ASSEMBLEA COSTITUENTE
XCIV.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 18 APRILE 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TUPINI
INDICE
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale
Bibolotti
Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
De Palma
Moro
Recca
Musolino
Mancini
Braschi, Sottosegretario di Stato per i danni di guerra
Fogagnolo
Maltagliati
Galati, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni
Cianca
Bernini, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione
Di Gloria
Tonello
Miccolis
Di Vittorio
Bertola
Lozza
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Colonnetti
Zotta
Presidente
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 11.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
La prima interrogazione è quella dell’onorevole Bibolotti ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio, «per conoscere le ragioni del ritardo della pubblicazione del decreto che statuiva l’assunzione obbligatoria di una determinata percentuale di invalidi e mutilati del lavoro da parte di ditte, enti, ecc., così come viene fatto per i mutilati e gli invalidi di guerra e se non si ritenga di provvedere d’urgenza ad evitare ulteriori sofferenze a quei lavoratori che, dopo aver contribuito alla creazione della ricchezza nazionale, si vedono preclusa la via a dare ancora il loro contributo di capacità lavorativa alla rinascita del Paese».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Il Ministero del lavoro aveva predisposto, fin dal dicembre scorso, uno schema di provvedimento legislativo che disponeva l’assunzione obbligatoria presso le imprese private (nella percentuale del 2 per cento dei dipendenti delle singole aziende) dei mutilati e degli invalidi del lavoro, con un sistema analogo a quello vigente per i mutilati di guerra.
Il concetto ispiratore del provvedimento è quello di considerare l’infortunio sul lavoro non come una comune disgrazia, bensì come una calamità nazionale che richiede una prova concreta di solidarietà umana e di civismo.
Dell’assunzione obbligatoria potranno beneficiare i lavoratori che non abbiano superato i 60 anni, se uomini, ed i 55, se donne, i quali abbiano una riduzione permanente della capacità lavorativa superiore al 40 per cento, in base alle vigenti leggi sugli infortuni sul lavoro.
In sede di concerto con i Ministeri di grazia e giustizia e dell’industria e commercio, sono state prospettate da quest’ultimo Dicastero alcune perplessità in merito all’onere che l’assunzione dei mutilati costituirebbe per le aziende e circa la conseguente incidenza sui costi di produzione; sono state pertanto proposte alcune modifiche sostanziali al progetto, nel senso che in luogo di fissare un’aliquota di mutilati ed invalidi per l’assunzione, in aggiunta ai quadri attuali del personale delle aziende, il provvedimento dovrebbe limitarsi a prescrivere genericamente che una determinata aliquota di personale deve essere costituita da mutilati ed invalidi, lasciando alle aziende stesse un lungo periodo di tempo per assolvere a questa prescrizione.
Questo Ministero non ritiene di poter aderire al suaccennato punto di vista. Mentre infatti il provvedimento proposto tenderebbe a tradurre in una concreta norma legislativa di attuazione immediata l’obbligo della assunzione, con la modifica suggerita si avrebbe invece che i mutilati e invalidi del lavoro dovrebbero essere assunti dalle imprese in sostituzione di altrettanti elementi validi, e man mano che i loro posti si rendessero liberi.
È facile vedere che l’accoglimento della proposta di cui sopra, specie nell’attuale periodo di disoccupazione, verrebbe se non ad annullare le aspettative della categoria interessata, per lo meno a rendere la loro attuazione meno efficace e, per così dire, diluita nel tempo.
Questa è la ragione che ha determinato il ritardo nella emanazione dell’atteso provvedimento.
Comunque, malgrado non sia stato possibile raggiungere sul testo un preventivo completo accordo, lo schema è stato già diramato alle altre amministrazioni ed è compreso fra i provvedimenti iscritti nell’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
BIBOLOTTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Io potrei senz’altro dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario e compiacermi con lui per avere accolto finalmente una richiesta che trova la sua giustificazione in ragioni di solidarietà nazionale, di sentimento di umanità e di equità.
La Patria riconoscente dà ai mutilati e agli invalidi delle guerre nazionali la consacrazione e sul terreno della gloria, e sul terreno della remunerazione come giusto attestato di solidarietà nazionale.
Era ingiusto che ai caduti, ai mutilati ed agli invalidi della battaglia permanente dei lavoratori non si desse questo riconoscimento. È una vecchia richiesta che finalmente trova nel Governo repubblicano accoglimento, cosa di cui mi compiaccio a nome di questa categoria che più volte ha fatto appello alla solidarietà.
I mutilati del lavoro non devono essere considerati come dei limoni spremuti che si gettano alla carità pubblica, ma come dei lavoratori i quali, avendo avuta menomata la loro capacità di produzione, possono e devono essere reimpiegati nella produzione e considerati dal datore di lavoro come coloro che, avendo partecipato alla creazione della ricchezza nazionale e del profitto capitalistico, possono con continuità ed in ragione delle residue capacità lavorative, partecipare ancora a questo processo di produzione.
Avevo già votato favorevolmente nella terza Commissione questo schema di decreto che accoglie, sia pure parzialmente, le richieste di questa categoria. Le nuove rivendicazioni sono più estese e sono soprattutto di carattere morale.
Ora io spero che, in occasioni successive, il Ministero del lavoro troverà l’occasione e la possibilità di riconoscere in modo più ampio che i mutilati ed invalidi del lavoro continuano una battaglia non meno gloriosa di quella che si combatte in guerra. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole De Palma, ai Ministri dell’interno e dell’assistenza post-bellica, «per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati, o si intenda adottare, in favore delle donne violentate dalle truppe marocchine, durante la guerra, in alcuni centri della provincia di Frosinone».
L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Rispondo per il Ministero dell’interno.
In seguito alle segnalazioni e alle proposte delle Prefetture di Frosinone e di Latina, questo Ministero dispose la erogazione di speciali sussidi a favore delle donne della zona, che avevano subito violenza da parte delle truppe marocchine o di colore, con particolare riguardo a quelle che versavano in più disagiate condizioni economiche o si trovavano in più grave stato di salute.
I relativi fondi furono accreditati alle Prefetture che li misero a disposizione degli E.C.A. interessati perché provvedessero alla erogazione dei congrui sussidi.
Complessivamente furono spese per tale scopo lire 3.600.000 così ripartite: provincia di Frosinone: ai comuni di Pontecorvo, Castro dei Volsci, Pico, Vallecorsa, lire 100.000 ciascuno; ai comuni di Pastena, Ceccano, Amaseno, Esperia, Giuliano di Roma, Villa Santo Stefano, lire 500.000 ciascuno; provincia di Latina: al comune di Campodimele lire 1.000.000 al comune di Lenola lire 2.000.000.
L’assistenza non si esaurì nelle suddette concessioni, perché le infortunate che ne avevano diritto furono anche ammesse a fruire dei soccorsi predisposti in favore dei sinistrati di guerra e dei soccorsi militari ordinari e straordinari.
In aggiunta a tali provvidenze è stata erogata l’anno scorso, a dicembre, una ulteriore somma di un milione di lire per l’assistenza alle donne bisognose infortunate della provincia di Frosinone.
PRESIDENTE, L’onorevole De Palma ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
DE PALMA. Ringrazio il Sottosegretario alla Presidenza per le notizie fornitemi; però non posso ritenermi sodisfatto in quanto da questa risposta rilevo solamente che sono state erogate delle somme senza conoscere come esse siano state effettivamente distribuite alle infortunate. Si è verificata questa situazione: vi sono stati alcuni comuni – e ciò è avvenuto sin dal 1945, epoca in cui io feci rilevare all’Alto Commissariato dell’igiene e della sanità la condizione dolorosa in cui si trovavano queste disgraziate – i quali hanno avuto tanto danaro che, distribuito, ha dato la somma irrisoria di lire 500 ad ogni infortunata. Ora non vi è chi non veda come questa situazione sia veramente tragica nei confronti di queste donne, le quali meritano la massima assistenza, perché ritengo siano quelle più gravemente percosse e ferite dalla guerra. Occorre quindi che le somme siano distribuite con un criterio di equanimità nei confronti di tutti coloro che sono stati colpiti. Non basta inviare ai comuni danaro e lasciare poi all’arbitrio di questi l’erogazione, perché spesso le necessità, in cui si trovano detti comuni, fanno sì che le somme vengano erogate anche per altri bisogni assistenziali, e non per quelli cui esse sono destinate.
Una voce. È il principio del sussidio che è sbagliato!
DE PALMA. È necessario che a costoro il Governo assegni una somma a titolo di indennizzo, sia pure minima, ma che sia data in modo che ciascuna possa avere un tanto prestabilito. Ciò è necessario perché esse vivono in condizioni dolorose. Vi sono persone che, per comprensibile ritegno, non hanno denunciato i fatti, di cui sono restate vittime. Costoro hanno dovuto affrontare col proprio denaro cure costose.
Anche recentemente, allorquando si è trattato di distribuire delle somme, molte di queste donne non sono state tenute in considerazione, perché si è detto che erano abbienti.
Io non devo ricordare che nella provincia di Frosinone, che, purtroppo, ha il tragico privilegio di detenere il primato tra le provincie maggiormente devastate dalla guerra, non vi sono più, oggi, fra gli abbienti, che pochi borsari neri. Ora, non è comprensibile che a queste disgraziate debba essere negato un aiuto, a titolo di risarcimento, sotto il pretesto delle loro condizioni economiche. Ritengo che il Governo debba dare aiuti più cospicui e concreti a queste povere vittime, e debba trattarle tutte ugualmente, senza distinzione tra abbienti e non abbienti.
È inutile che io stia a ricordare episodi. Recentemente la stampa ne ha parlato. Forse quella pubblicità poteva anche essere evitata. Ma essa è stata necessaria, perché il Governo – bisogna riconoscerlo – non ha provveduto ad intervenire tempestivamente.
Io raccomando che queste vittime abbiano l’aiuto doveroso da parte del Governo.
Confido pertanto che queste mie richieste saranno tenute presenti nelle ulteriori assegnazioni che il Governo andrà a fare.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Sarà fatto.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Moro, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda prendere, per risolvere il problema ospedaliero della città di Bari, il quale interessa anche le provincie e regioni limitrofe. L’ospedale consorziale di Bari, divenuta inabitabile la sede in seguito ad eventi bellici, è allogato, con mezzi di fortuna ed in condizioni insostenibili, nei corridoi dell’Università malamente adattati. L’esiguo materiale va sempre più in rovina; la situazione di cassa, anche per l’inadeguato ritmo della riscossione delle spedalità, non permette di soddisfare i fornitori, i quali sospendono in conseguenza le loro prestazioni. Occorrerebbe ottenere l’immediata derequisizione del Policlinico, che per vicende belliche non poté mai essere occupato e potrebbe dare alloggio all’ospedale insieme alle cliniche universitarie, ed affrettare l’approvazione del decreto, che si dice in elaborazione, per stabilire l’apposita imposta provinciale per il pagamento delle spedalità».
