ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXXII.
SEDUTA DI SABATO 8 FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
indi
DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Russo Perez
Condorelli
Congedi:
PRESIDENTE
Annuncio della nomina di Sottosegretari di Stato:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Commemorazione:
Bruni
Merlin Umberto, Sottosegretario di stato per la grazia e giustizia
Ghidetti
Presidente
Elezione del Presidente dell’Assemblea:
Presidente
Costituzione degli uffici di presidenza di Gruppi parlamentari:
Presidente
Insediamento del Presidente:
Presidente
Dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Corbino
Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
Sul processo verbale.
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. La mia proposta di mettere ai voti il rinvio della seduta non venne ieri presa in considerazione dalla Presidenza; ma, se avessi potuto chiarire, in un’atmosfera più calma, e, vorrei dire, più aderente alle norme regolamentari, il mio pensiero, forse la proposta avrebbe avuto una sorte diversa: «Chiarire il proprio pensiero» è l’esatta locuzione dell’articolo 32 del Regolamento, in base al quale prendo la parola.
Nelle attribuzioni della Presidenza non vi è la facoltà di rinviare una seduta quando vi è tempo e materia, secondo l’ordine del giorno, per la prosecuzione dei lavori. Nessuna disposizione conferisce tale diritto al presidente. Difatti l’onorevole Conti si è appellato alla tradizione, ai precedenti parlamentari.
Non ho fatto ricerche d’archivio, ma un giornale del mattino le ha fatte per noi e ha trovato precedenti, del 1906, 1909, 1914 e 1920, contrari alla tesi sostenuta dall’onorevole Conti e dai suoi consiglieri. Ma perché appellarsi al passato ed ai precedenti in una situazione, qual è quella italiana di oggi, senza precedenti? Nel passato vi sono tante cose. Perché ad esso ricorrere soltanto per coonestare un espediente governativo che qui ieri è stato definito «fuga»?
Dirò di più: Il Presidente dell’Assemblea suggeriva ieri di costituirla in un modo più perfetto; quindi perfetta lo era già. Non solo vi erano i Vicepresidenti, ma era ancora in carica il Presidente Saragat, perché, come è noto, in carica rimane ogni dimissionario da qualsiasi pubblico ufficio sino al trapasso dei poteri; e l’onorevole Conti fu così frettoloso e sommario, ieri, che dimenticò perfino di fare accettare quelle dimissioni da questo onorevole Consesso.
A me personalmente il Presidente rispose (ricordo esattamente le parole): «Faccio osservare che è l’Assemblea che deve volere che sia costituita perfettamente con la sua Presidenza, data l’importanza delle dichiarazioni che dovrà fare il Governo. Di fronte a questa considerazione, è evidente che tanto l’onorevole Russo Perez, che l’onorevole Benedetti e l’onorevole Lombardi, mi consentiranno di rimandare a domani». Dunque egli non pretendeva esercitare un suo diritto, ma chiedeva, come era giusto che facesse, il consenso dell’Assemblea per l’esercizio di un diritto proprio della stessa.
Alla domanda se consentissimo, non solo risposi di no, ma chiesi la votazione, e per appello nominale, dichiarando che il numero di deputati prescritto per esigere tale forma di votazione era accanto a me per sostenere la mia richiesta. Il Presidente rispose col togliere la seduta.
Noi affermiamo che con ciò fu commesso un arbitrio e furono violate le libertà fondamentali del Parlamento italiano (Rumori), di questa eccezionale Assemblea, che assomma in sé, e per la prima volta, l’intera sovranità del popolo. Violazioni molto più modeste in altri tempi avrebbero provocato l’insorgere del Parlamento, dell’opinione pubblica e la caduta dei più agguerriti Ministeri.
E questa violazione è stata fatta nell’interesse del Governo e contro i diritti dell’Assemblea da chi, non il Governo rappresentava, ma l’Assemblea, che a quel posto lo pose perché fosse l’inflessibile tutore dei suoi diritti sovrani.
Si noti ancora, ad aggravare l’arbitrio, che tutto ciò è avvenuto allo scopo, anzi (voglio rispettare, in questo, le tradizioni garbate del Parlamento italiano), col risultato di fare arrivare il Governo, come ad una meta da raggiungere a qualunque costo e senza il controllo dell’Assemblea, a quella firma che il popolo italiano, finalmente concorde (e concorde voglia Iddio che rimanga) depreca come una sventura ed una ignominia.
Così, mentre, da varie tribune, giornalisti ed uomini politici esprimono il loro parere, ed anche il capo spirituale della Democrazia Cristiana può liberamente gridare: «Non firmate», all’Assemblea Costituente, unico organo rappresentativo del popolo italiano, non è permesso dire il suo pensiero, pensiero che da parte nostra sarebbe ed è appunto: «non firmate»; per infiniti motivi, che non posso esporre perché esorbiterei dai diritti che mi dà il regolamento, come esorbiterei se dimostrassi che i pericoli insiti alla firma sono superiori a quelli del rifiuto della firma stessa a un trattato, sul cui contenuto non è stata abbastanza illuminata la pubblica opinione.
Il Governo, pure stretto da difficoltà, che non mi dissimulo immense, ha offeso, attraverso questa Assemblea, le libertà fondamentali del popolo italiano. (Commenti).
In quest’ora drammatica, nella quale viene perpetrata una delle più grandi iniquità che la storia ricordi, il Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque eleva la sua vibrata protesta a nome della Nazione, che può subire, ma non mai accettare, l’ingiusto trattato e la sua firma. E chiede che il 10 febbraio sia proclamato giorno di lutto nazionale. (Applausi all’estrema destra – Commenti).
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su quale argomento?
CONDORELLI. Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Il processo verbale è già approvato.
CONDORELLI. Dichiaro: non si firmi! (Rumori – Commenti).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Einaudi e Rivera.
(Sono concessi).
Annuncio della nomina dei Sottosegretari di Stato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di informare l’Assemblea che il Capo provvisorio dello Stato, con decreto in data 6 corrente, ha nominato Sottosegretario di Stato:
per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con le funzioni di Segretario del Consiglio stesso, l’onorevole avvocato Paolo Cappa, deputato all’Assemblea Costituente.
Con successivi decreti in data 7 corrente, ha nominato Sottosegretari di Stato:
per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (assistenza ai reduci e partigiani): l’onorevole Vincenzo Moscatelli, deputato all’Assemblea Costituente;
per gli affari esteri: l’onorevole dottor Eugenio Reale, deputato all’Assemblea Costituente;
per gli affari esteri (italiani all’estero): l’onorevole dottor Giuseppe Lupis, deputato all’Assemblea Costituente;
per l’interno: l’onorevole avvocato Ernesto Carpano Maglioli, deputato all’Assemblea Costituente;
per la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Umberto Merlin, deputato all’Assemblea Costituente;
per le finanze e il tesoro (finanze): l’onorevole professor dottor Giuseppe Pella, deputato all’Assemblea Costituente;
per le finanze e il tesoro (tesoro): l’onorevole avvocato Raffaele Pio Petrilli, deputato all’Assemblea Costituente;
per le finanze e il tesoro (danni di guerra): l’onorevole avvocato Giovanni Braschi, deputato all’Assemblea Costituente;
per le finanze e il tesoro (profitti di regime e di guerra): l’onorevole avvocato Vincenzo Cavallari, deputato all’Assemblea Costituente;
per la pubblica istruzione: l’onorevole professor dottor Ferdinando Bernini, deputato all’Assemblea Costituente;
per i lavori pubblici: l’onorevole ragionier Pier Carlo Restagno, deputato all’Assemblea Costituente;
per l’agricoltura e le foreste: l’onorevole dottor Luigi De Filpo, deputato all’Assemblea Costituente;
per i trasporti: l’onorevole professor avvocato Angelo Raffaele Jervolino, deputato all’Assemblea Costituente;
per l’industria e il commercio (industria): l’onorevole avvocato Vannuccio Faralli, deputato all’Assemblea Costituente;
per l’industria e il commercio (commercio): l’onorevole professor avvocato Antonio Cavalli, deputato all’Assemblea Costituente;
per il lavoro e la previdenza sociale: l’onorevole professor Giuseppe Togni, deputato all’Assemblea Costituente;
per il commercio con l’estero: l’onorevole avvocato Mario Assennato, deputato all’Assemblea Costituente.
Con altri decreti in data 7 corrente, il Capo provvisorio dello Stato ha nominato:
Alto Commissario per l’alimentazione: l’onorevole Giulio Cerreti, deputato all’Assemblea Costituente;
Alto Commissario aggiunto per l’alimentazione: l’onorevole dottor Mario Saggin, deputato all’Assemblea Costituente;
Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica: il dottor Nicola Perrotti.
Infine, con suo decreto di egual data, è stato nominato Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica l’onorevole professor dottor Diego D’Amico, deputato all’Assemblea Costituente.
Commemorazione:
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.
BRUNI. Onorevoli colleghi, la notte del 6 gennaio 1947, a 60 anni, moriva improvvisamente, nella sua casa di Treviso, l’onorevole Italico Corredino Cappellotto, Deputato della 25a legislatura. Si era laureato in legge nel 1907; nel 1908 aveva ottenuto il diploma della Scuola superiore di commercio a Venezia per abilitazione all’insegnamento delle scienze economiche; dal maggio 1908 all’ottobre 1910 fu allievo ispettore del movimento e traffico nelle Ferrovie dello Stato, compartimenti di Venezia e Mestre; nel 1910 ottenne la cattedra di scienze giuridiche ed economiche nell’Istituto tecnico superiore di Treviso, dalla quale fu rimosso dalla Commissione fascista per il confino, e sulla quale venne reintegrato solo con la fine della dittatura. Dal 1898 fino alla morte, militò nell’Azione cattolica, e con Romolo Murri (dal 1900 al 1905) partecipò al primo movimento della democrazia italiana.
Dal 1909 al 1915 spese molta parte delle sue energie nell’organizzazione dei contadini della Marca Trevigiana. Con il grado di maggiore del genio, partecipò alla guerra 1915-1918 nella prima e quarta armata.
Fu eletto Deputato per il Partito popolare italiano nel 1919. Fu membro della Commissione permanente di finanza e tesoro.
Nel 1921 fondò il Partito cristiano del lavoro e ne diresse il settimanale «La Battaglia», che venne poi soppresso dal fascismo.
In seno al Consiglio comunale di Treviso capeggiò la minoranza antifascista. E molti lo ricordano ancora, durante il periodo della Quartarella, lanciare solo ed impavido, contro la maggioranza, il grido di sfida: «Viva Matteotti!».
Nel 1942 si unì al Partito cristiano sociale che rappresentò in seno al Comitato di liberazione nazionale provinciale di Treviso.
L’8 gennaio 1945 fu catturato dalla brigata nera «Cavallin» e minacciato di impiccagione. Fu rilasciato dopo che si constatò la sua cecità in seguito a retinite bilaterale.
Ma questa malattia, che lo afflisse negli ultimi anni di vita, non riuscì a piegare la naturale tempra di lottatore. Confesso di non aver conosciuto un antifascista più deciso di lui, un cavaliere dell’onore, della libertà e della giustizia sociale, di lui più virile ed inflessibile.
Al di fuori del Parlamento, del giornalismo, del foro, della politica, non conobbe altre distrazioni. Tutta la sua vita fu un’ascesi. Tutte le sue energie fisiche e spirituali furono messe a servizio del suo ideale politico, fino all’ultimo.
Ormai cieco, si faceva leggere tutti i giornali, riviste e libri di economia e di politica, che poteva acquistare, tenendosi sempre al corrente della situazione in campo nazionale ed internazionale. La cecità pare avesse raddoppiate le sue doti mnemoniche, e certamente ne aveva sviluppato quelle di preveggenza e di saggezza, com’è dimostrato dai rapporti politici ch’egli inviava, di tanto in tanto, alla direzione del suo Partito. Ma il valore, del tutto straordinario dell’uomo, rifulse soprattutto nell’incondizionato attaccamento in cui egli sempre visse, al Vangelo dei poveri; nella fedeltà che dimostrò, in ogni sua azione, alle sue convinzioni e sentimenti cristiani.
In difetto di questi, mi sarebbe arduo spiegare la sua prodigiosa attività anche durante la sua cecità, la sua fierezza d’uomo libero, il suo assoluto distacco dal successo e dalle ricchezze, che lo resero moralmente un gigante.
Non c’è dubbio che con lui sia scomparsa una delle più nobili figure della resistenza e della rinascita italiana.
