ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXXVII.
SEDUTA DI VENERDÌ 14 FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TUBINI
INDICE
Sul processo verbale:
Presidente
Nobile
Codacci Pisanelli
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio:
Presidente
Benedettini
Di Vittorio
Russo Perez
Finocchiaro Aprile
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale
Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro
Gronchi
La seduta comincia alle 15.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Nobile. Gli ricordo che è concessa la parola sul processo verbale per proporre una rettifica; per chiarire o correggere il proprio pensiero; per fatto personale. Non si deve quindi fare un discorso.
L’onorevole Nobile ha facoltà di parlare.
NOBILE. Non ho nessuna intenzione di fare discorsi, onorevole Presidente; desidero soltanto rettificare un’osservazione fatta alla chiusa della sua esposizione dall’onorevole Cingolani, affermazione che mi riguarda personalmente.
Egli, come si rileva anche dal resoconto sommario, asserì che io avrei avuto le notizie da informatori clandestini. Desidero assicurare l’onorevole Cingolani di non avere informatori clandestini.
In seguito l’onorevole Cingolani mi spiegò che si riferiva ad un giornale, «L’Ala libera» che qualificò clandestino. Ma «L’Ala libera», non è un giornale clandestino: è stato tale quando esserlo era un onore, oggi non lo è più. Questo giornale è tanto poco clandestino che lo stesso Ministro, onorevole Cingolani, gli concesse un’intervista ed è da questa intervista che ricavai alcune frasi che ho comunicato all’Assemblea. Altre notizie ho rilevate da bollettini e da altri documenti ufficiali.
D’altra parte desidero dire che, quando voglio avere notizie, sono solito recarmi direttamente negli uffici a chiederle, perché è mio diritto, come deputato, ottenere le informazioni che mi occorrono per il disimpegno del mio mandato; e credo che sia dovere darmi queste notizie. Questo è quello che volevo dichiarare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Codacci Pisanelli. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Solo per un chiarimento, in relazione all’interpellanza discussa ieri.
L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha ritenuto, forse, che vi fosse eccessivo spirito di regionalismo in quelle richieste ed ha fatto presente che l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha il carattere di un’azienda industriale, la quale deve provvedere, innanzitutto, a raggiungere i propri scopi che sono scopi economici, senza poter svolgere compiti di assistenza, quali sarebbero quelli di far compiere determinate coltivazioni in zone inadatte.
A questo proposito, voglio precisare che la mia richiesta era ispirata ad un principio di cui tutti sentono l’esigenza: cioè che anche nell’industria non si possono tenere sempre presenti i principî dell’economia liberista e, come si pretende che gli industriali tengano alle loro dipendenze operai, bloccando i licenziamenti, così era mia intenzione confermare la necessità che l’Amministrazione dei monopoli dia il buon esempio non realizzando in questo momento principî di economia, che sarebbero dannosi per un larghissimo numero di lavoratori del Salento.
E questo mi sono permesso di far presente, anche per tener conto della esigenza attuale di non utilizzare per il tabacco le terre da cui può venire il grano, ma quelle terre che altrimenti rimarrebbero improduttive, sacrificando – se mai – i fumatori. Questi, come per gli anni passati, dovranno contentarsi di una qualità di tabacco non eccessivamente buona, per evitare che in un periodo in cui non vi è valuta per acquistare il grano e i grassi all’estero si spendano milioni di valuta pregiata per acquistare dall’estero proprio il tabacco, prodotto voluttuario.
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Comunico che, in seguito ad accordi presi nei rispettivi gruppi, una gran parte degli iscritti a parlare – che sono ancora sessanta – ha l’intenzione di rinunziare alla parola. Comunque avverto gli onorevoli colleghi, che eventualmente dovessero leggere i loro discorsi, che il regolamento pone un limite di 15 minuti di tempo per la lettura dei discorsi stessi.
È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Onorevoli colleghi, nelle sue dichiarazioni relative al programma del Governo, l’onorevole De Gasperi ha affermato che il Governo considera, come suo naturale dovere, quello di fare opera di consolidamento e, quando occorra, di difesa del regime repubblicano.
Dico subito che se questa opera di consolidamento e di difesa sembra naturale, è vero in modo pregiudiziale che proprio la maniera secondo la quale tale opera viene svolta può dare luogo a provvedimenti legislativi profondamente antidemocratici, perché violatori della libertà fondamentale dell’individuo e del popolo.
In 80 anni di vita italiana sotto la monarchia non si è mai inteso parlare di leggi di consolidamento della monarchia stessa. (Commenti a sinistra).
Consolidare vuol dire rafforzare, il che fa supporre che l’attuale Repubblica non si senta pertanto affatto consolidata, per cui si rendono necessarie queste previste disposizioni di legge.
Come monarchico prendo atto di tale esplicita dichiarazione e non posso non constatare che non è per colpa nostra se tale dichiarata debolezza si rilevi in modo tanto importante da richiamare particolari provvedimenti del Governo. Io invito perciò, al principio di queste mie osservazioni, l’onorevole De Gasperi ed il Governo a non dimenticare il modo col quale si è svolto il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (Rumori a sinistra); quel referendum che ha generato quella debole Repubblica che oggi si deve cercare di consolidare con opportuni provvedimenti. Invito a non dimenticare in qual modo l’esito ambiguo e oscuro di quel referendum fu proclamato e a non dimenticare, ma a tenere sempre presente, che quel referendum, comunque svoltosi, anzi malgrado il suo poco chiaro svolgimento, testimoniò che circa 11 milioni di italiani avevano votato a favore della monarchia. (Commenti a sinistra).
Prego l’onorevole Presidente del Consiglio ed il suo Governo di tenere sempre presente, in ogni atto del regime repubblicano, che quegli 11 milioni di monarchici già nel giugno del 1946 erano certamente molto più di 11 milioni (Rumori a sinistra) e che essi in questi sette mesi, per vari motivi, sono non diminuiti, ma aumentati di numero. (Interruzioni Commenti – Rumori a sinistra).
Un regime veramente democratico, sia esso repubblicano, come quello degli Stati Uniti d’America, o monarchico come quello della Gran Bretagna ed Irlanda, non può, non deve dimenticare queste realtà di fatto se vuole mantenersi nei limiti della onestà, legalità e della vera democrazia. Non può e non deve dimenticarlo, non solo perché la democrazia, sanamente intesa, significa rispetto assoluto della minoranza, ma anche perché questo rispetto deve essere ancora maggiore, quando questa minoranza reale è pari ad una maggioranza virtuale. (Rumori a sinistra).
Mi sia permesso di notare, fra parentesi, che l’elogio dell’onorevole Romita, tessuto dall’onorevole Labriola in quest’Aula tre giorni fa a proposito dell’esito del referendum, e quindi del nascere della Repubblica in Italia, è stata una gaffe diplomatica che fa nascere leciti dubbi sulla legalità della Repubblica italiana, e sull’opera svolta dall’onorevole Romita, Ministro dell’interno, durante il referendum. (Interruzioni – Rumori a sinistra).
Chiudo la parentesi e vengo ad esaminare le successive dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi. Egli ha precisato che contro i funzionari che venissero meno al giuramento, basterà applicare le sanzioni previste dalla legge sullo stato giuridico degli impiegati e applicare ai funzionari che si rifiutassero di prestare giuramento un trattamento che potrebbe essere analogo a quello della legge sulla smobilitazione delle forze armate.
Onorevoli colleghi, io credo che se per un momento mettiamo da parte le nostre personali convinzioni sulla Repubblica o sulla Monarchia, se per un momento solo cerchiamo di interpretare lo spirito e le esigenze della democrazia e della libertà, non potremmo fare a meno di riconoscere che un tale provvedimento è quanto mai ingiusto, antidemocratico e violatore di libertà. A parte il fatto che esso non dovrebbe mai colpire dei funzionari che iniziarono la loro carriera prima dell’avvento della Repubblica, è quanto mai ovvio che siffatto provvedimento per la sua coercizione limita e viola la libertà politica dell’individuo. E tutto ciò senza entrare in merito al valore intrinseco dei giuramento stesso. Giuramento di fedeltà alla Repubblica: a quale Repubblica, se essa ancora non è definita? (Rumori – Interruzioni).
Giurare fedeltà al Capo della Repubblica senza peraltro ancora conoscere quali saranno i poteri che saranno a lui conferiti, e senza che egli ancora abbia a sua volta giurato fedeltà alla Costituzione?
Che valore possono avere delle formule svuotate del loro contenuto morale? Si ricordi che l’ufficiale, che era legato da un giuramento al re ed alla Patria, fu dal sovrano prima della sua partenza per l’esilio, sciolto dal giuramento verso di lui, ma non da quello verso la Patria. Ed allora, se il giuramento fatto alla Patria all’atto dell’inizio della propria carriera ha tuttora valore morale, perché costringere l’ufficiale a farne un altro alla Patria? E se a quel primo giuramento non si dà più nessun valore, come si può pretendere di dare valore ad un secondo imposto con forma coercitiva?
Un giuramento coatto è di valore nullo e non dura, un giuramento scelto per libera vocazione è di valore infinito ed è eterno. Prova ne sia il comportamento degli stessi ufficiali fedeli alla monarchia dopo l’8 settembre 1943 e specie dopo il 2 giugno 1946; essi seppero, come sapranno, per il bene supremo della Patria, in obbedienza agli ordini, far tacere i loro intimi sentimenti. L’ufficiale è soldato; ed i soldati non sono né fascisti né comunisti, né rossi né bianchi, né monarchici né repubblicani. Sono soldati d’Italia, sempre al servizio del loro Paese. (Approvazioni a destra – Interruzioni – Rumori a sinistra).
Una voce. E Graziani cosa era?
BENEDETTINI. Ma io mi chiedo: ammesso che un funzionario abbia giurato fedeltà alla Repubblica, può esso appartenere a un partito monarchico e può votare per questo? Se quel giuramento dovesse vincolare, impedire, sopprimere questa fondamentale libertà degli individui e nella fattispecie dei funzionari dello Stato, implicitamente esso spingerebbe i partiti monarchici e la Unione monarchica italiana, che è una associazione apartitica, a essere formati da elementi che il Governo repubblicano non esiterebbe a qualificare «sovversivi». Così che, per ironia del caso, noi avremmo questo assurdo che le forze monarchiche definite forze dell’ordine…
Una voce. Di quale ordine?
BENEDETTINI. …e reazionarie, si muterebbero di punto in bianco in forze sovversive.
Ma a parte queste considerazioni, non si può dimenticare che l’imposizione del giuramento, contro la quale io protesto, certo di interpretare il sentimento unanime di tutti i monarchici d’Italia, indipendentemente dai partiti cui essi appartengono, questa imposizione mette migliaia e migliaia di padri di famiglia nella dura condizione di prestare un giuramento contro la propria coscienza, contro la propria convinzione (Rumori a sinistra), perché, quando si attraversano periodi tempestosi e duri e minacciosi come quelli che noi viviamo, un padre di famiglia non può, per la propria preferenza istituzionale, permettersi il lusso di gettare la propria famiglia in una miseria ancora più dolorosa di quella nella quale oggi già vive. Da ciò si deduce che il giuramento che il Governo della Repubblica oggi pretende dai suoi funzionari è coartato, non è frutto di due volontà veramente libere e quindi esso è inficiato alla sua base, come ogni costrizione più o meno legalizzata dal potere, anzi dal prepotere politico.
E veniamo all’altra dichiarazione del Presidente del Consiglio. Egli ha precisato che «le istituzioni repubblicane e le libertà democratiche troveranno un’adeguata protezione nell’aggiornamento e, rispettivamente, nella riforma degli articoli 270, 274, 275, 279 e 290 del Codice penale, libro II, titolo I, nel richiamo in vigore, entro certi limiti opportunamente aggiornati del decreto legislativo 23 aprile 1945, n. 195, e nell’applicazione del decreto legislativo 26 aprile 1941, n. 149». Semplici parole e semplici citazioni di articoli sono questi, onorevole De Gasperi; ma qui si tratta di vedere, di sapere, di discutere come si intenda riformare quegli articoli del Codice e come si intenda aggiornare opportunamente quei decreti. Se noi stiamo in quest’aula quali rappresentanti del popolo, non dobbiamo dimenticare che l’opinione pubblica c il popolo, quel popolo tanto beffato e dimenticato, sa che in questi ultimi tempi, con la scusa dell’antifascismo, si sono mantenute in vigore le peggiori leggi fasciste, come quella del confino, e – contro ogni principio giuridico – si è persino arrivati ad ammettere la retroattività della legge. Bisogna intendersi sulla riforma di quegli articoli e sugli opportuni aggiornamenti di quei decreti; bisogna che la Costituente ne discuta e che il popolo sappia di che si tratti, per non far trovare domani il Paese e il popolo di fronte a un fatto compiuto che – con l’attenuante dell’antifascismo prima e del consolidamento della Repubblica poi – si risolva in un insieme di leggi e di decreti polizieschi e liberticidi degni di regimi totalitari e dittatoriali.
Una voce a sinistra. Ma se sono tutti in libertà i fascisti!
BENEDETTINI. Il Presidente De Gasperi ci ha detto inoltre che, da varie parti, si sollecita un regolamento della stampa. Precisiamo la verità a tal riguardo. Da una parte, c’è gente libera che vuole la libertà di stampa senza che essa degeneri in immorale pornografia; da un’altra parte c’è gente che, sempre con la scusa dell’antifascismo, vuol soffocare la libertà di stampa. Questa parte è chiaramente individuabile e individuata. Oggi, in Italia, chi non è favorevole alle ideologie social-comuniste è giudicato dai partiti di sinistra come reazionario, monarchico e neofascista. Ed è per questo che sento il dovere di denunciare dinanzi a questa Assemblea che qualche giornale chiaramente antitotalitario e anticomunista è stato sequestrato o soppresso per apologia di fascismo o per neofascismo, quando il fascismo era criticato da quei fogli proprio nella parte condannabile e condannata. Precisiamo una volta per sempre che, quando si condanna il fascismo, di esso non si condanna che una sola cosa, dalla quale tutte le altre derivano: cioè il regime totalitario che significa dittatura, soppressione delle libertà di pensiero, di associazione, di parola, di stampa e quindi regime liberticida e poliziesco, regime che mira a soffocare le fondamentali libertà di un popolo. (Rumori a sinistra). Ma ora guardiamoci bene dall’instaurare un regime di stampa che, per impedire il ritorno del fascismo, per consolidare e difendere la Repubblica, ricorra all’applicazione di quelle leggi sulla stampa che furono, sono e saranno in uso in tutti i Paesi antidemocratici, in tutti i governi tirannici, in tutti i regimi totalitari e dittatoriali. La libertà è libertà ed essa va difesa e non soppressa con la scusa di difenderla.
