governo.

Ad ogni modo, per risparmiarmi una dichiarazione di voto, nel caso in cui il mio ordine del giorno fosse respinto, io dichiaro che sull’ordine del giorno Grassi – che è stato accettato dal Governo – mi asterrò dalla votazione. Mi asterrò allontanandomi, per la prima volta, dal mio atteggiamento netto in materia politica; mi asterrò perché intendo dare un «sì» all’ordine del giorno Grassi per quello che concerne le persone dei Ministri Campilli e Vanoni, come risultato della indagine fatta dalla Commissione; ma dovrei votare « no » perché, altrimenti, io darei un significato di fiducia al Governo che, per le ragioni che ho detto, che escono dal campo morale per entrare nel campo politico, io in questo momento non mi sentirei di dare.

Su questa posizione ho l’impressione che molti amici dell’Assemblea potrebbero addivenire a seguirmi.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. L’onorevole Corbino, nella sua dichiarazione di voto, si è posto una domanda, una domanda che mi sembra stia diventando di moda, quando si parla dei paratiti che siedono in questi settori dell’Assemblea, e particolarmente del nostro Partito, si è chiesto: che cosa c’è sotto? Che cosa c’è sotto, cioè, al fatto che rappresentanti del nostro Partito non hanno parlato, fino ad ora, nel dibattito che qui si è svolto.

Onorevoli colleghi, non avevamo nessun motivo per parlare. Il dibattito ha preso qui, infatti, un carattere quasi giudiziario. Ma qui non siamo in un’aula giudiziaria; qui non siamo in tribunale, onorevole Venditti, non siamo né in Assise né in Pretura, onorevole Crispo! L’organismo giudiziario, in questo caso, c’è già stato; il dibattito a tipo giudiziario ha già avuto luogo, ed ha avuto luogo precisamente in seno alla Commissione degli Undici, dove siede il nostro rappresentante insieme ai rappresentanti di tutte le altre parti dell’Assemblea. Quello era il luogo, ed è stato il luogo, del dibattito di tipo giudiziario. Noi ora ci troviamo di fronte al risultato di questo dibattito, risultato che è, si potrebbe dire, una sentenza. La Commissione ci rappresenta, ci rappresenta tutti, ed è, in sostanza, l’Assemblea stessa come organismo giudicante delle questioni che le sono state sottoposte. Avendo letto la sentenza da essa emessa, non abbiamo trovato nessun motivo per infirmarla o discuterla. Abbiamo ritenuto e riteniamo che la sentenza sia giusta e come tale la accogliamo. Per questo, non avevamo nessun motivo e nessuno interesse per intervenire nel dibattito a tipo giudiziario che qui si è svolto nel pomeriggio. Possiamo, quindi, limitarci a fare uria dichiarazione di voto. E poiché, come ho detto, accettiamo il giudizio, lo facciamo nostro, ed esso è, anzi, nostro per il modo stesso come è stato elaborato, accettiamo quell’ordine del giorno il quale dice questo in modo esplicito, e lo accoglie in tutte le sue parti. Poiché, infine, in questo giudizio esiste una esplicita dichiarazione, nella quale si scagionano i Ministri Campilli e Vanoni per le accuse che loro erano state fatte, è evidente che anche questa parte della sentenza l’approviamo.

L’onorevole De Gasperi ha posto la questione della onorabilità dei Ministri e dell’esplicito riconoscimento di essa. È giusto. È giusto porre questa questione come Governo, in quanto questa fiducia reciproca è condizione stessa, elementare, dell’esistenza di un governo. È giusto anche per quello che si è detto, che i Ministri devono essere come la moglie di Cesare. Anzi, è da augurarsi che questa massima valga non solo per Cesare, per i Ministri e per le loro mogli, ma anche per tutti i membri della famiglia dei Ministri stessi. (Ilarità). Tutti dovrebbero essere così. Tutti dovrebbero esser tali che non si possa avere contro di loro nessun sospetto.

Accettiamo quindi, ripeto, quell’ordine del giorno dove queste cose vengono dette in modo esplicito, e accettiamo l’ordine del giorno Grassi, perché la sua formula è la più ampia.

L’onorevole Corbino, ha però voluto fare, mi sembra, una questione di politica e di Governo. A questo proposito ritengo abbia fatto bene l’onorevole Presidente del Consiglio a non porre la questione di fiducia ed a porre invece un problema più generale, come è detto nella formulazione dell’ordine del giorno che noi accettiamo. E, del resto, l’onorevole Corbino è sceso sul terreno della politica in modo assai curioso, perché, in fondo, ha detto che egli approverebbe, che sarebbe d’accordo di dire di sì, per quello che si riferisce al riconoscimento della onorabilità dei due Ministri; però non lo può dire, perché dirà sì anche questo nostro settore dell’Assemblea.

CORBINO. No, non è questo.

TOGLIATTI. Così ho inteso e così credo che abbiano inteso almeno una gran parte dei miei colleghi.