L’onorevole Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, ha facoltà di rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Rispondo per il Ministero dell’interno.
Si tratta di una interrogazione presentata alcuni mesi or sono.
La situazione dell’ospedale di Bari è stata esaminata da questo Ministero, con ogni attenzione, d’intesa con l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica. Sono stati anche inviati sul posto un ispettore generale medico ed un ispettore amministrativo incaricati di avvisare ai mezzi più idonei per risolvere i gravi problemi finanziari ed edilizi che interessano tanto l’ospedale quanto le cliniche universitarie della città.
Per quanto concerne la derequisizione dei locali del Policlinico, dove potrebbero eventualmente essere sistemati i servizi, attualmente inadeguatamente e precariamente allogati, l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità sta svolgendo le opportune pratiche intese alla definizione di una pendenza relativa all’assunzione da parte italiana delle spese occorse per gli impianti fissi collocati dalle Autorità alleate durante il periodo della requisizione.
Frattanto, per mettere l’ospedale in grado di fronteggiare le esigenze di cassa, sono state disposte due sovvenzioni dell’ammontare complessivo di lire undici milioni, che hanno sollevato le sorti dell’amministrazione del Pio Istituto.
Il disegno di legge, cui accenna l’onorevole interrogante, relativo al trasferimento dell’onere delle spedalità dai comuni alle provincie ed alla istituzione di una addizionale, il cui gettito dovrebbe essere destinato esclusivamente a tale servizio, predisposto fin dallo scorso anno, non ha più avuto corso, per le difficoltà mosse dall’amministrazione finanziaria.
Nell’attesa di una soluzione, il Ministero interviene, compatibilmente con la situazione del fondo del bilancio, in favore degli istituti che non riescono a fronteggiare le necessità della gestione.
Sono stati raggiunti, altresì, accordi con l’amministrazione della Cassa depositi e prestiti per la concessione di mutui di favore ai comuni, allo scopo di metterli in grado di estinguere i loro debiti per rette di degenza verso le amministrazioni ospedaliere.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MORO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le sue dichiarazioni. Effettivamente, molti dei problemi prospettati nella mia interrogazione sono stati risolti in questi ultimi quattro-cinque mesi. Quindi io posso dichiararmi soddisfatto, augurandomi che il Governo possa dare rapidamente corso alla sistemazione finanziaria dei complessi ospedalieri.
PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio si deve assentare, procediamo con precedenza allo svolgimento della seguente interrogazione degli onorevoli Recca, Allegato, al Ministro dell’interno: «per sapere quali provvedimenti abbia preso, o intenda subito prendere, in merito alle disastrose condizioni finanziarie in cui versa l’Asilo inabili al lavoro «Concetta Masselli» di San Severo, in provincia di Foggia, eretto in ente morale con Regio decreto 25 giugno 1903. La sullodata istituzione, che ospita diecine e diecine di poveri, vecchi e inabili al lavoro, ha avuto i suoi locali requisiti da truppe alleate, che li hanno lasciati in condizioni pietose e senza mobili, suppellettili, biancheria. Le rendite, in base a titoli di Stato, per il valore della lira, non sono più sufficienti per il funzionamento dell’ente in parola, ed i fornitori, non soddisfatti, minacciano di sospendere, da un momento all’altro, le loro prestazioni, per cui la pia e benefica istituzione corre il rischio di chiudere i battenti, con grande nocumento dei ricoverati, che rimarrebbero sul lastrico senza cure e senza assistenza. Sin dal 24 novembre 1946, il ripetuto Asilo richiedeva al Ministero dell’interno, Direzione generale dell’Amministrazione civile, un sussidio di lire 500.000, onde pareggiare il bilancio 1946 e far fronte alle spese straordinarie occorrenti, e mentre per molte molte opere pie, asili e ricoveri, sono stati elargiti ingenti soccorsi, per l’Asilo inabili al lavoro di San Severo nulla è stato disposto, lasciando addirittura inevasa l’istanza».
PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. A favore dell’Asilo inabili al lavoro «Concetta Masselli» di San Severo fu erogato, nel 1945, un sussidio di lire 200.000. Successivamente nessuna nuova istanza è pervenuta al Ministero dell’interno. Solo nel mese di febbraio l’onorevole Recca ha segnalato la situazione difficile dell’ente ed il Ministero ha subito interessato il prefetto di Foggia a far trasmettere con sollecitudine il verbale di chiusura dell’esercizio 1946 ed il bilancio di previsione 1947 ai fini di una definitiva sistemazione.
Attesi i criteri cui deve necessariamente ispirarsi la concessione di sussidi a favore di enti, è assolutamente indispensabile disporre di tali dati per poter provvedere.
PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
RECCA. Mi interesserò perché la pratica venga trasmessa subito al Ministero. Vorrei raccomandare al Ministro, per ragione di umanità, queste opere pie, che meritano tutta la sua attenzione. Nel caso specifico ci troviamo, in quel di San Severo, con diecine e diecine di poveri disgraziati, che sono vecchi ed inabili al lavoro, e che vanno peregrinando di parrocchia in parrocchia, di casa in casa, elemosinando, perché, non solo, dopo la derequisizione dei locali dell’Ente, hanno trovato gli stessi quasi distrutti e vuoti di suppellettili, ma non possono più vivere con le rendite che, provenienti da titoli di Stato, sono diventate insufficienti per la svalutazione della lira.
Ora raccomando che, appena arrivata la pratica, il Ministro prenda i dovuti provvedimenti e venga incontro alle necessarie esigenze di quei poveri vecchi disgraziati.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Musolino e Silipo, al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), per sapere quali provvedimenti intende adottare a carico dell’impresa del sanatorio antitubercolare di Chiaravalle in provincia di Catanzaro, dove i ricoverati ricevono un trattamento non rispondente alle minime esigenze di cura, di igiene e profilassi.
L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.
CAPPA, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In riferimento alla interrogazione si rappresenta quanto appresso.
Il sanatorio indicato è un istituto privato con 180 posti-letto, che ricovera anche infermi a carico dello Stato.
Occorre tener presente che, stante la deficienza di posti-letto per tubercolotici nei pubblici istituti di cura, verificatasi a seguito degli eventi bellici, e per far fronte alle impellenti necessità di ricovero, notevolmente aumentate per il dilagare della epidemia tubercolare, l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità ed i Consorzi provinciali antitubercolari sono stati costretti a ricorrere, per il ricovero dei propri assistiti, anche ad istituti privati di cura.
In Calabria, poi, fino allo scorso luglio, non esisteva alcun istituto, ad eccezione di quello di Chiaravalle, sia pubblico che privato, per il ricovero dei tubercolotici.
Solo nel settembre 1946 ha potuto riprendere il funzionamento a Catanzaro l’istituto sanatoriale «Luigi Ciaccio» dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, con 145 posti-letto, che rimane tuttora, in quella regione, l’unica pubblica istituzione di cura per tubercolotici.
Le contingenti difficoltà del dopoguerra, unitamente alle circostanze verificatesi di un eccessivo affollamento dei ricoverati nei sanatori, hanno determinato in taluni casi deficienze di servizio, che l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità ha provveduto, in ogni modo, a eliminare.
Nel caso del sanatorio di Chiaravalle, per le precedenti considerazioni, sin dall’agosto dello scorso anno il cennato Alto Commissariato disponeva che da parte dell’autorità sanitaria provinciale di Catanzaro venisse esercitato su detta istituzione un costante controllo.
Al riguardo sono state rilevate lievi deficienze concernenti la preparazione del vitto, che è risultato peraltro sufficiente dal punto di vista quantitativo, e qualche inconveniente nei servizi igienici, soprattutto della lavanderia. Sono state date disposizioni al fine di normalizzare sia il trattamento dietetico, che l’andamento dei servizi.
In occasione di una recentissima ispezione improvvisa, disposta dall’Alto Commissariato, eseguita dal medico provinciale e dal direttore del Consorzio provinciale antitubercolare di Catanzaro, è stato constatato che è in corso la sistemazione della nuova lavanderia e che tutti i servizi si svolgono normalmente.
Si aggiunge, infine, che la somministrazione di medicamenti è assicurata in congrua misura, anche per forniture effettuate dal deposito farmaceutico provinciale. L’assistenza sanitaria viene espletata da tre medici, di cui due specializzati in tisiologia.
Assicuro che la vigilanza periodica dell’accennata casa di ricovero verrà continuata mediante improvvisi controlli sanitari.
PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.
MUSOLINO. Non posso dichiararmi completamente soddisfatto, anzitutto perché devo protestare per il ritardo nella risposta alla mia interrogazione presentata fin dal luglio 1946, nonostante le mie sollecitazioni.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ha fatto il suo corso.
MUSOLINO. La risposta viene soltanto oggi con un grande vantaggio dell’impresa del sanatorio, la quale sfrutta il sanatorio stesso a danno dei poveri reduci tubercolotici. Anche la stampa locale si era occupata di questa cosa e aveva chiesto al Governo energici provvedimenti. La Croce Rossa mandò una sua ispettrice regionale, la quale fece una relazione in cui rilevò che il sanatorio difettava di assistenza sanitaria, che mancavano assolutamente le cure e soprattutto i medicinali e rilevò anche la pessima confezione dei cibi, e questo anche l’onorevole Sottosegretario ha confermato nella sua risposta. Un’altra indagine era stata fatta anche precedentemente. Con tutto ciò i reduci non hanno visto ancora alcun miglioramento, nonostante le ispezioni che si dice siano state fatte a Chiaravalle.
Posso assicurare che il sanatorio di Chiaravalle è uno scandalo, è la favola della regione. Quanto ai provvedimenti che si asserisce siano stati presi, l’impresa li tiene in poco conto. Chiedo pertanto che siano adottati provvedimenti più efficaci e radicali, perché l’impresa non continui a sfruttare una situazione veramente indegna di un paese civile.