Certo, questi miei timori e queste prevenzioni non li avrei espressi se l’attuale Governo non fosse stato frutto di un lungo, laborioso e difficile parto. Parto risoltosi in un nuovo compromesso fra i tre partiti di massa.
Ma qui tutti ricordano che i social-comunisti posero come prima condizione della loro collaborazione al Governo precisamente il consolidamento e la difesa della Repubblica, realizzabile con il soffocamento della stampa e dei possibili conati monarchici, reazionari e neo-fascisti. E poiché, come ho già detto, per i partiti di sinistra chi non è con loro è reazionario e fascista, è facile intendere dove quella loro pregiudiziale voglia giungere.
Una voce a sinistra. Le fa comodo la libertà!
BENEDETTINI. Ma proprio perché noi comprendiamo il portato di quella pregiudiziale, oggi ci schieriamo in difesa della libertà che è minacciata.
Molti, molti desiderano sapere a quali condizioni sia stato raggiunto il compromesso fra i tre partiti al Governo, ma molti, molti sono coloro che non sono disposti a subire delle leggi capestro che offendano la nostra libertà e la nostra dignità di uomini liberi. (Interruzioni, proteste all’estrema sinistra).
PERTINI. Perché non avete difeso la vostra dignità sotto il fascismo?
BENEDETTINI. Pertanto, si prendano pure le misure che il Governo ritiene naturali per il consolidamento e la difesa della Repubblica, ma non si tenti con questo di ridurre nuovamente in ceppi il popolo italiano.
Non si violino le sue fondamentali libertà democratiche con la scusa di difendere la democrazia. (Vivaci Interruzioni – Rumori a sinistra).
PERTINI. Siete stati i servitori del fascismo!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, fo appello al loro senso di tolleranza; loro sono i più (Accenna alla sinistra) e non devono dimostrare che col numero vogliono sopraffare la libertà di parola. (Applausi a destra).
All’onorevole Benedettini ricordo che all’inizio della seduta ho raccomandato di attenersi al regolamento, il quale limita a 15 minuti la lettura dei discorsi. In questo momento devo rinnovare la raccomandazione per dovere d’imparzialità. Quindi, prego l’onorevole Benedettini di concludere.
BENEDETTINI. Non si approfitti di questo momento di miseria per ridurlo, con nuove misure poliziesche, in schiavitù.
Io, monarchico, devo far presente a questa onorevole Assemblea che gli undici milioni di monarchici italiani, pur sapendo in quale clima si è svolto il referendum, hanno dato al Paese una prova esemplare di disciplina. Essi hanno così mostrato quanto possente sia il loro attaccamento, la loro devozione alla Patria. Essi hanno mostrato che la Repubblica non può temere da parte loro colpi di testa e azioni armate, sebbene la fantasia e la malafede di alcuni giornalisti militanti in determinati partiti creino di tanto in tanto notizie assurde al solo fine di giustificare, di fronte all’opinione pubblica, la richiesta di provvedimenti e di leggi per il consolidamento e la difesa della Repubblica, consolidamento e difesa di cui nessuno fin’ora ha sentito il bisogno, perché nessuno ha mai pensato di attentarne la vita.
Milioni di monarchici italiani, divisi nei vari partiti, ma uniti nell’Unione monarchica italiana, che è, come ho detto, associazione apartitica, non conoscono e non amano che le vie legali, quelle della democrazia. Ma proprio per questo, ne sono certo, essi non consentirebbero né oggi, né mai che un qualsiasi Governo attentasse alle libertà fondamentali cui essi hanno diritto. Un Governo che con la scusante del consolidamento e della difesa della Repubblica minacciasse la piena libertà dei monarchici, quel Governo sarebbe reo d’aver scavato un pericoloso abisso fra gli italiani, e vedrebbe gravare su sé tutte le responsabilità delle non prevedibili conseguenze.
E perciò mi auguro che l’opera che il Governo De Gasperi vuole intraprendere per consolidare e difendere la Repubblica si ispiri ai principî della vera democrazia, della vera libertà.
Poiché solo in tal modo, anche con la Repubblica, si può servire e si serve la Patria: l’Italia.
Bisogna ispirarsi a quei principî di democrazia e di libertà che sotto la monarchia consentirono ai repubblicani di instaurare la Repubblica.
Ecco perché assolutamente antidemocratico e liberticida è quell’articolo del progetto di Costituzione secondo il quale la forma repubblicana non può essere oggetto di un procedimento di revisione della Costituzione stessa. Questo significa limitare, sopprimere la libertà del popolo. (Interruzioni – Rumori a destra).
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, ne parleremo a suo tempo.
BENEDETTINI. Bisogna ispirarsi a quei principî di democrazia e di libertà che nel 1920 consentirono ai social-comunisti di restar seduti in questa stessa aula quando vi entrò Sua Maestà Vittorio Emanuele III (Rumori a sinistra) e di uscirne al canto di «Bandiera Rossa» prima che il Sovrano pronunciasse il suo discorso. (Rumori).
E proprio rivendicando quella piena libertà monarchica, io, certo di interpretare il sentimento degli 11 milioni di monarchici, concludo con il grido di «Viva il re!». (Applausi a destra – Vivi rumori a sinistra – Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Di Vittorio. Ne ha facoltà.
DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, dico subito che approvo nel complesso le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, e desidero fare alcune osservazioni specialmente sulla politica economica enunciata dal Governo.
È stato già osservato che le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, relative alla politica economica e sociale del Governo, sono troppo limitate, troppo vaghe, nonostante il chiaro riferimento, almeno tendenziale, al programma del passato Governo.
Io dico la verità: non sono preoccupato della limitatezza o della vaghezza delle dichiarazioni del Governo in questo campo; sono preoccupato più della loro possibilità di realizzazione, perché in verità a tutti i Governi che si sono succeduti dalla liberazione in poi del nostro Paese non sono mancati buoni programmi e buone intenzioni.
Ciò che è mancato, specialmente in questo campo, è stata la capacità di realizzazione. Socialmente nei suoi aspetti sociali, si può dire che l’azione del Governo è stata ed è praticamente nulla. Tant’è che io credo che se invece di discutere il programma dovessimo discutere un bilancio preventivo o consuntivo dell’attività del Governo, il Governo stesso si troverebbe molto imbarazzato a presentarlo.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Quell’altro Governo! Non sarà tutta mia la colpa!
DI VITTORIO. Bisogna però dire che il nuovo metodo introdotto dall’onorevole De Gasperi di determinare le crisi, esenta il governo dal presentare all’Assemblea un bilancio consuntivo della propria attività, e limita il nostro potere a discutere soltanto sulle buone intenzioni che si annunciano invece che sull’azione che è stata svolta.
Intendo discutere uno dei vari aspetti di questo problema, che credo sia il più grave e il più angoscioso per il popolo italiano e per tutta la nostra vita nazionale: il problema del carovita. È un problema difficile, complesso; è un problema per la soluzione del quale non basta la buona volontà. È evidente che non si possono fare miracoli; bisogna contare sulle possibilità concrete, reali. Tuttavia, signori, sono fermamente convinto che anche in questo campo un’azione armonica, concreta, decisa del Governo avrebbe potuto apportare almeno alcuni risultati. Invece non siamo stati capaci di opporre la minima diga al dilagare dell’aumento dei prezzi e del costo della vita. È un fatto questo che determina un aggravamento incessante delle condizioni di vita dei lavoratori, che sono già gravissime in tutta Italia, e crea delle ingiustizie che sono intollerabili, e non dovrebbero essere tollerate in uno stato veramente democratico e repubblicano.
Grazie all’aumento incessante dei prodotti alimentari e anche non alimentari più indispensabili alla popolazione, e dato il fatto che il nostro Paese non dispone che di una piccola quantità dei prodotti più pregiati per la popolazione, che cosa accade? Che questi prodotti sono quasi completamente monopolizzati, accaparrati e consumati dai ceti ricchi, mentre i lavoratori, stipendiati e salariati, e tanto più i disoccupati, non hanno la minima possibilità di attingere ad essi. Per cui il nostro Paese oggi lo si può ben definire in questo campo un Paese eccezionale: è il Paese in cui vi è la maggiore libertà di commercio, il Paese meno cicolista d’Europa e di una parte importante del mondo; il Paese dove, se si eccettua l’ammasso teoricamente totalitario dei cereali qualificati, l’ammasso parziale, e sempre più parziale, dei grassi, e quella regolamentazione del latte che noi conosciamo, per tutto il resto vi è la più assoluta libertà. Il mercato nero è diventato il mercato legale, e lo si chiama oggi il mercato libero. Mentre in altri Paesi i possidenti, i ricchi, i gaudenti, che volessero procurarsi anche delle leccornie, sono costretti, malgrado le loro ricchezze, a rischiaro qualche cosa – e qualche volta anche di andare in galera – in Italia i gaudenti possono insolentire ogni giorno alla miseria atroce di cui soffre la grande maggioranza del popolo. (Applausi a sinistra).
E perché succede questo? Perché in Italia vi è una forte pressione delle classi privilegiate perché si segua una politica economica liberista. In Italia il popolo, votando in grande maggioranza per i partiti di massa, per i partiti che sono al Governo, ha voluto votare per una politica, anche economica e sociale rispondente ai bisogni della grande maggioranza, ai bisogni cioè della parte più povera della popolazione.
In realtà, la politica economica che segue il nostro Governo, specialmente in questo campo, è la politica dell’onorevole Corbino. Comprendo bene che l’onorevole Corbino non sia molto malcontento della politica che si segue e non sia stato nemmeno molto malcontento delle dichiarazioni che in proposito ha fatto l’onorevole De Gasperi.
Signori, io credo che bisogna cambiare strada per evitare che i migliori, i più pregiati, i più indispensabili prodotti di cui può disporre il nostro Paese continuino ad essere monopolizzati soltanto dalla parte ricca della nazione, a detrimento di tutto il resto del popolo. Non vi è che un mezzo veramente efficace, e questo mezzo non è il calmiere, non sono le grida, non sono i decreti e gli artifizi coi quali si vogliono diminuire i prezzi di prodotti che sono stati già comperati a prezzo elevato, ma è l’allargamento del tesseramento a tutti i generi indispensabili al popolo. E bisogna che il tesseramento non sia limitato soltanto ai prodotti agricoli.
Sono d’accordo, in certo senso, con alcune dichiarazioni che ha fatto in questa Camera l’onorevole Bonomi, quando ha protestato contro il fatto che vi sono dei vincoli anche severi, sia pure limitati, su alcuni prodotti, esclusivamente per l’agricoltura, mentre ne sono esentati i prodotti industriali, che pure sono indispensabili alla popolazione. Questo non è giusto. Bisogna allargare il tesseramento ai prodotti tessili, alle calzature, a tutti gli altri prodotti che sono di larghissimo ed indispensabile consumo popolare.
Perché questo non si vuole fare? Perché non si fa? Credo che non sia giusto dare la colpa di tutto ciò all’inefficienza di alcuni strumenti dello Stato per l’esecuzione di leggi tendenti ad allargare la regolamentazione della distribuzione di questi prodotti. Penso che uno Stato, a seconda del suo carattere, deve trovare e saper trovare la forza su cui poggiare per realizzare i suoi scopi. Uno Stato tirannico, assolutista, si appoggia su una forte polizia; uno Stato democratico e repubblicano, uno Stato popolare, si deve appoggiare sulle forze popolari. Se il Governo mostrasse maggiore fiducia nella collaborazione delle masse popolari, nel realizzare una politica favorevole ai bisogni più vitali del popolo, tutti i lavoratori italiani sarebbero felici di collaborare con entusiasmo per raggiungere questi fini, ed in tal modo il Governo troverebbe la forza sufficiente per realizzare una politica economica più rispondente ai bisogni del popolo ed ai bisogni di vita e di sviluppo della Nazione.
Bisogna allargare il tesseramento, perché quando si pretende dai contadini che diano tutti i loro prodotti, ad un determinato prezzo, allo Stato, per distribuirli a prezzi controllati e accessibili al popolo, e si permette invece agli industriali tessili, agli industriali del pellame, delle calzature, dell’industria chimica, dell’industria vetraria, di realizzare tutti i profitti che vogliono, approfittando della situazione particolare del mercato interno e del mercato internazionale, si compie un’opera che non è giusta. Ma perché lo Stato non dovrebbe obbligare gli industriali cui ho accennato, i quali realizzano profitti molto larghi, e che, nella situazione economica generale del Paese, si potrebbero definire scandalosi, a cedere una parte dei tessuti, una parte delle pelli e delle calzature, una parte dei concimi per offrirla alla popolazione operaia e impiegatizia, ai contadini, a prezzi controllati e corrispondenti a quelli che lo Stato impone per i prodotti agricoli ai contadini? È evidente che questo offenderebbe alcuni consolidati privilegi di determinati strati della plutocrazia industriale; ma noi pensiamo che in uno Stato democratico e repubblicano bisognerebbe avere il coraggio ai subordinare gli interessi particolari, anche se legittimi, di determinati gruppi, specialmente dei ceti più privilegiati e quindi più fortunati, agli interessi generali e vitali della grande maggioranza del popolo ed allo sviluppo della Nazione.
Penso che bisogna cambiare rotta e bisogna in questo campo allargare il tesseramento, come unico mezzo per riuscire ad assicurare ai lavoratori a basso salario, ai disoccupati, ai reduci, ai pensionati, cioè alla parte più povera della Nazione, parte dalla quale dipende la ricostruzione del Paese, i prodotti di cui hanno bisogno a prezzi più ragionevoli.
Bisogna combattere con nuovi metodi contro il mercato nero. Possiamo dire che lo Stato italiano abbia condotto una lotta seria contro il mercato nero? Possiamo dire che si faccia questa lotta seria, quando si mandano squadre di poliziotti a gettare all’aria le bancarelle dei disgraziati che sono l’ultima ruota di questo carro, che è stato creato ed è mosso dai ceti possidenti più elevati? Bisogna risalire alla produzione, ai grandi accaparratori dei prodotti; bisogna fissare i prezzi di determinati prodotti destinati al mercato interno e indispensabili al popolo, alla produzione; e fissarli, onorevoli colleghi, non su basi capricciose, su basi esclusivamente politiche, ma su basi economiche, perché noi abbiamo bisogno di aumentare la produzione, e questo, è (ovvio), è il rimedio che può sanare tutto. Perciò dobbiamo stimolare la produzione e non possiamo obbligare nessun produttore a lavorare in perdita, non possiamo e non dobbiamo scavalcare nessuno. Ma, assicurato ai produttori un giusto ed onesto beneficio, bisogna stabilire quale deve essere il prezzo al quale, salvo la maggiorazione di spese vive, i prodotti devono essere distribuiti alla popolazione. Se non si vuole far questo, non si arriverà a dare un colpo al mercato nero.
