Come nasce la Costituzione

SABATO 15 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXVIII.

SEDUTA DI SABATO 15 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Presidente                                                                                                        

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Gronchi                                                                                                            

Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro                                                       

Mentasti                                                                                                          

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Tripepi                                                                                                               

Micheli                                                                                                             

Chieffi                                                                                                              

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Annuncio di nomina di Sottosegretari di Stato:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Bencivenga                                                                                                      

Li Causi                                                                                                            

Scotti Alessandro                                                                                          

Tumminelli                                                                                                       

Puoti                                                                                                                 

Martino Gaetano                                                                                           

Tremelloni                                                                                                      

Interrogazioni d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 15.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della sedata precedente.

Sul processo verbale.

FINOCCHIARO APRILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola devo dire all’Assemblea, dopo la dolorosa seduta di ieri, che è nostro dovere ricordare che la libera critica deve trovare limiti, soprattutto nel linguaggio. Non si frappongono ostacoli all’espressione di qualunque pensiero, ma si chiede che tutti ricordino di essere i rappresentanti della Nazione, e di conservare in ogni momento il senso della dignità. (Approvazioni).

Io spero che tutti siano d’accordo nel deplorare gli incidenti verificatisi ieri e nell’assicurare che non si abbiano a ripetere. (Vivi, generali applausi).

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha facoltà di parlare.

FINOCCHIARO APRILE. Rendo omaggio alla nobiltà delle dichiarazioni del nostro illustre Presidente.

Non è affatto mio proposito di agitare gli animi dell’Assemblea. Non intendo di ritornare su quello che avvenne ieri; né voglio neppure soffermarmi a protestare per la violazione del mio diritto alla libertà di parola; violazione che è stata compiuta dal Presidente Tupini, il quale si è rivelato partigiano (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, mi permetta di osservare che non le fu tolta la parola. Fu sciolta la seduta, a norma di Regolamento, per il tumulto che si era verificato: fu un dovere del Presidente. Continui.

FINOCCHIARO APRILE. Io avevo però la parola.

Ora ho un dovere, il dovere di dare una risposta all’onorevole Gronchi.

Perché l’onorevole Gronchi disse queste parole: «L’onorevole Finocchiaro Aprile, se è un galantuomo, deve precisare le generiche accuse fatte. Se non lo farà, avrà da scegliere solo fra la qualifica di pazzo commediante e quella di volgare mentitore».

Io desidero dare all’onorevole Gronchi e all’Assemblea la dimostrazione che, se vi è un pazzo e se vi è un commediante, se vi è un volgare mentitore, questi non sono certamente io.

Stia a sentire onorevole Gronchi: io dissi e ripeto, riferendomi alle parole nobilissime dell’onorevole Conti e riferendomi ad altre parole non meno giuste pronunciate, qualche tempo fa, in quest’aula dall’onorevole Nitti, che è necessario che i membri dell’Assemblea servano il Paese con piena dedizione di sé e con completa abnegazione, e che rifuggano dal ricercare e dall’occupare posti largamente rimunerativi. Affermando ciò, non ho fatto che portare nell’Assemblea il desiderio e la voce del popolo italiano. Aggiunsi che la Democrazia Cristiana raccoglie nelle sue fila il maggior numero dei profittatori. Onorevoli deputati, io confermo in pieno la mia dichiarazione. (Commenti).

PRESIDENTE. La prego di usare un linguaggio moderato, onorevole Finocchiaro Aprile!

FINOCCHIARO APRILE. M’incombe, pertanto, l’obbligo di darvi un elenco molto sommario dei deputati democratici cristiani che occupano cariche largamente retribuite.

Cominciamo: l’onorevole Pietro Campilli, esponente del Banco di S. Spirito, è amministratore delegato, con pieni poteri, della Società Italiana Condotte d’Acqua, con sede in Roma, collegata con varie altre società di acquedotti, tra cui quella dell’Acqua Pia, Antica Marcia, di Roma. (Commenti).

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. È falso!

GRONCHI. E una!

FINOCCHIARO APRILE. Non credo. L’onorevole Vanoni, nominato Commissario della Banca Nazionale di agricoltura, per undici mesi ha percepito quattro milioni di lire, valuta 1945. (Interruzioni).

Una voce al centro. È falso!

FINOCCHIARO APRILE. Non credo. L’onorevole Vanoni, lasciata la Banca, è stato nominato Presidente della Ferrobeton. (Interruzioni – Commenti).

Non l’avrei voluto dire, ma poiché qualcuno desidera saperlo…

Una voce al centro. Lo faccia per tutti i settori!

PRESIDENTE. Non interrompano! Chi vorrà, potrà domandare la parola.

FINOCCHIARO APRILE. …io dirò che la maggioranza delle azioni della Ferrobeton è nelle mani dell’ingegnere svizzero Hüber. Durante il regime fascista, la Società Ferrobeton esegui lavori di appalto per costruzioni edilizie e stradali (lavori in Italia, in Albania, in Africa Orientale), realizzando centinaia di milioni di lire di utili, che in una maniera o nell’altra trovarono modo di varcare la frontiera.

L’onorevole Vanoni si è fatto difensore presso il Governo degli interessi di questa società straniera, per aiutarla a liquidare i suoi crediti ingenti. È falso?

L’onorevole Spataro è stato nominato Presidente del Consiglio di Amministrazione della R.A.I.: parecchie centinaia di migliaia di lire al mese. Anche questo è falso?

L’onorevole Micheli, già Presidente dell’Istituto Nazionale delle assicurazioni e di molte altre aziende aventi rapporti con lo Stato, mantenne la prima carica fin dopo tre mesi la sua nomina a Ministro. L’onorevole Micheli era stato preceduto da un altro democristiano, l’onorevole Gilardoni, che fu materialmente cacciato via dagli impiegati dell’Istituto Nazionale delle assicurazioni.

L’onorevole Jacini è Presidente della Cassa di Risparmio delle province lombarde.

L’onorevole Restagno è Presidente della Banca Popolare di Novara.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. È falso!

FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Scoca è stato nominato Avvocato generale dello Stato, scavalcando 41 suoi colleghi, molto più capaci e meritevoli di lui.

L’onorevole Proia è Presidente dell’Associazione nazionale delle industrie cinematografiche.

PROIA. È una carica gratuita.

FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Paolo Bonomi è Presidente della Confederazione Nazionale dei coltivatori diretti. (Ilarità al centro).

L’onorevole Chieffì è amministratore del gruppo delle aziende dei carboni italiani.

L’onorevole Petrilli, un gabinettista che era ineleggibile e che diventò eleggibile cambiando semplicemente di stanza, è stato nominato Consigliere di Stato.

L’onorevole Colonnetti è stato nominato Presidente dell’Istituto delle ricerche e deputato, benché funzionario di Gabinetto.

L’onorevole Rodinò è Commissario del Consorzio nazionale per la canapa.

Gli onorevoli Arcaini e Balduzzi sono Direttori di banca.

Vi è di più. Con decreto 11 gennaio 1947, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 febbraio, n. 36, pag. 489, l’Alto Commissario Mentasti, in articulo mortis, ha nominato Commissario liquidatore del disciolto Ufficio centrale per la distribuzione dei cereali, farine e paste il signor Augusto De Gasperi. Egli, già Presidente della Confederazione dei cooperatori italiani, è incaricato del reperimento dell’olio.

Questo è un primo sommario e non certo preciso elenco. Mi riservo di depositare alla Presidenza della Camera fra pochi giorni un elenco quanto più sarà possibile completo dei deputati democratici cristiani, profittatori.

Non ho altro da dire. (Rumori – Commenti).

GRONCHI. Chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. La prima constatazione è la seguente: per quanto ieri all’onorevole Finocchiaro Aprile io abbia chiesto di precisare, anche nei miei riguardi; ed egli abbia risposto: «Comincerò da te», oggi, come probabilmente domani, non è stato in grado di farlo.

FINOCCHIARO APRILE. Quando tu eri Sottosegretario di Stato di Mussolini, eri uno straccione. (Vivissime proteste al centro). Oggi hai i milioni. (Vivissimi rumori – Vivace scambio di apostrofi – Agitazione – Tumulto – Ripetuti richiami del Presidente).

PRESIDENTE. La seduta è sospesa.

(La seduta, sospesa alle 15.35, è ripresa alle 15.40).

Devo deplorare vivissimamente quanto è accaduto. Richiamo all’ordine l’onorevole Finocchiaro Aprile, che è trasceso in un linguaggio assolutamente deplorevole e non ammissibile in questa Assemblea. (Vive approvazioni).

Deploro vivamente anche l’onorevole Caiati, che dal suo banco si è mosso per procedere ad atti di violenza contro l’onorevole Finocchiaro Aprile. Lo richiamo all’ordine e invito tutti i colleghi all’osservanza della disciplina dell’Assemblea. Così non è possibile procedere. Se l’onorevole Finocchiaro Aprile mi darà motivo di altri richiami, sarò dolente di dover applicare il regolamento. (Approvazioni).

L’onorevole Gronchi ha facoltà di continuare a parlare.

GRONCHI. Nel riprendere la parola, mi verrebbe fatto di proporre alla Camera una iniziativa che solo all’apparenza è faceta, ma che, nella sostanza, farebbe al caso dell’onorevole Finocchiaro Aprile: vedere cioè se non sia opportuno di sottoporlo ad una perizia psichiatrica. (Rumori vivissimi – Commenti).

PRESIDENTE. Non ammetto assolutamente che si continui a parlare così! Onorevole Gronchi, prosegua, ma si contenga nel suo linguaggio.

GRONCHI. Per quanto mi riguarda personalmente posso permettermi di non rilevare l’ingiuria. Dirò solo che io sono a pienissima disposizione del signor Finocchiaro Aprile, quando egli si degni di presentare degli addebiti precisi. E stia sicuro che io non mi coprirò del mandato parlamentare; e altrettanto dovrà fare lui, quando gli potremo chieder conto delle sue attività politiche e politico-finanziarie.

FINOCCHIARO APRILE. Quali attività finanziarie?

GRONCHI. Non lo so; può darsi che, se lei ci consente, ne troviamo qualcuna. Potremmo avere dei documenti desunti da pubbliche dichiarazioni.

Ma veniamo al caso nostro particolare: la serietà delle cosiddette denunce e del cosiddetto elenco dell’onorevole Finocchiaro Aprile, è anzitutto documentata dal numero dei casi, che egli ha citati qui, dieci o dodici, mentre noi siamo 207 ed io vorrei vedere, se facessi, absit injuria, un esame dei vari settori della Camera… (Rumori – Proteste all’estrema sinistra).

PERTINI. Non abbiamo messo in dubbio la vostra onestà, mentre voi mettete in dubbio la nostra.

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, la prego di moderare i termini.

GRONCHI. Ho detto, non a caso, absit injuria, perché, secondo me, i casi indicati dall’onorevole Finocchiaro Aprile non costituiscono neppure lontanamente alcuna immoralità.

Per documentare poi l’inesattezza delle sue informazioni basterebbe che mi riferissi a quanto ha detto dell’onorevole Campilli e che questi ha smentito, mentre l’onorevole Finocchiaro Aprile non potrebbe sostenere con prove quello che ha dichiarato, e quello che ha detto nei riguardi del Sottosegretario onorevole Restagno, che è egualmente falso; dell’amico Proia, che è stato eletto a presiedere una libera associazione cinematografica senza un centesimo di retribuzione; dell’onorevole Bonomi: caso particolarmente curioso, quest’ultimo, perché io potrei dire che gli onorevoli Di Vittorio e Lizzadri sono nientemeno che i lautissimamente retribuiti segretari della Confederazione generale italiana del lavoro, insieme coll’altro profittatore onorevole Rapelli. (Rumori all’estrema sinistra – Approvazioni al centro – Commenti). Ed in ultimo l’ironia del suo sadismo ha voluto che egli nominasse Rodinò, non il nostro collega onorevole Ugo, ma il fratello Guido, non Deputato, che ieri sera un malore improvviso ha fatto decedere e che è stato soltanto per alcuni mesi Commissario del Consorzio nazionale canapa. Io rivendico a me, Ministro dell’industria, la responsabilità di averlo nominato, perché, avendo bisogno di un galantuomo e di un capace amministratore, io lo scelsi; e sfido chiunque a trovare qualcuno che mi possa indicare che nella sua gestione ci sia stata non solo la minima irregolarità, ma quanto meno l’assenza del più minuzioso scrupolo di retto e saggio amministratore. Tutto ciò vi dice quanto mai siano fondate le affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile. D’altra parte, credo che nessuno potrebbe negare che se noi procedessimo con un criterio rigoroso, tale da escludere che uno scienziato o un tecnico, solo perché Deputato, possa presiedere alcun ente, solo perché questo ha rapporti con lo Stato, evidentemente arriveremmo, per successivi inevitabili ampliamenti, ad escludere tutta la nostra Assemblea dal collaborare direttamente con le proprie energie intellettuali e con la propria volontà di lavoro a quelli che sono gli interessi generali del Paese.

Credo che i colleghi qui nominati avranno la possibilità di dimostrare dove sono le parecchie centinaia di migliaia di lire al mese a cui si è riferito l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ma mi sia consentito incidentalmente di ripetere che, anche se tutto ciò fosse vero, cioè se 10 o 12 Deputati, quanti sono quelli che egli ha indicati su 207, occupassero, prestandovi il loro lavoro e mettendovi a contributo la loro capacità, dei posti retribuiti, non per questo ci sarebbe motivo per la stolta affermazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile, che bolla il nostro partito come avido accaparratore di cariche e ne desume un giudizio inammissibile di disonore o di inferiorità politica. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto la parola per fatto personale l’onorevole Ministro delle finanze e del tesoro.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Rispondo all’onorevole Finocchiaro Aprile: primo, che non sono esponente, non faccio e non ho mai fatto parte del Banco di Santo Spirito, il quale (per chi non lo sappia) è in mano dell’I.R.I.

Secondo, che non sono consigliere delegato della Società per le condotte d’acqua, carica dalla quale mi sono dimesso prima delle elezioni politiche, secondo le buone norme. Oggi non ho nessuna relazione con detta Società, la quale, peraltro, è schiettamente privata.

Terzo, che non ho mai avuto nessuna relazione, né diretta, né indiretta, con la Società dell’Acqua Marcia, all’infuori di quella che ogni abitante della città di Roma ha con detta società, quale utente per il consumo di acqua.

E non dico altro! (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto la parola per fatto personale l’onorevole Mentasti. Ne ha facoltà.

MENTASTI. L’onorevole Finocchiaro Aprile mi ha accusato di avere, in articulo mortis, nominato Commissario dell’U.C.E.F.A.B. il dottor Augusto De Gasperi.

Faccio presente, prima di tutto, che si tratta di uomo di competenza specifica, e di onestà preclara; ed a quel posto era necessario proprio un uomo dotato di queste qualità.

La retribuzione relativa è di poche migliaia di lire al mese, che non sarebbero neppure bastate per il dispendio di carattere personale di venire a Roma per quel servizio. Tanto è vero, che il dottor De Gasperi ha declinato l’incarico.

L’onorevole Finocchiaro Aprile deve sapere che il dottor De Gasperi, per il suo antifascismo, dovette abbandonare Trento ed i posti che ivi occupava – e non già per ragioni politiche – nel passato.

Il dottor De Gasperi, durante il periodo dell’attività clandestina, ha fatto parte dei C.L.N.A.I. e si è comportato veramente da valoroso. Poi è stato mandato dallo stesso Comitato in Valdossola, nel periodo di tempo in cui le pallottole fischiavano ed i partigiani combattevano.

Infine, l’onorevole Finocchiaro Aprile ha detto che il dottor De Gasperi ricopre anche la carica di Presidente della Confederazione dei cooperatori italiani. Ciò è vero, ma perché è stato nominato dalle federazioni cooperative dei vari partiti come uomo degno e capace, e come tecnico esperto e di onestà riconosciuta da tutti i cooperatori italiani.

Questo è quanto posso dire per la nomina da me fatta e di cui assumo tutta e piena la responsabilità. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per fatto personale l’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. A me sono stati fatti due addebiti: anzitutto quello di essere stato nominato consigliere di Stato, onde sono stato qualificato profittatore.

Faccio presente, per chi non lo sappia, che a questa carica sono arrivato dopo 24 anni di servizio fedele ed onorato in favore dello Stato; e che già, quando fui nominato consigliere di Stato, avevo raggiunto l’altissimo grado di sostituto avvocato generale dello Stato.

Nominato magistrato nel lontano maggio del 1922, vinsi il concorso, quinto in graduatoria, tra 60 concorrenti di tutta Italia. Fui accolto, quarto in graduatoria, nell’Avvocatura dello Stato; e promosso sempre per meriti eccezionali.

Non devo dunque a nessuno, se non alla Provvidenza che mi ha dotato d’ingegno, (Applausi al centro) e alla forza di volontà che in un quarto di secolo ho sempre dimostrata, se ho raggiunto quel posto per il quale il Presidente Bonomi volle propormi al Consiglio dei Ministri, nonostante la mia riluttanza, come possono testimoniare tutti gli amici che ho frequentato alla Presidenza del Consiglio.

Quanto poi all’altro addebito di profittantismo perché avrei messo la mia candidatura a deputato subito dopo aver cessato dalla carica di capo di Gabinetto alla Presidenza del Consiglio, non vedo proprio come si possa parlare di profittantismo. Non la intendono così i miei elettori che mi hanno dato 50 mila voti preferenziali.

Io non ho profittato di nulla, perché mi sono dimesso, prima di porre la mia candidatura, non in modo formale, ma sostanziale. Comunque non si può, non è lecito, né giuridicamente, né moralmente, confondere una eventuale causa di incompatibilità ad essere eletto deputato con un profittantismo morale ed economico.

Per le cause di incompatibilità esiste anche la Giunta delle elezioni, che ha convalidato, con piena cognizione degli elementi di causa, la mia elezione. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per fatto personale l’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Ne ha facoltà.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Una semplicissima precisazione. L’onorevole Finocchiaro Aprile ha dichiarato che io sono il Presidente della Banca Popolare di Novara.

Tengo a chiarire che conosco la Banca Popolare di Novara per rapporti di carattere professionale, ma che non ho mai avuto occasione di interferire con essa per quanto concerne la sua Amministrazione, e che non ho mai salito le scale della sede centrale della Banca stessa, né come funzionario, né come membro del Consiglio d’Amministrazione, né, tanto meno, come Presidente.

A tale carica, a quanto mi risulta, è preposto l’Ambasciatore Cerruti; quindi la dichiarazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile è assolutamente infondata e si basa su informazioni false e tendenziose.

Penso che il collega, prima di esporre alla Camera dichiarazioni di questa importanza, avrebbe avuto il dovere di controllarle. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’incidente è chiuso.

TRIPEPI. E gli altri che cosa rispondono? Niente? (Vivi commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tripepi, ella non ha diritto di parlare.

TRIPEPI. Io, come rappresentante della Nazione, chiedo che cosa rispondono gli altri. Prendiamo atto del silenzio. (Interruzioni – Commenti).

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Ritenevo che fosse inutile da parte mia una risposta all’onorevole Finocchiaro Aprile; ma giacché un collega ha voluto insistere a questo riguardo, non ho per conto mio che da ricordare che dopo la liberazione i partiti politici, i quali facevano parte del Comitato di Liberazione Nazionale, hanno assegnato i varî posti più importanti delle amministrazioni in modo che ciascun partito avesse la sua rappresentanza. (InterruzioniCommenti).

PRESIDENTE. Non interrompano!

MICHELI. E come il Partito socialista ha avuto la Previdenza sociale e il partito comunista gli Infortuni (I.N.F.A.I.L.), così al Partito democratico cristiano è stato attribuito l’Istituto nazionale delle assicurazioni. E quando il Presidente, allora nominato, per particolari ragioni sue personali ha presentato le dimissioni, sono stato chiamato io a sostituirlo. La cosa è molto semplice: ed è evidente come non ci sia stata nessuna ragione di profittantismo né da parte mia, né da parte d’altri nelle mie condizioni.

Il Partito mi ha chiamato e io ho accettato il posto, come era mio dovere. Altre cariche sono aggiunte, sono unite per forza di cose all’Istituto medesimo, così come succede in altri grandi istituti: ad esempio, i rappresentanti dell’I.R.I., della Banca d’Italia, della Previdenza sociale entrano in tutte le compagnie collegate.

Quanto alle cifre accennate, debbo ricordare che l’I.N.A. è ancora uno dei pochi enti che hanno mantenuto le indennità dei tempi passati, non avendo fatto nessun ragguaglio monetario. Quindi, allorché si è parlato di cifre molto cospicue, certo si intendeva parlare di altri Enti, non di quello delle Assicurazioni, nel quale le rimunerazioni agli amministratori rappresentano cifre tali che non espongo nemmeno, perché sono troppo modeste. (Applausi al centro).

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Se da un deputato di destra non fosse venuto l’invito per un completo chiarimento da parte di tutti gli incriminati dall’onorevole Finocchiaro Aprile, io non avrei chiesto la parola. Debbo invece farlo, anche per adempiere alla richiesta di cui ho detto, proveniente da un qualunquista.

Sono stato nominato Commissario della Azienda Carboni Italiani oltre due anni fa, cioè quando non ero deputato. Ho trovato l’Azienda in condizioni tali che soltanto una capacità tenace ed una volontà ferrea (Commenti – Interruzioni) potevano portarla nelle condizioni in cui oggi essa è. Ho trovato le miniere sarde con una produzione di carbone di appena 28 mila tonnellate mensili e l’ho portata, con la collaborazione dei miei operai, a 108 mila tonnellate il mese, in poco più di un anno. (Approvazioni).

Una voce al centro. Questo è vero.

CHIEFFI. Debbo un’ulteriore precisazione all’onorevole Finocchiaro Aprile: quando fui chiamato a dirigere l’Azienda Carboni Italiani, non ero un individuo qualsiasi, ma provenivo da altra importante azienda industriale, ove per lunghissimi anni avevo ricoperto la carica di dirigente.

Credo di avere risposto esaurientemente all’onorevole Finocchiaro Aprile, aggiungendo soltanto che le laute prebende sono fissate dai Ministeri competenti che controllano l’Azienda e che, si riducono a ben modeste cifre. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo deputati: Valenti, Stella e Spataro.

(Sono concessi).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che, in seguito alla morte dell’onorevole Achille Grandi, deputato per la Circoscrizione di Milano-Pavia (IV), fu chiamato a sostituirlo, e dalla Camera proclamato nella seduta del 12 dicembre 1946, l’onorevole Pietro Ferreri.

Contro la proclamazione dell’onorevole Ferreri è pervenuto un reclamo, che la Giunta delle elezioni, nella sua seduta odierna, ha ritenuto inconsistente, proponendo all’Assemblea Costituente la convalida della elezione.

Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione e, salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti fino a questo momento, dichiara convalidata questa elezione.

Annuncio di nomina di Sottosegretari di Stato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro informare l’Assemblea che il Capo provvisorio dello Stato, con decreti in data 14 corrente, ha nominato Sottosegretari di Stato:

per la difesa: l’onorevole avvocato Giuseppe Brusasca, deputato all’Assemblea Costituente; l’onorevole generale Luigi Chatrian, deputato all’Assemblea Costituente; l’onorevole Francesco Moranino, deputato all’Assemblea Costituente; l’onorevole avvocato Vito Mario Stampacchia, deputato all’Assemblea Costituente;

per la marina mercantile, l’onorevole ingegner Giosuè Fiorentino, deputato all’Assemblea Costituente.

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri».

È iscritto a parlare l’onorevole Bencivenga. Ne ha facoltà.

BENCIVENGA. Dobbiamo essere grati al Presidente onorevole De Gasperi di aver trovato finalmente quelle parole che tutti gli italiani, e particolarmente i reduci, attendevano, parole che suonano esplicito riconoscimento delle virtù militari dell’esercito, della marina e dell’aviazione.

Virtù militari a servizio della Patria e non di questo o di quel partito; poiché tradizione mai violata dalle Forze armate italiane è stata quella di tenersi al di fuori delle competizioni politiche, o meglio di trovare nella vita dei reggimenti, sulle navi e negli aeroporti un ambiente sereno nel quale un solo ideale si levava superbo, quello delle fortune della Patria.

Con profonda commozione abbiamo udito, dalla voce accorata del Presidente del Consiglio, la ingiusta condizione imposta all’Italia dal Trattato cosiddetto di pace.

Era ora che una parola così autorevole si levasse a far giustizia di tutte le assurde accuse rivolte, soprattutto all’esercito, quasi che esso fosse responsabile di una guerra sfortunata. Le Forze armate al servizio della Patria non hanno alcuna responsabilità dello scatenamento di una guerra che andava contro gli ideali del popolo italiano; ma, una volta dichiarata, esse si sono prodigate fino all’estremo limite del sacrificio. Quello che esse fecero ha del leggendario e mi auguro che presto gli Stati maggiori dell’esercito, della marina e dell’aviazione, faranno conoscere ciò che le nostre Forze armate fecero, nonostante l’inferiorità di mezzi, di armamenti, e nonostante l’assurda impostazione del piano di guerra aggravata dal fatto di avere virtualmente posto le nostre Forze militari alla dipendenza della Germania, per la quale il nostro contributo si può riassumere in una sola parola: sacrificio!

L’esercito soprattutto era talmente impreparato che, allorquando nel 1939 il Capo del Governo, capo delle Forze armate, prospettò l’eventualità di scendere in guerra nel 1943 (dico 1943), il nostro Stato Maggiore fu preso da un vero sgomento, e dichiarò essere impossibile in quattro anni circa, e nonostante l’offerta di larghi mezzi finanziari, mettere l’esercito in piena efficienza nei riguardi degli armamenti. È facile immaginare in quali condizioni noi siamo quindi scesi in campo nel giugno 1940! Non è esagerato affermare che il rapporto degli armamenti poteva paragonarsi a quello di un esercito armato di lance e frecce contro eserciti provvisti di armi da fuoco.

Si è detto da qualche pubblicista che l’Alto Comando si sarebbe dovuto opporre. È codesta un’affermazione pericolosa e che solo lo smarrimento dell’ora può giustificare. Le Forze armate sono a servizio dello Stato; ad esse non resta che obbedire, sia pure dopo aver manifestato la propria opinione. Del resto, anche la Costituzione elaborata dai nostri colleghi, sulla quale mi riservo di parlare a suo tempo, mantiene fermo quel principio ed anzi rimette all’Assemblea Nazionale la decisione di guerra.

Non dunque si può rimproverare ai capi delle Forze armate l’impreparazione. E neppure il piano di guerra.

Farei torto ai miei colleghi se ripetessi qui quello che ha lasciato scritto Clausewitz, che è il più grande teorico della guerra, traendo le sue deduzioni dalle campagne dei più celebri capitani, essenzialmente da quelle napoleoniche.

Secondo il grande filosofo, la guerra è la continuazione della politica con le armi alla mano, ed è assurdo far ricadere sui capi militari la responsabilità del piano di campagna. Tanto meno poi quando, come avvenne da noi nel 1940, il Capo del Governo è anche il comandante delle Forze armate. Si aggiunga altresì che l’Alta Direzione della guerra fu assunta virtualmente dallo Stato Maggiore germanico; ed alla Germania il nostro Paese dovette la perdita delle Colonie dell’Africa settentrionale per l’impulsività di Rommel e l’inettitudine di Kesserling, ed alla Germania si dovette altresì il disastro della campagna di Russia.

Io invito il popolo italiano a leggere la pubblicazione del nostro Stato Maggiore su questa campagna ed il libro del Maresciallo Messe dal titolo «Come finì la guerra in Africa», per avere una visione di quei tragici avvenimenti nei quali si rilevò tutta la brutalità del soldato germanico, eroe nella buona fortuna, vile nell’avversa. Quei soldati, non solo non dimostrarono nessuno spirito di cameratismo con i nostri, ma esercitarono su di essi violenza per strappare i mezzi di trasporto, impadronirsi dei magazzini viveri, lasciando morire di fame i nostri fratelli, negando ai feriti ogni soccorso, ed ai morti una pietosa sepoltura.

Eppure nel disastro che coronò le due campagne quanti atti di eroismo! La campagna in Africa Orientale poi, sostenuta soltanto dalle nostre truppe, costituisce una pagina meravigliosa e gloriosa delle nostre Forze armate. Gli stessi avversari resero omaggio a quei capi che sostennero la lotta fino a che rimase una goccia di acqua per dissetare le gole arse dei combattenti, un pezzo di galletta per non morire di fame, una cartuccia da sparare ed un proietto da lanciare dalle bocche da fuoco!

Nei Balcani la guerra ebbe un carattere selvaggio per la natura dei luoghi e la pratica di guerra seguita da quelle popolazioni; ed i nostri capi, spesso con forze insufficienti, sostennero l’onore delle nostre bandiere, senza trascendere nelle crudeltà insite in guerre di partigiani.

Io affermo, in piena coscienza, che in questa guerra le Forze armate hanno scritto pagine di cui i nostri figli potranno andare fieri.

È pura demagogia, che si manifesta sempre nei Paesi di scarse tradizioni militari, voler contrapporre, quando la guerra sia sfortunata, il valore delle truppe all’inettitudine dei capi! Si ignora con ciò l’aforisma che: tali sono le truppe quali i loro capi!

Ho detto che il fenomeno della denigrazione dei capi si ripete per i popoli di scarse tradizioni e di scarsa cultura militare. Infatti guardate il popolo francese! guardate il popolo germanico! La Francia ha sempre glorificato la campagna del 1870-71, nonostante la dura sconfitta subita; ed oggi si guarda bene dal sollevare querimonie contro il suo esercito, potente per mezzi e per numero, che, travolto sulla linea difensiva a nord, in una settimana circa perdeva tutto il territorio francese e si scioglieva come neve al sole!

È oggi una ironia del destino che quelle bandiere francesi che si trascinarono nel fango durante la ritirata, debbano sventolare su terre italiane che il diktat delle quattro Potenze ci ha imposto di cedere.

Noi, per contro, dimostriamo un vero accanimento nel diffamare esercito e capi. L’onorevole Lombardo nel suo discorso sentenziò che nessun generale italiano sarebbe ritornato nei ranghi. Non so se questo sia il pensiero del popolo italiano; certo, quelli che non torneranno saranno i 56 generali caduti sul campo dell’onore. (Applausi a destra).

Una voce a destra. Cinquantasette col generale Bellomo.

BENCIVENGA. Abbiamo perduto la guerra. È una realtà. Ma io chiedo che per fini politici non si disperda il patrimonio morale conquistato sui campi di battaglia!

Abbiamo perduto la guerra! ripeto, ma avremmo potuto salvare la pace, se i Comitati di salute pubblica che si sono succeduti dopo la liberazione di Roma non avessero favorito il disegno degli Alleati di non mantenere gli impegni presi di farci partecipare alla guerra con un vero e proprio esercito regolare. Fu pura demagogia da parte dei governi del Comitato di Liberazione Nazionale costituire la così detta guerra di partigiani, genere di guerra che non poteva dare che scarso rendimento sul nostro teatro di operazione così fittamente popolato di fronte ad un nemico come il tedesco… (Interruzioni a sinistra).

BENEDETTINI. Basta con questi sistemi! (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego!…

BENCIVENGA. …che aveva dimostrato con l’eccidio delle Fosse Ardeatine la misura della sua ferocia.

Se il Comitato di salute pubblica, invocato dal collega Nenni come pura reminiscenza romantica, avesse veramente voluto assolvere un compito eroico, invece di riempire le galere di uomini che altra colpa non avevano che quella di avere creduto a chi a prezzo della libertà prometteva una Patria più grande; se invece di dividere gli italiani in puri ed impuri avesse chiamato a raccolta tutti gli italiani al grido: «La Patria è in pericolo»! avremmo potuto pretendere di reclamare la stessa posizione della Francia che, pur avendo collaborato col tedesco, si era riscattata con poche truppe coloniali. (Commenti a sinistra).

BENCIVENGA. L’onorevole De Gasperi, nel suo accorato discorso ha detto che «purtroppo, dopo il disarmo che ci è imposto, la difesa delle nostre frontiere resterà affidata, soprattutto, al genio dei comandanti e al petto valoroso del nostro popolo in armi». E l’Assemblea ha calorosamente applaudito.

Mi permetta il Presidente di chiedergli se nella politica seguita dai Governi del Comitato di liberazione nazionale, ed anche seguita oggi, in confronto di capi e gregari reduci di guerra, sia la premessa utile alla realizzazione del suo nobilissimo pensiero!

Crede il nostro Presidente che l’aver cacciato in galera capi valorosi che la Magistratura, nella sua alta probità, ha poi rimesso in libertà, l’aver deferito al giudizio di commissioni arbitrarie l’esame della condotta di questi capi, sia tale da incoraggiare uomini di alto sentire e di fierezza di carattere ad assumere la funzione di capi? No!

Roma, che era maestra nel governo degli uomini dava ben altro esempio.

Ricorderò come dopo la disfatta di Canne il Senato romano movesse incontro al generale Varrone ringraziandolo di aver avuto fiducia nella Patria! L’amico Conti, appartenente a quei repubblicani che godevano di tante simpatie nel nostro esercito, perché primi in linea quando erano in giuoco le sorti della Patria, mi dirà che tutto quanto è avvenuto contro i nostri capi si è verificato prima dell’avvento della Repubblica.

Ma io penso che si sia ancora in tempo. E sono certo che se il compassionevole giuoco dei partiti politici non avesse costretto il Ministro Facchinetti ad abbandonare la direzione del Ministero della guerra, egli avrebbe portato nella soluzione del problema dei capi un nobile senso di umanità e giustizia.

Invero dall’insediamento dei Comitati di liberazione nazionale ad oggi è stato tutto un susseguirsi di leggi che nessun consenso hanno avuto dai rappresentanti del popolo italiano; leggi e disposizioni dettate da uno spirito fazioso che offende non solo l’alto senso di giustizia, ma la stessa sensibilità di nostra gente. Si afferma che si vuol, con tali mezzi, epurare l’esercito, ricostituirlo… No! Egregi colleghi, così lo si distrugge. Il disarmo imposto dagli alleati è cosa che non preclude l’avvenire; ma l’opera fin qui seguita compromette per sempre la rinascita di un esercito degno di questo nome.

Perché un esercito vive delle sue tradizioni, della fiducia che riscuote nel Paese; e quali tradizioni potrebbe vantare questo nuovo esercito? quale fiducia potrebbe riscuotere nel popolo, qualora si facesse strada il convincimento che quello sceso in campo, pur guidato da uomini che avevano dato prove di valore nella grande guerra, ha miseramente fallito alla prova?

Io giungo al paradosso affermando che pur se l’esercito fosse colpevole di tutti gli errori che gli si attribuiscono, carità di Patria dovrebbe indurre a nasconderli! Così hanno sempre fatto i paesi che tengono al loro prestigio guerriero!

La Francia, dopo la guerra 1870-71, si limitò a porre sotto giudizio, a senso dei regolamenti comuni ad ogni esercito, solo i generali che si erano arresi in campo aperto; a promuovere una inchiesta sul funzionamento di taluni servizi e nulla più! Essa onorò i generali dell’Impero, anzi taluni elevò alle supreme cariche dello Stato, come il MacMahon che, nel 1873, alla caduta di Thiers, fu Presidente della Repubblica!

Tuttavia io non contesto che il nostro Paese abbia il diritto di sapere come sono andate le cose e quali siano le responsabilità dei suoi capi; così come facemmo a Caporetto. Com’è noto, fu allora nominata una Commissione d’inchiesta costituita da alte personalità militari, politiche e giuridiche, che assolse il suo compito alla luce del sole!

Quale differenza col procedimento usato oggidì, in dispregio a tutti i principî di democrazia! Oggi nessuna Commissione d’inchiesta è stata nominata per far luce sulla responsabilità della dichiarazione di guerra e sul modo col quale la guerra fu condotta. Nessuna inchiesta sui fatti d’arme, ma una semplice Commissione, in prevalenza di uomini politici, è chiamata a dare il parere sulla conservazione in servizio degli altri generali; giudizio che, per disposizione recente, sarà esteso fino ai colonnelli!

Ciò in base ad un decreto in data 14 maggio 1946, emanato cioè alla vigilia delle elezioni di questa Assemblea! Il decreto non precisa quale debba essere questo parere e su che cosa fondato, quali inoltre debbano essere i costituenti della Commissione. Donde il legittimo sospetto di arbitrii e di errori.

Soprattutto di errori! Perché, egregi colleghi, non è cosa facile dare il giudizio sul comportamento in guerra di alti comandanti. Assai istruttiva, al riguardo è la lettura della relazione d’inchiesta su Caporetto. Quanti e quali giudizi contradittori da parte dei testi chiamati a deporre! E quanti in buona fede! Il testimone infatti è portato a generalizzare episodi nei quali fu coinvolto, ad esagerare ciò che colpì la sua fantasia, quando poi non si tratti di individui che, travolti dalla fuga, sono indotti a giustificare la propria condotta denunciando errori e deficienze che spesso non erano che nella loro fantasia alterata! Non si dimentichi poi che la fuga sui campi di battaglia comincia dal di dietro e che i fuggiaschi non possono sapere gli eroismi di coloro che sono ancora intenti a combattere sul fronte!

La riduzione dei quadri è una necessità assoluta, alla quale non possiamo sottrarci. Ad essa avremmo dovuto addivenire anche se vincitori! È ovvio che, per essa, debba prevalere il criterio della selezione. Ma a questa tragica necessità si deve pervenire attraverso la più rigida legalità.

Se, come ci si affanna a dire, abbiamo restaurato la democrazia, è al popolo, attraverso i suoi legittimi rappresentanti, che spetta definire i modi e gli organi, che debbono presiedere all’opera di selezione. È il Paese che deve dare il suo assenso alla scelta dei giudici. In sostanza: nulla deve restare nell’ombra, nulla deve essere lasciato all’arbitrio di uomini dei quali possiamo pur riconoscere la dirittura morale, ma dei quali non possiamo escludere l’incompetenza e la possibilità di errore!

Ho accennato innanzi all’accoglienza fatta ai reduci! La sensazione che essi hanno riportato al loro ritorno – sensazione condivisa dal Paese – è quella di essere riguardati quali colpevoli, complici dell’avventura fascista! Non voglio io, che rimprovero la demagogia negli altri, cadere nello stesso errore; e pertanto non insisterò sull’argomento limitandomi a far rilevare il diverso trattamento fatto ai partigiani, dei quali nessuno può disconoscere le benemerenze, ma dei quali non si deve sopravalutare il rendimento; non già per mancanza di buona volontà o di vigoria o di coraggio, ma perché non era loro possibile far di più, senza attirare sulle popolazioni crudeli rappresaglie e distruzioni selvagge sul nostro territorio!

MASSOLA. Non è vero!

BENCIVENGA. E veniamo alla costituzione del Ministero della difesa.

Non contesto al Capo del Governo la facoltà di sostituire i tre Ministeri militari con un unico Ministero; osservo però che di un provvedimento del genere, per le difficoltà d’ordine pratico che presenta, per le ripercussioni psicologiche e materiali che avrà, meglio sarebbe stato farne oggetto di preventiva approvazione dell’Assemblea.

A dire il vero, non so spiegarmi i motivi che hanno spinto il Capo del Governo a metterci di fronte a un fatto compiuto! Non posso dare che un valore letterario alla dichiarazione del Presidente di voler cancellare perfino il nome «Guerra» dalla terminologia di due dei tre preesistenti Ministeri! Dio volesse che una così nobile manifestazione di buona volontà trovasse eco nei popoli! Purtroppo l’orizzonte della pace è ancora coperto da folte nubi.

Se il motivo addotto dall’onorevole Presidente vuole essere davvero quello di dare la sensazione del nostro sentimento pacifista, mi permetto di fargli rilevare che la costituzione di un Ministero di difesa nazionale costituisce strumento tipico di una politica aggressiva, in quanto permette di coordinare in uno sforzo armonico e secondo un disegno operativo segreto, l’attività e lo sviluppo degli organi preposti all’Amministrazione dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione.

E difatti il Governo fascista costituì il Ministero di difesa nazionale proprio per quelle Campagne dell’Africa Orientale che segnarono il principio di quella politica di espansione che si concluse poi con la guerra mondiale!

Penso piuttosto che il Presidente del Consiglio abbia voluto, con la istituzione di un unico Ministero, dare un indirizzo nuovo ed uniforme, e soggiungo umano, alla liquidazione del passato (e sotto questo punto di vista non può non riscuotere il consenso di chi abbia carità di Patria), eliminando germi di malcontento capaci di insidiare l’opera di ricostruzione del nostro Paese!

E pertanto, a tranquillizzare tutti coloro che da una radicale trasformazione possono trarre danno, io vorrei che il Presidente accentuasse quel pensiero chiaramente espresso nel dare l’annuncio della fusione dei tre Ministeri, cioè che la trasformazione deve compiersi gradualmente e proporsi anzitutto di fondere insieme le virtù militari della Marina e dell’Aviazione, dopo l’altra guerra;

Sulla gradualità della trasformazione materiale io metterei un tale accento da ridurla per il momento ad una semplice fase di studi preliminari!

Perché, creda a me, che ho preso parte alle ampie e numerose discussioni sulla stampa relative a questo problema, esso non è facile, non è economico (come può apparire superficialmente) e soprattutto mal si concilia con un regime veramente democratico e parlamentare. E di fatto i Ministeri di difesa sono propri dei regimi autoritari.

Ed ora mi rivolgo al Ministro Gasparotto, preposto al Ministero della difesa, di cui conosco la elevatezza dell’animo, provato dalla sventura. Veda di rimediare al mal fatto fin qui; porti nel penoso lavoro al quale non possiamo sottrarci per l’imposizione del trattato di pace di riduzione dei quadri delle Forze armate, cuore e senso di giustizia e soprattutto di legalità. Eviti offese morali che incidono sugli animi più dei danni materiali.

E mi permetta di richiamare la sua attenzione su una questione che ritengo di somma importanza.

Per effetto della riduzione dei quadri avremo un gran numero di pensionati. Ebbene, bisogna, almeno per i più giovani, preoccuparsi di render loro possibile una attiva partecipazione alla vita civile.

Non debbo ricordare a voi, egregi colleghi, che furono i famosi «demis-soldes» (i cosiddetti pensionati dal Governo della prima restaurazione in Francia, dopo la caduta di Bonaparte ed il suo invio all’isola d’Elba) che ricondussero sul trono Napoleone!

Io non credo che i nostri pensionati coltiveranno simili propositi di restaurazione, ma è certo che nell’ozio potrebbero maturare propositi non sempre ragionevoli, specie se stimolati da esigenze materiali di vita.

Bisogna dunque preoccuparsi, come dicevo dianzi, che specie i più giovani possano trovar modo di esplicare la propria attività nella vita civile. Per la qual cosa io penso che si debba facilitare a questi pensionati la concessione di titoli accademici che permetta poi ad essi dedicarsi a professioni liberali. Il Ministro della pubblica istruzione potrà all’uopo suggerire gli opportuni provvedimenti.

Ed ora mi consenta, il Ministro Gasparotto, di portare la questione su un terreno, direi cosi, scottante. Quello degli ufficiali di fede monarchica!

Mi consta che in questo campo si va compiendo un lavoro di indagine con metodi addirittura inquisitori!

Le Forze armate non hanno mai fatto questioni di fede monarchica o repubblicana: ma di fedeltà alla Patria, di obbedienza allo Stato. Lo sanno i numerosi e valorosi repubblicani che hanno servito nelle Forze armate.

Coloro, tra i vecchi ufficiali di carriera, che oggi ostentano fede di repubblicani, sono quegli stessi che ieri ne ostentavano altrettanta per quella monarchica. Sono uomini di poco carattere e pertanto i meno meritevoli di coprire alti gradi nella gerarchia!

La Repubblica non deve temere delle nostalgie del passato. I nuovi regimi hanno da temere soltanto della delusione che provocano in coloro che avevano atteso con speranza la costituzione di un nuovo ordine; nel nostro caso la delusione è in coloro che, lottando per la restaurazione della democrazia, vedono ripetuti ed aggravati gli arbitri del regime dittatoriale fascista! (Interruzioni).

E concludo. La guerra è perduta; ma non dobbiamo lasciarci abbattere, né dobbiamo disperare del nostro avvenire! Altre grandi nazioni subirono disastri militari, e dovettero piegarsi alle imposizioni dei vincitori; ma, educate dalla sventura, risorsero più forti e vigorose di prima.

Se non fosse un po’ un paradosso, direi che dobbiamo essere grati alle Nazioni che ci hanno imposto condizioni di pace inique, che saranno di maggior stimolo alle nostre virtù.

Una pace iniqua – che offende il senso morale – non è una pace duratura. Versailles informi.

Allora il disarmo imposto alla Germania non servì a nulla. È infatti illusione ritenere di stringere in catene la vita di un popolo!

Oggi le quattro potenze hanno superato per crudeltà le imposizioni di Versailles.

Noi pure disarmeremo! Ma se le nostre divisioni verranno disciolte, noi daremo i loro nomi gloriosi ai nostri battaglioni; se ci saranno tolte le nostre superbe navi, onuste di gloria, noi battezzeremo coi loro nomi le più piccole imbarcazioni. Il culto del passato sarà il viatico del nostro calvario.

L’Italia, ne sono certo, risorgerà più bella, più grande di prima, se gli italiani sapranno tutti sentirsi figli di una stessa terra, se sapremo soffocare i risentimenti, i rancori, lo spirito di vendetta.

Quel giorno, che io mi auguro vicino, noi potremo guardare con disprezzo e disdegno quei vincitori che tradirono la bandiera e quegli ideali per i quali dissero al mondo di essere scesi in campo; e l’Italia tornerà ad essere quella grande Madre di civiltà che fu nel passato e nel mondo presente.

In alto dunque i cuori. La sventura abbatte i deboli, non i forti! Il nostro tricolore, cantato dai poeti, baciato dai morenti sui campi di battaglia, raccolga tutti gli italiani stretti da un vincolo di fratellanza, di amore, di solidarietà sociale, tutti uniti in una sola fede per la rinascita della Patria!

Erompa dai nostri petti, ora più che mai, il grido: «Viva l’Italia!». (Vivi applausi a destra – Si grida: «Viva l’Italia!»).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. Onorevoli colleghi, desidero richiamare l’attenzione di questa Assemblea su un avvenimento di importanza eccezionale che avrà luogo nel nostro Paese tra qualche settimana: le elezioni per l’autonomia regionale della Sicilia.

L’avvenimento, oltre che di grande importanza politica, certamente è di portata storica, poiché sta per essere finalmente risolto nel nostro Paese uno dei più gravi problemi che hanno agitato l’Italia fin dalla sua formazione ad unità: problema che è sorto e risorto continuamente in tutti i momenti in cui il nostro Paese ha attraversato una grave crisi politico-sociale, come la dimane del 1860, nel 1876, nel 1893-94, alla fine dell’altra guerra, alla fine di questa guerra. Vi sono, cioè, profonde ragioni di squilibrio che, per quanto ripetutamente denunziate e, soprattutto, poste in evidenza dalle agitazioni delle masse siciliane, con maggiore o minor vigoria in questi vari momenti storici, mai hanno trovato accoglienza né appagamento. Mai queste esigenze sono state avvertite come giustificate, come esigenze di tutto il Paese, senza sodisfare le quali noi non potremo mai pervenire ad uno stabile equilibrio nazionale.

La catastrofe provocata dalla guerra fascista ha posto la nostra Sicilia – prima fra tutte le. Regioni d’Italia – immediatamente di fronte a tutte le sue contradizioni politiche e sociali. Alla rottura dell’equilibrio, prodotto dallo sbarco degli alleati, il problema si è posto da prima in maniera quasi ingenua dinanzi alla coscienza del popolo siciliano. Vi era una frattura: la Sicilia materialmente, politicamente, economicamente separata dal resto d’Italia; ogni scambio fra la Sicilia e il continente interrotto.

La infausta parola d’ordine di Badoglio, «la guerra continua», accanto ai tedeschi, accese il separatismo, come sentimento ingenuo di tutto il popolo siciliano.

Intanto è importante tener presente la debolezza delle forze politiche democratiche, per il fatto che l’antifascismo in Sicilia non aveva avuto modo di temprarsi e di organizzarsi durante il ventennio; e allo sbarco in Africa degli alleati, preludio dello sbarco nell’isola, la classe possidente siciliana, gli agrari, lo strato più attivo di essi, che vedevano lontano, entrarono in relazione con gli anglo-americani. In Sicilia l’antifascismo attivo, oltre che da sparutissimi nuclei di sinceri democratici, venne allora rappresentato, in stretto legame con gli agrari, da quanti negli anni 1926-27 erano stati colpiti dall’azione del prefetto Mori: la mafia dispersa nelle carceri e nei confini di polizia. I mafiosi si dissero antifascisti continuando ad essere mafiosi e profittarono largamente della situazione di emergenza. Gli alleati poggiarono su queste forze per fondare il loro controllo sulla vita siciliana, impedendo, anche con mezzi estremi, composti movimenti dei contadini e la nascita di qualsiasi organizzazione sindacale, della formazione delle sezioni socialiste e comuniste. I contadini della Sicilia andavano incontro agli alleati liberatori con la bandiera della Patria, con le bandiere americana e inglese e con la bandiera della Unione Sovietica. Ebbene, tanto la bandiera dell’Unione Sovietica, quanto la bandiera italiana, venivano subito fatte ammainare e i contadini, che avevano sperato fiduciosi di liberarsi dagli eterni oppressori, di lenire le sofferenze della dittatura fascista, e che credevano in buona fede ai liberatori, si trovarono ricacciati nella schiavitù, esposti alla provocazione.

Essi hanno visto rimanere nelle amministrazioni locali (e voi sapete che cosa significhi nei nostri paesi detenere i municipi) coloro che vi erano stati nel ventennio fascista; hanno visto assurgere ad amministratori i loro vecchi sfruttatori, i mafiosi ammantati di antifascismo e protetti dagli alleati, subendo quella profonda delusione che doveva accendere il loro malcontento e spingerli alla rivolta.

Gravissima colpa delle classi dominanti siciliane è l’essersi adoperate perché il popolo dell’isola non partecipasse alla guerra di liberazione, vittima del separatismo malizioso.

Mi duole che l’onorevole Finocchiaro Aprile non sia presente; ma non posso non accennare alla sua opera rivolta ad impedire la partecipazione del popolo siciliano alla guerra di liberazione. Nella seconda metà del 1943 furono gli alleati ad opporsi a qualsiasi costituzione di formazioni volontarie siciliane combattenti; a cavallo del 1944-45 furono i separatisti, in combutta con fascisti vecchi e nuovi, con emissari tedeschi e repubblichini, a dare la parola d’ordine della rivolta contro la chiamata alle armi, per la partecipazione alla guerra di liberazione anche dei siciliani, del governo democratico nazionale.

E si ebbero i gravissimi e sanguinosi episodi della provincia di Ragusa e qua e là un po’ in tutta la Sicilia.

Ebbene, a contrapporsi ai rivoltosi, ai separatisti, che tentarono, in quel momento delicatissimo per la vita del nostro Paese, di determinare la frattura tra la Sicilia e l’Italia, di impedire che soldati siciliani potessero nel nuovo sangue versato cementare l’unità con i soldati delle altre regioni, con i partigiani del Settentrione, sono stati insieme con la parte più cosciente del popolo siciliano, in prima linea, permettete che lo dica, sono stati i giovani comunisti. Ma ecco che in quella situazione torbida, in cui l’antifascismo non si era chiaramente spiegato, le autorità di polizia, anziché procedere agli arresti dei separatisti e degli organizzatori delle rivolge, arrestarono i nostri giovani che con i loro petti ed a prezzo della vita difesero i municipi, gli edifici pubblici, dalle fiamme e dalla furia devastatrice dei separatisti, rimanendo in carcere fino a qualche settimana fa, e non tutti sono stati ancora scarcerati.

Questi episodi cosa vi dicono, onorevoli colleghi? Che nella vita siciliana è mancato e ancora non è avvenuto quel processo di chiarificazione – soprattutto politica – per cui, ad esempio, tutta l’azione delittuosa del separatismo è ignota al resto del Paese. Il quale ha invece un’immagine deformata di quello che accade in Sicilia, ora creduta terra di banditi, ove non sia possibile girare neanche di giorno, non solo per le campagne, ma anche in città, senza essere accoppati, ora descritta come oasi di idilliaca convivenza. Ieri dai banchi dell’altra sponda un deputato monarchico, mentre l’onorevole Di Vittorio denunziava gli assassinî a catena dei dirigenti contadini, interrompeva per dire che in Sicilia si uccidono i comunisti perché il popolo siciliano non vuole il comunismo.

A far diffondere questa immagine deformata della realtà siciliana ha contribuito il Governo, i passati Governi, che hanno impedito la chiarificazione politica, che sola avrebbe permesso di far piena luce sull’azione dei separatisti, sull’azione dei baroni siciliani impeciati nel separatismo. Con quale coerenza ieri l’onorevole Finocchiaro Aprile designava e invocava l’onorevole Nitti alla direzione del Governo, non è chiaro comprendere, poiché l’onorevole Nitti è contrario apertamente, non dico alla separazione della Sicilia dall’Italia, ma all’autonomia delle regioni, al decentramento amministrativo, ad ogni forma di federalismo e di confederazione.

Ci troviamo di fronte ad un giuoco multiplo dell’onorevole Finocchiaro Aprile, il quale qui fa il demagogo, mentre in Sicilia lascia che il movimento che dirige permanga, come già alla vigilia del 2 giugno, «agnostico», sia su terreno istituzionale che su quello sociale.

Vorremmo che egli, come non ha fatto all’ultimo congresso di Taormina, ci dicesse che pesce è.

E finché questa chiarificazione non avrà luogo, l’onorevole Finocchiaro Aprile può continuare il suo giuoco, le idee rimarranno confuse, la situazione pericolosamente torbida, i fenomeni, come quello della mafia, chiari nella loro origine e nel loro permanere rimarranno misteriosi, stranissimi e non potranno essere eliminati.

Ed è vitale, non solo per il popolo siciliano, ma per tutto il popolo italiano, sapere se le elezioni del 20 aprile dovranno farsi sotto il segno del blocco agrario alleato alla mafia, oppure sotto il segno della democrazia; se in Sicilia dovranno affermarsi le forze che consolideranno la Repubblica o quelle che vogliono minarla.

Un gravissimo fatto politico si è prodotto giorni fa in Sicilia. Vi è noto come, sotto l’impulso dell’Alto Commissario avvocato Selvaggi, giunto nell’isola in un momento di grave tensione per l’applicazione del decreto Segni, relativo alle terre incolte, si giunse ad un patto di concordia e di pacificazione fra proprietari terrieri e contadini senza terra. Il patto, applicato e rispettato nella sua lettera e nel suo spirito lealmente dai contadini, fu ripetutamente e continuamente violato dagli agrari.

Quando, di fronte al nuovo anno agrario, l’Alto Commissario convocò le parti per rassodare e sviluppare il precedente patto, dinanzi alla legittima richiesta dei contadini di riaprire i termini per la presentazione di nuove domande di assegnazione di terre incolte, gli agrari siciliani hanno rotto coll’Alto Commissario, decisi a non volere più l’applicazione del decreto Segni in Sicilia! «Ora avremo la nostra autonomia – dissero i baroni – e le leggi agrarie ce le faremo noi!». Ecco l’animo dei terrieri siciliani, ch’io denunzio, affinché tutto il Paese sappia come essi intendono l’autonomia regionale. Non solo la struttura feudale terriera dell’isola non deve essere toccata, ma l’avvento, al Governo della regione, del blocco agrario deve significare l’arresto di ogni sia pur minima riforma.

Un grosso proprietario terriero, uno dei tanti baroni di cui v’è dovizia nell’isola, si rivolse ad un tecnico agrario di grande valore per avere un piano di trasformazione fondiaria; presolo in esame concluse: il piano è ottimo, risponde agli interessi nazionali, ma non risponde ai miei particolari interessi. Se fossi costretto ad eseguire un piano simile, venderei la mia terra in Sicilia per comprarmene altra già trasformata nel continente.

Ecco la mentalità di gran parte dei grossi proprietari siciliani.

Essi dicono: le mie terre? Non ne so neanche l’estensione; non me ne sono mai occupato direttamente. Ho il mio amministratore che tratta coi gabellotti e pensano loro a vedersela coi contadini. A me ogni anno entrano tanti milioni.

Dunque, chiarissimo signor tecnico agrario, il suo piano è ottimo, è nell’interesse nazionale, ma non fa per i miei particolari interessi!

Ecco la mentalità che bisogna distruggere in Sicilia, senza di che nessuna possibilità vi è di porre un problema di rinascita per la Sicilia, di elevare i nostri contadini.

Non vedo neanche l’onorevole Vito Reale che l’altro giorno diceva: Non va questo doppio giuoco dei comunisti; il ricorso alla piazza, alle agitazioni. C’è un Parlamento, un Governo; tutto si svolga in questo semicerchio ovattato di Montecitorio. Cosa c’entrano le masse?

Si governa per il popolo, ma senza il popolo.

Onorevole Reale, onorevoli colleghi, credete voi che sarebbe stato possibile in Sicilia, non dico applicare, ma tentare di applicare i decreti Gullo, il decreto Segni, se i contadini non si fossero messi in movimento, se non avessero manifestato la loro decisa volontà di ottenere qualche cosa? In Sicilia anche elementi di partiti democratici hanno boicottato le leggi a favore dei contadini. Il decreto Gullo, essi dicevano, va bene per le altre parti d’Italia non per la Sicilia. Che ne sa il Ministro Gullo della nostra Sicilia? Dobbiamo esser noi siciliani a farci le nostre leggi sulla terra.

Ma chi è questo Gullo? facevano eco i marescialli dei carabinieri. Gullo non è più Ministro dell’agricoltura, quindi i suoi decreti non contano più.

Di fronte al movimento dei contadini gli agrari rimpiangono Crispi e il generale Morra di Lavriano; essi preferiscono che i contadini siciliani non si elevino dalle condizioni di lupi affamati, anche a costo di subire rivolte e devastazioni. Tanto poi si popolano galere e cimiteri, e per molti anni i contadini stanno tranquilli. Gli agrari paventano il movimento ordinato o organizzato dei contadini e ce l’hanno coi comunisti che li guidano nella lotta. Ebbene no! Abbiamo l’orgoglio di affermare qui, dinanzi a questa Assemblea, che dal 1944 in Sicilia non vi sono più rivolte di contadini, non vi sono più quelle esplosioni d’odio di masse sottoposte ad ogni abuso che non trovano ascolto presso nessuno. Il contadino siciliano non è arretrato; egli è tra i più laboriosi e intelligenti della terra ed ha piena e perfetta coscienza delle sue possibilità. «Finché c’è lei, veda, noi siamo contenti e tranquilli», mi dicono i contadini dei borghi delle zone latifondistiche. «Ma quando lei se ne va, chi ci difende da don tizio, dal maresciallo dei carabinieri, dal pretore? Io non posso andare a Caltanissetta, o a Palermo, e tanto meno a Roma. Dove ho i mezzi? e soprattutto chi mi darà l’anno venturo lo spezzone di terra che serve per nutrire i miei figli?»

Altro che arretratezza e ignoranza dei contadini siciliani; altro che arretratezza del nostro popolo lavoratore! Lo abbiamo visto, nel corso delle agitazioni per l’applicazione delle leggi Gullo e Segni; essi hanno espresso dal loro seno meravigliosi combattenti, come già in passato; ma la maffia, a tradimento, come per il passato, assassinò questi dirigenti, e alla schiera gloriosa di Lorenzo Panepinto, Giovanni Orcel, Sebastiano Bonfiglio, Bernardino Verro, Giuseppe Rumore e altri delle passate agitazioni, oggi si aggiungono i nuovi martiri, di cui il più forte e amato, Accursio Miraglia.

Che cos’è la mafia? Ce ne sono di diverse specie, a seconda dell’ambiente sociale in cui opera. Ma è necessario premettere che se questa organizzazione che si chiama mafia non sodisfacesse in certo modo a qualche esigenza della vita sociale, evidentemente non esisterebbe; nessun fenomeno sociale perdura e si riproduce, se non ha una sua ragione di essere. Non bisogna, dunque, giudicando della mafia, astrarre dalla funzione sociale che essa adempie.

Alla disgregazione sociale, all’atomismo dei lavoratori, all’isolamento che si vuole perpetuare con la violenza dei contadini, subentra l’intermediario, colui che tratta da una parte con i contadini e dall’altra col grande proprietario. Questo intermediario è di regola il mafioso che, non ha nulla a che vedere con l’imprenditore capitalista della Valle Padana, in quanto non impiega un soldo nella terra e sfrutta da perfetto parassita e i contadini e il proprietario.

Attraverso patti angarici strappa ai contadini il meglio del prodotto e spia il momento in cui il grosso proprietario si indebolisce per debiti contratti per ghermirgli il feudo. Il feudo passa in mano del mafioso o d’un gruppo di essi e lo sfruttamento dei contadini si perfeziona.

La «mafia dei giardini» fa da intermediaria tra i numerosi piccoli produttori della fascia costiera intensamente coltivata e chi detiene l’acqua per l’irrigazione, i mezzi di trasporti, il controllo dei mercati di sbocco e tutto quanto occorre a questi industri lavoratori.

Mafia delle città: l’episodio del cantiere navate di Palermo, che ha avuto risonanza nazionale ed ha stimolato il senso di solidarietà nazionale dei metallurgici, la illumina in pieno. In una città arretrata e disgregata come Palermo, i duemila e più operai del Cantiere, che fanno la loro esperienza di aggregazione nella disciplina della fabbrica, costituiscono un nucleo di forze sano, vitale. È un aggregato che a Palermo dà il tono politico nelle agitazioni e nelle manifestazioni.

Ebbene, c’è un impiegato di questo cantiere, già licenziato per le sue malefatte – il licenziamento è avvenuto d’accordo tra la FIOM e la Direzione – che intriga con la mafia del quartiere per esser riassunto. Questi mafiosi hanno il coraggio di presentarsi una mattina al cantiere, per imporre la riassunzione dell’impiegato aguzzino. Gli operai li individuano e, badate bene, avevano sbarre di ferro a loro disposizione; di fronte a questa gente armata che spara e ferisce mortalmente due giovani metallurgici, la massa non torce loro un capello, ma li consegna ai carabinieri. Ecco la mafia della città, forma diversa dell’unico fenomeno della disgregazione sociale, della intermediazione che sfrutta i lavoratori e fa pagare lo scotto anche agli industriali e ai commercianti, che rassicura contro i lavoratori e contro delinquenti non associati, indisciplinati.

Ebbene, è venuto il tempo di distruggere la mafia. E non, signori miei, come si invoca da qualche parte, con un nuovo prefetto Mori.

Nel 1926-27 sono stati gli agrari a dare l’elenco dei maffiosi al prefetto Mori, sicuri di avere le spalle al coperto del Governo fascista. E a migliaia, tra cui molti innocenti e traviati, i siciliani popolarono tutte le galere d’Italia.

Oggi, il problema della eliminazione della mafia devono porlo le forze democratiche, tutti i partiti sinceramente democratici. I partiti politici, per prima quei partiti politici che conservano i legami con la mafia – ed in Sicilia tutti sanno, in tutti i paesi si sa chi sono i partiti che hanno questi legami – debbono reciderli, o essere chiamati corresponsabili. Ebbene, di tutte le forze sociali capaci di accelerare questo processo di chiarificazione, la forza purificatrice, il movimento che ha posto questo problema e lo rende ora assolutamente inderogabile, è particolarmente il movimento contadino. I contadini in movimento costringono ceti e partiti ad assumere chiara posizione. Tutte le maschere cadono, ognuno è costretto a dire se è o no per la legge a favore dei contadini.

E niente di sovvertitore c’è nel programma dei contadini siciliani. Per prima cosa essi hanno detto: «Noi rispettiamo la piccola e media proprietà; escludiamo dalla richiesta di terre incolte la proprietà inferiore ai 100 ettari».

Ed hanno soggiunto: «Non possiamo continuare a produrre il frumento a 4-5 mila lire il quintale, perché fra qualche anno il frumento d’oltre oceano si potrà avere per molto meno e non vogliamo dannarci con gli operai, a spendere tutto il nostro salario per il solo pane. Vogliamo trasformare, bonificare questa terra. Datecene i mezzi. Via gli intermediari parassiti; via i proprietari assenteisti. Sappiamo che in Sicilia il capitale è scarso – la Sicilia è povera economicamente – siano benvenuti tutti coloro, ad incominciare dai proprietari, i quali hanno voglia di impiegare il loro capitale nella terra per questa opera di bonifica, per quest’opera di trasformazione».

Ebbene, di fronte a questa umana e civile posizione dei contadini, i signori della terra rispondono: «No». Essi si alleano colla mafia contro i contadini, e ostacolano in tutti i modi il consolidarsi delle cooperative che hanno avuto assegnate terre, creando un’atmosfera di sfiducia attorno ad esse: «Vedrete, dicono, i contadini non sapranno far nulla, non hanno preparazione tecnica, non hanno capitali, sono incapaci di affrontare la trasformazione».

Questa atmosfera di diffidenza influisce sulla magistratura, sugli organi di polizia, sugli strati intermedi, su quella «intelighentia», che in un Paese poverissimo, dove le industrie sono poco sviluppate, quasi sempre è al servizio di forze retrive.

In un Paese povero come la Sicilia, in cui i contrasti sociali si acuiscono, e tendono a trapassare repentinamente a forme violente, quale immensa, salutare azione potrebbero svolgere queste classi intermedie, questi intellettuali, questi tecnici, questi professionisti, questi magistrati; coloro, e sono molti delle classi medie, che avendo due o tre salme di terra, che non coltivano e da cui spremono quello che serve per far studiare i loro figli, per fare la dote alle figlie, che sono, permettetemi di dirlo, gli sfruttatori più esosi dei contadini, guardano con diffidenza, se non con ostilità, al moto redentore delle plebi rurali ! Essi cambierebbero atteggiamento, se avessero dinanzi a loro la visione che promovendo lo sviluppo economico della Sicilia, trasformando il latifondo, aprirebbero ai loro figli nuove strade che non siano quelle dell’impiego burocratico, del meschino posto in provincia. In Sicilia vi sono stati in ogni tempo ingegni doviziosi che, trovato l’ambiente favorevole, hanno dato tutto quello di cui erano capaci. Quale occasione migliore di questa, per i proprietari attivi, di rompere il vincolo avvilente che li asservisce alla maffia, quale compito politico e storico più alto di quello delle classi intellettuali di porsi accanto ai contadini, di aiutarne il movimento?

Questa situazione ho voluto brevemente lumeggiare, perché abbia risonanza in tutto il Paese e perché il Governo intervenga. Esso lo sa. Lo sa attraverso i carabinieri, l’Ispettorato di pubblica sicurezza, l’Alto Commissariato, e tutte le altre fonti d’informazioni.

Quando alla conferenza di organizzazione di Firenze del nostro partito, è giunta la notizia dell’assassinio del compagno Accursio Miraglia, Segretario della Camera del lavoro di Sciacca, una commissione nominata da quella assemblea è stata colà inviata. Ebbene, tra le molte testimonianze raccolte, la commissione ha assodato che l’elemento fortemente indiziato di aver fatto da palo nel momento dell’assassinio di Miraglia, è un confidente dei carabinieri; egli è inoltre gravemente indiziato di essere autore di una strage di sette contadini nello stesso territorio di Sciacca. Chi queste cose è venuto a riferire ai commissari soggiungeva: per carità non lo dite alla polizia; domani lo saprebbero i mafiosi e ci ammazzerebbero. Questo è stato detto da diecine e diecine di persone alla nostra commissione d’inchiesta, le cui conclusioni saranno rese pubbliche a giorni.

Perché questo avviene? Non è sul fatto in sé che io voglio richiamare la vostra attenzione, quanto sul sistema che rende possibile simili collusioni. Quando si fece il compromesso politico con i separatisti, quando si gettò un velo sul compromesso del generale Berardi con i grandi proprietari fondiari siciliani per assicurare in Sicilia il trionfo della monarchia, compromesso politico che portò alla scarcerazione immediata dei capi separatisti impeciati coi banditi; che diede mano libera alla polizia di sterminare le bande armate ormai abbandonate al loro destino dagli agrari, mafia e polizia hanno collaborato. Ora è evidente, in questo groviglio di responsabilità e di collusione, come volete che la gente sia tranquilla? Come volete che la gente affronti con serenità le elezioni del 20 aprile e non si preoccupi che l’autonomia consolidi il prepotere di queste forze antisociali? I siciliani vogliono conquistarsi l’autonomia, ma con una lotta affidata a metodi civili sul terreno democratico e che non abbiano ad ogni istante a temere l’insidia della collusione fra quel partito politico che dispone ai capi mafia protetti da una parte della forza pubblica. Qual è il timore che hanno le masse contadine? Di non essere sul piede eguale nella lotta politica, ma di essere invece, in partenza, in svantaggio, per cui i delitti perpetrati ai loro danni e che tanto hanno commosso l’opinione pubblica, delitti che nella stragrande maggioranza rimangono impuniti, gettino il discredito sullo Stato e sui suoi organi.

Allora, poiché si tratta non solo della prima elezione regionale, ma di una elezione di particolare importanza per l’autonomia della Sicilia, cioè del primo grandioso esperimento storico-politico del nostro Paese, della nostra Isola, che risponde alle esigenze profonde di rinnovamento del nostro popolo siciliano; poiché questo popolo siciliano vuole conquistarsi l’autonomia per sostanziarla delle sue aspirazioni, e vuole che in suo aiuto si schierino le forze democratiche di tutto il Paese per sbarazzare il cammino da tutte quelle incrostazioni feudali che finora hanno ostacolato il suo cammino, noi chiediamo che il Governo consideri con profondo senso di responsabilità la situazione siciliana, per salvaguardare in Sicilia, come in tutta Italia, l’istituto della Repubblica e la democrazia. (Applausi).

PRESIDENTE. È inscritto a parlare l’onorevole Scotti Alessandro. Ne ha facoltà.

SCOTTI ALESSANDRO. Onorevoli colleghi, cerco di interpretare davanti a questa Assemblea il pensiero di quella compatta famiglia di agricoltori – mezzadri, affittuari, piccoli e medi proprietari terrieri – che formano una delle più belle e benemerite categorie produttrici della Patria nostra e che sono politicamente orientate verso il partito dei contadini d’Italia. La gente rurale, sempre calma e serena nei suoi apprezzamenti, aveva aperto il cuore alla speranza nei giorni in cui l’onorevole De Gasperi era in America e sperava che, con l’aiuto di questa generosa nazione, il popolo italiano, moralmente unito, avrebbe ripreso sollecitamente la sua marcia ricostruttiva, rivalorizzando se stesso e la propria moneta. Invece, dopo il ritorno di De Gasperi si è avuta la crisi del Governo e con la crisi i giornali hanno dato in pascolo al buon popolo italiano tutte quelle notizie, più o meno vere e tendenziose, di beghe, di ambizioni di partiti e di persone che hanno fatto scomparire dal cuore della gente rurale la speranza di una rinascita vicina.

I rurali hanno intuito che i massimi esponenti delle varie correnti politiche non avevano nelle loro pupille l’immagine della Patria martoriata e sopraffatta dall’ingiustizia, ma le finalità propagandistiche dei rispettivi partiti, ed è dalla mancanza di questa visione degli interessi superiori della Nazione che deriva la mancanza di autorità del Governo presso il popolo, mancanza di unità e autorità che si è fatta sentire in tutti i Governi dal giorno della liberazione ad oggi.

La mancanza di unione del popolo italiano e dei partiti che lo rappresentano ha fatto svolgere al Governo una politica estera troppo remissiva nei confronti dei nostri vincitori, con i quali pure abbiamo collaborato negli ultimi diciotto mesi della guerra.

In forza dei loro sacrifici, delle loro sofferenze, delle loro case distrutte, delle loro stalle vuotate e soprattutto di tanto sangue versato nella guerra partigiana, gli agricoltori desideravano che i confini della Patria fossero stati difesi con più energia e che almeno allo Stato libero di Trieste fossero aggiunte le città rivierasche dell’Istria e specialmente Pola e Fiume; e avrebbero voluto che la Francia, questa Nazione che tanto sangue di origine italiana ha nelle proprie vene, sentisse un profondo disagio morale a valicare ed occupare quelle altissime vette che alimentano di acqua, di luce e di lavoro le nostre pianure e le nostre città piemontesi. È una spina che essa ci ha infitto nelle nostre carni vive togliendoci il Moncenisio, il Piccolo San Bernardo, Briga e Tenda, e finché questa spina resterà nelle nostre carni la fratellanza latina non potrà mai essere cordiale e sincera, ed è questo un grave danno morale e politico per le due nazioni sorelle.

Alla mancanza di prestigio dei passati Governi nei confronti con i vincitori dobbiamo lamentare la troppa arrendevole condiscendenza verso l’ordine interno motivata sempre dal fatto che i tre grandi partiti di massa non hanno trovato quella cordiale unità di propositi e di vedute che è necessaria per fronteggiare i gravi problemi sia della pace esterna, sia della ricostruzione interna.

Il fascismo, con la sua tirannide, ci aveva dato un ordine esteriore togliendoci la libertà; i Governi della liberazione ci hanno dato in molti settori la libertà, ma non sempre ci hanno dato l’ordine. Ora i rurali ritengono che al Paese sia necessario l’ordine e nell’ordine la libertà per tutti i cittadini.

È con amarezza che i piccoli agricoltori devono duramente constatare che, mentre l’autorità dello Stato è stata arrendevole verso tante categorie di cittadini che hanno scioperato anche fuori proposito; mentre ha concesso un’amnistia troppo generosa verso individui colpevoli di gravi delitti sociali – abuso di potere, dilapidazione del pubblico denaro, collaborazione aperta con il nemico, uccisione di partigiani e di contadini che li ospitavano – sia particolarmente severa ed ingiusta solo verso gli agricoltori, i quali hanno una sola colpa: quella di difendere il loro salario, che è il prezzo dei prodotti agricoli.

Essi constatano che mentre nessun controllo viene esercitato sui prezzi delle stoffe, delle scarpe, della biancheria, delle sementi, dei fertilizzanti, del solfato di rame, dello zolfo e di quanto altro occorre all’agricoltura; mentre nella città è lasciata la più assoluta libertà alla vendita dei prodotti razionati, una vigilanza armata esasperante è pronta a colpire nelle campagne i produttori ai quali è stata lasciata una razione insufficiente e tolto il mezzo di mangiare con tranquillità la polenta.

I piccoli agricoltori hanno chiesto come premio della Repubblica che ad essi fosse concesso mezzo quintale di granoturco pro capite, ma ad essi non fu risposto.

All’origine di ogni male sta il prezzo di imperio imposto ai loro prodotti senza tenere in alcun conto il loro duro lavoro ed i costi effettivi di produzione, mentre si sono abbandonati agli speculatori i grandi mercati di consumo.

Quello che in campagna è pagato dieci, in città è venduto cinquanta, e mentre si mette in prigione il piccolo coltivatore che si reca al mulino con qualche diecina di chili di grano in più per il mantenimento della sua famiglia, e gli si nega la libertà provvisoria e lo si multa con cifre così elevate che economicamente lo rovinano, si assolvono poi o si lasciano in libertà quelli che trasportano interi camions di grano con la complicità di agenti addetti agli ammassi, agli uffici della Sepral o dell’Upsea o delle medesime squadre di vigilanza.

Questa non è giustizia distributiva, e i piccoli proprietari chieggono unanimamente di ritornare al più presto possibile al regime di libertà. Quando un’azienda è passiva è interesse del proprietario di sopprimerla; ed io credo che se il Governo conteggiasse separatamente i milioni che giornalmente spende per mantenere vivi tutti gli uffici, a cominciare dall’Alto Commissariato per l’alimentazione, fino a tutti gli uffici accertamenti dei più piccoli comuni rurali; se conteggiasse il costo della benzina e le trasferte alle squadre volanti di vigilanza; se considerasse il tempo che perdono gli agricoltori a fare le lunghe code per la consegna dei prodotti e per la regolarizzazione delle tessere di macinazione; se considerasse il tempo che perde la gente per avere le tessere e gli impiegati per controllare i tagliandi, il Governo renderebbe al popolo italiano la sua libertà economica e con la libertà scomparirebbe ben presto la deprecata borsa nera, e tutti i milioni spesi in questa mastodontica bardatura di guerra potrebbero benissimo integrare il prezzo del pane a favore delle classi veramente povere.

Ho parlato di libertà economica, ma debbo pure dire che questa libertà è stata offesa anche per generi che non sono di prima necessità: così il Prefetto di Cuneo ha emanato un decreto che bloccava i bozzoli nella provincia; il prefetto di Alessandria ha tentato il blocco delle uve; il prefetto di Asti ha posto il blocco alle vinacce ed ai vinaccioli, ed anche il commercio delle sanse dell’olio non è libero. Ora, questi provvedimenti, presi dai signori prefetti con il tacito consenso del Governo, avevano ed hanno un solo scopo: quello di asservire l’agricoltore all’industria; ed è questo concetto che, applicato negli anni passati e da tutti i regimi, ha immiserito il nostro Paese e gli ha tolto le basi vere della sua prosperità.

Molte cose buone sono state dette dall’onorevole Presidente del Consiglio nelle sue dichiarazioni. È stato accennato all’aumento della produzione, ma nessun accenno è stato fatto alla benemerita categoria dei produttori agricoli, che pure attendevano che una buona parola li rassicurasse nel senso che i frutti del proprio lavoro, i prodotti agricoli, avranno un giusto ed equo prezzo, che saranno difesi dalle intemperie con l’assicurazione statale, che la previdenza sociale sarà applicata anche nei loro riguardi e che i loro piccoli risparmi saranno difesi dall’opera del fisco, il quale si accanisce contro chi possiede pochi ettari di terreno al sole, lasciando indisturbate tante ricchezze fasciste e borsaneriste, che sono e resteranno sempre all’ombra, senza che il fisco si preoccupi di scovarle.

Il popolo rurale avrebbe visto molto volentieri una legge finanziaria che avesse decimato le ricchezze di tutti quei grandi fascisti, anche se galantuomini, ma che per ambizioni personali di carica hanno collaborato a mantenere al potere per vent’anni e più il fascismo, il quale ha rovinato non solo moralmente, ma anche economicamente la patria nostra.

I rurali avrebbero voluto sentire affermare che l’agricoltura è la regina delle industrie nazionali, che è la ruota maestra intorno alla quale devono girare tutte le altre attività della nazione, affinché questa, contando sulle sue vere e naturali risorse, possa veramente risorgere senza troppo contare sull’esosa elemosina dello straniero.

I rurali avrebbero sentito volentieri una parola di promessa da parte del nuovo Governo che le industrie fittizie ed improduttive non risorgeranno più e saranno sostituite da industrie agricole e che invece di sussidiare industrie parassitarie, le quali non potranno mai ricompensare bene gli operai per la concorrenza di industrie straniere che posseggono le materie prime, sarà posto mano alla costruzione di bacini montani, alla canalizzazione dei nostri migliori fiumi, alla irrigazione delle nostre terre, opere tutte che dovrebbero occupare la mano d’opera disoccupata, o malamente pagata per non far nulla.

Nei campi c’è la vita, ed è un ritorno alla terra che il Governo dovrebbe favorire con tutti i mezzi, concedendo ai rurali tutte quelle moderne comodità che oggi sono accentrate nelle grandi città e che sono l’obiettivo per cui molti giovani rurali abbandonano le campagne, aumentando la crisi e la miseria della vita cittadina.

I rurali, caduto il fascismo, speravano di vedere nell’Italia un volto nuovo, un volto giovane e fresco; credevano di vedere scomparire tutte quelle istituzioni quegli ordinamenti e quegli uomini che rappresentavano il fascismo e che per venti anni avevano fatto vivere il popolo italiano in uno stato d’animo umiliante.

I rurali erano veramente stanchi delle molte, troppe, milizie fasciste: milizia stradale, milizia ferroviaria, milizia confinaria, milizia postale, milizia tributaria; tutte milizie che con fare autoritario e sprezzante trattavano ed azzannavano il popolo come il cane del pastore rincorre ed azzanna le pecore. Essi avrebbero volentieri visto scomparire queste istituzioni col ritorno a quelle semplici dell’anteguerra del 1914. Invece sono rimasti delusi; le istituzioni sono rimaste e non tutti gli uomini sono stati cambiati.

Oggi, in regime di libertà, i cittadini sentono che ancora troppe istituzioni, troppi ordinamenti, troppi uomini compromessi con il passato ci amministrano, ci governano e ci comandano con il medesimo tono del passato.

I rurali, da buoni agricoltori, desidererebbero che una mano energica procedesse ad una potatura radicale di questo vecchio albero che è la Patria nostra e che tante istituzioni, tanti uffici, che attualmente hanno funzioni inutili, fossero portati via quali rami non produttivi ed ingombranti. I rurali desiderano dalla nuova Costituzione ordinamenti semplici, desiderano che gli impiegati siano pochi, ben pagati e che lavorino.

Oggi in Italia dobbiamo constatare che si è troppo pochi a lavorare e produrre e troppi a consumare; per cui la razione diventa per ogni cittadino sempre più piccola.

Per dare sembianze nuove all’Italia essi desidererebbero che, almeno nei Comuni rurali, si procedesse al trasferimento di tutti quegli impiegati che hanno per troppo tempo e con troppo zelo servito il passato regime.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha brevemente accennato di volere favorire la istruzione in tutti i campi. Io debbo però constatare come una circolare del Ministero della pubblica istruzione consigli ai provveditori, per ragioni di economia e di bilancio, di chiudere quelle classi che non raggiungono un minimo di 15 alunni. Questo provvedimento, apparentemente necessario ed innocuo, è invece molto grave e dannoso per l’istruzione nelle campagne.

Chiunque abbia conoscenza delle nostre vallate alpine ed appenniniche e della campagna in genere, sa che vi sono borgate che distano 5 e anche 6 e 10 chilometri dai centri rurali. In queste borgate vi è una scuola rurale che, molte volte, riunisce in una sola classe gli alunni delle cinque classi elementari; ebbene, questa scuola che, per causa della guerra – i giovani erano tutti in guerra – ha pochi alunni, dovrebbe ora essere chiusa, con la triste conseguenza che i genitori, data la distanza e l’impraticabilità delle strade nella stagione invernale, lasciano a casa i loro bambini favorendo così il deprecato analfabetismo.

Ritengo che sarebbe molto meglio, per premiare questi buoni agricoltori che furono sempre devoti alla Patria, inviare in questi piccoli centri rurali lontani da ogni comodità una delle tante maestre disoccupate, anche se gli alunni non sono esattamente 15! Vorrei inoltre richiamare l’attenzione del Ministro della pubblica istruzione sulla obbligatorietà che la legge impone ai genitori di mandare a scuola i fanciulli sino al loro 14° anno d’età. Ora, come possono assolvere a questo obbligo gli agricoltori dei piccoli centri rurali quando non esistono le scuole? Sarebbe quindi bene che in tutti i centri rurali fosse istituito il corso popolare post-elementare con carattere professionale, corso affidato non già a giovani professori o studenti universitari, bensì a maestri di ruolo specializzati in agraria o in artigianato che, oltre alle nozioni generali, insegnerebbero le materie professionali, secondo le colture agrarie e le industrie agricole delle varie regioni.

Sarebbe questo un adattamento molto semplice ed economico, che, mentre risolverebbe anche il problema dell’agronomo condotto, darebbe ai giovani agricoltori quella istruzione professionale e tecnica tanto necessaria per apportare nelle nostre campagne quel moderno rinnovamento agricolo, che migliorerebbe la quantità e la qualità della produzione nazionale.

L’onorevole Conti ha affermato la necessità di dare vita ai Comuni, ed è proprio dai Comuni rurali che si deve iniziare il movimento di rinascita.

È necessario che tutti i Comuni rurali comincino a lavorare, e con mezzi propri, senza dover attendere l’aiuto dello Stato; aiuto che, attraverso alle lunghe formalità burocratiche, non arriva mai o arriva sempre in ritardo.

Per assecondare la buona volontà delle nuove amministrazioni comunali, che sono tutte animate dal desiderio di fare qualche cosa di buono, di utile, di concreto per i loro paesi, è necessario dare loro i mezzi finanziari adatti. Quasi tutti i bilanci delle amministrazioni comunali rurali sono passivi, perché gli amministratori non sanno più a quali voci attingere i fondi per sopperire alle gravi spese degli aumenti degli stipendi agli impiegati, dei trasporti, della viabilità, della pubblica assistenza.

Vorrei suggerire al Ministro delle finanze un mezzo molto semplice per aiutare tutti i Comuni rurali a sanare i loro bilanci e cominciare veramente l’opera della ricostruzione: che autorizzasse, cioè, anzi rendesse obbligatoria, una modesta imposta d’uscita sul valore dei prodotti agricoli che vengono esportati dai Comuni.

Mediante tale imposta, che sarebbe più naturale e logica della tassa di entrata che favorisce solo i grandi centri urbani, i Comuni rurali comincerebbero a costruire scuole, ospedali, impianti elettrici, centralini per telefono; costruirebbero acquedotti locali per darsi l’acqua potabile, migliorerebbero la loro viabilità e si darebbero tutte quelle comodità moderne che sono l’aspirazione più sentita dalle nostre sane popolazioni rurali. Tutte queste opere, iniziate in tanti Comuni rurali, darebbero lavoro a migliaia di disoccupati di tutte le categorie sociali, a tutto l’artigianato; poiché quando la campagna si muove e lavora, è la ruota maestra della Nazione, che gira a beneficio di tutti.

Termino, onorevoli colleghi, ricordando al nuovo Governo che una sola grande classe ancora non ha scioperato, ma silenziosamente, con fede nell’avvenire della Patria, lavora, produce, risparmia e chiede al Governo di non essere più oltre tormentata con misure poliziesche e con gravami fiscali insopportabili, altrimenti sarà anch’essa costretta ad alzare la sua voce e sarà la voce dei migliori cittadini che chiederanno alla vanga, all’aratro, al trattore, a questi grandi strumenti di pace di lavoro e di benessere, giustizia ed onore. (Applausi).

PRESIDENTE È iscritto a parlare l’onorevole Tumminelli. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Onorevoli colleghi, l’argomento per il quale ho chiesto di parlare è particolarmente specifico del programma di Governo.

Ma prima voglio esprimere il disgusto per le manifestazioni di ieri, che hanno infangato quest’Aula al cospetto di tutto il Paese e della stampa dei Paesi stranieri.

Abbiamo avuto un lungo discorso dell’onorevole Di Vittorio: discorso ritmato, massiccio, con la cadenza di quadrate truppe in movimento; tutta una critica in cui non ci sono altro che diritti e recriminazioni, reazione; da una parte la classe padronale, dall’altra la classe degli sfruttati. Infine, un nemico: il fascismo. Direi quasi che i colleghi comunisti, dopo la pausa di questi mesi, durante la quale pareva che veramente avessero intenzione di conformarsi al costume della democrazia, che si va predicando in Italia da molti mesi, avessero smesso questo motivo, ormai fritto e rifritto. Invece no. Non hanno fantasia, così come non hanno avuto l’accorgimento di stare almeno zitti di fronte allo spettacolo commovente di Pola, dei polesani, di una città che abbandona case, tradizioni, morti per sfuggire al giogo straniero, per non perdere il carattere della propria stirpe, per non perdere l’italianità.

Questo nostro discorrere, dopo le dichiarazioni del Governo, che abbiamo avuto due volte in otto mesi, a me dà l’impressione che quel distacco che si è verificato nel Paese fra Governo e popolo sia una nota dominante anche di questa Assemblea.

Non voglio darne colpa all’onorevole De Gasperi, per il quale ho una particolare stima e che ritengo veramente pensoso dei destini del Paese e veramente preoccupato del bene del popolo italiano. È forse l’eredità dell’esarchia che gli pesa troppo nell’esercizio quotidiano del Governo; ma in verità è probabile che la crisi stessa, di cui nessuno ha dato una ragione specifica, sia stata determinata da questo trauma psichico, da questa frattura che esiste tra l’Assemblea ed il Governo, tra il popolo e il Governo, frattura che viene dalle delusioni e dalle debolezze del Governo stesso, dalla mancanza di quella libertà che il popolo, qualunque popolo democratico, ritiene inderogabile e insostituibile, la libertà della vita serena, la libertà di poter lavorare, la libertà della sicurezza personale, la libertà di vedere finalmente avviata la ricostruzione, attraverso i mezzi offerti da una sana e saggia legislazione, verso quelle finalità che tutto il popolo italiano aspira, desidera e vuole.

Orbene, qui si è parlato di bastonate, di delitti, di crimini. Amici di tutti i banchi, il giorno 10 di novembre a Monza, in un congresso chiuso, per inviti, protetto da 50 guardie ausiliarie, io venni aggredito dai «compagni». Donne che erano nella sala furono prese per i capelli e trofei fatti da ciuffi di quei capelli, mostrati all’indomani nella città di Monza; furono gettati gas lacrimogeni, sparati colpi di rivoltella. Io ho presentato una interrogazione al Governo per sapere qual fosse l’esito dell’inchiesta sulla responsabilità di quel Commissario di pubblica sicurezza. L’interrogazione è nel fascicolo dell’ordine del giorno e non so quando verrà in discussione. Questo mio esempio personale non è il solo e altri potrei portarne. Non c’è luogo ove io in alta Italia abbia parlato in cui non mi si gridi: venduto; io non sono stato mai venduto a nessuno; non mi si gridi: fascista reazionario! A Mantova fui costretto a parlare con le spalle al muro contro un camino, nel quale non avrei avuto altro scampo che arrampicandomi per la canna fumaria. Eppure il mio linguaggio è stato sempre sereno. Questo, onorevole De Gasperi, è ciò che ha determinato e che determina la frattura tra Paese e Governo: questa mancanza di sicurezza, questa mancanza di reale esercizio del metodo democratico. Non basta dichiarare che vi è democrazia, perché la democrazia sia un fatto certo. La democrazia è un fatto di civiltà, è un fatto spirituale, e noi dobbiamo lavorare in questo senso. Noi dell’Uomo Qualunque non abbiamo paura di nessuna riforma sociale. Non temiamo il comunismo, ma temiamo i comunisti per il loro costume di violenza, per la dittatura a cui tendono.

Una voce. Non li temiamo affatto.

TUMMINELLI. Noi dichiariamo che se oggi esiste un fascismo in Italia e se il fascismo era un metodo, questo metodo è quello che essi esercitano in tutte le manifestazioni della vita nazionale.

Dopo di che passo all’argomento specifico per cui ho chiesto la parola. Uno dei passi delle dichiarazioni del Governo dice testualmente: «Convinti che l’Italia potrà rinascere dalla scuola, le cure del Governo, a mano a mano che crescono i mezzi, si rivolgeranno sempre più verso l’educazione del popolo».

Ottimamente. La rinascita è di ordine spirituale, le opere della ricostruzione sono fatti che lo spirito vuole, che lo spirito determina. La scuola è la sede di tutte le nostre tradizioni, è il solo presidio dove confluiscono tutte le virtù della stirpe, attraverso le opere del genio insuperato di nostra gente, della nostra antichissima civiltà.

Orbene, non basta esprimere propositi, occorre vedere come questa ricostruzione, che è opera prevalentemente spirituale, come questa ricostruzione di ponti, ferrovie, di case distrutte, possa avere il concorso morale, il concorso dei valori eterni dello spirito che trovano presidio nella scuola. In questi due ultimi anni noi non possiamo dire che ci sia stata un’azione legislativa e assistenziale da parte del Ministero della pubblica istruzione, che abbia incoraggiato l’attività scolastica.

Dobbiamo rendere atto all’onorevole Gonella che ha compiuto uno sforzo per uscire dai vincoli e dalle strettoie che aveva imposto alla scuola l’esarchia. Ma quanto ha potuto egli fare? Forse gli è mancato un po’ il coraggio di andare in fondo ai problemi e rimuovere gli ostacoli, e così è venuto probabilmente a dei compromessi che non curano il malato né alleviano la malattia.

La scuola ha bisogno innanzitutto di edifici. Molto bene ha fatto il Ministro. Gonella ad istituire mille scuole elementari, a dare i ruoli aperti ai maestri elementari, sicché essi possano avere un più alto tenore di vita. Ma come possono funzionare codeste mille nuove scuole elementari e le altre mille e mille di tutta Italia, della Sicilia, dell’Italia meridionale, centrale e settentrionale, se non hanno edifici a sufficienza? Il Ministro Gonella dovrebbe premere vivamente sul Ministro del tesoro e su quello dei lavori pubblici. E, per inciso, io lamento che sia stato sostituito un tecnico ai lavori pubblici, come l’onorevole Romita, con persona che non risulterebbe essere un tecnico. Dovrebbe insistere, perché questa ricostruzione e questa costruzione di edifici abbia luogo rapidamente e sullo stesso piano dei ponti e delle ferrovie. Vi sono edifici distrutti del tutto, altri che possono essere riparati, vi è necessità di costruirne dei nuovi, specialmente nell’Italia meridionale.

Orbene, per quale ragione queste spese per le scuole non devono esser fatte con la sollecitudine necessaria? Per quale ragione le scuole, che rappresentano il nocciolo della nostra civiltà, che sono la sede dove i nostri figli, i figli di tutto il popolo italiano, vivono l’intera giornata, non devono funzionare regolarmente? Nella scuola un ragazzo trascorre almeno 5 ore del giorno. Orbene, come si svolge la vita di questa scuola, come si possono istituire mille scuole elementari nuove, se mancano le sedi? Queste scuole funzionano con orari impossibili; e quindi con un disordine formale, che di necessità si ripercuote sull’ordine educativo, che è fatto soprattutto di sostanza, ma anche di forma.

Ma vi è di più. Nell’Italia settentrionale le condizioni delle scuole oggi non sono molto diverse di quelle di due anni fa. Esclusi gli allarmi ed i bombardamenti, la scuola ha ancora l’orario ridotto di tre quarti d’ora; e per due mesi quest’anno, come l’anno scorso, non si sono fatte lezioni, perché mancava il riscaldamento. In molti istituti di Milano, di Torino e di altre città mancano i vetri alle finestre.

Di conseguenza, la scuola non ha avuto e non ha regolare svolgimento.

Il Presidente del Consiglio, in altro passo del suo discorso programmatico, afferma:

«I prossimi concorsi per maestri e per professori permetteranno l’immissione di nuove giovani forze nella scuola ed una ristabilita severità degli esami servirà a rialzare il tono delle scuole secondarie, depresso dalle agevolazioni del periodo bellico».

Benissimo. Noi concordiamo.

La scuola ha bisogno di serietà e di severità, ha bisogno di avere restituito il suo volto integro, la sua funzione umana e austera.

Ma come si può parlare di serietà e di severità, quando la scuola sta chiusa per due mesi durante il periodo invernale?

Ed in quanto ai concorsi, noi sappiamo da voci indirette che si sta preparando un bando; ma non è improbabile che codesto bando non richieda ai candidati la stessa severità che si vuole per gli alunni, che influenze di carattere demagogico costituiranno una specie di lascia-passare a chi avrà particolari benemerenze. Orbene, signori del Governo, noi diciamo: La scuola per essere seria ha bisogno di insegnanti seri e ben preparati. I concorsi siano severi; i nuovi insegnanti che dovete assumere nei ruoli dello Stato siano scelti con criterio di vere virtù, di cultura e di esperienza.

La Patria, il Governo per essa, dia premi in denaro, dia riconoscimenti cartacei a chi ha benemerenze nazionali, ma non dia le cattedre se non a coloro che diano severo affidamento di saperle tenere con prestigio.

Vi sono difficoltà per un piano che possa dare subito alla Nazione le case degli alunni: difficoltà economiche; ma esse devono essere superate. Abbiamo avuto strappato tutto dalla guerra, fuorché la memoria della nostra gloria, delle nostre virtù, del genio nostro, fuorché il patrimonio culturale. È su questo che si ricostruirà la Patria.

I nostro ragazzi, i nostri intelligentissimi ragazzi, sono il patrimonio più sacro che oggi possediamo.

È su questo patrimonio che noi dobbiamo puntare tutte le armi della nostra rinascenza, di questo secondo Risorgimento della Patria. Su questi ragazzi noi dobbiamo portare i nostri cuori più puri, liberi delle passioni politiche; è a favore di questi ragazzi che dobbiamo portare il contributo di tutto il danaro possibile e perciò invochiamo dal Presidente del Consiglio e dal Ministro Gonella un’azione forte, perché presto siano ricostruiti gli edifici scolastici e possano funzionare integralmente le scuole.

Ma c’è di più. Io vorrei che il Ministro Gonella, uscendo dagli schemi tradizionali della burocrazia scolastica, si affidasse a quello che potranno fare i capi d’istituto, i direttori e i presidi delle scuole elementari e delle scuole medie d’Italia.

Noi abbiamo un materiale umano ottimo. Lo Stato ha nelle sue scuole capi d’istituto veramente valorosi. Ma costoro non possono operare con la libertà che sarebbe necessaria perché vi sono limitazioni legislative. Io sono certo che in Lombardia e in Piemonte, a Milano, a Torino, a Brescia, in tutte le città in cui le scuole sono rimaste chiuse per mancanza di riscaldamento, se le Autorità superiori avessero dato la facoltà ai presidi di fare appello al libero contributo delle famiglie per provvedere al carbone, le famiglie certo non si sarebbero rifiutate a concorrere per riscaldare le case di istruzione destinate ai loro figli e agli insegnanti dei loro figli.

Sono altresì sicuro che se la stessa prassi fosse applicata nei riguardi del materiale scientifico, specialmente a quello occorrente agli istituti tecnici e professionali, cioè agli istituti destinati in modo particolare al popolo, materiale scientifico, o distrutto dai bombardamenti, o insufficiente, o difettoso perché invecchiato, certamente un appello di questa natura avrebbe ottenuto un libero, generoso concorso. Se noi pensiamo che questi italiani immiseriti dalla guerra versano cento o centoventi milioni la settimana alla Sisal, possiamo arguire che qualche lira si possa ottenere anche per i gabinetti scientifici destinati alla creazione degli operai specializzati.

A questo proposito voglio dire che è urgente pensare al fenomeno dell’emigrazione e alla preparazione dei nostri emigranti.

Non facciamoci illusioni. Noi abbiamo in Italia forse più di molte centinaia di migliaia di nostri lavoratori che devono abbandonare il caro suolo della Patria per cercare all’estero pane e lavoro. Abbiamo quindi la necessità di porci il problema dell’educazione degli emigranti. Dobbiamo pensare che i nostri emigranti trovano in terra straniera costumi diversi, lingua diversa, tradizioni particolari diverse, cioè un mondo dove, specialmente nel primo tempo, avranno gravi difficoltà da superare.

Orbene, è necessario fondare, con provvedimento di urgenza, le scuole professionali per gli emigranti, scuole che diano ad essi emigranti una guida, che trasformato il bracciante in operaio specializzato. È noto che una piaga della nostra emigrazione all’estero era precisamente quella degli operai generici che non avevano un mestiere specifico su cui poter contare e perciò erano trattati nei Paesi stranieri come i cinesi, come i paria. È solo la seconda generazione di emigranti quella che poi si fa strada, che impone alto il nome della Patria. Ma nella seconda generazione si è verificato il fenomeno della ripulsa spirituale dei figli verso i padri, perché i figli erano più evoluti dei padri. È necessario che sia tolta questa macchia che grava sui nostri emigranti e che questi nostri fratelli, costretti a partire, escano dal Paese col conforto di un nutrimento culturale e tecnico che consenta loro di far valere la loro capacità produttiva e di avere coscienza di quel contributo che il nostro Paese, attraverso le loro braccia operose, dà alle nazioni di tutto il mondo dove fluisce il lavoro italiano che la patria non può assorbire.

Infine voglio fare un ultimo riferimento alle Università. Il nostro Paese ha una tradizione Universitaria di primissimo ordine. Le nostre Università hanno una tradizione gloriosa ed io mi sono meravigliato che i molti rettori che siedono nei banchi di questa Assemblea non abbiano levata alta la voce perché le Università escano dalla povertà e dalla quasi indigenza in cui si trovano. È necessario che siano dati molti mezzi alle Università, perché il patrimonio scientifico e spirituale del Paese, che trova il suo faro più alto nelle cattedre dei nostri antichi studi universitari, possa ritrovare tutto il fulgore di una volta.

Onorevoli colleghi, noi abbiamo perso con la guerra le colonie, abbiamo perso le navi da guerra, che onoratamente e valorosamente avevano solcato i mari di tutto il mondo; noi siamo costretti (obtorto collo), ad accettare balzelli gravissimi dai vincitori; abbiamo perso territori italianissimi che erano costati 600 mila morti nell’altra grande guerra – di cui io sono un reduce ed un ferito – e non abbiamo altro che la nostra tradizione, la nostra cultura, la nostra civiltà rinascimentale e cristiana. Non abbiamo altro che questa nostra civiltà, che nessuno potrà mai toglierci, non abbiamo altro che la nostra anima civile, che il nostro spirito di popolo maturo. Questa tradizione è l’eredità che noi non potremo negare ai nostri figli, ed è un dovere sacrosanto del Governo – con la pace interna e la sicurezza del cittadino – di dare anche i mezzi perché i nostri figli possano ereditare gli strumenti della rinascita in futuro. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Puoti. Ne ha facoltà.

PUOTI. Onorevoli colleghi, chi, come me, frequenta da pochi mesi questo austero palazzo, chi come me, ha sempre creduto che al di sopra di ogni interesse personale debba essere la Patria, chi ha servito questa Patria con sincerità ed onestà, rischiando la vita in guerra; chi, come me, è entrato ed entra in quest’Aula con quel giusto senso di rispetto che le nostre funzioni ci impongono, non può non rimanere profondamente scosso e turbato per quanto ha veduto e udito in quest’Aula nelle sedute di ieri e di oggi. E che cosa dirà il popolo italiano di noialtri? Vi ponete mai questa domanda, o signori? Questo è il punto grave su cui la mia coscienza di giovane parlamentare mi pone, è un interrogativo che mi tormenta, perché io so che il nostro popolo ci segue con enorme interesse e vorrebbe vedere da noi rinascere veramente quell’Italia, tormentata da una guerra combattuta onestamente e valorosamente.

Non ritengo che sia simpatico e conveniente che ci si accapigli, alle volte, per questioni di partito, o, peggio, per questioni personali.

Noi dobbiamo pensare che il momento è quanto mai difficile; che noi siamo venuti qui con un compito specifico e determinato. Siamo Deputati all’Assemblea Costituente per dare una nuova Carta costituzionale all’Italia e dobbiamo al più presto assolvere questo compito per tornare ai nostri lavori, alle nostre case, perché il popolo italiano possa governarsi con quella sincerità ed onestà di intenti che vuole, oggi, in questo nuovo clima democratico.

E quindi, o colleghi, mi sono permesso – come giovane – di esprimere questo mio vivo sentimento, credendo di interpretare il sentimento anche dei più anziani, i quali hanno una maggiore esperienza parlamentare. E penso che non siano abituati a simile spettacolo; almeno, me lo auguro sinceramente.

Non mi permetto di fare ulteriori divagazioni dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, perché mi sembrerebbe di frustrare lo scopo per cui ognuno di noi chiede la parola. Voglio mantenermi il più possibile – e mi manterrò – nei limiti delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, perché vi sarà un momento in cui si potrà parlare di altri problemi: avremo da discutere la Carta costituzionale e, in tale occasione, potremo dire quelli che sono i nostri bisogni.

La mia brevissima esperienza parlamentare mi ha fatto formare il convincimento, però, che tutto quanto viene da questi banchi non sempre è ascoltato con attenzione da parte dei signori del Governo.

Comunque, reputo necessario esprimere qualche pensiero, perché anche il mio modestissimo contributo possa giungere alle orecchie del Governo e possa effettivamente portare qualche cosa di buono nell’opera che esso conduce alacremente, ma senza buoni risultati.

Il Governo, nella sua esposizione programmatica, si mantiene su linee di carattere generale che sono molto simili a quelle esposte nel programma del precedente Gabinetto ed è sicuro che, al termine di questa discussione, otterrà quel voto di fiducia che è necessario per governare, in quanto che il programma è stato stilato d’accordo fra i vari partiti che hanno la maggioranza in questa Assemblea, ed è quindi logico che il voto di fiducia sia dato in pieno.

Ma voglio far presente al Governo che questa maggioranza parlamentare non corrisponde esattamente e proporzionatamente alle concezioni politiche della maggioranza del popolo italiano, in quanto dal 2 giugno ad oggi queste correnti politiche si sono spostate in determinati sensi; e quindi, aver avuto una maggioranza di voti sul programma di Governo non significa che la maggior parte del popolo italiano sia sodisfatta dei suoi governanti. Perciò è bene che il Governo tenga presenti anche i risultati delle elezioni del 10 novembre, le quali potranno fornirgli un giusto indice e indurlo a tener conto di quelle che oggi sono le modestissime minoranze di destra, perché già vi è un certo sensibile spostamento in tale direzione. Il Governo dovrebbe, secondo me, limitarsi oggi ad una normale amministrazione e l’Assemblea dovrebbe, al più presto, condurre a termine il mandato che le è stato affidato, per potere giungere subito ad una nuova consultazione popolare da cui sorga una rappresentanza che sia la vera espressione della volontà del popolo.

L’onorevole De Gasperi, nelle sue dichiarazioni a proposito della firma del così detto Trattato di pace, ha tentato di dimostrare la imprescindibile necessità di firmare, accollando su se stesso e sul suo Governo tutta la responsabilità del grave atto e impedendo all’Assemblea di esprimere il proprio preventivo pensiero.

A me non sembra che questo gesto, secondo la concezione che ho della democrazia sia conforme ai criteri democratici cui dovrebbe ispirarsi l’attuale nostra politica. Se fossimo in regime dittatoriale la soluzione dell’onorevole De Gasperi sarebbe logica; ma oggi che si parla tanto di democrazia, si sarebbe dovuto consultare prima la rappresentanza ufficiale del popolo italiano, e poi, in base al risultato ottenuto, dire al nostro rappresentante a Parigi di firmare o non firmare un atto così grave e importante per tutti gl’italiani, che impone condizioni addirittura insopportabili.

Il volere sopravalutare la ratifica del Trattato di pace nei confronti della firma è stata una manovra del Governo per potere, ancora una volta, sfuggire al controllo della Assemblea.

Tutti conosciamo il testo dell’articolo 90, in base al quale basta la ratifica delle quattro potenze che ci hanno imposto il Trattato per farlo entrare in vigore. Ora se la nostra parola non ha alcun valore giuridico, mi auguro che abbia almeno un valore morale, qualora non fosse conforme a quella delle quattro potenze firmatarie.

Con una certa abilità, che senza dubbio non si può disconoscere al Presidente del Consiglio, nessun cenno è stato fatto circa i motivi che hanno determinata l’ultima crisi ministeriale, mentre da parte di tutti si attendeva una spiegazione quanto mai esauriente, anche perché vediamo seduti al banco del Governo quasi tutti i Ministri che vi sedevano prima della crisi. Ed ora che siamo in regime democratico, il popolo italiano esige da parte di coloro i quali hanno la massima responsabilità del Governo, di sapere quello che avviene.

La crisi è scoppiata a meno di 30 giorni dalla firma del cosiddetto Trattato di pace, quando cioè in tutto il Paese era una profonda aspettazione per la forma e la sostanza del Trattato stesso. Anche gli uomini politici che rappresentano il Paese avrebbero dovuto dimostrare di essere preoccupati per il grave atto che si stava per compiere. Invece essi hanno dato una sensazione poco gradita ed il popolo italiano è rimasto enormemente deluso.

Rilevo che il programma governativo non si differenzia da quello dei precedenti Ministeri. Esso non porta elementi nuovi al nostro esame e non ci dimostra di essere completamente aggiornato e coerente con quanto, a distanza di sei mesi, si è verificato nel Paese.

Il programma del Presidente del Consiglio ci parla di potenziamento dell’iniziativa privata nel campo dell’economia nazionale. Benissimo; ma non ci offre nello stesso tempo quelle necessarie garanzie affinché questa iniziativa possa tranquillamente svilupparsi, anzi la si vorrebbe conciliare con i consigli di gestione, la cui legge istitutiva non è stata ancora esaminata da questa Assemblea e quindi il popolo ufficialmente non la conosce ancora. Noi dovremmo trovare il modo per cui possano convivere l’iniziativa privata e i consigli di gestione.

Ritengo che il Governo dovrebbe redigere un più vasto e preciso programma sociale, perché in questo campo non si vada avanti a sbalzi e a piccoli passi con eccessivi slittamenti a sinistra, mentre sarebbe necessario e indispensabile che si sapesse quale è la nuova organizzazione sociale che il Governo democratico vuol dare all’Italia, affinché ognuno possa dare il proprio, contributo per la sua realizzaione. Si fanno leggi o troppo di sinistra, o troppo di destra, ma non si sa effettivamente quale è l’indirizzo governativo.

L’incertezza sull’avvenire che oggi abbiamo non si risolverà che col risorgere delle iniziative private, di cui oggi tutti lamentiamo l’assenza e che invece sono indispensabili per la ricostruzione del nostro Paese, che esce squassato da una dura guerra combattuta in casa e perduta, una guerra che ha messo a dura prova e i soldati combattenti e i pacifici cittadini nelle città e nelle campagne. Per questi combattenti e per coloro che sono tornati dopo anni di sofferenze, chiusi in recinti di filo spinato, per coloro che ancora son ristretti in campi di concentramento e di cui si ignora la sorte, è necessario che il Governo adotti seri provvedimenti, non istituendo o togliendo soltanto un Ministero dell’assistenza post-bellica, perché non è il nome che conta, ma dando una vera assistenza a coloro i quali hanno sofferto per l’Italia.

È necessario anche che si ottenga al più presto una vera e sana concordia fra tutti gli italiani e che di ciò il Governo faccia uno dei punti base del suo programma; che si ponga termine alle minacce e alle persecuzioni di parte; che si instauri e si agevoli un clima di maggiore fraternità, che non si pensi più a leggi eccezionali e a confino di polizia, che turbano la serenità di chi vuol provvedere a lavorare per il benessere della propria famiglia e della Patria e quindi del nostro risorgimento morale e materiale.

La crisi che attraversa il Paese, onorevoli colleghi, è crisi morale, oltre che materiale. Ogni guerra perduta o vinta genera sempre una molteplicità di problemi e il più grave è certamente quello che concerne il rilassamento dell’ordine pubblico e il conseguente aumento dei delitti contro la persona e contro il patrimonio. Io, che esercito la professione di avvocato, vi posso dire che la delinquenza minorile è quella che più preoccupa noi uomini onesti, perché, per ragioni professionali, ci dobbiamo occupare troppo spesso di giovani viziati, pervertiti e traviati, i quali voglio vivere con troppo facili guadagni. E quindi alla repressione dei delitti contro le persone e contro il patrimonio che il Governo deve rivolgere la maggiore attenzione ed ha l’obbligo di intervenire nella maniera più energica per garantire la tutela di tutti i cittadini.

Ma a questo gravissimo problema un altro se ne affianca non meno grave: la necessità, cioè, che i cittadini abbiano una fiducia piena nelle leggi stesse e nel Governo. Bisogna convenire che tale fiducia è ancora profondamente scossa nella gran parte del popolo italiano. Le leggi e i decreti da qualche anno sono alla mercé non di un unico e sano criterio informatore, ma delle varie tendenze e passioni politiche che hanno permesso la formulazione di assurdi giuridici, quali mai si sarebbero potuti concepire nella terra madre del diritto. Ora, se ciò poteva essere ammesso, ma non consentito, subito dopo la cosiddetta liberazione, quando regnava in pieno il disordine e gli uomini erano ancora presi dalla lotta di parte e lo stesso Governo e la Repubblica non avevano ricevuto il crisma ufficiale, oggi non è più ammissibile.

Onorevole colleghi, dopo un Trattato di pace del genere di quello che dovremo subire, bisogna esaminare tutti gli accorgimenti necessari per ottenere una rapida ricostruzione morale dell’Italia, la quale ha bisogno di tutti i suoi figli, di tutte le persone oneste, di tutti coloro che con onestà di intenti hanno il dovere e il diritto di contribuire a tale processo di ricostruzione.

Per ricostruire noi dobbiamo prima sanare una situazione che non crea fiducia, ma timore, che minaccia di approfondire un solco tra Governo e popolo, fra italiani e italiani, invece di colmarlo.

Bisogna avere del coraggio per affrontare le situazioni come si presentano e risolverle col migliore dei sistemi democratici, cioè seguendo la volontà del popolo.

Smobilitiamo, quindi, l’armamentario che impedisce agli italiani di ritrovarsi, eliminiamo i motivi di attrito, prepariamo gli animi ad una effettiva fruttifera collaborazione; creiamo le premesse di una intesa che ritorni ad unico vantaggio dell’Italia; pensiamo, insomma, a superare una volta per sempre un’antitesi che non ha ragione di essere se gli animi stessi sono sgombri di sentimenti faziosi.

Presentiamoci allo straniero che viene ad imporci le sue fredde decisioni, come un sol blocco di volontà, di fede e di serio intendimento ricostruttivo. Ricordiamoci, che siamo e dobbiamo essere solamente e unicamente italiani.

Questa è la base della nostra riscossa morale. Oltre questo non c’è che il pericolo di nuove lotte, di nuovo sangue, di nuovi lutti. Rifletta il Governo e riflettano soprattutto coloro ai quali può risalire un merito enorme o sui quali può ricadere una tremenda responsabilità.

Noi vorremmo che il nuovo Governo si presentasse al popolo e al mondo con un nuovo volto; che intorno ad esso potesse finalmente raccogliersi tutta la Nazione; che non le passioni di partito predominassero, ma una sola passione, quella dell’Italia, sovrastasse ogni azione degli uomini politici responsabili; che si risvegliassero tutte le energie e la Nazione assumesse infine quel volto di austero raccoglimento e di estrema decisione, così come la vorrebbero vedere tutti i nostri Morti, caduti non invano per un altissimo ideale sia in Patria che in terre straniere. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Martino Gaetano. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Disse l’altro giorno l’onorevole Scoccimarro nel suo discorso che oggi c’è una sola esigenza: «l’esigenza di risolvere i problemi concreti della politica nazionale, cioè i problemi della ricostruzione».

Io intendo appunto occuparmi brevemente di alcuni aspetti di questo complesso problema della ricostruzione che si segnala in modo particolare all’attenzione del Governo.

Ho creduto, onorevoli colleghi, di trovare un barlume di speranza per la ricostruzione edilizia del Paese nella dichiarazione programmatica del Governo, là dove l’onorevole De Gasperi ha manifestato il proposito di stimolare l’iniziativa privata nella ricostruzione. È questo appunto che noi attendevamo, convinti come siamo che senza la molla dell’iniziativa privata è vano sperare nella ricostruzione edilizia dell’Italia.

Se questo si fosse fatto prima, io penso che contemporaneamente noi avremmo in parte risolto l’assillante e grave problema della disoccupazione operaia e forse avremmo potuto fare a meno di ricorrere, per combatterla, a quei tali lavori improduttivi per i quali, non so in verità con quanto sense of humour, è stata coniata la teatrale denominazione di «lavori a regìa». A proposito dei quali, io credo che sarebbe bene illuminare il Paese, attraverso il Parlamento, sui risultati dell’inchiesta che è stata eseguita: sarebbe opportuno il farlo, perché parecchie voci circolano nel Paese, voci che attendono o di essere smentite o di essere confermate.

Si dice, ad esempio, che nel corso dell’esecuzione di questi lavori a regìa l’Istituto della previdenza sociale sia stato frodato per centinaia di milioni di lire. Io non so se questo risponda a verità, ma credo che il Governo abbia il dovere di dire una parola al Paese, perché penso che sia bene restituire al Paese il costume democratico.

È certo che la ricostruzione edilizia langue; langue perché le misure finora adottate per accelerarla si sono manifestate inadeguate.

Come voi sapete, in virtù del decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305, detto legge detta «dei senzatetto», lo Stato concorre alla spesa nella misura del 50 per cento (elevabile sino al 60 per cento per coloro che ricostruiscono entro un determinato tempo) per le ricostruzioni più modeste, e nella misura di un terzo per ricostruzioni di maggiore entità. Ora, a conti fatti, la ricostruzione edilizia con queste provvidenze non può avvenire, non avviene e non avverrà. Gli Istituti di credito fondiario, i quali dovrebbero fare l’operazione di mutuo, non possono per legge concedere mutui per importo superiore alla metà del valore del fabbricato, e lo Stato non concorre che fino al 33 per cento della spesa. Non solo, ma anche questa non è misura certa, perché la legge dice: «in misura non superiore ad un terzo». Ora, gli Istituti di credito fondiario hanno bisogno di dati certi, non possono contentarsi dei dati di probabilità. In ogni caso dunque è necessario che coloro i quali intendano ricostruire dispongano di mezzi propri, di finanza propria. E costoro rappresentano la minoranza dei proprietari di fabbricati. Nella maggioranza dei casi, i proprietari di fabbricati non hanno mezzi propri. Ma se pure essi li hanno, noi vediamo che non li investono nella ricostruzione del Paese.

Secondo uno studio intelligente eseguito da un Comitato provinciale per la ricostruzione della provincia di Messina, i proprietari di fabbricati non trovano convenienza ad impiegare i loro capitali nella ricostruzione edilizia, tenuto conto del tasso di ammortamento e degli interessi che occorre pagare agli Istituti di credito fondiario, degli oneri di imposte che gravano sui fabbricati ricostruiti e di quello che è il mercato dei fitti. Ciò appunto secondo i calcoli eseguiti dal Comitato, e che sono riferiti in una assai pregevole relazione, a firma dell’avvocato Pietro Tripodo.

La relazione dimostra che questa convenienza non si riscontra, a meno che lo Stato non intervenga per il 75 per cento nella spesa. Di modo che il problema da esaminare è quello della possibilità per lo Stato di intervenire in questa misura.

Pare che il concorso dello Stato nella misura del 75 per cento sia possibile. Si tratta di ricostruire complessivamente in Italia sei milioni e mezzo di vani. Secondo i calcoli fornitici giorni or sono dall’onorevole Nobile, l’importo complessivo sarebbe di seicento miliardi di lire; secondo i calcoli, invece, del Comitato provinciale per la ricostruzione di Messina, esso sarebbe di 775 miliardi.

Ora, se lo Stato concorresse col 75 per cento nella spesa della ricostruzione, alle condizioni di cui al decreto 9 giugno 1945, l’onere, per tasso di ammortamento ed interessi da pagare agli Istituti di credito fondiario, sarebbe di 35 miliardi l’anno, per 40 anni. Cifra cospicua, senza dubbio. Però, lo Stato deve già avere stanziato nel suo bilancio una somma per aiutare l’iniziativa privata nella ricostruzione edilizia; poiché ha emanato il provvedimento del 9 giugno 1945. Non credo infatti che, quando furono emanate queste disposizioni, lo Stato contasse sul fatto che la ricostruzione non dovesse avvenire. Di modo che, siccome il massimo che lo Stato ha pensato di poter dare alla ricostruzione edilizia è del 50 per cento, aumentabile di altro 10 per cento per coloro che ricostruiscono entro un determinato termine, praticamente i 4/5 di questa cifra complessiva (per la durata di 40 anni) lo Stato già si propone di spenderli. Ed allora, l’ulteriore aggravio al bilancio dello Stato non sarebbe che di sette miliardi di lire.

Ma dobbiamo fare un’altra considerazione: a mano a mano che la ricostruzione avviene, il capitale edilizio viene restituito al reddito, e quindi grava su questo capitale edilizio l’onere delle imposte. Quando sei milioni e mezzo di vani saranno tutti ricostruiti, sarà restituito al reddito un capitale di 1300 miliardi di lire; e l’onere complessivo delle imposte (senza tener conto naturalmente dell’imposta progressiva sul patrimonio o delle altre diavolerie suggerite dall’onorevole Scoccimarro) sarà di 26 miliardi di lire. Pertanto, in definitiva, resterà per lo Stato solo l’onere di 9 miliardi di lire (35 meno 26); che presumibilmente sarà bilanciato dalle imposte sulle attività industriali connesse con l’edilizia.

Esaminato attentamente il problema, è facile dunque rendersi conto che, in sostanza, quando lo Stato intervenga, sia pure in misura così elevata, nella ricostruzione edilizia del Paese, per esso non esiste un onere reale. Come afferma acutamente la relazione che ho ricordato, «l’edilizia crea da sé la propria finanza».

Io credo che il Governo dovrebbe esaminare attentamente questo problema e questo suggerimento, in armonia con l’enunciato stesso del Presidente del Consiglio che «occorre eliminare le spese superflue e graduare le altre secondo la loro capacità produttiva».

Ed a proposito della dichiarazione programmatica del Governo su questo punto, devo dire che ho rilevato con compiacimento il proposito espresso dall’onorevole Presidente del Consiglio di emanare leggi speciali per i centri più duramente colpiti dalla guerra. Con compiacimento, perché nel mio discorso del 19 luglio invocavo appunto queste leggi speciali per la città di Messina e per le altre città del continente, altrettanto od anche più duramente colpite. Leggi speciali – dicevo – occorrono per questi centri, provvidenze speciali, finanziamenti speciali.

E vorrei dire che leggi speciali occorrono in genere per tutti i centri terremotati, indipendentemente dai danni che essi hanno subìto per la guerra. Perché le leggi speciali sul terremoto impongono l’adozione di norme particolari per la ricostruzione con sistemi antisismici, il che importa, secondo quanto è riconosciuto dal testo unico di quelle disposizioni legislative, un aumento nel costo della costruzione pari al 35 per cento. In questi casi quindi bisognerebbe arrivare fino all’85 per cento nel concorso dello Stato.

Un altro aspetto del problema della ricostruzione, e che io ho pure segnalato con il mio ordine del giorno, è quello della ricostruzione sanitaria del Paese. A questo problema accennavo pure nel mio discorso del 19 luglio; e dopo di me vi faceva cenno anche l’onorevole Togliatti.

Il Presidente del Consiglio, in quella occasione, volle tranquillizzare l’onorevole Togliatti ed affermò che l’indice della mortalità infantile ha presentato un miglioramento sensibile negli ultimi tempi. Ciò è confortante; ma coloro che hanno qualche dimestichezza colla medicina non ignorano che la mortalità infantile non è che uno degli indici della salute del popolo. Molti altri ne esistono, ed è superfluo che io insista su questo punto. Tutti sanno, ad esempio, quanto pauroso sia oggi il dilagare della tubercolosi in Italia.

Ora, le condizioni sanitarie del popolo sono dipendenti, possiamo dire condizionate, da quelle della nutrizione. Ed è soprattutto a questo che noi dobbiamo guardare. Oggi, come tutti sapete, le condizioni della nutrizione sono poverissime in Italia, e non serve sventolare, come dopo l’altra, guerra, lo slogan di Francesco Saverio Nitti: «produrre di più e consumare di meno». Esso va invece, nelle attuali condizioni, così modificato: «produrre di più per consumare di più». È infatti urgente, indispensabile, se noi vogliamo salvare il nostro popolo, che i consumi aumentino.

Mi propongo di dare appena qualche cifra, cifra ufficiale, che ho rilevato dalla pregevole relazione del Governo al V Consiglio generale dell’U.N.R.R.A., pubblicata a cura del Ministro Campilli.

Ho letto in questa relazione che per il 1947 è prevista una distribuzione di generi razionati pari a 1320 calorie per uomo-medio, elevabili, con gli alimenti forniti dal mercato libero, fino a 2000 calorie. Ora 2000 calorie sono qualche cosa che sta molto al di sotto di quello che è da tutti considerato come il minimo fisiologico indispensabile per l’uomo medio, cioè 2700 calorie nette, pari a 3000 calorie lorde. È naturale che molti consumano di più; e credo che quanti siano qui consumiamo più di 2000 calorie al giorno. Ma questo significa che vi sono altri che consumano molto di meno; il che è ancora più grave, onorevoli colleghi. Noi dobbiamo preoccuparci, e seriamente, di questo fondamentale problema della nostra esistenza; problema che ancora più grave appare, se lo si considera non sotto l’aspetto quantitativo, ma sotto l’aspetto qualitativo.

Nella suddetta relazione ho rilevato anche la frase seguente: «Si è dovuto per quest’anno rinunciare alla distribuzione di generi razionati a base proteica, con grave pregiudizio della sanità del popolo». Vi è dunque non solo una deficienza quantitativa, ma anche, e dal punto di vista fisiologico ancora più grave, una forte deficienza qualitativa dell’alimentazione. Debbo dirvi che da questo lato le condizioni dell’Italia erano già gravi prima della guerra, perché anche allora i fisiologi segnalavano con preoccupazione il fatto che l’uomo medio italiano disponesse di appena 18 grammi di proteine animali al giorno, al posto dei 40 grammi che rappresentano il minimo fisiologico indispensabile. E, del resto, anche dalla lettura di questa relazione del Ministro Campilli potete rendervi conto di ciò, perché in essa sono pure le cifre relative alle disponibilità alimentari del 1938. Vi si legge che nel 1938 ogni cittadino italiano disponeva di kg. 8,400 di carne all’anno. Ebbene, in quell’epoca, prima appunto dell’ultima guerra, un cittadino francese disponeva di 34 chilogrammi di carne all’anno, un belga di 40, un tedesco o un inglese di 49, un americano degli Stati Uniti di 70, un argentino o un australiano di 107.

Voi vedete dunque quanto già allora era scarsa per noi la disponibilità del principale alimento animale. Ma oggi questa disponibilità si è ridotta notevolmente, perché – dice la stessa relazione – essa è oggi di 3 chilogrammi e mezzo di carne per abitante e per anno. La riduzione trova le sue cause ovviamente nella distruzione del patrimonio zootecnico operata dalla guerra, nella diminuzione della produzione dei foraggi, nella diminuzione di estensione dei pascoli (per l’aumento delle colture cerealicole) e forse – anzi, certamente – anche nella diminuzione delle importazioni di carne. Noi importavamo prima della guerra 700 mila quintali di carne all’anno; oggi importiamo, credo, 390 mila quintali.

Questo problema deve preoccuparci moltissimo, perché, onorevoli colleghi, le condizioni della nutrizione hanno una importanza enorme per la produzione, per il progresso, per l’esistenza stessa dei popoli. Nel secolo passato un filosofo tedesco, il Feuerbach, che fu, possiamo dire, l’araldo del materialismo scientifico nel campo filosofico, lanciò il noto aforismo: «L’uomo è ciò che mangia». (Interruzione dell’onorevole Saragat). Lo contestate? Io da fisiologo non lo contesterei, onorevole Saragat. Se Ella non avesse simpatia per gli aforismi germanici, potrei citarne un altro, britannico questo: «Se vuoi essere un leone, mangia da leone».

Disse a questo proposito una cosa molto esatta l’onorevole Conti, che pure si preoccupò di queste gravi condizioni della nutrizione nel Paese. Egli disse che a qualche accorgimento si può pensare, per migliorare lo stato delle cose. In effetti, noi non possiamo sperare, se pure è vero, come sembra, che il patrimonio zootecnico è andato aumentando in questi ultimi tempi, di portarlo ad un tale livello da renderci sodisfacente la disponibilità dell’alimento animale per il popolo italiano, perché, come vi dicevo, la situazione era già grave per noi prima della guerra. L’entità del patrimonio zootecnico, evidentemente, è condizionata dai foraggi disponibili e dalla estensione dei pascoli dei quali possiamo disporre. Qualche accorgimento bisogna dunque escogitarlo e concordo in ciò pienamente con l’onorevole Conti. Non concordo con lui nel ritenere utili a questo fine quegli accorgimenti che egli ha suggerito, cioè l’abolizione dei Commissariati e le autonomie regionali e comunali.

Non che io, da liberale, non apprezzi l’opportunità dell’abolizione dei Commissariati, cioè della bardatura pesante della economia controllata; non che io, da autonomista convinto, non desideri, come lui, che al più presto si realizzi la vera libertà amministrativa dei Comuni e delle Regioni. Ma io penso che, per questo problema specifico, non sarebbero utili né l’uno accorgimento né l’altro. Qualche cosa di diverso, invece, si può escogitare. Si può razionalizzare la nostra industria zootecnica, si può adattarla – in altre parole – alle nostre esigenze fisiologiche. Si può, come vorrebbe appunto l’onorevole De Gasperi, «disporre nel senso più utile per la collettività delle risorse locali».

Noi dobbiamo tener presente che gli animali domestici dei quali ci alimentiamo non sono che trasformatori dell’energia alimentare già esistente: essi sono, cioè, convertitori dell’alimento vegetale in alimento animale. E, da questo punto di vista, occorre rilevare che non tutti eseguono la conversione nella medesima forma; non tutti, cioè, sono ugualmente economici o ugualmente antieconomici. Tutti, in genere, sono convertitori antieconomici; ma alcuni lo sono di più, altri di meno. Per esempio, convertitori tipicamente antieconomici sono proprio i bovini, i quali hanno bisogno, per costruire un chilogrammo di alimento animale, di ben 64 chilogrammi di fieno; convertitori invece meno antieconomici sono gli ovini, che hanno bisogno di 24 chilogrammi di fieno per la costruzione di un chilogrammo di alimento animale.

Ma bisogna tener presente che i bovini diventano così antieconomici solo dopo aver raggiunto il completo sviluppo somatico: prima di tale stadio dello sviluppo essi sono convertitori relativamente economici della energia alimentare.

Occorre, quindi, allo scopo di accrescere la disponibilità della carne, imporre la macellazione dei bovini prima che sia raggiunto il completo sviluppo somatico, cioè durante il periodo dell’accrescimento, e limitare l’allevamento ulteriore soltanto alle vacche lattifere, le quali costruiscono un chilogrammo di alimento animale con soli 22 chilogrammi di fieno, ed ai maschi necessari per il lavoro e per la riproduzione.

Inoltre, c’è un’altra considerazione da fare: che una buona vacca è capace di fornire in un anno, col latte, una quantità di proteine doppia di quella contenuta in tutti i suoi tessuti e che essa può fornire in un anno, col latte, un numero di calorie pari a quello di tutti i costituenti chimici dei suoi tessuti. Conviene dunque favorire, incrementare, l’allevamento delle vacche lattifere, scegliendo quelle razze che sono più produttrici di latte; occorre cioè procedere ad una selezione imponendo l’allevamento delle vacche che siano più produttrici di latte e che presentino idoneità all’acclimatazione. Ed a questo scopo una sola cosa, a parer mio, è indispensabile: diffondere e rendere obbligatoria la fecondazione artificiale del bestiame.

Io penso che queste poche notizie possano essere utili a chi voglia effettivamente proporsi di migliorare, con provvidenze legislative, il patrimonio zootecnico italiano, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo. E penso che questo dovrebbe essere considerato come un suo dovere preciso dal Governo, perché l’iponutrizione esercita effetti deleteri sul rendimento della macchina umana, e quindi anche tutta la ricostruzione del Paese soffre per la deficiente nutrizione degli uomini. E non solo la iponutrizione esercita effetti deleteri sul rendimento della macchina umana, ma essa esercita pure effetti altrettanto deleteri sul morale degli uomini.

Venticinque anni fa un nostro grande fisiologo, Filippo Bottazzi, scriveva che «la iponutrizione dispone l’animo alla sfiducia, al pessimismo; tarpa le ali ad ogni entusiasmo; rende l’uomo perfino dimentico dei suoi più sacri doveri verso la Patria e verso l’umanità». Se questo voi considerate, onorevoli colleghi, io penso che dovranno sembrarvi futili quegli espedienti che si vorrebbero escogitare per la difesa della Repubblica.

Noi parliamo ancora del giuramento, noi pensiamo ancora sempre al giuramento. Ma io non credo, onorevoli colleghi, che la coartazione della coscienza rappresenti davvero un mezzo efficace per la difesa della Repubblica. Perché la Repubblica non si difende che nella libertà. È stato già un errore il mantenere il giuramento politico. Il giuramento era una volta una cosa seria, una cosa sacra; oggi non lo è più. Oggi esso non è che un atto puramente formale, considerato superfluo da coloro i quali credono nella bontà della istituzione, considerato odioso da coloro i quali in questa non credono.

È stato un errore, ripeto, mantenere il giuramento. (Interruzione dell’onorevole Lussu). Io penso che la Repubblica avrebbe dovuto abolirlo. Abolendo il giuramento, onorevole Lussu, noi avremmo sottolineato una cosa che a parer mio è importante. Noi sappiamo che il giuramento storicamente deriva dal diritto di conquista, dal diritto della forza. Ebbene, noi avremmo sottolineato che questa Repubblica italiana, per nostra fortuna, non è stata partorita dalla conquista, non è scaturita dal diritto della forza, che essa è nata invece per la forza del diritto.

Il terzo punto del mio ordine del giorno riguarda il problema della scuola. Non desidero diffondermi su questo argomento, perché altri colleghi ne hanno già parlato e perché so che molto più autorevolmente di me si propone di parlarne l’onorevole Colonnetti.

Desidero dire solo questo: le condizioni dei nostri Istituti superiori, delle nostre Università sono gravissime. Esse sono state già denunciate in quest’Aula da due rettori di università: dall’onorevole Pellizzari nel suo discorso del 18 luglio e dall’onorevole Calamandrei in occasione di una sua interrogazione al Governo. Ciò mi esonera sia dal parlarne diffusamente, sia dal rispondere, quasi per fatto personale, all’onorevole Tumminelli che poco fa rimproverava ai rettori di Università presenti in quest’aula di non interessarsi sufficientemente all’argomento. Le condizioni delle Università sono gravissime ed è bene preoccuparsene, perché è ben vero quello che diceva l’onorevole De Gasperi, che l’Italia potrà rinascere solo dalla scuola. In effetti, se noi abbiamo contato qualche cosa nel passato, ciò è stato non soltanto per il braccio, ma soprattutto per l’ingegno dei nostri padri, cioè dei nostri artisti, dei nostri filosofi dei nostri letterati, dei nostri scienziati. Oggi le Università italiane sono tutte in condizioni così penose da doversi perfino affacciare alla mente del Senato Accademico o del rettore dell’Università l’ipotesi di una chiusura della scuola. Sono esse tutte, o quasi tutte, indebitate; e tutte sono creditrici dello Stato. Infatti i rimborsi annuali che lo Stato deve alle Università per varie ragioni, avvengono con una velocità incomparabilmente minore di quelle delle spese che l’università deve affrontare. E accade questo fatto paradossale, che le università sono costrette a fare da banchiere allo Stato. Credo che ciò non sia assolutamente tollerabile. Occorre restituire immediatamente la propria efficienza alle Università e agli Istituti di cultura superiore. Occorre restituire tutta la loro efficienza ai laboratori scientifici ed alle biblioteche, perché non bisogna dimenticare che il compito principale delle Università non è già quello di fabbricare i professionisti, cioè i medici, gli ingegneri o gli avvocati; ma di contribuire, con le indagini scientifiche o storiche, al progresso della scienza, al progresso delle idee. Le Università sono e, debbono essere soprattutto, i nostri efficienti «laboratori del pensiero».

Io credo che questo problema debba essere risolto al più presto, anche perché giustamente poco fa diceva l’onorevole Tumminelli, è questo un nostro grande patrimonio che dobbiamo preservare e potenziare; è forse il solo patrimonio che la guerra non ci ha tolto e che nessun trattato di pace ha potuto (o poteva) toglierci: il solo patrimonio che potrà consentirci di riprendere ancora una volta domani, e con dignità, il nostro posto nel mondo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Tremelloni. Ne ha facoltà.

TREMELLONI. Mi limiterò a prendere in esame alcuni dei temi economici che si ricollegano a quelli accennati nell’esposizione dell’onorevole De Gasperi: e ciò perché, a mio avviso, l’azione sociale del Governo deve oggi, almeno per i tre quarti, essere azione economica. È questo forse il terreno nel quale – dalla liberazione in poi – si procedette con singolare improvvisato empirismo, con insufficiente valutazione della sua importanza. È mancato forse il coraggio di dire recisamente che le condizioni attuali, le quali limitano e condizionano la nostra politica economica, non si prestano alle prodigalità delle demagogie di ogni colore, e che dalle attese impossibili delle une, o dalle attese impossibili delle altre, si ottiene soltanto una ulteriore remora o nebulosità nella via di uscita. Così dalla liberazione in poi si è vissuti alla giornata, propinando cambiali in bianco a lunga scadenza, nei giorni pari alla destra, nei giorni dispari alla sinistra. I problemi economici di questo dopoguerra non si prestano a contemporanee alternate soluzioni, né – per la loro connessione coi problemi sociali – si prestano ad una delle astratte soluzioni-limite: compito di chi suggerisce ed attua brevi programmi di Governo è di condizionare il fine ai mezzi, scegliendo con chiarezza e senza pentimenti o reticenze una sola strada la cui linea di demarcazione, sebbene difficile a trovare in realtà, esiste. Ma, scelta che sia, bisogna su questa strada camminare, ed aver l’energia di non imboccare allettevoli viottoli laterali, cioè aver coraggio di determinare, nella gerarchia d’urgenze con cui occorre graduare la folla paurosa dei problemi immensi da risolvere, ciò che è fondamentale, e tralasciare ciò che è accessorio, anche se ha la parvenza del fondamentale.

Noi italiani – e non da oggi – bruciamo sull’altare della nostra povertà le nostre migliori energie per discutere, riaffermare e tentare immediate soluzioni di problemi insolubili a breve termine. La tragedia dei popoli poveri è questa, che essi sono spesso così lungimiranti da abbandonare l’attenzione sulle concrete modeste soluzioni del problema quotidiano e – se hanno un pesante bagaglio di teorie e di ideologie da trascinarsi dietro, come noi abbiamo – ragionano come gli Arcadi. Troppo spesso esaminiamo il problema economico e sociale italiano guardandolo a un chilometro di distanza, senza accorgerci che sarebbe forse più utile guardare al di qua delle macerie, alla distanza di pochi metri da noi. Questa presbiopia esalta le ideologie, ma in certi momenti, come l’attuale dopoguerra fallimentare, ci impedisce la soluzione dei problemi concreti e immediati. Così si allontanano, non si avvicinano, le mete ideologiche, e si compie il lavoro di Sisifo di fare e rifare i programmi per il duemila, lasciando all’empirismo quotidiano i programmi per il prossimo quadriennio. Così si procede a tentoni e ci si esaspera mutuamente, perché si danno schiaffi al vento, senza accorgerci che non è il vento che ne ha colpa.

L’essenziale sembra per ora di uscire in concreto dalla strozzatura, e di uscirne il più presto possibile senza vittime umane; non di discutere troppo astrattamente sulle formule o sui fantasmi, come usiamo noi italiani con particolare voluttà. È perdonabile ai partiti di usare ed abusare della politica degli slogan – anche se è desiderabile che non lo facciano – ma non deve questa politica diventare una formula di Governo. Non c’è un problema di massimalismo o di minimalismo: in termini concreti, oggi ci sono delle strade obbligate, che non sono né massimaliste né minimaliste.

Oggi il compito preminente ed essenziale è di rialzare il cosiddetto «livello di benessere» del popolo italiano, anche se questa parola è per noi ferocemente sarcastica. Il livello di benessere di un Paese non si accresce durevolmente, se il dividendo nazionale non si eleva; e il dividendo nazionale non si eleva se non utilizzando meglio la somma delle nostre energie.

Se è vero, come è vero, che il progresso economico si attua con gradualità ed in mezzo a costanti limitazioni, non dobbiamo promettere al Paese e al popolo più di quanto onestamente potremo offrire, anche se è più simpatico, più elettoralistico, meno impopolare promettere molto, lasciar lavorare di fantasia i nostri ascoltatori. Oggi la situazione è quella che è. Inutile nasconderla ai lavoratori, nasconderla al Paese. Fuor d’ogni pessimismo, non potremo portare il nostro livello di esistenza a quello del 1913 prima del 1950. Inutili le formule miracolistiche, inutili le bacchette magiche e i giuochi di azzardo, inutile e dannoso attizzar speranze e miraggi. Bisogna aver il coraggio di dirlo, e non soltanto di pensarlo o di convenirne a quattr’occhi. Tutto quel che ci rimane da fare – ed è moltissimo – è di evitare che questo livello del 1913 sia raggiunto nel 1960 invece che nel 1950; ma soprattutto di far sì che sia raggiunto col minimo di sacrifici per le classi lavoratrici. Chi promette di più bara; e mente sapendo di mentire.

I lavoratori italiani chiedono dunque che non si nasconda la reale condizione economica del Paese, né la concreta e non illusoria possibilità di migliorarla: la gran forza di un regime democratico è, o dovrebbe essere, la sincerità, che è una forza profondamente educativa. Il Paese è stato pochissimo informato, e spesso lo è stato in ritardo, di tutta la sua vita economico-finanziaria; talvolta non lo potevano essere neppure gli stessi membri del Governo. Uno sforzo organico di documentazione deve essere compiuto, e con ogni urgenza. Non si possono prendere decisioni – e spesso decisioni di somma importanza non effimera – se non si ha la più minuta tempestiva obiettiva conoscenza del panorama economico-sociale del Paese. In questa sagra di miliardi, che rappresentano le spese pubbliche di ogni mese, non si devono trovare – ad esempio – le pochissime decine di milioni annui perché l’Istituto centrale di statistica ridiventi un organo efficiente nelle rilevazioni economiche, attui un’ampia rapida indagine sulla nuova struttura che ha assunto questa vulcanicamente sconvolta nostra economia? Non si può vedere, con dati il meno possibile ritardati, quel Conto del tesoro, che esce ora soltanto per i nostri storici della finanza, quasi come la Gazzetta Ufficiale che pubblica i decreti-legge talvolta due o tre mesi dopo che sono entrati in vigore, e come le cifre del nostro commercio estero e della produzione industriale che durano almeno tre mesi per arrivare a conoscenza del Paese? Non si possono conoscere molti altri dati oggi quasi segreti, come ad esempio l’utilizzazione del fondo lire? Questo Paese – che subito dopo l’Unità, in un periodo stranamente somigliante all’attuale, sebbene ora i problemi siano esaltati geometricamente, dispose di una serie di indagini amplissime come l’inchiesta Jacini e l’inchiesta industriale, ha vivo desiderio di essere più rapidamente e più compiutamente informato di quanto non possa esserlo con la doccia scozzese delle interviste, spesso deformate superficiali e contradittorie, e terreno di polemiche mal fondate e più atte ad aumentare malcontenti che non a ragionevolmente sedarli.

La vita economica del nostro Paese, che sempre fu succube di una singolare sproporzione tra capitali e uomini, ma dove la guerra e l’autarchia hanno rincrudito questa cronica sproporzione, ha una struttura economica di estrema fragilità, d’una tale fragilità che la predispone in modo imponente ai regimi totalitari. Compito della democrazia è di risolvere questo problema, è di colmare questo hiatus tra l’ieri, incapace di assicurare, se non attraverso la dittatura e l’autarchia, condizioni di vita meno dure per la grande maggioranza del popolo, e il domani, che in tutto il mondo si avvia verso concezioni solidaristiche. Colmare questo hiatus costituisce la prova del fuoco della democrazia, ed è la prova del fuoco di tutti i Governi che desiderino di allontanare il pericolo di nuovi insuccessi della democrazia, col loro corteo inevitabile di nazionalismi, di autarchie, di guerre, di privilegi.

Dalla liberazione in poi lo sforzo di colmare la frattura cui accennavo dianzi non ha sortito un esito apprezzabile; la conciliazione tra l’economico e il sociale non si è risolta. Si è andata accentuando una somma di malcontenti – taluni giustificati, taluni ingiustificati – che può mettere in pericolo lo stesso istituto democratico. Vi siete mai chiesti le cause profonde di questo malcontento? Esse, a mio avviso, non risiedono soltanto nelle condizioni gravi in cui un lungo periodo di nazionalismi economici ha gettato l’Europa, ma anche nell’impotenza dei Governi di conciliare organicamente la libertà con la giustizia sociale, cioè nell’impotenza di affrontare il problema economico nei due aspetti contemporanei del clima produttivistico e del clima sociale. È innegabile che questi problemi si pongono in circolo, e mentre si cerca il punto in cui spezzarlo, non ci si accorge che occorre premere su tutti i punti del circolo con unità di intenti e di direttive: ciò che riesce sommamente difficile ai Governi di costituzione estremamente eterogenea. Essi non riescono a condurre una politica economica unitaria e univoca, e il loro sforzo di accontentare tutti finisce per scontentare tutti.

Mentre l’azione economica in favore dei lavoratori, in periodi normali, poteva essere condotta più vantaggiosamente attraverso una redistribuzione operata con la lotta sul solo terreno sindacale, in periodi di economia disastrata e di grave impoverimento collettivo come l’attuale, può e deve essere condotta anzitutto dagli organi di Governo.

Oggi non si tratta infatti di distribuire di più, ma di assicurare un minimo vitale per tutti, di evitare che il superfluo di taluno sia ottenuto a spese del necessario per gli altri. Occorre almeno assicurare un minimo di alimenti, di indumenti, di case per coloro che rischiano di non avere questa diga contro la più pericolosa miseria. Si chiede spesso: «Possiamo permetterci di farlo?». La domanda deve essere invece questa: «Possiamo permetterci il lusso e i danni di non farlo»?

Occorreva predisporre tempestivamente un piano organico generale per questa nostra ricostruzione, che non è soltanto edilizia. Ora il piano viene annunziato, e noi ci auguriamo che esso non si limiti a quelli parziali d’un solo o di pochi settori della vita economica del Paese. Deve trattarsi d’un ampio e precisato programma economico per quel prossimo quadriennio che sarà di un’importanza decisiva per l’avvenire dell’Italia: compito al quale quasi tutti gli altri Paesi si sono già accinti, imponendosi anche dei sacrifici notevoli per il raggiungimento di mete ben determinate. La ricostruzione esige infatti una somma di sacrifici: quali sono quelli – deve dirci il piano – che gli italiani possono sopportare, e come sarà suddiviso il loro onere?