Devo dire anche che l’assistenza sanitaria è fatta da due eminenti sanitari, veramente valorosi. Ebbene, questi assistenti sanitari non vanno a visitare gli ammalati, che raramente. Il sanatorio antitubercolare non è più un sanatorio, ma è diventato un tubercolosario, tanto è vero che i morti si susseguono giorno per giorno e il sindaco di Chiaravalle non ha più la possibilità di ricevere i cadaveri, perché la moria è tale che egli ha dovuto provvedere già all’ampliamento del cimitero.
MANCINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa?
MANCINI. Chiedo di parlare per far sapere all’onorevole Sottosegretario di Stato che a Cosenza esiste un preventorio che è attualmente chiuso e che dovrebbe essere aperto.
PRESIDENTE. Non posso darle facoltà di parlare. Presenti un’interrogazione, se crede.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Fogagnolo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze e tesoro, «per sapere se non ritengano giunto il momento, a due anni di distanza dalla fine della guerra, di prendere finalmente a cuore le disgraziate condizioni dei sinistrati di guerra e di affrontare – con una legge di emergenza – il problema del risarcimento dei danni, liquidando totalmente i più modesti e accordando acconti sufficienti per i danni più rilevanti; se non credano giusto e morale stabilire che le leggi emanande in tema di risarcimento per la ricostruzione siano basate sui principî di solidarietà e di mutualità, per cui tutta la ricchezza nazionale debba concorrere alla rinascita del nostro Paese; se a tale scopo non siano anche da facilitare gli Istituti di credito fondiario ad istituire immediatamente speciali sezioni, autorizzate ad emettere cartelle per le opere di ricostruzione a favore di privati e di enti pubblici».
A questa interrogazione possiamo abbinare quella, di contenuto quasi analogo dell’onorevole Maltagliati, al Ministro del tesoro, «per sapere se non intenda dare disposizioni affinché sia revocata la sospensione degli indennizzi per mobilio e masserizie distrutti a causa di rappresaglie tedesche, e che l’indennizzo di tali danni per cause di guerra e rappresaglie sia fatto entro l’anno corrente, al completo, per tutti coloro che nulla possiedono, con precedenza alle famiglie dei caduti in tali rappresaglie, nei bombardamenti e nelle operazioni belliche della lotta di liberazione, nonché alle famiglie dei partigiani, dei reduci e dei combattenti nella guerra suddetta. E se non ritenga opportuno che si inizi anche la concessione di acconti, e l’indennizzo completo, oltre che nel caso precedente, anche per i danni subiti dai cittadini dalle razzie tedesche».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per i danni di guerra ha facoltà di rispondere.
BRASCHI, Sottosegretario di Stato per i danni di guerra. Posso assicurare gli onorevoli interroganti che in queste ultime settimane il Ministero del tesoro, a mezzo del Sottosegretariato per i danni di guerra, si è dato premura di affrontare e risolvere in via definitiva il grave problema che è oggetto delle loro interrogazioni.
Come è risaputo, si sono avuti in Italia, in questi ultimi anni, decreti su decreti che, ad iniziativa dei vari Dicasteri, miravano a risolvere in via frammentaria ed episodica i singoli problemi che le necessità impellenti di ogni giorno ponevano sul tappeto. Ne è nata una legislazione incerta, discontinua, talora contraddittoria, spesso equivoca e piena di lacune, che ha determinato, ad un certo momento, la necessità di sospendere ogni liquidazione e ogni pagamento, per provvedere con una legge organica e definitiva al risarcimento dei danni di guerra, con visione unitaria del problema e con unico criterio direttivo.
Sono lieto di annunciare che proprio in questi giorni la nuova legge sui danni di guerra è stata elaborata nella sua struttura fondamentale e sarà subito portata all’esame dei Dicasteri competenti.
Si tratta essenzialmente di una specie di testo unico, che, ordinando e coordinando le molteplici disposizioni finora emanate, verrà a colmare molte lacune e a risolvere problemi finora rimasti sospesi ed insoluti.
L’emanazione della nuova legge darà al Governo la possibilità di cessare la corresponsione di piccoli acconti per affrontare ed iniziare il vero e proprio risarcimento dei danni di guerra.
Le osservazioni e le proposte degli onorevoli Fogagnolo e Maltagliati furono e sono tuttora oggetto di attento esame e potranno essere, occorrendo, riproposte, quando la legge passerà all’esame e alla discussione della competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente.
Per quanto concerne particolarmente l’interrogazione dell’onorevole Maltagliati, si fa presente, a titolo di cronaca, che da parecchie parti d’Italia, dove vi sono altre categorie di danneggiati e di sinistrati, sono stati fatti dei voti e sono state avanzate delle proposte per avere anche essi a loro volta un trattamento di privilegio, di precedenza e di favore. Anche detti voti e dette proposte sono tutti oggetto di attento esame da parte degli uffici competenti.
PRESIDENTE. L’onorevole Fogagnolo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
FOGAGNOLO. Ringrazio il Sottosegretario onorevole Braschi per la comunicazione fatta stamane all’Assemblea in relazione alla interrogazione che mi sono permesso di presentare. Più che di una legge di coordinamento delle varie disposizioni, che noi conosciamo, molte delle quali fanno a pugni l’una con l’altra e che sono evidentemente il risultato della forma, direi quasi, anarchica con cui si è manipolata questa materia così delicata e che tocca non soltanto quella bella città che è Verona, cui io appartengo, ma tutte quelle belle città d’Italia che tutti noi conosciamo, ci vorrebbe qualcosa di più concreto. Quando veniamo all’Assemblea a presentare una interrogazione per domandare che cosa si sia fatto in due anni, dobbiamo purtroppo constatare, e mi fa piacere che l’onorevole Sottosegretario lo abbia rilevato, che al Governo si è impiegato un anno per decidersi per la nomina di una Commissione che preparasse qualche provvedimento legislativo, e questa Commissione ad un anno di distanza non ha fatto niente, per modo che ogni Ministero ha agito come meglio ha potuto. Oggi finalmente sentiamo una parola che può dare una certa tranquillità a tante famiglie di disgraziati, che da due anni attendono il provvedimento che oggi viene promesso.
Più che di una legge che debba coordinare tutte le varie disposizioni che sono state emanate, abbiamo bisogno di chiedere al Governo se non sia il caso di esaminare determinati ed urgenti provvedimenti di emergenza e, facendo proprie quelle richieste che sono state presentate dal Comitato Centrale dei sinistrati di guerra, vedere se non sia il caso di esaminare l’opportunità di introdurre nella futura legge, che oggi è stata promessa, una tassa di mutualità, la quale in questo momento darebbe al Governo la possibilità di non caricarsi di un onere che ascenderebbe a cifre spaventose se noi pensiamo alla gravità dei danni che la guerra ha apportato al nostro Paese.
Il professor Savoia – disgraziatamente porta il nome di colui su cui grava la colpa di tutti questi danni per i quali noi stiamo esaminando la possibilità di risarcimento – ha fatto distribuire un opuscolo che costituisce uno studio modesto, ma molto accurato. Io credo che farà bene la Commissione legislativa ad esaminare quei suggerimenti, ma nel frattempo, onorevole Sottosegretario, non possiamo dire a migliaia e migliaia di poveri disgraziati che vivono ancora come gli animali in tuguri dove l’igiene e la moralità sono calpestate, di attendere il provvedimento legislativo.
Dobbiamo trovare il modo di venire incontro a questa povera gente, in modo che possa bussare all’Intendenza di finanza e ottenere qualcosa, mentre finora ha bussato senza mai ottenere la possibilità di vedere accolte le proprie domande.
Noi deputati sappiamo come vanno le cose quando interveniamo a favore di qualche postulante, il quale deve portare il certificato di povertà per ricevere un modesto acconto. Oggi per ricevere dieci, quindici mila lire, questa gente deve fare strada su strada e trova tutte le porte chiuse quando va a bussare per ottenere qualche elemosina.
Un provvedimento di emergenza è indispensabile, se vogliamo che questi disgraziati possano far valere il proprio diritto senza essere accolti come cani rognosi, e possano portare a casa qualche cosa che non sia l’elemosina che si dà al povero, ma che sia il riconoscimento di un diritto sancito dalla legge.
Vedo che l’onorevole Sottosegretario fa un gesto come per dire che non è vero. Ma bisogna esaminare la possibilità di imporre una tassazione sul patrimonio. In fondo si tratta di un dieci o dodici per cento del patrimonio nazionale che è andato distrutto dalla guerra. La tassa dovrebbe gravare sul patrimonio che non è stato distrutto. Nessun merito hanno costoro di aver conservato il loro patrimonio intatto e quale legge morale si potrebbe invocare se il Governo gravasse per una modesta cifra su di esso?
D’altra parte, se esaminiamo la Costituzione francese, vediamo che in essa è stabilito il principio della solidarietà nazionale per far fronte alle calamità nazionali.
Il principio, del resto, è accettato da tutti. Ora noi dobbiamo fare in modo – e sono lieto questa volta di vedere un cenno di assentimento – che questa tassa di mutualità sia introdotta nella nostra legislazione e dia al nostro Governo il mezzo di venire urgentemente in soccorso di un numero stragrande di infelici rovinati da ima guerra inumana. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Maltagliati ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MALTAGLIATI. Quantunque debba rilevare che la risposta alla mia interrogazione avrebbe dovuto esser data molti mesi prima, prendo atto con piacere delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario, e mi auguro che il decreto non rimanga ancora per altri mesi chiuso nel cassetto.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Calosso, Cianca, Parri, Giordani, Patricolo, Badini Confalonieri, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle poste e telecomunicazioni, «per sapere se il Governo non ravvisi la necessità di una Commissione parlamentare per lo studio del problema della radio».
L’onorevole Sottosegretario per le poste e telecomunicazioni ha facoltà di rispondere.
GALATI, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. L’interrogazione è sopraggiunta mentre era allo studio presso il Ministero uno schema di decreto legislativo relativo alle nuove norme in materia di vigilanza sulle radiodiffusioni.
Con tale decreto, che è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri dopo il parere espresso dalla Commissione permanente dell’Assemblea Costituente, si coordinano le norme relative alla vigilanza sugli impianti e sui servizi tecnici delle radiodiffusioni circolari, vigilanza che viene affidata al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e a commissioni istituite nelle sedi delle singole stazioni radiotrasmittenti; si stabiliscono i controlli sul funzionamento contabile dell’Ente concessionario; si fissano i controlli governativi sulla nomina del presidente e, eventualmente, del consigliere delegato dell’Ente medesimo.
