ASSEMBLEA COSTITUENTE
LXXXIX.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 APRILE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Nobili Tito Oro
Tupini, Presidente della prima
Sottocommissione
Cappi
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Badini Confalonieri
Ferrarese
Meda
Dominedò
Veroni
Bulloni
Carboni
Riccio Stefano
Leone Giovanni
Grilli
Corsanego
Cifaldi
Nobile
Bettiol
Crispo
Rescigno
Caroleo
Bastianetto
Moro
Maffi
Mazza
Pertini
Gatta
Franceschini
Interrogazione con richiesta d’urgenza:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 10.15.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Do lettura del testo definitivo dell’articolo 16, come risulta dopo gli emendamenti approvati:
«Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione.
«La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure.
«Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nei casi di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo consenta, e nei casi di violazione delle norme relative all’obbligo dell’indicazione dei responsabili.
«Nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza e non è possibile il tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di pubblica sicurezza, che debbono, immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, inoltrare denunzia all’Autorità giudiziaria.
«La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
«Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni che siano contrarie al buon costume. La legge determina misure adeguate preventive e repressive».
Passiamo all’esame dell’articolo 17:
«Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome».
A questo articolo ha presentato un emendamento l’onorevole Condorelli, proponendo di sopprimere le parole: «per motivi politici».
L’onorevole Condorelli ha ieri dichiarato di mantenere l’emendamento e di non poterlo svolgere, poiché ha chiesto congedo.
L’emendamento sarà, pertanto, messo in votazione.
L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: del nome, aggiungere le altre: né del diritto di circolare liberamente e di soggiornare in qualsiasi parte del territorio».
Ha facoltà di svolgerlo.
NOBILI TITO ORO. Ritiro l’emendamento e ne spiego brevemente le ragioni.
La tutela del diritto di soggiorno era prevista nell’articolo 10, del quale avevo proposto la soppressione in funzione dell’emendamento sull’articolo 8. Siccome l’emendamento sull’articolo 8 non è stato accettato e l’articolo 10 è stato approvato, compresa la tutela del diritto di soggiorno, l’attuale emendamento, collegato con i precedenti, non ha ora più ragion d’essere.
PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il suo avviso sull’emendamento dell’onorevole Condorelli.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione è contraria all’accoglimento dell’emendamento dell’onorevole Condorelli, perché esclude l’unica ipotesi che rappresenta la ragion d’essere dell’articolo. Se si accogliesse la proposta dell’onorevole Condorelli, tutti i criminali e condannati per reati comuni verrebbero a godere d’un privilegio che noi vogliamo solo riservare a ipotesi di natura politica.
PRESIDENTE. L’onorevole Cappi aveva presentato una proposta di soppressione dell’articolo 17. Invito l’onorevole Cappi a dar ragione della sua proposta.
CAPPI. Ho presentato una proposta di soppressione degli articoli 17 e 18. Se l’onorevole Presidente permette, svolgo anche quella relativa all’articolo 18.
Mi pare che stiamo facendo una Costituzione reattiva; e l’onorevole Nitti per primo ci ha parlato appunto di queste Costituzioni che vengono fatte in momenti di sconvolgimento. Una Costituzione reattiva dunque. Ora, se noi vogliamo, per tutte le violazioni di libertà commesse dal fascismo, introdurre, in altrettanti articoli della Costituzione, la rivendicazione di quelle speciali libertà che sono state oppresse, violate dal fascismo, noi verremo a fare una Costituzione che non avrà quasi fine. Io vi invito a riflettere sull’articolo 17: «Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Ma noi abbiamo già votato un articolo, l’articolo 3, nel quale è detto che i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche, sono uguali di fronte alla legge.
Allora, se abbiamo già votato questo articolo, quale necessità vi è ora di dire che nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome? Se abbiamo detto che tutti i cittadini sono uguali, senza alcuna distinzione, né di sesso, né di razza o di lingua, o di condizioni, sociali, di opinioni religiose e politiche, di fronte alla legge, mi pare che abbiamo già detto tutto.
Aggiungerò poi che io ricordo, che, durante il fascismo, non si poteva esercitare una determinata professione, per esempio quella di avvocato, senza essere iscritti al partito fascista. Ed allora bisognerebbe mettere anche questo: che cioè non si può impedire l’esercizio della professione. Questa allora sarebbe una dimenticanza: ecco il pericolo delle specificazioni; si finisce sempre per dimenticare qualche cosa.
Pare, quindi, a me, che l’articolo 17 sia stato già, nel suo significato, pienamente compreso nell’articolo 3.
Per quello poi che riguarda l’articolo 18, sono del parere che è superfluo.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è in molte Costituzioni, onorevole Cappi.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Dell’articolo 18 si parlerà dopo.
PRESIDENTE. No: dato che l’onorevole Cappi ha la parola, è preferibile, per economia di tempo, che svolga subito anche l’altro emendamento.
CAPPI. L’articolo 18 dice: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge». Ma che ipotesi facciamo? È un privato che impone questa prestazione? In tal caso commette il delitto di violenza privata. È l’Autorità? Ma noi abbiamo votato che la nostra Repubblica deve essere una Repubblica democratica e parlamentare, il che significa che l’esecutivo non può se non eseguire le deliberazioni emanate dal legislativo, cioè le leggi; ché se un funzionario eseguisse arbitrariamente un atto che non fosse una legge o un decreto emanante dal potere legislativo, commetterebbe un reato e sarebbe – come è detto nell’articolo 22 – responsabile personalmente. Per queste ragioni, sembra a me che la superfluità di questi articoli sia evidente, superfluità che si traduce in pericolosità, in quanto che si fanno alcune ipotesi, ma non sono tutte le ipotesi. Quindi io insisto perché sia l’articolo 17 che l’articolo 18 vengano soppressi.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tupini di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Cappi.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione è contraria all’accettazione dell’emendamento Cappi. Le ragioni spiegate prima per oppormi all’emendamento dell’onorevole Condorelli valgono anche per l’emendamento Cappi.
Faccio osservare che se anche questo articolo avesse quel carattere di reattività che egli ha denunziato, è proprio per questo carattere che noi insistiamo, perché l’articolo sia mantenuto nella Costituzione, come abbiamo avuto più volte occasione di chiarire nella discussione generale e nei successivi nostri interventi ogni qualvolta è stata trattata la stessa materia.
PRESIDENTE. L’onorevole Cappi mantiene il suo emendamento?
CAPPI. Se la Commissione non l’accetta, non insisto.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. In assenza dell’onorevole Condorelli desidero fare una dichiarazione di voto. L’emendamento proposto dall’onorevole Condorelli, cioè l’emendamento soppressivo della formula «per motivi politici», trova la sua ragione d’essere in questo: che il dire che per «motivi politici non si può essere privati della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome» significa che per «motivi non politici» se ne possa essere privati. L’onorevole Tupini ha data una spiegazione, dicendo che ci sono l’inabilitazione, l’interdizione ed altri istituti che limitano la capacità giuridica. Ma tutti questi istituti si riferiscono non già alla capacità giuridica, ma alla capacità di agire. Sono questi due concetti nettamente diversi, perché l’ammettere una privazione di capacità giuridica significa ridurre l’uomo da soggetto di diritto, ad oggetto di diritto: il che certo non era l’intento che la Commissione aveva nella formulazione dell’articolo 17. In questo senso si deve intendere da parte dell’onorevole Condorelli la richiesta dell’abolizione dell’inciso «per motivi politici».
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Condorelli di sopprimere le parole: «per motivi politici».
(Non è approvata).
Pongo in votazione l’articolo 17 nel testo della Commissione:
«Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome».
(È approvato).
Passiamo all’articolo 18:
«Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge».
A questo articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti:
«Sopprimere le parole: se non per legge, ed aggiungere le altre: fuori del servizio militare e dei tributi e nei limiti delle leggi che li regolano.
«Condorelli».
«Aggiungere, in fine, il seguente comma:
«I tributi diretti saranno applicati con criterio di progressività.
«Meda Luigi, Malvestiti, Fanfani, Lazzati, Bianchini Laura, Balduzzi, Mastino Gesumino, Murgia, Turco, Ferrarese».
«Collocarlo dopo l’articolo 8.
«Ruggiero Carlo».
Vi è, infine, l’emendamento soppressivo proposto e svolto dall’onorevole Cappi.
L’onorevole Ferrarese, firmatario dell’emendamento Meda, ha facoltà di svolgerlo.
FERRARESE. Lo mantengo senza svolgerlo.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Ruggiero, il suo emendamento si intende decaduto.
BADINI CONFALONIERI. Data l’assenza dell’onorevole Condorelli, chiedo di svolgere io il suo emendamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Le ragioni dell’emendamento sono queste: dire che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge, significa che per legge si possano imporre prestazioni personali o patrimoniali. Le prestazioni personali sono un concetto medioevale, cioè sono le corvées ed a questo la Commissione di certo non mirava. Bisogna, quindi, limitare (e questa è la ragione fondamentale dell’emendamento) le prestazioni personali ai due casi in cui lo Stato ha il diritto di imporle per legge: l’uno riguarda l’eventualità in cui il cittadino è chiamato a prestare l’opera sua di collaborazione all’Amministrazione della giustizia – ed è caso previsto nel Titolo sull’ordinamento giudiziario – l’altro è il caso del servizio militare, per cui, esclusa la formula del «può se non per legge», occorre aggiungere «fuori del servizio militare».
Per quanto attiene alla prestazione patrimoniale, noi dobbiamo accennare ai tributi, e naturalmente nei limiti delle leggi che li regolano.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tupini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione è contraria all’accoglimento dell’emendamento Condorelli illustrato dall’onorevole Badini. Noi insistiamo per mantenere l’articolo 18 così com’è. Se dovesse accogliersi questo emendamento, con quale diritto il legislatore potrebbe imporre il munus publicum del servizio di giurato? Ma vi sono anche altre ipotesi da tenere presente, sia pure di minore importanza, quali l’imposizione dell’obbligo di spazzatura della neve in caso di necessità ed altre che possano scaturire da numerose esigenze di carattere pubblico. Ora tutto questo deve essere previsto, perché altrimenti un cittadino potrebbe rifiutarsi di eseguire un ordine che emanasse da autorità competenti in simili contingenze, perché ingiusto, arbitrario e capriccioso.
Per queste ragioni, noi siamo contrari all’accoglimento dell’emendamento e preghiamo l’Assemblea di volerlo respingere.
Piuttosto io farei all’Assemblea una proposta di modifica che è soltanto di forma: invece di dire «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge» sarebbe meglio dire «in base ad una legge».
A maggior ragione, la Commissione non può accettare l’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Cappi.
PRESIDENTE. Onorevole Badini Confalonieri, dopo questa dichiarazione ella mantiene l’emendamento?
BADINI CONFALONIERI. Io non posso ritirare l’emendamento perché ho parlato a nome dell’onorevole Condorelli che è assente; però mi pare che ci sia una differenza sostanziale fra l’opinione della Commissione e l’emendamento proposto. Si vuole comprendere nella Costituzione una norma che riguardi il servizio obbligatorio del lavoro; da parte dell’onorevole Condorelli si ritiene invece che la Costituzione non dovrebbe assolutamente consentire la possibilità di emanare l’obbligo di un servizio del lavoro, tranne i due casi di assistenza alla giustizia e di servizio militare.