E ritengo, pertanto, d’interpretare il sentimento di cordoglio di questa Assemblea, se prego la Presidenza di far pervenire ai familiari del defunto ufficiali condoglianze.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Ne ha facoltà.
MERLIN UMBERTO, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Con cuore fraterno di amico mi associo, a nome del Governo, alla degna commemorazione fatta dal collega Bruni di un Deputato che onorò l’Assemblea in momenti di libertà. Corradino Cappellotto fu un cristiano sociale convinto fin dai suoi giovani anni. Appartenne al Partito popolare italiano e difese sempre la causa degli umili. Dopo l’ultima guerra si fece apostolo indefesso degli interessi dei danneggiati di guerra delle regioni venete. Egli fu un assertore convinto della libertà nel più ampio senso della parola. Fu antifascista, nettamente, ritenendo inconciliabile, in via assoluta, il suo pensiero cristiano con la dottrina fascista. Sofferse la persecuzione, ma non piegò mai, ed oggi, quando ancora la Patria molto poteva attendersi da lui, è morto tra il generale rimpianto.
Propongo che l’Assemblea mandi le sue condoglianze alla famiglia e alla città di Treviso.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ghidetti. Ne ha facoltà.
GHIDETTI. Mi associo al cordoglio per la morte di Corradino Cappellotto, uno dei fondatori del Partito cristiano sociale. Noi comunisti, a Treviso, dove egli ha esplicato la coraggiosa sua attività, specialmente all’inizio della lotta di liberazione, ricordiamo in Italico Corradino Cappellotto un fiero combattente della libertà.
PRESIDENTE. Mi associo alle parole commemorative degli onorevoli Bruni, Merlin e Ghidetti e metto ai voti la proposta di inviare le condoglianze alla famiglia.
(È approvata).
Elezione del Presidente dell’Assemblea.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: votazione per la nomina del Presidente dell’Assemblea.
Procediamo alla votazione segreta.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 436
Maggioranza 219
Hanno ottenuto voti: Terracini 279; Pecorari 38; Bencivenga 32; Schede bianche 64; Voti dispersi 21; Voti nulli 2.
Proclamo eletto Presidente dell’Assemblea Costituente l’onorevole Umberto Terracini. (Vivissimi ripetuti applausi).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcami – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.
Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bosi – Bozzi – Bruni – Brusasca – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.
Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.
Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza.
Ermini.
Fabbri – Facchinetti – Faccio – Falchi – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa– Fuschini – Fusco.
Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giolitti – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.
Iotti Leonilde.
Jacini – Jervolino.
Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.
Maffi – Maffloli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marazza – Marchesi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montermartini – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Moscatelli – Murdaca – Murgia.
Nasi – Negarville – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.
Orlando Camillo.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.
Qnarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor – Russo Perez.
Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.
Taddia – Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.
Valenti – Valiani – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni.
Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.
Costituzione degli Uffici di presidenza di Gruppi parlamentari.
PRESIDENTE comunica che i seguenti Gruppi parlamentari hanno proceduto alla elezione dei rispettivi Uffici di presidenza, come segue:
Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque: Presidente, onorevole Giannini; Vicepresidente, onorevole Selvaggi; componenti del Comitato direttivo: onorevoli Bencivenga, Marinaro, Mastrojanni.
Partito Repubblicano: Presidente, onorevole Facchinetti; Vicepresidente, onorevole Macrelli; Segretario, onorevole Santi.
Partito Socialista Italiano: Presidente, onorevole Nenni; Vicepresidente, onorevole Barbareschi; Segretario, onorevole De Michelis; componenti del Comitato direttivo, onorevoli Malagugini e Vernocchi.
Partito Socialista Lavoratori Italiani: Presidente, onorevole Modigliani; Vicepresidente, onorevole Canevari; Segretario, onorevole Lami Starnuti; componenti del Comitato direttivo, onorevoli Carboni, D’Aragona, Salerno, Treves.
Insediamento del Presidente.
(Il Presidente Terracini sale al suo seggio e scambia l’abbraccio con il Vicepresidente Conti – L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi prolungati applausi – All’applauso si associano le tribune della stampa).
Presidenza del Vicepresidente TERRACINI
PRESIDENTE. (Segni di vivissima attenzione). Onorevoli colleghi. Essere elevati a questo alto e responsabile ufficio di regolatore imparziale e diligente dei lavori dell’Assemblea rappresentativa già costituirebbe, anche in tempi di pacifica ed ordinata vita della Nazione, per ognuno pur conscio della propria rettitudine e del proprio civismo, cagione di ansia ben giustificata: poiché la formazione delle leggi resta sempre, e resterà in ogni società nazionale comunque organizzata, il momento supremo e decisivo della comune sorte progressiva del popolo. Esservi chiamati oggi, per sovraintendere a lavori cui dedicheranno capitoli le storie future – le quali, parlando dei dolori infiniti generati alla nostra gente dalla folle bestialità di tanti ascesi a potenza sfruttandone i più nobili ed umani sentimenti, offriranno insieme ai nuovi italiani materia di conforto e di vanto, ricordando il travaglio generoso, i sacrifici incomparabili, la fede tenace con cui gli italiani di questi anni durissimi di transizione hanno, nonostante tutto, gettato il ponte verso l’avvenire migliore – esservi chiamati oggi non potrebbe non costituire, anche per chi ultrapresumesse delle proprie doti di intelletto e d’esperienza, un severo richiamo a responsabilità.
Onorevoli colleghi, in questo modo io intendo il vostro voto, e da questo senso di responsabilità mi farò guidare ad ogni ora nel corso molteplice del nostro fecondo veniente lavoro.
Questo era d’altronde l’insegnamento prodigatomi dai mesi che ho trascorsi, ancora per volere vostro, a fianco di colui che già sedette, primo vostro eletto, in questo seggio; e che, dopo avere, con sensibilità squisita di uomini e di situazioni, diretta un’Assemblea nuova, nella maggioranza dei propri componenti, all’attività parlamentare, a tutti noi, ed ai nuovi ed agli anziani, ha offerto colla decisione, riconfermata ma ancora da noi tutti rammaricata, delle sue dimissioni un alto e prezioso esempio di ossequio alle norme di vita di un vero reggimento democratico. (Vivissimi applausi).
I compiti che ci si propongono sono ardui. E sebbene essi già ci fossero nettamente designati al momento nel quale non tememmo di candidarci ad interpreti e realizzatori della volontà popolare, oggi ben più gravi ci appaiono, fatti attuali per il maturato concludersi di ogni preparativo.
Agli uni voi vi siete apprestati, con un fervore di studi, di ricerche, di approfondite discussioni che stupiranno, conosciute che siano, coloro che scioccamente credono o fanno credere che, ove un’Assemblea non parli a gran giorno, fra bagliori di eloquenza, si addormenti in lei ogni ritmo d’opera. Ed i poderosi volumi che la Commissione dei 75 già ha licenziati, e gli altri che ancora darà all’esame dei membri di questa Assemblea, forniranno testimonianza al mondo di ciò che gli italiani sanno fare, quando la loro coscienza ed il loro intelletto non siano raffrenati od umiliati da interne prevaricazioni o da esterne intromissioni.
Parlo della Costituzione del nostro Stato, che la maggioranza del popolo, nelle sue forze meno irretite per illuse consuetudini di pensiero o di sentimento o per interessi consolidati alle vecchie istituzioni cariche di colpe, ha voluto fosse retto a Repubblica. E da questo ineludibile comandamento prendendo le mosse, grato che esso fosse o meno ai propri convincimenti, deputati di ogni settore hanno dato concorso validissimo di consigli, di argomenti, di proposte ed anche – ciò che forse più vale in momenti infelicissimi della vita di un popolo – di mutua comprensione, di volontà di accordo e di concordia, per redigere quel progetto che fra pochi giorni – portato al vostro esame ed al vostro voto – darà al titolo solenne di questa Assemblea non più dubitabile sanzione.
Io oso fare l’auspicio, onorevoli colleghi, che anche qui, in questa più larga cerchia ed in aperto dibattito, si rinnovi e prolunghi quel nobile e confortevole spettacolo di solidarietà spirituale e nazionale, che, non dimentica delle idealità politiche e sociali cui diversamente si appellano i vari partiti, pur riesce ad affratellarli nel compito di dare alla democrazia repubblicana italiana un suo primo, solido, certo – se anche ancor perfettibile – bastione di legalità. E che in tal modo, sia pure dopo dibattiti lunghi ed anche appassionati, la Costituzione abbia il suggello – se non dell’unanimità dell’Assemblea – per lo meno di un tale numero di voti da dare garanzia anche ai più sospettosi e malvolenti che la nostra legge fondamentale, somma di libertà già raggiunte ed avviamento ad altre, maggiori, di sociale contenuto che essa appena delinea, non sarà frutto d’una vittoria di parte.
Ma la vita di un popolo travalica le frontiere della sua terra e, quanto più esso è maturato a civiltà, tanto più avverte la necessità che anche la maggiore convivenza dei popoli abbia le sue leggi. Onorevoli colleghi, una ne è stata foggiata di queste leggi, che voi dovrete esaminare nei prossimi tempi: legge d’imperio e perciò stesso legge iniqua. Nessun italiano vi ha posto mano, e perciò suona a beffa il titolo di trattato del quale si orna. Essa non corrisponde ai diritti sacri che vennero proclamati come nuova Carta del mondo liberato dai fascismi; e per ciò manca di fondamento giuridico.
Essa misconosce i sacrifici immani non ancora conclusi, che il popolo italiano incontrò per rovesciare la tirannide fascista, e, volontario, per la comune salvezza dei popoli; e per ciò è ingiusta. Ma se essa intende umiliarci e deprimere in noi la capacità di ristimolare, centuplicandole, le nostre energie e la fermezza dei propositi tesi a rifare del nome italico un segnacolo di gloriose conquiste nel campo della pace feconda e laboriosa; qui essa perderà ogni vigore. Poiché non vi è arbitrio di forze collegate che abbia imperio su spiriti riconsacratisi, per olocausto di popolo, a libertà.
Onorevoli colleghi!
Voi deciderete, giunto il momento, e per bocca vostra tutti gli italiani parleranno, qual risposta competa al documento. Ma per intanto, misurando alla sua lettura tutta l’immensità del male, un irrefrenabile impeto di odio erompe dal nostro profondo: contro il fascismo, contro coloro che lo protessero, lo aiutarono, lo sospinsero al potere, ve lo difesero (Vivissimi applausi), insensibili alle sofferenze del popolo, rallegrati del suo decadimento, prodighi di onta al suo nome nel mondo, pur di dare respiro alle proprie fortune insanguinate.
Un trattato così infame il fascismo con le sue infamie l’ha imposto all’Italia, prima ancora che i Governi dei popoli vincitori, traducendole sottilmente in termini territoriali e monetari, non le inserissero al proprio attivo. Ma vanamente si crede di potere insieme giudicare così, come nel documento, la miseranda guerra fascista e la generosa battaglia popolare di liberazione; quella ci ha tratti a rovina; questa ci ha riaperta, la via a salvezza. Ma se anche la democrazia italiana è oggi costretta a pagare per le colpe della tirannide e dei suoi corifei, essa ha forza e capacità per riportare la Nazione, corrette che saranno, attraverso un’avveduta e conseguente azione internazionale, le ingiuste clausole, a rioccupare in Europa e nel mondo il posto che già le avevano assicurato le sue lunghe tradizioni di cultura e le doti creatrici del suo popolo lavoratore.
I popoli stanno: attraverso ai secoli, nella buona e nell’avversa fortuna. Ai popoli tutti che patirono anche per causa nostra – ma che sanno che anche noi patimmo e patiamo per le guerre imposte dalla tirannide fascista – ai popoli che parlano, in diversi accenti, lo stesso nostro linguaggio della speranza e dell’aspirazione alla pace, alla concordia, al perdono, alla collaborazione; ai popoli – l’occhio fisso al domani – questa Assemblea, figlia del popolo italiano, rivolgerà il suo appello fervido, senza venir meno con ciò al grande lavoro costituzionale al quale è consacrata. Poiché la vita di un popolo ha un solo respiro, nella sua terra e più in là nel mondo intero, se essa sa essere – come la vita nuova cui intende risorgere e certissimamente risorgerà il popolo italiano – tutta un’impresa sola di pace e di lavoro, nella libertà e nella giustizia sociale. (Vivissimi, ripetuti, prolungati applausi).
Dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di parlare.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Segni di vivissima attenzione). Onorevoli colleghi, molte e gravi furono le responsabilità che nella mia carriera politica dovetti assumere innanzi al Paese ed a voi; forse nessuna è più grave e più crudele di quella che pesa su di me e sui miei colleghi di Governo in questa vigilia.