Non si può dire che si combatte efficacemente il mercato nero con sanzioni severe di multe e anche di carcere; i margini di beneficio che assicura il mercato nero sono tali che queste minacce non costituiscono una remora effettiva. Bisogna risalire a una proposta che da anni è stata agitata dalla Confederazione del lavoro e presentata ripetutamente al Governo: bisogna giungere a confiscare le aziende produttive o commerciali degli speculatori sorpresi in flagrante delitto e assicurare la continuità della produzione e l’opera dell’azienda per mezzo dei Comuni e delle Camere del lavoro, o per mezzo dello Stato, o di enti di interesse pubblico, in modo che le aziende degli speculatori possano divenire uno strumento della collettività per sviluppare la produzione e far giungere ai consumatori i prodotti a prezzi ragionevoli ed economici.
Questo non lo si è voluto fare e non lo si fa, perché si teme di offendere i diritti sacri della proprietà capitalista. Voi vedete che in questa proposta non vi è nulla, assolutamente nulla, di rivoluzionario; nulla che voglia attentare al diritto della proprietà e sconvolgere le basi della società nazionale. Vogliamo soltanto stroncare la speculazione alla base, anche se per questo dobbiamo privare i proprietari di un’azienda che, nelle contingenze attuali del Paese, è d’interesse pubblico, della facoltà di servirsi di questa azienda per continuare ad arricchirsi, aggravando le sofferenze del popolo. È soltanto questo che noi vogliamo ottenere e se la nostra proposta fosse stata accettata due anni or sono, oggi lo Stato, i Comuni, potrebbero avere nelle proprie mani una serie di aziende industriali e commerciali, mediante le quali sarebbe possibile dare un colpo serio al mercato nero.
Del resto, per ovviare alle maggiori difficoltà che pone l’allargamento del metodo degli ammassi e quindi del razionamento, bisognerebbe anche per gli ammassi stabilire una differenziazione nella determinazione dei prezzi che lo Stato deve pagare ai produttori. Non è giusto, per esempio, che si paghino il grano e l’olio e gli altri prodotti allo stesso prezzo al contadino che deve ricavare dalla vendita del prodotto il sostentamento per la propria famiglia, il compenso del proprio lavoro, e al grande proprietario che vuole realizzare profitti favolosi, i quali costituiscono soltanto un aumento ingiustificato della rendita fondiaria parassitaria che grava sulla nazione. Come non è giusto che, per esempio, per far rientrare nelle spese, come si deve, il proprietario di terre della Sicilia, o della Sardegna, o delle Puglie, per cui bisogna pagare il grano o gli altri prodotti a quel determinato prezzo, si debba permettere a dei grandi proprietari di altre contrade dove, per un complesso di circostanze diverse, fra cui la maggiore fertilità naturale del suolo, si ha una produzione doppia o tripla, di realizzare profitti colossali sulla crescente miseria del popolo. Si devono praticare prezzi di ammasso differenti per i contadini coltivatori diretti e per i grandi proprietari che ne ricavano una doppia rendita, per le regioni più povere e dove il costo di produzione è più elevato, e per le regioni meno povere dove il costo di produzione è meno elevato. Occorre altresì un tesseramento preferenziale in favore dei lavoratori, in favore delle donne gestanti, in favore dei bambini, in favore dei pensionati. Oggi esiste questo razionamento, ma non nella misura che sarebbe necessaria per assicurare una esistenza tollerabile, nelle contingenze attuali, a queste categorie di cittadini che, per l’avvenire stesso della Patria, devono vivere nelle condizioni più tollerabili possibili.
Ma questo, ripeto, non si fa perché vi sono troppe pressioni, tendenti sempre ad evitare, a tutti i costi, che siano toccati determinati privilegi.
E qui, cari colleghi, si pone un problema di politica sociale, che è pregiudiziale per la ricostruzione del Paese e per la risoluzione di tutti gli altri problemi economici della nostra Nazione: è il problema del contenuto sociale della Repubblica. Capisco bene che questo problema, nelle sue linee essenziali generali, dovrà essere definito e risolto dalla nuova Carta costituzionale, che questa Assemblea è chiamata ad adottare. Però, il Governo avrebbe già dovuto cominciare a dare un certo contenuto sociale alla nostra Repubblica.
Il 2 giugno, contrariamente alla asserzione che faceva l’onorevole Benedettini un momento fa, la grande maggioranza del popolo italiano ha liberamente decretato la fine della monarchia e l’avvento della Repubblica in Italia. Ma l’avvento della Repubblica per il popolo italiano, per la grande massa dei lavoratori italiani, non può essere soltanto una manifestazione puramente politica. Questo ha la sua importanza intrinseca, ma non è sufficiente. La Repubblica – come ogni altro regime – è un contenente; bisogna vedere che cosa ci vogliamo mettere dentro. Finora, dopo la proclamazione della Repubblica, come contenuto sociale non ci si è messo nulla.
Le cose continuano ad andare come prima: alcune secondo la china d’un miglioramento; altre secondo la china del peggioramento. Nel campo economico-sociale non vi è stata nessuna innovazione di rilievo. Ebbene, se vogliamo cominciare a dare il contenuto sociale, che le masse popolari italiane attendono, alla nostra Repubblica, dobbiamo mettere in pratica alcuni principî generali, sui quali facilmente tutti o quasi tutti dovremmo essere d’accordo: per esempio – lo si è visto nelle discussioni in seno alla Commissione dei 75 – proclamare in astratto che la proprietà deve avere una funzione sociale nella società nazionale odierna è un principio sul quale siamo tutti d’accordo.
Una voce al centro. Tutti.
DI VITTORIO. Però, bisognerebbe cominciare ad attuare questo principio.
Cosa vuol dire che la proprietà deve avere una funzione sociale? Vuol dire questo. Se un grande mulino e un grande pastificio cede una parte, più o meno notevole, del prodotto avuto dallo Stato, al mercato nero, sottraendolo al popolo per farne oggetto di speculazione e di arricchimento, allora, applicando questo principio, la proprietà si deve togliere allo speculatore e dare alla società. (Commenti).
Sino ad oggi, onorevoli colleghi, si è fatto un po’ il contrario di questa politica, ed è perciò che noi domandiamo che il Governo interpreti con la maggiore concretezza possibile i passi della dichiarazione dell’onorevole De Gasperi relativi alla lotta per contenere i prezzi; che il Governo abbia il coraggio di prendere tutte le misure che l’esperienza dimostrerà veramente efficaci per non deludere più le aspettative del Paese, che attende dal Governo un’azione energica per stroncare la speculazione; e che intanto si prendano le misure per moltiplicare, nei grandi e medi centri urbani, i ristoranti popolari, per moltiplicare le mense aziendali, per moltiplicare in ispecie le aziende comunali e regionali, per potenziare le grandi cooperative di consumo, per facilitare gli scambi diretti tra collettività di contadini e collettività di lavoratori delle città, di impiegati, di tecnici, di lavoratori di ogni categoria. Si prendano tutte le misure necessarie per alleviare in tutti i modi possibili le grandi sofferenze dei lavoratori italiani. E se queste misure devono colpire determinati privilegi e determinati principî superati, relativi al diritto della grande proprietà capitalistica intesa nel senso quiritario, si abbia il coraggio di prenderle, perché è ciò che il popolo attende dal Governo democratico e repubblicano.
Lo stesso problema si pone per quanto concerne lo stimolo alla produzione. Noi siamo tutti d’accordo in un’affermazione contenuta nella dichiarazione dell’onorevole De Gasperi, cioè che la massima energia deve essere impiegata nell’aumento della produzione, sia per i bisogni interni, sia per i bisogni dell’esportazione.
Io so che i lavoratori italiani, e per essi la Confederazione generale italiana del lavoro, si sono impegnati con tutte le forze a portare il massimo contributo possibile allo sviluppo della produzione. I lavoratori italiani sono fieri di aver portato un contributo effettivo, efficace, al processo della ricostruzione del Paese in tutti i campi.
I lavoratori hanno rinunciato ad una cosa importante per essi: ad una vecchia posizione di principio sul lavoro a cottimo, e hanno accettato e accettano in tutte le categorie il lavoro ad incentivo, per contribuire ad aumentare la produzione, a ribassare i costi di produzione – problema nazionale fondamentale – senza però peggiorare, ma migliorando le condizioni dei lavoratori. Poiché bisogna combattere una mentalità deleteria, secondo la quale si dovrebbe tendere ad abbassare i costi di produzione mediante la corresponsione di salari miserabili ai lavoratori. No! Non sarebbe soltanto ingiusto; sarebbe un errore economico.
Una voce a destra. Non ci pensa nessuno.
DI VITTORIO. Si deve giungere ad abbassare al massimo i costi di produzione mediante l’intensificazione del lavoro, la migliore organizzazione del lavoro…
Una voce a destra. E gli scioperi?
DI VITTORIO. …mediante l’introduzione di nuovi metodi di lavoro; ma non si deve tendere ad abbassare i costi di produzione, abbassando la rimunerazione dei lavoratori. Con un proletariato a tenore di vita estremamente basso, si ha una massa di schiavi, non una massa di produttori intelligenti che possono far rinascere l’Italia, come farà rinascere l’Italia la classe operaia italiana insieme a tutti i lavoratori italiani.
Ma anche su questo terreno bisogna vedere l’aspetto sociale della questione. È giusto: dobbiamo tendere a sviluppare al massimo grado la produzione in tutti i campi, e dobbiamo per questo stimolare e incoraggiare l’iniziativa privata, perché noi stimiamo che nella situazione attuale del Paese bisogna fare appello a tutte le forze sane per ricostruire la nostra economia e far rinascere l’Italia. Però, possiamo noi contenere lo sviluppo della produzione esclusivamente nei limiti consentiti dall’iniziativa privata? Soltanto nei limiti cioè in cui il privato capitalista può trovare conveniente e profittevole l’investimento? Evidentemente no! Noi pensiamo che lo Stato democratico e repubblicano, senza mortificare in nulla l’iniziativa privata, anzi stimolandola al massimo grado e dirigendola, deve porsi in grado di sostituirsi all’iniziativa privata là dove essa risulti inoperante, là dove essa non può giungere. E oggi vi sono moltissimi campi in cui l’iniziativa privata non può giungere, e invece la società nazionale avrebbe moltissima convenienza a giungere. Faccio un esempio: la ricostruzione edilizia. La ricostruzione edilizia del nostro Paese è uno dei problemi più gravi della ripresa economica. Ebbene, perché la ricostruzione edilizia non ha lo slancio che dovrebbe avere e che è richiesto dal bisogno di milioni di famiglie prive di abitazione e dalla totalità degli italiani che sono condannati ad abitare in condizioni disagiate? È un’industria nella quale solo in parte si ha bisogno di materie prime che devono venire dall’estero.
In molti casi si ha tutto sul posto per costruire.
Una voce a destra. Manca il ferro!
DI VITTORIO. In molti casi abbiamo mano d’opera disoccupata che non fa che domandare lavoro; abbiamo le pietre, abbiamo la calce, abbiamo, in parte, il cemento; abbiamo altre materie che possono essere utilizzate per le costruzioni, e non si costruisce. Ci si può domandare meravigliati: perché? Perché questi disoccupati non possono utilizzare queste materie prime e mettersi a costruire una casa in cui abitare? Perché occorrono dei capitali e il capitalista privato non trova conveniente, dato il costo di produzione attuale, di investire il capitale nella costruzione.
Ora, se noi, per costruire, dobbiamo attendere che si verifichino in Italia automaticamente le condizioni per le quali ogni imprenditore privato troverà conveniente investire i propri capitali e avrà la garanzia del suo profitto, il processo della ricostruzione edilizia sarà ritardato di decenni e decenni.
Qui deve intervenire l’iniziativa dello Stato e lo Stato può, con mezzi propri e con mezzi che si procurerà in parte dalla stessa proprietà edilizia, che non è stata danneggiata, ma che, grazie alla guerra, è stata largamente valorizzata, dare impulso alla ricostruzione edilizia del Paese.
Io penso che non sia, onorevoli colleghi, da scartare a priori la proposta, già avanzata dall’Associazione degli inquilini e dalle organizzazioni sindacali, della costituzione di un Ente nazionale per la ricostruzione edilizia che attinga i suoi fondi, oltre che da un contributo dello Stato, dei Comuni, delle collettività, anche dalla proprietà edilizia e da alcuni aumenti di fitto che, a questo scopo, si potrebbero imporre per alcune categorie di inquilini. Lo Stato avrebbe così un mezzo per dare uno slancio maggiore alla costruzione edilizia, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno.
Ma anche qui non si vogliono toccare, da parte di troppa gente, alcuni interessi consolidati e non si vogliono intaccare alcuni princìpi di conservazione sociale che sono stati superati dal tempo e che saranno inevitabilmente travolti dal popolo italiano nel suo divenire, nella sua pacifica e libera evoluzione democratica.
Così, per il problema della disoccupazione. Nonostante un lieve, ma costante miglioramento della situazione economica generale, dell’indice della produzione, abbiamo ancora circa due milioni di disoccupati in Italia; reduci, lavoratori di ogni categoria, manuali ed intellettuali. Non possiamo ignorare questo problema, che deve essere legato a quello della ricostruzione del Paese.
Se noi applichiamo il principio di subordinare gli interessi particolari dei ceti privilegiati, dei ceti plutocratici e dei grandi agrari, agli interessi generali del popolo e del Paese, in tutti i campi della nostra attività economica, possiamo dare un grande impulso al lavoro di ricostruzione, poiché dare lavoro ai disoccupati non è soltanto un problema di lavori pubblici, onorevoli colleghi. I lavori pubblici sono un aspetto del rimedio che bisogna attuare, ed anche a questi lavori bisogna dare un piano organico. Io spero che il nuovo Ministro dei lavori pubblici avrà dal Governo mezzi sufficienti per sviluppare una politica di lavori, per cui non si sia più obbligati a subire la vergogna dei lavori pubblici a regìa, non si sia più obbligati a subire la vergogna di far eseguire lavori inutili o di dubbia utilità, mentre il Paese ha tanto bisogno di lavori utilissimi.
CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. È questione di uomini e di materiale, non è soltanto questione di mezzi.
DI VITTORIO. Capisco questo per il materiale, ma che in Italia manchino gli uomini…
CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Lo domandi all’onorevole Sereni.
Una voce al centro. I soldi bisogna stamparli?