PRESIDENTE. Onorevole Cappi, ella insiste nel suo emendamento?
CAPPI. Non insisto.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Prego gli onorevoli Meda e Malvestiti che hanno proposto di aggiungere il seguente comma: «I tributi diretti saranno applicati con criterio di progressività», di voler rimandare l’esame del loro emendamento al capitolo dei rapporti economici. Senza pregiudizio del merito, quella sede mi sembra più opportuna.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Meda di esprimere il suo avviso su questa proposta della Commissione.
MEDA. Visto che non si entra nel merito e che perciò la questione rimane impregiudicata, sono d’accordo di rinviare l’esame della nostra proposta.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Condorelli, secondo il quale l’articolo dovrebbe essere così concepito:
«Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta fuori del servizio militare e dei tributi e nei limiti delle leggi che li regolano».
(Non è approvato).
Pongo allora in votazione l’articolo 18 nel testo della Commissione con la variante proposta dall’onorevole Tupini, cioè «in base alla legge» invece di «per legge».
«Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».
(È approvato).
Passiamo all’articolo 19:
«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei proprî diritti ed interessi legittimi.
«La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
A questo articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti, già svolti:
«Sopprimerlo.
«Mastino Pietro».
«Sostituirlo col seguente:
«Nessuno può esercitare il proprio diritto o potere, pubblico o privato, per fini diversi da quelli per cui gli è stato riconosciuto.
«Tutti possono pretendere la tutela giurisdizionale dei proprî diritti e interessi giuridicamente protetti.
«La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
«Codacci Pisanelli».
Sostituire il secondo comma col seguente: «La difesa, diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, è regolata per legge.
«Veroni».
Restano due emendamenti da svolgere, di cui il primo è quello dell’onorevole Dominedò, così concepito:
«Al primo comma, sostituire le parole: diritti ed interessi legittimi, con: diritti e interessi (ovvero: diritti e interessi giuridicamente protetti)».
L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.
DOMINEDÒ. Basteranno poche parole per dar conto di questo emendamento che ha una portata essenzialmente tecnica. Io propongo che sia corretta la dizione dell’articolo 19, dove si parla di «diritti e interessi legittimi» formula che può assumere un significato restrittivo secondo il significato tecnico di interesse legittimo, come è comprovato dall’articolo 103 dello stesso progetto dove si adotta una dizione più lata: «diritti e interessi». Uguale formulazione io proporrei in sede di articolo 19, col significato di includere e gli interessi legittimi e gli interessi discrezionalmente protetti e gli interessi semplici, nel caso in cui per questi sussista possibilità di tutela giurisdizionale come nel caso dell’azione popolare. In tal modo si comprenderebbero gli interessi nel campo civile oltre che amministrativo, sempre che per essi sussista possibilità giuridica di agire, per il che mi richiamo all’emendamento che propone di contemplare in sede costituzionale il concetto di «abuso di diritto».
Penso che la formula lata di «diritti e interessi» risulti la più appropriata, rispondendo a quella adottata anche nell’articolo 103, ed essendo certamente tale da non involgere il dubbio che con ciò si possa concedere azione nei confronti d’un interesse per il quale dall’ordinamento giuridico non emerga possibilità di agire. Questo dubbio è eliminato dalla circostanza che la dizione lata qui proposta ha invece una finalità specifica, servendo a menzionare tutte le diverse categorie di interessi, nei confronti dei quali vi sia una facoltà di agire, sia pure sfumata e graduata secondo le enunciazioni testé fatte.
Se l’Assemblea non dovesse accedere a questa più lata terminologia, che mi pare conveniente e tale da escludere la possibilità di equivoci, in subordine accederei alla formula proposta dall’onorevole Codacci Pisanelli, cioè di «interessi giuridicamente protetti» anziché «interessi legittimi».
PRESIDENTE. L’altro emendamento è quello dell’onorevole Persico:
«Al secondo comma, dopo le parole: La difesa è diritto, aggiungere le altre: necessario e».
Non essendo presente l’onorevole Persico, l’emendamento si intende decaduto.
Parimenti si intende decaduto l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, essendo egli assente.
È anche assente l’onorevole Codacci Pisanelli, il quale aveva già svolto il suo emendamento così formulato:
«Sostituirlo col seguente:
«Nessuno può esercitare il proprio diritto o potere, pubblico o privato, per fini diversi da quelli per cui gli è stato riconosciuto.
«Tutti possono pretendere la tutela giurisdizionale, dei propri diritti e interessi giuridicamente protetti.
«La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
DOMINEDÒ Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Faccio mio il suo emendamento. E mi permetto di sottolineare l’importanza del primo comma, relativo alla introduzione in sede costituzionale del concetto di abuso dei diritti mentre gli altri due commi, nella loro sostanza, finiscono per coincidere con quelli del progetto.
PRESIDENTE. L’onorevole Veroni mantiene il suo emendamento?
VERONI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere sugli emendamenti.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. All’onorevole Dominedò faccio osservare che la dizione principale contenuta nel suo emendamento è troppo lata e darebbe luogo ad una complessa casistica e a una serie notevole di incertezze e perplessità. La Commissione non crede di dover secondare, senza gravi preoccupazioni, una simile possibilità.
Quanto alla dizione «interessi giuridicamente protetti», che rappresenta la subordinata nella quale l’onorevole Dominedò si rifugia, d’accordo con l’onorevole Codacci Pisanelli, faccio osservare, in linea di forma, primo: che se è un interesse giuridicamente protetto, intanto è un interesse legittimo; secondo: che la giurisprudenza – e l’onorevole Dominedò, che è un competente in materia, potrà darmene atto – ha sempre costituito un mirabile banco di prova per la concretizzazione di quello che suole chiamarsi «interesse legittimo». Lasciamo quindi anche per l’avvenire, senza inopportuni imbrigliamenti, il libero giuoco della funzione propria della giurisprudenza.
L’innovazione proposta dall’onorevole Dominedò pecca d’imprudenza e le avventure nel campo del diritto sono sempre da evitare. Prego perciò il proponente di non insistervi e – in caso contrario – l’Assemblea di respingerla.
L’onorevole Codacci Pisanelli, nell’emendamento che l’onorevole Dominedò ha fatto proprio, ha chiesto di sostituire l’articolo 19 con il seguente:
«Nessuno può esercitare il proprio diritto o potere, pubblico o privato, per fini diversi da quelli per cui gli è stato riconosciuto.
«Tutti possono pretendere la tutela giurisdizionale dei proprî diritti e interessi giuridicamente protetti.
«La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
Questa proposizione vuole – a mio avviso – combattere l’abuso. Evidentemente noi non crediamo che si possa prevedere una cosa simile nella Costituzione. Certo è che l’abuso è sempre proibito, mentre la Costituzione e le leggi non devono prevedere che l’uso normale del diritto. Il meno che si possa dire è che si tratti di una proposta superflua e quindi pleonastica. Pregheremmo, perciò, l’onorevole Dominedò di voler ritirare anche questo emendamento. E veniamo ora all’emendamento proposto dall’onorevole Veroni. Esso si riferisce al secondo comma dell’articolo 19, ed è così formulato:
«La difesa, diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, è regolata per legge».
È evidente che il nostro compito è quello di segnare una direttiva precisa al legislatore. Spetterà poi a questi di adeguare le leggi alla norma fondamentale. Spero che l’onorevole Veroni abbia letto gli atti che hanno portato a questa formulazione e che vi abbia trovato sufficientemente spiegate le ragioni che ci hanno guidato nel determinarla. Essa tiene conto degli abusi, delle incertezze e delle deficienze che hanno vulnerato nel passato l’istituto della difesa, specie per quanto attiene alla sua esclusione da vari stati e gradi del processo giurisdizionale. E con una norma chiara, assoluta, abbiamo voluto garantirne la presenza e l’esperimento attivo in tutti gli stati del giudizio e davanti a qualsiasi magistratura.
Questa esigenza è espressa in termini così lapidari e perentori che nessuna legge potrà mai e per nessuna ragione violarla.
Per questi motivi prego l’onorevole Veroni di voler rinunziare al suo emendamento.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dominedò se insiste sull’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli; che egli ha fatto proprio.
DOMINEDÒ. Dovrei insistere, perché ha un significato la menzione costituzionale dell’abuso di diritto.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Però facciamo troppe casistiche.
DOMINEDÒ. Aggiungo che la proposta di menzionare nella Costituzione l’abuso di diritto significa affermare il concetto che l’eccesso di potere è condannato: ciò che avrebbe una larga possibilità diffusiva anche nei confronti del diritto privato. Io mi limito comunque a sottolineare il significato di questo emendamento, senza insistervi; come pure non insisto nel mio emendamento.
PRESIDENTE. Resterebbe l’emendamento dell’onorevole Veroni.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevole Veroni, credo che le spiegazioni da me fornite siano sufficienti a persuaderla dell’inopportunità del suo emendamento. Ella, che è un avvocato di valore, deve comprendere che la formula da noi adoperata, e di cui rivendico la paternità, è tale da soddisfare e placare tutte le sue preoccupazioni. Voglia quindi consentire alla mia richiesta.
VERONI. Vorrei che risultasse chiaramente questo: che le dichiarazioni dell’onorevole Tupini, in nome della Commissione, vogliano significare riportarsi da una parte ai lavori della Commissione, che sono stati giustamente da lui richiamati, dall’altra al criterio ed al concetto che la difesa è un diritto inviolabile, ma deve avere dei limiti e deve avere naturalmente delle protezioni che fino a questo momento, durante l’epoca fascista, per i Codici che hanno dominato, non hanno mai avuto. Comunque non insisto nell’emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 19 nel testo della Commissione:
«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.
«La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
(È approvato).
L’onorevole Dominedò ha proposto un articolo 19-bis del seguente tenore:
«La legge dispone per l’avvenire: essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesiti».
L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.
DOMINEDÒ. Il progetto di Costituzione contempla il principio di irretroattività della legge sotto un aspetto parziale, e cioè in materia penale. Sembra che, facendosi così, nel corpo del progetto costituzionale, menzione esplicita di un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico nel solo settore penale, si debba altresì pensare ad una sua formulazione generale, potendo nascere perplessità dal fatto che la regola della irretroattività – regola di ordine generale – appaia menzionata in sede particolare e non presupponga un più largo riconoscimento. Questo è lo spirito che ha determinato il mio emendamento. Quanto alla collocazione della proposta, essa precede l’articolo 20, dove si contempla l’applicazione speciale del principio, per una evidente ragione di euritmia, il principio risultando così menzionato prima su un piano generale e poi in sede di applicazione.
Che si tratti di un principio generale dell’ordinamento giuridico parrebbe a me non discutibile. Le disposizioni preliminari dell’abrogato Codice civile, le vigenti disposizioni generali sulla legge, il corpo di norme introduttive ai più importanti Codici di diritto comparato – basti ricordare l’Einfuerungs gesetz al Bürgerliches Gesetzbuch – concordemente fanno capo a questo canone, ormai consacrato dalla teoria generale del diritto: la legge dispone per l’avvenire e non ha efficacia retroattiva. La discutibilità può sorgere in riguardo alla determinazione dei più precisi confini di una tale irretroattività, e si apre così un problema che non tocca la competenza costituzionale. Ma, proprio allo scopo di introdurre una formula, che non pregiudichi gli sviluppi della legislazione e sia ad un tempo la più certa possibile, consacrando i migliori risultati della nostra elaborazione giuridica, ho creduto di dover fare capo alla dottrina dei diritti quesiti come quella che, dalle luminose pagine del Gabba in qua, risulta la più sicura in materia. E ciò con la conseguenza pratica di concedere notevole duttilità alla regola, escludendo la irretroattività tanto nei confronti delle così dette aspettative legittime quanto nei riguardi delle mere facoltà di legge.