Volontà e circostanze più forti di noi non ci hanno lasciato – di fronte all’invito perentorio di apporre la parafasi al trattato – che due alternative sole: o firmare sotto la nostra responsabilità di Governo, o impegnare per tale atto la responsabilità dell’Assemblea Costituente. Questa seconda via sarebbe stata per noi e sarebbe ancora più agevole, perché avrebbe alleggerita la responsabilità governativa, riversandola sulla responsabilità collettiva dell’Assemblea.
Ma con ciò già al primo atto iniziale della procedura avremmo impegnato la Costituente, alla quale invece è riservato un secondo e più definitivo intervento, cioè la ratifica o meglio, come più esattamente prevede la nostra legge, l’approvazione o meno del trattato.
Nelle appassionate polemiche di questi giorni si manifesta la tendenza di sopravalutare la firma e di svalutare la decisione definitiva dell’Assemblea.
Opino che questa tendenza non corrisponda né agli interessi del Paese, né alla realtà oggettiva. Non agli interessi del Paese, perché tra la firma e la ratifica, vale a dire tra la firma e l’esecuzione del trattato, trascorrerà un certo periodo di tempo, durante il quale l’Italia potrà ancora tentare di ottenere dalle Potenze alleate o da talune di esse affidamenti di revisione, impegni di attenuata applicazione delle clausole del trattato, promesse di appoggio nelle questioni che il trattato non chiude, quale quella delle Colonie e delle nostre rivendicazioni verso la Germania. Nessuno può prevedere se veramente in tale periodo ci riuscirà di ottenere qualche concessione; ma sta il fatto che fino ad oggi ogni nostro ripetuto tentativo in tale senso è fallito, perché ognuna delle quattro Potenze dichiarava di essere bensì disposta per quanto la riguardava a fare questa o quella concessione, ma di sentirsi vincolata al compromesso faticosamente raggiunto tra i quattro Grandi, che ci veniva così opposto come un blocco intoccabile.
Questa situazione nel periodo tra la firma e la ratifica delle varie Potenze potrà darsi si presenti alquanto alleggerita. Conviene quindi che in tale periodo l’Italia sia in grado di intervenire attivamente, per esplorare tutte le possibilità, prima che l’Assemblea dica la sua parola decisiva. Si obietta che questa arriverà comunque troppo tardi e riuscirà inefficace. Qui, secondo il mio parere, c’è errore. L’articolo 90 dice che il trattato, oltre che dalle Potenze alleate ed associate, dovrà essere ratificato dall’Italia, ratifica che equivale appunto all’approvazione dell’Assemblea prevista dalle nostre leggi.
Lo so che si è arzigogolato intorno alla forse intenzionale mancanza di chiarezza della suddetta formula. Lo so che fra gli alleati non c’è concordanza nell’interpretazione di essa; ma da una inchiesta fatta dai Ministero degli esteri risulta che almeno due fra i rappresentanti delle quattro maggiori Potenze ritengono che la ratifica dell’Italia di fatto sia necessaria. Ma questo, comunque, rimane certo, che in Italia e per l’Italia, un trattato non è valido, cioè non diventa legge, senza l’approvazione dell’Assemblea Costituente. (Applausi). È vero che gli autori del trattato prevedono l’entrata in vigore immediatamente dopo il deposito delle ratifiche dei quattro Grandi, ma è altrettanto vero che essi non possono aver prevista la pratica esecuzione in Italia del trattato, senza la cooperazione dell’Italia, cooperazione che né questo, né alcun altro Governo, può volontariamente dare, finché manchi la decisione dell’Assemblea. (Applausi).
D’altro canto, chi vi dice che i Parlamenti delle Nazioni Unite, taluno dei quali è così sensibile all’opinione pubblica, restino permanentemente sordi agli appelli che venissero da questa nostra rappresentanza popolare?
Mi pare così dimostrato che è nell’interesse del Paese che l’Assemblea non rimanga impegnata fin dal primo momento e pure mi pare dimostrato che ad essa resti ancora riservato un importante ruolo da compiere. Ed anche in confronto del nostro Paese stesso non sarebbe degno che una tale decisione venisse presa senza la preparazione e la solennità che l’importanza storica dell’avvenimento richiede, cioè nell’incalzare di un termine che ci ha colto durante una crisi durata troppo a lungo e mescolando un atto storico che supera Governi e problemi quotidiani con gli aspetti contingenti di una situazione ministeriale.
Queste ragioni ci hanno indotto ad assumere sulle nostre povere spalle la responsabilità della firma, sia pure ex informata conscientia, cioè dopo aver esposto il nostro punto di vista alla Commissione degli esteri, che ne prese atto riservando i diritti dell’Assemblea, e ai rappresentanti dei gruppi parlamentari.
Resta a precisare quale carattere possa avere per noi tale atto, il quale sarà preceduto da una nostra dichiarazione diretta agli Alleati.
Potrà la firma aver carattere consensuale?
Gli Alleati non ci faranno il torto di credere che la nostra resistenza al trattato sia stata una meschina ed ipocrita manovra. Dalla più profonda intimità del mio spirito ho espresso io stesso nelle solenni conferenze internazionali, in forma pacata ma ferita, la nostra convinzione di uomini liberi e democratici; il modo con cui fu combinato questo trattato e i termini nei quali fu imposto non ne fanno uno strumento atto a realizzare un nuovo assetto internazionale del mondo. (Vivi applausi). A noi non è stata concessa nessuna partecipazione né alla negoziazione, né alle deliberazioni; del trattato non abbiamo quindi né davanti alla nostra Nazione, né innanzi al mondo internazionale corresponsabilità veruna. La nostra firma non può mutare la realtà come si è svolta e quale fu denunziata in ogni fase della Conferenza. Essa non può cancellare il fatto che, nonostante la Carta Atlantica e la stessa recente Costituzione francese (che all’articolo 27 dice «nessuna cessione, nessuno scambio, nessuna annessione di territorio è valida, senza il consenso delle popolazioni interessate»), il trattato dispone dei popoli senza consultarli, né può eliminare il fatto purtroppo incontrovertibile che la nostra economia da sola, nonostante ogni buon volere, non può portare il peso di cui il trattato la grava.
Mancheremmo alla lealtà se intendessimo avallare con la nostra firma l’immeritata umiliazione imposta alla flotta, nonostante la sua efficace e riconosciuta partecipazione alla guerra accanto agli Alleati (I deputati si levano in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Si grida: Viva la Marina!), l’insufficiente considerazione del nostro contributo alla lotta per la liberazione (Vivissimi applausi), e se lasciassimo credere che ci acquieteremo alla totale eliminazione delle Colonie e alla rinunzia a qualsiasi rivendicazione nei confronti della Germania. (Applausi).
Non rifiutare la firma richiesta, vuol dire che il Governo italiano non intende pregiudizialmente fare atto di resistenza contro l’esecuzione del trattato, nella eventualità che esso, perfezionato dal consenso dei parlamenti, in forza delle prevedute ratifiche, entrasse in vigore; significa che l’Italia vuol dare prova di buona volontà e di ogni sforzo ragionevole e possibile per liquidare la guerra; vuol dire che l’Italia – nonostante il contenuto del trattato – non dispera, non vuole disperare del suo avvenire. (Vivi applausi).
Se un giorno essa potrà onoratamente uscire dallo stato armistiziale, imposto dalla capitolazione e questa imposta dalla disfatta – fatale epilogo d’un disastroso regime – non sarà solamente per fini propri che essa si appellerà alle Nazioni Unite, ma sarà nell’interesse generale di una evoluzione pacifica dei rapporti internazionali, che reclamerà una procedura revisionistica di clausole ingiuste o inattuabili. (Applausi).
Il quesito non è dunque quello di consentire o non consentire, perché un trattato imposto non può essere oggetto né di consenso né di dissenso, ma si tratta di giudicare se il rifiuto pregiudiziale ci lascerebbe una via per uscire dalla pericolosa situazione di oggi o dell’immediato domani: se questo non è, resta solo il tentativo di fare una sortita dallo stato di capitolazione e di guerra dando la firma. Ogni sortita ha i suoi rischi. Bisogna passare su campi minati. Noi abbiamo creduto di servire il Paese decidendo che il rischio sia affrontato prima dal Governo, e mantenendo in riserva l’Assemblea. (Approvazioni).
In questo momento sorge irrefrenabile dal nostro animo come un senso di ribellione contro la sciagura immeritata del popolo italiano, e il pensiero di Trieste e di Pola (I deputati si levano in piedi – Vivissimi prolungati applausi – Si grida: Viva Pola! Viva Trieste italiana!) e di tante altre terre fedelissime dell’una e dell’altra frontiera che non abbiamo potuto salvare, ci serra alla gola.
Eppure la nostra civiltà è una grande civiltà, madre a tante genti, eppure il nostro popolo è un grande popolo industre e laborioso. (Approvazioni).
Nel viaggio recente centinaia di migliaia di italiani mi gridavano nelle città più popolose d’America: «Abbiate coraggio, siate uniti, vi aiuteremo» (Applausi), ed erano lavoratori che avevano dovuto abbandonare la Patria troppo povera e si erano rifatta una vita più prospera in spiagge lontane.
A Washington fui ricevuto un giorno nel palazzo dell’Unione panamericana da ventuno rappresentanti degli Stati dell’America Latina: e furono alte parole di riconoscenza e di conforto per l’alma mater Italia. E a migliaia uomini di pensiero e di affari ci sussurravano nei ricevimenti e nelle riunioni auguri e parole di fede e di incoraggiamento per l’avvenire d’Italia.
«Questi sono i vostri ambasciatori permanenti presso di noi», mi diceva il Direttore della Galleria di Washington, indicandomi i capolavori famosi degli artisti italiani! E tutto questo tributo di riconoscimenti e di simpatia, questi incoraggiamenti ed appoggi, tutto questo omaggio alla civiltà del nostro popolo dovrebbe essere compresso, soffocato, annullato entro le sbarre giuridiche di un trattato? No! Noi riaffermiamo la nostra volontà di vita e la nostra speranza, e al di là del trattato abbiamo fede nell’insopprimibile vitalità della nostra stirpe, che attrae a noi l’omaggio e il concorso dei popoli liberi. (I deputati si levano in piedi – Vivissimi generali prolungati applausi – Si grida: Viva l’Italia!).
Egregi colleghi, il Governo non si affida però a generiche speranze, ma tiene i piedi in terra e sa che il popolo italiano deve salvarsi anzitutto da sé con il suo lavoro e colla sua disciplina (Applausi).
Non intendo diffondermi sul nostro programma economico che, dovendo dominare la stessa situazione, non può essere, tendenzialmente diverso da quello del Governo precedente. Nel settore economico l’esigenza fondamentale si riassume, come fu detto altrove, nella formula: produrre in un clima di efficienza tecnica e di perequazione sociale.
L’aumento della produzione è indispensabile per il mercato interno, affinché diminuiscano i prezzi, salgano i salari reali, cessi la disoccupazione e si disponga di mezzi per la ricostruzione; è del pari urgentemente necessario per poter pagare con l’esportazione l’introduzione delle derrate alimentari, del carbone e delle materie prime.
Il Governo intende incoraggiare e sostenere l’iniziativa privata. Ma già la necessità di corrispondere a giuste esigenze di quanti dall’estero sono disposti a sostenere lo sforzo ricostruttivo dell’Italia e l’opportunità di dirigere l’impiego delle limitate risorse disponibili nel senso più utile alla collettività ci impongono di elaborare un piano di ricostruzione e di sviluppo della nostra economia. Simile programma si è già fatto per l’anno in corso e molti elementi sono già elaborati per un piano più esteso per gli anni venturi. Per la sua formulazione definitiva il Governo intende chiedere il parere di tutte le categorie interessate alla ripresa della produzione, in modo che il piano economico tenga conto delle varie esigenze e possa riuscire di guida e di sostegno agli stessi operatori privati.
L’aumento della produzione sarà favorito anche da una collaborazione organica fra capitale e lavoro.
Senza il concorso di entrambi, la ripresa della produzione è impossibile: premesse indispensabili sono lo spirito d’intrapresa ed un clima d’interessamento e di cooperazione operaia. Da tale punto di vista sarà affrontato e a voi sottoposto il problema dei consigli di gestione, che nel progetto Morandi abbiamo ereditato dal precedente Governo.