Nel corso dell’elaborazione del decreto è stata tenuta nella dovuta considerazione la richiesta avanzata dagli onorevoli interroganti, ed infatti, si è prevista la istituzione di una Commissione parlamentare avente il compito dell’alta vigilanza per assicurare l’indipendenza politica e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni. Le deliberazioni che la Commissione riterrà di adottare saranno trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale dovrà impartire al presidente dell’Ente concessionario le disposizioni necessarie per curarne la esecuzione.
Il decreto prevede, altresì, l’istituzione di un Comitato presso il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni con il compito di determinare le direttive di massima culturali, artistiche ed educative dei programmi di radiodiffusione circolari, di vigilare sulla loro attuazione, nonché di esprimere il parere sui programmi trimestrali, che dovranno essere definitivamente approvati dal Ministro delle poste e delle telecomunicazioni.
Il decreto suddetto è in corso di perfezionamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Cianca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CIANCA. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le sue comunicazioni.
Penso che probabilmente sarebbe stato meglio procedere alla nomina della Commissione parlamentare prima che alcuni problemi fossero stati risoluti in sede di decreto. Comunque prendo atto del fatto che la Commissione parlamentare sarà presto nominata. Chiedo che questa nomina avvenga nel più breve tempo, e che a questa Commissione siano date la possibilità e la relativa responsabilità di contribuire ad una soluzione veramente moderna, efficiente, e politicamente equanime dell’essenziale problema delle comunicazioni per radio.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Riccio, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere perché – nonostante le richieste insistenti delle autorità locali, i pareri favorevoli espressi e le proteste vivissime del popolo e degli avvocati per il ritardo – non si sia ancora provveduto all’aggregazione al tribunale di Napoli dei mandamenti di Cicciano, Nola ed Acerra, sebbene quei comuni appartengano amministrativamente e gravitino per ogni bisogno su Napoli, alla quale sono allacciati da ferrovie di Stato e secondarie, e da servizio automobilistico, mentre nessuna relazione di vita hanno con S. Maria, ove è difficilissimo accedere, per cui gravissimi intralci e difficoltà sorgono nell’amministrazione della giustizia».
Non essendo l’onorevole Riccio presente, s’intende che vi abbia rinunziato.
Seguono ora alcune interrogazioni relative al personale insegnante delle scuole medie ed elementari:
Di Vittorio, Lizzadri, al Ministro della pubblica istruzione, «Sui motivi che hanno ritardato l’accoglimento delle giuste rivendicazioni del personale insegnante delle scuole medie ed elementari e degli educandati nazionali, nonostante formali promesse fatte dal Governo, da lungo tempo».
Di Gloria, Rossi Paolo, Preti, Salerno, Binni, Filippini, Codignola, Lami Starnuti, al Ministro della pubblica istruzione, «per avere tutti i necessari chiarimenti circa il suo atteggiamento relativamente allo sciopero degli insegnanti di scuole medie».
Miccolis, Rodi, Tumminelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) quali siano le ragioni che hanno determinato lo sciopero del personale insegnante della scuola secondaria; 2°) come si è fino ad ora inteso di tradurre in atto gli impegni assunti innanzi all’Assemblea, in sede di esposizione del programma ministeriale, per restituire la scuola italiana alla sua funzione educativa, sociale e morale, negli ordinamenti nei quadri, nel trattamento economico al personale, nei locali, negli arredamenti e nelle attrezzature».
Tonello, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere se intenda, per l’onore della scuola italiana, accogliere senza altre dilazioni le giuste rivendicazioni dei professori e dei maestri».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha chiesto di fare una dichiarazione al riguardo.
BERNINI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. L’onorevole Ministro della pubblica istruzione mi comunica che in questo momento è impegnato nell’esame e nella risoluzione della questione che interessa gli onorevoli interroganti. Poiché l’onorevole Ministro desidera di rispondere personalmente, prega l’Assemblea di voler concedere che lo svolgimento delle interrogazioni sia rimandato alla seduta di domani.
DI GLORIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI GLORIA. In un primo momento il Ministro Gonella aveva dichiarato che avrebbe risposto alla mia interrogazione nella seduta di ieri. In un secondo momento si era deciso a rispondere stamane. Ora la risposta è rinviata a domani.
Protesto energicamente per questa condotta del Governo che fa il Don Abbondio con alcuni e il Fra Cristoforo con altri.
È veramente doloroso che di una questione puramente e semplicemente economica si voglia fare una questione esasperatamente politica, una questione di principio e di prestigio.
Evidentemente, si vuole rimandare alle calende greche la risoluzione d’una questione semplicissima, di pure rivendicazioni economiche, già ritenute legittime dal Governo stesso; e si vuole far sì che il Governo si sottragga ulteriormente ai suoi compiti essenziali.
Invito i rappresentanti della sinistra in seno al Governo a farsi interpreti della mia protesta.
TONELLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TONELLO. Mi associo di tutto cuore alla protesta del collega onorevole Di Gloria. È deplorevole che ci siano altre dilazioni.
Il liquidatore della scuola italiana deve venire qui a rendere conto dell’opera sua, veramente disfattista, in quanto la risoluzione del problema è urgentissima, per il decoro del Paese e della scuola italiana.
Noi domandiamo che il Ministro venga qui a rendere conto. (Applausi da una tribuna).
PRESIDENTE. Avverto che non sono ammessi né applausi, né dissensi dalle tribune; altrimenti sarò costretto a farle sgomberare. (Interruzione dell’onorevole Gronchi).
MICCOLIS. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE; Ne ha facoltà.
MICCOLIS. Devo far rilevare che non è la prima volta che in questa Assemblea si parla invano della scuola. (Approvazioni a sinistra).
È bene che la scuola sia guardata nella sua consistenza e nelle sue necessità, per il decoro della Nazione.
È doloroso che, mentre i giornali parlano di resistenza da parte del Capo del Governo ad accogliere le richieste della scuola, si rimanda la discussione, di cui questa Assemblea è necessario che sia pienamente investita.
Forse l’onorevole Ministro ha bisogno di risolvere le sue questioni con le Commissioni competenti; sono cose che a noi non riguardano. È necessario che l’Assemblea sappia che la scuola ha bisogno che il suo problema sia impostato e risolto in tutta la sua vastità.
PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, non entri nel merito.
MICCOLIS. Se entrassi nel merito, dovrei occuparmi della seconda parte della mia interrogazione.
C’è una massa di insegnanti, che non è a scuola; c’è una massa di famiglie, che ha i figli sbandati per le strade.
DI VITTORIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI VITTORIO. Mi associo alle proteste dei colleghi, per il fatto che l’onorevole Ministro non sia presente per lo svolgimento delle nostre interrogazioni.
Trattandosi d’una questione per la quale è in sciopero una categoria di benemeriti lavoratori intellettuali, e che turba un settore delicato della nostra vita nazionale, come quello della scuola, mi auguro che domattina il Ministro sia presente e possa dare risposta ampia e soddisfacente agli interroganti.
Io credo che per un Governo democratico il prestigio non deve consistere nella ricerca della umiliazione di una categoria qualsiasi di lavoratori, ma deve consistere nella ricerca di un accordo onesto con un settore qualsiasi dei lavoratori e del popolo; perché un Governo democratico deve essere caratterizzato dalla capacità che ha di risolvere pacificamente e con soddisfazione completa tutti i problemi della nostra vita nazionale, ed in primo luogo quello delicato della scuola. (Applausi a sinistra).
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà;
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Devo fare presente che il Ministro della pubblica istruzione, nella impossibilità di rispondere questa mane e di intervenire all’Assemblea, ha pregato l’Assemblea stessa di attendere domattina la risposta che egli personalmente darà.
BERTOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTOLA. Aggiungo il mio rincrescimento e quello dei miei amici e colleghi per questo incidente – poiché tutti noi attendevamo questa mattina una parola chiarificatrice del Ministro – e la solidarietà mia e dei miei colleghi in questo delicato problema della scuola. Chi, come me, è della scuola, chi ha vissuto fino a ieri nella scuola e conosce con una sensibilità particolare questi problemi, non può in questo momento non soffrire.
In questa circostanza mi sia permesso aggiungere una parola ancora: vorrei cioè pregare tutti i miei colleghi, che di queste rivendicazioni scolastiche si fanno difensori, per carità, di non farle scivolare nell’ambito della politica. Sono problemi morali e giuridici più che economici…
PRESIDENTE. Onorevole Bertola, la prego di non entrare nel merito.
BERTOLA. Io mi auguro che domani le parole del Ministro della pubblica istruzione siano tali che i miei colleghi possano ritornare nelle loro scuole con piena soddisfazione per quelle rivendicazioni che giustamente chiedono.
LOZZA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa?
LOZZA. Sono firmatario di un’altra interrogazione sulla scuola elementare.
PRESIDENTE. Onorevole Lozza, ella potrà parlarne alla fine della seduta.
È così esaurito il tempo assegnato allo svolgimento delle interrogazioni.
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
È iscritto a parlare l’onorevole Colonnetti. Ne ha facoltà.
COLONNETTI. Onorevoli colleghi, il problema della scuola, la cui soluzione questa Assemblea si accinge a delineare nei tre articoli ad esso dedicati, è, prima di tutto e soprattutto, un problema di libertà. Ed è sotto questo aspetto, e sotto questo soltanto, che io mi propongo di trattarlo qui, nella convinzione che solo se noi riusciremo ad inquadrare i nostri ordinamenti scolastici in un regime di libertà, la scuola risorgerà a vera grandezza e diventerà, come è giusto che diventi e come noi vogliamo che diventi, il più efficace strumento della ricostruzione nazionale. E tanto più necessaria mi sembra questa presa di posizione da parte nostra, dopo gli interventi, avvenuti ieri, di diversi egregi colleghi di parte socialista: interventi che, ispirati essi pure indubbiamente al nostro stesso desiderio di libertà, hanno rivelato preoccupazioni in omaggio alle quali la libertà verrebbe ad essere a parer mio irrimediabilmente menomata e, sotto un certo punto di vista, sia pure con le migliori intenzioni, travisata.
Cercherò, dunque, sia pure brevemente, di precisare il mio pensiero, fissandone il punto fondamentale di partenza e dichiarandone senza ambagi, e senza riserve, le ultime e inevitabili conseguenze.
Il principio della libertà della scuola deriva direttamente dal concetto della personalità umana e dai rapporti che intercorrono fra essa e la collettività.