DI VITTORIO. I soldi si possono trovare. Noi non siamo per l’inflazione. In Italia tutti i biglietti che si sono stampati e sono in circolazione non sono andati in gran parte nelle casse dello Stato, ma non sono nemmeno spariti. Ci sono. L’essenziale è che il Governo democratico, appoggiandosi sulle masse popolari, riesca a tirar fuori il denaro da coloro che li hanno e lo spenda per la ricostruzione del Paese. E questo dovrebbe essere il principio fondamentale della politica economica del Governo. (Commenti a destra).
RODI. Che sistema è questo per cui il Governo si appoggi sulle masse popolari per far danaro?
DI VITTORIO. A questo problema di sviluppo della produzione è collegato il problema della nazionalizzazione delle industrie chiave del Paese, problema compreso nei programmi di tutti i partiti di massa e che dobbiamo pur incominciare a realizzare. Noi pensiamo che bisogna incominciare a realizzarlo al più presto possibile, anche perché su questo terreno abbiamo una situazione particolarmente urgente e drammatica, quella della elettricità. Sono stato costretto a studiare un po’ questo problema con i tecnici e con i lavoratori direttamente interessati in questa industria. I tecnici affermano che il problema della elettricità in Italia, come industria chiave di tutto il sistema industriale, ha bisogno di dieci anni almeno, per essere risoluto, se si continua col metodo dell’iniziativa privata e spontanea. Penso che la situazione dell’Italia è tale che non possiamo attendere 10 anni per risolvere questo problema fondamentale. Occorre uno sforzo collettivo grandioso di tutta la Nazione e perciò soltanto lo Stato, uno Stato democratico, può risolvere questo problema nel più breve termine possibile.
Una voce. In cento anni! (Commenti).
DI VITTORIO. Lo so, onorevoli colleghi, che voi non avete fiducia nello Stato come imprenditore, come del resto non avete fiducia in generale nello Stato democratico; ma è perché voi vi preoccupate del monopolio dei grandi capitalisti, della grande plutocrazia che noi invece vogliamo ridurre a più modeste proporzioni. (Commienti – Interruzioni).
RODI. C’è differenza fra Stato democratico e Stato imprenditore. Noi abbiamo l’esperienza in Italia che lo Stato imprenditore rallenta la produzione. La democrazia è un’altra cosa.
Una voce. Ci parli delle ferrovie. (Commenti).
DI VITTORIO. Lo Stato democratico che può poggiare sulla adesione delle masse popolari è quello più in grado di amministrare e condurre le aziende industriali di qualsiasi tipo. Del resto, la tendenza alla nazionalizzazione delle industrie chiave non è soltanto un fatto localizzato all’Italia; è una tendenza generale in Europa, che si allargherà al mondo e non è un problema tecnico, come alcuni di voi vuol far credere di pensare, ma è un problema sociale ed anche politico. (Commenti).
Noi pensiamo che soltanto con uno sforzo colossale, grandioso, che solo l’intera nazione può permettersi, possiamo risolvere il problema della elettricità in pochi anni, invece dei dieci o quindici di cui si è parlato. Ma in generale noi vogliamo la nazionalizzazione delle industrie chiave, anche per ridurre il potere economico e, quindi, il potere politico della grande plutocrazia industriale nel nostro Paese. (Commenti – Interruzioni).
RODI. Dove sono in Italia le grandi plutocrazie? (Commenti).
DI VITTORIO. Il Presidente del Consiglio ha detto nelle sue dichiarazioni che una delle condizioni per lo sviluppo della produzione nel nostro Paese è la collaborazione che egli ha definita organica tra capitale e lavoro. Io penso che il desiderio dell’onorevole Presidente del Consiglio sia giusto. Noi, in linea generale, questo desiderio lo condividiamo. Noi desideriamo collaborare con le forze produttive sane del nostro Paese. Non abbiamo nessuna ripugnanza a collaborare con quella borghesia produttiva, intraprendente, competente e lavoratrice che può portare un notevole contributo alla ricostruzione del Paese, con quella borghesia, però, che non pretenda al monopolio, che non degeneri nella speculazione e che guarisca finalmente da una mentalità feudale, secondo la quale il padrone deve avere il prepotere assoluto nella azienda e, quindi, nell’economia generale del Paese; ed il lavoratore, a seconda che sia manuale o intellettuale, non dovrebbe essere altro che un locatore delle proprie braccia o della propria mente.
Questo non lo accetteremo mai. Noi vogliamo collaborare, come ho accennato poco fa, alla ricostruzione del Paese, allo sviluppo della produzione, ma vogliamo collaborare nell’interesse generale del popolo e della Nazione; non collaboreremo mai con coloro i quali pensano che la collaborazione debba significare un asservimento della classe operaia e dei lavoratori alla plutocrazia capitalistica e ai grandi agrari. Vogliamo collaborare nell’interesse collettivo della Nazione, e perciò concepiamo come strumenti essenziali di questa collaborazione i consigli di gestione.
Ma quale è l’orientamento della grande maggioranza dei grandi industriali italiani sui consigli di gestione? Avversione completa e totale. Ci auguriamo che il Governo emani al più presto possibile la legge sui consigli di gestione, estendendola in tutta Italia; anche per contribuire a creare nel Paese un’atmosfera favorevole a quella collaborazione che l’onorevole De Gasperi auspica. La collaborazione sana nell’interesse del Paese si può realizzare soltanto attraverso i consigli di gestione, nei quali la rappresentanza dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei tecnici affermi il principio che l’azienda non è una cosa alla quale sia interessato esclusivamente il padrone, ma è qualche cosa nella quale i lavoratori si sentono e si devono sentire sempre più direttamente interessati, poiché lo sviluppo dell’azienda è la condizione dello sviluppo e del miglioramento delle proprie condizioni economiche e morali. Nei consigli di gestione i tecnici e i lavoratori hanno la possibilità di portare un contributo ai miglioramenti dei metodi di lavoro e alle innovazioni tecniche, che sono necessari per sviluppare la produzione. I consigli di gestione sono anche una garanzia per il Paese in generale, poiché devono anche intervenire nella determinazione dei prezzi, in quanto determinabili dall’azienda. E qui vi è per il popolo la garanzia contro ogni pretesa monopolistica di sfruttamento mediante aumenti non giustificati di prezzi.
Perciò i consigli di gestione devono essere realizzati al più presto, perché sarà un notevole contributo alla creazione in Italia d’una atmosfera adatta a questa collaborazione.
Ma un’altra condizione è che la politica sociale del Governo sia tale da convincere la parte più reazionaria della classe capitalistica che indietro non si torna più. Mentre l’onorevole Presidente del Consiglio parla giustamente di collaborazione, sappiamo che vi sono gruppi plutocratici, i quali, invece della collaborazione coi lavoratori, cercano di finanziare le associazioni illegali di neo-fascisti e giornali fascisti o d’altro colore di destra, per tentare di ricacciare indietro la classe operaia e la democrazia italiana.
È evidente che con costoro la nostra collaborazione non potrebbe essere possibile.
Vi sono poi i grandi agrari della Confida. Costoro, nella loro maggioranza, hanno ancora una mentalità addirittura schiavistica. Essi non vogliono nemmeno trattare con le organizzazioni dei lavoratori.
Signori, la Confederazione del lavoro e la Federterra non sono riuscite in due anni e mezzo a stipulare un solo contratto di lavoro collettivo con i signori della Confida. Per i lavoratori della terra oggi in Italia non vi è gratifica natalizia, non vi sono vacanze pagate; vi sono prestazioni previdenziali miserabili, assegni familiari meschini perché gli agricoltori hanno resistito sinora a versare i contributi necessari per assicurare delle prestazioni tollerabili ai lavoratori della terra. E bisogna deplorare che i vari Governi che si sono succeduti al potere fino ad oggi dopo la liberazione, sono stati così longanimi, da non essere ancora giunti ad obbligare questi signori a versare i contributi, come li versano gli industriali, per assicurare anche ai lavoratori della terra le prestazioni che sono già basse per i lavoratori dell’industria, per assicurare un minimo indispensabile di assistenza ai lavoratori ammalati, o infortunati, o con carico di famiglia.
Possiamo collaborare con questi signori?
Noi vogliamo collaborare con tutti coloro che non si oppongano alla realizzazione del progresso sociale e delle rivendicazioni più urgenti dei lavoratori; ma con chi ha un atteggiamento di diniego categorico, assoluto, permanente, cocciuto, irragionevole verso le rivendicazioni dei lavoratori non è possibile nessuna collaborazione.
Del resto, lo stesso Presidente del Consiglio ha provato ad arbitrare una vertenza, quella ormai famosa sulla mezzadria, ed egli stesso ha potuto constatare di essersi urtato a tali resistenze che il lodo emesso non è applicato ancora nella maggior parte dei casi, perché il Governo – anche questo è deplorevole – non ha trovato ancora il tempo di mutarlo in legge e di estenderlo a tutte le regioni in cui deve essere applicato.
D’altra parte sappiamo che i grandi agricoltori cercano di organizzare certe squadre di resistenza attive per la sedicente difesa delle aziende non soltanto contro i lavoratori, ma anche contro il Governo democratico, richiedendo ai membri della loro associazione delle quote speciali per ettaro e per capo di bestiame, ed è molto probabile che non pochi grandi proprietari trovino volentieri dei milioni da impiegare per cercare di organizzarsi ancora una milizia privata da contrapporre al popolo e alla sua volontà di progresso, e non trovino una lira per migliorare le condizioni di vita, che sono meschine e insopportabili, dei nostri lavoratori agricoli. (Vive interruzioni a destra – Commenti).
Una voce a destra. Dopo tutto quello che è avvenuto con le squadre rosse, si parla di milizia privata! (Rumori).
DI VITTORIO. Noi tutti siamo in linea di principio disposti a collaborare con tutti coloro che non disconoscano i diritti elementari dei lavoratori, con tutti coloro che accolgano le loro rivendicazioni più elementari. In particolare domandiamo per i contadini la conversione in legge del lodo mezzadrile, perché sia esteso a tutte le regioni mezzadrili d’Italia. Domandiamo una maggiore stabilità di impiego per i braccianti agricoli mediante l’assegnazione di un certo numero di essi per ettaro di terreno, a seconda della coltura, a seconda delle regioni, perché questi lavoratori siano impiegati e il proprietario sia in un certo senso obbligato ad occuparli e quindi ad assicurare una lavorazione più razionale dei fondi, ciò che corrisponde all’interesse del Paese. Da questo obbligo noi domandiamo che siano esclusi soltanto i contadini coltivatori diretti; domandiamo l’applicazione sincera, e previo un maggior chiarimento, dei decreti Gullo sulla mezzadria impropria, perché ai lavoratori della terra, ai compartecipanti della mezzadria impropria del Mezzogiorno sia assicurata una parte dei prodotti – e parliamo di prodotti seminativi e di prodotti arborei nello stesso tempo – non inferiore al 60 per cento del raccolto.
Domandiamo il blocco delle disdette che già ha dato luogo a numerose agitazioni, che potrebbero essere evitate; domandiamo un sostegno attivo delle cooperative agricole, perché le terre occupate dei contadini sulla base dei decreti Gullo e del più recente decreto Segni, siano coltivate razionalmente, e i contadini siano incoraggiati alla più razionale possibile coltivazione di queste terre.
Infine domandiamo per tutti i lavoratori della terra le prestazioni previdenziali e gli assegni familiari nella stessa misura in cui sono in vigore per i lavoratori dell’industria.
Poche parole, se mi permettete, onorevoli colleghi, sulla difesa e sul consolidamento della Repubblica. (Commenti).
Io non voglio trattare questo problema in generale; né è mia intenzione di rispondere all’oratore che mi ha preceduto, quando ha protestato contro ipotetici decreti che offenderebbero il senso della libertà, della dignità umana e di tante altre cose. E dice tutto ciò a noi, ai social-comunisti, a coloro cioè che per difendere la libertà hanno fatto diecine di anni di galera, di miseria, di esilio e di confino. (Interruzioni a destra – Vivi applausi a sinistra).
Una voce a sinistra. Dove eravate voi?
BENEDETTINI. Eravamo in Italia. La difesa della libertà non è monopolio vostro.
Una voce a destra. Comunismo equivale a fascismo. (Vive proteste – Rumori – Commenti a sinistra).
DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, di questo problema mi occupo soltanto per la parte che è più attinente alle questioni sociali.
Io voglio denunciare in questa Assemblea la situazione gravissima che, sotto questo aspetto, vi è nel Mezzogiorno d’Italia, e in particolare in Sicilia e in Puglia. La popolazione meridionale in generale non ha ancora la sensazione che siamo in un regime democratico e repubblicano. (Interruzioni a destra).
RODI. Non è vero! Il Mezzogiorno è civile e democratico, e lei lo ignora!
DI VITTORIO. È un fatto che la mafia agrario-fascista siciliana in breve tempo ha fatto assassinare sei organizzatori sindacali uno dopo l’altro. (Rumori – Interruzioni a destra).
RODI. Non è vero! Il Mezzogiorno è stanco del comunismo.
Una voce a destra. Ricordatevi di quelli di Francavilla, bruciati vivi! (Vivi Rumori a sinistra).
BENEDETTINI. Non ne vogliono sapere di comunismo, in Sicilia!
Una voce a sinistra. Voi siete responsabili degli assassinî.
BENEDETTINI. Voi siete responsabili di tutto quello che avviene. (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Prego i colleghi di sinistra di non agitarsi e di non soverchiare coi loro rumori la voce del loro stesso oratore.
BENEDETTINI. È la verità che scotta! (Rumori).
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, non interrompa, e lei, onorevole Di Vittorio, non raccolga le interruzioni.
DI VITTORIO. Io avrei avuto il diritto di pensare che anche quell’altra parte dell’Assemblea si associasse a noi, almeno per deplorare questi assassinî a tradimento di onesti lavoratori e di esponenti del movimento sindacale. Invece, non troviamo espressioni di solidarietà da parte loro, talché dobbiamo ritenere che proprio essi siano i mandanti di quegli assassinî. (Vive proteste a destra – Rumori). È un fatto che in Puglia, e particolarmente nel Leccese, numerose sedi di sindacati e di cooperative sono state assalite da squadre di tipo fascista.
RODI. Non è vero! Quali sedi? Elevo formale protesta per quello che l’onorevole Di Vittorio dice in quest’aula!
DI VITTORIO. Onorevole Presidente, poiché la mia affermazione è stata oggetto di contestazione dall’altra parte dell’Assemblea, propongo formalmente che sia accettato il voto emesso domenica scorsa a Lecce da un Congresso delle organizzazioni contadine di quella provincia, cioè che l’Assemblea Costituente nomini una Commissione d’inchiesta per andare ad esaminare la situazione in Puglia.