Se l’Assemblea riterrà che con questo principio si traccia un binario maestro nei confronti della futura legislazione, se essa giudicherà che così si riesca realmente a dettare una disposizione generale sulla legge, si potrà anche discutere sulla formulazione concreta del principio, ma penso che in sede costituzionale non si possa rinunciare a dettare una norma la quale rappresenta una conquista della civiltà giuridica, ed essendo già menzionata in sede particolare di singolare importanza, dovrebbe essere logicamente riportata in sede generale alla dignità che le conviene.
PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Mi dispiace che anche questa volta debbo respingere il nuovo emendamento dell’onorevole Dominedò.
DOMINEDÒ Io insisto però.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. E allora le dico subito che in materia penale la irretroattività della legge è indiscutibile. La Costituzione deve dire una parola definitiva a questo riguardo anche per quelle ragioni reattive alle quali poc’anzi faceva cenno l’onorevole Cappa. In materia civile però bisogna procedere con estrema cautela. Se l’onorevole Dominedò ha seguito, come non dubito, i lavori recentissimi della Costituente francese, mi potrà dare atto che quei nostri colleghi hanno discusso per varie ore il problema da lui proposto a quest’Assemblea, per concludere in senso negativo. E secondo me hanno fatto bene. Qui stiamo in campo costituzionale, non di legislazione ordinaria. Non c’è dubbio che il principio generale della irretroattività debba guidare tutta la legislazione e tutta l’attività del legislatore; ma quando si verte nel campo del diritto privato non si può trascurare il carattere specifico di mobilità che lo caratterizza e distingue, specie in materia di diritti sociali, di fronte ai quali non dobbiamo né possiamo fin da questo momento cristallizzare o incatenare in formule rigide la necessaria libertà del legislatore futuro, il quale però dovrà usarne con prudenza e col dovuto rispetto, compatibile col bene generale, dei diritti quesiti. Se facessimo diversamente, sottoporremmo tutto l’apparato costituzionale a una vicenda continua di rifacimenti che metterebbero in forse la stessa stabilità della nostra carta fondamentale. Bisogna quindi non impedire in modo assoluto alla legge di interpretare tempestivamente certe esigenze di carattere sociale senza dovere ricorrere a revisioni costituzionali troppo frequenti. Insisto perciò nel pregare l’onorevole Dominedò di ritirare il suo emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, ella mantiene l’articolo 19-bis?
DOMINEDÒ. Sono particolarmente sensibile alla parola del Presidente della Sottocommissione, ma nel caso mi duole di non poter recedere dalla proposta, perché essa involge una questione di massima che non consente transazioni, significando condanna delle leggi eccezionali nel loro principio e nei loro effetti.
Osservo che la salvezza di questo principio sia perfettamente compatibile con tutte le innovazioni cui i tempi anelano, essendo il più idoneo a conciliare tradizione e progresso, certezza dei rapporti giuridici e convenienza di evoluzione sociale.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 19-bis, proposto dall’onorevole Dominedò, di cui do nuovamente lettura:
«La legge dispone per l’avvenire, essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesiti».
(Non è approvato).
Passiamo all’articolo 20:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge.
«Nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo».
A questo articolo sono stati presentati molti emendamenti.
L’onorevole Bulloni ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:
«Nessuno può essere distolto dai suoi giudici naturali, né può essere sottoposto a processo e punito se non in forza di legge in vigore anteriormente al fatto commesso».
L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerlo.
BULLONI. Ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Lami Starnuti, Carboni, Tremelioni:
«Sostituirlo col seguente:
«Nessuno può essere distolto dai suoi giudici naturali.
«Nessuno può essere sottoposto a processo o punito se non in virtù di una legge in vigore al tempo del commesso reato».
Non essendo presente l’onorevole Lami Starnuti, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Carboni.
CARBONI. Ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Patricolo:
«Comporre l’articolo 20 come appresso:
«Primo comma, l’attuale secondo comma.
«Secondo comma, il terzo comma dell’articolo 21.
«Terzo comma, il quarto comma dell’articolo 21.
«L’articolo avrà, pertanto, la seguente formulazione:
«Nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo.
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
«Non è ammessa la pena di morte. Possono fare eccezione soltanto le leggi militari di guerra».
Non essendo presente l’onorevole Patricolo, l’emendamento si intende decaduto.
L’onorevole Bellavista ha presentato e già svolto il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«Nessuno può essere sottratto ai suoi giudici naturali».
Non essendo presente l’onorevole Bellavista, l’emendamento si intende decaduto.
L’onorevole Riccio Stefano ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, sopprimere la parola: naturale».
Ha facoltà di svolgerlo.
RICCIO STEFANO. Mantengo il mio emendamento, ma non lo svolgo, poiché il concetto mi pare evidente.
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, sopprimere le parole: che gli è».
Ha facoltà di svolgerlo.
LEONE GIOVANNI. Mantengo il mio emendamento, perché le parole che chiedo di sopprimere potrebbero prestarsi ad equivoci di interpretazione.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Grilli:
«Sostituire il secondo comma coi seguenti:
«Nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e colla pena in essa prevista.
«Se la legge del tempo in cui fu commesso il fatto e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo».
L’onorevole Grilli ha facoltà di svolgerlo.
GRILLI. Il difetto di questo capoverso dell’articolo 20, secondo me, dipende dal fatto che in un solo periodo si sono voluti riassumere tre vecchi principî, che nel codice penale sono contemplati in due articoli, e precisamente: 1°) il principio che nessuno può essere punito se non esiste una legge penale; 2°) che chi deve essere punito, non possa essere punito che con le pene stabilite dalla legge in vigore; 3°) che in caso di successione di leggi penali, si applica la legge più favorevole.
Questi sono i tre principî, cui il codice penale, ha dedicato due articoli e che si vorrebbero comprendere in questo capoverso. Con la prima parte di questo capoverso: «Nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista», si stabiliscono i due primi principî; e siamo d’accordo. Si potrebbe modificare un po’ la forma.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Lo faremo in ultimo.
GRILLI. L’onorevole Targetti, con un emendamento eguale al mio, propone di sostituire alle parole «in virtù», le altre «in applicazione»; si potrebbe dire anche «in base», ecc. Questo lo vedrà la Commissione. Questo «in virtù di una legge» è un’espressione nuova: la parola «virtù» non l’avevo ancora veduta in nessuna legge. Ma lasciamo andare: queste sono piccolezze. D’accordo su questi due principî che sono compresi nell’articolo 20; ma le parole «salvo che» guastano tutto. Il terzo principio, quello cioè della successione delle leggi penali e dell’applicazione della legge più favorevole, qui sembrerebbe che fosse un’eccezione, perché il «salvo che» regge un’accezione. Ora, che si debba applicare la legge più favorevole quando si ha una successione di leggi penali, costituisce un’eccezione alla regola che si debba punire il colpevole con le pene stabilite dalla legge del tempo, ma non forma un’eccezione al primo principio, che cioè nessuno può essere punito se non esiste una legge, perché, se non esiste una legge, non è possibile parlare più di successioni di leggi, perché nessuna legge sarà più favorevole per il reo di quella che non ammette possibilità di punizione, di quella che non comprende, cioè, il fatto come reato.
Ecco perché io ritengo opportuno di dividere in due parti questo capoverso, cioè: «Nessuno può esser punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista». Punto e a capo: «Se la legge del tempo in cui fu commesso il fatto e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo».
In questo modo, noi abbiamo tutti e tre i principî che sono nei primi due articoli, del codice penale e li abbiamo chiari, senza che permanga l’equivoco originato dal «salvo che», il quale stabilisce un’eccezione che sembra riguardare anche quel primo principio che non può invece sopportare eccezioni.
PRESIDENTE. L’onorevole Riccio Stefano ha presentato un altro emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Nessuno può essere punito se non per una norma preesistente al fatto e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo».
Ha facoltà di svolgerlo.
RICCIO STEFANO. Poiché si tratta soltanto di un emendamento di forma, potrei passarlo come una semplice raccomandazione alla Commissione.
PRESIDENTE. Sta bene. Segue un emendamento dell’onorevole Targetti:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Nessuno può esser punito se non in applicazione di una legge in vigore al momento del fatto commesso e con pene da essa stabilite. Se la legge del tempo in cui il fatto fu commesso e le leggi posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato».
Non essendo presente l’onorevole Targetti, l’emendamento si intende decaduto.
Segue un emendamento dell’onorevole Mastrojanni:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Nessuno può essere punito per un fatto non espressamente preveduto come reato dalla legge del tempo in cui fu commesso, né con pene diverse da quelle dalla legge stessa stabilite».
Non essendo presente l’onorevole Mastrojanni, l’emendamento si intende decaduto.
Gli onorevoli Leone Giovanni, Bettiol, Mastino Gesumino, Notarianni, Firrao, Balduzzi, Lazzati, Gatta, De Michele, Fanfani, hanno proposto il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore prima del fatto commesso».
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.
LEONE GIOVANNI. L’emendamento che io e numerosi altri colleghi abbiamo presentato tende a questo: poiché la formulazione del capoverso dell’articolo 20, così come si trova nel progetto, ha dato luogo ad alcune esatte osservazioni dell’onorevole Crispo, che ha proposto un suo emendamento, osservazioni tendenti a mettere in rilievo che nel capoverso dell’articolo 20 non si è tenuto conto del problema delle leggi penali eccezionali e temporanee, noi pensiamo che, non parlandosi di pena, si risolva il problema della necessità di adottare in questa sede soluzioni circa la successione delle leggi penali. In sostanza, il capoverso dell’articolo 20 mira a due esigenze fondamentali che abbiamo tutti sottolineato nella discussione generale: mira in primo luogo a stabilire il principio della legalità o della tassatività della legge penale; mira in secondo luogo a stabilire il principio della irretroattività della legge penale.
Sono queste due esigenze che danno luogo alla necessità dell’inserzione nella Carta costituzionale dei due tradizionali principî.
Per quanto poi attiene al problema della legge più favorevole, io penso, che non sia questa la sede per risolverlo, sia perché questo è un problema di dettaglio, nel quale il legislatore futuro potrebbe anche essere di diverso avviso, senza con questo mancare alla nostra tradizione; sia perché, secondo me, se fosse risolto dovremmo occuparci di una serie di problemi (come quello della successione delle leggi penali eccezionali e temporanee) estranei all’economia di una Carta costituzionale. Mantenendo queste due esigenze, principio della legalità e principio della retroattività, non accennando alla pena (la quale è implicita nel concetto di legge penale, perché quando si dice che non si può punire per una legge non in vigore al momento del fatto, si fa accenno ai due momenti, precetti e sanzione), si rischia di dover risolvere tutta la ricca casistica dei problemi di successione.