Questo concetto di personalità implica quello di vocazione cui ogni individuo è necessariamente ordinato e che costituisce, per ogni individuo, un valore che ha precedenza e dignità di fine rispetto a qualunque altra realtà umana, e che in nessun caso e per nessuna ragione può essere sacrificato.
Ma la persona, isolatamente presa, è soggetta ad insufficienze ed a limiti che si oppongono allo sviluppo ed al perfezionamento delle sue facoltà, e che essa può superare solo integrandosi con altre persone.
Questo perfezionamento, di cui l’educazione costituisce il momento caratteristico e saliente, trova la sua prima e naturale sede nella famiglia che a ciò è ordinata come a suo fine e dove il diritto dei figli ad essere educati si traduce nel dovere di educare proprio dei genitori, e reciprocamente, il diritto della famiglia ad educare soddisfa al dovere che i figli hanno di istruirsi e di perfezionarsi.
Senonché i genitori, anche se animati dalla maggior buona volontà, non possono il più delle volte compiere da soli l’opera dell’educazione ed istruzione del fanciullo, e spetta alla scuola compiere quest’opera supplendo i genitori là dove questi non potrebbero assolutamente mai arrivare.
Vi sono però tanti modi di compiere quest’opera. Educazione e istruzione non si compendiano infatti nell’arido apprendimento di un certo numero di cognizioni positive incontrovertibili, ma hanno – e non potrebbero non avere – un contenuto spirituale che può essere diversamente orientato e che può a sua volta diversamente orientare la formazione della personalità del fanciullo. Perciò resta ai genitori il diritto di scegliere la scuola cui affidare i loro figli, in modo che essa risponda al loro ideale educativo ed alla loro concezione della vita; e compete allo Stato – che deve in questa loro opera tutelarli ed aiutarli – il dovere di lasciare alla scuola la più ampia libertà di realizzare quell’ideale nei limiti, ben s’intende, dell’ordine e del bene comune.
E qui io debbo rilevare il mio fondamentale dissenso dall’onorevole Binni, il quale ieri non esitava a definire «chiusa» la scuola orientata e «libera» quella di Stato, dove, proprio perché possono insegnarvi uomini di ogni fede, un orientamento può, in qualche caso almeno, venire a mancare.
Io non voglio contestare all’onorevole Binni il diritto di pensare e di sostenere che una scuola non orientata sia la più adatta per mettere fin dal principio il fanciullo dinnanzi alle perplessità di quella che dovrà essere in seguito la sua scelta di un certo ben determinato modo di concepire la vita. Ma vorrei che egli, con pari liberalità, mi riconoscesse il buon diritto di altri genitori, i quali pensano che più salutare sia per i loro figli l’essere fin dal principio avviati verso quella concezione della vita, che è, per loro, la più vera e la più sana. Vorrei che egli mi riconoscesse che vi possono essere dei genitori i quali, seguendo il pensiero di un grande Pontefice che ieri stesso è stato qui autorevolmente citato, sono convinti che al suo compito educativo la scuola non possa pienamente assolvere, se l’insegnamento di tutte le materie non è tutto permeato e saturato di spirito cristiano.
Certo, per giungere a questo, bisogna aver sorpassato lo stato d’animo che trapelava ieri così chiaramente dalle parole di un altro nostro egregio collega, l’onorevole Giua; il quale è evidentemente preoccupato di quelli che tradizionalmente si usano definire conflitti tra la scienza e la fede, e non nasconde il suo dubbio che intralci al progresso della scienza possano essere frapposti dalla Chiesa Cattolica.
Sono spiacente che non sia presente l’onorevole Giua; ma se fosse presente, vorrei dirgli che mi è parso sentire nelle sue parole l’eco di posizioni mentali che io francamente consideravo definitivamente superate. Sappiamo tutti che le sue preoccupazioni hanno dominato il pensiero di molti studiosi del secolo scorso; sappiamo tutti che conflitti sono nati ed hanno dolorosamente amareggiato molte nobili menti, allorquando qualche inattesa e apparentemente rivoluzionaria conquista della scienza ha posto gli studiosi di fronte alla necessità di revisioni radicali del loro modo di concepire il creato. Sappiamo anche che uomini di chiesa, preoccupati di mettere d’accordo queste conquiste con la lettera dei Sacri Testi (che non sono, né hanno mai avuto la pretesa di essere dei trattati scientifici) per eccessivo – e in certo senso ben spiegabile – attaccamento ad interpretazioni tradizionali, e a volte anche, per incapacità di evolverle con la necessaria prontezza, hanno commesso errori di cui il successivo sviluppo del pensiero ha fatto giustizia.
Ma i fiumi d’inchiostro che il processo di Galileo ha fatto spandere, a questo se non altro hanno servito: a dimostrare cioè che non è lecito dagli errori degli uomini (e sia pure degli uomini di chiesa) trarre argomento per affermare l’esistenza di un reale conflitto tra la scienza e la fede. La quale ultima ha anzi sempre trovato nei progressi della scienza argomento per nuovi e spesso impensati conforti; tanto che sono proprio le conquiste più rivoluzionarie e più ardite della scienza quelle che, quando le idee si chiariscono e le posizioni si precisano, più decisamente ci danno l’impressione della superiorità della concezione spiritualistica dell’universo.
Io non voglio tediare questa Assemblea, né farle perdere con divagazioni scientifiche un tempo che essa deve riservare ai suoi più immediati compiti; ma non posso non dire qui quanto, nella mia vita di studioso, io sia stato impressionato dal misterioso, ma sicuro parallelismo che le nuove concezioni relativistiche dello spazio e del tempo presentano con la concezione che dello spazio e del tempo avevano, in tempi davvero non sospetti, sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino.
L’onorevole Giua ci ha detto ieri i suoi timori per un possibile futuro conflitto tra il pensiero cristiano ed i progressi che stanno in questi anni facendo le scienze biologiche, ed in particolare la genetica.
Ora io mi sento a questo proposito perfettamente tranquillo. Prova ne sia che quando, alcuni mesi or sono, nella mia veste di Presidente del Consiglio nazionale delle Ricerche, ho dovuto nominare un Direttore del centro di Biologia istituito a Napoli, non ho esitato a scegliere un valente studioso specializzato in embriologia sperimentale il quale, per avventura, è anche sacerdote. E non ho mai pensato, che tra la sua attività di ricercatore ed il suo pensiero di credente potessero o dovessero sorgere conflitti di sorta.
Creda pure l’onorevole Giua che se la genetica troverà il modo di influire sulle caratteristiche dei nascituri, essa si vedrà sbarrato il cammino dalla Chiesa Cattolica, solo nell’ipotesi che gli uomini, dei nuovi trovati si voglian servire per fini lesivi della dignità umana. Che se invece quei trovati potranno servire a liberare preventivamente qualche creatura da tare ereditarie e ad elevarne le condizioni di vita, la Chiesa sarà al suo posto, al fianco della scienza, per una umanità fisicamente e spiritualmente migliore. (Applausi).
Ma è ora, onorevoli colleghi, che io vi chieda scusa della ormai troppo lunga parentesi, e che io ritorni in argomento. E vi ritorno per dire all’onorevole Preti ed all’onorevole Binni, che, rivendicando la libertà della scuola noi non pensiamo né desideriamo in alcun modo menomare la scuola di Stato, di cui io sono il primo a riconoscere l’alta funzione e le indubbie qualità e benemerenze.
Ma vogliamo che, accanto ad essa, viva e prosperi anche la scuola orientata, e che i genitori italiani, tutti i genitori italiani, siano effettivamente liberi di mandare all’una o all’altra i loro figli.
In questo consiste la libertà della scuola.
Quando, nel 1869, al primo Parlamento riunito in Firenze, Vito d’Ondes Reggio presentava un progetto di legge il cui primo articolo diceva: «L’insegnamento è libero; può esercitarlo chiunque goda dei diritti civili», egli, pur riallacciandosi alle tradizioni dei nostri migliori pedagogisti del secolo scorso, da Antonio Rosmini al Capponi, al Lambruschini, al Tommaseo, intendeva fare un’affermazione di principio. Non voleva, come neppure oggi si vuole, ridurre la questione alla difesa di un gruppo di scuole private; ma affermava la tesi di un insopprimibile diritto della persona e della famiglia, quel diritto alla libertà di insegnamento che, dalla Rivoluzione francese in poi, ha trovato nel monopolio statale della scuola un’aperta violazione ed un’amara sopraffazione contro la fecondità delle libere iniziative.
Noi respingiamo, in maniera assoluta, la concezione dello Stato che si è venuta formando nei tempi moderni, secondo la quale la sua sovranità consiste nel proclamarsi fonte unica di ogni diritto, cosicché tutti i diritti soggettivi, a cominciare da quello dello sviluppo della personalità, non sono che sue benevole concessioni. Per noi, anche nel campo scolastico, lo Stato entra in funzione come tutore di diritti della persona e della famiglia con esse consostanziati, diritti della persona e della famiglia, il cui esercizio deve dallo Stato essere aiutato ed agevolato in vista della formazione e del perfezionamento degli individui e del raggiungimento del bene comune.
Supplire alle insufficienze della persona e della famiglia, ed integrare le loro iniziative al fine di condurre ogni persona al massimo perfezionamento compatibile con le sue doti naturali e con il presente ordine sociale, questa è la funzione dello Stato. Ed è in questi limiti che si delineano chiaramente quei doveri e quei diritti di fronte ai quali prende significato e valore il concetto della libertà della scuola.
Lo Stato dovrà dunque provvedere alla pubblica istruzione aprendo scuole sue e consentendo che ne aprano enti o privati, e vigilando a che tutte queste scuole, pubbliche o private che siano, offrano le dovute garanzie sia per quanto riguarda l’idoneità degli insegnanti, sia per quanto riguarda le modalità tecniche dell’insegnamento e la sua conformità alle leggi vigenti.
Per quel che si riferisce a questa vigilanza, io credo che potremmo – uomini di tutti i partiti – esser tutti d’accordo nell’auspicarla sempre più efficiente; perché sappiamo tutti che abusi e manchevolezze sono anche troppo frequenti, così nella scuola privata come nella scuola pubblica, così nelle elementari come nelle università; ed una vigilanza esercitata con competenza e senso di responsabilità potrebbe finalmente mettere lo Stato in condizione di intervenire tempestivamente ed efficacemente ovunque lo richiedano la dignità e la serietà dell’insegnamento.