Noi invece diciamo sì non soltanto per motivi politici, ma diciamo sì perché crediamo alla onorabilità di questi Ministri, e perché la Commissione stessa ci ha dato gli elementi sulla base dei quali dobbiamo credervi. Vorremmo inoltre che questo fosse un voto non solo di quei partiti che appoggiano il Governo, ma di tutti i partiti.

In realtà, e in questo riconosco che ha ragione l’onorevole Corbino, ci troviamo qui di fronte a questioni molto più larghe che investono problemi molto più profondi.

Prima di tutto non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà che in alcuni settori delle Amministrazioni dello Stato vi è qualche cosa che non va, residuo del passato e di un duplice passato. Vi è il passato fascista di corruzione e degenerazione del costume amministrativo italiano; ma vi è anche un passato molto più recente. Sono passati sul nostro territorio e hanno retto tutto il nostro Paese eserciti non nazionali. Vi sono state a lungo in tutta Italia amministrazioni straniere e non oserei dire che queste amministrazioni, soprattutto in particolari parti del nostro Paese, abbiano contribuito per il modo come amministravano a distruggere tra i cittadini italiani l’opinione che il sistema delle mance è un sistema arretrato, incivile, antidemocratico, che deve essere abbandonato. Questo duplice passato di corruzione non lo dobbiamo dimenticare. Esso ha lasciato tracce profonde in fenomeni che dobbiamo combattere con tutte le forze nostre, anche se questo richieda tempo, energia e sacrificio.

Del sistema dei controlli sull’Amministrazione ho parlato in altra sede. Esso pure non va, perché i cosiddetti organismi di controllo sono troppo lontani dal funzionamento immediato delle amministrazioni, e male orientati nel loro lavoro. Vi sono organismi di controllo cosiddetto finanziario che si occupano soltanto di mettere impacci all’attività di quei Ministri che vorrebbero amministrare in modo più moderno e prendere le misure richieste dalle condizioni della nostra economia e della nostra finanza. Altri organismi di controllo perdono il loro tempo a rivedere le sentenze di epurazione. Il sistema dei controlli, quindi, non va e sarà questa una delle questioni più gravi che dovremo affrontare in questa Assemblea e nelle future Assemblee legislative, per stabilire un sistema di controlli sull’amministrazione per cui i cittadini possano acquistare piena coscienza che l’amministrazione è onesta, e avere piena fiducia in essa.

Nelle condizioni attuali, se si vuole che l’amministrazione sia ben diretta e funzioni bene, non vi è che una strada: bisogna scegliere bene gli uomini che poniamo alla testa delle amministrazioni, cioè i Ministri; non gravarli di eccessivo lavoro e di eccessiva responsabilità, dirigerli bene e controllarli attraverso il Governo stesso.

Ma oltre a questo vi è un secondo gruppo di questioni strettamente politiche che il nostro dibattito solleva. Mi scusi, onorevole Corbino, se mi rivolgo a lei, ma ella è il solo che sinora ha fatto una dichiarazione di voto ed ha accennato a crisi di Governo, asserendo di non avere nessuna intenzione di aprirne una, dicendo anzi che è lungi da lei l’intenzione di andare a sedere su quella sedia su cui siede oggi l’onorevole De Gasperi.

CORBINO. Sarebbe troppo grossa!

TOGLIATTI. È probabile che le cose stiano così, per quello che riguarda le sue intenzioni personali; non è vero però che non vi siano forze politiche le quali sarebbero molto contente che vi fosse in Italia una crisi di Governo ogni due o tre mesi, perché questo servirebbe soprattutto a screditare la democrazia, e si tratta precisamente di forze politiche che hanno tutto l’interesse al discredito della democrazia, di gruppi sociali e politici, i quali non vogliono che un regime democratico repubblicano si rafforzi, che metta salde radici nella realtà della vita nazionale o nella coscienza del popolo. Di qui derivano anche, almeno per una parte, le campagne di voci, di scandali, come quelle che hanno dato luogo all’inchiesta che si è conclusa con la sentenza che sta davanti a noi.

Sappiamo benissimo chi muove le molle di queste campagne, e con quali intenzioni esse vengono condotte. Vi è qualcuno che non si adatta al fatto che l’Italia sia diventata un regime democratico e repubblicano; vi è qualcuno che non si adatta alla convinzione che la tirannide fascista l’abbiamo distrutta e seppellita per sempre e cerca tutte le strade per riuscire, screditando la democrazia, a creare situazioni in cui spera di poter ancora una volta giocare delle carte analoghe a quelle del passato.