Un altro problema s’impone sopra ogni altro alla nostra attenzione: quello di avviare gradualmente la moneta verso la sua stabilizzazione;
Presenteremo subito alla Camera il progetto di legge per l’adesione dell’Italia agli accordi di Bretton Woods e vi domanderemo la vostra urgente approvazione, data l’importanza che rappresenta pel nostro Paese la sua entrata nei due organismi creati da quegli accordi.
È questo il primo atto con cui l’Italia rientra di pieno diritto nella vita economica internazionale e nel novero delle Nazioni che dovranno presiedere alla creazione e al mantenimento del nuovo ordine economico e finanziario mondiale.
Tale intervento ha un’importanza capitale pel nostro Paese, perché ci darà modo di risolvere nel campo internazionale il problema del risanamento e della stabilizzazione della moneta, non attingendo soltanto alle nostre risorse nazionali o a prestiti, come quello ottenuto negli Stati Uniti, ma usufruendo del valido appoggio che ci potranno offrire i due istituti di Bretton Woods.
Gli impegni assunti con l’adesione al Fondo internazionale e più ancora la necessità di offrire una base sicura di valutazione agli operatori economici, ci portano a dedicare il massimo sforzo alla difesa della moneta.
A quest’opera dura deve concorrere una accorta e tenace azione della finanza per accrescere al massimo le entrate normali. Nel quadro delle imposte ordinarie verrà esaminata anche l’opportunità di rivedere le aliquote per adeguarle al mutato valore della moneta ed in relazione a tali provvedimenti sarà considerato anche lo spostamento dei minimi imponibili dei redditi di lavoro.
Nello stesso tempo converrà esercitare un rigoroso controllo delle spese per eliminare quelle superflue e graduare le altre a seconda della loro capacità produttiva.
Entro breve termine verrà presentata ed applicata l’imposta straordinaria sul patrimonio nelle forme più atte a cavarne il massimo gettito compatibile con l’assestamento dell’economia. In questa occasione sarà risolta definitivamente la questione del cambio della moneta, tenendo conto dell’esigenza di una rapida applicazione dell’imposta sul patrimonio.
Il Governo controllerà attentamente il corso dei prezzi, avvisando nel momento opportuno ai mezzi di contenerli o comprimerli, e si propone di accelerare l’inserimento dell’economia italiana nel mercato internazionale, evitando con opportuni accorgimenti dannose ripercussioni sulle classi meno agiate.
È venuto il momento anche di preparare la ripresa di due elementi invisibili di pareggio della nostra bilancia commerciale: turismo ed emigrazione.
Per l’industria del forestiere sono premesse indispensabili la derequisizione degli alberghi, il rinnovamento dell’attrezzatura turistica, la facilitazione dei passaporti, la risoluzione del problema della valuta. Come centro di propulsione e coordinamento pensiamo di costituire un organo snello statale che collabori cogli Enti e colle associazioni interessate. È col concorso tecnico di queste che è stato abbozzato il relativo progetto.
La massima cura dev’essere dedicata alla tutela dell’emigrazione, che entro certa misura ed a certe condizioni va favorita.
Non abbiamo ancora preso in considerazione il ritorno al vecchio Commissariato, ma frattanto siamo d’accordo nel richiamare in vita, coi debiti adattamenti, l’antico Consiglio Superiore dell’emigrazione che aveva fatto ottima prova.
Ai lavori pubblici necessari alla nostra ricostruzione dedicheremo tutte le risorse possibili. Il Ministro del lavoro mi assicura che il rendimento operaio nei lavori pubblici tende a crescere e va avviandosi alla normalità.
Ci proponiamo anche di stimolare al massimo le imprese private e dovremo affrontare, come già in parte è avvenuto in progetti in corso, l’esigenza di leggi speciali per zone quasi totalmente distrutte.
La ricostruzione delle comunicazioni dovrebbe essere completa per la fine del 1949, purché non ci vengano meno i mezzi finanziari ed i materiali. L’elettrificazione vi giocherà una grande parte.
La Marina mercantile avrà notevole impulso dall’acquisto di altre 50 navi, che abbiamo ottenuto in America e idonei provvedimenti sono in corso per stimolare l’iniziativa privata alla ricostruzione delle navi perdute.
Nel campo dell’agricoltura, oltre al proseguire attivamente l’attuazione del programma di opere di bonifica e di irrigazione, specie nelle regioni meridionali, si procederà all’emanazione di provvedimenti sulla proroga delle piccole affittanze, che è particolarmente urgente, sui canoni di affitti agrari, sullo sviluppo della piccola proprietà coltivatrice, sulla composizione delle vertenze mezzadrili in base al giudizio De Gasperi, e sul credito alle cooperative agricole.
La Commissione presso il Ministero dell’agricoltura, che ha testé completato, con una notevole relazione, lo studio della questione mezzadrile, prenderà ora in esame i contratti di compartecipazione, comuni soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.
Inutile farvi rilevare un’altra volta che questa legislazione, che in buona parte ha già predisposto o elaborerà il Ministro Segni, mira non solo ad aumentare sui campi la produzione ed a garantire la pace sociale, ma costituirà anche un avviamento ed una preparazione alla auspicata riforma fondiaria.
Predisponendo il piano alimentare per l’anno venturo dovremo affrontare di nuovo il problema del tesseramento. Siamo tutti tendenzialmente d’accordo, ma la difficoltà è nella esecuzione. Faremo ogni sforzo perché le discipline ritenute necessarie ed attuabili vengano rigorosamente applicate, ma bisogna ammettere che se l’ammasso dei cereali può dirsi riuscito, è invece per ora poco incoraggiante il risultato della disciplina del latte e dei grassi solidi.
Intendiamo assolutamente di insistere sulla creazione degli Enti di consumo, facilitando il loro finanziamento, e sviluppare più oltre le mense aziendali e i ristoranti popolari, usufruibili dai disoccupati con tariffe di favore. Tesseramento di favore è fatto alle gestanti e nutrici e ai giovani nei convitti e negli Istituti di assistenza.
Sul tesseramento differenziato si è discusso molto in seno al passato Governo.
Una relazione riassuntiva, presentata dall’Alto Commissariato, potrà servire di base per ulteriori decisioni.
Passando ad altro campo dichiaro che il Governo considera come suo naturale dovere quello di fare opera di consolidamento e, quando occorresse, di difesa del Regime repubblicano, deliberato dal popolo nel referendum del 2 giugno. (Applausi).
Non riteniamo che a tale scopo sia necessario ricorrere ad una legislazione eccezionale. Basterà applicare contro quei funzionari che venissero meno al giuramento le sanzioni previste dalla legge sullo stato giuridico degli impiegati, applicare ai funzionari che si rifiutassero di prestare il giuramento un trattamento speciale che potrebbe essere analogo a quello della legge sulla smobilitazione delle Forze armate.
Le istituzioni repubblicane e le libertà democratiche troveranno una adeguata protezione nell’aggiornamento e rispettivamente nella riforma degli articoli 270-274; 276-279 e 290 del Codice penale, libro 2°, titolo I; nel richiamo in vigore, entro certi limiti opportunamente aggiornati, del decreto legislativo 26 aprile 1945, n. 195, e nell’applicazione del decreto legislativo 26 aprile 1945, n. 149.
Da varie parti si sollecita un regolamento della stampa, reso necessario dalla cessata applicazione delle leggi fasciste e dalle manchevolezze dei provvedimenti provvisori circa l’autorizzazione dei giornali ed il sequestro delle stampe pornografiche.
Uno schema di disegno di legge è stato nel frattempo preparato da una Commissione di studiosi e di giornalisti di ogni tendenza politica, all’uopo nominata dalla Presidenza del Consiglio, e servirà di base a quello definitivo che il Governo sottoporrà alla decisione sovrana di questa Assemblea, in armonia coi principî che la stessa Assemblea vorrà fissare nella nuova Costituzione.
Frattanto è già pronto il progetto per stabilire il procedimento per direttissima nei processi per diffamazione.
Nel trattamento della ex famiglia regnante ci atterremo alle direttive che fisserà la Costituente; il Governo è fin d’ora d’accordo di stabilire il divieto di residenza per l’ex-re, in quanto pretendente, e per i suoi diretti discendenti.
Convinti che l’Italia potrà rinascere dalla scuola, le nostre cure, a mano a mano che crescono i mezzi, si rivolgeranno sempre più verso l’educazione del popolo.
Per combattere il preoccupante analfabetismo del periodo bellico, si sono istituite, negli ultimi mesi, varie migliaia di nuove scuole elementari dello Stato, sdoppiando le classi numerose, e proprio ora si inizia a Roma un nuovo esperimento di scuola popolare per analfabeti adulti e disoccupati.
Disciplinati giuridicamente i patronati scolastici, li renderemo strumenti atti a rendere sempre più intima la collaborazione tra la scuola, la famiglia ed il Comune, mentre con i ruoli aperti assicuriamo ai maestri una maggiore dignità economica della loro funzione educativa.
Nella scuola secondaria abbiamo istituito nuove sezioni staccate, aumentando così la sfera d’azione della scuola statale, mentre venivano ridotte a poche unità le nuove parificazioni.
I prossimi concorsi, sia per maestri che per professori, permetteranno l’immissione di nuove e giovani forze nel campo della scuola, e una ristabilita severità degli esami servirà a rialzare il tono della scuola secondaria che è stato depresso dalle agevolazioni del periodo bellico. (Approvazioni).
Mentre la esiguità delle tasse scolastiche permette a tutti i figli del popolo di percorrere ogni grado di studio, una più rigorosa selezione dovrà eliminare gli inconvenienti della sovrapopolazione universitaria.
Lo Statosi propone nel contempo di aumentare i suoi sforzi finanziari per venire incontro alle disagiate condizioni dell’alta cultura universitaria.
Seguendo queste linee, intendiamo ridare al popolo italiano una scuola statale che, nello spirito della libertà, sia all’altezza delle sue tradizioni educative.
Onorevoli colleghi, l’incalzare del problema internazionale, che agita giustamente la coscienza nazionale e avvince l’interessamento dell’Assemblea, giustifica forse che io rinunzi a parlarvi diffusamente delle ragioni della crisi ministeriale e dei suoi sviluppi.
Sono ad ogni modo a vostra disposizione per rendervene conto, quando il dibattito lo dimostri necessario od opportuno.
Il mio proposito è stato duplice: cercare il massimo numero di consensi e di collaboratori nell’esclusivo interesse del Paese; aumentare l’efficienza del Governo, riducendo e semplificando i Ministeri e vincolando i Ministri a una solidarietà ministeriale più evidente. (Approvazioni).
Se non è riuscito di allargare la partecipazione al Gabinetto nella misura desiderata, credo tuttavia che nell’Assemblea sia cresciuto il senso di corresponsabilità che ci lega ai destini del Paese. Con questa Assemblea, che ha fatto opera così egregia e così poderosa nell’elaborare il progetto della nuova Costituzione e che si accinge al compito storico di dare alla Repubblica i suoi organi vitali permanenti, il Governo intende collaborare più strettamente anche nel settore della legislazione ordinaria. Uniremo i nostri sforzi per giungere più rapidamente che sia possibile a una nuova consultazione popolare, alla quale rimetteremo la decisione sui programmi massimi che in questo breve periodo costituente non riusciamo ad attuare. Siamo sicuri di avere fra tutti quei benemeriti colleghi, che hanno partecipato finora alle nostre fatiche ed ai quali invio un particolare ringraziamento, dei cooperatori oggettivi non solo per la loro competenza, ma soprattutto perché la loro esperienza li rende più atti a comprendere appieno la nostra fatica e la nostra devozione agli interessi del Paese.
La smobilitazione del Ministero dell’assistenza post-bellica è una misura rivolta a farci rientrare nella normalità amministrativa, ma non diminuisce per nulla il dovere e l’impegno che abbiamo di dedicare le più attente cure alle categorie finora affidate alla sua tutela. Il decreto relativo, già approvato dal Consiglio dei Ministri, contiene anche disposizioni tranquillanti circa gli attuali funzionari o impiegati del disciolto Dicastero.
Confido che l’unificazione del tesoro e delle finanze contribuisca a dare al Paese il senso di una direzione finanziaria unica e che la concentrazione dei Ministeri militari, esigenza fatale della nostra situazione, si compia gradualmente colla piena collaborazione dei tre organismi, fondendo assieme le virtù militari dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione.