Ma non basta che lo Stato consenta alla scuola privata di esistere se ne ha i mezzi e se soddisfa a ben determinate condizioni.
II diritto di insegnare, così inteso, costituisce bensì un minimo inalienabile: ma rappresenta quello che si potrebbe chiamare una libertà negativa, epperò insufficiente.
Ed invero l’insegnamento ha oggi tali esigenze di specializzazione dei docenti, di salubrità di locali, di installazioni e di attrezzature costose, che la scuola privata, se abbandonata a se stessa, non può più sussistere o può sussistere solo al servizio dei ricchi, per non dir dei ricchissimi.
Ora, non i ricchi soltanto devono poter scegliere la scuola cui affidare i loro figli. Se questa scelta ha un senso – come noi pensiamo che l’abbia, in relazione con quei diritti inalienabili della famiglia cui abbiamo detto che lo Stato deve rispetto e tutela – essa deve potersi liberamente esercitare da tutti i cittadini, a qualunque classe sociale appartengano, qualunque siano le loro condizioni economiche.
Una scuola libera, a disposizione soltanto dei privilegiati della fortuna, non solo contrasta con tutte le nostre tradizioni e travisa quelle che sono le origini dell’enorme maggioranza delle nostre scuole, di cui nessuno può dimenticare le benemerenze e che sono state create per il popolo, e che anzi proprio all’istruzione dei poveri erano, nel pensiero e nella volontà dei fondatori, espressamente destinate, ma urta – onorevoli colleghi – contro quel bisogno di giustizia sociale che tutti sentiamo imperioso ed a realizzare il quale sono volti i più nobili e concordi sforzi di questa Assemblea.
Perché la libertà di insegnamento sia effettiva per tutti, perché di essa possano valersi i poveri come i ricchi, perché la scuola cessi di essere un privilegio di classe, e resa accessibile a tutti, divenga veramente quello strumento di sano rinnovamento sociale che tutti auspichiamo, perché essa contribuisca a preparare una più vasta partecipazione del popolo ai compiti ed alle responsabilità della vita nazionale, bisogna che tutti i cittadini senza distinzione di ceto o di condizione, possano contare sull’assistenza anche economica dello Stato, qualunque sia la scuola nella quale compiono i loro studi.
Sarebbe qui fuori di luogo – onorevoli colleghi – una discussione delle modalità con cui questa assistenza potrà domani venir realizzata. Questo è compito della legislazione futura e dovrà assolversi con quella gradualità che le circostanze imporranno.
Ma è compito di questa Assemblea impostare i limiti e fissare le direttive della legislazione futura, in termini tali che la libertà non resti indefinitamente una semplice dichiarazione giuridica, ma diventi al più presto possibile per il popolo italiano una realtà operante. Per il che occorre che lo Stato provveda, come è suo dovere, a predisporre ed organizzare le condizioni economiche che valgano a rendere possibile l’effettivo esercizio della libertà.
L’esempio di altri Paesi in cui questo ideale è in atto basta a rassicurarci sulla possibilità della sua realizzazione, e ci conforta, e ci autorizza ad affermare che, in ogni caso, quelle provvidenze che verranno anche da noi escogitate al duplice fine di rendere effettivo l’obbligo scolastico fino ai quattordici od ai sedici anni, e di assicurare poi ai più meritevoli la continuazione degli studi nel campo della preparazione professionale o dell’alta cultura, dovranno essere attribuite alla persona con piena ed assoluta facoltà di utilizzarle in quella qualsiasi scuola, pubblica o privata, nella quale essa intende compiere la sua educazione.
Questo per quanto riguarda la libertà dei cittadini di scegliersi la loro scuola.
Ma non si esaurisce qui il problema della scuola – non si esaurisce se non si ha il coraggio di affermare un’altra libertà: quella della scuola stessa, della stessa scuola di Stato, a darsi i suoi ordinamenti.
E qui l’argomento assume un particolare rilievo se si guarda all’Università ed agli Istituti di alta cultura, la cui attuale decadenza, da tutti sentita, è in gran parte dovuta all’avvenuta soppressione di ogni autonomia, di ogni libertà.
L’Università è oggi soffocata dalle masse dei giovani che si affollano alle sue porte senza possedere attitudini e nemmeno aspirazioni alla preparazione scientifica o ad una reale elevazione morale e sociale, spinti soltanto dal proposito di conquistarsi in qualunque modo un titolo che apra la via ad uffici lucrosi.
L’Università non si salva se non attraverso un radicale rinnovamento dei suoi ordinamenti, capace di attuare una severa selezione ed un orientamento dei giovani. Tali nuovi ordinamenti dovranno essere così variamente articolati e differenziati da preparare i giovani meritevoli e capaci, perché forniti delle necessarie attitudini e perché orientati, avviandoli mediante una specifica formazione verso le singole attività professionali o verso le più alte mete della cultura.
Ad un tale risultato non si arriverà mai se non si metteranno in gioco le libere iniziative attraverso una completa autonomia di governo didattico ed economico dei singoli Istituti; autonomia che sola può permettere agli Istituti stessi di darsi un particolare e ben determinato carattere nella costituzione stessa del corpo insegnante e nella libera adozione di quegli ordinamenti che, caso per caso, più si confanno al raggiungimento dei fini che i singoli istituti si propongono, adeguando al programma i mezzi di cui essi dispongono.
L’autonomia, se reale e completa, varrà a fissare le responsabilità dei corpi insegnanti e a restituire all’insegnamento superiore quel prestigio che esso ha ormai perduto.
Allo Stato resterà il diritto di disciplinare l’esercizio delle professioni attraverso il conferimento dei relativi diplomi di abilitazione. E nell’esercizio di questo suo diritto avrà sempre modo di operare quel controllo che deve garantire ogni cittadino e stimolare le Università nell’esplicazione delle loro libere attività.
Se questa Assemblea avrà il coraggio di affermare il principio dell’autonomia degli Istituti di alta cultura, essa potrà ben dire di aver con ciò posta una pietra basilare dell’edificio nuovo nel quale si matureranno i futuri destini e le future grandezze d’Italia. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Zotta. Ne ha facoltà.
ZOTTA. Parlerò sul problema familiare, il quale è trattato negli articoli 23, 24, 25 del progetto di Costituzione, limitando le osservazioni alle esigenze del tempo concesso dall’onorevole Presidente per questa discussione.
Incomincio da un rilievo, che non viene da questo settore, ma da me personalmente, e non so quanto sia condiviso dai colleghi del gruppo parlamentare democristiano. Cioè: l’articolo 23 sulla famiglia ha una formulazione che mi sembra insufficiente ad esprimere quel concetto vivo, che della famiglia noi italiani abbiamo, e che dovrebbe necessariamente in un testo costituzionale avere una dizione chiara, aperta, inequivocabile.
Due concetti sono fissati in questo articolo 23 del progetto.
L’uno afferma il carattere organico del gruppo familiare e la originarietà dei suoi diritti, colla dizione:
«La famiglia è una società naturale. La Repubblica ne riconosce i diritti».
L’altro concetto definisce il rapporto tra la famiglia e lo Stato, cioè la essenza finalistica del controllo che lo Stato esercita sulla famiglia.
Io ho proposto un emendamento.
Quando si dice: «e (la Repubblica) ne assume la tutela» – vedremo poi questo termine «tutela» – «per l’adempimento della sua missione e per la saldezza morale e la prosperità della Nazione», io ho proposto, per dare, appunto, quel carattere di concretezza, quel contenuto che manca, questa aggiunta: «in armonia con la tradizione religiosa, sociale e giuridica del popolo italiano».
Perché, onorevoli colleghi, noi abbiamo una definizione stilizzata valida per tutti i tipi di famiglia.
Questa definizione può prestarsi per la famiglia italiana, per quella anglosassone, per la russa, per la mussulmana, per la famiglia primitiva.
Si dice: «La famiglia è una società naturale. La Repubblica ne tutela i diritti».
Di quale famiglia si intende parlare? Vi è la famiglia cristiana, la quale si fonda sul carattere sacro del matrimonio, esige indissolubilità del vincolo coniugale, ripudia lo stato di concubinato, distingue la filiazione legittima da quella illegittima.
Vi sono anche nel mondo civile tanti altri tipi di società coniugale, da quelli che non riconoscano il crisma della santità, riconducendo il vincolo coniugale ad una mera convenzione di parte, risolubile quando che sia; a quelli che non riconoscono né il crisma sacramentale, né quello legale dello Stato civile, ravvisando il matrimonio nel concubinato.
Ora, io domando: questa dizione a quale di questi tipi si riferisce?
Alla famiglia, qual è intesa dalla coscienza religiosa, sociale e giuridica del popolo italiano? Questo parrebbe desumersi dal successivo articolo 24, dove si consacra il principio della indissolubilità del matrimonio. Se è così, dobbiamo intendere la tutela statale, come diretta al potenziamento di tutti gli elementi, che rafforzano l’istituto familiare e alla lotta contro tutti i fattori che lo debilitano.
Ma, onorevoli colleghi, la dizione formale non autorizza questa sola interpretazione, specialmente se la raffrontiamo col capoverso dell’articolo 25, molto noto e già molto discusso, ove si stabilisce che per i figli nati fuori del matrimonio si crei uno stato giuridico e sociale non inferiore a quello dei figli legittimi, giungendosi per questa via alla parificazione della famiglia legittima con quella illegittima. Ed allora la dizione del testo non si riferisce più ad una famiglia cristiana, ma ad un’altra famiglia.
Dunque, questo articolo 23, che sta all’inizio come un titolo, riceve la sua qualificazione, la sua concretezza ed individuazione negli articoli successivi, ed in questi articoli successivi non c’è univocità tale da farci credere che in quell’articolo sia consacrato il principio della santità del matrimonio cristiano. Ecco perché io propongo l’emendamento aggiuntivo.
Quando il progetto dice: «La famiglia è una società naturale. La Repubblica ne riconosce i diritti», vuol significare che noi accettiamo il principio della pluralità degli ordinamenti giuridici. La famiglia costituisce una formazione sociale, da cui deriva il possesso di diritti anteriori alla legge positiva, diritti che lo Stato riconosce e garantisce. È una teoria questa che si contrappone a quella della statualità del diritto di Hegel e di Jellineck; e trova le sue radici profonde nella scuola francese con Duguit e Hauriou, ma soprattutto in un grande giurista italiano: Santi Romano.