Alle volte, quando leggo i giornali pieni di articoli, di titoli vistosi, ecc., che suonano continuo attacco alla democrazia, sono preso dalla tentazione di fare la proposta che siano ammesse le rivelazioni e campagne scandalistiche soltanto da parte di coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare gli scandali del regime fascista quando essi erano in atto. Invece in questi Popoli d’Italia – scusate, in queste Ore d’Italia – che escono adesso (ma è la stessa cosa) o negli altri giornali di questo genere, scrivono uomini, i quali oggi si atteggiano a denunciatori delle malefatte del regime democratico, ma ieri si prosternavano ai piedi di uno Starace, di un Turati Augusto, e peggio ancora, e sarebbero molto contenti domani di ripetere analoghe funzioni e a quelle situazioni vorrebbero spingerci di nuovo. Non possiamo quindi che essere guardinghi e dire a tutto il popolo di stare attento.

Lottiamo per risanare la nostra Amministrazione, lottiamo contro ogni sintomo o apparenza di corruzione, ma teniamo gli occhi aperti contro i pericoli che minacciano il regime democratico. Lottiamo con fiducia reciproca, fra di noi che siamo democratici, fra di noi che vogliamo la rinascita del nostro Paese e il suo rinnovamento profondo. Collaboriamo per rinnovare il Paese. Non si tratta, onorevole De Gasperi, di portare una croce. Per chi ha la fiducia del popolo e ha fiducia nel popolo, il potere non è una croce. Bisogna però sapersela guadagnare la fiducia del popolo, e sapersela mantenere. Allora si può andare avanti con tranquillità, correggere gli sbagli, e gli errori, e lavorare tutti insieme per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e repubblicane.

Onorevoli colleghi, è per questi motivi e con questo spirito che il Gruppo parlamentare comunista voterà compatto e disciplinato per l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Grassi. (Applausi a sinistra).

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, il Gruppo parlamentare socialista non aveva nessun motivo di intervenire in questo dibattito, giacché quando è stata comunicata all’Assemblea la relazione della Commissione degli Undici, ha espressamente domandato che nessuna discussione su di essa si aprisse, e che l’Assemblea si limitasse a prenderne atto.

Non ho l’impressione che la discussione di oggi abbia aggiunto qualche cosa di utile ai lavori ed alle conclusioni della Commissione.

Noi siamo questa sera esattamente al punto in cui eravamo allorché il Presidente della Commissione degli Undici dette comunicazione di quella che è stata chiamata una sentenza; e noi potevamo quindi allora – e lo avremmo potuto oggi – limitarci a prendere atto della sentenza. In questo senso, l’ordine del giorno puro e semplice che era stato da noi suggerito, che è stato qualche istante fa proposto dall’onorevole Corbino, ci appariva come la conclusione adeguata ai lavori della Commissione, all’atmosfera dell’Assemblea e alle esigenze del Paese.

Il Presidente del Consiglio non ha accettato l’ordine del giorno puro e semplice, per le considerazioni che ha esposto pochi minuti fa e che si riferiscono alle interpretazioni diverse e contraddittorie che sono state date alla relazione della Commissione.

L’ordine del giorno dell’onorevole Grassi, che il Governo ha accettato, agli occhi nostri non è che una parafrasi delle conclusioni a cui è arrivata la Commissione degli Undici. A nostra richiesta esso premette l’approvazione della relazione degli Undici, il che era indispensabile, dopo le critiche incaute che da taluni banchi e da taluni giornali sono state mosse alla relazione stessa; prende atto che la Commissione non ha trovato, nel corso delle sue indagini, motivo alcuno per approvare o valorizzare le accuse d’ordine morale mosse a due Ministri dell’attuale Gabinetto; ribadisce la richiesta formulata dalla Commissione circa la necessità di misure tendenti a risanare l’atmosfera delle pubbliche amministrazioni.

Da un punto di vista strettamente logico, non vi è differenza fra l’ordine del giorno puro e semplice da noi suggerito e dall’onorevole Corbino proposto, e l’ordine del giorno dell’onorevole Grassi. Siamo sempre sul terreno della approvazione dell’opera svolta dalla Commissione e delle conclusioni a cui essa è pervenuta, senza sconfinamenti nel campo politico.

Tale sconfinamento è implicito invece nelle parole dell’onorevole Corbino e nell’atteggiamento di alcuni gruppi dell’Assemblea, che si sono spostati sul terreno della fiducia o della sfiducia nel Governo. Noi socialisti pensiamo che se una crisi ci deve essere, essa deve avvenire sul solido terreno del programma che il Governo ha esposto nelle ultime settimane e degli atti che il Governo ha compiuto e sta compiendo nella lotta diretta contro l’inflazione, e che, secondo noi, va diretta con pari energia anche contro la miseria.

Allorché si discuteranno questi che sono i due fondamentali problemi del Paese, entreremo in pieno in un dibattito di natura politica. Oggi non abbiamo che da accogliere le conclusioni oneste, serene, imparziali, della Commissione degli Undici.

Per queste ragioni noi voteremo l’ordine del giorno Grassi. (Applausi a sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi. Il Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque voterà contro l’ordine del giorno Grassi. Ma sia ben chiaro che, votando contro l’ordine del giorno Grassi, noi non intendiamo votare contro le fatiche della Commissione, di cui ringraziamo l’illustre Presidente e i componenti. Noi votiamo contro l’ordine del giorno Grassi perché quell’ordine del giorno implica la fiducia nel Governo.