Se l’Assemblea vorrà aderire a questo nostro emendamento semplificatore, potremmo anche non preoccuparci degli emendamenti presentati dall’onorevole Crispo e da altri, i quali tendono a che si ponga in questa sede la risoluzione dei problemi particolari in tema di successione di leggi penali.
PRESIDENTE. L’onorevole Corsanego ha presentato il seguente emendamento:
«Al secondo comma, alle parole: di una legge in vigore, sostituire le altre: pubblicata ed entrata in vigore».
Ha facoltà di svolgerlo.
CORSANEGO. Poche parole per spiegare il mio emendamento che è fatto nella ipotesi che non venga accolto l’emendamento dell’onorevole Leoni. La mia precisazione ha semplicemente lo scopo di evitare che con cavillose interpretazioni si possa pubblicare una legge con efficacia retroattiva; per cui è meglio dire «legge pubblicata ed entrata in vigore», anziché «legge in vigore». L’emendamento è chiaro.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:
«Al secondo comma, dopo le parole: fatto commesso, aggiungere: e se non».
Ha facoltà di svolgerlo.
NOBILI TITO ORO. Lo trasformo in segnalazione per il Comitato di redazione.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Crispo, già svolto:
«Al secondo comma, aggiungere le seguenti parole: fuori dei casi di leggi eccezionali o temporanee».
L’onorevole Cifaldi ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Cevolotto e De Caro Raffaele:
«Al secondo comma, aggiungere le parole seguenti: e ciò anche in riferimento a leggi speciali o eccezionali».
L’onorevole Cifaldi ha facoltà di svolgerlo.
CIFALDI. L’emendamento che mi permetto di presentare all’esame dell’Assemblea è un emendamento il quale vorrebbe risolvere, circa la questione della successione delle leggi penali e in contrasto con quanto diceva il collega che mi ha preceduto, la questione della ultra attività della legge penale. Contro questo mio criterio vi è un emendamento dell’onorevole Crispo che è di tesi perfettamente opposta, perché l’onorevole Crispo desidererebbe che, a chiarire la portata dell’articolo 20 della Costituzione che noi stiamo esaminando, pel quale rimane impregiudicata la questione della successione della legge penale, a chiarirla in senso negativo alla possibilità di estendere la ultra attività delle leggi penali, si aggiungesse «fuori dei casi di leggi eccezionali e temporanee». Sono di parere perfettamente opposto e chiedo all’Assemblea di risolvere questo problema che a me sembra di capitale importanza.
Allo stato attuale abbiamo il principio universalmente accettato della non retroattività della legge penale, ma rimane in dubbio, per lo meno in confusa dizione, che cosa debba accadere in merito alla successione della legge penale, se cioè per leggi temporanee e eccezionali si debba o no applicare la legge più favorevole nel momento in cui il dibattito viene celebrato.
Per l’articolo 2 del Codice penale, questo concetto è risolto nel senso negativo; a meno che non vi sia una speciale disposizione contenuta nella stessa legge di eccezione o temporanea normalmente, quindi, non vige il concetto della non ultrattività, di talché abbiamo che, decorso il periodo relativo alla legge di eccezione, quando questa o quella temporanea non sono più in vigore, un fatto debba essere ancora giudicato applicando quella legge non più in vita. Onde appare chiaro come la questione debba essere guardata con molta attenzione e preoccupazione. Oggi noi possiamo esaminare, con dolorosa esperienza del passato, quanto il problema sia attuale ed impellente, perché abbiamo avuto in Italia una serie di leggi speciali e di leggi temporanee, le quali hanno dimostrato la estrema facilità pel potere esecutivo di derogare alle norme comuni e come sia possibile imporre un giogo pericoloso a tutto intero l’aggregato sociale.
Penso che il concetto di dovere applicare la legge più favorevole, anche in tema di leggi eccezionali, non abbia in sostanza nulla che fondatamente vi si opponga. Per le leggi temporanee si obietta che, qualora si accettasse questo concetto se ne verrebbe a rendere impossibile praticamente l’applicazione, in quanto, negli ultimi giorni in cui una legge temporanea è in vigore, ciascuno potrebbe delinquere sicuro che essa va a decadere. Ma a questo argomento è possibile rispondere che si potrebbe reagire attraverso la stessa legge, nel senso di fare procedimenti per direttissima, onde ridurre al minimo la possibilità di poter infrangere impunemente la legge temporanea.
Per quanto riguarda la legge eccezionale, bisogna fermarsi sul concetto che essa non deve aver effetto che per il momento eccezionale in cui è stata creata; si obietta che il cittadino che l’ha violata non può pretendere in un secondo momento, quando queste circostanze sono venute meno, di essere giudicato con una legge più favorevole.
Ma la legge eccezionale, creata per un periodo cosiddetto di emergenza e per una visione particolaristica di date circostanze, non può mantenere la sua forza, quando si celebra il dibattimento in altro momento ed in altre circostanze, e quando non vi è più quel rapporto fra la coscienza sociale e giuridica ed il fatto che viene giudicato.
Ricordo un episodio che è rimasto impresso nella mia memoria. Da ragazzo vidi una pagina a colori di un giornale illustrato, che raffigurava una fucilazione avvenuta durante il terremoto calabro-siculo. In quell’occasione era stato proclamato lo stato di assedio, e coloro che commettevano furti e saccheggi venivano fucilati sul posto immediatamente.
Io non mi riferisco ad episodi recenti ed attuali per non far riferimenti che non potessero essere generalmente accolti, e mi domando: se uno di quegli individui sorpreso in quelle circostanze fosse sfuggito, per una ragione qualsiasi, alla esecuzione, (poniamo, ad esempio, che per ragione di malattia mentale fosse stato sottratto al procedimento e dopo due, tre o quattro anni fosse stato poi giudicato regolarmente) pensate che quell’individuo potesse subire la pena di morte? L’episodio giudicato nel momento in cui si verificava il fatto, nella urgenza drammatica dell’ora, giustificava un procedimento sommario che rafforzasse il pubblico interesse contro ogni attentato individuale, ma, non diventava ripugnante alla coscienza giuridica di un Paese civile prendere un simile provvedimento? E pensate che si sarebbe potuto anche trattare di atti iniziali, invece che di un reato consumato e che la sorpresa nell’atto del saccheggio imponeva la pena di morte.
Ricordo che nel 1941 la legge emanata in materia annonaria all’articolo 1 prevedeva la pena di morte per sottrazioni rilevanti agli ammassi, e nel capoverso la pena dell’ergastolo quando non vi fosse stato sensibile ripercussione sul mercato, oltre alla penalità per delitti minori. Nel 1943, invece, le pene furono rese assai più lievi. La giurisprudenza, nel succedersi delle stesse leggi speciali, non ha ritenuto di poter applicare la legge più favorevole. A me sembra che questo sia un caso tipico e che sia preoccupante il vedere che, anche nella sequenza di leggi speciali, il reo viene giudicato con la legge speciale anteriore e che non venga applicata quella posteriore più favorevole. Ciò appare aberrante. Non mi sembra, quindi, che vi siano ragioni valide ad ostacolare l’applicazione del principio della non ultrattività della legge penale, anche in tema di leggi speciali o temporanee, onde insisto e prego la Commissione, e poi la Costituente, perché vogliano accogliere il mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:
«Al secondo comma, alle parole: in vigore prima del fatto commesso, sostituire le parole: in vigore nel tempo in cui fu commesso il fatto».
Ha facoltà di svolgerlo.
NOBILE. Non svolsi questo emendamento nella discussione generale sul titolo, perché non mi sembrò necessario. L’emendamento parla da sé, in quanto mira a correggere quello che a me sembra un’evidente improprietà di linguaggio. Anzi direi linguaggio erroneo, perché si parla di legge in vigore «prima del fatto commesso», invece di dire: nel tempo in cui il fatto fu commesso. L’errore è ripetuto anche negli emendamenti presentati da altri colleghi, ma è stato implicitamente corretto in quelli presentati dagli onorevoli Lami Starnuti e Targetti, il che mi conforta a ritenere che il mio emendamento, di carattere formale, sia giusto.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Bettiol e Leone Giovanni hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere, dopo il secondo, il seguente comma:
«Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».
L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.
BETTIOL. È stato detto, mi pare, in questa Assemblea, un po’ malignamente, che da questo progetto di Costituzione bisognava togliere il troppo e il vano. Ma occorre anche dire, non malignamente, che bisogna aggiungere il necessario, perché vi sono situazioni molto importanti, ormai consolidatesi nel campo della legislazione penale, che non hanno trovato in questo progetto una conferma o un riverbero: tale è il problema delle misure di sicurezza.
È noto come la legislazione penale moderna marci su un doppio binario: da un lato le pene che postulano la colpevolezza e hanno carattere repressivo; dall’altro le misure di sicurezza. Per quanto riguarda le pene il progetto si pronunzia, mentre tace per quanto riguarda le misure di sicurezza.
Il concetto della misura di sicurezza è decisivo: accanto al criterio della repressione del delitto si accetta anche quello della prevenzione, basata sul presupposto della pericolosità del delinquente. La cosa è molto importante. La misura di sicurezza si presenta con carattere indeterminato e, quindi, incide più marcatamente della pena stessa sulla libertà dell’individuo, tanto è vero che oggi i delinquenti temono molto più le misure di sicurezza che la pena stessa, appunto per questo carattere di indeterminatezza. Sullo sfondo vediamo balenare lo Stato di polizia, quindi non si tratta di misure che siano consone, al cento per cento, ai principî di una Costituzione liberale. Ma siccome lo Stato deve difendersi contro i delinquenti, è necessario che in certi casi possa disporre di provvedimenti difensivi di carattere preventivo. Si tratta sempre di misure di sicurezza che entrano in considerazione nella legge penale, e quindi vengono applicate nei confronti di persone socialmente pericolose, in occasione della perpetrazione di un reato.
Non sono misure di polizia: questo devo chiarire perché non sorgano equivoci. Si tratta di misure preventive di sicurezza, che devono essere applicate, a norma del Codice penale, nei confronti di individui imputati o imputabili in occasione della perpetrazione di un reato.
Data la grande importanza di queste misure, dato il loro incidere sulla libertà personale, e dato che sono riconosciute anche dalle altre legislazioni moderne, è bene fissare anche per esse il principio di legalità, onde la discrezionalità sia bloccata, in modo che anche per queste misure si possa avere il presidio della legge scritta sull’arbitrio del giudice o delle altre autorità statali che possano privare il cittadino della libertà individuale.
PRESIDENTE. Con altro emendamento gli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol propongono di fare dei due commi due distinti articoli.
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgere l’emendamento.
LEONE GIOVANNI. Lo ritiro.
Chiedo di parlare per esprimere il mio dissenso sull’emendamento presentato dall’onorevole Nobile.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Penso non si possa accettare la formula proposta dall’onorevole Nobile per questo profilo tecnico.
Quando si parla di «fatto», nella scienza giuridica e nella legislazione è controversa la nozione.
Per alcuni «fatto» è sia l’azione che l’evento, per altri «fatto» è solo l’azione.
Se noi diciamo che si può punire soltanto in forza d’una legge, che sia in vigore nel momento in cui si commette il fatto, questa formula potrebbe prestarsi ad una applicazione pericolosa; cioè: ritenere che basti, per punire un soggetto, che la legge sia andata in vigore prima dell’evento, anche dopo l’azione.