RODI. Ben venga! Facciamo nostra questa proposta: allora le Camere del lavoro saranno finalmente soppresse! Siamo stanchi delle Camere del lavoro. (Proteste a sinistra – Rumori).
DI VITTORIO. Domandiamo che il Governo prenda serie misure, affinché la legalità democratica repubblicana sia rispettata in tutto il Mezzogiorno d’Italia!
BENEDETTINI. In tutta l’Italia, non nel Mezzogiorno soltanto!
RODI. E soprattutto che la Camera del lavoro diventi finalmente un organo apolitico! (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Basta con le interruzioni, onorevole Rodi!
DI VITTORIO. Le Camere del lavoro sono le organizzazioni più democratiche che esistano. (Commenti a destra).
Io penso, per concludere, onorevole Presidente, che bisogna prendere misure efficaci per quanto riguarda il Mezzogiorno e, ne convengo, per quanto riguarda il resto d’Italia, in ordine al problema di Governo concernente la libertà di organizzazione, che debbo denunciare in questa Assemblea.
È avvenuto che, in Emilia e in Toscana, comandanti delle stazioni dei carabinieri, funzionari di pubblica sicurezza, hanno chiamato i contadini, i mezzadri, membri delle commissioni di cascina, diffidandoli a sciogliere queste loro organizzazioni perché illegali. E la cosa più strana e più grave è che, quando i dirigenti della Camera del lavoro di Modena si sono rivolti al prefetto di quella provincia per protestare contro questa illegalità, si sono sentiti dire che si tratta di una azione preventiva, diretta ad impedire il sorgere di una organizzazione illegale. Chi è che ha dichiarato illegali le commissioni di cascina? Le commissioni di cascina sono, in un certo senso, nelle campagne, l’equivalente delle Commissioni interne delle aziende industriali. Nemmeno al tempo di Giolitti e nemmeno quando le commissioni di cascina avevano il carattere più avanzato, che aveva contribuito a dare loro l’onorevole Miglioli, si era mai pensato di dichiararle illegali. Illegali queste commissioni? Ma perché? Nello stesso momento in cui l’Assemblea Costituente è riunita per proclamare solennemente i diritti dei cittadini e dei lavoratori italiani, bisogna tollerare che il prefetto o il maresciallo dei carabinieri ci dicano quali sono le forme tollerabili e legali nelle quali i lavoratori si devono organizzare? Noi domandiamo che siano date istruzioni precise. I lavoratori hanno il diritto di organizzarsi in tutte le forme che ritengono più opportune per la difesa e la tutela dei propri interessi. (Commenti – Interruzioni a destra).
RODI. Ma è possibile queste dire cose?
PRESIDENTE. Onorevole Rodi, faccia silenzio! Onorevole Di Vittorio, continui.
DI VITTORIO. Io prego il Governo di tener conto di questi fatti che avvengono nelle campagne e che costituiscono un attentato alla libertà di organizzazione dei lavoratori. Illegali non possono essere che le organizzazioni clandestine create per scopi contrari a quelli della legge. Le commissioni di cascina dei contadini sono create pubblicamente, funzionano legalmente, trattano con i datori di lavoro e con le autorità locali e a nessun titolo possono essere definite organizzazioni illegali che possano essere comunque proibite. (Commenti – Interruzioni).
Una voce a destra. Anche in Emilia?
DI VITTORIO. Sì, anche in Emilia.
SCOCCIMARRO. Dove avete organizzato gli assassinî. (Rumori vivissimi – Proteste a destra).
BENEDETTINI. Non conoscete il significato delle parole.
COPPI. In Emilia gli assassini noti sono comunisti. (Rumori – Interruzioni – Proteste a sinistra).
AMENDOLA. Non è vero! È vergognoso dir questo. (Rumori vivissimi a destra).
DI VITTORIO. Per concludere dirò pochissime parole sul trattato che è stato imposto all’Italia. Il pensiero profondo dei lavoratori italiani tutti è stato espresso nel manifesto pubblicato in comune dalla Confederazione del lavoro, dalle Associazioni combattentistiche e partigiane. Questo manifesto e la sospensione dal lavoro e da ogni attività in tutta Italia per dieci minuti hanno espresso il sentimento profondo del popolo italiano contro l’ingiustizia che viene inflitta al nostro Paese, ingiustizia che deriva dal fatto che non si è voluto tener conto del contributo di sacrificio e di sangue che il popolo italiano, attraverso la sua resistenza attiva, attraverso il suo Corpo di liberazione, attraverso i suoi marinai e i suoi aviatori, attraverso le gloriose formazioni partigiane, ha portato alla causa della liberazione della Italia e dell’Europa dal fascismo e dall’invasione tedesco-hitleriana. (Commenti). Noi lavoratori abbiamo fiducia nel senso di giustizia dei popoli civili e nel sentimento di solidarietà che lega i lavoratori di tutti i Paesi. L’ingiustizia che è stata inflitta all’Italia colpisce anche ed in modo particolare i lavoratori. Alcune clausole del trattato, in particolare quelle economiche, se dovessero essere applicate integralmente, costituirebbero un ostacolo gravissimo a che il popolo italiano possa riorganizzare la propria economia.
Noi già, – e chi parla personalmente – in seno alla Federazione sindacale mondiale abbiamo avuto occasione di porre questa questione riferita alla confisca dei beni italiani all’estero ed abbiamo avuto la sodisfazione di constatare che i lavoratori organizzati degli altri Paesi si sono manifestati solidali con noi. Siamo certi che al momento opportuno l’appello della Confederazione generale italiana del lavoro a tutte le sue consorelle d’Europa e del mondo perché i lavoratori di tutti i Paesi intervengano nel senso di ottenere giustizia per l’Italia e di ottenere che il nostro popolo sia messo in condizioni di riorganizzare la propria economia, sarà ascoltato.
Il popolo italiano non domanda sussidi: è un popolo sano, lavoratore, di antica civiltà. È un popolo che domanda soltanto giustizia, perché sia messo in grado di rinascere con il proprio lavoro e di conquistare per i propri lavoratori quel tenore di vita che è compatibile col suo grado di civiltà. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Veramente sentivo il bisogno di un po’ di riposo dopo questo… magnifico discorso e dopo questo esempio di libertà e di democrazia! C’è stato un fiorito scambio di carte di visita: mentitore, bugiardo, buffone! Ho sentito dire anche: «ispiratore di assassini»!
C’è, per esempio, chi considerava proprio titolo di merito, pel suo recente passato politico, gli anni trascorsi in galera; ed evidentemente, in particolari circostanze, questo può essere un titolo di merito. Il massimo titolo di merito, difatti, è il martirio. Ma non stupitevi se da quest’altra parte c’era qualcuno poco fa che ascriveva a suo titolo di merito le medaglie al valore che ha riportato combattendo per la patria, nello stesso periodo di tempo in cui quegli altri erano in galera.
Libertà di eloquio. Abbiamo avuto conferenze di carattere storico, di carattere letterario; abbiamo avuto anche qualche comizio elettorale; mentre io penso che si dovrebbe parlare, con misura e buona logica, sull’argomento all’ordine del giorno: «Discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio». Cioè: la crisi, il programma esposto dal Governo; quale parte esso abbia attuato del programma esposto dopo la precedente crisi.
Non parlerò di quella recente, perché sono dei parere che crisi di Governo non c’è stata; c’è stata una crisi di coscienza del nostro Presidente del Consiglio. Anzi, è la seconda. La prima egli l’ebbe quando si accorse di non essere Facta. Allora c’era una feroce contesa per Corbino: Corbino fuori, Corbino dentro! Sembrava che con quella frase il nostro Presidente del Consiglio intendesse dire che si proponeva di trattenere Corbino.
Corbino fu mollato.
La seconda crisi avvenne al ritorno del Presidente del Consiglio dagli Stati Uniti d’America, dove egli difese – e di ciò gliene sia data pubblica e unanime lode – gli interessi dell’Italia. Noi non sappiamo che cosa sia avvenuto in America, tranne quel poco che ci hanno comunicato i giornali. Ma che cosa può averlo imbaldanzito, al punto da ritenersi che fosse arrivato il momento di liberarsi dai comunisti, e, dopo, a pronunziare la frase: «non si torna indietro», noi non sappiamo.
Crisi di coscienza! Perché – come bene è stato rilevato dai Partiti di estrema sinistra – il Paese non sentiva la necessità di questa crisi, se non nel caso in cui veramente il Presidente del Consiglio avesse creduto opportuno di dare un altro volto alla compagine ministeriale. Egli voleva divorziare dai comunisti, ma questa volta fu proprio l’onorevole Togliatti il custode della indissolubilità del matrimonio (Si ride); ed il cattolico De Gasperi si arrese. E la crisi si è risolta con un nuovo governo a base dei tre partiti.
Ma la critica principale che può farsi a questo modo di risolvere la crisi credo che sia da ricercare nel perpetuarsi ostinato del sistema dei partiti.
Mi permetto di ricordare (e quelli che fanno parte di questa Assemblea da maggior tempo che io non ne faccia possono darmi atto che ciò è vero) che nel 1921 il Paese attraversava una crisi simile a questa che attraversa oggi. Le forze politiche si polarizzavano in quel tempo intorno al Partito Popolare, con Don Luigi Sturzo, ed ai social-comunisti con Claudio Treves e Filippo Turati.
A Giolitti, per la prima volta, fu imposto il sistema dei partiti; cioè, da quel tempo, ebbe inizio quel pessimo sistema per cui colui che è designato a reggere il Governo del Paese non può scegliere i suoi Ministri e Sottosegretari di Stato liberamente, in base ai suoi personali criteri e in relazione alle finalità che si propone di raggiungere. E così avvenne che l’adagio inglese «the right man in the right place», (cioè, per qualcuno che non sappia, nelle tribune, l’inglese: «il giusto uomo al giusto posto»), non poté più trovare applicazione.
E così, col sistema della prepotenza dei partiti, furono a poco a poco minate la libertà e la dignità del Parlamento italiano ed il Paese ebbe nausea di questo; e fu in tale ambiente che ebbe origine il partito fascista, che doveva uccidere in Italia la democrazia.
Ho voluto citare questo precedente storico per una semplicissima ragione. Poco fa, in un grazioso scambio di invettive tra una parte e l’altra dell’Assemblea, ho sentito ripetere una parola ambigua ed ormai stantia: «fascista». Gli eredi di quei tre partiti e gli eredi morali e politici di quegli uomini che li capitanavano, sono attualmente il nostro Presidente del Consiglio e la Democrazia Cristiana, che rappresenta l’antico Partito Popolare; l’onorevole Nenni e l’onorevole Togliatti, e adesso anche l’onorevole Saragat, per i partiti socialista e comunista. Quindi io ammonisco i miei amici avversari di quella sponda a non provocare nel Paese una situazione che somigli a quella del 1921, perché le conseguenze – e sarebbe una disgrazia per la democrazia e per questa o codesta Repubblica che volete consolidare – non possono non ricadere sul Paese, con avvenimenti simili e pur diversi.
Infatti, quando voi parlate di fascismo, errate profondamente, perché il metodo fascista era il metodo della violenza, mentre par i partiti di destra oggi il metodo preferito, il solo seguito, è il metodo della propaganda e del voto.
La questione è questa, che allora i partiti di sinistra sognarono di conquistare il potere con la forza. Il popolo italiano oppose la forza e nacquero i fasci di combattimento. Oggi i partiti di estrema hanno pensato di sostituire alla forza l’intelligenza, o meglio la furberia, che è un surrogato dell’intelligenza; conquistare il potere, e naturalmente tutto il potere, con l’intelligenza. Da ciò nacque quel primo slogan: «o la Costituente o il caos». Ma il popolo italiano oppose all’intelligenza l’intelligenza e nacque il qualunquismo.
Credete veramente, onorevoli colleghi, che fossero molte in Italia le persone che sentivano il bisogno di una nuova Costituzione? Che veramente fossero numerosi i gruppi di cittadini, i quali pensavano che lo Statuto Albertino, con piccole modificazioni, non potesse fare al caso nostro?
TOGLIATTI. Almeno 12 milioni.
RUSSO PEREZ. Io sento parlare di milioni. È un affare che può riguardare gli amici di quella sponda, perché noi i milioni non li abbiamo. (Si ride – Commenti).
TOGLIATTI. Milioni di elettori! (Commenti).
RUSSO PEREZ. Insomma io volevo dir questo: quando voi parlate di reazione, anzi, per usare la vostra frase, di «bieca reazione in agguato», voi presupponete che ci sia un’azione. Siate più prudenti in questa azione; non provocate la reazione; non limitatevi a dirci che siete democratici: siatelo veramente. Perché non basta un’etichetta per cambiare una merce; non basta dire: non siamo più comunisti, ma siamo democratici progressivi. Io posso anche chiamare un pugno nell’occhio una carezza progressiva.
TOGLIATTI. Non abbiamo mai detto di non essere comunisti.
RUSSO PEREZ. E allora perché vi chiamate democrazia progressiva?
Una voce a sinistra. Noi ci chiamiamo come vogliamo!
RUSSO PEREZ. Comunque, entriamo nel vivo delle comunicazioni del Governo.
Spero di essere più piacevole adesso. Consolidamento della Repubblica. Onorevole De Gasperi, aveva ragione il collega Benedettini, l’irruente collega Benedettini, a dirvi che non siete stato chiaro. Si parla sempre di consolidare questa Repubblica. Si vede che i suoi genitori si sono accorti che il bimbo è macilento, ha bisogno di molte cure, se ogni giorno scoprite che le leggi ordinarie non bastano a garantirne lo sviluppo e che occorrono sempre leggi nuove. A meno che l’onorevole De Gasperi, sempre intelligente e sempre abile (un giornalista americano, un uomo politico, lo chiamò «eccessivamente abile»; e si può anche peccare per eccesso), non abbia voluto essere intenzionalmente nebuloso, perché può darsi – come diceva poco fa un collega – che una delle richieste dei comunisti per la partecipazione al Governo fosse proprio questa: leggi di consolidamento della Repubblica. Ed egli promise che queste leggi sarebbero state emanate, senza l’intenzione di emanarle. Però è stato preciso nel citare alcuni testi di legge. Il mio maestro mi diceva che, per quanto si sia vecchi avvocati, occorre sempre rileggere il testo della legge.
L’onorevole De Gasperi ha parlato degli articoli 276 e 279 del Codice penale. Ed ha avuto ragione, perché nel primo articolo si tratta delle prerogative del Re e adesso le prerogative devono essere del Capo dello Stato, del Presidente della Repubblica; nell’altro articolo si parla di attentato al Re ed è giusto che ora sia previsto il caso di attentati al Capo della Repubblica.