In questo momento di forzata umiliazione, la Repubblica d’Italia risponde alle sanzioni di guerra non con un grido di rivincita, ma della guerra cancellando perfino il nome e sostituendolo colla Difesa, difesa che coll’apertura delle nostre frontiere, la demolizione delle nostre fortificazioni, pur di fronte ai potenti eserciti altrui, e colla riduzione dei nostri armamenti tecnici, è affidata ormai soprattutto al genio dei comandanti e al petto valoroso del nostro popolo in armi. (Applausi). La Repubblica dedicherà tutte le cure possibili a quest’ultima difesa che ci rimane, qualora l’organizzazione internazionale non riuscisse ad escludere, come auspichiamo, ogni aggressione, e terrà in onore i combattenti di ieri e i soldati di oggi affinché si sentano circondati dall’amore del popolo, anzi una cosa sola col regime popolare, il quale ambisce di trasfondere in sé tutte le nobili tradizioni del passato, facendole convergere al progresso della democrazia nazionale e di quella pacifica convivenza tra le genti, vicine e lontane, nella quale, nonostante tutto, sempre crediamo. (Vivissimi, prolungati applausi).
Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. È aperta la discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il primo iscritto a parlare è l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.
C0RBIN0. Onorevoli colleghi, la condizione nella quale, come primo oratore iscritto sulle comunicazioni del Governo, io mi trovo, è, come voi potete facilmente intendere, estremamente difficile e delicata.
Io credo che nella esposizione che il Presidente del Consiglio ha fatto nei riguardi della firma del Trattato di pace vi sia una sottintesa preghiera all’Assemblea di non parlarne.
Poiché avrei il privilegio di essere o il solo, o uno dei pochi oratori che parlano prima della firma, non intendo abusare di questo privilegio. Ma il Governo e l’Assemblea mi consentano una brevissima dichiarazione, fatta a nome di coloro che, di fronte all’atto che il Governo andrà a compiere lunedì, si sono manifestati in senso contrario, od hanno delle legittime perplessità.
Credo che sia nell’interesse del Paese di separare nettamente la nostra responsabilità di Assemblea da quella del Governo. Ed è giusto che una voce in questo senso si levi dall’Assemblea dopo le accorate parole del nostro Presidente, che precedevano quelle con cui il Governo ci ha informato delle sue intenzioni. Perché, se nessuna voce si alzasse, domani si potrebbe dire che l’Assemblea col suo silenzio ha autorizzato la firma; e noi, per bocca dello stesso Presidente del Consiglio e per la sua stessa richiesta, come Assemblea non autorizziamo.
È un atto di responsabilità che il Governo compie come Governo, e noi sentiamo quanto debba pesare, a quegli uomini che vogliono il bene del Paese come noi, di dover assumere una responsabilità così tremenda di fronte a se stessi e di fronte alla storia.
La firma che lunedì il Governo apporrà al Trattato imposto è una firma che implica la sua responsabilità come implica la responsabilità degli altri, perché dei Trattati iniqui non è responsabile il Paese vinto, che è obbligato a firmare, ma sono responsabili i Paesi vincitori, che abusano delle loro forze. (Applausi a destra).
E, del resto, non è una firma in più o in meno che può deviare il corso della storia d’una Nazione, come l’Italia, che ha dato al mondo così largo contributo di civiltà, da potersi considerare la madre di quella che oggi costituisce l’essenza della civiltà moderna.
Ecco perché, o signori del Governo, vi parlo non come capo d’un gruppo di oppositori, perché, come tale, non potrei darvi la mia solidarietà; vi parlo come uomo di cuore o di sentimento, ed in tale qualità la solidarietà ve la do intera. Io vi dico: «Fate il vostro dovere, secondo la vostra coscienza. Avete ancora delle ore. Credo che la vostra decisione si debba considerare come definitiva. Ma pensate! Per conto mio non faccio che una sola invocazione per voi e per il Paese: Dio vi illumini e Dio assista il nostro Paese». (Applausi).
Dopo di che, per la logica stessa di quello che ho detto, faccio le mie osservazioni sulle comunicazioni del Governo. Rientriamo nella normalità.
Noi siamo di fronte ad un Governo nato da una crisi, che è stata chiamata una inutile crisi e che si è risolta con quello che lo stesso Presidente del Consiglio ha definito come matrimonio di convenienza. Io la chiamerei piuttosto una mancata separazione di convenienza, perché i due principali esponenti delle forze politiche del Governo sono rimasti uniti; non sappiamo se nelle intenzioni d’una parte o dell’altra o di tutt’e due vi fosse desiderio o timore di doversi separare. Il Governo si presenta, dunque, dopo una crisi che non si può considerare inutile.
Per me, nella situazione politica attuale dell’Italia, le crisi non sono inutili, perché portano sempre a un processo di chiarificazione, portano sempre ad eliminare degli equivoci, possono portare anche ad un miglioramento della struttura tecnica dei Governo.
Dal punto di vista tecnico, noi abbiamo uno snellimento del Governo. È scomparso il Ministero dell’assistenza post-bellica; e sia lodato Iddio! (Si ride). Si è arrivati alla fusione tra finanze e tesoro, sulla quale dal punto di vista tecnico, potrei anche fare qualche riserva. Ma il Presidente del Consiglio aveva a portata di mano l’uomo di coraggio che si assumesse questo compito, e bene ha fatto ad attuare una unificazione che più tardi sarebbe stata difficile. Coraggio notevole, per l’onorevole Campilli, il quale avrà da fare con quattro Sottosegretari di provenienza diversa, e metterli d’accordo sarà una delle fatiche più grosse che egli dovrà affrontare. (Commenti).
C’è poi – e anche su questo mi permetto di fare delle riserve – l’unificazione delle forze militari, perché ho paura che le ancora giovanili spalle dell’onorevole Gasparotto non possano agevolmente sopportare il grave peso che in questo momento gli imporranno i problemi di ordine tecnico e politico che sono connessi al funzionamento delle Forze armate.
Mi ricordo che una volta egli mi parlava di una macchina per raddrizzare i chiodi che aveva visto in una esposizione. Se ora l’avesse, gli potrebbe essere di grande aiuto in questa situazione. (Si ride).
GASPAROTTO, Ministro della difesa. La sto cercando in questi giorni!
CORBINO. Nel complesso il Ministero è il risultato di una dosatura molto precisa, in cui si è fatto ricorso a bilance, credo, atte a misurare il peso del nucleo; perché ad un certo momento non sono bastate più le risorse della fisica, e si è pensato di ricorrere alla matematica con il calcolo della probabilità, estraendo eventualmente a sorte due Alti Commissariati fra i partiti che sono entrati al Governo. (Si ride).
Comunque, la dosatura è stata quella che è stata, e il Governo ci si presenta con la capacità di fare per lo meno quello che faceva il Governo precedente. (Si ride). Ecco perché io giudico che le crisi siano utili. Non è vero, badate bene, che durante le crisi non si risolvano dei problemi. Dalla caduta del secondo Ministero Bonomi ad oggi l’Italia ha fatto cinque grosse crisi, della durata media – compreso il periodo di incubazione e di completamento del programma – di quasi quattro settimane ciascuna, di maniera che in centodieci mesi abbiamo avuto ventidue mesi di crisi. Ora, io mi sono divertito a sfogliare i giornali dei periodi di crisi e quelli dei periodi di ministeri, diciamo così, a piena carica. Nei periodi di crisi il Paese è più tranquillo; ci sono meno agitazioni, ci sono meno disordini.
Badate, non voglio dire con questo che il Governo è causa delle agitazioni; ma non v’è dubbio che resistenza di un Governo in piena carica non è elemento necessario per avere il Paese in ordine.
Ma la crisi ci ha insegnato altre cose; e comincio subito da una di esse. Voi ricorderete che all’ottavo giorno vi fu un colloquio fra il Presidente del Consiglio e l’onorevole Togliatti, l’uno tornato dagli ozi di Castel Gandolfo, l’altro tornato da Milano, colloquio dopo il quale l’onorevole Togliatti, uscendo dalla Camera del Presidente del Consiglio, dichiarò: «Si sono fatti dei passi avanti; dipende dal Presidente del Consiglio sapere sfruttare il successo già conseguito, cercando di non umiliare gli altri partiti che devono far parte della combinazione». Poi l’onorevole Togliatti aggiunse: «Ho parlato anche della eventualità della formazione di un Ministero esclusivamente democristiano; ho avvertito il Presidente De Gasperi che questa eventualità ci troverebbe nettamente avversi e che la sua realizzazione potrebbe esporre a seri rischi la Repubblica e, credo anche, la pace interna».
Prego l’onorevole Togliatti di perdonarmi se non sono preciso nella citazione, perché è fatta a memoria; non vorrei essere inesatto.
Ora, mi consenta l’onorevole Togliatti di fargli osservare una circostanza, che, a mio giudizio, ha una notevole gravità. Egli ha detto: Un Ministero democristiano ci troverebbe nettamente avversi e ne potrebbero derivare pericoli per la Repubblica. Ora, per la Repubblica in genere, di pericoli ne vedo due: o il ritorno della monarchia, o una guerra civile che sbocchi in una dittatura. Siccome escludo che l’onorevole Togliatti, per vendicarsi di non essere entrato nel Governo, potesse volere instaurare di nuovo la monarchia, devo arrivare alla conclusione che egli potesse anche minacciare la dittatura.
Credo che questo non sia certamente nella concezione dei Paesi democratici. Sono convinto che noi avremmo fatto un gran passo avanti nel consolidamento della democrazia in Italia, quando anche i colleghi del settore comunista, di fronte a possibilità di combinazioni nelle quali essi non potessero entrare, rispondessero: «Le condizioni perché noi si faccia parte del Governo sono queste; se non le accettate, staremo alla opposizione».
Mi auguro che questo giorno venga presto, non perché voglia augurare all’onorevole De Gasperi una crisi imminente, ma perché mi preme di assicurare alla democrazia italiana questo elemento di vitalità.
TOGLIATTI. Non ho mai detto niente di diverso (Commenti).
CORBINO. Prendo atto.
V’è poi un secondo aspetto della crisi che merita di essere rilevato e che, a momenti, pareva dovesse mandare a gambe all’aria tutta la fatica dell’onorevole De Gasperi. Alludo al famoso articolo dell’onorevole Togliatti.
Io, badate bene, conosco, perché l’ho avuto per otto mesi collega al Governo e vicino di destra, l’onorevole Togliatti (Si ride); dico, vicino alla mia destra, per ragioni di gerarchia, e so che possiamo attribuirgli la massima buona fede quando egli ha detto che non intendeva menomare per nulla la personalità dell’onorevole De Gasperi. Forse, nello scrivere, le cose hanno preso una forma tale che non hanno nettamente espresso il suo pensiero. Voglio immediatamente aggiungere all’onorevole De Gasperi che, per parte nostra, non abbiamo aspettato quello che fu definito il «certificato di buona condotta» di Togliatti, per dare all’onorevole De Gasperi la certezza assoluta che lo giudichiamo incapace di potere, non dico cedere, ma soltanto accettare di discutere sulla indipendenza del Governo italiano e dell’Italia rispetto a rapporti che passano con qualsiasi potenza straniera.
Ma l’episodio ha un valore significativo, che è illustrato non tanto dall’articolo dell’onorevole Togliatti, quanto dai manifesti che sono apparsi sui muri qua e là: quello cioè che sia un delitto di lesa Patria da parte nostra avere delle simpatie per Paesi che hanno un certo tipo di civiltà. Ora, io riconosco a voi il diritto di condividere e propagandare l’ideologia comunista e quindi di avere delle simpatie per quegli Stati che questa ideologia hanno, in certo senso, concretizzato; ma vi chiedo di lasciarci il diritto di nutrire simpatie per i Paesi nei quali noi troviamo quello che c’è di sopravvissuto nella latinità, quello che c’è di più eterno nella cristianità. (Approvazioni).
È il diritto al rispetto delle ideologie reciproche quello che io domando. Purtroppo noi siamo oggi nella situazione molto curiosa che la guerra, la quale è stata condotta contro i totalitarismi, si è potuta vincere soltanto con l’aiuto di un paese totalitario; di maniera che il totalitarismo è stato sconfitto da una parte, ma ha vinto dall’altra, e quindi il mondo è ancora oggi, relativamente, più diviso di quanto non lo fosse nel 1939, tanto che noi ci possiamo anche domandare ad un certo punto: «E perché si è fatta la guerra?»
Ecco la ragione delle crisi che noi tutti attraversiamo. Ed è una ragione per la quale ciascuno di noi pensa che l’altro sia non un semplice simpatizzante, ma, qualche volta, un agente. Io ritengo che non possa essere messa in dubbio la nostra buona fede. Aggiungete poi che, rispetto alle nostre simpatie, è naturale che noi le manifestiamo per i paesi che hanno una civiltà più affine alla nostra, che per una ragione umana sono i soli paesi dai quali abbiamo avuto, non dirò delle cose, ma anche delle buone parole; mentre dall’altro lato, oh, Dio!, non abbiamo ricevuto niente o, se vogliamo essere sinceri, per via indiretta, stiamo ricevendo i profughi di Pola. (Applausi a destra).