Ora la norma deve preesistere all’azione, in quanto è nell’azione che si realizza il contrasto tra la volontà imputabile del delinquente e la volontà della legge.
Per questo profilo tecnico e perché non vi sia equivoco, vogliamo che si stabilisca in maniera precisa che la norma di legge penale deve preesistere non solo all’evento, ma anche all’azione.
Onde è necessario scrivere «in vigore prima del fatto».
CRISPO. Chiedo di parlare per esprimere il mio dissenso sull’emendamento Cifaldi, che è in opposizione al mio.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Se fosse accolto l’emendamento Leone-Bettiol, lasciandovi impregiudicata la questione della successione delle leggi, non avrei ragione di insistere sul mio emendamento.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. D’accordo.
CRISPO. Allora non insisto.
NOBILE. Chiedo di parlare per rispondere all’onorevole Leone Giovanni.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Rendo omaggio alla sapienza giuridica dell’onorevole Leone Giovanni. Mi consenta però l’Assemblea di considerare che il linguaggio adoperato nella Costituzione deve essere chiaro non solo per i giuristi, ma per tutti i cittadini. Nel testo proposto dalla Commissione si parla di legge in vigore prima del fatto, ma una legge vigente prima del fatto potrebbe non esserlo più al momento del fatto, e sarebbe perciò inapplicabile.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.
NOBILE. E io direi invece sì, sì. Se si vuole adoperare un’espressione letterariamente corretta, che non si presti ad equivoci, si deve dire legge in vigore al tempo del fatto, e non già prima del fatto, come per l’appunto ho proposto col mio emendamento.
PRESIDENTE. Degli emendamenti presentati sull’articolo 20, restano ancora validi quelli degli onorevoli Riccio Stefano, Leone Giovanni, Grilli, Corsanego, Nobile, Cifaldi, Bettiol.
NOBILE. Ritiro il mio emendamento.
PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti mantenuti.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione è contraria all’emendamento dell’onorevole Riccio Stefano, e si propone di mantenere il concetto del giudice naturale appunto per dare al cittadino la certezza del giudice che lo deve giudicare. Spero che l’onorevole Riccio non vi insista. La Commissione accetta, invece, l’emendamento soppressivo dall’onorevole Leone Giovanni, in base al quale la formula attuale della prima parte dell’articolo diverrebbe la seguente: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». L’onorevole Grilli ha insistito nel suo emendamento relativo alle disposizioni più favorevoli al reo. Questa dizione (come l’onorevole Grilli ha potuto apprezzare attraverso la discussione che si è fatta anche in sede di discussione di emendamenti) in fondo si riferisce anche alle discussioni analoghe che hanno fatto gli onorevoli Leone Giovanni, Crispo e Cifaldi attraverso i loro rispettivi emendamenti.
La Commissione sarebbe per eliminare tutte le questioni che possono insorgere e che hanno avuto largo riflesso nel dibattito nell’Assemblea a proposito dell’applicazione della legge più favorevole, specie in relazione alle leggi eccezionali. Sarebbe disposta ad accogliere inoltre l’emendamento degli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol, di soppressione pura e semplice della seconda parte del secondo comma, di modo che rimane al codice penale di statuire definitivamente in ordine a questa questione.
L’onorevole Grilli mi pare che con il suo assenso sia disposto a seguire la Commissione, su questo punto di vista. L’onorevole Crispo lo ha già dichiarato da parte sua. Penso che l’onorevole Cifaldi potrà fare altrettanto, se rifletterà al contrasto tra lui e l’onorevole Crispo in questa materia, contrasto che accentua il disagio e che giustifica l’eliminazione della formula della Costituzione.
All’onorevole Corsanego faccio osservare che la sua proposta aggiuntiva è pleonastica, perché quando si dice «in vigore» ci si riferisce chiaramente alla pubblicazione della legge, e quindi confido nel ritiro del relativo emendamento.
Prendo atto che l’onorevole Nobile ha ritenuto giuste e convincenti le mie considerazioni e ha dichiarato di ritirare il suo emendamento.
NOBILE. No. Non sono affatto rimasto persuaso; ma ho ritirato l’emendamento solo per deferenza verso il collega Leone.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non so se l’onorevole Nobili Oro Tito vorrà seguire l’esempio dell’onorevole Nobile.
NOBILI TITO ORO. Non insisto.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La ringrazio. All’onorevole Bettiol dichiaro che la Commissione è favorevole ad accogliere il suo emendamento aggiuntivo a questo articolo nei termini da lui stesso e dall’onorevole Leone proposto, cioè: «Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».
Lo svolgimento che ne ha fatto, così esaurientemente, l’onorevole Bettiol, mi dispensa dal dire le ragioni della mia adesione personale e di quella della Commissione.
PRESIDENTE. Chiedo agli onorevoli presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Tupini, li ritirano.
RICCIO STEFANO. Ritiro il mio emendamento.
GRILLI. Aderisco alle dichiarazioni della Commissione e ritiro l’emendamento.
CORSANEGO. Non insisto sul mio emendamento.
CIFALDI. Dopo i chiarimenti favoriti dall’onorevole Tupini, non insisto nel mio emendamento, in quanto con la modifica dell’articolo della Costituzione così come suggerita, la questione è impregiudicata e sarà risoluta dalla legge.
CRISPO. Ritiro l’emendamento, in quanto la Commissione accetta l’emendamento Leone Giovanni-Bettiol.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 20 con la modifica proposta dall’onorevole Leone Giovanni, accettata dalla Commissione:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge».
(È approvato).
Per il secondo comma, la Commissione ha dichiarato di accettare la formulazione presentata dagli onorevoli Leone Giovanni, Bettiol, Mastino Gesumino ed altri:
«Nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore prima del fatto commesso».
La pongo in votazione.
(È approvata).
Vi è poi la proposta degli onorevoli Bettiol e Leone Giovanni, che la Commissione ha dichiarato di accettare, di aggiungere dopo il secondo, il seguente comma:
«Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».
La pongo in votazione.
(È approvata).
Il testo definitivo dell’articolo 20 risulta, quindi, del seguente tenore:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
«Nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore prima del fatto commesso.
«Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».
Passiamo ora all’esame dell’articolo 21:
«La responsabilità penale è personale.
«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
«Non è ammessa la pena di morte. Possono fare eccezione soltanto le leggi militari di guerra».
A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti.
Il primo è quello dell’onorevole Patricolo:
«Comporre l’articolo 21 come appresso:
«Secondo comma, il primo comma dell’articolo 20.
«Terzo comma, l’attuale secondo comma.
«L’articolo avrà, pertanto, la seguente formulazione:
«La responsabilità penale è personale.
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge.
«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Non essendo l’onorevole Patricolo presente, l’emendamento si intende decaduto.
Segue l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro già svolto:
«Sostituirlo col seguente:
«Non è ammessa la pena di morte. Possono far eccezione soltanto le leggi militari di guerra».
Non essendo presente l’onorevole Mastino, l’emendamento si intende decaduto.
Segue l’emendamento dell’onorevole Targetti:
«Sostituirlo col seguente:
«La responsabilità penale è personale.
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
«La pena capitale può essere comminata soltanto da leggi militari di guerra».
Non essendo presente l’onorevole Targetti, l’emendamento si intende decaduto.
Segue l’emendamento degli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La responsabilità penale è solo per fatto personale».
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.
LEONE GIOVANNI. L’emendamento proposto da me e dal collega Bettiol, come ebbi occasione di rilevare in sede di discussione generale, tende a confermare il concetto, che era certamente anche nell’animo della Commissione, che la responsabilità penale è personale, in quanto è per fatto personale e non per fatto altrui. Poiché mi sembra che la formula da noi proposta sia più chiara, pensiamo che sia da preferirsi.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Rescigno:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«L’imputato si presume innocente sino alla sentenza, anche non definitiva, di condanna».
L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.
RESCIGNO. Onorevoli colleghi, se il secondo comma dell’articolo 21 dovesse avere un semplice valore teorico, come tanti altri articoli della Costituzione, allora potrebbe rimanere anche nella formulazione del progetto o addirittura essere soppresso, come propone l’onorevole Crispo. Ma se, come io penso, questo secondo comma deve essere suscettivo e produttivo di conseguenze pratiche, ritengo che debba essere modificato, perché l’esigenza di questa disposizione è quella sentita da tutti, e cioè che l’imputato, il quale potrà anche essere dichiarato innocente, non subisca e non sopporti una custodia preventiva, talora molto lunga, perché sappiamo, che in Italia le istruttorie penali sono ancora lentissime. Se questa è l’esigenza a cui deve obbedire la disposizione in esame allora non possiamo dire che l’imputato, il quale è un accusato, viene nello stesso tempo considerato non colpevole, il che sarebbe una contraddizione in termini, ma dobbiamo parlare di presunzione; né possiamo protrarre fino alla condanna definitiva questa presunzione di innocenza. Invece questa presunzione di innocenza dovrà indubbiamente capovolgersi alla prima condanna, alla condanna anche non definitiva, e da quel momento sarà l’imputato il quale dovrà distruggere invece la presunzione di colpevolezza, e da quel momento sarà anche giusto che sia sottoposto alle restrizioni della propria libertà e sia assicurato alla giustizia.
Credo di avere così chiarito il pensiero che giustifica e determina la dizione da me proposta.
PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha proposto di sopprimere il secondo comma.
Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
CRISPO. Dissi già le ragioni per le quali ritengo che il secondo comma dell’articolo 21 debba essere soppresso, perché esso contiene in buona sostanza una presunzione di innocenza, anche in casi in contrasto con tale presunzione. Io ricordai il caso del perdono giudiziale, che presuppone un’affermazione di responsabilità, e nel quale non si ha condanna, e ricordai le varie ipotesi dell’articolo 152 del nostro Codice di rito penale, per il quale, pur ricorrendo una causa estintiva del reato, l’imputato può domandare l’esame del merito; onde può accadere che il giudice affermi la responsabilità senza poterla dichiarare con sentenza di condanna.
Ritengo peraltro che la presunzione di innocenza è contrastata da tutte le norme della nostra legislazione penale, sia in rapporto all’emissione dei mandati, sia in rapporto all’emissione di una sentenza di rinvio a giudizio, sia in rapporto al rito della citazione diretta e direttissima, in rapporto ai casi di flagranza, quasi flagranza e confessione. Non mi pare adunque che il principio possa essere affermato nella Costituzione. L’imputato sarà innocente o colpevole secondo che il giudice lo dichiarerà innocente o colpevole.
Queste sono le ragioni per le quali, a mio avviso, dovrebbe eliminarsi il secondo comma dell’articolo 21.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Sulle quali, speriamo, non insisterà.
PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Qualunque imputazione è inefficiente sino alla condanna definitiva».
Ha facoltà di svolgerlo.
CAROLEO. L’onorevole Crispo e l’onorevole Rescigno hanno in parte svolto le ragioni che giustificano il mio emendamento, e potrei essere anche d’accordo per la soppressione del secondo comma dell’articolo 21. Ma penso che si debba un po’ tenere conto delle aspirazioni espresse dal collega Rescigno, le quali però non mi sembra possano essere tradotte nella formula da lui proposta e che riproduce nella sostanza gli inconvenienti a cui accennava l’onorevole Crispo.