Ma poi vi sono gli articoli 274 e 270, sui quali io spero che il Presidente del Consiglio ci spiegherà che cosa egli abbia inteso dire con la frase: «Occorre aggiornare o modificare questi articoli di legge».
L’articolo 274 dice: «Chiunque partecipa ad enti o istituti, ecc., di carattere internazionale non autorizzati». Noi siamo, dicono, nazionalisti, quindi questo articolo non può concernere noi; se mai può dispiacere ad altri. Ed allora bisogna che noi sappiamo se l’articolo deve essere aggiornato nel senso che adesso potranno essere tollerate le organizzazioni di carattere internazionale, anche se non autorizzate dal Governo.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il progetto sarà presentato alla Camera; si rassicuri.
RUSSO PEREZ. Dobbiamo essere rassicurati veramente, perché l’articolo 270 è ancora più interessante: «Chiunque promuove associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre…».
Aggiornare in questo caso significherebbe forse sopprimere questo articolo? A noi così com’è piace, onorevole Presidente del Consiglio: è un articolo che fa proprio al caso nostro, perché noi non vogliamo che nessuna classe sociale prevalga sulle altre, né quella dei ricchi su quella dei poveri, né la classe dei poveri su quella dei ricchi.
Poi vi è la legge 26 aprile 1945, n. 125: «Chiunque sotto qualsiasi forma o denominazione tende a far risorgere il disciolto partito fascista, ecc.» Sta bene; ma occorre leggere la parte seconda, dove, per fortuna, per la prima volta appare chiarito il significato della molto ambigua parola «fascismo».
Voi sapete che il congresso delle gioventù universitarie a Praga pose come tema la definizione del fascismo; ebbene, dei giovani sfavillanti di intelligenza discussero per una settimana, e, alla fine, rinunziarono a fare tale definizione. Ma la nostra legge qui ci soccorre, perché dice: «Chiunque svolga attività fascista impedendo od ostacolando con atti di violenza o minaccia, l’esercizio dei diritti civili e politici, ecc.».
Che si voglia alludere ai fatti dell’Emilia? o ai fatti del Viminale? o a quella oscura, anzi palese minaccia, di cui parlò l’onorevole Corbino e che sarebbe stata fatta dall’onorevole Togliatti, e per iscritto, al Presidente del Consiglio?!
Comunque, intendiamo dire al Governo che noi troviamo che questi articoli vanno molto bene. Soltanto, vorremmo che venissero applicati, ma con quella vera indipendenza della Magistratura, della quale non troppo bene testimonia la presenza in questa aula dall’onorevole Venditti.
C’è, poi, la legge 20 aprile 1945 n. 149, che dovrebbe essere ritoccata. Si tratta delle sanzioni per fascisti politicamente pericolosi. Sta bene; però la legge dice che essa si applica a chiunque abbia compiuto fatti gravi che non rivestano gli estremi di reato.
Onorevoli colleghi di quest’Assemblea, si tratta ancora una volta di quelle famose leggi penali di carattere retroattivo, che rappresentano in Italia, culla del diritto, una turpe offesa alla civiltà, al buon senso e alla democrazia. Pietro Colletta, nella sua storia del reame di Napoli, dice che soltanto i re della dinastia borbonica pensarono ad una enormità come una legge penale con carattere retroattivo.
Uno voce a sinistra. Anche i Savoia, con Mussolini, fecero leggi retroattive! Con una legge speciale del 1926 furono condannati individui per fatti commessi nel 1922!
RUSSO PEREZ. Lei è in errore!
TOGLIATTI. Per una legge retroattiva Gramsci è morto in prigione, regnando Vittorio Emanuele III.
Una voce a sinistra. Ma queste cose voi non le sapete! Perché parlate dei Borboni?
TOGLIATTI. Terracini è stato quasi venti anni in carcere per una legge retroattiva! Non mi si potrà mai smentire!
RUSSO PEREZ. Il fascismo fece delle pessime cose, delle pessime leggi; ma la vergogna di una legge penale di carattere retroattivo il fascismo non la fece mai. (Rumori – Commenti).
TOGLIATTI. Fra di voi c’è qualcuno che l’ha approvata.
RUSSO PEREZ. Impostiamo una buona volta la questione. Vi è una legge che proibisce in Italia l’apologia di uomini e istituti del regime. C’è o non c’è questa legge? Dunque, vi pongo questo dilemma: O le leggi fasciste erano cattive, e voi non dovete imitarle; o erano buone ed allora potete copiarle. Quindi, se voi dal fascismo copiate, pur ammettendo che sono empie, le leggi penali di carattere retroattivo, siete voi che fate coi fatti e con le leggi l’apologia del fascismo. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).
LI CAUSI. Gli anni di galera non si distruggono. Si tratta di una logichetta formale che non convince nessuno. (Rumori a destra).
PRESIDENTE. Ciascuno cerchi di essere il più tollerante possibile dell’opinione dell’avversario. Continui, onorevole Russo Perez.
RUSSO PEREZ. Comunque, degli eminenti parlamentari, come l’onorevole Francesco Saverio Nitti e l’onorevole Labriola, (Nitti nel suo recente discorso di Milano e Labriola in quest’Aula) hanno detto che il pericolo del risorgere del fascismo non c’è. Questo fascismo, di cui parlano le sinistre, è come il fantoccio di Pierino: l’Italia lo butta dalla finestra e voi lo fate rientrare per la cappa del camino. (Interruzioni a sinistra).
LI CAUSI. Difatti, Nitti c’era nel 1920 ed il fascismo è sorto nel 1920 con Nitti. (Interruzioni – Commenti).
RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, dopo questo breve e cortese consiglio agli avversari di non far risorgere con la loro condotta ciò che è morto e sepolto, e di non fare con le parole e con le leggi l’apologia del fascismo, veniamo un po’ a parlare dell’ordine di pace.
Onorevole Presidente del Consiglio, la Assemblea Costituente si è sentita defraudata del diritto di risolvere il problema se convenisse firmare o non firmare il Trattato di pace, e si è offesa, almeno nelle nostre persone, anche per il modo da voi scelto per superare questo ostacolo, per riuscire a liberarvi dal controllo dell’Assemblea Costituente. Voi ricordate benissimo che, quando presiedeva l’ottimo repubblicano Conti, questi mi voleva abbracciare dall’alto del suo scanno; ma questa tenerezza di sentimenti non esclude che egli, nel vostro interesse, abbia violato il regolamento, perché quando l’onorevole Conti si è appellato alla prassi parlamentare, ai precedenti, egli doveva sapere che precedenti in questo senso non ce ne sono. E così non abbiamo avuto il tempo e il modo di esprimere il nostro pensiero sulla opportunità della firma del Trattato di pace.
E quali sono state le vostre giustificazioni, onorevole Presidente del Consiglio? Parlerò con quel senso di misura che l’argomento richiede. Le giustificazioni che avete date all’Assemblea sono queste: la firma ha importanza minore della ratifica. Si è arzigogolato, avete detto, sull’interpretazione dell’articolo 90; ma le Potenze alleate e associate non possono aver prevista la pratica esecuzione del Trattato senza la cooperazione nostra, che nessun Governo può dare senza la decisione dell’Assemblea. Non ho voluto impegnare, avete soggiunto, la responsabilità dell’Assemblea, perché ciò avrebbe, è vero, alleggerito la mia, ma avrei anche impegnata la responsabilità della Costituente nel primo atto iniziale della procedura, mentre ad essa è riservato il secondo e più definitivo intervento.
Questo non è perfettamente esatto. È esatto che, con gli accorgimenti adottati dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli esteri, il diritto dell’Assemblea Costituente italiana a dire l’ultima parola sulla validità e sulla eseguibilità del Trattato è stato garantito. Ma è anche vero che in base alla dizione di quell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946, per cui a noi è riservata l’approvazione dei Trattati di pace, avevamo altresì il diritto di esprimere la nostra opinione sull’opportunità del primo atto, che impegnava la responsabilità del Governo, cioè la firma del Trattato stesso. Del resto, avrebbe potuto sempre rimanere salvo il diritto dell’Assemblea Costituente di dire la sua ultima parola in sede di ratifica, pur dicendola prima in sede di apposizione di firma, perché, per esempio, in seguito ad una discussione sobria, dignitosa, obiettiva, l’Assemblea avrebbe potuto lasciare al Governo, come di fatto è stata lasciata dalla Commissione dei trattati, la responsabilità di risolvere per suo conto il problema della firma, addossandosene tutta la responsabilità.
Io invito gli onorevoli colleghi dell’Assemblea a pensare in quali condizioni si sarebbero trovati i Parlamenti delle Potenze alleate e associate, e soprattutto il Senato degli Stati Uniti, qualora il nostro Governo avesse rifiutato la sua firma. È possibile che la reazione del Senato americano, la reazione dei popoli, sarebbero state favorevolissime a noi. Questa reazione avrebbe potuto finalmente aprire gli occhi dei pochissimi grandi, tenacemente chiusi alla verità, e polarizzare intorno a noi le simpatie degli infiniti piccoli, che, nel mondo, la miopia dei grandi perennemente deluse.
Io mi permetto di accennare a qualche problema per il quale effettivamente un’azione utile del Governo può svolgersi nel tempo che passa tra la firma e la ratifica, per esempio il problema delle colonie, giacché voi sapete, onorevoli colleghi, che, secondo il Trattato di pace, la sorte definitiva delle colonie sarà decisa tra un anno.
Coloro che la cronaca frettolosa e compiacente, senza aspettare il sereno giudizio della storia, si affrettò a chiamare “grandi”, ci hanno tolto tutte le colonie, anche, in ispregio alle molte assicurazioni e promesse formali fatteci, le colonie prefasciste, quasi che quello che per gli altri è un diritto per noi sia un delitto; e ci hanno privato anche di quelle sabbie africane, che i nostri contadini, con un lavoro che sarebbe da schiavi se non l’avessero fatto uomini liberi, avevano trasformato in fiorenti giardini, mentre ora, sotto l’amministrazione inglese, la sabbia comincia a coprire i giardini e interrare i pozzi. Che cosa vogliono fare di noi, gente buona e laboriosa, chiusa nei nostri angusti confini, in una terra priva di materie prime, di metalli nobili e plebei, di carbone?!
Ma, ci si dice: a voi è permesso di esportare i vostri contadini, i vostri lavoratori, i vostri braccianti. Così la condizione dei nostri lavoratori diventa simile a quella dei servi della gleba, a quella che i nostri operai avevano prima che a tutelarne i diritti fosse sorto il Partito socialista italiano. Ed io devo deplorare che uomini politici responsabili abbiano detto che per noi le colonie sono un peso. Il primo è stato, nell’agosto dell’anno scorso, l’onorevole Pietro Nenni, seguito ad una corta incollatura dall’onorevole Lussu, che, in materia, non vuole essere secondo a nessuno.
Le colonie non sono un peso, sono una necessità vitale per noi. L’avere tolto tutte le colonie alla Germania fu causa non ultima dell’ultima grande guerra. Per noi le colonie rappresentano un bisogno vitale; e io spero che il nostro Ministro degli esteri, che il nostro Presidente del Consiglio, facciamo tutti i passi indispensabili perché una parte delle nostre colonie ci venga conservata.
Vi è un problema particolare su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea; esaminando il quale vi apparirà chiara la ragione principale per cui, se avessi avuta la possibilità di parlare prima della firma dell’ordine di pace, sulla mia proposta di non firmare è probabile che molti in quest’aula sarebbero stati con me consenzienti, perché, mentre, per quanto riguarda le colonie e per quanto riguarda i confini, si tratta di materia opinabile, qui si tratta di un problema su cui non è possibile avere un’opinione diversa dalla mia. Intendo parlare della cobelligeranza. Il nostro Governo ha fatto finalmente una richiesta di partecipazione alle trattative di pace con la Germania. Le reazioni nel mondo sono state varie. La stampa inglese ha detto: prima firmate, firmando vi acquisterete il diritto di partecipare alle trattative di pace con la Germania.
Dagli Stati Uniti d’America ci si è risposto press’a poco allo stesso modo. Cioè: nella probabile vostra ammissione alle trattative di pace vi è implicito il concetto della revisione.
Qui bisogna fare ricorso agli articoli 18 e 77, n. 4, del Trattato di pace, quelli che nel progetto erano gli articoli 15 e 67.
Coll’articolo 67 del progetto (77, n. 4, dell’attuale Trattato) l’Italia rinunzia a tutti i suoi diritti in confronto alla Germania (una volta, in sede di Commissione per i trattati, si era erroneamente creduto che si trattasse soltanto dei crediti che vantiamo per le espoliazioni avvenute nel nostro territorio). Tutti i diritti in confronto alla Germania vengono rinunziati, senza esclusione alcuna.
Con l’articolo 18 l’Italia si impegna, ora per allora, a riconoscere validi tutti i trattati di pace che le Potenze alleate ed associate faranno con altre Nazioni, con cui sono state in guerra, tra cui la Germania.
Voi comprendete il valore di queste clausole.
Quando ci si dice: «prima firmate il Trattato di pace e poi vi ammetteremo alle trattative di pace con la Germania», possiamo rispondere: ma, scusate!, noi vantiamo il diritto alla spartizione dell’asse ereditario, e voi, prima di ammetterci dinanzi al notaio, perché la spartizione sia effettuata, volete che facciamo la rinunzia completa a tutti i nostri diritti ereditari?
Tutte le altre clausole del Trattato, onorevoli colleghi, possono essere discutibili, perché, in fondo, vi è quel solito argomento, la spada di Brenno: Vae victis! Cioè: noi Potenze alleate ed associate siamo i vincitori; voi siete gli sconfitti. Ma qui no! Qui si tratta d’un problema, che è estraneo alla materia del contendere e verte fra parti diverse.
Si tratta, non di rapporti tra le Potenze vincitrici e l’Italia sconfitta, ma tra l’Italia cobelligerante, quindi convittoriosa, e la Germania, onoratamente sconfitta, ma sconfitta.
Quindi, questa questione verte fra parti diverse e le parti non sono state interpellate. Sono state assenti dal giudizio.
Supponete che il Signor Lupi di Soragna fosse stato incaricato di fare una dichiarazione di questo genere:
«Il Governo italiano è pronto a firmare il trattato di pace tra le Potenze vincitrici e l’Italia, ma non la pace tra l’Italia convittoriosa e la Germania sconfitta». Credete che, ad una motivazione di questo genere, gli Alleati avrebbero potuto reagire in qualunque modo e, soprattutto, in un modo che, solo a pensarlo, rappresenta un’offesa per il nobile popolo degli Stati Uniti, rifiutandoci, cioè, a cagione di questa nostra santa protesta, quel po’ di frumento che ci occorre per sopravvivere?