Si capisce che tutti riluttano ai sacrifici, ma li accetteranno con minore amarezza, se sapranno a vantaggio di che è di chi andranno. I lavoratori devono potersi difendere del pericolo di vedersi addossati in troppo grande parte tali oneri, o dal pericolo che ci si fidi con eccessiva longanimità dei cosiddetti processi di aggiustamento a lunga scadenza, quando le facoltà di attesa dei singoli ceti sociali sono ben differenti. Per mettere in sesto la nostra economia, bisogna dotarla di beni strumentali più efficienti e numerosi – ferrovie, strade, macchine; – e quindi bisogna avere il coraggio di ridurre certi consumi voluttuari. Meno automobili fuori serie, meno profumi e meno liquori, meno pane bianco, più cemento, più ferro, più bonifiche, più centrali idroelettriche, più mezzi di trasporto. Non si può avere l’uno e l’altro. Guardate l’Inghilterra, onorevoli colleghi!

Essenziale ed urgente compito del Governo – se il piano è realmente in elaborazione – è quello però di renderlo pubblico, affinché possa essere utilmente discusso dal Paese, giacché rappresenta il più importante e decisivo atto di orientamento per la vita economica italiana di oggi e di domani. Ma l’attuazione di tal piano orientativo non potrà avvenire se manca la forza politica che dia unità di indirizzo, e soprattutto se il Governo non potrà o non saprà predisporre dei congegni adatti. Altrimenti il piano sarà stritolato dalla morsa degli interessi di gruppi e di classe, e l’interrogativo che ponevo all’inizio rimarrà ancora una volta irrisolto.

Il primo modo di allargare questa morsa, perché non ci strangoli, è quello di ripristinare i congegni dell’azione statale. Bisogna avere il coraggio di affrontare subito il problema del risanamento di questa macchina, da cui dipende quel ripristino dell’autorità statale il cui svilimento è motivo di compiacenza per i cittadini meno meritevoli della stima dei lavoratori.

La struttura tradizionale dei Ministeri economici non va più bene; non ha seguito quel processo, diciamo di «riconversione», che si intende programmare per le aziende. I Ministeri economici vanno in gran parte infatti mutati nei loro uomini, nei loro metodi, nella loro mentalità, per adattarli alle nuove esigenze della politica economica italiana. Il numero dei funzionari è eccessivo; occorre probabilmente averne meno, ma meglio scelti, meglio retribuiti, aggiornati con periodiche selezioni più severe. Lo Stato può avere degli ospizi benefici, ma essi devono essere altra cosa che non i Ministeri. Bisogna avere il coraggio di ripristinare subito l’autorità dello Stato perseguendo il fine della prontezza, della capacità, dell’agilità, della serietà, dell’onestà dei suoi strumenti. Badate che la macchina dello Stato si sta dissolvendo; sia per colpa d’una parte della burocrazia che è spesso lontana dalle esigenze concrete della nostra economia; sia per colpa di un’opinione pubblica che è avviata ad un fatalismo iconoclasta, dopo gli eccessi di statalismo totalitario, sia per colpa di un rinato individualismo miracolistico, che si manifesta in un pericoloso prevalere di irrequieti interessi di gruppo, di aspirazioni provinciali o regionali, di campanilismi eccitati, di egoismi dilaganti. Si lesinano i milioni per i Ministeri che si occupano delle cose economiche, e non si lesinano ancora oggi i miliardi per i Ministeri militari. Il Ministero dell’industria ha a disposizione mezzo miliardo di lire all’anno, meno, assai meno di quel che può spendere la Confindustria coi suoi uffici centrali e periferici; e meno di un ventesimo di quel che possono spendere i Ministeri militari in tempo di pace.

La condotta economica d’un Paese, da cui dipende la stessa possibilità di miglioramenti sociali – non può poi essere affrontata dai Ministeri a compartimenti stagni. È un ruotismo complicato di cui non basta affidare ogni singola ruota ad un partito o ad un uomo, lasciandogliela muovere come crede. Bisogna dunque che ogni ruota si muova in simpatia col moto delle altre. Questo, finora, non è accaduto nei due o tre anni del nostro dopoguerra italiano; e il Paese se ne accorge. Aboliti utilmente altri Ministeri (e io avrei fuso anche il Ministero del commercio estero con quello dell’industria e avrei istituito un sottosegretariato per le risorse energetiche), essenziale mi pareva dunque la formazione d’un Ministero degli affari economici, il quale – più che non il placido C.I.R. – sapesse rompere il circolo vizioso dei palleggiamenti di responsabilità, dello scoordinamento tra i vari Dicasteri, dello zero ottenuto per somma algebrica tra le opposte soluzioni dei singoli Ministri.

Non si può lasciare che il Ministro del commercio estero faccia una politica e quello dell’industria o dell’agricoltura un’altra, che altri Dicasteri redigano piani annunziando spese di centinaia di miliardi, e non si assicurino prima che i miliardi ci sono da spendere e che i materiali necessari esistono e possano essere procurati; che si faccia conto sulla disponibilità quantitativa di masse di lavoratori disoccupati e non si provveda a qualificarli convenientemente; che non ci si preoccupi se il risparmio del Paese o i prestiti esteri, e in che misura, possano seguire docilmente le esigenze di investimenti in beni strumentali e via numerando.

Non si può volere che una politica di blocco dei prezzi si attui, se il Comitato prezzi deve limitarsi ad agire come «machine à calculer» prendendo nota oggi di un aumento dei prezzi dei prodotti (il che ci ha condotti negli ultimi 6 mesi ad un salto dei 50 per cento nel livello dei prezzi), o affidandosi alle coreografiche «tregue», senza poter manovrare con le leve e sulla piattaforma di una ben definita politica economica generale; non si può non accostarsi intimamente alla politica monetaria, né ambire a questa, se non si risana il bilancio statale, se non si ottengono i necessari prestiti esteri, e via numerando.

Noi giriamo come una trottola, passando da un problema insolubile da solo, ad un altro insolubile da solo, soltanto perché non li affrontiamo con contemporaneità e unità di direttive. Non si salva la lira se non attuando un piano produttivo, e non si attua un piano produttivo se non sulla tesi solida di una moneta sana; si acuiscono le agitazioni sociali perché la spirale inflazionistica soffoca e riduce alla fame i lavoratori; si ritarda una politica di occupazione perché non si può attuare questo clima produttivistico.

In materia economica difficilmente si può ricercare se vi siano relazioni di causa ad effetto e di effetto a causa: vi è un’interdipendenza che rende difficile trovare il punto in cui far forza per spezzare i circoli viziosi. In questa problematica, se si vuole evitare rimbalzi da un tema all’altro, tra i primi è – in grado di urgenza – l’avviamento deciso ad un metro monetario meno folleggiante. Se ne è parlato in tutti i programmi di Governo, ma nessuna azione coordinata è stata compiuta finora, e questa Assemblea deve dire che il nuovo Governo la compia senza ritardi, perché senza una moneta relativamente stabile tutti i programmi economici sono edifici che si finisce per costruire su un piano inclinato e sdrucciolevole. I lavoratori ben sanno che il processo inflazionistico è l’imposta forse più insidiosa per contrarre silenziosamente il loro salario reale; che nessuna opera ricostruttiva, che nessun risanamento dei bilanci pubblici, che nessuna seria azione fiscale, che nessun piano a lunga scadenza, che nessuna politica produttivistica, che nessun risparmio nazionale sono possibili sul terreno franoso dell’erosione monetaria. Su un prossimo prestito interno – congegnato meglio del precedente – e che sarà inevitabile prima del secondo semestre, non si può far conto se non se ne farà la bandiera della stabilizzazione, e con la contemporanea assunzione d’un adeguato prestito estero.

Quanto a Bretton Woods, molto bene se le incognite numerose che si presentano con questo inserimento si giudicano dal Governo facilmente risolvibili. Ma è bene che il Paese sappia che Bretton Woods non è la panacea della nostra malattia monetaria; e che il risanamento della lira dipende da molte altre condizioni, da molti altri coordinati sforzi. La nostra stessa partecipazione a Bretton Woods ci impone di essere cauti nell’assumere impegni fino a che altri non ci abbiano dato la certezza di poterceli assumere attraverso l’adeguatezza di prestiti a lunga scadenza: e bisogna dire chiaro ai Paesi che ce li possono fornire che questa è una condizione di vita o di morte.

Non si può pensare che ad un’economia disastrata si prometta di venir incontro soltanto quando sarà risanata. È come promettere medicine al malato quando sarà guarito, o, peggio, quando sarà presumibilmente morto.

Noi socialisti, che non siamo internazionalisti solo a parole, poniamo in prima linea il tema della collaborazione economica internazionale. È una cooperazione che dobbiamo dare, ma che dobbiamo anche avere: e noi porremo in atto ogni sforzo perché tale scambio di solidarietà sia reciproco. Se si formerà una O.N.U. per il commercio internazionale, bisognerà esserne attivi collaboratori, incoraggiando gli scambi, purché questa solidarietà internazionale non si fermi alle merci, ma venga estesa agli uomini e ai capitali; altrimenti sarebbe una falsa, parziale e spesso iniqua libertà, mascherante delle limitazioni a danno dei paesi sovrapopolati come il nostro.

I grandi problemi che riflettono l’alta occupazione sono spesso irrisolvibili in sede nazionale, e il Governo deve studiarli e risolverli anche in sede internazionale, così come il problema di un più alto tenore di vita non può ricevere soluzione in sede di obbligate autarchie. Se gli altri Paesi desiderano realmente di raggiungere questi obiettivi – che noi riteniamo gli scopi più immediati d’una politica sociale inderogabile – non devono limitarsi alla formula del «mondo uno», ma realizzare praticamente i presupposti di questa esigenza, in un mondo diventato piccolo e desolatamente sperequato nella sua povertà. Non manca certo, né deve mancare, a noi la volontà di utilizzare gli strumenti internazionali che la pace offre, ma bisogna che questi strumenti siano veramente e interamente utilizzabili da tutti: altrimenti continueremmo a ripetere, con imperdonabile malvagità, gli errori dell’altra pace. Ancora oggi i più seri problemi del trattato di pace non sono soltanto quelli territoriali, ma in maggior misura quelli economico-sociali: i pericoli dei prossimi anni, più che nelle frontiere e nei chilometri quadrati delle zone d’influenza, risiedono soprattutto, a mio avviso, nella formazione di autarchie economiche e sociali, nella permanenza e nella prepotenza di gruppi e zone privilegiate sotto il velame delle conclamate solidarietà.

Le incognite della nostra bilancia dei pagamenti restano gravi anche dopo il viaggio dell’onorevole De Gasperi in America. È da escludere che si possa consentire un pareggio ottenuto attraverso una drastica riduzione del già ridottissimo livello di esistenza del popolo italiano. Poiché sarebbe estremamente pericoloso ridurre le partite passive (per quanto non sia indifferente la loro composizione qualitativa), bisogna dunque stimolare con ogni energia l’aumento delle partite attive; e ciò, più che nelle voci invisibili (il cui maggior contributo ci si potrà attendere verosimilmente non prima del 1948), nella bilancia commerciale. Noi dobbiamo raggiungere al più presto, e superare, il livello di esportazione d’anteguerra, facilitando in ogni modo il reinserimento nella vita economica internazionale, all’occidente e all’oriente.

Del bilancio dello Stato – il cui assestamento è una delle condizioni per ottenere il risultato d’una sana moneta, e io non sono così ottimista come l’onorevole Scoccimarro – occorre dire che difficilmente si potrà diminuire il capitolo delle spese. Gli ottocento miliardi di spese – cioè oltre un terzo del reddito nazionale – non devono essere però superati. E sarà necessario spenderli bene, cioè operare chirurgici tagli in alcune voci, a favore di altre inderogabili. Finora il Paese ha l’impressione che si sia speso male il danaro pubblico: senza cioè un giudizio severo sulle destinazioni, e senza un concertato programma-limite sulle destinazioni. Ascolteremo dal Ministro del tesoro come pensa di far fronte nel prossimo semestre alle esigenze della Tesoreria. Sebbene non si debbano suscitare grandi attese su una politica finanziaria straordinaria, è necessario però che essa si attui con ogni urgenza con il prelievo che deve colpire tutte le forme di ricchezza materiale, e soprattutto avendo riguardo alla stratificazione operatasi nelle rendite congiunturali; ma è al postutto la politica finanziaria ordinaria che consentirà – con una pressione fiscale distribuita secondo la capacità contributiva – di avviare al risanamento il bilancio dello Stato.

Ciò che è da raccomandare è di evitare che le imposte indirette assumano l’eccessiva importanza proporzionale che è stata loro oggi conferita: e che il congegno fiscale sia ripristinato e reso veramente efficiente, dopo lo scardinamento bellico e post-bellico.

Il programma del Governo ripete il desiderio d’una politica produttivistica. Anche questo è uno slogan che ha avuto fortuna, forse per la sua nebulosità., presso tutti i partiti. Ma cosa vuol dire? È un insieme di massimi contemporanei che mutuamente si condizionano. Vuol dire predisporre tutte le premesse necessarie e sufficienti perché le imprese abbiano lo stimolo e il clima per una maggiore produzione, ai fini d’un dividendo nazionale più alto; vuol dire utilizzare meglio e il più compiutamente possibile tutti i fattori produttivi disponibili; vuol dire operare quella «riconversione» della nostra economia che va svolgendosi con una lentezza tartarughesca. Su questo terreno, dalla liberazione in poi, non si può dire che si sia camminato a passi decisi, e nessun programma di riconversione è stato perseguito organicamente. Intende ora il Governo darci questo programma, oppure intende continuare a finanziare e puntellare quasi a caso imprese che si propongono – dopo di aver largamente guadagnato quando puntavano sul cavallo vincente – di guadagnare ora su quello che i loro calcoli giudicavano il cavallo perdente?

Il problema si farà più grave, molto più grave nei prossimi mesi, quando le effimere euforie dei mercati mondiali cesseranno, e la curva dei prezzi internazionali potrà subire una rapida inversione. Noi abbiamo imprese che producono a costi altissimi, sulle quali la spazzola di ferro non è ancora passata per togliere le scorie stratificate dall’autarchia e dall’inflazione.

Delle politiche protezioniste – che io ritengo tutte in minore e maggiore misura perniciose – la più cattiva è quella di proteggere senza scopi precisi, cioè di distribuire privilegi a piccoli gruppi e a spese della collettività. È perciò che mi preoccupa il significato vago di quegli «opportuni accorgimenti», di cui parla l’onorevole De Gasperi, per evitare che il reinserimento dell’economia italiana sul mercato internazionale abbia le ripercussioni temute. Perché, se una politica di sostegno occorre, e in via transitoria purtroppo occorrerà, essa non deve rischiare di distribuire extra-redditi ai pochi godenti di rendite di posizione, ma deve essere rigorosamente controllata, perché il sacrificio si attui veramente nell’interesse di tutti e non si tramuti in un’allegra prodigalità per i più svelti nell’assalto alla diligenza. Se lo Stato ritiene che sia di pubblico interesse intervenire, è condizione indispensabile che sia attrezzato e si attrezzi convenientemente perché nessuno singolarmente approfitti di posizioni monopolistiche, o goda di regali pagati dalla collettività.

Il grosso problema dell’Istituto di ricostruzione industriale, non ancor risolto, attende anch’esso la sua urgente soluzione. Occorre che lo Stato si impegni a condurre bene e organicamente le imprese che già possiede, e che tali imprese seguano la sua politica economica, ne siano gli strumenti ove occorra: questa è la premessa indispensabile per poter procedere oltre, nei settori ove si renda utile; e non bisogna aspettare che il temporale che si addensa sul mondo economico ci faccia trovare impreparati con troppi salvataggi da compiere e privi di congegni per quelli che si compirono.

E bisognerà che il Governo ci dica se intende, e come intende, operare una politica degli investimenti, giacché questo è il punto nevralgico che può compromettere anche il più allettevole piano produttivo.

Bisogna, in sostanza, attuare un certo grado di controllo sulla vita economica del Paese. Nessun obiettivo osservatore, che abbia un minimo di conoscenza della vita economica italiana e internazionale, può metterlo in dubbio: è una delle soluzioni «obbligate» in cui – salvo la misura e la durata – sono pressoché tutti d’accordo. Il problema – di fronte al quale il Governo non è riuscito finora a trovare la soluzione – è il problema dei limiti del controllo, dell’efficienza e della competenza dei controlli.

Ora, qui bisogna essere molto severi, e demolire ogni controllo inutile o che rischia di essere inefficiente ed arbitrario; ma non severi al punto da cadere nell’allegro fatalismo dei liberisti ad oltranza, i quali si coprono gli occhi di fronte al problema sociale, e non vogliono consentire che vi sono degli scopi morali nella vita economica.

Non ci si deve lasciar ingannare dagli attacchi bene organizzati, ma altrettanto interessati, dei gruppi che vogliono sfuggire non ai controlli pletorici o pleonastici, ma a ogni controllo sociale; e forse oggi si tratta di scegliere se siano meglio spese alcune centinaia di milioni per assicurare l’efficienza dei pochi ma ben congegnati strumenti di pace sociale, oppure decine di miliardi per mantenere un esercito che eviti la guerra civile.

L’esperimento del C.I.A.I., contro il quale si appuntarono tutte le armi munificamente dotate di non disinteressati avversari di ogni controllo, dovrebbe essere assunto come veramente innovatore. Non si tratta di far rivivere dei corporativismi, dove il giuoco era in mano di interesse di gruppi sotto la maschera dell’interesse collettivo, ma di ottenere proprio il contrario.

Il grosso problema di aree depresse, di categorie sociali depresse, che affiora in prima linea oggi nel nostro Paese, non è risolvibile se non con una politica economica solidaristica: ed essa non si attua se non si determinano, con nitida visione delle mete, gli strumenti per la sua attuazione. Lasciare al caso questa formazione dei congegni, ritenerla secondario compito, vuol dire rinunziare agli scopi, o dar vita a organi che a ragione possono essere qualificati bardature dannose. Bisogna che, una volta determinata una politica economica, essa abbia attuazione, anche se impone sacrifici o suscita doglianze in taluni gruppi potenti: e il potere esecutivo che ha di fatto, in questo momento, un’ampiezza eccezionale di mandato, non utilizzi le sue facoltà con grande disinvoltura e temerarietà in alcuni casi, con eccessiva prudenza in alcuni altri.

Occorre determinare con chiarezza gli obiettivi vicini da raggiungere; che il Paese li. sappia; che non siano obiettivi fantasiosi o nebulosi e il Paese sia convinto che non lo sono; che il Paese sia consapevole essere il Governo deciso a raggiungerli senza compromessi e senza debolezze o rimpianti.

Oggi viviamo in un’atmosfera di «autofagia democratica». È la democrazia che rischia di mangiare se stessa, perché confonde la decisione democratica con l’attuazione concreta del deliberato, perché è timida nel determinare i limiti dell’azione pratica delle maggioranze, perché non vuol scontentare nessuno. E ciò si risolve in provvedimenti parziali, contradittorî, e in effetto spesso più nocivi che utili; si risolve nella indecisione del potere esecutivo.

Noi dobbiamo uscire, ed al più presto possibile, da questa indecisione, da questo labirinto maledetto della povertà. E ciò che noi socialisti vogliamo oggi è che le masse lavoratrici non paghino tutto il pedaggio feroce di questa porta d’uscita dall’autarchia, dall’inflazione e dalla guerra: intendo dire non lo paghino con sofferenze che mettano in pericolo la stessa loro vita fisica oltreché la loro capacità produttiva.

Altrimenti, onorevoli colleghi, noi ci avvieremmo ad un alto grado di disordine distributivo, e quindi di disordine sociale; e quando le forze di disgregazione predominano, quando esse non riescono che a trasferire la loro energia nel lusso delle reciproche interiori violenze, è sempre il proletariato che sta peggio. Perché il proletariato non può sempre aspettare che il benessere futuro compensi la fame di oggi. Il processo è insanabilmente irreversibile, come purtroppo sappiamo tutti. Non ci saranno pagamenti di «arretrati» per coloro che frattanto si sono ammalati per fame.

Se il Paese non saprà uscire dal vortice, se noi non sapremo – anche sfidando effimere impopolarità – determinare i limiti del possibile, se non ci sapremo imporre un clima di lavoro – che non vuol dire, intendiamoci bene, una serra calda per qualcuno e la fame per gli altri – se non avremo la forza di far agire con minore inerzia la gran macchina dello Stato, ebbene allora sarebbe proprio il caso di concludere che le volontà suicide superano in noi le volontà di esistenza e che il popolo italiano è uscito da un carcere per entrare in un deserto. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio è rinviato a martedì alle ore 15.

Interrogazioni d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Gallico Spano Nadia, anche a nome degli onorevoli Matteotti Carlo, D’Onofrio, Sansone, Minio, Massini, Vernocchi, Nobili, ha presentato chiedendo risposta di urgenza, la seguente interrogazione:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere: 1°) per quali motivi in alcuni paesi della provincia di Roma e precisamente a Nemi, Albano, Lanuvio e Monteporzio si sia proceduto in questi ultimi tempi a perquisizioni nelle case di elementi notoriamente democratici, con uno spiegamento di forze, che richiama il periodo dell’occupazione nazista (blocco delle strade, delle case, con mitragliatrici in assetto di guerra, ecc.). Mentre, in questi stessi paesi, elementi neo-fascisti possono impunemente inneggiare al passato regime e permangono indisturbati, anche quando sono trovati in possesso di armi e di esplosivi, i lavoratori iscritti ai partiti di sinistra vengono continuamente sottoposti ad angherie in un regime di terrore; 2°) quali provvedimenti si intenda prendere contro quei funzionari di polizia, i quali nell’esercizio delle loro funzioni: a) adoperano metodi brutali anche contro bambini; b) si permettono di pronunciare frasi tendenti a ledere il prestigio delle istituzioni repubblicane e dei ministri in carica».

Chiedo al Governo se e quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà lunedì.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha presentato, chiedendo risposta d’urgenza, la seguente interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità quanto è affermato in un comunicato della «Direzione del Giardino Albergo di Russia», apparso sui giornali di Roma (Il Tempo, giovedì 6 febbraio 1947), cioè che il giuoco nel salone dell’Albergo di Russia è gestito dall’Associazione nazionale reduci, in seguito a regolare licenza delle Autorità di polizia.

«L’interrogante chiede, inoltre, se altre simili licenze sono state rilasciate alla stessa Associazione od a altri, in quali luoghi e in base a quali criteri di concessione e di distribuzione».

Chiedo al Governo se e quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà lunedì.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha presentato, chiedendo risposta di urgenza, la seguente interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se è vera la notizia apparsa sulla stampa che da ieri sera sono state sospese le comunicazioni telegrafiche e telefoniche con la Sicilia, e nel caso affermativo, il motivo di tale provvedimento».

Chiedo al Governo se e quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà lunedì anche a questa interrogazione.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i risultati degli accertamenti disposti sulle responsabilità nel fatto della distruzione avvenuta in Reggio Calabria di quintali 49,67 di latte evaporato, ed i provvedimenti adottati in conseguenza.

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e degli affari esteri, per sapere se loro consti che il Governo francese abbia emanato dei provvedimenti che stabiliscano delle tariffe preferenziali portuali e ferroviarie per il traffico delle merci dirette da Marsiglia verso la Svizzera, con il conseguente già avvenuto dirottamento di un piroscafo che faceva normalmente scalo nei porti italiani, e per conoscere quali misure di urgenza si intendano adottare, soprattutto per quanto concerne le tariffe ferroviarie, per salvaguardare e difendere i legittimi interessi, gravemente minacciati, dei porti di Savona e di Genova, che con grandi sforzi e a soddisfazione dei ricevitori svizzeri hanno creato e sviluppato un importante movimento di merci verso la loro Federazione Elvetica con il solidale concorso dei rispettivi Consorzi e delle maestranze portuali.

«Pera».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i criteri che hanno presieduto nella concessione delle linee aeree civili.

«Chieffi, Murgia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere quali sono le ragioni per le quali, con la dovuta sollecitudine, non vengono accolte le domande per ottenere la licenza di pesca, inoltrate fin dal mese di dicembre alla Capitaneria di porto di Bari da parte di motovelieri di Rodi (Foggia).

«L’ingiustificato ritardo lascia nella disoccupazione centinaia di famiglie e priva la popolazione affamata di quell’aiuto che a noi offre il mare e lascia marcire un patrimonio di natanti e reti. Si sollecitano adeguati provvedimenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quali provvedimenti sono stati presi in merito ad un ricorso avanzato dal Presidente dell’E.C.A. di Carpino (Foggia) il 19 novembre 1946 tendente a fare correggere l’estaglio affitto di un fondo rustico olivetato, assegnato alla Cooperativa di produzione, lavoro e consumo di Carpino stesso.

«Se ritiene che sia umano e giusto il sottrarre ad una Opera di beneficenza, a vantaggio palese di una organizzazione cooperativa, cui non può disconoscersi il fine speculativo, quel dippiù di affitto che tocca e servirebbe a lenire dolori e miserie della povera gente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se realmente da tempo sia stato già disposto il congedamento per il 31 marzo 1947 di tutti gli ufficiali di complemento, trattenuti in servizio a domanda, perché domiciliati in territorio irraggiungibile (colonie, territori francesi dell’Africa settentrionale, regioni istriane). Nel caso affermativo, gl’interroganti chiedono quali provvedimenti di favore possano essere presi. Essi, dopo aver partecipato alla guerra, e molti alla guerra di liberazione, o provenienti dalla prigionia, com’è il caso di parecchi, si trovano in una situazione eccezionalmente grave, perché senza casa, senza impiego, e nell’impossibilità di una prossima sistemazione. Nessuno di loro ha potuto ancora ottenere la liquidazione dei danni di guerra subiti. Dato il loro numero esiguo (non sono più di trecento) apparrebbe giusto, qualora sia impossibile sistemarli nelle amministrazioni civili, inviarli in congedo almeno con due annualità di stipendio, sì che sia loro consentito attendere con decoro il reingresso nella vita civile. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Lussu, Priolo, Pertini, Natoli, Molè, Canevari, Uberti, Amendola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intenda aderire alle ripetute richieste del comune di Fossano (Cuneo), dirette ad ottenere la cessione al comune stesso della parte dell’ex polverificio non adibita a caserma e da circa cinquant’anni totalmente inutilizzata, in guisa da non lasciare inoperosi e sterili alla periferia della città (che ha oltre mille disoccupati ed industrie costrette in limitati ambienti) sessanta ettari di terreno cintato e solcato da due canali, un centinaio di fabbricati, fra grandi e piccoli, che danneggiati e diroccati per il lungo tempo d’incuria e per i bombardamenti, ogni giorno più franano e cadono in rovina; due salti d’acqua generanti energia idraulica corrispondente a duecento cavalli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere come intenda provvedere – di fronte alla tanto sbandierata autonomia comunale – nei confronti dei bilanci comunali, che sono strettamente vincolati e controllati nel procurarsi le entrate, ma non sono liberi di adeguare ad esse le spese; e se non reputi l’autonomia comunale incompatibile con provvedimenti di imperio emanati dal Governo, sui quali ai comuni non è neppure consentito interferire. Ad esempio, ed in particolar modo:

«Nell’approvare il bilancio preventivo per il 1946 molti comuni chiesero allo Stato un contributo integrativo per sanare i disavanzi precedenti, o quanto meno per pagare gli interessi passivi. Lo Stato lo negò nella considerazione che si sarebbe trattato di oneri eccedenti l’ordinaria amministrazione da fronteggiare con introiti straordinari, come se l’escogitare questi fosse cosa agevole, e come se quegli oneri non fossero residui passivi di precedenti bilanci per cui il contributo era riconosciuto e promesso. Non pochi comuni cercarono allora di risolvere il loro problema finanziario con i loro mezzi, e vi sarebbero probabilmente riusciti almeno in parte, specialmente imponendo taluni tributi su prodotti del comune, a’ sensi dell’articolo 41 del decreto-legge luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62. Ma quando detti tributi furono approvati dal competente Ministero e la situazione sembrava farsi più rosea, il Governo col decreto legislativo 25 ottobre 1946, n. 263, articolo 10, aumentò in maniera sensibilissima gli stipendi dei segretari comunali, per di più coll’ormai usuale effetto retroattivo al 1° settembre 1946, e praticamente anche degli altri dipendenti per evidenti ragioni di parità di trattamento; e le autorità statali periferiche ebbero cura di precisare che ciò dovevasi fare senza ricorrere a richieste di contributi statali. Ora è manifesto che, essendo i tributi sui prodotti del comune stati limitati allo stretto indispensabile, essi non erano più sufficienti a fronteggiare i nuovi oneri. A fine dello scorso novembre inoltre alcune Prefetture precisarono che gli oneri per il passato assunti dallo Staio e relativi agli emolumenti degli addetti ai servizi annonari non avrebbero potuto superare una cifra fissata per contingente e per ogni comune: e ciò a malgrado che il contingentamento avesse effetto fin dal semestre decorso e fosse stato annunciato cinque mesi dopo il suo inizio. Questo importa una maggior spesa per i comuni, dovuta al fatto che lo Stato non ha tenuti fermi i suoi impegni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se gli consta che nel clima fascista, subito dopo la marcia su Roma, nacque l’idea della spartizione del Trentino fra le provincie di Brescia, Verona, Vicenza e Belluno; la prima delle quali doveva ingrandirsi annettendo la Valle del Chiese; la seconda coll’annessione dei circondari di Rovereto, Ala e Mori; la terza comprendendo nei suoi confini l’Altipiano di Lavarone e le Alpi di Caldonazzo, Levico e Grigno e tutta la Valsugana fino ai laghi di Caldonazzo e di Levico; la quarta includendo nel suo territorio Ampezzo, Livinallongo e Primiero; che in particolare Vicenza voleva estendere il proprio confine alle sorgenti dell’Astico, onde comprendere nello stesso le sette montagne di Folgaria e aumentare di altrettanto il patrimonio del comune di Lastebasse, accampando il motivo che dette montagne erano state conquistate col sangue dei nostri soldati, mentre l’Austria le aveva usurpate a danno di Lastebasse e della Repubblica di Venezia; se è a sua conoscenza che il regime fascista, quantunque tirannico e violento, mai si azzardò di correggere il confine a danno di Folgaria, la cui causa fu difesa personalmente anche da quel principe vescovo di Trento monsignor Endrici, che fu internato dall’Austria per aver difesa la sua Diocesi dalle sopraffazioni pangermaniste; se gli è noto infine che nel gennaio ultimo scorso si verificava a danno delle selve di Folgaria un saccheggio di legname del valore di oltre mezzo milione da parte di una banda di Lastebassesi, mentre la benemerita e le guardie forestali, facendo l’intero loro dovere, intervennero con arresti e denuncie e sequestri di refurtiva; se non gli risulta evidente essere sommamente inopportuno che l’autorità politica si adatti a disseppellire e decidere riguardo a controversie già decise e passate in giudicato da secoli, specialmente quando l’intervento dell’autorità politica è invocato da una sola parte per ostacolare e rendere vana l’azione del tribunale ordinario o per giustificare l’offensore a danno dell’offeso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e delle finanze e tesoro, per sapere se non intendano prendere provvedimenti in favore di quei capi famiglia che, avendo raccolto bambini (orfani o meno) in tenera età, allevandoli ed educandoli come figli con notevoli sacrifici, facendo assegnamento sul loro aiuto negli anni della vecchiaia, nel caso in cui uno di tali giovani sia poi deceduto in servizio di guerra, non hanno la possibilità di ottenere un qualsiasi sollievo materiale da parte dello Stato, in quanto l’attuale legge sulle pensioni di guerra ha abolito la figura dell’allevatore, riconosciuta invece ed applicata dalla legislazione del 1918. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Garlato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per richiamare la sua attenzione sul caso del signor Pisani Leonardo, in servizio presso la Casa di cura di Cipressa fin dal 1936, il quale nel 1941 fece domanda alla Direzione generale dell’I.P.S. (Servizio G.C.C.), per ottenere l’inquadramento tra il personale subalterno; ma la sua domanda fu respinta dalla Direzione generale, perché egli «non era iscritto al partito nazionale fascista». Successivamente, dopo la liberazione, il Pisani rinnovò la sua istanza, caldamente sostenuta dal Direttore della Casa di cura, che lo definiva «ottimo elemento»; ma la Direzione generale respinse il suo esposto, con lettera n. 11991, del 6 aprile 1946, perché a quella data egli aveva superato l’età massima prevista dalle vigenti disposizioni regolamentari. Né ulteriori istanze della Direzione della Casa di cura ottennero che si facesse diritto alla richiesta di quel valentuomo, vittima di una iniqua disposizione fascista.

«Ciò premesso, l’interrogante chiede all’onorevole Ministro se, fra le numerose disposizioni di indulgenza emanate a favore degli antichi gerarchi del fascismo, non se ne possa comprendere una a favore di chi fu e – a quanto pare – resta reo di non volere iscriversi al partito fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in seguito agli avvenimenti occorsi a Galatina il giorno 3 febbraio 1947 ed al comportamento che nel fatto ha tenuto il Procuratore dello Stato della Procura di Lecce.

«Il giorno tre febbraio, alle ore 15, alcune tabacchine all’uscita dallo stabilimento Fedele in Galatina venivano aggredite da elementi estremisti e ridotte in gravi condizioni, tanto che le responsabili dell’aggressione erano, in seguito a mandato di cattura, tradotte in carcere a Lecce.

«Pochi giorni dopo, il segretario provinciale della Camera del lavoro di Lecce, indiceva un comizio, alla fine del quale si recava dal Procuratore dello Stato e, minacciandolo di rappresaglie, lo costringeva a rilasciare le detenute. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga possibile e opportuno che si ammettano i danneggiati di guerra alla liquidazione immediata di congrui acconti mediante una corrispondente assegnazione di titoli del Prestito della ricostruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Spallicci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri di grazia e giustizia e delle finanze e tesoro, per sapere se nello stato di disagio diffuso tra i magistrati, i quali si dibattono nelle strettoie di un trattamento veramente intollerabile, non creda il Governo di adottare provvedimenti urgenti, atti a far cessare una situazione così penosa, il cui prolungarsi verrebbe ad aggravare il disservizio giudiziario. Si annuncia, infatti, una legge che darebbe facoltà ai magistrati che non intendessero prestare il nuovo giuramento, di poter chiedere la liquidazione di quiescenza a condizioni favorevoli. Essi si troverebbero, quindi, indotti a profittare di tale circostanza per lasciare l’ufficio e dedicarsi ad una congrua attività professionale, più giustamente rimunerativa; mentre un ulteriore esodo di magistrati inciderebbe sulla crisi già preoccupante dell’Amministrazione della giustizia.

«In vista, dunque, di tale pericolo, occorre non frapporre indugi nel restituire la tranquillità ai magistrati, consentendo loro di svolgere con la dovuta serenità il proprio delicatissimo ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se risponde a criteri di giustizia ed all’interesse dello Stato il ricollocamento in congedo dei finanzieri richiamati i quali hanno prestato servizio con diligenza ed onore in difficile periodo; mentre contemporaneamente si provvede all’arruolamento di nuovo personale privo di addestramento.

«Candela».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 17.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Svolgimento di interpellanze.

VENERDÌ 14 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXVII.

SEDUTA DI VENERDÌ 14 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TUBINI

INDICE

Sul processo verbale:

Presidente                                                                                                        

Nobile                                                                                                               

Codacci Pisanelli                                                                                            

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio:

Presidente                                                                                                        

Benedettini                                                                                                      

Di Vittorio                                                                                                       

Russo Perez                                                                                                     

Finocchiaro Aprile                                                                                         

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale                                        

Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro                                                         

Gronchi                                                                                                            

La seduta comincia alle 15.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Nobile. Gli ricordo che è concessa la parola sul processo verbale per proporre una rettifica; per chiarire o correggere il proprio pensiero; per fatto personale. Non si deve quindi fare un discorso.

L’onorevole Nobile ha facoltà di parlare.

NOBILE. Non ho nessuna intenzione di fare discorsi, onorevole Presidente; desidero soltanto rettificare un’osservazione fatta alla chiusa della sua esposizione dall’onorevole Cingolani, affermazione che mi riguarda personalmente.

Egli, come si rileva anche dal resoconto sommario, asserì che io avrei avuto le notizie da informatori clandestini. Desidero assicurare l’onorevole Cingolani di non avere informatori clandestini.

In seguito l’onorevole Cingolani mi spiegò che si riferiva ad un giornale, «L’Ala libera» che qualificò clandestino. Ma «L’Ala libera», non è un giornale clandestino: è stato tale quando esserlo era un onore, oggi non lo è più. Questo giornale è tanto poco clandestino che lo stesso Ministro, onorevole Cingolani, gli concesse un’intervista ed è da questa intervista che ricavai alcune frasi che ho comunicato all’Assemblea. Altre notizie ho rilevate da bollettini e da altri documenti ufficiali.

D’altra parte desidero dire che, quando voglio avere notizie, sono solito recarmi direttamente negli uffici a chiederle, perché è mio diritto, come deputato, ottenere le informazioni che mi occorrono per il disimpegno del mio mandato; e credo che sia dovere darmi queste notizie. Questo è quello che volevo dichiarare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Codacci Pisanelli. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Solo per un chiarimento, in relazione all’interpellanza discussa ieri.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha ritenuto, forse, che vi fosse eccessivo spirito di regionalismo in quelle richieste ed ha fatto presente che l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha il carattere di un’azienda industriale, la quale deve provvedere, innanzitutto, a raggiungere i propri scopi che sono scopi economici, senza poter svolgere compiti di assistenza, quali sarebbero quelli di far compiere determinate coltivazioni in zone inadatte.

A questo proposito, voglio precisare che la mia richiesta era ispirata ad un principio di cui tutti sentono l’esigenza: cioè che anche nell’industria non si possono tenere sempre presenti i principî dell’economia liberista e, come si pretende che gli industriali tengano alle loro dipendenze operai, bloccando i licenziamenti, così era mia intenzione confermare la necessità che l’Amministrazione dei monopoli dia il buon esempio non realizzando in questo momento principî di economia, che sarebbero dannosi per un larghissimo numero di lavoratori del Salento.

E questo mi sono permesso di far presente, anche per tener conto della esigenza attuale di non utilizzare per il tabacco le terre da cui può venire il grano, ma quelle terre che altrimenti rimarrebbero improduttive, sacrificando – se mai – i fumatori. Questi, come per gli anni passati, dovranno contentarsi di una qualità di tabacco non eccessivamente buona, per evitare che in un periodo in cui non vi è valuta per acquistare il grano e i grassi all’estero si spendano milioni di valuta pregiata per acquistare dall’estero proprio il tabacco, prodotto voluttuario.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Comunico che, in seguito ad accordi presi nei rispettivi gruppi, una gran parte degli iscritti a parlare – che sono ancora sessanta – ha l’intenzione di rinunziare alla parola. Comunque avverto gli onorevoli colleghi, che eventualmente dovessero leggere i loro discorsi, che il regolamento pone un limite di 15 minuti di tempo per la lettura dei discorsi stessi.

È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Onorevoli colleghi, nelle sue dichiarazioni relative al programma del Governo, l’onorevole De Gasperi ha affermato che il Governo considera, come suo naturale dovere, quello di fare opera di consolidamento e, quando occorra, di difesa del regime repubblicano.

Dico subito che se questa opera di consolidamento e di difesa sembra naturale, è vero in modo pregiudiziale che proprio la maniera secondo la quale tale opera viene svolta può dare luogo a provvedimenti legislativi profondamente antidemocratici, perché violatori della libertà fondamentale dell’individuo e del popolo.

In 80 anni di vita italiana sotto la monarchia non si è mai inteso parlare di leggi di consolidamento della monarchia stessa. (Commenti a sinistra).

Consolidare vuol dire rafforzare, il che fa supporre che l’attuale Repubblica non si senta pertanto affatto consolidata, per cui si rendono necessarie queste previste disposizioni di legge.

Come monarchico prendo atto di tale esplicita dichiarazione e non posso non constatare che non è per colpa nostra se tale dichiarata debolezza si rilevi in modo tanto importante da richiamare particolari provvedimenti del Governo. Io invito perciò, al principio di queste mie osservazioni, l’onorevole De Gasperi ed il Governo a non dimenticare il modo col quale si è svolto il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (Rumori a sinistra); quel referendum che ha generato quella debole Repubblica che oggi si deve cercare di consolidare con opportuni provvedimenti. Invito a non dimenticare in qual modo l’esito ambiguo e oscuro di quel referendum fu proclamato e a non dimenticare, ma a tenere sempre presente, che quel referendum, comunque svoltosi, anzi malgrado il suo poco chiaro svolgimento, testimoniò che circa 11 milioni di italiani avevano votato a favore della monarchia. (Commenti a sinistra).

Prego l’onorevole Presidente del Consiglio ed il suo Governo di tenere sempre presente, in ogni atto del regime repubblicano, che quegli 11 milioni di monarchici già nel giugno del 1946 erano certamente molto più di 11 milioni (Rumori a sinistra) e che essi in questi sette mesi, per vari motivi, sono non diminuiti, ma aumentati di numero. (Interruzioni Commenti – Rumori a sinistra).

Un regime veramente democratico, sia esso repubblicano, come quello degli Stati Uniti d’America, o monarchico come quello della Gran Bretagna ed Irlanda, non può, non deve dimenticare queste realtà di fatto se vuole mantenersi nei limiti della onestà, legalità e della vera democrazia. Non può e non deve dimenticarlo, non solo perché la democrazia, sanamente intesa, significa rispetto assoluto della minoranza, ma anche perché questo rispetto deve essere ancora maggiore, quando questa minoranza reale è pari ad una maggioranza virtuale. (Rumori a sinistra).

Mi sia permesso di notare, fra parentesi, che l’elogio dell’onorevole Romita, tessuto dall’onorevole Labriola in quest’Aula tre giorni fa a proposito dell’esito del referendum, e quindi del nascere della Repubblica in Italia, è stata una gaffe diplomatica che fa nascere leciti dubbi sulla legalità della Repubblica italiana, e sull’opera svolta dall’onorevole Romita, Ministro dell’interno, durante il referendum. (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Chiudo la parentesi e vengo ad esaminare le successive dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi. Egli ha precisato che contro i funzionari che venissero meno al giuramento, basterà applicare le sanzioni previste dalla legge sullo stato giuridico degli impiegati e applicare ai funzionari che si rifiutassero di prestare giuramento un trattamento che potrebbe essere analogo a quello della legge sulla smobilitazione delle forze armate.

Onorevoli colleghi, io credo che se per un momento mettiamo da parte le nostre personali convinzioni sulla Repubblica o sulla Monarchia, se per un momento solo cerchiamo di interpretare lo spirito e le esigenze della democrazia e della libertà, non potremmo fare a meno di riconoscere che un tale provvedimento è quanto mai ingiusto, antidemocratico e violatore di libertà. A parte il fatto che esso non dovrebbe mai colpire dei funzionari che iniziarono la loro carriera prima dell’avvento della Repubblica, è quanto mai ovvio che siffatto provvedimento per la sua coercizione limita e viola la libertà politica dell’individuo. E tutto ciò senza entrare in merito al valore intrinseco dei giuramento stesso. Giuramento di fedeltà alla Repubblica: a quale Repubblica, se essa ancora non è definita? (Rumori – Interruzioni).

Giurare fedeltà al Capo della Repubblica senza peraltro ancora conoscere quali saranno i poteri che saranno a lui conferiti, e senza che egli ancora abbia a sua volta giurato fedeltà alla Costituzione?

Che valore possono avere delle formule svuotate del loro contenuto morale? Si ricordi che l’ufficiale, che era legato da un giuramento al re ed alla Patria, fu dal sovrano prima della sua partenza per l’esilio, sciolto dal giuramento verso di lui, ma non da quello verso la Patria. Ed allora, se il giuramento fatto alla Patria all’atto dell’inizio della propria carriera ha tuttora valore morale, perché costringere l’ufficiale a farne un altro alla Patria? E se a quel primo giuramento non si dà più nessun valore, come si può pretendere di dare valore ad un secondo imposto con forma coercitiva?

Un giuramento coatto è di valore nullo e non dura, un giuramento scelto per libera vocazione è di valore infinito ed è eterno. Prova ne sia il comportamento degli stessi ufficiali fedeli alla monarchia dopo l’8 settembre 1943 e specie dopo il 2 giugno 1946; essi seppero, come sapranno, per il bene supremo della Patria, in obbedienza agli ordini, far tacere i loro intimi sentimenti. L’ufficiale è soldato; ed i soldati non sono né fascisti né comunisti, né rossi né bianchi, né monarchici né repubblicani. Sono soldati d’Italia, sempre al servizio del loro Paese. (Approvazioni a destra – Interruzioni – Rumori a sinistra).

Una voce. E Graziani cosa era?

BENEDETTINI. Ma io mi chiedo: ammesso che un funzionario abbia giurato fedeltà alla Repubblica, può esso appartenere a un partito monarchico e può votare per questo? Se quel giuramento dovesse vincolare, impedire, sopprimere questa fondamentale libertà degli individui e nella fattispecie dei funzionari dello Stato, implicitamente esso spingerebbe i partiti monarchici e la Unione monarchica italiana, che è una associazione apartitica, a essere formati da elementi che il Governo repubblicano non esiterebbe a qualificare «sovversivi». Così che, per ironia del caso, noi avremmo questo assurdo che le forze monarchiche definite forze dell’ordine…

Una voce. Di quale ordine?

BENEDETTINI. …e reazionarie, si muterebbero di punto in bianco in forze sovversive.

Ma a parte queste considerazioni, non si può dimenticare che l’imposizione del giuramento, contro la quale io protesto, certo di interpretare il sentimento unanime di tutti i monarchici d’Italia, indipendentemente dai partiti cui essi appartengono, questa imposizione mette migliaia e migliaia di padri di famiglia nella dura condizione di prestare un giuramento contro la propria coscienza, contro la propria convinzione (Rumori a sinistra), perché, quando si attraversano periodi tempestosi e duri e minacciosi come quelli che noi viviamo, un padre di famiglia non può, per la propria preferenza istituzionale, permettersi il lusso di gettare la propria famiglia in una miseria ancora più dolorosa di quella nella quale oggi già vive. Da ciò si deduce che il giuramento che il Governo della Repubblica oggi pretende dai suoi funzionari è coartato, non è frutto di due volontà veramente libere e quindi esso è inficiato alla sua base, come ogni costrizione più o meno legalizzata dal potere, anzi dal prepotere politico.

E veniamo all’altra dichiarazione del Presidente del Consiglio. Egli ha precisato che «le istituzioni repubblicane e le libertà democratiche troveranno un’adeguata protezione nell’aggiornamento e, rispettivamente, nella riforma degli articoli 270, 274, 275, 279 e 290 del Codice penale, libro II, titolo I, nel richiamo in vigore, entro certi limiti opportunamente aggiornati del decreto legislativo 23 aprile 1945, n. 195, e nell’applicazione del decreto legislativo 26 aprile 1941, n. 149». Semplici parole e semplici citazioni di articoli sono questi, onorevole De Gasperi; ma qui si tratta di vedere, di sapere, di discutere come si intenda riformare quegli articoli del Codice e come si intenda aggiornare opportunamente quei decreti. Se noi stiamo in quest’aula quali rappresentanti del popolo, non dobbiamo dimenticare che l’opinione pubblica c il popolo, quel popolo tanto beffato e dimenticato, sa che in questi ultimi tempi, con la scusa dell’antifascismo, si sono mantenute in vigore le peggiori leggi fasciste, come quella del confino, e – contro ogni principio giuridico – si è persino arrivati ad ammettere la retroattività della legge. Bisogna intendersi sulla riforma di quegli articoli e sugli opportuni aggiornamenti di quei decreti; bisogna che la Costituente ne discuta e che il popolo sappia di che si tratti, per non far trovare domani il Paese e il popolo di fronte a un fatto compiuto che – con l’attenuante dell’antifascismo prima e del consolidamento della Repubblica poi – si risolva in un insieme di leggi e di decreti polizieschi e liberticidi degni di regimi totalitari e dittatoriali.

Una voce a sinistra. Ma se sono tutti in libertà i fascisti!

BENEDETTINI. Il Presidente De Gasperi ci ha detto inoltre che, da varie parti, si sollecita un regolamento della stampa. Precisiamo la verità a tal riguardo. Da una parte, c’è gente libera che vuole la libertà di stampa senza che essa degeneri in immorale pornografia; da un’altra parte c’è gente che, sempre con la scusa dell’antifascismo, vuol soffocare la libertà di stampa. Questa parte è chiaramente individuabile e individuata. Oggi, in Italia, chi non è favorevole alle ideologie social-comuniste è giudicato dai partiti di sinistra come reazionario, monarchico e neofascista. Ed è per questo che sento il dovere di denunciare dinanzi a questa Assemblea che qualche giornale chiaramente antitotalitario e anticomunista è stato sequestrato o soppresso per apologia di fascismo o per neofascismo, quando il fascismo era criticato da quei fogli proprio nella parte condannabile e condannata. Precisiamo una volta per sempre che, quando si condanna il fascismo, di esso non si condanna che una sola cosa, dalla quale tutte le altre derivano: cioè il regime totalitario che significa dittatura, soppressione delle libertà di pensiero, di associazione, di parola, di stampa e quindi regime liberticida e poliziesco, regime che mira a soffocare le fondamentali libertà di un popolo. (Rumori a sinistra). Ma ora guardiamoci bene dall’instaurare un regime di stampa che, per impedire il ritorno del fascismo, per consolidare e difendere la Repubblica, ricorra all’applicazione di quelle leggi sulla stampa che furono, sono e saranno in uso in tutti i Paesi antidemocratici, in tutti i governi tirannici, in tutti i regimi totalitari e dittatoriali. La libertà è libertà ed essa va difesa e non soppressa con la scusa di difenderla.

Certo, questi miei timori e queste prevenzioni non li avrei espressi se l’attuale Governo non fosse stato frutto di un lungo, laborioso e difficile parto. Parto risoltosi in un nuovo compromesso fra i tre partiti di massa.

Ma qui tutti ricordano che i social-comunisti posero come prima condizione della loro collaborazione al Governo precisamente il consolidamento e la difesa della Repubblica, realizzabile con il soffocamento della stampa e dei possibili conati monarchici, reazionari e neo-fascisti. E poiché, come ho già detto, per i partiti di sinistra chi non è con loro è reazionario e fascista, è facile intendere dove quella loro pregiudiziale voglia giungere.

Una voce a sinistra. Le fa comodo la libertà!

BENEDETTINI. Ma proprio perché noi comprendiamo il portato di quella pregiudiziale, oggi ci schieriamo in difesa della libertà che è minacciata.

Molti, molti desiderano sapere a quali condizioni sia stato raggiunto il compromesso fra i tre partiti al Governo, ma molti, molti sono coloro che non sono disposti a subire delle leggi capestro che offendano la nostra libertà e la nostra dignità di uomini liberi. (Interruzioni, proteste all’estrema sinistra).

PERTINI. Perché non avete difeso la vostra dignità sotto il fascismo?

BENEDETTINI. Pertanto, si prendano pure le misure che il Governo ritiene naturali per il consolidamento e la difesa della Repubblica, ma non si tenti con questo di ridurre nuovamente in ceppi il popolo italiano.

Non si violino le sue fondamentali libertà democratiche con la scusa di difendere la democrazia. (Vivaci Interruzioni – Rumori a sinistra).

PERTINI. Siete stati i servitori del fascismo!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, fo appello al loro senso di tolleranza; loro sono i più (Accenna alla sinistra) e non devono dimostrare che col numero vogliono sopraffare la libertà di parola. (Applausi a destra).

All’onorevole Benedettini ricordo che all’inizio della seduta ho raccomandato di attenersi al regolamento, il quale limita a 15 minuti la lettura dei discorsi. In questo momento devo rinnovare la raccomandazione per dovere d’imparzialità. Quindi, prego l’onorevole Benedettini di concludere.

BENEDETTINI. Non si approfitti di questo momento di miseria per ridurlo, con nuove misure poliziesche, in schiavitù.

Io, monarchico, devo far presente a questa onorevole Assemblea che gli undici milioni di monarchici italiani, pur sapendo in quale clima si è svolto il referendum, hanno dato al Paese una prova esemplare di disciplina. Essi hanno così mostrato quanto possente sia il loro attaccamento, la loro devozione alla Patria. Essi hanno mostrato che la Repubblica non può temere da parte loro colpi di testa e azioni armate, sebbene la fantasia e la malafede di alcuni giornalisti militanti in determinati partiti creino di tanto in tanto notizie assurde al solo fine di giustificare, di fronte all’opinione pubblica, la richiesta di provvedimenti e di leggi per il consolidamento e la difesa della Repubblica, consolidamento e difesa di cui nessuno fin’ora ha sentito il bisogno, perché nessuno ha mai pensato di attentarne la vita.

Milioni di monarchici italiani, divisi nei vari partiti, ma uniti nell’Unione monarchica italiana, che è, come ho detto, associazione apartitica, non conoscono e non amano che le vie legali, quelle della democrazia. Ma proprio per questo, ne sono certo, essi non consentirebbero né oggi, né mai che un qualsiasi Governo attentasse alle libertà fondamentali cui essi hanno diritto. Un Governo che con la scusante del consolidamento e della difesa della Repubblica minacciasse la piena libertà dei monarchici, quel Governo sarebbe reo d’aver scavato un pericoloso abisso fra gli italiani, e vedrebbe gravare su sé tutte le responsabilità delle non prevedibili conseguenze.

E perciò mi auguro che l’opera che il Governo De Gasperi vuole intraprendere per consolidare e difendere la Repubblica si ispiri ai principî della vera democrazia, della vera libertà.

Poiché solo in tal modo, anche con la Repubblica, si può servire e si serve la Patria: l’Italia.

Bisogna ispirarsi a quei principî di democrazia e di libertà che sotto la monarchia consentirono ai repubblicani di instaurare la Repubblica.

Ecco perché assolutamente antidemocratico e liberticida è quell’articolo del progetto di Costituzione secondo il quale la forma repubblicana non può essere oggetto di un procedimento di revisione della Costituzione stessa. Questo significa limitare, sopprimere la libertà del popolo. (Interruzioni – Rumori a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, ne parleremo a suo tempo.

BENEDETTINI. Bisogna ispirarsi a quei principî di democrazia e di libertà che nel 1920 consentirono ai social-comunisti di restar seduti in questa stessa aula quando vi entrò Sua Maestà Vittorio Emanuele III (Rumori a sinistra) e di uscirne al canto di «Bandiera Rossa» prima che il Sovrano pronunciasse il suo discorso. (Rumori).

E proprio rivendicando quella piena libertà monarchica, io, certo di interpretare il sentimento degli 11 milioni di monarchici, concludo con il grido di «Viva il re!». (Applausi a destra – Vivi rumori a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Di Vittorio. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, dico subito che approvo nel complesso le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, e desidero fare alcune osservazioni specialmente sulla politica economica enunciata dal Governo.

È stato già osservato che le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, relative alla politica economica e sociale del Governo, sono troppo limitate, troppo vaghe, nonostante il chiaro riferimento, almeno tendenziale, al programma del passato Governo.

Io dico la verità: non sono preoccupato della limitatezza o della vaghezza delle dichiarazioni del Governo in questo campo; sono preoccupato più della loro possibilità di realizzazione, perché in verità a tutti i Governi che si sono succeduti dalla liberazione in poi del nostro Paese non sono mancati buoni programmi e buone intenzioni.

Ciò che è mancato, specialmente in questo campo, è stata la capacità di realizzazione. Socialmente nei suoi aspetti sociali, si può dire che l’azione del Governo è stata ed è praticamente nulla. Tant’è che io credo che se invece di discutere il programma dovessimo discutere un bilancio preventivo o consuntivo dell’attività del Governo, il Governo stesso si troverebbe molto imbarazzato a presentarlo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Quell’altro Governo! Non sarà tutta mia la colpa!

DI VITTORIO. Bisogna però dire che il nuovo metodo introdotto dall’onorevole De Gasperi di determinare le crisi, esenta il governo dal presentare all’Assemblea un bilancio consuntivo della propria attività, e limita il nostro potere a discutere soltanto sulle buone intenzioni che si annunciano invece che sull’azione che è stata svolta.

Intendo discutere uno dei vari aspetti di questo problema, che credo sia il più grave e il più angoscioso per il popolo italiano e per tutta la nostra vita nazionale: il problema del carovita. È un problema difficile, complesso; è un problema per la soluzione del quale non basta la buona volontà. È evidente che non si possono fare miracoli; bisogna contare sulle possibilità concrete, reali. Tuttavia, signori, sono fermamente convinto che anche in questo campo un’azione armonica, concreta, decisa del Governo avrebbe potuto apportare almeno alcuni risultati. Invece non siamo stati capaci di opporre la minima diga al dilagare dell’aumento dei prezzi e del costo della vita. È un fatto questo che determina un aggravamento incessante delle condizioni di vita dei lavoratori, che sono già gravissime in tutta Italia, e crea delle ingiustizie che sono intollerabili, e non dovrebbero essere tollerate in uno stato veramente democratico e repubblicano.

Grazie all’aumento incessante dei prodotti alimentari e anche non alimentari più indispensabili alla popolazione, e dato il fatto che il nostro Paese non dispone che di una piccola quantità dei prodotti più pregiati per la popolazione, che cosa accade? Che questi prodotti sono quasi completamente monopolizzati, accaparrati e consumati dai ceti ricchi, mentre i lavoratori, stipendiati e salariati, e tanto più i disoccupati, non hanno la minima possibilità di attingere ad essi. Per cui il nostro Paese oggi lo si può ben definire in questo campo un Paese eccezionale: è il Paese in cui vi è la maggiore libertà di commercio, il Paese meno cicolista d’Europa e di una parte importante del mondo; il Paese dove, se si eccettua l’ammasso teoricamente totalitario dei cereali qualificati, l’ammasso parziale, e sempre più parziale, dei grassi, e quella regolamentazione del latte che noi conosciamo, per tutto il resto vi è la più assoluta libertà. Il mercato nero è diventato il mercato legale, e lo si chiama oggi il mercato libero. Mentre in altri Paesi i possidenti, i ricchi, i gaudenti, che volessero procurarsi anche delle leccornie, sono costretti, malgrado le loro ricchezze, a rischiaro qualche cosa – e qualche volta anche di andare in galera – in Italia i gaudenti possono insolentire ogni giorno alla miseria atroce di cui soffre la grande maggioranza del popolo. (Applausi a sinistra).

E perché succede questo? Perché in Italia vi è una forte pressione delle classi privilegiate perché si segua una politica economica liberista. In Italia il popolo, votando in grande maggioranza per i partiti di massa, per i partiti che sono al Governo, ha voluto votare per una politica, anche economica e sociale rispondente ai bisogni della grande maggioranza, ai bisogni cioè della parte più povera della popolazione.

In realtà, la politica economica che segue il nostro Governo, specialmente in questo campo, è la politica dell’onorevole Corbino. Comprendo bene che l’onorevole Corbino non sia molto malcontento della politica che si segue e non sia stato nemmeno molto malcontento delle dichiarazioni che in proposito ha fatto l’onorevole De Gasperi.

Signori, io credo che bisogna cambiare strada per evitare che i migliori, i più pregiati, i più indispensabili prodotti di cui può disporre il nostro Paese continuino ad essere monopolizzati soltanto dalla parte ricca della nazione, a detrimento di tutto il resto del popolo. Non vi è che un mezzo veramente efficace, e questo mezzo non è il calmiere, non sono le grida, non sono i decreti e gli artifizi coi quali si vogliono diminuire i prezzi di prodotti che sono stati già comperati a prezzo elevato, ma è l’allargamento del tesseramento a tutti i generi indispensabili al popolo. E bisogna che il tesseramento non sia limitato soltanto ai prodotti agricoli.

Sono d’accordo, in certo senso, con alcune dichiarazioni che ha fatto in questa Camera l’onorevole Bonomi, quando ha protestato contro il fatto che vi sono dei vincoli anche severi, sia pure limitati, su alcuni prodotti, esclusivamente per l’agricoltura, mentre ne sono esentati i prodotti industriali, che pure sono indispensabili alla popolazione. Questo non è giusto. Bisogna allargare il tesseramento ai prodotti tessili, alle calzature, a tutti gli altri prodotti che sono di larghissimo ed indispensabile consumo popolare.

Perché questo non si vuole fare? Perché non si fa? Credo che non sia giusto dare la colpa di tutto ciò all’inefficienza di alcuni strumenti dello Stato per l’esecuzione di leggi tendenti ad allargare la regolamentazione della distribuzione di questi prodotti. Penso che uno Stato, a seconda del suo carattere, deve trovare e saper trovare la forza su cui poggiare per realizzare i suoi scopi. Uno Stato tirannico, assolutista, si appoggia su una forte polizia; uno Stato democratico e repubblicano, uno Stato popolare, si deve appoggiare sulle forze popolari. Se il Governo mostrasse maggiore fiducia nella collaborazione delle masse popolari, nel realizzare una politica favorevole ai bisogni più vitali del popolo, tutti i lavoratori italiani sarebbero felici di collaborare con entusiasmo per raggiungere questi fini, ed in tal modo il Governo troverebbe la forza sufficiente per realizzare una politica economica più rispondente ai bisogni del popolo ed ai bisogni di vita e di sviluppo della Nazione.

Bisogna allargare il tesseramento, perché quando si pretende dai contadini che diano tutti i loro prodotti, ad un determinato prezzo, allo Stato, per distribuirli a prezzi controllati e accessibili al popolo, e si permette invece agli industriali tessili, agli industriali del pellame, delle calzature, dell’industria chimica, dell’industria vetraria, di realizzare tutti i profitti che vogliono, approfittando della situazione particolare del mercato interno e del mercato internazionale, si compie un’opera che non è giusta. Ma perché lo Stato non dovrebbe obbligare gli industriali cui ho accennato, i quali realizzano profitti molto larghi, e che, nella situazione economica generale del Paese, si potrebbero definire scandalosi, a cedere una parte dei tessuti, una parte delle pelli e delle calzature, una parte dei concimi per offrirla alla popolazione operaia e impiegatizia, ai contadini, a prezzi controllati e corrispondenti a quelli che lo Stato impone per i prodotti agricoli ai contadini? È evidente che questo offenderebbe alcuni consolidati privilegi di determinati strati della plutocrazia industriale; ma noi pensiamo che in uno Stato democratico e repubblicano bisognerebbe avere il coraggio ai subordinare gli interessi particolari, anche se legittimi, di determinati gruppi, specialmente dei ceti più privilegiati e quindi più fortunati, agli interessi generali e vitali della grande maggioranza del popolo ed allo sviluppo della Nazione.

Penso che bisogna cambiare rotta e bisogna in questo campo allargare il tesseramento, come unico mezzo per riuscire ad assicurare ai lavoratori a basso salario, ai disoccupati, ai reduci, ai pensionati, cioè alla parte più povera della Nazione, parte dalla quale dipende la ricostruzione del Paese, i prodotti di cui hanno bisogno a prezzi più ragionevoli.

Bisogna combattere con nuovi metodi contro il mercato nero. Possiamo dire che lo Stato italiano abbia condotto una lotta seria contro il mercato nero? Possiamo dire che si faccia questa lotta seria, quando si mandano squadre di poliziotti a gettare all’aria le bancarelle dei disgraziati che sono l’ultima ruota di questo carro, che è stato creato ed è mosso dai ceti possidenti più elevati? Bisogna risalire alla produzione, ai grandi accaparratori dei prodotti; bisogna fissare i prezzi di determinati prodotti destinati al mercato interno e indispensabili al popolo, alla produzione; e fissarli, onorevoli colleghi, non su basi capricciose, su basi esclusivamente politiche, ma su basi economiche, perché noi abbiamo bisogno di aumentare la produzione, e questo, è (ovvio), è il rimedio che può sanare tutto. Perciò dobbiamo stimolare la produzione e non possiamo obbligare nessun produttore a lavorare in perdita, non possiamo e non dobbiamo scavalcare nessuno. Ma, assicurato ai produttori un giusto ed onesto beneficio, bisogna stabilire quale deve essere il prezzo al quale, salvo la maggiorazione di spese vive, i prodotti devono essere distribuiti alla popolazione. Se non si vuole far questo, non si arriverà a dare un colpo al mercato nero.

Non si può dire che si combatte efficacemente il mercato nero con sanzioni severe di multe e anche di carcere; i margini di beneficio che assicura il mercato nero sono tali che queste minacce non costituiscono una remora effettiva. Bisogna risalire a una proposta che da anni è stata agitata dalla Confederazione del lavoro e presentata ripetutamente al Governo: bisogna giungere a confiscare le aziende produttive o commerciali degli speculatori sorpresi in flagrante delitto e assicurare la continuità della produzione e l’opera dell’azienda per mezzo dei Comuni e delle Camere del lavoro, o per mezzo dello Stato, o di enti di interesse pubblico, in modo che le aziende degli speculatori possano divenire uno strumento della collettività per sviluppare la produzione e far giungere ai consumatori i prodotti a prezzi ragionevoli ed economici.

Questo non lo si è voluto fare e non lo si fa, perché si teme di offendere i diritti sacri della proprietà capitalista. Voi vedete che in questa proposta non vi è nulla, assolutamente nulla, di rivoluzionario; nulla che voglia attentare al diritto della proprietà e sconvolgere le basi della società nazionale. Vogliamo soltanto stroncare la speculazione alla base, anche se per questo dobbiamo privare i proprietari di un’azienda che, nelle contingenze attuali del Paese, è d’interesse pubblico, della facoltà di servirsi di questa azienda per continuare ad arricchirsi, aggravando le sofferenze del popolo. È soltanto questo che noi vogliamo ottenere e se la nostra proposta fosse stata accettata due anni or sono, oggi lo Stato, i Comuni, potrebbero avere nelle proprie mani una serie di aziende industriali e commerciali, mediante le quali sarebbe possibile dare un colpo serio al mercato nero.

Del resto, per ovviare alle maggiori difficoltà che pone l’allargamento del metodo degli ammassi e quindi del razionamento, bisognerebbe anche per gli ammassi stabilire una differenziazione nella determinazione dei prezzi che lo Stato deve pagare ai produttori. Non è giusto, per esempio, che si paghino il grano e l’olio e gli altri prodotti allo stesso prezzo al contadino che deve ricavare dalla vendita del prodotto il sostentamento per la propria famiglia, il compenso del proprio lavoro, e al grande proprietario che vuole realizzare profitti favolosi, i quali costituiscono soltanto un aumento ingiustificato della rendita fondiaria parassitaria che grava sulla nazione. Come non è giusto che, per esempio, per far rientrare nelle spese, come si deve, il proprietario di terre della Sicilia, o della Sardegna, o delle Puglie, per cui bisogna pagare il grano o gli altri prodotti a quel determinato prezzo, si debba permettere a dei grandi proprietari di altre contrade dove, per un complesso di circostanze diverse, fra cui la maggiore fertilità naturale del suolo, si ha una produzione doppia o tripla, di realizzare profitti colossali sulla crescente miseria del popolo. Si devono praticare prezzi di ammasso differenti per i contadini coltivatori diretti e per i grandi proprietari che ne ricavano una doppia rendita, per le regioni più povere e dove il costo di produzione è più elevato, e per le regioni meno povere dove il costo di produzione è meno elevato. Occorre altresì un tesseramento preferenziale in favore dei lavoratori, in favore delle donne gestanti, in favore dei bambini, in favore dei pensionati. Oggi esiste questo razionamento, ma non nella misura che sarebbe necessaria per assicurare una esistenza tollerabile, nelle contingenze attuali, a queste categorie di cittadini che, per l’avvenire stesso della Patria, devono vivere nelle condizioni più tollerabili possibili.

Ma questo, ripeto, non si fa perché vi sono troppe pressioni, tendenti sempre ad evitare, a tutti i costi, che siano toccati determinati privilegi.

E qui, cari colleghi, si pone un problema di politica sociale, che è pregiudiziale per la ricostruzione del Paese e per la risoluzione di tutti gli altri problemi economici della nostra Nazione: è il problema del contenuto sociale della Repubblica. Capisco bene che questo problema, nelle sue linee essenziali generali, dovrà essere definito e risolto dalla nuova Carta costituzionale, che questa Assemblea è chiamata ad adottare. Però, il Governo avrebbe già dovuto cominciare a dare un certo contenuto sociale alla nostra Repubblica.

Il 2 giugno, contrariamente alla asserzione che faceva l’onorevole Benedettini un momento fa, la grande maggioranza del popolo italiano ha liberamente decretato la fine della monarchia e l’avvento della Repubblica in Italia. Ma l’avvento della Repubblica per il popolo italiano, per la grande massa dei lavoratori italiani, non può essere soltanto una manifestazione puramente politica. Questo ha la sua importanza intrinseca, ma non è sufficiente. La Repubblica – come ogni altro regime – è un contenente; bisogna vedere che cosa ci vogliamo mettere dentro. Finora, dopo la proclamazione della Repubblica, come contenuto sociale non ci si è messo nulla.

Le cose continuano ad andare come prima: alcune secondo la china d’un miglioramento; altre secondo la china del peggioramento. Nel campo economico-sociale non vi è stata nessuna innovazione di rilievo. Ebbene, se vogliamo cominciare a dare il contenuto sociale, che le masse popolari italiane attendono, alla nostra Repubblica, dobbiamo mettere in pratica alcuni principî generali, sui quali facilmente tutti o quasi tutti dovremmo essere d’accordo: per esempio – lo si è visto nelle discussioni in seno alla Commissione dei 75 – proclamare in astratto che la proprietà deve avere una funzione sociale nella società nazionale odierna è un principio sul quale siamo tutti d’accordo.

Una voce al centro. Tutti.

DI VITTORIO. Però, bisognerebbe cominciare ad attuare questo principio.

Cosa vuol dire che la proprietà deve avere una funzione sociale? Vuol dire questo. Se un grande mulino e un grande pastificio cede una parte, più o meno notevole, del prodotto avuto dallo Stato, al mercato nero, sottraendolo al popolo per farne oggetto di speculazione e di arricchimento, allora, applicando questo principio, la proprietà si deve togliere allo speculatore e dare alla società. (Commenti).

Sino ad oggi, onorevoli colleghi, si è fatto un po’ il contrario di questa politica, ed è perciò che noi domandiamo che il Governo interpreti con la maggiore concretezza possibile i passi della dichiarazione dell’onorevole De Gasperi relativi alla lotta per contenere i prezzi; che il Governo abbia il coraggio di prendere tutte le misure che l’esperienza dimostrerà veramente efficaci per non deludere più le aspettative del Paese, che attende dal Governo un’azione energica per stroncare la speculazione; e che intanto si prendano le misure per moltiplicare, nei grandi e medi centri urbani, i ristoranti popolari, per moltiplicare le mense aziendali, per moltiplicare in ispecie le aziende comunali e regionali, per potenziare le grandi cooperative di consumo, per facilitare gli scambi diretti tra collettività di contadini e collettività di lavoratori delle città, di impiegati, di tecnici, di lavoratori di ogni categoria. Si prendano tutte le misure necessarie per alleviare in tutti i modi possibili le grandi sofferenze dei lavoratori italiani. E se queste misure devono colpire determinati privilegi e determinati principî superati, relativi al diritto della grande proprietà capitalistica intesa nel senso quiritario, si abbia il coraggio di prenderle, perché è ciò che il popolo attende dal Governo democratico e repubblicano.

Lo stesso problema si pone per quanto concerne lo stimolo alla produzione. Noi siamo tutti d’accordo in un’affermazione contenuta nella dichiarazione dell’onorevole De Gasperi, cioè che la massima energia deve essere impiegata nell’aumento della produzione, sia per i bisogni interni, sia per i bisogni dell’esportazione.

Io so che i lavoratori italiani, e per essi la Confederazione generale italiana del lavoro, si sono impegnati con tutte le forze a portare il massimo contributo possibile allo sviluppo della produzione. I lavoratori italiani sono fieri di aver portato un contributo effettivo, efficace, al processo della ricostruzione del Paese in tutti i campi.

I lavoratori hanno rinunciato ad una cosa importante per essi: ad una vecchia posizione di principio sul lavoro a cottimo, e hanno accettato e accettano in tutte le categorie il lavoro ad incentivo, per contribuire ad aumentare la produzione, a ribassare i costi di produzione – problema nazionale fondamentale – senza però peggiorare, ma migliorando le condizioni dei lavoratori. Poiché bisogna combattere una mentalità deleteria, secondo la quale si dovrebbe tendere ad abbassare i costi di produzione mediante la corresponsione di salari miserabili ai lavoratori. No! Non sarebbe soltanto ingiusto; sarebbe un errore economico.

Una voce a destra. Non ci pensa nessuno.

DI VITTORIO. Si deve giungere ad abbassare al massimo i costi di produzione mediante l’intensificazione del lavoro, la migliore organizzazione del lavoro…

Una voce a destra. E gli scioperi?

DI VITTORIO. …mediante l’introduzione di nuovi metodi di lavoro; ma non si deve tendere ad abbassare i costi di produzione, abbassando la rimunerazione dei lavoratori. Con un proletariato a tenore di vita estremamente basso, si ha una massa di schiavi, non una massa di produttori intelligenti che possono far rinascere l’Italia, come farà rinascere l’Italia la classe operaia italiana insieme a tutti i lavoratori italiani.

Ma anche su questo terreno bisogna vedere l’aspetto sociale della questione. È giusto: dobbiamo tendere a sviluppare al massimo grado la produzione in tutti i campi, e dobbiamo per questo stimolare e incoraggiare l’iniziativa privata, perché noi stimiamo che nella situazione attuale del Paese bisogna fare appello a tutte le forze sane per ricostruire la nostra economia e far rinascere l’Italia. Però, possiamo noi contenere lo sviluppo della produzione esclusivamente nei limiti consentiti dall’iniziativa privata? Soltanto nei limiti cioè in cui il privato capitalista può trovare conveniente e profittevole l’investimento? Evidentemente no! Noi pensiamo che lo Stato democratico e repubblicano, senza mortificare in nulla l’iniziativa privata, anzi stimolandola al massimo grado e dirigendola, deve porsi in grado di sostituirsi all’iniziativa privata là dove essa risulti inoperante, là dove essa non può giungere. E oggi vi sono moltissimi campi in cui l’iniziativa privata non può giungere, e invece la società nazionale avrebbe moltissima convenienza a giungere. Faccio un esempio: la ricostruzione edilizia. La ricostruzione edilizia del nostro Paese è uno dei problemi più gravi della ripresa economica. Ebbene, perché la ricostruzione edilizia non ha lo slancio che dovrebbe avere e che è richiesto dal bisogno di milioni di famiglie prive di abitazione e dalla totalità degli italiani che sono condannati ad abitare in condizioni disagiate? È un’industria nella quale solo in parte si ha bisogno di materie prime che devono venire dall’estero.

In molti casi si ha tutto sul posto per costruire.

Una voce a destra. Manca il ferro!

DI VITTORIO. In molti casi abbiamo mano d’opera disoccupata che non fa che domandare lavoro; abbiamo le pietre, abbiamo la calce, abbiamo, in parte, il cemento; abbiamo altre materie che possono essere utilizzate per le costruzioni, e non si costruisce. Ci si può domandare meravigliati: perché? Perché questi disoccupati non possono utilizzare queste materie prime e mettersi a costruire una casa in cui abitare? Perché occorrono dei capitali e il capitalista privato non trova conveniente, dato il costo di produzione attuale, di investire il capitale nella costruzione.

Ora, se noi, per costruire, dobbiamo attendere che si verifichino in Italia automaticamente le condizioni per le quali ogni imprenditore privato troverà conveniente investire i propri capitali e avrà la garanzia del suo profitto, il processo della ricostruzione edilizia sarà ritardato di decenni e decenni.

Qui deve intervenire l’iniziativa dello Stato e lo Stato può, con mezzi propri e con mezzi che si procurerà in parte dalla stessa proprietà edilizia, che non è stata danneggiata, ma che, grazie alla guerra, è stata largamente valorizzata, dare impulso alla ricostruzione edilizia del Paese.

Io penso che non sia, onorevoli colleghi, da scartare a priori la proposta, già avanzata dall’Associazione degli inquilini e dalle organizzazioni sindacali, della costituzione di un Ente nazionale per la ricostruzione edilizia che attinga i suoi fondi, oltre che da un contributo dello Stato, dei Comuni, delle collettività, anche dalla proprietà edilizia e da alcuni aumenti di fitto che, a questo scopo, si potrebbero imporre per alcune categorie di inquilini. Lo Stato avrebbe così un mezzo per dare uno slancio maggiore alla costruzione edilizia, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno.

Ma anche qui non si vogliono toccare, da parte di troppa gente, alcuni interessi consolidati e non si vogliono intaccare alcuni princìpi di conservazione sociale che sono stati superati dal tempo e che saranno inevitabilmente travolti dal popolo italiano nel suo divenire, nella sua pacifica e libera evoluzione democratica.

Così, per il problema della disoccupazione. Nonostante un lieve, ma costante miglioramento della situazione economica generale, dell’indice della produzione, abbiamo ancora circa due milioni di disoccupati in Italia; reduci, lavoratori di ogni categoria, manuali ed intellettuali. Non possiamo ignorare questo problema, che deve essere legato a quello della ricostruzione del Paese.

Se noi applichiamo il principio di subordinare gli interessi particolari dei ceti privilegiati, dei ceti plutocratici e dei grandi agrari, agli interessi generali del popolo e del Paese, in tutti i campi della nostra attività economica, possiamo dare un grande impulso al lavoro di ricostruzione, poiché dare lavoro ai disoccupati non è soltanto un problema di lavori pubblici, onorevoli colleghi. I lavori pubblici sono un aspetto del rimedio che bisogna attuare, ed anche a questi lavori bisogna dare un piano organico. Io spero che il nuovo Ministro dei lavori pubblici avrà dal Governo mezzi sufficienti per sviluppare una politica di lavori, per cui non si sia più obbligati a subire la vergogna dei lavori pubblici a regìa, non si sia più obbligati a subire la vergogna di far eseguire lavori inutili o di dubbia utilità, mentre il Paese ha tanto bisogno di lavori utilissimi.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. È questione di uomini e di materiale, non è soltanto questione di mezzi.

DI VITTORIO. Capisco questo per il materiale, ma che in Italia manchino gli uomini…

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Lo domandi all’onorevole Sereni.

Una voce al centro. I soldi bisogna stamparli?

DI VITTORIO. I soldi si possono trovare. Noi non siamo per l’inflazione. In Italia tutti i biglietti che si sono stampati e sono in circolazione non sono andati in gran parte nelle casse dello Stato, ma non sono nemmeno spariti. Ci sono. L’essenziale è che il Governo democratico, appoggiandosi sulle masse popolari, riesca a tirar fuori il denaro da coloro che li hanno e lo spenda per la ricostruzione del Paese. E questo dovrebbe essere il principio fondamentale della politica economica del Governo. (Commenti a destra).

RODI. Che sistema è questo per cui il Governo si appoggi sulle masse popolari per far danaro?

DI VITTORIO. A questo problema di sviluppo della produzione è collegato il problema della nazionalizzazione delle industrie chiave del Paese, problema compreso nei programmi di tutti i partiti di massa e che dobbiamo pur incominciare a realizzare. Noi pensiamo che bisogna incominciare a realizzarlo al più presto possibile, anche perché su questo terreno abbiamo una situazione particolarmente urgente e drammatica, quella della elettricità. Sono stato costretto a studiare un po’ questo problema con i tecnici e con i lavoratori direttamente interessati in questa industria. I tecnici affermano che il problema della elettricità in Italia, come industria chiave di tutto il sistema industriale, ha bisogno di dieci anni almeno, per essere risoluto, se si continua col metodo dell’iniziativa privata e spontanea. Penso che la situazione dell’Italia è tale che non possiamo attendere 10 anni per risolvere questo problema fondamentale. Occorre uno sforzo collettivo grandioso di tutta la Nazione e perciò soltanto lo Stato, uno Stato democratico, può risolvere questo problema nel più breve termine possibile.

Una voce. In cento anni! (Commenti).

DI VITTORIO. Lo so, onorevoli colleghi, che voi non avete fiducia nello Stato come imprenditore, come del resto non avete fiducia in generale nello Stato democratico; ma è perché voi vi preoccupate del monopolio dei grandi capitalisti, della grande plutocrazia che noi invece vogliamo ridurre a più modeste proporzioni. (Commienti – Interruzioni).

RODI. C’è differenza fra Stato democratico e Stato imprenditore. Noi abbiamo l’esperienza in Italia che lo Stato imprenditore rallenta la produzione. La democrazia è un’altra cosa.

Una voce. Ci parli delle ferrovie. (Commenti).

DI VITTORIO. Lo Stato democratico che può poggiare sulla adesione delle masse popolari è quello più in grado di amministrare e condurre le aziende industriali di qualsiasi tipo. Del resto, la tendenza alla nazionalizzazione delle industrie chiave non è soltanto un fatto localizzato all’Italia; è una tendenza generale in Europa, che si allargherà al mondo e non è un problema tecnico, come alcuni di voi vuol far credere di pensare, ma è un problema sociale ed anche politico. (Commenti).

Noi pensiamo che soltanto con uno sforzo colossale, grandioso, che solo l’intera nazione può permettersi, possiamo risolvere il problema della elettricità in pochi anni, invece dei dieci o quindici di cui si è parlato. Ma in generale noi vogliamo la nazionalizzazione delle industrie chiave, anche per ridurre il potere economico e, quindi, il potere politico della grande plutocrazia industriale nel nostro Paese. (Commenti – Interruzioni).

RODI. Dove sono in Italia le grandi plutocrazie? (Commenti).

DI VITTORIO. Il Presidente del Consiglio ha detto nelle sue dichiarazioni che una delle condizioni per lo sviluppo della produzione nel nostro Paese è la collaborazione che egli ha definita organica tra capitale e lavoro. Io penso che il desiderio dell’onorevole Presidente del Consiglio sia giusto. Noi, in linea generale, questo desiderio lo condividiamo. Noi desideriamo collaborare con le forze produttive sane del nostro Paese. Non abbiamo nessuna ripugnanza a collaborare con quella borghesia produttiva, intraprendente, competente e lavoratrice che può portare un notevole contributo alla ricostruzione del Paese, con quella borghesia, però, che non pretenda al monopolio, che non degeneri nella speculazione e che guarisca finalmente da una mentalità feudale, secondo la quale il padrone deve avere il prepotere assoluto nella azienda e, quindi, nell’economia generale del Paese; ed il lavoratore, a seconda che sia manuale o intellettuale, non dovrebbe essere altro che un locatore delle proprie braccia o della propria mente.

Questo non lo accetteremo mai. Noi vogliamo collaborare, come ho accennato poco fa, alla ricostruzione del Paese, allo sviluppo della produzione, ma vogliamo collaborare nell’interesse generale del popolo e della Nazione; non collaboreremo mai con coloro i quali pensano che la collaborazione debba significare un asservimento della classe operaia e dei lavoratori alla plutocrazia capitalistica e ai grandi agrari. Vogliamo collaborare nell’interesse collettivo della Nazione, e perciò concepiamo come strumenti essenziali di questa collaborazione i consigli di gestione.

Ma quale è l’orientamento della grande maggioranza dei grandi industriali italiani sui consigli di gestione? Avversione completa e totale. Ci auguriamo che il Governo emani al più presto possibile la legge sui consigli di gestione, estendendola in tutta Italia; anche per contribuire a creare nel Paese un’atmosfera favorevole a quella collaborazione che l’onorevole De Gasperi auspica. La collaborazione sana nell’interesse del Paese si può realizzare soltanto attraverso i consigli di gestione, nei quali la rappresentanza dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei tecnici affermi il principio che l’azienda non è una cosa alla quale sia interessato esclusivamente il padrone, ma è qualche cosa nella quale i lavoratori si sentono e si devono sentire sempre più direttamente interessati, poiché lo sviluppo dell’azienda è la condizione dello sviluppo e del miglioramento delle proprie condizioni economiche e morali. Nei consigli di gestione i tecnici e i lavoratori hanno la possibilità di portare un contributo ai miglioramenti dei metodi di lavoro e alle innovazioni tecniche, che sono necessari per sviluppare la produzione. I consigli di gestione sono anche una garanzia per il Paese in generale, poiché devono anche intervenire nella determinazione dei prezzi, in quanto determinabili dall’azienda. E qui vi è per il popolo la garanzia contro ogni pretesa monopolistica di sfruttamento mediante aumenti non giustificati di prezzi.

Perciò i consigli di gestione devono essere realizzati al più presto, perché sarà un notevole contributo alla creazione in Italia d’una atmosfera adatta a questa collaborazione.

Ma un’altra condizione è che la politica sociale del Governo sia tale da convincere la parte più reazionaria della classe capitalistica che indietro non si torna più. Mentre l’onorevole Presidente del Consiglio parla giustamente di collaborazione, sappiamo che vi sono gruppi plutocratici, i quali, invece della collaborazione coi lavoratori, cercano di finanziare le associazioni illegali di neo-fascisti e giornali fascisti o d’altro colore di destra, per tentare di ricacciare indietro la classe operaia e la democrazia italiana.

È evidente che con costoro la nostra collaborazione non potrebbe essere possibile.

Vi sono poi i grandi agrari della Confida. Costoro, nella loro maggioranza, hanno ancora una mentalità addirittura schiavistica. Essi non vogliono nemmeno trattare con le organizzazioni dei lavoratori.

Signori, la Confederazione del lavoro e la Federterra non sono riuscite in due anni e mezzo a stipulare un solo contratto di lavoro collettivo con i signori della Confida. Per i lavoratori della terra oggi in Italia non vi è gratifica natalizia, non vi sono vacanze pagate; vi sono prestazioni previdenziali miserabili, assegni familiari meschini perché gli agricoltori hanno resistito sinora a versare i contributi necessari per assicurare delle prestazioni tollerabili ai lavoratori della terra. E bisogna deplorare che i vari Governi che si sono succeduti al potere fino ad oggi dopo la liberazione, sono stati così longanimi, da non essere ancora giunti ad obbligare questi signori a versare i contributi, come li versano gli industriali, per assicurare anche ai lavoratori della terra le prestazioni che sono già basse per i lavoratori dell’industria, per assicurare un minimo indispensabile di assistenza ai lavoratori ammalati, o infortunati, o con carico di famiglia.

Possiamo collaborare con questi signori?

Noi vogliamo collaborare con tutti coloro che non si oppongano alla realizzazione del progresso sociale e delle rivendicazioni più urgenti dei lavoratori; ma con chi ha un atteggiamento di diniego categorico, assoluto, permanente, cocciuto, irragionevole verso le rivendicazioni dei lavoratori non è possibile nessuna collaborazione.

Del resto, lo stesso Presidente del Consiglio ha provato ad arbitrare una vertenza, quella ormai famosa sulla mezzadria, ed egli stesso ha potuto constatare di essersi urtato a tali resistenze che il lodo emesso non è applicato ancora nella maggior parte dei casi, perché il Governo – anche questo è deplorevole – non ha trovato ancora il tempo di mutarlo in legge e di estenderlo a tutte le regioni in cui deve essere applicato.

D’altra parte sappiamo che i grandi agricoltori cercano di organizzare certe squadre di resistenza attive per la sedicente difesa delle aziende non soltanto contro i lavoratori, ma anche contro il Governo democratico, richiedendo ai membri della loro associazione delle quote speciali per ettaro e per capo di bestiame, ed è molto probabile che non pochi grandi proprietari trovino volentieri dei milioni da impiegare per cercare di organizzarsi ancora una milizia privata da contrapporre al popolo e alla sua volontà di progresso, e non trovino una lira per migliorare le condizioni di vita, che sono meschine e insopportabili, dei nostri lavoratori agricoli. (Vive interruzioni a destra – Commenti).

Una voce a destra. Dopo tutto quello che è avvenuto con le squadre rosse, si parla di milizia privata! (Rumori).

DI VITTORIO. Noi tutti siamo in linea di principio disposti a collaborare con tutti coloro che non disconoscano i diritti elementari dei lavoratori, con tutti coloro che accolgano le loro rivendicazioni più elementari. In particolare domandiamo per i contadini la conversione in legge del lodo mezzadrile, perché sia esteso a tutte le regioni mezzadrili d’Italia. Domandiamo una maggiore stabilità di impiego per i braccianti agricoli mediante l’assegnazione di un certo numero di essi per ettaro di terreno, a seconda della coltura, a seconda delle regioni, perché questi lavoratori siano impiegati e il proprietario sia in un certo senso obbligato ad occuparli e quindi ad assicurare una lavorazione più razionale dei fondi, ciò che corrisponde all’interesse del Paese. Da questo obbligo noi domandiamo che siano esclusi soltanto i contadini coltivatori diretti; domandiamo l’applicazione sincera, e previo un maggior chiarimento, dei decreti Gullo sulla mezzadria impropria, perché ai lavoratori della terra, ai compartecipanti della mezzadria impropria del Mezzogiorno sia assicurata una parte dei prodotti – e parliamo di prodotti seminativi e di prodotti arborei nello stesso tempo – non inferiore al 60 per cento del raccolto.

Domandiamo il blocco delle disdette che già ha dato luogo a numerose agitazioni, che potrebbero essere evitate; domandiamo un sostegno attivo delle cooperative agricole, perché le terre occupate dei contadini sulla base dei decreti Gullo e del più recente decreto Segni, siano coltivate razionalmente, e i contadini siano incoraggiati alla più razionale possibile coltivazione di queste terre.

Infine domandiamo per tutti i lavoratori della terra le prestazioni previdenziali e gli assegni familiari nella stessa misura in cui sono in vigore per i lavoratori dell’industria.

Poche parole, se mi permettete, onorevoli colleghi, sulla difesa e sul consolidamento della Repubblica. (Commenti).

Io non voglio trattare questo problema in generale; né è mia intenzione di rispondere all’oratore che mi ha preceduto, quando ha protestato contro ipotetici decreti che offenderebbero il senso della libertà, della dignità umana e di tante altre cose. E dice tutto ciò a noi, ai social-comunisti, a coloro cioè che per difendere la libertà hanno fatto diecine di anni di galera, di miseria, di esilio e di confino. (Interruzioni a destra – Vivi applausi a sinistra).

Una voce a sinistra. Dove eravate voi?

BENEDETTINI. Eravamo in Italia. La difesa della libertà non è monopolio vostro.

Una voce a destra. Comunismo equivale a fascismo. (Vive proteste – Rumori – Commenti a sinistra).

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, di questo problema mi occupo soltanto per la parte che è più attinente alle questioni sociali.

Io voglio denunciare in questa Assemblea la situazione gravissima che, sotto questo aspetto, vi è nel Mezzogiorno d’Italia, e in particolare in Sicilia e in Puglia. La popolazione meridionale in generale non ha ancora la sensazione che siamo in un regime democratico e repubblicano. (Interruzioni a destra).

RODI. Non è vero! Il Mezzogiorno è civile e democratico, e lei lo ignora!

DI VITTORIO. È un fatto che la mafia agrario-fascista siciliana in breve tempo ha fatto assassinare sei organizzatori sindacali uno dopo l’altro. (Rumori – Interruzioni a destra).

RODI. Non è vero! Il Mezzogiorno è stanco del comunismo.

Una voce a destra. Ricordatevi di quelli di Francavilla, bruciati vivi! (Vivi Rumori a sinistra).

BENEDETTINI. Non ne vogliono sapere di comunismo, in Sicilia!

Una voce a sinistra. Voi siete responsabili degli assassinî.

BENEDETTINI. Voi siete responsabili di tutto quello che avviene. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Prego i colleghi di sinistra di non agitarsi e di non soverchiare coi loro rumori la voce del loro stesso oratore.

BENEDETTINI. È la verità che scotta! (Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, non interrompa, e lei, onorevole Di Vittorio, non raccolga le interruzioni.

DI VITTORIO. Io avrei avuto il diritto di pensare che anche quell’altra parte dell’Assemblea si associasse a noi, almeno per deplorare questi assassinî a tradimento di onesti lavoratori e di esponenti del movimento sindacale. Invece, non troviamo espressioni di solidarietà da parte loro, talché dobbiamo ritenere che proprio essi siano i mandanti di quegli assassinî. (Vive proteste a destra – Rumori). È un fatto che in Puglia, e particolarmente nel Leccese, numerose sedi di sindacati e di cooperative sono state assalite da squadre di tipo fascista.

RODI. Non è vero! Quali sedi? Elevo formale protesta per quello che l’onorevole Di Vittorio dice in quest’aula!

DI VITTORIO. Onorevole Presidente, poiché la mia affermazione è stata oggetto di contestazione dall’altra parte dell’Assemblea, propongo formalmente che sia accettato il voto emesso domenica scorsa a Lecce da un Congresso delle organizzazioni contadine di quella provincia, cioè che l’Assemblea Costituente nomini una Commissione d’inchiesta per andare ad esaminare la situazione in Puglia.

RODI. Ben venga! Facciamo nostra questa proposta: allora le Camere del lavoro saranno finalmente soppresse! Siamo stanchi delle Camere del lavoro. (Proteste a sinistra – Rumori).

DI VITTORIO. Domandiamo che il Governo prenda serie misure, affinché la legalità democratica repubblicana sia rispettata in tutto il Mezzogiorno d’Italia!

BENEDETTINI. In tutta l’Italia, non nel Mezzogiorno soltanto!

RODI. E soprattutto che la Camera del lavoro diventi finalmente un organo apolitico! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Basta con le interruzioni, onorevole Rodi!

DI VITTORIO. Le Camere del lavoro sono le organizzazioni più democratiche che esistano. (Commenti a destra).

Io penso, per concludere, onorevole Presidente, che bisogna prendere misure efficaci per quanto riguarda il Mezzogiorno e, ne convengo, per quanto riguarda il resto d’Italia, in ordine al problema di Governo concernente la libertà di organizzazione, che debbo denunciare in questa Assemblea.

È avvenuto che, in Emilia e in Toscana, comandanti delle stazioni dei carabinieri, funzionari di pubblica sicurezza, hanno chiamato i contadini, i mezzadri, membri delle commissioni di cascina, diffidandoli a sciogliere queste loro organizzazioni perché illegali. E la cosa più strana e più grave è che, quando i dirigenti della Camera del lavoro di Modena si sono rivolti al prefetto di quella provincia per protestare contro questa illegalità, si sono sentiti dire che si tratta di una azione preventiva, diretta ad impedire il sorgere di una organizzazione illegale. Chi è che ha dichiarato illegali le commissioni di cascina? Le commissioni di cascina sono, in un certo senso, nelle campagne, l’equivalente delle Commissioni interne delle aziende industriali. Nemmeno al tempo di Giolitti e nemmeno quando le commissioni di cascina avevano il carattere più avanzato, che aveva contribuito a dare loro l’onorevole Miglioli, si era mai pensato di dichiararle illegali. Illegali queste commissioni? Ma perché? Nello stesso momento in cui l’Assemblea Costituente è riunita per proclamare solennemente i diritti dei cittadini e dei lavoratori italiani, bisogna tollerare che il prefetto o il maresciallo dei carabinieri ci dicano quali sono le forme tollerabili e legali nelle quali i lavoratori si devono organizzare? Noi domandiamo che siano date istruzioni precise. I lavoratori hanno il diritto di organizzarsi in tutte le forme che ritengono più opportune per la difesa e la tutela dei propri interessi. (Commenti – Interruzioni a destra).

RODI. Ma è possibile queste dire cose?

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, faccia silenzio! Onorevole Di Vittorio, continui.

DI VITTORIO. Io prego il Governo di tener conto di questi fatti che avvengono nelle campagne e che costituiscono un attentato alla libertà di organizzazione dei lavoratori. Illegali non possono essere che le organizzazioni clandestine create per scopi contrari a quelli della legge. Le commissioni di cascina dei contadini sono create pubblicamente, funzionano legalmente, trattano con i datori di lavoro e con le autorità locali e a nessun titolo possono essere definite organizzazioni illegali che possano essere comunque proibite. (Commenti – Interruzioni).

Una voce a destra. Anche in Emilia?

DI VITTORIO. Sì, anche in Emilia.

SCOCCIMARRO. Dove avete organizzato gli assassinî. (Rumori vivissimi – Proteste a destra).

BENEDETTINI. Non conoscete il significato delle parole.

COPPI. In Emilia gli assassini noti sono comunisti. (Rumori – Interruzioni – Proteste a sinistra).

AMENDOLA. Non è vero! È vergognoso dir questo. (Rumori vivissimi a destra).

DI VITTORIO. Per concludere dirò pochissime parole sul trattato che è stato imposto all’Italia. Il pensiero profondo dei lavoratori italiani tutti è stato espresso nel manifesto pubblicato in comune dalla Confederazione del lavoro, dalle Associazioni combattentistiche e partigiane. Questo manifesto e la sospensione dal lavoro e da ogni attività in tutta Italia per dieci minuti hanno espresso il sentimento profondo del popolo italiano contro l’ingiustizia che viene inflitta al nostro Paese, ingiustizia che deriva dal fatto che non si è voluto tener conto del contributo di sacrificio e di sangue che il popolo italiano, attraverso la sua resistenza attiva, attraverso il suo Corpo di liberazione, attraverso i suoi marinai e i suoi aviatori, attraverso le gloriose formazioni partigiane, ha portato alla causa della liberazione della Italia e dell’Europa dal fascismo e dall’invasione tedesco-hitleriana. (Commenti). Noi lavoratori abbiamo fiducia nel senso di giustizia dei popoli civili e nel sentimento di solidarietà che lega i lavoratori di tutti i Paesi. L’ingiustizia che è stata inflitta all’Italia colpisce anche ed in modo particolare i lavoratori. Alcune clausole del trattato, in particolare quelle economiche, se dovessero essere applicate integralmente, costituirebbero un ostacolo gravissimo a che il popolo italiano possa riorganizzare la propria economia.

Noi già, – e chi parla personalmente – in seno alla Federazione sindacale mondiale abbiamo avuto occasione di porre questa questione riferita alla confisca dei beni italiani all’estero ed abbiamo avuto la sodisfazione di constatare che i lavoratori organizzati degli altri Paesi si sono manifestati solidali con noi. Siamo certi che al momento opportuno l’appello della Confederazione generale italiana del lavoro a tutte le sue consorelle d’Europa e del mondo perché i lavoratori di tutti i Paesi intervengano nel senso di ottenere giustizia per l’Italia e di ottenere che il nostro popolo sia messo in condizioni di riorganizzare la propria economia, sarà ascoltato.

Il popolo italiano non domanda sussidi: è un popolo sano, lavoratore, di antica civiltà. È un popolo che domanda soltanto giustizia, perché sia messo in grado di rinascere con il proprio lavoro e di conquistare per i propri lavoratori quel tenore di vita che è compatibile col suo grado di civiltà. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Veramente sentivo il bisogno di un po’ di riposo dopo questo… magnifico discorso e dopo questo esempio di libertà e di democrazia! C’è stato un fiorito scambio di carte di visita: mentitore, bugiardo, buffone! Ho sentito dire anche: «ispiratore di assassini»!

C’è, per esempio, chi considerava proprio titolo di merito, pel suo recente passato politico, gli anni trascorsi in galera; ed evidentemente, in particolari circostanze, questo può essere un titolo di merito. Il massimo titolo di merito, difatti, è il martirio. Ma non stupitevi se da quest’altra parte c’era qualcuno poco fa che ascriveva a suo titolo di merito le medaglie al valore che ha riportato combattendo per la patria, nello stesso periodo di tempo in cui quegli altri erano in galera.

Libertà di eloquio. Abbiamo avuto conferenze di carattere storico, di carattere letterario; abbiamo avuto anche qualche comizio elettorale; mentre io penso che si dovrebbe parlare, con misura e buona logica, sull’argomento all’ordine del giorno: «Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio». Cioè: la crisi, il programma esposto dal Governo; quale parte esso abbia attuato del programma esposto dopo la precedente crisi.

Non parlerò di quella recente, perché sono dei parere che crisi di Governo non c’è stata; c’è stata una crisi di coscienza del nostro Presidente del Consiglio. Anzi, è la seconda. La prima egli l’ebbe quando si accorse di non essere Facta. Allora c’era una feroce contesa per Corbino: Corbino fuori, Corbino dentro! Sembrava che con quella frase il nostro Presidente del Consiglio intendesse dire che si proponeva di trattenere Corbino.

Corbino fu mollato.

La seconda crisi avvenne al ritorno del Presidente del Consiglio dagli Stati Uniti d’America, dove egli difese – e di ciò gliene sia data pubblica e unanime lode – gli interessi dell’Italia. Noi non sappiamo che cosa sia avvenuto in America, tranne quel poco che ci hanno comunicato i giornali. Ma che cosa può averlo imbaldanzito, al punto da ritenersi che fosse arrivato il momento di liberarsi dai comunisti, e, dopo, a pronunziare la frase: «non si torna indietro», noi non sappiamo.

Crisi di coscienza! Perché – come bene è stato rilevato dai Partiti di estrema sinistra – il Paese non sentiva la necessità di questa crisi, se non nel caso in cui veramente il Presidente del Consiglio avesse creduto opportuno di dare un altro volto alla compagine ministeriale. Egli voleva divorziare dai comunisti, ma questa volta fu proprio l’onorevole Togliatti il custode della indissolubilità del matrimonio (Si ride); ed il cattolico De Gasperi si arrese. E la crisi si è risolta con un nuovo governo a base dei tre partiti.

Ma la critica principale che può farsi a questo modo di risolvere la crisi credo che sia da ricercare nel perpetuarsi ostinato del sistema dei partiti.

Mi permetto di ricordare (e quelli che fanno parte di questa Assemblea da maggior tempo che io non ne faccia possono darmi atto che ciò è vero) che nel 1921 il Paese attraversava una crisi simile a questa che attraversa oggi. Le forze politiche si polarizzavano in quel tempo intorno al Partito Popolare, con Don Luigi Sturzo, ed ai social-comunisti con Claudio Treves e Filippo Turati.

A Giolitti, per la prima volta, fu imposto il sistema dei partiti; cioè, da quel tempo, ebbe inizio quel pessimo sistema per cui colui che è designato a reggere il Governo del Paese non può scegliere i suoi Ministri e Sottosegretari di Stato liberamente, in base ai suoi personali criteri e in relazione alle finalità che si propone di raggiungere. E così avvenne che l’adagio inglese «the right man in the right place», (cioè, per qualcuno che non sappia, nelle tribune, l’inglese: «il giusto uomo al giusto posto»), non poté più trovare applicazione.

E così, col sistema della prepotenza dei partiti, furono a poco a poco minate la libertà e la dignità del Parlamento italiano ed il Paese ebbe nausea di questo; e fu in tale ambiente che ebbe origine il partito fascista, che doveva uccidere in Italia la democrazia.

Ho voluto citare questo precedente storico per una semplicissima ragione. Poco fa, in un grazioso scambio di invettive tra una parte e l’altra dell’Assemblea, ho sentito ripetere una parola ambigua ed ormai stantia: «fascista». Gli eredi di quei tre partiti e gli eredi morali e politici di quegli uomini che li capitanavano, sono attualmente il nostro Presidente del Consiglio e la Democrazia Cristiana, che rappresenta l’antico Partito Popolare; l’onorevole Nenni e l’onorevole Togliatti, e adesso anche l’onorevole Saragat, per i partiti socialista e comunista. Quindi io ammonisco i miei amici avversari di quella sponda a non provocare nel Paese una situazione che somigli a quella del 1921, perché le conseguenze – e sarebbe una disgrazia per la democrazia e per questa o codesta Repubblica che volete consolidare – non possono non ricadere sul Paese, con avvenimenti simili e pur diversi.

Infatti, quando voi parlate di fascismo, errate profondamente, perché il metodo fascista era il metodo della violenza, mentre par i partiti di destra oggi il metodo preferito, il solo seguito, è il metodo della propaganda e del voto.

La questione è questa, che allora i partiti di sinistra sognarono di conquistare il potere con la forza. Il popolo italiano oppose la forza e nacquero i fasci di combattimento. Oggi i partiti di estrema hanno pensato di sostituire alla forza l’intelligenza, o meglio la furberia, che è un surrogato dell’intelligenza; conquistare il potere, e naturalmente tutto il potere, con l’intelligenza. Da ciò nacque quel primo slogan: «o la Costituente o il caos». Ma il popolo italiano oppose all’intelligenza l’intelligenza e nacque il qualunquismo.

Credete veramente, onorevoli colleghi, che fossero molte in Italia le persone che sentivano il bisogno di una nuova Costituzione? Che veramente fossero numerosi i gruppi di cittadini, i quali pensavano che lo Statuto Albertino, con piccole modificazioni, non potesse fare al caso nostro?

TOGLIATTI. Almeno 12 milioni.

RUSSO PEREZ. Io sento parlare di milioni. È un affare che può riguardare gli amici di quella sponda, perché noi i milioni non li abbiamo. (Si ride – Commenti).

 TOGLIATTI. Milioni di elettori! (Commenti).

RUSSO PEREZ. Insomma io volevo dir questo: quando voi parlate di reazione, anzi, per usare la vostra frase, di «bieca reazione in agguato», voi presupponete che ci sia un’azione. Siate più prudenti in questa azione; non provocate la reazione; non limitatevi a dirci che siete democratici: siatelo veramente. Perché non basta un’etichetta per cambiare una merce; non basta dire: non siamo più comunisti, ma siamo democratici progressivi. Io posso anche chiamare un pugno nell’occhio una carezza progressiva.

TOGLIATTI. Non abbiamo mai detto di non essere comunisti.

RUSSO PEREZ. E allora perché vi chiamate democrazia progressiva?

Una voce a sinistra. Noi ci chiamiamo come vogliamo!

RUSSO PEREZ. Comunque, entriamo nel vivo delle comunicazioni del Governo.

Spero di essere più piacevole adesso. Consolidamento della Repubblica. Onorevole De Gasperi, aveva ragione il collega Benedettini, l’irruente collega Benedettini, a dirvi che non siete stato chiaro. Si parla sempre di consolidare questa Repubblica. Si vede che i suoi genitori si sono accorti che il bimbo è macilento, ha bisogno di molte cure, se ogni giorno scoprite che le leggi ordinarie non bastano a garantirne lo sviluppo e che occorrono sempre leggi nuove. A meno che l’onorevole De Gasperi, sempre intelligente e sempre abile (un giornalista americano, un uomo politico, lo chiamò «eccessivamente abile»; e si può anche peccare per eccesso), non abbia voluto essere intenzionalmente nebuloso, perché può darsi – come diceva poco fa un collega – che una delle richieste dei comunisti per la partecipazione al Governo fosse proprio questa: leggi di consolidamento della Repubblica. Ed egli promise che queste leggi sarebbero state emanate, senza l’intenzione di emanarle. Però è stato preciso nel citare alcuni testi di legge. Il mio maestro mi diceva che, per quanto si sia vecchi avvocati, occorre sempre rileggere il testo della legge.

L’onorevole De Gasperi ha parlato degli articoli 276 e 279 del Codice penale. Ed ha avuto ragione, perché nel primo articolo si tratta delle prerogative del Re e adesso le prerogative devono essere del Capo dello Stato, del Presidente della Repubblica; nell’altro articolo si parla di attentato al Re ed è giusto che ora sia previsto il caso di attentati al Capo della Repubblica.

Ma poi vi sono gli articoli 274 e 270, sui quali io spero che il Presidente del Consiglio ci spiegherà che cosa egli abbia inteso dire con la frase: «Occorre aggiornare o modificare questi articoli di legge».

L’articolo 274 dice: «Chiunque partecipa ad enti o istituti, ecc., di carattere internazionale non autorizzati». Noi siamo, dicono, nazionalisti, quindi questo articolo non può concernere noi; se mai può dispiacere ad altri. Ed allora bisogna che noi sappiamo se l’articolo deve essere aggiornato nel senso che adesso potranno essere tollerate le organizzazioni di carattere internazionale, anche se non autorizzate dal Governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il progetto sarà presentato alla Camera; si rassicuri.

RUSSO PEREZ. Dobbiamo essere rassicurati veramente, perché l’articolo 270 è ancora più interessante: «Chiunque promuove associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre…».

Aggiornare in questo caso significherebbe forse sopprimere questo articolo? A noi così com’è piace, onorevole Presidente del Consiglio: è un articolo che fa proprio al caso nostro, perché noi non vogliamo che nessuna classe sociale prevalga sulle altre, né quella dei ricchi su quella dei poveri, né la classe dei poveri su quella dei ricchi.

Poi vi è la legge 26 aprile 1945, n. 125: «Chiunque sotto qualsiasi forma o denominazione tende a far risorgere il disciolto partito fascista, ecc.» Sta bene; ma occorre leggere la parte seconda, dove, per fortuna, per la prima volta appare chiarito il significato della molto ambigua parola «fascismo».

Voi sapete che il congresso delle gioventù universitarie a Praga pose come tema la definizione del fascismo; ebbene, dei giovani sfavillanti di intelligenza discussero per una settimana, e, alla fine, rinunziarono a fare tale definizione. Ma la nostra legge qui ci soccorre, perché dice: «Chiunque svolga attività fascista impedendo od ostacolando con atti di violenza o minaccia, l’esercizio dei diritti civili e politici, ecc.».

Che si voglia alludere ai fatti dell’Emilia? o ai fatti del Viminale? o a quella oscura, anzi palese minaccia, di cui parlò l’onorevole Corbino e che sarebbe stata fatta dall’onorevole Togliatti, e per iscritto, al Presidente del Consiglio?!

Comunque, intendiamo dire al Governo che noi troviamo che questi articoli vanno molto bene. Soltanto, vorremmo che venissero applicati, ma con quella vera indipendenza della Magistratura, della quale non troppo bene testimonia la presenza in questa aula dall’onorevole Venditti.

C’è, poi, la legge 20 aprile 1945 n. 149, che dovrebbe essere ritoccata. Si tratta delle sanzioni per fascisti politicamente pericolosi. Sta bene; però la legge dice che essa si applica a chiunque abbia compiuto fatti gravi che non rivestano gli estremi di reato.

Onorevoli colleghi di quest’Assemblea, si tratta ancora una volta di quelle famose leggi penali di carattere retroattivo, che rappresentano in Italia, culla del diritto, una turpe offesa alla civiltà, al buon senso e alla democrazia. Pietro Colletta, nella sua storia del reame di Napoli, dice che soltanto i re della dinastia borbonica pensarono ad una enormità come una legge penale con carattere retroattivo.

Uno voce a sinistra. Anche i Savoia, con Mussolini, fecero leggi retroattive! Con una legge speciale del 1926 furono condannati individui per fatti commessi nel 1922!

RUSSO PEREZ. Lei è in errore!

TOGLIATTI. Per una legge retroattiva Gramsci è morto in prigione, regnando Vittorio Emanuele III.

Una voce a sinistra. Ma queste cose voi non le sapete! Perché parlate dei Borboni?

TOGLIATTI. Terracini è stato quasi venti anni in carcere per una legge retroattiva! Non mi si potrà mai smentire!

RUSSO PEREZ. Il fascismo fece delle pessime cose, delle pessime leggi; ma la vergogna di una legge penale di carattere retroattivo il fascismo non la fece mai. (Rumori – Commenti).

TOGLIATTI. Fra di voi c’è qualcuno che l’ha approvata.

RUSSO PEREZ. Impostiamo una buona volta la questione. Vi è una legge che proibisce in Italia l’apologia di uomini e istituti del regime. C’è o non c’è questa legge? Dunque, vi pongo questo dilemma: O le leggi fasciste erano cattive, e voi non dovete imitarle; o erano buone ed allora potete copiarle. Quindi, se voi dal fascismo copiate, pur ammettendo che sono empie, le leggi penali di carattere retroattivo, siete voi che fate coi fatti e con le leggi l’apologia del fascismo. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).

LI CAUSI. Gli anni di galera non si distruggono. Si tratta di una logichetta formale che non convince nessuno. (Rumori a destra).

PRESIDENTE. Ciascuno cerchi di essere il più tollerante possibile dell’opinione dell’avversario. Continui, onorevole Russo Perez.

RUSSO PEREZ. Comunque, degli eminenti parlamentari, come l’onorevole Francesco Saverio Nitti e l’onorevole Labriola, (Nitti nel suo recente discorso di Milano e Labriola in quest’Aula) hanno detto che il pericolo del risorgere del fascismo non c’è. Questo fascismo, di cui parlano le sinistre, è come il fantoccio di Pierino: l’Italia lo butta dalla finestra e voi lo fate rientrare per la cappa del camino. (Interruzioni a sinistra).

LI CAUSI. Difatti, Nitti c’era nel 1920 ed il fascismo è sorto nel 1920 con Nitti. (Interruzioni – Commenti).

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, dopo questo breve e cortese consiglio agli avversari di non far risorgere con la loro condotta ciò che è morto e sepolto, e di non fare con le parole e con le leggi l’apologia del fascismo, veniamo un po’ a parlare dell’ordine di pace.

Onorevole Presidente del Consiglio, la Assemblea Costituente si è sentita defraudata del diritto di risolvere il problema se convenisse firmare o non firmare il Trattato di pace, e si è offesa, almeno nelle nostre persone, anche per il modo da voi scelto per superare questo ostacolo, per riuscire a liberarvi dal controllo dell’Assemblea Costituente. Voi ricordate benissimo che, quando presiedeva l’ottimo repubblicano Conti, questi mi voleva abbracciare dall’alto del suo scanno; ma questa tenerezza di sentimenti non esclude che egli, nel vostro interesse, abbia violato il regolamento, perché quando l’onorevole Conti si è appellato alla prassi parlamentare, ai precedenti, egli doveva sapere che precedenti in questo senso non ce ne sono. E così non abbiamo avuto il tempo e il modo di esprimere il nostro pensiero sulla opportunità della firma del Trattato di pace.

E quali sono state le vostre giustificazioni, onorevole Presidente del Consiglio? Parlerò con quel senso di misura che l’argomento richiede. Le giustificazioni che avete date all’Assemblea sono queste: la firma ha importanza minore della ratifica. Si è arzigogolato, avete detto, sull’interpretazione dell’articolo 90; ma le Potenze alleate e associate non possono aver prevista la pratica esecuzione del Trattato senza la cooperazione nostra, che nessun Governo può dare senza la decisione dell’Assemblea. Non ho voluto impegnare, avete soggiunto, la responsabilità dell’Assemblea, perché ciò avrebbe, è vero, alleggerito la mia, ma avrei anche impegnata la responsabilità della Costituente nel primo atto iniziale della procedura, mentre ad essa è riservato il secondo e più definitivo intervento.

Questo non è perfettamente esatto. È esatto che, con gli accorgimenti adottati dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli esteri, il diritto dell’Assemblea Costituente italiana a dire l’ultima parola sulla validità e sulla eseguibilità del Trattato è stato garantito. Ma è anche vero che in base alla dizione di quell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946, per cui a noi è riservata l’approvazione dei Trattati di pace, avevamo altresì il diritto di esprimere la nostra opinione sull’opportunità del primo atto, che impegnava la responsabilità del Governo, cioè la firma del Trattato stesso. Del resto, avrebbe potuto sempre rimanere salvo il diritto dell’Assemblea Costituente di dire la sua ultima parola in sede di ratifica, pur dicendola prima in sede di apposizione di firma, perché, per esempio, in seguito ad una discussione sobria, dignitosa, obiettiva, l’Assemblea avrebbe potuto lasciare al Governo, come di fatto è stata lasciata dalla Commissione dei trattati, la responsabilità di risolvere per suo conto il problema della firma, addossandosene tutta la responsabilità.

Io invito gli onorevoli colleghi dell’Assemblea a pensare in quali condizioni si sarebbero trovati i Parlamenti delle Potenze alleate e associate, e soprattutto il Senato degli Stati Uniti, qualora il nostro Governo avesse rifiutato la sua firma. È possibile che la reazione del Senato americano, la reazione dei popoli, sarebbero state favorevolissime a noi. Questa reazione avrebbe potuto finalmente aprire gli occhi dei pochissimi grandi, tenacemente chiusi alla verità, e polarizzare intorno a noi le simpatie degli infiniti piccoli, che, nel mondo, la miopia dei grandi perennemente deluse.

Io mi permetto di accennare a qualche problema per il quale effettivamente un’azione utile del Governo può svolgersi nel tempo che passa tra la firma e la ratifica, per esempio il problema delle colonie, giacché voi sapete, onorevoli colleghi, che, secondo il Trattato di pace, la sorte definitiva delle colonie sarà decisa tra un anno.

Coloro che la cronaca frettolosa e compiacente, senza aspettare il sereno giudizio della storia, si affrettò a chiamare “grandi”, ci hanno tolto tutte le colonie, anche, in ispregio alle molte assicurazioni e promesse formali fatteci, le colonie prefasciste, quasi che quello che per gli altri è un diritto per noi sia un delitto; e ci hanno privato anche di quelle sabbie africane, che i nostri contadini, con un lavoro che sarebbe da schiavi se non l’avessero fatto uomini liberi, avevano trasformato in fiorenti giardini, mentre ora, sotto l’amministrazione inglese, la sabbia comincia a coprire i giardini e interrare i pozzi. Che cosa vogliono fare di noi, gente buona e laboriosa, chiusa nei nostri angusti confini, in una terra priva di materie prime, di metalli nobili e plebei, di carbone?!

Ma, ci si dice: a voi è permesso di esportare i vostri contadini, i vostri lavoratori, i vostri braccianti. Così la condizione dei nostri lavoratori diventa simile a quella dei servi della gleba, a quella che i nostri operai avevano prima che a tutelarne i diritti fosse sorto il Partito socialista italiano. Ed io devo deplorare che uomini politici responsabili abbiano detto che per noi le colonie sono un peso. Il primo è stato, nell’agosto dell’anno scorso, l’onorevole Pietro Nenni, seguito ad una corta incollatura dall’onorevole Lussu, che, in materia, non vuole essere secondo a nessuno.

Le colonie non sono un peso, sono una necessità vitale per noi. L’avere tolto tutte le colonie alla Germania fu causa non ultima dell’ultima grande guerra. Per noi le colonie rappresentano un bisogno vitale; e io spero che il nostro Ministro degli esteri, che il nostro Presidente del Consiglio, facciamo tutti i passi indispensabili perché una parte delle nostre colonie ci venga conservata.

Vi è un problema particolare su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea; esaminando il quale vi apparirà chiara la ragione principale per cui, se avessi avuta la possibilità di parlare prima della firma dell’ordine di pace, sulla mia proposta di non firmare è probabile che molti in quest’aula sarebbero stati con me consenzienti, perché, mentre, per quanto riguarda le colonie e per quanto riguarda i confini, si tratta di materia opinabile, qui si tratta di un problema su cui non è possibile avere un’opinione diversa dalla mia. Intendo parlare della cobelligeranza. Il nostro Governo ha fatto finalmente una richiesta di partecipazione alle trattative di pace con la Germania. Le reazioni nel mondo sono state varie. La stampa inglese ha detto: prima firmate, firmando vi acquisterete il diritto di partecipare alle trattative di pace con la Germania.

Dagli Stati Uniti d’America ci si è risposto press’a poco allo stesso modo. Cioè: nella probabile vostra ammissione alle trattative di pace vi è implicito il concetto della revisione.

Qui bisogna fare ricorso agli articoli 18 e 77, n. 4, del Trattato di pace, quelli che nel progetto erano gli articoli 15 e 67.

Coll’articolo 67 del progetto (77, n. 4, dell’attuale Trattato) l’Italia rinunzia a tutti i suoi diritti in confronto alla Germania (una volta, in sede di Commissione per i trattati, si era erroneamente creduto che si trattasse soltanto dei crediti che vantiamo per le espoliazioni avvenute nel nostro territorio). Tutti i diritti in confronto alla Germania vengono rinunziati, senza esclusione alcuna.

Con l’articolo 18 l’Italia si impegna, ora per allora, a riconoscere validi tutti i trattati di pace che le Potenze alleate ed associate faranno con altre Nazioni, con cui sono state in guerra, tra cui la Germania.

Voi comprendete il valore di queste clausole.

Quando ci si dice: «prima firmate il Trattato di pace e poi vi ammetteremo alle trattative di pace con la Germania», possiamo rispondere: ma, scusate!, noi vantiamo il diritto alla spartizione dell’asse ereditario, e voi, prima di ammetterci dinanzi al notaio, perché la spartizione sia effettuata, volete che facciamo la rinunzia completa a tutti i nostri diritti ereditari?

Tutte le altre clausole del Trattato, onorevoli colleghi, possono essere discutibili, perché, in fondo, vi è quel solito argomento, la spada di Brenno: Vae victis! Cioè: noi Potenze alleate ed associate siamo i vincitori; voi siete gli sconfitti. Ma qui no! Qui si tratta d’un problema, che è estraneo alla materia del contendere e verte fra parti diverse.

Si tratta, non di rapporti tra le Potenze vincitrici e l’Italia sconfitta, ma tra l’Italia cobelligerante, quindi convittoriosa, e la Germania, onoratamente sconfitta, ma sconfitta.

Quindi, questa questione verte fra parti diverse e le parti non sono state interpellate. Sono state assenti dal giudizio.

Supponete che il Signor Lupi di Soragna fosse stato incaricato di fare una dichiarazione di questo genere:

«Il Governo italiano è pronto a firmare il trattato di pace tra le Potenze vincitrici e l’Italia, ma non la pace tra l’Italia convittoriosa e la Germania sconfitta». Credete che, ad una motivazione di questo genere, gli Alleati avrebbero potuto reagire in qualunque modo e, soprattutto, in un modo che, solo a pensarlo, rappresenta un’offesa per il nobile popolo degli Stati Uniti, rifiutandoci, cioè, a cagione di questa nostra santa protesta, quel po’ di frumento che ci occorre per sopravvivere?

Non capisco, onorevoli colleghi, perché da parte dell’Assemblea, del Governo e, sovrattutto, da parte di quel settore (indica la sinistra), si sia così poco sensibili al tema della cobelligeranza.

Forse pensate che gli Alleati, invece di essere guidati da un palese criterio giuridico, che è sicuramente con noi, siano guidati da un occulto criterio morale, che potrebbe essere a noi sfavorevole?

In questo caso, potremmo comprendere il vostro travaglio. Ma qui non si tratta di questioni morali. Si tratta di interessi, di diritti della Nazione. E dovremmo essere concordi e tenaci nel difenderli, quale che sia il nostro segreto pensiero.

Noi abbiamo dato nella cobelligeranza sangue e beni; è giusto che riceviamo l’alto prezzo del nostro sangue e il giusto prezzo del nostro sacrificio, che non può essere rappresentato dai 30 sicli della nostra entrata nel novero delle Nazioni Unite.

Questa strana inerzia di fronte alla cobelligeranza, che ci è costata 65 mila uomini delle truppe regolari, 65 mila delle forze partigiane, 139 mila tonnellate di naviglio affondato e migliaia di miliardi di danni, non è ammissibile. Noi dobbiamo ben valorizzare il nostro sacrificio. Abbiamo il diritto di negoziare queste benemerenze nel trattato di pace con la Germania, e se non facessimo questo, mentre da una parte non potremmo più avere il diritto al conguaglio tra le riparazioni attive e quelle passive, tra i danni fatti e i danni subiti, onorevoli colleghi dell’altra sponda, dal punto di vista morale ciò significherebbe un’altra cosa: significherebbe rinnegare il valore morale della vostra, della nostra cobelligeranza.

Se voi rimaneste inerti, dalle loro tombe i caduti dell’esercito regolare e, con maggiore sdegno, quelli delle forze partigiane, si leverebbero a rimproverarvi l’inutilità del loro sacrificio. I fascisti uccisi vi domanderebbero: perché ci avete ucciso? I fascisti condannati vi domanderebbero: perché ci avete condannato? E chi sa se anche da Piazzale Loreto non si leverebbe qualche ombra a rimproverarvi che i mitra democratici hanno avuto troppa fretta ad anticipare il giudizio della storia.

Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Ministro degli esteri, io ho accennato ai punti in cui credo e spero che l’azione del Governo possa essere più intensa ed efficace e possa portare a maggiori risultati: colonie, confini, e, soprattutto, valutazione della cobelligeranza in relazione alla nostra richiesta di partecipare alla preparazione del trattato di pace con la Germania. Perché, se entrasse in vigore il Trattato, con la nostra rinunzia a tutti i nostri diritti in confronto alla Germania, e poi fossimo ammessi alle trattative di pace, di che cosa andremmo a discutere? Dei confini tra la Francia e la Germania, o delle riparazioni che la Russia imporrà alla Germania?

Io ho finito, onorevoli colleghi, e non mi pare di aver fatto opera di sterile opposizione, se ho creduto di dirvi il mio pensiero su alcuni problemi nella soluzione dei quali il Governo è chiamato ad un compito arduo. Signori del Governo, mi auguro che la vostra fatica possa riuscire, ed i primi ad applaudirvi, in tal caso, saremo noi. (Applausi a destra).

(La seduta sospesa alle 17,50, è ripresa alle 18).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO APRILE. Signori Deputati! Matteo Renato Imbriani, nel 1896, iniziava un suo discorso sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Crispi, dicendo con la sua voce stentorea: «Sono sei mesi che in Italia si governa senza Parlamento!». Nelle parole di Matteo Renato Imbriani è scolpita tacitianamente, la situazione del tempo. Non si sarebbe potuto esprimere meglio il pensiero d’allora degli italiani da parte di quegli che era chiamato il bardo della democrazia.

Le parole di Matteo Renato Imbriani io potrei ripeterle oggi, perché effettivamente, da che questa Assemblea funziona, si è governato senza e al di fuori dell’Assemblea Costituente. La colpa principale, se non esclusiva, di ciò è dell’onorevole De Gasperi. Ed il mio discorso di oggi sarà in modo particolare rivolto al Capo del Governo, personalmente. (Commenti).

LUCIFERO. Non c’è.

FINOCCHIARO APRILE. Gli sarà riferito.

È singolare il concetto che l’onorevole De Gasperi ha della rappresentanza popolare. Già, prima ancora che egli diventasse Capo del Governo, al tempo della Consulta nazionale, si cercò di organizzare le cose in modo tale da esautorare completamente, in partenza, quella che doveva essere l’Assemblea Costituente. Quando si pensò di stabilire con legge le norme per il funzionamento della Assemblea Costituente, si volle, violandone il diritto di sovranità, che questa Assemblea non avesse il potere legislativo: si volle che questo, per la durata dell’Assemblea medesima, risiedesse esclusivamente nel Governo. Non mi pare, in verità, che ciò rispondesse e risponda ai dettami e alle esigenze della democrazia. Effettivamente, se alla nostra Assemblea, nella legge istitutiva, si fosse attribuito il potere legislativo, sia pure in ambito ristretto, sarebbe stato rendere omaggio alla rappresentanza popolare. Non mi sembra che, con la istituzione delle Commissioni legislative, si sia ristabilito quel diritto essenziale dell’Assemblea Costituente e che si sia riparato ai lamentati inconvenienti. Ma, tant’è.

L’Assemblea Costituente, secondo affermazioni partite dal banco del Governo e ripetute in quest’aula, autorevolmente, dall’onorevole Conti, dovrebbe circoscrivere il suo ufficio alla redazione e all’approvazione della Costituzione. Io non sono di questo avviso. Un’Assemblea Costituente normale può limitare il suo compito alla formazione della Carta costituzionale; ma un’Assemblea Costituente come la nostra, nata dopo ventidue anni di regime fascista, di soppressione delle pubbliche libertà, di sovvertimento di ogni principio democratico, è la vera ed unica depositaria ed interprete della volontà del popolo italiano. Ed io vi dico che per me, e non soltanto per me, l’Assemblea Costituente deve avere ed ha un potere prevalentemente politico, potere di indirizzo, potere di controllo, potere di deliberazione.

Il Governo avrebbe dovuto, pertanto, non tralasciare nessuna occasione per interpellare questa rappresentanza popolare. L’onorevole De Gasperi ha avuto una specie di idiosincrasia nei riguardi dell’Assemblea Costituente; l’onorevole De Gasperi, in ben otto mesi, non ha fatto che convocarci poche volte e per appena trentasette sedute. Sono passati inutilmente gli otto mesi stabiliti dalla legge per la vita dell’Assemblea: e, in queste trentasette sedute, si è parlato di molte cose senza mai concludere nulla; ma vere e proprie discussioni politiche non sono avvenute, e non sono avvenute perché all’onorevole De Gasperi non è piaciuto che avvenissero. Perché la critica all’onorevole De Gasperi non confà. Egli desidera soltanto le conclamazioni che spesso ha avuto, e non soltanto da parte dei suoi amici politici.

Una voce. Meritate!

PRESIDENTE. Se è possibile, si evitino le interruzioni!

FINOCCHIARO APRILE. L’ultima volta che ci riunimmo, ci riunimmo dopo tre mesi di sospensione dei lavori parlamentari. Erano avvenute cose di eccezionale gravità ed era ovvio che l’Assemblea Costituente desiderasse di esprimere il suo pensiero su alcuni, almeno, dei più importanti avvenimenti. Ma l’onorevole De Gasperi non fu di questa opinione. Si cominciò con il dire che era carità di patria di non parlar di nulla: non del Trattato di pace, non della situazione interna, non di quella economica, finanziaria e monetaria, non della disoccupazione, non delle difficoltà alimentari, non della pubblica sicurezza e via dicendo. E si finì con l’occuparci soltanto di qualche verifica di poteri e delle formule dei giuramenti. Così noi ascoltammo la bella eloquenza del nostro amico Enrico Molè, che trattenne a lungo l’Assemblea Costituente su questo ultimo argomento. Però nessuno di noi riconobbe che l’argomento fosse di troppa importanza: era un argomento di ordinarissima amministrazione.

E si volle imbavagliarci soprattutto al dichiarato fine di non compromettere il prestito allora in corso: un volgare pretesto. Da tutti si disse: come si fa a trattare preoccupanti argomenti politici, quando le sottoscrizioni non sono ancora chiuse? Veramente io ricordai ad alcuni amici che, quando Francesco Nitti, nel 1920, emise il prestito, il suo prestito, tenne la Camera dei Deputati ed il Senato sempre aperti, ed il prestito Nitti dette allora 22 miliardi di lire, qualche cosa come 700 miliardi di lire di oggi. Orbene, nonostante tutta questa precauzione da parte dell’onorevole De Gasperi, il prestito ci ha dato una grande delusione. Il prestito è stato un fallimento, in quanto emesso dal Governo De Gasperi, in quanto emesso dal Ministro del tesoro Bertone, l’uno e l’altro privi di ogni ascendente e di ogni credito nel Paese. (Commenti al centro).

Io faccio una colpa all’onorevole De Gasperi, fra le molte che dovrei rimproverargli: quella di non sapere scegliere i suoi collaboratori, almeno quelli che egli può liberamente scegliere, perché l’onorevole De Gasperi ha rinunziato a quella dignità, a quel minimo di dignità, che avevano tutti i capi di Governo passati, di scegliere i propri collaboratori nei partiti decisi a partecipare al potere, senza lasciarseli imporre. (Interruzioni – Rumori – Commenti al centro).

Una voce al centro. Siamo stanchi di sentirla.

FINOCCHIARO APRILE. Ho appena incominciato.

Finalmente, noi possiamo oggi parlare di politica, possiamo assolvere, cioè, il nostro compito essenziale in un’Assemblea che ha mero carattere politico.

Noi avremmo voluto, nell’ultima tornata, chiedere all’onorevole De Gasperi alcuni chiarimenti e alcune spiegazioni; ed io, non avendo potuto far ciò allora, glieli chiedo oggi, poiché egli è sempre il Capo del Governo e non può trincerarsi certo sul fatto che il precedente Gabinetto è cessato ed egli ne presiede attualmente un altro, il terzo ed ultimo suo Ministero. (Ilarità). Io debbo fare alcune domande all’onorevole De Gasperi.

Eccone una: che cosa accadde al tempo dei fatti del Viminale? Onorevole De Gasperi, il Paese ebbe la sensazione precisa che non ci fosse un Capo di Governo, ebbe la sensazione precisa di una discrasia ministeriale. Il Paese rideva alle sue spalle e continua a ridere. (Rumori – Commenti). Onorevole De Gasperi, è mai possibile che sui fatti del Viminale, che tanta diminuzione di prestigio e di autorità portarono al Governo, l’Assemblea Costituente non debba ancora sapere nulla?

E mi perdoni di farle un’altra sommessa domanda. Ci vorrebbe dire qualche cosa, e certamente ce la dirà, sui fatti dell’Emilia? Perché, onorevole De Gasperi, lei stesso non si è fatto iniziatore di un chiarimento in materia? L’altro giorno l’onorevole Scoccimarro, che ha pronunciato un discorso veramente notevole (Commenti), gran parte del quale ha la mia approvazione, faceva rilevare che vi era stato un contrasto aspro e violento tra i comunisti da una parte e i democratici cristiani dall’altra. Noi abbiamo il diritto, come rappresentanti del popolo, di sapere come sono andate le cose. È inutile che lei si trinceri in un assoluto mutismo, onorevole De Gasperi, perché, dei fatti dell’Emilia lei, allora Ministro dell’interno, è responsabile verso il Paese. È, infatti, inspiegabile che gli avvenimenti dell’Emilia, iniziati attraverso l’azione del capitano Lavagnini, fossero dal Governo considerati in un modo ben diverso di come furono considerati altri analoghi avvenimenti. Noi ascoltammo il discorso tribunizio dell’onorevole Nenni, il quale, in quella occasione, venne a dire – e io non so onestamente dargli torto – che nella questione dei partigiani bisognava agire con molta cautela e con molta discrezione, e che bisognava stendere un velo pietoso su quello che era avvenuto, per ricondurre la calma negli spiriti. Io reputo che fu fatto bene allora; ma perché, quando gli stessi fatti si verificarono per opera di altri partigiani si agi in guisa del tutto diversa? Perché Andreoni, del quale io ricordo, con gratitudine, il leale riconoscimento della legittimità e dell’onestà dell’agitazione indipendentista siciliana; perché Andreoni fu arrestato e fu tenuto tanti giorni in carcere? Perché fu diffamato dalla stampa ministeriale come un volgare delinquente, mentre era ed è un grande patriota e un grande galantuomo? Perché questa offensiva disparità fra il trattamento fatto a Lavagnini e quello fatto ad Andreoni? Forse solo perché Andreoni non era nel cuore dell’onorevole Nenni? (Commenti – Rumori).

Altro argomento, onorevole De Gasperi. È un argomento consacrato in una interrogazione da me depositata al banco della Presidenza, l’interrogazione relativa ai prigionieri di guerra in Jugoslavia, argomento molto doloroso, argomento che fu lì lì per determinare una crisi ministeriale, naturalmente extraparlamentare. Onorevole De Gasperi, noi indipendentisti siciliani abbiamo seguito molto attentamente tutte le vicende di questi poveri nostri prigionieri in Jugoslavia. Io non attribuisco a lei la volontà di ritardare il ritorno di questi nostri connazionali; non ho nessun elemento che mi possa portare ad ammettere che vi sia stata in lei la volontà di non farli ritornare; ma, onorevole De Gasperi, come risulta anche dai verbali del Consiglio dei Ministri, ella ha la responsabilità personale di non avere in tempo e convenientemente agito per il ritorno dei nostri prigionieri dalla Jugoslavia.

Io non condivido il pensiero di coloro che ripetono ancora che questi prigionieri non si volle da lei che ritornassero in patria perché erano comunisti o perché erano siciliani indipendentisti. (Commenti). Sarebbe stata questa una cosa enorme ed io respingo tale voce che ha tutti i caratteri di una insinuazione.

Certo è però che, se ella fosse intervenuto tempestivamente, i prigionieri sarebbero ritornati molto prima. Se sono ritornati e non ancora tutti, non è merito suo: è merito dell’onorevole Togliatti ed io gli esprimo la profonda loro riconoscenza. (Rumori). Faccia, almeno, il Presidente del Consiglio che siano rimpatriati, senza altri indugi, gli ultimi scaglioni.

Altro argomento. Ci fu una notte lo scoppio di una piccola bomba atomica. L’onorevole Togliatti era ritornato dalla Jugoslavia e aveva portato la notizia che il Maresciallo Tito era disposto a transigere sulla questione di Trieste, lasciando la città all’Italia. Onorevole De Gasperi, lei non vide bene ciò, lei lasciò sfuggire questa buona occasione e si lasciò vincere dal suo temperamento sospettoso e diffidente. Non ci fu in lei la gelosia di sminuire un eventuale successo dell’onorevole Togliatti? (Rumori – Si ride).

Che cosa fece lei, onorevole De Gasperi, perché l’accordo Togliatti-Tito arrivasse ad una felice conclusione? Lei non fece niente e lasciò che la soluzione dei «Quattro» rimanesse immutata. Parleremo più avanti dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia.

Noi avremmo desiderato, nelle passate tornate, di sentire dichiarazioni chiare, esplicite, inequivoche da parte dell’onorevole De Gasperi sulla politica interna. Avremmo desiderato di sapere quali erano le ragioni dei frequenti disordini avvenuti in tutta la penisola; avremmo desiderato di sapere quale era stata l’azione del Governo per combattere il brigantaggio, per tutelare la vita e gli averi dei cittadini; avremmo desiderato chiedere al Capo del Governo che cosa pensava di fare per il riordinamento della pubblica sicurezza, che cosa aveva disposto che si facesse perché fosse soppresso l’incivile, ignobile sistema delle sevizie adoperato dalla polizia italiana; avremmo desiderato essere pienamente informati di tutta l’azione governativa in materia alimentare, azione suscettibile di tante e tante critiche.

A questo proposito noi non sappiamo ancora niente sulle vere intenzioni del Governo. Non sappiamo quali quantitativi di grano verranno e dove andranno e da chi ci verranno. Ho però notato che un egregio deputato di parte democratica cristiana, molto esperto in materia, l’onorevole Raimondi, era stato autorizzato ad andare in Argentina, con lettere credenziali del Capo del Governo. Chi fu a far tornare l’onorevole Raimondi scornato e beffato in Italia, mentre l’opera sua avrebbe potuto procurare certamente all’Italia non pochi milioni di quintali di grano? (Ilarità).

Ho fatto queste semplificazioni per mettere sempre più in rilievo che l’azione dell’onorevole De Gasperi è stata un’azione pervicacemente ostile all’Assemblea Costituente, una azione di svalorizzamento, un’azione di perturbamento nei rapporti fra i rappresentanti del popolo italiano e il Governo.

Ritorno ora là donde ero partito. Funzione essenziale dell’Assemblea Costituente è quella politica; non ha essa soltanto il compito, come crede l’onorevole De Gasperi, di redigere e di approvare la Costituzione. Di questa ci occuperemo, è sperabile, rapidamente e ce ne occuperemo sulla base del progetto predisposto, progetto che non è un gran che, ma che ha qualche buon lineamento. L’Assemblea Costituente potrà migliorare e perfezionare questo progetto, se il Presidente della Commissione dei 75, onorevole Ruini, il Licurgo del confusionismo italico (Si ride), ci consentirà di procedere speditamente nei nostri lavori.

Ma, ripeto, la funzione dell’Assemblea Costituente è essenzialmente, squisitamente politica e tale l’onorevole De Gasperi aveva il dovere di considerarla, senza snaturarne il carattere.

E vengo al nuovo Ministero. Nella sua composizione, è su per giù come il precedente, forse peggiore. Vi è, però, in esso un uomo notevole, l’onorevole Sforza. Io devo ricordare alla Costituente – la quale probabilmente non lo sa – che l’onorevole Sforza fu nel 1922 (se non erro) il Presidente della Conferenza della Piccola Intesa; ebbe allora un importante successo. L’onorevole Sforza ottenne che l’Italia diventasse l’arbitra della politica dell’Europa occidentale. Non so se l’onorevole Sforza, nel lungo periodo della sua assenza dall’Italia e nel proseguimento della sua azione di esperto ed abile diplomatico, abbia mantenuto la posizione di grande riguardo che egli aveva saputo al tempo della Piccola Intesa conquistarsi.

Degli altri onorevoli Ministri non occorre che io parli. Noto, però, una cosa. Ogni tanto, volgendo gli occhi al banco del Governo, noi vediamo taluni di quei signori guardare con certa sicumera il proprio ombelico. Credono così di acquistare importanza, almeno nell’aula, e hanno un’aria molto sodisfatta. Io gliela lascio questa soddisfazione; è la sola soddisfazione che essi possano avere. Un carissimo collega veneziano dei settori di sinistra mi diceva l’altro giorno: «Ma guarda! Quando io affiso i miei occhi sul banco del Governo, penso alla mia fanciullezza, quando nei teatrini dei sobborghi della mia città vi erano in fila tanti fantocci e noi ragazzi tiravamo su di essi con tre palle un soldo. (Vivaci proteste – Invettive – Rumori – Interruzioni).

Quale è stato il risultato dei lunghi pensamenti dell’onorevole De Gasperi avanti e durante la crisi? Prima di tutto l’onorevole De Gasperi ha compiuto una sconvenienza, un vero abuso, dappoiché egli non aveva il diritto di presentare le dimissioni del Ministero senza una preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri. (Commenti).

Vanamente l’onorevole De Gasperi si è riferito al precedente Bonomi. Non è esatto. Il precedente Bonomi è ben diverso. Dopo quaranta giorni di crisi, l’onorevole Bonomi dichiarò che, se l’accordo non fosse avvenuto tra i partiti entro breve termine, avrebbe presentato le dimissioni. Cosa completamente diversa. Lei, invece, onorevole De Gasperi, non disse niente a nessuno e agì alla chetichella, con violazione della legge e della consuetudine costituzionale. (Rumori al centro).

L’onorevole De Gasperi era partito per gli Stati Uniti con il proposito di escludere i comunisti dal Governo. Era chiaro. L’onorevole De Gasperi è andato in America con idee molto confuse e senza un chiaro disegno: non ci fosse mai andato! (Si ride – Commenti). Egli ebbe molte sollecitazioni a svincolarsi dal comunismo italiano. Le sue smentite valgono ben poco. Siamo d’accordo che l’invito a liberarsi dai comunisti non gli fu, né poteva essergli fatto, dal signor Truman o dal signor Byrnes. Ma l’onorevole De Gasperi – che non è mai abbastanza informato – ignorava, evidentemente, che anche in Italia vi erano emissari americani che giravano a destra e a sinistra e che si rivolgevano a tutti gli uomini politici di prima e di seconda grandezza per dimostrare loro la necessità di stringersi intorno all’America contro il comunismo. Ora l’onorevole De Gasperi tentò questa esclusione dei comunisti, s’impegnò ad escluderli…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio. È falso!

FINOCCHIARO APRILE. …ma rimase con un pugno di mosche nelle mani, come gli capita spesso. Perché, quando i suoi amici democratici cristiani premevano da tutte le parti, perché l’onorevole De Gasperi si inducesse a fare il Ministero soltanto con essi, l’onorevole De Gasperi non può avere ritenuto serio far ciò e che ciò sarebbe stato conforme ai suoi interessi. L’onorevole De Gasperi, del resto, non doveva tardare a persuadersi che, praticamente, non poteva presentarsi all’Assemblea con un Ministero imposto soltanto di democratici cristiani.

Una voce al centro. Con gli autonomisti l’avremmo fatto!

FINOCCHIARO APRILE. Avvenne così che l’onorevole De Gasperi si servì della minaccia di fare un gabinetto di soli democratici cristiani con esclusione dei comunisti, per influire sulle determinazioni dell’onorevole Togliatti. Io non so se questa minaccia, che taluno chiamò un ricatto da parte dell’onorevole De Gasperi, abbia indotto l’onorevole Togliatti a modificare il suo precedente e più logico atteggiamento. Certo è che quel benedetto articolo «Tamburo e tamburini» scompaginò un po’ le aspettative generali. I tamburini erano i comunisti, il tamburo l’onorevole De Gasperi. Gli uni dovevano battere a più non posso sul secondo. Ma vivaddio, onorevole Togliatti, il tamburo si fa con la pelle d’asino, mentre l’onorevole De Gasperi è un filosofo, un teologo, un teosofo ed ha tante altre belle virtù. (Rumori – Commenti).

Una voce al centro. Teosofo, poi!

FINOCCHIARO APRILE. Non vorrei che, attraverso tanta preparazione culturale, l’onorevole De Gasperi si fosse messo oggi a studiare anche l’esistenzialismo. (Commenti). L’esistenzialismo per quei dotti colleghi, molto dotti – come voi sapete – è la elevazione a dottrina filosofica dell’amletico «essere o non essere?». Molto spesso, credo, in questi giorni l’onorevole De Gasperi si pone il dubbio amletico: «sono o non sono?». Io dico al Presidente del Consiglio come tale: «Lei oggi è; ma guardi, fra brevissimo tempo lei non sarà più». (Commenti – Si ride).

La verità è che l’onorevole De Gasperi si presenta all’Assemblea Costituente e al Paese come un minorato. Egli era partito per fare un Ministero con l’esclusione dei comunisti e doveva fare un Ministero senza i comunisti: non riuscendo a costituire il Ministero senza i comunisti, doveva declinare il mandato di costituire il nuovo Gabinetto.

D’altra parte, dovendo prevedere la impossibilità dell’esclusione dei comunisti, non doveva determinare la crisi ministeriale; crisi, ripeto, illegittima che ha messo il Capo provvisorio dello Stato in una condizione di estremo imbarazzo, perché lei, onorevole De Gasperi, non era più il designato a comporre il nuovo Ministero. (Commenti – Interruzioni).

Una voce al centro – E chi allora? Lei?