È bene, a questo punto, che da parte nostra si faccia un’altra dichiarazione. Questo nostro atto, questo nostro voto contrario, non è un episodio della nostra lotta contro la Democrazia cristiana, che noi combattiamo, e continueremo a combattere, ma non su questo bensì su altro terreno, più degno, che può onorare l’uno e l’altro partito.

Noi non dimentichiamo che in Italia c’è stata una lunga guerra civile, oltre a una lunga e disastrosa guerra militare, e ci rendiamo conto di tutte le tragedie, e purtroppo anche di tutte le farse a cui può aver dato luogo…

Una voce a sinistra. E anche epopea!

GIANNINI. E anche epopea, a cui abbiamo partecipato col sangue dei nostri cari, senza contare le epopee precedenti alle quali abbiamo partecipato con onore, personalmente.

Voglio dire che noi non prescindiamo dall’inevitabile disordine degli animi e delle cose. Ma non possiamo dimenticare nemmeno questo fatto: noi abbiamo chiesto, noi che abbiamo avuto esperienza dal fascismo molto più viva, perché ci abbiamo vissuto, noi abbiamo chiesto che si finisse, man mano che finiva la guerra militare, man mano che finiva la guerra civile, che si smettesse, che ci si togliesse la bardatura guerresca, questo disciplinamento di tutte le attività commerciali, industriali, perfino artistiche del popolo italiano, regolate da un Governo centralizzato, il quale va diventando sempre più una spaventosa piovra che abbraccia e soffoca tutto il Paese.

Questo noi abbiamo chiesto. Noi deploriamo non la persona del Ministro Campilli, la cui posizione finanziaria e la cui onorabilità personale sono tali da non autorizzare il sospetto che egli possa aver voluto fare un aggiotaggio in borsa per guadagnare pochi milioni (Si ride) che a lui non servono. Questa accusa poteva essere fatta a me o all’onorevole Togliatti, che si proclama povero! (Si ride).

Noi deploriamo che viga un sistema di Governo per cui un Ministro del tesoro o un suo funzionario, con un semplice telegramma, possano scombussolare la vita delle Borse; è questo accentramento, è questa centralizzazione, è questo far dipendere tutta la Nazione da un palazzo, e magari da una stanza di questo palazzo, e magari da una scrivania in questa stanza, che noi respingiamo. Ed è questo contro cui noi votiamo, votando contro l’ordine del giorno dell’onorevole Grassi. (Commenti Si ride).

Onorevoli colleghi, io vi ringrazio della vostra ilarità, ma non credevo di star dicendo cose spiritose.

Ho davanti un giornale non sospetto, diretto dal mio fiero avversario Umberto Calosso. Leggo su questo giornale un titolo: «Una licenza d’importazione per 200 mila quintali di zucchero dal Perù concessa in 24 ore a un consorzio che aveva una settimana di vita e soltanto 50.000 lire di capitale».

Non ho letto l’articolo, quindi non sono in grado di giudicarlo; ma quello che so è che per importare dal Perù 200 mila quintali di zucchero occorre un permesso. È un regime nel quale per tutto occorre il permesso, porta fatalmente al commercio dei permessi.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha fatto le lodi della burocrazia italiana. Io mi permetto di ricordargli che le ho fatte anch’io. Ma è certo che quando si danno 25, 26, 27 mila 733 lire al mese a un funzionario, non si ha il diritto di lasciargli amministrare miliardi e pretendere ch’egli abbia un cuore di diamante e non tocchi ciò che potrebbe toccare. È un assurdo. Con questo sistema di centralizzazione noi mettiamo della povera gente, il più delle volte ignara dei grandi affari, il più delle volte incapace non dico di farli, ma di concepirli, alla mercé degli speculatori che gli affari li fanno e devono farli, e fanno bene a farli perché una nazione di affari vive. Ma mettendo questa ignara burocrazia alla testa di affari così importanti, noi finiamo in sostanza col tenere tutto il Paese prigioniero di questi affari. Sia dunque ben chiaro il significato del nostro voto contrario. Noi non vogliamo approfittare d’una circostanza non felice per danneggiare avversari politici; intendiamo solo portare qui, ancora una volta, la protesta dell’Uomo e della Donna qualunque d’Italia contro lo Stato politico, accentratore e fatalmente totalitario. (Applausi a destra).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io spero che questa discussione finisca al più presto. Troppi hanno parlato. L’onorevole Presidente del Consiglio ha voluto oggi riconoscere e dichiarare l’estrema gravità della situazione attuale dell’Italia. Troppe volte io l’ho detto, e sono stato inascoltato, che si andava verso una situazione fallimentare la quale, mi dispiace dirlo, è ancora più grave di quella che l’onorevole De Gasperi vede.