Se noi potessimo superare la fase istruttoria del processo, di cui è presupposto essenziale l’imputato, che, per definizione del Codice di procedura penale, è «colui al quale il reato viene attribuito», se potessimo superare i casi di flagranza, di confessione, di custodia preventiva, per cui l’emissione del mandato è condizionata alla ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza, allora potremmo anche adottare qualcuna di queste formule, così come propone la Commissione o secondo la enunciazione dell’onorevole Rescigno. Ma, poiché dobbiamo cercare di essere un po’ aderenti alla logica e aderenti anche alla rilevata realtà ed esigenza processuale nella fase istruttoria, credo che nessuna delle due formule possa essere adottata; perciò ho pensato di suggerire alla Commissione un’altra formula, del seguente tenore: «Qualunque imputazione – resta fermo il fatto dell’imputazione, cioè dell’attribuzione provvisoria del reato – è inefficiente – cioè non produttiva, nemmeno in via provvisoria, di responsabilità penale – sino alla condanna definitiva». E questo dovrebbe servire di avviamento a quelle aspirazioni, dicevo, di possibilità di riduzione, per lo meno, se non di eliminazione della custodia preventiva, ed almeno di assistenza difensiva per l’imputato nel periodo istruttorio, durante il quale – tutti sappiamo – al difensore è soltanto consentito di avere copia del mandato di cattura e di prendere visione degli atti istruttori solo ad istruzione chiusa, sia sommaria, sia formale. È ammessa, com’è noto, la possibilità di presentare difese, memorie e richieste, ma non si fa obbligo al giudice di dare neppure una risposta a queste memorie o scritti difensivi nel periodo istruttorio.
Ora, in questo senso io penso che la formula da me adottata, o quell’altra che l’onorevole Commissione pensasse di sostituire a questa, potrebbe aprire la via ad una maggiore partecipazione del difensore al processo nel periodo istruttorio, per la maggiore tutela del diritto di libertà del cittadino.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Persico:
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«Le sanzioni penali hanno soltanto scopo curativo ed educativo, secondo i casi e le necessità, e devono essere a tempo indeterminato».
Non essendo presente l’onorevole Persico, l’emendamento si intende decaduto.
Segue l’emendamento degli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol:
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità o che ostacolino il processo di rieducazione morale del condannato».
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.
LEONE GIOVANNI. L’emendamento proposto da me e dall’onorevole collega Bettiol si pone nella stessa posizione spirituale in cui, a mio avviso, si è posta la Commissione nei confronti del secolare problema della funzione della pena. La Commissione, è chiaro, non ha voluto prendere posizione su questo problema. Esso è un problema che tormenta da secoli le menti dei pensatori e dei filosofi e che agita le legislazioni di tutto il mondo; non sarebbe stata quindi questa la sede opportuna per tentare di risolverlo.
La Commissione vuol quindi esprimere qualche cosa di diverso: che cioè, nell’esecuzione della pena, lo Stato si assuma l’impegno di facilitare il processo di rieducazione, di recupero morale del delinquente.
Ora, a me sembra che la formula del terzo comma proposta dalla Commissione possa, sia pure con una interpretazione esagerata, dar luogo all’impressione che la Commissione abbia voluto stabilire che il fine principale della pena sia la rieducazione. A mio avviso, poiché non si deve prender posizione, se non nel senso di individuare un fine collaterale dell’esecuzione della pena, il fine cioè di non ostacolare il processo di rieducazione del reo, la formula da noi proposta è la più idonea a rendere questo concetto, sul quale sono d’accordo i componenti della stessa Commissione.
PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:
«Al terzo comma, sopprimere le parole: devono tendere alla rieducazione del condannato e
«Crispo».
«Sostituire l’ultimo comma col seguente:
«Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
«Veroni».
«Introdurre dopo l’articolo 21 le disposizioni di cui all’articolo 104, con la seguente aggiunta:
«L’azione penale non può essere promossa o proseguita, in alcun caso, quando sia intervenuta una causa estintiva del reato.
«Crispo».
Gli onorevoli Bastianetto, Ferrarese, Cotellessa, Ponti, Franceschini, Lizier, Rumor, Valmarana, Marzarotto e Cappelletti hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«Nella esecuzione delle pene si deve aver riguardo soprattutto al rispetto della persona umana».
L’onorevole Bastianetto ha facoltà di svolgerlo.
BASTIANETTO. Mi riallaccio a quanto ha detto l’onorevole Leone, che cioè questo gravissimo problema, il problema secolare dell’esecuzione della pena, deve trovare in questa nostra Costituzione una formula che abbia a servire soprattutto a quella che sarà la futura riforma carceraria, dobbiamo cioè impostare il problema dell’esecuzione delle pene.
Secondo me, la formula che hanno adottato gli amici onorevoli Leone e Bettiol viene a restringere questo problema; perché, se noi ci limitiamo già a dire cosa deve essere la pena, a che cosa questa pena vuol tendere, come questa pena deve eseguirsi, noi veniamo già a restringere il problema.
L’esperienza ha già dimostrato cosa significa trattamento in esecuzione di pena. Se noi pensiamo infatti che cos’è il trattamento che si fa all’uomo recluso, al quale, per esempio, si fanno fare calze con una specie di stuzzicadenti di legno anziché coi soliti ferri – per ovvie ragioni di sicurezza – comprenderemo facilmente come un uomo che fa questo, dopo dieci anni, non sia più uomo.
Ora, in quest’aula ci sono tanti uomini che hanno fatto un’esperienza dolorosissima di carcere; noi sappiamo come il problema penitenziario e, soprattutto, la pratica penitenziaria, abbiano insegnato molto. Ma dove non si è imparato è proprio nel campo teorico, perché, da oltre cinquant’anni, in Italia si fanno voti per questo indirizzo rieducativo, ma sempre sulla carta: tanto che è fatto obbligo all’agente di custodia di essere rieducatore. Ma è anche detto in altra parte del regolamento che l’agente di custodia che si azzardi di parlare al detenuto con confidenza è punito. Di maniera che questa aspirazione della rieducazione esiste; ma in pratica è difficile.
Ora qui si arrischia di votare una formula che non dà l’indirizzo a quelli che dovranno fare la riforma carceraria; e penso, pertanto, che sia molto più opportuno di inserire una formula semplice, generica, che possa offrire domani la base solida per questa riforma. Infatti, se noi leggiamo l’articolo, così come è stato proposto, rileviamo che la pena deve tendere semplicemente alla rieducazione. Invece nella formula che io consiglio si trova affermato il concetto che nella esecuzione della pena si debba aver riguardo soprattutto al concetto della personalità umana. Ora, in questa formula non si considera solo il detenuto, ma anche il custode del detenuto, perché l’esperienza ha insegnato che l’agente di custodia, dopo pochissimo tempo che è agente di custodia, ha già distrutto la sua personalità, è un meccanismo, è diventato parte di una macchina che va dal semplice agente sino al comandante, con un compito repressivo che avvilisce e custode e detenuto.
Fo notare che nei paesi stranieri, in America, in Inghilterra, si è affrontato il problema e recentemente è stato avanzato il suggerimento di mettere dei magistrati alla direzione delle carceri, magistrati che possono offrire questa garanzia giurisdizionale anche nella esecuzione della pena, perché l’uomo in esecuzione di pena è sempre uomo e lo Stato non ha nessun diritto di distruggere l’uomo nell’esecuzione della pena.
Ecco perché, allora, quando noi poniamo come cardine fondamentale questo rispetto non solo dell’uomo, ma anche dell’agente di custodia, noi veniamo a porre la base fondamentale di quello che domani può essere tutto il problema della riforma carceraria, che dovrà pure essere affrontata in Italia.
Una voce a sinistra. Ci vogliono i milioni!
BASTIANETTO. L’Italia non è stata mai capace di affrontare il problema della esecuzione delle pene, per cui abbiamo una esecuzione di pene che è inferiore a qualsiasi altro Paese.
Ecco perché insisto nell’emendamento.
PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il suo parere sugli emendamenti mantenuti dagli onorevoli Leone Giovanni, Crispo, Rescigno, Caroleo, Veroni e Bastianetto.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Agli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol rivolgo la preghiera, che conferma l’invito rivolto poc’anzi all’onorevole Leone quando svolgeva il suo emendamento, di ritirare il proprio emendamento, perché le preoccupazioni da loro affacciate, secondo il nostro parere, non sono giustificate data la formulazione dell’articolo proposto dalla Commissione.
All’onorevole Crispo, che ha insistito, riproducendo argomenti e fatti già svolti nella discussione generale a favore del suo emendamento, io faccio osservare che non possiamo aderire alla sua proposta, e teniamo a mantenere il capoverso dell’articolo 21, perché anche i fatti e i casi da lui esposti, a nostro avviso, non sono pregiudicati dal mantenimento della nostra formula, mentre il sopprimerla potrebbe dar luogo a delle conseguenze più gravi di quelle che potrebbero derivarne col mantenerla. Per queste ragioni noi riteniamo di mantenerla e di mantenerla nei termini in cui si esprime, senza peraltro poter aderire alle formule proposte dagli onorevoli Rescigno e Caroleo.
Quella dell’onorevole Rescigno si discosta meno dalla nostra. In fondo egli si riferisce a quello che è stato il modo come fino adesso si è regolata la concezione dell’imputato in ordine alla sua eventuale innocenza, responsabilità o colpevolezza. Noi abbiamo ritenuto, onorevole Rescigno, durante la discussione della prima Sottocommissione (e la formula è stata poi apprezzata e mantenuta dalla Commissione dei 75 ed anche il Comitato di coordinamento in vista di questi emendamenti ha creduto di doverla mantenere), che usare, questa formula, di cui rivendico un po’ anche la paternità, sia un modo più chiaro per esprimere quel concetto che ha espresso lei e che esprimono tutti coloro che presumono il reo innocente finché non sia stato definitivamente condannato. Poiché il concetto che ella vuole esprimere è questo, noi crediamo che sia meglio espresso dalla nostra formula. Ci consenta quindi di mantenerla e se ella non ci sottoporrà al peso di una votazione gliene saremo grati.
L’onorevole Caroleo prescinde dalla personalità e fa una definizione astratta. Il concetto che l’anima è il medesimo che anima noi, ma per quelle ragioni che io ho esposto in relazione ad un emendamento che è molto vicino alla formula nostra, pregherei l’onorevole Caroleo di non insistere nella sua formula.
All’onorevole Leone Giovanni, col quale mi compiaccio per la fecondità dei suoi emendamenti, che, del resto, sono sempre molto importanti, e ne abbiamo dato prova venendo frequentemente loro incontro, questa volta devo però dire che noi teniamo ferma la nostra formula. Tanto a lei quanto all’onorevole Crispo, il quale domanda la soppressione pura e semplice del secondo comma…
CRISPO. Desidero dichiarare che nel caso che fosse approvato l’emendamento Leone, ritirerei il mio.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Vede, onorevole Leone, si sono proiettate in questa discussione le preoccupazioni che hanno riferimento alle scuole filosofiche. C’è la preoccupazione di chi è più ligio alla scuola classica, l’altra di chi è più ligio alla scuola positiva, e il timore che la nostra formula aderisca più all’una che all’altra e viceversa. Fo osservare agli onorevoli proponenti degli emendamenti che, in fondo, se noi siamo convinti, come chi vi parla è convinto, che effettivamente la società non deve rinunciare ad ogni sforzo, ad ogni mezzo affinché colui che è caduto nelle maglie della giustizia, che deve essere giudicato, che deve essere anche condannato, dopo la condanna possa offrire delle possibilità di rieducazione, perché ci dobbiamo rinunciare? Non importa a me che questo possa rispondere ad un postulato scientifico di una determinata scuola.