FINOCCHIARO APRILE. Non era designato a comporre il nuovo Ministero, perché le situazioni politiche sono contingenti, sono mutabili. Lei ha ripreso la direzione degli affari in base al risultato delle elezioni del 2 giugno; ma lei, onorevole De Gasperi, ha dimenticato che nelle elezioni successive, nelle elezioni amministrative, che ebbero aperto carattere politico, il partito democratico cristiano è stato solennemente battuto; non c’è dubbio. (Commenti).

Una voce al centro. Lo dice lei!

FINOCCHIARO APRILE. Lo dico io? Lo dicono i risultati, i numeri. Ed è altrettanto innegabile che il partito comunista è uscito dalle elezioni amministrative accresciuto ed era perfettamente giustificata la richiesta dell’onorevole Togliatti di avere un maggior numero di posti nel Ministero.

D’altra parte, non essendovi nessuna designazione in persona dell’onorevole De Gasperi, essendo la posizione del partito democratico cristiano una posizione di sconfitto in confronto alle elezioni del 2 giugno, era evidente che la designazione non fosse per la sua persona. Dissi e ripeto che si doveva venire dinanzi all’Assemblea Costituente, perché questa facesse una discussione sulle ragioni in base alle quali l’onorevole De Gasperi aveva rassegnato le dimissioni del Ministero e il Capo provvisorio dello Stato avesse così una norma nelle sue determinazioni. Solo dopo un’ampia discussione nella Assemblea Costituente, in seguito ad una designazione dell’Assemblea stessa, si doveva procedere al conferimento dell’incarico per la composizione del nuovo Ministero.

Sarà che io mi riferisco ad una vecchia prassi politica e parlamentare, mentre oggi le cose sono molto modificate; ma io penso che l’onorevole De Gasperi, per quello che ho detto, non rappresenti in questo momento al Governo legittimamente il Paese. (Commenti – Ilarità). Io penso che l’onorevole De Gasperi sia anche in gravi angustie in rapporto ai suoi amici. Noi non viviamo nel mondo delle nuvole; viviamo a Montecitorio, ed abbiamo saputo di riunioni del gruppo parlamentare democratico cristiano e di voci che si sono elevate contro l’onorevole De Gasperi: chi lo voleva trarre da una parte, chi dall’altra. Il dissidio è tutt’altro che sedato e la fiducia nell’onorevole De Gasperi da parte della Democrazia cristiana è fortemente diminuita.

Nel partito della Democrazia cristiana si va affermando insistentemente e nettamente una decisa tendenza a destra: vi è il Padre Lombardi che si agita in questo senso. (Ilarità). Egli è fiancheggiato dall’onorevole Jacini, espressione dello spirito più apertamente reazionario. Vi sono agitazioni, vi sono ribellioni, vi sono ostracismi che inficiano la consistenza del partito. E poi vi è il principe ereditario… (Commenti).

Una voce. Nella Democrazia cristiana? (Si ride)

FINOCCHIARO APRILE. Egli ha addome tondo e prominente, occhio di sparviero, ganascia forte e robusta, passo felpato di volpe; e procede con in mano un’anfora di acqua tofana, per versarne nella coppa del suo signore e donno. L’acqua tofana è quel dolce liquore di cui si serviva il duca Valentino per sbarazzarsi della gente, lui che pure andava a messa due volte il giorno. (Rumori – Si ride).

Ora, non mi pare che il tempo, per gli eredi delle corone, sia molto propizio. Cadono le dinastie, crollano i troni ed anche il soglio della Democrazia cristiana sta per essere sparecchiato.

E io vi dico che l’onorevole De Gasperi ha recato danno a tutti, sempre; ma anche e specialmente alla Democrazia cristiana. L’onorevole De Gasperi è come la mummia di Tutankamen. Egli non porta fortuna e semina il suo cammino di morti.

Quali sono, onorevoli colleghi, le ragioni della disfatta progressiva della Democrazia cristiana? Sono molte. Ne ricorderò alcune. La prima è costituita dai sistemi elettorali adottati il 2 giugno. Ne ho parlato altre volte all’Assemblea Costituente, e me lo ricordo bene. (Si ride). Manovre subdole di ogni genere, corruzioni senza limite, pressioni e violenze sul corpo elettorale, intimidazioni fatte dai confessionali e dai pergami (Rumori – Commenti), determinarono il grande successo al quale è seguita una inevitabile e salutare reazione. Ma quando i vescovi, i parroci e in genere i sacerdoti aventi cura di anime non si sono occupati di schede e di votazioni, come nelle ultime elezioni amministrative, il risultato è stato disastroso. È, dunque, nell’intervento illegittimo e abusivo degli organi della Chiesa che i democratici cristiani ripongono la loro salvezza.

Onorevole De Gasperi, io non chiedo a lei il rispetto della legge su questo terreno; lei non la farà rispettare mai perché ha interesse a che sia violata. (Rumori – Commenti al centro). Però, poiché noi ci avviamo verso le elezioni, mi permetto di ricordare a lei, e forse, più che a lei, a chi fra breve le succederà (Si ride), che vi è un articolo del Concordato il quale dice: «La Santa Sede prende occasione dal presente Concordato per rinnovare a tutti gli ecclesiastici e religiosi d’Italia il divieto di iscriversi e militare in qualsiasi partito politico». Non poteva il Trattato Lateranense usare espressioni diverse. Vi è poi la legge elettorale per l’Assemblea Costituente la quale punisce il ministro di culto, che abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati ed a vincolare il suffragio degli elettori a favore o in pregiudizio di determinate liste e di determinati candidati o di indurli all’astensione. Io, quindi, debbo richiamare l’attenzione dell’Assemblea Costituente sul fatto che la partecipazione degli aventi cura di anime e cioè, a norma del Concordato, degli ordinari, dei parroci, dei vice-parroci, dei coadiutori, dei vicari e dei sacerdoti stabilmente appartenenti a Chiese aperte al pubblico, è un reato. Ricordi ciò l’onorevole De Gasperi e non si lamenti, poi, se il rispetto della legge, che è un dovere per tutti, sarà, un bel momento, imposto dal popolo.

Ma, onorevole De Gasperi, non sono soltanto le indebite ingerenze del clero che hanno determinato, come reazione, lo sfaldamento bella Democrazia cristiana. Io non voglio, però, che sorgano equivoci: noi non siamo affatto contro la religione. Tutt’altro! (Commenti al centro). Noi la rispettiamo, noi la onoriamo come uno dei fondamentali elementi su cui si asside la coscienza popolare; ma noi non vogliamo che la religione serva come strumento di bassa speculazione politica e di profittantismo elettorale.

Vi è un’altra ragione per cui la Democrazia cristiana va scadendo, e forse l’enunciazione di questa ragione di fronte all’Assemblea Costituente e al Paese scatenerà alquanto disappunto ed è questa: gli onorevoli Deputati democratici cristiani vanno in cerca affannosa di tutti i posti più largamente retribuiti. (Rumori – Commenti). Io confido di potere presentare prossimamente all’Assemblea Costituente l’elenco dei Deputati democratici cristiani i quali sono direttori di banca, presidenti di istituti, consiglieri di amministrazione di società e via dicendo, che hanno numerose e lautissime prebende. Questa è una indecenza. (Interruzioni vivissime – Rumori).

GRONCHI. Oggi lei doveva portare questo elenco.

FINOCCHIARO APRILE. Comincerò da lei.

Una voce. Non si può andare avanti così! Presidente, lo inviti a ritirare le sue parole.

Voci. Non deve più parlare! (Rumori vivissimi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di far silenzio. Se c’è taluno che si senta colpito dalle affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, ha soltanto il diritto di domandare la parola e a suo tempo l’avrà. Invito quindi l’onorevole Finocchiaro Aprile a non interrompere, ché, mi pare, sia piuttosto in vena di facezie. (Commenti – Interruzioni).

Voci. No, no!

FINOCCHIARO APRILE. Io mi rivolgo al Presidente: quello che ho detto risponde perfettamente a verità. Io mantengo quello che ho detto. Non è una facezia, è una cosa molto seria, onorevole Presidente; è un fatto vergognoso che intacca la dignità e l’onore del partito democratico cristiano. (Rumori vivissimi – Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, lei colpisce indiscriminatamente l’onore di 207 deputati che siedono in questa Camera. La richiamo all’ordine per la prima volta.

FINOCCHIARO APRILE. Questo mio rilievo si riconnette evidentemente ad una proposta fatta dall’onorevole Nitti. L’onorevole Nitti, in uno dei suoi primi discorsi, affermò che i Deputati alla Costituente non devono avere cariche di carattere soprattutto finanziario, che il Deputato deve servire il Paese con abnegazione e non deve andare alla ricerca spasmodica, come molti hanno fatto e fanno, di uffici presso organismi statali e parastatali o comunque aventi pubbliche finalità o rapporti con lo Stato, e ciò a puro scopo di lucro.

Ed io mi riferisco anche alle parole dell’onorevole Conti. L’onorevole Conti è un uomo nobile e generoso. Egli con veemenza richiamò la Camera alla necessità del rispetto e dell’elevazione del senso morale nella vita pubblica.

L’onorevole Scoccimarro, l’altro giorno, con accento commosso, parlò di impiegati che servono onoratamente il Paese, e fece bene. Sono d’accordo con lui. Questi impiegati dovrebbero essere tutelati, protetti, dovrebbero avere ogni vantaggio possibile, dovrebbero essere tolti dal dimenticatoio. Ma, onorevoli colleghi, oggi purtroppo vi sono amministrazioni e uffici nei quali, per ottenere qualche cosa, bisogna andare provvisti di un mezzo chilo di biglietti da mille per distribuirli. Ciò è indegno. Oggi noi viviamo in un clima di corruzione, in un grave disagio morale.

Onorevole De Gasperi, non crede lei che sarebbe stato compito precipuo dei suoi Gabinetti di moralizzare la vita politica e amministrativa d’Italia? Che cosa ha fatto lei in tal senso? Nulla.

Onorevole De Gasperi, io la prego di dirmi qualche cosa, ad esempio, sulla gestione del Ministero dei lavori pubblici da parte dell’onorevole Giuseppe Romita.

ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Quando vuole, anche adesso.

FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Giuseppe Romita ha popolato il Ministero di impresari, di costruttori, di speculatori. La ditta Cidonio, della quale l’onorevole Romita è stato impiegato, si è mantenuta in testa a tutti. Io non dico, onorevole Romita, che lei sia un disonesto. No, davvero. Però, onorevole Romita, vi sono delle compagnie che bisogna tener lontane, quando si maneggia il danaro dello Stato. Dieci miliardi di lire sono stati distribuiti durante la sua direzione del Ministero dei lavori pubblici. Troppi individui famelici erano intorno a lei che hanno mangiato abbondantemente. Questo è staio scandaloso. Lei è stato giuocato.

Onorevole De Gasperi, lei ha mandato via l’onorevole Bertone, un onesto uomo.

BERTONE. La ringrazio!

FINOCCHIARO APRILE. La successione di Bertone in persona dell’onorevole Campilli è stata la migliore, la più adatta? L’onorevole Campilli è stato uno speculatore… (Interruzioni – Rumori al centro) anche speculatore di borsa. Non importa a me di sapere se abbia fatto bene o abbia fatto male; ma a me pare che l’onorevole Campilli non offra al Paese, come Ministro del tesoro e delle finanze, sufficienti garanzie. (Interruzioni al centro – Proteste vivissime – Rumori).

Una voce. Si tratta di uomini di Governo; non si può più oltre tollerare che parli!

FINOCCHIARO APRILE. Onorevoli colleghi, altra importante ragione che ha determinato la crisi ministeriale è stata la scissione del partito socialista. Era una scissione necessaria. E l’onorevole Saragat, che l’ha determinata, ha, secondo me, acquistato una particolare benemerenza in rapporto al socialismo italiano. Io penso che l’onorevole Saragat abbia salvato il partito socialista dalla rovina. Certo che il ducismo dell’onorevole Nenni non era destinato a rafforzare e a potenziare il socialismo. Quello di Saragat è un nobilissimo tentativo e possiamo dire che sia già riuscito. È sorto un nuovo partito socialista, che vuole essere il partito di tutti i socialisti, non legato ad un altro partito o agli interessi di politica estera di un paese straniero, il partito di tutti i socialisti, che respingono la dittatura e il totalitarismo e credono nella libertà come metodo e nel socialismo come fine. Credo che il programma dell’onorevole Saragat si riconnetta alle pure origini del marxismo; credo che il voler convogliare verso il socialismo i ceti medi sia volere dare una gran forza al socialismo. Lo vedremo nei prossimi mesi. Io auguro pieno successo sia al nuovo partito, sia all’amico Saragat, che ha voluto e saputo raccogliere l’eredità evoluzionista di Filippo Turati.

Voci al centro. Tessera onoraria!

FINOCCHIARO APRILE. La verità è che il socialismo permea ormai in tutti gli ambienti; è diventato un minimo comune denominatore. Se voi esaminate la dottrina liberale di oggi, voi la troverete profondamente diversa da quella che era al tempo di Cavour. Il socialismo esercita un’influenza determinante e decisiva sul liberalismo; e io penso che, oltre al socialismo, anche il liberalismo abbia ancora da adempiere un’alta missione nella vita internazionale e nella vita italiana in particolare.

D’altra parte non dovreste esser voi di parte democristiana a lamentarvi di questa permeazione del socialismo anche nelle vostre file. Per quanto voi siate nemici giurati di Miglioli, egli è, fra i cattolici, l’uomo che ha mirato all’integrazione dello spiritualismo cristiano col socialismo classista.

E che cosa, nell’ultima fase della sua vita veramente luminosa e grande, pensava Filippo Turati? Non era Filippo Turati che auspicava un incontro tra le forze socialiste italiane e le forze del cristianesimo?

Il socialismo si diffonde, il socialismo è nella coscienza di tutti, è luce di progresso, è luce di civiltà: noi indipendentisti siciliani vogliamo che le classi lavoratrici arrivino al Governo; noi vogliamo che i contadini e gli operai, meglio di tutte queste persone che, come dicevo, guardano il proprio ombellico, vadano al banco del Governo, poiché soltanto… (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. La richiamo all’ordine, per la seconda volta! Non è questo il modo di parlare di colleghi che siedono al banco del Governo. (Vivi applausi al centro).

FINOCCHIARO APRILE. Lei presiede in modo poco tollerante. (Vivi rumori – Proteste).

PRESIDENTE. Sono stato anche troppo tollerante. Continui!

FINOCCHIARO APRILE. Soltanto, soggiungevo, ripetendo cose dette tante volte, con la partecipazione, diretta e senza interessati intermediari, dei contadini e degli operai al Governo, la voce delle classi lavoratrici potrà risuonare alta a rivendicare i loro diritti e potrà essere ascoltata.

Noi indipendentisti siciliani abbiamo appreso con viva sodisfazione l’uscita dal Governo e la non partecipazione al nuovo Ministero dei repubblicani storici. Nonostante le lusinghe dell’onorevole De Gasperi, i repubblicani storici hanno capito che il loro posto non poteva essere più a fianco dell’onorevole De Gasperi.

In altra occasione io dichiarai che, nelle prime fasi della agitazione indipendentista siciliana, vi era stato un accostamento fra i repubblicani italiani e gli indipendentisti siciliani. L’accostamento era avvenuto sul terreno federativo. Venuti alla Camera, i repubblicani storici abbandonarono questo terreno federativo e non potemmo più accordarci. Io tuttavia confido che il partito repubblicano, rotti gli indugi, saprà assolvere l’alta funzione di restaurare il pensiero politico di Carlo Cattaneo per la confederazione dei liberi Stati italiani.

E, a questo proposito, voi non potete non aver avvertito i lieviti di disintegrazione nazionale che vanno affiorando un po’ dappertutto. Io sono siciliano, io guido il “Movimento per l’indipendenza della Sicilia” e potrei e vorrei circoscrivere la mia azione alla mia terra e alla realizzazione della grande aspirazione della patria siciliana. Ma ho visto con grande soddisfazione venire a me gente della Sardegna, che ha creato la «Lega sarda», agognante della piena indipendenza della terra di Eleonora d’Arborea; ho visto venire a me i capi della Valle di Aosta…

Una voce al centro. Non è vero.

FINOCCHIARO APRILE. Non è vero? Come, non è vero? È venuto da me il Presidente del Consiglio della Valle di Aosta Caveri; è venuto il direttore dell’«Union Valdôtaine» Deffeyes; è venuto l’avvocato Page, tutti in rappresentanza di quel nobile paese, e mi hanno esposto le loro ragioni, mi hanno parlato con commossi accenti delle aspirazioni delle loro popolazioni, mi hanno esortato ad invitare l’Assemblea Costituente a sodisfarle. La semplice autonomia non basta loro e si vuole che la Valle di Aosta sia elevata a cantone.

Una voce. Non è vero!

FINOCCHIARO APRILE. Come non è vero? Lo domandi all’onorevole Bordon.

BORDON. Lo Stato federale non lo vogliono.

FINOCCHIARO APRILE. Vogliono la Confederazione di Stati liberi: e quei signori sono venuti qui a Roma per dirmelo; ed ho loro promesso di sposare la causa valdostana, che è una vera causa di giustizia. Io vi invito, signori deputati, ad esaminare con benevolenza i voti delle popolazioni valdostane e ad appagarli. (Commenti – Interruzioni).

E aggiungo che non sono soltanto essi ad invocare un diverso assetto politico e amministrativo: vi sono anche gli altoatesini, tanto vicini all’onorevole De Gasperi. I rappresentanti del Süd-tiroler Volkspartei seguono, in massima, la stessa direttiva dei rappresentanti della Valle di Aosta; essi vogliono l’elevazione della loro terra a cantone, di tipo svizzero. E perché il Governo italiano, perché la classe dirigente italiana debbono opporsi alla sodisfazione di queste legittime aspirazioni di popolazioni meritevoli della più alta considerazione? (Interruzioni).

CINGOLANI. Perché vogliono che l’Italia non vada a brani.

BORDON. È fuori causa l’Italia.

FINOCCHIARO APRILE. Benissimo! L’Italia non andrebbe affatto a brani. La Confederazione Nord Americana non distrusse l’unità dei popoli del suo vastissimo territorio; la rafforzò: la Confederazione Svizzera rese granitica l’unità dei popoli elvetici: la Confederazione Germanica fece un solo blocco dei popoli di lingua tedesca. Non è vero che la Confederazione di Stati liberi e sovrani distrugga l’unità dei popoli entro l’ambito confederale: invece la determina, la costituisce, la rinsalda.

Persuadetevi che il sistema unitario del 1860 ha fatto fallimento; che bisogna sostituirgli qualche cosa di più conforme ai supremi e reali interessi delle varie collettività. Non per opporci alle loro esigenze, ma per venire incontro ad esse noi siamo all’Assemblea Costituente; non già per rifare lo Stato, su per giù, così com’era prima, con la sola trasformazione istituzionale. Bisogna operare una grande riforma, degna del pensiero politico e giuridico dei nuovi tempi: bisogna dare alle nostre popolazioni che lo desiderano e che ne sono degne il diritto di governarsi da sé. Non potete imporre a queste popolazioni, che hanno ormai raggiunto un elevato grado di civiltà, di dovere chiedere a Roma, accentratrice e dispotica, la sodisfazione dei loro più elementari diritti, dei loro più elementari bisogni.

Io ho avuto la sodisfazione di veder sorgere a Trieste, tempo fa, un «Movimento per l’indipendenza della Venezia Giulia». A capo di questo movimento c’è un purissimo italiano, Paulin. Io ho assecondato questo movimento, il quale è ormai federato a quelli analoghi della Sicilia, della Sardegna, della Valle di Aosta e dell’Alto Adige. Ebbene, Trieste è città italianissima; nessuno può mettere in dubbio ciò. Orbene, il «Movimento per l’indipendenza della Venezia Giulia», mirava e mira a questo: a svincolare Trieste dalla soggezione di Roma, dal potere esclusivista e soverchiatore di Roma.

Una voce al centro. È un movimento pagato dai finanzieri e dai grossi capitalisti. Questa è la realtà.

FINOCCHIARO APRILE. Lei s’inganna. Però non è avvenuto ciò che Paulin e gli altri indipendentisti triestini desideravano, cioè l’erezione a Stato libero di Trieste e la sua partecipazione ad una Confederazione di Stati italiani. Non è avvenuto, dolorosamente. È avvenuto, invece, qualche cosa che ha colpito nostri cari fratelli triestini, perché gli alleati, nelle loro vacillanti ideologie, hanno concepito un ordinamento diverso.

Il senatore americano Connally, in un discorso tenuto a Parigi il 16 settembre, diceva: «Il libero territorio di Trieste non deve esistere soltanto sulla carta; esso deve essere uno Stato reale, con la sua propria identità ed il suo proprio carattere, con la sua propria indipendenza e la sua propria dignità». Orbene, se questo fosse avvenuto, mantenendo le richieste di Paulin e compagni di una confederazione dello Stato libero di Trieste con lo Stato italiano, tutti sarebbero stati contenti. Non si è fatto ciò; si è creato, sì, uno Stato libero, ma lo si è voluto staccare dall’Italia e gli si è imposto un governatore straniero.

Diceva Connally: «Lasciateci fare di Trieste il simbolo della sicurezza nel mondo». No, signori; si è fatta di Trieste una nuova Danzica, una roccaforte angloamericana contro l’avanzata russa nell’Europa occidentale, una polveriera che farà saltare nuovamente il mondo per aria.

Io non so se voi siate informati di certi piani militari alleati nel Mediterraneo. Io ne ho avuto notizia da varie fonti, notizia raccolta anche da Don Sturzo. I piani angloamericani hanno già stabilito una linea di difesa, che comprende il Portogallo, la Spagna, l’Africa settentrionale e la Sicilia. Voi ben comprendete, come io siciliano, consideri questo avvenimento con estrema perplessità e preoccupazione, perché è evidente che, quando la pace è appena avvenuta, già le armi si affilano, disgraziatamente.

Io non ho approvato il viaggio dell’onorevole De Gasperi in America. (Commenti al centro). È stato un grosso errore. Si dice che questo viaggio ha determinato una ripresa di rapporti fra i due Paesi; si dice che si è verificata una maggiore distensione fra di loro e che l’America si propone ora di aiutare maggiormente l’Italia. Non nego ciò, per quanto io ignori qual ne sia la contropartita. Ma, rovesciate la medaglia. Avete notato la reazione violenta da parte della Russia? E credete che avere la Russia ancor più nemica valesse la pena di un viaggio in America?

Il Trattato, signori Deputati, se anche lo volete considerare tale, non è in funzione di pace, ma è in funzione di guerra. Se non fosse così, le decisioni degli alleati nei riguardi di Trieste sarebbero state completamente diverse. Vanamente il signor Bevin sparge oggi lacrime di coccodrillo. Egli è stato uno dei più pervicaci nemici del nostro Paese. Il diktat è un documento disonorevole per noi. L’Italia perdette la guerra; era ovvio, quindi, che dovesse e debba risentire le conseguenze di una guerra perduta; ma per noi, sul terreno politico interno, il responsabile primo dell’odioso Trattato è l’onorevole De Gasperi. (Si ride).

Mi sovviene che, nel 1905, fu negoziato un trattato di commercio con la Spagna, trattato di commercio che non fu, specialmente riguardo ai vini, un buon trattato. Orbene, il Ministro delle finanze era allora l’onorevole Majorana. Egli venne alla Camera dei Deputati e disse tutto quello che aveva fatto per ottenere un trattato migliore. La Camera si persuase che nulla si sarebbe potuto fare di più e di meglio da parte del Ministro delle finanze. Ma l’onorevole Majorana, di fronte all’insuccesso, sentì di non potere restare al suo posto e l’indomani rassegnò le sue dimissioni. Lo stesso avrebbe dovuto fare l’onorevole De Gasperi. Io non nego che qualche cosa egli abbia tentato di fare, ma la verità è che il suo è un incommensurabile insuccesso, un insuccesso di cui non ve n’è l’uguale, e l’onorevole De Gasperi deve subirne le conseguenze.

Io vorrò in poche parole esaminare questa azione dell’onorevole De Gasperi. Già egli avrebbe dovuto intervenire fin da due anni fa, fin dalla sua nomina a Ministro degli esteri: egli doveva andare a destra ed a sinistra, a Washington ed a Mosca, a Parigi e a Londra, dappertutto, chiedendo condizioni umane, parlando in nome della tradizione di civiltà del popolo italiano, del nostro genio, delle nostre necessità di vita, dell’onore del nostro Paese. L’onorevole De Gasperi si dilettò, invece, di rafforzare il suo partito, si dilettò di trovare ai suoi amici posti nell’Assemblea Costituente o altrove, e si accorse che c’era un Trattato di pace da concludere soltanto quando il Trattato fu a lui comunicato dagli alleati. Troppo tardi, onorevole De Gasperi!

Quale fu la condotta dell’onorevole De Gasperi in rapporto alla Francia? Ho rimproverato aspramente all’onorevole De Gasperi di avere rinunziato agli statuti di Tunisi, rinunzia che tanto danno recò ai miei fratelli siciliani di laggiù, ormai oggetto della più sfrontata persecuzione. La richiesta francese doveva essere virilmente contrastata e comunque negoziata. Si poteva ottenere il mantenimento degli statuti, consentendo e cedendo qualche altra cosa. Lei invece, rinunziò puramente e semplicemente, dimenticando – e lo dissi l’altra volta alla Camera e non si ebbe il coraggio di oppormi nulla – che lei in tal modo tradiva i siciliani di Tunisia, i quali con il loro lavoro e la loro tenacia, avevano creato la ricchezza e la prosperità di quella grande colonia francese nel Mediterraneo. Lei rinunziò, come ha sempre rinunziato. Non ha saputo fare altro che rinunziare in politica estera.

Un giorno dovevo commemorare a Palermo l’anniversario del Vespro Siciliano. Mi fu inviato un emissario del generale De Gaulle, il quale si dolse del mio proposito e pretendeva quasi d’impormi di astenermi dal celebrare il grande avvenimento, per non offendere la suscettibilità francese. Risposi che avrei commemorato egualmente questa memorabile data che segna veramente, nella storia, l’inizio del risveglio della coscienza e dell’anima popolare di tutto il mondo. In quella occasione dissi anche a questo emissario francese che De Gasperi aveva tradito noi siciliani, rinunziando agli statuti di Tunisi, rinunzia da noi considerata illegittima. Confidiamo, infatti, di ritornare domani in possesso di questi statuti ai quali abbiamo sacrosanto diritto.

L’onorevole De Gasperi ha portato al fallimento anche l’internazionale cattolica. Quando Bidault assunse il governo in Francia, era quella la migliore occasione per incontrarsi con lui e per intendersi. Voi, professando la medesima ideologia, parlavate la stessa lingua. Tentò lei questo incontro, onorevole De Gasperi? O mostrò il viso duro ed arcigno a questo suo correligionario?

E lei, onorevole De Gasperi, ha anche la responsabilità di avere determinato pure il fallimento – nei riguardi dell’Italia, ben’inteso – dell’internazionale rossa. Quando lei – e lo ha fatto ripetutamente – ha rimproverato all’onorevole Togliatti di non avere ottenuto nulla dai suoi amici di Mosca e del Kremlino, lei ha sbagliato, perché egli non poteva ottenere nulla, data la politica stolta del Capo del Governo. Quando, onorevole De Gasperi, lei, forse senza volerlo, prendeva partito per l’Inghilterra, era evidente che la Russia doveva mettersi, come poi effettivamente si è messa, contro l’Italia.

Se dal principio lei avesse fatto veramente una politica estera accorta ed illuminata, se avesse manovrato scaltramente, se avesse messo da parte gli interessi suoi di partito, i risultati sarebbero stati certo diversi.

Il famigerato congresso di Bari mise lei e tutti gli altri fuori strada; quel congresso di Bari che fu pronubo di tante sciagure. Una delle maggiori fu la scelta degli ambasciatori che le profferirono i vari partiti e che lei manda per rappresentare l’Italia all’estero: tutta gente senza conoscenze, senza esperienze, senza prestigio, senza dignità. Cosa voleva e poteva lei ottenere da questi ambasciatori di nessun conto?

Eh! onorevole De Gasperi, quando si pensa che l’Italia ebbe diplomatici come Nigra, Tornielli, d’Avarna, Tittoni, di Sangiuliano, vi è veramente da rimanere desolati di fronte agli ambasciatori che lei ha chiamati a succedere loro ed a parlare in nome dell’Italia.

La politica estera di De Gasperi io la chiamo la politica estera del nulla.

Senta, una volta che parlo della Francia, io le voglio ricordare l’esempio di Visconti Venosta. Visconti Venosta, in tempi di Triplice Alleanza, riuscì abilmente ad annodare rapporti con la Francia ad Algesiras. Vero è che Bülow disse che l’Italia ormai era abituata ai giri di valzer, ma la politica di Visconti Venosta assicurò dei grandi successi all’Italia, non certo equiparabili ai successi dell’onorevole De Gasperi!

Come con la Francia, l’onorevole De Gasperi non ha saputo trattare con la Jugoslavia.

Era venuto in Italia il dottor Josip Smodlaka ed io ho qui una sua lettera pubblicata sul giornale Il Popolo.

Scrive il dottor Smodlaka: «La Jugoslavia ha fatto il primo passo per riprendere le relazioni con l’Italia, come fu pubblicamente affermato dal Presidente del Governo Jugoslavo, Maresciallo Tito, senza che nessuno potesse smentirlo, in quanto ero stato inviato proprio io a Roma quale rappresentante speciale con il compito di un accordo diretto con il Governo italiano per le questioni in pendenza fra i due Paesi. E se non si poté pervenire a trattative formali, di ciò il Governo italiano ne porta tutta la responsabilità. Al mio arrivo a Roma, comunicai lo scopo della mia venuta al ministro italiano Togliatti, e, dietro sua richiesta, lo autorizzai ad informare i suoi colleghi dello scopo della missione. Nel corso delle conversazioni in cui era apparsa la possibilità di un accordo, Togliatti ed io siamo giunti alla conclusione che, per iniziare le trattative, bisognava creare prima di tutto un’atmosfera adatta. Mentre io avevo il compito di comunicare al nostro Governo i desiderati italiani, il signor Togliatti si era dichiarato d’accordo con me che il Governo italiano dovesse dare pubblica sodisfazione alla Jugoslavia per tutte le ingiustizie e le prepotenze sofferte dalla stessa per gli attacchi italiani. Togliatti mi aveva pure promesso formalmente di parlarne ai colleghi del Governo e di riferirmene l’esito. Rimanemmo senza risposta».

Certo, bisognava trattare con la Jugoslavia con mentalità adeguata, che non era quella dell’onorevole De Gasperi. L’onorevole De Gasperi ha trattato sempre come una specie d’imperatore della Cocincina, mirando tutto e tutti dall’alto in basso, come se dovesse non domandare, ma concedere qualche cosa. Egli merita il rimprovero di Churchill, il quale disse che il Governo italiano agì sempre come se l’Italia avesse vinto la guerra e l’Inghilterra e le altre potenze l’avessero perduta.

Se l’onorevole De Gasperi, anziché scrutare le nuvole, avesse volto gli occhi a terra, si sarebbe accorto che con la Jugoslavia vi era possibilità di una intesa giusta, d’una intesa feconda di bene.

L’onorevole De Gasperi è il responsabile del mancato accordo con la Jugoslavia.

È questione che gli uomini non si improvvisano.

L’onorevole De Gasperi, solo per la conoscenza di qualche lingua, ha creduto di poter fare il ministro degli esteri e di riuscire a barcamenarsi astutamente sul terreno internazionale; ma il risultato è stato che è fallito in pieno. Perché non s’è ispirato all’esempio di Venizelos?

Nell’ultima guerra Venizelos era detestato da tutti, amici e nemici; ma era uomo pieno di tatto e di abilità. Egli con il lungo insistere, con una pazienza da certosino, con le sue argomentazioni serrate, finì col vincere ogni resistenza. In ultimo egli riuscì a raddoppiare il territorio nazionale greco.

L’onorevole De Gasperi è, mi dicono, uno studioso; ma forse non si è mai interessato di storia diplomatica. Io voglio ricordare a lui ed a voi la conferenza di Berlino del 1878. Ebbene, allora Disraeli si trovava in una situatone alquanto grave e con lui il suo paese, l’Inghilterra. Disraeli era circondato dall’avversione più tenace di Bismarck e di Gorgiakoff, il molosso ringhioso tedesco e l’orso zoppo russo. Bismarck e Gorgiakoff volevano assestare qualche colpo mortale alla Gran Bretagna e particolarmente al suo impero coloniale. Erano ormai d’accordo. Si erano sempre odiati. Si unirono strettamente al fine di raggiungere quell’intento. Ma, più i due si accanivano, più divenivano arroganti, più Disraeli si faceva umile e suadente. Egli aveva buon sangue veneziano, era fine, elegante, profumato, subdolo. La sua era una logica impeccabile. I suoi avversari, pur tanto adusati alla schermaglia diplomatica, non avevano mai trovato il punto debole, per colpire quegli che doveva poi essere lord Beaconfield. Il trattato di Berlino richiese parecchio tempo. Alla fine Disraeli uscì vittorioso: ed anziché il tradizionale mazzetto di primule, poté offrire all’innamorata regina Vittoria, su un piatto di malakite verde e azzurra, la corona di imperatrice delle Indie.

Nessuno pretende che l’onorevole De Gasperi avrebbe dovuto e potuto imitare Disraeli: ma era giusto attendersi da lui una più convinta e vigorosa difesa degli interessi italiani. Tale difesa è completamente mancata.

Con la Jugoslavia l’onorevole De Gasperi avrebbe potuto ottenere quello che avesse voluto. Gli slavi, del nord o del sud che siano, sono ben migliori della fama che si è loro fatta. Lo avrebbe potuto ottenere prima che apparisse chiaro alla Russia che l’Italia si era fatta attrarre nel giuoco diplomatico britannico, giuoco consistente nel promettere Trieste sia all’Italia sia alla Jugoslavia. L’onorevole De Gasperi credette alla promessa fatta all’Italia e si strinse alla Gran Bretagna, senza riflettere che, proprio da questa parte, con Attlee e Bevin, come prima con Churchill e Eden, erano i più tenaci e irriducibili nemici dell’Italia.

Seppe l’onorevole De Gasperi della promessa di Trieste fatta dalla Gran Bretagna a re Pietro? È a credersi di no. Ma è molto strano che la notizia, non certo riservatissima, non sia pervenuta all’onorevole De Gasperi. Se non gli pervenne fu a causa dell’insufficienza dei suoi informatori e dei suoi ambasciatori.

Ma la notizia giunse all’onorevole Togliatti e ad altri, e giunse anche a me attraverso il capo dell’Ufficio stampa del reale Governo jugoslavo che, al tempo dell’occupazione alleata della Sicilia, ebbe a comunicarmela a Palermo. (Commenti).

Venne la smentita britannica, ma la smentita britannica, come quasi sempre le smentite diplomatiche, non smentì nulla. La smentita britannica era questa: «Secondo quanto si apprende da alcuni giornali italiani, il capo del partito comunista italiano, onorevole Togliatti, avrebbe, in una intervista concessa dopo il suo ritorno da Parigi, dichiarato che tra il Governo di re Pietro di Jugoslavia e il Governo britannico era stato firmato un patto per cui alla Jugoslavia sarebbe stata attribuita, dopo la guerra, la frontiera dell’Isonzo».

Un patto scritto? Ma nessuno aveva parlato di un patto scritto. Era una smentita gratuita. L’impegno esisteva inequivocabilmente, per quanto il mantenerlo non fosse nelle sole possibilità britanniche e le prevedibili sopravvenute circostanze internazionali, con la caduta del regime monarchico in Jugoslavia, dovessero renderlo frustraneo.

Quando il destino di Trieste fu deciso, così come tutti voi sapete, l’onorevole De Gasperi si meravigliò del mancato impegno britannico, gridò al tradimento, ma non pensò di attribuire alla sua fanciullesca ingenuità il proprio insuccesso con la dolorosa perdita di Trieste.

È una fatalità per il Paese che, alla direzione del Ministero degli esteri, vadano talvolta dei creduloni. Altro che discendenti di Machiavelli! Capitò anche a Cairoli. Cairoli, da galantuomo e da soldato, credette alla parola di un ambasciatore francese che la Francia non sarebbe mai andata a Tunisi. Dopo 48 ore, la Francia era sostanzialmente padrona di Tunisi.

La verità è che, attraverso la inconsistente e incongruente politica estera dell’onorevole De Gasperi, l’Italia è oggi isolata. La Russia si è posta anzi contro di noi. Bisogna assolutamente far sì che questa situazione non perduri; bisogna, per la salvezza d’Italia, che a Capo del Governo si mandi un uomo che sappia riprendere e consolidare i rapporti con tutte le potenze e con la Russia in ispecie. (Commenti – Interruzioni). Quest’uomo è l’onorevole Nitti, soltanto lui. (Interruzioni – Commenti).

Onorevole De Gasperi, occorre non ingannarsi: il nostro Paese è ridotto veramente a mal partito (Interruzioni) per opera sua, per opera della sua insipienza. (Rumori). Dovunque è ansietà, è preoccupazione, è dolore, è miseria. Onorevole De Gasperi, è necessario e urgente che lei si decida ad andar via. (Commenti – Rumori – Interruzioni).

Non vi meravigliate, signori Deputati, che io parli in questo modo, in sede di discussione sulle comunicazioni del Governo, appena dopo costituito un nuovo Gabinetto, perché io considero la crisi ancora aperta: ed è, infatti, virtualmente aperta. Si disilluda l’onorevole De Gasperi che il suo Ministero possa resistere al più lieve stormir di fronde: fra un mese, fra due mesi lei dovrà lasciare il suo posto. Si decida a lasciarlo prima. (Si ride). E ricordi le parole di Alessandro Manzoni: «È un dovere impiegare le proprie forze in servizio della Patria; ma, dopo averle misurate, il lasciar libero un posto importantissimo a chi possa più degnamente occuparlo, è una maniera di servirla».

Vada via, onorevole De Gasperi! (Commenti – Rumori).

E si decida finalmente l’Assemblea Costituente, che è oggi la depositaria unica e vera della sovranità popolare.

Il Trattato, purtroppo, per nostra sciagura, è quello che è. Voi avete perduto molto tempo a discutere, se il Trattato avrebbe dovuto o meno essere firmato prima dal Governo, com’è avvenuto, e poi ratificato da noi. Certo l’onorevole De Gasperi non ha adempiuto al suo dovere verso l’Assemblea Costituente: doveva portarci il Trattato appena gli fu comunicato. Egli avrebbe dovuto cercare e trovare conforto nell’Assemblea Costituente e regolarsi in base alle decisioni dell’Assemblea stessa. Che domani il Trattato, firmato dal Governo italiano, sia portato alla ratifica dell’Assemblea è ovvio; ma l’Assemblea, checché si dica in contrario, non sarà più libera e sarà certamente vincolata dalla decisione del Governo.

Rifiutare la ratifica sarebbe una cosa sciocca. Anche Brokdorf Rantzau rifiutò di firmare, per la Germania, il Trattato di Versaglia, ma, dopo poco tempo, dovette egli stesso sollecitare di sottoscriverlo. Capiterebbe anche a noi la stessa cosa. Occorre, quindi, ratificare il Trattato. E occorre ratificarlo, perché noi non siamo in condizioni di resistere, perché siamo alla mercé dei vincitori. Se essi dirottassero solo alcuni piroscafi carichi di grano diretti in Italia, noi saremmo a terra. E bisogna ratificare il Trattato, perché l’Italia ha d’uopo di entrare nell’Organizzazione delle Nazioni Unite; ha d’uopo di prendere parte alle decisioni che dovranno prossimamente esser prese su problemi urgenti ed interessanti la vita presente e l’avvenire del nostro Paese. Per esempio: le denunzie di due Trattati, quello di Montreux, da parte sovietica, e quello anglo-egiziano, da parte del Governo del Cairo, hanno riportato sul terreno della discussione internazionale gravi problemi, cui la situazione politica determinatasi dopo la guerra impone nuove soluzioni. Si tratta, nientemeno, che del passaggio dei Dardanelli, di Suez e del Panama. Se non ratificheremo il Trattato di pace, non potremo partecipare né alle conferenze che si terranno al riguardo, né agli ulteriori accordi che dovranno su questo o su altro campo essere presi.

Io vi dico schiettamente una mia personale opinione.

Una voce a destra. E le altre opinioni non erano personali?

FINOCCHIARO APRILE. La mia opinione è questa: che il Paese attende che a Capo del Governo sia un altro uomo (Interruzioni – Commenti). Il nome di questo altro uomo è sulla bocca di tutti; è quello, ripeto, di Francesco Nitti… (Commenti). Francesco Nitti, per esperienza, per competenza, per preparazione in materia finanziaria ed economica, per relazioni internazionali è veramente l’uomo capace che potrà, forse, tentare il salvataggio dell’Italia ed io vi dico che, nel supremo interesse del popolo, noi dobbiamo auspicare fervidamente che l’onorevole Nitti vada, al più presto, alla direzione del Governo; noi dobbiamo auspicare fervidamente che il timone dello Stato sia finalmente in mani più pure e in mani veramente italiane come le sue. (Rumori – Vivissime proteste al centro – (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Vivissimi applausi). Circa le affermazioni politiche di questo, per tanti aspetti, inqualificabile discorso, mi riservo di rispondere – se sarà il caso – alla chiusura di questo dibattito. (Vive approvazioni).

Per quello che mi riguarda personalmente, il modo con cui il precedente oratore ha osato parlare della mia persona non mi permette di rispondere per fatto personale (Vivissimi applausi al centro), ma ho il dovere di deplorare vivamente e protestare indignato contro le infondate insinuazioni dirette contro membri del mio Governo. (Vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per fatto personale l’onorevole Romita. Ne ha facoltà.

ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’onorevole Finocchiaro Aprile ha fatto contro di me due affermazioni, che se fossero minimamente vere, smentirebbero la stessa patente di onestà da lui riconosciutami. Ha detto che io ho popolato il Ministero dei lavori pubblici di impresari e di costruttori. Quello che affermo non viene smentito: non ho introdotto al Ministero dei lavori pubblici né un impresario, né un costruttore; non mi sono mai occupato né direttamente né indirettamente, né in senso positivo né in senso negativo, di qualsiasi impresa o di qualsiasi costruttore italiano.

Ha detto che io, come ex impiegato della impresa Cidonio, ho favorito l’impresa Cidonio. Fui impiegato anni or sono e per pochi mesi nella impresa Cidonio. All’impresa Cidonio non ho dato nulla e, a quanto mi risulta, dal mio Ministero non ha avuto un soldo di lavoro e ciò in conformità dei miei ordini. Non mi sono mai occupato né direttamente, né indirettamente dell’impresa Cidonio, che nulla mai mi ha domandato.

Ha chiesto inoltre come ho distribuito i 10 miliardi dal Tesoro concessimi. I 10 miliardi sono stati non da me, ma dal Ministero, distribuiti alle varie Regioni d’Italia, a seconda delle richieste, ai prefetti, provveditorati, comuni, autorità locali. Nessuna persona quindi ha avuto un soldo di lavoro da me. Ed a proposito di questo, un’altra smentita: mi si dice che il Ministro ha il torto di essere piemontese. Dei 10 miliardi, o colleghi, nonostante che al Ministero dei lavori pubblici ci fosse un Sottosegretario piemontese, l’onorevole Restagno, e un Ministro piemontese, Romita, ed al Tesoro un Ministro pure piemontese, l’onorevole Bertone, dei 10 miliardi tutte le Regioni d’Italia hanno beneficiato; il Piemonte non ha avuto nemmeno un centesimo. (Vivi applausi a sinistra e al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per fatto personale, l’onorevole Ministro delle finanze e del tesoro. Ne ha facoltà.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. In mia assenza, l’onorevole Finocchiaro Aprile ha osato fare degli apprezzamenti generici che potrebbero interpretarsi come lesivi della mia onorabilità per l’attività da me svolta nella vita privata. Dichiaro decisamente che nessuna delle molte forme della mia attività di lavoro può dare motivo comunque a insinuazioni del genere, che dimostrano soltanto la irresponsabilità di chi le ha pronunciate. (Vivi applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per fatto personale, l’onorevole Gronchi. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Ho esitato alquanto a mantenere la mia domanda di intervento per fatto personale perché discorsi come quelli dell’onorevole Finocchiaro Aprile si qualificano da sé. Però io ho già detto, sia a nome mio personale che dei miei amici, che egli se è un galantuomo deve precisare le generiche accuse che ha lanciato, ed aggiungo ora che se non lo farà egli avrà – secondo il mio parere personale e quello dei miei amici – la scelta tra la definizione di commediante pazzo o di volgare mentitore. (Vivi applausi al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile per fatto personale. Ne ha facoltà. (Rumori – Commenti).

Una voce. Ha il diritto di replicare.

FINOCCHIARO APRILE. Il Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Vivissimi rumori – Proteste – Vivaci apostrofi dal centro).

Voci. Non si può più tollerare!

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, io l’ho già richiamata all’ordine due volte e dovrei a questo punto ricorrere alle sanzioni previste dal Regolamento. È la seconda volta che lei offende un membro dell’Assemblea, che è anche Presidente del Consiglio, dichiarando che non è italiano. (Vivissimi applausi).

FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Vivissimi rumori – Proteste – Interruzioni – Apostrofi dal centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha chiesto che l’onorevole Finocchiaro Aprile continui a parlare, riservandosi di replicare. (Commenti).

FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Agitazione vivissima – Tumulto).

PRESIDENTE. Sciolgo la seduta.

La seduta termina alle 20.10.

GIOVEDÌ 13 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXVI.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 13 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Carpano, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                     

Spano                                                                                                                

Bettiol                                                                                                             

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Presidente                                                                                                        

Bonomi Paolo                                                                                                  

Nobile                                                                                                               

Cingolani Mario                                                                                              

Valiani                                                                                                             

Saragat                                                                                                            

Mazza                                                                                                               

Caso                                                                                                                  

Interpellanze e interrogazioni d’urgenza:

Codacci Pisanelli                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Micheli                                                                                                             

Pella, Sottosegretario di Stato per le finanze                                         Gabrieli      

Canevari                                                                                                          

Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Mastino Pietro                                                                                                

Priolo                                                                                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 15.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente interrogazione: Spano, Pratolongo, Pellegrini, Longo, ai Ministri dell’interno e degli affari esteri, «per conoscere per quale motivo non sono state prese le opportune precauzioni allo scopo di proteggere la sede della Delegazione Jugoslava presso la Commissione consultiva per l’Italia; e per sapere quali misure sono state adottate a carico dei funzionari sui quali ricade la responsabilità dei deplorevoli incidenti di lunedì, 10 febbraio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di parlare.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. In occasione della firma del trattato di pace si sono svolte manifestazioni in molti centri d’Italia, senza dar luogo ad inconvenienti. A Roma, durante una cerimonia svoltasi all’altare della Patria, vi è stato un lieve incidente, che peraltro non ha avuto alcun rilievo, per la rimozione di una corona depostavi qualche giorno prima dall’Ambasciatore americano.

Per quanto riguarda i fatti accaduti in Via Quintino Sella, si deve premettere che in detta strada, al n. 56, ha sede un ufficio dipendente dalla Delegazione Jugoslava presso il Comitato Consultivo per l’Italia, la cui sede ufficiale si trova in Via Monte Parioli n. 24, e che non costituisce comunque sede coperta da immunità diplomatica.

Pertanto la Questura aveva disposto, a titolo puramente precauzionale, un servizio di vigilanza con due guardie di pubblica sicurezza in borghese, come da richiesta fattale ed un carabiniere, in relazione sia al carattere dell’Ufficio, sia anche alla opportunità di non richiamare su di esso l’attenzione del pubblico, cui non era noto anche per la mancanza di ogni segno esteriore.

Di fronte a tale Ufficio ha sede il Comando della Divisione dei Carabinieri e, non appena è apparsa la folla dei dimostranti, sono scesi fuori dalla Caserma 7 carabinieri armati di moschetto, oltre ad un maresciallo, ad un ufficiale dell’Arma, nonché un Commissario di pubblica sicurezza.

Il gruppo di dimostranti passava casualmente per Via Quintino Sella, di ritorno dalla cerimonia di Piazza Venezia, e l’attenzione sull’edificio fu attirata, nella particolare circostanza, dalla bandiera jugoslava, esposta per la prima volta in quel giorno.

I dimostranti ne chiedevano il ritiro, mentre circa un centinaio di essi, sopraffacendo le guardie ed i carabinieri che cercavano di opporvisi e travolto il Commissario di pubblica sicurezza, salivano la scala.

Al terzo piano costoro trovarono chiusa la porta che tentavano di forzare; veniva sparata dall’interno, dal personale degli uffici, una raffica di mitra a scopo intimidatorio; dopo di che i dimostranti si allontanavano.

Sul posto si recavano subito il Questore ed il Vice Questore; con l’ausilio di rinforzi fatti affluire si ristabiliva l’ordine.

Non si lamentano danni alle persone e si è verificata soltanto la rottura di due vetri.

Il Questore, immediatamente, ha espresso il suo rammarico per l’increscioso incidente al rappresentante jugoslavo, disponendo pure opportune misure di protezione.

Sono in corso, tuttavia, ulteriori accertamenti per valutare l’opera svolta dagli organi di polizia nell’incidente, soprattutto ai fini di stabilire la tempestività dell’intervento dei rinforzi disponibili, e per quei provvedimenti che al caso si ravvisassero opportuni.

PRESIDENTE. L’onorevole Spano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SPANO. Se fossimo stati in circostanze ordinarie e gli avvenimenti che noi abbiamo lamentato e sui quali abbiamo interrogato il Ministro dell’interno fossero avvenuti in circostanze ordinarie, forse per pura e semplice cortesia ci si sarebbe potuti dichiarare soddisfatti: E dico per cortesia, perché è difficile tuttavia dichiararsi soddisfatti di una informazione nella quale ci si dice che la folla è passata «casualmente» di fronte a una sede consolare, nella quale pare sia considerata una provocazione l’esposizione della bandiera di una delle Nazioni Unite.

Una voce a destra. Che cosa strana!…

SPANO. Che sia considerata una provocazione pare dal contesto stesso della risposta del Sottosegretario di Stato per l’interno; ma sta di fatto che noi non eravamo in quel giorno in circostanze ordinarie. Gravi e delicate erano le circostanze e grave è il fatto che gli episodi accaduti non possano essere considerati come isolati in una giornata in cui questi avvenimenti si sono svolti «casualmente», come dice il Sottosegretario di Stato. La verità è che quel giorno l’Italia protestava. Tutto il popolo italiano protestava nell’ordine e manifestava il suo cordoglio e la sua indignazione per l’ingiusto trattato che ci veniva imposto. Era particolarmente necessario quel giorno che questa protesta apparisse come la protesta di tutto il popolo italiano e della sua volontà di rinnovamento. Era particolarmente pericoloso che questa protesta si confondesse con provocazioni fasciste ed assumesse il volto della provocazione fascista. È proprio quello che le autorità di polizia non hanno saputo impedire. Questi incidenti, del resto, non sono stati uno solo, poiché si è rimosso un nastro di una corona americana, si è attaccato il Consolato Jugoslavo, si è manifestato in modo indegno contro le forze armate delle Nazioni Unite e alcuni rappresentanti di esse sono stati picchiati. Le reazioni a queste provocazioni fasciste non sono venute dalle forze di polizia, dalle quali sarebbero dovute venire, ma sono venute dalla spontanea indignazione delle masse popolari, dalla spontanea indignazione dei lavoratori, i quali, manifestando la loro protesta, intendevano darle un carattere di italianità e non un carattere fascista.

Ma, ripeto, sarebbe stata forse ancora soddisfacente la risposta del Sottosegretario di Stato per l’interno, se gli episodi di quel giorno fossero stati isolati e non avessero avuto precedenti. Disgraziatamente i precedenti ci sono, e gravi, talmente gravi da preoccupare tutto il Paese; e noi pensiamo che dovrebbero in primo luogo preoccupare il Ministro degli interni e le Autorità di polizia. Si sta creando, in Italia, o si sta ricreando, sulla base della giusta protesta e della giusta indignazione del popolo italiano, un’atmosfera pericolosa per il nostro Paese, un’atmosfera nella quale possono avvenire fatti come quelli lamentati non molti giorni fa a Pola, dove una impiegata italiana, inviata dall’Italia e alle dipendenze dell’addetto alla Commissione Pontificia, ha assassinato un generale inglese. (Rumori, proteste a destra e al centro – Interruzioni dell’onorevole Miccolis).

Poiché si leva da codesti settori una tale protesta, forse voi ne sapete qualche cosa di questa impiegata, assassina di un generale inglese. È evidente che ciò denuncia una complicità, per lo meno morale. (Rumori vivissimi – Proteste al centro e a destra – Interruzioni dell’onorevole Miccolis).

Sta di fatto che un generale inglese è stato assassinato a Pola da una fascista. (Vive proteste all’estrema destra – Interruzioni dell’onorevole Miccolis).

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, la richiamo all’ordine.

SPANO. Sta di fatto che un console jugoslavo è stato assassinato…

Una voce a destra. Ma da chi?

SPANO. D’altra parte, questi avvenimenti sono senza dubbio collegati con l’ambiente arroventato che si sta creando in queste settimane nelle regioni giuliane, dove tutti i democratici più in vista ricevono lettere minatorie a firma d’una sedicente divisione Gorizia o di altre organizzazioni, che si nascondono sotto le apparenze più tenebrose.

Sono avvenuti altri fatti: bombe sono state lanciate contro le abitazioni e contro le sedi di organizzazioni democratiche in queste ultime settimane a Monfalcone, Cormons, Gradisca e Gorizia.

Il fatto che questi avvenimenti si susseguono, e nella regione giuliana e nel resto del territorio italiano, ha conseguenze particolarmente gravi; il nostro Paese e il nostro Governo si trovano in questo momento di fronte alla necessità di creare un’atmosfera nella quale possano essere risolte le gravi questioni internazionali che si pongono alla popolazione giuliana ed al popolo italiano in generale.

Ora, i provvedimenti presi dalle Autorità di pubblica sicurezza, proprio nel giorno in cui il popolo italiano protestava contro il trattato di pace imposto, nella situazione che vivevamo in quei giorni, appaiono assolutamente insufficienti.

E non è a dire che il Ministero dell’interno potesse contare sullo zelo e sullo spirito di vigilanza della polizia italiana.

Da quello che ci risulta, i capi della polizia italiana sono ancora quelli che si sono preoccupati sovrattutto di emanare circolari contro il partito comunista negli ultimi mesi.

Sono ancora i signori inventori della «Troika». Noi non crediamo che il Ministero dell’interno possa in modo molto semplicistico affermare di avere fiducia in questi dirigenti della polizia, per la difesa del buon nome italiano. Vengano prese, pertanto, le misure necessarie ad evitare incidenti incresciosi per tutti gli sviluppi della politica italiana.

Per questo ci dichiariamo assolutamente insoddisfatti della risposta del Sottosegretario di Stato per gli affari interni.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non posso darle facoltà di parlare, perché siamo in sede di interrogazioni.

BETTIOL. Per fatto personale: si è parlato di Gorizia, Monfalcone, Gradisca; posso rispondere. (Commenti – Rumori).

PRESIDENTE. Non c’è il fatto personale. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Egregi colleghi, sentiamo tutti dobbiamo sentire tutti la responsabilità nostra innanzi ad una situazione così tesa.

Innegabilmente il trattato ha portato nell’animo italiano una reazione che in altri tempi, senza la disciplina di cui va data lode alle masse popolari, ci avrebbe portato a ben diversi conflitti. (Applausi).

Io dico, ripetendo con ciò le dichiarazioni del Sottosegretario per l’interno, che è riservata ancora un’ulteriore inchiesta circa la sufficienza o l’insufficienza, la tempestività o non tempestività dei provvedimenti di polizia. Però non posso accettare l’interpretazione generica che, dopo una panoramica rassegna di fatti che hanno o non hanno connessione con quello che formava oggetto dell’interrogazione, conclude con un voto di sfiducia ai direttori della polizia sui propositi, sulle intenzioni, sulla mentalità di mantenere l’ordine a qualunque costo, contro chiunque lo disturbi, da qualunque parte venga. Su questo mi pare che anche nei riguardi dei dirigenti di polizia non si possa dubitare. Circa la sufficienza o l’insufficienza, abbiamo ancora da riesaminare la questione, come ha già detto il Sottosegretario di Stato per l’interno.

Devo aggiungere però che trovo del tutto inadeguato, fuori di proposito, che si citi il fatto gravissimo di Pola, per il quale abbiamo espresso il nostro profondo rincrescimento. Esso deve essere considerato sotto due aspetti: che la vittima è completamente fuori causa nella questione del trattato; che un’italiana sia ricorsa a simili mezzi per manifestare la propria indignazione. Complicità da parte delle autorità italiane o del pubblico italiano non ve ne possono essere. E c’è una prova, onorevole Spano, che finora non è ancora conosciuta, ma che è di una gravità particolare: le autorità alleate erano state avvertite che la signorina Pasquinelli aveva manifestato tali propositi, o propositi similari, ed erano state messe in guardia. Erano le autorità alleate responsabili dell’ordine pubblico nella città di Pola, non noi! (Applausi al centro e a destra).

Devo aggiungere ancora che, contrariamente a quello che è stato pubblicato su un giornale, non è vero che la signorina Pasquinelli sia stata delegata o mandata a Pola da qualsiasi organo statale o parastatale. Anzi, la signorina Pasquinelli, essendo conosciuta come una esaltata, era stata licenziata dal Comitato di liberazione nazionale di Trieste qualche tempo fa, e si era recata a Pola partendo da Milano. E in quella occasione era stato dato il monito, o l’avviso a cui mi sono riferito. A Pola s’era messa a disposizione del Comitato esodo, il quale è completamente indipendente, sia da qualsiasi altro centro di assistenza che si trovi in Italia, sia in modo particolare dal Comitato interministeriale che cerca di assistere coloro che hanno voluto, nonostante le sollecitazioni da parte del Governo, abbandonare Pola in uno stato d’animo che ci è stato assolutamente impossibile di frenare. Dinanzi a questa volontà energica, tragica, eroica, che cosa resta al Governo italiano, se non di fare di tutto perché essi siano bene accolti? (Applausi al centro e a destra).

Quindi, non tentiamo di allargare gli amari incidenti che sono avvenuti, collegandoli l’uno all’altro. C’è naturalmente, nello sfondo, la reazione contro il trattato di pace. Ma, lo ripeto, pensate, se ciò fosse avvenuto nell’immediato dopo-guerra dell’altra guerra, nel 1919 o nel 1918, quale sarebbe stato lo stato d’animo, quale l’effervescenza.

Riconosco che ciò è un merito, soprattutto della maggiore disciplina delle masse popolari, (Approvazioni a sinistra) ma devo dire che anche da parte degli organi dello Stato si è fatto di tutto per calmare una reazione. Lo stesso contegno, lo stesso atteggiamento che ha tenuto il Governo qui, e le istruzioni date alle autorità di pubblica sicurezza, ve ne fanno garanzia. Vi prego di non guastare questo atteggiamento con polemiche e discussioni tra fascismo e antifascismo. Non so se questa signorina sia stata o no fascista; il fatto è che, anche se non fosse stata fascista il fatto sarebbe purtroppo spiegabile anche da uno stato di eccitamento generale, anche al di fuori e al di sopra del fascismo. Comunque, deploriamo l’accaduto, ed uniamoci con un senso di pace e di responsabilità. (Vivi applausi al centro).

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ricordo all’Assemblea quanto è stato convenuto ieri: che si debbano cioè contenere i discorsi in limiti quanto più è possibile sobri. Ricordo anche che chiunque sia iscritto non potrà rifiutarsi di parlare fino alle ore 20. Non sarà ammessa nessuna richiesta di rinvio.

È inscritto a parlare l’onorevole Bonomi Paolo. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Onorevoli colleghi, parlo a nome della Confederazione nazionale dei coltivatori diretti. Mi riferirò unicamente alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che riguardano problemi dell’agricoltura e problemi dell’alimentazione.

Tre mesi or sono, il Congresso nazionale della Confederazione dei coltivatori diretti, che interpreta i voti, i desideri e le aspirazioni della grande massa dei piccoli agricoltori e dei coltivatori diretti, discusse vari problemi importanti e li presentò all’attenzione del Governo, al quale chiese in modo particolare la proroga dei contratti e la perequazione dei canoni di affitto, la conversione in legge del lodo De Gasperi, l’estensione ai coltivatori diretti delle assicurazioni malattia, chirurgica, ospedaliera e tubercolosi. In quell’occasione, il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’agricoltura e il Ministro del lavoro, intervenuti al Congresso, assicurarono ai coltivatori diretti che i loro desideri non sarebbero andati delusi. L’altro giorno, il Presidente del Consiglio, con le sue dichiarazioni, ha mantenuto le promesse. Con i provvedimenti annunciati, ritorna la pace nelle campagne, ritorna il sereno in mezzo ai lavori dei campi.

Il Presidente del Consiglio, l’altro giorno, ha assicurato che immediatamente uscirà il provvedimento per la proroga dei contratti d’affitto ed è necessario su questo problema dire una parola, perché, da tante parti, qualcuno incomincia già a protestare in nome di non so quale libertà. Vorrebbero tanti proprietari essere liberi, alla fine di quest’anno in corso, di fissare i canoni di affitto più convenienti per i proprietari terrieri, e non, logicamente, per gli affittuari. È vero che la proroga non è un provvedimento perfetto; è vero che la proroga può, in ultima analisi, essere considerata come un male minore, come il minore dei mali; ma quando si dice, da qualche parte, che continuare a prorogare i contratti di affitto danneggia la produzione, e che in qualche famiglia le unità lavorative sono aumentate, ed è quindi necessario, anzi indispensabile, passare a più vaste estensioni di terra, occorre tener presente anche il rovescio della medaglia. Se dovessimo lasciar liberi gli affitti in questo momento, dato che tanta gente vuol tornare alla terra e le domande di terra aumentano, vedremmo i canoni salire alle stelle: proprio questa è la ragione principale che spinge i proprietari terrieri a chiedere la libertà e a combattere la proroga.

Ma ai proprietari, e specialmente ai piccoli proprietari, io ricordo che la proroga è conseguenza della guerra. È vero che con la proroga guadagneranno meno – guadagneranno sempre, sia detto fra parentesi – ma è anche giusto che la guerra sia pagata da tutti. Finora chi paga la guerra? Le masse degli operai, degli impiegati, dei pensionati, di coloro, cioè, che dal lavoro, dallo stipendio, dal salario non ricavano l’indispensabile per vivere. Le conseguenze della guerra, le pagano anche i proprietari dei beni urbani, che non solo hanno la proroga dei contratti d’affitto, ma anche del quid dell’affitto, e dall’affitto ricavano oggi cifre irrisorie.

Per i proprietari terrieri non c’è, invece, il blocco dei canoni, ma soltanto la proroga dei contratti.

Già un anno e mezzo fa, attraverso il decreto Gullo, i canoni in danaro sono stati perequati: e non si dimentichi che se è vero che a causa della proroga in qualche caso i proprietari terrieri guadagnano poco, essi peraltro hanno un capitale che non è stato deprezzato, ma che è aumentato di dieci, di venti ed anche di trenta volte. Per questo noi chiediamo la proroga dei contratti d’affitto, e non per un anno ma per tre anni, perché la proroga per un solo anno significherebbe sfruttamento irrazionale della terra. Infatti, se il contadino non ha la certezza di restare sul fondo almeno per tre anni, finisce per praticare un’agricoltura di rapina.

Ma non è sufficiente il decreto di proroga dei contratti d’affitto: occorre qualche altra cosa. Ci vogliono le condizioni per l’equo canone d’affitto, quelle condizioni che il Ministro dell’agricoltura ha già preparato dopo averle discusse con le varie organizzazioni.

Perché, onorevoli colleghi, quelli di voi che hanno un po’ di pratica di questioni agricole, sanno in quali condizioni si trovano gli affittuari, ad esempio, delle provincie di Napoli e Caserta, dove vi sono affitti che arrivano al 60, al 65, e anche al 70 per cento della produzione lorda.

C’era nel periodo borbonico una precisa disposizione che vietava gli affitti, riferiti alla misura locale, a non più di due fasci di canapa. Oggi, nel ventesimo secolo, in qualche zona della provincia di Napoli e di Caserta, gli affitti sono saliti da due e mezzo a oltre tre fasci di canapa, più le onoranze.

Questa è la realtà.

In alcuni casi si è cercato di arrivare ad un accordo. L’Associazione degli agricoltori di Napoli aveva firmato un accordo per una riduzione del 25 per cento degli affitti. Però i proprietari si sono rifiutati di eseguire l’accordo e non intendono concedere alcuna riduzione. Questa è la realtà contro cui lottano oggi gli affittuari.

Questo non accade soltanto nelle provincie di Napoli e Caserta. Anche a Mantova e a Verona, per esempio, troviamo affitti che raggiungono le 70 o 75 mila lire per ettaro, affitti assolutamente insopportabili, affitti riferiti a uva, a latte, a formaggio, che non possono essere più pagati dagli affittuari. È necessario, quindi, che il Governo intervenga e intervenga con quelle Commissioni paritetiche presiedute da un magistrato, che potranno domani perequare gli affitti esagerati. E non dimentichiamo una cosa: un po’ tutti i partiti hanno detto e ripetuto, durante e dopo le battaglie elettorali, che vogliono il diffondersi, il potenziamento delle piccole aziende; ma andare di questo passo, se lasciate questi affitti, significa non diffondere e potenziare, ma distruggere le piccole aziende.

L’altro ieri, il collega Perrone-Capano si è lamentato della legge sulle terre incolte e mal coltivate; ha protestato e attaccato la legge Segni. Devo dire che l’onorevole Perrone-Capano aveva perfettamente ragione di lamentarsi, di gridare, di protestare. Per quale ragione? Per una ragione semplicissima: che, con questa seconda legge sulle terre incolte e mal coltivate, gli agrari e i grossi proprietari sono stati costretti realmente a dare la terra e, se volessimo consultare le statistiche, troveremmo che hanno dovuto concedere varie migliaia di ettari di terra. Con la precedente legge Gullo era troppo facile per il proprietario dire ed affermare che le terre incolte non c’erano o erano destinate al pascolo. È proprio quella dizione specifica messa dal Ministro Segni, cioè «per una coltura migliore», che costringe il proprietario a dare la terra. Terre incolte non ce ne sono: che interesse avrebbe il proprietario a pagare le tasse e mantenere le terre incolte? Che interesse avrebbero a fare altrettanto gli affittuari? Quindi, ai contadini non bisogna dare terre che non fruttano, ma quelle terre che sono suscettibili di una coltivazione più intensiva, di una produzione maggiore. Aveva perfettamente ragione il collega Perrone-Capano, ma non doveva attaccarsi ad una questione di forma, bensì ad una questione di sostanza.

Sia chiaro che su questa strada il Governo ha fatto qualche cosa, ma questo non è sufficiente. Bisogna andare ancora oltre, e non basta dare le terre ai contadini; bisogna dare anche i mezzi ai contadini per lavorare la terra: bisogna dare aratri e trattori. Qui è assente il Ministro dell’industria; ma, se non erro, ultimamente si trattava di importare dei trattori da dare ai contadini. Ebbene, gli industriali hanno riposto che non era necessario importare i trattori, perché l’industria italiana era in condizioni di produrre tutto quello che era necessario per lavorare la terra. E poi, voi andate in giro – come è capitato a me quindici giorni fa – nella zona di Cassino, martoriata dalla guerra, e vedete aggiogati all’aratro non buoi, né cavalli, ma la moglie e i figli del colono o del coltivatore diretto! Questa è la realtà!

Il Presidente del Consiglio si è dichiarato quasi soddisfatto dell’ammasso dei cereali, ma non altrettanto quasi soddisfatto della disciplina del latte e dei grassi. Io vorrei dire al Presidente del Consiglio e agli altri membri del Governo: la disciplina del latte non ha dato risultati soddisfacenti per quella ragione precisa che ancora una volta abbiamo fatto presente agli organi di Governo ed agli organi interessati prima ancora che la legge venisse emanata. Non si può, con una bella legge, con un articolo, regolare tutto, livellare tutto. Prima che questa disciplina andasse in vigore il prezzo del latte variava nelle diverse provincie da 16 lire a 65 lire il litro; improvvisamente si pensò che era possibile con una norma legislativa stabilire per tutte le provincie il prezzo di 28 lire, senza portare un beneficio al consumatore di latte alimentare e di prodotti caseari. È impossibile attuare questa disciplina, perché le provincie che già vendevano latte industriale a 55, a 60, a 65 lire il litro, difficilmente accetteranno le disposizioni ministeriali.

Ma c’è ancora qualcosa di peggio. Il decreto stabilisce il prezzo del latte a 28 lire alla stalla. Era stato stabilito negli accordi di Commissione 32 lire; non sappiamo per quale ragione è diventato 28 lire. Si stabilisce poi una integrazione, per una cassa conguaglio, giustamente al fine di non fare aumentare il prezzo alimentare delle grandi città, di 6 lire, di modo che il latte che andrà alla lavorazione, il latte industriale verrà pagato dai signori industriali non 28, ma 34 lire. Ma, io mi chiedo, come mi sono già chiesto e come ho già chiesto alla Presidenza del Consiglio, al Ministro Macrelli, che era Presidente di una Commissione per questo problema, come mi sono già chiesto anche alla terza Sottocommissione per l’esame delle leggi, dove un ordine del giorno preciso è stato presentato, mi chiedo questa cosa semplicissima: se il latte industriale non costa, non vale, in base alle quotazioni del burro e dei formaggi, 34 lire, ma vale 45, 50, 55, 60 lire, a beneficio di chi andrà la differenza? La risposta, onorevoli colleghi, è molto semplice. Non a beneficio del consumatore, perché, in questo caso, sarei pronto a dichiararvi che i produttori sarebbero lieti di sottoscrivere questa disciplina; ma invece fino ad oggi possiamo affermare senza tema di smentite che il beneficio va esclusivamente a favore dei grandi industriali caseari del latte. E se si compilasse una statistica – e vorrei che il Ministero delle finanze facesse questa statistica – si rileverebbe che chi acquista continuamente terreni da tutte la parti, ed offre invece di 2 o 3 milioni per un terreno anche 4, 5, 6 milioni, è la massa degli industriali caseari, prima che degli agricoltori.

Che cosa si può fare? Ho fatto già presente all’Alto Commissario del tempo, Mentasti, che bisognava modificare questa situazione; modificarla in questo senso: fermo restando il prezzo del latte alimentare per la popolazione meno abbiente, fermo restando il prezzo del burro da distribuire con la tessera, se gli industriali, attraverso la vendita dei prodotti caseari – e mi sia permesso di dire che nessuna disciplina riuscirà a regolarli attraverso i prezzi, attraverso i calmieri – se gli industriali guadagneranno di più attraverso i prodotti industriali, formaggi, grano e via di seguito, il prezzo del latte al produttore deve essere non un prezzo fisso di 28 lire, ma un prezzo riferito a quelli dei prodotti caseari.

L’onorevole Mentasti, assente quando è stata preparata questa disciplina, si è dichiarato d’accordo sul mio punto di vista e ha interessato il Presidente del Consiglio per la modifica della legge.

Non chiediamo al Governo di modificare il prezzo del latte alimentare, né il prezzo del burro; chiediamo soltanto di far sì che questa categoria di industriali non abbia a guadagnare sulle spalle di chi lavora, sulle spalle dei produttori agricoli. Nient’altro che questo.

Ammasso dell’olio. Anche il Ministro dell’agricoltura, Segni, si è dichiarato non sodisfatto del suo andamento. Avevamo chiesto noi di tentare un ammasso per contingente. Il Ministro ha accettato la nostra proposta e il Ministero tenta, con la collaborazione delle organizzazioni sindacali, di far riuscire questo ammasso per contingente. C’è qualche provincia però che ha fatto molto male. Ma mi sia permesso di dirlo, perché già l’ho scritto ai vari Ministri competenti, e quindi anche al Ministro Segni, che dal lavoro fatto dalle nostre Commissioni che si sono recate a Bari, a Reggio Calabria, a Firenze, risulta che l’intralcio alla realizzazione di questo ammasso per contingenti non è dato dagli agricoltori, dai produttori ed in special modo dai produttori piccoli, ma da certi frantoiani che nascondono l’olio e lo vendono alla borsa nera. Abbiamo richiamato l’attenzione del Ministro dell’agricoltura, del Ministro dell’alimentazione, dell’UPSEA. Bisogna provvedere perché, se si son messi ieri in prigione i contadini che non hanno consegnato qualche quintale di grano, si agisca con necessaria energia anche nei confronti di questi industriali frantoiani. (Applausi).

Ma sulla questione dell’ammasso, me lo permetta il Presidente del Consiglio, io qui ho oggi il dovere di esprimere anche quello che pensano i coltivatori diretti, la massa degli agricoltori italiani. L’ammasso del grano è andato discretamente bene: 22 milioni di quintali ammassati. Gli agricoltori hanno fatto il loro dovere.

Se voi andate in questo periodo a visitare le carceri, troverete, accanto ai delinquenti comuni, degli agricoltori, dei coltivatori, responsabili di aver trattenuto qualche quintale di grano in più dei consentiti due quintali per persona, assolutamente insufficienti per un contadino che lavora dieci, dodici e anche quindici ore al giorno.

C’è della gente in Italia che fa la borsa nera, che guadagna milioni, onestamente e disonestamente. Io mi chiedo, si chiedono i contadini di tutta Italia: se i momenti sono duri e difficili, se questo è il momento della solidarietà e non dell’egoismo, il momento in cui bisogna saper guardare indietro, a chi sta peggio, e non davanti, a chi sta meglio di noi, perché non si agisce con la necessaria severità anche nei confronti delle altre categorie?

Noi vediamo, ad esempio, che sotto le finestre del Commissariato dell’alimentazione, o poco lontano, si venda pubblicamente, sfacciatamente, a quintali, il pane (dico a quintali perché l’altro giorno, mentre passavo per il Trionfale, ho visto un carrettino con almeno mezzo quintale di «sfilatimi» di pane che scaricava sulle bancarelle di vendita), si vendono a quintali lo zucchero, la farina, l’olio. Perché non si agisce con severità anche nei confronti di costoro?

Ricordavo al Ministro Morandi, qualche giorno fa, che gli industriali tessili avevano assunto l’impegno preciso di lavorare quelle cotonate, quelle lane, quei pellami messi a disposizione, gratuitamente, dall’UNRRA e di consegnare la loro produzione in modo che potesse essere distribuita in settembre, ottobre e novembre alle diverse categorie lavoratrici. Ma risulta che gli industriali hanno fatto forte resistenza; poi hanno ceduto solo in parte. Hanno fatto resistenza perché conveniva loro molto di più lavorare per l’esportazione che per l’interno, perché, quelle scarpe o quei tessuti che possono produrre a 1200 lire il paio o a 1800 il metro, possono venderli in borsa nera ufficiale a 4-5 mila lire il paio o il metro, senza rischiare di andare in prigione.

Questa è la realtà in cui viviamo oggi. C’è una disciplina dei ristoranti; perché non la si fa osservare? Nessun ristorante chiede i bollini del pane. Quanto pane si potrebbe risparmiare! E allora chiedo, non a nome mio, ma a nome degli agricoltori, che, se si deve agire, bisogna agire anche nei confronti delle altre categorie.

A nome degli agricoltori e dei produttori, diciamo apertamente al Governo, come l’abbiamo detto nel nostro Congresso al Presidente del Consiglio: siamo pronti a sottoporci a qualunque vincolo, siamo pronti a qualunque opera di solidarietà (perché, prima di protestare, bisogna spezzare il pane con chi ne è senza, con chi è disoccupato), ma chiediamo: o libertà per tutti o libertà per nessuno.

E passiamo ai tabacchi. Mi rivolgo all’onorevole Scoccimarro. L’altra settimana sono venuti da me 4 o 5 contadini di Arpino, zona rovinata dalla guerra, perché intervenissi presso il Monopolio a scaricarli da una multa di 60 o 70 mila lire, inflitta loro perché avevano coltivato 10 o 15 piante di tabacco in più. Mi hanno fatto questo ragionamento: «Noi dobbiamo pagare 60 mila lire di multa, mentre, venendo da lei, abbiamo notato ad ogni 50 metri bancarelle colme di tabacchi, che si vendono liberamente; se c’è una legge che impedisce la coltivazione dei tabacchi, ve n’è pure un’altra che ne impedisce la vendita!».

Ora, se si può avere qualche scrupolo per stroncare la borsa nera del pane (perché qualcuno ha detto che, se no, saremmo morti di fame tutti), ritengo che certi scrupoli per le sigarette non ci dovrebbero essere. Bisognerebbe stroncare energicamente la borsa nera delle sigarette. Se è vero, come è vero, quanto ha detto l’onorevole Scoccimarro, che il Monopolio ci dà 70 miliardi, è altrettanto vero che, se si agisse con maggiore fermezza ed energia, i 70 miliardi, potrebbero diventare 100 o 120, perché ognuno di noi non si accontenta delle sigarette distribuite con la tessera, ma ogni giorno ne compra altre in borsa nera.

Il Presidente del Consiglio ha accennato al prezzo differenziato per il pane. Abbiamo partecipato alle discussioni su questo problema. Il Governo lo studi bene. Dai rilievi fatti risulta che per mettere in atto questa nuova disciplina, si spenderebbero, per stampati e burocrazia, circa 10 miliardi. Il giuoco vale la candela? E, poi, non ritengo sia il caso di dividere l’Italia in due. Se domani sarà proprio necessario, non facciamo la differenziazione del prezzo del pane, ma preoccupiamoci di assicurare il pane soltanto alle categorie meno abbienti; lasciamo stare le altre. Ma non facciamo una differenziazione del prezzo soltanto.

Mi vorrei ancora rivolgere all’onorevole Scoccimarro per un’altra questione, anche se non è più il Ministro delle Finanze. In questi giorni gli Uffici finanziari di alcune provincie – di Campobasso, Benevento; stamattina mi hanno telefonato da Alessandria e da Milano – stanno mettendo in atto quella legge sui profitti di speculazione. E qui mi viene un dubbio: il Ministero delle Finanze – non intendo dire il Ministro Scoccimarro – che è riuscito o non è riuscito ad avocare i profitti di guerra e di regime (e il perché non lo so: forse perché chi aveva fatto questi profitti di regime e di guerra ha alle spalle diversi milioni, e coi milioni si esce di prigione e si riesce a fare tante cose) oggi sta cercando di incassare ciò che non ha incassato coi profitti di regime e di guerra, coi profitti di speculazione. Giusto! Non intendo entrare nel merito della legge. Criterio giustissimo quello di colpire chi ha guadagnato disonestamente e senza scrupoli. Però c’è nella legge un criterio di presunzione. La voce di allarme che si raccoglie in questi giorni è questa: si va dai contadini senza nessun accertamento; si presuppone che abbiano fatto la borsa nera; si presuppone, per esempio, che, per ogni ettaro coltivato a grano, essi abbiano venduto sei o sette quintali alla borsa nera. E sei o sette quintali equivalgono a 60-70 mila lire. C’è poi la borsa nera del bestiame, e c’è qualche altra cosa. Gli uffici finanziari di Benevento hanno stabilito in certe zone 100 mila lire all’ettaro per profitti di speculazione. Credo che non si possa giuocare in simile modo, quando c’è di mezzo il sudore della povera gente. I contadini è vero, verissimo, che hanno fatto e fanno la borsa nera. Non sono io a dar loro la patente dell’onestà assoluta; ma io vorrei chiedere: chi è che non ha fatto la borsa nera? (Interruzioni – Commenti). Parlo delle categorie produttive, naturalmente. Il Ministro d’Aragona, certamente no, perché non è categoria produttiva. (Si ride).

È facile dire al contadino che non deve fare la borsa nera. Ma volete che il contadino che, ad esempio, quest’anno ha portato all’ammasso il grano turco a 1.600 lire il quintale, poi si compri il mangime per le bestie e la crusca a 4 o 5 mila lire al quintale? Perché il granoturco non è andato all’ammasso nelle provincie produttrici del Veneto e del Piemonte? Per questa ragione semplicissima: una volta, il contadino, coi danaro ricavato dalla vendita di un quintale di risone, comprava un paio di scarpe, comprava un vestito; adesso non più.

Quindi io credo di affermare una cosa giustissima: è verissimo che il contadino ha fatto la borsa nera; ma non l’ha fatta per fare il signore, per non più lavorare; l’ha fatta per avere i mezzi per continuare a lavorare, a produrre, per dare da mangiare a tutte le altre categorie.

Altro argomento: siamo a due anni e mezzo dalla liberazione, e certi regimi commissariali continuano a durare, sebbene si fissino le date per la loro fine. Voglio riferirmi agli Istituti assicurativi per le malattie, gli infortuni, la previdenza. Abbiamo chiesto molte volte ai Ministri competenti la trasformazione di questi istituti che il fascismo aveva creato, istituti mastodontici con centinaia e centinaia di impiegati, che assorbono gran parte di quanto i contribuenti pagano. A tutt’oggi non si fa ancora nulla.

E qui si innesta un’altra questione sulla quale richiamo l’attenzione del Ministro del lavoro: la questione dei contributi unificati. Un po’ da tutte le provincie ci vengono lamentele di questo genere: si fanno pagare i contributi unificati, anche qui, con un criterio di presunzione, ed ai contadini che non dovrebbero pagarli. Accenno soltanto a qualche dato. Siamo riusciti, in provincia di Lucca, a far esonerare dai contributi unificati circa 30 mila famiglie colpite abusivamente: tutti piccoli proprietari della montagna che non avevano mano d’opera e che erano stati colpiti dal contributo unificato.

Il Presidente del Consiglio ha sintetizzato il programma del Governo con la formula: aumentare la produzione. Le categorie agricole sono le prime che dovrebbero partecipare a questo aumento della produzione, per migliorare quelle che sono le condizioni della alimentazione; ma io qui devo dire che l’opera del Governo nei confronti dell’agricoltura è stata molto importante. Alle aziende agricole distrutte dalla guerra si è dato molto, molto poco. Ho accennato qualche minuto fa a Cassino dove tutto manca, dagli attrezzi al bestiame e ai concimi. È uscito recentemente il decreto del 1° luglio dello scorso anno che stabiliva lo stanziamento di 6 miliardi per rimettere in efficienza le aziende agricole. Di questi 6 miliardi, 500 milioni dovevano andare come contributo del 40 per cento per l’acquisto di bestiame ed attrezzi.

Mi risulta che di questi 6 miliardi si son potuti mettere a disposizione solo due miliardi e 750 milioni, ma per le industrie gli stanziamenti sono di gran lunga superiori. Soltanto nel mese di dicembre sono stati assegnati 8 miliardi all’Istituto per la ricostruzione industriale e 5 miliardi all’Istituto mobiliare italiano. Anche se non è un aiuto a fondo perduto, si tratta di una fonte di credito per l’industria, mentre per l’agricoltura si fa molto poco. Bisogna che tutti i Ministeri vengano incontro ai bisogni della agricoltura, incominciando da quello del tesoro, che ultimamente non voleva nemmeno darci la valuta necessaria per importare le patate da seme e il solfato di rame.

Si sono stanziate diverse decine di miliardi per i lavori pubblici. Ebbene io dico agli uomini di Governo: aiutate l’agricoltura, aiutate e ricostruite queste aziende, perché dal loro apporto alla produzione dipenderà il domani di questa nostra Italia.

È giusto aiutare l’industria; ma io ritengo di non errare se affermo che l’avvenire dell’Italia sta innanzi tutto nell’agricoltura.

Aiutiamo questa agricoltura. I contadini che hanno avuto le terre in concessione, quelli che le hanno già in affitto o in proprietà, non vi chiedono l’elemosina, non vi chiedono dei privilegi e dei favori: ma solo i mezzi per poter continuare a lavorare e a produrre.

È gente pacifica; è gente che non intende mettere in difficoltà il Governo; è gente che non intende dimostrare in modo rumoroso contro il Governo. No! assicura al Governo la sua collaborazione all’opera di produzione.

Dico quindi ai signori del Governo: aiutate questa categoria, che è quella che in Italia chiacchiera di meno e lavora di più per il bene della Patria. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nobile. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi permetto prendere la parola per richiamare la vostra attenzione su alcune cose concrete, che si riferiscono innanzi tutto alla politica dei lavori pubblici seguita fino ad ora dal governo. L’argomento merita la vostra attenzione, perché nelle condizioni in cui si trova oggi il nostro Paese – scarsezza di mezzi da un lato ed enormi bisogni dall’altro – il controllo dell’Assemblea Costituente sul modo con cui vengono spese le somme stanziate nel bilancio si impone.

Questo argomento fu oggetto da parte mia di una interrogazione presentata fin dal settembre scorso, nella quale denunciavo fra l’altro una situazione che dieci giorni dopo sboccò nei dolorosi fatti del Quirinale. A quella interrogazione non ho avuto mai risposta, come del resto non ne ho avuto mai ad altre rivolte allo stesso Ministro.

La spesa prevista per i lavori pubblici, aggiornata al 31 gennaio 1947, per l’esercizio 1946-47, ammonta a 110 miliardi circa, su una spesa totale dello stato di circa 750 miliardi. È molto per il nostro stremato bilancio, poco per i nostri bisogni. Se fosse possibile, vorremmo accresciute, e di molto, le somme stanziate per le opere pubbliche; ma, prima di ogni altra cosa, è nostro dovere esigere che i fondi siano spesi bene, che nulla vada sprecato.

I danni arrecati dalla guerra alle opere pubbliche dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici ed ai fabbricati di proprietà privata, sono enormi. In base ai prezzi che correvano alla fine del 1945, essi furono valutati a 1800 miliardi. Oggi questa cifra andrebbe di molto aumentata. Basti considerare che, soltanto per ricostruire i sei milioni di vani di abitazione danneggiati dalla guerra, che sono ancora da riparare, occorrerebbe una spesa di oltre 600 miliardi, senza contare altri 900 miliardi per i 5 milioni di vani nuovi che si sarebbero dovuti costruire per il normale incremento edilizio.

Si giunge così ad una cifra notevolmente superiore a quella valutata nel 1945. Anche se si stanziassero nel bilancio dello Stato 300 miliardi l’anno per opere pubbliche, non basterebbero dieci anni per riparare completamente i danni della guerra. A ciò aggiungete i lavori per opere nuove, che non sempre si possono differire, e vi renderete conto che il bilancio dei Lavori Pubblici, per un’intera generazione, dovrà essere forse uno dei più importanti dell’Amministrazione statale. Oggi esso rappresenta un settimo del bilancio complessivo dello Stato, ma io credo che si debba giungere ad un quarto o un quinto.

Tutta questa grande massa di opere è affidata, come sapete, ai Provveditorati regionali, i quali, ricostituiti troppo sommariamente nel 1945, soltanto con un decreto del 25 giugno dell’anno scorso furono riordinati giuridicamente. Ma non si può dire che essi funzionino regolarmente e con soddisfazione, soprattutto a causa della mancanza di personale tecnico adeguato e per il cattivo trattamento economico che si fa a questo personale.

Sulla questione del personale del Genio civile, richiamai già l’attenzione del Governo con l’interrogazione che ho ricordata poco fa. Tale questione è di una gravità eccezionale. Il personale tecnico di ruolo è scarso, mentre abbonda quello avventizio. Migliaia di ingegneri e geometri sono stati assunti senza una rigorosa selezione: in gran parte per via di protezioni e raccomandazioni. Questo personale, il più delle volte, non ha la preparazione tecnica, che sarebbe pur necessaria, mentre d’altra parte è pagato insufficientemente, con la inevitabile conseguenza che, a contatto come si trova tutti i giorni con imprese avide di grossi guadagni e di pochi scrupoli morali, esso è esposto ad ogni genere di tentazione. È un male, al quale non sarebbe stato difficile, una volta segnalato, porre rimedio; ma non mi risulta che si sia in alcun modo provveduto. Una selezione di questo personale avventizio, licenziando i disonesti ed i tecnicamente poco idonei e trattando meglio, dal punto di vista economico, quelli che sono meritevoli di restare, è necessaria. Bisogna anche decidersi ad accrescere il numero degli ingegneri di ruolo e migliorarne decisamente il trattamento economico e di carriera. In questo campo il risparmio conduce all’effetto opposto. Bisogna che di ciò si convinca colui che in quest’aula, qualche mese fa, l’onorevole Einaudi chiamava l’orco, il ragioniere generale dello Stato.

Questi rilievi si riferiscono agli organi tecnici governativi incaricati di dirigere le opere pubbliche, ma altri non meno gravi van fatti all’azione generale del Governo.

È chiaro che non si può mettere mano sul serio, sistematicamente, alla ricostruzione del Paese senza un piano organico, senza un lavoro ben coordinato di tutti gli apparati statali ad essi interessati. Il problema, senza dubbio, fin dall’inizio si presentava doppiamente grave, perché, non si trattava solo di ripristinare le opere pubbliche danneggiate dalla guerra o le case private, ma anche di fronteggiare la disoccupazione. I due problemi, però, si integravano a vicenda: l’uno avrebbe dovuto risolver l’altro, a patto, beninteso, che fossero state prese in anticipo le misure occorrenti.

Nessuno vuol negare le difficoltà che si presentavano e si presentano tuttavia: la mano d’opera specializzata è insufficiente e più insufficienti ancora sono le materie prime. I manovali capaci di fare uno scarico od un trasporto di terra si possono improvvisare: basta avere buone braccia e voglia di lavorare; ma i muratori non si improvvisano con la stessa facilità: devono imparare.

Ma queste difficoltà non fanno, a mio parere, che accentuare la necessità da parte del Governo di un’azione organica. Non si può lasciare la decisione all’iniziativa dell’uno o dell’altro Provveditore regionale, dell’uno o dell’altro Ministro. Il piano organico di opere pubbliche, nelle circostanze attuali, richiede la collaborazione, oltre che del Ministero dei lavori pubblici e del tesoro, anche di quelli dell’agricoltura e foreste, del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’interno. E non bisogna dimenticare la pubblica istruzione ed il commercio estero. La pubblica istruzione, perché deve provvedere all’istruzione dei lavoratori, il commercio estero perché vi sono da importare materie prime dall’estero. E consentitemi a questo riguardo di osservare di sfuggita che, nelle nostre condizioni economiche, noi non ci dovremmo permettere il lusso di importare un miliardo e duecento milioni di caffè all’anno, allorquando abbiamo bisogno di cemento o di carbone per fabbricare.

Il problema è complesso: programma di ricostruzione, distribuzione di mano d’opera, selezione di questa, istruzione professionale, importazione di materie prime: sono i suoi aspetti principali. Se mai vi fu un periodo della storia del nostro Paese, in cui doveva esservi un coordinamento degli sforzi dei vari dicasteri, era proprio questo. Tale coordinamento spettava, io penso, alla Presidenza del Consiglio. Non credo di sbagliarmi asserendo che esso o è mancato o è stato insufficiente.

Non si può ammettere che l’assegnazione stessa dei fondi per eseguire questa o quell’opera sia fatta, per così dire, alla giornata. Ottiene chi preme di più e sollecita di più, e più efficacemente. Vi sono progetti già bell’e studiati di opere che potrebbero mettersi in esecuzione, ma a questi se ne sostituiscono altri improvvisati per i quali i progetti non esistono o, se esistono, sono molto sommari.

È superfluo indugiarmi ad illustrarvi i danni che derivano da tale sistema: i fondi stanziati nel bilancio si spendono male; essi non danno il risultato che si dovrebbe conseguire. I soli che ne ricavano un beneficio reale sono i privati intraprenditori che spesso fanno guadagni favolosi. Bisogna finirla col sistema di concedere a chi preme più energicamente. I lavori e la loro priorità devono essere decisi su un piano nazionale, tenendo presenti tutte le varie circostanze inerenti alla mano d’opera, alle materie prime occorrenti ed alla gravità dei danni da riparare.

Occorre, nella politica delle opere pubbliche, un indirizzo chiaro e preciso, e visto che si cambiano i ministri ogni cinque o sei mesi (dall’agosto 1944 ad oggi siamo già, ai Lavori Pubblici, al sesto ministro) bisogna creare evidentemente un organo tecnico, amministrativo, economico, dotato dei poteri necessari, capace di assicurare una certa continuità di indirizzo, altrimenti non si riuscirà mai a risolvere né il problema di ricostruire presto ciò che è stato distrutto, né quello di dare lavoro ai disoccupati.

È precisamente nel modo come i Governi hanno affrontato il gravissimo problema della disoccupazione, dove si è palesato e si palesa tuttora la impreparazione e la mancanza di coordinamento fra i vari dicasteri.

Una riprova di quest’affermazione si ha esaminando le misure prese dal Governo qui a Roma per dare lavoro ai 70.000 od 80.000 disoccupati affluiti da ogni angolo di Italia.

Roma, oggi, è una specie di Mecca dove i disoccupati, i reduci, i sinistrati, ecc., affluiscono nella speranza di trovar lavoro. Si tratta di una massa eterogenea, nella quale son rappresentati i più svariati mestieri: fotografi, tappezzieri, pittori, camerieri, cuochi, studenti, diplomati e persino ufficiali e laureati. Numerosissimi tra essi sono i giovanissimi che non hanno avuto alcuna possibilità di apprendere un mestiere.

Per occupare tutti costoro si sono improvvisati lavori nei quali si può impiegare molta mano d’opera non specializzata, come sono i movimenti di terra occorrenti alla costruzione di strade; ma le strade così iniziate vengono poi lasciate incompiute, perché i lavori di completamento (massicciata, pavimentazione, fognatura ecc.), non permetterebbero più di assorbire una quantità rilevante di mano d’opera comune. Si tratta di lavori ai quali sono più adatti i terrazzieri, ma di questi, tra le decine di migliaia di disoccupati di Roma, ve ne sono pochi e non può recare meraviglia che il rendimento di tali lavori sia molto basso.

Inoltre, molti di essi vennero appaltati con quell’infausto sistema che si chiama «a regìa», che si risolve in guadagni scandalosi per gli impresari e nella più completa degradazione del personale operaio, che dagli impresari stessi viene incitato a non lavorare.

Il numero di questi cantieri a regìa salì molto rapidamente: in quattro o cinque mesi, tanto che nel settembre scorso a Roma ve ne erano una cinquantina con oltre ventimila operai. Oggi, grazie all’opera del passato Ministro, il numero di questi operai si è ridotto a tredicimila, essendosi cominciati a trasformare i lavori a regìa in lavori a misura.

ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Non ce ne sono più; sono finite le regìe.

NOBILE. No, a me risulta che sono ancora molti. Comunque, bisognava aver preso già da gran tempo questo provvedimento. Però bisogna osservare che anche nei lavori a misura, data la composizione della mano d’opera, il rendimento è scarso, e, quindi, alto il costo dei lavori. Ma questo sarebbe ancora tollerabile, se non ci fossero le più gravi preoccupazioni per l’immediato avvenire.

A Roma si costruisce ora una grande strada di circonvallazione, che deve collegare le varie strade statali esterne in modo da liberare la città dal traffico dei veicoli di transito. Eccellente cosa in sé, sebbene si potrebbe obiettare che ci sono lavori molto più urgenti e necessari da fare. Per questa strada si sono stanziati sei miliardi, di cui due miliardi e mezzo sono impegnati per i lavori ora in corso. Si sono preparati inoltre progetti per costruzioni edilizie per due miliardi e trecento milioni. Un altro miliardo e mezzo è stato assegnato al Comune per lavori di interesse cittadino. Un miliardo e quattrocento milioni è stato destinato alla sistemazione del Tevere a monte di Roma. Infine, alcune centinaia di milioni sono stati stanziati per opere di bonifica. Si tratta in complesso di una cifra di dieci o undici miliardi, cifra che potrebbe apparire cospicua, ma che in realtà è irrisoria, se voi tenete conto che una parte di quei fondi dovrà servire a pagare lavori già eseguiti e che, per dare lavoro a tutti i disoccupati di Roma, occorrono per lo meno ventiquattro miliardi l’anno. Fra qualche mese, quindi, si presenterà il problema gravissimo: che cosa fare per dare lavoro a questa grande massa di disoccupati.

L’imprevidenza del Governo che si è lasciato prendere alla sprovvista da un fenomeno che pure era di così facile previsione, è stata poi aggravata dal fatto che il Provveditore di Roma, non avendo a disposizione i fondi necessari per pagare i lavori già eseguiti e quelli in corso, è stato assai spesso costretto a stornare fondi destinati ad altre opere ed a sospendere, quindi, altre attività, certamente più urgenti. Ne hanno risentito particolarmente le zone maggiormente devastate dalla guerra a sud di Roma, come quelle attorno a Formia e a Cassino, e ne hanno risentito altresì i lavori di riparazione di case, con la conseguenza di ostacolare ulteriormente la soluzione dei problemi edilizi, già ritardata da una legislazione difettosa.

Sulle spalle del nuovo Ministro è in realtà una responsabilità assai pesante, alla quale egli non potrà far fronte, se non gli sarà assicurata la collaborazione degli altri Ministeri. Questo di coordinare l’azione dei vari organi ministeriali interessati ai problemi della ricostruzione e della disoccupazione è compito che certamente spetta alla Presidenza, ed io confido che il Presidente del Consiglio, il quale nel suo discorso ha proclamato la necessità di ricostruire in un «clima di efficienza tecnica», vi provvederà.

I nostri ministeri economici oggi costituiscono dei compartimenti stagni: ognuno fa per sé. La cosa è aggravata poi dal continuo mutare di direzione politica in ognuno di essi. Ciò costituisce una causa di disordini e di sprechi non tollerabili. Oggi l’unicità di direzione dell’economia del Paese è assolutamente indispensabile. Si obietterà che vi è il Comitato interministeriale per la ricostruzione; ma esso finora si è occupato, più che altro, dei nostri rapporti con l’estero. Esso compila il piano del nostro fabbisogno di importazioni e quello delle possibili esportazioni; tratta con l’UNRRA e con le due banche internazionali esistenti per ottenere i mezzi finanziari occorrenti. Sono i piani cui si riferiva il Capo del Governo nella sua esposizione; piani essenziali, naturalmente, ma che non sono se non una piccola parte dei compiti assai più vasti che oggi dovrebbe avere un organismo centrale dello Stato, cui affluissero i piani dei singoli Ministeri economici, per coordinarli fra loro e per compilare in base ad essi un piano generale di ricostruzione e di sviluppo. Questo organismo non esiste ancora. È necessario formarlo al più presto possibile. Occorre un Comitato tecnico-economico che raccolga il meglio, il fior fiore, dei nostri esperti in materia economica e tecnica e che stia al centro della vita economica del Paese. Solo così si eviterà quello che è già avvenuto e che tuttora avviene: che il denaro pubblico vada sperperato per lavori non necessari e non redditizi.

E ora, onorevoli colleghi, permettetemi di intrattenervi brevemente su un’altra questione tecnica che concerne il Ministero della difesa, la cui costituzione ci è stata annunziata cosi laconicamente dal Capo del Governo.

Or sono sei mesi, in questa medesima aula, io stesso ne dichiarai l’opportunità; però feci osservare che all’unificazione dei tre Ministeri delle forze armate si sarebbe dovuto addivenire solo dopo che essi fossero stati smobilitati. Questa smobilitazione non ha avuto ancora luogo e in qualche Ministero, come quello dell’Aeronautica, si potrebbe perfino dire che essa è appena iniziata, o non ancora iniziata. Giudico, perciò, che sia stata prematura la decisione presa di fondere insieme i tre Ministeri, e che essa, probabilmente, ritarderà quella smobilitazione, anziché affrettarla.

Provvedimenti di tal genere non si possono improvvisare; non è durante una crisi ministeriale che un problema così grave e complesso quale l’istituzione di un Ministero della difesa possa venire risolto. Si tratta di tre dicasteri, i quali ancora oggi conservano in gran parte la complicata struttura del tempo di guerra. Il Capo del Governo avrebbe fatto, io penso, cosa assai più saggia formando un Comitato dì persone esperte che studiasse a fondo la questione, e decidesse quali servizi e in che modo si potessero unificare e quali lasciare tra loro distinti.

Sulla base del risultato degli studi di un tale comitato, si sarebbe potuto predisporre l’organizzazione del Ministero unico. Questa era la via maestra da seguire: il Capo del Governo ha preferito, invece, risolvere il problema sulla carta, con un tratto di penna.

Non è difficile prevedere che la cosa rimarrà, in buona parte, sulla carta; e poco di fatto seguirà.

Non si può invidiare il Ministro Gasparotto per il pesante fardello che gli è stato accollato: egli ha bisogno di tutta la nostra simpatia. Ma, nonostante la sua buona volontà, dubito che possa fare molto. È probabile che quando l’attuale Governo, fra alcuni mesi, avrà cessato di vivere, le cose saranno rimaste presso a poco come prima, con questo di peggiorato, però: che in ciascun Ministero, proprio nel momento in cui per la difesa della Repubblica si sarebbe dovuta rafforzare l’azione politica, questa azione politica è sostituita da quella dei tre Capi di Stato Maggiore, giacché – in ultima analisi – sarà precisamente questo il risultato immediato della fusione dei tre Dicasteri.

Ma, se si vuole, si è ancora in tempo a riparare e a trarre qualche vantaggio dalla decisione presa. Si dovrebbe dare ai singoli Sottosegretari l’autorità di veri e propri viceministri, di modo che il Ministro della difesa debba occuparsi delle tre forze armate solo attraverso le persone dei Sottosegretari. Ma dubito che il Capo del Governo vorrà fare questo o, per lui, l’onorevole Gasparotto.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Facendo così, si farebbe quello che ha fatto Mussolini: i tre sottosegretari diventano tre ministri. E questo mi pare che sia tecnicamente errato.

NOBILE. E allora, che ci stanno a fare i tre sottosegretari?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Quello che fanno i sottosegretari da per tutto: collaborano col Ministro.

NOBILE. Per quello che fanno ora tanto vale che non ci siano. In ogni modo, l’esistenza dei tre sottosegretari è in piena contradizione col fatto della fusione.

Io auguro di cuore al Ministro della Difesa di riuscire, nonostante le immense difficoltà che gli si parano avanti, ad organizzare questo Ministero o per lo meno ad iniziarne l’organizzazione. Ma, riuscire, secondo me, significa in questo caso, fra le altre cose, anche concentrare i tre organismi ministeriali. in un medesimo edificio (questa sembra una piccola cosa, ma non è per chi è pratico di amministrazione militare), e fondere insieme dopo aver riunite insieme le direzioni generali ed i servizi che si occupano di materie analoghe. Se questo non si facesse, non saprei proprio che significato possa avere il parlare di unificazione delle forze armate, né come si possa ridurre ad una percentuale tollerabile della spesa totale dello Stato la somma stanziata per i tre Ministeri, che nello stato di previsione 1946-47, aggiornato al 31 gennaio scorso, ammontava a 111 miliardi di lire, cioè 2500 per ogni cittadino italiano.

Ma, a mio avviso, l’unificazione dei tre dicasteri in nessun caso si sarebbe dovuta fare prima che fosse stato effettuato lo sfollamento del personale militare e civile. Ma, visto che esso non ha avuto ancora luogo, si dovrebbe sperare per lo meno che siano unificati i criteri e le modalità che dovranno regolarlo.

Mi sia a questo proposito permesso fare qualche breve rilievo.

Sono ormai trascorsi nove mesi dall’emanazione del decreto legislativo concernente lo sfollamento degli ufficiali generali e superiori dai quadri delle forze armate, ma fino ad oggi esso è ben lungi dall’essere completato. Anzi, per il Ministero dell’Aeronautica credo si possa dire che sia stato appena iniziato. Questo ritardo è un grave male, perché è causa di malcontento, di nervosismo, di apatia, di indifferenza al servizio da parte degli ufficiali stessi. È evidente che non si può prendere passione al proprio compito quando si teme di poter essere compresi fra quelli che dovranno lasciare l’Amministrazione. Questa spada di Damocle sulla testa di questi ufficiali già pende da quasi un anno.

Questa dolorosa operazione della riduzione dei quadri ai limiti consentiti dal trattato di pace, e anche dalle possibilità finanziarie del nostro Paese, si sarebbe dovuta fare rapidamente. Sarebbe stato un vantaggio per tutti.

Nell’applicazione del decreto 14 maggio 1946, vi è un punto basilare intorno al quale sono sorti gravi quesiti. L’articolo 2 di questo decreto stabilisce che il collocamento nella riserva o in ausiliaria di autorità, deve avvenire di massima per coloro i quali, pur essendo stati discriminati, hanno riportato sanzioni disciplinari per il loro comportamento dopo l’8 settembre 1943. Bisogna riconoscere che questa espressione «di massima», inserita nel decreto, è stata assai poco felice perché rende elastici i criteri di selezione e consente qualsiasi salvataggio. In un caso come questo dove la riduzione dei quadri deve essere operata su vasta scala, sarebbe stato preferibile un criterio rigido da applicarsi senza eccezioni, direi quasi meccanicamente. Ci sarebbero state anche meno lagnanze.

Si aggiunga a questo la considerazione del modo come sono formate le Commissioni alle quali è affidato il giudizio. Per i generali dei gradi più elevati, l’articolo 3 stabilisce che lo sfollamento deve aver luogo dopo che il Ministro abbia sentito il parere di un’apposita Commissione da lui nominata. Come debba essere costituita questa Commissione il decreto non dice.

Era ovvio pensare che la cosa più opportuna, in questo momento, fosse quella di nominare una Commissione parlamentare. Fu quella che io proposi, con interrogazioni e interpellanze rivolte ai tre ministeri competenti. La selezione nei gradi più elevati è cosa quanto mai delicata e importante. La Commissione parlamentare da me suggerita avrebbe dovuto non già giudicare del valore tecnico dei singoli generali – al che sarebbe stata incompetente – ma solo fissare, in modo preciso e categorico, i criteri da seguire nello sfollamento, criteri che in questo speciale momento della vita nazionale, quando si tratta di rafforzare le istituzioni repubblicane, devono essere anche, ed in primo luogo, io direi, politici. La necessità di una Commissione parlamentare estranea, che dettasse questi criteri, era suggerita dalla considerazione che commissioni costituite di elementi tratti esclusivamente dalle alte gerarchie militari, quali sono le Commissioni di avanzamento, non possono offrire garanzie di obiettività se non quando siano stati già stabiliti in modo preciso i criteri che esse devono seguire. Ora, il Ministro della Marina, ed in forma assai più ampia e soddisfacente quello della Guerra, accolsero, almeno in parte, la sostanza del suggerimento da me dato, e costituirono essi stessi delle Commissioni formate di parlamentari.

Certamente, manchevolezze non possono non esservi, dati anche i difetti intrinseci della legge. Mandar via di autorità, come essa stabilisce, tutti quelli che sono stati puniti per il loro comportamento dopo l’8 settembre, sta bene. È quello che è detto nell’articolo 2. Ma sta il fatto che i giudizi che condussero alle punizioni furono emessi da Commissioni differenti, variamente composte, ed in tempi diversi, per cui non si ha alcuna certezza di uniformità dei criteri che ispirarono le loro decisioni.

Un’altra grave obiezione è che dopo la pubblicazione del decreto, molte punizioni, in seguito a reclami quasi sempre appoggiati autorevolmente, furono dai Ministri ridotte o annullate, di loro arbitrio, senza che i vari casi fossero rinviati alle competenti Commissioni che li avevano prima giudicati. Mi riferisco, per questo, particolarmente all’Aeronautica, dove è avvenuto anche di peggio, perché potrei citare qualche esempio di encomio solenne dato per iscritto dal Ministro a personale che aveva aderito alla repubblica fascista. Come si può, allora, in tali condizioni parlare di equità di giudizio nello sfollamento degli ufficiali? È certo che si commetteranno molte ingiustizie. Da qui deriva la necessità di fissare con rigore i criteri che devono condurre all’eliminazione.

Ma questo non basta, perché quei criteri negativi devono essere poi integrati da criteri positivi di selezione, nel senso che si dovrebbero trattenere in servizio quegli ufficiali generali e superiori che hanno ben meritato del Paese nella guerra di liberazione, sia per essersi distinti militando nell’esercito regolare, sia per avervi partecipato come partigiani. I criteri di selezione tecnica, che si vorrebbero applicare anche in questi casi, sono troppo elastici per dare affidamento di obiettività.

Finora non sono noti i risultati per lo sfollamento fatto al Ministero della Guerra e quello della Marina, ma, per quello che ne so, è a buon punto. Altrettanto non si può dire del Ministero dell’Aeronautica.

Il Ministro onorevole Cingolani non ha creduto necessario nominare, come ha fatto il suo collega del Ministero della guerra, una commissione parlamentare, costituita prevalentemente di personalità estranee all’ambiente militare. In un’intervista concessa ad «Ala libera», egli dichiarò di non essere favorevole ad includere nella commissione elementi civili, parlamentari o magistrati che fossero. Aggiunse che, in casi di particolari qualità tecnico-professionali, egli pensava che un ufficiale, anche se compromesso dopo l’8 settembre 1943, avrebbe potuto continuare a rimanere in servizio…

CINGOLANI. Non precisamente così; ricordi la frase esatta.

NOBILE. Questo precisamente è detto nell’intervista pubblicata dall’«Ala libera».

L’onorevole Cingolani, dunque, a differenza dei suoi colleghi della Guerra e della Marina, ha lasciato che la Commissione per l’avanzamento procedesse da sola alla eliminazione.

Ora, di questa Commissione fa parte non solo un generale, che apertamente si dichiara monarchico (e di questa schiettezza bisogna fargliene lode), ma anche un altro, che fu in Spagna, a capo dell’aviazione legionaria, fatta, come si sa, di volontari. Non ritengo che una Commissione così composta possa dare affidamento di scrupolosa imparzialità. In più casi essa deve, per lo meno, trovarsi imbarazzata a giudicare.

Il fatto è che ho qui, davanti agli occhi, la lista degli ufficiali dell’Aeronautica, di cui fin oggi è stato deciso l’esodo. Vi sono compresi: 38 colonnelli, 102 tenenti colonnelli ed alcuni maggiori; ma non un solo generale. Quando si lascia decidere sullo sfollamento agli stessi generali, come ha fatto il Ministro dell’aeronautica, è chiaro che essi penseranno a sfollare se stessi il più tardi che sia possibile.

Ma non basta ancora. Qualcuno dei colleghi ricorderà che nel luglio scorso, in questa medesima aula, richiamai l’attenzione dell’Assemblea sul gran numero di generali allora in servizio in Aeronautica e sulla nomina fatta alcuni mesi prima di altri ventidue di essi. Fui molto ingenuo – oggi lo riconosco – a meravigliarmi del fatto; perché il Ministro dell’Aeronautica repubblicana ha ritenuto perfino insufficiente il numero di generali allora esistenti; ed infatti ne ha creati recentemente altri 10. Siamo così giunti, nel dopoguerra, alla bella cifra di 50 generali promossi nel giro d’un solo anno. Oggi, di questi 50 sono in servizio 32.

Quali importanti compiti essi disimpegnino io non saprei dire; ma il Ministro certamente lo sa.

Sono dell’opinione che la smobilitazione dell’Aeronautica, come degli altri ministeri militari, debba aver luogo prima di tutto negli alti gradi. Due anni fa (e a questo riguardo vorrei pregare l’onorevole Gasparotto di riesaminare la questione e provvedere secondo giustizia), due anni fa il Ministro della guerra del tempo non esitò a mettere sul lastrico da un giorno all’altro, con un semplice ordine di servizio, migliaia di operai degli stabilimenti militari, che, per non morire di fame, essi e le proprie famiglie, avevano dovuto lavorare alle dipendenze del Sottosegretariato dell’esercito fascista. Quando invece si tratta di mandare a casa con tutti gli onori e con tutti gli emolumenti uno di quei generali che l’8 settembre non seppero fare il proprio dovere e causarono con il loro contegno lo sbandamento degli ufficiali subalterni e delle truppe, ci si pensa a lungo, e magari lo si promuove.

Nell’Aeronautica – bisogna avere la franchezza di dichiararlo – le cose non vanno. I dodici miliardi annui che essa costa allo Stato (e non sarebbero molti se con essi si facesse veramente dell’aviazione) sono in gran parte spesi male. Vi è stato alla caserma Macao un fatto gravissimo, uno sciopero di avieri, per protestare contro le cattive condizioni in cui erano tenuti in quella caserma. La cosa, altamente deplorevole in se stessa, è un triste indizio dell’abbandono in cui sono tenute le truppe. Non è così che si risanano le nostre forze armate.

E nemmeno si risana l’Aeronautica coll’istituzione che il passato Ministro ha fatto di una nuova carica, quella di Segretario generale, varata proprio nell’imminenza della crisi ministeriale o forse quando la crisi era già aperta, perché il Foglio d’ordini sul quale compare l’istituzione della nuova carica porta la data del 15 gennaio 1947.

È una curiosa caratteristica dell’Aeronautica italiana di questo dopo-guerra che la sua struttura si ampli tutte le volte che sta per cambiare Ministro. Si vede che l’onorevole Cingolani non ha voluto essere da meno del suo predecessore, che in un periodo analogo aveva creato cinque nuove direzioni generali.

Ed eccomi, per concludere, ad una questione grave sulla quale richiamo per un minuto l’attenzione dell’Assemblea: quella degli ufficiali e sottufficiali in servizio permanente effettivo, mutilati o invalidi di guerra. Secondo le disposizioni vigenti, gli ufficiali mutilati di carriera, dichiarati permanentemente non idonei al servizio, sono collocati in pensione, se per gli anni di servizio prestato ne hanno acquistato il diritto; altrimenti vengono inviati a casa con la sola pensione privilegiata di guerra, la quale per una invalidità totale ammonta oggi per un capitano, compresi gli ultimi aumenti, a 10.849 lire al mese; e per un’invalidità dell’80 per cento – quasi totale – a 4.584 lire mensili. Così può avvenire che un giovane ufficiale, dopo aver versato il sangue in difesa del proprio Paese ed essere rimasto mutilato cosi gravemente da non potere, abbandonato il servizio, trovare altra occupazione, sia lasciato pressocché in preda alla miseria. Quando si confronta questo trattamento con quello che il decreto legislativo del maggio 1946 accorda ai generali che si compromisero dopo l’8 settembre 1943, si vede quanto esso sia iniquo.

Dopo la prima guerra mondiale vi furono disposizioni di legge a favore degli ufficiali mutilati di carriera, ai quali fu lasciata facoltà di continuare a prestare servizio nelle armi cui appartenevano.

A me non pare concepibile che la Repubblica possa essere meno generosa del Governo di quei tempi verso i mutilati. Perciò, a nome anche di altri numerosi colleghi, presento un ordine del giorno con cui invoco che sia riconosciuta anche agli ufficiali invalidi della seconda guerra la facoltà di rimanere in servizio, collocandoli fuori quadro in un ruolo speciale, come si è fatto dopo la passata guerra, in modo da non contrastare con le disposizioni del trattato di pace; e che misure adeguate siano prese per tutti gli altri mutilati a qualunque categoria appartengano.

L’articolo 49 del progetto di Costituzione stabilisce che la difesa della Patria è un sacro dovere. Ma non meno sacro è il dovere dello Stato di assistere i cittadini che per difendere il Paese hanno riportato gravi menomazioni fisiche.

In questo senso avevo proposto alla Commissione dei 75 un’aggiunta a quell’articolo, sembrandomi giusto che la Costituzione che proclama quel dovere dovesse sancire anche questo diritto.

La Commissione accettò all’unanimità quella mia proposta come raccomandazione da trasmettersi al Governo per preparare un disegno di legge destinato a provvedere in modo adeguato alla situazione di coloro che tutto diedero al Paese. Io spero che questo disegno di legge sia al più presto un fatto compiuto. (Applausi).

CINGOLATI MARIO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI MARIO. Io sono iscritto a parlare, quindi la rettifica di molte cose che qui ha detto l’onorevole Nobile la darò al momento opportuno.

Non posso però non rettificare immediatamente alcune sue affermazioni.

Egli ha certo una grande passione per l’Aeronautica; ma io non sono secondo a lui in questa passione.

Posso dirvi subito, per quanto riguarda le cifre e i metodi dello sfollamento, che i criteri che hanno informato e Commissione e Ministro fino ad oggi sono stati questi: colpire innanzi tutto coloro che hanno tradito l’Italia e gli italiani passando al servizio della cosiddetta repubblica sociale di Salò. E posso dire anche all’onorevole Nobile che questa linea molto precisa e decisa, per cui in nessun caso si è tenuto conto di quell’«in massima» che c’è in quel tale articolo di quel decreto, ha determinato proteste, raccomandazioni, eccitamento a rivedere questa situazione da parte anche di onorevoli colleghi di ogni parte della Camera.

Comunque, di fronte ad un procedimento già iniziato, di fronte ai problemi che si presentavano al Ministro per l’applicazione del trattato di pace, io ho fermato lo sfollamento. E l’ho fermato per due motivi: il primo, perché ritenevo che in verità potessi accettare il suggerimento dell’onorevole Nobile di nominare una Commissione di carattere politico composta di ex ministri e di autorevoli parlamentari, tanto che parlai in proposito con l’onorevole Terracini, prima che sopravvenisse la crisi; l’altro, perché pensavo di poter studiare, anche con l’assenso della Sottocommissione alleata per l’aeronautica, la formazione di una aviazione di quadri che salvasse il pane quotidiano a più gente possibile.

Il progetto è rimasto in aria per la crisi sopravvenuta; ma è servito almeno a richiamare sul problema l’attenzione di un appassionato come l’onorevole Nobile e del nuovo Ministro della difesa.

Posso dire all’onorevole Nobile questo: che ho trovato il Ministero dell’aeronautica in condizioni quanto mai difficili, uno stato d’animo nel personale di malumore, di scoraggiamento, di furore. Ho cercato di fare del mio meglio, onorevole Nobile. Domandi lei ad uomini di ogni parte politica, militanti nelle file dei vari Partiti e facenti parte del Ministero: dopo appena sei mesi, credo di essere riuscito a dare una coscienza aviatoria patriottica repubblicana all’Aeronautica italiana. Interroghi il Comitato di concentrazione repubblicana, composto di rappresentanti dei partiti democratici. Quello che posso dire è che la disciplina rilassata, di cui è stato un episodio quello della caserma Macao, non è dipesa dalle condizioni di spirito dell’Aereonautica, ma dalla irrequietezza di elementi perturbatori operanti per fini non ben definiti.

L’Aeronautica è composta di elementi tutti dediti al loro dovere.

Ho potuto visitare tutti i campi d’Italia: c’è uno spirito altissimo, una serena aspettazione di quello che il Paese farà, soprattutto per quelli che hanno combattuto eroicamente negli stormi dell’Italia meridionale. Abbiamo avuto combattenti eroici, la cui storia è poco nota, e sono quelli che hanno appartenuto agli stormi che combatterono a fianco degli anglo-americani per venticinquemila ore di combattimento. (Applausi). Essi sono quelli che devono formare l’ossatura della nuova aviazione.

Guardi, onorevole Nobile; che ci sia nelle alte gerarchie un generale che sia stato in Spagna a me non risulta, comunque non ha importanza, se non vi sia andato volontario. Quello che importa è che di fronte all’obbligo del giuramento che ieri è stato prestato, un solo generale ha dichiarato che non avrebbe giurato, ed è stato subito mandato via. Gli altri hanno giurato.

Posso ripetere qui quello che già disse il collega Facchinetti in altro ambiente: ciò che vale è la lealtà della posizione presa ieri col giuramento. E oggi – se questi ufficiali, ieri sono stati monarchici in buona fede, se in buona fede oggi accettano di servire la Repubblica, ed è il caso del nuovo Capo di Stato Maggiore – non c’è nessuna ragione per non credere a quella fede e a quella parola. (Applausi).

Su questo è basata anche la ricostruzione delle forze armate, per la quale esprimo all’onorevole Gasparotto tutta la mia fiducia. Certo, il compito è molto difficile; ma egli sarà aiutato, onorevole Nobile, proprio da quei Segretari generali che ho imparato ad ammirare nel Ministero della marina, che funzionano al Ministero del lavoro e al Ministero degli esteri.

L’istituzione del Segretario generale non volevo davvero vararla tra una crisi e l’altra: io sono un ingenuo, malgrado le apparenze. Lo avevo preparato perché non immaginavo, il 15 gennaio, che la crisi sopravvenisse dopo pochi giorni: non avevo nessuna ragione di poterlo pensare o sperare o temere!

Io ho fatto il mio dovere studiando bene il funzionamento del Segretario generale, discutendone anche col Sindacato dei dipendenti civili e sono felice di averlo varato. Mi auguro che anche dal Dicastero della guerra possa venir fuori un Segretario generale, che renda molto più facile ed efficiente l’opera del Ministro Gasparotto.

Non ho altro da aggiungere per ora. Dirò all’onorevole Nobile che da ogni mia ulteriore dichiarazione, documentata, verrà fuori questo fatto: che gli informatori clandestini che può avere avuto l’onorevole Nobile – e che potrei facilmente domani avere io, se lo volessi – non sono certo la parte più nobile dell’Aeronautica italiana.

Tutti sanno che nel mio Ministero non c’era il «passi» per venire su dal Ministro: ché, dall’ultimo aviere fino al generale di squadra, potevano tutti venire a parlare liberamente. I nemici non del Ministro, ma dell’Aeronautica, sono dei subdoli informatori che tentano di gettare il fango su di una arma gloriosa, che ha sempre fatto il suo dovere. (Applausi).

(La seduta, sospesa alle 17,5, è ripresa alle 17,45).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, la grande maggioranza di questa Assemblea si attendeva che il Presidente del Consiglio, nelle sue dichiarazioni sulla politica del nuovo Governo, parlasse dettagliatamente dei risultati del suo viaggio negli Stati Uniti d’America e delle impressioni politiche che ne ha riportate. Questa aspettativa è andata delusa, perché l’onorevole De Gasperi si è limitato ad alcuni cenni sull’esistenza nei musei americani di molti capolavori della pittura italiana, che indubbiamente esistono e sono una gran cosa, ma esistono indipendentemente da questo come da qualsiasi altro Governo. Egli ha anche accennato all’esistenza di un sentimento patriottico, forte, fortissimo nella collettività italo-americana, che esiste indubbiamente ed è una magnifica cosa, ma esiste indipendentemente da questo o da qualsiasi altro Governo. Invece, dei problemi politici il Presidente del Consiglio non ha parlato, per quanto fosse evidente che, sia la prima parte del suo discorso, relativa alla firma del Trattato di pace, come la seconda parte, relativa alla politica economica che il nuovo Governo intende seguire, si trovavano strettamente connesse con quel viaggio in America.

Ed allora, in mancanza di delucidazioni da parte del Presidente del Consiglio, mi trovo costretto ad occuparmi di questa questione, che mi pare molto importante, sulla pura scorta dei giornali americani ed italiani, prendendo in esame in primo luogo i giornali più vicini al Governo.

Se guardiamo quello che hanno riferito i giornali al momento stesso dell’arrivo dell’onorevole De Gasperi negli Stati Uniti, vediamo che egli è stato accolto con cordialità e amicizia, dovute indubbiamente al nostro Paese, ma anche alla sua persona – e se lo è meritato – ma è stato anche accolto da un brindisi di Byrnes, in quel momento ancora Segretario di Stato degli Stati Uniti, il quale diceva che compito dell’onorevole De Gasperi, ospite dell’America, sarebbe stato quello di firmare. L’onorevole De Gasperi non rispose a questa che era una richiesta, che cioè si firmasse senz’altro. L’onorevole De Gasperi forse intendeva guadagnare tempo. E non sarò certamente io a rimproverarlo, perché si capisce che in questioni così gravi guadagnare anche qualche giorno può avere la sua importanza. Però, malgrado tutto, sarebbe stato preferibile se si fosse risposto, da parte del Presidente del Consiglio, in quella occasione o le volte successive, quando egli ebbe occasione di parlare al pubblico degli Stati Uniti, mettendo in rilievo che, a parte le pressioni materiali alle quali possiamo o non possiamo essere in grado di resistere, per persuaderci a firmare, alcune condizioni almeno dovevano essere adempiute da parte delle Potenze vincitrici. Condizioni così elementari che senza di esse io veramente mi domando come si sia potuto, pur nello stato di necessità, firmare il Trattato; condizioni che del resto erano state indicate abbastanza bene dall’onorevole De Gasperi nel suo discorso a Parigi, e che sono delle serie garanzie per la validità delle nostre nuove frontiere, per l’italianità dello Stato libero di Trieste e per la sorte della minoranza italiana che sarebbe rimasta sotto dominazione straniera.

Una volta, un anno fa, discutendosi alla Consulta, sia in seduta pubblica che in seduta di Commissione per gli affari esteri, la nostra politica estera, rispetto al Trattato di pace di cui già allora si intravvedeva la gravità, l’onorevole De Gasperi disse prima che si trovava senza carte e poi, nel corso della discussione, ammise che una carta tuttavia l’aveva, cioè quella di rifiutare la firma ad un Trattato che non sapesse per nulla di pace. Egli soggiunse che, tuttavia, quella carta si riservava di giocarla in tempo utile, perché giocarla prematuramente gli sembrava un errore.

Ho l’impressione – posso sbagliare, ma ho questa impressione – che la carta non sia stata giocata affatto, neppure in ritardo. Si è rinunciato a giocarla. Ora, evidentemente, ci possono essere dei motivi superiori di una tale gravità da obbligare il Governo a non giocare questa carta. Ma allora sarebbe meglio che questi motivi fossero esposti alla Costituente. Quali sarebbero state, ove avessimo tentato di giocare la carta del rifiuto, le pressioni americane su di noi, si può immaginare. Evidentemente sarebbero state pressioni di natura economica, ed io sarò l’ultimo a sottovalutarle. Dico di natura economica, riferendomi all’occupazione alleata con le sue spese, perché purtroppo quanto allo sgravio politico-militare della cessazione dell’occupazione alleata dopo la firma, mi pare che per il momento non se ne parli ancora, non essendo risolta nei suoi particolari la questione dello Stato libero di Trieste. Altre minori sanzioni ci sarebbero forse state applicate, e avremmo sofferto soprattutto la mancanza degli aiuti economici che ora ci vengono, anche grazie all’ultimo viaggio del Presidente del Consiglio.

Comunque, mentre il Presidente del Consiglio è stato piuttosto cauto sui risultati e sulle impressioni del suo viaggio, noi abbiamo invece visto in Italia i muri tappezzati da manifesti eloquenti in pro e contro, gli uni che dicevano che De Gasperi ci portava molte cose buone, farina, carbone e prestiti, e che, se mai, solo gli avversari interni – interni al Governo – impedivano all’onorevole De Gasperi di salvare il Paese (riferisco testualmente quel manifesto); gli altri che affermavano il contrario.

In sostanza, il Paese ha avuto l’impressione, e noi con il Paese, che le pressioni di natura economica e gli aiuti che viceversa sarebbero venuti ove avessimo firmato, fossero gli uni e gli altri di discutibile entità, anche perché sembra che fino a questo momento si tratti più di promesse che di aiuti reali. Non so, insomma, se condizionando la firma, se facendo un tentativo estremo, ma facendolo però possibilmente non all’ultimo momento, saremmo stati trattati veramente molto peggio.

Da un certo punto di vista, avrei quasi considerato come cosa buona se effettivamente ci fosse stato detto da parte americana che, senza la firma, avremmo veduto annullati degli aiuti, altrimenti concessici. Questo avrebbe significato che, avendo ora firmato, gli aiuti considerevoli li riceveremmo di sicuro.

In generale, gli aiuti che ci vengono dagli Stati Uniti vengono per parecchie cause: per la generosità di quel popolo, per il senso di interdipendenza economica mondiale, che hanno indubbiamente i governanti, gli uomini d’affari americani. Ci vengono per la presenza in America della collettività di origine italiana. Ed il fatto che ci vengano, in misura meno copiosa del resto che ad altri Paesi, dipende anche da una determinata politica estera degli Stati Uniti, quella di Byrnes, il quale pensava di poter risolvere i problemi che gli stavano a cuore, cioè i problemi della presenza politica dall’America in Europa, attraverso aiuti economici. Si dice giustamente che a cavallo regalato non si guardano i denti. Ed è chiaro che, se aiuti ci vengono, dobbiamo accettarli con riconoscenza, anche se fra i motivi che li determinano possono esserci motivi di natura politica, che noi non condividiamo.

Quindi, riconoscenza; però dobbiamo renderci conto, per non lasciarcene influenzare, di quei motivi che sono estranei alla nostra situazione e ai nostri interessi, e poi perché quella determinata politica non era destinata a durare eternamente.

Credo che la sostituzione del generale Marshall a Byrnes significhi l’inizio d’una progressiva rinuncia a quella politica; cosa, del resto, prevedibile da tempo e preveduta e sulla quale alcuni organi di stampa internazionali, forse anche italiani, hanno già attirato l’attenzione dei governi, anche del nostro.

Contrariamente a quello che scrivono molti giornali nostrani, che si sono specializzati nel volere scorgere in ogni cambiamento politico un appoggio alla loro tesi, la tesi del blocco antisovietico, credo che l’assunzione di Marshall – che ha coinciso per caso, ma forse non del tutto per caso, col viaggio dell’onorevole De Gasperi – non significhi una politica di ostilità nei confronti della Russia. Coloro che lo pensano o lo temono o lo sperano saranno delusi. Dal punto di vista dell’atteggiamento politico generale verso la Russia, non vi è differenza fra Byrnes e Marshall. Sono diversi i metodi dell’uno e dell’altro. Non è poi vero che il metodo di Marshall sia più affine ai metodi di coloro che propugnano un blocco occidentale antisovietico. È vero il contrario, come Marshall stesso l’ha dimostrato in Cina.

Da noi si è molto inclini a pensare che un generale non possa fare che una sola politica, quella dei generali che sono nazionalisti e sciabolatori per professione. Non è sempre così.

Il generale Marshall certamente affronterà con estrema energia i problemi che ritiene di interesse vitale per l’America; ma per tutto quello che si sa, la sua politica è quella di trattare tutti i problemi direttamente col Governo di Mosca, di porre tutti i problemi sul tappeto direttamente nei confronti di Mosca, e di dare minore importanza di quanta non ne desse Byrnes alle posizioni politiche americane nell’Europa occidentale e meridionale, da sostenere attraverso aiuti economici.

Io metto in guardia questa Assemblea contro l’illusione che quella determinata politica americana, di cui noi abbiamo approfittato – ripeto, senza condividerne i motivi – e che i suoi avversari hanno chiamato la «diplomazia del dollaro», possa durare ancora a lungo. La politica che l’America, a mio giudizio, si accinge a seguire, potrebbe essere per noi, inizialmente, dal punto di vista degli aiuti economici, anche meno favorevole. Appunto per questo mi pare che lasciar cadere così la carta relativa alla non firma del trattato di pace, per la sola promessa di aiuti economici e in un momento in cui cambia la politica americana incline a dare aiuti economici con finalità politiche, sia stata cosa un po’ affrettata. Forse ci conveniva resistere alle pressioni americane, proprio in previsione della politica estera del generale Marshall, che intende porre sul tappeto tutti i grandi problemi mondiali, e si sforzerà di trovare un modus vivendi generale nel quale noi dovremo ancora inserirci. Forse ci saremmo potuti inserire meglio se avessimo condizionata, riservata o ritardata ancora, per qualche mese o per qualche settimana, la firma del Trattato. Dico questo non per fare dei rimproveri all’onorevole De Gasperi e al Governo. Lungi da me questa intenzione: in politica estera non si devono mai fare recriminazioni. Di ciò il gruppo, a nome del quale vi parlo, vi ha dato la prova quando l’onorevole De Gasperi assunse il potere e noi ci trovammo in polemica politica acuta con lui (credo che avevamo ragione di trovarci in polemica con lui nella politica interna italiana), e tuttavia abbiamo sostenuto che la politica estera dovesse continuare ad avere la fiducia del Paese. Io lo scrissi anche sui giornali americani, trovandomi allora a New York. Anche ora sosterremo il Conte Sforza. Però dobbiamo metterlo in guardia contro questa abitudine di promettere una politica di ferro, di resistenza, e poi non farla. Allora è meglio non prometterla.

Quello che si è svolto qui fra Governo, Assemblea, Commissione dei trattati, Lupi di Soragna, firma o non firma, ecc., non ci ha giovato nell’opinione pubblica mondiale. Basta che leggiate i grandi giornali americani; non parliamo poi di quelli degli altri grandi paesi: hanno considerato queste cose come manovre puerili. O si fa sul serio una politica di resistenza, come l’onorevole De Gasperi aveva preannunciato di voler fare, o non la si auspica neppure. Se la si fa, bisogna farla sistematicamente, per parecchi mesi di seguito, per anni di seguito. Oscillare fra una politica e l’altra, non credo sia stato utile. E lo dico – ripeto – non per recriminazione, non per spirito di opposizione, ma semplicemente per il desiderio che d’ora in poi queste oscillazioni dannose vengano a cessare. Vorrei poi spiegare, senza spirito di acrimonia, per quale ragione sia caduta così, senza veramente fare le sue prove, la politica di resistenza che l’onorevole De Gasperi pur aveva preconizzato. Forse una delle spiegazioni si trova anche nel già citato brindisi di Byrnes. Byrnes salutò il Presidente del Consiglio come l’uomo che aveva guidato la resistenza al nazismo e al fascismo. Ora, effettivamente, a parte la questione personale, aveva ragione Byrnes. La politica di resistenza che egli temeva che l’Italia volesse fare sul terreno internazionale, era possibile solo nello spirito dell’altra Resistenza, quella che doveva influire sulla politica interna del Paese.

Invece, avendo il Governo, e in particolare la direzione del Governo, troppo presto rinunziato nella politica interna del Paese allo spirito della Resistenza, che faceva sì che noi, molto spesso, durante la guerra di liberazione partigiana, rifiutassimo le imposizioni che ci volevano fare gli angloamericani, dai quali pur ricevevamo aviolanci, si è giunti alla conseguenza naturale a cui sempre si perviene quando si smobilita lo spirito della Resistenza. Si è indebolita anche la politica di resistenza nel campo internazionale.

Dispiace che l’onorevole De Gasperi, nella sua visita in America, abbia trovato soltanto un’occasione per accennare alla Resistenza. A Chicago egli imputò alla guerra civile antifascista la crisi dell’apparato statale. Certamente, le deficienze dell’apparato amministrativo dello Stato sono dovute anche alla guerra civile che si è dovuta combattere contro il fascismo. Però la Resistenza partigiana è stata anche un grande elemento di forza, persino nei rapporti internazionali.

Che la possibilità per noi di riguadagnare sforza e prestigio nel campo internazionale dipenda dalla nostra guerra di liberazione, è dimostrato anche dal messaggio di Bevin che comincia col richiamarsi a Mazzini e Matteotti. Credo che questo messaggio noi dobbiamo accettarlo con la necessaria riserva di chi non può rallegrarsi per i soli complimenti sentimentali da parte di colui che lo ha trattato con la durezza con cui noi siamo stati trattati dagli inglesi. Ma bisogna anche che noi teniamo conto del permanere nel mondo di uno spirito democratico molto avanzato, spirito democratico che deve essere portato conseguentemente nella politica estera italiana, se si vuole ottenere qualche risultato. Altrimenti, si parlerà di resistenza all’ingiustizia, e, poi, si cederà sempre, senza neppure aver avuto qualche cosa in cambio.

Evidentemente la storia non è finita. Personalmente sono del parere di Don Sturzo, circa il valore della firma e della ratifica. Ma questa è materia assai opinabile e, anche accettando il parere di Don Sturzo, rimane il fatto che non bisogna sottovalutare l’azione diplomatica che il Governo può ancora condurre, avendo riservato il giudizio dell’Assemblea sulla ratifica. Mi auguro dunque che il Governo conduca l’azione adeguata per valorizzare questa nostra riserva; però credo che tale azione sarà coronata da successo – non da molto successo, perché i grandi successi sono lontani per il momento – soltanto se si sapranno mettere a fuoco e, direi, in una situazione gerarchica, alcuni pochi problemi.

Il primo è quello delle nuove frontiere. Il fatto più grave non è tanto che non abbiamo più un esercito o una flotta per difenderle; questo, che è doloroso, non sarebbe affatto grave se ci fosse una garanzia internazionale delle frontiere. Ma io ho letto due, tre, quattro volte il Trattato, ho letto la Carta delle Nazioni Unite e ho constatato che questa garanzia internazionale non esiste e, quindi, bisogna chiederla. E mi riferisco in modo particolare alla frontiera orientale. Mi riferisco senza astiosità in proposito, perché penso anzi che il mezzo fondamentale di ritrovare le vie dell’amicizia italo-jugoslava sia quello di far regnare chiarezza in proposito. È difficile che l’amicizia regni fra due popoli vicini, quando le rispettive frontiere non sono garantite. In altri tempi, le frontiere si garantivano con le fortificazioni; oggi si dovrebbero garantire con impegni internazionali. Bisogna chiederli di urgenza, prima della ratifica, giacché non le abbiamo chieste prima della firma. Dobbiamo avere garanzie sulla maggioranza italiana a Trieste libera.

E dobbiamo anche chiedere la protezione delle minoranze che restano nei territori che passano sotto il dominio altrui. Anche lì si lavora meglio alla distensione degli spiriti, se si è sicuri che questa garanzia ci sarà.

Città italiane, Fiume, Pola, Pisino, Zara ed altre, passano sotto la sovranità jugoslava. Io non dirò una sola parola patetica al riguardo; però dico che dobbiamo esigere, non solo noi giuliani, ma noi italiani, la Costituente italiana, il Governo italiano, opportune garanzie internazionali, prima della ratifica. Solo in questo modo potremo arrivare, dopo aver avuto le necessarie garanzie, alla rinascita dell’amicizia italo-jugoslava.

Un’altra questione essenziale è quella economica e io devo dire che, mentre sono sempre stato critico aspro della politica economica dell’onorevole Corbino come Ministro del tesoro, che poggiava su presupposti sbagliati, tuttavia condivido quello che l’onorevole Corbino va dicendo e scrivendo da due o tre giorni sulla prossima grave crisi monetaria internazionale. Problemi di svalutazione esistono per il dollaro e per la sterlina e la nostra economia, che noi pensiamo di averla salvata con la firma, andrà per aria, se non chiederemo tempestivamente garanzie internazionali. Inoltre, dobbiamo far sentire la nostra voce sul problema più grave, quello della Germania. L’economia europea non rinascerà mai finché non rinasce l’economia della Germania. È necessario che, tanto ad Oriente che ad Occidente, ci si renda conto di ciò.

Gli inglesi oggi sollecitano da noi un avvicinamento economico. Questo nuovo atteggiamento inglese è forse uno dei risultati positivi – indiretti – del viaggio dell’onorevole De Gasperi, perché evidentemente gli inglesi hanno avuto l’impressione che noi ci volevamo troppo legare all’America. Perciò oggi vengono a chiederci di lasciare la porta libera anche a loro. Gli inglesi vedono realisticamente il futuro della Germania, anche se tengono un atteggiamento pratico assai contradittorio.

Avevano costruito buoni progetti di socializzazione per la Germania, ma hanno ceduto davanti a resistenze capitalistiche interne.

Dunque anche agli inglesi io credo che possiamo avvicinarci. Ma dobbiamo farlo chiedendo sempre, apertamente, alcune garanzie; e non tanto garanzie di revisione delle clausole militari che oggi essi già ci offrono – stando almeno ai giornali di questa mattina – ma piuttosto altre garanzie, garanzie economiche e la garanzia appunto della nostra presenza nella definizione del problema tedesco. E poi anche questo: che ci si lasci fare, che non ci si impedisca, come più volte ci si è impedito, di fare una politica di amicizia anche verso l’Oriente.

Il Trattato di pace ha inciso sulla carne viva del territorio nazionale, peserà su una o due generazioni e ripeto perciò che avrei desiderato che non si fosse apposta la firma. Tuttavia, un risultato positivo ci può essere anche così ed è quello di creare all’Italia un’apertura verso l’Oriente, un’apertura cioè verso Paesi in cui non eravamo finora ammessi, o eravamo ammessi solo attraverso la porta di servizio, perché eravamo considerati come un Paese ancora legato alle responsabilità del fascismo, quindi ancora nemico. Ora questa condizione è mutata. Il nostro avvenire economico, poiché si dà tanta importanza alla questione economica da parte del Governo, a lunga scadenza non sta ad occidente. Dico ciò in base all’esperienza fra le due guerre mondiali, e in vista delle direzioni verso cui vanno gli investimenti di capitale statunitense e che sono l’America latina, la Cina, il Giappone, non l’Europa.

Il nostro avvenire economico sta sì in parte nell’America latina, per quanto concerne l’emigrazione, ma sta fondamentalmente nei rapporti con l’Europa orientale e centrale.

Ho avuto il privilegio di trascorrere alcune settimane, recentemente, nell’Europa danubiana e la prima constatazione che ho fatto è che il sipario di ferro non esiste, non esiste nulla che ci divida da quella parte del mondo, se non il residuo psicologico di una guerra che ora è finita.

Esistono delle incomprensioni, ma esistono colà dei regimi economici e politici di libertà, di democrazia e di progresso sociale, che possono essere diversi dal nostro, ma non sono tanto diversi da non permetterci l’integrazione con quelle economie e la rinascita, che ne deriva, di una politica estera italiana capace di iniziativa propria autonoma.

Se è ridicolo voler fare da mediatori, data la nostra forza modesta, tra tutto l’Occidente e tutto l’Oriente, fra Washington e Mosca, è però realistico creare una politica mediatrice tra Parigi, Roma, Praga, Budapest, Bucarest e anche Belgrado, Vienna, Berlino.

È qui che può rinascere la nostra politica estera. È qui che deve rinascere quello spirito della Resistenza, per cui abbiamo piegato persino gli alleati, quando volevano imporci la monarchia e immischiarsi nelle cose interne nostre.

Ci siamo trovati in guerra con le democrazie, ma grazie alla guerra di liberazione possiamo rialzare la testa. Quei paesi dell’Europa centrale possono avere bisogno di noi, come noi di loro. Noi possiamo avere bisogno degli Stati Uniti d’America, ma gli Stati Uniti d’America non hanno bisogno di noi; salvo che per il castello di carta di Byrnes, il quale si era immaginato, dopo il discorso di Churchill a Fulton, di doversi assicurare delle basi politiche particolari in Europa.

In realtà il problema dell’unità è all’infuori delle proposte di Churchill, è l’unità tra l’Europa occidentale e quella orientale. In questo senso noi valutiamo quel che il Conte Sforza ha messo nella sua nota dopo la firma del Trattato di pace, cioè l’accenno alla nostra sovrapopolazione, ai 45 milioni di italiani che non tutti trovano pane in questo Paese. Quella frase ha il suo valore rispetto all’emigrazione, ma venendo dal conte Sforza, che non è mai stato nazionalista, ha anche un valore politico, avrà un peso economico e politico quando si potrà riferire a masse che lavorano nelle nostre fabbriche e creano prodotti che sappiamo dove esportare; quando si riferirà ad un popolo forte, che si è riconquistato il suo prestigio e che sa farlo valere. Questo varrà soprattutto verso l’Europa centrale, in unione alla quale noi, 45 milioni di italiani, conteremo moltissimo.

Ed anche questa volta, come dopo il 1849, malgrado le delusioni che ci dà la democrazia internazionale – analoghe a quelle che ci davano allora la democrazia francese e il liberalismo inglese – questo Paese saprà risorgere con la sua propria forza di volontà, e grazie allo spirito democratico internazionale, che sopravvive nei popoli. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Saragat. Ne ha facoltà.

SARAGAT. Abbiamo ascoltato con deferenza il discorso dell’onorevole De Gasperi ed abbiamo trovato in esso gli accenti che sono tipici della personalità del nostro Primo Ministro. La nota umana ha risuonato nel suo discorso, quando egli ha parlato dell’ingiusto dettato di pace; ha risuonato perché egli parlava di cose che sente profondamente.

De Gasperi è veramente, come è stato detto già da altri, l’uomo della marca di frontiera. Chi, come me, ha avuto l’onore di collaborare con lui a Parigi, intende il significato della sua emozione ed intende perché, quando Egli parlò di quei problemi, tutta l’Assemblea vibrò come un’anima sola. Ma sono stati solo pochi istanti di emozione.

Appena l’onorevole De Gasperi è passato dai problemi internazionali a quelli della politica interna, appena è passato a trattare della politica del Governo in materia sociale, siamo subito scesi al terreno dell’ordinaria amministrazione. Ed, in fondo, non poteva essere diversamente, perché, a differenza dell’uomo di Stato francese, che recentemente, presentando alla Camera di quel Paese il suo Governo, poteva dire che si trattava di qualche cosa di insolito, l’onorevole De Gasperi, presentando il suo Governo, non poteva dire altro che si trattava di cosa arcinota.

Il nuovo Governo, infatti, è la copia, leggermente modificata, non voglio dire, deformata, del Governo precedente.

Ed il programma di questo Governo – per valermi di un’immagine di cui si è valso lo stesso Presidente De Gasperi nel suo discorso ai 21 a Parigi – è come quella prefazione, che si scrive dopo che il libro è stato compilato. Il programma è stato fatto dopo la formazione del Governo. L’onorevole Tremelloni vi dirà in un discorso che deve tenere in questa Assemblea, cosa pensa il partito socialista dei lavoratori italiani del programma di questo Governo.

Non entriamo, quindi, nel dettaglio per questa parte, tanto più che ad illuminare intorno alle prospettive di quella che sarà l’azione di questo Governo, basta ricordare ciò che è stato fatto o meglio ciò che non è stato fatto nei mesi scorsi.