A questo proposito è stata fatta un’osservazione non scevra d’interesse dall’onorevole Preti, il quale ha detto: se voi vi riportate al concetto della pluralità degli ordinamenti giuridici di Santi Romano, voi dovete necessariamente riconoscere anche le associazioni a delinquere. È un rilievo esattissimo questo, perché, onorevoli colleghi, se noi ci fermiamo alla nozione formalistica, noi introduciamo il concetto puro di istituzione, di ordinamento giuridico, e ci mettiamo sulla china che ci porta a dover riconoscere tutte le forme di aggregazioni sociali, non esclusa quella a delinquere. Noi andiamo perciò in cerca di un contenuto, ed è quel contenuto che manca in questo articolo, il quale come è attualmente formulato può essere benissimo interpretato come allusivo anche alla famiglia dei popoli primitivi, alla famiglia poligamica, perché tutte le famiglie sono società naturali e tutte hanno una propria struttura, cioè un proprio ordinamento giuridico e quindi diritti loro propri.
Diamolo questo contenuto! Ma dove lo cerchiamo? Non indubbiamente nel campo del diritto naturale o razionale, in un terreno cioè controverso per le diverse concezioni e definizioni, per i diversi obbietti e limiti. Noi non abbiamo in altri termini un tipo di famiglia valido per tutti i casi, che ci autorizzi a pensare che il testo intenda alludere a quel tipo. Non esiste, come non esiste un tipo di Stato, un tipo di societas gentium, un tipo di una qualunque formazione sociale, ma esiste un determinato Stato, una determinata società delle genti, una determinata formazione sociale, una determinata famiglia. È questa famiglia che noi vogliamo definire. Ecco perché io ho presentato questo emendamento. Perché mi sembra che soltanto allora l’articolo palpiti, viva, dia una nozione precisa e concreta, indichi una direttiva al futuro legislatore, consacri un principio, che è nella coscienza cattolica e giuridica del popolo italiano. Soltanto allora, onorevoli colleghi, non vi potrà essere in avvenire perplessità di interpretazione, perché si saprà che la Costituzione ha voluto consacrare il principio della famiglia italiana, di quella che si basa sul carattere sacro del matrimonio, che ripudia il concubinato, che trae origine da una unione, che non è solo dei corpi, ma delle anime, che ha quindi per obbietto la reciproca assistenza, la procreazione e l’educazione dei figliuoli, il benessere economico, in una comunanza indissolubile di vita: consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio.
Ora, questo è l’ordinamento giuridico, questi sono i diritti che deve tutelare la Repubblica; un complesso cioè di posizioni giuridiche, le quali hanno radici così profonde nella coscienza del popolo italiano, hanno una rispondenza così immediata nell’animo umano, da collocarsi per la loro forza cogente, almeno per quanto riguarda la nostra gente, sul medesimo livello di quei diritti primordiali e fondamentali della personalità umana, che sono i diritti alla vita ed alla libertà. E come questi, infatti, essi devono essere intangibili ed anteriori ad ogni legge positiva, in quanto una qualsiasi violazione di essi importerebbe offesa alla vita e alla libertà della famiglia, cioè per quella connessione che esiste tra la famiglia e la società, costituirebbe un attentato alla saldezza morale ed alla prosperità della Nazione.
Si parla di tutela, o signori. Chiariamo questo concetto con una aggiunta, ed allora lasciamo correre tutti gli aggettivi e tutti i sostantivi. Tutela! Ma se questo termine è usato nel senso tecnico giuridico nell’articolo 23, – e non dovrebbe essere diversamente, perché nella Costituzione si parla in termini giuridici, i quali hanno un solo significato e non presentano equivocità di interpretazioni – occorre ricordare che la tutela si esercita sugli incapaci; il che farebbe temere una ingerenza eccessiva dello Stato nella famiglia. Se non è un termine giuridico, ed allora bisogna specificare che cosa si vuole intendere. È questo concetto che noi dobbiamo cercare e che io vedrei espresso nella dizione aggiuntiva da me proposta.
Passo poi al secondo emendamento: «Il capo della famiglia è il marito».
GIANNINI. È una illusione!
ZOTTA. Ma noi viviamo di queste illusioni! Noi abbiamo fissato in questo articolo 24 il concetto dell’unità della famiglia e dell’indissolubilità del vincolo coniugale. Se ne vuole aggiungere anche un altro: quello dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi. Io direi che questo principio è già accolto dalla legislazione vigente, perché riposa sul concetto etico dell’uguaglianza degli esseri umani. Lo si vuole introdurre nella Costituzione? Ma lo si armonizzi con l’altro della unità della famiglia e lo si armonizzi in maniera che non sorga dubbio di interpretazione, perché non deve andare a scapito di questa unità.
Mi pare di aver sentito, su questo punto, più in privato che nell’aula, che questo concetto di gerarchia familiare, che è nella tradizione del popolo italiano, sia già espresso nella dizione «unità della famiglia». Io dissento da questa interpretazione, alla quale mi sembra acceda anche l’onorevole Presidente dell’Assemblea. Mi pare che egli l’abbia accennato in una interruzione. Unità della famiglia, sì, unità di questo nucleo, ma noi dobbiamo anche precisare chi dirige il nucleo, noi dobbiamo preoccuparci della unità della direzione. Sono due concetti diversi.
PRESIDENTE. Mi permetta che lo interrompa: voglio esprimere il mio pensiero a riguardo con una formula latina che non riesco ancora a tradurre in italiano in modo tale che renda lo stesso concetto.
ZOTTA. Sì, l’ho già sentita la formula: primus inter pares.
PRESIDENTE. Non pare anche a lei che se riuscissimo ad esprimere questa formula bene in italiano, daremmo soddisfazione alle comuni esigenze?
ZOTTA. Però mi sembra non sia espressa chiaramente nella dizione del progetto.
PRESIDENTE. Lo stesso dico io.
ZOTTA. E mi riporto anch’io ad una reminiscenza del mondo latino. Non vi è dubbio sulla unità della repubblica romana; essa però aveva una duplicità di direzione espressa nella collegialità: i due consules dotati di par potestas. Il primus inter pares si trovava invece negli altri Stati italici. Vi era un meddix che aveva accanto un meddix minive. Ora la famiglia, quanto ad unità di direzione, è da paragonarsi al meddicium osco non al consolato romano.
Se la dizione da me proposta non può appagare, se ne trovi un’altra, ma che esprima chiaramente questo concetto, il concetto cioè che è stato fatto proprio dalla legislazione vigente, la quale ha già abolito tutte le disparità sopravvissute, ha integralmente soppresso l’istituto dell’autorizzazione maritale, sicché, nel campo del diritto privato, vi è una eguaglianza assoluta dei due coniugi, e tuttavia ha conservato in vita il concetto della gerarchia familiare, che importa subordinazione della moglie verso il marito e dei figli verso i genitori. In altri termini, io dico questo: non ci sarebbe bisogno di questa mia aggiunta, se non ci fosse stata l’altra dell’affermazione solenne dell’eguaglianza dei due coniugi. Sia ben chiaro che si intende consolidare nella Costituzione lo spirito della tradizione, ma non crearne uno nuovo, che sia come la premessa di pericolose innovazioni nell’avvenire.
I coniugi sono eguali! Ma la famiglia, come ogni istituto collettivo, non vive se non ha un capo e il capo lo trova nella persona del più capace e, me lo consentano, del più forte.
Ancora cinque minuti.
PRESIDENTE. Parli pure, onorevole Zotta, che l’Assemblea lo ascolta molto attentamente.
ZOTTA. Mi sento un po’ preoccupato per l’ora tarda e la preoccupazione mi spinge ad esser breve.
Veniamo adesso all’altro emendamento da me proposto; soppressione del capoverso dell’articolo 25. Dalle premesse fissate nell’articolo 23 e nell’articolo 24, scaturiscono inevitabilmente queste conseguenze: distinzione netta fra famiglia e concubinato, distinzione netta tra filiazione legittima e filiazione illegittima. Qui si inserisce una questione molto delicata, la quale ha un profondo contenuto di umanità; una questione che risale ai principî della solidarietà, della eguaglianza umana. Migliorare cioè la condizione degli illegittimi, perché la colpa dei genitori non ricada su chi non ha chiesto di venire al mondo. Questione umanissima, sulla quale devo fare questo rilievo, compiacendomene, che in sostanza, diversità di vedute tra i vari settori non esistono. La diversità è soltanto formale: e mi spiego. Questa formulazione, così come è espressa dal progetto, il quale stabilisce che venga garantito ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico, che escluda inferiorità civili e sociali, porta in una interpretazione logica a delle conseguenze, che non sono accettate da nessuno di questi settori, come è stato chiaramente specificato nei vari interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Vi è stata soltanto una voce, che poteva apparire discorde. Quando l’onorevole Merlin Umberto disse: «Ma in questo modo, amici miei, voi ponete il genitore nel dovere di introdurre nella sua casa dei figli naturali, e logicamente con essi anche la mamma, perché se i figli naturali hanno gli stessi diritti dei figli legittimi, è naturale che essi abbiano anche diritto all’assistenza della mamma», vi è stato un mormorio indistinto di protesta nei settori di sinistra. Ho notato però questa interruzione dell’onorevole Calosso: «tendenzialmente sì».
Ora, onorevoli colleghi, se dovessimo appagarci delle assicurazioni sulla interpretazione che viene data oggi a questa disposizione da tutti coloro che sono intervenuti nella discussione, noi saremmo tranquilli, perché questa interruzione dell’onorevole Calosso potrebbe essere anche presa così, come un motto di…
Una voce. …di spirito.
ZOTTA. …già di spirito; ma il fatto è che questo spirito, col decorso degli anni, diventa potente, come avviene per tutti gli spiriti, per tutte le essenze alcooliche; specialmente quando mutano le circostanze ambientali, sociali e politiche. Vi può essere tutta una evoluzione od involuzione inaspettata ed indesiderata in avvenire. E allora questa disposizione va intesa precisamente nel senso paventato, che cioè il genitore abbia il dovere di introdurre nella casa – perché questo dovere gli viene da una chiara disposizione di legge, la quale parifica i figli naturali ai legittimi – i figli illegittimi, e con essi la madre. E allora, onorevoli colleghi, questi nostri tardi nepoti diranno che la nuova Costituzione del popolo italiano – la prima Costituzione che sa darsi il nostro popolo – ha distrutto la famiglia come organismo unitario, ha introdotto l’immoralità nella casa, ha legittimato la poligamia. (Commenti a sinistra).