In questa situazione, non abbiamo tempo da perdere, almeno per i provvedimenti più urgenti. Due mesi si sono perduti per adottare una qualsiasi politica finanziaria, che riguardasse almeno i provvedimenti di urgenza.

Mi dispiace che non si faccia una politica di resistenza, una qualsiasi politica, e che l’onorevole Campilli, che ha intelligenza e col quale avevo voluto discutere spesso dei possibili rimedi, non abbia potuto dedicare le sue forze a quello che doveva essere lo scopo principale della sua attività in questo torbido periodo.

Sono stato Ministro del tesoro in ore difficili, e so cosa vuol dire il Tesoro in un momento come questo. Mi auguro che l’onorevole Campilli riprenda il suo posto con coraggio. Non seguo l’onorevole Corbino nell’augurio gentile che l’onorevole Campilli accetti egli stesso il suo sacrificio non necessario. (Approvazioni).

Non ammetto tutti i discorsi catastrofici che ho udito sui suicidi che si sono fatti in altri tempi, sugli uomini che si sono sacrificati perché non sono stati riconosciuti virtuosi. Se la colpa non è provata non vi sono sacrifici necessari: cerchiamo di vivere con volontà di vivere. (Approvazioni).

Approvo dunque l’ordine del giorno del mio collega Grassi, soprattutto – bisogna dichiararlo lealmente – perché non implica la fiducia nel Governo.

Non è questo il momento, e lo stesso onorevole De Gasperi l’ha riconosciuto, in cui possano chiedersi su una questione simile voti di fiducia. Noi vogliamo votare esclusivamente sulle questioni che ci sono state prospettate, e che abbiamo già troppo a lungo discusso.

Non possiamo continuare dunque a fare discorsi inutili, mentre situazioni gravissime e urgenti richiedono tutta la nostra attenzione.

Se questa Assemblea vuole ancora la fiducia del Paese, ricordi che questa fiducia può averla a condizione che non si separi dalla realtà.

Voto dunque l’ordine del giorno Grassi e sarò lieto di ogni cosa che si indirizzi verso la realtà. Ma trovo orribile che in materia simile si parli di crisi. Le crisi io le ho sempre temute, perché ad ogni crisi ho sempre veduto un Ministero peggiore del precedente. (Si ride – Commenti). Crisi non si possono fare decentemente se non per contrapporre un programma a un altro, l’opera di un Governo a quella di un altro in cui non si ha fiducia. Quindi non sono fautore di crisi determinate da malcontenti o da gelosie ed equivoci. Bisogna che l’Italia si renda conto del pericolo in cui vive e l’Assemblea compia il suo dovere sollecitamente e riprenda il suo lavoro. (Applausi).

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Onorevoli colleghi, avevo deliberato di intervenire nella discussione, poi vi ho rinunciato, limitandomi ad una telegrafica dichiarazione di voto, perché avevo pensato, anzi sperato, di intervenire in una diversa atmosfera. Mi ero illuso che, esaminata attentamente e serenamente la relazione della Commissione degli Undici, vi dovesse essere unanimità nel constatare che erano state dichiarate e dimostrate infondate le accuse mosse ai due uomini di Governo. Questo invece non è stato, perché vari oratori hanno dichiarato di non ritenere che le conclusioni della Commissione d’inchiesta significhino pieno esonero di responsabilità dei due Ministri.

Nulla ho a dire sulle opinioni divergenti espresse da questi colleghi. Un rilievo però devo fare che mi lascia perplesso.

Comprendo che in materia di valutazione morale, e non politica, diverse possono essere le opinioni; ma ciò che mi lascia perplesso è questo: che le diversità di opinioni si siano concentrate in determinati gruppi politici. La serenità del giudizio non fu turbata dalla passione politica?

Perciò, dopo gli interventi dei miei amici di Gruppo, devo limitarmi a dichiarare che il Gruppo della democrazia cristiana voterà l’ordine del giorno Grassi.

Mi sia consentito un rilievo ad osservazioni fatte da qualche oratore.

Il rilievo è questo: che questa nostra giovane Assemblea, che questa nostra giovane democrazia, messa dalla sorte ad una nuova e difficile prova, quando, come in altri Parlamenti del passato, si è sollevata una questione morale, ha dimostrato di saper vincere la prova. Se, di fronte alla esplosione improvvisa e, vorrei dire, brutale, delle accuse, poté avere qualche momento di sbandamento e di smarrimento, seppero, poi, questa nostra Assemblea e questo mio Partito, che delle accuse era fatto bersaglio, trovare la via giusta e maestra.

La giovane democrazia seppe dimostrare che, per una superiore esigenza di moralità e di giustizia, passava sopra anche ad eccezioni ed a questioni di forma, che avrebbero potuto essere legittimamente fatte, perché anche la forma è tutela e garanzia di giustizia; vi passava sopra, perché nella grande aria della libera discussione tutti i fatti fossero conosciuti e giudicati.