Basterà, del resto, dare uno sguardo alle cifre, a quelle cifre, di cui è stato detto che non si sa se governino il mondo, ma che ci dicono, però, se il mondo è bene o è male governato.

E stando alle cifre bisogna concludere su un giudizio non troppo favorevole intorno alla gestione del Governo degli ultimi mesi passati: né possiamo farci prospettive troppo rosee sulla gestione di questo Governo nei mesi prossimi.

È mancato, intanto, dal 2 giugno ad oggi, un serio coordinamento fra i progetti governativi coi dati della realtà effettiva del nostro Paese. Perché non basta, per esempio, parlare di centinaia di miliardi di lavori pubblici, quando non si sono prese le misure adeguate per raccogliere questi miliardi ed i materiali necessari per i lavori.

Un secondo elemento, che emerge dalla gestione del passato Governo, elemento che abbiamo la certezza di vedere risorgere anche nel Governo attuale, è che i Ministeri tecnici si sono trovati quasi sempre in contrasto fra di loro ed hanno neutralizzato reciprocamente la loro azione.

C’è stato, però, un elemento favorevole, che non dipende dal Governo.

C’è stata una congiuntura internazionale, che ha favorito le nostre esportazioni. C’è stata, sovrattutto, la qualità eccezionale di lavoro, delle nostre classi lavoratrici.

Ma – badate! – la congiuntura favorevole sul mercato internazionale non è eterna. Tra pochi mesi noi ci troveremo di fronte alla concorrenza dell’industria di altri Paesi e dovremo difendere duramente le posizioni oggi conquistate.

Badate, infine, che la pazienza ed il potere di sopportazione delle nostre classi lavoratrici non sono illimitati.

Nel giugno, l’onorevole De Gasperi aveva preso l’impegno di difendere la circolazione ad ogni costo.

La parola d’ordine allora qual era?

Si diceva: o prestito o inflazione. Abbiamo avuto il prestito e abbiamo avuta l’inflazione. In quanto al prestito, il meno che si possa dire è che non è stato organizzato con quegli accorgimenti che avrebbero potuto rendere più efficace il suo gettito; e, cosa peggiore, non è stato organizzato, con quegli accorgimenti che avrebbero permesso di non pregiudicare il nuovo prestito che fra qualche mese – lo vogliate o non lo vogliate – dovrà figurare all’ordine del giorno.

D’altro canto, la circolazione è passata dai 400 miliardi circa del mese di giugno, a 465 miliardi in novembre, e credo che oggi non si sia lontani dai 500 miliardi. I prezzi intanto, nello stesso periodo, sono saliti di oltre il 50 per cento.

Il Governo si era impegnato di potenziare i sistemi di accertamento delle imposte; di applicare l’imposta straordinaria sul patrimonio, di fare il cambio dei biglietti; di contenere in cifre ragionevoli il deficit. In un momento di euforia si è persino parlato di pareggio per il bilancio ordinario per l’esercizio 1947-48. Oggi la situazione qual è? Il deficit che era di circa 200 miliardi nel giugno 1946, oggi è presumibilmente intorno alla cifra di 500 miliardi; ed è in questa cifra tutto l’elemento problematico della situazione attuale.

Si era promesso anche di riorganizzare le finanze delle altre imprese pubbliche. Ora voi sapete che le ferrovie hanno un deficit di circa 25 miliardi. È pur vero che, dagli elementi che abbiamo, si può sperare che sarà ridotto.

E per carità di Patria vogliamo stendere un velo sulla gestione delle finanze comunali. D’altro canto, voi tutti sapete come le poste navighino in acque molto difficili. Si era promesso anche di decentrare i lavori pubblici; e questa promessa è rimasta allo stato di puro progetto.

Intanto i prezzi continuano a salire, e i due milioni di disoccupati che abbiamo in Italia attestano quanto sia irrisorio l’articolo 32 del nuovo progetto di Costituzione della Repubblica. E si potrebbe continuare in questo doloroso elenco.

Sono in fondo delle cose che tutti conosciamo, che tutto il Paese conosce. Ma ciò, che è grave, vedete, nella situazione attuale è appunto questo: non è già l’ignoranza che faccia velo; è l’inerzia ed è la sfiducia che paralizzano. Si ha quasi l’impressione oggi che la società italiana si installi passivamente in una situazione, nella quale in mancanza di un risveglio rapido e decisivo, non potrà che aggravarsi in modo forse irrimediabile. Questo vuol dire che il problema non è più di natura puramente tecnica, ma di natura sociale e politica. Il che non vuol dire che non ci siano le forze politiche suscettibili di risolvere questi problemi; vuol dire che manca la classe politica capace di dirigere queste forze o portarle alla risoluzione di questi problemi. E ciò che è più doloroso è la constatazione che alla caduta del fascismo esistevano le condizioni per ricostruire l’economia italiana su basi meno inique di quelle di fronte alle quali ci troviamo oggi.

In nessun paese d’Europa, se si eccettua la Spagna, forse, esistono differenze così offensive per il senso morale fra il livello di vita delle classi lavoratrici e quello dei ceti privilegiati; in nessun paese d’Europa esistono differenze così offensive fra il livello di vita di regioni italiane con altre regioni italiane. Il potere d’acquisto medio delle popolazioni dell’Italia meridionale è ancora oggi – voi lo sapete – circa la metà del potere d’acquisto medio delle popolazioni dell’Italia del Nord.

E che dire poi in generale della situazione dei lavoratori italiani di tutta la penisola, se si paragona a quella dei ceti privilegiati? Sapete che il potere di acquisto dei salari degli operai è circa la metà di quello che era prima della guerra; e sapete egualmente che il      potere di acquisto degli impiegati è circa un quarto. C’è in questa solidarietà, nella miseria tra operai e impiegati, una ragione profonda che ci spinge a considerare la necessità dell’unione fraterna di tutte queste forze del lavoro italiano. (Applausi).

Queste inique differenze operano in Italia nel senso di una dissociazione di quello spirito unitario, nel senso di una lacerazione di quell’anima collettiva che deve essere il fondamento di ogni comunità democratica, perché nessuna democrazia può vivere e prosperare se, pur nelle differenze di classe inevitabili nel regime attuale, non esista un denominatore comune di ideali e di interessi, che saldi tutti gli uomini viventi sulla stessa terra in un patto unico di solidarietà e di fratellanza.

Ma quando la differenza di vita tra uomo ed uomo, fra regione e regione diventa troppo iniqua, come nel caso del nostro Paese, allora questo patto, che è il fondamento stesso della vita democratica, rischia di essere spezzato e ci vuole tutto il sentimento patriottico delle nostre classi lavoratrici, tutto il sentimento patriottico delle nostre popolazioni dell’Italia meridionale, per non reagire contro questa forza disgregatrice.

Ma esisteva, ripeto, alla caduta del fascismo, appunto per la decomposizione totale della società italiana, la possibilità di iniziare l’opera di ricostruzione secondo un piano generale che avrebbe dovuto essere ispirato al criterio di convogliare le forze della ricostruzione nel senso di determinare almeno un minimo di giustizia sociale.

Ci trovavamo allora nella situazione in cui si trova colui che è di fronte ad una città distrutta, alla cui ricostruzione è possibile provvedere secondo un piano regolatore che tenga conto delle esigenze degli abitanti. È avvenuto invece che per la carenza dell’apparato statale la ricostruzione si è determinata secondo la linea degli interessi privati e, quel ch’è peggio, secondo la linea di interessi egoistici di privilegiati a detrimento della collettività.

La vita certo riprende in Italia, e riprende in un modo che può stupire chi non conosce le immense risorse del nostro Paese. Ma riprende travolgendo o mettendo in condizioni di assoluta inferiorità il ceto economicamente più debole, cioè quello dei lavoratori.

Mi si può obiettare che la ricostruzione secondo un piano generale richiedeva lo strumento della pianificazione, e che lo strumento era lo Stato; ma che lo Stato doveva a sua volta essere ricostruito, perché in piena disgregazione.

L’osservazione è esatta. Ma che si è fatto in questi due anni per riorganizzare veramente la macchina dello Stato?

L’onorevole Tremelloni si intratterrà particolarmente su questo problema che è il problema fondamentale che in questi due ultimi anni non abbiamo saputo risolvere.

Ne volete una prova? In quasi tutti i paesi di Europa si è stati in grado di affrontare il delicatissimo problema del cambio della moneta. Per esempio, in Francia, il Ministero del tesoro è riuscito, per compiere questa operazione, a far aprire simultaneamente 40 mila sportelli. L’operazione è stata fatta due anni fa, se non erro. Ma noi dopo due anni non ci siamo riusciti. E non ci si venga a raccontare la storia dei clichès rubati. Non ci crediamo. Il cambio non l’abbiamo fatto perché lo Stato italiano non è ancora attrezzato a far quello che tutti gli altri paesi d’Europa hanno saputo fare.

Ma quello che è più grave, vedete, è che questa troppo lenta riorganizzazione della macchina statale – sono l’ultimo a pensare che sia deliberatamente voluta – asseconda quasi naturalmente come una tendenza ad accantonare quelle grandi riforme di struttura che sono indispensabili per rinnovare veramente il Paese. Anche qui, in quasi tutti i paesi d’Europa, si stanno apprestando risolutamente coraggiose riforme industriali, agrarie, coraggiose riforme nel mercato del credito; da noi si rinvia tutto alle calende greche. E dove questa volontà di procrastinare le necessarie riforme è emersa nel modo più evidente lo si è visto nella formazione della legge costitutiva di questa stessa Assemblea.

Quale sede sarebbe stata la più adatta per affrontare i grandi problemi di riforma di struttura che non un’Assemblea Costituente? Era un’occasione splendida per legare le grandi masse del popolo all’istituto rappresentativo della nuova Repubblica, per legare le classi lavoratrici allo Stato che sorge: e quella frattura dolorosa che constatiamo in Italia fra Stato e Paese avrebbe, forse, potuto essere saldata.

Questa frattura permane ancora, perché, appunto per procrastinare queste necessarie riforme, si è creata un’Assemblea Costituente, come quella che conosciamo, privata di ogni potere legislativo. Il che, vedete, ha avuto una doppia grave conseguenza. In primo luogo non s’è data una risposta efficace ed immediata ai bisogni delle classi lavoratrici. Per le classi lavoratrici la Repubblica non è soltanto la partecipazione attiva alla vita politica del Paese, ma anche partecipazione attiva alla sua vita economica e sociale.

Ma, in secondo luogo, svuotando questa Assemblea di ogni potere legislativo, si è determinata inconsciamente nel Paese una svalutazione dell’istituto parlamentare. Non nascondiamocelo, o colleghi; abbiamo un bel farci degli elogi reciproci sul funzionamento di questa Assemblea, abbiamo un bel riconoscere obiettivamente il lavoro magnifico che i nostri colleghi delle Commissioni hanno fatto. Ma dobbiamo dirci francamente: c’è un senso di sconforto; abbiamo l’impressione che questa Assemblea non sia quella che il popolo italiano avrebbe voluto.

BENEDETTI. Ma non era lei il Presidente?

SARAGAT. E ciò è avvenuto per colpa delle limitazioni che la legge stessa ci ha imposto all’atto della costituzione di questa Assemblea. (Commenti).

Avviene oggi, onorevoli colleghi, che la sostanza del potere politico permane fuori di quest’Aula. I partiti regolano i loro rapporti di forza fuori di qua; i Governi si fanno e disfanno fuori di qua. Nell’Assemblea si viene unicamente per prendere atto di quel che avviene fuori o, peggio ancora, nell’Assemblea i partiti vengono unicamente per portare lo strascico delle querele, delle loro giuste lotte che avvengono nel Paese. Si passa, nel seno di quest’Aula, a discussioni interessanti, ma quasi sempre monotone, a forma di agitazioni verbali violente; ma manca sempre in questa Assemblea l’elemento drammatico che scaturisce quando nel seno delle Assemblee politiche i partiti versano la sostanza del loro potere, dibattendo i problemi nazionali ed internazionali che interessano tutto il Paese.

Ci può essere in quest’Aula la passività, il diverbio: mancherà sempre quell’elemento drammatico che assume rilievo quando nelle Assemblee si discutono problemi nazionali e internazionali che interessano tutto il popolo.

Abbiamo creato un’Assemblea che ha tutti i difetti del sistema parlamentare, senza averne nessun vantaggio. E, signori, si è contribuito, così, ad allontanare dall’anima popolare un istituto che avrebbe potuto essere qualche cosa di veramente vivo e di veramente efficace.

E l’ultimo grave episodio di questa atonia dell’Assemblea, che è indipendente dalla volontà nostra, ma risulta dalla natura stessa delle cose in cui ci siamo venuti a trovare, lo si è visto nella storia della firma del trattato di pace. Singolare vicenda questa, che denuncia, non tanto la coraggiosa volontà del Governo di avocare a sé tutte le responsabilità, quanto la diffidenza nella capacità dell’Assemblea di avocare a sé questa responsabilità. Ha detto bene l’onorevole Lombardi che non è tanto la sostanza della cosa ad offenderci, quanto il modo: si era sempre pensato da tutti, ed anche da noi che siamo stati a Parigi di fronte ai 21, che questa Assemblea avrebbe dovuto essere investita della facoltà di decidere se firmare o meno. E lo pensava anche il Governo, pochi giorni fa, come risulta da un documento ufficiale del Ministero degli esteri; ma poi il Governo, per ragioni che noi non conosciamo, quand’anche possano essere eccellenti, ha cambiato idea ed oggi esso si presenta con l’aureola che gli deriva dall’essersi assunta la responsabilità.

Muoverò al Governo due obiezioni. La prima è che questo Governo ha avocato a sé la decisione, ma non è esatto che, fin dall’inizio, abbia evitato di impegnare la responsabilità dell’Assemblea.

La verità è che, attraverso la Commissione dei trattati, il Governo ha cercato di ottenere un avallo che, se fosse stato concesso, avrebbe pregiudicato gravemente la nostra libertà di azione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non l’ho chiesto.

SARAGAT. Non siete voi che lo avete chiesto, ma l’onorevole Gronchi ed è la stessa cosa. (Commenti). Si deve alla fermezza della Commissione, se questo avallo non è stato concesso; e non ho bisogno di dire che questa linea di condotta del Governo non era la più felice. Due sarebbero state le strade che si sarebbero potute seguire: o investire l’Assemblea di tutte le responsabilità, oppure evitare che l’Assemblea fosse implicata in qualsiasi modo in questo problema, così da farle avere le mani pienamente libere all’atto della ratifica. Se ciò non è avvenuto, si deve alla saggezza della stessa Commissione dei trattati. La seconda osservazione è che, per un complesso di circostanze, onorevole De Gasperi, abbiamo ricavato l’impressione che, da parte vostra, in questa faccenda dell’avocazione di tutte le responsabilità al Governo, ci fosse, sì, certamente un desiderio patriottico di evitare di investirne l’Assemblea, ma anche qualche altra cosa: abbiamo assistito ad assicurazioni ed a contro-assicurazioni fra i membri di un grande partito che è al Governo. Da parte dell’onorevole De Gasperi, vi è stato, sì, un sentimento patriottico, ma anche qualche altra cosa: la volontà, sì, di sottrarre l’Assemblea da una troppo grave responsabilità, ma anche quella di evitare di porre un partito politico nella necessità di dover decidere.

Questa mi sembra la ragione che ha determinato l’onorevole De Gasperi ad assumere questo atteggiamento: atteggiamento che non è valso certo a rafforzare il prestigio dell’Assemblea di fronte al Paese. Qui noi non portiamo che l’eco di quella amarezza che oggi è nel cuore di tutti gli italiani.

Noi non ci siamo fatti e non ci facciamo nessuna illusione intorno alla possibilità di rimuovere sul piano diplomatico le implacabili decisioni dei quattro Grandi. Ed erra, a mio avviso, chi pensa che il Trattato di pace avrebbe potuto essere migliore di quello che è. Chi, come me, è stato testimone della gestazione di questo Trattato, sa quali forze e quali interessi erano in giuoco, che hanno soverchiato interamente la nostra debole condotta.

È stato detto giustamente che questo Trattato, più che Trattato di pace fra l’Italia e le Nazioni Unite, può essere considerato come un trattato di pace che i quattro Grandi hanno stipulato fra di loro. Ne parleremo, del resto, quando il problema della ratifica sarà posto all’ordine del giorno. Oggi ci limitiamo ad affermare che la voce di protesta di questa Assemblea non avrebbe certo modificato la sostanza delle cose. Lo sappiamo che non avrebbe certo modificato l’implacabile volontà degli Stati maggiori dei quattro grandi Stati. Ma siamo certi che la voce dell’Assemblea avrebbe trovato eco presso le Assemblee degli altri Paesi del mondo, ed oggi noi non possiamo rinunciare a nessuna di quelle cose che possono mettere i germi di una rinascita dello spirito di giustizia a domani. Del resto, il simbolo più espressivo di questa situazione assurda in cui noi ci siamo trovati (e ci siamo trovati per colpa dell’azione del Governo in questi giorni) è che l’atto più grande della storia italiana in questo periodo è stato solennizzato da noi non da una voce di protesta, non da un grido di protesta, ma da trenta minuti di silenzio. I dieci minuti di silenzio del popolo italiano sono stati profondamente eloquenti; i trenta minuti di silenzio di questa Assemblea sono stati unicamente la prova della nostra impotenza. Ed ancora una volta l’Assemblea non ha potuto dare una voce alla tragedia profonda che ha dominato in quel momento il popolo italiano.

Ma anche in questi casi, onorevoli colleghi, a che giova fare recriminazioni? Sono cose che tutti sentono, che tutti sanno. E la gravità della situazione è precisamente in ciò, che manca la volontà di reagire, di dare un’anima a queste istituzioni repubblicane che sono l’unica garanzia di rinascita al nostro Paese.

Gioverà, a questo proposito, onorevoli colleghi, ricordare la definizione che della repubblica ha dato un grande socialista il Faurés. Che cos’è la Repubblica? È un grande atto di fiducia. Instaurare la Repubblica è proclamare una riunione di uomini che sapranno tracciare, essi stessi, le regole comuni alle loro azioni. Se sapranno conciliare la libertà e la legge, il movimento e l’ordine, essi sapranno combattersi senza lacerarsi, perché le loro divisioni non andranno fino al colore cronico della guerra civile ed essi non cercheranno mai una dittatura, anche passeggera, una tregua funesta o un vile riposo.

L’onorevole Lombardi ha ricordato giustamente per noi delle sinistre, ha rivendicato per noi delle sinistre che non siamo al Governo, la funzione di veri oppositori. Questa funzione non la rivendichiamo, perché sentiamo che nel conformismo in cui si installava la maggioranza, il sistema democratico repubblicano si svuotava a poco a poco della sua sostanza più viva, della sua sostanza più ricca, che è appunto la fiducia delle masse popolari.

Certo, oggi, onorevole colleghi, l’orrore profondo per la dittatura fascista è tale, il ricordo dei suoi delitti è così scolpito nello spirito di tutti gli italiani, le conseguenze delle catastrofi che ha provocato sono così presenti e pesano così sul destino della nostra generazione, che la Repubblica democratica oggi può beneficiare di un largo, larghissimo margine di credito che la storia gli accorda. Ma badate però che non conviene abusarne, perché nessun regime può vivere unicamente in funzione degli orrori che suscita negli uomini il ricordo del regime che l’ha preceduto; la democrazia soprattutto non può veramente prosperare e vivere, se non trae la propria ragione d’essere in sé stessa, se non trae la propria forza dalla fiducia profonda delle classi popolari. Inazione, paralisi, ordinaria amministrazione, per un sistema democratico sono sintomi di decadenza, e la democrazia non può vivere se non dilata la sua sfera d’azione in campi sempre più vasti, se non passa, in altri termini, dalla sfera puramente politica alla sfera economica e sociale. Ma oggi noi assistiamo al riaffermarsi in Italia ed al consolidarsi di forze politiche e di forze economiche che hanno interesse ad arrestare, o quanto meno a frenare, questo moto democratico del nostro Paese. Sono le forze del capitalismo monopolistico, di cui ha parlato molto bene l’onorevole Riccardo Lombardi, le quali rapidamente riconquistano le posizioni che avevano perdute; sono le forze del parassitismo agrario, le quali riprendono in molte regioni il controllo che noi pensavamo aver potuto debellare per sempre.

È stato acutamente detto che, totalitarie fino a ieri, queste forze oggi si presentano con una maschera liberale. Viviamo in tempi in cui ognuno si riveste dell’armatura del proprio avversario per meglio combatterlo. Se noi ci attenessimo ai programmi dei vari movimenti sociali e politici che oggi ci sono in Italia, dovremmo considerare che viviamo veramente nell’epoca aurea della libertà democratica e della giustizia sociale.

Ma la realtà, purtroppo, è un po’ diversa. I veri amici della democrazia in Italia sanno che hanno ragione di essere turbati ed inquieti, e le ragioni dell’inquietudine non risiedono soltanto nelle difficoltà obiettive di fronte alle quali ci troviamo per risolvere i problemi economici e sociali del Paese. Le ragioni della inquietudine stanno in ciò che noi sentiamo oggi, che la sorte stessa della democrazia in Italia è in giuoco, e per non estendere troppo il dibattito, e per limitarlo alla sfera di rapporti tra Governo e partiti, possiamo dire che il problema essenziale, il problema centrale che dobbiamo affrontare è appunto quello di armonizzare l’attività del primo con l’attività dei secondi.

I partiti politici sono certo uno degli strumenti essenziali al funzionamento di una democrazia moderna. I partiti politici sono sorti storicamente per organizzare il suffragio universale, ed hanno visto in seguito la loro azione dilatarsi in sfere sempre più vaste, abbracciare zone sempre più larghe e comprendere tutto ciò che nell’individuo è sociale. Oggi i partiti politici appaiono come gli organismi che danno la risposta a tutti i problemi della vita collettiva. In essi il singolo trova la possibilità di lottare per i propri ideali, vi trova il luogo in cui può uscire dall’isolamento in cui la società attuale lo ha collocato, il modo di stabilire rapporti fraterni e umani con coloro che vivono nello stesso partito e di ricreare nel partito i rapporti di fraternità che il sistema economico nel quale viviamo esclude. Ciò vale soprattutto per i partiti di sinistra, che danno risposta al più profondo bisogno umano che è quello della giustizia. Come stupirsi, onorevoli colleghi, se in esso il singolo versa tutta la somma delle sue capacità, i suoi sacrifici, tutto il suo fervore; e se talvolta questo patriottismo di partito va a detrimento dei doveri che in una democrazia ogni cittadino deve avere verso lo Stato? Certo è, in ogni caso, che il loro sviluppo irresistibile rompe gli schemi delle vecchie democrazie parlamentari, le quali mal si adattano al sorgere di queste forze giovani che portano in sé come la speranza di un vero ordine nuovo.

Le stesse difficoltà di adattamento si trovano, appunto, per il funzionamento dei governi parlamentari. Una voce eloquente, molto eloquente, si è levata all’inizio dei lavori di questa Assemblea, per ammonire che questo appunto è il problema politico centrale del nostro tempo.

Come esso si risolverà non lo sappiamo.

Oggi ci troviamo in pieno travaglio di adattamento di queste forze, delle forze che la democrazia tradizionale ci ha legato e che le forze nuove devono trasformare dall’interno.

A noi spetta di assecondare questo moto di adattamento dei partiti all’apparato dello Stato, al funzionamento dei Governi moderni, salvando, però, il diritto inalienabile della responsabilità individuale, vale a dire la libertà umana.

Questa nozione di responsabilità può e deve evolversi e trasformarsi dalla nozione egoistica della responsabilità verso se stesso, che è tipica della cosiddetta libertà borghese, al sentimento più vasto della responsabilità che abbiamo verso i nostri simili, verso tutti gli uomini.

È quella che noi socialisti chiamiamo libertà sociale.

Ma il principio che deve permanere come valido in tutti i regimi liberi e che, in ultima istanza, è nell’intimità della coscienza dell’individuo, è che l’uomo deve potere decidere a trarre norme per la propria condotta, senza che una coercizione esterna gli tolga il diritto di giudicare e di agire nel quadro della legge democratica, in conformità di ciò che crede il giusto, di ciò che crede il bene.

Oggi è questo problema di conciliazione del bisogno di giustizia e del bisogno di libertà, che si traduce in termini politici sul piano dell’azione di Governo, nella possibilità di armonizzare le forze che più impetuosamente rispondono a questo bisogno di giustizia, che sono i partiti di sinistra, i partiti proletari, con quelle che sono legate ad interessi o ideali tradizionali, in cui non tutto naturalmente è da respingere.

In altri termini, il problema oggi è di armonizzare tra di loro, sul piano del Governo, partiti politici, ognuno dei quali è completo in se stesso, quasi Stato nello Stato, e tendenti, per impulso delle loro strutture, a modellare la società a loro immagine esclusiva.

Questa tendenza esclusivistica dei partiti politici, tendenza che è implicita in tutti i partiti e da cui alcuni sono dominati più ed altri meno, è il pericolo maggiore che insidia le democrazie moderne.

È da queste tendenze che derivano tutte le difficoltà dei Governi di coalizione e tutti i pericoli dei Governi di maggioranza.

È lo spettro di un’invadenza esclusivistica dei partiti che induce molti a considerare, quasi con apprensione, i Governi di maggioranza omogenea e portare quasi d’istinto a considerare come salvaguardia della democrazia dei Governi di coalizione, che necessariamente sono impotenti in ragione delle forze contrastanti, che si annullano nel loro seno.

La democrazia vive così sotto il segno dell’impotenza, come se questa fosse l’unica garanzia.

Ma è chiaro che questa situazione a lungo non può durare.

Quella che chiamiamo democrazia sul piano interno è, per molti aspetti, simile a quella che chiamiamo pace sul piano internazionale.

Come la pace che oggi conosciamo non è altro che equilibrio di forze antagoniste, in ognuna delle quali è contenuto un pericolo di guerra, così quella che chiamiamo nell’interno la democrazia, nell’Europa occidentale, non è altro che equilibrio dei partiti, in ognuno dei quali è contenuto, virtualmente, un pericolo di dittatura.

Questa non è la vera pace, come non è la vera democrazia.

Come la vera pace non potrà generarsi dall’equilibrio di forze opposte, ma dal concorso di forze convergenti e solidali, così la democrazia non può consolidarsi che se lo spettro dell’intolleranza in seno ai partiti viene bandito, e se la maggioranza potrà allontanare da sé l’ipoteca funesta dell’oppressione della minoranza, l’ipoteca funesta della dittatura.

Il Governo che sta di fronte a noi è l’immagine esatta della situazione che vi sto descrivendo. Esso ha quasi l’aria di dirci che la sua relativa impotenza è il prezzo che noi dobbiamo pagare per la salvaguardia del nostro Paese, per la salvaguardia della democrazia politica. Diciamo subito che nella situazione attuale il Governo esprime esattamente i rapporti di forze esistenti, e che pertanto nulla di molto diverso si poteva fare da quello che è stato fatto. Ma è appunto perché noi del Partito socialista dei lavoratori italiani non ci vogliamo installare in questa situazione – situazione che alla lunga porterebbe alla paralisi e alla dittatura – che noi abbiamo rifiutato la nostra collaborazione. E come nel campo internazionale noi socialisti invochiamo il sorgere di una forza popolare che rompa l’antitesi tragica che esiste oggi tra la pace di equilibrio e la guerra e assicuri all’Europa la pace vera – e pensiamo che questa forza di pace in Europa non può essere trovata nei consessi internazionali, ma deve essere suscitata nel seno delle masse popolari in virtù degli ideali della democrazia socialista – così sul piano politico interno pensiamo che sia assurdo cercare in una sapiente combinazione ministeriale fra i partiti esistenti la formula per uscire dalla contradizione in cui la democrazia italiana si dibatte oggi.

Noi pensiamo che per uscire da questa situazione occorra suscitare nel Paese una forza animata dal senso di giustizia sociale e profondamente dominata dall’ideale di libertà, che travolga questa contradizione nel moto congenito appunto della libertà e della giustizia sociale. L’impresa cui noi ci siamo accinti, onorevoli colleghi, è stata dettata dalla consapevolezza profonda che la democrazia italiana si è venuta a trovare in un vicolo cieco, e dalla volontà di riportarla sulla via maestra, quella via maestra della democrazia socialista che si richiama al pensiero e all’esempio di Filippo Turati, Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi. Le forze popolari cui facciamo appello noi socialisti e che vogliamo organizzare devono poter proiettare nella vita politica del nostro Paese quell’elemento veramente risolutivo che darà impulso verso la giustizia sociale, eliminando gli ostacoli costituiti dal pericolo ideale o presunto della dittatura.

È quindi a tutte le classi lavoratrici che noi ci rivolgiamo: agli operai, ai contadini, ai tecnici, ai professionisti, agli impiegati, agli intellettuali, perché ci aiutino in questo lavoro di liberazione della democrazia italiana (Commenti); in questo compito che sgombrerà la strada che il nostro popolo percorre, affinché nulla lo arresti nella sua marcia in avanti verso quell’ordine nuovo di libertà, di giustizia sociale e di pace a cui, dopo gli orrori della guerra, della dittatura e della miseria, ha diritto di tendere per il proprio benessere e per il benessere dei propri figli. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mazza. Ne ha facoltà.

MAZZA. L’ora tarda mi avrebbe dovuto far rinunciare alla parola; ma dopo l’inizio della campagna elettorale dell’onorevole Saragat, io ardisco prenderla, anche essendo un novellino.

Poco fa, l’onorevole Saragat «in sé medesmo si volgeva coi denti», e tutto mordeva: il Governo, l’Assemblea Costituente, la democrazia dei partiti di sinistra; quella democrazia dei partiti di sinistra, della quale fino a ieri, egli è stato uno dei maggiori alfieri. Ora io mi domando: l’onorevole Saragat, che cosa rappresenta? L’ala sinistra della sinistra? L’ala destra della sinistra? Io non ci capisco più niente. (Si ride – Commenti).

In omaggio all’ora tarda accetterò il consiglio di sobrietà che il Presidente onorevole Conti ieri ci rivolgeva, ma non seguirò l’esempio dell’onorevole Conti oratore di giorni fa. (Si ride).

Dai discorsi degli oratori precedenti ho avuto l’impressione che tutti siano d’accordo sulla necessità della concordia nazionale. Necessità sentita nel Paese, espressa dai giornali, richiesta dalla popolazione. Necessità, quindi di ottenere questa concordia oltre che, attraverso la piena solidarietà ministeriale, anche attraverso la conciliazione dei partiti, attraverso un complesso di leggi valide a riconciliare gli italiani, atte a far dimenticare ogni differenza, ogni sperequazione fra nord e sud, atte a far ottenere anche la ricostruzione morale, psicologica degli italiani, perché solo attraverso questa politica unitaria si possono trovare le basi per la ricostruzione materiale della Patria.

Ciò si può ottenere, non parlando mai più delle leggi fasciste, del confino di polizia, del fermo di polizia, di leggi speciali per la stampa, di leggi retroattive. Se ci sono dei disonesti, dei criminali, degli infatuati, capaci di rinunciare alla sovrumana bellezza di questa libertà di parola che consente ad ognuno di noi di esprimere il proprio pensiero, ci sia per essi il Codice penale. Ma quelli che hanno solo la colpa di aver servito onestamente le loro idee, come ognuno di noi oggi serve la propria, per quelli nei dobbiamo ricordare la legge del perdono dettata dal Vangelo per ottenere la fratellanza nazionale. Il Governo deve altresì sentire il dovere di distribuire equamente il lavoro.

Oggi si verifica questo, che mentre al nord le industrie hanno tre turni quotidiani di lavoro, al sud o non si lavora, o si lavora poche ore alla settimana.

Bisogna estendere la cassa di integrazione salari che esiste solo al nord al di là della linea gotica, anche al sud, perché anche al sud gli industriali pagano i contributi e con gli industriali pagano i lavoratori.

Bisogna distribuire contemporaneamente e in maniera simile gli approvvigionamenti alimentari. A Napoli, o signori (e non ho nessuna intenzione di essere il nuovo Finocchiaro Aprile della mia Napoli) non abbiamo ancora ricevuto la pasta del mese di dicembre e, vi dirò di più, i signori della Sepral vorrebbero comodamente saltare a piè pari la distribuzione dell’arretrato di dicembre.

Bisogna che i sussidi siano distribuiti in egual misura in ogni Regione d’Italia.

Se noi vogliamo la concordia degli italiani, è necessario che il Governo difenda con leale giustizia non determinate classi sociali, ma tutte le classi e i loro discordanti interessi: bisogna che li difenda con giustizia senza demagogia.

Non si può dimenticare, onorevoli colleghi, che in Italia esiste un problema della ricostruzione edilizia: cinque milioni di piccoli proprietari vedono sparire la loro proprietà, perché oggi gli oneri fiscali sono maggiori delle entrate. In questa maniera si anticipa una eventuale abolizione del diritto di proprietà che forse la Costituzione non sancirà mai.

Bisogna affrontarlo e risolverlo questo problema, perché non si tratta soltanto del problema di cinque milioni di piccoli proprietari; ma si tratta di un problema economico che investe tutta la Nazione; perché, quando la ricostruzione edilizia rinasce, rinascono tutte le industrie e perché – non illudetevi, signori del Governo – voi non potrete mai combattere la tubercolosi e le malattie sociali, se gli italiani non avranno le loro case.

C’è un altro grave problema che riguarda la classe medica e le classi lavoratrici: il problema delle casse mutue. Succede questo, in Italia: gli operai pagano dei contributi; i medici ricevono il 6 per cento dei contributi pagati dagli operai; un altro 8 per cento viene speso per i medicinali, 6 più 8 uguale 14 per cento; l’86 per cento viene assorbito dai direttori amministrativi, dalle segretarie e dai ragionieri, dalle sopra strutture parassitarie, (Approvazioni) a danno della classe lavoratrice che non viene assistita e senza la possibilità per i medici di sfamare le loro famiglie.

Solo attraverso delle leggi umane, delle leggi giuste, uniche in Italia, si può arrivare a quell’abbraccio che, molto opportunamente, l’onorevole Conti si augurava di poter scambiare, abbraccio che io personalmente sono onorato di accettare, perché la mia sensibilità mi fa porre l’Italia – oggi repubblicana – al disopra di ogni mio sentimento. Ma perché il nostro abbraccio sia efficace, onorevole Conti, deve essere contemporaneo a quello di tutti gli italiani.

Una sola osservazione vorrei fare all’onorevole Riccardo Lombardi, il quale però, tenendo conto della mia nullità, si è dileguato. Gli vorrei chiedere: egli ha chiesto la punizione dei generali responsabili della nostra sconfitta ed io sono d’accordo con lui; se i generali sono colpevoli, devono essere puniti; ma in questo caso, onorevole Lombardi, devono essere puniti anche i politici e i propagandisti che ugualmente contribuirono alla nostra sconfitta. (Commenti a sinistra).

Non credo che questo volesse dire l’onorevole Lombardi, ma le sue parole hanno tradito gli intimi suoi pensieri.

Ieri, l’onorevole Scoccimarro si è posto un interrogativo: vorrà la rinascente democrazia italiana dare libero campo alle richieste della classe lavoratrice? Io rispondo sì, alla domanda dell’onorevole Scoccimarro. Ma pongo un interrogativo: onorevole Scoccimarro, il partito comunista italiano vorrà permettere, allorché avrà conquistato il potere – che Iddio ce ne liberi – l’esistenza di una opposizione democratica, libera di diventare democraticamente maggioranza? Che ne dice, onorevole Scoccimarro? (Commenti a sinistra). Egli ha detto pure: il Governo non ha fatto il suo dovere. Proprio quel Governo al quale egli ha appartenuto per due anni, ma non ha avuto, però, il coraggio di dire che quel che s’è fatto di buono in Italia è stato fatto dall’iniziativa privata.

In una sola cosa io sono d’accordo con l’onorevole Scoccimarro: è per la questione dei pensionati. Io non so se egli abbia ragione di dire che ieri non si poteva risolvere il problema; ma, se così è, si affronti questo problema e lo si risolva oggi che a suo dire è possibile farlo.

È con molto dolore che ieri io ho sentito parlare dall’onorevole Scoccimarro del doppio giuoco dei partiti al Governo; egli ha accusato i democratici cristiani; ho sentito le beccate democristiane accusare i comunisti e speravo che tutto ciò riguardasse il passato Governo e che, con le nostalgiche e autobiografiche dichiarazioni dell’onorevole Scoccimarro, si fosse posta la parola fine al sistema. Oggi però l’onorevole Saragat ha riposto in giuoco la questione. Oggi si verifica infatti un altro paradosso; che cioè al Governo vi è una sinistra e all’opposizione vi è un’altra sinistra. Non credo che la nazione possa comprendere questa strana solidarietà; voglio augurarmi viceversa che, onestamente, la Camera del lavoro vorrà farlo. E d’altra parte non credo che oggi la Confederazione generale del lavoro possa fare diversamente, perché scioperare contro il Governo, chiedere pane e lavoro, significa scioperare contro il compagno Cerretti e contro il compagno Sereni.

Onorevoli colleghi, ho finito. Ho veduto espressa da molti colleghi e da molti giornali la meraviglia per l’infame trattato inflittoci dagli alleati: permettetemi di dirvi che io sono sorpreso di questa meraviglia; non bisogna dimenticare che altri uomini delle stesse nazioni hanno già altra volta tradito ed umiliato la nostra vittoria. Voglio soltanto rivolgere all’assente Ministro degli esteri, onorevole Sforza, una viva preghiera. Egli, nella seduta del 26 settembre, nella sua dichiarazione di voto, dichiarò che il fascismo si è imposto in Italia con il plauso delle grandi nazioni europee. Questa corresponsabilità si deve ricordare allo straniero, come a coloro i quali ci accusano di avere svolto una politica di aggressioni, bisogna ricordare che tutta la storia inglese, tutta la sua politica imperialistica e coloniale, sta a dimostrare una politica di aggressioni. E ricordi pure alla Russia, onorevole Sforza; ricordi le aggressioni zariste, le aggressioni dell’ultimo decennio, i paesi baltici; ricordi le responsabilità nell’ultima guerra scatenatasi, perché le frontiere orientali germaniche erano garantite dal patto Molotov–Von Ribbentrop.

Uniamoci, onorevoli colleghi, nelle opere della ricostruzione, nel ricordo dei nostri morti, dei nostri grandi, delle arti e delle scienze, che sono gli unici veri grandi che la storia ricordi. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Caso. Ne ha facoltà.

CASO. Onorevoli colleghi, quasi tutti i problemi della vita odierna presentano il carattere d’urgenza e il difficile sta appunto nello stabilire una approssimativa graduatoria della loro risoluzione, non potendo avere naturalmente la pretesa di risolverli tutti di un colpo.

Primeggiano quelli della ricostruzione, la quale merita l’attento esame del Governo e degli uomini politici, perché sia all’altezza dei nuovi compiti che si è assunta l’Italia nel voler trarre dalle necessità contingenti ed impellenti della disoccupazione una parte almeno di opere che siano veramente produttive, non solo per la formazione di nuova ricchezza, ma per attaccare alle opere medesime, ultimate, il maggior numero possibile di lavoratori.

Desidero portare qui un contributo di fervida esperienza personale tratta da questi 7 mesi di attività politica ai fini di contribuire a rendere più agile e rispondente all’ora che viviamo (così piena di giustificata ansietà in tutti i campi) il meccanismo esecutivo centrale e soprattutto periferico della burocrazia.

A furia di controlli, di passaggi, di analisi e contro-analisi, di pareri e contro pareri si crea una fitta rete di interferenze che sistematicamente frustrano la tempestività e l’utilità della legge.

Il Governo fatto di uomini ultrapopolari, in tali evenienze, finisce perfino per passare per un Governo statico tanto, alcune volte, sembra insensibile all’aspettativa e alle aspirazioni del popolo che, nella sua più assoluta semplicità, non sa rendersi conto come mai un provvedimento emanato da Roma e pubblicato ufficialmente dai giornali impieghi alcuni mesi per essere attuato in Provincia, quando addirittura non cada nel dimenticatoio, com’è, ad esempio, per il ritardato o mancato riconoscimento ai vari indennizzi di guerra, di prigionia, di invalidità, di pensione che affliggono tanti nostri fratelli derelitti.

La colpa non è del Governo, che è vigile ed ansioso del bene del popolo, e non è della maggioranza dei funzionari ed impiegati che lavorano con intelligenza e fedeltà, pur fra ristrettezze economiche di ogni genere, ma è da addebitarsi al sistema opprimente e debilitante di quel grande macchinone che è la burocrazia italiana.

Per richiamare meglio l’attenzione del Governo citerò alcune mie impressioni ed osservazioni che, voglio augurarmi, siano condivise anche da altri Deputati, le quali, se confortate dalla convalida dell’Assemblea, potranno più agevolmente dar luogo ad un provvedimento riparatore di autentiche ingiustizie, seppure involontariamente perpetrate.

Il pubblico ha precisa questa impressione: che fra le intenzioni del Governo sollecitamente risanatrici e l’attuazione pratica dei provvedimenti intercorra un tempo ingiustificabile, e che finisce per far sospettare della bontà del provvedimento o del desiderio di evaderle le conseguenze benefiche.

In tema di lavori pubblici basta tener presente il mastodontico comitato tecnico dei Provveditorati alle opere pubbliche (il quale ha l’obbligo di studiare ed approvare tutti i progetti delle province ad esso sottoposte da un minimo di L. 200.000) e, in contrapposto, la mancata facoltà deliberante degli uffici provinciali del Genio civile per comprendere, attraverso il contrasto stridente del vantato decentramento e dell’attuato accentramento di pratiche negli uffici già di per sé plerotici dei Provveditorati, per comprendere, dicevo, come sia indispensabile promuovere provvedimenti che affrettino la conclusione dei problemi di emergenza, evitando tutti quegli inutili ritardi che annullano la bontà della legge. Ho presentato in proposito un’interrogazione al Governo in data 22 gennaio 1947. Ripeto qui in pubblico che le ragioni principali che, secondo me, determinano la lentezza nell’esecuzione dei lavori pubblici vanno ricercate, appunto, nel complicato sistema accentratore del Provveditorato alle opere pubbliche e nella mancata facoltà deliberante da parte del Genio civile, la quale da sé sola, costituirebbe già un atto di utile decentramento. Voglio ricordare qui l’alto senso di attaccamento al dovere di tutti i funzionari dell’uno e dell’altro organismo, sia pure nello sforzo impari ai bisogni del momento e per causa di forza maggiore estranea alla loro intelligenza, alla loro volontà e capacità tecnica, per fare apparire ancora più evidente la necessità per il Governo di intervenire, con adeguato provvedimento di urgenza, per non rendere vana quella che è la fase di attuazione periferica della ricostruzione.

Tenete, onorevoli colleghi, ben presente questa assurdità: quando la lira aveva un valore cinquanta volte superiore all’attuale, il Genio civile aveva facoltà di approvare i progetti sino a lire 50.000. Ora che la moneta è svalutata, può approvare progetti fino a 200.000 lire, laddove la sua competenza dovrebbe, secondo me, allargarsi di molto al di là del limite della svalutazione e comprendere progetti fino alla concorrenza di 7 o 8 milioni di lire attuali, se veramente vuole rendersi spedita la ricostruzione delle Province.

È consigliabile inoltre che quel comitato tecnico, formato da 35 membri presso i Provveditorati, oggi così pletorico e accentratore, sia suddiviso fra i vari uffici provinciali del Genio civile, che continuerebbero a svolgere, così, una più intensa ed efficace azione tecnica sotto la direzione dell’ingegnere capo, a sua volta fornito di maggiore responsabilità. Occorre inoltre semplificare il continuo andirivieni di lettere e progetti tra Genio civile e Provveditorato e fra quest’ultimo, la Ragioneria e la sezione staccata della Corte dei conti.

Immaginarsi che fra il richiamo di un progetto da parte del Provveditorato (da farsi in triplice copia dal Genio civile), la relazione e l’approvazione del comitato tecnico, la formulazione del decreto del Provveditore, il passaggio alla Ragioneria ed alla Corte dei conti e di qui al Genio civile (perché disponga l’appalto), e la consegna del progetto alla ditta appaltatrice trascorrono comodamente cinque o sei mesi nella migliore delle situazioni, quando non capiti di peggio come il rinvio o la sospensione definitiva, senza che ci sia verso di conoscerne le ragioni.

UBERTI. Non c’è che un rimedio: la Regione.

CASO. Facciamo qualche cosa per rendere attuabile quello che si decide al centro. Bisogna inoltre tener conto di un’altra contradizione nei termini riguardante il decreto sulla disoccupazione. A sentir dire che si faranno delle opere per combattere la disoccupazione ed a leggere i giornali che segnalano l’utilità e la tempestività del decreto medesimo, si crea nel pubblico, specie e logicamente in quello sensibilissimo dei disoccupati, l’impressione che le opere avranno sollecita esecuzione. Invece si verifica il contrario con grave danno del prestigio dello Stato. Con ciò non ho la pretesa che, in fretta, si debba spendere malamente il denaro del pubblico, ma vi è pure una via di mezzo sulla quale potersi accordare ed è quella di servirsi di mezzi sbrigativi e nello stesso tempo efficienti e liberali, alleggerendo il lavoro degli uffici tecnici ed affidando la progettazione a liberi professionisti che accettino le condizioni e diano le garanzie richieste dal Ministero dei lavori pubblici.

Attualmente esiste una disposizione in proposito, ma gli uffici del Genio civile sono molto restî a dare incarichi a professionisti privati e non li danno se non in quei rari casi di opere già finanziate. Questo modo di agire naturalmente ritarderà di mesi o di anni l’esecuzione delle opere, giacché bisognerà attendere i finanziamenti e l’autorizzazione dall’alto prima di dar corso alla progettazione.

A me pare che, in base a programmi ben definiti e sollecitamente approvati per ogni singola Provincia, converrebbe passare alla progettazione ed al visto degli organi tecnici contemporaneamente allo stanziamento di fondi o in attesa di questi. È, comunque, da scartarsi l’attuale sistema di iniziare la progettazione solo a stanziamento avvenuto presso i Provveditorati, il che crea ritardi enormi per le opere, che magari sono più urgenti, e privilegi per quelle non preventivate a seconda di protezionismi più o meno palesi. Occorre invece mettersi d’accordo presso le singole Prefetture, con l’intervento delle autorità politiche e dei funzionari tecnici, sopra un programma di lavori pubblici da attuare in base alla disponibilità finanziaria, e in un determinato periodo di tempo per ogni singolo paese, così da dare la sensazione che, sia pure in forma limitata, ogni popolazione è salvaguardata nelle sue esigenze ed è appagata nella sua graduale ricostruzione, riservando opere di più grande mole dove maggiore e più minacciosa è la disoccupazione.

Così facendo possiamo veramente agevolare l’esecuzione di opere pubbliche, non soltanto sostitutive di quelle distrutte, ma più efficaci e produttive per la nostra economia. L’onorevole Presidente del Consiglio ha detto nelle sue dichiarazioni nella seduta del giorno 8 febbraio: «Ai lavori pubblici necessari alla nostra ricostruzione dedicheremo tutte le risorse possibili». Mi spingo a raccomandare soprattutto la viabilità, le case operaie, gli edifici di istruzione e di educazione, gli acquedotti, le opere di assistenza e le nuove ferrovie di interesse nazionale limitate a brevi tratti di collegamento fra le linee principali, ma che rappresentano vantaggi per le più rapide comunicazioni fra i grossi centri e al tempo stesso economia nelle spese di esercizio. Valga a tale proposito il progetto di massima da me presentato al Ministero dei lavori pubblici fin dal 12 novembre 1946 per la costruzione di un allacciamento, che non interessa solo me, ma anche i deputati delle Puglie e del Lazio, fra la Roma-Napoli (Via Cassino) e la Napoli-Foggia, fra le due stazioni di Vairano-Caianello e Telese, allo scopo di economizzare tempo, anche rispetto alla Caserta-Formia, nella percorrenza fra le Puglie e Roma, creando, con appena 43 chilometri di nuova linea, la tanto auspicata direttissima Bari-Foggia-Cassino-Roma.

Al tempo stesso, con questa nuova ferrovia, si verrebbe a valorizzare una plaga industre ed ubertosa che, al presente, è provvista di qualsiasi comunicazione ferroviaria e, precisamente, la pianura del Medio Volturno. Questa mia proposta, nonostante abbia sollecitamente ottenuto il parere tecnico favorevole del Ministero dei trasporti, non ha avuto finora alcun esito positivo presso il Ministero dei lavori pubblici, se si eccettua la calda adesione orale e scritta del Ministro del tempo onorevole Giuseppe Romita, e malgrado che rappresenti un vivissimo sollievo per la disoccupazione della zona ed un sicuro vantaggio per la nazione.

Richiamo inoltre, in materia di comunicazioni, l’attenzione del Ministro dei trasporti sulla necessità non solo di provvedere alla ricostruzione della rete statale, ma anche delle ferrovie secondarie in concessione le quali hanno, per il passato, svolto un compito regionale molto importante. Ed a questo proposito ci tengo a far rilevare che, fra le strade ferrate secondarie della Campania, l’unica ferrovia non ancora ricostruita è la Napoli-Piedimonte d’Alife, nel suo tratto totalmente distrutto dai tedeschi in ritirata da S. Maria Capua Vetere a Piedimonte d’Alife, per la quale ho rivolto apposita interrogazione e svolto azione diretta presso la Camera di commercio di Caserta, sui giornali, nelle pubbliche adunanze, presso il Ministero dei trasporti, con la partecipazione entusiastica e solidale di tutti i Deputati del collegio Napoli-Caserta. Ho insistito ed insisto dinanzi all’autorità di questa Assemblea, visto lo stato di vivissima agitazione in cui si trovano circa 100 mila abitanti, i quali, dopo trascorsi tre anni dalla liberazione, hanno avuta la precisa sensazione che le autorità governative non solo non hanno affrontato il problema della ricostruzione della linea, ma intenderebbero rimandarla a tempo indeterminato, sostituendola, per ora, con servizi automobilistici del tutto inadeguati all’importanza ed al traffico della zona Alifana e della vallata del Medio Volturno.

Sono sicuro che il Governo risponderà alla giustificata richiesta delle popolazioni interessate, facendo sollecitamente ricostruire la ferrovia, soprattutto in base al diritto precostituito dei comuni della linea (fin dall’inizio della concessione, diritto che nessuno potrà mai contestare e che, voglio augurarmi, faccia escludere la ventilata possibilità di ricorso alla Magistratura per il suo riconoscimento.

Stando ai concetti espressi, la costruzione e la ricostruzione delle ferrovie, già da sé sole e per almeno due anni, assorbirebbero una gran parte dei disoccupati con grande vantaggio per loro e per il bene della Patria.

Ad esse andrebbero aggiunte la ripresa delle industrie esistenti e la creazione di nuove industrie, giusta l’incitamento e l’assicurazione dell’onorevole Presidente del Consiglio. Egli ci ha detto: «… nel settore economico l’esigenza fondamentale si riassume, come fu detto altrove, nella formula: produrre in un clima di efficienza tecnica e di perequazione sociale…». L’aumento della produzione è indispensabile per il mercato interno, affinché diminuiscano i prezzi, salgano i salari reali, cessi la disoccupazione e si disponga di mezzi per la ricostruzione… Il Governo intende incoraggiare e sostenere l’iniziativa privata… L’aumento della produzione sarà favorito anche da una collaborazione organica fra capitale e lavoro; senza il concorso di entrambi la ripresa della produzione è impossibile: premesse indispensabili sono lo spirito di intraprendenza ed un clima di interessamento e di cooperazione operaia». Profitto di tale impostazione programmatica per invitare l’onorevole Ministro dell’industria e commercio a rivedere la proposta di nuovi impianti industriali, per la lavorazione di fibre tessili in provincia di Caserta, fatta, tramite quella Camera di industria e commercio, dalla ditta Donagemma e Capuano e inopinatamente respinta. Eppure si trattava di assorbire 5 mila lavoratori!

Sono sicuro di un benevole accoglimento della proposta ora che, in un clima di concordia derivante dalla comune sventura, ci accingiamo per primi e da soli a dare la prova della nostra volontà di rinascita.

Per affrettare questa rinascita, anche sul terreno spirituale e morale, dobbiamo innanzitutto, nel campo del lavoro, preoccuparci di dare, a tutti coloro che lavorano, delle leggi di tutela e di assistenza che siano una autentica garanzia contro tutti i rischi professionali generici e specifici e non una lustra teorica.

Di qui la necessità della riforma dell’assistenza sanitaria e della previdenza sociale, cui con lena si accingono a contribuire tutti i medici italiani attraverso il referendum e la speciale commissione che speriamo di vedere una buona volta all’opera presso il Ministero del lavoro, la quale riforma, se non attuabile subito, per ovvie ragioni di studio e di ponderatezza, ci auguriamo che si manifesti per lo meno con qualche provvedimento di emergenza, onde evitare lo stridente contrasto fra gli obblighi assunti dallo Stato e la scarsezza e la povertà dell’aiuto assistenziale. Le pensioni di vecchiaia e di invalidità sono di per sé scarsissime, nonostante i recenti ritocchi.

Giorni or sono è stata concessa una pensione di lire 1790 annue, maggiorata dell’assegno temporaneo di carovita in lire 150 mensili, ai genitori di un valoroso caduto in guerra al seguito delle truppe inglesi presso Montevarchi. Ai sensi dell’articolo 27 della legge infortuni il salario annuo massimo di legge viene tuttora valutato in lire 12.000 e la rendita annua calcolata sui due terzi del salario, cioè su lire 8.000.

È mai possibile tutto ciò?

Senza attendere la riforma, si impone l’adeguamento dell’indennizzo e della rendita oltre che delle pensioni per una ragione di perequazione sociale, non altrimenti dimostrabile che col fatto concreto di una efficiente solidarietà legale.

E continuando a prospettare la necessità che, in attesa della riforma nel campo del lavoro, delle assicurazioni, dell’assistenza malattia, dell’istruzione pubblica, il Governo attui provvedimenti legislativi di attesa o di sospensiva anziché tollerare contraddizioni palesi fra le esigenze della vita che corre veloce e l’inadeguatezza della legge, raccomando vivamente di apportare modifiche quanto più larghe possibili in ogni branca della vita nazionale.

Il regolamento d’igiene del lavoro è ancora quello del 1929, per giunta non integralmente applicato; esso merita di essere aggiornato, per lo meno aumentando i poteri dell’Ispettorato medico del lavoro e istituendo un servizio medico quanto più decentrato possibile. Soltanto un servizio medico decentrato può assicurare l’assistenza continuativa e dare il senso preciso della fraternità operante ai lavoratori da parte di una società più civile e più giusta. Per valutare appieno l’importanza del servizio si tenga presente che l’ispettore medico dovrà compiere visite frequenti di controllo alle aziende industriali, agrarie, commerciali, artigianali (in queste comprese le aziende a tipo familiare), sorvegliare il lavoro delle donne e dei fanciulli, visitare spesso gli addetti alla produzione e smercio delle sostanze alimentari, vigilare il lavoro della mietitura, la risicoltura, il tabacco, le miniere, le industrie polverose, l’ammissione delle donne e dei fanciulli al lavoro (scartando i mestieri pericolosi allo sviluppo delicatissimo della maternità e della pubertà), collaborare in pieno coi medici di fabbrica. Questi dovrebbero, in tutte le aziende, essere assunti per pubblico concorso, col titolo preferenziale della specializzazione in medicina del lavoro e col rapporto di almeno un medico per ogni mille operai, scartando la forma dell’appalto, tuttora in vigore. Come medici e come uomini ci ribelliamo, nell’intimo della nostra coscienza, a vedere l’intelligenza e la capacità dei nostri valorosi colleghi strette nelle maglie della intraprendenza e della speculazione altrui.

Inoltre bisognerà estendere le voci dell’assicurazione contro le malattie professionali ed eliminare quelle, come il fosforismo, che si sono dimostrate inesistenti fin dall’inizio dell’Assicurazione e, come l’anchilostomiasi, che dà luogo all’assistenza per gli operai dei cantieri e dell’industria dei laterizi (i quali per lo più ne sono immuni), mentre che la esclude per gli ortolani ed in genere per i lavoratori agricoli, che facilmente ed a cagione del loro lavoro se ne contagiano.

Legata alle osservazioni qui sopra prospettate è la necessità di diffondere l’insegnamento della medicina del lavoro nelle Università, non solo per accrescere il prestigio scientifico ed umano di una branca tutta italiana, sorta tre secoli or sono ad opera di Bernardino Ramazzini, ma per produrre una schiera di medici specializzati da impiegare nelle varie attività di lavoro, quali utili collaboratori degli operai e delle aziende legati da un patto di comune solidarietà nella produzione.

In base al grande bene compiuto dalle Cattedre di medicina del lavoro a Napoli (Castellino, Caccuri e loro scuola), a Milano (Devoto, Vigliani ed allievi), a Bari (Ferrannini Luigi e la sua scuola), a Roma (Ranelletti e la sua scuola) a Padova (Maugeri, Pellegrini ed allievi), a Siena (Aiello ed allievi), da una notevole schiera di liberi docenti e di specialisti di tutta Italia, si ha il dovere di segnalare al Governo tali benemerenze e chiedere alcuni provvedimenti di urgenza per non pregiudicare quella che potrà essere l’intonazione della riforma, oltreché nei campi del lavoro, della previdenza, e dell’assistenza, anche in quello dell’istruzione superiore universitaria e professionale. Pertanto raccomando vivamente (e desidero assicurazioni in proposito) che venga sospesa l’istituzione di nuove cattedre universitarie in attesa del referendum in corso fra tutti i medici d’Italia sulla distinzione fra materie obbligatorie, fondamentali, complementari, postuniversitarie, ed in attesa inoltre di poter rendere obbligatorio in tutte le facoltà mediche l’insegnamento della medicina del lavoro ed il relativo esame. Frattanto suggerisco di scegliere adatte sedi per le scuole di perfezionamento in medicina del lavoro, fondamentali per l’istruzione dei medici, affidandole a professori di ruolo coadiuvati da liberi docenti e da insegnanti di materie affini. In tal modo si raggiunge un duplice scopo: rendere proficua la scuola specializzata e migliorare le condizioni del lavoro umano, senza peraltro compiere riforme affrettate che solo la lunga esperienza ed il concorso di coefficienti tecnici saggiamente elaborati possono portare ad utili e stabili conclusioni.

Onorevoli colleghi, proprio perché siamo in periodo di emergenza e di grande rinnovamento sociale, occorre che la legge si adegui, giorno per giorno, alle necessità del momento per non correre il rischio di veder compromesso lo sforzo ricostruttivo della Nazione e per dare a noi stessi ed al pubblico il senso vivo della fiducia che è la potente leva animatrice di ogni progresso. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interpellanze e interrogazioni d’urgenza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Codacci Pisanelli. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Chiedo al Governo quando intende rispondere ad una interpellanza da me presentata l’11 dicembre 1946, relativa alla revoca di concessioni per la coltivazione tabacco nel Salento. Analoga interpellanza fu presentata dall’onorevole Gabrieli.

PRESIDENTE. Rammento la decisione presa dall’Assemblea di rinviare lo svolgimento delle interrogazioni e delle interpellanze alla fine della discussione sulle dichiarazioni del Governo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Ricordo come negli antichi tempi vi fosse la consuetudine di discutere le interpellanze il lunedì. Penso che lunedì saremo liberi dalla discussione sulle dichiarazioni del Governo, in quanto le avremo terminate. (Commenti).

Consentano i colleghi che io nutra nel mio cuore questa speranza (Si ride); e se la discussione non sarà terminata, non sarà male inframezzarla con questo diversivo. Perciò chiedo che questa interpellanza e le altre di maggiore urgenza siano discusse nelle prime ore della seduta di lunedì.

PRESIDENTE. Credo che non vi sia alcuna difficoltà a riconoscere che l’onorevole Micheli abbia fatto una proposta ragionevole ed opportuna; ma faccio rilevare che gli iscritti a parlare sono ancora una sessantina e non so se per lunedì la discussione sarà esaurita. Se si riuscisse, come auguro, a restringere il numero degli oratori iscritti, e sabato si potesse passare ai voti, lunedì si potrebbero discutere le interpellanze.

Ad ogni modo, chiedo all’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze quando intende rispondere alle interpellanze degli onorevoli Codacci Pisanelli e Gabrieli.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Il Ministero è in grado di fornire notevoli assicurazioni in proposito. Sono pronto a rispondere anche subito.

PRESIDENTE. Si dia allora lettura delle interpellanze dell’onorevole Codacci Pisanelli e dell’onorevole Gabrieli.

RICCIO, Segretario, legge:

Codacci Pisanelli, al Ministro delle finanze, «circa i motivi che hanno indotto la Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato a non rinnovare per il prossimo quinquennio numerose concessioni speciali per la coltivazione del tabacco in provincia di Lecce, sopprimendo in tal modo molti complessi industriali, con irreparabile danno per l’economia agraria della zona e minaccioso aggravamento della disoccupazione, specialmente invernale, per migliaia di operaie specializzate (tabacchine); circa l’opportunità di non ispirarsi a malintesi criteri di perfezionamento della produzione di un genere voluttuario come il tabacco, anche a costo di sottrarre i terreni più fertili delle altre regioni alla produzione di derrate alimentari di prima necessità, sconvolgendo in tal modo la già difficile situazione economico-sociale del Leccese, di cui viene colpita la fondamentale risorsa industriale; e circa la conseguente necessità di rinnovare tutte le concessioni speciali finora esistenti, attribuendole ad associazioni di coltivatori, preferibilmente dei comuni privi di simili concessioni, qualora gli attuali titolari se ne siano dimostrati immeritevoli».

Gabrieli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, «per conoscere le ragioni che hanno determinato il Governo a ridurre, nel Salento, di 1200 ettari la superficie autorizzata alla coltivazione del tabacco orientale. Tale provvedimento lede le condizioni economico-agricole della Regione salentina ed aggrava in maniera allarmante il fenomeno della disoccupazione, perché fa venire meno 1.300.000 giornate lavorative. Esso non tiene conto inoltre che gran parte della superficie coltivata a tabacco è costituita da terreni per cui non sono possibili altre colture».

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgere la sua interpellanza.

CODACCI PISANELLI. Ho richiamato l’attenzione di questa Assemblea sul problema della coltivazione del tabacco nel Salento, che ha notevole importanza, inquantoché è stata iniziata al principio del secolo e, ormai da vari decenni, ha trasformato l’economia sociale della regione, dando possibilità di impiego a mano d’opera, specialmente femminile, durante tutto il periodo invernale.

Recentemente, dopo tentativi che si sono protratti per vari anni, l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato ha ritenuto di revocare ventuno concessioni in Provincia di Lecce ed altre due in provincia di Taranto e Brindisi.

Si tratta di oltre 660 ettari che non dovrebbero essere coltivati a tabacco l’anno prossimo.

Ma, oltre a questa riduzione, ve n’è un’altra del 10 per cento delle concessioni, le quali negli anni scorsi non hanno ricoperto la superficie per cui erano state autorizzate.

Il ragionamento dell’Amministrazione è questo: ho revocato le concessioni in quanto che, o i concessionari non avevano ricoperto la superficie disponibile, oppure non avevano coltivato il tabacco in maniera adeguata. In altri termini, o si tratta di riduzione per mancata coltivazione, oppure per motivi tecnici.

Quanto al primo punto, cioè alla mancata copertura della superficie autorizzata, mi permetto di rispondere che, in un passato abbastanza recente, l’Amministrazione autonoma faceva misurare, con la massima esattezza, la superficie coltivata e faceva spiantare anche una sola ara piantata in più dai coltivatori. Per conseguenza, i coltivatori si sono comportati con il massimo rigore successivamente e non hanno piantato nemmeno una pianta di più di quanto era stato loro consentito.

D’altra parte, nel periodo bellico, per necessità della produzione, si è adoperata una certa larghezza: si è consentito cioè di piantare quanto tabacco si credeva. Le misurazioni avvenivano con una certa latitudine; molto spesso, anche quando si era piantata una superficie superiore a quella autorizzata, ciò non risultava. Di qui la conseguenza che l’Amministrazione ha avuto dati non completamente esatti. Quello che mi interessa di far rilevare è che la mancata coltivazione è dovuta in gran parte alla mancanza di mano d’opera: molti lavoratori erano in prigionia o alle armi; molte famiglie, d’altra parte, pur di avere di che alimentarsi, preferivano coltivare il grano, sia pure in maniera antieconomica, perché, nelle nostre terre, la coltivazione del grano non è redditizia; preferivano cioè coltivare il grano piuttosto che darsi alla coltivazione del tabacco, il quale non avrebbe consentito loro di sfamarsi. Quanto poi alle ragioni tecniche, mi permetto di far rilevare che non è equo fondarsi su ragioni tecniche, dopo un periodo difficile come quello che abbiamo attraversato. Non era possibile ottenere concimi chimici, non era possibile ottenere i telai, le garze per i vivai per questa difficile coltivazione del tabacco. Ora non si può, dopo un periodo di guerra, dopo tante privazioni, rivolgersi ai concessionari e dire loro: – Voi non avete coltivato con sufficiente perizia il tabacco: è bene sottoporvi ad un nuovo esperimento. Ma quello che io chiedo è soprattutto questo: se i concessionari si sono portati male, vengano puniti, ma non si tolga questa lavorazione dalle nostre terre. Sono convinto che in altre parti d’Italia il tabacco può venire meglio; sono convinto che nel Salernitano sarà di qualità superiore e che il gusto dei fumatori italiani si va orientando verso i tabacchi a tipo americano. Ma non si dimentichi che è stata questa la regione dove, per la prima volta e con grande difficoltà, è stata introdotta la coltivazione del tabacco; non si dimentichi che, in quelle terre dove la roccia affiora, non è possibile introdurre altre coltivazioni che non sarebbero redditizie e non sarebbe possibile rimediare ad inconvenienti sociali che deriverebbero da una così grave menomazione di questa coltivazione nella nostra zona.

Non si dimentichi, d’altra parte, che, se tanti sacrifici si sono chiesti agli italiani, si potrà chiedere anche ai fumatori di contentarsi di un tabacco di qualità non troppo superiore, come hanno fatto dando all’erario sessanta – anzi settanta – miliardi di introito, come mi è stato confermato ieri. Viceversa, proprio in questo periodo, si va all’estero ad acquistare tabacco straniero, perché «nuove così vengan delizie, giovane fumatore, al tuo palato»! Non ritengo sia il caso di insistere tanto sul perfezionamento della qualità delle nostre sigarette, benché, senza dubbio, anche a questo occorra guardare. Ma non bisogna dimenticare l’importanza di questa coltivazione, per una zona che ha confidato sì nell’aiuto del Governo centrale, ma ha pensato che il problema del Mezzogiorno dovesse essere soprattutto risolto da ciascuno coi propri mezzi. Ed allora queste popolazioni che sono sobrie, che ricordano quasi Diogene, potranno dire a chi parla loro di grandi mezzi per risolvere i problemi del Mezzogiorno, potranno dire come Diogene ad Alessandro: – Non mi levare quello che non puoi darmi.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgere la sua interpellanza.

GABRIELI. Farò brevissime considerazioni. La direzione generale dei Monopoli, sopprimendo non 600 ettari solamente di superficie coltivata e tabacco, ma 1200, poiché, oltre ad abolire 23 concessioni, ha ridotto del 10 per cento anche le concessioni superstiti, ha commesso un grave atto di ingiustizia sociale, perché ha consolidato e confermato le grandi concessioni ai diritti dei grandi concessionari, di coloro che avevano migliaia di ettari e che quindi hanno accumulato milioni durante un ventennio di gestione dei tabacchi. E ha tolto queste 23 concessioni proprio ai piccoli coltivatori, a coloro che utilizzavano la loro piccola terra nella coltivazione dei tabacchi. Si è andati perciò contro quell’interesse economico-sociale che è stato assunto dall’attuale democrazia come indirizzo economico sociale prevalente.

Un altro aspetto del problema che noi abbiamo accennato costantemente agli organi ministeriali, ed anche in interrogazioni ed interpellanze a questo Governo che sta in questa Assemblea Costituente, è che il nostro Salento è afflitto dalla gravissima ed insanabile piaga della disoccupazione. In ogni piccolo comune, su una popolazione di 5, 6, 10.000 abitanti, vi sono per lo meno 1000 disoccupati agricoli al giorno che sono a carico della piccola e media proprietà, la quale è costretta a subire quella imposizione, venendo così ad esaurirsi quasi completamente, tanto che questi piccoli proprietari, non potendo più sostenere questo peso insostenibile, hanno deciso di emigrare dai paesi dove abitano per andare in zone dove questa piaga non potrebbe più attaccare. È per questa ragione che noi abbiamo svolto insieme agli altri colleghi un lavoro costante che serve solo per dare sfogo alla nostra fede ed al nostro compito di assistenza a quei lavoratori, che noi ci auguriamo che il Governo democratico italiano dia accoglimento a questa richiesta giusta che viene da tre milioni di popolazione della Puglia; cioè che queste 25 concessioni siano per questo anno restituite alla libera lavorazione, perché rappresentano l’unica risorsa di quella regione a cui è stato tolto l’olio e tutto quello che ha, per darlo alle altre regioni d’Italia. Rimaneva la risorsa del tabacco, e siccome il tabacco è sfruttabile in tutta la zona del Salento perché composta di rocce, come ben diceva il mio collega, il quale non è sfruttabile da altro, ho fiducia che anche da questo lato voi vogliate andare incontro alle esigenze dei piccoli agricoltori e delle piccole masse dei lavoratori, ai quali, con quel provvedimento caotico cervellotico ed arbitrario della direzione dei Monopoli, vengono ad essere tolte un milione e 300 mila giornate lavorative all’anno.

Mi affido più che alla sapienza ed alla saggezza, al cuore degli uomini di Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Onorevoli colleghi, non posso aderire a taluno dei giudizi che sono stati dati sull’opera della Direzione generale dei monopoli e sullo spirito informatore dei provvedimenti da essa adottati. Comprendo però l’ardore con cui gli onorevoli colleghi hanno svolto le loro interpellanze, che è per lo meno pari all’ardore con cui hanno insistito per il rinnuovo delle concessioni, nelle frequenti visite agli uffici ministeriali.

Non posso accettare il giudizio molto sommario che è stato dato sull’opera della Direzione dei monopoli. L’Azienda dei monopoli è una vastissima azienda industriale che ha il dovere preminente di amministrarsi con criteri sanamente economici, che nella fattispecie si traducono in un principio fondamentale: acquistare le materie prime necessarie al minor costo possibile e nella qualità migliore.

Gli onorevoli interpellanti vorrebbero trasferire sulla Direzione dei monopoli un compito di ordine largamente sociale, di natura quasi assistenziale che evidentemente non può essere di sua competenza. La funzione assistenziale è sacrosanta, ma lo Stato deve assolverla coi mezzi più appropriati e attraverso le vie più adatte.

La Direzione dei monopoli non ha rinnovato le ventitré concessioni della provincia di Lecce, perché il tabacco presentato dai concessionari da diversi anni era qualificato di qualità mediocre.

Altre zone sono in grado di presentare, a parità di prezzo, tabacco di qualità migliore; queste zone premono per un allargamento delle concessioni e non sono accontentate.

Sarebbe stato, evidentemente, un delitto, ancora prima che un errore, mentre si respingono istanze di tali zone, accogliere invece quelle altre, perpetuando la situazione di concessionari che presentano qualità mediocri.

Siccome però dai due onorevoli amici è stato prospettato – e devo senza altro presumere che sia con fondamento di verità, in linea di fatto – che la classifica di mediocre derivava da cause di forza maggiore, verificatesi presso i singoli concessionari – (mancanza di concimi, assenza dei titolari, per ragioni di guerra o di dopoguerra ecc.) – ho l’onore di assicurare che proprio nella riunione di stamane il Consiglio di amministrazione della Direzione dei monopoli ha adottato questa decisione di massima: qualora i titolari di ciascuna di queste ventitré concessioni siano in grado di dimostrare – come essi hanno affermato attraverso l’autorevole parola dei due onorevoli amici – che effettivamente la consegna di qualità mediocre derivava da cause di forza maggiore, sia concesso, a titolo di esperimento, il rinnuovo della concessione ancora per un anno; che se invece questa dimostrazione non fossero in grado di dare, non potranno avere il rinnuovo.

Infatti, i casi sono due: se, come non dubito, gli interessati hanno affermato il vero, saranno accontentati; se, come non voglio pensare, avessero carpito la buona fede dei due onorevoli amici, è più che naturale che la loro richiesta sia respinta.

In questo senso spero che i due onorevoli amici siano sodisfatti.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODACCI PISANELLI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario sia per la cortesia dimostrata in passato, durante le ripetute mie visite, sia per la risposta, che ha voluto darci adesso.

Ritengo di non essermi spiegato bene. Io non intendevo difendere tanto i concessionari, quanto i lavoratori. Sono d’accordo che i concessionari vengano puniti se non hanno presentato la qualità di tabacco desiderata; ma non vorrei che rimanessero puniti i numerosissimi lavoratori da loro dipendenti e che hanno preparato il terreno per la coltivazione. Se queste concessioni non venissero rinnovate, molti terreni rimarrebbero incolti e numerosissimi braccianti disoccupati.

È questa la ragione per cui ritengo che, qualora l’Amministrazione sia nella necessità di mantenere la revoca per coloro che non risultino degni di riavere la concessione, non debba portar via, però, questa superficie dalla provincia di Lecce, Taranto, Brindisi, ma faccia coltivare il tabacco ivi stesso, affidandolo a cooperative di lavoratori, secondo i saggi criteri industriali accennati.

L’Amministrazione autonoma preferisce avere a che fare con un solo concessionario, perché è più facile trattare, invece che con molti. Ma sarebbe più rispondente ai nostri attuali principî attribuire queste eventuali concessioni a cooperative di coltivatori.

In questa maniera gli utili industriali verrebbero più equamente ripartiti.

Soprattutto faccio presente che non rinnovando queste concessioni, i concessionari non vengono colpiti affatto, perché è gente che ha realizzato sufficienti guadagni. Ma si tratta di complessi industriali che vengono meno, di piccoli complessi industriali, nei quali oltre 3000 donne trovano lavoro; 3000 donne che rimarrebbero completamente disoccupate per il prossimo inverno e per gli inverni futuri.

È questa la ragione per cui non posso dichiararmi completamente sodisfatto, e sottolineo la necessità di non portare in terre dove vi è il grano una coltura che noi realizziamo in terre nelle quali non è possibile coltivare il grano. Sono d’accordo che altrove il tabacco viene meglio, ma viene meglio perché si tratta di terre fertili; e noi che abbiamo bisogno di grano, dobbiamo lasciare queste terre alla coltivazione del grano.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GABRIELI. Neanch’io posso dichiararmi completamente sodisfatto. Innanzi tutto questa prova documentale che si richiede ai poveri coltivatori che stanno a Lecce o nel Salento, richiede l’impiego di molto tempo che frustra ogni possibilità di coltivazione, e – come sanno bene quelli che presiedono la direzione dei monopoli – i termini per presentare le domande di coltivazione scadono nel mese di febbraio. Come è possibile che questa documentazione sia offerta in termini utili per poter rinnovare quelle coltivazioni cui hanno diritto un milione e 300 mila persone che devono lavorare un anno? Per questa ragione chiedo che, siccome la ragione della cattiva qualità del tabacco è dovuta a cause di indole generale che superano le forze individuali dei coltivatori, sia preso subito un provvedimento che per un anno di esperimento annulli il provvedimento di revoca dato per tutte le concessioni. Da domani noi dobbiamo essere in grado di comunicare alle nostre popolazioni che il Ministero ha emanato questo provvedimento che va incontro in maniera chiara e immediata a quelle che sono esigenze urgenti dei lavoratori che devono vivere, mangiare e lavorare in quelle coltivazioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Desidero brevemente replicare agli onorevoli amici Codacci Pisanelli e Gabrieli.

All’amico Codacci Pisanelli, con tutto il garbo possibile, vorrei dire che dobbiamo andare molto cauti prima di svolgere a fondo determinati a base sociale, poiché senza accorgercene scivoleremmo in un ragionamento autarchico, di cui in Italia purtroppo si sono fatte troppe prove, e non certamente con esito brillante per il benessere collettivo.

Molto spesso, un determinato risultato di ordine sociale, conseguito in un limitato settore, rappresenta un costo maggiore. Per questo insisto nel ritenere che il compito genericamente assistenziale molto meglio può essere svolto attraverso i mezzi normali, attraverso i canali naturali. Personalmente sono convinto che questo significhi un minor costo per la collettività.

Per quanto riguarda l’amico Gabrieli, osservo che egli chiede un atto di fede sopra le affermazioni dei ventitré concessionari. Evidentemente neanche l’onorevole Gabrieli si sentirebbe di avallare con la sua parola di uomo d’onore che sono esatte tutte quelle affermazioni: possono esserlo e possono non esserlo. Non è vero che chiediamo una prova documentale; chiediamo una dimostrazione con tutti i mezzi che possono essere a disposizione: si tratta quindi, di una dimostrazione che può esser data nel giro di pochi giorni.

Se l’onorevole Gabrieli porterà tutta la diligenza e tutto l’ardore dimostrati nella difesa delle questioni di principio, nel raccogliere le prove, sono sicuro che nel giro di pochi giorni risolveremo la questione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Canevari. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Chiedo se il Governo intende rispondere d’urgenza all’interrogazione da me presentata ai Ministri dei lavori pubblici e del lavoro e previdenza sociale, «per sapere: 1°) come sia stato possibile che una società con denominazione di «Consorzio Ricostruente» e mascherata come consorzio di cooperative di lavori, con sede in Roma, presieduta da un impresario e con la partecipazione di funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro, abbia potuto ottenere dallo Stato, mediante cottimi fiduciari, per lire 99.735.500 di lavori, e abbia pure ottenuto per circa lire 300 milioni di lavori a regìa; 2°) quali provvedimenti si intendono adottare con la maggiore urgenza perché siano colpiti con la giusta severità i colpevoli di simile truffa, e siano riparati i danni in tal modo causati allo Stato».

ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Risponderò lunedì prossimo.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. È stata presentata con richiesta d’urgenza la seguente interrogazione dagli onorevoli Sullo, De Martino, Perlingieri, Lettieri, Caso, Colombo, Riccio, Froggio, Carratelli, Trimarchi, De Maria, Codacci Pisanelli, Gabrieli, Vinciguerra e Priolo, ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, «per conoscere se risponda a verità la notizia, diffusa da alcuni giornali, che nel reclutamento dei lavoratori italiani che prossimamente si recheranno a lavorare in Francia, sarà data la precedenza ai lavoratori centro-settentrionali, con esclusione almeno per un primo momento dei meridionali, adducendosene a motivo la difficoltà climatica di ambientamento in Regioni fredde, specioso motivo perché larghe zone montane dell’Italia meridionale hanno abitatori temprati al freddo più di quelli di talune zone litoranee del nord d’Italia.

«Poiché i lavoratori che dovrebbero emigrare sono richiesti anche per l’edilizia, cioè per un settore in cui abbonda la mano d’opera disoccupata (qualificata e non) nell’Italia meridionale, si chiede ai Ministri interpellati se non intendano estendere la possibilità di emigrare sin dal primo tempo ai lavoratori dell’Italia meridionale».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Anche a questa interrogazione risponderò lunedì prossimo.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. L’onorevole Pertini ha chiesto lo svolgimento d’urgenza della seguente interrogazione, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: a) se a loro consta che organi della polizia, nel sottoporre ad interrogatorio indiziati di reati, usano metodi illeciti, disumani ed anche sevizie, le quali – come di recente qui in Roma – sono, talvolta, persino causa di morte dell’inquisito; b) quali provvedimenti intendano prendere per impedire nel modo più drastico che abbiano a ripetersi questi veri abusi d’ufficio, i quali, oltre a costituire una palese violazione della legge, offendono quel concetto della dignità umana, che deve stare a fondamento d’ogni vera democrazia».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà lunedì prossimo.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mastino Pietro. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Anche io presentai, chiedendo che ne fosse riconosciuta l’urgenza, la seguente interrogazione:

Mastino Pietro, Lussu, Mastino Gesumino, Bozzi, Laconi, Mannironi, Murgia, Falchi, al Ministro dell’aeronautica, «per sapere se sia vero che la società italo-americana di trasporti aerei (L.A.I.) abbia ottenuto, in regime di monopolio, l’esercizio della linea Cagliari-Roma, con esclusione di un’altra società, sorta per sviluppare e sostenere, principalmente, gli interessi isolani con capitali sardi, che già dal 1944 aveva avanzato richiesta di concessione della suddetta linea ed alla quale la possibilità di tale esercizio era stata riconosciuta. Ciò costituirebbe non solo disconoscimento di un giusto diritto di precedenza ed un danno sicuro per la società, che vi ha già impegnato ingenti capitali, ma annullerebbe anche le iniziative e danneggerebbe gli interessi dell’Isola».

Desidero sapere se il Governo sia disposto a rispondere lunedì.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo se accolga tale richiesta.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo è pronto a rispondere lunedì.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Propongo che, per cercare di esaurire il grosso volume delle interrogazioni e interpellanze, la seduta di lunedì, dalle quindici fino alle venti o alle ventuno, sia tutta dedicata a questo scopo.

PRESIDENTE. Se ne riparlerà nella formazione dell’ordine del giorno di lunedì. Posso intanto preannunziare che così quasi certamente si farà, poiché se la discussione sulle dichiarazioni del Governo non potrà essere conclusa sabato, sarà rinviata a martedì.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se non ritengano opportuno dare disposizioni, perché per la prossima primavera sia sgombrata dai profughi stranieri, attualmente residenti, la spiaggia di Santa Cesarea in provincia di Lecce, stazione termale di primaria importanza. Ciò è indispensabile nell’interesse dei numerosi pazienti che dalle Puglie e da varie altre parti d’Italia lì affluiscono per necessità sanitarie.

«Per i profughi si potrebbero eventualmente requisire altre spiagge che non adempiono finalità di pubblico interesse.

«De Maria, Codacci Pisanelli, Gabrieli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere:

  1. a) i motivi che hanno determinato l’Amministrazione centrale dei telegrafi ad isolare sempre più nelle comunicazioni la città di Reggio Calabria (che sino al luglio 1943 era collegata direttamente con la Capitale e per tal mezzo istradava la corrispondenza anche con l’Alta Italia e l’estero), privandola pure della comunicazione celere multipla Reggio-Bari attivata nell’ottobre 1943; in conseguenza di che la corrispondenza da Reggio dev’essere ora istradata esclusivamente su Catanzaro, Messina e Catania:
  2. b) se sia vera la voce, riferita anche dalla stampa, della cessione dell’unico apparato telegrafico celere di cui Reggio poteva disporre ad un’altra città non della Calabria, e della asportazione dei dispositivi esistenti nelle amplificatrici in dotazione all’ufficio di Reggio Calabria; ed – in caso la voce risponda a verità – per quali motivi ciò è avvenuto;
  3. c) quali provvedimenti intende di adottare per riparare al più presto al danno della predetta città di Reggio Calabria che – superata in un quarantennio la tragedia del terremoto e della guerra con le prove migliori della volontà di risorgere – ha diritto di non vedersi ostacolata nella sua volontà di ripresa e danneggiata ulteriormente nei suoi interessi.

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dei trasporti, per sapere con quali provvedimenti intendano frenare il progressivo peggioramento delle comunicazioni ferroviarie fra la Regione Salentina, da una parte, e Roma ed il Nord Italia, dall’altra.

«A parte i ritardi quotidiani, che ormai hanno assunto la stabilità di un orario e che oscillano fra le 16 e le 12 ore, è il materiale ferroviario usato esplicitamente per tali comunicazioni quello che maggiormente umilia e mortifica i viaggiatori, tanto esso è lurido, sconquassato, primordiale, con vetture anche di seconda classe, ove i sedili sono formati da assicelle sporche e con chiodi sporgenti, le porte mancanti dell’intero telaio di vetro, i vetri dei finestrini sostituiti da mal connesse tavolette e le lampadine mancanti.

«A questo devesi aggiungere, e mettere in rilievo, lo stato davvero deplorevole del cosiddetto scompartimento riservato ai deputati, il quale, oltre agli inconvenienti qui denunziati, è quasi sempre invaso ed occupato da tumultuanti viaggiatori, anche di terza classe, al cospetto del personale di servizio completamente inattivo. Il che è stato constatato e sperimentato personalmente da vari Deputati della Regione, i quali, perdurando tale stato di cose, si troveranno facilmente nella impossibilità di continuare a partecipare ai lavori dell’Assemblea.

«La Gravinese Pasquale».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quale provvedimento intendasi prendere per la costituzione, nella regione dell’Albese e delle Langhe, di un centro specializzato di motoaratura per lo scasso dei terreni vitati per la ricostituzione dei vigneti fillosserati; il che appare tanto più urgente e necessario, in relazione all’eccessiva gravosità dei prezzi praticati dall’industria privata, alla poliennale stasi dovuta alla guerra ed all’intensificazione della invasione fillosserica.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere – riferendosi ad una precedente interrogazione sul funzionamento del Provveditorato agli studi di Siracusa e sull’opera del reggente provveditore professore Agosello – se ritiene lecito che il detto professore Agosello, traendo pretesto dalla cennata interrogazione, aggredisca per mezzo della stampa il Deputato interrogante, a causa e nell’esercizio della funzione parlamentare, trascendendo ad un libello oltraggioso ed esponendosi al conseguente deferimento al magistrato penale; e se ritiene ancora compatibile la sua permanenza nell’arbitraria reggenza del Provveditorato agli studi di Siracusa, specialmente dopo le precise segnalazioni dei giornali di diversi partiti sulla illegalità della sua posizione.

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e dell’industria e commercio, per sapere se non ritengano urgente provvedere con apposita legge al pagamento dei danni di guerra subìti dall’industria, con particolare riguardo alle piccole e medie aziende dell’Italia meridionale ed insulare che hanno subìto, prevalentemente nel 1943, danni valutati con i valori dell’epoca e non hanno ancora avuto alcun risarcimento, pur essendo trascorsi oltre tre anni, mentre gli industriali del Nord sembra abbiano ottenuto, sino alla occupazione degli Alleati, il pagamento dei danni di guerra in misura del 50 per cento sul danno totale ed in moneta meno svalutata della attuale. Questo invocato provvedimento consentirebbe a numerose industrie di ripristinare, almeno in parte, le rispettive attrezzature, favorendo l’assorbimento di numerosi disoccupati, che cesserebbero di essere a carico dell’assistenza, e facilitando la ricostruzione nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni, sui motivi che ostacolano il ripristino del normale recapito dei telegrammi e se la Direzione provinciale di Bari non provvede per propria passività o per ordini superiori. Si rileva che il telegramma recapitato dal portalettere perde la sua efficacia, più che indispensabile nella ripresa delle relazioni industriali e commerciali, specie in passi dove le attività produttive e di scambio sono rilevanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:

1°) i motivi per i quali l’articolo 18 del regio decreto 12 febbraio 1940, n. 740, non sia stato applicato nel suo spirito oltre che nella lettera a favore dei maestri elementari provenienti dalle scuole italiane all’estero, rimpatriati esclusivamente per causa di guerra. Risulta che, nei riguardi di molti insegnanti, non solo non si è interpretato il disposto dell’articolo 18 predetto, il quale garantisce agli interessati il diritto di scelta e di preferenza di sede (ad esempio i casi: Busi Maria, Gazzola Rosa, Lollis Giovanni, Toti Brandi Maria, Bertozzi Vera, Garlando Francesco, Lamonato Vanda ed altri), ma le relative pratiche sono trascinate da lunghi mesi ed i reclami motivati non sono presi in considerazione, con grave danno degli interessati che attendono con legittima ansia una definitiva sistemazione;

2°) per quali motivi non sia più data applicazione generale all’articolo 35 del regio decreto citato e alla decisione del Consiglio di Stato n. 357-941 (lettera del Ministero della pubblica istruzione n. 20736 del 20 aprile 1943), cosicché, mentre alcuni insegnanti hanno potuto usufruire dell’iscrizione in sedi già considerate di 1a categoria a’ sensi della legge 1° luglio 1933, n. 786, altri, invece, specie se rimpatriati per cause belliche negli ultimi anni, e già regolarmente assegnati a sedi di primaria importanza, sono stati improvvisamente trasferiti, ad arbitrio dei provveditori, ma su ordine del Ministero, in sedi già di 5a categoria, e i loro ricorsi non sono presi in considerazione dal Ministero, con grave danno economico e morale degl’interessati (ad esempio i casi: De Bernardo Arrigo, Corelli Francesca; Deste Antonio, Ferrari Riva Pasqua, Innocenti Ada, Messadaglia Maria ed altri).

«Considerato il numero e la complessità dei casi, l’interrogante chiede se non sia opportuno procedere alla domina di una Commissione mista (rappresentanti del Ministero degli affari esteri, della pubblica istruzione e dell’Associazione nazionale insegnanti all’estero) per la loro rapida ed equa soluzione, che metta termine ad una situazione di grave disagio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi siano stati esclusi dal concorso per esami e titoli ai posti di notaio, secondo l’articolo 2 del decreto del Ministro di grazia e giustizia 24 dicembre 1946, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 1946, n. 297, i militari reduci dall’internamento in Svizzera, essendo contemplati in tale articolo soltanto i reduci dalla prigionia e deportazione.

«L’interrogazione s’appalesa necessaria in quanto, trattandosi di norme eccezionali, non è possibile l’interpretazione analogica, e pertanto questa categoria ne viene esclusa, mentre si trova nelle medesime condizioni di quelle dei reduci dalla prigionia e deportazione, tanto è vero che il Ministero dell’assistenza post-bellica, il Ministero della guerra e l’Associazione nazionale reduci equiparano in modo assoluto le tre categorie.

«L’interrogante ritiene necessario il provvedimento che dichiari l’equiparazione dei militari reduci dall’internamento in Svizzera a quelli della prigionia e deportazione, ai fini del decreto ministeriale 24 dicembre 1946.

«Ritiene inoltre necessario procedere con la massima urgenza a riparare tale omissione, data la prossima scadenza dei termini per la presentazione delle domande. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cavallotti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, per conoscere quali misure si intendano prendere per rapidamente liquidare le spettanze dei reduci, già residenti nell’Africa Italiana, ed ora provenienti dai campi di prigionia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellegrini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali a tutt’oggi non sono stati presentati alla Corte dei conti, per la debita registrazione, i decreti di nomina dei nuovi Ministri e per sentire come il Governo giustifica un tale deplorevole ritardo che determina il gravissimo arresto nel funzionamento dell’Amministrazione dello Stato nei suoi riflessi esterni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marina».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le misure che intende prendere, perché nelle scuole professionali di Venezia sia proibito, quale libro di testo, il volume La luce del mondo, autore Onofrio Di Francesco, in cui si fa aperta apologia delle istituzioni monarchiche, del «re imperatore», e si offende la democrazia italiana, attraverso le volgari calunnie contro alcuni partiti democratici. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pellegrini, Ravagnan».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e dell’industria e commercio, per conoscere le cause che in questi ultimi tempi hanno determinato un gravissimo peggioramento nella distribuzione dell’energia elettrica nella Sicilia sud orientale e segnatamente nella provincia di Ragusa, dando luogo a deficienze ed irregolarità, che da un canto costituiscono un pericolo per la sicurezza pubblica e dall’altro paralizzano ogni attività, creando un disagio insopportabile in tutti gli ambienti, specialmente nei centri industriali e scolastici.

«L’interrogante chiede, altresì, di conoscere se, in presenza di tale situazione, non si reputi necessario un intervento urgente, con provvedimenti intesi almeno ad una più equa e razionale distribuzione tra le varie provincie e le varie città, ove non sia possibile incrementare subito la produzione di energia, e se nel contempo non si ritenga opportuna una inchiesta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuno elevare la misura degli «assegni di cura» di cui fruiscono attualmente gli invalidi di guerra affetti da tubercolosi, i quali non godano degli assegni di superinvalidità.

«Tale assegno, malgrado gli aumenti stabiliti dal 1923 ad oggi, attualmente non supera le otto lire giornaliere, cifra assolutamente inadeguata alle esigenze della cura della tubercolosi (superalimentazione, collassoterapia, ecc.).

«Sarebbe opera di umana solidarietà, oltre che un compito di profilassi sociale, adeguare gli assegni di cura agli indici della vita attuale, sulla base dei criteri seguiti nell’emanazione del decreto presidenziale 29 dicembre 1946, che non ha tenuto in alcun conto le particolari necessità della vasta categoria dei tubercolotici di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Patricolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere quali provvedimenti intendano prendere per risolvere urgentemente il gravissimo problema dell’Ospedale civile di San Donà di Piave, che, distrutto da bombardamento nel 1944, ha dovuto ricoverare gli ammalati in una villa, dove medicina, chirurgia e malattie infettive costituiscono – nonostante l’encomiabile zelo dei sanitari – tutto un insieme impressionante e di grave pericolo per la salute pubblica (ammalati due per letto, infettivi separati di pochi metri dai sani, una epidemia di tifo scoppiata in questi giorni e via dicendo); e se non ritengano opportuno di far iniziare subito la ricostruzione del nuovo ospedale, il cui progetto attende l’approvazione del Ministro dei lavori pubblici e della Direzione di sanità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere quali provvedimenti intenda immediatamente prendere per l’epidemia di tifo che va sempre più estendendosi a San Donà di Piave e paesi limitrofi e se non intenda inviare una ispezione, che accerti le cause di tale epidemia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno e urgente estendere agli orfani della guerra 1915-18 il beneficio, di cui godono gli orfani della guerra ultima, nelle assunzioni in servizio, disposte dal decreto 4 agosto 1945. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno disporre il trasferimento dei 47 profughi che occupano l’edificio scolastico di Montalbano Ionico (Matera), accogliendo le richieste di quell’Amministrazione comunale, in modo da rendere possibile il funzionamento delle scuole e dell’asilo infantile; tanto più che i profughi attualmente a Montalbano potrebbero agevolmente essere trasferiti nei locali della colonia agricola della vicina Pisticci. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pignatari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 15:

  1. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  2. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MERCOLEDÌ 12 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXV.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 12 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Costituzione dei Comitati direttivi di Gruppi parlamentari:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                    

Gabrieli                                                                                                            

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Laconi                                                                                                              

Romano                                                                                                            

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Presidente                                                                                                        

Scoccimarro                                                                                                    

Damiani                                                                                                            

Di Fausto                                                                                                         

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

 

La seduta comincia alle 16.

 

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Costituzione dei Comitati direttivi di Gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che il Gruppo parlamentare comunista ha proceduto alla ricostituzione del suo Comitato direttivo, che è risultato così composto: presidente, onorevole Togliatti; vicepresidenti, onorevoli Scoccimarro e Grieco; segretari, onorevoli Minio e Iotti Leonilde; componenti, onorevoli Amendola, Maffi, Allegato, Rossi Maria Maddalena.

Il Comitato direttivo, poi, del Gruppo parlamentare della democrazia cristiana è stato così costituito: presidente, onorevole Gronchi; vicepresidente, onorevole Cingolani; segretario, onorevole Andreotti; componenti, onorevoli Angelini, Avanzini, Bettiol, Caronia, Marazza, Mastino Gesumino, Moro, Ponti, Rodinò Ugo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Gabrieli al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, «per conoscere le ragioni che hanno determinato il legislatore, nel recente decreto legislativo sull’assegnazione delle terre incolte ai contadini, a non fissare il criterio da seguire per i terreni alberati. L’interrogante (ad evitare divergenze d’interpretazione, che si sono già verificate) segnala l’opportunità di integrare il testo del decreto con una norma interpretativa, diretta a stabilire che, in caso di terreni alberati, si deve avere riguardo allo stato tecnico colturale dell’albero, più che a quello del terreno sottostante».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il criterio per il riconoscimento dello stato di insufficiente coltivazione dei terreni, agli effetti dell’applicazione dei decreti legislativi 19 ottobre 1944, n. 279 e 6 settembre 1946, n. 89, è enunciato nell’articolo 1 dello stesso decreto, senza discriminazione fra terreni nudi e terreni alberati: «Sono insufficientemente coltivati i terreni adibiti a colture, siano esse erbacee o arboree, per le quali potrebbero essere praticati metodi più attivi ed intensivi, in relazione anche alla necessità della produzione agricola nazionale».

Consegue che i terreni investiti a coltura arborea possono formare oggetto di concessione, ai sensi dei menzionati decreti legislativi, tutte le volte che la coltura stessa si ravvisi insufficientemente curata o, comunque, curata in modo non conforme alle buone regole tecniche in materia, sì che se ne ottengono raccolti scarsi in confronto a quelli che potrebbero ottenersi, in relazione al grado di fertilità del suolo e alle condizioni ambientali.

E, poiché l’attività agricola nei riguardi delle colture arboree comprende non soltanto le pratiche colturali dirottamente applicate agli alberi, ma anche quelle che, pure riverberandosi, in definitiva, sulla produttività dell’albero, riguardano direttamente il suolo, è evidente che non può prescindersi dal considerare anche queste ultime in sede di valutazione dello stato colturale del fondo, agli effetti del giudizio sulla concedibilità di esso, ai sensi dei ricordati decreti legislativi. Ma l’omissione di pratiche, quali l’aratura, riguardanti il suolo, in tanto potrà, di per sé, costituire elemento dal quale scaturirà la dichiarazione di insufficiente coltivazione del terreno alberato, in quanto risulti incontrovertibilmente – e qui si tratta di un giudizio tecnico da formulare caso per caso – che l’omissione stessa, per la sua gravità e persistenza, assurge a causa unica determinante scarsi raccolti in confronto a quelli realizzati in arborati della stessa specie, vegetanti in condizioni ambientali analoghe, nei quali le pratiche colturali al suolo non furono omesse.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GABRIELI. I chiarimenti dell’onorevole Ministro possono considerarsi sodisfacenti. La questione che forma oggetto della mia interrogazione è sorta specialmente in relazione agli oliveti, ove il tradizionale accorgimento dei tecnici ha costantemente consigliato di limitare le attività colturali alla rimonda dell’albero e alla concimazione, o all’aratura del terreno sottostante, omettendo ogni altra seminagione che potesse riuscire dannosa all’efficienza produttiva dello stesso oliveto.

In rapporto a tali criteri deve ritenersi sufficientemente coltivato l’oliveto che si presenti in buone condizioni di vegetazione, anche se il terreno non sia stato sfruttato con altre colture complementari.

La formulazione dell’articolo 1 del decreto è perciò imperfetta dal punto di vista tecnico-giuridico. La dizione adoperata dal legislatore: «Possono ottenere la concessione di terroni incolti o insufficientemente coltivati, cioè tali da potervi praticare colture o metodi colturali più attivi ed intensivi», autorizza ad interpretare l’articolo nel senso che possono essere ritenuti suscettibili di concessione perché insufficientemente coltivati, anche quei terreni che, pur essendo coperti da oliveti in buone condizioni colturali, siano ritenuti eventualmente capaci di maggiore rendimento, se al posto dell’oliveto fossero praticate colture o metodi colturali più attivi o intensivi: così, ad esempio, qualora un fondo coltivato ad oliveto possa rendere di più se coltivato a vigneto, o a tabacco, o a cereali, l’autorità può ordinarne la concessione ritenendolo insufficientemente coltivato ai sensi di legge.

Mi fa piacere che il Ministro abbia dato questo chiarimento.

L’articolo in esame lascia inoltre pensare che sono suscettibili di concessione anche quei terreni olivetati che possano essere sfruttabili con colture complementari. Il danno che può derivare dall’applicazione letterale di tale articolo è enorme. Si potrebbe arrivare all’assurdo di ordinare il diradamento degli alberi di olivo per sostituirvi un’altra coltura opinata più attiva o più intensiva.

I chiarimenti che in questa sede l’onorevole Ministro ci ha dati permettono di calmare tutti gli agricoltori pugliesi e d’interpretare la portata della legge stessa facendo aderire la lettera al vero pensiero del legislatore.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile al Ministro dei Lavori Pubblici, «per sapere quali somme siano state stanziate o s’intenda di stanziare per il completamento e l’attivazione dell’acquedotto di Montescuro Ovest, opera di alto interesse pubblico, destinata a soddisfare le esigenze idriche di ben 18 comuni delle provincie di Palermo, Trapani e Agrigento».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO. Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Nel finanziamento delle opere per il completamento dell’acquedotto di Montescuro Ovest (Trapani), il Ministro dei lavori pubblici aveva predisposto un provvedimento legislativo concernente l’autorizzazione della spesa di 900 milioni, distribuita in tre esercizi: 1946-47, 1947-48 e 1948-49. Lo schema di tale provvedimento fu sottoposto all’esame dei Ministri dell’interno è del tesoro; ma, mentre il Ministro dell’interno vi ha aderito, quello del Tesoro ha fatto conoscere che dovrebbe consentire la concessione di un concorso in capitale di lire 400 milioni, ripartiti in tre esercizi e, per la rimanente somma di lire 500 milioni si potrebbe autorizzare l’Ente interessato a stipulare un apposito mutuo ai sensi dell’articolo 4 della legge 18 gennaio 1942, n. 24.

Ritenendosi opportuno, anche per evitare ulteriori perdite di tempo, di aderire all’accennata proposta, è stato predisposto, d’accordo col Ministero del tesoro, il relativo provvedimento legislativo, che sarà prossimamente esaminato dal Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’onorevole Finocchiaro Aprile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FINOCCHIARO APRILE. Sono assolutamente insodisfatto della risposta datami dal Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Prima di tutto la diminuzione, da parte del Ministero del tesoro, dello stanziamento chiesto dal Ministero dei lavori pubblici è tale da non consentire che le opere di completamento e di attivazione dell’acquedotto di Montescuro Ovest possano essere condotte con relativa sollecitudine e con generale soddisfazione a compimento. Si tratta di uno dei problemi più urgenti ed interessanti della Sicilia.

Fu mio padre a determinare l’origine e la creazione dell’acquedotto di Montescuro, ed io stesso ebbi occasione di incrementarne lo sviluppo nel pubblico interesse. L’acquedotto di Montescuro Est è stato completato con grande compiacimento delle popolazioni. Esso nacque per il servizio delle ferrovie secondarie siciliane, ma poté fortunatamente servire al rifornimento idrico di molti Comuni della Sicilia occidentale. L’abbondanza e la eccellente qualità delle acque convogliate consentì di progettare anche l’acquedotto di Montescuro Ovest, destinato a dare l’acqua a ben 18 Comuni, fra cui quello di Trapani.

Sono Comuni di grande estensione territoriale e densi di popolazione. Essi sono quelli di Giuliana, Sambuca, Menfi, Santa Margherita, Montevago, Partanna, Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Santa Ninfa, Castelvetrano, Campobello, Salemi, Vita, Calafatimi e Paceco; Comuni appartenenti a tre province siciliane.

Come vedete, è un complesso di Comuni, notevole anche numericamente, e di popolazioni che mancano quasi del tutto di acqua, costrette a subire le gravi conseguenze di tale mancanza, che sono per ciò stesso sottoposte a malattie infettive di ogni genere.

Tra questi Comuni è Trapani, centro importante anche dal punto di vista economico ed industriale. Trapani ha grande, assoluto bisogno di acqua. Ora il Ministro del tesoro viene a diminuire lo stanziamento chiesto dal Ministero dei lavori pubblici, mettendo in serio pericolo la sodisfazione dei legittimi desideri di quella cittadinanza. Trapani è capoluogo di provincia. Vorrei vedere che cosa avrebbe fatto il Governo se si fosse trattato di un capoluogo di provincia o di una città dell’Alta Italia! È una vergogna mantenere la Sicilia in queste condizioni e farle mancare persino l’acqua, tanto necessaria alla vita ed ai bisogni delle popolazioni.

Per quanto riguarda Trapani, è vero che vi è un altro sistema di rifornimento idrico in progetto, ma questo progetto sarà molto dispendioso e la costruzione dell’acquedotto per Trapani potrebbe determinare grossi inconvenienti anche per le finanze dello Stato. Per il solo acquedotto di Trapani sono preventivati 290 milioni di lire per dare alla città 60 litri di acqua al secondo. Viceversa, utilizzando l’acquedotto di Montescuro Ovest, la città di Trapani potrebbe essere ugualmente rifornita con una lieve diminuzione a 55 litri al secondo. Si tratta di un acquedotto che può convogliare una massa importante di acqua e può dare una fornitura di litri 168 al secondo, pari a 14.428 litri sulle 48 ore.

È, dunque, assolutamente necessario che il Ministero dei lavori pubblici insista presso il Ministero del tesoro perché lo stanziamento sia portato alla somma di 900 milioni di lire precedentemente chiesta e appena sufficiente, altrimenti il problema non sarà risoluto o sarà risoluto in modo molto parziale, imperfetto e fors’anche dannoso.

Sono quindi assolutamente insoddisfatto della risposta del Governo.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per le urgenti opere di riparazione e di ricostruzione del porto di Messina, che richiede altresì importanti impianti ed attrezzature per potere assolvere il suo precipuo compito di centro dell’attività marittima e mercantile del Mediterraneo, anche ai fini dell’indispensabile creazione della zona franca».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Per la parziale ricostruzione del porto di Messina è stato compilato ed approvato tecnicamente un progetto di massima che prevede una spesa di lire 500 milioni.

L’attività svolta in attuazione di tale progetto si riassume come appresso:

1°) lavori appaltati e già eseguiti: lire 48.375.000;

2°) lavori appaltati ed in corso di esecuzione: 76.312.000 lire;

3°) lavori da appaltarsi subito, perizie in corso di approvazione: 88.800.000 lire;

4°) progetti in corso di redazione da appaltarsi ed iniziarsi nei prossimi mesi: 342.000.000. – Totale: 555.487.000 lire.

Per quanto concerne la creazione della zona franca, è in via di costituzione una Commissione di rappresentanti di tutti i Ministeri interessati, che dovrà studiare il modo di eliminare le difficoltà di ordine vario che ostacolano la istituzione di detta zona franca.

Desidero poi far presente all’onorevole interrogante che la insinuazione cui ha accennato, nella precedente interrogazione, circa gli stanziamenti per la zona del Nord non ha nessun fondamento e che l’onorevole collega potrà prendere visione negli uffici competenti del Ministero dei lavori pubblici come gli stanziamenti effettuati per la zona Sud, ed in modo particolare per la Sicilia, sono notevolmente superiori. Dirò anzi che nel precedente Governo il Ministro Romita non ha fatto nessun stanziamento, neanche per una lira, per intere regioni dell’Italia settentrionale.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FINOCCHIARO APRILE. Sono insodisfatto, assolutamente insodisfatto, completamente insoddisfatto (Commenti) della risposta data dal Governo alla mia interrogazione.

Il porto di Messina, nella economia marittima siciliana e mediterranea, rappresenta qualche cosa di veramente importante. Il porto di Messina e la stessa città di Messina sono fra i più danneggiati che vi siano stati in Sicilia e altrove. Messina ha avuto, niente di meno, che il 96 per cento dei fabbricati colpiti e danneggiati dai bombardamenti e il porto di Messina è in gran parte distrutto. È un gran porto, necessario ai traffici dell’Isola e a quelli internazionali. Le riparazioni, le ricostruzioni, gli ampliamenti, i nuovi impianti e le attrezzature moderne sono un’assoluta, urgente ed inderogabile necessità.

Gli stanziamenti, di cui ha parlato il Sottosegretario di Stato, sono del tutto insufficienti. Nell’elenco che il Sottosegretario ha fatto sono compresi anche i progetti che dovranno essere approvati. Le somme effettivamente spese sinora ascendono appena a poche diecine di milioni di lire!

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Cinquecento milioni.

FINOCCHIARO APRILE. Stanziati, ma non spesi! Voi non fate nulla con questi stanziamenti! Se si fosse trattato di parecchie centinaia di milioni di lire effettivamente spese, potrei dichiararmi sodisfatto: oggi assolutamente no!

In quanto alla creazione della zona franca, quel che ha detto il Sottosegretario di Stato non può certo appagarmi. Le difficoltà non possono essere che nella volontà del Governo. La zona franca è indispensabile a Messina ed io confido che noi siciliani riusciremo, come è nostro diritto, ad ottenerla.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Desidero fare presente all’onorevole interrogante e all’Assemblea che è in corso di controfirma un decreto legislativo che autorizza per opere pubbliche in Sicilia la spesa di otto miliardi, che sarà ripartita d’accordo con l’Alto Commissario per la Sicilia stessa.

FINOCCHIARO APRILE. Lo sapevamo. (Commenti). Ma gli otto miliardi di lire bisognerà spenderli effettivamente, non lasciarli segnati sulla carta. Che valore ha uno stanziamento di otto o di cento miliardi di lire, quando l’onorevole Romita dice che non ha un soldo? (Commenti).

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Inoltre con decreto legislativo 2 gennaio 1947, n. 2, relativo alla costituzione e all’ordinamento dell’Ente siciliano di elettricità, è stato concesso un contributo statale di 31 miliardi e 795 milioni, che sarà ripartito in dieci esercizi, dal 1946-47 al 1955-56, ed è stata autorizzata la spesa di un miliardo per l’esercizio 1946-47 per impianti idrici o termici di produzione e distribuzione di energia elettrica che saranno costruiti o acquistati dall’Ente predetto.

Questo ho voluto dire per evitare manifestazioni demagogiche che non hanno nessun fondamento. (Vivi applausi al centro).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Laconi, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se sia esatto che egli considera decaduti i decreti di requisizione di terre incolte disposti con provvedimenti dell’ottobre 1944 dal prefetto di Sassari e successivamente prorogati per l’annata 1945-46, e che ha disposto per l’attribuzione delle stoppie ai proprietari. E per conoscere, altresì, se non ritenga opportuno devolvere il riesame di tutto il complesso delle assegnazioni alle apposite Commissioni, le quali potrebbero decidere caso per caso, su istanza della parte interessata, sentita l’altra parte e nello spirito delle ultime disposizioni, che prolungano a nove anni il periodo della concessione».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Ritengo che la questione sia superata nel tempo, perché le concessioni di terre effettuate nell’ottobre 1944 in base all’articolo 19 della legge comunale e provinciale, ebbero la durata di soli due anni. In massima parte esse non furono rinnovate per accordi presi fra le parti. In qualche altro caso, quando le cooperative insistettero perché la concessione fosse prorogata, si è raggiunta una intesa.

Non mi consta che vi siano stati casi di ulteriori discussioni. Forse l’interrogazione dell’onorevole Laconi si riferisce ad un periodo precedente ai provvedimenti da me presi per risolvere la questione.

Ad ogni modo, se vi fossero casi individuali, pregherei l’onorevole Laconi di indicarmeli, per vedere esattamente a che cosa si riferiscono.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LACONI. Convengo con l’onorevole Ministro che la questione è ormai superata nel tempo. L’interrogazione si riferiva infatti ad una procedura che non ha avuto di fatto quella efficacia che sarebbe stata rispondente alle esigenze di quel determinato periodo.

Poiché dunque la questione è superata nel tempo, non posso che dichiararmi sodisfatto.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Laconi al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se sia esatto che il decreto legislativo luogotenenziale 13 settembre 1945, n. 593, che disponeva speciali provvidenze a favore degli agricoltori sardi danneggiati nel 1945 dalla siccità e dalle cavallette, non ha avuto applicazione per il mancato stanziamento dei fondi occorrenti preventivati in circa 350 milioni di lire, e per l’insufficiente assegnazione di cotonate. E per sapere anche se intenda disporre le misure necessarie per dar pratica attuazione al succitato decreto, venendo così incontro alla giusta aspettazione degli agricoltori sardi».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. I 350 milioni di cui al decreto 13 settembre 1945, n. 593, furono effettivamente stanziati con qualche ritardo da parte del Ministero del tesoro. In ogni modo, allo stato attuale, i primi 200 milioni sono stati già stanziati nel bilancio del Ministero dell’agricoltura per il corrente anno e sono in erogazione. Abbiamo l’assicurazione del Tesoro che i successivi stanziamenti avverranno non appena possibile.

I primi acconti sono stati inviati all’Alto Commissariato per la Sardegna, per modo che le distribuzioni sono state iniziate. Le cotonate sono state integralmente distribuite.

Forse anche qui lo stato cui si riferiva l’onorevole interrogante è stato superato successivamente dal tempo, poiché vi è stato adempimento sia per il finanziamento, che per la distribuzione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LACONI. Convengo col Ministro che lo stato cui si riferiva la mia interrogazione è parzialmente superato. E per quanto convenga anche nel fatto che la responsabilità non è unicamente del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, ma è condivisa dal Ministro del tesoro, non posso dichiararmi sodisfatto della risposta.

Le calamità riversatesi sulla Sardegna nell’estate del 1945 furono di tale entità ed investirono una tale massa di popolazione, da potersi considerare calamità nazionali.

Ed è per questa ragione ed anche per le esigenze particolari, che queste masse di agricoltori avevano, che ritengo che i soccorsi stanziati dal Governo avrebbero dovuto essere distribuiti direttamente alle popolazioni con sollecitudine molto maggiore.

Allo stato attuale – siamo nel 1947 – non posso ancora dire che i fondi stanziati siano entrati in distribuzione regolare e l’esigenza possa dirsi minimamente soddisfatta.

Per questo, nel dichiararmi insoddisfatto della risposta dell’onorevole Ministro, prego i Ministri del tesoro e dell’agricoltura ed il Governo di provvedere, in modo che nelle masse agricole della Sardegna si ristabilisca la fiducia che quando il Governo delibera uno stanziamento o una provvidenza nei loro confronti, questa provvidenza entri rapidamente in attuazione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Romano, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere per quale motivo non si provvede alla classificazione come strada statale della strada Pirato-Catania, via Stazione Raddusa, con il n. 121-bis, e ciò in considerazione della sua particolare importanza a norma del decreto-legge 15 novembre 1923, n. 2506. Detta strada, mantenuta per il breve percorso di 78 (settantotto) chilometri da quattro enti diversi, è in istato di abbandono, mentre è l’arteria che per il suo tracciato altimetrico, senza dislivelli, meglio congiungerebbe al porto di Catania le due provincie più interne della Sicilia, cioè Caltanissetta ed Enna, con un percorso minore di ventiquattro chilometri rispetto alla strada che passa per Pirato, Leonforte, Agira, Regalbuto, Adrano, Biancavilla, Paternò e Misterbianco, strada con dislivelli notevoli, che variano dai trecento ai novecento metri».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Premesso che la detta strada proposta non fu mai statale, né risulta mai presa in esame agli effetti della classificazione in tale categoria, e rilevato che la classificazione stessa non potrà aver luogo, eventualmente, se non con la contemporanea declassificazione della rete statale del citato differente percorso ora incluso nella strada statale n. 121, sono state impartite istruzioni al Compartimento della viabilità di Palermo perché provveda alla necessaria istruttoria tecnica in ordine alla detta sostituzione di tracciato della strada statale n. 121 tra Pirato e Catania, tenendo presente che è già intendimento dell’A.N.A.S. di migliorare il tracciato stesso in corrispondenza di Adrano, e precisamente tra il Ponte Maccarone (sul fiume Simeto), e Paternò, sostituendo ivi all’attuale tratto di detto tracciato, passante per Adrano-Biancavilla-S. Maria di Licodia, quello ora provinciale allacciante direttamente gli indicati due estremi.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROMANO. Non posso dichiararmi completamente sodisfatto, giacché l’interrogazione investe interessi notevoli della Sicilia, in quanto la strada Pirato-Catania è l’unica strada che unisce direttamente il centro dell’isola col porto di Catania. Per recarsi dal centro dell’isola al porto di Catania si è costretti ad utilizzare la strada che passa per Enna e Leonforte, toccando i seguenti paesi Leonforte, Agira, Regalbuto, Adrano, Biancavilla, Paternò e Misterbianco, cioè si fa un circolo vizioso e si percorrono 24 chilometri di più. Invece, rendendo statale la strada che unisce Pirato con Catania – strada pianeggiante – si accorcerebbe il percorso di 24 chilometri e si eviterebbero dislivelli che variano dai 300 ai 900 metri. Si tratta di una strada necessaria, che servirebbe anche a scopi di polizia, giacché in questi 78 chilometri di strada tra Pirato e Catania, non viene toccato alcun villaggio, ma si attraversa quella zona dove imperversano le famose bande armate. Questa strada sarebbe utile non solo dal punto di vista commerciale, ma anche dal punto di vista sociale ed agricolo.

Quindi, io penso che rendendo statali questi quattro tronchi che dipendono da quattro enti diversi, si farebbe opera utile per tutta l’isola, in quanto i centri di Caltanissetta ed Enna, e tutti i centri dell’isola, sarebbero messi in comunicazione diretta, attraverso questa nuova grande arteria pianeggiante, col porto di Catania, che così riceverebbe l’afflusso da tutto l’interno.

Chiedo, pertanto, che si venga incontro a questi bisogni impellenti della Sicilia.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguitò della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri».

Onorevoli colleghi, desidero far presente che gli iscritti a parlare sono ancora 65. (Commenti). Propongo, perciò, che l’inizio delle sedute sia anticipato da domani alle ore 15, e che i lavori proseguano fino alle ore 20. Fino a tale ora nessun oratore potrà rifiutarsi di parlare.

È necessario che da parte degli oratori sia osservata una certa sobrietà nella discussione. Si era fatta la proposta alla Presidenza di ridurre a venti minuti il tempo di ogni intervento; ma non si ritiene opportuno accettarla, perché la discussione deve essere liberissima e completa.

Peraltro la Presidenza prega gli onorevoli Deputati di ridurre i loro interventi al puro necessario. Sarebbe inoltre opportuno che durante la discussione sulle dichiarazioni del Governo, fosse sospeso lo svolgimento delle interrogazioni.

Se non vi sono osservazioni in contrario, così rimarrà stabilito.

(Così rimane stabilito).

È iscritto a parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Onorevoli colleghi, la discussione sulle dichiarazioni del Governo ha rapidamente superato i termini del programma esposto dal Presidente del Consiglio, involgendo nel dibattito problemi politici fondamentali per la vita del nostro Paese.

Era naturale, direi quasi inevitabile, che così avvenisse, per la natura stessa della crisi dalla quale è uscito il nuovo Governo.

Per la prima volta in questa crisi è stata posta in discussione la formula politica del Governo; ad un certo momento pareva persino possibile una soluzione non troppo corrispondente a quella che è stata la chiara manifestazione dell’orientamento politico del popolo italiano nelle più recenti elezioni amministrative, soluzione che proprio per questo non so fino a qual punto sarebbe stata rispettosa di un vero costume democratico.

Elementi di questo genere sono rivelatori della situazione di incertezza e di instabilità della situazione politica del nostro Paese e fanno chiedere a molti: Che cosa sarà la nuova democrazia italiana? Sarà essa un regime politico che consentirà al popolo lavoratore di muoversi liberamente, di elevarsi e progredire senza urtare contro limiti assurdi che gli sbarrano la via? Sarà essa un regime capace di porre radici profonde e sicure nella coscienza dei lavoratori, aprendo ad essi tutte le vie del progresso e dell’avvenire, o non piuttosto si erigerà di fronte ad essi, come spesse volte in passato, ostile e diffidente, sempre pronta ad opporre resistenza ad ogni loro passo in avanti?

È questo l’interrogativo che risorge costantemente dinanzi a noi: in esso si racchiude il segreto del nostro avvenire. Direi di più: se volgiamo lo sguardo fuori del nostro Paese, vediamo che questo problema, in forme diverse e secondo le tradizioni proprie di ciascun Paese, agita la vita politica di tutti i Paesi democratici. È il problema del periodo storico che noi viviamo ed a cui ha dato inizio la seconda guerra mondiale con la distruzione del fascismo e del nazismo.

Ora, è alla luce di queste esigenze che bisogna considerare la formula politica del Governo.

Bisogna elevare tale problema dal piano della cronaca a quello della storia, per intenderlo in tutto il suo significato. E non pare a me che le considerazioni svolte giorni or sono dall’onorevole Vito Reale abbiano tenuta presente questa esigenza, poiché non è vero che fra i comunisti e i democratici cristiani si ponga oggi preminente e prevalente un problema di contrasto di ideologie. Oggi c’è nel nostro Paese l’esigenza di affrontare i problemi concreti della nostra ricostruzione e su questi problemi concreti – non se lo abbiano a male i democristiani – vi sono meno differenze fra democristiani e comunisti che non fra democristiani e liberali.

Non sono neppur vere le considerazioni svolte ieri dall’onorevole Labriola, il cui discorso ha fatto a me l’impressione che una realtà storica nuova la si giudichi attraverso schemi mentali che rispecchiano una realtà storica superata e così non si riesca a comprenderne il vero valore e significato.

Oggi, signori, a mio giudizio, i termini della lotta politica in Italia si pongono molto chiari: coloro che hanno tentato di spezzare la formula politica che è alla base del nuovo Governo sono espressione di forze politiche e sociali che, come certi dannati di Dante, hanno il collo ritorto e lo sguardo sempre rivolto al passato e, di fronte ad essi, stanno partiti e correnti politiche che esprimono e riflettono l’impulso che viene dalle grandi masse lavoratrici, l’impulso che viene dalla nuova coscienza nazionale che la storia ha forgiato a prezzo di sangue. Questo impulso supera il passato, non solo fascista ma anche prefascista, e ci addita le vie nuove della rinascita nazionale. Questa è la realtà che uomini e partiti politici oggi dovrebbero comprendere e non mi pare che a tale comprensione abbia corrisposto, ad esempio, l’onorevole Corbino, quando, ponendo a noi comunisti il quesito di che cosa significava la nostra opposizione ad un Governo puramente democratico-cristiano, attraverso un artificioso sillogismo, arrivava alla conclusione: dittatura, guerra civile. È il solito spauracchio, il solito fantasma che si agita dinanzi al popolo italiano per nascondere la vera realtà.

Una voce a destra. Non è vero!

SCOCCIMARRO. La nostra opposizione ad un tale Governo sarebbe stata inflessibile, perché con quella soluzione non si sarebbero superati i motivi che hanno tormentato i precedenti Governi: essa li avrebbe forse mascherati, limitati, ma certamente aggravati, proiettandoli nel Paese e suscitando reazioni e ripercussioni così profonde, da divenire veramente pericolosa per influenze che avrebbe avuto sullo sviluppo della situazione politica italiana. Quali sono questi motivi? Si è detto che questa crisi era necessaria per costituire un Governo più unito, più solidale e più efficiente. Ora, mi si permettano alcune osservazioni ed impressioni. Le misure adottate per raggiungere questo scopo mi lasciano alquanto perplesso, perché mi pare siano insufficienti, se non saranno integrate da elementi nuovi. L’unità del Governo? Ma l’unità del Governo dipende in primo luogo dalla direzione politica del Governo. E poi bisogna arrivare a superare l’anacronismo di forze politiche che collaborano al Governo e non collaborano nel paese. (Commenti al centro). Questa è una verità. Considerate, amici democristiani, a chi ne risale la responsabilità, specialmente in certe regioni. (Commenti). Noi potremo anche fare un dibattito su questo punto; per ora io constato dei fatti (Interruzioni) obiettivi: io constato, per esempio, che sulla questione dei fatti dell’Emilia, mentre noi al Governo, d’accordo, facevamo una inchiesta per appurare la verità, voi, amici democristiani, non avete accolto l’invito dei socialisti e dei comunisti del luogo per lavorare insieme sul posto alla ricerca della verità. (Commenti).

Una voce. Qual è la verità? Ne riparleremo.

SCOCCIMARRO. Bisogna poi, per realizzare l’unità del Governo, che non vi sia alcun settore dell’apparato dello Stato che operi contro un partito al Governo, cosa che qualche volta è avvenuta. Io non dico questo per fare della critica, ma per richiamare l’attenzione su alcuni inconvenienti che hanno turbato la vita del passato Governo e per proporci di evitare che si ripetano nel nuovo Governo. Ci vuole una maggiore solidarietà, è giusto; ma, signori, la solidarietà non è un atto formale, essa ha per presupposto un programma e solo nel quadro di quel programma si ha il diritto di esigere la solidarietà di tutti i partiti al Governo.

Io riconosco che un programma di Governo, specialmente oggi, abbisogna di una certa elasticità per potersi adeguare alla sempre mutevole realtà; ma vi sono limiti oltre i quali i partiti che hanno responsabilità di Governo non possono superare, ciascuno per proprio conto, senza venire a preventivi accordi con gli altri partiti.

E poi, l’efficienza operativa del Governo. Sia consentito a me, dopo una esperienza di più di due anni di attività governativa, di ricordare che, se è vero che questi elementi influiscono sull’efficienza operativa del Governo, tuttavia la ragione vera della relativa inefficienza del Governo deriva in gran parte dalla particolare situazione che si è creata nell’apparato amministrativo dello Stato. In taluni settori della pubblica amministrazione oggi c’è uno stato d’animo che si potrebbe chiamare di doppio giuoco; vi è cioè una tale incertezza, una tale preoccupazione, anche verso il regime democratico, da far pensare a taluno che: «non si sa mai; è bene non compromettersi troppo anche con la Repubblica e con la democrazia». Ora, da che cosa dipende questo stato d’animo? Dalla direzione politica del Governo, il quale, quando si trova di fronte a certi episodi, come quello di un altissimo magistrato che mancava di rispetto al Capo Provvisorio dello Stato (Applausi a sinistra), ha il dovere di intervenire subito, per dissipare eventuali illusioni o malinconiche nostalgie di un passato che non può più ritornare.

Il Governo aveva deciso unanime di intervenire in questo caso, e solo l’assenza del Presidente del Consiglio, per deferenza verso la sua persona, ci ha indotti ad attendere il suo ritorno. Ma il suo ritorno ci ha portato la crisi. Noi attendiamo dal nuovo Governo un provvedimento adeguato. D’altra parte, tutti i funzionarî dello Stato devono poter contare sul pieno appoggio del Governo, devono essere assicurati che nessuna rappresaglia sarà mai esercitata contro di loro, e non si ripeterà lo sconcio di funzionarî onesti i quali, per avere operato negli organi dell’epurazione, sono oggi soggetti a rappresaglie. L’efficienza operativa del Governo, signori, dipende in grande misura da un mutamento psicologico-spirituale dell’apparato amministrativo dello Stato. Io ricordo quante volte, in seno al Consiglio dei Ministri, di fronte a situazioni obbiettive che esigevano provvedimenti urgenti su cui tutto il Governo era d’accordo, molte volte dovevamo constatare, in tono sconsolato, che non si poteva fare quanto ritenevamo necessario, perché gli strumenti dell’Amministrazione dello Stato non rispondevano con la energia che sarebbe stata necessaria. Bisogna infondere negli organi dell’Amministrazione, del Governo, una energia e uno spirito nuovi: solo così il tono dell’azione del Governo si eleverà e le sue decisioni non saranno più, come nel passato, soltanto una possibilità.

Vorrei ora, richiamare l’attenzione su un altro aspetto del problema. Si è dimenticato un fatto essenziale: i Governi che abbiamo avuto dalla liberazione in poi, e che abbiamo ancora oggi, non esercitano soltanto il potere esecutivo, ma anche il potere legislativo. Questo significa che i dibattiti che dovrebbero avvenire nell’Assemblea legislativa, avvengono invece nel Governo e in esso i partiti prendono posizione ed è naturale che, quando c’è diversità di giudizio e di atteggiamento, questo si faccia conoscere fuori. È una esigenza, direi, caratteristica di questi Governi, che non esisterebbe, quando avessimo istituzioni democratiche normali funzionanti nel nostro Paese. Non è da meravigliarsi che i partiti sentano il bisogno di far conoscere al Paese le ragioni per le quali hanno approvato o non approvato un certo provvedimento di Governo. Questa è la conseguenza della duplice funzione che oggi ha il Governo e che assorbe anche quella della Camera legislativa.

Queste sono le considerazioni che volevo svolgere in ordine alla crisi. Vorrei raccomandare al Presidente del Consiglio che nell’azione e nel metodo di direzione del Governo tenesse presente queste considerazioni. Se così sarà, allora io penso che questo Governo segnerà un passo avanti rispetto a quello che lo ha preceduto.

E vengo al tema che particolarmente mi interessa: alla politica finanziaria ed alla nostra attuale situazione finanziaria. Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio in questa materia sono state di una tale sobrietà, direi di una tale concisione, che è molto difficile discuterle. È molto difficile, per esempio, discutere l’affermazione che è proposito del Governo aumentare le entrate e diminuire le spese, perché, in verità, non so quale Governo si presenterebbe dinanzi a questa Assemblea per sostenere che bisogna aumentare le spese e diminuire le entrate. Si è accennato alla imposta straordinaria sul patrimonio. Però si sa che tale imposta può esser diversamente concepita e congegnata: stando alle dichiarazioni del Presidente, non sappiamo con quali principî sarà varata la legge relativa.

Si è accennato a problemi di aliquote e di imponibili. Nulla di nuovo rispetto a tutto ciò che si sta facendo in Italia da un anno. Ma noi avremmo sentito volentieri dal Governo una parola precisa sul problema non di aliquote e minimi imponibili, ma sul problema sostanziale dei tributi che colpiscono i redditi di puro lavoro. Il Presidente del Consiglio avrebbe avuto oggi la possibilità di accennare a questa Assemblea le linee generali di un piano finanziario, per il quale in questi ultimi tempi sono maturate tutte le condizioni necessarie.

Ed allora posso dire io qualche cosa a questo proposito. È stato osservato che l’onorevole Corbino quando è al Governo si dimostra estremamente ottimista – e tutti ricordano le caustiche ed acute osservazioni dell’onorevole Nitti – ma quando poi esce dal Governo diventa estremamente pessimista. In verità, l’ottimismo di allora è altrettanto esagerato quanto il pessimismo di oggi. Io personalmente non sono oggi più ottimista o più pessimista di ieri; ma per le cose che dirò credo si possa affermare che le realizzazioni raggiunte ci permettono di guardare con grande fiducia verso l’avvenire.

Io credo – e cercherò di dimostrarlo – che l’anno 1947 sarà per il nostro Paese l’anno del risanamento finanziario. Ed è in vista di questo obiettivo che la decisione presa in merito alla unificazione dei Ministeri finanziari, per taluni aspetti mi lascia un po’ perplesso, perché io penso che il problema vero è quello di un’effettiva direzione unitaria di tutta la politica economica e finanziaria. Ed allora, dal punto di vista organizzativo, il problema non sta nei rapporti fra Ministero delle finanze e del tesoro, ma nel Comitato interministeriale della ricostruzione. È nel C.I.R. che sta il segreto della soluzione di questo problema, è lì che bisogna riorganizzare, perché l’esperienza ci ha dimostrato che, nonostante la intelligente attività data dal Ministro Campilli in questo campo, si può ancora perfezionare l’organizzazione di questo strumento dell’azione del Governo. Per quanto riguarda i due dicasteri finanziari dirò una cosa che forse sorprenderà molti: non è vero che vi sia stata azione del Ministero delle finanze contro il Ministero del tesoro e viceversa, che vi sia stata polemica permanente nell’attività quotidiana, come nel corso della crisi ha accennato l’onorevole De Gasperi. La verità è questa: quando l’onorevole Corbino era al Governo, abbiamo avuto con lui delle discussioni serie e vivaci in seno al Consiglio dei Ministri; ma una volta presa una decisione nel Consiglio – è bene non dimenticarlo – noi ci siamo adattati pur non essendo concordi e vi abbiamo collaborato lealmente, come lo stesso onorevole Corbino ha dichiarato in questa Assemblea.

La verità in questo campo è un’altra: è che di fronte a determinate decisioni del Governo – come mi propongo di dimostrare in seguito – vi sono state decisioni che avrebbero dovuto realizzarsi e non si sono realizzate. E se noi ci domandiamo il perché, nessuno saprebbe dare una risposta seria a questa domanda.

Ora, signori, vediamo che cosa è avvenuto nell’Amministrazione finanziaria dello Stato in quest’ultimo anno. All’indomani della liberazione, l’Amministrazione finanziaria dello Stato si trovava in una situazione di disgregazione e di caos, che spesse volte ci ha fatto vedere davanti il baratro nel quale potevano precipitare le finanze dello Stato: numerosi uffici distrutti, danneggiati e perfino occupati dagli alleati; una notevole quantità di documenti e di atti di accertamento dispersi e scomparsi; il personale dell’Amministrazione finanziaria ridotto dalla guerra al 25 per cento; un’altra grande quantità di funzionari in uno stato di sbandamento e di demoralizzazione; gli organi tributari paralizzati ed inefficienti. Ancora: durante il periodo della occupazione tedesca e del fascismo uno degli strumenti di lotta era stato lo sciopero fiscale. Ora, allo sciopero fiscale ci si era un po’ troppo abituati, ed è continuato a liberazione avvenuta per forza d’inerzia.

Inoltre, per molti mesi tutte le provincie del Nord sono rimaste sotto il Governo militare alleato, il che non consentiva all’Amministrazione centrale un intervento riorganizzativo.

Non bisogna poi dimenticare il disordine economico, la svalutazione monetaria ed il processo di redistribuzione violento della ricchezza avvenuto nel nostro Paese, per cui tutto l’apparato fiscale si è trovato all’improvviso di fronte a situazioni reddituali distrutte ed alla creazione di redditi nuovi sconosciuti agli organi tributari. Era un apparato che girava a vuoto.

Io ricordo una lettera del Conte Sforza, il quale, recatosi un giorno in Apuania, ha assistito ad un episodio di questo genere: della povera gente che ritorna dallo sfollamento e trova la sua casetta distrutta o devastata, e si vede avvicinare come prima persona l’agente del fisco con la bolletta delle tasse. Ed il Conte Sforza ha scritto a me una lettera in cui esprimeva tutta l’angoscia e la pessima impressione che questo fatto aveva provocato, e mi pregava di intervenire e trattenere un po’ l’eccessivo zelo di certi funzionari.

Bisogna tener presente un altro fatto: le nuove situazioni createsi nel Nord in conseguenza della legislazione fiscale della ex repubblica fascista. E poi tutta la legislazione fiscale che aveva perso ogni contatto ed aderenza con la realtà.

Bilancio di questa situazione: le entrate 1945-46 previste in 133 miliardi.

Quale opera si è svolta in poco più di un anno? Gli uffici sono ricostituiti e rimessi a posto, anche se non in piena efficienza. Ve ne sono ancora 46 che attendono gli ultimi lavori di riattamento e che gli alleati sgomberino. Tutti gli atti di accertamento distrutti e dispersi sono stati faticosamente ricostituiti impiegando in tale lavoro un gran numero di funzionari. Ai vuoti dell’Amministrazione finanziaria si è provveduto con numerosi concorsi e nei prossimi giorni, forse nelle prossime settimane, tremila nuove unità entreranno nell’Amministrazione finanziaria: unità tecnicamente selezionate con concorsi per esami.

È stato anche predisposto un provvedimento speciale per gli avventizi che, se attuato, permetterà al Ministero delle finanze di rimettere a posto gli organi finanziari come non lo sono mai stati dalla liberazione in poi.

Inoltre, o signori, si è ripreso il contatto con il contribuente: opera molto più difficile di quello che non si creda; si è unificata la legislazione tributaria in tutto il Paese e soprattutto si è investito tutto il sistema tributario italiano il quale è stato ricostituito con nuove leggi per adeguarlo alla realtà attuale.

Gli ultimi due provvedimenti che non si è fatto a tempo a varare per l’avvenuta crisi, e che sono sul banco del nuovo Ministro, sono: la riforma della imposta di ricchezza mobile e la riforma dell’imposta sui terreni; dopo questi provvedimenti non c’è settore dell’Amministrazione tributaria che non sia stato ritoccato da una attività legislativa che ha rimesso il sistema dei nostri tributi in rapporto ai reali redditi e valori patrimoniali. Ora, qual è la risultante di questo lavoro?

Permettetemi di darvi qualche cifra: anno 1945-46: entrate 133 miliardi; anno 1946-47: entrate previste 140 miliardi, effettive, quasi certe, da 280 a 300 miliardi; bilancio di previsione per il 1947-48, elaborato poche settimane or sono, proprio negli ultimi giorni di mia presenza al Ministero: entrate previste 404 miliardi.

Ora, se voi ponete in serie queste cifre, avete l’indice di quello che è stato il lavoro di ricostruzione fatto dall’Amministrazione finanziaria dello Stato. Ma ciò che interessa, più di queste cifre, è vedere il ritmo col quale le entrate sono aumentate:

primo trimestre 1945-46: entrate mensili 6 miliardi;

secondo trimestre 1945-46: entrate mensili 10 miliardi;

terzo trimestre 1945-46: entrate mensili 12 miliardi;

quarto trimestre 1945-46: entrate mensili 16 miliardi.

Esercizio 1945-46:

mese di luglio: 16 miliardi e mezzo;

mese di agosto: 18 miliardi;

mese di ottobre: 22 miliardi;

mese di novembre: 25 miliardi.

Voi vedete in questa tendenza la caratteristica dello sviluppo della situazione finanziaria, dell’attività dell’Amministrazione finanziaria. Ma bisogna tener presente quale è stato il fattore principale di questo aumento. Non sono le nuove leggi, perché solo poche di queste leggi hanno avuto effetto immediato, ed avranno effetto dal gennaio 1947 in poi.

Una voce al centro. Sono gli accertamenti che mancavano.

SCOCCIMARRO. La causa vera dell’aumento è in parte la ripresa economica del Paese, ma in maggiore parte la ripresa dell’attività degli organi tributari dello Stato, e se qualcuno domandasse, se non si poteva fare più rapidamente, rispondo che fin dal 1945 è stata disposta e condotta innanzi la revisione straordinaria degli accertamenti per l’imposta di ricchezza mobile e sarà ultimata solo fra pochi mesi. Si sono dovuti avvicinare 600.000 contribuenti. E poiché devo dire che i risultati di questa revisione straordinaria non sono sodisfacenti, noi, nella riforma della legge, vi abbiamo già provveduto con adatte misure. Per adeguare l’imposta sui fondi rustici nel 1946, si sono mobilitati 800 tecnici, ingegneri e periti che hanno girato tutta Italia, non per una revisione degli estimi, che oggi è impossibile, ma per aggiornare, sia pure con coefficienti medii, i dati obbiettivi per una legislazione consapevole delle condizioni obiettive e dei suoi limiti.

Nel frattempo si è provveduto con revisioni automatiche e si sono rapidamente messe in atto tutte le risorse che la tecnica finanziaria poteva suggerire. Ma il risultato di questa opera si riavrà nell’anno 1947, quando i nuovi accertamenti, i nuovi ruoli, i nuovi dati di cui l’Amministrazione finanziaria oggi è in possesso, permetteranno di adeguare le entrate a quello che deve essere il ritmo normale.

Si pone la questione: la cifra di 400 miliardi è l’ultimo limite? Io non credo. Penso che già nell’esercizio 1947-48 questo limite sarà superato, perché nelle previsioni, ad esempio, per il monopolio dei tabacchi, abbiamo inscritto in bilancio la cifra di 70 miliardi, mentre la Direzione generale ci dava la previsione di 80 miliardi di entrate. Abbiamo voluto essere prudenti, ma nel margine che è lasciato da questa prudenza c’è la possibilità di superare quel limite.

Non bisogna dimenticare che c’è un dato molto concreto che ci avverte dei limiti a cui possono giungere le entrate ordinarie. C’è una correlazione quasi sempre stabile fra circolazione monetaria ed entrata ordinaria dello Stato. Dopo la passata guerra si aveva una circolazione di poco più di 20 miliardi e un’entrata di 25 miliardi. Oggi abbiamo una circolazione di 450-460 miliardi. Io penso che questo sarà il limite normale. Ma è certo che se noi daremo alla ripresa economica del nostro Paese l’impulso che dobbiamo dare, la cifra di 500 miliardi non sarà esagerata come previsione normale delle nostre entrate tributarie.

Con quale politica abbiamo noi realizzato questi risultati?

Signori, io richiamo la vostra attenzione brevemente sull’analisi della struttura del nostro bilancio.

Le entrate nel bilancio sono così distribuite: 93 miliardi di imposte dirette; 159 miliardi per tasse e imposte sullo scambio della ricchezza; 60 miliardi per imposte di consumo e fabbricati; 70 miliardi per i monopoli; 22 miliardi per entrate diverse.

Se voi analizzate queste cifre, constatate che nelle imposte dirette, e precisamente nell’imposta di ricchezza mobile, il maggior contributo viene dalle imposte sui redditi di lavoro.

Se prendete il bilancio nel suo complesso, trovate che la maggiore entrata viene dalle imposte indirette sui consumi, imposte di fabbricazione, ed altre analoghe.

Questa struttura antidemocratica ha sorpreso persino gli americani e gli inglesi, che si stupivano che nel nostro Paese esistesse ancora un simile sistema tributario.

In quest’anno non abbiamo potuto capovolgere questa realtà, perché questo sarà il compito della futura Camera legislativa, che dovrà realizzare la riforma tributaria. Ma abbiamo cercato di attenuare, di togliere le asprezze maggiori e tutta una serie di provvedimenti è stata destinata ad attenuare la pressione fiscale per i piccoli affittuari, per i piccoli esercenti, per i piccoli contadini, per la piccola economia montana e via via. Tutta questa serie di provvedimenti tendeva ad evitare che la incidenza sulle parti povere della popolazione italiana rimanesse quella che era prima. Questo obiettivo hanno le riforme dell’imposta sull’entrata e le altre studiate per la imposta di ricchezza mobile. Si tende a sgravare i redditi di puro lavoro che sono assolutamente necessari per i bisogni elementari della vita.

Voglio richiamare l’attenzione del Governo su un dato che dev’essere ben conosciuto da questa Assemblea.

Il provvedimento che ha dinanzi a sé il Ministro Campilli porta per la ricchezza mobile un elevamento del minimo imponibile a 240 mila lire l’anno.

In questa cifra comprendiamo quasi tutti gli operai e gli impiegati medi. Ma – badate! – questa cifra rimane ancora al disotto di quello che era il limite di esenzione, che il legislatore aveva posto per questi redditi nel 1864.

La cifra allora era di 800 lire l’anno; ma i prezzi oggi, rispetto a quelli del 1864, sono aumentati molto di più di 300 volte.

Alla fine del secolo scorso, un ministro liberale, moderato, fissava che i redditi di lavoro dovevano essere esenti da ogni imposta fino al limite di lire 3,50 il giorno; se moltiplicate 3,50 per 300, constatate subito che noi dovremmo oggi esentare non i redditi che arrivano a 240 mila lire, ma anche quelli che superano le 360 mila lire l’anno, solo per fare la politica moderata dei governi della destra storica in Italia.

Ma oggi vi sono perplessità.

Dico che, quando si ha un bilancio di previsione, nel quale le entrate superano le spese ordinarie – come dimostrerò poi – questo problema deve essere affrontato e risolto. (Interruzioni).

E dirò di più. Nelle dichiarazioni del Governo – e me ne dispiace – non è stato accennato ad un problema, che ritengo non si possa più rinviare in Italia. Non lo abbiamo ancora risolto, perché la situazione di bilancio era quella che era; ma lo dobbiamo e lo possiamo affrontare e risolvere oggi.

Parlo del problema dei pensionati. Le pensioni per la vecchiaia in Italia costituiscono una vergogna per il nostro Paese. (Commenti).

Non è lecito che un uomo, dopo aver servito lo Stato per 40 anni, debba prevedere con spavento il giorno in cui, raggiunti i limiti di età e di servizio, verrà collocato a riposo, perché ciò significa la fame per lui e per la famiglia. (Vive approvazioni).

Una voce. Non l’avete fatto; bisognava farlo.

SCOCCIMARRO. Abbiate pazienza. Io parlo senza nascondere nulla.

Non è lecito mettere i Ministri di fronte al tragico dilemma: dovere mettere a riposo dei vecchi funzionari ed essere tentati di non farlo per evitar loro la miseria e la fame.

D’altra parte, c’è la pressione di coloro che hanno il diritto di far carriera e che non possono rimanere bloccati.

Per conto mio, il problema l’ho risolto così: mettevo a riposo il funzionario e lo richiamavo immediatamente come avventizio per assicurargli uno stipendio.

Una voce. Bisogna aumentare le pensioni.

SCOCCIMARRO. Bisogna modificare le pensioni; sicuro.

Se il Governo non l’ha fatto, ciò non è dipeso da me: io lo richiedo da molto tempo.

Oggi esistano le condizioni per farlo: il problema può e deve essere affrontato seriamente ed è per ciò che io desidero dal Presidente del Consiglio una parola su questo problema. Qualche cifra giustificherà il mio asserto. Il bilancio di previsione del 1947-48 porta nelle entrate ordinarie 404 miliardi, nelle spese ordinarie 364 miliardi. Che cosa vuol dire questa cifra? Vuol dire che lo Stato italiano non provvede adeguatamente a tutti i servizi cui esso ha il compito di provvedere. Noi non provvediamo adeguatamente per la istruzione; non provvediamo adeguatamente per l’assistenza; non provvediamo per i pensionati; lo Stato non fa il suo dovere.

Ieri avevamo un’Amministrazione finanziaria scardinata e disgregata; delle cifre che non si sapeva quale valore potevano avere. Ma oggi abbiamo un ordine nell’Amministrazione finanziaria, sentiamo di camminare sul sodo; e allora, certi problemi si possono porre e risolvere. Non è un rimprovero che io faccio ai Governi precedenti; ma è un compito, un dovere. (Commenti a destra).

Egregi signori, non è a me che lo dovete dire, perché io – il Presidente del Consiglio lo può attestare – più di una volta ho posto questo problema, ma capivo le rimostranze del Ministro del tesoro, le cui condizioni rendevano molto perplessi. (Commenti).

Una voce a destra. Non è cambiato nulla!

SCOCCIMARRO. Avrò molte novità da dirvi, egregi colleghi. (Commenti – Interruzioni).