Il programma del Governo, come tutti i programmi di Governo, è necessariamente generico. Questa volta poi, sulla genericità, influiva la esistenza di un argomento predominante, che per la sua enorme dimensione fatalmente faceva passare in seconda linea tutto il resto. Il programma è però interessante non soltanto per quello che dice in senso positivo, ma anche per quello che non dice, né in senso positivo, né in senso negativo. Va dato atto all’onorevole Presidente del Consiglio che egli non ha fatto proprie, cioè non ha fatto del Governo, alcune proposte avanzate da due dei gruppi che hanno formato il Governo medesimo, ed ha lasciato quindi al suo Governo non dirò il carattere di Governo di pura e semplice amministrazione, ma di Governo che sente la tremenda difficoltà di uscire dalla pura e semplice amministrazione.
Non vorrei che questa, diciamo così, disintossicazione del programma ministeriale avesse un significato politico; o meglio potrei anche rallegrarmene se lo avesse, perché in sostanza è vero che il Ministero è stato formato con un partito di meno, il Partito repubblicano, è vero che vi è stata quella tal presa di posizione dell’onorevole Saragat, ma è anche vero che l’onorevole Saragat fece in sede preventiva una dichiarazione di solidarietà dei partiti di sinistra circa la permanenza dei comunisti al Governo.
Il problema che ci si pone dal punto di vista politico è questo: la dichiarazione di solidarietà che, a mio giudizio, i partiti di sinistra, i quali non fanno parte del Governo, hanno fatto bene a fare, perché ciascuno deve assumere la sua parte nelle assemblee politiche; questa dichiarazione di solidarietà, è essa un mezzo con cui il partito comunista chiede di poter conservare un controllo anche sugli altri partiti – controllo, badate bene, nella forma, diciamo così, di collaborazione più intima – o non è invece un mezzo con cui, per ragioni di gratitudine, il partito comunista dovrà rinunziare a qualche cosa delle sue affermazioni nettamente programmatiche?
Io pongo il quesito e non ho nessuna intenzioni di risolverlo per conto mio, né di pretendere che gli amici del partito comunista lo risolvano di fronte all’Assemblea.
Sarà il prossimo avvenire che ci dirà come la realtà delle cose si svolgerà, cioè a dire sarà il prossimo avvenire che ci dirà quale grado di efficienza avrà raggiunto l’azione governativa per effetto di questo mutamento di posizioni relative dei gruppi che compongono la maggioranza e dei gruppi che sono all’opposizione.
Nel programma del Governo – voi lo avete sentito come l’ho sentito io – alcune cose non vi sono, e sono lieto che non vi siano. Per esempio, si parlava di estendere il razionamento, ed era questa una preoccupazione per tutti; si parlava di altre riforme; ma in verità, dopo gli esperimenti che abbiamo fatto – e mi rendo conto della perplessità del Governo in materia di tesseramento – io credo che sia il caso di andare con i piedi di piombo in eventuali allargamenti dei compiti dello Stato, perché purtroppo l’esperienza mostra che, per un complesso di cause che tutti conosciamo, pretendiamo di dare allo Stato dei compiti che sono superiori alla sua capacità organizzata in questo momento.
Mi basta citare un esempio (me lo consenta l’amico Scoccimarro, che aveva fatto sforzi notevoli per uscire dalla situazione di cui parlerò) ricordando che in Italia esiste il monopolio dei tabacchi. Sapete tutti, meglio di me, come funziona questo monopolio: le rivendite di tabacchi sono il solo posto in cui, se non si è muniti di una tessera, non si possono comperare più di due pacchetti di sigarette per settimana, mentre fuori ne potete anche caricare un camioncino e chiedere eventualmente anche la scorta della forza armata. (Si ride).
Questo dimostra che esiste negli organi dello Stato una malattia piuttosto costituzionale, che è dovere del Governo e dovere dell’Assemblea di curare nei limiti massimi consentiti dalle circostanze.
Non entro nel campo politico, perché non voglio tediare l’Assemblea, che penso sia piuttosto stanca dopo una lunga seduta; ma consentite che mi soffermi su quella parte della politica del Governo che mi è parsa la meno chiaramente tracciata, cioè a dire la politica economica e finanziaria.
Mi è parsa la meno tracciata, e mi rendo conto delle difficoltà che il Governo doveva superare per tracciarla un po’ più dettagliatamente. È una politica, dice il Governo, di rafforzamento delle entrate. D’accordo. Già parecchio si era incominciato a fare, ma molto di assai importante c’è ancora da fare. Ma la politica finanziaria, per quello che concerne le entrate ordinarie, non può prescindere dall’andamento generale della politica economica del Governo. E fino a quando noi, attraverso particolari forme di politica economica, manteniamo quasi intatta una bardatura di guerra che il Paese si leverebbe molto volentieri di dosso, il Ministro delle finanze avrà poche speranze di vedere aumentate le entrate; perché, in sostanza, oggi accade che le entrate sulle quali il fisco aveva il diritto di prendere qualche cosa sono scomparse, avendole la legge praticamente soppresse con il blocco dei prezzi, con il blocco delle tariffe dei servizi pubblici, e con altri blocchi, mentre i soli settori nei quali esistono redditi sono i settori extralegali, rispetto ai quali il fisco non ha possibilità di fare niente, perché prima che arrivi l’agente delle imposte, bisogna ch’e sia chiamato in causa il Procuratore della Repubblica.
Ci troviamo, dunque, di fronte alla impossibilità di aumento immediato delle entrate, e quanto alla diminuzione delle spese non mi faccio nessuna illusione, non perché non creda gli uomini che sono al Governo capaci di ridurre le spese, ma perché sono gli eventi che non lo consentiranno. Durante la formazione del Governo – (di questo Governo che si raffigurava in una specie di statua di Budda che doveva stare sopra un perno) – si diceva: «niente spostamento della base a destra»; ora credete pure che la politica di freno alle spese è una politica di destra ed allora, siccome voi avete voluto fare un Governo di sinistra – ed avevate il diritto di farvelo – non vi illudete di fare una politica di freno alle spese: la sinistra, da che mondo è mondo, ha fatto sempre aumentare le spese. (Commenti).
Resta il problema non tanto della politica finanziaria, come ex-Ministero delle finanze, quanto della politica finanziaria, come ex Ministero del tesoro: e la situazione non mi pare eccessivamente rosea. Il Governo non ha detto niente e ci ha lasciati arbitri di pensare quello che vogliamo in base a quei dati scarnificati che sono ordinariamente pubblicati nelle statistiche, dati che si possono, in termini molto elementari, sintetizzare così: spese previste all’incirca 750-800 miliardi; entrate ordinarie previste all’incirca 350 e forse anche 400 miliardi per il 1947-48; debito di tesoreria, se le spese non aumenteranno, cosa che richiede per lo meno qualche riserva, 400 miliardi almeno. Il che significa che il Governo, o meglio, per il Governo il Ministro delle finanze e del tesoro dovrà risolvere il problema che ogni buona madre di famiglia purtroppo deve risolvere quotidianamente: dove trovare da 35 a 40 miliardi al mese in più di quelli riscossi per fronteggiare gli oneri del bilancio ordinario e straordinario? Come si risolverà questo problema? Mistero! C’è l’annuncio di una imposta sul patrimonio imminente. Io ho già detto che l’imposta sul patrimonio non potrà mai risolvere il problema di cassa, perché ci vuole del tempo prima che sia accertata e riscossa. Occorrono quindi altre misure. Evidentemente le altre misure non possono essere che i debiti. È inutile farsi illusioni: bisogna fare debiti e non bisogna aver paura di farli. I nostri nonni, in condizioni non molto diverse di queste, non ebbero paura e fecero l’Italia. O perché dovremmo aver paura noi? Ma i debiti bisogna saperli fare, ed è probabile che il Governo li saprà fare. Io mi auguro che li sappia fare; ma dalle dichiarazioni del Governo, fino a questo momento, non ne sono affatto convinto. Il Presidente del Consiglio dice: rinviamo all’epoca in cui sarà stabilita l’imposta sul patrimonio la decisione definitiva sul cambio della moneta. Consentitemi che non insista molto su questo motivo, per ragioni di ordine personale, perfettamente comprensibili.
Mi viene un dubbio: la crisi è durata a lungo. Quanto tempo avrebbe dovuto durare di più per sapere dal Governo, all’atto delle sue dichiarazioni, se il cambio della moneta si farà o non si farà? Ed allora mi viene un altro dubbio: dissi che il cambio della moneta non si doveva fare e me ne sono andato; Scoccimarro disse che il cambio della moneta non si doveva fare e se ne è andato; è probabile che Campilli abbia detto: «per il sì e per il no, noi stiamo zitti, perché altrimenti me ne dovrò andare anch’io». (Si ride). Ma, così, il problema non si risolve ed il Paese attende una decisione su questo punto; l’attende tanto più in quanto esso è collegato strettamente con l’imposta sul patrimonio e con le possibilità di affluenza dei mezzi al Tesoro. È evidente che il giorno in cui si dirà che il cambio della moneta non si farà più, nasce un piccolo terremoto nella politica finanziaria italiana, che negli ultimi tre mesi è stata impostata sul presupposto del cambio. Ed allora, bisogna cambiare, perché non si può più estendere l’imposta sul patrimonio ai depositi bancari e non la si può estendere neppure ai titoli di Stato.
SCOCCIMARRO. È proprio sicuro, onorevole Corbino?
CORBINO. È la mia opinione. Se l’onorevole Scoccimarro ne ha un’altra, noi siamo qui per sentire tutte le opinioni. Soltanto immagino che il giorno in cui voi vi dovrete decidere ad esentare i titoli dall’imposta sul patrimonio, dovrete fare un passo avanti e annullare l’ultimo prestito, che in tanto è stato emesso, in quanto c’era il presupposto del cambio e dell’imposta sui titoli di Stato, altrimenti voi esporrete il credito dello Stato ad un danno enorme, che non è soltanto un danno nei riguardi di coloro che hanno sottoscritto, ma è un danno nei riguardi del credito dello Stato, cioè a dire del mezzo maggiore – dico di più, del solo mezzo – che abbia oggi il Ministro del tesoro per risolvere il problema affannoso della tesoreria, senza mettere in circolazione ancora masse enormi di denaro.
Il Presidente del Consiglio ha parlato degli accordi di Bretton Woods. È necessario che l’Italia vada a Bretton Woods, ma ci deve andare con un mercato monetario già rassettato. E vi dico di più: non è soltanto per Bretton Woods che bisogna rassettare il mercato monetario. L’Europa va incontro ad un temporale monetario senza precedenti. Nel mese di agosto scadrà il termine di un anno contemplato dall’accordo anglo-americano per il prestito di 3 miliardi e 750 milioni di dollari degli Stati Uniti alla Gran Bretagna. In base ad una clausola di quel prestito, a metà di agosto la sterlina dovrà diventare una moneta spendibile in tutto il mondo. Cesserà l’area della sterlina. Ora, non è che noi si voglia augurare il male degli altri, ma la situazione economica reale è quella che è. Io non voglio dire quello che potrà accadere, ma è certo che noi per quell’epoca dobbiamo avere già messo il nostro sistema monetario al coperto da qualsiasi rischio, perché è buona regola di ogni capitano di nave che quando le tempeste si avvicinino cominci a prendere le precauzioni che sono necessarie per fronteggiarle. (Approvazioni a destra).
Quindi andiamo a Bretton Woods, ma andiamoci forti come è necessario che ci si vada, e si faccia quella politica monetaria e finanziaria che occorre per essere forti.
Un’ultima considerazione e ho finito, perché credo di avere forse abusato della vostra pazienza.