Vi è un altro lato; è un dilemma questo, da cui non si esce, una volta affermata la posizione di eguaglianza. Il genitore crea un’altra casa per i figli illegittimi e per la madre di essi, cioè istituisce un’altra famiglia. E allora, onorevoli colleghi, è distrutta non solo l’unità della famiglia, ma anche il vincolo dell’indissolubilità, perché questo sarà un comodo ripiego per poter spezzare quel vincolo che noi dichiariamo adesso, nella Costituzione, indissolubile. Questo sarà il mezzo cui faranno ricorso tranquillamente tutti coloro che vogliano ripudiare il coniuge e la famiglia legittima, attratti dalla prospettiva di nuove nozze, perché hanno la tranquillità di costituire un’altra famiglia, che ha le stesse possibilità di una famiglia legittima.
Le provvidenze, sì, le condividiamo nella sostanza. Esse sono nostre. Ci muove uno spirito di pietà per questi derelitti. Che cosa si può fare per essi? Bisogna tentare tutto quello che è possibile e mi sembra che la questione possa essere posta in questi termini: commisurare il bene che si opera in una sfera con l’inevitabile male che si crea in un’altra sfera di esseri umani, che è molto più ampia della prima, perché se noi creiamo questa parità per gli uni, noi danneggiamo grandemente, in profondità e in estensione, gli altri.
Questo è il problema dal punto di vista umano, perché non è generosità quella che, per beneficare alcuni, ha bisogno di danneggiare molti altri; non è giustizia quella che elimina le conseguenze di un male, recando danno a chi non lo ha causato. La giustizia consiste nel ristabilire l’armonia, non nello spostare lo squilibrio da un punto ad un altro.
Si è solennemente dichiarato in quest’Aula che bisogna migliorare le condizioni dei figli illegittimi. Ma sì, senz’altro! Incominciamo, per esempio, col sollevare la condizione dei figli naturali, non adulterini né incestuosi, sancendo tutti gli obblighi da parte dei genitori verso questi derelitti, obblighi sia di indole morale che di indole patrimoniale. Consacrando questi obblighi, non c’è infatti pericolo per l’istituto familiare. Essi si possono anzi ampliare con una ricerca più ampia della paternità e della maternità. Ma altri casi vengono prospettati: sentivo stamane l’onorevole Ruini, il quale citava come questo problema fosse stato tormentosamente vissuto da Salandra, da Scialoia, da Gianturco, e proponeva che ci fosse una possibilità di legittimazione quando uno dei genitori naturali non fosse legato da matrimonio e nei confronti di questi. Negli altri casi è opportuno intensificare l’azione di assistenza da parte di istituzioni private o pubbliche.
In ogni caso occorre eliminare l’umiliazione del marchio d’infamia, che pesa dolorosamente sulla fronte di questi disgraziati, quando essi debbono dichiarare fra i consociati la loro paternità.
Bisogna insomma distruggere per legge ciò che ha carattere di inferiorità, ma purché si mantenga saldo l’istituto della famiglia.
MANCINI. Concretizzi queste provvidenze.
ZOTTA. È compito del Codice civile, non della Costituzione. Io perciò ho presentato un emendamento per la soppressione del capoverso. Comunque non vi insisto, se altri emendamenti sono redatti in forma più aderente al mio pensiero. Io accedo senz’altro ad essi, perché il pericolo è che, pur approvando qui il concetto dell’indissolubilità del matrimonio, lo distruggiamo di fatto, facendo passare una norma che pone sullo stesso piano figli naturali e figli legittimi.
Non è chi non veda quanto sia esiziale questa visione. È esiziale a tutti. Anzitutto agli artefici del dramma, perché essi non saranno più trattenuti dal pensiero di rovinare una disgraziata quando sanno di poterne legalizzare la posizione; non saranno più tormentati dallo spettro di coloro che vengono al mondo. La possibilità stessa di costituire altri focolari costituisce un motivo di inconsiderazione, di leggerezza nella scelta del primo. La unione dell’uomo e della donna, che nella famiglia italiana, grazie a Dio, riposa finora sulla coesione delle anime, ove trova il più sicuro presidio per la sua saldezza morale, questa unione verrebbe ad essere occasionata, con una facilità di trasposizioni, da fattori effimeri, da capriccio, da curiosità, da libidine. Chi ne soffrirebbe enormemente sarebbe l’altro coniuge, la donna. È un fatto questo che non è stato valutato in questa discussione. La moglie, la quale è elemento fondamentale, essenziale, per la formazione della casa, per la costituzione e la conservazione del patrimonio familiare, dovrebbe assistere inerte con i propri figliuoli alla distruzione della sua casa, dovrebbe vedere i suoi risparmi alimentare altre case, dovrebbe vedere disgregarsi quel patrimonio affettivo ed economico cui essa ha dedicato le migliori energie nella sua sublime missione domestica. Esiziale per lo Stato, se è vero quello che abbiamo scritto che dalla famiglia lo Stato trae forza e impulso per il suo proprio sviluppo.
Salviamo la famiglia, onorevoli colleghi! In questa grande povertà, in questo grande travaglio, dopo tante sciagure belliche e politiche, ci sia conservato questo ché è l’unico patrimonio del popolo italiano (Applausi), questo da cui il popolo trae motivo di conforto per credere ancora nel suo avvenire! (Applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:
«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per andare incontro alle giuste rivendicazioni degli insegnanti medi e dei Convitti nazionali in modo da rendere al più presto alla scuola italiana la tranquillità e la serenità indispensabili al funzionamento di essa.
«Lozza, Silipo».
«Al Ministro della pubblica istruzione, sulle ragioni che lo hanno indotto a non accogliere le proposte di soluzione dello sciopero del personale della scuola media, proposte sulle quali erano d’accordo il personale interessato, il Gruppo parlamentare della scuola, la C.G.I.L. e lo stesso Ministro.
«Lizzadri».
Il Ministro della pubblica istruzione potrà rispondere a queste interrogazioni domani, contemporaneamente alle altre presentate su analogo argomento.
L’onorevole. Di Gloria ha fatto pervenire alla Presidenza una richiesta perché sia sollecitato lo svolgimento di un’interrogazione presentata dall’onorevole Canevari, da lui e da altri deputati sulla cooperazione.
Sarà tenuto conto della sua richiesta.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se, per ridurre la grave disoccupazione cagionata in provincia di Frosinone dai danneggiamenti subìti dagli stabilimenti industriali a causa della guerra, non ritengano opportuno provocare e favorire, con idonei provvedimenti di pronta attuazione, la riattivazione e la trasformazione per produzioni di pace degli stabilimenti già adibiti a produzioni di guerra, che, come quello Bombrini-Parodi di Ceccano, già impiegavano migliaia di operai.
«Carboni, Persico, Cairo, Binni, Preti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se:
1°) ritenuto che le somme attualmente stanziate per la revisione dei lavori appaltati dallo Stato alle imprese edili rappresentano solo una esigua parte delle somme effettivamente erogate dalle suddette imprese che, pertanto, restano creditrici dello Stato per somme tali da paralizzare ogni loro ulteriore attività ricostruttrice;
2°) ritenuto che non può dubitarsi del loro diritto ad essere rimborsate delle somme affrontate nell’interesse della ricostruzione nazionale e dei bisogni delle classi lavoratrici che nella attività edilizia hanno trovato e trovano il loro massimo impiego;
3°) ritenuto che la gravissima situazione dei costruttori italiani impone provvedimenti straordinari e di carattere urgentissimo;
4°) ritenuto che lo Stato, seppure si è trovato costretto a differire i pagamenti per difficoltà finanziarie, ha pur tuttavia il dovere di provvedere subito, nei limiti delle sue possibilità effettive, con provvedimenti concreti e realizzabili;
5°) ritenuto che lo Stato è proprietario di tutti i materiali e macchinari raccolti nei campi dell’Arar;
non ritengano, intanto, di venire incontro ai costruttori edili mediante emissione di buoni di prelevamento di materiali dai campi dell’Arar.
«Tali buoni dovrebbero avere valore corrispondente ai crediti da ogni impresa vantati per revisione e che, per le attuali difficoltà, non risultano esigibili per mancanza del corrispondente finanziamento per la Camera.
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda:
1°) disporre che sia corrisposto ai supplenti di filosofia negli Istituti magistrali il pagamento delle ore di tirocinio;
2°) provvedere, entro il corrente anno scolastico, alla sistemazione degli idonei di concorso e degli abilitati col concorso per soli titoli;
3°) assegnare (e a quale grado) i supplenti agli effetti della disagiata residenza e della indennità di presenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Tripepi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni del nuovo trattamento nel servizio di trasporto ferroviario del prodotto ittico proveniente da Chioggia.
«Convogliata su autocarro alle più vicine stazioni di Padova e di Rovigo, questa merce deperibilissima – che veniva fino a poco tempo fa caricata su treni diretti – viene ora fatta viaggiare con treni accelerati, con la conseguenza che il prodotto giunge a destinazione avariato, specialmente se diretto verso l’Italia centro-meridionale.
«In attesa che, per le cure del Ministero, possa presto compiersi la ricostruzione della ferrovia distrutta con la guerra, l’interrogante chiede di conoscere quali provvedimenti verranno disposti per ovviare al grave inconveniente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ghidetti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se – premesso che, sotto la ragione che «la malaria ha solo qualche caso sporadico», gli organi dirigenti dei servizi antimalarici della provincia di Venezia hanno respinto la richiesta del comune di Chioggia, intesa a far sì che nella zona di disinfestazione con D.D.T. vengano compresi i territori suburbani, che dalla sponda nord del Brenta giungono fino ai margini dell’agglomerato urbano di Chioggia e Sottomarina – non ritengano opportuno assecondare l’azione nuovamente intrapresa dai comuni di Chioggia, per ottenere l’accoglimento della sua domanda, tenuto presente che si tratta di salvaguardare la salute di 3461 abitanti delle località non comprese nella prevista zona di disinfestazione, e di impedire il diffondersi della malaria, essendosi riscontrati già negli stessi agglomerati cittadini più vicini alla zona in discussione, casi autoctoni della malattia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ghidetti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, ad interim, dell’Africa Italiana, per sapere se non riconosce essere doverosa assistenza la sistemazione del personale impiegatizio delle Colonie assunto con contratto straordinario e che ora ritorna in Patria dopo cinque anni di prigionia e viene licenziato in massa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Tomba».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 13.15.