I dati di previsione per il 1947-48 ci danno per le spese ordinarie la cifra di 364 miliardi; per le spese straordinarie 285 miliardi: totale, spesa complessiva di 649 miliardi. Nelle spese straordinarie vi sono 164 miliardi destinati al pagamento dei danni di guerra.

Quale è dunque il problema che si pone oggi? Se è vero che il bilancio ordinario è in pareggio, come si provvede per le spese straordinarie perché il bilancio nel suo complesso non rimanga in disavanzo? Bisogna provvedere a coprire questo disavanzo con mezzi che si inquadrino organicamente in un piano che dia garanzia al Governo di poter contare su entrate certe e non soltanto su entrate possibili.

E allora voi mi permetterete di esporre qui quello che era il piano finanziario elaborato per rispondere a questa seconda esigenza. Oggi esistono le condizioni e gli elementi per elaborare un piano simile. Ieri si sarebbe potuto fare soltanto se nel 1945-46 avessimo realizzato il cambio della moneta che – come poi dimostrerò – ha incontrato tali e così strani ostacoli, da lasciare molto dubbiosi nel giudizio da dare in merito.

Un piano finanziario straordinario deve rispondere a queste esigenze: 1°) rimanere entro i limiti obiettivi delle possibilità offerte dalla situazione finanziaria del Paese; 2°) essere capace di mobilitare per la ricostruzione tutto il risparmio nazionale che non sia impiegato dall’iniziativa privata; 3°) il bilancio straordinario deve avere un’entrata stabile ed un’altra elastica per potersi adeguare alle variazioni della situazione; 4°) deve essere tale da non costituire un onere troppo pesante e nemmeno un pericolo per il Tesoro; 5°) deve essere anche un sistema differenziato che offra al Ministro del tesoro non una leva sola, come era quella che maneggiava l’onorevole Corbino, ma una molteplicità di leve, che gli consentano di manovrare nello sviluppo del mercato finanziario e monetario; 6°) non deve costituire un ostacolo all’iniziativa privata.

Voglio ora citare alcuni dati: oggi il reddito nazionale si calcola che si aggiri intorno ai 2200 miliardi; è questa la cifra intorno alla quale diversi centri di studio, la Banca di Italia da una parte e gli uffici statistici dall’altra, più o meno concordano.

Ora, su questa cifra noi possiamo calcolare che almeno un terzo può essere destinato al pagamento delle imposte ordinarie, al pagamento dei tributi straordinari ed al finanziamento della iniziativa privata.

Noi abbiamo perciò la possibilità di avere oggi in Italia da 750 a 800 miliardi, dei quali 400 vanno alle entrate ordinarie e 350-400 miliardi rimangono a disposizione, una parte per l’iniziativa privata, una parte a disposizione dello Stato.

Perciò noi calcoliamo che almeno di 300 miliardi l’anno, come previsione prudente, lo Stato potrà disporre per la ricostruzione del Paese.

Il problema che si pone è questo: in quale modo lo Stato può raccogliere questa parte del risparmio nazionale e come deve farlo, senza compromettere la situazione economica del Paese ed esporre il Tesoro ad eccessivo gravame?

Ebbene, io penso che i provvedimenti da prendere siano diversi: alcuni si ritrovano già nei programmi che noi avevamo predisposto fin dal 1945 e che non ci è stato permesso di realizzare; una parte sono provvedimenti che la nuova situazione creatasi nel nostro Paese ci permette oggi di tradurre in realtà. Anzitutto vi è l’imposta straordinaria sul patrimonio.

L’onorevole Corbino aveva ragione quando diceva che non bisogna credere che l’imposta straordinaria possa bastare da sola alle spese straordinarie. Ma nel piano di una molteplicità di proventi, l’imposta straordinaria ha il suo posto d’onore. Senonché, signori, in materia di imposta straordinaria vi sono due concezioni: una, la quale pensa che questa è una imposta che va a mettersi accanto alle altre e che deve pagarsi col reddito normale; l’altra, la quale pensa invece che la catastrofe che ha colpito il nostro Paese dà allo Stato il diritto di avocare a sé una parte della ricchezza nazionale per impiegarla alla ricostruzione del Paese.

Partire dall’uno o dall’altro punto di vista non è la stessa cosa per quanto riguarda il modo di congegnare e organizzare questo tributo. Da calcoli approssimativi, sia pure ipotetici, risulta che l’imposta straordinaria può dare allo Stato oggi almeno 400 miliardi, da scaglionare in quattro o cinque anni. Questo è il limite nel quale questo tributo può contribuire alla ricostruzione del Paese.

L’onorevole Corbino diceva che fare oggi l’imposta straordinaria vuol dire riscuoterla l’anno venturo. Io penso che l’imposta straordinaria si può cominciare a riscuotere molto rapidamente: basta iscrivere a ruolo le denunce che fanno gli stessi contribuenti, incominciare a pagare su quelle denunce, salvo a conguagliare in seguito quando gli accertamenti saranno fatti. Ciò che a me pare essenziale è che l’imposta straordinaria deve investire tutta la ricchezza mobiliare e immobiliare. Inoltre, suo presupposto essenziale deve essere la stabilità monetaria. Prima di oggi questo era possibile solo col cambio della moneta. Oggi, nella nuova situazione finanziaria cui ho accennato, il cambio della moneta può ancora essere utile, ma non è essenziale.

Secondo provvedimento. Noi abbiamo nel nostro sistema un’imposta istituita nel 1939 per ragioni di guerra, l’imposta ordinaria sul patrimonio. Ora, logicamente, quest’imposta oggi bisognerebbe abolirla, perché è finita la guerra. Però io penso che se la guerra è finita le conseguenze della guerra stanno ancora innanzi a noi, ed allora, si può organizzare il riscatto di questa imposta e farla contribuire a facilitare l’opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi un imponibile di 2500 miliardi: basterebbe chiederne, a mio parere, il 3 per cento per il riscatto e realizzare una entrata di 75 miliardi.

Poi, vi sono i profitti di guerra, di regime e di speculazione, i quali incominciano ora a realizzarsi, perché solo da poco tempo il meccanismo apprestato è potuto divenire operante. So che su questo tema, un po’ scottante, le opinioni sono diverse. Ma al nuovo Ministro delle finanze ho da dire una cosa: egli deve attendersi una seria offensiva contro le commissioni giudicatrici dei profitti di regime. Nell’ultimo mese di mia permanenza al Ministero (non farò nomi, né citerò nulla di compromettente per nessuno) è affiorata una nuova teoria. In alcune province certi personaggi si sono molto interessati delle commissioni giudicatrici: constatando che in talune località le ultime elezioni hanno rivelato un orientamento politico che non è più quello dei Comitati di liberazione, essi ritengono che di conseguenza i delegati di quella commissione indicati dal Comitato di liberazione dovrebbero essere cambiati, per mettere al loro posto uomini più a destra.

Ora, io non credo che organi di questo genere debbano variare col variare delle situazioni politiche.

Una voce al centro. D’accordo!

SCOCCIMARRO. C’è una legge, vi sono dei criteri stabiliti e non c’è nessun motivo per cui in qualche provincia, ove elementi monarchici possano avere avuto il sopravvento, si debbano mandar via i delegati indicati dai vecchi Comitati di liberazione e sostituirli con altri che sono gli amici dei profittatori di regime.

E vi dirò di più: colui che si era fatto sostenitore di questa nuovissima teoria, preconizzando gravi conseguenze se non fosse stata accolta, era lui stesso soggetto a giudizio per profitti di regime. Non voglio fare nomi; avverto solo il Ministro delle finanze che su questo terreno la materia diviene scottante, perché oggi si è cominciato a concretare; basta una piccola cosa per fermare il giudizio delle commissioni ed allora tutto si sfascerà.

Io ho fatto un’esperienza che voglio qui ricordare. Sono stato commissario all’epurazione: nel momento in cui si era arrivati, con molta fatica, a costituire in Italia le commissioni giudicatrici e pareva a me di averle costituite nel modo più obiettivo possibile, si è scatenata un’offensiva per la quale ho dovuto andarmene dal Commissariato. Le cose poi sono andate come tutti sanno: oggi, quelli stessi che avevano provocato l’offensiva hanno riconosciuto di avere sbagliato. Ora si ripete la stessa situazione: abbiamo appena completato la costituzione delle sezioni giudicatrici per i profitti di regime ed ecco che succede qualcosa per cui ho dovuto andarmene. Non vorrei che si ripetesse l’esperienza dell’epurazione! (Commenti).

Questi provvedimenti possono essere integrati da altri e si potrebbe immediatamente porvi mano. Noi dovremmo in Italia organizzare l’emissione di obbligazioni speciali per determinati settori e per determinati programmi specifici della ricostruzione: elettrici, trasporti, bonifica, edilizia e via di seguito: per questa via un’altra parte del risparmio può essere convogliata verso la ricostruzione. Il Ministro del tesoro può inoltre disporre del flusso ordinario dei buoni del tesoro e di altri mezzi di tesoreria. Ma c’è un problema nuovo che oggi si può porre, e sul quale richiamo la vostra attenzione, poiché esso può costituire una leva importante nelle mani del Ministro del tesoro: si tratta della rivalutazione degli impianti industriali. Oggi i bilanci delle società industriali, per la maggior parte, registrano il valore dei loro impianti così come era prima della guerra. Bisogna portare questi bilanci alla realtà. Esiste una legge, concepita dall’onorevole Corbino come strumento di tesoreria, ma che può essere trasformata in uno strumento tributario, secondo la quale una parte di quelle rivalutazioni dovrebbe passare allo Stato. Non sarebbe questa una ingiustizia, anche se si tratta di pura rivalutazione monetaria: essa servirebbe anzi a porre le società industriali in una posizione di giustizia rispetto ai proprietari di terre, di case, a coloro che in generale possiedono la ricchezza immobiliare. L’iniziativa nuova da prendersi in questo campo sarebbe quella di organizzare uno strumento finanziario, nuovo per il nostro Paese, ma del quale s’è fatta qualche esperienza all’estero. Si tratti di una specie di buoni di imposta che noi in Italia dovremmo però organizzare in maniera molto diversa da quella con cui fu organizzata, per esempio, in Germania. Lo Stato emette un titolo, che io chiamerei, buono di ricostruzione, che si impegna a ritirare dopo un certo tempo, accettandolo come mezzo di pagamento di imposte. Con questi titoli lo Stato paga una parte delle sue commesse ad appaltatori ed industriali, i quali possono servirsene come pagamento ad altri appaltatori e industriali. Qui si chiude la sfera della loro circolazione. L’importante è di creare sul mercato una domanda ai buoni di ricostruzione.

Ora, si dovrebbe rendere obbligatoria la rivalutazione degli impianti industriali e, poiché parte di tale rivalutazione dovrebbe essere avocata allo Stato, si potrebbero fare particolari agevolazioni a quegli industriali che conservano per un certo tempo nel loro portafoglio una certa quantità di tali buoni. Inoltre, all’atto del ritiro dei buoni in pagamento d’imposta, lo Stato concede un aggio, per esempio dell’l per cento: in tal modo i contribuenti hanno interesse a provvedersi di tali buoni e dopo qualche tempo a pagare con essi le imposte realizzando un piccolo beneficio. Così può essere mobilitato ed utilizzato anche il minuto risparmio polverizzato, che ora non serve a nulla. La cosa può avere importanza specie per i contadini, i cui risparmi possono essere così mobilitati come oggi ancora non lo sono. In questa operazione ha una funzione importante la Banca, alla quale lo Stato, previo compenso, deve chiedere la collaborazione. Si tratta, come si vede, di un titolo nel quale si fondono i caratteri del prestito con quello dell’imposta. Quale sfera d’azione esso possa assumere è dato dai seguenti dati: il capitale delle società industriali, che prima della guerra ammontava a 60 miliardi, oggi dovrebbe essere rivalutato almeno fino a 600-700 miliardi. D’altra parte si possono calcolare 200 miliardi di imposte che potrebbero pagarsi con quei buoni.

Si può obiettare che questo sistema può ridurre le entrate future: l’osservazione non ha gran peso, perché l’incremento dato alla ricostruzione significa anche aumento di entrate, il che neutralizzerebbe la prevista minore entrata. Comunque si tratta di una esperienza che ha avuto successo altrove e può averlo anche in Italia e può divenire uno strumento importante nelle mani del Ministro del tesoro. Ora, fra imposta straordinaria, riscatto dell’ordinaria patrimoniale, sopraprofitti di guerra, buoni di ricostruzione, rivalutazione impianti industriali e, in più, obbligazioni speciali per la ricostruzione e i normali mezzi di tesoreria, il Ministro del tesoro può assicurare un finanziamento straordinario annuale di almeno trecento miliardi, quanti sono cioè consentiti dalla situazione finanziaria del Paese.

Diceva giorni fa l’onorevole Einaudi che il mercato finanziario in Italia può dare, come minimo, un miliardo al giorno: lasciate pure una parte all’iniziativa privata; tutto il resto può essere mobilitato per la ricostruzione. Oggi il problema può essere risolto, mentre non poteva esserlo ieri per la diversità delle condizioni economiche e finanziarie del Paese. Ciò che a me pare essenziale è una cosa: di non ripetere l’errore commesso dall’onorevole Corbino, di maneggiare una leva sola: quella dei buoni del tesoro che, ad un certo momento, hanno messo il tesoro stesso in gravissimo pericolo. Il Ministro del tesoro deve manovrare diverse leve, riducendo al minimo, quando occorra, i buoni del tesoro ordinari.

E qui, benché non sia presente l’onorevole Corbino – e me ne dispiace – vorrei dire due parole sulle affermazioni da lui fatte. Egli ha detto: voi avete una esigenza immediata a cui far fronte: 500 miliardi di disavanzo. Il mercato vi potrà dare in un anno 300 miliardi; ove andrete a prendere i 200 miliardi che mancano? Signori, io penso che bisogna chiarire questo punto: 500 miliardi di disavanzo nel bilancio di competenza non vogliono dire 500 miliardi di deficit nella cassa del tesoro. L’esperienza del passato dimostra che nel 1945-46 le spese stanziate erano per 510 miliardi, e poi si è fatto in tempo a spenderne solo 340. Vi sono spese che non si esauriscono nel corso di un esercizio, ma vanno a ricadere anche al di là dell’esercizio, e ve ne sono altre che addirittura non si fanno nell’esercizio in cui sono state deliberate. Per cui, a mio modo di vedere, non c’è da preoccuparsi esageratamente della situazione del tesoro, la quale è difficile, sì, è preoccupante se volete, ma non è senza soluzione, soprattutto non è una situazione che obblighi il tesoro necessariamente alla inflazione.

E qui vorrei rettificare quanto è stato detto dall’onorevole Lombardi e dall’onorevole Conti. Il tesoro non ha emesso nuova carta moneta.

La circolazione in Italia è aumentata, ma la circolazione può aumentare o diminuire, secondo il flusso della situazione economica. Ciò che importa è che non aumenti per anticipazioni che vanno al tesoro. Ora l’unico elemento di inflazione che si ha nella nostra situazione è dato dai prelievi degli Alleati. Però anche di questi prelievi una parte ci viene riconosciuta come credito dall’America e rappresenta valuta di cui il Governo può disporre.

Inoltre, nelle condizioni attuali non si può pensare, come diceva l’onorevole Lombardi, a porci come obiettivo di arrivare a mille miliardi di entrate l’anno. Per arrivare a mille miliardi, bisognerebbe avere almeno cinquemila miliardi di reddito nazionale, vale a dire quasi il doppio del reddito di prima della guerra. E noi siamo ben lontani da questo, perché siamo appena al 70 per cento del reddito nazionale quale era prima della guerra.

E non è vero, onorevole Conti, che la lira stia paurosamente slittando, perché il movimento dei prezzi può avere un duplice significato: i prezzi possono aumentare per un fenomeno che parte da una svalutazione monetaria, ed allora si tratta veramente del riflesso di una situazione di inflazione; ma possono modificarsi anche per altri fattori che non dipendono dalla situazione monetaria, ed allora si crea una situazione di squilibrio come esiste in Italia, per cui il livello dei prezzi non corrisponde a quello che dovrebbe essere in rapporto alla circolazione monetaria. In questo secondo caso, il Governo può avere delle leve di manovra per fare ricadere gradatamente i prezzi al loro giusto livello, e la leva principale è quella di aumentare la produzione.

Ora, se la situazione è difficile, io devo riaffermare che non è disperata. E quando ho detto dianzi che il Presidente del Consiglio avrebbe avuto la possibilità di dire una parola più confortante al Paese, intendevo che questa parola avrebbe potuto essere la seguente: in Italia noi ci avviamo verso il risanamento finanziario. Abbiamo da una parte un bilancio ordinario per il quale sono create le condizioni del pareggio, dall’altra un bilancio, chiamatelo come volete, straordinario o della ricostruzione, per il quale vi sono possibilità di entrate certe che possono far fronte alle spese straordinarie. Con tutto questo noi abbiamo anche la possibilità di affrontare e risolvere il problema della imposta sui redditi di lavoro e il problema dei pensionati. Il periodo più difficile è di arrivare al giugno 1947: la responsabilità di questa situazione la chiarirò subito. Comunque occorre superare questo breve periodo.

Il Ministro del tesoro può impostare un piano finanziario che può dare la tranquilla assicurazione a tutti gli italiani che la lira non cadrà, può dare l’assicurazione a tutti gli italiani che nella nostra amministrazione finanziaria si è fatto un grande passo in avanti, e si sta veramente per mettere ordine nelle finanze dello Stato. (Applausi a sinistra).

Ed ora, permettetemi di rispondere ad alcune critiche. Perché molte proposte che si fanno oggi non si sono fatte ieri? Perché, mi si dice, non hai fatto l’imposta straordinaria già dal 1945-46? Perché non si è provveduto ai mezzi straordinari dei quali avete tanto parlato? Ebbene, signori parliamoci pure chiaramente. Io non avrei parlato di questo se troppo la stampa non vi avesse insistito. Ma poiché di questo ritardo si fa una colpa al Ministro delle finanze, mi permetterete che io sollevi qualche velo su una realtà che il popolo italiano non conosce. Ancora ieri, un giornale del pomeriggio diceva che una delle cause della grave situazione finanziaria è l’inerzia del Ministro delle finanze. E che cosa avrebbe dovuto fare il Ministro delle finanze, secondo quel tale scrittore? Avrebbe dovuto mettere una imposta sullo zucchero: ed egli ancora non sa, questo signore, che questa è una cosa già fatta da molti mesi.

La verità è che quando si vogliono fare critiche si ha il dovere di documentarsi e di conoscere la realtà delle cose.

Perché non abbiamo fatto l’imposta straordinaria l’anno scorso? Il problema si collega al cambio della moneta e lo riassumerò in breve. Nel 1945, secondo semestre, la situazione del Paese era questa: la produzione ridotta al 50 per cento, una circolazione esuberante (quindi, situazione aperta di inflazione), mancanza di trasporti e squilibrio di prezzi da una Regione all’altra, favoriscono la più sfrenata speculazione. Inoltre, notevoli somme all’estero inviate dai gerarchi fascisti negli ultimi mesi della vita dell’ex repubblica fascista. Poi, un arricchimento illecito in borsa nera in pieno sviluppo con i capitali monetari nelle mani dei borsari neri. Poi, un’amministrazione finanziaria disordinata, disgregata ed in pericolo di dissolversi, senza dati, senza strumenti adeguati per poter fare una politica finanziaria che non fosse fatta alla cieca. Gli strumenti fiscali sono strumenti pericolosi, sono armi a doppio taglio e bisogna maneggiarli con prudenza, se non si vuole correre il rischio di fare più male che bene alle finanze dello Stato. Ci occorreva il censimento dei patrimoni e della distribuzione della ricchezza.

In tali condizioni noi abbiamo proposto questo programma: cambio della moneta, contemporanea emissione dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Il cambio della moneta doveva avvenire col blocco almeno di un terzo della circolazione esistente allora. Fermare un terzo della circolazione, tanto era la circolazione esuberante al bisogno della attività economica di quel tempo, voleva dire combattere l’inflazione, e strappare di mano agli speculatori i mezzi di cui si servivano per la loro opera nefasta, bloccare la valuta italiana all’estero togliendole ogni valore a beneficio del tesoro, cogliere i nuovi ricchi coi capitali monetari in mano. Poi, fare il censimento nominativo della moneta e dei patrimoni indispensabile per le condizioni in cui si trovava l’amministrazione finanziaria in quel tempo, ed impostare così su sicure basi obiettive l’imposta straordinaria sul patrimonio: questo si poteva fare raccogliendo i dati in occasione del cambio della moneta. Senonché, questo piano largamente concordato con il compianto Ministro Soleri, ad un certo momento è rimasto sospeso in aria. Nel settembre, non vedendo concretarsi l’organizzazione del cambio, chiedo al Presidente del Consiglio del tempo, onorevole Parri, una convocazione speciale dei Ministri per esaminare il problema. Ci si comunica che non ci sono biglietti a sufficienza. Per me, quelli che c’erano sarebbero bastati, dato il modo come si sarebbe realizzato il cambio. Ma il problema ha un altro aspetto: mentre di biglietti non ce ne erano abbastanza, il mese prima, anzi, quindici o venti giorni prima, una grande fabbrica di carte valori di Milano aveva invano supplicato il Tesoro di avere un’ordinazione per la stampa dei biglietti. Si trattava di un complesso tipografico che da solo avrebbe potuto stampare in pochi mesi tutti i biglietti di cui avevamo bisogno; nonostante le richieste, non era mai riuscita ad avere questa ordinazione. Alla fine si sono rivolti a me, io mi sono rivolto al Ministro Ricci che ignorava la questione e subito è stata data l’ordinazione di stampare i biglietti anche a loro. Senonché, dopo venti giorni ricevo una seconda lettera nella quale mi si dice che, caso strano, la carta filigranata, che doveva andare a Milano in quella tipografia, era andata invece a Novara in un altro stabilimento che lavorava a pieno ritmo: quindi nuovo ritardo.

Naturalmente, quando ci si sente dire: non abbiamo biglietti sufficienti, e poi si viene a conoscenza di questi fatti, viene il dubbio se sia stato fatto tutto quello che era necessario per avere i biglietti sufficienti in tempo.

In quell’occasione chiesi al Presidente del Consiglio Parri di affidare personalmente a me l’organizzazione del cambio ed io mi impegnavo, sotto la mia personale responsabilità, di realizzarlo nello spazio di un mese o un mese e mezzo, e di realizzare così i programmi ed i provvedimenti finanziari, che erano stati predisposti per combattere l’inflazione e tentare per lo meno di stabilizzare la moneta.

Non si volle fare questo, perché non si ebbe coraggio abbastanza. Si rinviò di due o tre mesi, e quando nel dicembre-gennaio si ripresentò il problema, l’onorevole Corbino era Ministro del tesoro.

Ed allora io ho il diritto di pensare (e mi rivolgo ai colleghi del partito liberale ed anche del partito democratico cristiano, che consentì a questo, rilevando che portare al Governo in quel momento un uomo che nella Consulta aveva preso aperta posizione contro il cambio della moneta ed era uomo abbastanza diritto e fermo che, se si faceva il cambio, se ne sarebbe andato dal Tesoro, e lo disse subito) che ciò voleva dire non volere il cambio della moneta.

Una voce. Lei ha accettato però di collaborare.

SCOCCIMARRO. Le rispondo subito, onorevole collega, e la ringrazio di avermi offerto questa possibilità.

Verso la fine dell’anno – l’onorevole De Gasperi me ne può fare testimonianza – chiedo che venga esaminato il problema e portato in Consiglio dei Ministri. In quell’occasione ripeto la proposta di assumere l’impegno personale di organizzare il cambio.

Una voce. Come personale?

SCOCCIMARRO. Responsabilità personale mia e del mio Ministero. Mi si poteva colpire personalmente se non riuscivo! (Commenti).

Questo per dire a che punto stavano le cose. In quell’occasione feci presente che si incominciava a ritardare troppo se non si faceva il cambio allora, nel febbraio 1946, prima delle elezioni. Nella vivace discussione che ebbe luogo in Consiglio dei Ministri, io allora tracciai le prospettive della grave situazione finanziaria verso la quale si andava se non si faceva il cambio, e dissi chiaro che le conseguenze potevano essere così gravi da porre in seguito il Governo nella necessità di prendere misure molto più radicali di quelle che si consideravano allora. La discussione portò a questo: la maggioranza del Consiglio dei Ministri era per il cambio, ma l’onorevole Corbino molto lealmente poneva la questione: se fate il cambio, dovete cambiare il Ministro del tesoro.

Una voce a destra. Ma queste notizie non sono riservate?

SCOCCIMARRO. Si decide ancora il rinvio. L’onorevole De Gasperi ricorda che io ritenevo di non poter più rimanere al Ministero delle finanze. Fui da lui pregato di rimanervi e di collaborare lealmente con Corbino, sia pure in quella politica che io non approvavo, perché vi era il problema della Costituente, del referendum e bisognava assolutamente evitare una crisi politica in quel momento. Questo fu l’argomento che m’indusse a rimanere a quel posto. (Commenti).

E collaborai lealmente con l’onorevole Corbino, che seguiva una politica della quale io non ero affatto convinto. (Commenti).

Veniamo al terzo atto del dramma. Qui la storia del cambio della moneta incomincia a divenire un romanzo giallo. Due giugno: programma economico e finanziario del Governo. In una prima riunione, l’onorevole Corbino ci comunica che ci hanno rubato le pellicole fotografiche dei nuovi biglietti. Non si può più far uso di quelli stampati. Questo sarebbe stato non solo un pericolo economico, ma anche una impossibilità giuridica: la stampa dei biglietti è subordinata a certe leggi, solo rispettando le quali lo Stato ha il diritto di mettere in circolazione gli strumenti monetari. Il cambio si presenta impossibile. La prima volta mancavano i biglietti, la seconda c’era l’opposizione dei liberali, la terza c’è il furto: ognuno ne tragga le conclusioni che vuole. Devo ricordare ai colleghi che nelle proposte presentate dal partito comunista per il programma governativo di quel tempo, al cambio della moneta non si accenna più, non perché vi fossimo contrari, ma perché una nuova situazione si veniva creando. Le condizioni di sei mesi prima cominciavano a modificarsi. Ed io devo ricordare anche che, in una pubblica dichiarazione, feci rilevare che il cambio della moneta non è una questione di principio, ma solo un mezzo per raggiungere determinate finalità. Se queste si possono raggiungere per altra via, noi comunisti non avevamo difficoltà ad abbandonare il cambio della moneta. Tuttavia si è mantenuta la decisione di preparare gli strumenti necessari per fare ancora il cambio. Ma, non si può non tener conto delle nuove condizioni che nel frattempo si sono venuto creando, anche in rapporto al cambio della moneta.

Oggi la situazione è notevolmente mutata. Sarebbe assurdo pensare a bloccare una parte della circolazione per combattere l’inflazione: la circolazione oggi è insufficiente, non esuberante. Non è possibile, quindi, servirsi del cambio come strumento di lotta contro la speculazione. I quantitativi di lire italiane all’estero sono stati già in gran parte ritirati; gli illeciti arricchimenti, specialmente negli ultimi sei mesi, si sono largamente coperti. Ma il problema è di vedere se si può fare o no il cambio nominativo, e quindi il censimento della distribuzione della ricchezza. È un problema che deciderà il Governo. Se però si decidesse di fare il cambio anonimo col prelievo di un’aliquota una volta tanto, bisogna tener presente che il cambio della moneta è stato concepito come uno strumento per reperire la ricchezza che si nascondeva, per avere un congegno da servire all’imposta straordinaria sui grossi patrimoni, non per colpire anche i piccoli o medi risparmiatori. In tal caso si pensi – e la possibilità tecnica esiste – a risparmiare la povera gente da tale prelievo.

Ora ci si domanda: e gli impegni per il prestito? Non siamo certo contrari al rispetto degli impegni per il prestito.

Vorremmo che il cambio fosse nominativo, col censimento della ricchezza e dei patrimoni che non è un elemento da svalutare, onorevole Lombardi.

Gli impegni del prestito possono essere mantenuti tutti, qualunque sia la decisione del Governo. Vi è la possibilità tecnica di farlo, e di garantire ai sottoscrittori i benefici loro consentiti in rapporto al cambio della moneta.

La possibilità tecnica esiste. Esporla qui non credo sia opportuno, preferirei farlo alla Commissione di finanza e tesoro. Io non voglio creare difficoltà al Ministro Campilli, a cui assicuro tutta la mia collaborazione. Ma dico che gli impegni morali e politici presi dallo Stato verso i sottoscrittori del prestito possono essere mantenuti: può cambiare la forma e il modo, ma è la sostanza quello che conta.

Una voce al centro. Anche se paghiamo in carta straccia.

SCOCCIMARRO. Senza modificare le condizioni del prestito possono essere mantenute tutte le agevolazioni previste e concesse ai sottoscrittori.

Mi pare che ora dovrebbe essere chiaro, perché non è stato possibile finora attuare l’imposta straordinaria: senza il cambio della moneta ciò non era possibile.

L’imposta straordinaria, senza garanzia di stabilità monetaria, è un inganno. La svalutazione della moneta svuota l’imposta straordinaria del suo contenuto. Peggio ancora, si fa credere di aver attuato un tributo straordinario, mentre in realtà una gran parte di esso si volatilizza e rimane nelle mani di coloro che si volevano colpire.

La prima condizione, perché l’imposta straordinaria sia una cosa seria, è che la moneta non si svaluti. Potevamo farla nel 1945 e 1946, col cambio della moneta, perché con questo si realizzava tutto un programma per la stabilizzazione del valore della moneta. Senza cambio della moneta non si poteva istituire l’imposta straordinaria: sarebbe stato un errore. Significava sciupare uno strumento prezioso con scarsissima utilità per il Tesoro dello Stato. Oggi, l’imposta straordinaria si può istituire, anche senza il cambio della moneta, perché, per il piano finanziario che vi ho esposto e per le condizioni del bilancio ordinario, penso che le condizioni di stabilizzazione della moneta comincino concretamente ad esistere. Ed esistono perché, una volta portato il bilancio ordinario al pareggio ed equilibrate le spese straordinarie con le entrate straordinarie, una volta ammessi a Bretton Woods e garantita la stabilità di cambio della nostra moneta, le condizioni finanziarie per la stabilità della lira sono realizzate. Occorre solo realizzare le condizioni economiche, cioè – questo è compito del Governo – bisogna stabilizzare i prezzi. Il giorno che queste condizioni saranno realizzate, la moneta italiana non si svaluterà più.

E siccome questa prospettiva – a mio giudizio – può essere realizzata nel giro di alcuni mesi, dico che oggi è una cosa seria istituire l’imposta straordinaria anche indipendentemente dal cambio della moneta. Le condizioni, che in passato erano garantite dal cambio, oggi sono garantite dalla nuova situazione delle finanze dello Stato.

Credo di avere risposto alla domanda: Chi è responsabile del ritardo dei provvedimenti straordinari: cambio della moneta, imposta straordinaria, ecc.?

Il partito liberale, proprio quel partito che in questi ultimi tempi ha assunto imprudentemente posizione offensiva su questo problema.

Avendo impedito il cambio della moneta, si sono pure necessariamente ritardati i provvedimenti che avrebbero dovuto essere presi almeno un anno fa. Così per i profitti di regime: i liberali ci hanno fatto perdere almeno sei mesi: prima con la crisi governativa del novembre 1945, poi con l’opposizione alla Consulta.

Tutti coloro i quali, per una ragione o per un’altra, hanno ostacolato la realizzazione del programma che fin dal 1945 si poteva realizzare, sono essi, e solo essi i responsabili del fatto che la nostra situazione finanziaria oggi non è migliore di quella che è.

Ed io ricordo – se qualcuno ne avesse voglia – che c’è un verbale del Consiglio dei Ministri, dal quale risulta che queste cose io le dissi fin dal febbraio 1946. Ed è assurdo – che oggi si faccia colpa al Ministro delle finanze del ritardo nella realizzazione di quel programma, quando noi eravamo disposti ad affrontare qualunque responsabilità, pur di riuscire a realizzarlo, poiché ritenevamo quella la giusta politica finanziaria richiesta dalle condizioni del Paese.

Oggi l’amministrazione finanziaria si trova ad una svolta. Nel 1946 si è compiuta una larga opera di ricostruzione e di riorganizzazione, però non ancora ultimata. Si è adeguato il sistema tributario alla nuova realtà economica e finanziaria del Paese. Abbiamo anche riformato alcuni dei tributi essenziali.

L’opera del nuovo Ministro deve oggi consistere nel realizzare un maggiore potenziamento, attraverso una più differenziata specializzazione tecnica degli organi tributari.

Si deve inoltre incominciare quell’opera di sfrondamento del sistema tributario che semplifichi e unifichi i tributi, e poi si deve preparare la riforma generale tributaria, che deve essere portata alla discussione della prossima Camera legislativa. I risultati raggiunti in poco più di un anno hanno superato quelle che erano le nostre stesse previsioni. Ed io voglio da questi banchi mandare un saluto di riconoscente gratitudine ai miei collaboratori ed ai funzionari che in quest’anno hanno lavorato con uno spirito di sacrificio che poca gente conosce ancora. Permettetemi, colleghi, che vi racconti un piccolo episodio. Ieri si è parlato qui di corruzione nell’Amministrazione dello Stato. C’è della corruzione in Italia, è vero. Ma io direi che prima ancora che nell’Amministrazione dello Stato la corruzione esiste nel Paese, perché se c’è qualche funzionario che si lascia corrompere, c’è necessariamente chi lo corrompe. Quando, nei primi giorni in cui assunsi il dicastero delle finanze, volli fare una visita agli uffici, per avere una conoscenza personale e diretta dei funzionari, in un ufficio, dietro ad un tavolo pieno di carte, trovo un uomo: egli si alza rispettoso, ha l’abito sdrucito, è pallido, macilento. Converso con lui, e poiché vedo dei tavoli vuoti, chiedo come mai non c’era nessuno. «Sono in licenza!». E allora mi viene di chiedergli se lui era andato in licenza, e mi risponde: «Non posso; perché – vede? – e mi accenna ad un mucchio di carte: questo è un lavoro che posso farlo bene solo io. In quell’attimo abbasso lo sguardo: quell’uomo aveva le scarpe rotte. Esco; mi informo di lui: un vecchio funzionario, che faceva la fame con la sua famiglia. Aveva le scarpe rotte; lavorava senza contare le ore; da anni non andava in licenza, e considerava che non poteva andare in licenza, se non aveva compiuto tutto il suo dovere; mettere a punto tutti i documenti venuti dal Nord. Ebbene, signori, quest’uomo era passato attraverso il fascismo, attraverso venti anni di corruzione, integro e puro; nessun’ombra nella sua azione. Di questi uomini ce ne sono nell’Amministrazione dello Stato. (Vivi applausi). Di fronte ad essi io sento un profondò rispetto; questi sono veramente gli umili ed oscuri eroi della Amministrazione dello Stato. Ora, io dico che a questi uomini noi facciamo troppo poca attenzione. Noi guardiamo ai corrotti e cerchiamo di colpirli; ma noi dobbiamo pure esaltare le virtù; noi dobbiamo fare uscire dalla burocrazia italiana tutto ciò che essa ha ancora di più sano, e fare di essi lo strumento per combattere i corrotti.

Nel mio Ministero ho cambiato un costume: c’era l’abitudine di deferire i funzionari che si lasciavano corrompere alla Commissione di disciplina, la quale giudica dopo cinque o sei anni aggiustando spesso le cose in famiglia. Da quando ho preso io la direzione del Ministero delle finanze, i funzionari scoperti in questa situazione sono stati denunciati all’autorità giudiziaria (Applausi); nessuno è stato risparmiato.

Ma quando mi incontravo con funzionari dome quello, io venivo loro in aiuto con tutti i mezzi, anche con sussidi particolari, anche interessandomi della loro famiglia, perché solo così io penso che si possa ricreare uno spirito nuovo nella burocrazia italiana. (Approvazioni).

Ora, che cosa si voleva dal Ministero delle finanze? È una cosa strana, signori, tutti sanno che l’Amministrazione dello Stato porta con sé le tare dei residui del fascismo e della guerra, nessuno si meraviglia che ancora non sia tutto perfetto e che ci siano ancora molte cose da organizzare e da rimettere a posto. Però si ha la strana pretesa che proprio nel Ministero, tecnicamente il più complesso e difficile a maneggiare, si potesse in pochi mesi portare le cose alla perfezione. Tutti criticano: che cosa fa il Ministero delle finanze?

La gente gira l’Italia, vede ponti di fortuna, costruzioni di ripiego, rimedi contingenti e nessuno si meraviglia. Ma, se poi scopre un borsaro nero, ancora ignoto al fisco, allora si grida allo scandalo.

Ora, quello che non si è potuto fare nelle altre Amministrazioni dello Stato non lo si è potuto nemmeno nell’Amministrazione finanziaria. Ci vuole tempo ed io debbo dire che i più esperti ed anziani funzionari ritengono che occorrano almeno 4-5 anni per avere un’Amministrazione come l’avevamo in passato. Io, ho posto per obiettivo che entro il 1947 l’Amministrazione finanziaria deve essere tutta messa a posto.

Ma bisogna svolgervi un lavoro particolare, perché, come giustamente diceva l’onorevole Einaudi, la macchina finanziaria è ancora rattoppata con lo spago, è un po’ aggiustata alla meglio. E questo lo abbiamo fatto per poterla mettere subito in movimento, perché non potevamo attendere di rifarla tutta nuova bella e pulita. È certo, però, che bisogna ricostruirla e vi si può arrivare, secondo me, entro il 1947. Prima sarebbe opera impossibile.

Ciò che noi abbiamo fatto fino ad oggi è molto, ma è solo un primo passo. Però è il passo decisivo, da quel lato ormai nessun pericolo ci minaccia. Questa è la prova, a mio giudizio, che il popolo italiano ha non solo la volontà, ma anche la capacità di risorgere. Noi dobbiamo bandire ogni scetticismo; non dobbiamo farci ingannare dalle fatue illusioni dell’ottimismo, ma neanche dallo sconforto del pessimismo.

Bisogna guardare in faccia alla realtà e saper affrontare le sue asprezze e difficoltà con animo virile e con la decisa volontà di dominarle e superarle.

Onorevoli colleghi, in questi giorni, su questa Assemblea si è distesa l’ombra sinistra di un ingiusto trattato. Ebbene in quest’ora triste e buia della nostra storia noi dobbiamo essere più forti dell’avverso destino che si è abbattuto su di noi. Noi dobbiamo dimostrare al mondo che, se grande è la sfortuna che ci ha colpito, ancor più grande è la nostra volontà di risorgere a nuova vita. Solo così, nelle opere feconde di lavoro e di pace, l’Italia a nuova grandezza risorgerà. (Vivissimi applausi – Congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 18,35, è ripresa alle 19,5).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Damiani. Ne ha facoltà.

DAMIANI. Io non so se in queste speciali condizioni, in cui nell’aula c’è appena un quinto dei deputati presenti a Montecitorio, si possa parlare.

Dobbiamo sentire, in questo momento, profondo il dovere di essere qui presenti quando la seduta è aperta.

Nel discorso che Fiorello La Guardia tenne il 22 luglio del passato anno ai deputati della Costituente, emerse, fra i vari rilievi sui problemi della disoccupazione, una frase particolarmente incisiva che deve essere ricordata perché sintetizza tutta l’asprezza del momento e richiama i vincitori ed il mondo ad un esame di coscienza.

Fiorello La Guardia disse:

«Non vi può essere un mondo felice con una Italia infelice».

Purtroppo, nel giuoco dei fattori della vita, sia singola che collettiva, le passioni tendono sempre a prevalere e perciò quel che accade e quel che si fa, è, purtroppo, spesso lontano dalla logica, dalla giustizia e dal diritto naturale.

Basta il pietoso spettacolo delle guerre, ripetutesi sempre a breve scadenza, per rilevare la triste e insensata passionalità che era alla base di quei grandi crimini che sono i conflitti tra i popoli.

Oggi i vincitori non hanno saputo far trionfare la saggezza e un superiore senso di umanità, nel risolvere il problema della pace, che doveva essere il problema della ricostruzione del mondo ed è diventato invece il problema delle dure sentenze di espiazione da infliggere ai popoli vinti e umiliati nel dolore e nella miseria.

C’è in qualcuno un sadico desiderio di vedere milioni di creature umane dibattersi disperatamente fra stenti di ogni genere, col pretesto di far scontare loro colpe, che non sono colpe ma errori, e dell’umanità intera.

E la guerra, che è stata combattuta in nome della libertà, genera una così detta pace che ribadisce la scissione del mondo in popoli opulenti che comandano e in popoli poveri che debbono obbedire.

Se questa scissione dovesse restare, sarebbe inevitabile una nuova guerra, cui, certamente, non sopravviverebbe la civiltà.

Ma gli uomini che vivono secondo la propria coscienza, e sono la maggioranza, devono denunziare, davanti al tribunale dell’Umanità, questo nuovo delitto; devono gridare ai popoli che il mondo è uno, perché una è la giustizia, una è la libertà, uno è il diritto.

Le guerre non risolvono i contrasti internazionali, ma li peggiorano.

La guerra è oggi una tale assurdità che dev’essere scacciata dalla nostra mente con la più decisa repulsione.

Il problema fondamentale della pace non è di assicurare al mondo una tregua che permetta ai popoli di riarmarsi per ripetere domani il tentativo di tornare a sopraffarsi, ma è di rendere impossibile la guerra.

E, dunque, ciò che si è fatto finora e si sta facendo deve essere considerato come una fase di smorzamento del conflitto, ma non come un inizio della ricostruzione.

Ciò che si è edificato sulla base della passione non è solido e non può durare. Così i trattati, che nasceranno da questo primo accostamento tra vincitori e vinti, non possono essere che transitori accordi, perché sono lontani dal naturale orientamento della storia, che è quello diretto all’unità mondiale.

È assurdo pensare che la vita culturale e scientifica del mondo, che ha raggiunto luminose basi di unità, possa marciare indipendentemente dalla vita sociale ed economica.

È evidente che il mondo rimpicciolito dalla radio e dall’aeroplano marcia verso l’unione, verso un governo economico internazionale.

La società delle nazioni fu un pallido tentativo.

Oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite rinnova l’azione su basi più promettenti. Ma ciò che fa sperare nel rapido progresso di questa evoluzione, che del resto è fatale, è il fiorire spontaneo, in ogni continente, di numerose associazioni che hanno la stessa mèta: unire gli stati; è il sentir ripetere da alte personalità della politica, della scienza e della cultura, incitamenti, giudizi e previsioni sull’affratellamento dei popoli.

Il grande statista americano Cordell Hull, nel suo testamento spirituale, dettato nel settembre scorso, affermò:

«Il raggiungimento e il mantenimento dell’unità e della cooperazione internazionale devono continuare ad essere il supremo dovere degli uomini di Stato».

Baruch, già consigliere di Roosevelt, e ora rappresentante americano alla Commissione per l’Energia Atomica dell’O.N.U., è noto in tutta l’America per il suo progetto di Stato Universale.

Einstein, l’eminente fisico che fin dal 1905 predisse che la materia e l’energia sarebbero state reciprocamente convertibili (teoria che schiudendo il cammino alle ricerche nucleari ha portato alla liberazione dell’energia atomica), ha recentemente dichiarato: «Alla luce delle nuove cognizioni, un’autorità mondiale e, alla fine, uno stato mondiale non sono semplicemente desiderabili, in nome della fratellanza: essi sono necessari per la sopravvivenza».

«Nelle epoche precedenti, la vita e la cultura di una Nazione potevano essere protette, in certa misura, mediante lo sviluppo di eserciti e rivalità produttive. Oggi dobbiamo abbandonare la rivalità ed assicurare la cooperazione.

«Questa deve essere la pietra angolare di tutte le nostre considerazioni sugli affari internazionali, altrimenti andremo incontro ad un sicuro disastro.

«I metodi contemporanei del pensiero non hanno impedito le guerre mondiali; il pensiero futuro deve impedire altre guerre.

«La nostra difesa non sta negli armamenti o nella scienza o nell’andare nel sottosuolo. La nostra difesa sta nella legge e nell’ordine.

«D’ora innanzi la politica estera di ogni nazione deve essere giudicata interamente in base ad una sola considerazione: ci conduce essa alla legge e all’ordine mondiale, oppure ci conduce all’anarchia e alla morte?

«Non dobbiamo essere semplicemente disposti, ma effettivamente ansiosi, di sottometterci ad una autorità suprema necessaria per la sicurezza del mondo».

Considerazioni simili ha più volte espresso anche Churchill.

Egli propugna l’unità europea, come già sostenne e sostiene Coudenhove-Kalergi con la sua opera Paneuropa. Ma a questa unità bisogna pensare come fase intermedia per giungere alla unificazione del mondo.

In un recente discorso Churchill ha, tra l’altro, asserito:

«Bisogna gettar via il fardello delle contese e delle lamentele del passato, che impedisce ai popoli di proseguire nel loro cammino. Essi debbono guardare avanti, all’ideale di un’Europa unita!».

Pochi giorni fa il senatore Taylor, degli Stati Uniti, ha dichiarato che nell’êra atomica la pace non può essere mantenuta se non con la costituzione di un Governo mondiale.

Le sue precise parole sono queste:

«Gli sviluppi che fanno ora pensare ad un Governo mondiale, come ad una necessità, sono dovuti all’impiego dell’energia atomica.

«L’O.N.U. è un’organizzazione di inestimabile pregio: sono sicuro che essa continuerà lungo le direttive di una crescente cooperazione mondiale, ma le Nazioni Unite non potranno essere all’altezza del compito.

«Dobbiamo mettere la guerra al bando dell’umanità, e questo è possibile soltanto col trasferire parte della nostra sovranità ad una organizzazione che sappia far rispettare la pace contro chiunque.

«La sola organizzazione che sia in grado di assumersi un tale compito – ha aggiunto Taylor – è un Governo rappresentativo mondiale».

Non è possibile citare tutti i brani salienti dei vari autorevoli sostenitori di un Governo mondiale, ma quel che importa è rendersi conto della grandezza e significato di questa nuova forza che sorge come autodifesa della civiltà stessa.

Del resto, in un’epoca in cui la storia non annunciava ancora la seconda guerra mondiale e la conquista atomica, uno dei più acuti pensatori europei, Anatole France, con quella chiaroveggenza che distingue gli intelletti supersensibili, espresse una felice sintesi della crisi storica che viviamo.

«Che si voglia o no – egli disse – è venuta l’ora di essere cittadini del mondo o di rassegnarsi a veder perire ogni civiltà».

E questa è la verità che domina la vita del mondo.

E, dunque, il nuovo orientamento dei popoli verso una convivenza mondiale è l’unica via di salvezza, è il segno più chiaro della guarigione dalle funeste malattie del nazionalismo cieco e del militarismo tracotante.

Bisogna creare una coscienza federalista, bisogna che i popoli si convincano che fanno ancora in tempo a salvare se stessi e il mondo dal terribile cataclisma che li minaccia, dando vita concreta a organizzazioni politiche che creeranno l’avvento del nuovo ordine internazionale.

Bisogna riconoscere alle forze della ragione il diritto di intervenire nella soluzione del problema della pace.

I problemi nazionali non possono essere considerati a sé, ma devono essere studiati in relazione al complesso dei problemi mondiali.

La politica interna di ogni paese è oggi stretta funzione della politica estera.

Bisogna che i popoli si dichiarino contro ogni blocco. Devono ritenere che le grandi forze che si sono concentrate oggi in due poli opposti, non hanno ragione di combattersi, ma nell’interesse dei propri paesi e dell’umanità, devono incontrarsi su un piano di stima e di rispetto reciproco per giungere ad una soluzione che le forze dello spirito non possono e non debbono affidare alla forza bruta delle armi.

Bisogna lavorare per questa maggiore comprensione e maggiore intesa, e a questo lavoro sono chiamati tutti i popoli.

Il     nuovo spirito democratico li chiama a protagonisti della storia.

Essi eleggano rappresentanti che nelle varie camere legislative sappiano propugnare la causa dell’Unione internazionale e il mondo uscirà rapidamente dal disordine per organizzarsi in una nuova vita veramente degna dello spirito umano.

Il Movimento Unionista Italiano, che rappresento in questa Assemblea, e che sorse nel 1944 per tradurre in forza politica questa naturale e nobile aspirazione degli uomini alla realizzazione della fratellanza mondiale, e che è stata la prima organizzazione politica ad assumere tale iniziativa, ha preso atto con vivo compiacimento dell’articolo 4 del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, che dichiara: «L’Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».

La recente costituzione francese contiene pure simile dichiarazione.

Ciò è un fatto di una importanza immensa, ha un significato solenne.

Esso rappresenta il fattore potenziale della nuova storia umana.

Ma occorre sviluppare ed educare tale nobile impulso, per passare dallo stato potenziale a quello di realizzazione. E deve ripetersi, per il mondo tutto, quello stesso meraviglioso fenomeno etico-politico-sociale, per il quale tanti popoli diversi per indole, educazione ed origine, affratellati dal lavoro, si fusero per formare gli Stati Uniti d’America.

Essi, nell’armonia delle loro energie, hanno trovato tali possibilità di sviluppo industriale ed economico da poter oggi elargire al resto del mondo, dissanguato dalla guerra, gli aiuti più generosi.

Milioni di tonnellate di merci sono stati donati dall’America ai popoli immiseriti e questi, mercé i loro aiuti, stanno rinascendo e riorganizzando il loro lavoro.

Questi popoli europei, che dettero vita e civiltà all’America, sono oggi riportati alla rinascita dall’America stessa.

Il lavoro europeo tornerà a risplendere e ricambierà in ricchezza ciò che oggi ci viene offerto in aiuto.

Il sogno di Mazzini si concreterà in una vivente e palpitante costruzione, ove le incertezze e le storture sociali saranno vinte dall’armonia che andrà sempre più rafforzandosi fino a conformare il tutto a quei principî universali di libertà, di giustizia e di solidarietà che Iddio fa ugualmente vibrare nel cuore di tutti gli uomini.

E questo doloroso periodo dobbiamo affrontarlo con decisione, con spirito di illimitato sacrificio, per ridare all’Italia un volto degno delle eccellenti qualità della sua gente laboriosa e profondamente sensibile al progresso democratico e civile.

La Costituente deve rispondere alle aspettative del Paese che ha visto con disappunto quest’aula chiusa per cosi lunghi mesi.

Esso sapeva che le Commissioni lavoravano per elaborare un progetto dal quale deve nascere la nuova Costituzione democratica italiana; ma non sapeva e non sa capire perché, mentre 75 Deputati erano intenti alla esecuzione del progetto, gli altri 480 erano posti in condizione di non poter contribuire, mediante il pubblico dibattito, alla definizione e soluzione dei complessi e difficili problemi della nuova vita italiana.

Ora questa Assemblea deve lavorare con eccezionale intensità perché il popolo abbia da essa la prova che la democrazia è superiore alla dittatura, che dalla democrazia nasce e si sviluppa la vita del popolo, mentre nella dittatura esso è ridotto ad una massa passiva e abulica di sfruttamento.

I partiti, espressione della libertà, devono superare i punti critici del loro interno travaglio e dei loro esterni contatti; essi sono forze di uno stesso popolo, nati per lavorare a suo vantaggio, per dargli coscienza dei suoi diritti, e nei momenti difficili, come l’attuale, devono trovare un comune piano d’intesa, di comprensione e d’azione, perché l’Italia risorga, più splendente che mai, dalle rovine della tragedia impostale dalla cecità di un esperimento politico che non deve più ripetersi.

E il Governo sia messo in condizione di operare nel modo più efficiente, sia liberato dalla funesta ruggine dei contrasti dei partiti, originati spesso da interessi particolari che non debbono interferire nell’interesse generale del Paese, interesse che deve prevalere su ogni altro.

Tra le tante azioni che il Governo deve svolgere occorre promuovere energicamente anche quelle dirette a difendere il popolo dal malcostume, dalla pornografia, dalla stampa incosciente e turpe che per scopi di lucro alimenta le curiosità morbose e psicopatiche dei pervertiti e dei pervertibili, dando loro in pasto i più sporchi racconti e ripugnanti illustrazioni sulle crescenti manifestazioni della criminalità, pretendendo, in malafede, questi perniciosi fogli, di fare opera di divulgazione scientifica.

I delitti aumentano sempre più con un crescendo impressionante!

La cronaca divulghi invece le manifestazioni della bontà e dell’altruismo, che sono più numerose di quanto si possa supporre e che commuovono e dispongono l’animo al bene.

L’onorevole Presidente del Consiglio, nelle sue comunicazioni fatte sabato scorso a questa Assemblea, ha dichiarato che la massima cura sarà dedicata alla tutela delle emigrazioni e che sarà richiamato in vita l’antico Consiglio Superiore dell’emigrazione.

Il Paese attende con ansia nuovi adeguati provvedimenti che facciano cadere la barriera della legislazione fascista, che purtroppo ancora vige in questo campo, e che fu ispirata a quel funesto principio cui fu dato il nome di autarchia.

È urgentissima una nuova legge che regoli tale delicata materia, subordinandola alle esigenze del lavoro e dell’economia italiana, e nello stesso tempo conformandola alle aspirazioni e necessità dei lavoratori e assicurando la più pronta ed efficace tutela del Governo italiano per il nostro lavoratore che porta in terra straniera il patrimonio della sua laboriosità intelligente e fattiva.

Occorrerebbe promuovere a tal uopo opportune intese con i Governi degli Stati interessati ad accogliere i nostri lavoratori, per la esecuzione del loro piano di lavori pubblici, affinché ditte specializzate italiane fossero invitate a presentare progetti e preventivi di lavori stradali, idraulici, edilizi e agricoli, impegnandole nel caso di aggiudicazione, a portare dall’Italia le maestranze occorrenti per i detti lavori. E si dovrebbe altresì promuovere la costituzione di Istituti finanziari, sostenuti da capitali italiani e stranieri, che potessero potenziare cooperative e colonie agricole italiane, provvedendo al fabbisogno occorrente per dare alle nuove aziende nascenti dal lavoro italiano all’estero la massima efficienza produttiva.

Un altro urgente bisogno del Paese è quello di procedere al riordinamento delle anagrafi comunali sconvolte dalla guerra.

Necessità questa reclamata anche dall’Associazione dei Comuni italiani in occasione del recente primo convegno dei sindaci.

È assolutamente urgente indire un nuovo censimento generale della popolazione per il riassesto della situazione anagrafica e del tesseramento annonario.

Inoltre occorre considerare che sono più di cento le leggi la cui applicazione è subordinata all’esito del censimento. Esso da ben 11 anni non si esegue più, e il grave perturbamento demografico prodotto dalla convulsa vita dell’ultimo quinquennio, rende inutilizzabili i dati del censimento precedente.

Occorre assolutamente aggiornarsi circa l’attuale situazione demografica, economica e sociale.

Gli stessi problemi della disoccupazione e dell’emigrazione, del riordinamento regionale e della ricostruzione edilizia e della definizione delle circoscrizioni elettorali secondo il loro effettivo peso demografico, non possono essere razionalmente risolti senza la conoscenza dell’effettiva struttura professionale ed economico-sociale della popolazione e della sua distribuzione e relativa densità di accentramento nelle varie zone urbane, industriali e agricole.

Voler governare, prescindendo da una precisa documentazione sulla consistenza quantitativa e sulle caratteristiche strutturali della popolazione, significa, in realtà, non governare ma affidarsi al caso, cioè procedere alla cieca.

Inoltre, disposizioni legislative, tuttora vigenti, fanno obbligo di eseguire, ogni cinque anni, il censimento della popolazione e perciò si rende assolutamente inderogabile tale importantissima rilevazione.

Questo nuovo periodo della vita del Paese impegna tutti in un lavoro intenso e concorde.

L’Assemblea Costituente deve, contrariamente alle aspettative dei nemici della rinascita, assolvere pienamente il suo alto compito di rigeneratrice della democrazia italiana. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Di Fausto. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Nei sette mesi trascorsi, dacché questa Assemblea ha iniziato i suoi lavori, non una volta ha risuonato in quest’Aula la parola che avrà potere forse di trarci dalle rovine, così come quella del divino Maestro trasse Lazzaro dai regni delle ombre.

Arte. Magica parola che esprime qualcosa di veramente connaturato con la terra, col cielo e col sole d’Italia.

Chi vi parla ha avuto la singolare ventura di dare volto di dignità e di arte a numerosissime opere di civiltà dell’Italia nel mondo.

Oggi, nell’angoscia che ci opprime per l’altrui ingiustizia, che offende con noi la stessa civiltà, e per l’altrui cupidigia, che ci priva anche dei lontani lembi di terre primitive acquisite dalla nostra opera altamente umana e civilizzatrice, chi vi parla sente sanguinante la mutilazione sofferta dalla Patria, ma sente altresì che le pietre grideranno «Italia» pei secoli, così come quelle di Roma, ancora e sempre, lungo i lidi del mare della civiltà antica.

L’iniquo trattato che ci è stato imposto, riaffermando, a conclusione dell’ultima più grande e più inutile strage, il trionfo della forza sul diritto, dimostra che la difesa del principio di libertà – che è difesa della stessa civiltà cristiana – spetta ormai a noi, vinti.

E l’Italia, affidandosi alle sue inesauribili forze morali, potrà ancora esprimersi e sopravvivere.

Nulla ci è stato più fedele nel passato, nulla ci sarà più fedele nell’avvenire.

Nelle precedenti sessioni fui tentato di impostare il problema dell’arte. Mi parve però che tra le angustie materiali relative al nostro problematico durare fisiologico, quello di investire questa Assemblea di questioni prevalentemente spirituali, fosse atto intempestivo.

Oggi, il perdurare di quelle mi ha confermato nel convincimento che anche i problemi materiali debbono essere soccorsi dalle forze dello spirito: proprio come è dell’uomo che, posto dinanzi a compiti che superano le sue possibilità, leva alto lo sguardo in cerca di un ausilio ultraterreno.

Peraltro, l’interesse alle cose dell’arte – che fu prerogativa di classi privilegiate prima e della borghesia poi – è oggi, con tendenza ad una sempre maggiore universalizzazione, così permeato nella vita sociale, che sarebbe assurdo, dopo il pauroso collasso politico, proporsi il compito immane della ricostruzione senza l’ausilio dell’arte, alla quale l’Italia deve la sua più inconfondibile gloria.

E sia subito affermato che tutto quanto gravita nell’ambito delle attività artistiche – direttamente od indirettamente, con effetto immediato o lontano – costituirà per l’Italia una delle più sicure e cospicue basi della nuova economia.

Riacquisteremo, con la nostra specifica missione, piena consapevolezza del nostro più vero destino.

Tra i sintomi più dolorosi della disintegrazione conseguente alla guerra, ed alla disfatta, è l’indifferenza del pubblico e dei Governi ai problemi dello spirito.

L’umanità imbestiata cerca in ogni modo di sfuggire ai richiami dell’ordine spirituale. Il problema dell’arte assurge pertanto ad importanza politica in quanto deve essere riaffermato – ad ogni costo – nelle sue esigenze di dignità e di ordine sociale. Trattandosi di un settore di qualità e non di quantità, esso è trascurato dai partiti politici, dagli organizzatori e dagli agitatori. Esso è trascurato naturalmente anche dalle democrazie.

Ecco perché questo autentico proletariato – al quale mi onoro di appartenere – è ufficialmente assente in questa Assemblea, ove tutti, anche i più banali interessi, trovano rappresentanza e tutela. Ecco perché la frattura col mondo intellettuale si riflette nello sforzo delle democrazie ad affermarsi.

Ma poiché l’arte è fattore essenziale di vita – per un Paese come il nostro – sia dato ad essa, nel quadro generale della ricostruzione, il posto che le compete, se veramente ricostruzione dovrà essere.

Urgente è quindi definire una politica dell’arte, evitando di costringerla alla politica del Governo – come è capitato in tempi non lontani – con le conseguenze a tutti note. Sorge la necessità di nuovi orientamenti organizzativi e di nuovi statuti, atti ad impedire il ripetersi della soggezione politica e nel contempo ad assicurare l’istaurazione di un ordine artistico, nel quale possano manifestarsi, in libero giuoco, tendenze, fermenti e reazioni che dovranno risolversi infine in arricchimento della vita spirituale della nazione.

E poiché il Governo non ha inteso fin qui, nelle sue varie esposizioni programmatiche, l’esigenza di così preminente questione – io – unico artista presente in questa Assemblea – non posso non chiedere che siano posti senza indugio all’ordine del giorno della Nazione i problemi: delle Arti Maggiori; delle Arti Collettive; delle Arti Sociali e Minori; ed in connessione con questi, il problema dell’economia turistica. Veramente di quest’ultimo è cenno nelle recenti dichiarazioni di Governo, delle quali mi piace sottolineare l’accidentale richiamo alle arti.

Gi ha narrato l’onorevole De Gasperi che a Washington, durante la visita alla Galleria Nazionale, i capolavori italiani gli sono stati mostrati con l’ammirata espressione: «Ecco i vostri più autentici ambasciatori nel Mondo».

Ed ora una scorsa, sia pure fugacissima, attraverso i vari settori:

Alle arti pure accedono le sole classi intellettuali. Una riforma ed una riorganizzazione, del resto già in studio presso il Ministero dell’istruzione, si impone. Si impone anche un riesame del «Novecento», fenomeno che trovò in Francia il clima per la sua naturale espansione, ed in Italia i suoi imitatori prima e gli speculatori poi, quando il fenomeno da letterario divenne politico.

Quanto alle arti spettacolari collettive, nelle quali è ormai totale l’accesso delle folle, è superfluo il richiamo all’interesse di un Governo democratico. Urge un pronto intervento per arrestare il rapidissimo declinare del teatro, a causa del troppo rapido ascendere del cinematografo e della radio. Anche in funzione turistica, l’esperienza insegna che le nostre possibilità per gli spettacoli all’aperto – ove entrano in giuoco grandi masse e grandi mezzi organizzativi – sono veramente eccezionali. Chi ha assistito agli spettacoli del Teatro Greco di Siracusa e del Teatro Romano di Sabratha può affermare di avere vissuto un prodigio di bellezza e di elevazione spirituale davvero incomparabile.

Del cinema e della radio basterà accennare come a nuovi fattori ad ampio sviluppo sociale. In Italia stanno essi oggi all’arte solo come fatti di eccezione per inaridimento di fonti e crisi manifesta di contenuto. È palese il dissidio fra gli interessi dell’industria, prevalenti su quelli dell’arte.

Occorrerà suscitare opere a più profondo senso morale sociale e umano, opere che trovano largo consenso nelle folle, così come hanno dimostrato recenti esperienze straniere.

Delle arti sociali – quelle cui accede la più vasta collettività – l’architettura è preminente, in quanto comprende in sé le altre arti plastiche ed in quanto più direttamente interessa la vita dell’uomo. Arte sociale di assoluta attualità per le necessità imperiose della ricostruzione.

Un cenno anche alla crisi che investe l’artigianato e le piccole industrie: crisi economica, sindacale-organizzativa e di produzione.

L’attività artigiana è la più idonea al libero temperamento italiano, così come lo sono la piccola proprietà, il lavoro domestico ed i mestieri indipendenti in genere, nei quali si realizza l’unità ideale del produttore e del lavoratore, sfuggendosi ai rapporti coattivi che tendono, nelle grandi industrie, a rendere odiosa la parte dell’uno e dell’altro, con la conseguente graduale distruzione della gerarchia, della solidarietà e del senso cristiano ed umano del lavoro. L’italiano ha sempre amato il lavoro, che gli consente anche libera espressione e che dia diletto al suo animo.

Purtroppo la guerra ha devastato anche questo settore in profondità: abbassamento del senso morale, febbre del facile guadagno e del godimento, disprezzo delle tradizioni e paralisi di sviluppo della personalità umana, col crollo di ogni aspirazione alla formazione di un avvenire individuale sul piano del lavoro. Ma non è tutto perduto: i mercati esteri richieggono tuttora insistentemente il prodotto italiano.

Urge rieducare i giovani all’amore del dovere, urge suscitare le nostre migliori tradizioni attraverso scuole, musei, biblioteche, centri sperimentali, ecc.

Concludo la rassegna delle attività artistiche facendo miei i voti di eminenti colleghi, di Istituti storici, di Enti insigni, enumerando le necessità effettive dell’arte nel quadro generale della nazione e nel quadro di Roma particolarmente.

1°) Che sia agevolata l’organizzazione unica apartitica di tutti gli Artisti d’Italia per la loro tutela, la loro rappresentanza e la loro difesa economica.

2°) Che sia agevolata – per gli stessi scopi – l’organizzazione unica apartitica degli artigiani d’Italia.

3°) Autonomia e riordinamento delle grandi Accademie storiche, col potenziamento della insigne Accademia di San Luca in Roma, affinché essa assolva – debitamente riorganizzata – nel campo delle arti quello che la gloriosa Accademia dei Lincei assolve nel campo delle scienze.

4°) Protezione dell’arte e dell’artigianato all’estero e vigilanza illuminata delle manifestazioni individuali e collettive.

5°) Riorganizzazione delle mostre nazionali ed internazionali.

6°) Riordinamento delle gallerie di arte moderna, con la revisione delle opere acquistate nell’ultimo ventennio, e nuovo disciplinamento che sottragga una così delicata materia al capriccio ed al mutevole gusto di dirigenti transitori.

7°) Restituzione alla sua funzione di origine del grande Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, in Roma.

8°) Assetto, in Roma, in edificio adeguato, della Collezione Loria e suo completamento così da farne un Museo Etnografico tra i più importanti nel mondo.

9°) Assegnazione del complesso edilizio e delle aree annesse all’ex-Foro Mussolini in Roma al Ministero della Istruzione, affinché sia destinato «a città dell’arte», per accogliere, in ambiente organico e suggestivo, le Accademie di arti figurative, i pensionati artistici, l’Accademia di recitazione ed un Conservatorio musicale.

Saranno attratte allo studio delle arti in Roma vaste correnti da tutti i Paesi del mondo, correnti già assai notevoli, malgrado il disagio e la insufficienza delle sedi attuali.

10°) Concessione e destinazione dei Mercati Traianei in Roma a centro artistico per mostre continuative e ritrovi suggestivi, integrati da un quartiere artigiano di eccezione.

11°) Assegnamento a cooperative edilizie fra gli artisti della zona fra via Flaminia e le pendici della villa Strohl-fern in Roma, per costruzioni esclusive di studi e piccoli alloggi.

12°) Partecipazione dell’organizzazione unica fra gli artisti italiani alla tutela del patrimonio artistico nazionale esercitata dallo Stato.

13°) Gradualmente – con l’auspicata ripresa costruttiva – per quanto si riferisce a chiese, edifici pubblici ed opere monumentali in genere, sia salvaguardato, con quello degli architetti, l’interesse dei pittori, degli scultori e dei decoratori, assicurando all’attività di questi una adeguata partecipazione alla realizzazione di tali opere. Sarà ripresa così la tradizione della collaborazione fra le arti, nobile caratteristica dell’arte edificatoria italiana. E sarà avviato a soluzione anche in questo settore il problema silenzioso ma tragico della disoccupazione intellettuale.

Eccoci infine alla attività pratica che compendia e valorizza tutte le manifestazioni dell’arte.

Dico della economia turistica italiana.

Questa industria, per la parte superstite della guerra, sta morendo in silenzioso isolamento, mentre in tutti i Paesi turistici del mondo – anche in quelli non meno rovinati dell’Italia – la riorganizzazione è in atto da tempo.

L’Italia, pel primato indiscusso delle sue bellezze naturali artistiche e storiche, è paese turistico per eccellenza.

Questa attività deve essere ripresa e potenziata. L’annuncio dato dal Presidente del Consiglio del ripristino della rete ferroviaria pel 1949 è già un elemento incoraggiatore e, sotto vari aspetti, risolutivo.

I venti miliardi di danni, sofferti dalla attrezzatura ricettiva alberghiera – i 1.500 alberghi colpiti, i 60.000 letti perduti – sono entità cospicue, ma la riattivazione di questa immensa industria, che interessa non meno di 700 Comuni, presenta tali prospettive di rendimento da non fare davvero esitanti finanziatori appena intelligenti. Si aggiunga la ricorrenza dell’Anno Santo nel 1950 per affermare l’attualità e l’urgenza della questione. Occorre, come ha già dichiarato il Presidente De Gasperi, affrettare il graduale processo di derequisizione degli alberghi da parte degli alleati. Occorre affrontare ed incoraggiare il coordinamento degli sforzi che i singoli sono pronti ad affrontare, ma, soprattutto, occorre anche, con opportune riforme legislative, dare un sicuro indirizzo alla politica del turismo in Italia, affinché sia riattivata al più presto questa naturale fonte di lavoro e di ricchezza. Con questa enumerazione di esigenze per una politica dell’arte e della ospitalità io ho finito.

Nelle sue recenti comunicazioni il Presidente ha annunciato la costituzione di un organo di Governo agile e snello, che presieda alla attività turistica. È augurabile che – anche avulso dalle attività affini – questo organo risponda veramente e completamente alle effettive necessità.

Quanto alle Arti, la vigile attenzione del Ministro Gonella ha messo allo studio molti dei punti da me toccati. Manca però al Ministero dell’istruzione un organo centrale propulsore, coordinatore e convogliatore di tante possibilità reali.

La Direzione Generale delle Arti, organizzata ed attrezzata per mansioni normali, è oggi impegnata invece anche alla urgente opera di salvezza del patrimonio artistico, uscito largamente devastato dalla guerra: compito di una enorme vastità e pel quale non si dispone che di mezzi assolutamente esigui, per poco che si pensi all’incalcolabile valore delle opere che, intaccate dagli aventi bellici, ora per ora, cedono all’azione del tempo.

Dai mirabili sepolcri angioini distrutti con Santa Chiara in Napoli, agli affreschi del Mantegna perduti con la Chiesa degli Eremitani a Padova, agli ormai scomparsi affreschi del Trionfo della morte nel chiostro del camposanto di Pisa, è tutto un mondo che si svuota dell’infinito che gli era stato apportato dal genio italiano e cristiano.

I mezzi debbono essere trovati: la nostra responsabilità dinanzi al mondo e dinanzi alle future generazioni è di quelle che non consentono alternativa.

Appare strano comunque che nella situazione di effettiva emergenza del Ministero della istruzione si sia insistito nella soppressione del Sottosegretariato alle Arti: l’unico che avesse effettive ragioni di esistenza, fra le alcune dozzine di Sottosegretariati conservati, e dei quali l’utilità è largamente discussa. Vien fatto di pensare che l’agitare problemi nell’aula sia meno efficace dell’agitarsi di uomini nei corridoi.

Peraltro, come ha affermato l’onorevole Corbino nel suo recente chiarissimo discorso, in pochissimi paesi è così viva ed incontenibile la capacità a riprendersi, malgrado tutto, come nel nostro.

Nulla di più preciso e di più vero posso confermare anch’io, dopo una recente peregrinazione attraverso i paesi dell’Europa centro-occidentale.

Così che è possibile, ed è certo anzi, che l’Italia si leverà veramente al centro della attenzione universale, perché nessun’altra terra può rispondere come essa alle necessità dello spirito – necessità che il dolore, l’orrore e le delusioni sofferte susciteranno su scala sempre più vasta nel mondo.

In Italia ed a Roma, le libere arti, i liberi cuori, le anime libere.

È il suo fatale destino: chiamare a raccolta le forze dello spirito – come sempre – nei secoli.

Secondiamo fidenti questo destino, sotto lo sguardo di Dio.

Esso non fallirà! (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 15.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Avverto che è pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione firmata dagli onorevoli Spano, Pratolongo, Pellegrini e Longo, per la quale è stata chiesta la discussione d’urgenza:

«Ai Ministri dell’interno e degli affari esteri, per conoscere per quale motivo non sono state prese le opportune precauzioni allo scopo di proteggere la sede della Delegazione jugoslava presso la Commissione consultiva per l’Italia; e per sapere quali misure sono state adottate a carico dei funzionari sui quali ricade la responsabilità dei deplorevoli incidenti di lunedì 10 febbraio».

Chiedo al Governo se riconosce l’urgenza di questa interrogazione e quando intende rispondere.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Riconosco l’urgenza e prego di rinviarne lo svolgimento a domani.

PRESIDENTE. L’interrogazione sarà iscritta nell’ordine del giorno della seduta di domani.

Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute oggi alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non intenda provocare una riforma legislativa all’articolo 33 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, che prescriveva per la costituzione di nuovi Comuni un minimo di tremila abitanti.

«Tale riforma si impone per non creare delle diverse situazioni fra i vari Comuni e per dare agio a delle frazioni, aventi piena possibilità di assurgere a Comuni, di poter vedere accolti i loro legittimi desideri.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quanto vi sia di vero in ciò che la stampa ha pubblicato intorno al funzionamento dell’A.R.A.R., alle merci che esso ha lasciato e lascia perire ed ai «carrozzoni» che ha consentito e consente, e per avere precisazioni e ragguagli intorno al modo onde si ritiene garantire ai cittadini una razionale utilizzazione e distribuzione delle ingenti quantità di materiali di recupero dall’A.R.A.R. incettati, sì che tale incetta si risolva in un sollievo della popolazione a traverso una riduzione di molti prezzi e non in una sozza fonte di continui arricchimenti per ingordi speculatori.

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, perché, in relazione al recente episodio del detenuto Caroselli, che, fermato mentre era in ottime condizioni di salute, è deceduto appena tradotto a Regina Coeli, precisi se e come è stata eseguita in mento un’inchiesta, quali esatti risultati essa ha dati e perché faccia conoscere se, di fronte all’eventuale profilarsi di responsabilità di funzionari o di agenti, non abbia creduto o non creda di dare corso agli opportuni provvedimenti di natura disciplinare e penale, affinché sia dissipato anche il dubbio che i sistemi di investigazione poliziesca non sempre si adeguino al dovere del rispetto della integrità fisica degli inquisiti e siano, nonostante ciò, tollerati.

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, in base anche agli affidamenti dati, intenda provvedere nel modo più sollecito alla ricostituzione del tribunale di Pinerolo.

«Tale ricostituzione, per vero, trova giustificazione e fondamento nelle tradizioni insigni di quel Tribunale e nelle necessità inderogabili di quelle popolazioni e corrisponde anche al principio di avvicinare sempre più al popolo gli organi della giustizia.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non si intenda dare una sistemazione definitiva, così come venne praticato nell’altro dopoguerra, ai segretari comunali provvisori reggenti, che, pur sprovvisti di titolo, hanno prestato e prestano validissima opera presso varie Amministrazioni comunali.

«Nell’altro dopoguerra, con regio decreto-legge 2 ottobre 1919, n. 1858, veniva autorizzato il Governo ad indire un esame straordinario, in base al quale molti segretari reggenti vennero definitivamente sistemati.

«Il riproporre oggi un siffatto provvedimento costituirebbe opera di giustizia verso una benemerita categoria, che nelle attuali contingenze ha dato prova di solerzia e di proficuo rendimento.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, per conoscere se non credano opportuno far precedere alla discussione del cosiddetto Trattato di pace una rievocazione del testo preciso della «Carta Atlantica», con la quale le Nazioni Unite si impegnarono solennemente a concludere la guerra con una pace umana e generosa ed ottennero per questo che popoli neutri e combattenti si augurassero la loro vittoria, si schierassero a loro fianco e sacrificassero migliaia di giovani vite alla certezza di portare finalmente la «pace cristiana» ad imperare sui forti e sui deboli.

«L’interrogante chiede che il Governo, ove le conosca e ritenga opportuno di rivelarle, indichi quali siano le ragioni che indussero le Nazioni Unite a smentire con i fatti i loro primitivi propositi, per addivenire alla imposizione di patenti ingiustizie, che non daranno pace ad alcuno e che lasceranno un perenne risentimento nei popoli che credettero all’impegno solenne dei Grandi capi di quelle potenti Nazioni.

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per sapere la ragione del rifiuto, opposto alle industrie conserviere siciliane, di licenze d’importazione di stagno, indispensabile per la manifattura delle conserve in scatole che si esportano all’estero.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, per conoscere – dato che il Ministero ha avocato a sé l’importazione e la distribuzione dello stagno e delle bande stagnate assegnate all’Italia pel 1947 – le ragioni che consigliano di ripartire queste materie a gruppi monopolistici e di negarle alle industrie conserviere siciliane. Queste, con le loro esportazioni, specialmente di pomidori pelati, hanno, infruttifere, forti somme in sterline giacenti a Londra, divise che potrebbero essere, invece, impiegate all’acquisto di materie prime necessarie all’industria conserviera siciliana.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per sapere quando sarà inviata una draga nel porto-canale di Mazara del Vallo.

«Da anni il porto-canale, sul quale si trova il centro peschereccio più importante, non è dragato e i motopescherecci corrono il rischio di infrangersi.

«Già piroscafi, motovelieri e velieri non possono attraccare, dato il fango trasportato dal fiume Màzaro e le alghe accumulate dal mare verso le rive.

«L’invio di una draga è urgente, per assicurare l’attività di questo centro peschereccio e centro industriale fra i più attivi d’Italia, ma fra i meno assistiti e che ancora attende la soluzione del problema del suo porto, senza banchine e senza gru pel carico.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati o si intenda di adottare, in occasione del riconoscimento di Scuole ed Istituti privati e pareggiati, onde impedire un indegno sfruttamento del personale insegnante da parte dei privati od enti che geriscono le nuove scuole, sì che non si ripetano casi come quello che si è dato in un Istituto pareggiato della provincia di Bergamo, che ha liquidato ad un suo insegnante una pensione di lire 1250 per trimestre.

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulla dolorosa lentezza colla quale si procede alla liquidazione della pensione a umili lavoratori che hanno passato tutta una vita di lavoro nei nostri istituti scientifici.

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quali concreti ed immediati provvedimenti intenda adottare perché la liquidazione degli acconti ai danneggiati di guerra della provincia di Frosinone possa procedere con un ritmo, che almeno non sia di quella esasperante lentezza che sino ad oggi l’Intendenza di finanza è stata costretta a seguire.

«L’interrogante ricorda all’onorevole Ministro:

1°) che sino al 31 dicembre 1946 sono state presentate all’Intendenza di Frosinone circa 140 mila domande per danni a beni mobili ed immobili;

2°) che, in 22 mesi, sono state definite solo 18 mila pratiche, limitatamente agli acconti per danni a mobili e ad arredi domestici;

3°) che, di fronte a una richiesta complessiva di risarcimento che si aggira intorno ai 40 miliardi, sono stati erogati acconti per 400 milioni di lire circa;

4°) che al servizio danni di guerra sono addetti 21 impiegati, dei quali uno soltanto, il capo reparto, di ruolo;

5°) che l’amministrazione centrale non ha creduto sinora di poter autorizzare l’Intendenza di Frosinone a svolgere lavoro straordinario retribuito.

«L’interrogante fa, inoltre, presente che è assolutamente necessario adeguare il personale all’importanza del servizio, destinandovi impiegati di ruolo, che potranno eventualmente essere distolti da altri servizi che abbiano un grado minore di urgenza; e che è del pari necessario far eseguire lavoro straordinario, congruamente retribuito.

«Fa voti, infine, perché la liquidazione degli acconti – ben misera cosa al cospetto dei danni subiti da ciascun danneggiato – possa essere definita nel volgere di pochi mesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e della difesa, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intendano prendere per definire al più presto la situazione dei dispersi e delle loro famiglie, allo scopo di liquidare loro una pensione;

2°) se nell’attesa di tale definizione, non credano dovere aumentare l’ammontare degli assegni d’assistenza al fine di evitare che: gli orfani diventino dei candidati alla tubercolosi; le vedove diventino delle candidate alla prostituzione; i parenti diventino dei candidati alla mendicità.

«L’interrogante fa presente che le famiglie dei soldati dispersi nell’ultima guerra continuano a percepire somme irrisorie a titolo di assistenza; che le povere vedove, per mantenere le loro creature, sono costrette ad un doppio lavoro: quello della casa e quello dell’officina; e, in mancanza di quest’ultimo, sono costrette a tutte le rinunce, a tutti gli avvilimenti, compreso il mercimonio del loro corpo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in quale modo e quando pensa di procedere alla sistemazione della categoria dei dipendenti statali già addetti presso i vari uffici pubblici del Possedimento delle Isole Egee, che, per categorica disposizione delle Autorità alleate, sono stati costretti a lasciare le loro funzioni e le loro sedi. Costoro che, tra personale di ruolo egeo (200) e personale a contratto (136), sono in tutto appena 336 unità, dopo essere stati esposti, a seguito dell’armistizio, ad inenarrabili sofferenze per la durezza dei tedeschi, e dopo essere stati, a seguito della liberazione, strappati dai loro posti, ove pure avevano svolta tanta utile opera a servizio della Patria e della civiltà, vivono oggi in condizioni ben dure, di abbandono materiale e morale, mentre, in definitiva, non dovrebbe essere difficile riassorbirli e distribuirli tra le varie Amministrazioni dello Stato. Costituiti in Comitato per la gestione amministrativa delle Isole italiane dell’Egeo, hanno posta la questione e formulato delle sollecitazioni, ricevendo promessa di opportuna considerazione, ma sin’oggi tali promesse non si sono tradotte in realtà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non creda opportuno che il personale subalterno in servizio di avventiziato da oltre un decennio presso varie Amministrazioni statali (e in particolar modo presso i Ministeri della grazia e giustizia, dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro) riceva una definitiva sistemazione in ruolo, per modo che in tempi così calamitosi, come gli odierni, tanti laboriosi ed onesti padri di famiglia cessino di tribolare per il loro domani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, perché – con riferimento al decreto legislativo presidenziale 6 dicembre 1946, n. 424, recante disposizioni sulla disciplina degli immobili adibiti ad uso di albergo, pensione o locanda – dica se non riconosca l’opportunità di sottoporre a riesame i criteri informatori di quella legge e di proporne la modifica nei sensi:

1°) che la proroga resti esclusa quando l’entità dei danni subiti dall’immobile in dipendenza della guerra riveli l’impossibilità che l’albergatore li ripari e se ne rivalga nel tempo concessogli;

2°) che, del pari, la proroga resti esclusa nei casi nei quali il proprietario dell’immobile intenda gestire lui l’albergo e dimostri capacità e mezzi economici e tecnici per i miglioramenti e per la gestione stessa;

3°) che, a scelta del proprietario dell’immobile, il canone sia adeguato ad una misura fissa di percentuale sugli incassi, facendosi applicazione così, in materia alberghiera, dello stesso criterio adottato in tema di proroga dei contratti agrari col decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 435;

4°) che, infine, siano esclusi dalla ulteriore proroga di anni tre gli alberghi che abbiano subito danni da requisizioni.

«Le reclamate modifiche si ispirano al criterio di contemperare i diritti della proprietà e della impresa e non vorrà disconoscere, l’onorevole Ministro, che ad entrambi quei diritti si deve, in clima di rinnovata fiducia della privata iniziativa, adeguata tutela. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro, dei lavori pubblici, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere il piano di impiego delle somme costituenti il fondo lire U.N.R.R.A., e l’utilizzazione effettiva da parte dei Ministeri cui l’interrogazione è rivolta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Dugoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno intervenire perché il dottor Lorenzo Filippone, che è stato assegnato come segretario generale al comune di Pavia, possa prendervi servizio, vincendo la ingiustificabile resistenza di quell’Amministrazione comunale – o, se questa persista a ribellarsi al Ministero – non creda di provvedere a trasferirlo in altra sede, previa assicurazione che l’invio di un funzionario di altra città o regione sia accolto senza ostruzionismo, che offendono il senso dell’unità italiana e il prestigio del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«BASILE».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se e quali provvedimenti abbia adottato in merito alla sistemazione a ruolo del personale contrattista delle Ferrovie dello Stato in relazione al progetto proposto da tempo dal Ministro dei trasporti, e per conoscere, in ogni caso, se non intenda, e per quali motivi, addivenire alla auspicata sistemazione del detto personale, il quale da parecchi anni dà le migliori energie in favore dell’Amministrazione, per fare cessare, tra l’altro, un trattamento non consono all’Amministrazione stessa e una inutile e dannosa finzione introdotta dal fascismo, che ha istituito questa categoria unicamente per fare credere alla riduzione del numero dei ferrovieri. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Cappugi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.55.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 15:

  1. – Svolgimento della seguente interrogazione:

Spano (Pratolongo, Pellegrini, Longo).

Ai Ministri dell’interno e degli affari esteri.

– Per conoscere per quale motivo non sono state prese le opportune precauzioni allo scopo di proteggere la sede della Delegazione jugoslava presso la Commissione consultiva per l’Italia; e per sapere quali misure sono state adottate a carico dei funzionari sui quali ricade la responsabilità dei deplorevoli incidenti di lunedì, 10 febbraio.

  1. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  2. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MARTEDÌ 11 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXIV.

SEDUTA DI MARTEDÌ 11 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Russo Perez                                                                                                     

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

Martino Gaetano                                                                                           

Coccia                                                                                                              

Baracco                                                                                                           

Pella, Sottosegretario di Stato per le finanze                                                       

Mattarella                                                                                                     

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Lombardi Riccardo                                                                                         

Labriola                                                                                                           

Perrone Capano                                                                                              

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto un congedo il deputato Dossetti.

(È concesso).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

Gli onorevoli Ministri della pubblica istruzione e delle poste e telecomunicazioni e l’onorevole Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero, non potendo essere presenti alla seduta di oggi, hanno chiesto che sia rinviata ad altra seduta lo svolgimento delle interrogazioni degli onorevoli. Angelucci, Scotti Alessandro, Pajetta e Volpe, che sono all’ordine del giorno.

La prima interrogazione è quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti abbia presi o intenda prendere per garantire la libertà dei cittadini, a qualsiasi partito appartengano, in vista di quanto è accaduto a Partanna (Trapani), dove il professore Vito De Simone (già candidato nella lista dell’Uomo qualunque per quella circoscrizione), intervenuto a un comizio comunista, fu aggredito e gravemente ferito di coltello. Si desidera anche conoscere se, coi responsabili diretti, anche gli istigatori sono stati assicurati alla giustizia e se sia stato fatto quanto occorre perché nessuno sfugga al giusto castigo».

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. È noto che gli organi di polizia hanno tassative disposizioni di predisporre adeguati servizi d’ordine in occasione di qualsiasi pubblica manifestazione, allo scopo di assicurare il regolare svolgimento e reprimere eventuali incidenti, a garanzia della libertà di tutti i cittadini.

A Partanna, durante un comizio indetto dal partito socialista per illustrare l’azione svolta da quella amministrazione comunale e per controbattere gli attacchi rivoltile in sede polemica dagli oppositori, alcune interruzioni del professor Vito De Simone, esponente qualunquista, determinavano una sovraeccitazione tale che il De Simone e la guardia comunale Guzzo Liborio riportavano alcune lesioni.

L’intervento tempestivo degli organi di polizia valse a circoscrivere l’incidente e ad evitare ulteriori conseguenze. In seguito a tali fatti sono stati adottati i seguenti provvedimenti: 1°) arresto di Stassi Giovanni di Vincenzo, comunista, per lesioni con circostanze aggravanti in persona del professor Vito De Simone, qualunquista da Castelvetrano, ed in persona della guardia municipale Guzzo Liborio, qualunquista, a mente degli articoli 582, 583, comma 2°, n. 4 Codice penale; 2°) denunzia a piede libero del sindaco di Partanna, geometra Costantino Cascio, socialista, oratore, per avere tenuto un comizio in ora diversa da quella stabilita dalle autorità competenti; 3°) denunzia a piede libero del dottor Benedetto Bruscia, medico di Partanna, democristiano, per falso in certificato medico; 4°) denunzia a piede libero di Barbara Rosario, qualunquista, da Partanna, per aver provocato disordini durante il comizio; 5°) denunzia a piede libero del professor Vito De Simone, qualunquista, da Castelvetrano, per essere andato armato di rivoltella ad un pubblico comizio.

Gli atti relativi sono stati già trasmessi dalla Pretura di Partanna alla Procura della Repubblica di Trapani, ed i procedimenti penali sono ancora in corso. Oltre i reati che hanno portato alle denunzie suddette, non se ne sono rilevati altri, neanche durante l’istruzione formale del processo, ed è da escludersi che vi siano altri istigatori o responsabili diretti che siano sfuggiti all’azione della giustizia.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RUSSO PEREZ. Avevo già fatto togliere il microfono, perché speravo di potermi dichiarare sodisfatto, ma una parte della risposta del Governo non mi ha lasciato contento, tanto più che l’affermazione che l’ex candidato qualunquista prof. Vito De Simone era fornito di rivoltella è stata sottolineata da qualche commento in quel settore della Camera. (Accenna a sinistra).

Partanna è un centro molto rosso e l’Amministrazione comunale è social-comunista. Durante la campagna elettorale fu permesso a un solo oratore di parlare in quella piccola cittadina: a me, perché mio padre è nato in quella città e vi sono abbastanza ben voluto; però, quando andai a parlare a Partanna ed un avversario fece esattamente quello che fece il professore De Simone, cioè invitò l’oratore del momento al contradittorio, lo invitai cortesemente a salire sul tavolo dal quale parlavo io, gli diedi la parola, gli risposi e, dopo avergli stretto cordialmente la mano, lo rimandai incolume e contento al suo posto. Viceversa il professore De Simone – armato – ma teneva la rivoltella in tasca – chiese il contradittorio ed ebbe in risposta una bella coltellata, giacché l’aggravante di cui parla il Sottosegretario è proprio quella dell’uso dell’arma. Ecco il secondo personaggio che tentò di parlare a Partanna, col risultato che avete sentito.

Le dichiarazioni del Governo sono rassicuranti, nel senso che sono state impartite le necessarie disposizioni, che l’Autorità di pubblica sicurezza ha il dovere di fare questo e di fare quest’altro.

Però, quando a Sciacca, recentemente, è successo il fatto dolorosissimo dell’uccisione del Segretario della Camera del Lavoro (e tutti i Partiti si sono associati nel deplorare il fatto, e nell’augurare che gli autori e gli istigatori fossero assicurati alla Giustizia), a Sciacca piombarono insieme cinque o sei deputati e sottosegretari, ed anche alcuni alti ispettori di Pubblica sicurezza e misero sottosopra l’intera città.

Una voce all’estrema sinistra. Era l’ottavo che ammazzavano.

RUSSO PEREZ. Ma chi l’ha ammazzato? Io sono innocente (Si ride).

Concludendo: Mi reputo sodisfatto delle dichiarazioni del Sottosegretario, anche perché altrimenti l’onorevole Conti direbbe che noi facciamo l’opposizione a qualunque costo, mentre poi ha confessato che per trent’anni ha detto di no, al tempo della Monarchia, senza eccezione alcuna.

Però la mia sodisfazione è a metà.

PRESIDENTE. Vedo che fa progressi, onorevole Russo Perez (Si ride).

Seguono le interrogazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile:

Al Ministro dell’interno, «sui fatti di Caccamo e per sapere se intenda di ordinare che siano ripristinati finalmente in Sicilia sistemi di civiltà e di umanità, facendo cessare le intimidazioni e le coercizioni che agenti della forza pubblica compiono a danno dei contadini dell’Isola, vittime sempre di soprusi e di sopraffazioni».

Al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se, riconosciuta l’assoluta insufficienza dei fondi stanziati per le opere della provincia di Catania, intenda di aumentare l’assegnazione di varie centinaia di milioni, sino al limite almeno delle somme concesse per le altre provincie dell’Isola; e ciò anche al fine di diminuire la preoccupante disoccupazione locale».

Non essendo presente l’onorevole Finocchiaro Aprile, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Ministro della guerra, «per conoscere se non ritenga opportuno emanare provvedimenti atti a favorire, nell’occasione dello sfollamento dei quadri dell’Esercito, quegli ufficiali i quali si siano resi meritevoli di particolare considerazione: a) perché danneggiati nella loro carriera durante il regime fascista per motivi direttamente o indirettamente di carattere politico; b) per il contegno, aderente alle leggi dell’onore ed ai doveri militari, tenuto 1’8 settembre 1943 e successivamente in territori controllati dai nazi-fascisti».

L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. Il personale militare danneggiato nella carriera per motivi politici può, in analogia alle disposizioni di legge, chiedere al Ministero la revisione della propria condizione. Posso annunziare fin da ora che il Ministero ha dato corso alle pratiche.

Oltre a ciò il Governo, preoccupato di alcune sperequazioni determinatesi nella carriera degli ufficiali per effetto della legge sullo stato di avanzamento del 1940, legge fascista, ha, da tempo, demandato ad una commissione ministeriale:

1°) l’esame della revisione dei vantaggi conseguiti nell’avanzamento per titoli vari da alcune categorie di ufficiali e parallelamente;

2°) l’esame della possibilità di attribuire determinati vantaggi a taluni gruppi di ufficiali dei quali l’avanzamento è stato particolarmente lento come, ad esempio, gli ufficiali col grado di tenente che hanno avuto semplicemente il grado di primo tenente.

Il personale militare che dopo l’8 settembre del 1943, ha tenuto fede alle leggi dell’onore e del dovere, è tenuto dal Ministero nella dovuta considerazione sia nei riguardi dell’impiego, sia nei riguardi dell’avanzamento.

Per converso, le sanzioni disciplinari riportate dal militare in sede di discriminazione, in dipendenza del comportamento tenuto dopo l’8 settembre, sono determinate, ai sensi dell’articolo 2 del decreto 5 maggio 1940, n. 384, con la cessazione del servizio permanente.

Esse, però, diventano esecutive dopo essere state vagliate da apposite Commissioni e sanzionate dal Ministro o dal Consiglio dei Ministri, a seconda dei gradi.

L’espressione «di massima» contenuta in detto decreto, concede di indulgere nei confronti di ufficiali generali e superiori, puniti con sanzioni lievissime, quando tutti gli altri elementi di giudizio nei loro confronti risultino decisamente favorevoli.

Ciò determina, automaticamente, una separazione ben netta tra gli ufficiali che hanno tenuto fede alle leggi dell’onore militare ed ai doveri della situazione contingente, e quelli che, anche parzialmente, vi siano venuti meno.

Infine, a favore del militare che, oltre ad aver tenuto fede alle leggi dell’onore militare, hanno attivamente partecipato alla lotta di liberazione nel territorio occupato dai nazi-fascisti, sono stati recentemente disposti particolari riconoscimenti, fra i quali i seguenti: equiparazione, a tutti gli effetti, dei volontari che hanno operato con le unità regolari delle forze armate della guerra di liberazione; concessione di promozioni e avanzamenti per merito di guerra, sanzionati coi decreti legislativi del Capo provvisorio dello Stato, 6 settembre 1946, n. 93 e 6 settembre 1946, n. 94.

Ritengo che l’onorevole interrogante possa ritenersi pienamente sodisfatto.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Ringrazio l’onorevole Ministro per la difesa e poiché egli ritiene che io possa ritenermi sodisfatto, dichiaro di esserlo.

Mi pare infatti di poter pensare che, citando diffusamente tutte le provvidenze disposte dal Governo a favore delle due categorie di benemeriti, menzionate nella mia interrogazione, l’onorevole Ministro abbia voluto implicitamente darmi l’assicurazione che di queste benemerenze sarà tenuto conto anche in sede di sfollamento dei quadri dell’esercito: il che, appunto, costituisce lo scopo della mia interrogazione.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano al Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga necessario disporre che l’applicazione del regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384 (riguardante il collocamento nella riserva degli ufficiali generali e superiori), avvenga gradualmente secondo le norme precise ed uniformi e nell’ordine seguente: 1°) ufficiali comunque compromessi con la repubblica sociale di Salò; 2°) ufficiali richiamati dal congedo durante la guerra e non ancora congedati; 3°) ufficiali già collocati nella riserva e trattenuti in servizio; 4°) a domanda degli interessati; 5°) di autorità.

L’onorevole Ministro per la difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro per la difesa. Siccome si tratta di risposta assai complessa, l’ho trasmessa per iscritto all’onorevole interrogante.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Mi dichiaro sodisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Coccia, al Ministro dell’interno, «per sapere se è vero che si starebbe preparando il decreto per distaccare dalla provincia di Rieti il mandamento di Cittaducale per unirlo ad altra provincia, il cui capoluogo è distante dal detto paese 50 chilometri, mentre Rieti ne dista solo 9, ed è separato dalle montagne dell’Abruzzo, con comunicazioni stradali e ferroviarie difficilissime. E ciò disprezzando la volontà di quelle popolazioni, che vogliono restare unite con la provincia di Rieti per entrare a far parte della costituenda Regione romana: aspirazione questa secolare e unanime di tutte le popolazioni sabine».

COCCIA. Rinunzio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Giacchero (Scotti Alessandro, Baracco, Stella), ai Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritengano opportuno di proporre un provvedimento legislativo che, a modifica delle disposizioni vigenti, consenta il beneficio della libertà provvisoria ai contadini attualmente detenuti per lievi inadempienze, compiute non a scopo speculativo, ma per necessità familiari e aziendali, nel conferimento agli ammassi, nella considerazione del danno che ne deriva all’agricoltura per l’assenza di braccia all’atto della preparazione delle semine, ed anche per una perequazione con quegli agricoltori delle provincie meridionali, che, pur avendo commesso lo stesso reato, hanno beneficiato dell’amnistia, perché l’infrazione fu commessa prima del 18 giugno, relativamente all’anticipato raccolto del grano».

BARACCO. Rinunzio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gortani, ai Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, «sulla convenienza economica e sociale di combattere finalmente la piaga della disoccupazione, ricorrendo a larghi programmi di bonifica integrale del monte e del piano, finora lasciati di gran lunga in sottordine rispetto alle opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici.

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunciato.

Sono rinviate, per la ragione già indicata, le seguenti interrogazioni:

Scotti Alessandro (Giacchero, Scalfaro), ai Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, «per sapere se non intendano svolgere una ben coordinata azione ai fini di porre i Comuni in condizione di rimettere in efficienza gli edifici scolastici delle zone rurali che sono il più delle volte inadeguati alle esigenze scolastiche e quasi sempre privi di impianti igienico-sanitari che possono e devono essere parte integrante dei mezzi educativi».

Pajetta Giuliano, al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, «a) sulla possibilità della concessione di un quantitativo fisso mensile di francobolli di franchigia militare per i militari di leva e di sottufficiali delle Forze armate, tenuto conto del livello estremamente basso della decade e del soldo. b) sulla possibilità di un’assegnazione fissa mensile di una certa quantità di carta da lettere, buste e cartoline postali semplici a detti militari».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Mattarella, al Ministro delle finanze, «per sapere se non intenda chiarire che l’imposta di fabbricazione, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 1946, n. 43, sugli zuccheri invertiti, non è applicabile ai mosti muti concentrati naturali, destinati ad usi enologici e che solo eccezionalmente in questo periodo di emergenza sono stati utilizzati come dolcificanti. Una tale imposta, che si vorrebbe applicata ai prodotti accennati, verrebbe a danneggiare notevolmente le industrie enologiche siciliane, specie quelle del «marsala», che rappresentano una delle attività economiche più notevoli della Sicilia occidentale. È poi da notare che i concentrati di tali zone sono naturalmente scarsi di acidità e ricchi di contenuto zuccherino, e sarebbe assai strano che per tale loro pregio e qualità essi dovessero venir sottoposti a dei pesi tributari non sopportabili, che, se mai, potrebbero colpire i concentrati deacidificati chimicamente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. La questione che forma oggetto dell’interrogazione è nota al Ministero delle finanze, il quale l’ha considerata con tutta l’attenzione che merita.

Apposito schema di provvedimento conterrà particolari agevolazioni nel senso richiesto dall’onorevole interrogante, soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei mosti concentrati di uva destinati ad uso enologico.

Si può assicurare l’onorevole interrogante che, in attesa di tale provvedimento, sono state impartite disposizioni perché siano sospese le riscossioni coattive in corso.

PRESIDENTE. L’onorevole Mattarella ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MATTARELLA. Mi dichiaro sodisfatto e mi auguro che il provvedimento preannunziato sia emanato con l’urgenza che il caso richiede.

PRESIDENTE. È rinviata l’interrogazione dell’onorevole Natoli, al Ministro del commercio con l’estero, «per conoscere esattamente i criteri che hanno informato l’accordo concluso col Governo norvegese per la costruzione di navi nei Cantieri Ansaldo. E per sapere se è vero che il Governo ha accettato in pagamento una quantità di stoccafisso per 1’86 per cento ceduto ad un gruppo di commercianti. Tale stoccafisso sarebbe ceduto al pubblico ad un prezzo elevatissimo. Questo gravoso sopraprezzo su un alimento di consumo popolare contribuisce all’aumento del costo della vita e rappresenta un premio che i consumatori dovrebbero pagare ai Cantieri Ansaldo, rinnovandosi così un protezionismo dannoso che il regime repubblicano deve invece eliminare.

È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Lombardi Riccardo. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi, io non ho il privilegio al quale si è richiamato l’onorevole Corbino, di parlare prima della firma del Trattato; io parlo dopo che il Trattato è stato firmato dal nostro rappresentante. Ma mi atterrò ugualmente all’impegno di non turbare, con una vera e propria discussione sui termini del Trattato di pace, la libertà di manovra e di azione che il Governo sta svolgendo in questo momento per migliorare almeno le condizioni di applicazione del Trattato stesso. Tuttavia, poiché l’onorevole Corbino ha espresso i sentimenti di questa Assemblea, e a questi sentimenti l’Assemblea si è associata in modo unanime, e questa unanimità d’ordinario dice troppo o dice troppo poco, io penso che sia indispensabile chiarire anche il senso di questa unanimità, anche a nome del gruppo a cui appartengo.

Il Presidente del Consiglio, con le sue dichiarazioni, si è assunto la responsabilità di firmare il Trattato di pace a nome del Governo, ma non si è assunto la responsabilità di proporre all’Assemblea la ratifica dello strumento. Cioè, il Presidente del Consiglio, per l’azione che egli, a nome del Governo, svolgerà durante questi mesi che ci separano dalla firma del Trattato alla ratifica, si propone evidentemente di usare della forza, dell’azione, del prestigio dell’Assemblea a favore dell’azione diplomatica che il Governo dovrà svolgere. Al che noi, come Assemblea, potremmo consentire, alla condizione però che l’Assemblea sia informata dei criteri direttivi che presiedono all’opera del Governo, informata, cioè, di quanto non lo è stata fino ad oggi; poiché nell’azione che il Governo svolge, non è vero che la voce dell’Assemblea possa recare un elemento di debolezza: essa reca in ogni caso un elemento di forza, quale avrebbe portato anche se una discussione preventiva fosse stata fatta. L’Assemblea avrebbe allora illuminato il Governo e l’avrebbe forse deviato dalla sua azione indiscriminata ed uniforme che, a nostro avviso, non è stata la più valida per la tutela dei nostri diritti nazionali.

Il rimprovero che noi rivolgiamo all’azione del Governo fino alla firma del Trattato è proprio di aver posto tutte le questioni che affiorano dal Trattato sullo stesso piano uniforme, piatto, senza rilievo, senza cioè sforzarsi di centrare quei due o tre elementi essenziali che sono effettivamente non accettabili dal Governo e dal popolo italiano. Si sono poste sullo stesso piano la questione di Trieste e quella delle colonie; la questione della sistemazione della Germania e quella della flotta. Si è rifiutato tutto in modo indiscriminato e così non si è avuto il punto di appoggio necessario per poter svolgere un’azione coerente e continuativa, ispirata ad un fine preciso, la sola che ci avrebbe consentito di ottenere i risultati che, secondo noi, si sarebbero potuti ottenere.

Il Governo avrebbe potuto, in questi ultimi mesi, proporre ed isolare le due o tre questioni in cui è impegnato l’onore nazionale, e che riguardano la sistemazione della Germania, da cui dipende la sistemazione dell’Europa ed alla quale quindi non possiamo essere estranei, e la questione delle garanzie delle frontiere e delle nostre minoranze nazionali. Su questi due punti, avrebbe dovuto richiedere delle garanzie e domandare la solidarietà dei molti interessi, che, nell’Europa e nel mondo, premono nello stesso senso e non proporre una discussione ed un rifiuto in blocco, quasi che tutte le questioni, da quelle economiche a quelle militari, avessero lo stesso rilievo e la stessa importanza per noi, col risultato che abbiamo visto, di aver, cioè, preclusa ogni via di miglioramento del Trattato e la stessa possibilità di revisione; revisione che non si può richiedere per tutto il Trattato.

Il Governo non ci ha informati, e per questa ragione, noi che pensiamo che bene abbia fatto ad assumersi la responsabilità della firma del Trattato, non possiamo sgravarlo della responsabilità che si è assunta circa il modo, le condizioni e lo spirito con il quale si è arrivati alla firma del Trattato.

L’onorevole De Gasperi ci ha detto che egli non aveva avuto il tempo, malauguratamente, di fare davanti all’Assemblea un discorso approfondito sulla questione, in quanto la lunghezza inopinata della crisi di Governo lo aveva costretto a rinunciarvi; ma ci ha detto che il programma del nuovo Governo è sostanzialmente quello del Governo precedente; ed allora, perché questa crisi, proprio nel momento in cui dovevamo essere chiamati a valutare tutta la sostanza e l’orrore dei patti che eravamo chiamati a firmare?

Vi è una certa diffidenza del Governo verso quest’Assemblea, una diffidenza che è necessario rompere. Durante i lunghi mesi nei quali si è fatta la grande operazione del prestito nazionale, l’Assemblea è stata tenuta chiusa, perché si temeva che la voce dei contrasti politici potesse turbarne lo svolgimento. Tutti abbiamo potuto vedere che, anche ad Assemblea chiusa, l’operazione è stata turbata da interventi, anche di uomini del Governo, spesso contradittorî e persino privi di tecnicismo, o fatti con spirito di improvvisazione. Non è vero che se l’Assemblea fosse rimasta aperta ed avesse potuto funzionare durante i mesi in cui si sono svolte le sottoscrizioni al prestito nazionale, i suoi dibattiti avrebbero sinistramente influito sui risultati del prestito. È vero, probabilmente, il contrario.

Se questa Assemblea fosse stata chiamata a discutere l’indirizzo delle trattative diplomatiche che il Governo in nostro nome svolgeva con Potenze alleate, noi avremmo potuto dargli qualche lume, avremmo potuto mitigare qualche contrasto, e mettere il Governo stesso in grado di trattare con maggiore autorità e con maggiore fermezza i sostanziali interessi dello Stato che rappresenta. Tuttavia, l’Assemblea non è stata chiamata a pronunciarsi e perciò ritengo che debba essere interamente riservato il suo giudizio sul modo e sullo spirito col quale le trattative che portarono alla firma del Trattato sono state svolte.

Giacché mi trovo a parlare, sia pure di scorcio, sulla questione dell’indirizzo della nostra politica estera, sento il dovere di affermare che per noi è un elemento sostanzialmente favorevole, è un elemento di credito, è un elemento positivo per il nuovo Governo, il fatto che di esso faccia parte l’onorevole Sforza. Io non voglio discutere la persona dell’onorevole Sforza, ma egli rappresenta la continuità di una tradizione politica democratica nella politica estera che è stato un torto e un delitto gravido di conseguenze l’avere abbandonata. La presenza dell’onorevole Sforza al Governo rappresenta per noi la ripresa di una tradizione che fu chiamata rinunciataria, ma lo fu proprio da coloro che hanno portato alla firma di ieri.

Questa crisi di Governo, che ha portato alla nuova compagine ministeriale, ha rappresentato per noi un abbassamento del livello delle precedenti crisi, di quelle crisi che portarono al secondo e al terzo Ministero De Gasperi. Nella crisi di giugno, subito dopo le elezioni per la Costituente, si era discusso, sì, di equilibrio dei partiti, di leve di comando, di zone di influenza riservate ai Partiti che partecipavano al Governo; tuttavia, c’era stata anche una discussione sostanziale di indirizzo programmatico. Si parlò e si discusse a lungo, per esempio, della scuola e della politica economica del Governo; ed anche nella seconda crisi del settembre – determinata dalle dimissioni dell’onorevole Corbino – si discusse dell’indirizzo economico e finanziario.

Invece, durante queste ultime trattative, nessuna discussione programmatica si è affrontata: il Paese ha avuto l’impressione, a mio avviso corrispondente alla realtà, che le trattative si svolgessero su un piano di pura divisione d’influenza, di pure zone riservate – non voglio dire di divisione delle spoglie – per cui si è avuta la sensazione netta che il piano anche morale, sul quale queste trattative si sono svolte, sia notevolmente abbassato rispetto alle trattative precedenti. Probabilmente c’era qualche sintomo, qualche segno di stanchezza. Non si è più ripresa la discussione sulla scuola. Gli onorevoli colleghi, molto probabilmente, avranno ormai scontato il fatto che il Ministro Gonella è destinato ad essere un elemento permanente di tutti i Governi che a mano a mano si succedono, probabilmente nella stessa misura in cui l’Ammiraglio De Courten fu un elemento permanente di tutti i Governi fino alla Costituente.

Oggi, però, il Governo si è formato e l’onorevole De Gasperi ha detto che il programma che sarà chiamato a svolgere è sostanzialmente quello stesso dei passati Governi, o, almeno, quello stesso del Governo precedente. Tuttavia, abbiamo visto alcune omissioni preoccupanti: per esempio, non si è più parlato del programma di nazionalizzazione dell’industria elettrica, che pure era stato uno dei punti della piattaforma del passato Governo. E si è parlato del progetto per i Consigli di gestione in una forma così involuta e ambigua, da suscitare delle reali preoccupazioni.

L’onorevole De Gasperi ci ha esposto un programma molto vago, non dettagliato, ed io posso anche pensare che questo sia un elemento positivo, che questo atto di modestia, il quale contrasta rudemente con la relativa prolissità del programma esposto in occasione della formazione dei precedenti governi, possa essere l’indizio di maggiore coscienza dei limiti che questo Governo ha, del fatto che più che risolvere problemi di largo respiro, esso è chiamato a risolvere problemi, apparentemente di breve momento, ma essenziali per la vita del Paese. Questo Governo che noi abbiamo sempre desiderato non come Governo di ordinaria amministrazione, ma di salute pubblica, può, attraverso la modestia del programma, dare qualche indizio di una più risoluta volontà di mettersi all’opera per realizzare dei programmi minimi sì, ma realizzarli effettivamente. Da qui alle elezioni legislative ci sono problemi che non ammettono di essere rimandati, problemi elementari sui quali qualsiasi Governo degno di questo nome deve impegnare tutta la sua azione, tutta la sua energia. Non si può lasciare un popolo nella vana aspettativa; non si può permettere che dei problemi capitali non siano neanche affrontati. Far questo significherebbe arrivare alle elezioni in uno stato tale che il primo esperimento democratico e repubblicano sarebbe definitivamente screditato.

Il Governo ha risolto, nella sua stessa formula di composizione, qualche problema di apparato: c’è l’unificazione dei Ministeri del tesoro e delle finanze che noi stessi avevamo chiesto e che, a mio avviso, è opportuna e saggia. Ma, badiamo bene, l’abbiamo chiesta in quanto sia garanzia di unicità di direttive della politica economica e finanziaria. Se il Governo, con l’unificazione dei Ministeri del tesoro e delle finanze, ci vuol dare una preventiva assicurazione che da oggi in poi ci sarà una direttiva unitaria nella politica economica, che il Comitato interministeriale per la ricostruzione comincerà finalmente ad essere un vero organismo direttivo di questa politica e che ancora l’azione che sarà svolta dai Ministeri delle finanze, dell’industria, dell’agricoltura e del commercio estero non sarà più slegata e quasi affidata alla iniziativa ed alla responsabilità dei singoli Ministri, ma sarà unitaria e controllata dal Governo con responsabilità collegiale, se questo è, effettivamente, pensiamo che un passo avanti sia stato fatto.

Ma se ciò non dovesse essere, l’unificazione in sé e per sé non significherebbe altro che scaricare sulle spalle (buone come quelle dell’onorevole Campilli, ma assolutamente incapaci, non per difetto della persona ma per la enormità dei problemi) una responsabilità che nessun uomo singolarmente può portare.

Se ciò non fosse, noi dovremmo pensare che tutto il risultato nella variazione della composizione del nuovo Governo rispetto al vecchio altro non sia che lo smantellamento del Ministero dell’assistenza postbellica. Del resto, noi non pensiamo che sia stato un bene eliminare il Ministero: questo era un Ministero nuovo e come tale aveva tutti i difetti, anche di improvvisazione, che hanno tutti i nuovi organismi, ma aveva anche dei pregi.

Perché era stato voluto il Ministero dell’assistenza post-bellica? Perché doveva costituire il primo gradino per arrivare a quel Ministero dell’assistenza sociale, la cui fondazione doveva provare che il Governo democratico e repubblicano considerava l’assistenza come parte integrante dei suoi doveri e dei suoi compiti, dei doveri e dei compiti di uno Stato moderno.

Invece di fare un passo avanti, cioè di passare dal Ministero dell’Assistenza post-bellica al Ministero dell’Assistenza, tout court, si è fatto un passo indietro, si è abolito il Ministero; ma non si sono aboliti gli assistiti, non si sono aboliti i reduci, non si sono aboliti i partigiani, che da oggi in avanti avranno delle difficoltà perfino per sapere a quale dei diversi Ministeri, fra i quali sono stati ripartiti i diversi servizi del soppresso Ministero dell’assistenza post-bellica, dovranno indirizzare le loro domande. Non si sa neanche come e chi dovrà coordinare l’assistenza alle diverse categorie. Certo si farà un passo indietro, cioè da un tentativo di portare l’intervento dello Stato su un piano di assistenza, si ritornerà ad un piano di beneficenza; il che, a mio avviso, è un netto svantaggio, è un notevole regresso rispetto alla stessa difettosa situazione di prima.

Io voglio sperare che il Governo, soppresso che sia il Ministero dell’assistenza post-bellica, non si impunterà nello smantellamento dei servizi. Non so se il braccio secolare dell’onorevole Cappa è già pronto per questa operazione, ma io prego il Governo di pensare che un esperimento che aveva dei lodevoli lati di modernità (poiché era stata tentata la democratizzazione nella distribuzione regionale e provinciale dagli aiuti e delle sovvenzioni che attraverso il Ministero venivano ai diversi organi periferici), non debba essere abbandonato.

Questo esperimento democratico, nella sua modestia, era un passo importante, era qualcosa che tranquillizzava le numerose categorie che fino ad oggi hanno visto nel Ministero dell’assistenza post-bellica non certo una cosa perfetta, ma il primo gradino per qualcosa di sostanziale e qualcosa, soprattutto, di continuativo, che involgesse la responsabilità del Governo e dello Stato nel suo dovere elementare di non lasciare che alcun cittadino fosse messo in condizione di essere privo degli elementi indispensabili alla vita.

Ora, pur senza sottovalutare i compiti e le difficoltà del nuovo Governo, io penso che compito dell’opposizione parlamentare debba essere quello, non già di riconoscere che alcune cose non si sono fatte e che alcune non si possono fare, ma di centrare i punti sui quali, a nostro avviso, l’opera e la responsabilità del Governo sono impegnate.

Noi assistiamo, direi con simpatia, allo sforzo ed alla responsabilità che il Ministro del tesoro e delle finanze si assume. Egli è certamente chiamato ad un compito enormemente grave, tuttavia non disperato. Nessuno oserebbe chiedergli dei provvedimenti di disperazione. Ma se il Ministro del tesoro e delle finanze guarderà a quelli che sono i sui compiti immediati (che, a nostro parer sono quelli di decidere sulla incidenza delle imposte straordinarie e delle imposte ordinarie e di portare l’apparato tributario ad un grado di funzionalità tale che il programma di mille miliardi annui di imposte possa essere realizzato col tempo, e con l’aumento del reddito nazionale), se egli metterà a concorrere fermamente in questo piano, nei prossimi mesi, potrà essere sodisfatto della propria opera. Noi pensiamo che le imposte straordinarie, alle quali siamo stati, siamo e saremo favorevoli, oggi abbiano perduto in gran parte il campo stesso sul quale possono incidere. C’è stato un momento, da questo punto di vista felice, nel quale i detentori di ricchezza, coloro che si erano arricchiti lecitamente o illecitamente durante il fascismo, erano pronti ed avevano perfino delle riserve precostituite per poter fronteggiare un’efficace e moderna finanza democratica. E coloro che rimproverano all’onorevole Scoccimarro di non aver fatto abbastanza in questo senso, sono coloro stessi che hanno ostacolato l’opera sua, per poter portare ad altri altri provvedimenti indirizzati allo stesso fine. (Applausi a sinistra).

Ora il tempo non è più così favorevole. Siamo nelle condizioni in cui, malgrado tutti gli sforzi fatti da questa sinistra per poter arrivare a determinati provvedimenti, come quello del cambio della moneta (che andava fatto nell’epoca e nelle condizioni opportune, che ci furono e che furono condizioni ideali) i provvedimenti stessi hanno perduto in gran parte, se non tutta la loro validità. Ci troviamo oggi a dover dire che, dopo due anni di spese eccezionali per le industrie, dopo due anni nei quali i detentori di ricchezze, bene o male guadagnate, hanno avuto tempo e larghe possibilità per poterle investire (e molte volte in investimenti speculativi o investimenti all’estero), il mordente della finanza straordinaria è in gran parte caduto. Ed allora il Governo deve onestamente porsi questo problema e porlo davanti all’Assemblea, informandola dei suoi propositi. Oggi nessuno sa che cosa il Governo intenda fare, se intende premere le leve delle finanza ordinaria più che quelle della finanza straordinaria.

C’è il problema, al quale l’onorevole Corbino ha accennato, dei cinquecento miliardi di deficit annuo, sui quali la finanza straordinaria potrà incidere per una parte che io non credo modesta. L’onorevole Scoccimarro ci dirà probabilmente a che punto ha lasciato le cose, e l’onorevole Campilli ci dirà come intende proseguire quest’opera. Ma è certo che soltanto con le imposte straordinarie non si assicura una continuità di gettito alla finanza dello Stato.

Oggi ci sono altre leve sulle quali operare: ci sono industrie in condizioni eccezionalmente favorevoli, e ci sono i redditi di queste industrie. Noi non siamo contro i profitti, sebbene vogliamo che il profitto sia investito sotto controllo nazionale per il miglioramento del nostro apparato produttivo. Ci sono redditi eccezionali in determinate branche dell’industria e tutti sanno che essi sfuggono sistematicamente al fisco. Ora, il primo compito dell’onorevole Campilli è proprio questo, di impedire che tale sconcio continui, di impedire che le industrie che si arricchiscono (e fanno bene ad arricchirsi) neghino la loro solidarietà.

La fame di gran parte del popolo non è una invenzione propagandistica o demagogica, ma è una triste realtà, che tutti noi, che viviamo a contatto con la vita popolare, sentiamo ogni giorno. (Applausi).

Io credo che l’opera del Ministro delle finanze e del tesoro abbia qualche possibilità di respiro.

Noi osserviamo che il livello attuale dei prezzi è notevolmente superiore al livello attuale dell’aumento della circolazione (ci sono prezzi stabilizzati a circa trenta volte quelli dell’anteguerra, mentre il carico di inflazione è sulle venti-ventidue volte). Evidentemente abbiamo un margine che può resistere a questi mesi in cui necessariamente si dovrà stampare; e non lo neghiamo, non diciamo che ci taglieremo le mani al momento di firmare un decreto per la stampa di nuova moneta, quando la stampa si continua a fare.

A questo proposito invito il Governo a ristabilire la pubblicità dei conti del tesoro e della situazione decadale della Banca d’Italia, perché tutto il popolo italiano ha il diritto di sapere queste cose. Questo diritto è stato soppresso all’inizio della guerra dal fascismo, e non si capisce perché dobbiamo essere informati attraverso conti complicati, quando la Banca d’Italia ha l’elementare dovere, per legge, di informare l’Assemblea Costituente ed il popolo italiano dello stato della nostra finanza.

L’onorevole Campilli dovrà essere sufficientemente accorto per utilizzare questo margine. Che cosa vuol dire avere un moltiplicatore d’inflazione minore del moltiplicatore dei prezzi? Vuol dire che i prezzi non sono aumentati soltanto come conseguenza dell’inflazione, ma che su di essi operano delle situazioni, direi psicologiche, alle quali il Governo è chiamato a far fronte.

Durante questo periodo, noi possiamo scontare la possibilità di stampare un po’ di nuova carta-moneta, senza che i prezzi crescano, a patto che non intervengano altri elementi psicologici capaci di contrastare la manovra. E perché non intervengano questi elementi, il Governo deve operare alla luce del sole, deve dire qual è il suo programma, deve stabilire un programma anche audace, se vuole, ma limitato, in modo che tutti siano in grado di sapere fino a quale limite opereranno le nuove imposte e tutti possano sapere se il Governo intende svolgere un’azione in questo senso o in senso opposto, in modo che vi sia l’elemento della fiducia, che non è mai elemento astratto, astrale, ma nasce dalla sensazione che alla testa della nostra amministrazione finanziaria vi sono uomini saggi che non vogliono certo sopprimere le difficoltà, che nessuno può sopprimere, ma nella cerchia di queste difficoltà sanno operare assegnandosi dei limiti ed impegnando il loro onore e la loro responsabilità politica a non varcarli.

In questo modo, se il Governo riuscirà ad abbozzare, ma soprattutto a realizzare un programma che sia limitato, ma che si sappia esattamente quale sia, quegli elementi psicologici indispensabili, perché i prezzi non reagiscano a loro volta, e non si abbia una nuova discrepanza fra tasso di inflazione e tasso di prezzi, potranno operare e servire come uno strumento utile nelle mani della nostra amministrazione.

Certo, uno dei principali elementi perché questa fiducia rinasca, è costituito dalla politica che si intende svolgere in materia di cambio della moneta. Non starò qui a riprendere una vecchia polemica, che ormai si trascina da mesi, su questa eterna questione del cambio della moneta. Penso, però, che il Governo, dopo avere impostato tutta la sua propaganda per il lancio del Prestito sulla base che il cambio della moneta si sarebbe fatto, non può onestamente rinunziare a questa operazione.

Ed allora mi permetto di riprendere la mia vecchia proposta, che forse è ancora attuale: cioè che il cambio della moneta debba esser fatto, non tanto a scopi statistici di accertamento delle ricchezze monetarie individuali, ma in modo che si traduca in una vera e propria imposta sulla moneta; la quale, per riuscire, deve essere limitata e con aliquote modeste.

Questo si può fare, anche perché, se il Governo ricorre a tale sistema, esso, intanto, terrà fede agli impegni (ed in fatto di credito pubblico il tener fede agli impegni è cosa sostanziale e fondamentale) e, nello stesso tempo, potrà preparare e applicare, con relativa rapidità, un’operazione che non esige la creazione di grossi sistemi di accertamento, un’operazione che potrebbe essere addirittura effettuata in forma di stampigliatura, senza prelevamento diretto in moneta, ma soltanto con una decurtazione nominale, facilitando l’operazione e mettendo lo Stato in grado di far fronte ai propri doveri e di rispettare gli impegni assunti.

Una errata presa di posizione su questo problema ha turbato l’opinione pubblica; e non c’è ragione che essa si turbi. Un’infinità di gente ha pagato in investimenti di riparo assai di più di quanto avrebbe pagato con un tasso di decurtazione, anche il massimo, che il Governo poteva avere intenzione di applicare, ove l’operazione del cambio fosse stata fatta come preparazione della imposta progressiva sul patrimonio.

Se il Governo, con coscienza e con chiarezza, giustificando le ragioni della propria azione, ricorrerà ancora a questo sistema, finalmente libererà l’atmosfera finanziaria ed economica del Paese da un incubo sproporzionato all’effettiva realtà del problema, e potremo fare un passo avanti, senza avere il cielo oscurato da questa minaccia.

Io non penso che il Governo – come mi pare abbia detto ieri l’onorevole Conti – sia chiamato a compiti di ordinaria amministrazione; sono persuaso, invece, che sia chiamato a compiti di emergenza della massima importanza. Noi siamo veramente in una situazione grave per le ragioni obiettive che tutti riconoscono e che non potrebbero essere diverse, ma anche perché ci troviamo di fronte ad una reviviscenza, ad un tentativo di organizzazione e di potenziamento di organismi, senza diretta responsabilità politica, i quali intendono sempre più controllare l’opera del Governo e dell’Amministrazione. Io non so spiegarmi la campagna continua, dura, che si fa oggi non contro questo o quel Ministro dell’industria, ma dentro il Ministero dell’industria. La Confederazione Generale dell’Industria pubblica un organo di stampa solo per combattere tutti i provvedimenti che il Ministro dell’industria propone, applica o si propone di applicare.

A cosa vogliamo arrivare? Parliamoci chiaro. Io non credo al liberismo della Confederazione dell’industria. Quei signori industriali della Confederazione non sono stati mai liberisti. (Approvazioni a sinistra). Quando hanno avuto la possibilità di operare nella vita economica nazionale, non lo sono stati.

Protezionisti prima del fascismo, corporativisti durante il fascismo, e oggi all’improvviso tutti seguaci dell’onorevole Einaudi, tutti fautori del libero scambio. Quando si fa una campagna di questo genere è legittimo il sospetto che non si vogliano abolire le bardature; ed effettivamente ci sono bardature eccessive, irrazionali, come ci sono bardature necessarie. È legittimo il sospetto che non si voglia ritornare alla politica del libero scambio, perché ho visto in questi mesi che quando si è trattato di arrivare a determinati obiettivi, anche questa politica liberista, affermata in linea di principio, è stata abbandonata. È stata abbandonata quando era chiaro che non poteva servire a determinati interessi. E allora è legittimo il sospetto che si voglia, non già abolire i controlli, ma mantenerli, ma averli in mano per farli servire a determinati interessi. Contro queste manovre è necessario reagire, è compito nostro reagire. Dobbiamo richiamare il Governo ad avere la chiara coscienza che è necessario fronteggiare questa situazione, opporre forza contro forza; opporre la forza della risolutezza politica, la forza del coraggio politico. Perché tutto quello che oggi si fa, tutti i tentativi in gran parte modesti, se vogliamo, ma anche necessari per arrivare ad una programmazione, ad una pianificazione della nostra vita economica, devono essere guardati con l’occhio volto avanti e non indietro, devono essere guardati come il primo gradino per dare un’organizzazione razionale alla nostra vita economica, quali strumenti al servizio degli interessi della collettività nazionale e non di interessi particolari che non sempre coincidono con quelli del Paese.

La stessa minaccia, io credo, che dobbiamo prepararci a fronteggiare nel Ministero dell’onorevole Segni, il Ministero dell’agricoltura. Perché la Confederazione dell’agricoltura dà indizi di terremoto, dei segni sismici curiosi; si sta riorganizzando in una forma che assomiglia stranamente ad una reviviscenza di sistemi corporativi che abbiamo conosciuti molto da vicino. Questi tentativi della Confida di organizzarsi per branche di prodotti, sebbene appena abbozzati, e per quanto ancora tenuti, diremo, sotto banco, suscitano il grave sospetto che la Confederazione dell’agricoltura, reputando che la situazione politica sia favorevole a questo esperimento, intenda ripristinare un sistema complesso e rigido di corporativismo. Io credo che sia persino superfluo richiamare l’attenzione dell’onorevole Segni su questo pericolo reale, non effimero, che minaccia tutta la vita della Nazione in una parte sostanziale e fondamentale come l’agricoltura.

I nostri amici della Confederazione del lavoro, della Federterra debbono non soltanto preoccuparsi delle agitazioni salariali, ma capire che ci sono alcune fondamentali esigenze che ci interessano tutti molto da vicino e che sono gravemente minacciate dal tipo di organizzazione a cui ho accennato. Sarebbe stolta politica voler guardare le prime e non le seconde, perché la Confederazione dell’industria e la Confederazione dell’agricoltura, o amici della Confederazione del lavoro, si indurranno facilmente, sia pure esteriormente molto riluttanti, a cedere a richieste salariali. Si faranno pregare molto e diranno che sono rovinati; ma cederanno, e cederanno molto volentieri. Ma di fronte a questo e dietro a questo preparano la conquista di ben altre leve di comando, di ben più solido terreno; e quando avremo ottenuto dei miglioramenti di salari, ma troveremo tutti i gangli dello Stato permanentemente occupati da forze che ci faranno scontare il loro peso, la loro forza, per lunghi anni, che cosa avremo ottenuto?

E poiché sono a parlarvi della politica economica del Governo, io credo che questa Assemblea debba finalmente occuparsi della questione dell’Istituto per la ricostruzione industriale. L’I.R.I. è nato, si può dire, per caso, in Italia, con un programma che è stato poi largamente superato dagli avvenimenti. Debbo dire che, nato male, nel corso della sua vita è diventato una bella donna, uno strumento utile. Però, guardate che questo uno dei pochi strumenti efficienti di cui lo Stato dispone per la sua politica, sta per liquefarsi. Quello che sta avvenendo all’I.R.I. è cosa che ci deve gravemente preoccupare. Non ho visto ancora nessuna domanda di smobilitazione del1’I.R.I.; nessuno ha pensato che l’I.R.I. potesse essere di ostacolo al liberismo economico. Debbo pensare con ragione che ciò non è stato chiesto, perché l’I.R.I. minaccia di diventare uno strumento non già del Paese, ma, ancora una volta, di determinati gruppi. (Commenti). Io credo che il Governo non abbia l’intenzione di privare il Paese di uno strumento essenziale che esso ha in mano.

C’è stato un momento, in cui alcuni di noi (che allora eravamo prefetti del Comitato di liberazione nazionale) hanno in tutti i modi cercato di incanalare, di favorire l’opera del Governo, perché questo strumento dell’Istituto della ricostruzione italiana diventasse una cosa seria nelle sue mani, perché alcune partecipazioni si mutassero nella proprietà statale di determinate industrie. Alcuni dei miei colleghi, che sono stati prefetti durante quel tempestoso periodo, ricorderanno che noi non abbiamo facilitato determinati crediti e industrie siderurgiche e metallurgiche, perché volevamo portarle a rivolgersi allo Stato, cioè all’Istituto della ricostruzione italiana, per essere acquistate per poco, perché in quel momento ciò era possibile. Ma lo Stato, invece di impadronirsi di queste industrie, ha concesso crediti per dieci miliardi prima e venti miliardi dopo, che sono stati bruciati per l’eccesso di mano d’opera o in opere più o meno utili; e tutto ciò, con quello stesso denaro dello Stato che avrebbe potuto costituire uno strumento ben più efficiente di governo dell’apparato industriale.

Comunque, è chiaro che oggi ci troviamo nella curiosa situazione, per cui il Presidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale – persona per la quale io credo che tutta questa Assemblea abbia il massimo rispetto e la massima considerazione – è nello stesso tempo Presidente dell’Associazione fra le Società italiane per azioni e ciò nonostante una certa, anzi una radicale, opposizione di interessi fra la grande industria, che domina l’Associazione delle Società per azioni e l’Istituto della ricostruzione italiana, strumento dello Stato, chiamato proprio a garantirlo contro lo strapotere della grande industria. È questo un problema sul quale, con tutta la moderazione necessaria, richiamo l’attenzione del Governo e particolarmente del Ministro dell’industria.

Io penso perciò che in materia di politica economica il Governo non abbia poco da fare: esso avrà molto da fare; avrà soprattutto il compito di perfezionare i suoi organi e di perfezionarli in modo serio, perché tutto il Paese è stanco di sentire che determinate operazioni, che sono elementari in qualsiasi paese, non si possono fare da noi, perché l’apparato statale ed amministrativo è distrutto.

Ciò è vero, ma ci sono stati due anni di tempo: che quindi non si possa proprio far niente, che anche nell’alimentazione non si riesca a rimettere nulla in piedi, questo è eccessivo per qualsiasi amministrazione statale ed è assolutamente intollerabile per il Governo di un grande Paese come l’Italia. In queste cose, non è tanto la volontà di questo o di quel Ministro che possono essere determinanti, quanto la solidarietà fra i Ministri, e questo è un compito del Governo nel suo complesso, il quale, su questi problemi che sono pochi, ma sostanziali, deve assumere un determinato indirizzo e dire al Paese ciò che intende fare, mentre l’Assemblea potrà essere chiamata a pronunciare un determinato giudizio. Sotto questo aspetto, si può dare un valore positivo alla modestia del programma esposto dall’onorevole De Gasperi, perché proprio questa modestia può essere garanzia di maggior coscienza dei propri compiti.

Prima di finire, voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea e del Governo sulla sistemazione che è stata data ai Ministeri delle forze armate, con la creazione del Ministro della difesa. Non avrò il cattivo gusto di dilungarmi sul fatto che il cambiamento del Ministero della guerra in Ministero della difesa non è poi una garanzia efficace contro lo spirito di guerra, una dimostrazione tanto sicura della volontà di pace. C’è stato qualche precedente che farebbe pensare esattamente il contrario; tuttavia, poiché il programma del Governo, come ci ha detto l’onorevole De Gasperi, è sostanzialmente identico a quello precedente, il programma di sfollamento degli alti gradi dell’esercito dovrà essere proseguito, sottraendolo all’opera di erosione e di sabotaggio che di esso si vuol fare.

Ci sono interessi che premono in questo senso; io penso che i compiti dello Stato maggiore debbano tornare ad essere quelli naturali, dell’attrezzamento e dell’addestramento, con la soppressione di una quantità di uffici e di servizi; perché effettivamente, ci sono delle soprastrutture che vanno eliminate corrispondentemente ai compiti più modesti che, non so se sfortunatamente o fortunatamente – a mio avviso, fortunatamente – vengono assegnati all’esercito.

L’onorevole De Gasperi ha detto giustamente che si deve fare in modo che tutti i combattenti delle passate guerre siano reinseriti nella compagine nazionale. Approvo incondizionatamente questo indirizzo; e penso che tutti coloro i quali hanno combattuto o sofferto, anche sotto una falsa bandiera, sotto la bandiera fascista, debbano tornare ad essere cittadini nella totalità dei loro diritti. Ma non i generali faziosi ed inetti, non i responsabili, non dico di una politica sbagliata, ma di una direzione dell’esercito, la quale ci ha portati a quello che tutti sappiamo, a una condotta della guerra, indipendente dalle ragioni politiche della guerra stessa, ad una direzione, oserei dire, tecnicamente e moralmente responsabile del modo come si sono verificate la ritirata di Russia e la ritirata di El Alamein.

La nuova democrazia italiana deve avere la certezza che il nuovo esercito abbia liquidato tutti i marescialli ed i generali prestigiosi. Deve avere la garanzia che il nuovo esercito rappresenti una forza democratica, a disposizione soltanto del Paese. Su questo io spero di poter trovare il consenso di tutta l’Assemblea. (Applausi a sinistra – Commenti).

Voci all’estrema destra. No, no!

LOMBARDI RICCARDO. Questa interruzione mi fa ricordare che ad un amico, parlando proprio del Ministero della guerra, dicevo che un Ministro della guerra, il quale si assume questo grave compito, che voglia cioè svolgerlo sul serio, deve essere un Ministro preparato ad interrompere la sua carriera politica. Non aggiungo altro. (Commenti).

Se il Governo affronterà i compiti ai quali ho, sia pure di scorcio, accennato, esso avrà in questi mesi, che ci separano dalla approvazione della Costituzione e dalle nuove elezioni, un compito meritorio da assolvere e che non sarà certamente di ordinaria amministrazione.

Il poter affrontare questi problemi, il poter resistere a tutte le minacce ed alle manovre contrarie, e svolgere una politica coerente e indirizzata in senso veramente democratico, è un compito duro per qualunque Governo, ed io mi auguro che questo Governo sia pari al suo compito.

Per quanto riguarda i compiti della nostra opposizione, cioè della opposizione di sinistra, che è la sola opposizione reale che esista in questa Assemblea…

Una voce all’estrema destra. Lei presume troppo!

LOMBARDI RICCARDO. E vi dico subito il perché: quando l’altro ieri l’onorevole Corbino fece un discorso di opposizione così blando, così amichevole, io me ne meravigliai, ma un uomo politico assai fine, al quale facevo questa osservazione, mi disse: ciò è naturale, perché Corbino è al Governo ed all’opposizione siete voi. (Commenti – Si ride).

Credo che questo Governo debba dimostrare di non essere ispirato ad una politica conservatrice, dimostrare che esso è effettivamente un Governo di sinistra o almeno un Governo di centro sinistra. Ed è strano che l’opposizione debba essere organizzata proprio a sinistra, dove siedono i maggiori fautori di questo Governo.

Il nostro compito di oppositori, al quale abbiamo assegnato una divisa che credo non sia disdicevole, quella di non criticar mai senza avanzare proposte costruttive, è quello stesso tipo di opposizione che il nostro gruppo ha fatto dal 2 giugno ad oggi, e sarà continuato, in modo che l’azione del Governo sia, non intralciata, ma stimolata.

Noi vogliamo rappresentare la viva coscienza delle esigenze democratiche della resistenza, le quali continueranno ad essere la sola cosa viva, pulita ed efficacemente operante che esista in questo Paese. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

LABRIOLA Onorevoli colleghi, credo che l’unica risposta che possa farsi alle comunicazioni del Capo del Governo consista nell’esortazione: facciamo le elezioni il più presto che sia possibile.

La triarchia ha fatto seguito all’esarchia. Le deficienze e gl’inconvenienti dell’una sono le stesse qualità dell’altra. Essi si riassumono in un disordine interno, dal quale non emergono se non confuse speranze per l’avvenire.

Ho sentito dire che la sola democrazia possibile al tempo nostro non sia che una democrazia di partiti. Ciò può essere vero o non vero. Ma una tale democrazia sarebbe desiderabile, soltanto se potesse dimostrarsi che essa è stata e può ancora esser benefica.

Dubito dell’esattezza del principio, specie se la politica dei partiti si debba intendere come un monopolio. Ma vero o non vero, è certo che se non si tratti se non di un male necessario, noi vorremo fare tutto quello che è in noi per distruggere il male. E l’appello agli elettori può essere un rimedio.

Sventuratamente esso non può funzionar subito.

Un pubblicista, che molti si accordano a ritenere equo ed avveduto – io stesso sono di questa opinione – don Luigi Sturzo, ha lanciato la formula (slogan in americano): le elezioni o il caos. Ho già risposto per le stampe all’illustre scrittore, che le elezioni, allo stato attuale delle cose, sarebbero esse stesse il caos. «Il caos oppure il caos» non è una formula molto chiara. La questione consisterebbe nell’avere un corpo elettorale o consapevole o indirizzato a diventarlo. Nelle ultime elezioni si è visto il caso che mentre undici milioni di elettori hanno votato contro l’esarchia, nel referendum istituzionale e nelle elezioni per la Costituente, quest’ultima è risultata composta, per circa i quattro quinti, di componenti dell’antica esarchia, diventata poi triarchia. Se gli elettori continueranno a commettere di simili solecismi, l’anarchia italiana non avrà mai termine.

L’idea che i partiti trionfati col luglio del 1943 si son fatta del loro compito è tutta nella espressione: noi dobbiamo agire come un Comitato di salute pubblica. Quindi il Governo deve rimanere nelle nostre mani; e poi fare in modo che un generico popolo non venga ad occupare i nostri seggi. Se no, la rivoluzione antifascista è in pericolo. La rivoluzione antifascista siamo noi.

Tutta la situazione politica italiana, dal luglio del 1943, è dominata da questa preoccupazione. Dirò poi che questa preoccupazione era un errore.

La prima constatazione da fare è: alle sorgenti della crisi presente italiana c’è la presunzione degli attuali partiti dominanti che essi erano la rivoluzione antifascista. Ciò condusse ad un duplice erroneo atteggiamento: 1°) diffidenza generica del popolo purché non passato per il filtro dei partiti ammessi; 2°) risoluzione di conservare il potere nelle proprie mani. Da quest’ultima volontà l’inclinare verso una legge elettorale, che creasse il monopolio dei partiti, e che permettesse la conservazione del potere nelle mani dei gruppi dirigenti di questi partiti (Applausi – Commenti).

Ma prima di affrontare la questione delle conseguenze di questo duplice fatto, giova vedere in che cosa consistesse l’errore fondamentale della preoccupazione del Comitato di salute pubblica.

Il concetto di esso sorse in Francia dalla necessità di concentrare i poteri in vista della guerra esterna, e perciò di garantirsi contemporaneamente contro i loro complici interni: monarchici, ecclesiastici ed aristocratici. Però volle essere essenzialmente un organo democratico, articolato in modo da impedire la formazione di un potere personale o della parte. La catastrofe di Robespierre è una conseguenza della psicologica preparazione di esso contro ogni potere personale.

L’idea della dittatura del proletariato fu ripresa – attraverso il laburismo o il blanquismo – dal Comitato di salute pubblica. Ma si ebbe sempre la preoccupazione di aggiungere che si trattava di un potere impersonale, ed infatti si disse: dittatura impersonale del proletariato. La dittatura di una classe è cosa ben diversa dalla dittatura di una persona.

In Italia, purtroppo, non si trattava di difendere il paese dal nemico esterno. L’istessa nozione di «nemico esterno» era complicata e contraddittoria. Chi era il nemico esterno? Il tedesco già alleato del Governo rovesciato, o l’inglese che si disponeva ad occupare il nostro territorio? Noi, è doloroso constatarlo, eravamo forse persino costretti a considerare come un «amico interno» quello che era un nemico esterno.

In Italia non si trattava oramai di concentrare intorno ad un potere centrale la nazione per la sua difesa militare, ma di procedere alla riorganizzazione della sua vita interna. Quindi un’opera di essenza democratica, questa parola intesa nel suo significato filologico. Aprire i quadri della classe dirigente, non restringendoli a quelli dei partiti improvvisati.

La parola «fascismo», diventata ingiuriosa e denunziatrice, servì per concentrare il potere nelle mani dei gruppi dirigenti dei partiti e per escluderne coloro che non avevano accettato di subirne monopolio.

L’idea dominante del Comitato di salute pubblica spiega la politica: 1°) del rinvio delle elezioni per la Costituente al più tardi possibile; 2°) la legge elettorale, che doveva assicurare ai partiti ufficiali la maggioranza in questa Assemblea; 3°) la riduzione dei poteri di questa Assemblea al semplice ufficio di preparare una legge costituzionale, mentre il Governo era sottratto all’Assemblea e concentrato nei partiti ufficiali; 4°) una politica del Governo consistente nella soddisfazione da accordare esclusivamente ai ceti o classi che si supponeva dovevano sostenere il Governo. E di ciò varrebbe la pena di parlare più distesamente.

Ad ogni modo, per restare sul terreno puramente parlamentare, questa politica condusse ad un effetto o impreveduto dagli autori stessi, o bensì preveduto, ma destinato ad un inganno reciproco.

Tralasciando la menzione di gruppi, bensì rispettabili, ma che l’esperienza ha dimostrato trascurabili, i gruppi ammessi all’esercizio unilaterale del potere, erano tre, e tutti miranti allo stesso effetto di rimanere… uno. Che cosa hanno di comune democratici-cristiani, da una parte, e socialisti e comunisti dall’altra?

Lo so che se mi metto a dire che il fideismo cristiano e l’antimisticismo socialistico sono idee contrastanti, corro rischio di essere smentito dagli uni e dagli altri. «È la comune difesa di una classe economica che ci unisce, e non il dettaglio di una opinione filosofica» essi dicono. Non ammetto nessuna di queste idee: la classe economica comune da patrocinare è una classe differenziata sino all’ultimo punto, e le idee filosofiche delle quali si parla sono il senso della vita delle singole parti. Come si conciliano due orientamenti della vita così contrastanti come quello che chiede la perfezione all’al di là e quello che chiede un al di là quaggiù?

Ma si può scendere a terra.

Le parti coalizzate erano parti coalizzate per il Governo, e non per un’opera sociale comune (salvo, forse, quella immediata); esse miravano chi alla Città del Vaticano, chi a Mosca, chi a Londra, e recentemente anche a New York. Senza immeschinire la questione sino a pretendere che si mirava soltanto ai vantaggi temporali del potere; è certo che il Comitato di salute pubblica si proponeva soltanto l’utile particolare di ciascuna delle tre parti coalizzate.

Da ciò la loro crisi permanente. La triarchia ebbe per progenitrice l’esarchia. Triarchia ed esarchia non hanno mai fatto altro che beccarsi. Le critiche personali che i capi dei sei gruppi, poi dei tre, si son rivolte reciprocamente hanno superato anche la media di una polemica politica giunta in Italia al livello del truogolo o del rigagnolo. Si può persino ammettere che i propositi delle parti contendenti fossero retti, ma le manifestazioni delle divergenze furono pietose.

Volendo essere giusti anche col diavolo, si deve ammettere che tutto questo fu la conseguenza di una lega assurda fra elementi incompatibili, tenuti insieme dall’artificiale pretesto della difesa del nuovo Stato italiano di fronte al passato prossimo del fascismo, in realtà dalla illusione che ognuna delle parti potesse ricavare un vantaggio dallo stare insieme. Che poi si sia decaduti nella omertà, il passo era breve.

È lecito parlare apertamente, senza essere tacciati di fini obliqui, come di chi sia un reazionario in agguato, o un neo-fascista dissimulato, un vero e proprio marrano o un criptofascista? Ad ogni modo è un diritto che mi prendo e che la lealtà del Presidente vorrà garantirmi.

Anzi tutto eliminiamo questa idea della reazione in agguato, anzi della destra che vuol rinascere. Questa differenza di destra o sinistra io non la capisco più. Anzi, volete che io vi dica una cosa? Se oggi ci sono, non dei reazionari, non degli induriti conservatori, ma semplicemente dei moderati o dei gradualisti, siete stati proprio voi a dare a certi elementi della vita italiana questa idea, ed a sistemare le loro teorie, alle quali essi non pensavano punto. Il nemico è sempre il nostro maestro.