Non capisco, onorevoli colleghi, perché da parte dell’Assemblea, del Governo e, sovrattutto, da parte di quel settore (indica la sinistra), si sia così poco sensibili al tema della cobelligeranza.
Forse pensate che gli Alleati, invece di essere guidati da un palese criterio giuridico, che è sicuramente con noi, siano guidati da un occulto criterio morale, che potrebbe essere a noi sfavorevole?
In questo caso, potremmo comprendere il vostro travaglio. Ma qui non si tratta di questioni morali. Si tratta di interessi, di diritti della Nazione. E dovremmo essere concordi e tenaci nel difenderli, quale che sia il nostro segreto pensiero.
Noi abbiamo dato nella cobelligeranza sangue e beni; è giusto che riceviamo l’alto prezzo del nostro sangue e il giusto prezzo del nostro sacrificio, che non può essere rappresentato dai 30 sicli della nostra entrata nel novero delle Nazioni Unite.
Questa strana inerzia di fronte alla cobelligeranza, che ci è costata 65 mila uomini delle truppe regolari, 65 mila delle forze partigiane, 139 mila tonnellate di naviglio affondato e migliaia di miliardi di danni, non è ammissibile. Noi dobbiamo ben valorizzare il nostro sacrificio. Abbiamo il diritto di negoziare queste benemerenze nel trattato di pace con la Germania, e se non facessimo questo, mentre da una parte non potremmo più avere il diritto al conguaglio tra le riparazioni attive e quelle passive, tra i danni fatti e i danni subiti, onorevoli colleghi dell’altra sponda, dal punto di vista morale ciò significherebbe un’altra cosa: significherebbe rinnegare il valore morale della vostra, della nostra cobelligeranza.
Se voi rimaneste inerti, dalle loro tombe i caduti dell’esercito regolare e, con maggiore sdegno, quelli delle forze partigiane, si leverebbero a rimproverarvi l’inutilità del loro sacrificio. I fascisti uccisi vi domanderebbero: perché ci avete ucciso? I fascisti condannati vi domanderebbero: perché ci avete condannato? E chi sa se anche da Piazzale Loreto non si leverebbe qualche ombra a rimproverarvi che i mitra democratici hanno avuto troppa fretta ad anticipare il giudizio della storia.
Onorevole Presidente del Consiglio, onorevole Ministro degli esteri, io ho accennato ai punti in cui credo e spero che l’azione del Governo possa essere più intensa ed efficace e possa portare a maggiori risultati: colonie, confini, e, soprattutto, valutazione della cobelligeranza in relazione alla nostra richiesta di partecipare alla preparazione del trattato di pace con la Germania. Perché, se entrasse in vigore il Trattato, con la nostra rinunzia a tutti i nostri diritti in confronto alla Germania, e poi fossimo ammessi alle trattative di pace, di che cosa andremmo a discutere? Dei confini tra la Francia e la Germania, o delle riparazioni che la Russia imporrà alla Germania?
Io ho finito, onorevoli colleghi, e non mi pare di aver fatto opera di sterile opposizione, se ho creduto di dirvi il mio pensiero su alcuni problemi nella soluzione dei quali il Governo è chiamato ad un compito arduo. Signori del Governo, mi auguro che la vostra fatica possa riuscire, ed i primi ad applaudirvi, in tal caso, saremo noi. (Applausi a destra).
(La seduta sospesa alle 17,50, è ripresa alle 18).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Signori Deputati! Matteo Renato Imbriani, nel 1896, iniziava un suo discorso sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Crispi, dicendo con la sua voce stentorea: «Sono sei mesi che in Italia si governa senza Parlamento!». Nelle parole di Matteo Renato Imbriani è scolpita tacitianamente, la situazione del tempo. Non si sarebbe potuto esprimere meglio il pensiero d’allora degli italiani da parte di quegli che era chiamato il bardo della democrazia.
Le parole di Matteo Renato Imbriani io potrei ripeterle oggi, perché effettivamente, da che questa Assemblea funziona, si è governato senza e al di fuori dell’Assemblea Costituente. La colpa principale, se non esclusiva, di ciò è dell’onorevole De Gasperi. Ed il mio discorso di oggi sarà in modo particolare rivolto al Capo del Governo, personalmente. (Commenti).
LUCIFERO. Non c’è.
FINOCCHIARO APRILE. Gli sarà riferito.
È singolare il concetto che l’onorevole De Gasperi ha della rappresentanza popolare. Già, prima ancora che egli diventasse Capo del Governo, al tempo della Consulta nazionale, si cercò di organizzare le cose in modo tale da esautorare completamente, in partenza, quella che doveva essere l’Assemblea Costituente. Quando si pensò di stabilire con legge le norme per il funzionamento della Assemblea Costituente, si volle, violandone il diritto di sovranità, che questa Assemblea non avesse il potere legislativo: si volle che questo, per la durata dell’Assemblea medesima, risiedesse esclusivamente nel Governo. Non mi pare, in verità, che ciò rispondesse e risponda ai dettami e alle esigenze della democrazia. Effettivamente, se alla nostra Assemblea, nella legge istitutiva, si fosse attribuito il potere legislativo, sia pure in ambito ristretto, sarebbe stato rendere omaggio alla rappresentanza popolare. Non mi sembra che, con la istituzione delle Commissioni legislative, si sia ristabilito quel diritto essenziale dell’Assemblea Costituente e che si sia riparato ai lamentati inconvenienti. Ma, tant’è.
L’Assemblea Costituente, secondo affermazioni partite dal banco del Governo e ripetute in quest’aula, autorevolmente, dall’onorevole Conti, dovrebbe circoscrivere il suo ufficio alla redazione e all’approvazione della Costituzione. Io non sono di questo avviso. Un’Assemblea Costituente normale può limitare il suo compito alla formazione della Carta costituzionale; ma un’Assemblea Costituente come la nostra, nata dopo ventidue anni di regime fascista, di soppressione delle pubbliche libertà, di sovvertimento di ogni principio democratico, è la vera ed unica depositaria ed interprete della volontà del popolo italiano. Ed io vi dico che per me, e non soltanto per me, l’Assemblea Costituente deve avere ed ha un potere prevalentemente politico, potere di indirizzo, potere di controllo, potere di deliberazione.
Il Governo avrebbe dovuto, pertanto, non tralasciare nessuna occasione per interpellare questa rappresentanza popolare. L’onorevole De Gasperi ha avuto una specie di idiosincrasia nei riguardi dell’Assemblea Costituente; l’onorevole De Gasperi, in ben otto mesi, non ha fatto che convocarci poche volte e per appena trentasette sedute. Sono passati inutilmente gli otto mesi stabiliti dalla legge per la vita dell’Assemblea: e, in queste trentasette sedute, si è parlato di molte cose senza mai concludere nulla; ma vere e proprie discussioni politiche non sono avvenute, e non sono avvenute perché all’onorevole De Gasperi non è piaciuto che avvenissero. Perché la critica all’onorevole De Gasperi non confà. Egli desidera soltanto le conclamazioni che spesso ha avuto, e non soltanto da parte dei suoi amici politici.
Una voce. Meritate!
PRESIDENTE. Se è possibile, si evitino le interruzioni!
FINOCCHIARO APRILE. L’ultima volta che ci riunimmo, ci riunimmo dopo tre mesi di sospensione dei lavori parlamentari. Erano avvenute cose di eccezionale gravità ed era ovvio che l’Assemblea Costituente desiderasse di esprimere il suo pensiero su alcuni, almeno, dei più importanti avvenimenti. Ma l’onorevole De Gasperi non fu di questa opinione. Si cominciò con il dire che era carità di patria di non parlar di nulla: non del Trattato di pace, non della situazione interna, non di quella economica, finanziaria e monetaria, non della disoccupazione, non delle difficoltà alimentari, non della pubblica sicurezza e via dicendo. E si finì con l’occuparci soltanto di qualche verifica di poteri e delle formule dei giuramenti. Così noi ascoltammo la bella eloquenza del nostro amico Enrico Molè, che trattenne a lungo l’Assemblea Costituente su questo ultimo argomento. Però nessuno di noi riconobbe che l’argomento fosse di troppa importanza: era un argomento di ordinarissima amministrazione.
E si volle imbavagliarci soprattutto al dichiarato fine di non compromettere il prestito allora in corso: un volgare pretesto. Da tutti si disse: come si fa a trattare preoccupanti argomenti politici, quando le sottoscrizioni non sono ancora chiuse? Veramente io ricordai ad alcuni amici che, quando Francesco Nitti, nel 1920, emise il prestito, il suo prestito, tenne la Camera dei Deputati ed il Senato sempre aperti, ed il prestito Nitti dette allora 22 miliardi di lire, qualche cosa come 700 miliardi di lire di oggi. Orbene, nonostante tutta questa precauzione da parte dell’onorevole De Gasperi, il prestito ci ha dato una grande delusione. Il prestito è stato un fallimento, in quanto emesso dal Governo De Gasperi, in quanto emesso dal Ministro del tesoro Bertone, l’uno e l’altro privi di ogni ascendente e di ogni credito nel Paese. (Commenti al centro).
Io faccio una colpa all’onorevole De Gasperi, fra le molte che dovrei rimproverargli: quella di non sapere scegliere i suoi collaboratori, almeno quelli che egli può liberamente scegliere, perché l’onorevole De Gasperi ha rinunziato a quella dignità, a quel minimo di dignità, che avevano tutti i capi di Governo passati, di scegliere i propri collaboratori nei partiti decisi a partecipare al potere, senza lasciarseli imporre. (Interruzioni – Rumori – Commenti al centro).
Una voce al centro. Siamo stanchi di sentirla.
FINOCCHIARO APRILE. Ho appena incominciato.
Finalmente, noi possiamo oggi parlare di politica, possiamo assolvere, cioè, il nostro compito essenziale in un’Assemblea che ha mero carattere politico.
Noi avremmo voluto, nell’ultima tornata, chiedere all’onorevole De Gasperi alcuni chiarimenti e alcune spiegazioni; ed io, non avendo potuto far ciò allora, glieli chiedo oggi, poiché egli è sempre il Capo del Governo e non può trincerarsi certo sul fatto che il precedente Gabinetto è cessato ed egli ne presiede attualmente un altro, il terzo ed ultimo suo Ministero. (Ilarità). Io debbo fare alcune domande all’onorevole De Gasperi.
Eccone una: che cosa accadde al tempo dei fatti del Viminale? Onorevole De Gasperi, il Paese ebbe la sensazione precisa che non ci fosse un Capo di Governo, ebbe la sensazione precisa di una discrasia ministeriale. Il Paese rideva alle sue spalle e continua a ridere. (Rumori – Commenti). Onorevole De Gasperi, è mai possibile che sui fatti del Viminale, che tanta diminuzione di prestigio e di autorità portarono al Governo, l’Assemblea Costituente non debba ancora sapere nulla?
E mi perdoni di farle un’altra sommessa domanda. Ci vorrebbe dire qualche cosa, e certamente ce la dirà, sui fatti dell’Emilia? Perché, onorevole De Gasperi, lei stesso non si è fatto iniziatore di un chiarimento in materia? L’altro giorno l’onorevole Scoccimarro, che ha pronunciato un discorso veramente notevole (Commenti), gran parte del quale ha la mia approvazione, faceva rilevare che vi era stato un contrasto aspro e violento tra i comunisti da una parte e i democratici cristiani dall’altra. Noi abbiamo il diritto, come rappresentanti del popolo, di sapere come sono andate le cose. È inutile che lei si trinceri in un assoluto mutismo, onorevole De Gasperi, perché, dei fatti dell’Emilia lei, allora Ministro dell’interno, è responsabile verso il Paese. È, infatti, inspiegabile che gli avvenimenti dell’Emilia, iniziati attraverso l’azione del capitano Lavagnini, fossero dal Governo considerati in un modo ben diverso di come furono considerati altri analoghi avvenimenti. Noi ascoltammo il discorso tribunizio dell’onorevole Nenni, il quale, in quella occasione, venne a dire – e io non so onestamente dargli torto – che nella questione dei partigiani bisognava agire con molta cautela e con molta discrezione, e che bisognava stendere un velo pietoso su quello che era avvenuto, per ricondurre la calma negli spiriti. Io reputo che fu fatto bene allora; ma perché, quando gli stessi fatti si verificarono per opera di altri partigiani si agi in guisa del tutto diversa? Perché Andreoni, del quale io ricordo, con gratitudine, il leale riconoscimento della legittimità e dell’onestà dell’agitazione indipendentista siciliana; perché Andreoni fu arrestato e fu tenuto tanti giorni in carcere? Perché fu diffamato dalla stampa ministeriale come un volgare delinquente, mentre era ed è un grande patriota e un grande galantuomo? Perché questa offensiva disparità fra il trattamento fatto a Lavagnini e quello fatto ad Andreoni? Forse solo perché Andreoni non era nel cuore dell’onorevole Nenni? (Commenti – Rumori).
Altro argomento, onorevole De Gasperi. È un argomento consacrato in una interrogazione da me depositata al banco della Presidenza, l’interrogazione relativa ai prigionieri di guerra in Jugoslavia, argomento molto doloroso, argomento che fu lì lì per determinare una crisi ministeriale, naturalmente extraparlamentare. Onorevole De Gasperi, noi indipendentisti siciliani abbiamo seguito molto attentamente tutte le vicende di questi poveri nostri prigionieri in Jugoslavia. Io non attribuisco a lei la volontà di ritardare il ritorno di questi nostri connazionali; non ho nessun elemento che mi possa portare ad ammettere che vi sia stata in lei la volontà di non farli ritornare; ma, onorevole De Gasperi, come risulta anche dai verbali del Consiglio dei Ministri, ella ha la responsabilità personale di non avere in tempo e convenientemente agito per il ritorno dei nostri prigionieri dalla Jugoslavia.
Io non condivido il pensiero di coloro che ripetono ancora che questi prigionieri non si volle da lei che ritornassero in patria perché erano comunisti o perché erano siciliani indipendentisti. (Commenti). Sarebbe stata questa una cosa enorme ed io respingo tale voce che ha tutti i caratteri di una insinuazione.
Certo è però che, se ella fosse intervenuto tempestivamente, i prigionieri sarebbero ritornati molto prima. Se sono ritornati e non ancora tutti, non è merito suo: è merito dell’onorevole Togliatti ed io gli esprimo la profonda loro riconoscenza. (Rumori). Faccia, almeno, il Presidente del Consiglio che siano rimpatriati, senza altri indugi, gli ultimi scaglioni.