Su quali risorse può contare il Tesoro per uscire da questa situazione? Cinquecento miliardi circa occorrono fino al dicembre 1947. Il mercato interno non potrà dare questa cifra. Badate, non la può dare non nei riguardi dei valori mobiliari, perché è un errore immaginare che i valori mobiliari possano fornire al Tesoro i mezzi che gli occorrono per sanare il deficit. I valori mobiliari sono già stati quasi tutti mobilitati dal Tesoro o sotto forma di buoni del tesoro ordinari, o sotto forma di conti correnti bancari, o sotto forma di anticipazioni bancarie, o sotto forma di biglietti di banca tesaureggiati, perché, pare impossibile, ma c’è ancora della gente che, malgrado lo slittamento continuo della nostra moneta, ha ancora fiducia in questa lira e continua a conservare dentro le damigiane i biglietti dello Stato Italiano. Quello che oggi il Governo deve mobilitare è il capitale circolante sotto forma di beni, di scorte che esistono da per tutto. Con questi capitali circolanti, uniti alla formazione del nuovo risparmio, che sarà più copioso il giorno in cui la gente avrà la certezza che se mette da parte una lira mette da parte veramente una lira e non una quantità evanescente nel tempo, sì e no si arriverà a 300 miliardi. Con uno sforzo ci si può arrivare. E gli altri 200? Gli altri 200, o colleghi, bisogna trovarli fuori. Bisogna trovarli dove è possibile trovarli. Io non voglio sottovalutare i risultati economici del viaggio del Presidente De Gasperi negli Stati Uniti, perché l’ordine di grandezza degli aiuti che gli sono stati promessi incondizionatamente non è trascurabile; ma ci vuole dell’altro. E quest’altro noi lo potremo avere ad una sola condizione: quella di dimostrare di sentire per il nostro Paese un attaccamento più forte che per il nostro partito.
Quando questa condizione sarà stata realizzata, il credito di tutto il mondo verrà all’Italia, perché fra i Paesi del mondo che più hanno sofferto dalla guerra, l’Italia mostra di avere attitudini di sopravvivenza, di vitalità, di avere il desiderio di vincere tutte le avversità, che solo nella vecchia Inghilterra possono trovare un punto di paragone.
Noi stiamo ricostruendo, o colleghi, più di quanto comunemente si creda, e ciascuno di voi, viaggiando sulle strade ferrate o sulle grandi arterie rotabili, può notare che ogni giorno c’è qualche cosa di più: lì c’è un tetto rifatto, lì c’è una capanna ricostruita, lì è un campanile che risorge, qui è un palazzo o un ponte che ritornano alla vita economica, a soddisfare i bisogni imprescindibili delle nostre genti.
E questo è il risultato dell’azione lenta, ma inesorabile, della volontà dei singoli individui, che talvolta devono anche, non dico rassegnarsi a rinunziare all’aiuto del Governo, ma anche vincere le resistenze che inconsapevolmente l’azione governativa oppone alla singola attività degli individui.
Ed allora, o colleghi, se questi sono gli elementi obiettivi, io ritengo che possiamo e dobbiamo aver fede nel nostro Paese. Per ragioni strutturali e per uno svolgimento logico della vita parlamentare, noi siamo all’opposizione del Governo, ma questa opposizione concepiamo come forma di critica positiva, costruttiva.
Che cosa potrebbe succedere se il Governo smentisse tutte le nostre previsioni e facesse bene? Nessuno sarà più contento di noi, perché quello che avremmo perduto come oppositori, sarebbe ben piccola cosa di fronte al di più che avremmo guadagnato come italiani. (Vivi applausi a destra).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a lunedì prossimo.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge.
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se per le opere pubbliche da eseguire in Sicilia sono state date istruzioni precise perché sia data la precedenza ai lavori urgenti e siano completati quelli iniziati e lasciati in sospeso. In provincia di Messina i comuni di Antillo, Limino, Roccafiorita non hanno ancora strade rotabili di accesso e rimangono durante il periodo invernale isolati e privi di qualsiasi comunicazione. Esistono lavori iniziati da qualche decennio e ancora incompleti.
«L’interrogante chiede, inoltre, di sapere se, dato il carattere di urgente e inderogabile necessità di dette opere, il Ministro voglia far disporre il finanziamento completo dei lavori in corso e da eseguire, perché si proceda alla soluzione di uno dei problemi più gravi della Sicilia, quale quello delle strade, almeno per i comuni del tutto privi di collegamento con le strade rotabili nazionali e provinciali.
«Trimarchi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non intenda con apposito provvedimento estendere agli orfani della guerra 1915-18 il beneficio del 50 per cento delle assunzioni disposto dal decreto 4 agosto 1945 per i combattenti ed orfani della guerra 1940-1943.
«Non si spiega perché gli orfani della grande guerra debbano essere esclusi da tale beneficio, quando le condizioni di essi sono eguali e forse peggiori di quelle degli orfani della recente guerra.
«Trimarchi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’agricoltura e foreste e della marina mercantile, per chiedere con urgenza:
- a) come e perché, nonostante la istituzione del Ministero della marina mercantile, la divisione della pesca sia rimasta ancora al Ministero dell’agricoltura e foreste;
- b) perché, nonostante precedenti richieste, ancora non sono stati emanati i provvedimenti urgenti indispensabili per la repressione della pesca di frodo, che va distruggendo il patrimonio ittico.
«Riccio Stefano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per evitare l’inconveniente, gravissimo, specie in questi tempi d’inflazione e carovita, conseguente al fatto che la liquidazione della pensione avviene oltre un anno dopo che l’agente ferroviario ha cessato il servizio. E se non crede possibile, per ovviare alle tristi condizioni in cui questa lungaggine precipita il ferroviere in quiescenza, iniziare le pratiche relative alla pensione almeno un anno prima del giorno, facilmente individuabile, in cui l’agente andrà in pensione.
«E se, accettando tale principio, non ritiene conforme a giustizia applicarlo immediatamente a tutti, rinviando, del tempo necessario, l’invio in pensione dei ferrovieri, il cui rapporto di lavoro o d’impiego dovesse venir a cessare entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento invocato.
«Morini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere: se non ritiene urgente giungere alla sistemazione dei ferrovieri colpiti dalle leggi fasciste e se non ritiene che unica via, per impedire che la trafila burocratica trasformi un atto di giustizia e di solidarietà in una procedura esasperata ed esasperante del caso per caso, stia nel capovolgere la situazione giuridica, ritenendo licenziati per ragioni politiche tutti i ferrovieri colpiti dai provvedimenti fascisti del 1922 e del 1923, salvo il diritto all’Amministrazione ferroviaria d’impugnare singolarmente le riammissioni dei ferrovieri, che essa ritenga esser stati allontanati dal servizio per motivi diversi da quelli politici; se non ritiene conforme a giustizia estendere le disposizioni di riammissione, prese o da prendere, anche ai ferrovieri licenziati dal Ministero Facta a seguito dello sciopero agosto 1922; se infine – nel caso che non credesse di poter accettare il principio dell’inversione della presunzione – non ritiene indispensabile – per una più sollecita definizione delle pratiche – eliminare, con chiara disposizione legislativa, la disposizione aberrante, in forza della quale, per la riammissione definitiva in servizio, occorrono atteggiamenti antifascisti dell’agente, anche nel periodo che va dalla marcia su Roma al giorno del licenziamento.
«Morini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritiene urgente:
- a) riorganizzare tutta la materia del risarcimento danni ai nostri connazionali in Africa Orientale Italiana eliminando il formalismo burocratico (specie la documentazione ingombrante ed inutile) che intralcia ed esaspera senza alcun costrutto pratico ed introducendo, invece, nuovi criteri deduttivi, che permetterebbero un lavoro sollecito e sbrigativo e liquidazione rispondente, almeno in parte, alla realtà dei danni subiti;
- b) dotare gli uffici di locali, che permettano all’unica divisione (la 4a) – che attualmente lavora faticosamente con funzionari ottimi e fattivi e con un capo valoroso e preparato – di sviluppare la propria attività, eliminando l’inconveniente di dover lavorare, pigiati, in stanze insufficienti, con pacchi di pratiche sotto ai tavoli, nonché di essere affiancata dalle altre tre divisioni, oggi praticamente ferme per mancanza di locali, in modo di poter far fronte alle necessità d’espletamento delle pratiche attualmente ammontanti ad oltre 70.000; pratiche che aumentano di 150 al giorno e che vengono smaltite con una media giornaliera di 15-20, di modo che – continuando con tale ritmo – si giungerà alla liquidazione totale fra 20 anni.
«Morini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritiene urgente provvedere alla riorganizzazione del servizio pensioni di guerra e infortunati civili, riunendo le varie sezioni – oggi disseminate in quattro edifici lontani l’uno dall’altro – in un unico edificio, in modo di poter coordinare le varie branche ed attività ed iniziare un sollecito lavoro di espletamento delle 550.000 pratiche che attendono la definizione, ponendo fine in tal modo ad inconvenienti gravissimi quali quelli di mucchi di pratiche e di documenti accatastati e dell’esistenza, in via Stampatori 8, del casellario dei fascicoli di via Flaminia 388.
«Morini».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere, se gli è nota la lungaggine burocratica che intralcia l’evasione delle domande di pensione per tubercolotici di guerra, e se intende prendere provvedimenti affinché le Commissioni pensioni di guerra lavorino più speditamente, senza far attendere oltre chi, combattendo una guerra ingiusta, ne porta le conseguenze peggiori.
«Cavallotti, Scotti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del commercio con l’estero, dell’industria e commercio e delle finanze e tesoro, per conoscere:
quali ragioni possano aver determinato la riduzione del contingente di carta d’importazione svedese, che, nel corso della discussione del trattato commerciale concluso con la Svezia, era stato previsto in 20.000 quintali per il 1947, mentre in realtà è stato poi ridotto a soli 10.000 quintali;
se sia esatta la notizia secondo la quale delle cartiere dell’Alta Italia si rifiutano di versare la tassa pagata da alcune categorie di acquirenti di carta, sotto la voce di «Tasse Ente Cellulosa e Carta», e se non ravvisino in questo rifiuto un vero e proprio reato di appropriazione indebita che le cartiere commettono nei riguardi di un Ente parastatale;
quale fondamento abbia la notizia secondo la quale il Ministero dell’industria e commercio si sarebbe reso promotore della soppressione pura e semplice dell’Ente nazionale per la cellulosa e la carta, anziché prendere l’iniziativa di trasformarlo in un organismo atto a svolgere i nuovi compiti imposti dalla grave situazione della carta che potrà essere risolta soltanto con larghi acquisti da effettuarsi sui mercati esteri, valendosi dell’attrezzatura e dei mezzi finanziari di cui dispone l’Ente suddetto.
«Benedetti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, sulla possibilità da parte dei comuni montani produttori di energia idroelettrica ed in particolare dei comuni valtellinesi di istituire un diritto fisso sulla produzione locale di energia giusto quanto contempla il recente provvedimento in materia di finanza locale approvato dal Governo ma ancora allo studio alla Costituente, ciò allo scopo di venire fattivamente in aiuto dell’economia di detti comuni che versa in condizioni precarie.
«E sulla possibilità che detti comuni possano, nell’attesa, applicare senz’altro all’energia elettrica esportata il diritto del 5 per cento sul valore in base all’articolo 41, comma secondo, della legge 8 marzo 1945, n. 62, controllando l’energia in base ai chilovattore prodotti e non ai cavalli nominali.
«Pajetta Giuliano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non sia un preciso dovere del Governo verso i minorati di guerra e le famiglie dei Caduti procedere con la più intensa celerità alla liquidazione delle pensioni di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carratelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti di urgenza il Governo intenda adottare per riparare alla gravissima ingiustizia derivante dalla esclusione di partecipazione ai concorsi per insegnamento dell’ordine medio delle scuole, riservati ad alcune categorie, di coloro che, pure avendo tutti i titoli necessari, erano stati esclusi dai concorsi banditi con decreto ministeriale 28 dicembre 1942, non avendo il requisito allora richiesto della iscrizione al partito fascista.
Il Ministro della pubblica istruzione, al quale l’interrogante ha rivolto una interrogazione in merito, ha risposto che il Ministero non era competente ad apportare modifiche di propria iniziativa alle disposizioni del decreto legislativo 26 marzo 1946, n. 141, ai sensi del quale verranno banditi i concorsi, contenendo esso decreto disposizioni d’ordine generale per tutti i rami delle Amministrazioni dello Stato.
«Ora risulta che, invece, il Ministero della giustizia, in occasione del concorso a 150 posti di notaio, bandito con decreto 7 giugno 1946 (Gazzetta Ufficiale n. 133, del 10 giugno 1946, pagina 1351), ha disposto giustamente che a tale concorso erano ammessi «coloro che non poterono partecipare a precedenti concorsi per effetto esclusivo della mancata iscrizione al partito fascista».
«In conseguenza pare, senza dubbio alcuno, giustificato che di urgenza vengano emanati dal Governo dei provvedimenti, perché anche per i concorsi del Ministero della pubblica istruzione vengano ammessi, insieme alle categorie speciali, anche coloro che non poterono partecipare ai concorsi banditi con il già indicato decreto ministeriale 28 dicembre 1942, per mancanza d’iscrizione al partito fascista.