Il luglio del 1943 è stato veramente uria rivoluzione, e come deve essere veramente una rivoluzione, essa cominciò dagli spiriti. La scossa fu tremenda. Credo che con l’unica eccezione degli antichi gaudenti e profittatori dei fascismo, tutti si accorsero della manifesta fallacia del fascismo. Il fascismo era la guerra, ma cosa più terribile, esso era la guerra perduta. E sia detto di passaggio: questa fu la vera colpa di Mussolini, di aver messo mano non tanto ad una guerra – perché la guerra è il destino cosmico dell’umanità – ma ad una guerra perduta in partenza, come è perduta in precedenza ogni guerra ideologica, cioè non risultante da una necessità nazionale, e che perciò non può affrontarsi senza un pieno combaciamento dell’ideologia astratta e dei sentimenti del popolo, mentre il popolo italiano, nella sua quasi totalità, era contrario all’ideologia di quella guerra. La caduta del fascismo significò del pari la caduta della monarchia e dei privilegi locali ed economici. Essa – liberando il terreno da tutte le istituzioni tradizionali o recentemente introdotte dal fascismo – aprì per l’Italia l’èra socialista, come avvenimenti analoghi l’hanno preparata ed iniziata altrove. Peraltro, dirò di passaggio, il socialismo aveva proprio per nemici i socialisti tradizionali.

Codesto socialismo non rassomigliava affatto a quello preveduto nella sua realizzazione dai «maestri». Del resto non ci sono «maestri» nelle scienze sociali. Nelle matematiche, nella fisica è differente; ed anche nelle scienze naturali, ma nelle scienze sociali le cose vanno in altro modo: si è sempre parte. Pigliate in mano un libro di disciplina storica o economica, e voi subodorerete sempre un rivoluzionario o un conservatore. I «maestri» del socialismo non parlarono mai per illustrare la verità, ma per servire le proprie tendenze. Il crescere indefinito della ricchezza, preveduto dal Marx, per esempio, non è più cosa da prendere sul serio. (Commenti – Approvazioni).

La caduta del fascismo era inevitabilmente l’avvento del socialismo. Lo provo: gli stessi democratici-cristiani, fattisi, da confessionalisti, socialisti.

Credo che ad un dipresso tutte le classi storiche del paese lo compresero. Chi non lo comprese fu – non il socialismo della parte – ma i gruppi dirigenti di esso. Del resto i veri nemici del progresso storico sono appunto le cricche dominanti delle parti. (Applausi).

Due tesi che gli avvenimenti suggerivano: favorire le esperienze immediate delle classi lavoratrici (consigli di fabbrica, consigli di gestione, cooperative socialiste, ecc.) e mettersi nelle vie della esperienza socialista. Confesso che la cosa era difficile. Non sempre gli uomini sono eguali alle circostanze, come non sempre le circostanze sono eguali agli uomini. La farsa umana è tutta in questo contrasto. Tempi possibili ed uomini impossibili, tempi impossibili e uomini possibilissimi; e si può dimostrarlo con la storia del socialismo, che non va esposta qui.

Come fu inteso il socialismo italiano? Uno spoglio dei ricchi, elemosine per i poveri: questa fu la sua pratica concreta. Non un tentativo di organizzazione industriale nel senso del socialismo fu tentato: aumenti dei salari nominali, depauperamento dell’impresa privata. Così si inaugurava soltanto il socialismo della mendicità. Ed il suo effetto fu: l’aumento della disoccupazione.

La politica del Governo, se non creò, favorì largamente l’effetto dell’aumento dei prezzi, della disoccupazione e della miseria. Le mie «avverate» previsioni all’epoca del prestito furono appunto che il prestito avrebbe accresciuta l’inflazione monetaria e fatta aumentare la disoccupazione (Commenti – Approvazioni).

Perché? Perché si fece la politica della parte al posto della politica nazionale. Politica nazionale e politica socialista possono coincidere. Però il socialismo deve essere il socialismo del proprio paese, e non quello dello straniero. Non crediate che io accetti una facile calunnia. Non ho però aspirazioni personali. Ma si può amare nella più perfetta buona fede il modello russo. Esso è inapplicabile nel nostro paese, a causa delle tradizioni, liberali le nostre, dispotiche le altre; a causa delle condizioni, di un paese ricco e disordinato quello, d’un paese povero e spontaneamente parsimonioso il nostro.

Ma è un errore supporre che il socialismo si faccia distruggendo una classe e mettendone su un’altra. Ogni società di classe è una società antisocialista. II socialismo è aclassista, vuole la soppressione delle classi. Quando è di una classe è necessariamente autoritario. Ma è così facile confondere statalismo e socialismo! Ogni socialismo statalista è un socialismo burocratico e poliziesco. Essi sono fondati sul lavoro improduttivo, e, perciò, sullo sperpero. La società socialista è una società produttivista.

In Italia era possibile avviare un’economia socialista, pigliando per punto di partenza la cooperazione, e ce ne era la predisposizione nel lassallismo. L’assistenza statale alla cooperazione è su di una strada diversa dal burocratismo e dall’autoritarismo. Nulla di tutto questo si è poi fatto.

Il triennio che va dal 1943 al 1946 ha visto la dissoluzione irreparabile della vecchia Italia agraria, padronale e protezionista plutocratica. Dire che c’è una reazione in agguato è negare la realtà della rivoluzione avvenuta in Italia. Essa però è stata il pretesto per non far nulla e per consolidare un’egemonia delle parti politiche; anzi per creare l’officialismo delle parti politiche.

Praticamente parlando, la rivoluzione antifascista è andata a finire nella disgregazione dell’economia italiana, di cui è un indice la crescente disoccupazione, e nella consolidazione della oligarchia delle parti politiche.

E passiamo alla politica estera.

È certo che i Governi formatisi dopo il luglio del 1943 non hanno fatto nulla per intraprenderne una.

Non è una giustificazione che la situazione non lo consentiva. Anche in regime di occupazione militare straniera una politica estera è possibile. La questione è di sapersi nettamente orientare. Questa politica impone, come tutte le politiche estere, un duplice atteggiamento: nelle condizioni presenti, nelle speranze future.

Una politica estera attualista è tutta volta alla soluzione delle difficoltà immediate. Esse sono: la pace e la cessazione della occupazione militare straniera. Confesso che il Trattato di pace m’interessa poco. Tutto al più può interessarmi come un problema di storia politica. Nel «Salvate l’Italia» previdi perfettamente come le cose sarebbero andate a finire. Il delitto storico di Mussolini e di Hitler fu di non prevedere che essi offrivano, ad un nemico deciso a cercarle, le occasioni che esso desiderava.

Tutta la storia d’Italia è determinata dalla situazione geografica del Paese, estrema parte di un’Europa centrale perpendicolare. Fino al XVII secolo, le sue parti settentrionali sono il campo di battaglia delle rivalità austro-francesi; a partire dalle guerre della rivoluzione francese e di Napoleone è il punto nevralgico della solidità dell’Impero britannico, o anche, se vi piace, la cerniera di esso.

L’adesione dell’Italia all’alleanza dei due Imperi, che poi fu chiamata la Triplice alleanza, fu più un desiderio britannico congiunto ad un interesse dinastico sabaudo, che una spinta italiana. E noi fummo anti-francesi per una suggestione britannica, poscia confluenti con la Francia, dopo che per la Gran Bretagna era apparso il pericolo navale germanico.

Presa dalla Gran Bretagna la decisione di eliminare per sempre il pericolo germanico, le sorti della parte meridionale dell’Europa centrale (in ordine perpendicolare) erano decise. È chiaro che ormai la nostra sorte è decisa, decisa almeno per i prossimi vent’anni.

La vecchia tesi inglese che l’Italia possa diventare un collaboratore dell’Inghilterra nel Mediterraneo: la tesi che portò ad una offerta di collaborazione nelle cose dell’Egitto, è per sempre scartata. Potrei dire «per ora»; ma gl’inglesi sono lenti e duri, e poi ormai è apparsa – sì, nel disastro – anche una volontà di indipendenza dell’Italia.

La nostra politica estera immediata è in funzione della nostra politica interna. Così si sono rovesciati i termini tradizionali di ogni politica estera: la politica interna in funzione della politica estera.

Oggi per noi non esiste la questione del Trattato di pace. Data la volontà degli alleati di farci ritornare al XVI secolo, e quindi di distruggere la nostra capacità di lavoro internazionale, non è più il caso di discutere questa o quella clausola del Trattato di pace.

Noi possiamo accettar tutto, purché ci restituiscano la nostra indipendenza su quella parte del territorio che ci hanno lasciata e ci permettano di ricostituire la nostra vita interna.

Non credo che ci sia stato un tentativo di politica estera italiana in questo triennio; e riconduco l’assenza alle condizioni di predominio delle parti politiche. Prima di tutto si è fatta della politica interna. E poi si è ceduto alla fisima di una politica estera di tradizioni internazionalistiche.

Intanto i vincitori si rifiutano di ammettere una possibilità di revisione delle loro conquiste: forse loro unico punto di convergenza e di accordo. Perché non si fece l’unità d’Italia sino dai principî del XIX secolo; perché oggi l’Italia deve essere mantenuta nella dipendenza? Fino ai principî del secolo XIX l’Italia era il campo di aggiramento reciproco della Germania e della Francia. Scartata la Germania, il suo posto è preso dalla Russia. Ad ogni modo essa è l’unico ostacolo al predominio inglese nel Mediterraneo. Si tratta di eliminare definitivamente questo ostacolo.

Ecco il vero segreto del rifiuto dei vincitori di ammettere la possibilità di una revisione del trattato imposto all’Italia.

L’Italia deve ripiegarsi su se stessa, e pensare alla propria ricostituzione interna. L’idea di rendersi estranei tanto ad un blocco occidentale, quanto a un blocco orientale, deve considerarsi soltanto come una conseguenza di questa politica. Non mi pare nemmeno che sia da prendere in considerazione il suggerimento di mostrare la propria condiscendenza verso vicini di destra o di sinistra che non inclinano verso nessuna reciprocità. La Francia non ci ama; sono quaranta anni che facciamo degli inutili sforzi per renderla nostra amica. La conformità linguistica non è conformità razziale. Essa ritorna alla nozione dell’impero coloniale, e si trova accanto all’Inghilterra nella sua politica di abbassamento dell’Italia nel Mediterraneo. Quanto alla Jugoslavia, essa eredita le posizioni austriache verso l’Italia. Il grande dissenso è l’Adriatico. L’Austria popolò di slavi l’Istria per disitalianizzarla. La Jugoslavia ne approfitta per prendersi l’Adriatico.

Quali illusioni avere? L’Italia deve pensare a sé. Se l’Italia ridiventerà una nazione forte, questi problemi – anche senza guerre – potranno risolversi; e se no, il triste destino del nostro Paese, dal XVI al XIX secolo, continuerà.

Per noi non c’è che il problema della ricostruzione interna. Tutto il resto è secondario.

Per la ricostruzione interna occorre soprattutto un Governo serio, omogeneo, intraprendente. Il Governo attuale non può aspirare a soddisfare queste esigenze.

La mia opinione è che la futura consultazione elettorale non potrà perpetuare l’attuale compagine. Io credo che i risultati del referendum permettono qualche speranza. I dieci milioni di voti per la monarchia non sono voti per la triarchia. Il problema istituzionale è sciolto. Le illusioni di qualche ritardatario gruppo monarchico sono fantastiche. Ma se voi lo ricordate, io non credo più alla esistenza di reazionari nel nostro Paese. Credo che il dilemma sia: inettitudine triarchica e iniziativa popolare. L’iniziativa popolare può venire dai dieci milioni di voti che, votando contro l’esarchia, preparano un governo migliore.

La mia idea è che voi non potete fare nulla d’efficace. Il miscuglio della vostra composizione lo esclude. Confido in un’Italia che cominci dalle prossime elezioni. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perrone-Capano. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, conto di restare strettamente all’argomento: «Comunicazioni del Governo» e, forse, vi stupirà quello che sto per dirvi.

Mi propongo di esaltare – allegro, ma non troppo – l’opera di Fausto Gullo, di criticare l’opera dell’onorevole De Gasperi e dell’onorevole Segni.

Vi farò grazia di un discorso sulla firma del Trattato, e sul modo onde è stata impostata e poi risolta la crisi ministeriale.

La firma che disonora e degrada di fronte alla storia non è, a mio avviso, quella del vinto che, inerme e con la coscienza a posto, deve subire il dettato; ma è quella che al dettato appone il vincitore, il quale, abusando della sua forza, abusando delle sue possibilità, viene meno alla sua parola e offende, prima che il popolo italiano, l’Europa e la democrazia con una pace che è ingiusta quanto sciocca.

Della crisi vorrei dire una sola cosa: che essa ha avuto anche un altro benefico effetto, oltre quello indicato l’altro ieri in quest’aula dall’onorevole Corbino: ha provocato, cioè, questa discussione.

Onorevoli colleghi, il patto tra Governo e popolo, che fu sancito dalla legge 16 marzo 1945 e poi dal voto del 2 giugno, attribuiva a questa Assemblea Costituente, accanto al compito di stendere la Costituzione del nuovo Stato italiano e di approvare i trattati e le leggi elettorali, il compito che, sino ad oggi, l’Assemblea non ancora ha iniziato, cioè una funzione strettamente e squisitamente politica che l’Assemblea ha cercato in tutti i modi di esercitare e che, viceversa, le è stata, si può dire costantemente, inibita. Onde appunto dobbiamo ringraziare la crisi, se possiamo finalmente in un certo qual modo esercitarla.

Noi abbiamo cercato – deputati di tutti i settori e gruppi di deputati – di investire l’opera del Governo con le nostre interpellanze volte a considerare, a criticare aspetti molteplici e, molte volte, notevoli dell’azione governativa. Abbiamo visto le nostre interpellanze quasi costantemente muffire o sugli scrittoi dei Ministri o tra la polvere degli archivi. E, questo sia consentito dirlo; e chi lo dice crede di interpretare un sentimento, un’idea comune a tutti i banchi di questa Assemblea: non è un contributo dato all’attuazione della democrazia, un contributo, onorevole De Gasperi, a quella educazione democratica che al Paese deve esser data sotto la guida e, vorrei aggiungere, la responsabilità del Governo. Perché è impossibile negare che anche una Assemblea Costituente deve essere guidata dal Governo. Il Governo è costantemente fuggito di fronte alle nostre richieste: è parso che non avesse voluto sentir parlare, ad esempio, delle inchieste sui fatti del Viminale o sui fatti d’Emilia, né dei Consorzi agrari e del modo onde tecnicamente, ad esempio, deve essere disciplinato il fenomeno dell’assorbimento della disoccupazione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non siamo fuggiti. Abbiamo agito, e non abbiamo parlato.

PERRONE CAPANO. Dei fatti diremo dopo. Ma ella non ha, signor Presidente, accordato all’Assemblea, opposizione e maggioranza, quella soddisfazione che l’Assemblea aveva il diritto di avere, perché, quando l’Assemblea poneva, come tante volte ha posto, queste questioni sul terreno, aveva diritto di ottenere una risposta, aveva diritto di affrontare su ciascuno di questi argomenti una pubblica discussione.

DE GASPERI Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma lei non è l’Assemblea!

PERRONE CAPANO. L’Assemblea è rimasta completamente chiusa. Anche questa nostra discussione solo oggi sembra che si avvii veramente ad essere una discussione, mentre nei giorni passati è trascorsa di rinvio in rinvio. Noi diciamo, onorevole De Gasperi, che l’insegnamento di Cavour non deve essere dimenticato. Il Governo si deve e si può sentire tanto più forte, quanto più a lungo è aperta la Camera.

Benvenuto, sia detto dunque a questa discussione, nel corso della quale mi auguro che siano portati al vaglio della critica argomenti concreti.

Ho detto che avrei voluto esaltare l’opera dell’onorevole Gullo, criticare quella dei suoi successori. Non sembri questa una battuta di spirito. Vuole essere, fino ad un certo punto, una sincera constatazione.

Voglio dunque alludere al settore dell’azione politica del Governo nel campo dell’agricoltura. È un campo di importanza fondamentale nella vita del Paese; un campo nel quale, potrei osare di affermare che andrebbe capovolta la proposizione tante volte enunciata dall’onorevole Nenni: technique, non politique d’abord! Si guardi, per esempio, al settore dei Consorzi agrari. Non si preoccupi il mio amico onorevole Pastore. Non intendo dire che nella famiglia consortile debba essere inibito l’ingresso al lavoratore. Al contrario. Io, infatti, sono perfettamente d’accordo con quella parte della Camera nel ritenere che i Consorzi agrari devono essere restituiti agli agricoltori. E, quando si dice agricoltori, si dice innanzitutto lavoratori della terra, perché i lavoratori della terra sono, senza dubbio, parte integrante della famiglia degli agricoltori. Ma quello che io deploro, ed in questa deplorazione ritengo che dovremmo essere tutti d’accordo, è che si continua a tenere in sofferenza l’attesa, l’annunciata, riforma della legge regolatrice dei Consorzi agrari, e si continua a mantenere la quasi totalità dei Consorzi stessi sotto il regime commissariale, affidato ieri ad uomini di parte comunista, oggi in maggioranza ad uomini di parte democristiana. (Commenti).

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e foreste. Non è vero.

PERRONE CAPANO. È verissimo. E potrei fare i nomi. Incominciamo, per esempio, dal Consorzio agrario di Bari. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano!

PERRONE CAPANO. Dalla lettura dei giornali che si occupano di agricoltura vedo che questa lamentela parte anche da altre parti d’Italia. Ad ogni modo, onorevoli colleghi, lasciamo i casi particolari e guardiamo il problema nel suo complesso.

Darò conto frase per frase, fatto per fatto, di tutto ciò che verrò affermando. Ma lasciatemi dire. Non ho detto che i commissari sono dei disonesti. Dico che sono commissari, mentre sarebbe necessario, una buona volta, che non i commissari reggessero i Consorzi, ma delle regolari amministrazioni nominate dai Consorzi stessi. Dico che, per effetto delle amministrazioni commissariali, si verifica che i commissari, per essere in generale degli elementi politici, si occupano di politica e non si occupano dei Consorzi. Ed allora accade quanto, ad esempio, è accaduto nell’ambito del Consorzio agrario provinciale di Bari, dove di fatti, per dirne alcune, in questo momento si celebra un gravissimo dibattito in Corte di assise per malversazioni in danno del patrimonio consortile; dove, a Canosa, è accaduto che, recatasi una Commissione ad ispezionare i depositi dell’olio di quel Consorzio agrario comunale, in uno ne ha trovato 200 quintali di meno e in un altro ha trovato 150 quintali di acqua invece di olio, e dove è accaduto ancora che un cassiere ha potuto prendere il volo con dodici milioni in tasca! Ora, noi non diciamo che questo è dipeso dalla complicità di Tizio o Caio, ma diciamo che i Consorzi agrari hanno bisogno una buona volta di uscire dal regime eccezionale per rientrare nel regime ordinario.

Regolamento tecnico della disoccupazione.

La disoccupazione, di cui si è parlato fino ad oggi, è stata sempre e soltanto la disoccupazione industriale, al riguardo della quale lo Stato è intervenuto soccorrendo gli industriali. Occupiamoci invece, una buona volta, della disoccupazione nel campo agricolo, ove essa non è meno gravosa e deleteria.

Ora sta di fatto che in questo campo non si possono, in sostanza, fare rimproveri né ai lavoratori né agli agricoltori, ma se ne devono fare allo Stato. I lavoratori hanno ragione, perché chi ha fame ha diritto ad avere lavoro e pane. Gli agricoltori hanno ragione, e sono venuti incontro ai lavoratori attuando un po’ in tutte le provincie degli accordi sindacali, consacrati da altrettanti decreti prefettizi, che hanno dato luogo a quella che si suole chiamare l’imposizione obbligatoria della mano d’opera.

Ma non basta questa buona volontà degli uni e degli altri. Quando, onorevoli colleghi, si addiviene alla stipulazione di questi accordi, in sostanza si consacrano due principî egualmente esatti: il primo è che il lavoratore veramente disoccupato ha il diritto di essere occupato; il secondo è che ogni azienda agricola ha il dovere di assorbire tanta mano d’opera fin quanto è capace di assorbirne, e non oltre. E quando appunto si dice «quanta è capace di assorbirne», si allude evidentemente al massimo della sua capacità. Ma a questo punto, perché si evitino inconvenienti spiacevoli, i quali tornano a danno, non soltanto delle aziende agricole, ma della produzione, del mantenimento dell’ordine pubblico, della tranquillità cittadina e quindi in definitiva degli stessi lavoratori, occorrono due cose e queste due cose sono a carico dello Stato. Lo Stato, fino adesso, non ha mostrato di aver compiuto con piena intelligenza questo suo duplice dovere, giacché, mentre ha fatto qualche cosa con il decreto 1° luglio 1946, che tende ad aiutare gli agricoltori i quali si accingano ad opere straordinarie, nei loro terreni, al fine di determinare un maggiore assorbimento di lavoratori, mentre ha teso la mano ai disoccupati, elargendo dei sussidi, i quali sussidi, in definitiva, costituiscono una causa di moltiplicazione e di mortificazione dei disoccupati stessi, non ha pensato e sembra che non intenda pensare, ma deve pensarci, a garantire che la selezione della disoccupazione avvenga in maniera che sia dato definitivamente il bando a quel fenomeno della inflazione della disoccupazione, di cui si sono dati carico tante volte onestamente gli stessi autorevoli rappresentanti della classe lavoratrice; e perché le aliquote di disoccupati, risultanti in eccedenza sulle quantità assorbibili in ogni zona cruciale da parte dello aziende agricole, trovino lavoro presso lo Stato stesso, cioè a dire in opere pubbliche preparate, progettate, disposte in tempo. Questo è fondamentale, onorevoli colleghi, perché non è scritto in nessun libro, che, dispostasi l’imposizione obbligatoria della mano d’opera, la capacità di assorbimento delle singole zone sia tale da poter dare lavoro a tutte le maestranze locali. Le maestranze locali possono eccedere questa capacità di assorbimento ed alle quote che eccedono non si può rispondere dicendo di mangiare domani, né si può pretendere che esse siano addebitate alle stesse aziende, che abbiano già avuto le precedenti assegnazioni, perché in questo modo si attenterebbe alla base stessa della produzione, si determinerebbero maggiori costi di produzione, e quindi il danno delle classi lavoratrici.

Ed è così che si spiegano quegli incidenti, quelle manifestazioni che tante volte la stampa ha narrato e che con vivo senso di raccapriccio tutti quanti noi abbiamo appreso. Allora si suole dare dagli uni il crucifige ai lavoratori, come colpevoli, o agli agricoltori, come se essi fossero tetragoni ai loro doveri. La verità invece è che la colpa non è né degli uni né degli altri, ma risale a chi, pur dovendolo, non ha saputo disciplinare il fenomeno del collocamento dei disoccupati; giacché i tumulti sono opera delle quote di lavoratori rimasti in eccedenza, le quali non possono non protestare. Ed è noto che quando taluno protesta, e legittimamente protesta per l’affermazione e per il riconoscimento di un suo diritto sacrosanto, accade, e tutti noi ne siamo esperti, che agenti provocatori, elementi torbidi si mescolano alle agitazioni e alle manifestazioni con le conseguenze che sono note e che io ho or ora deprecate e ne derivano speculazioni politiche e confusione sociale.

Quindi è necessario che lo Stato consideri il problema della disoccupazione, non solo nel quadro dell’incremento dell’iniziativa privata, trionfando la quale e dandosi progresso e sviluppo alla produzione sarà il medicamento sovrano, ma facendo sì che, in corso di applicazione delle panacee, dei rimedî, cioè, diretti a curare le manifestazioni, le conseguenze del male, queste cure, queste panacee abbiano luogo in maniera organica e preventiva.

Terre incolte ed occupazioni di terreni. Ecco il primo punto dove il contrasto fra la legislazione Segni e la legislazione Gullo appare in tutta la sua evidenza, e dobbiamo riconoscere che l’onorevole Gullo, forse perché a parte il rimprovero che tempo fa poté muovergli il suo compagno Pertini – è uomo di legge. (Commenti – Interruzioni al centro).

Se anche l’onorevole Segni proviene dalla stessa categoria, sono ben lieto di dargliene atto, ma devo ritenere che, di fronte ai canoni che presiedono alla formulazione delle leggi, che sono cioè la chiarezza e la delimitazione dell’oggetto di fronte al quale le norme giuridiche devono avere esecuzione, è stato più in linea l’onorevole Gullo che non l’onorevole Segni. Absit injuria verbis. Sono i documenti che parlano. E sono ben lieto di poter ricorrere, da avvocato, alle testimonianze e ai titoli che mi vengono proprio dalla parte opposta.

Perché, vedete, io trovo che la legge 19 ottobre 1944, quando dettava che oggetto di assegnazione alle cooperative dovessero essere i terreni non coltivati o insufficientemente coltivati, in relazione alle loro qualità, alle condizioni agricole del luogo, e alle esigenze colturali dell’azienda, delimitava, con chiarezza e precisione maggiori di quanto non siano usate nel successivo decreto Segni, la sfera di applicazione del decreto stesso. Il decreto Segni, infatti, ha parlato invece di terreni incolti o insufficientemente coltivati, tali da poter essere suscettibili di un metodo di coltura più intensivo in relazione alle necessità della produzione agricola nazionale, con una dizione, dunque, equivoca e troppo lata.

Ora, sia bene inteso, non si tratta di attentare ai principî informatori di questi due decreti. I principî noi li accettiamo pienamente. Sono principî profondamente liberali, perché non può esservi liberale che non combatta la proprietà assenteistica, che non riconosca la necessità che la terra sia resa il più possibile produttiva e che al fenomeno della produzione siano chiamati a partecipare in prima linea i contadini, i quali sono coloro che indiscutibilmente, in ordine logico e morale, costituiscono il numero uno nella famiglia agricola.

Si tratta soltanto di criticare la dizione tecnica del decreto per le conseguenze che l’errata dizione determina.

Certo è che, mentre il decreto Gullo non dette luogo ad inconvenienti ed abusi, il decreto Segni è stato come una maglia attraverso la quale è riuscito possibile immettere ogni sorta di incongruenze e di abusi.

I fatti parlano; i fatti che sono stati denunciati con ripetute interpellanze da diversi settori di questa Assemblea al Governo; i fatti di cui sono piene le gazzette, e che tutti segnalano. Perché non è una menzogna, per esempio, che in provincia di Caltanissetta un prefetto, richiesto di assegnare ad una cooperativa settanta ettari di terreno in una tenuta che ne contava 750 (e questi 750 erano perfettamente in regola sotto l’aspetto della coltivazione e della produttività), avendo avuto parere negativo dal consulente tecnico richiesto di esporre la sua opinione in merito alla domanda avanzata dalla cooperativa, non potendo accordare i 70 ettari, ha concesso l’intera tenuta di 750 ettari. (Commenti).

Una voce. Allora è il prefetto che ha sbagliato.

PERRONE CAPANO. Non avrebbe potuto sbagliare, se la legge fosse stata concepita in termini diversi. Il prefetto, in tanto ha sbagliato, in quanto la legge, con la sua dizione elastica, troppo elastica, gli permetteva di fare entrare dalla finestra quello che non poteva entrare dalla porta. A Grosseto sono stati concessi a pseudocooperative di contadini terreni che erano in regolare possesso di mezzadri; e questi hanno fatto ricorso alle autorità contro il provvedimento.

Ad Agrigento si sono avuti episodi ancora più spiacevoli. Si è verificato, ad esempio, il caso d’un provvedimento che doveva essere dato in contradittorio in un determinato giorno e che, viceversa, è stato dato in anticipo di parecchi giorni per mettere la parte interessata, che aveva dalla sua la ragione, di fronte al fatto compiuto.

In Calabria si è verificata una serie di occupazioni di terreni da parte di cooperative.

Una voce a sinistra. Citi i nomi, quando parla della Calabria.

PERRONE CAPANO. Voi li conoscete molto bene i nomi, anche qui dentro.

Ogni sorta di accuse è venuta in seguito alla emanazione di questa legge, la quale non ha saputo segnare confini chiari e limpidi alla sua applicazione; sino al caso classico di Matera.

Lì, come sapete, il prefetto, invocando il famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale (in merito alla interpretazione del quale ci si dovrebbe una buona volta mettere d’accordo, perché non se ne faccia uso ed abuso), ha ritenuto di potere staccare sistematicamente da ogni azienda, che eccedesse i 40 ettari di terreno, una quota proporzionale e progressiva, determinando, naturalmente, le proteste di quella popolazione. C’è stato il ricorso al Consiglio di Stato e questo ha annullato il decreto.

Ora non è evidentemente in questo modo, onorevoli colleghi, che si può e si deve attendere all’applicazione d’un saggio principio, il quale ha, indiscutibilmente, un altissimo contenuto etico, economico e sociale e che non deve essere, appunto per questo suo contenuto, strumento di violenza e di abusi, sovrattutto di abusi, e di abusi talvolta deplorevoli, e tanto maggiormente, in quanto essi hanno rivelato apertamente il proposito speculativo.

Perché, onorevoli colleghi, non è stato soltanto il prefetto, che si è rivelato debole e che ha abusato della larghezza della legge, per farvi rientrare quello che non poteva entrarvi, ma sono state d’accordo le cooperative, che, tante volte, sono sorte col nome di cooperative di reduci o di combattenti e nel loro seno, invece di contadini, contenevano, sì, reduci e combattenti, ma reduci maestri elementari, combattenti farmacisti! E queste cooperative, una volta avuta l’assegnazione del terreno, hanno finito spesso col retrocederlo, a titolo di affitto, allo stesso proprietario!

Un terreno pascolativo, assegnato per la trasformazione in seminativo, veniva nel Lazio affittato a pastori.

Questi sono fatti documentati e documentabili, contro i quali tutti quanti dobbiamo concordamente reagire, perché a tutti deve premere che, viceversa, il decreto serva ai fini, per i quali è stato dettato. E perché serva a questi fini, il da fare non è poi tanto arduo e non deve essere ispirato a criteri reazionari o a criteri riprovevoli. Basta, ad esempio, che si ritorni alla dizione più chiara della legge Gullo 19 ottobre 1944; basta che si chiarisca ai prefetti che l’articolo 19 della legge comunale e provinciale non è la boîte à surprise, il dato del quale il prefetto si possa servire per mettere fondo a tutte le leggi patrie e passare al di sopra delle leggi stesse, ma è la facoltà di agire con la massima libertà entro l’orbita dei poteri che al prefetto stesso vengono dalla legge comunale e provinciale, di cui l’articolo 19 fa parte. Basterà che si riconosca, anche nel campo dell’assegnazione delle terre incolte, il diritto di appello dal provvedimento di primo grado; in quanto oggi si verifica la strana situazione per cui, mentre il reclamo è consentito, nel caso di rigetto della domanda, attraverso l’azione dell’Ispettorato compartimentale dell’agricoltura, mentre il reclamo è consentito altresì avverso il provvedimento che per avventura revochi l’assegnazione della terra – e tutto questo non si può dire malfatto… (Interruzioni a sinistra) giacché il doppio grado di giurisdizione è sempre una garanzia di giustizia – viceversa l’appello, il ricorso non è consentito nel caso in cui l’assegnazione sia accolta! (Commenti a sinistra).

Ma perché vi dispiacete, se in definitiva io non faccio che richiamare le norme che sono venute proprio da voi, dai vostri uomini, i principî da voi enunciati, e che sono in questo caso anche i nostri? Io mi richiamo alle norme dettate legislativamente dai vostri esponenti, e dico che il doppio grado di giurisdizione è un diritto che deve essere riconosciuto a tutti, e non riconosciuto agli uni e negato agli altri.

E infine mi appello ancora una volta ad un altro vostro autorevole esponente, perché noi siamo i primi a riconoscere, quando i vostri autorevoli esponenti fanno bene, che essi obbediscono a dettati di ragione e di logica: mi appello a quanto è stato fatto dall’onorevole Romita nel campo di applicazione delle cooperative nel settore dei lavori pubblici. È necessario richiedere dalle cooperative assegnatarie dei terreni le stesse garanzie di tecnica, di capacità, di organizzazione, di attitudine a finanziare le opere, che sono state richieste per le cooperative che concorrono per l’assegnazione dei lavori pubblici.

E quando parlo di Gullo o di Romita, parlo, tra l’altro, di due immobili per destinazione (Commenti), perché essi sono infatti immobili per destinazione al Governo dell’esarchia prima, della triarchia dopo.

Ultimo argomento. (Rumori al centro).

Vi dà fastidio la critica? No? E allora noi dobbiamo in questo essere d’accordo – penso – con l’onorevole Conti, il quale appunto ieri diceva: «Parole poche, ma critica, ma opposizione – purché non sia sistematica, ma ragionata – sì». E del resto, se non vi fosse un’opposizione, se non vi fosse una critica, l’unanimità dei consensi sarebbe veramente avvilente.

Mezzadrie e compartecipazioni. Anche qui bisogna riconoscere che, per lo meno sotto l’aspetto dell’astuzia elettoralistica, il comunista è stato più abile del democratico cristiano.

Perché anche qui assistiamo a questa situazione: che, mentre di fronte alle sperequazioni determinate dalla guerra nell’economia dei contratti di mezzadria e di compartecipazione, l’onorevole Gullo dette, con altro decreto del 19 ottobre 1944, una disposizione elastica, la quale permetteva, nei singoli casi, di adeguare il compenso all’indole e all’entità dei danni e alla diminuzione di produzione, quando essi vi fossero stati, il cosiddetto giudizio dell’onorevole De Gasperi non ha fatto altrettanto, perché ha avuto il torto di porre su una stessa piattaforma automaticamente i casi di danno in dipendenza del conflitto con i casi in cui, al contrario, non un danno, ma un vantaggio vi era stato, perché non si può negare che, dove la guerra sia realmente passata ed abbia operato le sue distruzioni, ivi sia stato un danno, ivi siasi verificata una diminuzione di produzione, ivi ricorra un titolo di risarcimento; dove viceversa la guerra non sia passata e l’agricoltura abbia potuto ugualmente esplicare la sua mansione, ivi quegli, che ha avuto la fortuna di rimanere attaccato alla terra e di goderne i frutti, dei vantaggi ha riportato e non dei danni dalla guerra. Ebbene, il giudizio dell’onorevole De Gasperi – non vorrei che tutto il giudizio dell’onorevole De Gasperi rimanesse condensato lì – ha fatto piazza pulita, ha posto sullo stesso piano un caso e l’altro!

Una voce a sinistra. Ha fatto bene.

PERRONE CAPANO. Ed oggi si afferma di volere l’estensione, dalle Alpi al Lilibeo, di quei criteri di cui ho parlato e di volerli applicare nel settore delle compartecipazioni. Ora siamo ancora al punto di partenza, dove eravamo a proposito del problema che abbiamo considerato prima: nessuna reiezione, accoglimento integrale, anzi, del principio informatore che bisogna venire incontro al mezzadro, come al compartecipante, perché l’uno e l’altro sono, in linea astratta, da segnare all’ordine del giorno della nazione come benemeriti della produzione nazionale e quindi di quel campo dal quale la vita del Paese ha potuto trarre alimento. Ma un altro concetto occorre fissare e, al riguardo di esso, bisogna avere l’onestà di parlarsi con chiarezza: si intende mantenere in vita il contratto di mezzadria? Si intende mantenere in vita il contratto di compartecipazione? O si intende attentare alla esistenza di essi, e quindi, in definitiva, travolgerli? Se si intende travolgerli, che questo avvenga e avvenga con chiarezza, senza determinare tutti fenomeni e tutti gli episodi che sono passati dinanzi agli occhi attoniti del Paese e passano tuttora: alludo ai dolorosi episodi delle campagne emiliane e toscane, di cui sono piene tutte le nostre gazzette. È superfluo attardarsi a sequestrare o sopprimere agricoltori ed a creare consigli di fattorie, di aziende o di cascine; è meglio dire chiaro e tondo che la mezzadria e la compartecipazione hanno fatto il loro tempo. Ma, se è vero, onorevoli colleghi, che la mezzadria è un contratto che ha ricevuto attraverso una esperienza secolare il collaudo e il vaglio della storia e del tempo, se è vero che la compartecipazione, pur non potendo vantare gli stessi titoli di anzianità secolare vantati dal contratto di mezzadria classica, previsto dall’articolo 2141 del Codice civile, ha prodotto anch’essa i suoi benefici effetti, specialmente nelle provincie meridionali, dove infatti, a mezzo delle compartecipazioni, il bracciantato agricolo è stato largamente ridotto ed una parte notevolissima di esso si è trasformata in una agiata piccola borghesia rurale; se dunque è vero che la mezzadria e la compartecipazione hanno questi titoli, allora riformiamole, adeguiamole ai tempi, poniamo indiscutibilmente al numero uno il diritto del mezzadro e del partecipante alla pari con gli altri diritti del lavoro, ma non facciamo tutto questo caoticamente e in maniera demagogica, facciamolo razionalmente.

Nel corso delle discussioni e dei dibattiti, che si sono svolti proprio per l’esame di questi problemi, si sono manifestati due indirizzi: quello distributivo e quello produttivo. L’indirizzo distributivo si rivela indubbiamente più demagogico; quello produttivo più aderente alle necessità dell’ora che volge, della nazione, della classe lavoratrice.

Intendo dire, onorevoli colleghi, che bisogna uscire, sì, d’accordo, dall’astrattismo delle formule rigide, dalla tirannia di certi cancelli, i quali talvolta possono rappresentare veramente delle ingiustificate barriere; ma non bisogna creare cancelli nuovi, criteri rigidi nuovi. Così, per esempio, in materia di mezzadria e di compartecipazione, non spostare il contenuto fondamentale e la base strutturale del contratto si deve, ma tenere presente, ad esempio, l’adozione del criterio della quota di conguaglio, come quella, che, adattandosi caso per caso, meglio rispetta le variabili, mutevoli condizioni degli ambienti, delle persone, delle cose.

E che cosa è la quota di conguaglio?

È precisamente il prelievo che può venire riconosciuto al mezzadro o al compartecipante in ragione della diversa produttività del terreno, e quindi della maggiore entità di sforzi che egli abbia dovuto compiere per rendere il terreno arido altamente produttivo.

Bisogna, dunque, adottare formule che non siano demagogiche, a sfondo elettoralistico, ma abbiano un concreto e profondo contenuto sociale ed economico. Bisogna avere di mira, innanzitutto e soprattutto, l’interesse della produzione, e così mettere in pratica ciò che avant’ieri diceva il Presidente del Consiglio. Bisogna – egli affermava – fare in maniera che la collaborazione organica fra capitale e lavoro si affermi sempre di più: ed il Governo si impegna di proteggerla.

Ebbene, i contratti di mezzadria e di compartecipazione segnano proprio il punto di incontro fra capitale e lavoro, la consacrazione della collaborazione sociale fra queste due forze che rappresentano le due diverse e concorrenti facce del fenomeno della produzione. Facciamo in modo che la collaborazione, e non il contrasto, trionfi e si affermi. Quando avremo fatto questo, avremo reso un servizio all’agricoltura e all’Italia.

A questo punto, onorevoli colleghi, debbo dirvi che i problemi dell’agricoltura non si debbono dissociare da quelli della politica interna, e particolarmente da quelli che riguardano il rispetto dell’ordine pubblico.

Tutta l’attività dei nostro Paese che, come ebbe esattamente a notare l’onorevole Corbino, dimostra una crescente vitalità e di essere tanto più capace e feconda quanto meno è inceppata dall’azione di un Governo in cui elementi disparati e contrari si elidano e contrastino a vicenda; tutta l’attività nazionale ha bisogno di serenità e di pace, per svolgersi in un ambiente di sicurezza e di tranquillità.

Noi non invochiamo, onorevole Nenni, il feticcio insanguinato, perché nessun feticcio insanguinato ha rappresentato mai l’elemento di una collaborazione feconda ed utile per l’avvenire delle categorie sociali che operano nell’interesse del Paese.

Noi diciamo che il Governo deve dare la sensazione di essere, esso per il primo, al servizio della legge e deve operare perché l’impero della legge in Italia, una volta per sempre, si affermi e sia rispettato.

Non vi può essere ordine senza legalità, senza rispetto della legge, e quando non v’è rispetto della legge non vi può essere libertà, e senza libertà non vi può essere giustizia.

Onorevoli colleghi, in Italia circolano ancora troppi stranieri per le vie e sono quelli che ci portano via l’olio ed il grano per restituirci armi e tritolo. Abbiamo letto persino ieri sulla stampa che automobili innocentissime in apparenza trasportavano quintali di tritolo!

Noi vogliamo che questi stranieri diano conto della loro presenza. Il Governo si è preoccupato di questo fatto, ma soltanto dopo che uno slavo ha ucciso un altro slavo. Noi diciamo che non doveva il Governo attendere che sul suolo della nostra Patria, l’Irgun Zwei Leumi venisse a compiere le sue esercitazioni terroristiche o che lo slavo cetnico venisse a massacrare lo slavo titino, per darci finalmente la soddisfazione di dire allo straniero che non ha le carte in regola: tu non hai diritto di venire a mangiare il nostro pane e a disturbare la nostra pace e devi uscire dal territorio nazionale e non avvicinarti di notte tempo alle nostre coste con velieri o con barche per portar via i prodotti alimentari necessari alla vita del nostro Paese. (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra).

Ma voi siete Deputati della Jugoslavia o siete Deputati italiani, siete i Deputati della Camera di Tito o i Deputati della Camera italiana? (Commenti).

Noi non possiamo ammettere che vi sia questa gente che ci derubi e che ci porti in cambio il tritolo!

Io credo di avere una dizione limpida ed una parola dall’accento potente (Si ride), se anche non armonioso. So bene che voi amate la musica monocorde. Lo spettacolo della partitocrazia trionfante che ci state offrendo è la dimostrazione migliore dell’esattezza di quello che affermo.

Io ho cominciato, mi sono poi inoltrato nel mio dire, cercando di portare il massimo rispetto a tutti i settori di questa Assemblea e di discutere delle leggi e della loro applicazione senza veleno, senza esagerazioni partigiane, ma con un solo spirito, una sola finalità: servire la verità, mettere il tecnicismo a servizio dei principî sociali. E ho detto, onorevoli colleghi, che noi accettiamo tutti i postulati, ineccepibilmente, che sono stati consacrati nelle leggi di cui abbiamo discorso, ma vogliamo che quei postulati si incornicino nel quadro della calma, della pace, della collaborazione sociale e, soprattutto, sul terreno del più completo e sicuro trionfo della democrazia.

Se ho potuto lamentare che questa Assemblea sia stata sino ad oggi chiamata poche volte ad occuparsi di quella funzione politica che non è meno aderente agli attributi suoi, di quanto lo siano la funzione costituzionale e l’obbligo di occuparsi del trattato di pace, ho potuto farlo perché, non solo il Governo ha messo le interpellanze e la funzione politica dell’Assemblea a dormire, ma perché questo hanno fatto anche – ed è doloroso constatarlo – le tre direzioni dei partiti di massa.

Ora, signori, in questo, le direzioni dei partiti di massa non si devono e non si possono sentire solidali col Governo, ma si devono sentire solidali con noi, col diritto ineccepibile di questa Assemblea. Onorevoli colleghi, è stato autorevolmente insegnato da uomini che sono in questo Parlamento e lo onorano ancora, che la democrazia cade e si corrompe quando, dimenticando il Parlamento, distribuisce onori, titoli e prebende e legifera a più non posso. L’insegnamento è di Francesco Saverio Nitti. È stato insegnato pochi giorni or sono, con l’autorità del suo nome, della sua carica, dal Capo dello Stato italiano, che non vi può essere democrazia, se non sia restituito il prestigio al Parlamento. E il prestigio al Parlamento lo potremo restituire noi, soltanto noi (Commenti a sinistra); dico tutti noi, se ci sentiremo veramente gli apostoli di questa idea democratica e degni di sedere in quest’aula. Tutti, ma noi dell’opposizione non meno di voi. E l’opposizione, onorevoli colleghi, farà onore a voi e dimostrerà il vostro sincero spirito democratico, quanto più voi le lascerete libertà di parola, tolleranza di opinioni e rispetto delle affermazioni sue. Il Parlamento in Italia deve ritornare in auge come ai tempi nei quali a quel banco (Accenna al banco del Governo) un uomo, che si chiamava Giovanni Giolitti, non soleva alzarsi e andarsene quando parlavano oratori, sia pur modestissimi, dell’opposizione. Vi sedevano, i Ministri, inchiodati con i gomiti sul banco, la testa appoggiata sulle mani per ascoltare. Perché anche le parole dell’ultimo gregario dell’ultimo partito – ed io sono il modesto rappresentante di un partito illustre – può essere il portatore di un briciolo di luce e di verità. (Applausi a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenganecessario, per elementare dovere di giustizia e di somiglianza di trattamento con altre classi di lavoratori, per i quali esiste il blocco dei licenziamenti, di sospendere di urgenza il provvedimento di congedo dei sottufficiali e dei militari di finanza, richiamati o trattenuti alle armi per il periodo bellico. Si fa notare che con il Diktat il Corpo delle guardie di finanza deve diventare un Corpo civile per cui potrà adottarsi lo stesso provvedimento elaborato dal Ministero dell’interno per la pubblica sicurezza, evitando a migliaia di padri di famiglia di essere condannati alla disoccupazione ed alla fame.

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere: se non ritenga opportuno ed urgente che la linea Bologna-Lecce per la sua importanza, e la grande affluenza di viaggiatori, sia migliorata adeguatamente con treni meglio rispondenti alle esigenze del traffico esistente.

«Se, perdurando l’impossibilità del sollecito ripristino della tratta Pescara-Roma, non debba considerarsi indispensabile concedere ai viaggiatori dell’Abruzzo un collegamento più sollecito con Ancona a mezzo treni coincidenti con quelli in partenza da Ancona per Roma e viceversa, istituendo almeno due vetture Roma-Pescara.

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, e i Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intendano adottare nei confronti del professore Livio Tanfani, preside dell’Istituto «Dante Alighieri» di Roma, qualora risultassero veri i fatti riferiti dal giornale La Repubblica d’Italia.

«Detto giornale nel suo numero dell’11 febbraio 1947, ha scritto: «… Il professore Livio Tanfani, preside del suddetto Istituto, ha fatto riunire tutti gli alunni, propinando loro una melodrammatica concione nazionalistica, al termine della quale ha lanciato il grido di Viva il re! Non contento di ciò, ha preteso – a quanto ci viene riferito – che gli studenti intonassero in coro la marcia reale e «Giovinezza».

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non si ravvisi la necessità di sollecitare la preparazione e l’approvazione del progetto per la trasformazione della strada nazionale Torino-Alba-Savona in strada camionale, alla finalità di assicurare con rapido mezzo le comunicazioni Torino-Mare e di togliere dall’isolamento la ricca regione delle Langhe albesi, che solo dall’auspicata rettifica stradale attendono il loro progresso agricolo e commerciale.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga ormai tempo di adeguare gli assegni degli assuntori di stazione ferroviaria e passaggi a livello alle paghe percepite dal personale di ruolo di eguale qualifica e liquidare gli arretrati che loro spettano. Detto personale percepisce dal 1° settembre 1945 l’irrisorio acconto mensile di lire 5700. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se abbia preso in considerazione il grave fatto, lesivo del normale funzionamento delle Università della Sardegna, secondo il quale i professori vincitori di concorso bandito per cattedre delle facoltà di Cagliari e di Sassari, non raggiungono neppure la sede, chiamati da facoltà della Penisola; e se non intenda ripristinare per i vincitori dei concorsi universitari l’obbligo della permanenza di due anni nella cattedra della facoltà per cui è stato bandito il concorso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Falchi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se siano allo studio disposizioni intese ad assicurare alle Amministrazioni comunali il rimborso integrale da parte dello Stato della spesa per il servizio del razionamento consumi e non nella somma forfetizzata in lire 39 per ogni abitante, sempre e di gran lunga inferiore al costo effettivo del servizio, che, interessando la generalità dei cittadini, dovrebbe essere a carico esclusivo dello Stato, con sollievo dei bilanci comunali da un onere notevole da fronteggiarsi sempre, trattandosi di spesa effettiva ricorrente, con mezzi straordinari. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Bazoli».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se sia allo studio il provvedimento inteso ad estendere ai militari volontari della Guerra di Liberazione il beneficio della riduzione della pratica notarile a sei mesi, già riconosciuto ai reduci dalla prigionia e dalla deportazione, quale giusto riconoscimento dei meriti di coloro, che, dopo avere combattuto a fianco delle truppe alleate, non hanno potuto subito rientrare nella vita civile, e mentre molti degli stessi, non avendo potuto usufruire del beneficio di potere terminare gli studi prima della chiamata alle armi, all’atto del congedo si sono trovati nella necessità di riprendere gli studi da lungo tempo interrotti e nella impossibilità di iscriversi alla pratica notarile se non dopo il conseguimento della laurea e di conseguire quindi l’anno di pratica egualmente ridotto per i militari della sedicente repubblica sociale. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Bazoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia vera la voce della prossima soppressione dei Depositi cavalli stalloni per motivi di economia.

«Un tale provvedimento sarebbe disastroso per la buona produzione ippica, mentre alle deficienze finanziarie si può ovviare passando all’Amministrazione dell’agricoltura i centri rifornimenti, non più necessari all’Amministrazione della guerra e facile preda di speculazioni private.

«La diretta conduzione di tali aziende da parte del Ministero dell’agricoltura (com’è avvenuto per la tenuta di Scordia in Sicilia, condotta dal Deposito di Catania) potrebbe non solo consentire un più utile impiego di quelle tenute, ma fornirebbe senza spesa i foraggi necessari ai vari Depositi, che potrebbero vivere senza gravare sul bilancio dello Stato e darebbe possibilità ai palafrenieri e alle rispettive famiglie di trovare ottima sistemazione nell’azienda invece di gettare, con la soppressione dei Depositi, centinaia di famiglie tra la schiera dei disoccupati.

«Indipendentemente da tutto ciò, l’interrogante ritiene che, per qualsiasi provvedimento si intenda adottare riguardo ai Depositi cavalli stalloni, debba essere esclusa l’applicazione al Deposito di Catania, in quanto, con l’imminente attuazione dell’autonomia regionale siciliana, quel Deposito passerà alle dipendenze del Governo regionale, che emetterà i provvedimenti che riterrà meglio rispondenti ai bisogni della produzione ippica della Sicilia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se rispondano a verità i fatti segnalati dalla Federterra di Brescia, secondo cui in data 27 gennaio scorso le preture riunite di Brescia ordinavano al Consorzio di Brescia la restituzione agli agricoltori Trebeschi Paolo e Gatti Giovanni di Passirano di quintali 8,34 di granoturco sequestrato dalla squadra annonaria e versato all’ammasso. Nello stesso tempo e per lo stesso fatto le preture riunite condannavano i suddetti agricoltori al pagamento di lire 1500 ciascuno. In caso affermativo l’interrogante chiede quali provvedimenti siano stati adottati, visto che non si può conciliare il pagamento di un’ammenda con la restituzione del grano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare ì Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per chiedere la revoca della disposizione (circolare del Ministero dell’interno ai Prefetti, n. 2198 del 13 novembre 1946) che pone a parziale carico dei comuni l’onere del funzionamento degli uffici imposte di consumo.

«Tutte le disposizioni governative finora emanate concernenti le amministrazioni comunali impongono pesi sempre più gravosi; nessuna di esse contempla provvidenze atte a fornire ai comuni possibilità di ricupero. Gli uffici razionamento consumi assolvono ad un servizio che in riguardo alle caratteristiche della sua organizzazione centrale e periferica, deve essere soddisfatto dallo Stato, com’è avvenuto finora.

«Se il Ministero del tesoro rileva che l’attuale situazione finanziaria del Paese non consente ulteriori aggravi per le pubbliche spese, l’argomento vale per l’Amministrazione dello Stato, ma vale ancor più per le amministrazioni comunali. Gli aumenti degli stipendi e salari ai dipendenti comunali – ampiamente giustificati dalla situazione economica – disposti d’autorità senza offrire adeguata contropartita, hanno già alterato notevolmente l’equilibrio dei bilanci comunali: il nuovo onere per gli uffici annonari accrescerà il disagio finanziario e impedirà ai comuni di por mano, sia pure con la massima parsimonia di denaro, a quelle opere ordinarie la cui esigenza di attuazione è improrogabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Luisetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non crede necessario disporre perché gli appalti di lavori approvati dai Provveditorati di opere pubbliche e per i quali lo Stato dovrebbe anticipare il finanziamento, possano essere di diritto esperiti direttamente da quei comuni che hanno adeguata attrezzatura di uffici tecnici, senza che gli Uffici provinciali del Genio civile possano interferire, ostacolando talvolta la rapidità della procedura. In casi recenti, i ritardi degli appalti dovuti a questa causa hanno determinato rilevanti aumenti nei prezzi di capitolato e resa impossibile l’esecuzione dei lavori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Luisetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e della difesa nazionale, per conoscere:

1°) quali passi diplomatici siano stati fatti, dopo il triste epilogo del processo contro il colonnello Lozzi, e quali assicurazioni furono ricevute sul conto degli altri ufficiali medici ed i connazionali tutti, rimasti in territorio albanese per sola opera umanitaria e sociale;

2°) quale trattamento economico sia stato fissato per le famiglie, di quegli arrestati, che vivono in misere condizioni economiche;

3°) se non si creda necessario ed urgente (fallendo ogni nostra diretta opera diplomatica) svolgere una decisa azione presso l’O.N.U. per tale ingiusto trattamento verso i nostri connazionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per prospettargli il pericolo di uno sviluppo esplosivo della peronospora del frumento (sclerospora) in seguito alle estese inondazioni degli scorsi giorni, sviluppo che l’esperienza ci ammonisce essere molto probabile, poco dopo il ritiro delle acque; e per sapere se, in tali circostanze, non creda necessario ed urgente di far affluire al più presto nelle zone danneggiate la quantità di nitrato di soda indispensabile come mezzo di lotta, per dare alle piantine di grano il vigore necessario per giungere a dare prodotto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non creda urgente di chiarire, possibilmente nell’auspicato testo unico delle disposizioni sul risarcimento dei danni di guerra, la portata del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 226 (Gazzetta Ufficiale 22 ottobre 1946, n. 240), particolarmente in ordine al termine perentorio di presentazione delle domande; termine che nel testo del citato decreto potrebbe ritenersi riferito ai soli fatti citati nell’ultimo capoverso dell’articolo 1, e non esteso (come sarebbe logico) a tutti i fatti elencati anche nei capoversi precedenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare affinché i nostri Consoli agevolino il movimento turistico verso l’Italia anziché ostacolarlo sottoponendo i visti di ingresso a lungaggini burocratiche, sviando cosi l’afflusso dei turisti a beneficio delle stazioni climatiche di altri paesi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pera, Canepa, Viale, Rossi Paolo, Martino Enrico, Parri».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti sono in corso o s’intendono prendere per dare autorità alle amministrazioni locali al fine di risolvere la posizione di alcuni dipendenti a suo tempo sospesi e successivamente discriminati dalle Commissioni provinciali di epurazione, quando la loro riassunzione è in contrasto con la volontà della popolazione e con gl’interessi dell’Amministrazione stessa, che oggi è tenuta ad erogare stipendi a personale che non presta servizio. Ciò anche allo scopo di evitare turbamenti alla vita cittadina e municipale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pucci, Bianchi Bruno, Gorreri, Dozza, Landi, Bucci, Platone, Lombardi Carlo, Negarville, Ricci Giuseppe».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e quali provvidenze egli abbia in animo di promuovere per attenuare i gravi danni economici subìti dai professori che, nel 1941, per avere raggiunto gli anni 65, furono collocati a riposo anche con meno di quaranta anni di servizio, in base all’iniqua legge De Vecchi, la quale modificava arbitrariamente il diritto, vigente all’atto della loro prima nomina, di insegnare fino agli anni settanta, ciò che attualmente viene concesso, pur con opportune cautele.

«E per conoscere, altresì, se egli, per evidenti ragioni di umanità, ritenga opportuno di ottenere anche per i pensionati la continuazione dell’assistenza sanitaria di cui godono i professori in servizio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Marzarotto, Gui».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.25.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  3. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXIII.

SEDUTA DI LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Manifestazione di protesta per le condizioni di pace:

Presidente                                                                                                        

Dichiarazioni del Ministro degli affari esteri:

Sforza, Ministro degli affari esteri                                                                     

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Carratelli                                                                                                       

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

Chiaramello                                                                                                    

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Di Giovanni                                                                                                      

Mastino Pietro                                                                                                

Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario:

Presidente                                                                                                        

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Conti                                                                                                                

Risultato della votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario:

Presidente                                                                                                        

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Reale Vito                                                                                                       

Annunzio di una mozione:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Stella                                                                                                              

Svolgimento di interrogazione d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Grilli                                                                                                                

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Villabruna e Lettieri.

(Sono concessi).

Manifestazione di protesta per le condizioni di pace.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui si levano i membri del Governo, i deputati ed il pubblico delle tribune). Onorevoli colleghi, l’Assemblea Costituente, in pienezza di solidarietà con le manifestazioni di protesta di tutti gli Italiani contro le condizioni durissime del cosiddetto Trattato di pace, imposto alla Nazione, deve esprimere nel modo più alto e solenne il suo fiero dignitoso unanime sentimento.

Sicuro e fedele interprete di esso, invito l’Assemblea a sospendere la seduta per trenta minuti. (Segni unanimi di assenso).

(La seduta, sospesa alle 16,15, è ripresa alle 16,45).

Dichiarazioni del Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri (Segni di attenzione). Dichiaro che il Governo desidera fare una comunicazione all’Assemblea Costituente, benché – per tutti i membri di essa – la comunicazione sia quasi superflua.

È noto che, fino all’ultimo momento, in alcuni Paesi si era ammesso che l’approvazione del Trattato da parte dell’Assemblea Costituente era necessaria, ma da altri ciò si contestava.

Desideroso di agire di fronte a tutti con cristallina lealtà – e per quanto i diritti del- l’Assemblea Costituente fossero stati già formalmente riservati nei pieni poteri firmati dal Capo dello Stato – feci sapere ieri che non potevamo firmare, se la cosa non era chiarita per tutti.

Fu quindi ammesso per noi, a titolo eccezionale, di deporre una dichiarazione formale su questo punto prima della firma.

Ecco il testo della dichiarazione di cui il Segretariato generale della Conferenza ha dato oggi atto per iscritto alla nostra Ambasciata:

«Il Governo italiano appone la sua firma al Trattato, subordinandola alla ratifica che spetta alla sovrana decisione dell’Assemblea Costituente, alla quale è attribuita dalla legislazione italiana l’approvazione dei Trattati internazionali».

Quanto alle considerazioni generali del Governo italiano sul Trattato e sui problemi permanenti dell’Italia, che trascendono anche il Trattato stesso, ho diretto oggi a tutti i Governi una nota che sarà pubblicata quando sarà stata ricevuta da tutti i destinatari (Approvazioni).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Avverto che i Ministri dell’agricoltura e foreste, della pubblica istruzione, di grazia e giustizia e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno chiesto che siano rinviate ad una prossima seduta, rispettivamente, le interrogazioni degli onorevoli Gabrieli, Pastore Raffaele, Leone Giovanni, Russo Perez, Di Giovanni, Bordon, Rodi e Ravagnan.

È così rinviata la| prima interrogazione all’ordine del giorno dell’onorevole Gabrieli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, «per conoscere le ragioni che hanno determinato il legislatore, nel recente decreto legislativo sull’assegnazione delle terre incolte ai contadini, a non fissare il criterio da seguire per i terreni alberati. L’interrogante (ad evitare divergenze d’interpretazione, che si sono già verificate) segnala l’opportunità di integrare il testo del decreto con una norma interpretativa, diretta a stabilire che, in caso di terreni alberati, si deve avere riguardo allo stato tecnico colturale dell’albero, più che a quello del terreno sottostante».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Carratelli al Ministro delle finanze, «se non sia giusto riesaminare il decreto ministeriale 15 giugno 1946, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 150, dell’8 luglio 1946, relativo al concorso per il conseguimento dell’idoneità, per titoli e per esame, all’esercizio delle funzioni di esattore delle imposte dirette, al fine di mantenere in carica coloro che, non iscritti all’albo nazionale, ebbero conferite le esattorie per il decennio 1943-52 o per il quinquennio 1943-47, ovvero ne assunsero la gestione durante il decennio o il quinquennio, a seguito di decadenza di esattori nominati sin dall’inizio della gestione. Se non sia conseguentemente giusto, che tutti gli esattori nominati prima del 30 luglio 1944, e che abbiano compiuto due anni di servizio, vengano inscritti, in seguito a domanda, all’albo nazionale, e che siano pure iscritti, a domanda, coloro che abbiano un servizio cumulabile di un anno di collettore e due di esattore, e si trovino attualmente in carica, con l’intera cauzione versata ed approvata. Se non sia almeno giusto che vengano rispettati i contratti esistenti, di coloro che nel 1950 saranno in carica, e riconosciuto il diritto degli stessi alla iscrizione nell’albo nazionale, senza obbligo di concorso per la idoneità, per titoli o per esami, qualora durante l’esercizio della funzione esattoriale, abbiano dato, a giudizio del Ministero competente, prova sicura di capacità».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il decreto ministeriale 15 giugno 1946, n. 10411 (bando per il conseguimento per titoli e per esami delle funzioni di esattore delle imposte dirette) ha inteso agevolare, nel senso più largo possibile, le varie categorie di persone che abbiano svolto servizi esattoriali, provvedendo così a sanare varie situazioni irregolari determinate dallo stato di guerra.

Gli esattori, nominati all’inizio del decennio 1943-52 o del quinquennio 1943-47, erano in possesso, al momento della loro nomina, del prescritto requisito della iscrizione nell’albo, la cui istituzione fu determinata nell’interesse dello Stato e degli Enti impositori ed anche in conformità dei desideri espressi dalla stessa categoria degli esattori a tutela della loro funzione nei riguardi del requisito della capacità tecnico-professionale e morale.

Per coprire le vacanze avvenute successivamente, durante lo stato di guerra, si è verificata qualche deroga per esigenze di servizio ed allo scopo di sistemare tali irregolari situazioni, gli interessati potevano avvalersi dell’articolo 3 del decreto prima citato, che consente la partecipazione all’esame di coloro i quali siano muniti soltanto del titolo di studio di scuola media inferiore, purché abbiano svolto un servizio qualsiasi nelle esattorie, anche di durata minima.

Non essendo possibile modificare ora il bando emesso con decreto ministeriale 15 giugno 1946, n. 10411, essendo già scaduti, sin dal 15 novembre 1946, i termini per la presentazione delle domande, per corrispondere alle richieste degli onorevoli interroganti, si potrà, dopo espletati i lavori relativi al bando suddetto, pubblicare un nuovo bando che consenta agli esattori, con meno di cinque anni di servizio, ed in possesso del titolo di scuola media inferiore, di conseguire la prescritta idoneità.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CARRATELLI. Non posso essere sodisfatto perché i contratti esistenti alla data del 1950 devono essere espletati. Coloro che sono stati ritenuti idonei per fare questi contratti debbono poter esercitare questa loro funzione fino alla scadenza del contratto. Perciò insisto nel chiedere la deroga al decreto dell’8 luglio 1946.

PRESIDENTE. Si intendono rinviate, per il motivo già indicato, anche le seguenti interrogazioni:

Bordon, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga di emettere, senza ulteriori dilazioni, i provvedimenti che vennero ripetutamente richiesti a favore dei partigiani, disponendo: a) che sia concesso a coloro di essi, che incorsero in reati anteriormente alla data del 22 giugno 1946, di beneficiare, anche per i reati comuni, del condono di cui all’articolo 9 del citato decreto, abrogando nei loro confronti le eccezioni di inapplicabilità del condono, di cui alla lettera c) dell’articolo 10 del decreto stesso; b) che, in subordine, rispetto ai reati cui fosse negata l’applicabilità del condono, sia concesso a coloro che parteciparono alla guerra di liberazione, di avere almeno il beneficio della libertà condizionale, indipendentemente dal termine prescritto dalla legge per l’applicabilità di tale beneficio, ovverosia anche quando la pena scontata sia inferiore a tale termine; c) che, con apposito decreto, sia concessa la riabilitazione d’ufficio a coloro che, avendo riportato condanne anteriormente alla data dell’8 settembre 1943, si siano, colla loro partecipazione alla guerra di liberazione, resi meritevoli dell’invocato beneficio».

Rodi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni per le quali è stata ripristinata l’efficacia del decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 13, riguardante la disciplina della stampa, considerato che: 1°) il provvedimento è stato preso dal Consiglio dei Ministri subito dopo l’aggiornamento dell’Assemblea Costituente, che doveva essere consultata in proposito; 2°) l’articolo 4 del decreto in questione, imponendo l’obbligo agli editori dei giornali di richiedere ogni tre mesi una nuova autorizzazione, pone praticamente la stampa alla discrezione delle autorità competenti e di eventuali interferenze di natura politica; 3°) l’articolo 7 dello stesso decreto dispone che le norme ivi contenute vanno applicate per tutta la durata della guerra, il cui stato è ora ufficialmente cessato; 4°) il provvedimento in parola non trova giustificazioni plausibili nell’eccessivo esercizio della libertà di stampa, perché ogni licenza può e dev’essere punita con le leggi ordinarie».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Chiaramello, al Ministro della guerra, «per sapere se non creda opportuno, al fine di portare un efficace contributo alla soluzione del problema del ripopolamento della montagna, di fare studiare da un’apposita Commissione parlamentare un provvedimento atto a dispensare dal servizio militare, anche ridotto, gli alpigiani che si trovino in particolari ed eccezionali condizioni economiche, e le cui famiglie siano stabilmente residenti nelle zone alpine, dedite all’agricoltura, alla pastorizia od al piccolo artigianato di montagna».

PRESIDENTE. Il Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. Il provvedimento di dispensa dal servizio militare proposto dall’interrogante a favore degli alpigiani che si trovino in particolari condizioni economiche e familiari e che risiedono nelle zone alpine, non sembra per il momento opportuno che formi oggetto di particolare regolamentazione, specie nel confronto di altre sensibilissime attenuazioni, più necessarie, a favore delle famiglie e della economia italiana.

Le disposizioni emanate dal Governo, con criteri di assai largo temperamento, circa la chiamata alle armi hanno determinato ampie possibilità di dispensa a favore dei giovani che si trovino in particolari condizioni.

Tra l’altro, l’onorevole interrogante deve tener presente che si è disposto il rinvio indeterminato, oltre che dei partigiani e dei volontari di guerra, delle seguenti categorie, entro i limiti delle quali – forse – sono comprese anche le popolazioni alpigiane di cui parla l’onorevole interrogante; cioè:

1°) giovani che si trovino in speciali condizioni di famiglia, per la composizione della medesima o per benemerenze militari acquisite da altri membri della famiglia stessa;

2°) giovani, in particolari condizioni, indispensabilmente necessari per il governo di piccole aziende, sia agricole, sia industriali che commerciali.

Però il Ministero, pur non ravvisando la convenienza di deferire ad apposita Commissione parlamentare l’esame del provvedimento proposto dall’interrogante, poiché si rende conto della particolare gravità dello spopolamento delle zone alpine, terrà presente nella chiamata delle venture classi, per eventuali possibilità, le raccomandazioni dell’onorevole stesso; il quale non può, d’altronde, dimenticare che l’ordinamento militare attualmente vigente contempla già una ferma militare relativamente breve, di 18 mesi, e che è orientamento del Governo di arrivare alla ferma di 12 mesi, al che sarà provveduto, eventualmente, per legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Chiaramello ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GHIARAMELLO. Mi dichiaro sodisfatto della risposta dell’onorevole Ministro della difesa.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «sull’arbitraria proibizione opposta dal Prefetto di Siracusa alla pubblicazione di un manifesto alla cittadinanza da parte di un Comitato dei partiti di sinistra e della Camera del Lavoro, manifesto ispirato al lodevole scopo di assecondare e rinvigorire l’azione governativa e delle autorità in quei settori in cui era apparsa meno efficiente, e in difesa della giovane Repubblica».

Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Prefetto di Siracusa non credette di autorizzare l’affissione di un manifesto presentato in data 22 agosto 1946 da un comitato di appartenenti a partiti di sinistra e alla Camera del Lavoro, in quanto ritenne che vi fossero affermazioni tali da sminuire nel pubblico ogni fiducia nell’autorità governativa locale e amministrativa, sì da annullarne il prestigio, con conseguenti prevedibili disordini e tumulti di piazza, contro le stesse autorità.

Il diniego dell’affissione avvenne, quindi, unicamente per motivi di ordine pubblico. Però, il contenuto del manifesto ha potuto avere pubblicità completa attraverso la pubblicazione apparsa sul numero 122 del quotidiano «Voce della Sicilia».

PRESIDENTE. L’onorevole Di Giovanni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Ringrazio il Sottosegretario per l’interno della cortesia avuta nell’indagare sul contenuto della mia interrogazione.

La verità è questa: che ormai l’interrogazione è superata nel tempo, dato che si riferisce a fatti di 3 o 4 mesi or sono, quando vi era in Siracusa un altro Prefetto. Quel Prefetto è stato ormai trasferito da Siracusa e ciò costituisce la prova migliore della fondatezza della mia interrogazione.

Del resto, non avrei altro da aggiungere, perché il tempo trascorso e gli avvenimenti posteriori hanno fatto giustizia dell’inconveniente deplorato.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Mastino Pietro al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere, in rapporto al recente provvedimento che triplica la pena per l’evasione dagli ammassi, quale azione pratica intenda svolgere in Roma contro il mercato nero, esercitato pubblicamente, in modo che il suddetto provvedimento abbia ovunque effettiva applicazione.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole interrogante aveva formulato l’interrogazione in data 31 luglio dello scorso anno, quando ancora non era avvenuta la pubblicazione della legge che reca la data del 5 ottobre successivo. In quell’epoca, effettivamente, non erano state predisposte ancora le misure adeguate a stroncare il fenomeno del mercato nero, particolarmente intenso nella capitale.

In seguito all’emanazione del suddetto decreto, che stabilisce una più severa repressione delle infrazioni alla disciplina dei consumi e della evasione dagli ammassi, il Ministero hai rinnovato e ripetutamente ribadito ai dipendenti organi di polizia opportune istruzioni per svolgere un’azione vigile e costante, impegnando tutta la loro attività al fine di sradicare il mercato nero e reprimere le trasgressioni sui conferimenti obbligatori, a Roma non meno che altrove.

Per la normalizzazione del mercato della capitale si è anzi svolta un’azione particolarmente intensa, nella quale si sono impegnati direttamente anche gli uffici centrali dell’Alto Commissariato per l’alimentazione e del Ministero dell’interno, presso il quale funziona un apposito ufficio per la repressione del mercato nero, e sono noti i provvedimenti radicali predisposti in quest’ultimo torno di tempo e che sono tuttora in corso di graduale attuazione e di adeguamento alla situazione.

Le disposizioni di vigilanza impartite hanno dato notevoli risultati, con il recupero di quantitativi di merce di un certo rilievo e con una sensibile diminuzione dell’illecito commercio di generi tesserati.

Naturalmente vi sono ancora delle deficienze, anche perché l’azione non può svolgersi che gradualmente, ma gli organi del Ministero sono impegnati per condurla a fondo con ogni costanza ed energia.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MASTINO PIETRO. Osservo, nel non dichiararmi sodisfatto, che l’onorevole Sottosegretario per l’interno ha giustamente rilevato come la mia interrogazione rimonti a parecchi mesi or sono. Ma ciò non autorizza alla conclusione la quale egli è giunto, vale a dire che l’interrogazione non sia più, in certo senso, attuale; poiché, per quanto siano passati vari mesi – e troppi mesi – la situazione è, in conclusione, la stessa.

La mia interrogazione ha un riferimento specifico: il mercato nero sfacciatamente esercitato in Roma; ed ha, soprattutto, questo programma: mettere in evidenza la profonda ingiustizia che si verifica, pel comportamento del Governo, nei confronti delle varie regioni, relativamente alla lotta contro il mercato nero. Oggi, ad esempio, è in atto la propaganda perché l’olio sia conferito agli ammassi; io non so quanto possa contribuire al buon esito di codesta lotta il fatto che qui in Roma, pubblicamente, l’olio sia venduto, mentre in altre regioni coloro che detengono, sia pure illecitamente, un limitato quantitativo di olio, sono rinviati a giudizio, processati e condannati.

Questo consente una visione del problema affatto diversa da quella esaminata finora e precisamente la constatazione innegabile di una palese ingiustizia esercitata in favore di determinate categorie e di determinate regioni o città; di determinate categorie, in quanto sono soprattutto le classi agiate quelle che possono specialmente profittare del mercato nero; di determinate regioni, fra le quali certo è quella che sovrattutto mi sprona alla presentazione della interrogazione intendo parlare della Sardegna. Ecco i motivi per i quali non mi posso assolutamente dichiarare sodisfatto.

E finisco. Il Sottosegretario di Stato ha terminato col dire che è stato costituito un apposito ufficio e come ultimamente sia stata iniziata una lotta quotidiana e tenace contro il mercato nero in Roma. Ma io so ed ho anche letto sui giornali di un’azione condotta per due giorni con invio di squadre nei vari rioni cittadini per la repressione del mercato nero, e so di aver poi anche letto che, appena due giorni dopo, le disposizioni circa quest’azione sono state revocate. Ora io dico: il Governo veda la strada da seguire. A mio avviso, il mercato nero deve essere combattuto. In qualunque caso, parità ed uguaglianza di comportamento, ché altrimenti mancheremmo ai fini di giustizia.

PRESIDENTE. Anche le seguenti interrogazioni, come già prima le altre, si intendono rinviate:

Russo Perez, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se, secondando i desiderata espressi dai maestri elementari nell’ultimo Congresso di Palermo, il Ministero, prima che siano banditi nuovi concorsi per posti vacanti di maestri elementari nei vari comuni d’Italia, intenda, e fino all’esaurimento, avvalersi dei pochi concorrenti risultati idonei nell’ultimo concorso per titoli ed esami ultimatosi nell’anno 1942, e non assunti, disponendo conseguentemente per la loro nomina ai posti in atto vacanti o che si renderanno tali».

Pastore Raffaele, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se, per combattere la disoccupazione, non creda opportuno applicare il decreto ministeriale 19 dicembre 1938, n. 12571, riflettente la trasformazione dell’agricoltura nel Tavoliere di Puglia ed estendendo lo stesso piano di trasformazione a tutta la fascia pre-murgiana».

Leone Giovanni, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, «per conoscere se non reputino opportuno promuovere un provvedimento legislativo che, abrogando il regio decreto 11 marzo 1923, n. 691 (in Gazzetta Ufficiale n. 85 dell’11 aprile 1923), richiami in vigore l’ultimo comma dell’articolo 60 (dal predetto decreto abrogato) della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità. Il comma dell’articolo 60 – di cui si chiede il ripristino – stabiliva che, in caso di retrocessione per l’ipotesi che il fondo «non ricevette in tutto o in parte la preveduta destinazione», il prezzo da pagare da parte del proprietario espropriato non poteva eccedere «l’ammontare della indennità ricevuta dal proprietario per la espropriazione del suo fondo»; e rispondeva ad un indiscutibile criterio di giustizia diretto a ripristinare, senza danno, il proprietario nel suo diritto, quando fosse cessato il motivo superiore dell’utilità pubblica, che legittimava l’espropriazione, e ad impedire, in conseguenza, l’ingiustificato arricchimento da parte dell’ente espropriante per l’eventuale aumentato valore del fondo. L’abrogazione di quel comma fu ispirata dal criterio statolatrico della legislazione fascista, forse non scevro di sotterranei riflessi particolari; e non è compatibile con il rinnovato spirito di difesa dei diritti dell’individuo. Il ripristino dell’ultimo comma dell’articolo 60, oltre che al segnalato motivo di guarentigia del diritto del cittadino, risponde ad una più rispettabile ed urgente esigenza: quella di consentire, mediante il facilitato diritto di retrocessione, il ritorno di molti fondi ai proprietari, che in regime di coltivazione diretta o di affitto riconquisterebbero alla coltivazione ed alla produzione appezzamenti, talora vasti, che dall’ente espropriante o sono abbandonati o non sono utilizzati a scopo di produzione agraria».

Ravagnan, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se non ritenga, dati i continui investimenti stradali con conseguenze il più delle volte mortali, che si verificano per colpa dei conducenti alleati, di compiere dei passi presso il Comando militare alleato al fine di ottenere che sia prescritta velocità moderata ai conducenti di automezzi alleati, specie nell’attraversamento degli abitati, nonché una sorveglianza su di essi con sanzioni ai contravventori e risarcimenti materiali e morali alle vittime. Considerati, inoltre, i frequenti incidenti tra militari alleati e civili italiani, tra cui particolarmente gravi furono quelli verificatisi a Mestre il 23 e 24 agosto scorso, nel corso dei quali le «Jeeps» della Polizia alleata, lanciate di proposito contro i civili, causarono la morte di due di questi, se il Governo non ritenga di prospettare al Comando militare alleato questo stato di cose, di modo che siano prese disposizioni atte ad evitare il ripetersi di tali gravi incidenti».

Ravagnan, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se non si ritenga necessario, a circa tre mesi dalla proclamazione della Repubblica, di dare disposizioni precise perché dai fregi e distintivi militari vengano tolti gli emblemi della Monarchia e perché dai timbri, sigilli e intestazioni di Uffici e di Enti dell’Amministrazione dello Stato siano eliminate le diciture monarchiche».

Di Giovanni, al Ministro della pubblica istruzione, «sulla assurda disposizione, relativa alla compilazione delle graduatorie per il conferimento di incarichi e supplenze nelle cattedre delle scuole medie, per cui viene considerato a favore dei reduci, ai fini del punteggio, il servizio militare o il periodo di prigionia subito posteriormente alla laurea e non anche quello anteriore a detta laurea, creando così una ingiusta disparità di trattamento verso coloro che furono costretti a ritardare la laurea per la chiamata alle armi e per l’impossibilità di conseguirla durante il tormentoso e difficile periodo della guerra. Per evidenti ragioni di giustizia si dovrebbero impartire disposizioni ai capi d’Istituto tendenti ad equiparare agli effetti del punteggio in graduatoria tanto il servizio militare ed il periodo di prigionia sostenuto dopo il conseguimento della laurea, quanto quello anteriore».

Avverto che l’onorevole Sardiello ha dichiarato di rinunziare alla seguente interrogazione, essendo la questione delle Corti d’assise all’esame della Commissione permanente dell’Assemblea:

Al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga opportuno sospendere l’attuazione della legge che ripristina la giustizia popolare nei giudizi di assise; affinché non sia preclusa la via per elaborare ed attuare, nel più breve tempo, norme le quali (secondo un’aspirazione sempre più viva nella coscienza collettiva e già largamente espressa da giuristi ed avvocati) consentano il riesame nel merito anche per i giudizi riguardanti i reati più gravi».

Infine l’onorevole Bencivenga ha ritirato la seguente interrogazione:

Al Ministro della guerra, «per sapere se egli non ritenga doveroso ed urgente far conoscere ufficialmente, con una succinta relazione, ciò che il soldato italiano fece nella guerra che, fedele alle tradizioni, combatté con disciplina ed alto valore per l’onore delle proprie bandiere, obbediente agli ordini del Sovrano. Il silenzio finora tenuto dall’ufficio storico del nostro Stato maggiore non depone a favore di quella fierezza di carattere che è doverosa, quando si tratti di rendere omaggio e riconoscenza a chi fece getto della vita per la Patria; a chi, vivente, porta il segno del sacrificio; al popolo italiano tutto che, all’appello per la salute della Patria, rispose disciplinatamente, senza chiedersi se la guerra fosse giusta od ingiusta: giudizio codesto che darà la storia».

È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario.

Prima che si proceda alla votazione, estraggo a sorte i nomi di 24 deputati, che comporranno le due Commissioni di scrutinio.

(Esegue il sorteggio).

La Commissioni risultano così composte: per la nomina del Vicepresidente, gli onorevoli: Andreotti, Cortese, Pressinotti, Venditti, Alberti, Tosi, Selvaggi, Veroni, Lagravinese Pasquale, Guerrieri, Lozza, Farina;

per la nomina del Segretario, gli onorevoli: Azzi, Varvaro, Gallico Spano Nadia, Togliatti, Flecchia, Marconi, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Taddia, Pollastrini Elettra, Musotto e Calosso.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli scrutatori a recarsi nella sala all’uopo destinata per procedere immediatamente alle operazioni di scrutinio.

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. È iscritto a parlare l’onorevole Conti. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io terrò un breve discorso. Credo che sia volere di noi tutti limitare la discussione, rendere questa nostra Assemblea degna degli argomenti importanti dei quali ci dobbiamo occupare.

Riguardo al Trattato si è detto già molto; si è detto molto con sobrietà, non si è ecceduto. Era necessario dare prova di grande serenità e, direi, di austerità di fronte al grave fatto che si è consumato. Dobbiamo essere decisamente fermi in un atteggiamento che possa essere inteso, compreso all’estero, in un atteggiamento di popolo forte, di popolo capace di rinascere, di ricostruire il Paese, lavorando, provvedendo a tutte le necessità, senza mai ridurre la propria dignità di fronte a tutti.

Che cosa si deve dire della situazione politica in questo momento? Ecco l’argomento più importante, dopo quello sul quale ho detto le poche parole che dovevo dire.

È veramente necessario che noi continuiamo nelle nostre esercitazioni parlamentaristiche, che riprendiamo, cioè, l’analisi della crisi recente? Io non ho l’attitudine a questo genere di indagini. Cercherò di non occuparmi più di tanto dell’argomento. Se la discussione dell’Assemblea sarà dedicata alla crisi, io credo che ognuno dovrà limitarsi allo stretto necessario, perché il Paese deve avere finalmente dalla nostra Assemblea un esempio di sobrietà, anche di fronte a questo troppo spesso ricorrente avvenimento.

Il Paese prende troppo gusto nell’esaminare certe situazioni e perde il senso della realtà, si corrompe e si devia, come si è deviato nei lunghi anni del parlamentarismo. Non va il Paese all’esame dei problemi seri e fondamentali della nostra vita nazionale: chiacchiera, si diffonde in una quantità di elucubrazioni di carattere politico, sociale, psicologico; si avventura nelle più strane ipotesi; cerca con la fantasia la soluzione dei problemi, si svia e perde il senso della realtà, e non compie il suo dovere di assistere l’Assemblea con la serietà, che pure il Paese deve osservare.

Noi dobbiamo compiere il dovere di non accendere le fiammelle di pettegolezzo paesano; dobbiamo essere i primi a ridurre le nostre discussioni ai punti sostanziali, alle questioni solide.

Perciò io non mi occuperò del perché della crisi, del come si è composta, di chi l’ha composta. Mi potrei anche dilettare con alcune osservazioni, ma esse non farebbero piacere a molti colleghi di qualche parte della Assembla: e non sono di mio gusto. Sapere se l’onorevole De Gasperi ha opportunamente o no aperto la crisi mi interessa fino a un certo punto. Questi sono problemi che pongono gli uomini politici che hanno tempo da perdere.

Sapere se ancora siamo sotto il dominio dei tre partiti, è anche questo un problema interessante per molti: per me non lo è, perché ritengo che la realtà è oggi questa e che, per ora, è insopprimibile.

Io raccomanderei ai tre partiti, i quali hanno la pretesa di dominare la vita italiana, e si disputano la prevalenza, di avere pietà per questo nostro povero Paese: di non tormentarlo con le loro polemiche, con le loro questioni, con il moto continuo delle passioni che nel Paese si sviluppano e fanno gran danno.

Siamo in un periodo in cui s’impone una tregua fra i partiti. I partiti se ne dovrebbero persuadere a rimandare alle elezioni generali la soluzione dei problemi e, direi quasi, il giudizio sul loro atteggiamento, e il giudizio del Paese sui loro programmi.

Un problema grosso mi pare ci sia per tutti noi, e prego i colleghi di considerarlo con molta serietà, direi con austerità: quello della conclusione dei nostri lavori.

Noi siamo Assemblea Costituente. Questa è destinata e chiamata non a legiferare, ma ad elaborare e deliberare la Costituzione.

Se usciamo dai fini e dai termini fissati dalla legge, cadremo in un eccesso di mandato, e mancheremo al nostro dovere.

Fin dal primo tempo si è voluto, si è preteso, anzi, che la Costituente svolgesse una vasta funzione legislativa; era una pretesa che molti hanno avanzato in buona fede, senza rendersi conto del compito specifico di quest’Assemblea. E si è corso pericolo di trasmodare nelle nostre discussioni, di uscire dal terreno sul quale vogliamo rimanere.

L’Assemblea Costituente deve dare al Paese la Costituzione della Repubblica.

E poiché siamo all’inizio della discussione del progetto elaborato dalla Commissione dei 75, dico che noi abbiamo il dovere di dedicarci a questo lavoro, di non distrarci con altre attività, con altri esami, perdendo tempo.

I problemi grossi, quelli che preoccupano il Paese, le grandi riforme di struttura, tutte le riforme radicali, che sono parti del programma di tutti i partiti, saranno un giorno affrontate dall’Assemblea legislativa.

Basta con la promessa al Paese che questa Assemblea risolverà problemi, che oggi non si possono risolvere.

Non continuiamo nell’errore, che è stato grave nel periodo della lotta per la Costituente e per il referendum. Allora troppo si è predicato sulle piazze che questa Assemblea avrebbe risolto i problemi più gravi della vita italiana: problemi economici, sociali. Questa Assemblea è chiamata ad altro; essa non ha questo compito.

Il Paese lo deve sapere e deve attendere fiduciosamente l’opera che si svolgerà per il perfezionamento del testo della Costituzione elaborato dalla Commissione del 75.

Quando l’Assemblea adempirà questo dovere, avrà fatto tutto quello che poteva fare ed il Paese le sarà grato.

Perché dobbiamo affrontare altri problemi? Da dove si comincia? Dov’è l’elaborazione preliminare, preparatoria, che ci può indurre ad affrontare le soluzioni?

Non c’è nulla: bisogna dirlo al Paese, coraggiosamente, tranquillamente.

Il Paese è stanco di chiacchiere. Il Paese desidera che si concluda, non vuole i grandi programmi. Siamo in un periodo, nel quale, fortunatamente, il popolo italiano ha raggiunto un grado di maturità ed un desiderio di riflessione su tutto, per cui noi non possiamo autorizzarci a far credere che qui si possa fare più di quello che si può fare.

Diciamo al Paese: l’Assemblea Costituente non potrà risolvere tanti problemi; essa potrà risolvere quello, unico e solo, della Costituzione. (Commenti).

Il collega, di cui non conosco il nome, (Accenna verso i banchi di sinistra) non sembra consentire col mio punto di vista. Io dico che deve sforzarsi di consentire, perché è veramente necessario che noi ci diamo, senza perdere tempo e con grande intensità, a questo lavoro di formazione della Costituzione. Noi abbiamo la necessità assoluta, per il nostro Paese, di uscire presto da questa aula con la Costituzione compiuta. Non possiamo ammettere, non dobbiamo credere, di poter rinviare di giorno in giorno, di settimana in settimana: abbiamo il dovere di concludere, e presto, i nostri lavori. Il Paese non può vivere nella condizione provvisoria, nella quale vive da troppi mesi. Noi continuiamo a vivere come nel periodo in cui imperavano i Comitati di liberazione nazionale. Di poco è cambiata la situazione politica del Paese: deve invece cambiare. Il Paese deve avere la sensazione che qui si conclude; e noi abbiamo il dovere di chiedere al Paese un giudizio sull’opera nostra nel più breve tempo possibile.

Lo so che v’è riluttanza a intendere ciò che io dico. Ma so che la serietà dei membri dell’Assemblea suggerirà ad ognuno che qui si deve compiere il nostro dovere senza esitazioni. E dobbiamo far presto, e presentarci al Paese per il suo giudizio sull’opera nostra. E questa dobbiamo compierla con grande impegno, perché è necessità assoluta, onorevoli colleghi, che la Costituzione sia approvata con un grande numero di voti. Non possiamo invitare il Paese a giudicare il nostro operato, se non avremo compiuto opera coscienziosa, se non avremo apportato al progetto dei 75 tutti i perfezionamenti necessari.

Io dico, con tutta sincerità a quella parte dell’Assemblea, a quei colleghi che vogliono ancora restare in atteggiamento ostile contro questa povera nostra Repubblica… (Commenti a destra)

Una voce a destra. Chi lo ha detto? È un’affermazione gratuita.

CONTI. Dico ai colleghi di quella parte dell’Assemblea che noi, repubblicani vecchi «storici» e repubblicani nuovi, desideriamo di essere tutti concordi ed operosi nell’elaborare questo documento che dovrà dare al Paese la certezza di possedere una Costituzione moderna, tale che garantisca tutte le sue libertà, di una Costituzione che apra le vie a nuovo cammino, di una Costituzione nella quale l’Italia trovi finalmente consacrata la pace per il suo avvenire.

Una voce a destra. Che sarà sottoposta al referendum.

CONTI. Molti di voi, per vero, hanno dato, nella Commissione dei 75 e nelle Sottocommissioni, prova di lealtà e di buona volontà. Io auguro che le discussioni che faremo in quest’Aula si improntino alla stessa serenità e alla stessa buona volontà.

Una voce a destra. Ma ne abbiamo da vendere di buona volontà!

CONTI. Il proposito deve essere di non riaccendere nel Paese le dispute, la guerra dei partiti, che ha dato tanti dolori all’Italia. Spero che vi persuaderete che il Paese ha bisogno di tranquillità e di pace, e che non sarete voi a promuovere incidenti.

MICCOLIS. Vada a far scuola altrove: non siamo noi che provochiamo incidenti.

CONTI. Accetto volentieri questa dichiarazione; aggiungo che io non faccio scuola a nessuno. Faccio appello al vostro patriottismo. (Commenti a destra).

BENEDETTINI. Il patriottismo noi lo abbiamo.

CONTI. V’è un altro argomento del quale l’Assemblea è chiamata ad occuparsi: il programma di governo che è stato annunziato nel discorso dell’onorevole De Gasperi. Ci dobbiamo occupare di questo programma? Debbo io occuparmene? Non ne ho l’intenzione, perché ritengo che il Governo di oggi, come i Governi di ieri, non abbia una funzione organica. L’attuale è anch’esso un Governo provvisorio. Si tratta di un Governo che non può promettere nulla e non può attuare alcun programma; il periodo di tempo in cui esso deve agire è ristretto. Lo appoggeremo, o faremo opposizione? Questa è la domanda che viene rivolta a noi repubblicani che partecipammo al precedente Governo e non partecipiamo all’attuale. Che faremo?

Anche su questo punto debbo spiegarmi.

Chi è vissuto nella Camera italiana nel periodo precedente al fascismo e chi ha tentato di far rivivere i costumi parlamentari del tempo pre-fascista, ha un modo tutto suo di concepire l’opposizione.

L’opposizione è per molti un sistematico dispetto a chi sta al banco del Governo. Per essa si deve dir male del Governo, si debbono combattere gli uomini del Governo, si deve ostacolare l’azione del Ministero. Questo modo di concepire l’opposizione promosse un costume che chiamo funesto, per il quale il sistema rappresentativo degenerò nel parlamentarismo ed il parlamentarismo fu la causa di tanti mali per il nostro Paese.

Ebbene, noi non intendiamo l’opposizione in questo modo: per noi l’opposizione è concepita, mi sia consentito il dirlo, in un modo più elevato.

Noi non siamo nel Governo. Non siamo, dunque, pienamente favorevoli alla sua politica; ma questo non significa che noi non daremo eventualmente il nostro voto favorevole.

Noi consideriamo l’opposizione come impulso, come agitazione continua di idee per indurre il Governo alla soluzione dei problemi. Pensiamo che l’opposizione debba essere collaborazione ardente e vivace; critica tale da non consentire al Governo né riposi né tranquillità. Il gruppo al quale appartengo assumerà questo atteggiamento: non lascerà tranquillo il Governo; se esso non provvederà ad alcune fondamentali necessità. Ve n’è una, di fronte alla quale non ci siamo mai posti con la decisione necessaria.

Nel Paese vi è una grande corruzione. Parlo di quella dell’amministrazione dello Stato; la corruzione dei costumi è un altro grave problema, ma esso va al di là, della contingenza. Noi abbiamo residuati di guerra anche nel campo morale; abbiamo i residuati dei regimi precedenti e ne dobbiamo sopportare gli effetti.

Io parlo della corruzione dei Ministeri e delle pubbliche amministrazioni. (Commenti a destra).

Le voci che si levano sono forse di dissenso?

Voci a destra. No, no, siamo d’accordo.

CONTI. Se siamo, dunque, d’accordo, mettiamo meglio il dito sulla piaga, perché questo problema della moralità nelle pubbliche amministrazioni è un problema fondamentale in questo momento, se vogliamo ridare coraggio al nostro Paese, scoraggiato anche dalla corruzione.

Una voce a destra. Pagare gli impiegati!

CONTI. Tutti coloro che vogliono lavorare nel nostro Paese e che hanno rapporti con la pubblica amministrazione lamentano lo stato deplorevole nel quale le nostre amministrazioni si trovano. Non andiamo nelle nuvole, no. Può darsi che abbiamo, prima o poi, qualche indice grave della corruzione dei Ministeri e, forse, di uomini politici. (Proteste – Commenti – Interruzioni a destra).

Voci. I nomi!

CONTI. Se mai sarebbero cognomi… (Si ride). Io non mi occupo specificamente di questo problema, lo presento. D’altra parte non mi rendo conto di questo vostro mormorare…

PRESIDENTE. Onorevole Conti, sono d’accordo con lei; quindi, prosegua.

CONTI. Tanto meglio. Dicevo, dunque, che questo stato di cose gravissimo, e che fa tanto male al Paese, ha la sua origine specialmente a Roma, nei Ministeri. (Commenti). Gli uomini che presiedono ai Ministeri hanno l’obbligo di studiare il problema e di provvedere, anche per un motivo molto importante: il paese confonde facilmente Governo, uomini, Amministrazione con l’istituzione repubblicana; ma noi vogliamo che la Repubblica non sia confusa con i governanti e con gli amministratori. Gli uomini possono commettere delitti, la Repubblica sta in alto per giudicare; non per essere compromessa con chi la deturpa, con chi la offende, con chi la tradisce. E allora, ripeto, gli uomini del Governo hanno il dovere assoluto di svegliarsi e di provvedere. Hanno troppo dormito, diciamo la verità. Che nomi e che cognomi! Non si sa da tutti che nei Ministeri non si entra tranquillamente, che per entrarvi bisogna avere portafogli gonfi (Rumori, commenti), che bisogna, dappertutto, ungere le mani per poter riuscire negli intenti che la gente si ripromette? (Commenti).

MICCOLIS. Non sono tutti così i funzionari!

PRESIDENTE. Non interrompano! Lascino parlare.

BRUSASCA. Non si può lasciare insultare così la pubblica Amministrazione.

CONTI. Io credo che l’ipocrisia sia il peggiore dei mali. Dobbiamo svegliarci, dobbiamo svelare il male, frustare, se c’è bisogno. Bisogna porre questo problema una volta per sempre. Non è più possibile che l’Italia viva oggi come per il passato. Al tempo della monarchia, lo scandalo era un fatto ricorrente.

BENEDETTINI. Adesso è permanente.

CONTI. Non dica così, giovane collega! Io ho quasi cinquant’anni di vita politica, e conosco la vita vissuta del nostro paese. Chi non la conosce ha l’obbligo di conoscere la cronaca e la storia nostra. Io vi dico che nel nostro Paese, sotto la dominazione monarchica, abbiamo avuto scandali su scandali ogni anno, ogni cinque anni, ogni dieci anni, piccoli e grossi scandali…

MICCOLIS. Ed oggi tutti i giorni.

CONTI. Quando dalla parte vostra, per giustificare gli scandali che venivano dalla corruzione monarchica, si obiettavano gli scandali ricorrenti in Francia, nella Repubblica francese, noi potevamo trionfalmente far constatare che in Francia si facevano processi e si condannavano i colpevoli, mentre in Italia si coprivano tutte le porcherie. Questa è la differenza. Oggi…

MICCOLIS. È peggio!

CONTI. Onorevole Miccolis, noi diventeremo amici certamente, ma lei ora si preoccupa troppo di interrompermi. Oggi, dicevo, in Italia, abbiamo la Repubblica, nella quale non vi sono privilegiati, non dominazioni di cricche, non trono circondato da gerarchi organizzati per sfruttare, deprimere e opprimere il Paese. Repubblica è porta aperta, finestre aperte, aria pura, bandiere pulite. E tutti possiamo dire quello che vogliamo per risanare questo Paese che è corrotto dal passato.

Ed allora, signori Ministri, è vostro impegno d’onore, se non volete l’opposizione più ardente da questi banchi, procedere ad una radicale epurazione. Siate severi!

Questo è un problema da risolvere, in questo momento. I problemi dell’organizzazione dello Stato, le riforme di struttura sono del prossimo domani. È tempo perduto dire, oggi, al Ministro Segni di preparare la riforma agraria; è tempo perduto dire, oggi, al Ministro Gullo di riordinare il potere giudiziario; è perfettamente inutile dire al Ministro Campilli… Ma Dio ne scampi dai problemi di quel Ministero. (Si ride).

Il problema che ho indicato è veramente, in questo momento politico, uno dei più gravi. Bisogna ridare coraggio al Paese, bisogna risanare la vita pubblica, bisogna indagare, scoprire colpe, punire. Ecco, dunque, una delle funzioni del Governo che noi consideriamo provvisorio.

E le altre funzioni? Non pretendiamo tante cose. Ma volete risolvere quel benedetto problema dell’alimentazione del Paese? (Commenti). Io sono separato specialmente da questo settore (Accenna a sinistra); sono separato dagli amici comunisti e socialisti, che considero poeti della lotta politica (Si ride), o, perché non inorgogliscano per questa qualifica, architetti, o ingegneri, o costruttori del futuro (Vivi commenti a destra). Io sono separato da questi colleghi ed amici, perché sono contrario alle loro concezioni, qualche volta fantastiche, di preparatori di piani, di costruzioni economiche, di preparatori di enti, di commissariati… Non condivido le loro idee, perché non riesco a concepire la lotta, direi meglio, il litigio, nel campo della economia, degli uomini con le leggi economiche che sono quelle che sono e che ci impongono la fame, o ce la fanno evitare, che ci mettono in condizioni di superare durezze, o ci condannano a sopportarle. Ma se non condivido l’intervenzionismo degli amici comunisti e socialisti e di altri colleghi di questa Assemblea, se non partecipo alle illusioni dell’intervenzionismo, non posso vietarmi di pensare che il problema dell’alimentazione possa anche uscire dalla stretta delle pianificazioni, delle organizzazioni fantastiche delle quali si dilettano i facili risolutori dei problemi economici e posso pensare che qualche provvedimento e incoraggiamento possano esservi e che una maggiore quantità di merci, di generi alimentari, di cose necessarie per la soddisfazione dei bisogni del popolo italiano possano essere fornite al popolo italiano.

Se si comincerà ad abolire una quantità di commissariati, di enti, di costruzioni fantastiche nelle quali la burocrazia… (Interruzioni. – Applausi a destra), rende difficile e spesso impossibile ogni azione economica, si darà inizio alla soluzione del problema. Vi dovete persuadervi, signori del Governo, che la ragione principale del male economico del nostro Paese risiede in questa enorme quantità di commissariati, di commissioni, di commissari, di individui che mettono le mani nelle cose dell’economia. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).

Non crediate, cari colleghi di sinistra, che certe coincidenze casuali rappresentino la possibilità di coincidenze radicali… Il consenso di quella parte alle mie vedute economiche ha la durata dell’applauso.

Onorevoli signori del Governo, io vi ho richiamato a due necessità fondamentali: epurare l’Amministrazione pubblica, eliminando la corruzione; dare a questo Paese, tranquillità con provvedimenti di carattere economico.

Ma ci sono altri suggerimenti utili per l’opera vostra.

Noi repubblicani, da questo stesso banco, sei mesi or sono, quando si è costituito il primo Ministero, abbiamo affermato due necessità fondamentali. La prima, far rivivere i Comuni; la seconda, far agire le Regioni.

Noi abbiamo detto: signori del Governo, pensate che la vita del Paese non si svolge a Roma, non si svolge sotto l’ombrellone governativo: si svolge nei Comuni, nelle Regioni. Se non terrete d’occhio Comuni e Regioni, non concluderete nulla, ingannerete il Paese. Ed è per questo nostro progetto fondamentale che alla Commissione dei 75 ci siamo battuti per l’organizzazione autonomistica regionale; è per questa convinzione profonda che ci siamo battuti per l’autonomia comunale. Queste parole le dicemmo al Governo e le ripetiamo appassionatamente, perché crediamo che in esse sia gran parte della verità politica alla quale ci dobbiamo ispirare oggi: fate vivere i Comuni e create la vita regionale. Voi avrete fatto un gran passo sulla via del progresso economico, politico e sociale del nostro Paese. Fate vivere i Comuni! Oggi i Comuni non vivono, perché il Governo ha continuato a rimanere sulla vecchia strada.

I Comuni vivono sotto l’oppressione governativa; continuano a vivere sotto la dominazione dei prefetti, continuano a vivere senza mezzi, a vivere (o a non vivere) nelle condizioni in cui hanno vissuto per 80 anni sotto la dominazione monarchica. Se il Governo non penserà a risolvere questo problema, che può essere avviato a soluzione anche con piccoli provvedimenti, darà al Paese altre delusioni.

La funzione dei Comuni in questo momento potrebbe essere di importanza grandissima. Tutti i problemi della ricostruzione, quei problemi che si pretende di risolvere da Roma, al Ministero dei lavori pubblici, attraverso la burocrazia dei Provveditorati, del Genio civile, possono essere risolti nei Comuni.

Mettere in diretto rapporto Stato e Comuni, senza intermediari burocratici, significherebbe risolvere il problema della ricostruzione. Risolvere il problema della ricostruzione significa affrontare seriamente il problema della disoccupazione, significa risparmiare denaro, fare enormi economie. Se i denari che sono passati attraverso ai Provveditorati, alle autorità del Genio civile, attraverso a tutti gli organi che si frappongono fra Stato e Comuni, fossero stati direttamente affidati ai Comuni, noi avremmo avuto grandissimi progressi nel lavoro di ricostruzione del nostro Paese.

Facciamo vivere le regioni! Cominciamo ad occuparci, onorevoli colleghi, della creazione delle Amministrazioni regionali, cominciamo ad organizzare la vita regionale, a dar animo alle nostre popolazioni, ad immetterle nel movimento democratico che noi vogliamo creare nelle singole regioni. Certi problemi si risolvono unicamente per questa via.

Si parla del problema del Mezzogiorno; siamo continuamente richiamati alla sua soluzione; dal Mezzogiorno giungono continuamente reclami perché si provveda alla sua sorte. Ebbene, perché il Mezzogiorno possa essere redento bisogna dar vita alle regioni, portare laggiù un indirizzo di vita nuova attraverso l’attività degli stessi uomini che vivono nelle regioni. Non vengano a Roma gli uomini di valore: essi possono rimanere nelle loro regioni ad organizzare la vita nuova del Paese. Ma diamo la possibilità di far ciò, non li teniamo tutti a Roma, non stringiamo qui le catene che purtroppo sono intorno al corpo di questa povera Italia.

Questa è la via nella quale potremo avviare a soluzione tanti problemi. Il problema del Mezzogiorno, onorevoli colleghi, non è un problema di parole. Se ne dicono troppe di parole, si fanno troppi congressi, si fanno troppe riunioni, si scrivono troppi libri, si fanno troppe promesse alle popolazioni dell’Italia meridionale. Il problema del Mezzogiorno vuole l’ingresso delle classi rurali nella sua vita. Portiamo i contadini nei Comuni, facciamo vivere le amministrazioni comunali, immettiamo in esse le forze dei lavoratori. Si troveranno in conflitto con le forze agrarie, con il latifondo, con le formazioni reazionarie, che purtroppo vivono ancora nell’Italia meridionale; ma quando noi avremo dato ingresso ai contadini nella vita amministrativa e politica nelle loro regioni, i conflitti si ridurranno e seguirà l’assestamento.

Signori del Governo, io non mi trattengo nell’esame degli altri problemi sui quali si sono detti fiumi di parole. Si è parlato da mesi e mesi del cambio della moneta, di riforme finanziarie, di confische di beni. Sono tutte cose che stanno scritte sulla carta da tanti mesi ed è perfettamente inutile che mi trattenga sulla necessità di richiamare questi provvedimenti che il Paese aspetta. Non so se voi attuerete quel cambio della moneta, che due anni or sono poteva avere i vantaggi che era lecito ripromettersi e che oggi può essere guardato con diffidenza e scetticismo. Certo è che di provvedimenti finanziari ha bisogno il Paese. La nostra lira slitta, slitta. Dovete pensarci. Date al Paese fiducia, incoraggiate il Paese con provvedimenti che non siano illusori e che possano rappresentare l’inizio di una vita nuova in tutti i campi.

Un’altra parola voglio dire: è per la scuola, signori del Governo. Per la scuola si è fatto troppo poco. Si è spiegato che il Tesoro è stato avaro con il Ministro dell’istruzione. Mi rendo conto dell’avarizia del Tesoro e delle difficoltà incontrate dal Ministro dell’istruzione; ma il problema della scuola è il più grave problema della vita nazionale, della vita morale della Nazione. L’analfabetismo è arrivato per la guerra ad un grado preoccupante. Noi dobbiamo escogitare tutti i mezzi perché l’analfabetismo sia combattuto e fugato. Abbiamo la necessità di dare al Paese finalmente la garanzia di moralità e di civiltà che può derivare dalla scuola, la garanzia di educazione civica che soltanto la scuola può dare.

Onorevoli signori del Governo, io, lo ripeto, considero provvisoria la vostra funzione. Non vi incalzo con grandi pretese, ma vi dico: provvedete a queste necessità fondamentali. Non so se il mio gruppo deciderà di darvi un voto di fiducia. Io son pronto a darvelo. (Commenti).

Ho imparato a dire di sì. La prima volta, dopo tanti anni di no, di no, dopo tanti anni nei quali sistematicamente ho detto di no a tutti i Governi che siedevano a quel banco, ho detto, per la prima volta, di sì al Governo De Gasperi.

NASI. Allora faceva l’opposizione sistematica!

CONTI. Spero di continuare. Ma non escludo voti contrari. Non escludo neppure un’appassionata requisitoria contro di voi, se non farete le tre o quattro cose che vi ho pregato di fare: lottare contro la corruzione, dare qualche provvedimento perché la vita economica del Paese sia meno preoccupante, pensare alla scuola, pensare alla vita dei Comuni, pensare a dare agilità a questo popolo che si è risvegliato, pensare a dare all’Italia calore e vita.

Signori, abbiamo oggi, firmato il Trattato che ci è stato imposto. Non ci pensiamo più. Disse benissimo l’onorevole Sforza in una intervista o in un suo scritto suo: la politica internazionale dell’Italia incomincia oggi. Abbiamo liquidato il passato. La nostra vita nazionale riprende oggi. L’Italia sarà una Nazione piena di vita; sarà il Paese della libertà, un Paese che potrà guardare all’avvenire con tranquillità, con fierezza, con volontà di riscatto, a tutti i costi. (Vivi applausi).

Risultato della votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per l’elezione di un Vicepresidente.

Votanti             343

Hanno ottenuto voti i deputati: Targetti 201, Lucifero 53, Persico 50.

Voti dispersi 13, schede bianche 26.

Proclamo eletto Vice Presidente dell’Assemblea Costituente l’onorevole Targetti. (Vivissimi applausi).

Comunico il risultato della votazione per l’elezione di un Segretario.

Votanti             337

Hanno ottenuto voti i deputati: Amadei 110, Badini Confalonieri 101, Rodi 38, Nenni17.

Voti dispersi 25, schede bianche 46.

Proclamo eletto Segretario dell’Assemblea Costituente l’onorevole Amadei. (Vivi applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Arcaini – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Basile – Bassano – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosi – Bovetti – Bozzi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Cianca – Cicerone – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Agata – Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – Dozza.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Falchi – Fanfani – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Maffi – Maffioli – Magnani – Maltagliati – Mancini – Manzini – Marazza – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli –_ Minella Angiola – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montemartini – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musotto.

Nasi – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Platone – Ponti – Pratolongo – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Rapelli – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Sardiello – Sartor – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Segni – Selvaggi – Sforza – Sicignano – Siles – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taddia – Targetti – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonello – Tosi –Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zotta – Zuccarini.

Si riprende la discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Reale Vito. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Onorevoli colleghi, io non sono del parere dell’oratore che mi ha preceduto: che sia fatica inutile esaminare le ragioni che hanno determinato la crisi, il modo come ad essa si è provveduto e se la crisi abbia dato finalmente quel Governo, che governi, come ha detto l’onorevole De Gasperi, quando ha voluto giustificare le ragioni delle sue dimissioni.

Quali le cause che hanno determinato le dimissioni dell’onorevole De Gasperi? Sono di due ordini: di ordine interno, la composizione del Gabinetto; d’ordine sostanziale, più importante, la coalizione dei partiti che erano e sono al Governo.

L’onorevole De Gasperi ha risoluto o ha tentato di risolvere il primo problema; ha creduto, abolendo il Ministero per l’assistenza post-bellica, fondendo quelli delle finanze e del tesoro, riunendo i ministeri delle forze armate, di creare quella concentrazione governativa, che evidentemente mancava al precedente Gabinetto.

Ha fatto anche un altro passo avanti. Ha dato al nuovo Gabinetto una direzione più fattiva, più organica, io mi auguro; perché il Presidente del Consiglio si è liberato dal peso del Ministero degli affari esteri e di quello dell’interno.

È evidente che, da questo punto di vista, dobbiamo attenderci miglioramenti e vantaggi notevoli.

L’onorevole Nitti aveva indicato questi rimedi, ma sono state necessarie ben due esperienze ministeriali perché l’ammonimento fosse accolto.

Non credo che la riduzione dei Ministeri possa trovare quella efficacia che il Presidente del Consiglio si ripromette, sovratutto quando egli ha popolato il suo Gabinetto d’una molteplicità di sottosegretari, che terranno in vita e in agitazione i contrasti e gli attriti, i conflitti di competenze tra i vari sottosegretariati, e creeranno o continueranno a mantenere quella paralisi governativa che il Presidente del Consiglio ha voluto giustamente rimuovere.

Ma il problema fondamentale che doveva risolvere il Presidente del Consiglio e che in parte sopravvive alla crisi recente è un altro: la coabitazione, che si è detta forzata, la collaborazione, che potremmo dire con linguaggio più semplice e chiaro, dei vari partiti al Governo. Ci sono al Governo due concezioni politiche opposte, due concezioni economiche opposte. Bisognava trovare una soluzione a questa situazione, che era determinata dalla necessità di ottenere una maggioranza parlamentare. Il Presidente del Consiglio, come chiunque altro che fosse stato al suo posto, aveva un compito estremamente arduo: assicurarsi una maggioranza e non avere una competizione, un contrasto violento nel suo Gabinetto. E il Presidente del Consiglio non ha negato a se stesso queste difficoltà: non le ha taciute e non le ha dimenticate, anzi ha tentato con tutti i mezzi di superarle. In un primo momento ha tentato l’allargamento del Gabinetto, per poter diluire il contrasto con una maggiore partecipazione di partiti al potere, e poter così trovare più facilmente una via di compromesso nel Gabinetto stesso.

Ma questo tentativo è fallito. Anzi, ad una base più larga è stata sostituita una base più limitata, più ristretta della sua formazione ministeriale. Invece di tre partiti, sono due e mezzo. Il partito repubblicano se ne è andato; il partito socialista si è diviso, e una parte dei socialisti non ha partecipato alla nuova formazione governativa. È capitato come a Nenni, che aveva proclamato che passava dal Governo al potere, e ha finito per lasciare il Governo. (Si ride).

Sono cose che capitano. E allora il Presidente del Consiglio ha avuto un’altra idea che non era sbagliata: dare una prevalenza decisiva ad uno dei partiti della formazione governativa e avere con questa prevalenza la garanzia di una continuità di indirizzo.

Anche questa idea non è riuscita. Si è ricorso al sistema dei competenti e degli indipendenti; e di fronte a sette democristiani vi sono, sì, sei socialcomunisti, ma pure due indipendenti, e l’assurdo è questo, che un contrasto di indirizzo che possa verificarsi domani tra queste due potenti tendenze politiche dovrà essere risolto dagli indipendenti; cioè, gli arbitri della vita politica italiana di domani saranno Sforza e Gasparotto.

Se abbia fatto bene i suoi calcoli il Presidente del Consiglio, ce lo dirà l’esperienza.

Ma vi era un modo, a mio giudizio, molto più logico, molto più leale, molto più aperto per risolvere questo contrasto, e consisteva nella determinazione di un programma organico su cui i partiti chiamati a formare un nuovo Governo dovevano mettersi d’accordo.

Questa che era la strada maestra, che era la soluzione ideale per una crisi che travaglia il Paese, non so se sia stata tentata, se sia riuscita.

Le dichiarazioni del Governo su questo punto – me lo perdoni il Presidente del Consiglio – ci lasciano assolutamente perplessi. Le enunciazioni sono enunciazioni di ordine generico, e non di ordine specifico; e dopo una così lunga esperienza era necessario che i problemi fossero esattamente enunciati, ed esattamente prospettati, ed esattamente risoluti. Perché il Paese avesse potuto sapere con esattezza con quali criteri questo terribile contrasto veniva risoluto, bisognava scegliere i problemi di maggiore attualità, bisognava individuare i problemi più urgenti per la vita del Paese, bisognava dare a questi problemi una soluzione precisa, coerente, organica. Noi nelle dichiarazioni del Governo abbiamo cercato questa soluzione, ma con franchezza io devo riconoscere che non c’è; non c’è per i problemi più importanti, per i problemi fondamentali della vita del Paese.

Il Presidente del Consiglio ha detto che per lui la questione fondamentale, essenziale, è quella di migliorare ed aumentare la produzione. Onorevole Presidente del Consiglio, ha pensato che non è possibile risolvere questo problema – che io riconosco con lei, è veramente fondamentale, essenziale per la vita del Paese – senza avere determinato con esattezza i rapporti fra impresa e lavoratori? Il problema della disoccupazione è un problema di enorme gravità; ma esso va risolto organicamente e compiutamente. Il blocco dei licenziamenti, l’imposizione della mano d’opera sono espedienti momentanei, sono espedienti che non possono sciogliere il nodo fondamentale del problema. Bisogna trovare una soluzione; bisogna che i tre partiti al potere esaminino questo problema sia nel campo agricolo, sia nel campo industriale, e lo risolvano organicamente e tecnicamente in un modo soddisfacente.

Non sono facili problemi; ma è un anno che noi vediamo rinviare costantemente e continuamente la loro soluzione. E proprio stamane ho dovuto rivolgermi ad un competente di questi problemi per sapere se il blocco dei licenziamenti esisteva ancora, se l’imposizione della mano d’opera esiste ancora, o se, per avventura, questo problema, a mia insaputa – perché io non ho contatti continui e costanti, soprattutto con quello che è il movimento industriale dell’Alta Italia, fosse stato o meno risoluto: problema così importante, così imponente per la vita economica del Paese. Ed ho saputo ancora una volta che questo problema è rinviato, non si sa come, non si sa a quando. E nelle dichiarazioni del Governo, che pure fa appello alla necessità di migliorare e rinvigorire la produzione come elemento di salvezza del Paese, non vi è un solo accenno a problemi cosi essenziali, così vitali.

Una politica di prezzi, che contenga i prezzi, senza una politica di costi, è assurda. Una politica che voglia ribassare i prezzi deve tener conto dei costi; ed a che i costi siano ribassati devono contribuire non solo il capitale e il profitto, ma anche il salario. Siamo in ore estremamente difficili e gravi, da cui non si esce se non con il solidale sacrificio, e con la solidale collaborazione di tutte le classi e di tutti i fattori che costituiscono e formano la produzione. Su questo punto le dichiarazioni del Governo sono veramente monche; lasciano attendere per lo meno dettagli e precisazioni.

Ma vi è un altro problema che è importante quanto quello che ho precedentemente enunciato. Si è risoluto un problema fondamentale, che è di carattere politico e non di carattere economico, si è risoluto con i colleghi socialisti e comunisti, che la politica del Governo deve essere una sola e non insieme la politica del Governo e la politica della piazza?

Si è posto mai il problema, cioè che il Governo deve indicare le direttive, ma che, contro le direttive del Governo, si può insorgere in questa Assemblea, dove è la sede della rappresentanza di tutti i partiti e di tutto il Paese, e che non è lecito, senza turbare profondamente la vita del Paese, portare costantemente queste questioni sulla piazza, con le conseguenze che il Governo conosce, che l’Assemblea sa? Ciò vuol dire fare una politica che non sia soltanto una politica governativa dal di dentro, ma sia anche una politica dal di fuori. La Confederazione Generale del Lavoro, che è diretta e rappresentata dai tre grandi partiti italiani, vuol discutere col Governo, o con le agitazioni, i problemi fondamentali della sua esistenza? Fino a quando non ci sia un Governo che imponga la sua legge, la legge del Governo, che sia la legge di tutti i cittadini, questa legge non può essere violata; fino a quando non vi sarà né Governo, né sistemazione economica, non vi sarà tranquillità nel Paese.

Ora è questo il problema fondamentale che va risoluto con criteri di equità e di equanimità, tenuto conto dei bisogni della massa lavoratrice; va risoluto per la rinascita della vita italiana, per la risurrezione della vita economica del Paese.

E permettetemi che io accenni anche a qualche altro problema tecnico, la cui soluzione ci è stata promessa da parte del Governo; a problemi precisi, specifici: al problema, per esempio, dei rapporti tra inquilini o proprietari. Non c’è alcuno che in questa Assemblea non senta la necessità del blocco dei fitti; ma questo blocco impone alcune limitazioni, impone alcune eccezioni. Vi sono commercianti che si prendono il grandissimo lusso di spogliare i consumatori ed i proprietari di casa. Vi sono i nuovi ricchi che, insieme con le infinite ragioni di congiuntura per cui aumentano i loro redditi e le loro ricchezze godono anche, per poche lire al giorno, del beneficio della casa, che non hanno pagato, e che non intendono lasciare. Volete incoraggiare la ricostruzione edilizia? Ma come volete incoraggiarla, se non costringendo i nuovi ricchi a costruire, a fabbricare, mettendoli fuori da quelle case che in questo momento usurpano? Sono provvedimenti di giustizia assoluti, che il Paese reclama da tempo e che sono costantemente delusi.

Questa è la situazione governativa: dare al Paese quel Governo che il Presidente del Consiglio ha messo come causa, come ragione, come fondamento della sua ultima crisi. Però io debbo aggiungere che, di fronte a questa situazione, governativa, è una situazione parlamentare infinitamente più chiara e più limpida. Prima avevamo una maggioranza massiccia di oltre 400 voti che rendeva quasi impossibile una voce di opposizione e di controllo. Vorranno fare i socialisti del nuovo partito un’opposizione ancien règime, o vorranno fare un’opposizione del tipo 1914? O vorranno fare, almeno, i socialisti che si sono distaccati e costituiscono il partito dei lavoratori italiani, il controllo parlamentare, vorranno richiamare il Governo ad una suprema necessità: a quella non solo di portare i partiti al Governo, ma di formare il Governo di una nazione, non un Governo di partiti?

Noi finora abbiamo avuto un Governo di partiti. Ogni partito aveva la sua zona, secondo la sfera di azione che gli veniva assegnata; e quella zona veniva integralmente sfruttata da quel partito, incurante di quelli che erano i supremi bisogni, le supreme necessità del Paese. Abbiamo avuto per lunghi anni il Ministero dell’agricoltura e delle foreste come demanio particolare dei comunisti: e tutti i consorzi agrari erano in mano a commissari comunisti. Ora abbiamo l’inverso. Ora tutti i commissari sono democristiani. Così è avvenuto per le Camere di commercio ed industria, per le quali non si è trovato ancora il tempo di formare le liste elettorali per dare a questi importanti organi propulsori della vita economica del Paese un’amministrazione regolare, ordinaria. A capo delle Camere di commercio vi erano ieri democristiani: oggi vi sono socialisti. Se il Partito socialista vuole avere veramente una grande funzione, dovrà dire al Governo che la partitocrazia, il totalitarismo, sono finalmente cessati, e che da oggi si governa per l’Italia, per il Paese, per la Nazione. Solo così incomincerà a risanarsi l’organo più importante della vita del Paese, il Parlamento, di fronte ad una minoranza agguerrita, ad una pressione parlamentare forte e solida, che metterà fine a tutte le aberrazioni a cui abbiamo assistito durante i Comitati di liberazione nazionale e durante i Governi del tripartito.

Noi speriamo che finalmente quest’ora per l’Italia sia suonata, convinti che, se il Parlamento non funzionerà e se la giustizia non si imporrà, se gli organi dello Stato varranno non a servire lo Stato ma a servire le persone, non avremo in Italia né democrazia né libertà. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente mozione, per la quale è stata chiesta la discussione d’urgenza:

«L’Assemblea Costituente, in nome del popolo italiano, saluta con fraterno affetto i profughi italiani, che dalle loro terre accorrono a rifugio e libertà nel territorio patrio;

invita il Governo ad accogliere i profughi con provvedimenti degni della augusta maternità d’Italia,

«Stella, Sampietro, Belotti, Cremaschi Carlo, Coppi, Malvestiti, Arcaini, Balduzzi, Scalfaro, Zerbi, Valenti, Del Curto, Roselli, Uberti, Ferrario, Burato, Rescigno, Zaccagnini, Pignedoli, Manzini».

Chiedo all’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri se accetta di discutere subito questa mozione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo precedente già aveva costituito un apposito Comitato di Sottosegretari per dirigere tutta l’opera di assistenza cui questi nostri carissimi fratelli hanno diritto. Il Governo non solo accetta la mozione, ma continuerà con la massima energia l’azione che ha iniziata, e rivolgerà tutte le cure che sono possibili ai profughi. Evidentemente un movimento di trasferimento su così larga scala potrà incontrare notevoli difficoltà. Faremo di tutto per superarle. Però, nel contempo, poiché intende fare tutto il suo dovere, il Governo rivolge anche un appello alla collaborazione attiva delle popolazioni. Bisogna che ci sia reso possibile di ospitare questi fratelli non in campi di concentramento, ma presso le famiglie. (Vivi applausi). Già qualche provincia e qualche Comune, nonostante le difficoltà, hanno generosamente accolto questo appello, seguendo un impulso del cuore.

Io spero che l’Assemblea si associ al mio invito perché altri seguano l’esempio e perché possiamo dare ai nostri fratelli non soltanto l’assistenza economica, ma anche la dimostrazione del particolare affetto con il quale li accogliamo. (Vivissimi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Stella, dopo le spiegazioni dell’onorevole Presidente del Consiglio, insiste perché la sua mozione sia svolta d’urgenza?

STELLA. Ringrazio il Governo per le sue dichiarazioni. Non insisto.

Svolgimento d’interrogazione d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha presentato, chiedendone lo svolgimento d’urgenza, la seguente interrogazione:

«Interrogo d’urgenza il Presidente del Consiglio per sapere:

  1. a) se non ritenga necessario accertare quanto possa esserci di vero nella notizia riferita dall’«Europeo» del 9 corrente, sotto il titolo «Lo sa soltanto il barbiere», largamente commentata da un noto giornalista, che, cioè un grande industriale, in attesa di un’assegnazione di materia prima, si sarebbe sentito richiedere dal Ministro in persona 40 milioni e che, dopo la ripulsa dell’interessato, l’assegnazione sarebbe andata ad una industria concorrente; notizia che tanto più turba la coscienza dei galantuomini, in quanto il giornale che la riferisce, pur affermando che di storie di questo genere è piena Roma, manifesta il dubbio che sia possibile provarne la verità in tribunale;
  2. b) se non pensi che per l’onore e la dignità del Governo, sia indispensabile che venga fatta luce; perché, o il fatto è vero, e bisogna colpire i responsabili che mantengono i sistemi camorristici del passato regime tanto deprecati dagli italiani onesti; o il fatto non è vero, e bisogna rassicurarne la pubblica opinione e agire contro chi, con una campagna scandalistica, getta ombre sulla onestà dei membri del Governo».

L’onorevole Presidente del Consiglio accetta di rispondere d’urgenza a questa interrogazione?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho appena letto l’articolo a cui l’interrogante si riferisce. La pubblicazione è deplorevole, e ben più deplorevole sarebbe se davvero un membro dell’attuale o del passato Governo potesse essere indiziato o sospettato di un siffatto delitto. Ho la certezza che ciò non sia, che non possa essere. Dichiaro tuttavia che ho già disposto per un’accurata inchiesta. Aggiungo però che l’autore dell’articolo, al quale ho già fatto chiedere delucidazioni, ha dichiarato che egli, riferendo la voce effettivamente raccolta da un barbiere di Milano, non ha per nulla inteso di incriminare alcuno, ed ha voluto soltanto registrare il mal vezzo di queste voci che egli dice di deplorare. (Commenti).

 SCOCCIMARRO. In galera quel giornalista!

Una voce. Vogliamo sapere chi è quel giornalista.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri L’articolo è firmato Barzini Junior. Comunque, il Governo ha il dovere di chiarire dinanzi all’Assemblea ed al pubblico come stanno i fatti e lo farà entro il più breve tempo possibile.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GRILLI. A presentare questa interrogazione d’urgenza io sono stato mosso da un vero senso di pena nel leggere una notizia così grave, pubblicata in un giornale di larga diffusione, nella prima pagina, con caratteri che richiamano l’attenzione dei lettori, e commentata da un giornalista che porta un nome insigne. (Commenti).

È parecchio tempo che noi nel Paese, dovunque, ci sentiamo come perseguitati da una quantità di voci che parlano ancora di camorre affaristiche, di corruzioni sistematiche, di funzionari che si vendono, di speculatori che pagano mance, peggio che nel periodo fascista, perché, allora, certe dicerie si sussurravano a bassa voce, mentre oggi si parla chiaramente e senza sottintesi.

Ora si parla perfino di un Ministro che avrebbe chiesto 40 milioni. Io premetto che non ci credo e mi sforzo di non crederci. Mi auguro che si tratti di un volgarissimo pettegolezzo; ma siccome la stampa l’ha raccolto, è necessario fare luce, perché noi abbiamo il diritto e il dovere di sapere se tutti questi vociferatori sono dei cittadini onesti che protestano contro un malcostume, o se sono degli avversari in malafede che tentano di calunniare il Governo della giovane Repubblica. Nel primo caso, abbiamo l’obbligo di associarci a loro per una epurazione completa; nel secondo caso abbiamo il diritto di denunziare al Paese certe forme di propaganda sleale e scorretta (Approvazioni).

Noi che abbiamo conosciuto la vita pubblica italiana nel periodo pre-fascista, quando i Ministri, terminato il loro compito, tornavano più poveri di prima (Approvazioni), a riprendere il loro lavoro per guadagnarsi la vita, e qualsiasi scorrettezza commessa da un uomo politico era immediatamente denunziata, fustigata e punita, noi che vorremmo che questa nostra nuova Italia fosse ripulita di quei sistemi che ci hanno disonorato per venti anni, non possiamo non sentirci fremere di sgomento di fronte a queste notizie; per questo, insistiamo e chiediamo che luce sia fatta, affinché, onorevoli colleghi, per lo meno l’onore sia salvo in questo tremendo periodo di rovine. (Approvazioni).

Mi dichiaro sodisfatto della risposta del Presidente del Consiglio, ad una condizione: che le ricerche siano fatte seriamente (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Devo dire che il Ministero che ho avuto l’onore di presiedere ha dato in questo campo alcuni esempi che meritano rilievo. Mi riferisco all’intervento del Ministro delle poste ed alla energica azione che ha portato ad una epurazione notevole e ad un’azione penale in corso; mi riferisco all’intervento del Ministro delle finanze; mi riferisco agli interventi del Ministro Campilli di fronte a qualche funzionario. Vi sono dei processi in corso. Quindi, non è che vi sia la minima tendenza a tollerare; la verità è che queste voci sono complesse e per la maggior parte imprecise, e vengono da corruttori ai quali non è riuscita la corruzione. (Commenti). È una concorrenza di corruzione ed è bene che ci aiutiate a cercare di conoscere i nomi, ad individuare i responsabili da parte del Ministero e dell’esecutivo in genere. Aiutateci anche a precisare e ad individuare i corruttori che, semplicemente perché non sono riusciti, lasciano correre queste insinuazioni che poi non possono provare.

Quindi il mio impegno è di indagare nella Amministrazione, di fare la massima pulizia possibile, e questo impegno lo posso prendere anche a nome di tutti i miei colleghi. L’Assemblea ha diritto che noi rendiamo conto della moralità pubblica e soprattutto di quella dell’Amministrazione. 1 colleghi, ed il pubblico in genere, devono anche aiutarci perché i corruttori, coloro dai quali viene la pressione e la seduzione di fronte agli impiegati mal pagati, siano i primi a venir messi alla gogna e puniti dall’opinione pubblica. (Vivi applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e della difesa nazionale, per sapere se non credano giunto il momento di provvedere a liberare dalla occupazione dell’Autorità militare i locali del Brefotrofio e dell’Ospedale della Maternità di Foggia, locali occupati senza atto di requisizione, senza compenso e senza il consenso di quella Amministrazione provinciale, la quale è costretta a far funzionare i due importanti istituti in due centri lontani con sensibile aumento di spese e di difficoltà per la gestione e la sorveglianza.

«Fioritto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se ritenga opportuno promuovere, di concerto con quello del lavoro e della previdenza sociale, un’aggiunta alle leggi 3 marzo 1938, n. 680 e 25 luglio 1941, n. 934, nel senso di rendere possibile che siano accumulati, col servizio prestato presso enti locali, precedenti e successivi servizi eventualmente prestati presso privati, con assicurazione presso la Cassa nazionale della previdenza sociale.

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se ritenga opportuno di promuovere una modificazione al decreto legislativo 21 novembre 1945, n. 722, nel senso che nell’articolo 2 alle parole: «non si tiene conto della moglie legalmente separata», si aggiunga: «a favore della quale non sia effettuata trattenuta sulla retribuzione del marito».

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga necessario avocare a servizi meglio organizzati l’esame delle domande e ricorsi per il riconoscimento delle qualità di partigiano, posto che domande e ricorsi del genere non sono stati, dagli attuali organismi provinciali e regionali, definiti dopo oltre un anno e mezzo dalla liberazione, come ne è particolare testimonianza la situazione dei partigiani di Taipana, Resia e Lusevera (Udine). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se intendano prendere con urgenza provvedimenti che sanciscano il diritto di preferenza nelle concessioni di terreni demaniali a cooperative edilizie di lavoratori, facilitandone la costituzione, oltre che con il solito concorso dello Stato, anche con convenienti sgravi fiscali, in modo da potersi mettere in concorrenza col capitale privato nell’opera di ricostruzione del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se intenda provvedere alla istituzione di un’altra coppia almeno di treni viaggiatori sulla linea Napoli-Avellino-Benevento, in coincidenza con quelli di Salerno e Rocchetta Sant’Antonio. Questi ultimi, invero, non offrono possibilità di proseguimento, dato il ridotto servizio di una sola coppia di treni al mattino ed una alla sera sulla predetta linea, onde i numerosi viaggiatori che, per ragioni professionali, commerciali ed agricole, debbono recarsi dalla finitima provincia di Avellino in quella di Salerno e viceversa, sono costretti ad impiegarvi una giornata di tempo.

«Per conoscere altresì se, qualora non si possa subito provvedere alla invocata istituzione, intenda almeno disporre che il TV 3967, in partenza da Mercato San Severino alle 16,10, sia ritardato di 30 minuti, in modo da attendere il coincidente treno 2853, proveniente da Avellino. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e tesoro, per conoscere se e quando gl’insegnanti secondari potranno ottenere il pagamento dell’indennità giornaliera di presenza, che agli altri dipendenti dello Stato viene corrisposta dall’aprile 1946. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se non credano di intervenire:

1°) perché l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ove non possa provvedere direttamente a mezzo dei propri uffici, ai servizi relativi al controllo della disoccupazione indennizzata, all’istruttoria delle domande di indennità ed al pagamento di esse, si serva, almeno, in principalità, come, del resto, prescritto dall’articolo 31 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, degli Uffici pubblici di collocamento, là dove esistono, togliendo così ai comuni un compito che, da un lato, esula dalle loro normali funzioni e, dall’altro, grava in maniera insopportabile sui già stremati loro bilanci;

2°) perché, nell’ipotesi in cui il servizio debba essere ancora disimpegnato dai comuni, l’Istituto provveda almeno a rimborsare tutte le spese che i comuni stessi sostengono senza che sia stato osservato il disposto dell’articolo 2 del testo unico della legge comunale e provinciale per quanto riguarda l’assegnazione dei corrispondenti mezzi di entrata, essendo irrisorio (circa un centesimo della spesa reale) il compenso che, mensilmente, l’Istituto corrisponde per il servizio medesimo. È noto che, nella quasi totalità dei casi, i comuni hanno dovuto persino assumere personale a carico dei propri bilanci. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«FAntoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quale sorte subiranno gli Ispettorati provinciali dell’agricoltura e l’Ispettorato compartimentale agrario della Sicilia, in vista della costituzione di quell’Ente Regione. Ciò allo scopo di tranquillizzare il personale interessato ed assicurare la continuità dei servizi agrari, fino ad ora a tali uffici demandati.

«Tale richiesta scaturisce dal fatto che corre voce di un’azione svolta dall’Ente per la colonizzazione della Sicilia per assumere la direzione di tutte le attività tecniche ed assistenziali del nuovo ordinamento regionale, nel settore agricolo siciliano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Patricolo»

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati presi perché d’urgenza l’Ente economico di viticoltura in liquidazione, con sede in Roma, cessi dalla avocazione e centralizzazione dei contributi versati dai viticoltori per la lotta antifillosserica, nonché degli stessi canoni locativi detratti dagli stabili di particolare proprietà dei singoli Consorzi provinciali antifillosserici; quale distrazione dei fondi deve urgentemente essere eliminata soprattutto nell’attuale periodo in cui si impone la ricostituzione dei vigneti fillosserati, che per causa della guerra è stata negli ultimi anni ritardata e limitata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19,15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  3. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 8 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXII.

SEDUTA DI SABATO 8 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Russo Perez                                                                                                     

Condorelli                                                                                                      

Congedi:

PRESIDENTE                                                                                                    

Annuncio della nomina di Sottosegretari di Stato:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Commemorazione:

Bruni                                                                                                                

Merlin Umberto, Sottosegretario di stato per la grazia e giustizia                      

Ghidetti                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Elezione del Presidente dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Costituzione degli uffici di presidenza di Gruppi parlamentari:

Presidente                                                                                                        

Insediamento del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Corbino                                                                                                            

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. La mia proposta di mettere ai voti il rinvio della seduta non venne ieri presa in considerazione dalla Presidenza; ma, se avessi potuto chiarire, in un’atmosfera più calma, e, vorrei dire, più aderente alle norme regolamentari, il mio pensiero, forse la proposta avrebbe avuto una sorte diversa: «Chiarire il proprio pensiero» è l’esatta locuzione dell’articolo 32 del Regolamento, in base al quale prendo la parola.

Nelle attribuzioni della Presidenza non vi è la facoltà di rinviare una seduta quando vi è tempo e materia, secondo l’ordine del giorno, per la prosecuzione dei lavori. Nessuna disposizione conferisce tale diritto al presidente. Difatti l’onorevole Conti si è appellato alla tradizione, ai precedenti parlamentari.

Non ho fatto ricerche d’archivio, ma un giornale del mattino le ha fatte per noi e ha trovato precedenti, del 1906, 1909, 1914 e 1920, contrari alla tesi sostenuta dall’onorevole Conti e dai suoi consiglieri. Ma perché appellarsi al passato ed ai precedenti in una situazione, qual è quella italiana di oggi, senza precedenti? Nel passato vi sono tante cose. Perché ad esso ricorrere soltanto per coonestare un espediente governativo che qui ieri è stato definito «fuga»?

Dirò di più: Il Presidente dell’Assemblea suggeriva ieri di costituirla in un modo più perfetto; quindi perfetta lo era già. Non solo vi erano i Vicepresidenti, ma era ancora in carica il Presidente Saragat, perché, come è noto, in carica rimane ogni dimissionario da qualsiasi pubblico ufficio sino al trapasso dei poteri; e l’onorevole Conti fu così frettoloso e sommario, ieri, che dimenticò perfino di fare accettare quelle dimissioni da questo onorevole Consesso.

A me personalmente il Presidente rispose (ricordo esattamente le parole): «Faccio osservare che è l’Assemblea che deve volere che sia costituita perfettamente con la sua Presidenza, data l’importanza delle dichiarazioni che dovrà fare il Governo. Di fronte a questa considerazione, è evidente che tanto l’onorevole Russo Perez, che l’onorevole Benedetti e l’onorevole Lombardi, mi consentiranno di rimandare a domani». Dunque egli non pretendeva esercitare un suo diritto, ma chiedeva, come era giusto che facesse, il consenso dell’Assemblea per l’esercizio di un diritto proprio della stessa.

Alla domanda se consentissimo, non solo risposi di no, ma chiesi la votazione, e per appello nominale, dichiarando che il numero di deputati prescritto per esigere tale forma di votazione era accanto a me per sostenere la mia richiesta. Il Presidente rispose col togliere la seduta.

Noi affermiamo che con ciò fu commesso un arbitrio e furono violate le libertà fondamentali del Parlamento italiano (Rumori), di questa eccezionale Assemblea, che assomma in sé, e per la prima volta, l’intera sovranità del popolo. Violazioni molto più modeste in altri tempi avrebbero provocato l’insorgere del Parlamento, dell’opinione pubblica e la caduta dei più agguerriti Ministeri.

E questa violazione è stata fatta nell’interesse del Governo e contro i diritti dell’Assemblea da chi, non il Governo rappresentava, ma l’Assemblea, che a quel posto lo pose perché fosse l’inflessibile tutore dei suoi diritti sovrani.

Si noti ancora, ad aggravare l’arbitrio, che tutto ciò è avvenuto allo scopo, anzi (voglio rispettare, in questo, le tradizioni garbate del Parlamento italiano), col risultato di fare arrivare il Governo, come ad una meta da raggiungere a qualunque costo e senza il controllo dell’Assemblea, a quella firma che il popolo italiano, finalmente concorde (e concorde voglia Iddio che rimanga) depreca come una sventura ed una ignominia.

Così, mentre, da varie tribune, giornalisti ed uomini politici esprimono il loro parere, ed anche il capo spirituale della Democrazia Cristiana può liberamente gridare: «Non firmate», all’Assemblea Costituente, unico organo rappresentativo del popolo italiano, non è permesso dire il suo pensiero, pensiero che da parte nostra sarebbe ed è appunto: «non firmate»; per infiniti motivi, che non posso esporre perché esorbiterei dai diritti che mi dà il regolamento, come esorbiterei se dimostrassi che i pericoli insiti alla firma sono superiori a quelli del rifiuto della firma stessa a un trattato, sul cui contenuto non è stata abbastanza illuminata la pubblica opinione.

Il Governo, pure stretto da difficoltà, che non mi dissimulo immense, ha offeso, attraverso questa Assemblea, le libertà fondamentali del popolo italiano. (Commenti).

In quest’ora drammatica, nella quale viene perpetrata una delle più grandi iniquità che la storia ricordi, il Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque eleva la sua vibrata protesta a nome della Nazione, che può subire, ma non mai accettare, l’ingiusto trattato e la sua firma. E chiede che il 10 febbraio sia proclamato giorno di lutto nazionale. (Applausi all’estrema destra – Commenti).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su quale argomento?

CONDORELLI. Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Il processo verbale è già approvato.

CONDORELLI. Dichiaro: non si firmi! (Rumori – Commenti).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Einaudi e Rivera.

(Sono concessi).

Annuncio della nomina dei Sottosegretari di Stato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di informare l’Assemblea che il Capo provvisorio dello Stato, con decreto in data 6 corrente, ha nominato Sottosegretario di Stato:

per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con le funzioni di Segretario del Consiglio stesso, l’onorevole avvocato Paolo Cappa, deputato all’Assemblea Costituente.

Con successivi decreti in data 7 corrente, ha nominato Sottosegretari di Stato:

per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (assistenza ai reduci e partigiani): l’onorevole Vincenzo Moscatelli, deputato all’Assemblea Costituente;

per gli affari esteri: l’onorevole dottor Eugenio Reale, deputato all’Assemblea Costituente;

per gli affari esteri (italiani all’estero): l’onorevole dottor Giuseppe Lupis, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’interno: l’onorevole avvocato Ernesto Carpano Maglioli, deputato all’Assemblea Costituente;

per la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Umberto Merlin, deputato all’Assemblea Costituente;

per le finanze e il tesoro (finanze): l’onorevole professor dottor Giuseppe Pella, deputato all’Assemblea Costituente;

per le finanze e il tesoro (tesoro): l’onorevole avvocato Raffaele Pio Petrilli, deputato all’Assemblea Costituente;

per le finanze e il tesoro (danni di guerra): l’onorevole avvocato Giovanni Braschi, deputato all’Assemblea Costituente;

per le finanze e il tesoro (profitti di regime e di guerra): l’onorevole avvocato Vincenzo Cavallari, deputato all’Assemblea Costituente;

per la pubblica istruzione: l’onorevole professor dottor Ferdinando Bernini, deputato all’Assemblea Costituente;

per i lavori pubblici: l’onorevole ragionier Pier Carlo Restagno, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’agricoltura e le foreste: l’onorevole dottor Luigi De Filpo, deputato all’Assemblea Costituente;

per i trasporti: l’onorevole professor avvocato Angelo Raffaele Jervolino, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’industria e il commercio (industria): l’onorevole avvocato Vannuccio Faralli, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’industria e il commercio (commercio): l’onorevole professor avvocato Antonio Cavalli, deputato all’Assemblea Costituente;

per il lavoro e la previdenza sociale: l’onorevole professor Giuseppe Togni, deputato all’Assemblea Costituente;

per il commercio con l’estero: l’onorevole avvocato Mario Assennato, deputato all’Assemblea Costituente.

Con altri decreti in data 7 corrente, il Capo provvisorio dello Stato ha nominato:

Alto Commissario per l’alimentazione: l’onorevole Giulio Cerreti, deputato all’Assemblea Costituente;

Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione: l’onorevole dottor Mario Saggin, deputato all’Assemblea Costituente;

Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica: il dottor Nicola Perrotti.

Infine, con suo decreto di egual data, è stato nominato Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica l’onorevole professor dottor Diego D’Amico, deputato all’Assemblea Costituente.

Commemorazione:

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Onorevoli colleghi, la notte del 6 gennaio 1947, a 60 anni, moriva improvvisamente, nella sua casa di Treviso, l’onorevole Italico Corredino Cappellotto, Deputato della 25a legislatura. Si era laureato in legge nel 1907; nel 1908 aveva ottenuto il diploma della Scuola superiore di commercio a Venezia per abilitazione all’insegnamento delle scienze economiche; dal maggio 1908 all’ottobre 1910 fu allievo ispettore del movimento e traffico nelle Ferrovie dello Stato, compartimenti di Venezia e Mestre; nel 1910 ottenne la cattedra di scienze giuridiche ed economiche nell’Istituto tecnico superiore di Treviso, dalla quale fu rimosso dalla Commissione fascista per il confino, e sulla quale venne reintegrato solo con la fine della dittatura. Dal 1898 fino alla morte, militò nell’Azione cattolica, e con Romolo Murri (dal 1900 al 1905) partecipò al primo movimento della democrazia italiana.

Dal 1909 al 1915 spese molta parte delle sue energie nell’organizzazione dei contadini della Marca Trevigiana. Con il grado di maggiore del genio, partecipò alla guerra 1915-1918 nella prima e quarta armata.

Fu eletto Deputato per il Partito popolare italiano nel 1919. Fu membro della Commissione permanente di finanza e tesoro.

Nel 1921 fondò il Partito cristiano del lavoro e ne diresse il settimanale «La Battaglia», che venne poi soppresso dal fascismo.

In seno al Consiglio comunale di Treviso capeggiò la minoranza antifascista. E molti lo ricordano ancora, durante il periodo della Quartarella, lanciare solo ed impavido, contro la maggioranza, il grido di sfida: «Viva Matteotti!».

Nel 1942 si unì al Partito cristiano sociale che rappresentò in seno al Comitato di liberazione nazionale provinciale di Treviso.

L’8 gennaio 1945 fu catturato dalla brigata nera «Cavallin» e minacciato di impiccagione. Fu rilasciato dopo che si constatò la sua cecità in seguito a retinite bilaterale.

Ma questa malattia, che lo afflisse negli ultimi anni di vita, non riuscì a piegare la naturale tempra di lottatore. Confesso di non aver conosciuto un antifascista più deciso di lui, un cavaliere dell’onore, della libertà e della giustizia sociale, di lui più virile ed inflessibile.

Al di fuori del Parlamento, del giornalismo, del foro, della politica, non conobbe altre distrazioni. Tutta la sua vita fu un’ascesi. Tutte le sue energie fisiche e spirituali furono messe a servizio del suo ideale politico, fino all’ultimo.

Ormai cieco, si faceva leggere tutti i giornali, riviste e libri di economia e di politica, che poteva acquistare, tenendosi sempre al corrente della situazione in campo nazionale ed internazionale. La cecità pare avesse raddoppiate le sue doti mnemoniche, e certamente ne aveva sviluppato quelle di preveggenza e di saggezza, com’è dimostrato dai rapporti politici ch’egli inviava, di tanto in tanto, alla direzione del suo Partito. Ma il valore, del tutto straordinario dell’uomo, rifulse soprattutto nell’incondizionato attaccamento in cui egli sempre visse, al Vangelo dei poveri; nella fedeltà che dimostrò, in ogni sua azione, alle sue convinzioni e sentimenti cristiani.