Questo torna ad onore del nuovo regime.

E, per concludere, lasciate che mi riferisca ad un recente ricordo. Io ebbi l’onore di far parte della Commissione che si occupò dell’incidente Finocchiaro Aprile-Parri. Se non ricordo male, fu proprio l’onorevole Parri, che, davanti alla Commissione, con parola accorata, fece il rilievo della triste condizione in cui si trovava l’uomo onesto, che si vedeva fatto bersaglio di accuse sfornite di qualsiasi elemento di prova, al punto da rendere difficile, quasi impossibile, l’esercizio del diritto alla difesa.

Egli rilevò, questa triste psicologia del nostro popolo, che presta facile, direi avido, orecchio alle accuse, anche le più assurde ed infamanti, ed esercita poi il più ostinato scetticismo ed il più sottile ingegno nel porre in dubbio le affermazioni dell’uomo che si difende.

Cosicché – triste constatazione – si può dire che oggi in Italia vi sia la presunzione che gli uomini e, specialmente, gli uomini che coprono alti uffici pubblici, siano disonesti. Questo è un triste retaggio di secoli di servitù nostrana e straniera. Perché, dove manca la libertà, ivi alligna il sospetto, alligna la vociferazione malevola, che sono, in fondo, la spontanea reazione dell’intimo senso di giustizia, che è in tutti gli uomini. Dove, invece, è regime di libertà, questo malcostume deve essere sradicato.

Ritengo che la conclusione, su cui tutti siamo concordi, sia questa: di trarre da questo triste episodio l’augurio che esso dimostri al popolo come in libero reggimento vi sia libertà, la più ampia, di conoscere, vagliare e giudicare i fatti. Così, io credo, noi potremo concorrere validamente alla ricostruzione morale dell’anima italiana. (Applausi al centro).

(La seduta, sospesa alle 21.5, è ripresa alle 21.20).

PACCIARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Onorevoli colleghi, il Gruppo repubblicano non ha partecipato a questa penosa discussione e non ha nemmeno presentato ordini del giorno.

D’altra parte, dinanzi al necessario ed inevitabile schieramento dei Gruppi, ci è sembrato che non fosse nella nostra tradizione rinchiuderci nel silenzio.

Noi da questi banchi, tradizionalmente, per questioni morali abbiamo sempre preso una posizione, come si dice, di punta. Oggi non nascondiamo le nostre perplessità. Sappiamo anche noi che queste campagne, molto spesso, sono alimentate da coloro che le muovono senza vere preoccupazioni morali, ma con preoccupazioni di altra matura.

D’altra parte, quando l’onorevole Finocchiaro Aprile ha mosso indiscriminatamente molti attacchi a personalità di questa Assemblea, abbiamo avuto occasione di deplorare la facilità con cui questi attacchi venivano mossi, e abbiamo anche noi solidarizzato, vivamente, affettuosamente con qualcuno che era stato dall’onorevole Finocchiaro Aprile ingiustamente attaccato.

Siamo perplessi anche per i riflessi personali che giudizi di questo genere hanno verso colleghi coi quali intratteniamo rapporti di cordialità, e con alcuni di essi, di fraternità.

Direi anche che, se dovessimo limitarci ad approvare la relazione, l’approveremmo senz’altro; se dovessimo anche dare un giudizio di carattere personale, sulla onorabilità dei Ministri che la relazione degli Undici ha giudicato, non dovremmo che seguire le orme della relazione, cioè pel senso che è stato dalla relazione ammesso per le accuse specifiche dell’onorevole Finocchiaro Aprile verso il Ministro Campilli specialmente, perché le accuse del Vanoni sono state provate, ma egli non era ancora Ministro, né Deputato quando compiva quegli atti dall’onorevole Finocchiaro Aprile rimproverati; se dovessimo limitarci ad approvare la relazione anche per questa parte personale, non avremmo nessuna difficoltà. Ma, secondo noi, la relazione va approvata nella sua integrità, con le sue circonlocuzioni volute, con le sue ombre volute, con le sue considerazioni volute, con le sue perplessità volute. E noi siamo in uno stato d’animo di perplessità che vi confessiamo, onorevoli colleghi; ed è per questo che ci asterremo dal voto sull’ordine del giorno che il Governo ha accettato.

Le perplessità derivano più dai contorni che dai fatti. È innegabile che non possiamo non essere accorati da un sistema che si è andato diffondendo; non è lecito che si diano – profittando del Governo e delle funzioni di Governo – dei canonicati di cui profittano i partiti politici. Non è lecito che dei familiari di Ministri siano, direttamente o indirettamente, mescolati in un affare di Stato, e non è lecito che nell’Amministrazione dello Stato vi siano ancora uomini che agiscono per proprio conto e in un modo sospetto. Noi abbiamo sempre, sin dall’inizio, anche quando facevamo parte del Governo, preso posizione per la moralità nell’Amministrazione dello Stato, ed è indubbio che la relazione su questo punto non possa non riflettere lo stato d’animo del Paese, che è veramente disorientato dinnanzi alla perpetuazione di sistemi che abbiamo ereditato da regimi che devono essere scomparsi per sempre e che non si devono proiettare, in questa delicata materia, nelle loro più facinorose ed anche più obbrobriose manifestazioni.