«Se ciò non avvenisse, si arriverebbe all’assurdo giuridico e morale per cui lo Stato repubblicano verrebbe a preferire negli impieghi i già appartenenti al partito fascista a coloro che per dignità e coerenza con la loro fede preferirono i più gravi sacrifici alla umiliazione morale che veniva loro imposta.
«Sta in fatto che questi laureati «perché non fascisti» non hanno potuto partecipare ad alcun concorso, rimanendo sino ad ora completamente dimenticati e continuando a sopportare situazioni di grave disagio morale ed economico, mentre non pochi loro colleghi, coetanei e con eguale anzianità di laurea, sono diventati e possono diventare, «perché già fascisti», impiegati di ruolo dello Stato, in esecuzione del predetto concorso del 1942.
«Si confida che delle immediate disposizioni saranno adottate per sanare una situazione che offende la equità e la giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pera».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere a che punto sono le revisioni dei redditi di ricchezza mobile dell’industria della pesca e in particolare di quelli della vallicultura, e se il Ministero intende ancora esentare la pesca e in particolare la produzione ittica valliva dal pagamento dell’imposta fino al 70 per cento del reddito, come secondo la precedente disposizione fascista, che rimonta al 1941 e scaduta alla fine del 1946.
«Si deve segnalare a tale proposito il fatto, di cui i dati possono essere confermati dai competenti uffici imposte, che fino ad oggi, alle valli da pesca, in seguito alla summenzionata esenzione, è stata applicata l’imposta di ricchezza mobile su di un reddito medio inferiore alle 200 lire per ettaro mentre esse hanno, ai prezzi attuali del pesce di 300 e fino di 500 lire al chilo, produzioni per ettaro anche di 20 mila lire di valore, con relativamente scarse spese di manutenzione delle valli, e scarsissime di manodopera impiegata in tale attività, per ragioni tecniche in misura assolutamente insignificante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Matteotti Carlo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quanto vi sia di vero nella notizia, secondo cui in occasione della recente visita del Sottosegretario Spano a Venezia, una rappresentanza di vallicultori avrebbe ad esso richiesto un contributo da parte dello Stato di molte centinaia di milioni per migliorare la produzione ittica delle valli, in gran parte di proprietà privata.
«Ove ciò fosse, l’interrogante richiede il parere del Ministero su tale questione, facendo presente il carattere assolutamente antieconomico della produzione ittica valliva, dal punto di vista nazionale, e quanto sarebbe, nel caso, più opportuno assegnare contributi per i progetti di bonifica, così arretrati e male eseguiti sulla costa della pianura padana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Matteotti Carlo».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se, con riferimento all’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 221 – che, nelle controversie non ancora definite per la determinazione del valore venale in comune commercio della ricchezza a qualunque titolo trasferita in dipendenza di successioni apertesi e di atti pubblici stipulati entro il 31 marzo 1945, ovvero di scritture private registrate entro lo stesso termine, dava facoltà all’Amministrazione delle finanze, ai fini di un accordo bonario, di consentire sino al 18 novembre 1946, un abbuono non superiore al terzo del valore presunto dall’amministrazione stessa, ed all’articolo 3 del decreto legislativo 16 novembre 1946, n. 476, che ha prorogato tale termine sino al 2 luglio 1947 ed ha consentito altresì l’esercizio di detta facoltà sino a trenta giorni dopo la notifica dell’avviso di accertamento valori, se questo non era stato ancora notificato alla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto – non ritenga opportuno ed equo di prorogare quantomeno di un termine eguale a quello che intercorre tra il 18 novembre 1946 ed il 2 luglio 1947, il termine del 31 marzo 1945 anzidetto, che in tal modo verrebbe portato almeno al 12 novembre 1945, mantenendo il termine del 2 luglio 1947 nei casi di notifica dell’accertamento di valore anteriore al 2 giugno 1947, ed in caso di notifica in epoca posteriore, tenendo fermo il termine di 30 giorni dalla notifica per il conseguimento dell’abbuono di che trattasi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per conoscere se non ritengano urgente ed opportuno disporre che il dazio sui materiali da costruzione nei centri dei paesi rurali venga abolito, e ciò allo scopo di incrementare le nuove costruzioni e le riparazioni di quelle esistenti, dando così la possibilità, da un lato, di ridurre il fenomeno dell’urbanesimo e nel contempo di alleviare la enorme disoccupazione della classe edile, tenuto conto che per le spese di trasporto dei materiali, le costruzioni nei paesi, specie montani, importano un costo unitario di gran lunga superiore a quello degli altri paesi, senza che ne risulti un corrispondente reddito.
«Ciò concedendo, sarà reso anche possibile il rinnovamento di vecchie case antiigieniche ed anti-sociali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere se – tenendo presente che il comma 5 dell’articolo 1 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, consente che le perdite rappresentate dai danni di guerra sono da calcolarsi, per le aziende industriali o commerciali in detrazione, dal reddito dell’esercizio in cui si sono verificate, e che proprio gli esercizi, in cui tali danni si verificarono, sono stati generalmente passivi o poco redditizi e quindi la compensazione tra utili d’esercizio e perdite per danni di guerra praticamente non è operante – non ritenga opportuno abbandonare, per l’oggetto, il principio generale d’ordine fiscale della autonomia dei bilanci, il quale, se giustificato in tempi normali, non può invece ammettersi in periodi eccezionali come quelli occorsi durante la guerra; e se – tenuto presente, altresì, che numerose aziende hanno già concordato i loro redditi relativi agli esercizi in cui si verificarono i danni di guerra, prima ancora dell’emanazione del succitato regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, e quindi a tali aziende sarebbe precluso il beneficio predetto –, non ritenga opportuno ed equo proporre al Consiglio dei Ministri la modifica della superiore disposizione di legge, nel senso che le perdite per danni di guerra siano ammesse in detrazione – non soltanto dal reddito lordo dell’esercizio in cui si sono verificate –, ma anche da quello degli esercizi successivi, e che sia consentita la compensazione anche per gli esercizi già definiti prima della pubblicazione del provvedimento petito. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non ritiene equo promuovere una disposizione di legge per la proroga delle locazioni di quegli impianti industriali che scadranno entro il 1947 e, comunque, stabilire norme che, senza offendere gli interessi dei locatari, mettano riparo alle giuste esigenze dei conduttori, tra i quali molti, in conseguenza della guerra, per mancanza di energia elettrica, deficienza di materie prime, danni bellici in seguito riparati, hanno subito spese e perdite che vanno giustamente considerate. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno ed equo di abolire la tassa comunale che in atto grava sul bestiame da lavoro e di proprietà dei coltivatori diretti, essendo lo stesso strumento integrante della produzione, come qualunque altro attrezzo agricolo, e ciò anche in analogia alla esenzione accordata per tutti i fabbricati rurali ed al fine di incrementare il lavoro dei campi, riducendo le spese di trasporto dei concimi e delle derrate e dando la possibilità, ai coltivatori diretti, di raggiungere i luoghi di lavoro con maggiore assiduità e celerità, specie nelle campagne siciliane dove i centri abitati sono spesso a grande distanza dalle zone agricole. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non ritiene equo ed opportuno concedere ai piccoli comuni la franchigia postale e telegrafica nei rapporti con gli uffici statali e parastatali, tenuto conto che, nelle attuali condizioni, l’onere relativo grava fortemente sui bilanci degli stessi e che i rapporti con detti uffici sono in atto obbligatoriamente di gran lunga superiori ai normali per le varie discipline che vincolano i comuni nel campo annonario, pre-elettorale, militare ed assistenziale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bonino, Bellavista».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se intendano mantenere ancora in vita l’incivile disposizione contenuta nell’articolo 9 del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 89, secondo la quale contro il provvedimento del prefetto, che assegna a cooperative di contadini terre incolte o non sufficientemente coltivate, non è dato alle parti ricorso al Consiglio di Stato, né azione innanzi ai giudici.
«L’interrogante osserva che disposizioni del genere si spiegano in regimi autoritari, ma non in un regime che vuole essere democratico. La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei cittadini è guarentigia fondamentale, che non può essere soppressa nello Stato di diritto. Il progetto di Costituzione riafferma questo principio (articolo 19 e articolo 103).
«L’abrogazione della citata disposizione nulla toglierà al valore politico e sociale della legge sull’assegnazione delle terre incolte, ma varrà a ricondurne l’applicazione nelle vie della legalità, facendo cessare procedure aberranti, che a volte configurano arbitrarie espropriazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa nazionale, sulla opportunità di modificare l’articolo 1 del bando di concorso per il reclutamento straordinario di cento sottotenenti in servizio permanente effettivo nell’Arma dei carabinieri, indetto con decreto ministeriale del 3 ottobre 1946, registrato alla Corte dei conti il 17 dicembre 1946, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 296 del 28 dicembre 1946, nel senso di estendere il diritto di partecipazione al concorso anche ai sottufficiali che non parteciparono al concorso indetto il 26 marzo 1943, successivamente annullato con decreto ministeriale 17 ottobre 1944.
«Invero, a causa della limitazione inopportuna di cui si chiede la soppressione, restano esclusi dal concorso sottufficiali in possesso di requisiti anche notevolmente superiori a quelli richiesti per l’avanzamento, sia per titoli di studio che per servizi prestati e per speciali benemerenze.
«Di più è da osservare che, limitando il diritto di partecipazione al concorso a quei sottufficiali che già erano stati ammessi all’annullato concorso del 26 marzo 1943, non sembra che sia possibile raggiungere il numero di cento concorrenti idonei, secondo gli scopi del concorso attuale.
«Infine si fa notare che parecchi sottufficiali sicuramente, e più di molti altri ammissibili in virtù dell’articolo in questione, forniti di titoli di idoneità, resterebbero definitivamente esclusi dalla possibilità di avanzamento per sorpassati limiti di età in rapporto a concorsi futuri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Varvaro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga necessario ed urgente – in relazione anche allo stato di acuita tensione esistente fra i comuni di Lastebasse (provincia di Vicenza) e di Folgaria (provincia di Trento) – provvedere a por termine con una equa decisione alla secolare controversia tra i sopradetti comuni, riconoscendo al comune di Lastebasse quei diritti – lungamente trascurati o negati – cui dànno consistenza ragioni di storia e di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rumor».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non creda urgente (anche ai fini dell’assorbimento della disoccupazione), provvedere per l’allargamento della strada provinciale Trento-Vicenza, che rappresenta la più breve comunicazione fra il Trentino e il Veneto e che è linea di traffico intensivo, mentre lo scambio degli autocarri e delle corriere sulla stessa è reso assai difficile, specialmente nel tratto Villazzano-Fricca-Lastebasse-Arsiero. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, Conci Elisabetta, Cimenti, Tosato, Valmarana, Rumor, Marzarotto, Gui, Burato, Cappelletti, Jervolino Maria, Bettiol, Ferrarese, Alberti».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se gli consta che ai nostri operai reduci dalla Francia viene versata la quota di pensione rispettivamente di assicurazione nella misura del 37 per cento dell’equivalente in franchi francesi e come intenda provvedere. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, Conci Elisabetta».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se intenda provvedere affinché agli infortunati, che hanno subìto una minorazione inferiore al 40 per cento, sia assegnato un congruo aumento di pensione. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, Conci Elisabetta».
«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Governo, per conoscere – data la grave situazione creatasi nella provincia di Napoli con la chiusura di alcuni pastifici e la minacciata chiusura di altri per il giorno 15 febbraio 1947 – come il Governo intenda intervenire per evitare il crollo della industria della pastificazione ed il conseguente aumento della disoccupazione.
«In particolare chiede perché il Governo non ha ancora adottati i provvedimenti da tempo richiesti, e cioè:
- a) equa ripartizione del grano in modo da assicurare concrete ed eguali possibilità di lavoro a tutte le industrie in tutte le zone;
- b) perequazione dei dati di molitura e di pastificazione ed unificazione del prezzo della pasta in tutto il Paese, avocando allo Staio le eventuali differenze per costituire una entrata alla Cassa integrazione salari;
- c) intervento della Cassa integrazione salari nei confronti di almeno il 50 per cento dell’attuale mano d’opera, in modo da garantire la ripresa del lavoro in condizioni possibili di spesa.
«Riccio Stefano».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà inscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 19.15.
Ordine del giorno per la seduta di lunedì 11.
Alle ore 16:
- – Interrogazioni.
- – Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di un Segretario.
- – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
- – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.