Sono convinto, per un elementare senso umano, che bisogna fare ogni sforzo perché il reo possa essere rieducato, e credo che non dobbiamo rinunciare in nessun caso a questa possibilità. Giacché questo è anche il sentimento dell’onorevole Leone, dirlo in questa forma mi sembra il modo più chiaro possibile. Per queste ragioni noi teniamo ferma la formulazione della Commissione.
All’onorevole Bastianetto, che all’ultim’ora ha presentato un emendamento anch’esso apprezzabile, io faccio osservare che quel senso di umanità che vena tutte le sue considerazioni e il suo emendamento, è già contenuto ed espresso nella formulazione del nostro articolo e che almeno per questa parte non è contrastato né dall’onorevole Bettiol né dall’onorevole Leone: il trattamento del reo cioè, o di chi, comunque, venga privato della libertà, deve ispirarsi a quelle ragioni di umanità che per il rispetto della persona umana devono essere il viatico per tutti coloro che fanno ed applicano le leggi in un regime di libertà e di democrazia.
Non voglio addentrarmi in quello che ha detto l’onorevole Bastianetto circa il trattamento carcerario. Le condizioni delle carceri sono quelle che sono e lo sono, purtroppo, anche in relazione alla situazione finanziaria generale del Paese, che pesa su tutti gli aspetti della vita nazionale. È chiaro, ad ogni modo, che occorre migliorarne il trattamento. Quando diciamo che il reo deve essere trattato umanamente, noi diamo nella Costituzione una norma alla quale il legislatore di domani dovrà attenersi: è un imperativo che noi segniamo al legislatore perché faccia effettivamente quello che risponde alla nostra precisa e unanime volontà. Chi potrebbe infatti non volere che le carceri italiane fossero meglio attrezzate?
Io ricordo – e scusate il ricordo personale: via via che si va avanti negli anni sembra che i ricordi personali abbiano una loro particolare suggestione – ricordo che una delle prime disposizioni da me impartite nella mia qualità di Ministro della giustizia fu quella che ai carcerati si usasse un trattamento quanto più umano possibile, con particolare riguardo ai detenuti politici. Credo che i miei successori al palazzo di via Arenula abbiano confermato la mia direttiva e che questa sia una esigenza da tutti riconosciuta, apprezzata ed applicata.
La formula del nostro articolo non solo non vi contraddice, ma la convalida, facendone oggetto di specifica norma costituzionale. Penso che ne sia soddisfatto anche l’onorevole Bastianetto, cui, perciò, rivolgo la preghiera di ritirare il suo emendamento.
All’onorevole Veroni dirò di non oppormi al suo emendamento col quale si esprime meglio che con la nostra formula lo stesso concetto. Che si dica «possono fare eccezione soltanto le leggi militari di guerra», oppure «non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra» è sostanzialmente la stessa cosa. Ma se l’onorevole Veroni proprio ci tiene, vada pure per la sua formula.
Riguardo all’ultima proposta dell’onorevole Crispo – introdurre dopo l’articolo 21 le disposizioni di cui all’articolo 104 – ne parleremo in sede di discussione dell’articolo 104.
BETTIOL. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BETTIOL. Anche a nome del collega Leone Giovanni, affermo che non siamo disposti a ritirare il nostro emendamento, per il semplice fatto che vogliamo proprio evitare di entrare nell’atmosfera d’una determinata scuola, per evitare, cioè, di prendere con una norma costituzionale, posizione rispetto al contenuto dottrinario d’una tendenza penalistica piuttosto che d’un’altra, per esprimere, invece, una esigenza che possa trovare la sua concretizzazione sul piano politico e sul piano giuridico.
In secondo luogo, la nostra formulazione non esclude l’accentuazione delle necessità della rieducazione del condannato.
Ci permettiamo, anzi, di proporre la soppressione nel nostro emendamento della parola «processo» e di dire: «o che ostacolino la rieducazione morale del condannato», per sottolineare la necessità che la pena, nel suo concreto modo di essere, sia tale da giovare direttamente alla rieducazione morale del condannato, senza mettere questo principio in forma dommatica all’inizio dell’articolo.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Il fatto stesso che gli onorevoli Bettiol e Leone Giovanni hanno inteso il bisogno di sopprimere nel loro emendamento la parola «processo», è un argomento a sostegno della nostra formula, sulla quale insistiamo.
PRESIDENTE. Onorevole Leone, ella mantiene il suo emendamento sostitutivo del primo comma?
LEONE GIOVANNI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno mantiene l’emendamento sostitutivo del secondo comma?
RESCIGNO. Devo mantenerlo, perché il divario fra la formulazione da me proposta e quella del progetto mi sembra sostanziale, non formale.
PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo, mantiene l’emendamento sostitutivo del secondo comma?
CAROLEO. Dopo i chiarimenti del Presidente della Commissione, lo ritiro. Dichiaro anche di preferire il testo proposto dalla Commissione alla formulazione dell’emendamento Rescigno.
PRESIDENTE. L’onorevole Crispo mantiene il suo emendamento soppressivo del secondo comma?
CRISPO. Lo mantengo
PRESIDENTE. Mantiene l’altro emendamento al terzo comma?
CRISPO. Ho già dichiarato che, se fosse approvato l’emendamento Leone Giovanni-Bettiol, lo ritirerei. In caso contrario, chiederei la votazione sul mio emendamento.
PRESIDENTE. L’altro emendamento dell’onorevole Crispo:
«Introdurre dopo l’articolo 21 le disposizioni di cui all’articolo 104, con la seguente aggiunta:
«L’azione penale non può essere promossa o proseguita, in alcun caso, quando sia intervenuta una causa estintiva del reato»
è rinviato alla discussione dell’articolo 104.
Onorevole Bastianetto, ella mantiene l’emendamento?
BASTIANETTO. Le parole dell’onorevole Tupini mi hanno confermato nel dovere che ho di insistere sul mio emendamento.
Quando si parla di carcere e di esecuzione di pena, si fa consistere la rieducazione ed il benessere dei detenuti nel dare disposizioni ai direttori carcerari relativamente al trattamento interno.
Ora, non è il problema della detenzione che investe il detenuto, come cittadino che ha perduto la libertà e come cittadino che deve essere restituito, dallo Stato, alla libertà migliorato. Io ho avuto occasione di visitare molte case di pena all’estero ed ho avuto la sfortuna di sperimentare personalmente il carcere.
Cosa succede anche in America? Gli americani in fatto di rieducazione sono stati costretti a introdurre l’afflizione dove c’era soltanto l’educazione. Oggi nei più grandi carceri d’America vi è un carcere nelle carceri. Bisogna evitare di porre i futuri legislatori della riforma carceraria nella penosa situazione di dover discutere che cos’è il trattamento carcerario. E non è neppure questione di milioni, ma di impostazione.
PRESIDENTE. La prego di non svolgere una seconda volta il suo emendamento.
BASTIANETTO. Concluderò dicendo che i varî Ministri della giustizia che si sono susseguiti in Italia fino ad oggi, questo problema carcerario lo hanno lasciato completamente in mano di un direttore generale, il che significa in mano di gente che, pur avendo altissime doti, non può capire il problema sociale gravissimo della esecuzione della pena. Ecco perché le ragioni che hanno svolte gli onorevoli Bettiol e Leone confermano la mia tesi: noi dobbiamo porre nella Costituzione una norma semplice, generale, che sia direttiva e fondamento della riforma carceraria di domani. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 21, per il quale non è stato mantenuto alcun emendamento:
«La responsabilità penale è personale».
(È approvato).
Passiamo al secondo comma, così formulalo nel testo della Commissione:
«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Pongo in votazione la proposta di soppressione dell’onorevole Crispo.
(Non è approvata).
L’onorevole Rescigno ha proposto di sostituire il secondo comma col seguente:
«L’imputato si presume innocente sino alla sentenza, anche non definitiva, di condanna».
L’emendamento non è stato accettato dalla Commissione.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Non comprendo la ragione della parola «anche». Si può dire: o «fino alla condanna definitiva» o «fino alla prima condanna».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Rescigno: «L’imputato si presume innocente fino alla sentenza, anche non definitiva, di condanna».
(Non è approvato).
MAFFI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAFFI. Dichiaro di non aver presentato nessun emendamento a questo articolo, perché non sono un giurista; però trovo che la formula adottata al secondo comma non è chiara. Essa, in sostanza, significa che l’imputato è considerato colpevole soltanto per un certo periodo, fino alla condanna definitiva.
Una formula più esplicita potrebbe essere la seguente: «L’imputato non può essere considerato colpevole se non dal momento in cui la condanna sia divenuta definitiva».
Avevo presentato questo emendamento alla Commissione.
PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Ho trovato una formula senza firma; ecco perché non ho risposto.
Le ragioni che ho addotto per sostenere la nostra formula valgono anche per oppormi a quella dell’onorevole Maffi. La Commissione, quindi, è contraria.
PRESIDENTE. Onorevole Maffi, si tratta, più che altro, di una questione di forma. Ella insiste?
MAFFI. Non insisto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo della Commissione:
«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
(È approvato).
Passiamo al terzo comma, così formulato nel testo della Commissione:
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
Per questo comma sono stati mantenuti gli emendamenti degli onorevoli Leone Giovanni, Crispo, Veroni e Bastianetto.
MAFFI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAFFI. In ordine al terzo comma ritengo che vi sia un errore di impostazione mentale, morale e sociale da considerare, quando si dice che: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». La pena, di per se stessa, non può tendere alla rieducazione, ma è l’ambiente in cui la pena si sconta che può rieducare il condannato. La pena, pertanto, dovrebbe tener conto della condizione disgraziata del condannato e non della colpa a cui deve corrispondere un pagamento a tipo vendicativo di sofferenza.
Bisognerebbe perciò dire: «L’ambiente carcerario deve essere organizzato conformemente al bisogno sociale di rieducazione del condannato». Accanto alla pena deve esistere una organizzazione che miri a questo. Deploro che qui non si sia portato nella discussione un fatto già acquisito, quello della riorganizzazione del carcere nella Russia sovietica, dove è stabilito il principio che la pena non è definitiva per durata, che essa può essere accorciata in base all’esperienza constatata sulla condotta del condannato e che la pena può essere protratta se l’individuo, nell’espiazione del suo periodo carcerario, si è dimostrato un incorreggibile, un antisociale, un uomo pericoloso per la società.
Ho voluto esprimere il mio parere perché mi pare che su questo argomento la Commissione non abbia sufficientemente studiato.
PRESIDENTE. Onorevole Maffi, vuole precisare l’emendamento che propone?
MAFFI. Il testo è il seguente:
«L’ambiente carcerario deve essere organizzato conformemente al bisogno sociale di rieducazione del condannato. Nessun trattamento può essere contrario al senso di umanità».
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La formula Bastianetto, mi sembra meglio articolata.