In difetto di questi, mi sarebbe arduo spiegare la sua prodigiosa attività anche durante la sua cecità, la sua fierezza d’uomo libero, il suo assoluto distacco dal successo e dalle ricchezze, che lo resero moralmente un gigante.

Non c’è dubbio che con lui sia scomparsa una delle più nobili figure della resistenza e della rinascita italiana.

E ritengo, pertanto, d’interpretare il sentimento di cordoglio di questa Assemblea, se prego la Presidenza di far pervenire ai familiari del defunto ufficiali condoglianze.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Ne ha facoltà.

MERLIN UMBERTO, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Con cuore fraterno di amico mi associo, a nome del Governo, alla degna commemorazione fatta dal collega Bruni di un Deputato che onorò l’Assemblea in momenti di libertà. Corradino Cappellotto fu un cristiano sociale convinto fin dai suoi giovani anni. Appartenne al Partito popolare italiano e difese sempre la causa degli umili. Dopo l’ultima guerra si fece apostolo indefesso degli interessi dei danneggiati di guerra delle regioni venete. Egli fu un assertore convinto della libertà nel più ampio senso della parola. Fu antifascista, nettamente, ritenendo inconciliabile, in via assoluta, il suo pensiero cristiano con la dottrina fascista. Sofferse la persecuzione, ma non piegò mai, ed oggi, quando ancora la Patria molto poteva attendersi da lui, è morto tra il generale rimpianto.

Propongo che l’Assemblea mandi le sue condoglianze alla famiglia e alla città di Treviso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ghidetti. Ne ha facoltà.

GHIDETTI. Mi associo al cordoglio per la morte di Corradino Cappellotto, uno dei fondatori del Partito cristiano sociale. Noi comunisti, a Treviso, dove egli ha esplicato la coraggiosa sua attività, specialmente all’inizio della lotta di liberazione, ricordiamo in Italico Corradino Cappellotto un fiero combattente della libertà.

PRESIDENTE. Mi associo alle parole commemorative degli onorevoli Bruni, Merlin e Ghidetti e metto ai voti la proposta di inviare le condoglianze alla famiglia.

(È approvata).

Elezione del Presidente dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: votazione per la nomina del Presidente dell’Assemblea.

Procediamo alla votazione segreta.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione:

Presenti e votanti     436

Maggioranza           219

Hanno ottenuto voti: Terracini 279; Pecorari 38; Bencivenga 32; Schede bianche 64; Voti dispersi 21; Voti nulli 2.

Proclamo eletto Presidente dell’Assemblea Costituente l’onorevole Umberto Terracini. (Vivissimi ripetuti applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcami – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bosi – Bozzi – Bruni – Brusasca – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Falchi – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa– Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giolitti – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Maffi – Maffloli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marazza – Marchesi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montermartini – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Moscatelli – Murdaca – Murgia.

Nasi – Negarville – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.

Qnarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Taddia – Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Valenti – Valiani – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Costituzione degli Uffici di presidenza di Gruppi parlamentari.

PRESIDENTE comunica che i seguenti Gruppi parlamentari hanno proceduto alla elezione dei rispettivi Uffici di presidenza, come segue:

Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque: Presidente, onorevole Giannini; Vicepresidente, onorevole Selvaggi; componenti del Comitato direttivo: onorevoli Bencivenga, Marinaro, Mastrojanni.

Partito Repubblicano: Presidente, onorevole Facchinetti; Vicepresidente, onorevole Macrelli; Segretario, onorevole Santi.

Partito Socialista Italiano: Presidente, onorevole Nenni; Vicepresidente, onorevole Barbareschi; Segretario, onorevole De Michelis; componenti del Comitato direttivo, onorevoli Malagugini e Vernocchi.

Partito Socialista Lavoratori Italiani: Presidente, onorevole Modigliani; Vicepresidente, onorevole Canevari; Segretario, onorevole Lami Starnuti; componenti del Comitato direttivo, onorevoli Carboni, D’Aragona, Salerno, Treves.

Insediamento del Presidente.

(Il Presidente Terracini sale al suo seggio e scambia l’abbraccio con il Vicepresidente Conti – L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi prolungati applausi – All’applauso si associano le tribune della stampa).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. (Segni di vivissima attenzione). Onorevoli colleghi. Essere elevati a questo alto e responsabile ufficio di regolatore imparziale e diligente dei lavori dell’Assemblea rappresentativa già costituirebbe, anche in tempi di pacifica ed ordinata vita della Nazione, per ognuno pur conscio della propria rettitudine e del proprio civismo, cagione di ansia ben giustificata: poiché la formazione delle leggi resta sempre, e resterà in ogni società nazionale comunque organizzata, il momento supremo e decisivo della comune sorte progressiva del popolo. Esservi chiamati oggi, per sovraintendere a lavori cui dedicheranno capitoli le storie future – le quali, parlando dei dolori infiniti generati alla nostra gente dalla folle bestialità di tanti ascesi a potenza sfruttandone i più nobili ed umani sentimenti, offriranno insieme ai nuovi italiani materia di conforto e di vanto, ricordando il travaglio generoso, i sacrifici incomparabili, la fede tenace con cui gli italiani di questi anni durissimi di transizione hanno, nonostante tutto, gettato il ponte verso l’avvenire migliore – esservi chiamati oggi non potrebbe non costituire, anche per chi ultrapresumesse delle proprie doti di intelletto e d’esperienza, un severo richiamo a responsabilità.

Onorevoli colleghi, in questo modo io intendo il vostro voto, e da questo senso di responsabilità mi farò guidare ad ogni ora nel corso molteplice del nostro fecondo veniente lavoro.

Questo era d’altronde l’insegnamento prodigatomi dai mesi che ho trascorsi, ancora per volere vostro, a fianco di colui che già sedette, primo vostro eletto, in questo seggio; e che, dopo avere, con sensibilità squisita di uomini e di situazioni, diretta un’Assemblea nuova, nella maggioranza dei propri componenti, all’attività parlamentare, a tutti noi, ed ai nuovi ed agli anziani, ha offerto colla decisione, riconfermata ma ancora da noi tutti rammaricata, delle sue dimissioni un alto e prezioso esempio di ossequio alle norme di vita di un vero reggimento democratico. (Vivissimi applausi).

I compiti che ci si propongono sono ardui. E sebbene essi già ci fossero nettamente designati al momento nel quale non tememmo di candidarci ad interpreti e realizzatori della volontà popolare, oggi ben più gravi ci appaiono, fatti attuali per il maturato concludersi di ogni preparativo.

Agli uni voi vi siete apprestati, con un fervore di studi, di ricerche, di approfondite discussioni che stupiranno, conosciute che siano, coloro che scioccamente credono o fanno credere che, ove un’Assemblea non parli a gran giorno, fra bagliori di eloquenza, si addormenti in lei ogni ritmo d’opera. Ed i poderosi volumi che la Commissione dei 75 già ha licenziati, e gli altri che ancora darà all’esame dei membri di questa Assemblea, forniranno testimonianza al mondo di ciò che gli italiani sanno fare, quando la loro coscienza ed il loro intelletto non siano raffrenati od umiliati da interne prevaricazioni o da esterne intromissioni.

Parlo della Costituzione del nostro Stato, che la maggioranza del popolo, nelle sue forze meno irretite per illuse consuetudini di pensiero o di sentimento o per interessi consolidati alle vecchie istituzioni cariche di colpe, ha voluto fosse retto a Repubblica. E da questo ineludibile comandamento prendendo le mosse, grato che esso fosse o meno ai propri convincimenti, deputati di ogni settore hanno dato concorso validissimo di consigli, di argomenti, di proposte ed anche – ciò che forse più vale in momenti infelicissimi della vita di un popolo – di mutua comprensione, di volontà di accordo e di concordia, per redigere quel progetto che fra pochi giorni – portato al vostro esame ed al vostro voto – darà al titolo solenne di questa Assemblea non più dubitabile sanzione.

Io oso fare l’auspicio, onorevoli colleghi, che anche qui, in questa più larga cerchia ed in aperto dibattito, si rinnovi e prolunghi quel nobile e confortevole spettacolo di solidarietà spirituale e nazionale, che, non dimentica delle idealità politiche e sociali cui diversamente si appellano i vari partiti, pur riesce ad affratellarli nel compito di dare alla democrazia repubblicana italiana un suo primo, solido, certo – se anche ancor perfettibile – bastione di legalità. E che in tal modo, sia pure dopo dibattiti lunghi ed anche appassionati, la Costituzione abbia il suggello – se non dell’unanimità dell’Assemblea – per lo meno di un tale numero di voti da dare garanzia anche ai più sospettosi e malvolenti che la nostra legge fondamentale, somma di libertà già raggiunte ed avviamento ad altre, maggiori, di sociale contenuto che essa appena delinea, non sarà frutto d’una vittoria di parte.

Ma la vita di un popolo travalica le frontiere della sua terra e, quanto più esso è maturato a civiltà, tanto più avverte la necessità che anche la maggiore convivenza dei popoli abbia le sue leggi. Onorevoli colleghi, una ne è stata foggiata di queste leggi, che voi dovrete esaminare nei prossimi tempi: legge d’imperio e perciò stesso legge iniqua. Nessun italiano vi ha posto mano, e perciò suona a beffa il titolo di trattato del quale si orna. Essa non corrisponde ai diritti sacri che vennero proclamati come nuova Carta del mondo liberato dai fascismi; e per ciò manca di fondamento giuridico.

Essa misconosce i sacrifici immani non ancora conclusi, che il popolo italiano incontrò per rovesciare la tirannide fascista, e, volontario, per la comune salvezza dei popoli; e per ciò è ingiusta. Ma se essa intende umiliarci e deprimere in noi la capacità di ristimolare, centuplicandole, le nostre energie e la fermezza dei propositi tesi a rifare del nome italico un segnacolo di gloriose conquiste nel campo della pace feconda e laboriosa; qui essa perderà ogni vigore. Poiché non vi è arbitrio di forze collegate che abbia imperio su spiriti riconsacratisi, per olocausto di popolo, a libertà.

Onorevoli colleghi!

Voi deciderete, giunto il momento, e per bocca vostra tutti gli italiani parleranno, qual risposta competa al documento. Ma per intanto, misurando alla sua lettura tutta l’immensità del male, un irrefrenabile impeto di odio erompe dal nostro profondo: contro il fascismo, contro coloro che lo protessero, lo aiutarono, lo sospinsero al potere, ve lo difesero (Vivissimi applausi), insensibili alle sofferenze del popolo, rallegrati del suo decadimento, prodighi di onta al suo nome nel mondo, pur di dare respiro alle proprie fortune insanguinate.

Un trattato così infame il fascismo con le sue infamie l’ha imposto all’Italia, prima ancora che i Governi dei popoli vincitori, traducendole sottilmente in termini territoriali e monetari, non le inserissero al proprio attivo. Ma vanamente si crede di potere insieme giudicare così, come nel documento, la miseranda guerra fascista e la generosa battaglia popolare di liberazione; quella ci ha tratti a rovina; questa ci ha riaperta, la via a salvezza. Ma se anche la democrazia italiana è oggi costretta a pagare per le colpe della tirannide e dei suoi corifei, essa ha forza e capacità per riportare la Nazione, corrette che saranno, attraverso un’avveduta e conseguente azione internazionale, le ingiuste clausole, a rioccupare in Europa e nel mondo il posto che già le avevano assicurato le sue lunghe tradizioni di cultura e le doti creatrici del suo popolo lavoratore.

I popoli stanno: attraverso ai secoli, nella buona e nell’avversa fortuna. Ai popoli tutti che patirono anche per causa nostra – ma che sanno che anche noi patimmo e patiamo per le guerre imposte dalla tirannide fascista – ai popoli che parlano, in diversi accenti, lo stesso nostro linguaggio della speranza e dell’aspirazione alla pace, alla concordia, al perdono, alla collaborazione; ai popoli – l’occhio fisso al domani – questa Assemblea, figlia del popolo italiano, rivolgerà il suo appello fervido, senza venir meno con ciò al grande lavoro costituzionale al quale è consacrata. Poiché la vita di un popolo ha un solo respiro, nella sua terra e più in là nel mondo intero, se essa sa essere – come la vita nuova cui intende risorgere e certissimamente risorgerà il popolo italiano – tutta un’impresa sola di pace e di lavoro, nella libertà e nella giustizia sociale. (Vivissimi, ripetuti, prolungati applausi).

Dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di parlare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Segni di vivissima attenzione). Onorevoli colleghi, molte e gravi furono le responsabilità che nella mia carriera politica dovetti assumere innanzi al Paese ed a voi; forse nessuna è più grave e più crudele di quella che pesa su di me e sui miei colleghi di Governo in questa vigilia.

Volontà e circostanze più forti di noi non ci hanno lasciato – di fronte all’invito perentorio di apporre la parafasi al trattato – che due alternative sole: o firmare sotto la nostra responsabilità di Governo, o impegnare per tale atto la responsabilità dell’Assemblea Costituente. Questa seconda via sarebbe stata per noi e sarebbe ancora più agevole, perché avrebbe alleggerita la responsabilità governativa, riversandola sulla responsabilità collettiva dell’Assemblea.

Ma con ciò già al primo atto iniziale della procedura avremmo impegnato la Costituente, alla quale invece è riservato un secondo e più definitivo intervento, cioè la ratifica o meglio, come più esattamente prevede la nostra legge, l’approvazione o meno del trattato.

Nelle appassionate polemiche di questi giorni si manifesta la tendenza di sopravalutare la firma e di svalutare la decisione definitiva dell’Assemblea.

Opino che questa tendenza non corrisponda né agli interessi del Paese, né alla realtà oggettiva. Non agli interessi del Paese, perché tra la firma e la ratifica, vale a dire tra la firma e l’esecuzione del trattato, trascorrerà un certo periodo di tempo, durante il quale l’Italia potrà ancora tentare di ottenere dalle Potenze alleate o da talune di esse affidamenti di revisione, impegni di attenuata applicazione delle clausole del trattato, promesse di appoggio nelle questioni che il trattato non chiude, quale quella delle Colonie e delle nostre rivendicazioni verso la Germania. Nessuno può prevedere se veramente in tale periodo ci riuscirà di ottenere qualche concessione; ma sta il fatto che fino ad oggi ogni nostro ripetuto tentativo in tale senso è fallito, perché ognuna delle quattro Potenze dichiarava di essere bensì disposta per quanto la riguardava a fare questa o quella concessione, ma di sentirsi vincolata al compromesso faticosamente raggiunto tra i quattro Grandi, che ci veniva così opposto come un blocco intoccabile.

Questa situazione nel periodo tra la firma e la ratifica delle varie Potenze potrà darsi si presenti alquanto alleggerita. Conviene quindi che in tale periodo l’Italia sia in grado di intervenire attivamente, per esplorare tutte le possibilità, prima che l’Assemblea dica la sua parola decisiva. Si obietta che questa arriverà comunque troppo tardi e riuscirà inefficace. Qui, secondo il mio parere, c’è errore. L’articolo 90 dice che il trattato, oltre che dalle Potenze alleate ed associate, dovrà essere ratificato dall’Italia, ratifica che equivale appunto all’approvazione dell’Assemblea prevista dalle nostre leggi.

Lo so che si è arzigogolato intorno alla forse intenzionale mancanza di chiarezza della suddetta formula. Lo so che fra gli alleati non c’è concordanza nell’interpretazione di essa; ma da una inchiesta fatta dai Ministero degli esteri risulta che almeno due fra i rappresentanti delle quattro maggiori Potenze ritengono che la ratifica dell’Italia di fatto sia necessaria. Ma questo, comunque, rimane certo, che in Italia e per l’Italia, un trattato non è valido, cioè non diventa legge, senza l’approvazione dell’Assemblea Costituente. (Applausi). È vero che gli autori del trattato prevedono l’entrata in vigore immediatamente dopo il deposito delle ratifiche dei quattro Grandi, ma è altrettanto vero che essi non possono aver prevista la pratica esecuzione in Italia del trattato, senza la cooperazione dell’Italia, cooperazione che né questo, né alcun altro Governo, può volontariamente dare, finché manchi la decisione dell’Assemblea. (Applausi).

D’altro canto, chi vi dice che i Parlamenti delle Nazioni Unite, taluno dei quali è così sensibile all’opinione pubblica, restino permanentemente sordi agli appelli che venissero da questa nostra rappresentanza popolare?

Mi pare così dimostrato che è nell’interesse del Paese che l’Assemblea non rimanga impegnata fin dal primo momento e pure mi pare dimostrato che ad essa resti ancora riservato un importante ruolo da compiere. Ed anche in confronto del nostro Paese stesso non sarebbe degno che una tale decisione venisse presa senza la preparazione e la solennità che l’importanza storica dell’avvenimento richiede, cioè nell’incalzare di un termine che ci ha colto durante una crisi durata troppo a lungo e mescolando un atto storico che supera Governi e problemi quotidiani con gli aspetti contingenti di una situazione ministeriale.

Queste ragioni ci hanno indotto ad assumere sulle nostre povere spalle la responsabilità della firma, sia pure ex informata conscientia, cioè dopo aver esposto il nostro punto di vista alla Commissione degli esteri, che ne prese atto riservando i diritti dell’Assemblea, e ai rappresentanti dei gruppi parlamentari.

Resta a precisare quale carattere possa avere per noi tale atto, il quale sarà preceduto da una nostra dichiarazione diretta agli Alleati.

Potrà la firma aver carattere consensuale?

Gli Alleati non ci faranno il torto di credere che la nostra resistenza al trattato sia stata una meschina ed ipocrita manovra. Dalla più profonda intimità del mio spirito ho espresso io stesso nelle solenni conferenze internazionali, in forma pacata ma ferita, la nostra convinzione di uomini liberi e democratici; il modo con cui fu combinato questo trattato e i termini nei quali fu imposto non ne fanno uno strumento atto a realizzare un nuovo assetto internazionale del mondo. (Vivi applausi). A noi non è stata concessa nessuna partecipazione né alla negoziazione, né alle deliberazioni; del trattato non abbiamo quindi né davanti alla nostra Nazione, né innanzi al mondo internazionale corresponsabilità veruna. La nostra firma non può mutare la realtà come si è svolta e quale fu denunziata in ogni fase della Conferenza. Essa non può cancellare il fatto che, nonostante la Carta Atlantica e la stessa recente Costituzione francese (che all’articolo 27 dice «nessuna cessione, nessuno scambio, nessuna annessione di territorio è valida, senza il consenso delle popolazioni interessate»), il trattato dispone dei popoli senza consultarli, né può eliminare il fatto purtroppo incontrovertibile che la nostra economia da sola, nonostante ogni buon volere, non può portare il peso di cui il trattato la grava.

Mancheremmo alla lealtà se intendessimo avallare con la nostra firma l’immeritata umiliazione imposta alla flotta, nonostante la sua efficace e riconosciuta partecipazione alla guerra accanto agli Alleati (I deputati si levano in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Si grida: Viva la Marina!), l’insufficiente considerazione del nostro contributo alla lotta per la liberazione (Vivissimi applausi), e se lasciassimo credere che ci acquieteremo alla totale eliminazione delle Colonie e alla rinunzia a qualsiasi rivendicazione nei confronti della Germania. (Applausi).

Non rifiutare la firma richiesta, vuol dire che il Governo italiano non intende pregiudizialmente fare atto di resistenza contro l’esecuzione del trattato, nella eventualità che esso, perfezionato dal consenso dei parlamenti, in forza delle prevedute ratifiche, entrasse in vigore; significa che l’Italia vuol dare prova di buona volontà e di ogni sforzo ragionevole e possibile per liquidare la guerra; vuol dire che l’Italia – nonostante il contenuto del trattato – non dispera, non vuole disperare del suo avvenire. (Vivi applausi).

Se un giorno essa potrà onoratamente uscire dallo stato armistiziale, imposto dalla capitolazione e questa imposta dalla disfatta – fatale epilogo d’un disastroso regime – non sarà solamente per fini propri che essa si appellerà alle Nazioni Unite, ma sarà nell’interesse generale di una evoluzione pacifica dei rapporti internazionali, che reclamerà una procedura revisionistica di clausole ingiuste o inattuabili. (Applausi).

Il quesito non è dunque quello di consentire o non consentire, perché un trattato imposto non può essere oggetto né di consenso né di dissenso, ma si tratta di giudicare se il rifiuto pregiudiziale ci lascerebbe una via per uscire dalla pericolosa situazione di oggi o dell’immediato domani: se questo non è, resta solo il tentativo di fare una sortita dallo stato di capitolazione e di guerra dando la firma. Ogni sortita ha i suoi rischi. Bisogna passare su campi minati. Noi abbiamo creduto di servire il Paese decidendo che il rischio sia affrontato prima dal Governo, e mantenendo in riserva l’Assemblea. (Approvazioni).

In questo momento sorge irrefrenabile dal nostro animo come un senso di ribellione contro la sciagura immeritata del popolo italiano, e il pensiero di Trieste e di Pola (I deputati si levano in piedi – Vivissimi prolungati applausi – Si grida: Viva Pola! Viva Trieste italiana!) e di tante altre terre fedelissime dell’una e dell’altra frontiera che non abbiamo potuto salvare, ci serra alla gola.

Eppure la nostra civiltà è una grande civiltà, madre a tante genti, eppure il nostro popolo è un grande popolo industre e laborioso. (Approvazioni).

Nel viaggio recente centinaia di migliaia di italiani mi gridavano nelle città più popolose d’America: «Abbiate coraggio, siate uniti, vi aiuteremo» (Applausi), ed erano lavoratori che avevano dovuto abbandonare la Patria troppo povera e si erano rifatta una vita più prospera in spiagge lontane.

A Washington fui ricevuto un giorno nel palazzo dell’Unione panamericana da ventuno rappresentanti degli Stati dell’America Latina: e furono alte parole di riconoscenza e di conforto per l’alma mater Italia. E a migliaia uomini di pensiero e di affari ci sussurravano nei ricevimenti e nelle riunioni auguri e parole di fede e di incoraggiamento per l’avvenire d’Italia.

«Questi sono i vostri ambasciatori permanenti presso di noi», mi diceva il Direttore della Galleria di Washington, indicandomi i capolavori famosi degli artisti italiani! E tutto questo tributo di riconoscimenti e di simpatia, questi incoraggiamenti ed appoggi, tutto questo omaggio alla civiltà del nostro popolo dovrebbe essere compresso, soffocato, annullato entro le sbarre giuridiche di un trattato? No! Noi riaffermiamo la nostra volontà di vita e la nostra speranza, e al di là del trattato abbiamo fede nell’insopprimibile vitalità della nostra stirpe, che attrae a noi l’omaggio e il concorso dei popoli liberi. (I deputati si levano in piedi – Vivissimi generali prolungati applausi – Si grida: Viva l’Italia!).

Egregi colleghi, il Governo non si affida però a generiche speranze, ma tiene i piedi in terra e sa che il popolo italiano deve salvarsi anzitutto da sé con il suo lavoro e colla sua disciplina (Applausi).

Non intendo diffondermi sul nostro programma economico che, dovendo dominare la stessa situazione, non può essere, tendenzialmente diverso da quello del Governo precedente. Nel settore economico l’esigenza fondamentale si riassume, come fu detto altrove, nella formula: produrre in un clima di efficienza tecnica e di perequazione sociale.

L’aumento della produzione è indispensabile per il mercato interno, affinché diminuiscano i prezzi, salgano i salari reali, cessi la disoccupazione e si disponga di mezzi per la ricostruzione; è del pari urgentemente necessario per poter pagare con l’esportazione l’introduzione delle derrate alimentari, del carbone e delle materie prime.

Il Governo intende incoraggiare e sostenere l’iniziativa privata. Ma già la necessità di corrispondere a giuste esigenze di quanti dall’estero sono disposti a sostenere lo sforzo ricostruttivo dell’Italia e l’opportunità di dirigere l’impiego delle limitate risorse disponibili nel senso più utile alla collettività ci impongono di elaborare un piano di ricostruzione e di sviluppo della nostra economia. Simile programma si è già fatto per l’anno in corso e molti elementi sono già elaborati per un piano più esteso per gli anni venturi. Per la sua formulazione definitiva il Governo intende chiedere il parere di tutte le categorie interessate alla ripresa della produzione, in modo che il piano economico tenga conto delle varie esigenze e possa riuscire di guida e di sostegno agli stessi operatori privati.

L’aumento della produzione sarà favorito anche da una collaborazione organica fra capitale e lavoro.

Senza il concorso di entrambi, la ripresa della produzione è impossibile: premesse indispensabili sono lo spirito d’intrapresa ed un clima d’interessamento e di cooperazione operaia. Da tale punto di vista sarà affrontato e a voi sottoposto il problema dei consigli di gestione, che nel progetto Morandi abbiamo ereditato dal precedente Governo.

Un altro problema s’impone sopra ogni altro alla nostra attenzione: quello di avviare gradualmente la moneta verso la sua stabilizzazione;

Presenteremo subito alla Camera il progetto di legge per l’adesione dell’Italia agli accordi di Bretton Woods e vi domanderemo la vostra urgente approvazione, data l’importanza che rappresenta pel nostro Paese la sua entrata nei due organismi creati da quegli accordi.

È questo il primo atto con cui l’Italia rientra di pieno diritto nella vita economica internazionale e nel novero delle Nazioni che dovranno presiedere alla creazione e al mantenimento del nuovo ordine economico e finanziario mondiale.

Tale intervento ha un’importanza capitale pel nostro Paese, perché ci darà modo di risolvere nel campo internazionale il problema del risanamento e della stabilizzazione della moneta, non attingendo soltanto alle nostre risorse nazionali o a prestiti, come quello ottenuto negli Stati Uniti, ma usufruendo del valido appoggio che ci potranno offrire i due istituti di Bretton Woods.

Gli impegni assunti con l’adesione al Fondo internazionale e più ancora la necessità di offrire una base sicura di valutazione agli operatori economici, ci portano a dedicare il massimo sforzo alla difesa della moneta.

A quest’opera dura deve concorrere una accorta e tenace azione della finanza per accrescere al massimo le entrate normali. Nel quadro delle imposte ordinarie verrà esaminata anche l’opportunità di rivedere le aliquote per adeguarle al mutato valore della moneta ed in relazione a tali provvedimenti sarà considerato anche lo spostamento dei minimi imponibili dei redditi di lavoro.

Nello stesso tempo converrà esercitare un rigoroso controllo delle spese per eliminare quelle superflue e graduare le altre a seconda della loro capacità produttiva.

Entro breve termine verrà presentata ed applicata l’imposta straordinaria sul patrimonio nelle forme più atte a cavarne il massimo gettito compatibile con l’assestamento dell’economia. In questa occasione sarà risolta definitivamente la questione del cambio della moneta, tenendo conto dell’esigenza di una rapida applicazione dell’imposta sul patrimonio.

Il Governo controllerà attentamente il corso dei prezzi, avvisando nel momento opportuno ai mezzi di contenerli o comprimerli, e si propone di accelerare l’inserimento dell’economia italiana nel mercato internazionale, evitando con opportuni accorgimenti dannose ripercussioni sulle classi meno agiate.

È venuto il momento anche di preparare la ripresa di due elementi invisibili di pareggio della nostra bilancia commerciale: turismo ed emigrazione.

Per l’industria del forestiere sono premesse indispensabili la derequisizione degli alberghi, il rinnovamento dell’attrezzatura turistica, la facilitazione dei passaporti, la risoluzione del problema della valuta. Come centro di propulsione e coordinamento pensiamo di costituire un organo snello statale che collabori cogli Enti e colle associazioni interessate. È col concorso tecnico di queste che è stato abbozzato il relativo progetto.

La massima cura dev’essere dedicata alla tutela dell’emigrazione, che entro certa misura ed a certe condizioni va favorita.

Non abbiamo ancora preso in considerazione il ritorno al vecchio Commissariato, ma frattanto siamo d’accordo nel richiamare in vita, coi debiti adattamenti, l’antico Consiglio Superiore dell’emigrazione che aveva fatto ottima prova.

Ai lavori pubblici necessari alla nostra ricostruzione dedicheremo tutte le risorse possibili. Il Ministro del lavoro mi assicura che il rendimento operaio nei lavori pubblici tende a crescere e va avviandosi alla normalità.

Ci proponiamo anche di stimolare al massimo le imprese private e dovremo affrontare, come già in parte è avvenuto in progetti in corso, l’esigenza di leggi speciali per zone quasi totalmente distrutte.

La ricostruzione delle comunicazioni dovrebbe essere completa per la fine del 1949, purché non ci vengano meno i mezzi finanziari ed i materiali. L’elettrificazione vi giocherà una grande parte.

La Marina mercantile avrà notevole impulso dall’acquisto di altre 50 navi, che abbiamo ottenuto in America e idonei provvedimenti sono in corso per stimolare l’iniziativa privata alla ricostruzione delle navi perdute.

Nel campo dell’agricoltura, oltre al proseguire attivamente l’attuazione del programma di opere di bonifica e di irrigazione, specie nelle regioni meridionali, si procederà all’emanazione di provvedimenti sulla proroga delle piccole affittanze, che è particolarmente urgente, sui canoni di affitti agrari, sullo sviluppo della piccola proprietà coltivatrice, sulla composizione delle vertenze mezzadrili in base al giudizio De Gasperi, e sul credito alle cooperative agricole.

La Commissione presso il Ministero dell’agricoltura, che ha testé completato, con una notevole relazione, lo studio della questione mezzadrile, prenderà ora in esame i contratti di compartecipazione, comuni soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.

Inutile farvi rilevare un’altra volta che questa legislazione, che in buona parte ha già predisposto o elaborerà il Ministro Segni, mira non solo ad aumentare sui campi la produzione ed a garantire la pace sociale, ma costituirà anche un avviamento ed una preparazione alla auspicata riforma fondiaria.

Predisponendo il piano alimentare per l’anno venturo dovremo affrontare di nuovo il problema del tesseramento. Siamo tutti tendenzialmente d’accordo, ma la difficoltà è nella esecuzione. Faremo ogni sforzo perché le discipline ritenute necessarie ed attuabili vengano rigorosamente applicate, ma bisogna ammettere che se l’ammasso dei cereali può dirsi riuscito, è invece per ora poco incoraggiante il risultato della disciplina del latte e dei grassi solidi.

Intendiamo assolutamente di insistere sulla creazione degli Enti di consumo, facilitando il loro finanziamento, e sviluppare più oltre le mense aziendali e i ristoranti popolari, usufruibili dai disoccupati con tariffe di favore. Tesseramento di favore è fatto alle gestanti e nutrici e ai giovani nei convitti e negli Istituti di assistenza.

Sul tesseramento differenziato si è discusso molto in seno al passato Governo.

Una relazione riassuntiva, presentata dall’Alto Commissariato, potrà servire di base per ulteriori decisioni.

Passando ad altro campo dichiaro che il Governo considera come suo naturale dovere quello di fare opera di consolidamento e, quando occorresse, di difesa del Regime repubblicano, deliberato dal popolo nel referendum del 2 giugno. (Applausi).

Non riteniamo che a tale scopo sia necessario ricorrere ad una legislazione eccezionale. Basterà applicare contro quei funzionari che venissero meno al giuramento le sanzioni previste dalla legge sullo stato giuridico degli impiegati, applicare ai funzionari che si rifiutassero di prestare il giuramento un trattamento speciale che potrebbe essere analogo a quello della legge sulla smobilitazione delle Forze armate.

Le istituzioni repubblicane e le libertà democratiche troveranno una adeguata protezione nell’aggiornamento e rispettivamente nella riforma degli articoli 270-274; 276-279 e 290 del Codice penale, libro 2°, titolo I; nel richiamo in vigore, entro certi limiti opportunamente aggiornati, del decreto legislativo 26 aprile 1945, n. 195, e nell’applicazione del decreto legislativo 26 aprile 1945, n. 149.

Da varie parti si sollecita un regolamento della stampa, reso necessario dalla cessata applicazione delle leggi fasciste e dalle manchevolezze dei provvedimenti provvisori circa l’autorizzazione dei giornali ed il sequestro delle stampe pornografiche.

Uno schema di disegno di legge è stato nel frattempo preparato da una Commissione di studiosi e di giornalisti di ogni tendenza politica, all’uopo nominata dalla Presidenza del Consiglio, e servirà di base a quello definitivo che il Governo sottoporrà alla decisione sovrana di questa Assemblea, in armonia coi principî che la stessa Assemblea vorrà fissare nella nuova Costituzione.

Frattanto è già pronto il progetto per stabilire il procedimento per direttissima nei processi per diffamazione.

Nel trattamento della ex famiglia regnante ci atterremo alle direttive che fisserà la Costituente; il Governo è fin d’ora d’accordo di stabilire il divieto di residenza per l’ex-re, in quanto pretendente, e per i suoi diretti discendenti.

Convinti che l’Italia potrà rinascere dalla scuola, le nostre cure, a mano a mano che crescono i mezzi, si rivolgeranno sempre più verso l’educazione del popolo.

Per combattere il preoccupante analfabetismo del periodo bellico, si sono istituite, negli ultimi mesi, varie migliaia di nuove scuole elementari dello Stato, sdoppiando le classi numerose, e proprio ora si inizia a Roma un nuovo esperimento di scuola popolare per analfabeti adulti e disoccupati.

Disciplinati giuridicamente i patronati scolastici, li renderemo strumenti atti a rendere sempre più intima la collaborazione tra la scuola, la famiglia ed il Comune, mentre con i ruoli aperti assicuriamo ai maestri una maggiore dignità economica della loro funzione educativa.

Nella scuola secondaria abbiamo istituito nuove sezioni staccate, aumentando così la sfera d’azione della scuola statale, mentre venivano ridotte a poche unità le nuove parificazioni.

I prossimi concorsi, sia per maestri che per professori, permetteranno l’immissione di nuove e giovani forze nel campo della scuola, e una ristabilita severità degli esami servirà a rialzare il tono della scuola secondaria che è stato depresso dalle agevolazioni del periodo bellico. (Approvazioni).

Mentre la esiguità delle tasse scolastiche permette a tutti i figli del popolo di percorrere ogni grado di studio, una più rigorosa selezione dovrà eliminare gli inconvenienti della sovrapopolazione universitaria.

Lo Statosi propone nel contempo di aumentare i suoi sforzi finanziari per venire incontro alle disagiate condizioni dell’alta cultura universitaria.

Seguendo queste linee, intendiamo ridare al popolo italiano una scuola statale che, nello spirito della libertà, sia all’altezza delle sue tradizioni educative.

Onorevoli colleghi, l’incalzare del problema internazionale, che agita giustamente la coscienza nazionale e avvince l’interessamento dell’Assemblea, giustifica forse che io rinunzi a parlarvi diffusamente delle ragioni della crisi ministeriale e dei suoi sviluppi.

Sono ad ogni modo a vostra disposizione per rendervene conto, quando il dibattito lo dimostri necessario od opportuno.

Il mio proposito è stato duplice: cercare il massimo numero di consensi e di collaboratori nell’esclusivo interesse del Paese; aumentare l’efficienza del Governo, riducendo e semplificando i Ministeri e vincolando i Ministri a una solidarietà ministeriale più evidente. (Approvazioni).

Se non è riuscito di allargare la partecipazione al Gabinetto nella misura desiderata, credo tuttavia che nell’Assemblea sia cresciuto il senso di corresponsabilità che ci lega ai destini del Paese. Con questa Assemblea, che ha fatto opera così egregia e così poderosa nell’elaborare il progetto della nuova Costituzione e che si accinge al compito storico di dare alla Repubblica i suoi organi vitali permanenti, il Governo intende collaborare più strettamente anche nel settore della legislazione ordinaria. Uniremo i nostri sforzi per giungere più rapidamente che sia possibile a una nuova consultazione popolare, alla quale rimetteremo la decisione sui programmi massimi che in questo breve periodo costituente non riusciamo ad attuare. Siamo sicuri di avere fra tutti quei benemeriti colleghi, che hanno partecipato finora alle nostre fatiche ed ai quali invio un particolare ringraziamento, dei cooperatori oggettivi non solo per la loro competenza, ma soprattutto perché la loro esperienza li rende più atti a comprendere appieno la nostra fatica e la nostra devozione agli interessi del Paese.

La smobilitazione del Ministero dell’assistenza post-bellica è una misura rivolta a farci rientrare nella normalità amministrativa, ma non diminuisce per nulla il dovere e l’impegno che abbiamo di dedicare le più attente cure alle categorie finora affidate alla sua tutela. Il decreto relativo, già approvato dal Consiglio dei Ministri, contiene anche disposizioni tranquillanti circa gli attuali funzionari o impiegati del disciolto Dicastero.

Confido che l’unificazione del tesoro e delle finanze contribuisca a dare al Paese il senso di una direzione finanziaria unica e che la concentrazione dei Ministeri militari, esigenza fatale della nostra situazione, si compia gradualmente colla piena collaborazione dei tre organismi, fondendo assieme le virtù militari dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione.

In questo momento di forzata umiliazione, la Repubblica d’Italia risponde alle sanzioni di guerra non con un grido di rivincita, ma della guerra cancellando perfino il nome e sostituendolo colla Difesa, difesa che coll’apertura delle nostre frontiere, la demolizione delle nostre fortificazioni, pur di fronte ai potenti eserciti altrui, e colla riduzione dei nostri armamenti tecnici, è affidata ormai soprattutto al genio dei comandanti e al petto valoroso del nostro popolo in armi. (Applausi). La Repubblica dedicherà tutte le cure possibili a quest’ultima difesa che ci rimane, qualora l’organizzazione internazionale non riuscisse ad escludere, come auspichiamo, ogni aggressione, e terrà in onore i combattenti di ieri e i soldati di oggi affinché si sentano circondati dall’amore del popolo, anzi una cosa sola col regime popolare, il quale ambisce di trasfondere in sé tutte le nobili tradizioni del passato, facendole convergere al progresso della democrazia nazionale e di quella pacifica convivenza tra le genti, vicine e lontane, nella quale, nonostante tutto, sempre crediamo. (Vivissimi, prolungati applausi).

Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. È aperta la discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il primo iscritto a parlare è l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

C0RBIN0. Onorevoli colleghi, la condizione nella quale, come primo oratore iscritto sulle comunicazioni del Governo, io mi trovo, è, come voi potete facilmente intendere, estremamente difficile e delicata.

Io credo che nella esposizione che il Presidente del Consiglio ha fatto nei riguardi della firma del Trattato di pace vi sia una sottintesa preghiera all’Assemblea di non parlarne.

Poiché avrei il privilegio di essere o il solo, o uno dei pochi oratori che parlano prima della firma, non intendo abusare di questo privilegio. Ma il Governo e l’Assemblea mi consentano una brevissima dichiarazione, fatta a nome di coloro che, di fronte all’atto che il Governo andrà a compiere lunedì, si sono manifestati in senso contrario, od hanno delle legittime perplessità.

Credo che sia nell’interesse del Paese di separare nettamente la nostra responsabilità di Assemblea da quella del Governo. Ed è giusto che una voce in questo senso si levi dall’Assemblea dopo le accorate parole del nostro Presidente, che precedevano quelle con cui il Governo ci ha informato delle sue intenzioni. Perché, se nessuna voce si alzasse, domani si potrebbe dire che l’Assemblea col suo silenzio ha autorizzato la firma; e noi, per bocca dello stesso Presidente del Consiglio e per la sua stessa richiesta, come Assemblea non autorizziamo.

È un atto di responsabilità che il Governo compie come Governo, e noi sentiamo quanto debba pesare, a quegli uomini che vogliono il bene del Paese come noi, di dover assumere una responsabilità così tremenda di fronte a se stessi e di fronte alla storia.

La firma che lunedì il Governo apporrà al Trattato imposto è una firma che implica la sua responsabilità come implica la responsabilità degli altri, perché dei Trattati iniqui non è responsabile il Paese vinto, che è obbligato a firmare, ma sono responsabili i Paesi vincitori, che abusano delle loro forze. (Applausi a destra).

E, del resto, non è una firma in più o in meno che può deviare il corso della storia d’una Nazione, come l’Italia, che ha dato al mondo così largo contributo di civiltà, da potersi considerare la madre di quella che oggi costituisce l’essenza della civiltà moderna.

Ecco perché, o signori del Governo, vi parlo non come capo d’un gruppo di oppositori, perché, come tale, non potrei darvi la mia solidarietà; vi parlo come uomo di cuore o di sentimento, ed in tale qualità la solidarietà ve la do intera. Io vi dico: «Fate il vostro dovere, secondo la vostra coscienza. Avete ancora delle ore. Credo che la vostra decisione si debba considerare come definitiva. Ma pensate! Per conto mio non faccio che una sola invocazione per voi e per il Paese: Dio vi illumini e Dio assista il nostro Paese». (Applausi).

Dopo di che, per la logica stessa di quello che ho detto, faccio le mie osservazioni sulle comunicazioni del Governo. Rientriamo nella normalità.

Noi siamo di fronte ad un Governo nato da una crisi, che è stata chiamata una inutile crisi e che si è risolta con quello che lo stesso Presidente del Consiglio ha definito come matrimonio di convenienza. Io la chiamerei piuttosto una mancata separazione di convenienza, perché i due principali esponenti delle forze politiche del Governo sono rimasti uniti; non sappiamo se nelle intenzioni d’una parte o dell’altra o di tutt’e due vi fosse desiderio o timore di doversi separare. Il Governo si presenta, dunque, dopo una crisi che non si può considerare inutile.

Per me, nella situazione politica attuale dell’Italia, le crisi non sono inutili, perché portano sempre a un processo di chiarificazione, portano sempre ad eliminare degli equivoci, possono portare anche ad un miglioramento della struttura tecnica dei Governo.

Dal punto di vista tecnico, noi abbiamo uno snellimento del Governo. È scomparso il Ministero dell’assistenza post-bellica; e sia lodato Iddio! (Si ride). Si è arrivati alla fusione tra finanze e tesoro, sulla quale dal punto di vista tecnico, potrei anche fare qualche riserva. Ma il Presidente del Consiglio aveva a portata di mano l’uomo di coraggio che si assumesse questo compito, e bene ha fatto ad attuare una unificazione che più tardi sarebbe stata difficile. Coraggio notevole, per l’onorevole Campilli, il quale avrà da fare con quattro Sottosegretari di provenienza diversa, e metterli d’accordo sarà una delle fatiche più grosse che egli dovrà affrontare. (Commenti).

C’è poi – e anche su questo mi permetto di fare delle riserve – l’unificazione delle forze militari, perché ho paura che le ancora giovanili spalle dell’onorevole Gasparotto non possano agevolmente sopportare il grave peso che in questo momento gli imporranno i problemi di ordine tecnico e politico che sono connessi al funzionamento delle Forze armate.

Mi ricordo che una volta egli mi parlava di una macchina per raddrizzare i chiodi che aveva visto in una esposizione. Se ora l’avesse, gli potrebbe essere di grande aiuto in questa situazione. (Si ride).

GASPAROTTO, Ministro della difesa. La sto cercando in questi giorni!

CORBINO. Nel complesso il Ministero è il risultato di una dosatura molto precisa, in cui si è fatto ricorso a bilance, credo, atte a misurare il peso del nucleo; perché ad un certo momento non sono bastate più le risorse della fisica, e si è pensato di ricorrere alla matematica con il calcolo della probabilità, estraendo eventualmente a sorte due Alti Commissariati fra i partiti che sono entrati al Governo. (Si ride).

Comunque, la dosatura è stata quella che è stata, e il Governo ci si presenta con la capacità di fare per lo meno quello che faceva il Governo precedente. (Si ride). Ecco perché io giudico che le crisi siano utili. Non è vero, badate bene, che durante le crisi non si risolvano dei problemi. Dalla caduta del secondo Ministero Bonomi ad oggi l’Italia ha fatto cinque grosse crisi, della durata media – compreso il periodo di incubazione e di completamento del programma – di quasi quattro settimane ciascuna, di maniera che in centodieci mesi abbiamo avuto ventidue mesi di crisi. Ora, io mi sono divertito a sfogliare i giornali dei periodi di crisi e quelli dei periodi di ministeri, diciamo così, a piena carica. Nei periodi di crisi il Paese è più tranquillo; ci sono meno agitazioni, ci sono meno disordini.

Badate, non voglio dire con questo che il Governo è causa delle agitazioni; ma non v’è dubbio che resistenza di un Governo in piena carica non è elemento necessario per avere il Paese in ordine.

Ma la crisi ci ha insegnato altre cose; e comincio subito da una di esse. Voi ricorderete che all’ottavo giorno vi fu un colloquio fra il Presidente del Consiglio e l’onorevole Togliatti, l’uno tornato dagli ozi di Castel Gandolfo, l’altro tornato da Milano, colloquio dopo il quale l’onorevole Togliatti, uscendo dalla Camera del Presidente del Consiglio, dichiarò: «Si sono fatti dei passi avanti; dipende dal Presidente del Consiglio sapere sfruttare il successo già conseguito, cercando di non umiliare gli altri partiti che devono far parte della combinazione». Poi l’onorevole Togliatti aggiunse: «Ho parlato anche della eventualità della formazione di un Ministero esclusivamente democristiano; ho avvertito il Presidente De Gasperi che questa eventualità ci troverebbe nettamente avversi e che la sua realizzazione potrebbe esporre a seri rischi la Repubblica e, credo anche, la pace interna».

Prego l’onorevole Togliatti di perdonarmi se non sono preciso nella citazione, perché è fatta a memoria; non vorrei essere inesatto.

Ora, mi consenta l’onorevole Togliatti di fargli osservare una circostanza, che, a mio giudizio, ha una notevole gravità. Egli ha detto: Un Ministero democristiano ci troverebbe nettamente avversi e ne potrebbero derivare pericoli per la Repubblica. Ora, per la Repubblica in genere, di pericoli ne vedo due: o il ritorno della monarchia, o una guerra civile che sbocchi in una dittatura. Siccome escludo che l’onorevole Togliatti, per vendicarsi di non essere entrato nel Governo, potesse volere instaurare di nuovo la monarchia, devo arrivare alla conclusione che egli potesse anche minacciare la dittatura.

Credo che questo non sia certamente nella concezione dei Paesi democratici. Sono convinto che noi avremmo fatto un gran passo avanti nel consolidamento della democrazia in Italia, quando anche i colleghi del settore comunista, di fronte a possibilità di combinazioni nelle quali essi non potessero entrare, rispondessero: «Le condizioni perché noi si faccia parte del Governo sono queste; se non le accettate, staremo alla opposizione».

Mi auguro che questo giorno venga presto, non perché voglia augurare all’onorevole De Gasperi una crisi imminente, ma perché mi preme di assicurare alla democrazia italiana questo elemento di vitalità.

TOGLIATTI. Non ho mai detto niente di diverso (Commenti).

CORBINO. Prendo atto.

V’è poi un secondo aspetto della crisi che merita di essere rilevato e che, a momenti, pareva dovesse mandare a gambe all’aria tutta la fatica dell’onorevole De Gasperi. Alludo al famoso articolo dell’onorevole Togliatti.

Io, badate bene, conosco, perché l’ho avuto per otto mesi collega al Governo e vicino di destra, l’onorevole Togliatti (Si ride); dico, vicino alla mia destra, per ragioni di gerarchia, e so che possiamo attribuirgli la massima buona fede quando egli ha detto che non intendeva menomare per nulla la personalità dell’onorevole De Gasperi. Forse, nello scrivere, le cose hanno preso una forma tale che non hanno nettamente espresso il suo pensiero. Voglio immediatamente aggiungere all’onorevole De Gasperi che, per parte nostra, non abbiamo aspettato quello che fu definito il «certificato di buona condotta» di Togliatti, per dare all’onorevole De Gasperi la certezza assoluta che lo giudichiamo incapace di potere, non dico cedere, ma soltanto accettare di discutere sulla indipendenza del Governo italiano e dell’Italia rispetto a rapporti che passano con qualsiasi potenza straniera.

Ma l’episodio ha un valore significativo, che è illustrato non tanto dall’articolo dell’onorevole Togliatti, quanto dai manifesti che sono apparsi sui muri qua e là: quello cioè che sia un delitto di lesa Patria da parte nostra avere delle simpatie per Paesi che hanno un certo tipo di civiltà. Ora, io riconosco a voi il diritto di condividere e propagandare l’ideologia comunista e quindi di avere delle simpatie per quegli Stati che questa ideologia hanno, in certo senso, concretizzato; ma vi chiedo di lasciarci il diritto di nutrire simpatie per i Paesi nei quali noi troviamo quello che c’è di sopravvissuto nella latinità, quello che c’è di più eterno nella cristianità. (Approvazioni).

È il diritto al rispetto delle ideologie reciproche quello che io domando. Purtroppo noi siamo oggi nella situazione molto curiosa che la guerra, la quale è stata condotta contro i totalitarismi, si è potuta vincere soltanto con l’aiuto di un paese totalitario; di maniera che il totalitarismo è stato sconfitto da una parte, ma ha vinto dall’altra, e quindi il mondo è ancora oggi, relativamente, più diviso di quanto non lo fosse nel 1939, tanto che noi ci possiamo anche domandare ad un certo punto: «E perché si è fatta la guerra?»

Ecco la ragione delle crisi che noi tutti attraversiamo. Ed è una ragione per la quale ciascuno di noi pensa che l’altro sia non un semplice simpatizzante, ma, qualche volta, un agente. Io ritengo che non possa essere messa in dubbio la nostra buona fede. Aggiungete poi che, rispetto alle nostre simpatie, è naturale che noi le manifestiamo per i paesi che hanno una civiltà più affine alla nostra, che per una ragione umana sono i soli paesi dai quali abbiamo avuto, non dirò delle cose, ma anche delle buone parole; mentre dall’altro lato, oh, Dio!, non abbiamo ricevuto niente o, se vogliamo essere sinceri, per via indiretta, stiamo ricevendo i profughi di Pola. (Applausi a destra).

Il programma del Governo, come tutti i programmi di Governo, è necessariamente generico. Questa volta poi, sulla genericità, influiva la esistenza di un argomento predominante, che per la sua enorme dimensione fatalmente faceva passare in seconda linea tutto il resto. Il programma è però interessante non soltanto per quello che dice in senso positivo, ma anche per quello che non dice, né in senso positivo, né in senso negativo. Va dato atto all’onorevole Presidente del Consiglio che egli non ha fatto proprie, cioè non ha fatto del Governo, alcune proposte avanzate da due dei gruppi che hanno formato il Governo medesimo, ed ha lasciato quindi al suo Governo non dirò il carattere di Governo di pura e semplice amministrazione, ma di Governo che sente la tremenda difficoltà di uscire dalla pura e semplice amministrazione.

Non vorrei che questa, diciamo così, disintossicazione del programma ministeriale avesse un significato politico; o meglio potrei anche rallegrarmene se lo avesse, perché in sostanza è vero che il Ministero è stato formato con un partito di meno, il Partito repubblicano, è vero che vi è stata quella tal presa di posizione dell’onorevole Saragat, ma è anche vero che l’onorevole Saragat fece in sede preventiva una dichiarazione di solidarietà dei partiti di sinistra circa la permanenza dei comunisti al Governo.

Il problema che ci si pone dal punto di vista politico è questo: la dichiarazione di solidarietà che, a mio giudizio, i partiti di sinistra, i quali non fanno parte del Governo, hanno fatto bene a fare, perché ciascuno deve assumere la sua parte nelle assemblee politiche; questa dichiarazione di solidarietà, è essa un mezzo con cui il partito comunista chiede di poter conservare un controllo anche sugli altri partiti – controllo, badate bene, nella forma, diciamo così, di collaborazione più intima – o non è invece un mezzo con cui, per ragioni di gratitudine, il partito comunista dovrà rinunziare a qualche cosa delle sue affermazioni nettamente programmatiche?

Io pongo il quesito e non ho nessuna intenzioni di risolverlo per conto mio, né di pretendere che gli amici del partito comunista lo risolvano di fronte all’Assemblea.

Sarà il prossimo avvenire che ci dirà come la realtà delle cose si svolgerà, cioè a dire sarà il prossimo avvenire che ci dirà quale grado di efficienza avrà raggiunto l’azione governativa per effetto di questo mutamento di posizioni relative dei gruppi che compongono la maggioranza e dei gruppi che sono all’opposizione.

Nel programma del Governo – voi lo avete sentito come l’ho sentito io – alcune cose non vi sono, e sono lieto che non vi siano. Per esempio, si parlava di estendere il razionamento, ed era questa una preoccupazione per tutti; si parlava di altre riforme; ma in verità, dopo gli esperimenti che abbiamo fatto – e mi rendo conto della perplessità del Governo in materia di tesseramento – io credo che sia il caso di andare con i piedi di piombo in eventuali allargamenti dei compiti dello Stato, perché purtroppo l’esperienza mostra che, per un complesso di cause che tutti conosciamo, pretendiamo di dare allo Stato dei compiti che sono superiori alla sua capacità organizzata in questo momento.

Mi basta citare un esempio (me lo consenta l’amico Scoccimarro, che aveva fatto sforzi notevoli per uscire dalla situazione di cui parlerò) ricordando che in Italia esiste il monopolio dei tabacchi. Sapete tutti, meglio di me, come funziona questo monopolio: le rivendite di tabacchi sono il solo posto in cui, se non si è muniti di una tessera, non si possono comperare più di due pacchetti di sigarette per settimana, mentre fuori ne potete anche caricare un camioncino e chiedere eventualmente anche la scorta della forza armata. (Si ride).

Questo dimostra che esiste negli organi dello Stato una malattia piuttosto costituzionale, che è dovere del Governo e dovere dell’Assemblea di curare nei limiti massimi consentiti dalle circostanze.

Non entro nel campo politico, perché non voglio tediare l’Assemblea, che penso sia piuttosto stanca dopo una lunga seduta; ma consentite che mi soffermi su quella parte della politica del Governo che mi è parsa la meno chiaramente tracciata, cioè a dire la politica economica e finanziaria.

Mi è parsa la meno tracciata, e mi rendo conto delle difficoltà che il Governo doveva superare per tracciarla un po’ più dettagliatamente. È una politica, dice il Governo, di rafforzamento delle entrate. D’accordo. Già parecchio si era incominciato a fare, ma molto di assai importante c’è ancora da fare. Ma la politica finanziaria, per quello che concerne le entrate ordinarie, non può prescindere dall’andamento generale della politica economica del Governo. E fino a quando noi, attraverso particolari forme di politica economica, manteniamo quasi intatta una bardatura di guerra che il Paese si leverebbe molto volentieri di dosso, il Ministro delle finanze avrà poche speranze di vedere aumentate le entrate; perché, in sostanza, oggi accade che le entrate sulle quali il fisco aveva il diritto di prendere qualche cosa sono scomparse, avendole la legge praticamente soppresse con il blocco dei prezzi, con il blocco delle tariffe dei servizi pubblici, e con altri blocchi, mentre i soli settori nei quali esistono redditi sono i settori extralegali, rispetto ai quali il fisco non ha possibilità di fare niente, perché prima che arrivi l’agente delle imposte, bisogna ch’e sia chiamato in causa il Procuratore della Repubblica.

Ci troviamo, dunque, di fronte alla impossibilità di aumento immediato delle entrate, e quanto alla diminuzione delle spese non mi faccio nessuna illusione, non perché non creda gli uomini che sono al Governo capaci di ridurre le spese, ma perché sono gli eventi che non lo consentiranno. Durante la formazione del Governo – (di questo Governo che si raffigurava in una specie di statua di Budda che doveva stare sopra un perno) – si diceva: «niente spostamento della base a destra»; ora credete pure che la politica di freno alle spese è una politica di destra ed allora, siccome voi avete voluto fare un Governo di sinistra – ed avevate il diritto di farvelo – non vi illudete di fare una politica di freno alle spese: la sinistra, da che mondo è mondo, ha fatto sempre aumentare le spese. (Commenti).

Resta il problema non tanto della politica finanziaria, come ex-Ministero delle finanze, quanto della politica finanziaria, come ex Ministero del tesoro: e la situazione non mi pare eccessivamente rosea. Il Governo non ha detto niente e ci ha lasciati arbitri di pensare quello che vogliamo in base a quei dati scarnificati che sono ordinariamente pubblicati nelle statistiche, dati che si possono, in termini molto elementari, sintetizzare così: spese previste all’incirca 750-800 miliardi; entrate ordinarie previste all’incirca 350 e forse anche 400 miliardi per il 1947-48; debito di tesoreria, se le spese non aumenteranno, cosa che richiede per lo meno qualche riserva, 400 miliardi almeno. Il che significa che il Governo, o meglio, per il Governo il Ministro delle finanze e del tesoro dovrà risolvere il problema che ogni buona madre di famiglia purtroppo deve risolvere quotidianamente: dove trovare da 35 a 40 miliardi al mese in più di quelli riscossi per fronteggiare gli oneri del bilancio ordinario e straordinario? Come si risolverà questo problema? Mistero! C’è l’annuncio di una imposta sul patrimonio imminente. Io ho già detto che l’imposta sul patrimonio non potrà mai risolvere il problema di cassa, perché ci vuole del tempo prima che sia accertata e riscossa. Occorrono quindi altre misure. Evidentemente le altre misure non possono essere che i debiti. È inutile farsi illusioni: bisogna fare debiti e non bisogna aver paura di farli. I nostri nonni, in condizioni non molto diverse di queste, non ebbero paura e fecero l’Italia. O perché dovremmo aver paura noi? Ma i debiti bisogna saperli fare, ed è probabile che il Governo li saprà fare. Io mi auguro che li sappia fare; ma dalle dichiarazioni del Governo, fino a questo momento, non ne sono affatto convinto. Il Presidente del Consiglio dice: rinviamo all’epoca in cui sarà stabilita l’imposta sul patrimonio la decisione definitiva sul cambio della moneta. Consentitemi che non insista molto su questo motivo, per ragioni di ordine personale, perfettamente comprensibili.

Mi viene un dubbio: la crisi è durata a lungo. Quanto tempo avrebbe dovuto durare di più per sapere dal Governo, all’atto delle sue dichiarazioni, se il cambio della moneta si farà o non si farà? Ed allora mi viene un altro dubbio: dissi che il cambio della moneta non si doveva fare e me ne sono andato; Scoccimarro disse che il cambio della moneta non si doveva fare e se ne è andato; è probabile che Campilli abbia detto: «per il sì e per il no, noi stiamo zitti, perché altrimenti me ne dovrò andare anch’io». (Si ride). Ma, così, il problema non si risolve ed il Paese attende una decisione su questo punto; l’attende tanto più in quanto esso è collegato strettamente con l’imposta sul patrimonio e con le possibilità di affluenza dei mezzi al Tesoro. È evidente che il giorno in cui si dirà che il cambio della moneta non si farà più, nasce un piccolo terremoto nella politica finanziaria italiana, che negli ultimi tre mesi è stata impostata sul presupposto del cambio. Ed allora, bisogna cambiare, perché non si può più estendere l’imposta sul patrimonio ai depositi bancari e non la si può estendere neppure ai titoli di Stato.

SCOCCIMARRO. È proprio sicuro, onorevole Corbino?

CORBINO. È la mia opinione. Se l’onorevole Scoccimarro ne ha un’altra, noi siamo qui per sentire tutte le opinioni. Soltanto immagino che il giorno in cui voi vi dovrete decidere ad esentare i titoli dall’imposta sul patrimonio, dovrete fare un passo avanti e annullare l’ultimo prestito, che in tanto è stato emesso, in quanto c’era il presupposto del cambio e dell’imposta sui titoli di Stato, altrimenti voi esporrete il credito dello Stato ad un danno enorme, che non è soltanto un danno nei riguardi di coloro che hanno sottoscritto, ma è un danno nei riguardi del credito dello Stato, cioè a dire del mezzo maggiore – dico di più, del solo mezzo – che abbia oggi il Ministro del tesoro per risolvere il problema affannoso della tesoreria, senza mettere in circolazione ancora masse enormi di denaro.

Il Presidente del Consiglio ha parlato degli accordi di Bretton Woods. È necessario che l’Italia vada a Bretton Woods, ma ci deve andare con un mercato monetario già rassettato. E vi dico di più: non è soltanto per Bretton Woods che bisogna rassettare il mercato monetario. L’Europa va incontro ad un temporale monetario senza precedenti. Nel mese di agosto scadrà il termine di un anno contemplato dall’accordo anglo-americano per il prestito di 3 miliardi e 750 milioni di dollari degli Stati Uniti alla Gran Bretagna. In base ad una clausola di quel prestito, a metà di agosto la sterlina dovrà diventare una moneta spendibile in tutto il mondo. Cesserà l’area della sterlina. Ora, non è che noi si voglia augurare il male degli altri, ma la situazione economica reale è quella che è. Io non voglio dire quello che potrà accadere, ma è certo che noi per quell’epoca dobbiamo avere già messo il nostro sistema monetario al coperto da qualsiasi rischio, perché è buona regola di ogni capitano di nave che quando le tempeste si avvicinino cominci a prendere le precauzioni che sono necessarie per fronteggiarle. (Approvazioni a destra).

Quindi andiamo a Bretton Woods, ma andiamoci forti come è necessario che ci si vada, e si faccia quella politica monetaria e finanziaria che occorre per essere forti.

Un’ultima considerazione e ho finito, perché credo di avere forse abusato della vostra pazienza.

Su quali risorse può contare il Tesoro per uscire da questa situazione? Cinquecento miliardi circa occorrono fino al dicembre 1947. Il mercato interno non potrà dare questa cifra. Badate, non la può dare non nei riguardi dei valori mobiliari, perché è un errore immaginare che i valori mobiliari possano fornire al Tesoro i mezzi che gli occorrono per sanare il deficit. I valori mobiliari sono già stati quasi tutti mobilitati dal Tesoro o sotto forma di buoni del tesoro ordinari, o sotto forma di conti correnti bancari, o sotto forma di anticipazioni bancarie, o sotto forma di biglietti di banca tesaureggiati, perché, pare impossibile, ma c’è ancora della gente che, malgrado lo slittamento continuo della nostra moneta, ha ancora fiducia in questa lira e continua a conservare dentro le damigiane i biglietti dello Stato Italiano. Quello che oggi il Governo deve mobilitare è il capitale circolante sotto forma di beni, di scorte che esistono da per tutto. Con questi capitali circolanti, uniti alla formazione del nuovo risparmio, che sarà più copioso il giorno in cui la gente avrà la certezza che se mette da parte una lira mette da parte veramente una lira e non una quantità evanescente nel tempo, sì e no si arriverà a 300 miliardi. Con uno sforzo ci si può arrivare. E gli altri 200? Gli altri 200, o colleghi, bisogna trovarli fuori. Bisogna trovarli dove è possibile trovarli. Io non voglio sottovalutare i risultati economici del viaggio del Presidente De Gasperi negli Stati Uniti, perché l’ordine di grandezza degli aiuti che gli sono stati promessi incondizionatamente non è trascurabile; ma ci vuole dell’altro. E quest’altro noi lo potremo avere ad una sola condizione: quella di dimostrare di sentire per il nostro Paese un attaccamento più forte che per il nostro partito.

Quando questa condizione sarà stata realizzata, il credito di tutto il mondo verrà all’Italia, perché fra i Paesi del mondo che più hanno sofferto dalla guerra, l’Italia mostra di avere attitudini di sopravvivenza, di vitalità, di avere il desiderio di vincere tutte le avversità, che solo nella vecchia Inghilterra possono trovare un punto di paragone.

Noi stiamo ricostruendo, o colleghi, più di quanto comunemente si creda, e ciascuno di voi, viaggiando sulle strade ferrate o sulle grandi arterie rotabili, può notare che ogni giorno c’è qualche cosa di più: lì c’è un tetto rifatto, lì c’è una capanna ricostruita, lì è un campanile che risorge, qui è un palazzo o un ponte che ritornano alla vita economica, a soddisfare i bisogni imprescindibili delle nostre genti.

E questo è il risultato dell’azione lenta, ma inesorabile, della volontà dei singoli individui, che talvolta devono anche, non dico rassegnarsi a rinunziare all’aiuto del Governo, ma anche vincere le resistenze che inconsapevolmente l’azione governativa oppone alla singola attività degli individui.

Ed allora, o colleghi, se questi sono gli elementi obiettivi, io ritengo che possiamo e dobbiamo aver fede nel nostro Paese. Per ragioni strutturali e per uno svolgimento logico della vita parlamentare, noi siamo all’opposizione del Governo, ma questa opposizione concepiamo come forma di critica positiva, costruttiva.

Che cosa potrebbe succedere se il Governo smentisse tutte le nostre previsioni e facesse bene? Nessuno sarà più contento di noi, perché quello che avremmo perduto come oppositori, sarebbe ben piccola cosa di fronte al di più che avremmo guadagnato come italiani. (Vivi applausi a destra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a lunedì prossimo.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se per le opere pubbliche da eseguire in Sicilia sono state date istruzioni precise perché sia data la precedenza ai lavori urgenti e siano completati quelli iniziati e lasciati in sospeso. In provincia di Messina i comuni di Antillo, Limino, Roccafiorita non hanno ancora strade rotabili di accesso e rimangono durante il periodo invernale isolati e privi di qualsiasi comunicazione. Esistono lavori iniziati da qualche decennio e ancora incompleti.

«L’interrogante chiede, inoltre, di sapere se, dato il carattere di urgente e inderogabile necessità di dette opere, il Ministro voglia far disporre il finanziamento completo dei lavori in corso e da eseguire, perché si proceda alla soluzione di uno dei problemi più gravi della Sicilia, quale quello delle strade, almeno per i comuni del tutto privi di collegamento con le strade rotabili nazionali e provinciali.

«Trimarchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non intenda con apposito provvedimento estendere agli orfani della guerra 1915-18 il beneficio del 50 per cento delle assunzioni disposto dal decreto 4 agosto 1945 per i combattenti ed orfani della guerra 1940-1943.

«Non si spiega perché gli orfani della grande guerra debbano essere esclusi da tale beneficio, quando le condizioni di essi sono eguali e forse peggiori di quelle degli orfani della recente guerra.

«Trimarchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’agricoltura e foreste e della marina mercantile, per chiedere con urgenza:

  1. a) come e perché, nonostante la istituzione del Ministero della marina mercantile, la divisione della pesca sia rimasta ancora al Ministero dell’agricoltura e foreste;
  2. b) perché, nonostante precedenti richieste, ancora non sono stati emanati i provvedimenti urgenti indispensabili per la repressione della pesca di frodo, che va distruggendo il patrimonio ittico.

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per evitare l’inconveniente, gravissimo, specie in questi tempi d’inflazione e carovita, conseguente al fatto che la liquidazione della pensione avviene oltre un anno dopo che l’agente ferroviario ha cessato il servizio. E se non crede possibile, per ovviare alle tristi condizioni in cui questa lungaggine precipita il ferroviere in quiescenza, iniziare le pratiche relative alla pensione almeno un anno prima del giorno, facilmente individuabile, in cui l’agente andrà in pensione.

«E se, accettando tale principio, non ritiene conforme a giustizia applicarlo immediatamente a tutti, rinviando, del tempo necessario, l’invio in pensione dei ferrovieri, il cui rapporto di lavoro o d’impiego dovesse venir a cessare entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento invocato.

«Morini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere: se non ritiene urgente giungere alla sistemazione dei ferrovieri colpiti dalle leggi fasciste e se non ritiene che unica via, per impedire che la trafila burocratica trasformi un atto di giustizia e di solidarietà in una procedura esasperata ed esasperante del caso per caso, stia nel capovolgere la situazione giuridica, ritenendo licenziati per ragioni politiche tutti i ferrovieri colpiti dai provvedimenti fascisti del 1922 e del 1923, salvo il diritto all’Amministrazione ferroviaria d’impugnare singolarmente le riammissioni dei ferrovieri, che essa ritenga esser stati allontanati dal servizio per motivi diversi da quelli politici; se non ritiene conforme a giustizia estendere le disposizioni di riammissione, prese o da prendere, anche ai ferrovieri licenziati dal Ministero Facta a seguito dello sciopero agosto 1922; se infine – nel caso che non credesse di poter accettare il principio dell’inversione della presunzione – non ritiene indispensabile – per una più sollecita definizione delle pratiche – eliminare, con chiara disposizione legislativa, la disposizione aberrante, in forza della quale, per la riammissione definitiva in servizio, occorrono atteggiamenti antifascisti dell’agente, anche nel periodo che va dalla marcia su Roma al giorno del licenziamento.

«Morini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritiene urgente:

  1. a) riorganizzare tutta la materia del risarcimento danni ai nostri connazionali in Africa Orientale Italiana eliminando il formalismo burocratico (specie la documentazione ingombrante ed inutile) che intralcia ed esaspera senza alcun costrutto pratico ed introducendo, invece, nuovi criteri deduttivi, che permetterebbero un lavoro sollecito e sbrigativo e liquidazione rispondente, almeno in parte, alla realtà dei danni subiti;
  2. b) dotare gli uffici di locali, che permettano all’unica divisione (la 4a) – che attualmente lavora faticosamente con funzionari ottimi e fattivi e con un capo valoroso e preparato – di sviluppare la propria attività, eliminando l’inconveniente di dover lavorare, pigiati, in stanze insufficienti, con pacchi di pratiche sotto ai tavoli, nonché di essere affiancata dalle altre tre divisioni, oggi praticamente ferme per mancanza di locali, in modo di poter far fronte alle necessità d’espletamento delle pratiche attualmente ammontanti ad oltre 70.000; pratiche che aumentano di 150 al giorno e che vengono smaltite con una media giornaliera di 15-20, di modo che – continuando con tale ritmo – si giungerà alla liquidazione totale fra 20 anni.

«Morini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritiene urgente provvedere alla riorganizzazione del servizio pensioni di guerra e infortunati civili, riunendo le varie sezioni – oggi disseminate in quattro edifici lontani l’uno dall’altro – in un unico edificio, in modo di poter coordinare le varie branche ed attività ed iniziare un sollecito lavoro di espletamento delle 550.000 pratiche che attendono la definizione, ponendo fine in tal modo ad inconvenienti gravissimi quali quelli di mucchi di pratiche e di documenti accatastati e dell’esistenza, in via Stampatori 8, del casellario dei fascicoli di via Flaminia 388.

«Morini».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere, se gli è nota la lungaggine burocratica che intralcia l’evasione delle domande di pensione per tubercolotici di guerra, e se intende prendere provvedimenti affinché le Commissioni pensioni di guerra lavorino più speditamente, senza far attendere oltre chi, combattendo una guerra ingiusta, ne porta le conseguenze peggiori.

«Cavallotti, Scotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del commercio con l’estero, dell’industria e commercio e delle finanze e tesoro, per conoscere:

quali ragioni possano aver determinato la riduzione del contingente di carta d’importazione svedese, che, nel corso della discussione del trattato commerciale concluso con la Svezia, era stato previsto in 20.000 quintali per il 1947, mentre in realtà è stato poi ridotto a soli 10.000 quintali;

se sia esatta la notizia secondo la quale delle cartiere dell’Alta Italia si rifiutano di versare la tassa pagata da alcune categorie di acquirenti di carta, sotto la voce di «Tasse Ente Cellulosa e Carta», e se non ravvisino in questo rifiuto un vero e proprio reato di appropriazione indebita che le cartiere commettono nei riguardi di un Ente parastatale;

quale fondamento abbia la notizia secondo la quale il Ministero dell’industria e commercio si sarebbe reso promotore della soppressione pura e semplice dell’Ente nazionale per la cellulosa e la carta, anziché prendere l’iniziativa di trasformarlo in un organismo atto a svolgere i nuovi compiti imposti dalla grave situazione della carta che potrà essere risolta soltanto con larghi acquisti da effettuarsi sui mercati esteri, valendosi dell’attrezzatura e dei mezzi finanziari di cui dispone l’Ente suddetto.

«Benedetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, sulla possibilità da parte dei comuni montani produttori di energia idroelettrica ed in particolare dei comuni valtellinesi di istituire un diritto fisso sulla produzione locale di energia giusto quanto contempla il recente provvedimento in materia di finanza locale approvato dal Governo ma ancora allo studio alla Costituente, ciò allo scopo di venire fattivamente in aiuto dell’economia di detti comuni che versa in condizioni precarie.

«E sulla possibilità che detti comuni possano, nell’attesa, applicare senz’altro all’energia elettrica esportata il diritto del 5 per cento sul valore in base all’articolo 41, comma secondo, della legge 8 marzo 1945, n. 62, controllando l’energia in base ai chilovattore prodotti e non ai cavalli nominali.

«Pajetta Giuliano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non sia un preciso dovere del Governo verso i minorati di guerra e le famiglie dei Caduti procedere con la più intensa celerità alla liquidazione delle pensioni di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carratelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti di urgenza il Governo intenda adottare per riparare alla gravissima ingiustizia derivante dalla esclusione di partecipazione ai concorsi per insegnamento dell’ordine medio delle scuole, riservati ad alcune categorie, di coloro che, pure avendo tutti i titoli necessari, erano stati esclusi dai concorsi banditi con decreto ministeriale 28 dicembre 1942, non avendo il requisito allora richiesto della iscrizione al partito fascista.

Il Ministro della pubblica istruzione, al quale l’interrogante ha rivolto una interrogazione in merito, ha risposto che il Ministero non era competente ad apportare modifiche di propria iniziativa alle disposizioni del decreto legislativo 26 marzo 1946, n. 141, ai sensi del quale verranno banditi i concorsi, contenendo esso decreto disposizioni d’ordine generale per tutti i rami delle Amministrazioni dello Stato.

«Ora risulta che, invece, il Ministero della giustizia, in occasione del concorso a 150 posti di notaio, bandito con decreto 7 giugno 1946 (Gazzetta Ufficiale n. 133, del 10 giugno 1946, pagina 1351), ha disposto giustamente che a tale concorso erano ammessi «coloro che non poterono partecipare a precedenti concorsi per effetto esclusivo della mancata iscrizione al partito fascista».

«In conseguenza pare, senza dubbio alcuno, giustificato che di urgenza vengano emanati dal Governo dei provvedimenti, perché anche per i concorsi del Ministero della pubblica istruzione vengano ammessi, insieme alle categorie speciali, anche coloro che non poterono partecipare ai concorsi banditi con il già indicato decreto ministeriale 28 dicembre 1942, per mancanza d’iscrizione al partito fascista.

«Se ciò non avvenisse, si arriverebbe all’assurdo giuridico e morale per cui lo Stato repubblicano verrebbe a preferire negli impieghi i già appartenenti al partito fascista a coloro che per dignità e coerenza con la loro fede preferirono i più gravi sacrifici alla umiliazione morale che veniva loro imposta.

«Sta in fatto che questi laureati «perché non fascisti» non hanno potuto partecipare ad alcun concorso, rimanendo sino ad ora completamente dimenticati e continuando a sopportare situazioni di grave disagio morale ed economico, mentre non pochi loro colleghi, coetanei e con eguale anzianità di laurea, sono diventati e possono diventare, «perché già fascisti», impiegati di ruolo dello Stato, in esecuzione del predetto concorso del 1942.

«Si confida che delle immediate disposizioni saranno adottate per sanare una situazione che offende la equità e la giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere a che punto sono le revisioni dei redditi di ricchezza mobile dell’industria della pesca e in particolare di quelli della vallicultura, e se il Ministero intende ancora esentare la pesca e in particolare la produzione ittica valliva dal pagamento dell’imposta fino al 70 per cento del reddito, come secondo la precedente disposizione fascista, che rimonta al 1941 e scaduta alla fine del 1946.

«Si deve segnalare a tale proposito il fatto, di cui i dati possono essere confermati dai competenti uffici imposte, che fino ad oggi, alle valli da pesca, in seguito alla summenzionata esenzione, è stata applicata l’imposta di ricchezza mobile su di un reddito medio inferiore alle 200 lire per ettaro mentre esse hanno, ai prezzi attuali del pesce di 300 e fino di 500 lire al chilo, produzioni per ettaro anche di 20 mila lire di valore, con relativamente scarse spese di manutenzione delle valli, e scarsissime di manodopera impiegata in tale attività, per ragioni tecniche in misura assolutamente insignificante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quanto vi sia di vero nella notizia, secondo cui in occasione della recente visita del Sottosegretario Spano a Venezia, una rappresentanza di vallicultori avrebbe ad esso richiesto un contributo da parte dello Stato di molte centinaia di milioni per migliorare la produzione ittica delle valli, in gran parte di proprietà privata.

«Ove ciò fosse, l’interrogante richiede il parere del Ministero su tale questione, facendo presente il carattere assolutamente antieconomico della produzione ittica valliva, dal punto di vista nazionale, e quanto sarebbe, nel caso, più opportuno assegnare contributi per i progetti di bonifica, così arretrati e male eseguiti sulla costa della pianura padana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se, con riferimento all’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 221 – che, nelle controversie non ancora definite per la determinazione del valore venale in comune commercio della ricchezza a qualunque titolo trasferita in dipendenza di successioni apertesi e di atti pubblici stipulati entro il 31 marzo 1945, ovvero di scritture private registrate entro lo stesso termine, dava facoltà all’Amministrazione delle finanze, ai fini di un accordo bonario, di consentire sino al 18 novembre 1946, un abbuono non superiore al terzo del valore presunto dall’amministrazione stessa, ed all’articolo 3 del decreto legislativo 16 novembre 1946, n. 476, che ha prorogato tale termine sino al 2 luglio 1947 ed ha consentito altresì l’esercizio di detta facoltà sino a trenta giorni dopo la notifica dell’avviso di accertamento valori, se questo non era stato ancora notificato alla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto – non ritenga opportuno ed equo di prorogare quantomeno di un termine eguale a quello che intercorre tra il 18 novembre 1946 ed il 2 luglio 1947, il termine del 31 marzo 1945 anzidetto, che in tal modo verrebbe portato almeno al 12 novembre 1945, mantenendo il termine del 2 luglio 1947 nei casi di notifica dell’accertamento di valore anteriore al 2 giugno 1947, ed in caso di notifica in epoca posteriore, tenendo fermo il termine di 30 giorni dalla notifica per il conseguimento dell’abbuono di che trattasi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per conoscere se non ritengano urgente ed opportuno disporre che il dazio sui materiali da costruzione nei centri dei paesi rurali venga abolito, e ciò allo scopo di incrementare le nuove costruzioni e le riparazioni di quelle esistenti, dando così la possibilità, da un lato, di ridurre il fenomeno dell’urbanesimo e nel contempo di alleviare la enorme disoccupazione della classe edile, tenuto conto che per le spese di trasporto dei materiali, le costruzioni nei paesi, specie montani, importano un costo unitario di gran lunga superiore a quello degli altri paesi, senza che ne risulti un corrispondente reddito.

«Ciò concedendo, sarà reso anche possibile il rinnovamento di vecchie case antiigieniche ed anti-sociali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere se – tenendo presente che il comma 5 dell’articolo 1 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, consente che le perdite rappresentate dai danni di guerra sono da calcolarsi, per le aziende industriali o commerciali in detrazione, dal reddito dell’esercizio in cui si sono verificate, e che proprio gli esercizi, in cui tali danni si verificarono, sono stati generalmente passivi o poco redditizi e quindi la compensazione tra utili d’esercizio e perdite per danni di guerra praticamente non è operante – non ritenga opportuno abbandonare, per l’oggetto, il principio generale d’ordine fiscale della autonomia dei bilanci, il quale, se giustificato in tempi normali, non può invece ammettersi in periodi eccezionali come quelli occorsi durante la guerra; e se – tenuto presente, altresì, che numerose aziende hanno già concordato i loro redditi relativi agli esercizi in cui si verificarono i danni di guerra, prima ancora dell’emanazione del succitato regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, e quindi a tali aziende sarebbe precluso il beneficio predetto –, non ritenga opportuno ed equo proporre al Consiglio dei Ministri la modifica della superiore disposizione di legge, nel senso che le perdite per danni di guerra siano ammesse in detrazione – non soltanto dal reddito lordo dell’esercizio in cui si sono verificate –, ma anche da quello degli esercizi successivi, e che sia consentita la compensazione anche per gli esercizi già definiti prima della pubblicazione del provvedimento petito. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non ritiene equo promuovere una disposizione di legge per la proroga delle locazioni di quegli impianti industriali che scadranno entro il 1947 e, comunque, stabilire norme che, senza offendere gli interessi dei locatari, mettano riparo alle giuste esigenze dei conduttori, tra i quali molti, in conseguenza della guerra, per mancanza di energia elettrica, deficienza di materie prime, danni bellici in seguito riparati, hanno subito spese e perdite che vanno giustamente considerate. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno ed equo di abolire la tassa comunale che in atto grava sul bestiame da lavoro e di proprietà dei coltivatori diretti, essendo lo stesso strumento integrante della produzione, come qualunque altro attrezzo agricolo, e ciò anche in analogia alla esenzione accordata per tutti i fabbricati rurali ed al fine di incrementare il lavoro dei campi, riducendo le spese di trasporto dei concimi e delle derrate e dando la possibilità, ai coltivatori diretti, di raggiungere i luoghi di lavoro con maggiore assiduità e celerità, specie nelle campagne siciliane dove i centri abitati sono spesso a grande distanza dalle zone agricole. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non ritiene equo ed opportuno concedere ai piccoli comuni la franchigia postale e telegrafica nei rapporti con gli uffici statali e parastatali, tenuto conto che, nelle attuali condizioni, l’onere relativo grava fortemente sui bilanci degli stessi e che i rapporti con detti uffici sono in atto obbligatoriamente di gran lunga superiori ai normali per le varie discipline che vincolano i comuni nel campo annonario, pre-elettorale, militare ed assistenziale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonino, Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se intendano mantenere ancora in vita l’incivile disposizione contenuta nell’articolo 9 del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 89, secondo la quale contro il provvedimento del prefetto, che assegna a cooperative di contadini terre incolte o non sufficientemente coltivate, non è dato alle parti ricorso al Consiglio di Stato, né azione innanzi ai giudici.

«L’interrogante osserva che disposizioni del genere si spiegano in regimi autoritari, ma non in un regime che vuole essere democratico. La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei cittadini è guarentigia fondamentale, che non può essere soppressa nello Stato di diritto. Il progetto di Costituzione riafferma questo principio (articolo 19 e articolo 103).

«L’abrogazione della citata disposizione nulla toglierà al valore politico e sociale della legge sull’assegnazione delle terre incolte, ma varrà a ricondurne l’applicazione nelle vie della legalità, facendo cessare procedure aberranti, che a volte configurano arbitrarie espropriazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa nazionale, sulla opportunità di modificare l’articolo 1 del bando di concorso per il reclutamento straordinario di cento sottotenenti in servizio permanente effettivo nell’Arma dei carabinieri, indetto con decreto ministeriale del 3 ottobre 1946, registrato alla Corte dei conti il 17 dicembre 1946, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 296 del 28 dicembre 1946, nel senso di estendere il diritto di partecipazione al concorso anche ai sottufficiali che non parteciparono al concorso indetto il 26 marzo 1943, successivamente annullato con decreto ministeriale 17 ottobre 1944.

«Invero, a causa della limitazione inopportuna di cui si chiede la soppressione, restano esclusi dal concorso sottufficiali in possesso di requisiti anche notevolmente superiori a quelli richiesti per l’avanzamento, sia per titoli di studio che per servizi prestati e per speciali benemerenze.

«Di più è da osservare che, limitando il diritto di partecipazione al concorso a quei sottufficiali che già erano stati ammessi all’annullato concorso del 26 marzo 1943, non sembra che sia possibile raggiungere il numero di cento concorrenti idonei, secondo gli scopi del concorso attuale.

«Infine si fa notare che parecchi sottufficiali sicuramente, e più di molti altri ammissibili in virtù dell’articolo in questione, forniti di titoli di idoneità, resterebbero definitivamente esclusi dalla possibilità di avanzamento per sorpassati limiti di età in rapporto a concorsi futuri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Varvaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga necessario ed urgente – in relazione anche allo stato di acuita tensione esistente fra i comuni di Lastebasse (provincia di Vicenza) e di Folgaria (provincia di Trento) – provvedere a por termine con una equa decisione alla secolare controversia tra i sopradetti comuni, riconoscendo al comune di Lastebasse quei diritti – lungamente trascurati o negati – cui dànno consistenza ragioni di storia e di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rumor».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non creda urgente (anche ai fini dell’assorbimento della disoccupazione), provvedere per l’allargamento della strada provinciale Trento-Vicenza, che rappresenta la più breve comunicazione fra il Trentino e il Veneto e che è linea di traffico intensivo, mentre lo scambio degli autocarri e delle corriere sulla stessa è reso assai difficile, specialmente nel tratto Villazzano-Fricca-Lastebasse-Arsiero. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Conci Elisabetta, Cimenti, Tosato, Valmarana, Rumor, Marzarotto, Gui, Burato, Cappelletti, Jervolino Maria, Bettiol, Ferrarese, Alberti».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se gli consta che ai nostri operai reduci dalla Francia viene versata la quota di pensione rispettivamente di assicurazione nella misura del 37 per cento dell’equivalente in franchi francesi e come intenda provvedere. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Conci Elisabetta».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se intenda provvedere affinché agli infortunati, che hanno subìto una minorazione inferiore al 40 per cento, sia assegnato un congruo aumento di pensione. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Conci Elisabetta».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Governo, per conoscere – data la grave situazione creatasi nella provincia di Napoli con la chiusura di alcuni pastifici e la minacciata chiusura di altri per il giorno 15 febbraio 1947 – come il Governo intenda intervenire per evitare il crollo della industria della pastificazione ed il conseguente aumento della disoccupazione.

«In particolare chiede perché il Governo non ha ancora adottati i provvedimenti da tempo richiesti, e cioè:

  1. a) equa ripartizione del grano in modo da assicurare concrete ed eguali possibilità di lavoro a tutte le industrie in tutte le zone;
  2. b) perequazione dei dati di molitura e di pastificazione ed unificazione del prezzo della pasta in tutto il Paese, avocando allo Staio le eventuali differenze per costituire una entrata alla Cassa integrazione salari;
  3. c) intervento della Cassa integrazione salari nei confronti di almeno il 50 per cento dell’attuale mano d’opera, in modo da garantire la ripresa del lavoro in condizioni possibili di spesa.

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà inscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.15.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 11.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario.
  3. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  4. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

 

VENERDÌ 7 FEBBRAIO 1947

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Costituzione di gruppi parlamentari:

Presidente                                                                                                        

Sulle dimissioni del Presidente e sull’ordine del giorno:

Presidente                                                                                                        

Lombardi Riccardo                                                                                         

Benedetti                                                                                                         

Russo Perez                                                                                                     

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato.

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Grassi.

(È concesso).

Costituzione di Gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che si è costituito il Gruppo parlamentare liberale, composto degli onorevoli: Badini Confalonieri, Bellavista, Bonino, Cifaldi, Colonna di Paliano, Condorelli, Corbino, Cortese, Crispo, Croce, Cuomo, De Caro Raffaele, Einaudi, Fusco, Galioto, Lucifero, Martino Gaetano, Morelli Renato, Perrone Capano, Quintieri Quinto, Rubilli, Villabruna.

Il Gruppo ha eletto a Presidente l’onorevole Corbino, a Vicepresidente l’onorevole De Caro, a Segretario l’onorevole Cifaldi.

Si è costituito pure il Gruppo parlamentare del Partito socialista dei lavoratori italiani, che è composto degli onorevoli: Arata, Bennani, Bianchi Bianca, Binni, Bocconi, Bonfantini, Cairo, Calosso, Canepa, Canevari, Carboni, Cartia, Chiaramello, Corsi, D’Aragona, Di Giovanni, Di Gloria, Fietta, Filippini, Ghidini, Grilli, Gullo Rocco, Lami Starnuti, Longhena, Matteotti Matteo, Mazzoni, Modigliani, Momigliano, Montemartini, Morini, Paris, Pera, Pignatari, Preti, Rossi Paolo, Ruggiero, Salerno, Saragat, Segala, Simonini, Taddia, Tranquilli, Tremelloni, Treves, Vigorelli, Villani, Zagari, Zanardi.

Sulle dimissioni del Presidente e sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE comunica all’Assemblea la seguente lettera dell’onorevole Saragat:

Roma, 6 febbraio 1947

«Onorevole Vice Presidente,

sono assai grato all’Assemblea della manifestazione affettuosa, con la quale ha voluto non accogliere le mie dimissioni: manifestazione che costituisce per me un nuovo legame con i colleghi di tutti i settori e mi incoraggia nella attività che, da semplice deputato, mi accingo a svolgere in mezzo ad essi.

«Pur cordialmente sensibile alle espressioni di stima di cui sono stato oggetto, debbo tuttavia pregare l’Assemblea di considerare definitiva la mia decisione.

«Voglia, dunque, partecipare all’Assemblea questi miei sentimenti e gradire i più cordiali saluti.

«Giuseppe Saragat».

Pur accogliendo con rammarico la decisione dell’onorevole Saragat, non resta ormai che prenderne atto.

Ora, poiché non si può procedere oggi stesso alla votazione per la nomina del Presidente, dato che essa non è iscritta all’ordine del giorno, ed essendo indispensabile, secondo le tradizioni parlamentari, che l’Assemblea provveda, prima di ogni altro oggetto, a integrare la propria costituzione con la nomina del Presidente, rinvio la seduta a domani per l’elezione e l’insediamento del Presidente e per le dichiarazioni immediatamente successive del Presidente del Consiglio.

LOMBARDI RICCARDO. Devo esprimere io stupore e il disappunto – che credo condivisi da tutta l’Assemblea – (Approvazioni a destra – Commenti) che il Governo abbia pensato di rinviare ancora una volta la comunicazione del suo programma all’Assemblea Costituente. Questo suscita il legittimo sospetto che tale programma non esista ancora. (Commenti – Approvazioni a destra).

Alla vigilia delle gravi responsabilità a cui il Governo è chiamato, io credo che l’Assemblea Costituente non debba essere informata per ultima delle deliberazioni del Governo. La Costituente non intende essere un organo docile.

Chiedo che l’ufficio di Presidenza si faccia interprete di questo nostro disappunto presso il Presidente del Consiglio. (Commenti – Approvazioni).

PRESIDENTE. Credo di dover avvertire l’onorevole Lombardi della necessità assoluta che le dichiarazioni del Governo siano fatte di fronte all’Assemblea costituita nel modo più perfetto, cioè con la sua Presidenza al completo. (Commenti a destra).

BENEDETTI. Sono scuse. È una fuga! (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Non interrompa! È necessario che l’Assemblea abbia la sua Presidenza al completo, ed oggi essa non è ancora interamente costituita. (Commenti).

Ha chiesto di parlare l’onorevole Benedetti. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Onorevoli colleghi, lunedì prossimo, a Parigi, si firmerà il Trattato di pace in nome dell’Italia. Il Trattato di pace condizionerà la vita nazionale, e in limiti insopportabili, per decenni. L’Assemblea Costituente ha il diritto, e soprattutto il dovere, di esprimere la propria opinione su questo Trattato. (Approvazioni a destra). Ci vorrebbero far credere che si subordinerà l’applicazione del Trattato alla ratifica della nostra Assemblea e invece tale possibilità di subordinazione non esiste. È ancora una impostura. La firma del Trattato di pace equivale ad un’accettazione. Io protesto per la mancata discussione che è una fuga. (Rumori al centro – Approvazioni a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle proteste che sono venute da due diversi settori di questa Assemblea. Chiedo poi, siccome sono un novellino in materia parlamentare, quali sarebbero codesti precedenti cui accenna l’illustre Presidente. Il regolamento della Camera prescrive – ed è costumanza conosciuta anche dai novellini – che, quando manchi, per una ragione qualsiasi, il Presidente, uno dei Vicepresidenti, come è accaduto tante volte qui e come accade anche oggi, ne prenda il posto e presieda l’Assemblea. Io credo che i vecchi parlamentari che onorano questa Assemblea, possano dare dei lumi in proposito. (Approvazioni a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Faccio osservare all’onorevole Russo Perez che è l’Assemblea che deve volere che sia costituita perfettamente la sua Presidenza, data l’importanza delle dichiarazioni che dovrà fare il Governo. Di fronte a questa considerazione, è evidente che tanto l’onorevole Russo Perez, quanto l’onorevole Benedetti e l’onorevole Lombardi, riconosceranno la necessità di rinviare a domani la seduta, per discutere il seguente ordine del giorno: elezione del Presidente; dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri; esame del progetto di Costituzione della Repubblica.

RUSSO PEREZ. Chiedo la votazione nominale sulla di opportunità del rinvio, e tale domanda appoggiano i miei colleghi del gruppo. (Approvazioni a destra – Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Osservo che non vi è materia per una votazione. (Commenti).

La seduta è rinviata a domani per le ore 16.

La seduta termina alle 16.15.

GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXX.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Annunzio di dimissioni e nomina del Governo:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di Deputati:

Presidente                                                                                                        

Nomina di componenti di Commissioni:

Presidente                                                                                                        

Domande di autorizzazione a procedere:

Presidente                                                                                                        

Risposte scritte ad interrogazioni: (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Commemorazioni:

Presidente                                                                                                        

Paris                                                                                                                 

Costantini                                                                                                        

Pacciardi                                                                                                         

Conci Elisabetta                                                                                             

Schiavetti                                                                                                        

Colitto                                                                                                             

Maffi                                                                                                                

Badini Confalonieri                                                                                        

Gabrieli                                                                                                            

Sardiello                                                                                                         

Carboni                                                                                                            

Lucifero                                                                                                           

Dugoni                                                                                                              

Preziosi                                                                                                            

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Dimissioni del Presidente dell’Assemblea Costituente:

Presidente                                                                                                        

Conti                                                                                                                

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Lussu                                                                                                                

Togliatti                                                                                                          

Presentazione di relazioni:

Presidente                                                                                                        

Ciampitti                                                                                                          

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 dicembre 1946.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

(È concesso).

Annunzio di dimissioni e nomina del Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, mi onoro informarvi che il Capo provvisorio dello Stato, con decreti in data 28 gennaio 1947, ha accettato le dimissioni da me presentate anche a nome dei miei colleghi Ministri segretari di Stato, ed ha, altresì, accettato le dimissioni dalla carica, rassegnate dai Sottosegretari di Stato.

Con successivo decreto dello stesso giorno 28 gennaio 1947, il Capo provvisorio dello Stato mi ha incaricato di comporre il nuovo Ministero.

In relazione a tale incarico, con decreti del 2 febbraio 1947, il Capo provvisorio dello Stato mi ha nominato Presidente del Consiglio dei Ministri, Primo Ministro Segretario di Stato e Ministro ad interim, dell’Africa Italiana, e, su proposta sua, ha riunito i Ministeri delle finanze e del tesoro in un unico Ministero, che assume la denominazione di Ministero delle finanze e del tesoro, ed ha nominato Ministri Segretari di Stato:

per gli affari esteri: l’onorevole dottor Carlo Sforza, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’interno: l’onorevole avvocato Mario Scelba, deputato all’Assemblea Costituente;

per la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Fausto Gullo, deputato all’Assemblea Costituente;

per le finanze ed il tesoro: l’onorevole dottor Pietro Campilli, deputato all’Assemblea Costituente;

per la pubblica istruzione: l’onorevole professore Guido Gonella, deputato all’Assemblea Costituente;

per i lavori pubblici: l’onorevole dottor Emilio Sereni, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’agricoltura e le foreste: l’onorevole professore Antonio Segni, deputato all’Assemblea Costituente;

per i trasporti: l’onorevole ingegnere Giacomo Ferrari, deputato all’Assemblea Costituente;

per le poste e le telecomunicazioni: l’onorevole ingegnere Luigi Cacciatore, deputato all’Assemblea Costituente;

per l’industria ed il commercio: l’onorevole dottor Rodolfo Morandi, deputato all’Assemblea Costituente;

per il lavoro e la previdenza sociale: l’onorevole ingegnere Giuseppe Romita, deputato all’Assemblea Costituente;

per il commercio con l’estero: l’onorevole professor Ezio Vanoni, deputato all’Assemblea Costituente;

per la marina mercantile: l’onorevole dottor Salvatore Aldisio, deputato all’Assemblea Costituente.

Con successivi decreti in data 4 febbraio 1947, il Capo provvisorio dello Stato, su proposta mia, ha riunito i Ministeri della guerra, della marina militare e dell’aeronautica in un unico Ministero, che assume la denominazione di Ministero della difesa ed ha nominato Ministro Segretario di Stato per la difesa l’onorevole avvocato Luigi Gasparotto.

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella riunione del 28 gennaio 1947, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei deputati:

Celeste Bastianetto, per la Circoscrizione di Venezia (X); Luigi Renato Sansone, per la Circoscrizione di Napoli (XXIII); Giovanni Persico, per la Circoscrizione di Roma (XX); e, concorrendo negli eletti i requisiti previsti dalla legge elettorale, ne ha dichiarata valida l’elezione.

Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione e, salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Sostituzione di deputati.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella riunione del 28 gennaio 1947, in seguito alla morte dei deputati Luigi Battisti della Circoscrizione di Trento (VIII) e Girolamo Grisolia della Circoscrizione di Roma (XX), ha deliberato di proporre, a termini dell’articolo 64 della vigente legge elettorale, la proclamazione dei candidati risultati primi dei non eletti nelle rispettive liste.

Conseguentemente, al deputato Luigi Battisti subentra per la Circoscrizione di Trento (VIII) il candidato Danilo Paris e al deputato Girolamo Grisolia subentra per la Circoscrizione di Roma (XX) il candidato Bruno Bernabei.

Il deputato Giovanni Persico, eletto e convalidato per la Circoscrizione di Roma (XX) e di Napoli (XXIII), ha dichiarato di optare per quest’ultima Circoscrizione. Pertanto la Giunta delle elezioni, nella stessa riunione del 28 gennaio, ha deliberato di proclamare in sua sostituzione nella Circoscrizione di Roma (XX) il candidato Dante Veroni, che lo segue immediatamente nella medesima lista.

Do atto alla Giunta di questa comunicazione e metto ai voti le proclamazioni proposte.

(Sono approvate).

Avverto che da oggi decorre nei riguardi dei nuovi proclamati il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali proteste e reclami.

Nomina di componenti di Commissioni.

PRESIDENTE. Comunico che in sostituzione dell’onorevole Sforza, nominato Ministro degli affari esteri, è stato chiamato a far parte della Commissione per i Trattati internazionali l’onorevole Nenni.

A sostituire poi gli onorevoli Caristia e Vanoni nella Commissione per la Costituzione, sono stati chiamati gli onorevoli Gotelli Angela e Froggio.

L’onorevole Corbi, infine, è stato nominato componente della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Carlo Lombardi.

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Informo che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso tre domande di autorizzazione a procedere in giudizio per diffamazione a mezzo della stampa contro il deputato Li Causi e una, per lo stesso reato, contro il deputato Zappelli.

Ha pure trasmesso una domanda a procedere contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura.

Saranno stampate, distribuite e inviate alla Commissione competente.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato le risposte scritte a interrogazioni presentate prima e dopo la sospensione dei lavori dell’Assemblea.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi (1).

 

  • Vedi allegato a parte.

Commemorazioni.

PRESIDENTE (Si leva in piedi e con lui si levano in piedi i membri del Governo, tutti i deputati ed il pubblico nelle tribune. – Segni di attenzione): È con un cordoglio maggiore dell’usato che mi accingo oggi ad assolvere il triste impegno dal quale il destino pare mai voglia esonerarci ad ogni ripresa dei nostri lavori: la reverente evocazione di quelli che già fummo usi ad avere con noi in questa aula, intenti con noi all’opera responsabile e grave della creazione legislativa e costituzionale, e di cui gli scanni vuoti ci confermano con inesorabile e muto linguaggio la scomparsa luttuosa.

Ed il cordoglio è oggi maggiore, non già perché ogni altro, che ci fu sottratto dalla morte dacché questa Assemblea è sorta, ci fosse meno necessario o meno prezioso per il contributo che avrebbe potuto dare ancora al comune lavoro, o perché sentissimo meno fervidamente nei suoi confronti i legami di amicizia che fra uomini di parti anche le più lontane spesso finiscono per intrecciarsi qui per le occasioni che ci si offrono di una più profonda reciproca conoscenza umana.

Ma Luigi Battisti e Girolamo Grisolia rappresentavano fra noi una parte del popolo italiano che tutti avvertiamo come portatrice di energie fra le più gelose per la nostra rinascita; quella, senza la cui dedizione illimitata, la causa della democrazia e della Repubblica potrebbe ancora essere messa in forse e seriamente insidiata. Parlo di coloro che, dopo una gioventù trascorsa senza soggiacere alla deformatrice pressione della pseudo moralità fascista, giunti alla più vigorosa maturità del loro spirito, sono naturalmente destinati a costituire la nuova classe dirigente della nostra società nazionale riscattata a libertà.

Luigi Battisti non aveva invero atteso ad offrirsi alla lotta popolare per una vita umana migliore, la quale ponesse fine all’umiliante eclisse morale che ha poi oscurato il cielo della nostra Patria. Né poteva essere altrimenti da parte di uno che, appena diciassettenne, sull’orma del padre, ma non soltanto per l’esempio paterno, aveva volontariamente preso le armi e degnamente combattuto per liberare la sua terra dal secolare giogo d’altra gente. Non per la vecchia Italia monarchica tuttavia egli aveva posto a rischio la sua vita: ché dietro alle assise monarchiche, nelle quali necessariamente doveva ancora drappeggiarsi in quel tempo ogni eroismo e sacrificio, egli scorgeva e vagheggiava una Italia rinnovata per il libero voto di tutti gli italiani. Ed iscrivendosi nel 1921 al Partito Repubblicano quasi pareva volesse, in quel livido ed insanguinato crepuscolo del nostro primo Risorgimento, preannunciare le insegne, che l’alba del secondo, non ancora oggi completamente concluso, avrebbe illuminato. Egli respinge sdegnato le profferte e le seduzioni che la dittatura profonde pur di impadronirsi del retaggio di venerazione legato al nome del quale egli era il continuatore; e, sospinto anzi a segnare ancora più profondamente il suo distacco dal regime trionfante, dà la sua adesione ai gruppi di «Giustizia e Libertà» e si fa, attraverso i valichi più rischiosi dei suoi monti, guida sicura ed audace per i transiti clandestini di materiale di propaganda antifascista e di perseguitati in cerca di scampo. La mutilazione della mano destra, ch’egli aveva però rifatta docile ad ogni compito con tenacia di perduranti esercizi, testimoniava dell’asprezza della battaglia che, a soccorso degli uomini liberi, egli aveva per anni condotta contro la natura ostile: frutto di congelamento che l’aveva colpito durante una di quelle traversate avventurose. Sottoposto a sorveglianza speciale, deferito alla Commissione per il confino, ostacolato nell’esercizio della sua professione d’ingegnere, Luigi Battisti trae, dall’inasprirsi della persecuzione, motivo a sempre maggiore approfondimento del suo pensiero politico; e, fattosi consapevole della funzione decisiva che le masse lavoratrici avrebbero svolta nella liberazione dell’Italia dall’onta impostale dai vecchi ceti dominanti, volle unirsi più direttamente a loro, schierandosi nel rinascente fronte del socialismo militante. Nel Governo provvisorio dell’Ossola dell’anno 1944, nelle formazioni partigiane di Valtellina all’atto dell’insurrezione dell’aprile 1945, poi sindaco di Trento, poi deputato in questa Assemblea, egli fu da allora instancabile portatore dell’idea nella quale si era finalmente ritrovato, come alla confluenza naturale della sua umanità di affetti e della sua maturità di intelletto.

Un’altra perdita dolorosa per la nostra Assemblea è quella di Girolamo Grisolia, morto a Roma il 18 gennaio.

Militante nel Partito Repubblicano Italiano, ne era una delle personalità più eminenti, non soltanto per la carica di Vicesegretario, alla quale il Congresso del Partito lo aveva designato nel febbraio del 1946, ma per il fervore e la passione che egli metteva nell’opera di propaganda e che dava alla sua attività l’impronta di un vero apostolato.

Fedele all’insegnamento mazziniano, egli si propose e riuscì sempre, nel campo dell’azione politica, ad adeguare alla realtà concreta e mutevole il concetto fondamentale del suo Maestro: che l’educazione della coscienza popolare costituisce la premessa irrinunciabile di ogni progresso civile e sociale. Cultore di discipline giuridiche e filosofiche, dettò in questo campo pregevoli pubblicazioni. La lunga e dolorosa infermità, che lo ha spento in età ancora così giovane (non aveva che 44 anni), ha stroncato un’attività, che sarebbe stata preziosa per l’Assemblea Costituente, alla quale era stato eletto in rappresentanza del Collegio di Roma. (Segni di assenso).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Paris. Ne ha facoltà.

PARIS. In rappresentanza del Partito socialista dei lavoratori italiani e come socialista trentino, mi è particolarmente gradito ricordare Gigino Battisti, questo degnissimo continuatore del pensiero e dell’opera di Cesare Battisti. Alla sua scuola crebbe Gigino, da Lui ereditò uno spiccato senso del dovere, la più rigida coerenza fra pensiero ed azione, la concezione altruistica della vita. Queste sue eccelse qualità affiorarono quando egli, non ancor quindicenne, affrontò i disagi ed i pericoli della guerra, arruolandosi come volontario.

Il fascismo lo circuisce con mille lusinghe per attirarlo nelle sue file, ma cadono tutte, ed egli non si lascia abbagliare dal miraggio di ricchezze e di presunti onori, ma si erige anzi a strenuo difensore del genuino pensiero di suo padre, che il fascismo intende falsare per far apparire Cesare Battisti un proprio precursore. Sempre in omaggio alla coerenza, che è caratteristica preminente nei Battisti, egli è fra i pochi volontari che il 4 novembre del 1924 rivendicano a sé il diritto di celebrare l’anniversario della vittoria, sottraendola all’impudente speculazione fascista, e affrontano manganelli e moschetti.

Gigino ha in quell’occasione il battesimo della lotta antifascista. La violenza non l’intimorisce; all’opposto, rinvigorisce il suo amore per la verità, per la libertà, il suo pensiero politico prende corpo, si precisa, si caratterizza.

La sua casa e quella dei suoi amici trentini, fra i quali si eleva quella del conte Giannantonio Manci, è aperta a tutti gli antifascisti che cercano rifugio all’estero passando attraverso le giogaie del Trentino.

Tutto viene attuato in grande segretezza, con la massima serietà organizzativa, sostenendo gravi sacrifizi finanziari, anche qui emulo fedele del padre.

È appunto durante una di queste rischiose operazioni che Gigino subisce un congelamento e deve sottoporsi ad un intervento chirurgico, che gli asporta quasi completamente le falangi delle dita di una mano.

Non è nel suo carattere di attendere fatalisticamente gli eventi, ma di sollecitarli, di promuoverli. È tra i fondatori del movimento «Giustizia e Libertà».

Durante tutto il periodo della cattività fascista, Gigino si prepara, attraverso studi e con l’esercizio della sua professione per un sicuro domani di lotte politiche, per l’instaurazione nel nostro Paese di una civiltà basata sui principî di giustizia e di libertà.

Il 25 luglio del 1943 non lo entusiasma, ma lo rammarica, lo esaspera, poiché nel crollo del fascismo non è stata travolta anche la monarchia. L’8 settembre vede il suo nome fra i primissimi di una lista che il prefetto fascista di Trento intende proporre ai tedeschi per la fucilazione, ed egli è costretto a riparare in Svizzera. Né può ritornare, essendo facilmente riconoscibile per le mutilazioni alle mani.

Nella Svizzera ospitale continua l’attività nell’opera generosa di rifornimento alla lotta partigiana.

La ferale notizia del sacrificio di Giannantonio Manci, caduto vittima della Gestapo, centuplica le sue energie; passa e ripassa il confine italo-svizzero, partecipa alle azioni della Valle d’Ossola e fa parte di quel governo provvisorio.

Nei primi mesi del 1944 aderisce al Movimento Socialista Trentino, ed il socialismo diviene in lui un’essenza intima, una seconda natura.

Dopo la liberazione fa ritorno a Trento, e tale e tanta è la stima che gode, che è nominato sindaco della città. Fu nell’esercizio di queste funzioni che rivelò doti non comuni di lavoratore, di organizzatore, di socialista e seppe amministrare la città con grande soddisfazione di amici e di avversari, pur in quei tempi difficilissimi.

Eletto Deputato, volse la sua opera colta, sagace e avveduta alla ricerca di una sodisfacente risoluzione, per mezzo di un’appropriata autonomia, dello spinoso problema delle particolari condizioni locali e della convivenza pacifica e proficua di italiani e altoatesini nella Venezia Tridentina.

Un avverso destino troncò la sua vita ed è certo che noi italiani, noi socialisti, perdiamo con lui un uomo di non dubbio alto valore.

Noi socialisti trentini, particolarmente colpiti dal martirio di Cesare Battisti, dal sacrificio di Giannantonio Manci, della tragica fine di Gigino Battisti, siamo fieri di aver dato al partito ed al Paese tali uomini.

In Gigino perdiamo un compagno che sentiva il dovere come qualcosa di sacro, felice di potersi considerare come il primo servitore del bene pubblico; perdiamo in lui il compagno di fede politica, l’amico per comunità di sentimenti, il fratello per intimità di rapporti, il padre per superiorità di doti e per quella conseguente autorità che tutti gli riconoscevamo.

Aveva un culto rustico della libertà, ma non per sé la rivendicava, sibbene s’addossava gli sforzi maggiori per conseguirla e offrirla assoluta a tutti, pago di poter dare, senza nulla chiedere.

Noi auguriamo al mondo, auguriamo particolarmente al nostro Paese di esprimere giovani che a lui si ispirano, a lui che per tutta la sua vita «elegge a sé il dovere e darà altrui la gloria».

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Costantini. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. A nome del gruppo parlamentare del Partito socialista italiano, mi associo con animo profondamente commosso alla commemorazione del compagno Gigino Battisti, che una tragedia inattesa tolse a questa Assemblea, tolse al nostro affetto di compagni e di amici.

Voi, onorevoli colleghi, potete comprendere la mia personale commozione, perché Gigino Battisti non era per me soltanto un compagno di fede politica, ma era anche un vero e sincero amico. Gigino era buono, era modesto ed era un bravo lavoratore. Egli ha saputo essere degno rappresentante del grande suo padre, che è stato per la nostra generazione un simbolo della libertà e del socialismo. Gigino aveva dedicate la sua vita e la sua opera a quell’ideale di libertà e di redenzione degli umili che il Partito socialista persegue.

Egli scomparve immaturamente; non ho mai potuto rendermi conto della sua inattesa dipartita, perché l’avevo salutato e lasciato, all’uscita da questa Assemblea, sano, poche ore prima che ci giungesse la ferale notizia. Se è vero che solo nella dimenticanza sta la vera morte, Gigino non è morto. Non è morto, perché noi tutti lo ricorderemo.

L’avere assistito, nella sua Trento, alle estreme onoranze che gli sono state rese, ha significato comprendere quale fosse il sentimento della sua terra verso di lui, quale fosse l’affetto delle sue popolazioni, quale fosse la stima che egli godeva. Lasciate che a questo ricordo io associ la esile, ma tanto grande sua madre, Ernesta Battisti; quella donna che, se ebbe nella vita le gioie della maternità, ebbe dalla vita tutti i dolori e tutte le angosce, quella donna che sopravvisse al marito e sopravvive al figlio, tenace continuatrice di una generosa tradizione familiare, tenace assertrice della giustizia e di una concezione superiore di vita sociale, degna sposa di un grande martire della libertà e madre eroica del valoroso figlio che noi qui rimpiangiamo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pacciardi. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. È veramente con un grande schianto nel cuore che noi abbiamo appreso la notizia della morte del nostro Battisti, nelle circostanze cosi orribili in cui è avvenuta, ed è con indicibile dolore che portiamo il triste privilegio di associarci alle nobili parole del Presidente e dei rappresentanti socialisti.

Io ricordo Battisti, quando militava con me giovinetto nelle nostre file in uno dei primi congressi repubblicani, ai quali partecipavamo, rinunziare ad una carica che gli avevamo offerto, dicendoci che di dinastie in Italia ve n’era una ed era già troppa e che egli non ne voleva fondare una seconda. Voleva, cioè, operare secondo la sua personalità, e la Camera deve constatare tristemente che, come persona e come simbolo nazionale, ha perso una grande personalità.

Fu fondatore, con alcuni di noi, del primo movimento di ex combattenti italiani che volevano contestare al fascismo il diritto di proclamarsi il custode della verità e l’accaparratore del sentimento nazionale. Io lo rivedo con me in Piazza Venezia, in una delle tante sagre fasciste, gridare sotto il famoso balcone: «Viva l’Italia libera!».

Fu milite ardente del partito repubblicano. Quando fu costretto, non per non condividere i rischi degli altri italiani, come qualche volta si insinua, ma per sottrarsi, dopo le leggi eccezionali, alla condanna del confino già decretata, a passare la frontiera, fu ancora Gigino Battisti che nelle Alpi impervie ci portò quasi per mano nelle vie dell’esilio. E fu là che ebbe il tragico incidente da altri oratori ricordato. Qualche volta, essendo stati lungo tempo lontani dall’Italia, ci siamo domandati con il cuore esulcerato se avremmo ritrovato, ritornando, antichi amici nelle antiche posizioni e serventi le antiche idealità. Questo dubbio non ci è mai venuto per Gigino Battisti. Lo abbiamo infatti ritrovato ardente, tenace combattente nelle file partigiane.

Si deve a Luigi Battisti ed alla eroica sua madre, se gli osceni accaparratori del sentimento nazionale italiano non sono riusciti a rubarci, dopo Filzi e Nazario Sauro, Cesare Battisti, che è stato così conservato alla riconoscenza nazionale di tutti gli italiani.

Alla sua mamma, veramente solida quercia sbattuta da tutti i fulmini e da tutte le tempeste, e ancora così eroica servitrice degli ideali democratici e repubblicani, vada la riconoscenza dell’Assemblea Costituente; e vada alla moglie di Luigi Battisti, alla sua degna compagna Enrica ed ai suoi tenerissimi figli, con l’assicurazione che la Repubblica Italiana non dimenticherà mai la riconoscenza che deve a questa tragica ed eroica famiglia italiana. (Vivi consensi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la onorevole Conci Elisabetta. Ne ha facoltà.

CONCI ELISABETTA. Mi unisco, a nome del gruppo della Democrazia Cristiana, all’unanime rimpianto per la tragica immatura fine dell’onorevole Battisti; ma vorrei, quale rappresentante del suo stesso collegio, aggiungere una parola di particolare cordoglio e di commosso ricordo per il figlio del grande Eroe trentino. Cesare Battisti personifica per tutti gli italiani, ma specialmente per i trentini, la Patria, il sacrificio eroico per la sua redenzione. Quando noi nel 1918, dopo l’armistizio, ritornammo dal confino o dalla guerra in Trento finalmente libera, con il tricolore finalmente issato sul Castello del Buon Consiglio, sentimmo che Cesare Battisti era divenuto un simbolo, e suo figlio Gigino ci apparve circondato dall’aureola della gloria paterna. Ma questo giovane, che a soli sedici anni, appena avuta notizia della morte del padre, aveva tentato di fuggire per arruolarsi, per correre a prendere il suo posto, e che poi con la sua costante tenacia era riuscito a farsi assumere nell’esercito ed era venuto tra i primi in Trento italiana, si conquistava anche personalmente la simpatia generale. Egli sembrava non accorgersene nemmeno ed attribuire ogni manifestazione di onore alla memoria del padre.

Durante il fascismo, Luigi Battisti non mutò atteggiamento in nessuna circostanza, per nessuna ragione. Fedelissimo alla eredità spirituale lasciatagli dal padre, geloso custode del pensiero di lui, non permise mai che la figura del Martire trentino fosse offuscata da ombra alcuna o venisse anche menomamente svisata per adattarla alle esigenze dei tempi nuovi, come altri uomini, meno saldi e meno fedeli di lui, avrebbero certamente fatto. Ad ogni tentativo in questo senso, richiamandosi all’esempio eroico di Cesare Battisti, il figlio resistette con fierezza indomita.

Dopo la liberazione, i trentini tutti lo vollero per primo sindaco ed egli si consacrò alla nuova fatica, non davvero facile, con profondo spirito di sacrificio, con dedizione assoluta e generosa; e soltanto allora, per amore della sua città, si giovò del suo nome e delle sue aderenze.

Come Deputato, ritiratosi dal municipio per leale riconoscimento dell’esito delle elezioni del 2 giugno, egli continuò l’opera fattiva e tenace a vantaggio della sua terra, e con i colleghi di Trento, militanti in partiti diversi, mantenne continuamente le più cordiali relazioni, corroborate dal rispetto reciproco e dalla mutua stima.

Si realizzò così una serena, schietta, concreta collaborazione, che rendeva l’attività di tutti veramente benefica al Paese.

Io sono sicura che Gigino Battisti avrebbe dato volentieri la sua vita, perché la collaborazione che lassù tra i suoi, tra i nostri monti, era divenuta feconda realtà, si attuasse nell’interesse del popolo nostro, in quest’ora grave per l’Italia, fra tutti gli italiani che amano la loro terra.

Sono sicura che questa attuazione sarebbe il tributo più bello, più gradito alla memoria di lui, il conforto più efficace al dolore inconsolabile della vedova e della madre. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Schiavetti. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Mi associo, a nome del Partito d’Azione, alle parole pronunciate dal Vicepresidente Terracini in memoria di Girolamo Grisolia e di Luigi Battisti.

Quando nel luglio scorso avemmo occasione di commemorare in quest’aula il trentesimo anniversario della morte di Cesare Battisti, nessuno di noi avrebbe mai pensato che pochi mesi dopo avremmo dovuto commemorare la morte del figlio, che aveva seguito tanto degnamente le orme del padre e che si era mantenuto nella scia del suo pensiero e della sua azione, dominato sempre dal doppio ideale della redenzione delle masse lavoratrici e della redenzione nazionale.

Ai motivi generali di cordoglio espressi per il luttuoso avvenimento che ha colpito la nostra Assemblea, mi permetto di aggiungerne uno particolare che è stato qui già accennato.

Quando, un anno prima della marcia su Roma, avevamo iniziato la lotta contro il fascismo, e il fascismo aveva sollevato contro di noi i fantasmi della Patria e degli interessi nazionali, improvviso giunse a Roma fra noi un giovane che portò alla nostra lotta il singolare conforto del suo grande nome; in quel giorno noi avemmo la più grande consolazione che potessimo sperare, allora, nella nostra lotta politica, perché sentimmo che quello che ancora vi era di più alto, di più puro in Italia era insieme con noi per smascherare la demagogia e la vergogna fascista.

Vada alla vedova, ai figliuoli e, soprattutto, alla madre, a quella che i devoti concittadini chiamano con affettuosa deferenza la signora Ernesta, vada a tutta la famiglia Battisti l’espressione della nostra solidarietà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. Interpretando il pensiero ed il sentimento dei colleghi tutti del gruppo del quale fo parte, mi associo con cuore profondamente commosso al cordoglio vivo manifestato dalle altre parti dell’Assemblea per la improvvisa scomparsa degli insigni colleghi onorevole Battisti ed onorevole Grisolia. Li abbiamo sempre sentiti e sempre ancora li sentiremo a noi fortemente uniti, al di fuori ed al di sopra delle ideologie, dall’amore infinito per la Patria nostra immortale, di quella Patria, per la quale Cesare Battisti combatté ed affrontò il sacrificio supremo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Maffi. Ne ha facoltà.

MAFFI. Il Partito comunista vuole che il suo tributo di affetto, di cordoglio e di ammirazione a Luigi Battisti, si aggiunga alla voce che si è levata da tutti i settori di questa Assemblea.

Noi abbiamo sempre visto nella modestia attiva di Luigi Battisti una vera, una sincera, una schietta, una nobile eredità spirituale.

Quell’uomo, che in tutta la sua vita dimostrò di non avere ereditato alcun privilegio dall’essere figlio d’un Eroe e d’un Martire, nella sua vita prese come dettame la vita del Padre.

Ricordo che durante quella guerra, che ci ebbe nella posizione particolare di non interventisti, noi distinguemmo Cesare Battisti dalla grande massa di altri, che avevano preso i più disparati atteggiamenti. Egli era cittadino austriaco, ma italiano nell’anima; egli corse tutti i rischi ed affrontò tutti pericoli per un senso di devozione alla libertà del proprio Paese, perché la sua anima di socialista non era in conflitto con la sua anima di italiano.

Quell’Uomo si avviò alla morte fiero, superbo, sdegnoso e modesto, sereno.

E coloro che lo accompagnavano, di scorta, al patibolo, avevano il capo chino al suo fianco; sapevano di compiere opera di scherani a danno di un uomo simbolo, il simbolo della rivendicazione patria, della rivendicazione della libertà della Patria, a cui noi, appunto perché internazionalisti, siamo tutt’altro che estranei, come abbiamo dimostrato in tutti i momenti della vita italiana. Il fascismo, sfruttatore ignobile di tutto ciò che v’era di nobile nella vita italiana, cercò di sfruttare la memoria di Cesare Battisti col tentativo di adescare la madre e il figlio, la compagna di Cesare Battisti e il figlio. Invano: Luigi Battisti sapeva tutto ciò che aveva da conservare della sua eredità spirituale; e la vita di quell’uomo, che fu sempre lottatore, ebbe uno sbocco graduale verso il riconoscimento di ciò che è essenziale nella vita veramente elevata, veramente sana, veramente morale di un paese: il riconoscimento del diritto del lavoro. E perciò egli gradatamente si accostò alle linee del Partito socialista ed entrò a far parte di questo Partito stesso come lottatore concreto; ma nella forma la più modesta, nella forma la meno appariscente, attraverso una vita di semplicità, di bontà, di lavoro, che era propagandistica, perché era schietta, perché era onesta: poiché questa è la più grande forza di tutti gli elementi propagandisti.

Io ho conosciuto Luigi Battisti in Svizzera, e l’ho visto al fianco della sua impareggiabile compagna, quasi fratello dei suoi teneri bambini. La sua compagna è veramente una eletta educatrice dei figli. Gigi Battisti morendo ha pensato che la sua eredità poteva essere trasmessa ai suoi figli come esempio, perché la sua compagna avrebbe certamente coltivato tali principî nella educazione sana, leale e onesta dei suoi figliuoli.

Noi perciò mandiamo un pensiero commosso alla madre di Luigi Battisti, alla sua compagna e ai suoi figli. Noi plaudiamo alla sua opera, la quale deve servire di esempio.

Poiché quest’opera deve servire di esempio, io penso che sia qui doveroso ricordare anche la figura di Girolamo Grisolia, al quale tributiamo tutto il nostro rimpianto, perché la sua morte è una grave perdita per il Partito repubblicano, per quel grande Partito che rappresenta un nucleo che può e che deve essere fattivo, concretamente fattivo, nella vita della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Badini Confalonieri. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. A nome del Gruppo parlamentare liberale, mi associo alle espressioni di cordoglio e di rimpianto dei colleghi di questa Assemblea per la immatura dipartita dell’onorevole Battisti; ed è partecipazione che, provenendo da persone che non sono della sua parte politica, vuole essere leale riconoscimento del contributo di italianità da lui offerto; leale riconoscimento fatto con viva cordialità di espressione e con non minore intensità di sentimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Gabrieli. Ne ha facoltà.

GABRIELI. Le mie modeste parole vogliono esprimere il mio personale rimpianto e quello più vasto del Foro di Roma che con Girolamo Grisolia ha perduto un campione di probità, una sicura difesa del suo prestigio, delle sue luminose tradizioni.

Dalla nativa Calabria, Grisolia portò nell’arringo romano un empito di fierezza che lo animò costantemente nelle quotidiane fatiche professionali.

Credente nella libertà e nella democrazia, il suo spirito negli anni tristi della dittatura trovò nella toga il rifugio necessario per ripararsi dagli assilli soffocanti della tirannide.

Lo vidi esultare come un fanciullo nei giorni della liberazione e poi confondersi e sparire tra le moltitudini acclamanti.

Sotto le bandiere di un glorioso Partito la sua fede riarse ed egli ne comunicò la fiamma a vaste masse di popolo.

Il destino gli ha reciso la vita nel pieno meriggio delle sue forze: nell’ora in cui la sua esperienza e la sua dottrina avrebbero dato valido contributo ai nostri dibattiti.

A nome anche del gruppo parlamentare democratico-cristiano, esprimo l’espressione del nostro cordoglio alla famiglia desolata.

Voglia il Presidente dell’Assemblea Costituente rendersi interprete presso la famiglia desolata dei nostri sentimenti di dolore.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sardiello. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Poche volte questa Assemblea durante i suoi lavori ha veduto Girolamo Grisolia. Dai primi giorni il male lo colse e lo allontanò da quest’Aula. Per questo molti colleghi non hanno forse avuto occasione di conoscerlo appieno. Ma chi ha vissuto od ha seguito in questi anni l’attività politica nella Nazione liberata, anche nel campo dei partiti, sa che il valore ed il merito di Girolamo Grisolia avevano già avuto il riconoscimento del Paese, prima di quello del corpo elettorale. Valore e merito, come accennava il collega Gabrieli, nel campo professionale, ma valore e merito anche nel campo degli studi politici e sociali, e valore e merito di cittadino. E non erano, onorevoli colleghi, tre attività diverse: erano gli aspetti di un carattere forte e sintetico, il segno della terra di Calabria natia. Perché in Girolamo Grisolia il problema giuridico che egli proponeva al suo pensiero, acquistava vivezza e forza per l’aderenza che egli sapeva imprimergli alla realtà politica e sociale; e così prorompeva l’imperativo categorico del dovere del cittadino.

Per questo egli, pur giovanissimo, poté e seppe trovare nella sua cultura e nella sua coscienza la forza di resistere alle lusinghe, alle minacce del fascismo trionfante e di superarle. Per questo egli, conoscitore acuto ed appassionato studioso del pensiero mazziniano, ne approfondì il lato più attuale, dopo la proclamazione della Repubblica, rilevando il contenuto sociale dell’idea mazziniana in una pubblicazione di altissimo pregio; dacché Girolamo Grisolia sentiva l’ansia che oggi sale dall’anima del popolo e la fa anelante di una profonda trasformazione nella quale, secondo l’insegnamento di Giuseppe Mazzini, la libertà sia garantita e difesa e trionfi alla fine non disgiunta dalla giustizia sociale.

Per questo egli alla sua visione ideale consacrò anche la sua azione pronta, tenace, della quale il magnifico epilogo fu la battaglia istituzionale che egli combatté in due collegi diversi e lontani: nella Calabria, dalla quale si era allontanato ancora fanciullo, e qui a Roma. Ed ebbe da quella battaglia, che ha stremato le sue forze fisiche, più che la soddisfazione del successo personale (del quale non era ambizioso) la gioia di vedere – e questo accendeva il palpito più vivo della sua anima – che nella sua terra lontana, percossa e abbandonata da tanti decenni in mano alle clientele che deformano la lotta politica nelle beghe meschine, poteva trionfare ed aveva trionfato un principio nel nome dell’ideale repubblicano. Patì anch’egli il brivido di amarezza che in certi momenti prende tutti noi vedendo la grande opera ancora combattuta, incompresa, non ancora compiuta; ma lo fronteggiò, lo vinse con una fede che è il retaggio spirituale più nobile che noi prendiamo da lui; lo fronteggiò, lo vinse, con la fede che fatalmente gli ideali di libertà e di giustizia dovranno avere il loro trionfo, che sarà il trionfo del popolo, con la forza e nel nome della Repubblica italiana.

Con questo animo il Gruppo parlamentare repubblicano, a nome del quale ho l’onore di parlare, ed i repubblicani di Calabria, che qui rappresento, si inchinano reverenti alla memoria di Girolamo Grisolia e ricordano il monito che nelle ultime appassionate parole dell’onorevole Maffi mi è parso vibrante; il monito mazziniano che ora più che mai deve essere vivo per noi ed in quest’Aula: oggi ogni commemorazione che non sia una promessa è una profanazione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

CARBONI. A nome del gruppo parlamentare del Partito socialista dei lavoratori italiani, e come collega in deputazione per la circoscrizione di Roma e nell’esercizio professionale, mi associo alle nobili parole con le quali il nostro Presidente ha espresso il commosso cordoglio dell’Assemblea per l’immatura scomparsa dell’onorevole Grisolia. Dotato di uno squisito senso di equilibrio e di responsabilità e di un carattere saldo e rettilineo, egli, per quanto modesto e riservato, aveva la tempra del combattente tenace e coraggioso dell’idea repubblicana e democratica. E noi rimpiangiamo dal profondo del cuore che egli sia mancato troppo presto e quando ancora tanto contributo di ingegno e di fede egli avrebbe potuto dare alla nascente Repubblica ed alla risorgente democrazia italiana.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. A nome del gruppo liberale, mi associo al cordoglio che prova l’Assemblea per la dipartita dell’onorevole Grisolia. Ma mi associo anche a nome della mia terra. Non è il liberale, non è l’avversario che ha combattuto contro di lui la lotta elettorale; è il calabrese che sente il dolore profondo per la dipartita di un altro calabrese; di un calabrese che, onorando se stesso e combattendo per le sue idee ben diverse dalle mie, onorava la mia terra ed onorava me che, come lui, a quella terra appartengo. Onorava tutta la nostra Calabria e noi, che dalle nostre montagne e dai nostri mari siamo assurti ad una armonia superiore, al di là delle divisioni di opinione e di pensiero, al di là delle ostilità necessarie delle battaglie, e che sentiamo, tutti noi calabresi, l’impulso a che questa nostra armonia si estenda all’intiera patria italiana. E lo rimpiangiamo e lo rievochiamo con l’impegno di questa nostra passione italiana di unità e di armonia, la quale ancor manca in Italia e che ognuno di noi, nel proprio campo, cerca affannosamente di raggiungere.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Dugoni. Ne ha facoltà.

DUGONI. Il gruppo parlamentare del Partito Socialista Italiano si associa alle nobili parole che sono state pronunciate per commemorare il collega Girolamo Grisolia. Il Partito Socialista tiene a ricordare, in questa circostanza dolorosa, che era legato a Girolamo Grisolia da due vincoli: l’amore per la Repubblica e l’amore per il progresso e la soluzione del problema sociale. Con questo io credo di interpretare il pensiero di tutti i miei compagni di gruppo, pregando il Presidente di rivolgere alla famiglia di Grisolia tutto il senso del nostro cordoglio per la sua immatura dipartita.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. A nome del gruppo democratico del lavoro, mi associo alle nobile parole dette dai colleghi per commemorare l’onorevole Battisti. Quando, in una sera di dicembre, poche ore dopo la chiusura dei lavori dell’Assemblea, apprendemmo della tragica morte di Gigino Battisti, rimanemmo atterriti, soprattutto per una specie di beffa che il destino tragicamente aveva voluto giocare a questo meraviglioso combattente della libertà e della democrazia.

Gigino Battisti, che aveva rischiato la vita, che aveva compiuto ogni sacrificio in omaggio alla sua terra, che aveva in ogni momento combattuto per la libertà e la democrazia, doveva perdere la vita nel più banale degli incidenti; Gigino Battisti, da un investimento fatale, doveva essere strappato al nostro affetto e soprattutto all’affetto della sua terra e della Patria.

Ed ancor più vivo è in me il dolore per la perdita di Girolamo Grisolia che io ricordo magnifico combattente della democrazia rifulgere nel vaglio del periodo di lotta clandestina. Egli affrontava il rischio con quel suo sorriso sempre uguale ed allorché si trovava a combattere la sua bella battaglia per la democrazia e per la Repubblica era contento, perché vedeva diventare realtà la sua più grande aspirazione.

Egli era sempre animato dalla speranza di poter ritornare al suo lavoro, alla sua famiglia, dopo aver combattuto questa bella battaglia che ogni giorno combattiamo.

È motivo di grande tristezza questa sera per noi il commemorare questi nostri due compagni scomparsi, è una tristezza profonda per aver perduto due compagni di lotta lungo il nostro cammino, poiché essi non possono più lavorare con noi e non possono con noi combattere le altre battaglie per la democrazia del nostro Paese e per i supremi interessi della Patria.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Di Gigino Battisti è detto tutto, quando si può affermare che egli portò con onore e con notevole vantaggio per la sua e mia città il nobilissimo peso del suo grande nome.

Mi associo col più vivo sentimento di personale amicizia al cordoglio della Camera, della sua regione, della sua famiglia.

Mi inchino del pari alla cara e degna memoria del Vicepresidente del gruppo parlamentare repubblicano Girolamo Grisolia.

Dimissioni del Presidente dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Comunico che, in data del 12 gennaio, ultimo scorso, mi è pervenuta la seguente lettera:

«On. Avv. Umberto Terracini

Vicepresidente dell’Assemblea Costituente

Roma

«Rassegno le dimissioni da Presidente dell’Assemblea Costituente.

«La prego di comunicare all’Assemblea tali mie dimissioni, perché voglia prenderne atto.

«Gradisca, onorevole collega, l’espressione della mia più alta considerazione.

«Giuseppe Saragat».

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Conti. Ne ha facoltà.

CONTI. Propongo all’Assemblea di non accettare le dimissioni del Presidente Giuseppe Saragat. Noi conosciamo i motivi della sua determinazione: sono le polemiche interne del partito al quale appartiene.

In quest’aula non sembra che debbano avere eco le discussioni interne dei partiti. Noi dobbiamo compiere un’opera serena, improntata agli ideali dei partiti politici, ma non turbata dalle discussioni e dalle polemiche che si svolgono fuori di qui.

Abbiamo bisogno di grande serenità. A me sembra che l’Assemblea debba apprezzare questo punto di vista, e per questo motivo debba respingere le dimissioni dell’onorevole Saragat.

Abbiamo conosciuto l’onorevole Saragat nella sua azione politica, nobilissima sempre, serena. Lo abbiamo visto al seggio presidenziale, sereno, imparziale, cortese verso tutti. Non possiamo in quest’aula trascurare la valutazione di questa situazione ed accogliere le sue dimissioni. Chiedo all’Assemblea di respingerle. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto la parola l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Non intendo interferire in una questione di esclusiva competenza dell’Assemblea; ma poiché il Presidente Saragat ha sempre collaborato con opera fraterna ed efficace con il Governo, è lecito e doveroso che io esprima l’augurio che tale cooperazione possa continuare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io mi sento imbarazzato, ma poiché in questa Assemblea soltanto l’onorevole Conti e l’onorevole Presidente del Consiglio hanno espresso il loro parere, desidero esporre il mio punto di vista.

Sono noti a tutti i rapporti di grande amicizia che legano molti di noi, e me in modo particolare, all’onorevole Saragat, e per la comunanza della lotta politica e della lotta clandestina, e per la ferma decisione di fare e di difendere la Repubblica. Ma è appunto per questi rapporti personali, che sono diventati rapporti di grande e reciproca amicizia, che mi permetto esprimere un parere contrario a quello espresso dal Presidente del Consiglio e dall’onorevole Conti. Non si tratta di una questione sentimentale. Noi saremmo tutti perfettamente d’accordo nel ritenere che l’onorevole Saragat debba rimanere al suo posto di Presidente dell’Assemblea, per cui riscuote tanta unanimità di fiducia e di consensi; ma, a mio parere, questa è una questione puramente politica ed ho l’impressione che se noi respingessimo le dimissioni, scenderemmo ad una specie di corruzione parlamentare. (Commenti – Rumori).

Nella Camera, italiana, il Presidente appartiene, per tradizione costante, ad uno dei partiti della maggioranza, cioè il Presidente della Camera deve avere un certo rapporto di solidarietà politica con il Governo. (Commenti – Rumori).

Evidentemente io dissento dall’opinione di parecchi, o della maggioranza, dei colleghi, ma ho il dovere di esprimere il mio dissenso. Ho l’impressione che di fronte al Governo che si è costituito, il Presidente della Camera Saragat, che appartiene ad un gruppo che non ha dato la sua collaborazione al Governo, si troverebbe in una situazione di disagio. (Commenti – Rumori).

Mi permettano, gli onorevoli colleghi, di affermare che è una pura questione politica quella che io sollevo.

La Camera italiana non è come la Camera inglese, dove il presidente spesso non appartiene alla maggioranza. Alla Camera dei Comuni lo Speaker assiste quasi sacerdotalmente alla cerimonia. Tutto si svolge secondo una procedura tradizionale che dura da secoli. Chi ha avuto occasione di assistere alle Assemblee della Camera dei Comuni sa che ogni Deputato prende la parola seguendo il suo turno, secondo l’ordine del giorno, ed il Presidente della Camera non interviene quasi mai. Da noi non è la stessa cosa. Ecco perché mi permetto di dissentire dalla proposta fatta, nell’interesse della democrazia parlamentare dell’Assemblea. (Commenti). Poiché ho l’impressione che il Governo che si è costituito presti per molte ragioni il fianco a parecchie critiche, credo che l’onorevole Saragat sarà più legato alla democrazia parlamentare di questa Assemblea stando al suo banco di Deputato che non alla Presidenza. (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, il collega Lussu ha sollevato una questione di pura politica. Credo non sia oggi nostra funzione affrontare tale questione: spetterà, se mai, all’onorevole Saragat affrontarla e prendere liberamente le sue decisioni secondo la sua coscienza. Per quanto ci riguarda, nostro dovere è compiere un atto di deferenza verso un uomo, il quale ha presieduto la nostra Assemblea con dignità, con imparzialità, con signorilità. Per questo mi associo a nome del mio gruppo, alla proposta, fatta dall’onorevole Conti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta dell’onorevole Conti, alla quale si è associato l’onorevole Togliatti, di respingere le dimissioni dell’onorevole Saragat.

(La proposta è approvata – Vivissimi applausi).

Presentazione di relazioni.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ciampitti a recarsi alla tribuna per la presentazione di alcune relazioni.

CIAMPITTI. Ho l’onore di presentare due relazioni della Commissione per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Parise Michele per il reato di vilipendio della Assemblea Costituente (Doc. I, n. 3-A) e del deputato Colombi per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 4-A).

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ciampitti della presentazione di queste relazioni. Saranno stampate e distribuite.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza, durante la sospensione dei lavori e nella seduta odierna.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della guerra, per conoscere se il Governo abbia fatto quanto era necessario per onorare degnamente i nostri eroici caduti di Cefalonia (400 ufficiali e 8000 soldati), raccogliendone le salme in un degno Cimitero, la cui custodia potrebbe essere affidata a dei religiosi italiani presenti nell’isola.

«Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per la pronta riattivazione del doppio binario sulla linea Roma-Formia-Napoli.

«Porzio».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se sia a conoscenza dell’avvenuto arresto dei dirigenti del Partito d’azione a Trieste e se non ritenga di segnalare alle competenti autorità l’impressione sfavorevole che questo arresto ha suscitato nel Paese.

«Cianca, Calamandrei, Codignola, Foa, Lombardi Riccardo, Lussu, Mastino Pietro, Schiavetti, Valiani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga necessario – nell’attuale situazione di grande bisogno in cui versano vaste masse di disoccupati di ogni categoria – di emanare un provvedimento transitorio, inteso a subordinare qualsiasi assunzione in ruolo o fuori di ruolo presso tutte le pubbliche Amministrazioni, all’accertamento delle condizioni economiche e familiari di ciascun concorrente, e a stabilire opportune preferenziali, nelle graduatorie degli idonei, a favore dei candidati meno abbienti.

«Gui, Franceschini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se intenda aumentare le indennità ai membri delle commissioni distrettuali e provinciali per le imposte, che oggi vengono remunerati con appena lire 45 per ogni ricorso definitivo e per ogni sentenza rispettivamente compilata, con fatiche spesso non lievi e con studi prolungati. Se tali indennità venissero equamente ed umanamente aumentate, ed insieme si rimborsassero adeguatamente le spese di viaggio che le suddette persone debbono sopportare per raggiungere la sede dei loro lavori, senza dubbio avrebbe incremento il rendimento dell’opera loro, con vantaggio delle entrate fiscali, ed i Commissari conseguirebbero l’indipendenza indispensabile al giusto adempimento delle loro mansioni.

«Recca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda esonerare, previo controllo sull’effettivo carattere cooperativistico degli enti, da qualsiasi tassa ed imposta, le Società cooperative in genere ed in special modo quelle di consumo; o, per lo meno, se non intenda diminuire sensibilmente i gravami fiscali che oggi opprimono le cooperative stesse e che ne rendono grama la esistenza, o, peggio, finiscono per trascinarle alla liquidazione o al fallimento. Non possono, né debbono, infatti, agli effetti fiscali, codesti Enti venire equiparati alle altre Società con forti capitali e con mire speculative, o a quei commercianti, che in dispregio del fisco, non presentano bilanci sinceri, così come necessariamente li presentano le cooperative, le quali, mirando veramente a scopi di utilità pubblica, con modesti capitali, operano come calmieri sui mercati, e alleviano il disagio economico che opprime le classi meno abbienti.

«Recca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, dopo il provvedimento di amnistia per dolose azioni politiche, concesso in occasione della proclamazione della Repubblica italiana, non creda giusto, anche per senso di perequazione, un provvedimento a favore di quei reduci dal campo di concentramento di Coltano, che abbiano aderito, e solo per necessità di esistenza, alla cosiddetta repubblica sociale italiana (come risulta dal loro foglio di congedo), senza aver partecipato a nessuna azione criminosa e che oggi sono esclusi da tutti i concorsi, vedendosi preclusa ogni possibilità di vita onesta ed operosa.

«Recca».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non intendano dare disposizioni alle Prefetture perché si provveda alla abolizione delle cosiddette squadre di privati cittadini per il reperimento annonario. Tali squadre, per vero, oltre a non raggiungere gli intenti loro prefissi e animate non poche volte da spirito di parzialità, hanno dato luogo ad incresciosi incidenti, turbando quella serenità che deve presiedere al lavoro in qualunque settore esso si svolga.

«Bovetti, Stella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, per conoscere se gli risulti che richieste da parte di laboratori scientifici statali, rivolte ad ottenere l’assegnazione gratuita di materiale da laboratorio in possesso dell’A.R.A.R., non siano state accolte e se non ritenga di dichiarare quali ostacoli si frappongono al loro accoglimento: considerando il fatto che l’attuale depauperamento dell’attrezzatura di ricerche scientifiche consiglia il massimo interesse da parte dello Stato, anche allo scopo di permettere ai ricercatori e scienziati italiani possibilità di utile lavoro in Patria, e all’industria, sia privata che controllata dallo Stato, di superare l’attuale stato di arretratezza tecnica.

«Foa».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi, per i quali si sono arrestate le pratiche relative alla ricostituzione dei Comuni soppressi dal fascismo; se non ritenga di dover invece accelerare la definizione delle pratiche stesse, allo scopo di venire incontro al desiderio delle popolazioni interessate, che attendono il riconoscimento del loro diritto; se non ritenga che il parere espresso dalla prima Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, in riferimento alla deliberazione della seconda Sottocommissione per il progetto della Costituzione non possa arrestare il procedimento di ricostituzione in quanto detta delibera è soltanto una proposta, che in alcun modo può modificare, fino a che non sia approvata, la legge vigente; se detto parere non debba per lo meno limitarsi alla creazione di nuovi Comuni e non al ristabilimento di un diritto, confiscato dal regime fascista in contrasto con la volontà delle popolazioni interessate.

«Uberti, Cavalli, Vicentini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga giusto estendere anche agli agenti forestali impiegati in servizio di ordine pubblico durante le elezioni, il beneficio dell’indennità straordinaria già corrisposta agli altri agenti della forza pubblica.

«Fresa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere a quale principio si ispiri e a quale esigenza pratica risponda la circolare 7 giugno 1944, n. 1, n. 111800 1 l/110-I-17, che dispone l’eliminazione dal servizio entro il più breve tempo possibile di tutti gli ufficiali e sottufficiali dell’Arma dei carabinieri che abbiano riportato una sanzione disciplinare anche lievissima per fatti già vagliati dalla Commissione di epurazione o dal Consiglio di Stato e per i quali furono assolti con formula piena.

«Fresa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le provvidenze che intende adottare, affinché le scienze sperimentali, e in particolare le scienze fisiche, possano, in maniera adeguata al moderno sviluppo della ricerca, assolvere decorosamente al loro compito per la dignità morale e il maggiore progredire della vita della Nazione.

«Medi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per sapere se non ritengano di dover finalmente adottare provvedimenti che valgano a sanare la gravissima ingiustizia che si è finora commessa a danno degli Arcivescovi e Vescovi i quali percepiscono ancora gli assegni d’anteguerra, talmente inadeguati alle loro necessità da dover ritenerli offensivi e della loro dignità e della serietà dello Stato.

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per apprendere se intenda, senza ulteriori tergiversazioni, emanare l’atteso e non più rinviabile provvedimento di definitiva trasformazione in autonoma della Sezione provvisoria della Corte d’appello di Messina funzionante da più anni a Reggio Calabria, in conformità del preciso impegno scritto e orale, ripetutamente e personalmente assunto.

«Tripepi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri della marina militare e marina mercantile, per conoscere se il Governo abbia preso in esame i complessi problemi derivanti dalla prevista demilitarizzazione dell’isola di La Maddalena che minaccia l’avvenire dell’intera popolazione di 12.000 anime e interessa l’economia di tutta la Gallura, e quale seguito intenda dare alle richieste formulate dalla locale Amministrazione che così si compendiano: 1°) istituzione di una zona franca; 2°) trasformazione della base navale in cantiere civile; 3°) costruzione di un bacino di carenaggio.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per chiedere se non ritenga giusto il momento di restituire alle famiglie le salme dei Caduti dispersi nei vari cimiteri in Italia. Per sapere, inoltre, se sono in corso pratiche a questo riguardo e quale indirizzo si penserebbe di seguire; se si sono iniziati accertamenti e pratiche, per conoscere dove ebbero sepoltura i nostri Caduti lontano dal suolo metropolitano, in modo da poterne dare notizia e conforto al maggior numero possibile di madri e di congiunti inconsolabili nel loro dolore.