È per questo stato d’animo di perplessità, onorevoli signori del Governo, senza dare in questa sede il significato di sfiducia al nostro voto, perché il Governo non ha posto la questione di fiducia; senza dare neanche a questo voto un significato di condanna ai colleghi del Governo che sono stati sottoposti al giudizio della Commissione, ma di condanna esplicita, invece, verso questi sistemi dell’Amministrazione, che devono scomparire per sempre, è per questo stato d’animo che ci asterremo dal voto sull’ordine del giorno che il Governo ha accettato.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Anche il nostro Gruppo si asterrà dal voto sull’ordine del giorno Grassi, per ragioni almeno parzialmente diverse da quelle espresse poc’anzi dall’onorevole Pacciardi.

Noi pensiamo che votando contro l’ordine del giorno Grassi daremmo l’impressione che restiamo perplessi sul valore della sentenza emessa dalla Commissione nei riguardi personali dei due Ministri, mentre teniamo a confermare che accettiamo la dichiarazione, secondo la quale l’onorabilità personale dei due Ministri è per noi fuori causa. Tuttavia votando a favore noi pensiamo che daremmo in sostanza un voto di fiducia al Governo e voteremmo un ordine del giorno che non tiene conto dell’esigenza di un intervento diretto ed energico del Governo in una situazione generale dello Stato che desta in tutti grandi preoccupazioni:

BRUNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUNI. Sono convinto dell’onorabilità dei Ministri Campilli e Vanoni e avrei votato a favore dell’ordine del giorno Grassi se esso non andasse più in là della semplice fiducia ai due Ministri. Il Governo, come tale, ha voluto porre di fatto la questione di fiducia su tale questione, scegliendo l’ordine del giorno dell’onorevole Grassi. Ha fatto malissimo. Le accuse riguardano le persone dei due Ministri, non le persone degli altri, non la politica del Governo. L’onorevole De Gasperi, di fatto, confonde, con la sua scelta, le due questioni. Egli non può evitare un voto politico e il mio voto sarebbe necessariamente politico, non morale sui Ministri accusati. La questione morale riguardante i due Ministri si trova perciò confusa con quella della fiducia da dare a tutta la politica del Governo. Perciò sarò costretto ad astenermi sull’ordine del giorno Grassi.

Non posso, infatti, votare a favore di un Governo che, per la sua direzione e per la sua compagine, ha dimostrato la sua radicale inefficacia ad affrontare i problemi più urgenti dell’ora. Né, infine, posso dare il mio voto di fiducia ad un Governo che, in occasione dello sciopero della tanto benemerita categoria dei professori medi, ha dato così evidenti dimostrazioni di autoritarismo, praticamente negando loro il diritto di sciopero con una minaccia di ricatto. (Commenti).

BASSANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANO. Anche a nome dei miei amici del Gruppo demolaburista, dichiaro di non poter votare l’ordine del giorno Grassi. Io avevo presentato, insieme con l’onorevole Codignola, un ordine del giorno che mi sembrava rispecchiasse e sintetizzasse meglio dell’ordine del giorno Grassi le risultanze della relazione della Commissione. Perché, se è esatto che la Commissione ha dichiarato completamente esenti da colpa i due Ministri Campilli e Vanoni, e noi siamo stati lieti di prenderne atto – io soprattutto per i vincoli di personale amicizia che mi legano all’uno e all’altro – d’altra parte, però la Commissione stessa ha rilevato tutto uno stato di disordine amministrativo, la cui responsabilità non può non risalire al Governo, che ha il dovere di trarne le conseguenze e di prendere i provvedimenti necessari.

Se quindi, per queste ragioni, noi non possiamo votare l’ordine del giorno Grassi, non possiamo, però, neppure votare contro, in quanto, se votassimo contro, verremmo in certo qual modo a metterci in contradizione con noi stessi, perché quasi getteremmo una ombra di dubbio sulla figura dei due Ministri, che viceversa noi stessi siamo convinti debbano essere ritenuti completamente esenti da colpa.

Per queste ragioni dichiaro, a nome anche dei miei amici del Gruppo demolaburista, che ci asterremo dal voto sull’ordine del giorno Grassi.

BERGAMINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. Dal giorno che è cominciata questa penosa discussione – adopero l’aggettivo dell’onorevole Pacciardi – e aggiungo per mio conto: amara, amarissima discussione, io ho desiderato vivamente, intensamente che uscisse qualche elemento sicuro, lampante, indiscutibile, che smentisse le accuse portate qui dall’onorevole Finocchiaro Aprile. In sostanza io facevo a me stesso l’augurio che ha fatto poc’anzi l’onorevole Grilli nel suo sincero e vibrante discorso. Ora, né dalla discussione, né dalla relazione d’inchiesta – secondo il mio modesto avviso – questo elemento decisivo, schiacciante, che potesse annullare interamente le accuse dell’onorevole Finocchiaro Aprile, non è venuto; il mio schietto desiderio è stato deluso e me ne duole.