Comunque, di fronte a questa perplessità anche di formule, da parte di coloro che presentano all’ultima ora degli emendamenti, credo che vi sia una ragione di più per pregare l’Assemblea di apprezzare la nostra formula e di votarla. Quindi non possiamo accettare nessuna formulazione nuova dell’articolo 21 e insistiamo su quella da noi preparata.
MAZZA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZA. Credo che la formula dettata dagli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol sia la più adatta ad accontentare tutti e per questo motivo voterò l’emendamento Leone-Bettiol.
PERTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERTINI. All’emendamento proposto dall’onorevole Maffi sostituirei le parole «ambiente carcerario» con le parole «sistema carcerario».
MAFFI. Aderisco a questa modificazione.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Dichiaro che voterò a favore del secondo emendamento degli onorevoli Leone e Bettiol. Mi rendo conto delle ragioni che sono state esposte dal Presidente della Sottocommissione e sono certo che nelle intenzioni dei proponenti non vi è il desiderio di risolvere con la formulazione presentata l’annoso problema degli orientamenti penalistici della scienza e della legislazione italiana. Sono certo che, in questa sede costituzionale, si vuole anche con la formulazione proposta lasciare libera la strada, perché domani sia il legislatore, sotto la pressione della coscienza sociale, a decidere in merito agli orientamenti in materia di pene. Tuttavia non posso nascondermi il pericolo che deriva dalla formulazione così come è presentata. Il parlare di pene che devono tendere alla rieducazione del condannato, può essere considerato da parte dei futuri legislatori e da parte degli scienziati di un determinato orientamento, come fondamento di una pretesa ad orientare la legislazione penale italiana in modo conforme ai postulati della scuola positiva. Tutti quanti i postulati penalistici sono evidentemente rispettabili, ma il problema che essi involgono è talmente grave e talmente serio che non possiamo pretendere, con una rapida discussione, quale è quella che si è verificata in questa sede di risolverlo.
D’altra parte dobbiamo preoccuparci che per una leggerezza da parte nostra, per una imprecisione nella formulazione, non si dia l’apparenza di aver risolto quello che in realtà non si voleva e non si poteva risolvere in questa sede. Certamente l’esigenza della rieducazione morale del condannato è presente al nostro spirito. Anche noi, che siamo seguaci di un altro indirizzo in materia penale, riteniamo che la pena persegua tra i suoi fini anche quello fondamentale della rieducazione del condannato, ma mi pare che questa esigenza sia soddisfatta pienamente dall’emendamento Leone-Bettiol al quale aderisco, in quanto vi si dichiara che le pene non possono consistere in trattamenti disumani e debbono essere tali da permettere la rieducazione morale del condannato. Con ciò si dà una precisa disposizione che vale come orientamento per la riorganizzazione del sistema penitenziario, ma senza prendere posizione, neppure in apparenza, in ordine a uno dei problemi più gravi della nostra scienza e della nostra prassi sociale, cosa che mi parrebbe in questa sede estremamente pericolosa.
GATTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GATTA. Dichiaro di aderire alla proposta degli onorevoli Bettiol e Leone, qualora i proponenti, anziché adottare la formula: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità o che ostacolino, ecc.», dicano: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono agevolare la rieducazione morale del condannato».
Una voce. Questo è il testo della Commissione. (Commenti).
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Quando vi scostate dalla retta via, vedete le confusioni che sorgono. Mantenete la guida del progetto se non volete smarrirvi. (Ilarità).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli emendamenti. L’onorevole Bastianetto ha proposto di sostituire il terzo comma col seguente:
«Nella esecuzione delle pene si deve aver riguardo soprattutto al rispetto della persona umana».
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Dichiaro che non voteremo questa formulazione, perché, pur condividendone lo spirito, preferiamo la nostra.
FRANCESCHINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCHINI. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento dell’onorevole Bastianetto, perché esso, oltre ad essere sostanzialmente comprensivo di tutte le modificazioni proposte, designa chiaramente un compito positivo che la Repubblica deve proporsi nell’amministrazione della giustizia per un principio di umanità.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bastianetto.
(Non è approvato).
Pongo in votazione l’emendamento Maffi con la modifica proposta dall’onorevole Pertini ed accettata dal presentatore:
«Il sistema carcerario deve essere organizzato conformemente al bisogno sociale di rieducazione del condannato. Nessun trattamento può essere contrario al senso di umanità».
(Non è approvato).
Pongo in votazione la formula proposta dagli onorevoli Leone Giovanni e Bettiol:
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrarî al senso di umanità o che ostacolino la rieducazione morale del condannato».
(Segue la votazione per alzata e seduta).
Poiché l’esito della votazione appare incerto, procediamo alla votazione per divisione.
(Segue la votazione per divisione).
Comunico che, secondo il giudizio dell’ufficio di Presidenza, l’emendamento non è approvato. (Commenti – Rumori).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare una preghiera ed è questa: perché vogliamo suscitare qui una questione di scuola scientifica, che è l’unico riflesso che potrebbe fendere l’Assemblea contraria alla proposta della Commissione? Badate che l’esigenza della rieducazione non è soltanto privilegio e monopolio della scuola positiva: è principio del diritto canonico e del cristianesimo. Non vi è qui nessuna questione di ordine politico, ma solo una questione di scuola scientifica. Siamo tutti d’accordo che non si tratta con questo articolo di definire la finalità, più o meno filosofica, della pena, ma di stabilire che occorre sempre anche la rieducazione del condannato. Perché non accettiamo, quindi, il voto che è venuto fuori? (Approvazioni).
MORO. Dato l’esito dubbio della votazione, chiedo l’appello nominale.
PRESIDENTE. Non è possibile accogliere la sua proposta, poiché è stato già proclamato il risultato della votazione.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Signor Presidente, dopo la votazione per alzata e seduta, la perplessità di alcuni Segretari ha imposto alla sua coscienza di indire una seconda votazione per divisione. A nostro avviso anche questa seconda votazione, così come la prima, deve lasciare perplesso il suo animo.
PRESIDENTE. Mi permetto di osservare che proprio in ciò che lei ha detto è la giustificazione della decisione che ho preso poco fa. Lei ha detto che dopo la votazione iniziale, alcuni Segretari – cioè una parte dell’ufficio di Presidenza – hanno avuto delle perplessità, mentre in questo momento nessuno dei Segretari è perplesso. Lo sono alcuni membri dell’Assemblea, ma questi nella valutazione dei risultati di una votazione non hanno voce in capitolo. Sono, quindi, due soggetti diversi che hanno avuto le perplessità. Le perplessità del primo, evidentemente, inficiavano la decisione; il dubbio del secondo, rispettabilissimo, non può avere la stessa efficacia. (Applausi).
LEONE GIOVANNI. Se vi è un problema nel quale non occorre essere faziosi è proprio questo. (Commenti).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siamo d’accordo! Proprio per questo non bisogna insistere!
PRESIDENTE. Onorevole Leone, il fatto stesso che in questa votazione i gruppi politici si sono suddivisi, mi pare dimostri che non vi fu in essa una posizione di partito.
LEONE GIOVANNI. Accetto l’esito della votazione, ma poiché bisogna mettere in votazione il testo dell’onorevole Crispo, chiedo su di esso la votazione per appello nominale.
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Ricordo che nel caso di rigetto dell’emendamento Leone-Bettiol, ho dichiarato di mantenere il mio.
PRESIDENTE. Sta bene.
Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Crispo, che nel terzo comma siano soppresse le parole «devono tendere alla rieducazione del condannato e», sicché il testo del comma risulterebbe il seguente:
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
Su questo emendamento è stato chiesto dagli onorevoli Leone Giovanni, Badini Confalonieri e altri la votazione per appello nominale.
Senza contestare agli onorevoli firmatari della richiesta di appello nominale questa facoltà, ripeto quello che ho già detto l’altro giorno a proposito di altra votazione: se dalla votazione risultasse la mancanza del numero legale, dovremmo o rinviare di un’ora la seduta, oppure rinviarla addirittura a domani, a termini del Regolamento.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Quale firmatario della richiesta, anche a nome dei miei colleghi, rinuncio alla richiesta d’appello nominale. Chiederei in cambio che si potesse fare da parte nostra una dichiarazione di voto perché vi è stata già una dichiarazione dell’onorevole Ruini in un senso, ed è giusto che da parte nostra si possa rispondere. L’onorevole Ruini ha dichiarato che non si vuole entrare nel merito della questione; ma vi entra: ed è quanto noi vogliamo evitare. Certo è comunque che la pena non ha esclusivamente uno scopo rieducativo, ma altresì uno scopo afflittivo, uno scopo repressivo, ecc., e noi che consentiamo di tutto cuore nello scopo rieducativo della pena non reputiamo però che questo sia l’unico scopo che la pena si prefigge. Altrimenti, con la formula usata nel progetto, si addiverrebbe all’assurdo che anche la pena di morte – ammessa sia pure in casi eccezionali – avrebbe valore rieducativo. Per queste ragioni noi siamo favorevoli all’emendamento Crispo.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Dichiaro di votare per l’emendamento Crispo, non perché ritenga che non si debba tener conto di questo fine complementare e nobilissimo della rieducazione del condannato, ma perché penso che la formula della Commissione è una formula equivoca, in quanto non rispecchia il vero pensiero che indubbiamente si voleva esprimere. Noi votiamo l’emendamento Crispo, «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», perché nella frase «senso di umanità» a noi sembra sia contenuta e compresa l’ansia della rieducazione di cui alla prima parte dell’articolo, di chiunque sia caduto, sicché la seconda parte del nostro emendamento, che era interpretativo e correttivo, visto che non è stato approvato, deve intendersi contenuta nella prima parte. Donde, il nostro orientamento di votare l’emendamento Crispo.
BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BETTIOL. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Leone.
MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Mi associo alle dichiarazioni degli onorevoli Badini Confalonieri, Leone Giovanni e Bettiol.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Crispo:
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
(Dopo prova e controprova non è approvata).
Pongo in votazione la formula della Commissione:
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
(Dopo prova e controprova è approvata).
Passiamo ora all’ultimo comma. La Commissione ha dichiarato di accettare la formulazione dell’onorevole Veroni che pongo in votazione:
«Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
(È approvata).
Dichiaro approvato l’articolo 21, nel seguente testo:
«La responsabilità penale è personale.
«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
«Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Il seguito della discussione è rinviato al pomeriggio alle 16.
Interrogazione con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:
«Ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’interno, per conoscere in qual modo il Governo intenda andare incontro ai desiderata degli ex partigiani, reduci ed ex internati, le cui gravissime condizioni economiche hanno provocato a Torino la manifestazione e gli spiacevoli incidenti del 9 aprile.
«Montagnana Mario, Roveda, Flecchia».
Chiederò al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sui motivi che hanno ritardato l’accoglimento delle giuste rivendicazioni del personale insegnante e non insegnante delle scuole medie ed elementari e degli educandati nazionali, nonostante formali promesse fatte dal Governo, da lungo tempo.
«Di Vittorio, Lizzadri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere se sia vero che, nello schema di ripartizione del secondo contingente di navi di provenienza americana, ripartizione per la quale era stato assicurato dall’onorevole Ministro della marina mercantile che si sarebbe seguito un criterio regionale, oltre che criteri economici, la Puglia sia rimasta assolutamente esclusa da assegnazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Cicerone».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quella per la quale si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 13.5.