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda urgente la creazione di un Ente nazionale di assistenza agli artisti, controllato dal Ministero della pubblica istruzione, che si ponga lo scopo di aiutare e sorreggere moralmente e materialmente i sacerdoti dell’arte, per impedire che tante giovani energie vengano perdute per il progresso dell’arte italiana.

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda urgente la istituzione di un Ente nazionale di assistenza ai lavoratori intellettuali al fine di assistere moralmente e materialmente gli intellettuali disoccupati di tutte le categorie; disoccupati che aumentano vertiginosamente di anno in anno, con l’inflazione delle lauree di tutte le Facoltà, senza che nessuna autorità si preoccupi di avvertire i giovani che la laurea non è un punto di arrivo, bensì il punto di partenza di una serie infinita di amarezze e delusioni.

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per la carriera dei maestri elementari fuori ruolo idonei a uno o più concorsi. Trattandosi di elementi di una certa età e con famiglia a carico, sarebbe atto di giustizia l’esentare tali maestri dal partecipare a nuovi concorsi e dichiararli titolari di ruolo in modo da poterli sistemare al più presto, così come è stato fatto per gli idonei dell’ultimo concorso delle Scuole medie.

«D’Amico Diego».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere le ragioni per le quali nella rinnovazione del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 106, non si sia tenuto conto degli emendamenti suggeriti dall’A.N.P.I., e – poiché questo fatto ha provocato un vivace e giustificato malcontento fra tutti gli ausiliari di polizia – per chiedere che venga temporaneamente sospeso il decreto stesso onde poter riesaminare le proposte dei partigiani, che intendono difendere i diritti acquisiti in un anno e più di servizio a protezione dell’ordine e del Paese.

«Faralli, Barbareschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda adottare nei confronti del professore Petini, preside dell’Istituto tecnico di Teramo, il quale fa sospendere le regolari lezioni per consentire a religiosi di trattenere la scolaresca in conferenze di carattere spiccatamente anticomunista, cosa che ha già suscitato il risentimento di gran parte della scolaresca stessa e di numerosi insegnanti, i quali, giustamente, ritengono che le aule scolastiche, nelle ore di studio, non debbano servire a comizi politici che offendono partiti e Capi di Governi esteri.

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se sia al corrente delle richieste fatte dai geometri, periti agrari e studenti di numerose città tendenti ad ottenere la facoltà di adire agli studi universitari; diritto di cui hanno goduto fino all’anno 1923 e del quale furono privati dal Ministro Giovanni Gentile. E per sapere se non ritenga opportuno soddisfare con sollecitudine questa giusta richiesta, sia in omaggio ad un principio di giustizia, sia nell’interesse nazionale, che vuole sia favorita la formazione di tecnici sperimentati e volonterosi.

«Corbi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intenda prendere in riferimento all’aumento del contributo e alla proroga della concessione del premio di acceleramento per le riparazioni edilizie.

«Bargagna, Bibolotti, Baldassarri, Barontini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda predisporre onde ricondurre alla normalità la situazione della stampa quotidiana, gravemente pregiudicata, nella sua missione, dalla limitazione della carta. L’interrogante ritiene che una tempestiva azione di Governo risponderebbe ad un duplice interesse d’ordine nazionale:

1°) convogliare la grande massa del pubblico verso letture accessibili e di elevato livello, quali, per tradizione, le terze pagine dei quotidiani, oggi soppresse, a vantaggio esclusivo di libelli infamanti e corruttori;

2°) scongiurare il pericolo che le categorie degli autentici scrittori e dei giornalisti siano gradualmente e fatalmente eliminate (con enorme scapito di quella formazione spirituale e culturale così essenziale ai fini della ricostruzione) ed a beneficio della più bassa ed equivoca speculazione pubblicitaria. Ritiene infine l’interrogante che si debba veramente questo riconoscimento ai grandi quotidiani per il senso di responsabilità e di dignità dimostrato nell’ambito della libertà di stampa.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se ritiene conforme ai fini della scuola ed alla sana educazione della gioventù, l’aver richiamato all’insegnamento nelle scuole elementari di Venzone (Udine) Barbieri Serafino, ex giudice conciliatore, sciarpa littorio, centurione della milizia e podestà durante il periodo repubblichino.

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio, del tesoro, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se intendono estendere all’Italia meridionale, il decreto legislativo 8 maggio 1946, n. 470, emanato per l’Italia settentrionale, relativo all’indennizzo agli agricoltori, che non hanno potuto, per cause di forza maggiore, consegnare agli zuccherifici le bietole da essi obbligatoriamente coltivate nella campagna 1944.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post-bellica, per sapere con urgenza se essi sono a conoscenza che in Russia, contrariamente a quanto è stato dichiarato, vi sono ancora dei prigionieri italiani, tra cui alcuni ufficiali e due cappellani, e se intendano svolgere la doverosa azione per il rimpatrio.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se intendano istituire cattedre di ruolo di storia dell’arte nei licei ed inquadrare in pianta organica i professori abilitati ed in servizio.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se intendano istituire nelle Università una cattedra ufficiale di «Storia e legislazione comparata del lavoro» o, quanto meno, rendere biennale il corso di «Diritto del lavoro» trasformandolo in «Storia e diritto del lavoro».

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’interno, della guerra e della marina militare, per sapere se l’ultimo comma della nota che si riporta, sia stato incluso in ottemperanza a istruzioni impartite dai Comandi superiori, o se invece sia dovuto a deprecabili sentimenti antidemocratici del firmatario della nota stessa. «Al Comando deposito C.E.M.M. Commissione arruolamenti volontari, Venezia. L’aspirante in oggetto risulta di buona condotta morale e politica, senza precedenti o pendenze penali a questi atti. Non ha collaborato coi nazi-fascisti e con altre organizzazioni. Si fa però notare quale acceso aderente a partiti estremisti e come tale non gode la stima del pubblico, che, nella maggioranza, propende per partiti di destra. Il maresciallo maggiore comandante, Antonio Mocerino, Montebelluna, 7 dicembre 1946». Merita sottolineare che l’ultima parte dell’informazione, è stata espressamente aggiunta in calce al modulo d’uso per normali informazioni.

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina militare, per conoscere l’esattezza della notizia pubblicata da vari giornali settimanali circa l’ordine dato, e pare eseguito, di distruggere tutto il materiale dimostrativo dell’eroico comportamento dei marinai d’Italia prima dell’8 settembre 1943. Si spera trattarsi di una panzana giornalistica, non potendosi ammettere una diversa valutazione dell’eroismo italiano, stabilita da una data. Si chiede anzi, se non si senta la necessità di onorare pubblicamente i nostri morti, eroici fratelli caduti sul mare in ogni tempo. (L’interrogante chiede l’urgenza per la sua interrogazione).

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere se non creda necessario deplorare il comportamento di determinate Camere del lavoro dell’Italia meridionale, denunziando i dirigenti responsabili per il sabotaggio del Prestito della Ricostruzione, speranza per la comune salvezza, effettuato con gli scioperi a catena.

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per i quali si starebbe per concedere nel comune di Negrar una nuova licenza di cinematografo chiuso, contrariamente alla volontà delle popolazioni interessate espressa dalle autorità locali e in particolare dal capo dell’amministrazione comunale; e per sapere come possa essere avvenuto che siano stati non esattamente o parzialmente informati gli organi centrali circa i dati di fatto e precisamente si sia affermato che il comune di Negrar conta 8 mila abitanti, senza aggiungere che è costituito di sette paesi (Negrar, Arbizzano, Montecchio, Torbe, Prun, Marzano e Fane) con distanze dal capoluogo fino a 8 chilometri; si sia affermato che esiste un solo cinematografo, mentre nell’ambito del Comune ne esistono tre; si sia affermato che nel cinema del capoluogo vi siano 286 posti, mentre quelli a sedere sono 344.

«Uberti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se il Governo intenda sistemare in carriera quei pochi magistrati nominati dal Governo alleato, in servizio da oltre tre anni, attualmente in carica; come è stato già disposto dal Ministro dell’interno per i commissari di pubblica sicurezza e dal Ministro della pubblica istruzione per i docenti universitari nominati dal Governo alleato, mentre pare che un simile provvedimento stia per essere adottato nei confronti dei dipendenti dell’Amministrazione finanziaria. L’eventuale sistemazione dei magistrati predetti risponderebbe ad evidenti criteri di giustizia e di equità, potendo essi legittimamente aspirare ad una giusta sanatoria in forza dell’articolo 2 della legge 31 agosto 1945, n. 571, che prevede espressamente la possibilità della immissione nei ruoli dei funzionari nominati dal Governo alleato. Nel contempo l’Amministrazione della giustizia si gioverebbe di elementi di provata capacità ed esperienza. Del resto lo stesso onorevole Ministro di grazia e giustizia ha già ravvisato l’opportunità, mediante la legge 6 aprile 1946, di assumere nella Magistratura vice pretori onorari, procuratori legali e laureati in giurisprudenza, in favore dei quali depone solo una semplice presunzione di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie, mentre i magistrati nominati dal Governo militare alleato, tuttora in carica, sono stati già provati da non breve esperienza e dànno affidamento di sicura garanzia.

«Romano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere – nel momento in cui l’Assemblea Costituente sta per accogliere nei nuovi ordinamenti della Repubblica italiana la giusta ed antica aspirazione della Magistratura alla sua piena ed effettiva indipendenza, che ha come indispensabile premessa la leale accettazione e comprensione da parte di tutti i magistrati, a cominciare da quelli investiti dei più alti uffici, della legalità repubblicana – se siano vere le notizie riferite dalla stampa su recenti episodi, i quali potrebbero far ritenere che altissimi magistrati in adunanze solenni si compiacciano di ignorare la Repubblica e pubblicamente rifiutino al Presidente della Repubblica quel non servile ossequio che in regime democratico è dovuto al Capo dello Stato, simbolo dell’unità, della concordia e della sovranità del popolo; e, qualora tali notizie siano vere, per conoscere quali immediati provvedimenti intenda prendere o promuovere per far sì che nel popolo rimanga intatta la fiducia nella Magistratura e per evitare che, in seguito alla impressione suscitata da siffatti isolati gesti individuali, l’opinione pubblica possa essere indotta a considerare con timore quelle garanzie di assoluta indipendenza che stanno per essere date alla Magistratura e a diffidarne come di possibili pericolosi strumenti di resistenza e di ostilità contro le istituzioni repubblicane.

«Calamandrei».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere per quali ragioni, con inescusabile sperpero del pubblico danaro, sia conservato in funzione, dopo oltre venti mesi dalla cessazione d’ogni azione bellica, il minuscolo ospedale della Croce Rossa, che occupa oltre metà del fabbricato delle scuole «IV Novembre» in Udine, ad onta che l’Autorità militare disponga, per circa duecento degenti, dell’intero ospedale vecchio, capace d’oltre settecento letti, e quando il nuovo Ospedale civile versa in penosissima allarmante deficienza di spazio e il Comune non dispone di sufficienti edifici per la sua popolazione scolastica.

«Cosattini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno per sapere quali provvedimenti intenda adottare contro il Prefetto di Palermo, che, violando apertamente la legge, venendo meno ai doveri di tutela della dipendente amministrazione comunale di Lercara e rendendosi inconsapevole strumento di privati interessi in contrasto con quelli della predetta amministrazione, illegittimamente ed arbitrariamente invitava quel sindaco a revocare nel termine perentorio di tre giorni un decreto con il quale era stata disposta per gravi e conclamate ragioni di urgente necessità pubblica, ai sensi dell’articolo 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2258, all. E, la occupazione dell’Azienda elettrica di Lercara, ed avuta dal sindaco risposta negativa, per quanto largamente motivata, offendendo il prestigio degli ordinari amministratori, riteneva di potere, in applicazione dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale, inviare in quel Comune un Commissario prefettizio allo scopo di gestire il servizio elettrico, senza che ne ricorressero le condizioni di legge e sotto lo specioso pretesto di assicurare il detto servizio, già perfettamente assicurato dal provvedimento del sindaco e per garantire una imparzialità nella gestione, che svolgendosi esclusivamente nell’interesse del Comune, non poteva, né può interessare il privato, di cui il Prefetto di Palermo ritenne di dovere assumere la premurosa tutela.

«Finocchiaro Aprile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e i Ministri dell’assistenza post-bellica e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati adottati o si intenda adottare per lenire, anche in minima parte, le terribili sofferenze – rese più atroci dai rigori di un inverno eccezionale – delle popolazioni dei Comuni maggiormente sinistrati d’Abruzzo – specie di quelli della montagna, già sepolti dalla neve – giunte ormai al massimo di una pericolosa esasperazione. Si chiede per esse, costrette a vivere una vita che è una lenta agonia, che si provveda d’urgenza all’invio di indumenti, di coperte, di calzature, di soccorsi sanitari; alla distribuzione supplementare di viveri di prima necessità; alla erogazione di speciali sussidi invernali per tutti i minorati dalla guerra, per i partigiani, i reduci, i disoccupati, i pensionati, per gli innumerevoli senza tetto che hanno bisogno dei più elementari aiuti immediati per non morire di fame, di freddo e di tubercolosi. (L’interrogante chiede la risposta urgentissima).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non si ravvisi opportuno, oltreché giusto ed umano, disporre che i contribuenti dei Comuni d’Abruzzo maggiormente sinistrati dalla guerra siano esonerati dal pagamento di tutte le imposte almeno fino a quando non vengano dall’Erario risarciti dei danni sofferti a causa della guerra, scomputandosi, in tal caso – mediante una innovazione nel campo tributario, che non deve sembrare strana se si tien conto della immane sciagura che si è abbattuta su quelle martoriate popolazioni – il loro debito per tributi verso l’Erario medesimo dall’indennizzo ad essi dovuto per quei danni e debitamente accertato. L’interrogante chiede che si provveda, nel frattempo, d’urgenza, ad ordinare la sospensione degli atti esecutivi a loro carico, ovunque minacciati o già in corso su vasta scala.

«Paolucci».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’aeronautica, per sapere se sia vero che la Società italo-americana di trasporti aerei (LAI) abbia ottenuto, in regime di monopolio, l’esercizio della linea Cagliari-Roma, con esclusione di un’altra società, sorta per sviluppare e sostenere, principalmente, gli interessi isolani con capitali sardi, che già dal 1944 aveva avanzato richiesta di concessione della suddetta linea ed alla quale la possibilità di tale esercizio era stato riconosciuta. Ciò costituirebbe non solo disconoscimento di un giusto diritto di precedenza ed un danno sicuro per la società, che vi ha già impegnato ingenti capitali, ma annullerebbe anche le iniziative e danneggerebbe gli interessi dell’Isola. (Gli interroganti chiedono la risposta d’urgenza).

«Mastino Pietro, Lussu, Mastino Gesumino, Bozzi, Laconi, Mannironi, Murgia, Falchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se: gli risulti che – mentre il Senato ha per legge cessato dalle sue funzioni e – per conseguenza – è venuto altresì a cessare il privilegio del Foro a favore dei suoi Membri, continui invece a funzionare l’Alta Corte di Giustizia per procedimenti a carico di coloro che – pur godendo del titolo di «Senatori discriminati» – non possono e non debbono essere sottratti alla giurisdizione delle autorità giudiziarie; e – constatati i fatti – non ritenga che il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma debba avocare a sé l’azione penale negli accennati procedimenti, richiamando dagli uffici della cessata Alta Corte gli atti relativi, non potendosi a questa consentire alcun potere, neppure istruttorio, che, oltre ad essere illegale, riuscirebbe anacronistico e sospetto.

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del lavoro e previdenza sociale, per conoscere le ragioni per cui il Governo è rimasto indifferente dinanzi al gravissimo fenomeno della disoccupazione agricola nel Salento, ove la piccola e media proprietà terriera, essendo costretta da oltre un anno ad assorbire la mano d’opera disoccupata in lavori improduttivi, se non dannosi, si è venuta a trovare in condizioni quasi disperate. L’interrogante segnala l’opportunità politica e sociale di disciplinare il fenomeno con un provvedimento legislativo che metta a carico dello Stato, e quindi della generalità dei cittadini, l’onere dei veri disoccupati e bisognosi.

«Gabrieli».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se è a conoscenza che l’indennità di residenza, fissata a lire 4000 annue, nell’anteguerra, per i farmacisti delle farmacie in zone rurali, è rimasta la stessa, malgrado il diminuito valore della moneta e l’aumentato costo della vita, o se intenda impartire alle Prefetture e ai Comuni opportune disposizioni perché detta indennità di residenza venga adeguata agli indici della vita di oggi, come è stato fatto per ogni altra categoria di professionisti e di lavoratori.

«Federici Maria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali gravi ragioni abbiano impedito a tutt’oggi la costituzione ed il funzionamento della Organizzazione italiana per l’alimentazione e l’agricoltura, da porre in collegamento con la F.A.O. La necessità di tale costituzione e la urgenza del funzionamento di essa, indicata all’Italia dai dirigenti stessi della F.A.O., nell’interesse del nostro Paese ed in particolare per salvaguardare la nostra aspirazione di stabilire la sede europea della F.A.O. a Roma, è stata dall’interrogante parecchi mesi fa, al suo ritorno da Kopenaghen, segnalata alla Presidenza del Consiglio, al Ministro degli affari esteri ed a quello dell’agricoltura e foreste, come provvedimento necessario ed urgente. A malgrado di tali preghiere ed avvertimenti, il Governo ha creduto di dover prolungare per oltre tre mesi l’incubazione di un provvedimento che poteva essere preso in poche ore.

«In questi giorni una Commissione della F.A.O. si è recata a Roma per studiare il problema della propria sede europea, ma non ha trovato ancora costituita la F.A.O. italiana. Ciò può seriamente compromettere il risultato felice dell’ultima Assemblea dell’Istituto internazionale di agricoltura, nella quale le cinquantadue Nazioni rappresentate votarono all’unanimità la scelta di Roma come sede europea della F.A.O., ed anche il risultato favorevole ottenuto dalla Delegazione italiana alla Conferenza F.A.O. a Kopenaghen sulla stessa questione. Si domanda che il Governo faccia conoscere i motivi di tale inspiegabile pausa, così pregiudizievole per gli interessi del nostro Paese e che provveda finalmente alla costituzione della F.A.O. italiana.

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per segnalare la ingiustizia delle differenti misure di contributo accordate ai territori agricoli italiani a seconda che si trovino dentro o fuori i «comprensori di bonifica». Tale situazione di assoluto privilegio concessa a determinate zone, scelte con criteri tecnici non sempre giustificati, mentre concentra per una serie di anni i benefici governativi in poche fortunate aree, li rarefà per il resto del Paese, e crea una disparità di trattamento che nulla giustifica. Vi sono zone le quali, come la vallata Aquilana e quella di Sulmona, sono bisognose di contributi governativi adeguati per regolamentare ed incrementare l’irrigazione e per i bisogni urgentissimi della montagna, opere queste che significano aumento della ricchezza nazionale; e quasi nulla in queste zone può intraprendersi, con i contributi attribuibili attualmente; esse oggi scontano la disavventura di non aver trovato nel regime passato chi patrocinasse la loro inclusione in «comprensori di bonifica».

«Si domanda che il Governo non persista a considerare congelati i comprensori già esistenti, sui quali soltanto seguita a concedere contributi, ma che faccia un trattamento equo ed equivalente a tutto il territorio agricolo italiano, bisognoso di miglioramenti e bonifiche. Ciò può ottenersi o prescindendo dai «comprensori» nella concessione dei contributi più urgenti ed utili o rotando la dichiarazione ed il riconoscimento dei «comprensori».

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro per il commercio estero, per sapere i criteri che lo hanno guidato nella concessione della licenza al Consorzio importatori conservieri per 20.000 tonnellate di sostanza zuccherina proveniente dal Perù, e per sapere se il prezzo di 155 lire al chilogrammo è quello normale del mercato o è superiore.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro per il commercio estero, per sapere se non creda conveniente concedere licenza di importazione di uova, offerte a prezzi convenienti sui mercati esteri, mentre in Italia sono vendute ad un prezzo tanto alto da favorire il rialzo del prezzo della carne e del pesce.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se gli risulta rispondente a verità quanto ha affermato nel suo discorso a Firenze l’onorevole Togliatti, ex Ministro della giustizia, e cioè che in molte regioni la «Magistratura italiana» non si è ancora staccata dalla vecchia consuetudine di lasciarsi trattare e considerare come un corpo di servitori della classe possidente, tenuti a interpretare le leggi secondo gli interessi dei signorotti e dei grandi proprietari locali.

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quando intenderà dare esecuzione al deliberato del Consiglio dei Ministri del 24 giugno 1946, con il quale fu disposta la revoca del collocamento a riposo, con la conseguente riammissione in attività di servizio, del dottor Leonida Bonanni, direttore generale del Ministero del tesoro.

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, ed i Ministri dei lavori pubblici, dell’assistenza post-bellica e del tesoro, per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia, oltreché conforme all’universale aspettazione, inserire opportunamente nel prossimo decreto, che regola il vasto piano della ricostruzione edilizia, una disposizione che distingua i sinistri per causa di rappresaglia da tutti gli altri considerati comunque effetto di eventi bellici; e concedano ai primi speciali condizioni di favore, sia quanto alla misura del risarcimento, che dovrebbe essere in buon numero di casi anche totale, sia quanto alla precedenza ed alla procedura nel vaglio dei progetti, nelle anticipazioni e nella esecuzione dei lavori.

«Il criterio discriminatorio per l’invocato provvedimento è imposto soprattutto dalla considerazione che, mentre i danneggiati da bombardamento o da altre operazioni belliche furono passivi verso l’azione causa di sinistro, i rappresagliati invece, nella loro quasi totalità, determinarono direttamente l’atto di devastazione nei propri riguardi col rendersi attivi nei confronti della lotta clandestina, per efficace partecipazione ad essa o per vario favoreggiamento: sì da incorrere coscientemente nelle barbare misure di repressione o di intimidazione, singola come collettiva. Tali specifiche benemerenze, frutto di amore, di fede, di sacrificio, non possono non essere ritenute sacrosanto motivo per il riconoscimento d’un particolare debito della Patria.

«Franceschini».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per chiedere – in relazione alle notizie della grave crisi che si prospetta nel settore dell’energia elettrica in Italia settentrionale, che minaccia una paralisi totale della già grave situazione esistente – che siano ufficialmente comunicati i dati statistici dell’energia prodotta nell’anno 1946 e della sua distribuzione per i vari usi. E per conoscere quali provvedimenti saranno adottati per la disciplina dei consumi e per il rafforzamento del controllo da parte dei pubblici poteri.

«Pesenti, Alberganti, Roveda, Novella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga di proporre una norma di legge, per la quale sia consentito ai geometri di iscriversi alla facoltà di ingegneria civile ed a quella agraria.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia il caso di provvedere alla sistemazione in ruolo dei professori dichiarati, a seguito di esami sostenuti in regolari concorsi, idonei all’insegnamento nei precedenti concorsi, non sistemati in ruolo per mancanza di cattedre. Trattasi di docenti, che per lo più insegnano da diversi anni.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno autorizzare al più presto i Provveditori agli studi a bandire, nei modi di legge, i concorsi magistrali, in guisa che col nuovo anno scolastico ogni scuola abbia il proprio titolare, il che è indispensabile per la normale ripresa dell’educazione dei figli del popolo.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali provvedimenti siano in via di elaborazione per il ripristino, in conformità dell’articolo 17 (secondo capoverso), del regio decreto-legge 6 dicembre 1943, n. 16 B, del Corpo delle foreste. Tale richiesta è motivata dal fatto che sono stati, in quest’ultimo periodo di tempo, messi in giro vari schemi di decreti, proposti ad iniziativa di funzionari interessati o da commissioni non regolarmente costituite, con i quali si prevedono solo parziali e transitorie riforme.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e dell’industria e commercio, per conoscere se non credano di ovviare, con la urgenza che il caso richiede, alla incresciosa situazione determinatasi nel Molise a seguito e per effetto della irregolare ripartizione del carburante – che viene mensilmente assegnato a detta Regione – fra le ditte concessionarie di autolinee, sì che queste sono state costrette a ridurre i propri servizi (anche postali) a soli due giorni la settimana. L’interrogante desidererebbe sapere dagli onorevoli Ministri quali provvedimenti intendano prendere per evitare ulteriormente simili sperequazioni, per le quali le popolazioni di quella laboriosa tranquilla Regione ricevono incalcolabili danni.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda ormai doveroso ed urgente bandire un concorso per cattedre di scuole medie riservato esclusivamente a coloro che, non avendo accettato il regime fascista, ed anzi avendolo apertamente avversato, furono per venti anni esclusi dall’insegnamento. E ciò a titolo di riparazione di un’ingiustizia che non può ulteriormente protrarsi, ed in vista della quale si addicono, in ogni caso, provvedimenti di particolare considerazione non diversi da quelli adottati per reduci e partigiani.

«Salerno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere in quale situazione si trova oggi la Casa Carducci a Bologna, chi ne abbia la direzione e la custodia, ed a chi sia affidata la continuazione della edizione nazionale delle opere carducciane, nella quale la pubblicazione dell’epistolario si è arrestata al 1878.

«Calamandrei».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere se, di fronte alle necessità ogni giorno più urgenti della ricostruzione in tutti i campi della vita nazionale, si sia reso conto che gli organi esecutivi della burocrazia camminano in gran parte a ritroso, e se non sia indispensabile promuovere un provvedimento che affretti la conclusione delle pratiche, evitando quei ritardi che, molte volte, frustrano la tempestività della legge. Basta citare l’abituale modo di procedere degli uffici periferici del Provveditorato alle opere pubbliche e del Genio civile per convincersi della necessità di riparare, con l’urgenza che il momento richiede, alle deficienze che ritardano la ricostruzione e aggravano quella disoccupazione che, invece, il Governo vuole giustamente combattere.

«Le ragioni principali che determinano la lentezza nell’esecuzione delle opere vanno ricercate nel sistema pletorico e accentratore del Provveditorato alle opere pubbliche e nel mancato decentramento deliberante da parte del Genio civile. Quest’ultimo importante organo dei lavori pubblici può approvare progetti fino alla concorrenza di lire 500 mila, laddove, data la svalutazione della lira, la sua competenza dovrebbe allargarsi fino al limite di trenta volte almeno quella delle 250 mila lire di anteguerra, val quanto dire all’incirca gli 8 milioni di lire attuali.

«L’interrogante richiama l’attenzione del Governo sui provvedimenti che si rendono indispensabili, se alle vantate promesse si vuol far seguire la realizzazione pratica di opere veramente produttive per l’assorbimento dei lavoratori disoccupati e per una sollecita e proficua ricostruzione.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno disporre con la massima urgenza l’attuazione della costruzione della ferrovia Nardò-Manduria-Taranto, già data in concessione da vario tempo alla Società delle ferrovie del sud-est. Ciò è tanto più necessario per alleviare la grave disoccupazione nel Salento, che diventa sempre più preoccupante, ed anche per facilitare la trasformazione fondiaria della Puglia. Tale ferrovia renderebbe abitabile e quindi più intensamente coltivabile una zona, attualmente pressoché abbandonata.

«De Maria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se è stato disposto l’invio alle Università dei fondi necessari al pagamento degli stipendi dei professori incaricati, di cui all’articolo 1 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 537. All’interrogante risulta, invero, che la corresponsione degli stipendi, in base al decreto citato, non ha ancora avuto luogo, con grave danno per una categoria di insegnanti universitari, che con tanta abnegazione si preparano in momenti e situazioni economiche cosi difficili ai concorsi per entrare nei ruoli dello Stato.

«Bettiol».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:

1°) perché non si provvede, attraverso il reclutamento straordinario per titoli di funzionari di cancelleria e di segreteria avventizi (da scegliersi preferibilmente tra diplomati reduci, ex combattenti e partigiani di ineccepibile moralità), a dare entro febbraio o marzo del 1947 agli Uffici giudiziari il personale ausiliario della Magistratura sufficiente affinché i giudici siano convenientemente coadiuvati nelle numerose mansioni burocratiche loro affidate e, soprattutto, assistiti in tutti gli atti per i quali la legge richiede l’intervento del cancelliere o del segretario. Sicché non si perpetui il malvezzo (meglio lo sconcio) che i magistrati, che sono in numero assolutamente insufficiente alle necessità attuali della Giustizia debbano commettere quotidiani falsi in atto pubblico, facendo risultare nei verbali, da loro stessi o dagli avvocati redatti, l’assistenza del cancelliere, che quasi mai li assiste. Con quanto decoro per la funzione giudiziaria ognuno vede! Si fa presente che ogni magistrato dovrebbe avere a propria disposizione, per le mansioni sopra indicate, almeno un cancelliere o segretario, e che quindi l’organico del personale in parola va notevolmente aumentato;

2°) perché non vengono espletati, con l’estrema sollecitudine che le circostanze impongono, i concorsi per uditori giudiziari e perché particolarmente quello in corso non è ancor giunto in porto, benché bandito circa un anno e mezzo fa, e quello per titoli, pure in corso, non viene sollecitamente esaurito, con la conseguenza per entrambi che molti concorrenti, stanchi di attendere la propria sistemazione, scelgono altre più proficue occupazioni;

3°) perché non si forniscono gli Uffici dei giudici istruttori e dei procuratori della Repubblica di automezzi, onde possano detti magistrati decorosamente e rapidamente esperire le istruttorie che spesso languono per mancanza di mezzi di comunicazione che potrebbero, se forniti agli Uffici giudiziari come a tanti altri, agevolare il compito immane che incombe sugli organi della Giustizia per la sempre crescente criminalità;

4°) perché il costo della carta da bollo non viene adeguato al mutato valore della moneta, tenendo presente che rispetto al costo del 1865 quello attuale è irrisorio, al fine di provvedere l’Amministrazione della giustizia dei mezzi, cose e persone, di cui attualmente è priva se non si vuole che la più alta tra le funzioni statali versi perennemente, in regime di democrazia come in regime di tirannia, in stato fallimentare.

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere in virtù di quali disposizioni la Sepral di Pavia fornisce ai panificatori della Provincia rilevanti quantitativi di farina, oltre quelli dovuti per assegnazione, al prezzo di lire 10.318,50 al quintale, e per essere edotto sulla destinazione delle somme ricavate da tale mercato.

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere i provvedimenti che intenda adottare per por fine alla reazione scatenata dagli agrari in provincia di Lecce contro i lavoratori organizzati, con la complicità delle autorità locali.

«Pastore Raffaele».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se sia a sua conoscenza che il sindaco di Galatina (Lecce), Deputato alla Costituente, sia stato, in seguito ad invasione nel proprio domicilio, prelevato con violenza e condotto alla locale Camera del lavoro e là trattenuto per obbligarlo a pagare con proprio denaro o con quello della Cassa comunale, l’importo di giornate lavorative di disoccupati assegnati dalla commissione locale ad alcuni proprietari che erano temporaneamente assenti dal Comune; e per conoscere quali provvedimenti abbia presi od intenda prendere contro gli autori di tali violenze e soprusi a tutela della dignità del cittadino, del rappresentante dell’Amministrazione comunale e soprattutto del Deputato all’Assemblea Costituente.

«Grassi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno, del tesoro e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se non si ravvisi la urgente necessità di revocare il recente provvedimento per cui si sono addossati agli stremati bilanci dei Comuni le ingenti spese per il servizio del tesseramento annonario, che fin dall’origine è sempre stato a carico dello Stato; e se, in subordine, non si ritenga indilazionabile un congruo aumento del contributo fissato pro capite in misura di gran lunga inferiore alle entità della spesa effettiva ognora crescente per il funzionamento del complesso servizio.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio estero, per sapere quali criteri hanno ispirato la conclusione del protocollo addizionale del 26 ottobre 1946, all’accordo commerciale italo-belga. Tale accordo prevede la fornitura di quantitativi notevoli di prodotti siciliani senza che la Sicilia riceva il corrispettivo di materie prime e di merci a cui ha diritto e che sono destinati invece all’industria delle regioni settentrionali d’Italia, le quali beneficeranno delle valute estere ricavate dalla vendita di prodotti siciliani. E per sapere, inoltre, le ragioni che impediscono l’assegnazione di macchine belghe per la filatura alla Sicilia, mentre il cotone siciliano deve essere inviato alle industrie dell’Italia settentrionale per essere filato.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per sapere:

  1. a) se a loro consta che organi della polizia, nel sottoporre ad interrogatorio indiziati di reati, usano metodi illeciti, disumani ed anche sevizie, le quali – come di recente qui in Roma – sono, talvolta, persino causa di morte dell’inquisito;
  2. b) quali provvedimenti intendano prendere per impedire nel modo più drastico che abbiano a ripetersi questi veri abusi d’ufficio, i quali, oltre a costituire una palese violazione della legge, offendono quel concetto della dignità umana, che deve stare a fondamento d’ogni vera democrazia.

«Pertini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non creda necessario disciplinare con opportune norme e restrizioni le scuole di specializzazione in medicina e chirurgia tuttora esistenti e precisamente:

  1. a) vietare il cumulo delle specializzazioni in branche che non siano almeno affini e che non hanno scopo di approfondire la propria cultura, ma solo reclamistico e commerciale;
  2. b) obbligare una effettiva frequenza ai singoli corsi con l’istituzione delle firme di frequenza indispensabili per essere ammessi agli esami;
  3. c) limitare l’ammissione alle scuole di specializzazioni suddividendo per turno alle singole Università i corsi biennali o triennali, ecc., e richiedendo per l’ammissione un preventivo esame di concorso.

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quale ragione, se non politica, ha indotto il Sottosegretariato per i danni di guerra a modificare, con circolare del 28 agosto 1946, la legge vigente sul risarcimento dei danni di guerra, ordinando alle Intendenze di finanza di non dar corso che alle sole istanze per anticipi danni guerra immobiliari, per le quali sia stata fatta apposita segnalazione dalla Camera confederale del lavoro. Tale disposizione, in zone come l’Abruzzo ed in ispecie le provincie di Chieti, Aquila e Pescara, in cui molti piccoli paesi furono completamente distrutti e dove esistono raramente Camere del lavoro, ha portato necessariamente all’esclusione di molti danneggiati, mentre sarebbe più giusto procedere alle liquidazioni secondo le condizioni di effettiva indigenza dei richiedenti e il già esistente sistema di precedenza secondo la data di presentazione della richiesta.

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se non ritenga giusto promuovere, d’accordo coi competenti Ministeri, l’emanazione di opportune disposizioni tendenti a concedere sgravi fiscali e facilitazioni nell’assegnazione di materiali a favore dei piccoli industriali e artigiani, che attualmente, equiparati negli oneri alle grandi aziende e meno favoriti nelle assegnazioni, sentono in maniera gravissima la difficoltà di una ripresa produttiva, peraltro utilissima e necessaria agli interessi del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se, in attesa che nuove leggi regolino in maniera più democratica e giusta la chiamata alle armi dei cittadini di leva, non sia possibile ripristinare le disposizioni di legge esistenti prima del fascismo, che stabilivano tre categorie di cittadini: la prima per quelli che dovevano compiere l’intera durata del servizio militare; la seconda per i figli unici per i quali il servizio era limitato alla durata di sei mesi; la terza per i capi famiglia che erano esonerati dal servizio militare. Al fine di riparare ingiustizie commesse ed anomalie volute da facili raccomandazioni e da situazioni createci al momento della chiamata alle armi, l’interrogante chiede che venga esaminata d’urgenza la situazione di tutti i cittadini che per ragioni di leva si trovano attualmente sotto le armi; e che, per coloro che risultassero capi famiglia, o unico sostegno di famiglia, si provveda all’immediato invio in licenza straordinaria in attesa di congedo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare per la riparazione e ricostruzione di case d’abitazione danneggiate o distrutte dalla guerra, o appartamenti a famiglie operaie. Esistono numerosi operai, che a costo di duri sacrifici riuscirono a costruirsi modestissime casette per abitazione delle loro famiglie, e ai quali è attualmente impossibile cogli aiuti promessi, e non sempre praticamente concessi in maniera eguale a tutti i proprietari, di provvedere alla riparazione e ricostruzione della propria casa. Si ravvisa perciò la necessità che lo Stato, considerando le abitazioni di operai adibite a esclusivo uso familiare alla stessa stregua delle case popolari, intervenga in maniera ben diversa e praticamente tale da permettere a questa modesta categoria di lavoratori la riparazione o ricostruzione delle loro abitazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga necessario studiare con urgenza un provvedimento che dia la possibilità a tutti i pensionati (specie a quelli dipendenti da istituti amministrati dalla Cassa depositi e prestiti) di fruire dell’assistenza medica e ospedaliera e somministrazione di medicinali da parte delle mutue. Per questi lavoratori, le cui pensioni rappresentano un mezzo ancor troppo lontano dal minimo necessario per vivere, ogni eventuale (e, data l’età, tutt’altro che improbabile) malattia rappresenta un tale aggravio da rendere veramente e tragicamente inumana la loro situazione. Ritengo, perciò, che tale provvedimento meriti di essere con urgenza studiato e tradotto in realtà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’assistenza post-bellica e del tesoro, per sapere perché a molti reduci non siano stati ancora liquidati i crediti da essi acquisiti col lavoro durante i mesi di prigionia e che rappresentano per molti di essi, ancora disoccupati, oltre che il frutto di lunghi sacrifici, un mezzo necessario per poter affrontare i duri mesi di sistemazione in Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se e quando, dopo tanta attesa, saranno pagate al comune di Alba e a diverse imprese locali le spese anticipate per le riparazioni alla caserma militare Govone e per i posti di blocco; e se non si ravvisi la necessità di non ritardare oltre tale liquidazione, in considerazione che le spese furono imposte dal locale Comando di presidio in forme strettamente coattive, cui né privati, né comune potevano sottrarsi; quale liquidazione si ravvisa anche opportuna, dopo i gravissimi sacrifici sopportati dalla popolazione albese nell’aspra lotta per la liberazione, come il Ministero ebbe già à riconoscere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni che lo hanno indotto a preferire, nell’incarico di direttore della Scuola di Arte di Castelli, il professore Giorgio Baitello, ex segretario politico di fascio, al professore Vincenzo Fuina, benemerito della lotta clandestina contro il nazifascismo; e come intenda riparare a tale decisione nei confronti di un noto ed apprezzato artista ed insegnante – qual è il Fuina, rimasto disoccupato – cui in un momento di urgente necessità (1933-1934) si fece ricorso incaricandolo appunto, in considerazione dei suoi meriti, della direzione della detta scuola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali seri ed effettivi provvedimenti si intendano prendere per meglio disciplinare e definitivamente organizzare tutto il sistema relativo alla liquidazione delle pensioni di guerra.

«Risulta infatti che, nonostante precedenti assicurazioni date, negli uffici burocratici della Direzione generale delle pensioni di guerra permane tuttora un deplorevole disservizio legato sia alla mancanza di personale specializzato che alla incomprensibile lentezza con la quale le pratiche vengono avviate in istruttoria.

«Si tratta, in verità, di decine di migliaia di istanze che giacciono inevase da mesi e da anni, lasciando in completo abbandono la numerosa classe degli interessati composta da mutilati di varie guerre, invalidi, infortunati civili, genitori, vedove ed orfani di caduti, tutti in condizioni di grave difficoltà economiche perché privi di sostegno e di beni di fortuna.

«Urge che il Ministero del tesoro intervenga decisamente nella questione, provvedendo ad integrare con personale adatto e sufficiente gli uffici della Direzione generale, al fine di metterla in grado di poter espletare le istruttorie pendenti.

«Inoltre è pure assolutamente necessario ed indilazionabile che il predetto Ministero di concerto col Ministero della guerra, per quanto di competenza, provveda a far integrare le Commissioni mediche per le pensioni di guerra regionali di personale medico legale ed anche impiegatizio, perché esse attualmente non sono in grado di poter funzionare e di precedere con la dovuta sollecitudine alle visite dirette di migliaia di interessati disposte dai superiori uffici. Poiché tale disservizio crea legittimo malcontento in tutta una provata categoria di persone che meritano ben altra considerazione da parte del Governo, si richiama la particolare attenzione dell’onorevole Presidente del Consiglio perché esamini l’opportunità di costituire un apposito Sottosegretariato di Stato che meglio organizzi tutto il complesso degli uffici, al fine di poterne garantire il reclamato funzionamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fresa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se risponda a verità:

1°) che presso il Ministero dei lavori pubblici sarebbe in preparazione uno schema di provvedimento legislativo contenente disposizioni integrative degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo luogotenenziale 15 novembre 1944, n. 425, per i soci della Cooperativa edilizia «Il Villaggio dei Giornalisti»;

2°) che detto provvedimento farebbe scempio dei più elementari principî generali del nostro ordinamento giuridico e sarebbe in assoluto e stridente contrasto con le disposizioni del vigente Codice civile;

3°) che detto provvedimento, disponendo in materia di rivendicazione degli alloggi non soltanto dei soci a suo tempo estromessi dalla Cooperativa per motivi politici, ma anche e soprattutto di speculatori che soffrirono tale estromissione perché non in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge, innoverebbe profondamente al concetto stesso di «terzo di buona fede», alla tutela che ad esso la legge accorda, arrivando a stabilire presunzioni di malafede arbitrarie e gratuite che mai la legge ha fin qui consentito e che il diritto non può quindi ammettere;

4°) che nello schema del predetto provvedimento verrebbe dichiarata l’inammissibilità di qualsiasi gravame in via amministrativa e in via giurisdizionale contro i provvedimenti ministeriali disponenti le reintegrazioni, ponendo così, in base a puerili pretesti, il diritto dei singoli in balia del più deplorevole dispotismo amministrativo proprio in un momento in cui più imperiosa è l’esigenza di una rigida tutela giurisdizionale e di controllo per la carenza dei normali organi costituzionali;

5°) che il predetto provvedimento sancirebbe, in contrasto con quanto asserito nella relazione al Consiglio dei Ministri, che si prescinderà dal possesso o meno, da parte dei soci reintegrandi, dei requisiti professionali voluti espressamente dalla legge, e si stabilirebbe la non applicabilità degli articoli 98, 100 e 110 del Testo unico sulla edilizia popolare ed economica;

6°) che un particolare ed ingiustificato trattamento di favore verrebbe stabilito in favore dei proprietari del suolo non in possesso dei predetti requisiti, allo scopo di consentire il ripetersi di tentativi di speculazione già altra volta falliti;

7°) che il predetto provvedimento sarebbe personale opera del prefetto Vicari, il quale ripeterebbe metodi è sistemi appresi nel periodo in cui prestò lungamente servizio presso la Segreteria di Mussolini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando intenda dare finalmente definitiva sistemazione agli istituti di insegnamento artistico e musicale con la fissazione dei nuovi organici e con la revisione delle nomine senza concorso, annullate per effetto del decreto 15 febbraio 1945, n. 139, tenendo presente la legittima aspirazione di tutti coloro che, dalla abusiva estensione della facoltà di nomina senza concorso e dalla loro non appartenenza al partito fascista, furono impediti di cimentarsi in regolari concorsi. Perché assicuri che in nessun modo si intende di eludere, attraverso a pseudo-interpretazioni o a duttili adattamenti, il preciso disposto e l’inequivocabile intendimento di detto decreto. Ed infine perché confermi nella loro giustificata attesa di una definitiva sistemazione coloro che, per effetto del suddetto decreto si sono trovati in una posizione di incertezza amministrativa, nociva ad essi e al buon funzionamento dell’insegnamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terracini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere: quali provvedimenti intenda adottare per ovviare alla grave disoccupazione degli insegnanti di scuole medie esistente specialmente in provincia di Bari, e se non ritenga a tal riguardo opportuno:

  1. a) sdoppiare le classi con più di venticinque alunni;
  2. b) istituire doposcuole e scuole serali soprattutto ad indirizzo tecnico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caccuri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere: se non sia equo inquadrare nei ruoli organici gli insegnanti di scuole medie che abbiano conseguita l’idoneità in precedenti concorsi e che abbiano lodevolmente insegnato in istituti d’istruzione per almeno un quinquennio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caccuri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se intenda accrescere finalmente in giusta misura le congrue ed i supplementi di assegni agli aventi diritto, affinché il clero italiano sia posto in condizione di vita equa e dignitosa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Recca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritiene opportuno, nell’interesse delle finanze dello Stato, e allo scopo di facilitare l’occupazione a numerosi braccianti, di disporre perché gli alvei abbandonati di natura alluvionale, di proprietà del demanio pubblico dello Stato, siano dati in concessione a cooperative di lavoratori, particolarmente nella provincia di Pavia.

«In proposito si fa presente che in provincia di Pavia, lungo i corsi dei fiumi Po e Ticino, esistono appezzamenti di terreni, per lo più alvei abbandonati di natura alluvionale, di proprietà del demanio pubblico dello Stato, e come tali inscritti nei registri catastali. Allo scopo di ricavarne un utile, lo Stato, attraverso l’Intendenza di finanza ed organi competenti, procede alla assegnazione (mediante asta pubblica o a licitazione privata) delle suddette pertinenze demaniali con contratti poliennali e canone annuo per lo più non proporzionato all’effettivo reale valore del terreno e soprasuolo legnoso. Altre volte, allo scopo di incrementare la coltivazione di determinate essenze legnose, cede tali terreni in concessione per la pioppicoltura in aeternum, con diritto di prelazione per i proprietari frontisti, e sempre dietro compenso di tenuissimo canone annuo. Quasi sempre avviene che il frontista si fa assegnare il terreno per la coltivazione del pioppo; ma poi non rispetta tale accordo, e lascia crescere la vegetazione spontanea (salici, pioppelle, ecc.) che le acque del Po e del Ticino con tanta feracità alimentano. Da ciò, illegale detenzione dei terreni, passibile di immediata revoca della concessione.

«L’Intendenza di finanza, in questi ultimi casi, si fa pagare dal poco scrupoloso e negligente concessionario, attraverso licitazione privata, prezzi semplicemente assurdi ed irrisori. Esiste una circolare del Ministero delle finanze che regola detti abusi; ma il risultato sembra negativo.

«Sembrerebbe pertanto opportuno che il Ministero stesso disponesse per gli accertamenti di tali irregolarità, incaricando all’uopo persone estranee ai funzionari che in passato hanno regolato tali concessioni; raccomandando che l’assegnazione del terreno e del relativo soprasuolo legnoso sia fatta a Consorzi e a Cooperative alla scopo di alleviare l’incombente disoccupazione, ed elevare i relativi cespiti nell’interesse dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per sistemare la posizione degli ex partigiani e reduci inseriti nella polizia ausiliaria. La circolare della direzione generale di pubblica sicurezza, a proposito del bando di concorso, esclude dall’assunzione in ruolo coloro i quali abbiano superato il 40° anno di età e coloro che non siano in possesso di determinati titoli di studio, impedendo ai più di procurarsi, mediante corsi straordinari già da tempo richiesti, titoli sufficienti all’entrata in carriera; e contiene altre limitazioni che offendono i diritti degli agenti, sottufficiali e ufficiali della polizia ausiliaria. Il Ministero non può ignorare che questi uomini hanno il merito di aver costituito la polizia ausiliaria nell’Italia del Nord in un momento in cui la tutela dell’ordine pubblico doveva essere assunta da quegli stessi combattenti della libertà che avevano dato il loro sangue per cacciare i tedeschi ed i fascisti.

«Gl’interroganti considerano contrarie agli interessi della democrazia le disposizioni della Direzione generale della pubblica sicurezza, anche perché esse favoriscono l’arruolamento nel Corpo della polizia di ex agenti della Polizia ausiliaria italiana, di funzionari ed agenti repubblichini, i quali compromettono il carattere della Polizia italiana. Lo stato d’animo di profondo malcontento a cui danno luogo le predette disposizioni deve indurre, a parere degli interroganti, il Ministero dell’interno a sospenderne l’applicazione, o quanto meno prorogarne i termini in attesa di un riesame di tutto il problema. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Negarville, Giua».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’aeronautica, per conoscere quali criteri siano stati seguiti per la ripartizione delle linee aeree civili tra le società richiedenti e se risponda a verità che nella ripartizione delle linee aeree, da esercitarsi in Italia, sia stata accordata una situazione di privilegio al capitale ed alla aviazione straniera. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Orlando, Camillo, Rodinò Ugo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere – premesso che nel 1922 e negli anni successivi, nella provincia di Alessandria e in altre, i fascisti, cacciati i legittimi proprietari, si impossessavano delle sedi operaie «Società mutuo soccorso» e delle «Case del popolo»; che alcune di tali sedi vennero adibite a «Case del fascio» ed ora sono di proprietà dello Stato (Intendenza di finanza), ed altre vennero vendute ai comuni ed ai privati – come possono i legittimi proprietari ritornare in possesso delle case dalle quali furono estromessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia esatta la notizia pubblicata da giornali tecnici e sportivi della vendita all’estero dell’unico superstite campione, destinato alla riproduzione del puro sangue in Italia, previa autorizzazione dei competenti uffici; e per sapere altresì quanto sia fondata l’accusa pubblicamente espressa che l’operazione sarebbe stata predisposta a vantaggio di un ristretto gruppo di speculatori e con la mediazione di chi, per l’ufficio ricoperto, avrebbe dovuto ben diversamente tutelare gli interessi e la rinascita del patrimonio ippico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se sia a sua conoscenza che i lavori di ripristino del tratto ferroviario Roccasecca-Sora procedono con lentezza e discontinuità tali, che recano grave danno alla ripresa industriale ed economica della zona ed acuiscono il fenomeno della disoccupazione; e se non creda che si debbano dare precise disposizioni, perché i lavori siano effettuati con ritmo di urgenza, sì che possano essere prontamente compiuti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se creda opportuno:

  1. a) di dare pratica esecuzione ai decreti che hanno abolito la gioventù italiana del littorio ordinandone la liquidazione. È da notare a questo proposito che, se il decreto 2 agosto 1943, parlava di provvisoria conservazione, nel 1944 fu costituito l’Ente liquidatore e quindi dovrebbe cessare la provvisoria conservazione della gioventù italiana del littorio;
  2. b) di presentare il nuovo disegno di legge sui patronati scolastici, il decreto già pronto sin dal settembre 1945 e che a tale epoca doveva essere discusso dal Consiglio dei Ministri;
  3. c) di perorare dal Ministro del tesoro che annulli la disposizione della circolare 18 aprile 1945, che metteva sotto suggello tutte le giacenze della gioventù italiana del littorio, onde esaudire le richieste dei creditori privilegiati e dare la possibilità ai liquidatori di restituire ai patronati scolastici comunali quanto loro fu tolto affinché si possano supplire le deficienti attuali attrezzature scolastiche.

«Per sapere inoltre se sia a conoscenza del Ministro:

1°) che tuttora esiste un’organizzazione quasi clandestina di essa gioventù italiana del littorio con un semi-Ministero in via Fornovo, forte di trecento impiegati;

2°) che, oltre la suddetta centrale i nuclei provinciali per istinto di conservazione lavorano per la resurrezione dell’Opera, esigendo dai Provveditori provinciali agli studi, locali che sono tanto deficienti per le scuole, riaprendo colonie che furono un vanto dei vecchi patronati ed esigendo l’opera dei maestri con l’abituale minaccia fascista di note caratteristiche negative.

«L’interrogante si augura che non si ripeta, col risorgere di questa istituzione, quello che è accaduto all’E.N.A.L. che ha ripristinato il dopolavoro fascista, dando lo spettacolo di vedere dimissionato dall’alto un direttore provinciale senza motivazione e addebiti a mezzo di un telegramma lampo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Agata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se è possibile preveder la data in cui il Consiglio dei Ministri vorrà dare forma e valore di legge al lodo De Gasperi sulla mezzadria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grieco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere quali motivi ostino alla sollecita discriminazione, da parte delle competenti Commissioni di inchiesta per i reduci, degli ufficiali e militari di truppa, che, prigionieri degli inglesi, chiesero fin dagli anni 1941-42 di far parte, in qualità di cooperatori, delle Forze armate alleate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, per ragioni di equità, non ritenga opportuno di ammettere al concorso per gli ex-dirigenti rurali quei dirigenti che hanno raggiunto, dopo la legge del 31 maggio 1943, n. 570, il numero di anni di servizio richiesti dall’articolo 5 della legge, e di estendere il provvedimento per gli ex-dirigenti rurali ai direttori didattici urbani che hanno eguali diritti, per non creare disparità di trattamento e ottenere la possibilità di prescegliere i migliori su un maggior numero di concorrenti, nell’interesse stesso della scuola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere se, allo scopo di eliminare lo stato di incertezza e di disagio morale che tuttora permane in seno agli ufficiali che hanno mantenuto integro il loro onore di soldati, non ritenga opportuno precisare, in relazione a quanto pubblicato nel n. 43 del Notiziario dell’Esercito in data 20 novembre 1946:

  1. a) se effettivamente, ed in base a quale disposizione di legge, gli ufficiali assegnati alla prima categoria sono da considerarsi «discriminati» e quelli assegnati alla terza categoria «non discriminati» agli effetti dell’applicazione del decreto legislativo n. 384;
  2. b) in caso affermativo – premesso che gli ufficiali assegnati alla terza categoria (quindi non discriminati) non possono essere allontanati dal servizio in base al succitato decreto legislativo n. 384, articolo 2 (ove si parla di ufficiali «discriminati», sia pure con punizione) – in base a quale disposizione di legge saranno allontanati dal servizio gli ufficiali (non ritenuti passibili di denunzia al Tribunale militare, né della rimozione dal grado, né dispensati dal servizio in sede di epurazione) assegnati alla suddetta terza categoria per essere venuti meno alle leggi dell’onore militare e non avere ottemperato ai doveri derivanti dalla situazione contingente, che pur tuttavia non vengono presi in esame all’articolo 36 della legge sullo stato degli ufficiali per l’eventuale cessazione dal servizio, per non possedere le qualità che diano garanzia di un pieno adempimento dei loro doveri.

«Inoltre, se non ritenga opportuno precisare i motivi per i quali, agli effetti dell’applicazione del predetto articolo 36, i competenti organi ministeriali hanno disposto che nel giudizio di valutazione debba tenersi conto non soltanto del comportamento dell’ufficiale alla data e dopo 1’8 settembre 1943, ma anche di tutti i precedenti di carriera, quali risultano dal libretto personale dell’interessato (venendo così ad attenuare la gravità della posizione di coloro che sono venuti meno alle leggi dell’onore e non hanno ottemperato ai doveri della situazione contingente); ciò invece di prescrivere, come sembrerebbe opportuno, che nella valutazione di cui sopra fosse tenuto in particolare e preminente considerazione il comportamento dell’ufficiale sottoposto ad esame all’atto e dopo la data dell’armistizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Foa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere per quali ragioni, nonostante il peggioramento della grave crisi dell’industria zolfifera siciliana, non è stata, con pregiudizio della stabilità dell’occupazione operaia e dell’ordine pubblico, stabilita la misura del prezzo minimo garantito per gli zolfi greggi ai sensi dell’articolo 3 della legge 2 aprile 1940, n. 287. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Li Causi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere, qualora non sia possibile disporre un’altra sia pur breve proroga del termine per la presentazione delle domande per il risarcimento dei danni di guerra, se non sia il caso di disporre fin d’ora che i reduci dalla prigionia, i quali rientreranno in Patria dopo il 31 dicembre, potranno presentare egualmente le loro domande, quantunque oltre il termine, beneficiando della regola derivante dal caso di forza maggiore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere in base a quale disposizione ed emanata da chi e quando, gli agenti di pubblica sicurezza pretendono di essere incaricati ed autorizzati a presenziare alle private riunioni ed assemblee delle Camere del lavoro, sindacati ed anche partiti politici, ed a fare opera di pressione e di spionaggio presso gl’impiegati degli organismi suddetti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tega».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni, per conoscere:

1°) da quali ragioni il Ministero è stato mosso nel dare istruzioni alla Direzione provinciale di Massa e Carrara per ricuperare, mediante trattenute mensili, le somme che la Direzione provinciale aveva pagato a titolo di stipendi arretrati a quei dipendenti che avevano temporaneamente lasciato il servizio per arruolarsi fra i partigiani;

2°) da quali ragioni il Ministero è stato mosso, nel fare un trattamento diverso a quei dipendenti che si erano assentati dall’ufficio nella provincia di Massa e Carrara per prestare servizio nella guardia repubblicana: a tali dipendenti, infatti, furono pagati gli stipendi per il tempo passato nella guardia repubblicana e nessuna trattenuta è stata mai ordinata a loro carico per ricuperare le somme a loro in tal modo pagate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti, Amadei».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere se non creda doveroso e opportuno far luogo a provvedimenti, di carattere urgente, per alleviare le gravi condizioni economiche in cui versano gli agenti di polizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti, Barontini Ilio, Cerreti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ravvisi l’opportunità di venire incontro ai voti formulati dal Comune di Carbonia, e concordemente appoggiati da tutte le autorità della Sardegna, disponendo per una sollecita trasformazione in governativa della scuola media comunale legalmente riconosciuta di quella città. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali siano le ragioni per le quali, contrariamente alla richiesta inoltrata in data 29 gennaio 1946, dal comune di Vigevano, affinché venissero statizzati l’Istituto tecnico commerciale pareggiato «Luigi Casale», e la Scuola media pareggiata annessa, si sia creduto di accogliere la richiesta, per quanto riguarda l’Istituto, mentre per la scuola media, si è disposto da parte di codesto Ministero, in senso negativo, gravando in tale modo di un onere non indifferente il comune le cui finanze consigliano le più rigorose economie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali ostacoli si oppongono alla tanto auspicata abolizione delle categorie delle scuole elementari, abolizione che varrebbe a dare tranquillità a quelle insegnanti sposate che, con gran danno economico e disagio materiale, non possono risiedere nelle città dei rispettivi mariti, funzionari statali e parastatali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non intendano farsi iniziatori di un provvedimento di legge, in virtù del quale gli usi civici di cui il governo fascista ha fatto strazio delle note forme, siano rivendicati agli Enti cui gli usi stessi appartenevano da secoli, ritenendo che l’usurpazione da parto del governo fascista ha costituito uno degli atti più gravi rivolti al depauperamento delle popolazioni di montagna. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caprani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non intenda entrare nell’ordine di idee, di provvedere di personale giudicante le preture da anni ormai scoperte di titolare, nominando, quali pretori in prova, elementi tolti dagli ex combattenti, partigiani e reduci, forniti di titoli adeguati, determinandosi esattamente nel modo come ebbero a determinarsi i Governi che si succedettero alla guerra 1915-18, che, pure trovandosi a fronteggiare lo stesso problema, tolsero i pretori dalla compagine combattentistica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caprani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non intendano bandire sollecitamente un concorso straordinario per titoli per le cattedre disponibili in tutte le scuole medie di qualsiasi ordine e grado, al quale, fermi restando i diritti dei reduci ed assimilati, possano partecipare idonei, laureati, analogamente a quanto è stato fatto con decreto legislativo 25 maggio 1919, n. 615, con decreto ministeriale 26 giugno 1919, con le opportune cautele che gli organi competenti vorranno stabilire. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se abbia preso in esame la particolare situazione degli insegnanti del ruolo «Egeo» e se non ritenga urgente emanare disposizioni per il loro trasferimento nei ruoli metropolitani, previo accertamento del servizio effettivamente e lodevolmente prestato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere per quale ragione non sono ancora state corrisposte le indennità ai componenti i seggi elettorali della Sardegna, e se non ritenga di dover emanare sollecitamente le necessarie disposizioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per la ricostituzione del patrimonio zootecnico dei comuni della provincia di Frosinone – fra i quali sono da ricordare, a mo’ d’esempio, Esperia ed Ausonia – quasi totalmente distrutto dalla guerra o razziato dai tedeschi con grave danno per la popolazione e per la ripresa agricola della zona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno, in via eccezionale e date le condizioni presenti, di concedere agli ufficiali che lasciano il servizio attivo e desiderano riprendere gli studi superiori interrotti al momento della loro incorporazione nell’esercito, che possano riprenderli e continuarli, considerando tuttora validi gli esami speciali da loro superati prima dell’interruzione degli studi, e ciò sospendendo e modificando le disposizioni del regio decreto 28 agosto 1931, n. 1227, a loro riguardo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della guerra e dell’interno, per conoscere i motivi per i quali tutti gli ufficiali e sottufficiali dei carabinieri, dopo esser stati prosciolti dalle Commissioni di epurazione di primo grado o dalla Sezione speciale del Consiglio di Stato, vengano sottoposti a punizione disciplinare, in difformità di quanto è stato finora praticato per altre forze di polizia. La punizione segue automaticamente quando i militari siano rimasti in servizio dopo l’8 settembre 1943, mentre questo fatto non è riconosciuto rilevante né ai fini penali né a quelli epurativi, in quanto esso è stato considerato conforme alle leggi internazionali e ai compiti istituzionali dei corpi di polizia.

«In conseguenza, l’Amministrazione viola la forza del giudicato e, per via indiretta ed arbitraria, raggiunge lo scopo di dispensare dal servizio attivo ufficiali e sottufficiali discriminati in sede di epurazione, valutando gli stessi fatti sotto il riflesso disciplinare. Così avviene, ad esempio, per gli ufficiali superiori dell’Arma in base all’articolo 2 del Regio decreto-legge 14 maggio 1946, n. 384. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulle ragioni di umanità e di giustizia sociale che impongono un provvedimento in favore degli operai colpiti da infortunio sul lavoro e che, assicurati presso Istituti di Nazioni a moneta oggi fortemente svalutata, languono con pensioni irrisorie od anche praticamente nulle. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della guerra, per conoscere:

1°) se non ritengano opportuno provvedere alla modifica dell’articolo 9 del regio decreto 8 maggio 1924, n. 843, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 giugno 1924, n. 131, contenente «aggiunte al regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395 e successive modificazioni sull’ordinamento gerarchico delle Amministrazioni dello Stato», laddove vengono sancite norme che creano un’ingiusta situazione d’inferiorità ai funzionari ed impiegati statali aventi diritto alla qualifica di combattente per servizio militare prestato dopo l’assunzione all’impiego civile. Infatti, stando alla disposizione del citato articolo, il servizio militare prestato nei reparti combattenti viene computato in aumento al servizio civile, ai fini dell’anzianità minima richiesta per la partecipazione ai concorsi ed alle graduatorie di merito per il conferimento dei posti di primo segretario, primo ragioniere ed equiparati, soltanto per coloro che tale servizio abbiano prestato anteriormente alla nomina all’impiego di ruolo, mentre non viene computato per coloro che tale servizio abbiano prestato successivamente all’assunzione nell’impiego. Per conseguenza un eguale servizio reso nei reparti combattenti produce effetti favorevoli per il cittadino non ancora impiegato, mentre non li produce per colui che era già impiegato al momento della prestazione;

2°) se nell’attesa della logica e necessaria modifica sopradetta, non credano di emanare le opportune disposizioni affinché ai concorsi e scrutini per promozione di gradi di primo segretario, primo ragioniere ed equiparati nei ruoli dell’Amministrazione dello Stato, già banditi ed in via di svolgimento, vengano ammessi con riserva anche quei funzionari che vi avrebbero diritto in base all’emittenda modifica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Varvaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere:

1°) se non creda sia venuto il momento di sciogliere la riserva contenuta nel paragrafo IV della circolare del 10 ottobre 1945, n. 21394, stabilendo i benefici spettanti ai partigiani combattenti in Italia ed all’estero;

2°) se non creda di impartire, con la dovuta sollecitudine, opportune disposizioni ai Comandi dei Distretti militari, i quali determinano gravi danni economici e morali rifiutandosi di far prendere nota, nello stato matricolare di militari, della qualifica e della durata del servizio di partigiano combattente, già ufficialmente riconosciuta e partecipata agli interessati dalla competente Commissione centrale, assumendo di non avere istruzioni al riguardo;

3°) se non creda di affrettare l’emanazione delle preannunziate norme relative alla concessione della Croce al merito di guerra ai partigiani combattenti, stabilendo, tra l’altro, con disposizioni da avere efficacia immediata, che a coloro i quali, in base ai documenti ufficiali già acquisiti, possa ritenersi spettante la distinzione onorifica sopra cennata, vengano, frattanto, valutati, sia pure con riserva, nel caso di concorsi già banditi, sia per ammissione ad impieghi statali, sia per promozione al grado di primo segretario, primo ragioniere ed equiparati, i benefici conseguenziali alla distinzione anzidetta. Ciò per evitare i dannosi ed irrimediabili effetti della esclusione;

4°) se non creda di chiarire ai Comandi distrettuali il significato del paragrafo secondo della circolare del 10 ottobre 1945, n. 21394, laddove è prescritto che «sono ammessi a fruire dei benefici e riconoscimenti derivanti dall’aver partecipato ad operazioni di guerra: 1°) tutti i militari e militarizzati appartenenti a comandi, uffici, reparti, servizi ed enti vari militari dislocati in territorio dichiarato zona di operazioni regolarmente mobilitati da questo Stato maggiore: dalla data dell’8 settembre 1943, qualora già mobilitati a tale data; dalla data di mobilitazione, se mobilitati successivamente».

«Il chiarimento dovrebbe specificare che l’appartenenza a comandi, uffici, reparti, ecc., debba ritenersi accertata per i militari tutti dislocati in quelle zone di operazioni che, come la Grecia, dopo l’8 settembre 1943 non ebbero più alcun comando, ufficio o reparto regolarmente costituiti, mentre singoli ufficiali e soldati, sottrattisi con pericolo della propria vita alla cattura dei tedeschi, continuarono isolatamente o in piccoli gruppi le azioni contro i nazisti. Per tutti costoro il periodo utile ai fini della circolare sopra ricordata dovrebbe estendersi dall’8 settembre 1943 sino alla data del rimpatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Varvaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sulla opportunità di voler riportare ad un minimo di duecento posti il numero degli incarichi da conferire per l’esercizio delle funzioni giudiziarie ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1946, n. 352, considerando l’attuale notevole deficienza dei ruoli organici della Magistratura e tenendo presente che le condizioni saggiamente previste dal detto decreto, tra le quali il sostenimento degli esami dopo un periodo di tempo non superiore a tre anni, rappresentano una garanzia per la buona selezione dei nominati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere se è a sua conoscenza che da vari anni, ostinatamente, e sin da prima della guerra, la Società esercizi telefonici, mentre riscuote dagli abbonati canoni in misura sempre più elevata, mantiene la rete telefonica urbana di Bari in una condizione di crescente disservizio, in virtù della quale le interruzioni nell’esecuzione dei contratti di abbonamento sono sempre più frequenti, interi rioni rimangono molto spesso bloccati per numerosi giorni o addirittura per intere settimane e il disservizio assume paurose proporzioni in particolar modo nel periodo invernale e in occasione delle piogge, rimanendo la Società costantemente sorda alle proteste e ai richiami degli interessati. E per conoscere se e quali provvedimenti ritiene di dover adottare perché sia posto una buona volta riparo a così increscioso stato di cose, che investe una delle più popolose ed operose città del Mezzogiorno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per conoscere se intenda, come giustizia richiede, promuovere un provvedimento, tendente ad equiparare agli effetti amministrativi e morali, le vittime politiche con i reduci e i partigiani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini, Bibolotti, Bargagna, Baldassari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, per conoscere se risulti che corrispondano a verità le dichiarazioni del nuovo Ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, signor James C. Dunn, secondo le quali egli si proporrebbe di dare il suo appoggio, in Italia, a un partito politico determinato e a una particolare tendenza di questo partito e del movimento sindacale italiano. Qualora queste dichiarazioni siano state veramente fatte, desidera sapere se non ritengano necessario, a tutela della indipendenza e della dignità del popolo italiano e dello Stato italiano, far conoscere al Governo degli Stati Uniti che è assolutamente inammissibile che un ambasciatore dichiari in modo così spudorato di volersi immischiare negli affari interni del nostro Paese, il quale, se è vero che ha bisogno di aiuti internazionali ed è profondamente riconoscente ai popoli che hanno distrutto militarmente la tirannide fascista, non è però una colonia degli Stati Uniti né di alcun’altra grande potenza e non ha intenzione di diventarlo mai. (L’interrogante chiede la risposta scritta d’urgenza).

«Togliatti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti abbia emanato o intenda emanare a favore di quegli insegnanti di Stato di qualunque ordine e grado che durante il periodo fascista abbiano subito persecuzioni e rappresaglie d’ordine politico, sia coll’interruzione forzata del servizio, sia coll’arresto o retrocessione della carriera. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tega».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere se non ritengano opportuno provvedere, nelle borgate e nelle frazioni di comuni non ancora elevate a comuni autonomi, all’istituzione di un ufficio anagrafico, conforme alle prescrizioni del regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2133, assieme ai separati uffici di stato civile, previsti dall’articolo 2 del regio decreto 9 luglio 1921, n. 1238. L’istituzione di codesti uffici anagrafici, ispirati ad un criterio più largamente decentrativo, corrisponde ai voti insistentemente espressi dalle popolazioni delle borgate e frazioni, le quali così vedono realizzata la speranza di poter fruire dei servizi inerenti all’anagrafe, senza quello sperpero di tempo, quello sciupio di denaro, e quella fatica materiale cui oggi soggiace l’uso di tali servizi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terranova».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno – per alleviare la disoccupazione nel campo magistrale e prima del prossimo bando di concorso – sistemare in ruolo gli insegnanti che in precedenti concorsi (dal 1940 in poi) riuscirono idonei. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nasi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritiene iniquo che:

1°) il lavoratore Severini Giovanni fu Giuseppe, di Altavilla Irpina, infortunato nel 1921, con amputazione del piede sinistro e del dito medio alla mano destra, già operaio delle Miniere di zolfo «S.A.I.M.» munito del certificato di pensione n. 493, categoria la, inabile a qualunque lavoro, padre di tre figli, di cui due minorenni, debba, oggi, percepire una pensione di lire dieci mensili, corrispondenti a centesimi 33 il giorno;

2°) il lavoratore Martinelli Pietro, di Spoleto, infortunato il 7 ottobre 1937, già operaio della Società «Terni», dichiarato ridotto del venticinque per cento nella sua capacità lavorativa, debba, oggi, percepire un indennizzo giornaliero di lire una e centesimi ottanta.

«E se non ritenga doveroso e urgentissimo di:

  1. a) corrispondere a tutti i lavoratori che si trovano in queste tragiche condizioni un immediato sussidio straordinario;
  2. b) proporre un provvedimento idoneo a sollevare subito una vasta categoria di sventurati lavoratori;
  3. c) nominare, senza ulteriore indugio, la Commissione per la riforma della previdenza onde liberare l’Italia da una situazione morale insostenibile nei confronti della classe lavoratrice. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere quali solleciti provvedimenti intende prendere, onde evitare ì gravissimi inconvenienti che si verificano, causa l’enorme lentezza nella liquidazione delle pensioni dirette ed indirette. Sono assai numerosi i casi pietosissimi: impiegati, vedove ed orfani, che soffrono letteralmente la fame, perché si tarda la liquidazione di quanto ad essi spetta di diritto, pur essendo cifra tanto esigua. Le pratiche si arenano alla Corte dei conti ed anche i Ministeri tardano assai nelle liquidazioni provvisorie, mentre è preciso diritto dei funzionari, che, cessati gli emolumenti del servizio attivo, subentrano immediatamente gli assegni dello stato di riposo; come è evidente il diritto, e corrisponde ad una alta esigenza sociale ed umanitaria, che vedova ed orfani di un funzionario defunto percepiscano senza ritardo quanto loro è dovuto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Conci Elisabetta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere quali provvedimenti si intenda adottare per lenire in questo momento di disagio la disoccupazione degli intellettuali e per avviare a soluzione questo importantissimo problema avendo presente la numerosa e benemerita categoria dei maestri, i quali più soffrono nella presente situazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Moro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere le ragioni per le quali prima ancora che venissero riaperti i principali Consolati in Francia, ha di fatto soppresso per mancato finanziamento le Delegazioni della Croce Rossa, lasciando i connazionali indigenti ivi residenti ed in transito, privi di assistenza. E per conoscere, altresì, se non ritenga opportuno, in considerazione dell’onere finanziario assai modesto, di mantenere e riportare alla precedente efficienza, alcune delegazioni, e tra queste quella di Nizza, tenuto conto della sua particolare posizione geografica e della esistente numerosa colonia italiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i motivi che lo hanno determinato ad ordinare recentemente all’ufficio del Genio civile di Udine la sospensione della stipulazione del contratto d’appalto per la costruzione di quattro lotti di case popolari in Udine. L’asta per detta costruzione risale al 30 settembre 1946 e l’impresa «Edilindustria», cui i lavori vennero aggiudicati a seguito di lieve ribasso sull’importo di 64 milioni, non ha iniziato i lavori stessi sollevando eccezioni che si desidera conoscere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tessitori».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere il suo pensiero in merito alla definitiva sistemazione nei ruoli degli impiegati dello Stato, del personale locale che da molti anni presta servizio presso gli uffici delle Rappresentanze diplomatiche e consolari, ed al quale non sembra riservato fino ad oggi alcun trattamento, qualora venga a cessare il rapporto di impiego. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – dato lo stato attuale della organizzazione sanitaria deficiente, frammentaria, costosa e data l’azione che vari Enti vanno svolgendo nel tentativo di consolidare posizioni particolaristiche con grave pregiudizio della riforma sanitaria che si sta elaborando con il concorso dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica e di tutta la classe sanitaria italiana i cui voti si sono espressi attraverso un vasto referendum indetto dal Gruppo medico parlamentare – non creda opportuna l’istituzione di una Commissione interministeriale di tecnici allo scopo di definire, in modo unitario, le linee fondamentali di una riforma sanitaria nazionale, rispondente alle esigenze di una migliore assistenza sanitaria dei cittadini e dei lavoratori italiani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere se, in considerazione dei risultati dell’inchiesta recentemente svolta dal Governo canadese, dalla quale sarebbe emerso, come ha pubblicato la stampa estera e nazionale, che presso le rappresentanze estere d’una grande Potenza esisterebbe uno specifico Ufficio di permanente collegamento coi partiti comunisti locali, il Governo italiano abbia fatto indagini in proposito e, in caso affermativo, per conoscere i risultati di tali indagini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’assistenza post-bellica e della guerra, per conoscere se, tenendosi presenti i dati in possesso dei due Ministeri, possa ritenersi esatto che tutti i militari italiani catturati sul fronte russo siano rimpatriati, e, in caso negativo, per conoscere il numero dei prigionieri italiani non ancora rimpatriati dal territorio dell’Unione Sovietica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’assistenza post-bellica, della guerra e degli affari esteri, per conoscere se i suddetti Ministeri abbiano accertato che prigionieri italiani siano stati arruolati nella Legione straniera francese ed attualmente impiegati in operazioni militari nei possedimenti francesi in Asia e, in caso affermativo, per conoscere quali passi siano stati svolti presso il Governo francese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere – premesso che all’ufficio requisizione di Napoli è stato più volte risposto che si è in attesa di disposizioni del Ministero – se effettivamente devono essere date ulteriori disposizioni in materia di risarcimento danni ai mobili requisiti dagli Alleati in derivazione del decreto legislativo 21 maggio 1946, n. 451, e se tali disposizioni saranno emanate subito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno emanare provvedimenti che autorizzino la concessione d’un acconto a favore delle laboriose categorie dei contadini piccoli coltivatori e degli artigiani danneggiati nei loro attrezzi di lavoro dalle azioni belliche e dalle rappresaglie dei nazi-fascisti, per dar loro modo di contribuire alla ricostruzione del Paese, giusta l’indirizzo espresso dalle rispettive organizzazioni di categoria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Tonetti, Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non ritenga che nella stipulazione dei contratti per l’assegnazione di lavori pubblici venga tenuta maggiormente presente la necessità di farli servire anche ad alleviare, nella misura più larga possibile, la persistente disoccupazione, inserendo a tale riguardo specifici impegni contrattuali o particolari limitazioni di tempo, affinché non avvenga, per esempio, quanto avvenuto a Fontaniva e segnalato da quella Camera del lavoro, e cioè che appena un centinaio di operai hanno trovato occupazione nei due lunghi ponti in costruzione sul Brenta, mentre nella zona vi è una larga disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Storchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se sia possibile andare incontro alle esigenze di circa duecento operai, studenti, insegnanti e impiegati, i quali, per ragioni di lavoro e di studio, devono servirsi del treno sul percorso Treviso-Conegliano Veneto giornalmente, con un orario che, a causa d’un inevitabile quotidiano ritardo, al mattino li porta a destinazione alle ore 9-9,30, con le conseguenze che sono facili ad immaginare: continue minacce di licenziamento e rimbrotti da parte dei superiori. Si tratterebbe di anticipare di 30 minuti la partenza del treno da Venezia – che però di consueto ritarda a causa delle coincidenze – o, meglio, di mettere a disposizione una automotrice con vetture per quel tratto di percorso. Di ritardare infine la partenza del treno da Udine, in transito a Conegliano alle ore 17,35, di un’ora, o di provvedere altrimenti, in modo che alle ore 18,30 i duecento viaggiatori circa che devono rientrare a Treviso da Conegliano, non siano costretti ad abbandonare il lavoro un’ora prima. (L’interrogante chiede la risposta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non consideri doveroso e conforme a giustizia emettere sollecitamente un provvedimento mediante il quale ai funzionari del gruppo C (Regio decreto-legge 14 novembre 1926, numero 1935) definiti «aiutanti di segreteria e di cancelleria giudiziarie», i quali hanno svolto molto spesso con diligenza e capacità e continuativamente le stesse identiche funzioni di quelli del gruppo B, sia riconosciuto il diritto alla promozione a quest’ultima categoria, magari dopo un conveniente controllo sul prestato servizio, e ciò anche al fine di evitare che ad identiche funzioni e responsabilità si persista a corrispondere un ben diverso trattamento economico e morale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali ostacoli ancora si frappongono alla istituzione delle scuole complementari serali nella provincia di Aquila, dagli organi competenti proposte da circa tre mesi, e tanto vivamente attese da giovani operai e contadini delle zone rurali, tuttora sprovvisti dell’attestato di compimento del corso elementare superiore e, spesso, anche di quello inferiore; e se non creda di affrettare l’apertura di detti corsi i quali, per ovvie ragioni, possono utilmente funzionare soltanto durante il periodo invernale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sulle difficoltà che si frappongono alla sistemazione idraulico-forestale della montagna di Casteldelmonte (Aquila) nella zona denominata «Campo Imperatore», il cui stato di degradazione e di abbandono preoccupa vivamente per l’avvenire di quella vasta ed un tempo florida superficie a pascolo, dalla quale traevano alimento migliaia di capi di bestiame. Il lamentato ritardo appare tanto più inesplicabile, in quanto risulta che da tempo gli organi competenti dell’Amministrazione forestale hanno segnalato l’urgenza dello stanziamento occorrente per l’inizio dei lavori nel corrente esercizio, allo scopo di avviare alla normalizzazione le dirupate pendici e i fossi alluvionali confluenti nella piana, con crescente gravissimo danno dei coltivatori di essa. E ciò anche per infrenare la dilagante disoccupazione che affligge la laboriosa popolazione montana di Casteldelmonte, acuita dal fatto che, per recenti disposizioni, vengono rimpatriati di autorità i numerosi lavoratori che in passato tradizionalmente si recavano nelle Puglie e nell’Agro Romano, per dare la preferenza alla mano d’opera locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere le ragioni che ritardano il finanziamento dei lavori di sistemazione idraulico-forestale delle montagne di Bagno, Ocre e L’Aquila, in conformità del progetto redatto dall’ex comando della coorte della milizia nazionale fascista, e che hanno carattere di urgenza, anche per combattere la dilagante disoccupazione degli operai di quella zona, acuita dal forzato rimpatrio di molti di essi per disposizione dell’autorità della provincia di Roma, nella quale, in passato, essi si recavano a scopo di lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga più opportuno, anziché bandire altro concorso, assumere gli idonei risultati non vincitori nell’ultimo concorso indetto per titoli a 200 posti di vice commissario di pubblica sicurezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se sia vera la notizia, pubblicata da alcuni giornali, che il Governo abbia in animo di emettere un decreto di amnistia per i reati commessi in occasione della concessione delle terre incolte e della ripartizione dei prodotti agrari, tenendo presente che tale ingiustificato provvedimento di clemenza suonerebbe incoraggiamento alla reiterazione delle violazioni di legge in occasione delle annunziate richieste di concessione di terre per il prossimo anno agrario, e della prossima spartizione dei prodotti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere:

1°) se sono esatte le accuse che si diffondono contro il Commissario di pubblica sicurezza dirigente la stazione ferroviaria di Ventimiglia e di confine dottor Mele;

2°) se è esatto che il Governo francese ha già provveduto alla sostituzione e punizione dei funzionari responsabili delle stesse accuse che pubblicamente vengono fatte ai funzionari italiani;

3°) se è infine esatto che a Ventimiglia si è cercato allontanare dal servizio tutti i partigiani senza tener conto né del loro passato, né delle loro capacità.

«Poiché trattasi di servizio di frontiera e quindi di situazione estremamente delicata, l’interrogante invoca una immediata inchiesta e intanto chiede assicurazioni scritte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’alimentazione, perché espongano i motivi che li determinarono ad ordinare al prefetto di Perugia la revoca di un decreto col quale veniva stabilito l’obbligo della consegna del bestiame bovino da parte di tutti coloro che non avevano ancora per intero conferite le quote vincolate con i decreti emanati dal 1940 al 1946, nonostante sia ben noto essere, i renitenti, prevalentemente ex gerarchi fascisti, quali il già sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giunta, il già console della milizia, Battaglia, il già segretario del fascio, marchese Pucci, ecc.; e benché detto decreto, obbligatoriamente revocato, si proponesse di assicurare un modesto rifornimento alimentare alle popolazioni della provincia, colpendo all’origine il mercato nero contro il quale, a parole, il Ministero dell’interno e l’Alto Commissario dell’alimentazione tanto combattono. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terracini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per conoscere i motivi per i quali non hanno ritenuto di accogliere le giuste ed umane richieste dei cittadini del comune di Gessopalena (Chieti) – già sinistrato dalla guerra – tendenti ad ottenere, a seguito della terribile grandinata che il 31 maggio 1946 distrusse l’intero loro raccolto di grano, che costituiva l’unica loro risorsa, la erogazione di speciali sussidi e l’esonero dal pagamento delle imposte sui terreni per l’annata 1946-47. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, perché spieghi le ragioni che lo convincono a rinnovare, con metodica pertinacia, gli ordini alle Prefetture di vietare nel modo più assoluto da parte dei comuni ogni forma di adesioni a Leghe, Associazioni, Uffici di consulenza, nonostante le dichiarazioni conciliative fatte già sull’argomento in sede di precedente interrogazione; e perché dica, egli personalmente, dinanzi all’Assemblea Costituente se ritenga davvero di servire le esigenze democratiche e le rivendicazioni di autonomia locale, cui così spesso fa ossequio formale, frapponendo al moto associativo dei municipi tanti ostacoli ingiustificati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terracini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per porre fine all’iniquo procedimento finora seguito nei riguardi dei pensionati statali e parastatali della Sardegna, i quali – pur trovandosi in miserrime condizioni di vita – sono costretti a dover ancora attendere la liquidazione ed il pagamento degli aumenti di pensione loro concessi con decorrenza 1° settembre 1946. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastino Gesumino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno ripristinare il testo del decreto-legge 22 novembre 1943, n. 791, non mai abrogato, ma solo decaduto per omessa convalida determinata da circostanze ed avvenimenti universalmente noti per i quali ebbe a verificarsi un caso di forza maggiore paralizzatrice dei poteri legiferanti dello Stato. Tale decreto contiene disposizioni relative ai concorsi ed agli scrutini, affinché i magistrati che partecipino ai medesimi per la promozione al grado superiore, qualora concorrano gravi impedimenti per effetto di avvenimenti bellici, possano ottenere di essere dispensati dalla osservanza del «periodo obbligatorio» dei lavori richiesti per la partecipazione al concorso od allo scrutinio anzidetto. L’invocato provvedimento è perfettamente analogo al trattamento riservato ai magistrati residenti in Colonia od all’estero, i quali sono infatti ammessi – di ufficio – alle prove anzidette con dispensa della presentazione di qualsiasi lavoro giudiziario, salvo beninteso, il giudizio di merito riservato alla Commissione giudicatrice dei requisiti di capacità dei magistrati di cui sopra. Codesto trattamento si ravvisa tanto più opportuno, giusto e necessario estendere ai magistrati compresi nel novero dei reduci fiumani e giuliani, gravemente sinistrati e colpiti nella salute, negli averi e nella carriera, ed impossibilitati per effetto di eventi bellici a produrre i titoli richiesti con riferimento al brevissimo periodo di cui sopra, e spesso anche al periodo che abbraccia la parte migliore, più lunga ed importante della loro carriera, e perfino l’intera attività giudiziaria da essi svolta nel grado precedentemente raggiunto. In tali casi essi verrebbero a trovarsi – sol perché sinistrati di guerra, completamente sforniti di titoli, o sprovvisti di quelli relativi ad un periodo di tempo più o meno remoto, o addirittura ai primordi della loro carriera – in una condizione di enorme inferiorità morale rispetto a tutti gli altri concorrenti pur essendo valorosi magistrati. Imporre la esibizione di titoli capestro di tal fatta, sarebbe una vera ingiustizia onde si chiede se non sia opportuno disporre che i magistrati, che nel concorso in atto abbiano dovuto subire o siano esposti a subire incolpevolmente un così duro trattamento di sfavore, incompatibile con elementari criteri di equità, di eguaglianza e di giustizia, siano autorizzati al ritiro di siffatti titoli o dispensati dalla esibizione dei medesimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Trulli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non credano conveniente proibire d’urgenza tutti gli sfratti agricoli in provincia di Padova, sfratti dovuti alla ingiusta pretesa dei proprietari di non osservare per i canoni in natura l’articolo 4 del decreto legislativo Presidenziale 22 giugno 1946, n. 44, per il frumento, e l’articolo 4 del decreto legislativo Presidenziale 14 settembre 1946, n. 311, per il granoturco. Con tali decreti è tassativamente stabilito che, quanto al prezzo del frumento, i 2/3 spettano al proprietario ed 1/3 spetta al fittavolo od all’enfiteuta e, quanto al prezzo del granoturco, il 75 per cento spetta al proprietario ed il 25 percento al fittavolo od enfiteuta e tale reparto ha per sua legittima giustificazione il fatto che il prezzo venne aumentato in considerazione delle maggiori spese di coltivazione che stanno, come è ovvio, a carico del fittavolo e dell’enfiteuta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere:

1°) se il Governo è a conoscenza di quanto è successo in Friuli a seguito della vaccinazione al bestiame bovino, praticata con materiale non idoneo prodotto e messo in circolazione dall’istituto zooprofilattico di Milano;

2°) quali misure intenda adottare la Direzione di sanità del Ministero dell’interno per evitare il ripetersi di inconvenienti analoghi a quelli che si lamentano;

3°) quali provvidenze si ritiene opportuno adottare per venire incontro alla popolazione così gravemente colpita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Schiratti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e del commercio estero, per sapere a quale punto sono le trattative con l’Austria per il trasferimento in Italia – in valuta o in forma di compensazione merci – dei risparmi colà realizzati nell’estate scorsa da circa 600 emigranti friulani e se non ritengano di imprescindibile opportunità politica e di morale doverosità coprire immediatamente i detti operai, dei risparmi effettuati in conseguenza di un lavoro prestato all’estero su autorizzazione governativa con il versamento per subito agli stessi di corrispettiva valuta italiana sul rapporto originariamente fissato di lire 200 per ogni tre scellini o quanto sul rapporto di un quintale di cemento valutato lire 400 nette per scellini 7,50. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Schiratti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere:

1°) come mai al terzo anno dallo scioglimento delle Confederazioni sindacali non ancora è stato provveduto alla chiusura delle liquidazioni, e neppure al pagamento dei crediti privilegiati del personale dipendente dalle Confederazioni stesse. Il ritardo delle operazioni di liquidazioni, di cui l’interrogante desidera conoscere le cause, provoca ingenti spese, le quali vanno a detrimento del patrimonio, danneggiando i creditori e gli enti pubblici, cui per legge lo Stato trasmetterà il patrimonio disponibile. Tale ritardo risulta gravemente pregiudizievole agli interessi degli unici creditori, e cioè del personale licenziato, che per effetto dello svilimento della moneta vede sostanzialmente scomparire il frutto di molti anni di lavoro;

2°) quali provvedimenti ha adottato il Ministro di fronte all’ordine del giorno votato nell’Assemblea del 24 novembre 1946 da varie migliaia di ex dipendenti e comunicato ufficialmente al Ministro stesso; ordine del giorno che insistendo più che mai sulle richieste contenute negli ordini del giorno del 28 aprile e del 19 maggio stesso anno, votati da precedenti Assemblee:

  1. a) denunziava ancora una volta l’incompatibilità morale e giuridica del cumulo delle cariche delle liquidazioni con quella di esponenti della Confederazione generale del lavoro, la quale di fatto detiene tutto il patrimonio delle cessate Confederazioni di prestatori d’opera. Tale situazione crea evidentemente un contrasto di interessi tra le liquidazioni, che avrebbero dovuto e debbono tra l’altro reperire e far fruttare convenientemente i cospicui patrimoni, e la nuova organizzazione dei lavoratori che di fatto si è formata una situazione di privilegio a danno dei creditori e degli enti pubblici accennati;
  2. b) chiedeva la nomina di una Commissione d’inchiesta costituita da esperti in materia amministrativa e da rappresentanti degli ex impiegati unici creditori, allo scopo di accertare: i motivi per i quali alcune gestioni liquidatorie, opponendosi alle ispezioni disposte nel maggio 1946 dal Ministro del tempo onorevole Barbareschi, impedirono che la Commissione di funzionari da lui nominata; esplicasse il proprio compito; le responsabilità d’ogni specie in materia di realizzo delle attività, di entità e legittimità di spese; il ritardo delle operazioni di liquidazioni; il mancato riperimento e rendimento del patrimonio; i criteri seguiti nell’utilizzazione delle aziende tipografiche ed editoriali di proprietà confederali, il cui valore ammonta a varie centinaia di milioni; il mancato funzionamento degli organi di controllo delle gestioni;
  3. c) domandava, tenuto conto che il patrimonio delle liquidazioni accertate fin’ora è considerevolmente superiore al passivo, che ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, fosse provveduto all’immediato pagamento del personale, o quanto meno alla concessione di acconti veramente congrui secondo criteri di imparzialità;

3°) i motivi che hanno indotto i liquidatori delle gestioni dei prestatori d’opera, che sono i dirigenti della Confederazione del lavoro a non attenersi, a differenza dei liquidatori delle altre Confederazioni alle decisioni del Ministro (nota n. 2343/2-28 del 20 ottobre 1946), con cui veniva stabilito per ragioni legali, morali e politiche la non convalida dei licenziamenti attuati per rappresaglia nell’autunno del 1943 dal pseudo governo della repubblica sociale, e il pagamento delle relative competenze sino al giugno 1944. Al riguardo l’interrogante fa notare che i dubbi sollevati appunto da tali liquidatori, sono stati eliminati da apposito parere dalla Avvocatura generale dello Stato, interpellata dal Ministero del lavoro;

4°) come mai i liquidatori delle Confederazioni dei lavoratori non abbiano provveduto alla corresponsione del 30 per cento delle competenze dovute agli ex dipendenti, pure avendo chiesto ed ottenuto dal Ministero del lavoro, di concerto con quello del tesoro, lo sblocco dei fondi necessari (20 milioni) mentre le altre Confederazioni hanno già da molto tempo provveduto a tale pagamento, e quale eventuale destinazione hanno avuto i venti milioni sbloccati. Rileva, infine, l’interrogante che la questione interessa una numerosissima categoria di lavoratori, che da oltre tre anni attende invano l’applicazione della legge, e che ogni ulteriore ritardo potrebbe maggiormente esasperare la massa degli interessati, quasi nella totalità in condizione di bisogno, e provocare intemperanze. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere quali considerazioni abbiano indotto a permettere all’INCIS di sestuplicare i canoni di affitto. L’interrogante si riserva di proporre l’abrogazione del decreto relativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Andreotti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, per sapere se intendano – in accoglimento del voto espresso dai repubblicani umbri riuniti a Congresso regionale il 5 gennaio 1947 e soddisfacendo alle più urgenti ed assolute necessità spirituali della giovanissima Repubblica italiana – di provvedere immediatamente a che:

1°) venga istituita la «Cattedra di studi mazziniani» presso l’Università di Roma;

2°) venga ripristinato nelle scuole primarie, quale libro di testo, «I doveri dell’uomo»;

3°) sia resa obbligatoria l’effigie di Giuseppe Mazzini in tutti gli uffici pubblici statali, parastatali, enti locali, scuole, ecc. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti e dei lavori pubblici, per conoscere lo stato della pratica per la costruzione del tronco ferroviario Imperia-Garessio, utile non solo all’intensificazione dei rapporti commerciali liguri-piemontesi, ma anche allo snellimento dei nostri scambi via mare con conseguente diminuzione del posto di transito per la Svizzera. L’interrogante ricorda agli onorevoli Ministri che questa vecchia necessità, sentita grandemente dalla popolazione della Liguria di ponente e dal Piemonte, è stata spesso frustrata da gruppi di armatori speculatori, preoccupati solo dei loro guadagni e non della necessità di maggiori e migliori vie di comunicazione nell’interesse della popolazione delle due regioni e dell’intero Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roveda».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ravvisi indispensabile:

  1. a) di ordinare che siano accelerati i lavori di ricostruzione della linea Pescara-Roma, che si sarebbero dovuti completare per la fine del decorso anno;
  2. b) di istituire una coppia giornaliera di direttissimi sulla importantissima arteria ferroviaria Lecce-Milano che è attualmente servita, per l’intero percorso, da una sola coppia di diretti (il 157 ed il 158) affollati fino all’inverosimile ed al punto che assai spesso non si riesce nemmeno a mettervi piede. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della guerra, della marina militare e dell’aeronautica, per conoscere i motivi per i quali non ritengono opportuno di emanare delle disposizioni che dispensino dagli obblighi di leva quei giovani, che hanno la possibilità di trasferirsi all’estero presso congiunti colà residenti e che li attendono. Numerosi sono, infatti, i casi in cui i giovani delle classi di leva – per lo più disoccupati o che vivono in paesi sinistrati dalla guerra – non possono raggiungere i loro stessi genitori, stabilitisi da anni in America, e crearsi un avvenire, perché sforniti del nulla osta del competente Ministero militare, che è prescritto per il rilascio del passaporto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non creda opportuno provvedere alla immediata promulgazione, a mezzo di decreto legislativo, delle norme di modificazione del vigente Codice di procedura civile, già preparate dall’apposita Commissione, in attesa di una ulteriore e completa revisione di detto Codice. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salvatore».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi con il legittimo ed atteso ripristino del Tribunale di Mistretta si è creduto di potere sottrarre alla giurisdizione di detto Tribunale una parte di territorio della provincia di Messina, attribuendola al Tribunale di altra provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salvatore».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno, dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, per conoscere se non ritengano opportuno che gli immobili denominati «Dormitorio» e «Torre» in Ponza – di notevole interesse storico, ma di trista fama per essere stati adibiti durante la ventennale tirannia a luogo di confino di tanti nostri generosi fratelli – vengano riattati allo scopo di istruirvi la gioventù secondo i più moderni indirizzi educativi. Si fa rilevare che, togliendo quei monumenti dall’abbandono e dai saccheggi e destinandoli all’indicato fine, verrebbero ad essere sottratti alla rovina del tempo ed il nome di essi diventerebbe, per l’avvenire, simbolo di cristiane virtù. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Orlando Camillo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e dell’industria e commercio, per sapere se non ritengono opportuno sollecitare la ripersa del lavoro degli alti forni di Portoferraio, in considerazione della forte disoccupazione che esiste nell’isola d’Elba. Oltre alla necessità di evitare disordini, conseguenza dell’esasperazione, della lunga disoccupazione e della constatazione che con poca spesa detti forni potrebbero essere in grado di funzionare, deve tenersi presente la necessità di non disperdere una mano d’opera così specializzata e rara in un periodo in cui il Paese ha tanto bisogno delle sue capacità lavorative per risollevarsi. L’interrogante fa inoltre noto che il forte aggravio che lo Stato è costretto ad accollarsi per sussidi inadeguati, si riduce ad essere puramente negativo, in quanto non serve a mantenere sereni gli animi dei lavoratori, che per la mancanza del lavoro, sono pressoché alla fame con le loro famiglie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roveda».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere quali provvedimenti d’urgenza intenda prendere per migliorare la situazione alimentare della provincia di Padova, nella quale, sino al 17 gennaio 1947, non sono stati distribuiti i generi razionati – generi da minestra, grassi, zucchero – e se non ritenga opportuno di elevare le assegnazioni di grano (al presente si distribuisce metà pane e metà farina di polenta spesso scadentissima), tenendo conto che la provincia di Padova è tra le prime che hanno compiuto il dovere di conferire ai granai del popolo la totalità del frumento denunziato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guariento».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulla opportunità di prorogare anche nell’anno accademico in corso la facoltà per gli studenti siciliani dell’Istituto orientale di Napoli di potere sostenere esami in tutte le sessioni, ordinarie e straordinarie, presso le Facoltà di lettere delle Università siciliane. Il provvedimento sarebbe quanto mai giustificato, dato che non sono venuti meno i motivi che determinarono la concessione negli anni precedenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali: mentre al termine dei corsi dell’Accademia navale viene assegnato gratuitamente agli ufficiali di marina di nuova nomina un corredo personale di vestiario e biancheria, pienamente rispondente alle esigenze di uso e di decoro, agli ufficiali dell’esercito licenziati dall’Accademia militare – i quali per la maggior parte versano in condizioni economiche criticissime – non viene effettuata alcuna distribuzione del genere, cosicché consumati gli scarsi effetti di vestiario ricevuti durante i mesi dell’Accademia, essi si trovano nella materiale impossibilità di vestirsi in modo confacente al prestigio del grado acquisito; mentre alle Accademie navale ed aeronautica è concesso un assegno di miglioramento vitto di lire 75 giornaliere per allievo, per l’Accademia militare tale assegno è di sole lire 30, il che determina una forte sperequazione di trattamento, inammissibile fra allievi delle forze armate dello stesso Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perugi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga giusto ed equo valutare e riconoscere, agli effetti della pensione e delle eventuali promozioni, il servizio prestato dai ferrovieri riutilizzati durante il grave periodo delle offese belliche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sulla mancanza di personale al Tribunale di Rovigo, che conta due soli giudici, uno in partenza (Stellatelli) ed uno oberato di lavoro (Carleschi), senza presidente, perché il consigliere Alessandri ha già molto lavoro come presidente della Corte di assise. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere la ragione per cui la categoria degli agenti e rappresentanti di commercio sia considerata soggetta all’imposta sui maggiori profitti di guerra. L’interrogante ritiene:

1°) che l’applicazione alla categoria dell’articolo 1 della legge fondamentale che riflette gli utili derivanti dall’esercizio di «attività industriali» e «commerciali» o di affari derivanti da attività intermediaria è frutto di un’interpretazione estensiva ed analogica della norma tributaria, il che è in contrasto stridente con l’articolo 4 delle preleggi (vecchio Codice) e 14 delle disposizioni preleggi del Codice civile vigente;

2°) che i rappresentanti ed agenti «ausiliari», e non intermediari «professionisti» e non commercianti (tale qualifica essendo sempre stata espressamente loro disconosciuta a tutti gli effetti di legge ed in tutte le leggi, sia di diritto comune, che di diritto tributario), sono gli unici contribuenti che pur essendo tassati in categoria C1 sono soggetti all’imposta sui maggiori utili di guerra;

3°) che, come gli artigiani, i piccoli affittuari agricoli, gli appartenenti alle minori attività commerciali ed industriali, i quali hanno ottenuto il passaggio dei redditi dalla categoria B alla C1, con il privilegio dell’esenzione dall’imposta sui maggiori utili di guerra, anche gli agenti ed i rappresentanti di commercio iscritti nei ruoli di ricchezza mobile in categoria C1, sin dall’emanazione della legge fondamentale tributaria, hanno diritto all’esenzione dal pagamento di tale imposta, dalla quale, invece, sono gli unici a non essere esonerati;

4°) che i redditi di questa categoria non hanno subito nessun incremento per effetto della guerra (la massa degli affari essendo rappresentata da provviste belliche o dagli affari della cosiddetta «borsa nera», trattati personalmente da improvvisati e poco scrupolosi commercianti) e che anche l’aumentato costo degli scarsi prodotti e l’irrisorio aumento del 10 per cento del tasso delle provvigioni viene ampiamente assorbito dall’aumento del costo della vita e dai ripetuti aggravi delle tariffe ferroviarie. L’interrogante chiede che questa situazione venga attentamente presa in esame. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e del commercio con l’estero, per sapere se i permessi per l’esportazione, soprattutto verso il Belgio, delle piante ornamentali da serra e di piena aria, prodotte nella riviera ligure e specialmente nella provincia di Imperia, non potrebbero essere rilasciati con maggiore sollecitudine di quella che ora non si usi; anzi meglio, se non potrebbero essere rilasciati direttamente dalle dogane italiane di confine, Ventimiglia e Chiasso, trattandosi di prodotti non necessari in alcun modo ai bisogni interni della vita economica, ed in presenza del fatto che in linea generale il Belgio rilascia permessi di importazione valevoli per un solo mese; onde spesso accade che, quando giunge il permesso italiano di esportazione, sia già scaduto quello estero di importazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, dell’agricoltura e foreste e del commercio con l’estero, circa il modo come intendano risolvere il problema del divieto opposto dalla Francia all’entrata ed al transito per il Belgio delle piante ornamentali provenienti dall’Italia, per motivi sanitari, provocati dal parassita «aspidiotus perniciosus» (coccinella di San Josè). L’interrogante fa presente che le piante ornamentali sono immuni da questo parassita, come può far fede l’Osservatorio di fitopatologia di San Remo; e che il certificato rilasciato da tale Osservatorio, ed eventualmente controllato dal delegato francese in materia, dovrebbe bastare, non soltanto a far concedere il libero transito sul territorio francese alla piante ornamentali spedite nel Belgio da Ventimiglia o da Chiasso in vagoni chiusi, ma anche ad aprire loro l’importazione ed il commercio e la vendita nello stesso territorio francese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, dell’agricoltura e foreste e del commercio con l’estero, intorno ai provvedimenti che intendono prendere affinché, nella rinnovazione dei trattati commerciali con la Francia, venga tenuto conto della vasta e florida produzione di piante e semi di piante ornamentali da serra e da piena aria, che viene fatta nella riviera ligure, e specialmente nella provincia di Imperia. Più specialmente l’interrogante chiede se si propongano di fare includere, sia nei trattati con la Francia, sia in quelli con altri Stati, le seguenti voci doganali: fiori e foglie ornamentali; piante ornamentali in genere, da serra o da piena aria; cactea (piante grasse) e semi di piante ornamentali; le quali tutte, prima della guerra, venivano esportate in Germania, in Ungheria, in Austria, in Cecoslovacchia; ciò tanto più che gli orticoltori francesi, belgi, svizzeri ed inglesi fanno larga richiesta di tali prodotti, e dall’esportazione di questi generi, non necessari per l’economia nazionale, verrebbe il doppio vantaggio delle divise estere, e dell’occupazione di una mano d’opera attualmente inutilizzata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se gli consti che nella città e nel circondario di Milano le privative sono sovente, e per più giorni, prive di sale, cosicché il pubblico è costretto a perdere giornate per rintracciare una derrata, che dovrebbe essere costantemente alla portata di tutti, e nel caso che tale deficienza sia imputabile non alla Amministrazione dei monopoli, ma a negligenza dei rivenditori (negligenza dovuta a sua volta al minimo interesse che essi hanno a rivendere il sale), quale provvedimento abbia preso o intenda prendere per fare cessare uno stato di cose che compromette gravemente, quanto inutilmente, il Governo nella opinione pubblica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e quali provvedimenti siano stati presi in vista del grave pericolo che incombe al Cenacolo Vinciano di Milano, che, quasi miracolosamente salvatosi dalle bombe aeree, sta ora rovinandosi per colpa di insipienze, incoscienze, incapacità ed inerzie burocratiche neppure credibili; e particolarmente se siano stati presi o si intendano prendere provvedimenti adeguati contro i responsabili organi amministrativi, i quali, avvertiti il 2 febbraio 1946, con telegramma del professore Ettore Modigliani, sovraintendente alle Gallerie di Milano, che urgeva provvedere alle condizioni estremamente gravi del Cenacolo, causate sia da intonaci inconsideratamente praticati durante l’inverno nell’ambiente, che dal sommovimento di trecento metri cubi di terra bagnata e fetida senza la minima preoccupazione dell’insigne monumento, attesero tre mesi ad inviare sul posto una commissione (aprile 1946) e quindi restarono praticamente in inerzia per quasi un anno, senza preoccuparsi dei pericoli del nuovo inverno, e degli irreparabili danni all’insigne pittura che costituirebbero onta indelebile per il Governo e per il popolo italiano verso il mondo e verso i posteri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia preso o intenda prendere in merito alle disastrose condizioni in cui versa a Milano il Pio Istituto di Santa Corona, a proposito del quale dal dicembre 1946 è pervenuto al Ministero dell’interno un dettagliato rapporto del Prefetto di Milano.

«È da tenersi presente che il Pio Istituto, una antichissima fondazione assai popolare a Milano, gestisce nell’Istituto ospitaliero di Pietra Ligure 1500 letti per tubercolotici extra polmonari, nell’Istituto eliotermale di Sirmione 120 letti per bambini profilattici, e nel Sanatorio di Garbagnate Milanese oltre 1250 letti per tubercolotici polmonari; che esso è creditore per lire 81 milioni a tutto il 31 dicembre 1946 verso il comune di Milano, mentre questo ha dichiarato di non essere in grado di far fronte al proprio debito, ed inoltre lo stesso Istituto di Santa Corona era in tale data debitore per 70.500.000 lire per anticipazioni del tesoriere, per stipendi arretrati e scaduti, per mandati di pagamento ineseguiti, e cioè per debiti tutti scaduti ed urgentissimi, oltreché per altre decine di milioni di lire di debiti in scadenza per importo di forniture.

«La situazione appare disperata e l’Istituto di Santa Corona, se non soccorso, dovrà a breve scadenza declinare il ricovero di oltre 2500 ammalati, che sono a carico del comune di Milano, chiudere il Sanatorio di Garbagnate e l’Istituto di Sirmione e pressoché arrestare l’attività dell’Istituto di Pietra Ligure. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, e i Ministri della guerra e dell’assistenza post-bellica, per sapere se corrisponda al vero quanto è stato di recente pubblicato da un settimanale romano, e cioè che i prigionieri italiani fatti in Russia ammontavano a 115.000, e che di essi sono tornati in Patria soltanto 18.000, e se, in caso affermativo, vi siano speranze di sapere la sorte degli altri 97.000, e quali passi si siano fatti e si intendano fare in proposito presso la U.R.S.S. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se gli annunciati provvedimenti intesi a lenire l’imponente disoccupazione magistrale, resa più grave dall’esodo dei maestri giuliani, e disperata per la mancanza di una forma qualsiasi di sussidio, saranno adottati d’urgenza, come richiede la dolorosa situazione di tanti insegnanti esclusi dalla scuola dopo anni di servizio, senza indennità di sorta. (L’interrogante chiedo la risposta scritta).

«Mariani Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali sono le ragioni che impediscono l’emanazione di un decreto che annulli la disposizione del tesoro, per sapere se intenda mettivo 27 maggio 1946, n. 557, e dia agli insegnanti di materie speciali una retribuzione pari a quella accordata agli incaricati fuori ruolo delle scuole medie, avendo gli stessi titoli di studio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del Tesoro, per sapere se intenda mettere a disposizione del Ministero della pubblica istruzione i fondi necessari, affinché gli annunciati provvedimenti contro la disoccupazione magistrale, che condanna alla fame tante famiglie di maestri, siano attuati con carattere di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno concedere l’autonomia comunale alla frazione di Santa Giusta (Oristano), venendo incontro al concorde voto della popolazione interessata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere per quali ragioni non sia stato ancora presentato alla Costituente il disegno di legge sulla stampa, che l’apposita Commissione nominata dal Governo ha compilato e consegnato oltre un mese fa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cianca».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quale azione abbia svolto o intenda svolgere, affinché siano identificati e chiamati a rispondere dei loro delitti, i criminali di guerra responsabili dei massacri perpetrati nella Valle del Reno, e in particolare nel comune di Marzabotto dove, dal 28 settembre al 10 ottobre 1944, 1830 persone furono atrocemente trucidate dal barbaro invasore tedesco. Gli interroganti sono certi che qualora il Governo italiano facesse le pratiche necessarie presso le Autorità alleate, queste non negherebbero il loro concorso ad un’opera di giustizia umana. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Colombi, Dozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia vero che a Cortina d’Ampezzo all’albergo Miramonti, sotto il nome apparente di Club Dolomiti, sia stato aperto un casino da giuoco e quali provvedimenti intenda prendere perché cessino queste violazioni palesi della legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali misure intenda prendere per venire incontro alla crisi manifestatasi nella coltivazione dell’olivo, particolarmente nei vivai della zona pesciatina, alla reintegrazione delle piante distrutte dalla guerra, e allo sviluppo di nuove piantagioni di questo albero prezioso; se non ritenga opportuno, nell’interesse nazionale, accogliere la proposta degli olivicultori di Pescia, avanzata al Ministero in data 12 settembre 1946, a mezzo della Confederazione nazionale coltivatori diretti (Federazione provinciale di Pistoia), tendente ad ottenere, previa congrua assegnazione di mezzi finanziari da parte del Ministero stesso, che, attraverso le associazioni di categoria ed il controllo degli Ispettorati agrari, si proceda all’acquisto almeno di una parte delle pianticelle di olivo esistenti, per decongestionare la produzione giacente, facendola distribuire gratuitamente a coloro che ebbero le piante distrutte dalla guerra, e semi gratuitamente per le nuove piantagioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere quali provvedimenti d’ordine disciplinare e giudiziario si intendano prendere nei confronti dei dirigenti del Consorzio agrario provinciale di Bergamo, al cospetto dei quali starebbe una situazione di fatto, che si riassume nel modo che segue:

1°) recentissimamente il giornale L’Unità, pagina di Bergamo, pubblicava come un quantitativo di zucchero, di cui il predetto Consorzio è responsabile, fosse adulterato con barite in ragione del 9,60 per cento;

2°) immediatamente dopo, pure il giornale Eco di Bergamo, ribadiva la gravissima accusa di cui sopra, annunciando che erano stati posti in arresto due operai per nome Imberti e Brambilla, nonché un impiegato per nome Mincia;

3°) secondo le asserzioni di cittadini, che affermano di essere bene informati, tanto il presidente che il vicepresidente del suddetto Consorzio erano da tempo perfettamente al corrente dei fatti delittuosi, ma ciò non pertanto non si decidevano a presentare denuncia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caprani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere in base a quali segni della volontà popolare si sta predisponendo il distacco dei due Comuni di Badia Tedalda e di Sestino dalla provincia di Arezzo per aggregarli alla non ancora costituita, ma progettata, provincia di Rimini. L’interrogante domanda se non sia il caso di sospendere la creazione della suddetta provincia, in attesa che l’Assemblea Costituente abbia predisposto la ripartizione delle circoscrizioni regionali. E in ogni caso fa presente l’inopportunità di distaccare i due predetti Comuni dalla provincia di Arezzo, senza aver prima interrogato mediante referendum le popolazioni interessate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fanfani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti sono stati presi a carico dei responsabili della rissa che ebbe luogo a Roma in via Tor di Schiavi, alla vigilia delle elezioni amministrative, tra elementi del «Blocco del Popolo» e elementi del «Fronte dell’Uomo Qualunque». Il Commissariato distrettuale di pubblica sicurezza del Quadraro espletò subito le necessarie indagini, identificò le persone implicate nel fatto e stese un rapporto, in base al quale vennero deferiti all’Autorità giudiziaria tutti coloro che presero parte attiva alla rissa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere:

1°) se è esatto quanto è stato pubblicato da alcuni giornali, circa la giacenza nei depositi centrali dell’Endimea di notevoli quantità di materiale sanitario – pari a varie diecine di milioni – che avrebbero dovuto essere distribuite a prezzi americani;

2°) se è esatto che tali notevoli quantità di materiale sanitario siano in procinto di essere vendute in blocco ad una o più ditte, che, comperando a prezzi americani e rivendendo a prezzi italiani, effettuerebbero senza dubbio, una indegna speculazione;

3°) come intenda provvedere alla distribuzione del suddetto materiale ed evitare che esso divenga oggetto di speculazione, dato che l’Endimea avrebbe dovuto cessare dalle sue funzioni il 31 dicembre 1946;

4°) se non ritenga di dover chiedere conto a chi di ragione soprattutto della mancata tempestiva distribuzione del materiale sanitario deperibile, quali i vaccini, le insuline, i prodotti ipoterapici, cosa che, oltre al danno di ordine sanitario, importa un danno economico rilevantissimo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della Marina mercantile, per sapere:

1°) come intende provvedere al rifornimento idrico delle isole Pontine, essendo venuto a cessare il servizio finora effettuato con mezzi Alleati;

2°) se non creda opportuno e necessario, data l’urgenza di provvedere a tale servizio soprattutto sotto l’aspetto dell’igiene pubblica, di assegnare a pagamento con l’impegno di provvedere al trasporto dell’acqua necessaria ai bisogni delle popolazioni delle isole Pontine, due delle motozattere con cisterna cedute dagli Alleati, che attualmente si trovano nel porto di Napoli, invece di destinarle – come sembra che si sia in procinto di fare – ad armatori che le adibirebbero a traffici ordinari e liberi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga urgente procedere alla concessione della autonomia comunale alla frazione di Suelli, in provincia di Cagliari. Il decreto, già approvato dal Consiglio dei Ministri, risulta infatti sospeso unicamente perché vi era anche prevista la concessione dell’autonomia alla frazione di Selargius, concessione alla quale si è dovuto soprassedere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post-bellica, per conoscere se non ritengano necessario ed urgente chiarire la discordanza esistente tra la Commissione ufficiale del Governo dell’U.R.S.S. che dichiara di aver provveduto al rimpatrio di circa 21.000 prigionieri italiani, e quanto risulta dalle comunicazioni ufficiali del Ministero dell’assistenza post-bellica, e cioè che finora sono stati rimpatriati circa 12.000 ex prigionieri italiani nell’U.R.S.S. Questo per porre termine alla tragica incertezza nella quale tante famiglie italiane vivono – tra la speranza e la pena – senza avere notizia alcuna dei loro cari, ancora dopo più di un anno e mezzo dalla fine delle ostilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rumor».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga opportuno modificare l’articolo 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1946, n. 298, col quale veniva bandito il reclutamento straordinario di cento sottotenenti in servizio permanente nell’Arma dei carabinieri. Tale concorso è riservato ai sottufficiali dell’Arma stessa, che parteciparono al concorso indetto con decreto ministeriale 26 marzo 1943, successivamente annullato con decreto ministeriale 17 ottobre 1944. Come è noto, solo pochissimi aspiranti poterono partecipare al concorso indetto con decreto ministeriale 26 marzo 1943, in quanto in quel periodo di guerra molti sottufficiali erano mobilitati e molti ammalati. Si chiede se non sia opportuno estendere agli altri sottufficiali la possibilità di partecipare al concorso in parola, per evidenti ragioni di equità e di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per conoscere se si è indagato al fine di accertare che fine hanno fatto i fondi da distribuire ai disoccupati per l’assistenza natalizia, i fondi per l’assistenza ai reduci disoccupati e tutte le altre provvidenze, essendo noto che in talune provincie è mancata qualsiasi assistenza ai disoccupati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per conoscere quali passi siano stati fatti dal Governo presso le Autorità britanniche allo scopo di ottenere da loro il consenso al rientro in Africa dei profughi che abbiano colà il capofamiglia. In particolare: quello che si è fatto nei riguardi dei giovani appartenenti a famiglie residenti in Africa, che abbiano superato i 16 anni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga conforme a giustizia rivedere i soprassoldi delle ricompense al valore e le competenze, compresa quella della posizione di riserva, che sono rimaste ancora come nell’anteguerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, sul modo con cui viene ripartito lo zucchero per le industrie marmellate ed affini. Si lascia la distribuzione alla Confederazione marmellatieri di Roma, la quale, essendo costituita in prevalenza da rappresentanti di vecchie industrie, assegna lo zucchero prima di tutto alle industrie di cui detti rappresentanti fanno parte ed assegna alle nuove industrie soltanto le briciole. Per ciò si mantengono in vita vecchie organizzazioni fasciste, si perpetuano situazioni di privilegio e si va contro alla libertà di industria e di commercio, che gioverebbe invece ai consumatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare di urgenza per affrettare la liquidazione del personale delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste, liquidazione che, attraverso alcune ingiustificate lentezze della gestione commissariale, ha dato e dà l’impressione che si prolunghi oltre i limiti del tollerabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se rispondano ad esattezza le notizie pubblicate da alcuni quotidiani dell’Emilia (Unità Democratica del 23 gennaio 1947, ecc.), a tenore delle quali a San Felice sul Panaro, dopo la rappresentazione del dramma «Senza patria» dell’anarchico Pietro Gori, il sindaco del luogo, Cesare Menarini, che aveva vivamente applaudito la scena in cui il protagonista del dramma calpestava la bandiera dello Stato, avrebbe rifiutato ad un gruppo di reduci ed ex combattenti, il permesso di affiggere un manifesto di protesta, dichiarando di riconoscere quale sola bandiera nazionale quella rossa con falce, martello e stella. Nella ipotesi che i fatti accennati rispondano ad esattezza, chiede se e quali provvedimenti il Governo abbia preso ed intenda prendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppi Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se sia informato che, contrariamente al tassativo disposto dell’articolo 280 del testo unico della legge sull’istruzione superiore, vi sono dei pensionati del Politecnico di Torino, ai quali i recenti provvedimenti in favore dei pensionati sono stati solo parzialmente applicati; e se non creda che il secondo comma dell’articolo citato costituisca pei pensionati stessi un indiscutibile diritto a fruire del medesimo trattamento che compete a tutti indistintamente gli impiegati civili dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colonnetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non sia d’avviso di provvedere al trasferimento del maresciallo comandante la stazione dei carabinieri di San Giorio Lomellina, il quale, per il suo comportamento rispetto ai partiti politici locali, va creando un’atmosfera di diffidenza e di ostilità con le autorità comunali, non consigliabile al mantenimento dell’ordine pubblico.

«L’interrogante fa presente che l’azione del citato maresciallo, ha provocato un procedimento penale, per cui a giorni, avanti al tribunale di Vigevano, verrà celebrato un processo nel quale si assisterà al poco edificante spettacolo di due autorità, l’una contro l’altra, in un duello di reciproche accuse.

«L’interrogante fa pure presente, che sul conto del prefato maresciallo ebbe, da parte dei superiori del medesimo, giudizi poco benevoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta.

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi per i quali non si è ancora provveduto dalla concessionaria Società ferrovie Adriatico-Appennino alla riattivazione della ferrovia Sangritana nel tratto stazione di Guardiagrele-Ortona a mare. Il ripristino di tale linea (che importa una spesa irrisoria, perché non richiede la ricostruzione di nessuna opera d’arte) è di vitale importanza per la rinascita di molti Comuni sinistrati dalla guerra, le cui popolazioni sono tuttora tagliate dal mondo e servirebbe anche ad impiegare numerosi dipendenti di quella stessa Società rimasti disoccupati da oltre tre anni. (L’interrogante chiede d’urgenza la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se sia informato dell’opera altamente benefica svolta nello scorso anno dall’UNRRA-CASAS a vantaggio delle popolazioni più gravemente colpite dalla guerra, e se sia vero che i più larghi finanziamenti predisposti dalla Missione dell’UNRRA per intensificare l’opera predetta siano stati in qualche modo ostacolati dalla Delegazione italiana, che vorrebbe almeno in parte distrarli a favore di consorzi a carattere capitalistico e speculativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta, segnalando il carattere d’urgenza che la questione riveste nell’interesse degli innumerevoli senza tetto dell’Abruzzo).

«Paolucci».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere entro quale termine intende presentare al Consiglio dei Ministri lo schema di decreto che deve dare pratica attuazione alle promesse pubblicamente fatte sull’introduzione dei ruoli aperti nella carriera degli insegnanti elementari, dal momento che ogni ulteriore ritardo si risolve in un sempre maggiore danno per la scuola e per la categoria dei maestri che attendono da anni giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Iotti Leonilde».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, in vista della agitazione che si va diffondendo ed intensificando fra gli insegnanti degli istituti medi per l’abrogazione della legge De Vecchi 24 aprile 1935, n. 565, che abbassava i limiti di età per il collocamento a riposo dai 70 anni ai 65, intenda promuovere i provvedimenti per l’abolizione della legge fascista. È superfluo riferire le ragioni di carattere giuridico ed i motivi di indole umana che militano a favore della richiesta degli insegnanti, di quelli specialmente che furono assunti in ruolo prima del 1935, tanto essi sono evidenti. Allo scopo di eliminare un’altra causa di turbamento nel campo della scuola sarebbe opportuno andare sollecitamente incontro alla legittima richiesta degli insegnanti e risparmiare loro, oltre le mortificazioni cui oggi sono sottoposti ed alle quali accennò lo stesso Ministro nel saluto diretto alla scuola con parole gravi ed allarmanti, l’umiliazione di questuare di anno in anno il mantenimento in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ruggeri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della guerra e del tesoro, per sapere se non ritengano doveroso ed urgente regolare la posizione dei militari reduci ed ex internati in Germania colpiti da tubercolosi per causa di servizio, ed oggi ricoverati nei Sanatori. Poiché attualmente le pratiche per l’assegnazione delle pensioni si svolgono con una lentezza e con una sperequazione di trattamento, tali da suscitare le più vive preoccupazioni ed un diffuso malcontento in questa massa di giovani così duramente colpiti, e allo scopo di evitare che il malcontento si traduca in dimostrazioni pregiudizievoli al buon nome dell’Esercito e della Nazione, è necessario:

1°) che siano accelerati i lavori delle Commissioni mediche per le pensioni di guerra per la fissazione delle visite collegiali che devono definire i gradi della pensione da corrispondersi;

2°) che, in attesa, venga corrisposto l’assegno mensile sospeso dal mese di ottobre 1946;

3°) che si provveda alla corresponsione del premio della Repubblica nella misura stabilita;

4°) che sia riveduta la disposizione secondo la quale viene tolto ogni sussidio dal giorno del rilascio della licenza di convalescenza, tenendo presente le conseguenze che si ripercuotono sulle famiglie degli interessati bisognosi di un trattamento speciale, al quale le famiglie non sempre possono provvedere;

5°) che sia estesa la distribuzione del corredo, oggi limitata agli appartenenti alla Marina e all’Aeronautica, anche ai ricoverati appartenenti all’Esercito (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Leone Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per richiamare la sua attenzione sul fatto che l’Ente distribuzione medicinali alleati (Endimea), ha i suoi depositi rigurgitanti di materiali in deperimento in oltre dieci grandi città italiane. Si tratta di circa duemila tonnellate di merce corrispondente a poco meno di due miliardi di valore. Talune forniture sono già scadute e rimaste inutilizzate nonostante le segnalazioni tempestive fatte e ripetute al Ministero dell’interno ed alla Presidenza del Consiglio. Gravissime fra le quali le lastre radiografiche e gli estratti epatici di cui il commercio è assetato da qualche anno, e che han raggiunto prezzi iperbolici assolutamente proibitivi. Imperdonabile poi è la perdita di forte quantitativo di pituitrina, scaduta, e di 232 mila flaconi di insulina, scaduti a fine 1946. Nessuno ignora che questi farmaci han la possibilità di letteralmente salvar la vita di moribondi. È tanto che il commercio nazionale ha sospeso la vendita di insulina, perché non ce n’è più. E la gente muore di coma diabetico e di gangrena diabetica, mentre l’insulina si perde nei vari depositi. Altri 37 mila flaconi di insulina stanno per scadere nei primi mesi del 1947. Ospedali e cliniche dappertutto han penuria di medicinali, mentre lo Stato per tenerli depositati inattivi ed in istato di progressivo deperimento spende attualmente circa due milioni al mese. L’interrogante domanda di conoscere quali urgenti provvedimenti il Governo intenda adottare per eliminare i gravi inconvenienti segnalati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e degli affari esteri, per conoscere le ragioni dell’ordine dato al nostro Ministro a Berna di non vistare passaporti a stranieri desiderosi di venire in Italia e di ritardare di venti giorni il rilascio del visto agli svizzeri. L’interrogante, anche nella sua qualità di sindaco di Verbania, protesta energicamente chiedendo la revoca di tale insano provvedimento, causa di rovina per la risorgente industria turistica e di chiusura degli alberghi, fonte di eventuali gravi disordini, di cui non risponde. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zappelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere i provvedimenti che intende adottare per ovviare alla sperequazione cui hanno dato luogo i decreti-legge 11 ottobre 1944, n. 257; 26 aprile 1945, n. 294 e 9 novembre 1945, n. 702, in base ai quali agli ufficiali cancellati dai ruoli con perdita del grado per collaborazionismo, ai funzionari collaborazionisti o che disobbedirono al governo legittimo, è concesso il ricorso al Consiglio di Stato, mentre detto ricorso è negato ai primi colpiti (gennaio 1945), che notoriamente avevano obbedito al governo legittimo (come è dimostrato dal fatto che essi erano fisicamente presenti al sud nel gennaio 1945), o che addirittura avevano agito attivamente contro i tedeschi ed il fascismo, oppure che avevano fatto parte del governo legittimo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

1°) perché non si procede alla pubblicazione annuale delle presidenze e cattedre vacanti negli istituti medi di istruzione, considerando anche che tale pubblicazione venne soppressa dal cessato regime fascista, senza dubbio allo scopo di facilitare abusi e favoritismi;

2°) perché, come per gli insegnanti, anche per i presidi, non si tiene conto delle esigenze di famiglia in concorso col merito e l’anzianità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere quali disposizioni siano state impartite alle Intendenze di finanza provinciali per indennizzare quelle persone che, dietro promesse di restituzione, offersero somme rilevanti alle formazioni partigiane e detengono delle semplici ricevute provvisorie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere quali disposizioni siano state emanate perché sia pagato il bestiame che dalle formazioni partigiane venne requisito agli agricoltori, ai quali vennero rilasciate delle semplici ricevute provvisorie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno, al fine di consentire la sollecita riparazione degli edifici di proprietà degli Enti comunali di assistenza, non direttamente adibiti a servizi assistenziali, ripristinare la disposizione di cui all’articolo 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, la quale poneva a carico dello Stato tutto l’onere della riparazione dei beni immobili di proprietà degli Istituti di pubblica beneficenza distrutti o danneggiati da eventi bellici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e della guerra, per conoscere quali siano le norme giuridiche attualmente vigenti per la raccolta e il commercio dei rottami ferrosi sparsi, o sepolti, in larghe zone di campagna, ove più ha infuriato la guerra (come, ad esempio, nella zona del Cassinate). E ciò perché i contadini, che hanno visto distrutte le case e gli alberi e sconvolti i campi, avevano avuto fino ad oggi una piccolissima risorsa nella raccolta e nella vendita (che ritenevano libera) dei rottami metallici (non degli esplosivi, dei quali si occupano le competenti autorità militari) abbandonati, o ritrovati occasionalmente durante i lavori agricoli. La cosa è tanto più grave, in quanto sembra che si sia vietato a questi poveri e disgraziati contadini perfino la vendita dei rottami di provenienza casalinga, e ciò con inesplicabile arbitrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non creda opportuno intervenire urgentemente e con mezzi adeguati a mettere in condizione i comuni di poter risolvere il problema degli ospedali ed in modo particolare quello dei sanatori antitubercolari, molti dei quali, stracarichi di debiti, non sono in condizione di curare, in modo adeguato, i degenti, ed in qualche caso mancano addirittura di biancheria e dei mezzi indispensabili all’igiene di questi luoghi di cura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani Francesco».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per conoscere le ragioni per le quali non sono state alimentate le Casse degli Uffici regionali del Ministero dell’assistenza post-bellica (ed in particolare l’ufficio regionale di Padova), creando disagio nell’erogazione dei sussidi agli aventine diritto, sussidi che sono mancati dal luglio 1946 e che tuttora non vengono erogati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rognoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni che hanno impedito finora l’assunzione in ruolo degli insegnanti elementari dichiarati idonei in esito al concorso nazionale rurale bandito con decreto ministeriale 26 marzo 1940, che prevedeva l’efficacia della graduatoria «fino al suo esaurimento» (Bollettino Ufficiale 4 aprile 1940, Parte II, n. 14). Della predetta graduatoria fanno parte reduci, sinistrati di guerra e supplenti, i quali hanno già avuto modo di dimostrare le loro attitudini didattiche. Con la nomina dei predetti idonei e la loro destinazione alle scuole urbane o rurali, si verrebbe a sostituire personale stabile e capace a personale avventizio e si realizzerebbe una più razionale ripartizione di posti, secondo i vari bisogni di ogni provincia. Ne deriverebbe, altresì, una notevole riduzione di concorrenti ai futuri concorsi, che si farebbero con maggiore ordine e serietà e con sensibile economia di spese. Lo Stato, infine, manterrebbe fede all’impegno morale e legale assunto in modo esplicito col bando del concorso succitato e darebbe sollievo a tante famiglie, che in questo duro periodo vivono di ansiose incertezze e di stenti. La preferenza accordata ai predetti idonei alle graduatorie annuali dei supplenti costituisce un beneficio del quale non si avvantaggia che un’esigua minoranza, sia perché vi sono altre categorie di preferiti, sia perché le innumeri domande di incarico sono oggi limitate alla sola provincia di residenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Emanuele».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere come egli possa giustificare l’ingiusto ed illegale provvedimento di sospensione dell’esercizio, preso a carico della benemerita azienda di autoservizi Sereni & Maselli di Bazzano, che per circa un anno ed a prezzo di gravissimi sacrifici ha servito la popolazione di Savigno, Castel di Serravalle, Bologna, ricollegando fra loro questi importanti centri, quando nessun’altra via di comunicazione era attivata e nessuna ditta si era sentita di assumere i gravi rischi economici e umani. Nella ditta Sereni & Maselli, fra l’altro, il Maselli valoroso ex partigiano e benemerito combattente della Causa democratica, trae l’unico cespite di vita dall’esercizio dell’Azienda nella quale ha impegnato gravissimi interessi con pericolo attuale di una completa rovina economica: mentre la S.A.T.I.B., alla quale la nuova concessione è stata accordata gestisce altre linee. Si domanda che per elementare principio di equità e per la restaurazione di un diritto acquisito, almeno una delle due linee (e cioè quella gestita già da circa un anno) sia concessa alla ditta Sereni & Maselli. (Gli interroganti chiedono la risposta. scritta).

«Manzini, Tega».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se, esaminata la relazione inviatagli in data 27 gennaio 1947, tramite il prefetto di Aquila, da 219 firmatari, che costituiscono la maggioranza dei contribuenti del comune di Collepietro; accertati i fatti e ritenuti validi i motivi in essa esposti, non ritenga opportuno modificare quanto disposto nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 novembre 1946, n. 511, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 7 del 10 gennaio 1947 circa la delimitazione territoriale fra il comune di Collepietro e la frazione di San Benedetto in Perillis, eretta a comune autonomo in virtù di detto decreto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se la linea ferroviaria Battipaglia-Potenza-Taranto si svolga in Italia o su terreno coloniale; se e per quali ragioni in questi treni non sia possibile trovare vetture per viaggiatori; se e per quali ragioni su queste linee non sia possibile l’istituzione di littorine che congiungano i numerosi ed importanti centri a sud-est di Battipaglia con i treni veloci e comodi che uniscono Napoli e Roma con le Calabrie e la Sicilia, mentre ciò è possibile per tutte le altre regioni d’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se sono a conoscenza del fatto che nella provincia di Reggio Calabria è stato denunziato a mezzo della stampa che cinquanta quintali di latte evaporato sarebbero stati buttati in mare perché ridotti in istato di avaria e una ingente quantità di marmellata starebbe per subire la stessa sorte; ed, in conseguenza, quali provvedimenti si è pensato di disporre per l’accertamento del fatto e delle eventuali responsabilità, ed – ove queste sussistano – quali misure si intende adottare perché la cosa non abbia a ripetersi e per assicurare la popolazione, turbata dalla notizia predetta, che non può esservi indulgenza verso chiunque, preposto ad uffici ed incarichi di responsabilità, non senta il dovere di cooperare ad attenuare o per lo meno di non aggravare le presenti dolorose condizioni alimentari del Paese, specialmente dei poveri e dei malati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno modificare l’articolo 17, n. 5, del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1570, sull’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, eliminando l’obbligo dei due anni consecutivi di pratica fatta posteriormente alla laurea, come condizione per la inscrizione all’albo dei procuratori, e ripristinando la facoltà agli aspiranti di inscriversi nell’albo dei praticanti procuratori legali subito dopo aver superato gli esami delle materie professionali. In tal modo i laureati potranno affrontare l’esame di procuratore subito dopo la laurea e comunque senza lasciare trascorrere, dopo di essa, un biennio di attesa spesso insostenibile. Coerentemente a tale modifica si chiede di conoscere se non ritenga del caso l’onorevole Ministro emanare delle disposizioni transitorie a favore dei laureati inscritti nell’albo dei praticanti da meno di due anni, autorizzandoli a sostenere gli esami di procuratore ancora prima dello spirare del biennio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non creda di dover intervenire per il sollecito ripristino del servizio tramviario Frascati-Monte Porzio-Monte Compatri, servizio che apporterebbe grande sollievo alle popolazioni di quella zona dei Castelli tanto provate dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere come si concilii con l’ordinamento tributario dello Stato l’obbligo imposto, col decreto 10 giugno 1946 dell’Alto Commissario per l’alimentazione, legislativamente convalidato col decreto del Capo Provvisorio dello Stato in data 23 dicembre 1946, n. 553, di corrispondere una quota di lire 300 o 400 al chilogrammo (da versare presso istituti bancari su un conto speciale vincolato a disposizione dell’Alto Commissariato dell’alimentazione) sulle giacenze di formaggio grana al 1° agosto 1945 della produzione dell’annata 1944 e precedenti, in dipendenza della concessione della libera vendita delle giacenze medesime. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali criteri intende adottare per risolvere ì gravi ed urgenti problemi che assillano la città di Napoli.

«Porzio».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per conoscere quali solleciti e reali provvedimenti si propongono di adottare per migliorare sostanzialmente le condizioni economiche degli impiegati statali, e dei pensionati, e per sanare la piaga dell’avventiziato.

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Governo, perché voglia dare le spiegazioni necessarie intorno alle notizie pubblicate dal giornale Roma di Napoli nei giorni 18, 19 e 20 dicembre 1946, concernenti il fatto che da circa quattro mesi 75 mila tonnellate di viveri sono depositate nei magazzini dell’UNRRA di Napoli senza che si sia proceduto alla loro ripartizione, mentre una parte cospicua di essi è andata perduta in seguito alla loro prolungata giacenza e alla nessuna cura avuta della loro conservazione.

«Labriola».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della marina militare, per conoscere se risponde a verità quanto è stato pubblicato da qualche giornale circa la distruzione di tutto il materiale relativo alla documentazione delle gesta dei nostri marinai prima del1’8 settembre 1943. E, in caso affermativo, quali sono state le ragioni che hanno determinato un tale ordine che, se vero, offenderebbe le più pure e gloriose tradizioni della nostra Marina, calpesterebbe la sacra memoria dei nostri morti. Per conoscere infine quali provvedimenti sono stati presi o saranno presi contro l’ideatore di un sì mostruoso atto di pirateria.

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’aeronautica, per conoscere:

  1. a) perché si è negata ad una società, che ne aveva fatto richiesta e che avrebbe ripristinato l’aeroporto di Agrigento, l’autorizzazione all’esercizio di una linea aerea che avrebbe congiunto, con scali intermedi, Roma ad Agrigento, lasciando quella provincia e la limitrofa provincia di Caltanissetta sprovviste di servizi aerei;
  2. b) perché, anziché lasciar vivere l’«Ala italiana», società con capitale esclusivamente statale e provvista di una organizzazione e di una attrezzatura di primissimo ordine, si è creduto di metterla in liquidazione, disperdendo un ingente patrimonio nazionale, con gravissimo danno per l’Erario, e si è stipulata una inqualificabile, antigiuridica convenzione con una privata società americana che, come si apprende, versa in gravi difficoltà finanziarie, associando lo Stato a tale società, con gli evidenti pericoli che una associazione del genere potrà arrecare alle pubbliche finanze e stanziando per l’esecuzione della convenzione la somma di un miliardo e mezzo di lire;
  3. c) perché la mostruosa convenzione, redatta a tutto beneficio della società straniera e che vincola lo Stato per dieci anni, non è stata portata all’esame del Consiglio di Stato e fatta sanzionare da un decreto del Capo dello Stato, per cui la convenzione stessa deve ritenersi nulla ed improduttiva di effetti giuridici;
  4. d) perché, nella distribuzione delle linee aeree si è concessa la totalità delle più importanti e redditizie linee, fra cui la Roma-Palermo-Catania, alla società italo-americana costituita con capitale statale italiano e privato americano, malgrado che il Vice Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America Dean Acheson abbia pubblicamente sconfessato la società americana, dichiarando che il suo Governo è contrario ai privilegi commerciali nei paesi ex nemici e che «l’Italia è completamente libera di organizzare ed esercitare le sue linee aeree nel modo da essa ritenuto più adatto»;
  5. e) perché si è rifiutata la concessione delle linee richieste ad attrezzate società con capitale privato interamente italiano, alle quali per maggiore beffa ed allo scopo di impedirne l’esercizio, sono stati concessi soltanto tronconi inattuabili di linee secondarie, a cui le società stesse sono costrette a rinunciare, per non incorrere in sicuro fallimento, pregiudicando così i diritti nazionali in materia di traffico interno;
  6. f) perché il Ministero dell’aeronautica ha omesso di agire, come sarebbe stato suo dovere, a carico del colonnello Gallo, ex direttore generale dell’aviazione civile e del traffico aereo, il quale, mettendo interessi privati negli atti del suo pubblico ufficio, ha annientato, per suo esclusivo tornaconto personale, i diritti dell’aviazione civile italiana in favore della società italo-americana, della quale, come è notorio, fin da quando era in servizio attivo permanente, si era accaparrato, in compenso dei suoi favori, il posto di direttore, che ha occupato, non appena costituita la società da lui, per le sue pubbliche funzioni, patrocinata e posta in essere, con la inesplicabile connivenza degli organi direttivi del Ministero, il quale ne ha avallato l’azione, in favore della predetta società, continuandola e portandola a compimento;
  7. g) se non ritengano doveroso di sospendere il piano di distribuzione delle linee predisposto, portando la convenzione e la procedura da adottare nell’assegnazione delle linee alla discussione dell’Assemblea Costituente, che sentirà il dovere di nominare una Commissione parlamentare d’inchiesta per acclarare fatti e circostanze.

«Finocchiaro Aprile».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, perché confermi, che, respingendo ogni suggerimento o richiesta comunque motivata e da qualunque parte proveniente, diretta ad ottenere la concessione di licenze per casinò ed altri locali da giuoco da gestirsi da comuni ed altri enti pubblici, egli si atterrà, col Governo tutto, all’impegno pubblicamente e solennemente assunto di non autorizzare nuove iniziative del genere e di stroncare quelle abusivamente permesse.

«Nobile, Terracini».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere quali misure intende immediatamente adottare per reprimere energicamente la delinquenza politica e prevenire altri assassini organizzati dagli esponenti del blocco agrario monarchico neo-fascista in danno di elementi democratici, colpevoli solo di lottare con i mezzi legali, cioè facendone espressa richiesta alle autorità competenti, per l’applicazione anche in Sicilia della legge in favore dei lavoratori, delle istituzioni repubblicane e delle libertà democratiche.

«I molti assassinî consumati recentemente e sistematicamente in danno di dirigenti delle organizzazioni contadine siciliane, tra cui l’ultimo quello del ragioniere Accursio Miraglia, segretario della Camera del lavoro di Sciacca, rimasti tutti impuniti, destano un gravissimo allarme tra tutta la popolazione siciliana, mettono in evidenza che il blocco agrario monarchico neo-fascista riceve in Sicilia l’appoggio delle prefetture e dell’autorità di polizia e fanno recisamente affermare agli interroganti che le cose non possono più rimanere come per il passato.

«Il Governo democratico deve subito intervenire nell’Isola con la massima energia per salvare le istituzioni repubblicane e colpire i responsabili morali e materiali, diretti e indiretti, della criminalità politica in Sicilia, che fa capo agli agrari ed ha per complice (almeno indirettamente) l’apparato poliziesco dell’Isola.

«Li Causi, D’Amico Michele, D’Agata».

«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze, per conoscere le ragioni che hanno determinato il Governo a ridurre, nel Salento, di 1200 ettari la superficie autorizzata alla coltivazione del tabacco orientale. Tale provvedimento lede le condizioni economico-agricole della Regione Salentina ed aggrava in maniera allarmante il fenomeno della disoccupazione perché fa venire meno un milione e trecentomila giornate lavorative. Esso non tiene conto inoltre che gran parte della superficie coltivata a tabacco è costituita da terreni per cui non sono possibili altre colture.

«Gabrieli».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere il suo pensiero in merito alla situazione, che qui di seguito si denunzia.

«Nella provincia di Campobasso la maggior parte dei veri braccianti agricoli, per ignoranza delle disposizioni a suo tempo in vigore e per incuria degli organi comunali, che su tali disposizioni avrebbero dovuto richiamare la loro attenzione, non si trovano iscritti negli elenchi anagrafici degli anni 1940-41 e successivi. Si è così determinata una situazione di fatto, incresciosa per tale categoria, che, pur avendo in effetti prestato la sua opera esclusivamente presso terzi, non ha, malgrado ciò, diritto a quelle prestazioni concesse ai soli iscritti negli elenchi suddetti.

«Poiché è rilevante il numero di coloro che si trovano in queste condizioni, sarebbe opportuno continuare ad adottare il sistema, che fu adottato sino al 1942 per i non iscritti (informazioni a mezzo carabinieri), limitando, però, le prestazioni a coloro che, unitamente ad informazioni favorevoli, possano dimostrare di non avere mai posseduto terreno od altri beni immobili. Si verrebbe, in tal modo, ad eliminare il diffuso malcontento di tanta povera gente e si ridurrebbero al minimo gli abusi, che potrebbero derivare dalle molteplici richieste di informazioni.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se, accogliendo le istanze delle Accademie scientifiche e delle Società storiche, si intenda provvedere ad evitare che esse continuino, come oggi accade, a trovarsi nella assoluta impossibilità di assolvere al loro ufficio essenziale, che è mezzo di comunicazione fra le scoperte e le indagini italiane e straniere, con grave nocumento alla parte che l’Italia ha ragione di avere nell’avanzamento scientifico e culturale internazionale.

«Einaudi».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro dei trasporti, per sapere se gli accertamenti da lui disposti – come deriva da una risposta scritta data ad una interrogazione del sottoscritto nello scorso agosto – per la ricostruzione del tronco Triflisco-Piedimonte d’Alife della ferrovia alifana si siano conclusi e con quali esiti.

«Il sottoscritto fa osservare:

  1. a) che nell’interesse esclusivo e precipuo di oltre 30 comuni aventi una popolazione di 85.000 abitanti operai su una superficie di 92.000 ettari, non sia più il caso di trascinare oltre la discussione dell’inizio dei lavori di ripristino e riparazione del tronco ferroviario Biforcazione-Piedimonte d’Alife della ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife;
  2. b) che non è logico ed umano, dopo la catastrofe, studiare la possibilità di altre linee e tratti ferroviari da costruire ex novo, abbandonando le riparazioni di un tronco ferroviario già esistente e funzionante da oltre 30 anni e reclamato dalle popolazioni interessate;
  3. c) che la ventilata proposta di aumentare, come soluzione definitiva, le corse degli attuali autobus dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife, al posto della messa in efficienza del tronco ferroviario, è semplicemente da scartarsi perché non rispondente allo scopo del traffico moderno sia per passeggeri sia, maggiormente, per le merci; e che fino a quando non sarà ricostruito il tronco a vapore è necessario aumentare le coppie delle due autolinee in modo da dare la possibilità di viaggiare a circa 300 persone al giorno.

«Chiede che la presente interpellanza sia posta di urgenza all’ordine del giorno dell’Assemblea Costituente.

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare i Ministri dei lavori pubblici e del lavoro e previdenza sociale, per sapere:

1°) come sia stato possibile che una Società con denominazione di «Consorzio Ricostruente» e mascherata come Consorzio di cooperative di lavori, con sede in Roma, presieduta da un impresario e con la partecipazione di funzionari dell’ufficio provinciale del lavoro, abbia potuto ottenere dallo Stato, mediante cottimi fiduciari, per lire 99.735.000 di lavori, e abbia pure ottenuto per circa lire 300 milioni di lavori a regia;

2°) quali provvedimenti si intendano adottare con la maggiore urgenza perché siano colpiti con la giusta severità i colpevoli di simile truffa, e siano riparati i danni in tal modo causati allo Stato.

«Canevari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 17.25.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  2. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.