L’ordine del giorno Grassi dice bensì che è «posta fuori causa l’onorabilità dei due Ministri». Io sarei molto lieto di questo se fosse incontrovertibilmente dimostrato, ma vorrei che tale affermazione non la facesse l’onorevole Grassi nel suo ordine del giorno, ma la facesse la Commissione d’inchiesta, la quale, avendo approfondita tutta la questione e avendo tutti gli elementi del giudizio, può dire se l’onorabilità dei Ministri è davvero fuori causa. Ma la Commissione tace e si rimane quindi nel dubbio. D’altra parte siccome si deve onestamente, lealmente riconoscere che non è venuta fuori in alcun modo la prova certa, risolutiva di quelle accuse, così, nella perplessità del mio spirito, nel disagio del mio animo, dichiaro che non potendo, in coscienza, avere una opinione netta, non fluttuante, nel dubbio, mi astengo dal voto.

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. A nome del mio Gruppo dichiaro che non è stato e non è nostro intendimento di fare una questione personale contro i Ministri Campilli e Vanoni, e che ci atteniamo alle conclusioni prese all’unanimità dalla Commissione, di cui fa parte il nostro compagno D’Aragona.

Non possiamo però accettare l’ordine del giorno Grassi, che non permette quel supplemento d’inchiesta che noi desidereremmo. Per queste ragioni ci asterremo dal voto.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Per le ragioni che ho ampiamente prospettate, e per le quali mi sembra chiara l’assurdità dell’addebito che mi è stato fatto: di avere, cioè, trasformata quest’aula in un’aula giudiziaria, perché io ho voluto soltanto – ed era mio diritto e dovere – interpretare il pensiero espresso dalla Commissione, dichiaro di votare contro l’ordine del giorno Grassi.

RUBILLI, Presidente e Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI, Presidente e Relatore. La Commissione ha già dichiarato di astenersi.

PRESIDENTE. I presentatori degli altri ordini del giorno, con le stesse loro dichiarazioni di voto, hanno implicitamente accettato che l’ordine del giorno Grassi sia posto in votazione.

D’altra parte il Governo ha dichiarato di accettare tale ordine del giorno che deve, pertanto, avere la precedenza.

Pongo, quindi, in votazione l’ordine del giorno Grassi:

«L’Assemblea approva la relazione della Commissione degli Undici; prende atto che essa ha posto fuori causa l’onorabilità dei Ministri Campilli e Vanoni e sollecita le misure richieste dalla Commissione per liberare le Amministrazioni dello Stato da ogni residuo del passato ed elevarne il prestigio nella pubblica amministrazione».

(Dopo prova e controprova, e tenuto conto degli astenuti, è approvato).

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui fatti dolorosi di Petilia Policastro, in provincia di Catanzaro in cui contro una folla di cittadini inermi, che protestavano per il disservizio annonario, del quale era ed è responsabile l’Amministrazione comunale, i carabinieri di servizio non esitavano a sparare, provocando la morte di un operaio e di una donna, nonché il ferimento di quattro cittadini.

«Silipo, Musolino, Mancini, Priolo».

Il Governo ha dichiarato che risponderà a questa interrogazione in una delle prossime sedute.

È pervenuta inoltre alla Presidenza la seguente altra interrogazione per la quale è stato pure richiesto lo svolgimento d’urgenza:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per avere tutti i necessari chiarimenti circa il suo atteggiamento relativamente allo sciopero degli insegnanti di scuole medie.

«Di Gloria, Rossi Paolo, Preti, Salerno, Binni, Filippini, Codignola, Lami Starnuti».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Il Governo risponderà nella seduta di domani mattina a questa come pure alla seguente altra interrogazione presentata ieri dagli onorevoli Di Vittorio e Lizzadri:

«Al ministro della pubblica istruzione, sui motivi che hanno ritardato l’accoglimento delle giuste rivendicazioni del personale insegnante e non insegnante delle scuole medie, ed elementari e degli educandati nazionali, nonostante formali promesse fatte dal Governo da lungo tempo».

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Facchinetti per il Gruppo repubblicano, l’onorevole Togliatti per il Gruppo comunista, l’onorevole Bergamini e l’onorevole Grassi hanno chiesto che l’Assemblea sia convocata in Comitato segreto per l’esame di provvedimenti amministrativi interni.

La seduta avrà luogo domani, appena terminata quella pomeridiana, che avrà inizio alle 16.

Vi sarà, inoltre, seduta antimeridiana alle 10.

La seduta termina alle 21.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Al termine della seduta: Comitato segreto.