Altro argomento. Ci fu una notte lo scoppio di una piccola bomba atomica. L’onorevole Togliatti era ritornato dalla Jugoslavia e aveva portato la notizia che il Maresciallo Tito era disposto a transigere sulla questione di Trieste, lasciando la città all’Italia. Onorevole De Gasperi, lei non vide bene ciò, lei lasciò sfuggire questa buona occasione e si lasciò vincere dal suo temperamento sospettoso e diffidente. Non ci fu in lei la gelosia di sminuire un eventuale successo dell’onorevole Togliatti? (Rumori – Si ride).
Che cosa fece lei, onorevole De Gasperi, perché l’accordo Togliatti-Tito arrivasse ad una felice conclusione? Lei non fece niente e lasciò che la soluzione dei «Quattro» rimanesse immutata. Parleremo più avanti dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia.
Noi avremmo desiderato, nelle passate tornate, di sentire dichiarazioni chiare, esplicite, inequivoche da parte dell’onorevole De Gasperi sulla politica interna. Avremmo desiderato di sapere quali erano le ragioni dei frequenti disordini avvenuti in tutta la penisola; avremmo desiderato di sapere quale era stata l’azione del Governo per combattere il brigantaggio, per tutelare la vita e gli averi dei cittadini; avremmo desiderato chiedere al Capo del Governo che cosa pensava di fare per il riordinamento della pubblica sicurezza, che cosa aveva disposto che si facesse perché fosse soppresso l’incivile, ignobile sistema delle sevizie adoperato dalla polizia italiana; avremmo desiderato essere pienamente informati di tutta l’azione governativa in materia alimentare, azione suscettibile di tante e tante critiche.
A questo proposito noi non sappiamo ancora niente sulle vere intenzioni del Governo. Non sappiamo quali quantitativi di grano verranno e dove andranno e da chi ci verranno. Ho però notato che un egregio deputato di parte democratica cristiana, molto esperto in materia, l’onorevole Raimondi, era stato autorizzato ad andare in Argentina, con lettere credenziali del Capo del Governo. Chi fu a far tornare l’onorevole Raimondi scornato e beffato in Italia, mentre l’opera sua avrebbe potuto procurare certamente all’Italia non pochi milioni di quintali di grano? (Ilarità).
Ho fatto queste semplificazioni per mettere sempre più in rilievo che l’azione dell’onorevole De Gasperi è stata un’azione pervicacemente ostile all’Assemblea Costituente, una azione di svalorizzamento, un’azione di perturbamento nei rapporti fra i rappresentanti del popolo italiano e il Governo.
Ritorno ora là donde ero partito. Funzione essenziale dell’Assemblea Costituente è quella politica; non ha essa soltanto il compito, come crede l’onorevole De Gasperi, di redigere e di approvare la Costituzione. Di questa ci occuperemo, è sperabile, rapidamente e ce ne occuperemo sulla base del progetto predisposto, progetto che non è un gran che, ma che ha qualche buon lineamento. L’Assemblea Costituente potrà migliorare e perfezionare questo progetto, se il Presidente della Commissione dei 75, onorevole Ruini, il Licurgo del confusionismo italico (Si ride), ci consentirà di procedere speditamente nei nostri lavori.
Ma, ripeto, la funzione dell’Assemblea Costituente è essenzialmente, squisitamente politica e tale l’onorevole De Gasperi aveva il dovere di considerarla, senza snaturarne il carattere.
E vengo al nuovo Ministero. Nella sua composizione, è su per giù come il precedente, forse peggiore. Vi è, però, in esso un uomo notevole, l’onorevole Sforza. Io devo ricordare alla Costituente – la quale probabilmente non lo sa – che l’onorevole Sforza fu nel 1922 (se non erro) il Presidente della Conferenza della Piccola Intesa; ebbe allora un importante successo. L’onorevole Sforza ottenne che l’Italia diventasse l’arbitra della politica dell’Europa occidentale. Non so se l’onorevole Sforza, nel lungo periodo della sua assenza dall’Italia e nel proseguimento della sua azione di esperto ed abile diplomatico, abbia mantenuto la posizione di grande riguardo che egli aveva saputo al tempo della Piccola Intesa conquistarsi.
Degli altri onorevoli Ministri non occorre che io parli. Noto, però, una cosa. Ogni tanto, volgendo gli occhi al banco del Governo, noi vediamo taluni di quei signori guardare con certa sicumera il proprio ombelico. Credono così di acquistare importanza, almeno nell’aula, e hanno un’aria molto sodisfatta. Io gliela lascio questa soddisfazione; è la sola soddisfazione che essi possano avere. Un carissimo collega veneziano dei settori di sinistra mi diceva l’altro giorno: «Ma guarda! Quando io affiso i miei occhi sul banco del Governo, penso alla mia fanciullezza, quando nei teatrini dei sobborghi della mia città vi erano in fila tanti fantocci e noi ragazzi tiravamo su di essi con tre palle un soldo. (Vivaci proteste – Invettive – Rumori – Interruzioni).
Quale è stato il risultato dei lunghi pensamenti dell’onorevole De Gasperi avanti e durante la crisi? Prima di tutto l’onorevole De Gasperi ha compiuto una sconvenienza, un vero abuso, dappoiché egli non aveva il diritto di presentare le dimissioni del Ministero senza una preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri. (Commenti).
Vanamente l’onorevole De Gasperi si è riferito al precedente Bonomi. Non è esatto. Il precedente Bonomi è ben diverso. Dopo quaranta giorni di crisi, l’onorevole Bonomi dichiarò che, se l’accordo non fosse avvenuto tra i partiti entro breve termine, avrebbe presentato le dimissioni. Cosa completamente diversa. Lei, invece, onorevole De Gasperi, non disse niente a nessuno e agì alla chetichella, con violazione della legge e della consuetudine costituzionale. (Rumori al centro).
L’onorevole De Gasperi era partito per gli Stati Uniti con il proposito di escludere i comunisti dal Governo. Era chiaro. L’onorevole De Gasperi è andato in America con idee molto confuse e senza un chiaro disegno: non ci fosse mai andato! (Si ride – Commenti). Egli ebbe molte sollecitazioni a svincolarsi dal comunismo italiano. Le sue smentite valgono ben poco. Siamo d’accordo che l’invito a liberarsi dai comunisti non gli fu, né poteva essergli fatto, dal signor Truman o dal signor Byrnes. Ma l’onorevole De Gasperi – che non è mai abbastanza informato – ignorava, evidentemente, che anche in Italia vi erano emissari americani che giravano a destra e a sinistra e che si rivolgevano a tutti gli uomini politici di prima e di seconda grandezza per dimostrare loro la necessità di stringersi intorno all’America contro il comunismo. Ora l’onorevole De Gasperi tentò questa esclusione dei comunisti, s’impegnò ad escluderli…
DE GASPERI, Presidente del Consiglio. È falso!
FINOCCHIARO APRILE. …ma rimase con un pugno di mosche nelle mani, come gli capita spesso. Perché, quando i suoi amici democratici cristiani premevano da tutte le parti, perché l’onorevole De Gasperi si inducesse a fare il Ministero soltanto con essi, l’onorevole De Gasperi non può avere ritenuto serio far ciò e che ciò sarebbe stato conforme ai suoi interessi. L’onorevole De Gasperi, del resto, non doveva tardare a persuadersi che, praticamente, non poteva presentarsi all’Assemblea con un Ministero imposto soltanto di democratici cristiani.
Una voce al centro. Con gli autonomisti l’avremmo fatto!
FINOCCHIARO APRILE. Avvenne così che l’onorevole De Gasperi si servì della minaccia di fare un gabinetto di soli democratici cristiani con esclusione dei comunisti, per influire sulle determinazioni dell’onorevole Togliatti. Io non so se questa minaccia, che taluno chiamò un ricatto da parte dell’onorevole De Gasperi, abbia indotto l’onorevole Togliatti a modificare il suo precedente e più logico atteggiamento. Certo è che quel benedetto articolo «Tamburo e tamburini» scompaginò un po’ le aspettative generali. I tamburini erano i comunisti, il tamburo l’onorevole De Gasperi. Gli uni dovevano battere a più non posso sul secondo. Ma vivaddio, onorevole Togliatti, il tamburo si fa con la pelle d’asino, mentre l’onorevole De Gasperi è un filosofo, un teologo, un teosofo ed ha tante altre belle virtù. (Rumori – Commenti).
Una voce al centro. Teosofo, poi!
FINOCCHIARO APRILE. Non vorrei che, attraverso tanta preparazione culturale, l’onorevole De Gasperi si fosse messo oggi a studiare anche l’esistenzialismo. (Commenti). L’esistenzialismo per quei dotti colleghi, molto dotti – come voi sapete – è la elevazione a dottrina filosofica dell’amletico «essere o non essere?». Molto spesso, credo, in questi giorni l’onorevole De Gasperi si pone il dubbio amletico: «sono o non sono?». Io dico al Presidente del Consiglio come tale: «Lei oggi è; ma guardi, fra brevissimo tempo lei non sarà più». (Commenti – Si ride).
La verità è che l’onorevole De Gasperi si presenta all’Assemblea Costituente e al Paese come un minorato. Egli era partito per fare un Ministero con l’esclusione dei comunisti e doveva fare un Ministero senza i comunisti: non riuscendo a costituire il Ministero senza i comunisti, doveva declinare il mandato di costituire il nuovo Gabinetto.
D’altra parte, dovendo prevedere la impossibilità dell’esclusione dei comunisti, non doveva determinare la crisi ministeriale; crisi, ripeto, illegittima che ha messo il Capo provvisorio dello Stato in una condizione di estremo imbarazzo, perché lei, onorevole De Gasperi, non era più il designato a comporre il nuovo Ministero. (Commenti – Interruzioni).
Una voce al centro – E chi allora? Lei?
FINOCCHIARO APRILE. Non era designato a comporre il nuovo Ministero, perché le situazioni politiche sono contingenti, sono mutabili. Lei ha ripreso la direzione degli affari in base al risultato delle elezioni del 2 giugno; ma lei, onorevole De Gasperi, ha dimenticato che nelle elezioni successive, nelle elezioni amministrative, che ebbero aperto carattere politico, il partito democratico cristiano è stato solennemente battuto; non c’è dubbio. (Commenti).
Una voce al centro. Lo dice lei!
FINOCCHIARO APRILE. Lo dico io? Lo dicono i risultati, i numeri. Ed è altrettanto innegabile che il partito comunista è uscito dalle elezioni amministrative accresciuto ed era perfettamente giustificata la richiesta dell’onorevole Togliatti di avere un maggior numero di posti nel Ministero.
D’altra parte, non essendovi nessuna designazione in persona dell’onorevole De Gasperi, essendo la posizione del partito democratico cristiano una posizione di sconfitto in confronto alle elezioni del 2 giugno, era evidente che la designazione non fosse per la sua persona. Dissi e ripeto che si doveva venire dinanzi all’Assemblea Costituente, perché questa facesse una discussione sulle ragioni in base alle quali l’onorevole De Gasperi aveva rassegnato le dimissioni del Ministero e il Capo provvisorio dello Stato avesse così una norma nelle sue determinazioni. Solo dopo un’ampia discussione nella Assemblea Costituente, in seguito ad una designazione dell’Assemblea stessa, si doveva procedere al conferimento dell’incarico per la composizione del nuovo Ministero.
Sarà che io mi riferisco ad una vecchia prassi politica e parlamentare, mentre oggi le cose sono molto modificate; ma io penso che l’onorevole De Gasperi, per quello che ho detto, non rappresenti in questo momento al Governo legittimamente il Paese. (Commenti – Ilarità). Io penso che l’onorevole De Gasperi sia anche in gravi angustie in rapporto ai suoi amici. Noi non viviamo nel mondo delle nuvole; viviamo a Montecitorio, ed abbiamo saputo di riunioni del gruppo parlamentare democratico cristiano e di voci che si sono elevate contro l’onorevole De Gasperi: chi lo voleva trarre da una parte, chi dall’altra. Il dissidio è tutt’altro che sedato e la fiducia nell’onorevole De Gasperi da parte della Democrazia cristiana è fortemente diminuita.
Nel partito della Democrazia cristiana si va affermando insistentemente e nettamente una decisa tendenza a destra: vi è il Padre Lombardi che si agita in questo senso. (Ilarità). Egli è fiancheggiato dall’onorevole Jacini, espressione dello spirito più apertamente reazionario. Vi sono agitazioni, vi sono ribellioni, vi sono ostracismi che inficiano la consistenza del partito. E poi vi è il principe ereditario… (Commenti).
Una voce. Nella Democrazia cristiana? (Si ride)…
FINOCCHIARO APRILE. Egli ha addome tondo e prominente, occhio di sparviero, ganascia forte e robusta, passo felpato di volpe; e procede con in mano un’anfora di acqua tofana, per versarne nella coppa del suo signore e donno. L’acqua tofana è quel dolce liquore di cui si serviva il duca Valentino per sbarazzarsi della gente, lui che pure andava a messa due volte il giorno. (Rumori – Si ride).
Ora, non mi pare che il tempo, per gli eredi delle corone, sia molto propizio. Cadono le dinastie, crollano i troni ed anche il soglio della Democrazia cristiana sta per essere sparecchiato.
E io vi dico che l’onorevole De Gasperi ha recato danno a tutti, sempre; ma anche e specialmente alla Democrazia cristiana. L’onorevole De Gasperi è come la mummia di Tutankamen. Egli non porta fortuna e semina il suo cammino di morti.
Quali sono, onorevoli colleghi, le ragioni della disfatta progressiva della Democrazia cristiana? Sono molte. Ne ricorderò alcune. La prima è costituita dai sistemi elettorali adottati il 2 giugno. Ne ho parlato altre volte all’Assemblea Costituente, e me lo ricordo bene. (Si ride). Manovre subdole di ogni genere, corruzioni senza limite, pressioni e violenze sul corpo elettorale, intimidazioni fatte dai confessionali e dai pergami (Rumori – Commenti), determinarono il grande successo al quale è seguita una inevitabile e salutare reazione. Ma quando i vescovi, i parroci e in genere i sacerdoti aventi cura di anime non si sono occupati di schede e di votazioni, come nelle ultime elezioni amministrative, il risultato è stato disastroso. È, dunque, nell’intervento illegittimo e abusivo degli organi della Chiesa che i democratici cristiani ripongono la loro salvezza.
Onorevole De Gasperi, io non chiedo a lei il rispetto della legge su questo terreno; lei non la farà rispettare mai perché ha interesse a che sia violata. (Rumori – Commenti al centro). Però, poiché noi ci avviamo verso le elezioni, mi permetto di ricordare a lei, e forse, più che a lei, a chi fra breve le succederà (Si ride), che vi è un articolo del Concordato il quale dice: «La Santa Sede prende occasione dal presente Concordato per rinnovare a tutti gli ecclesiastici e religiosi d’Italia il divieto di iscriversi e militare in qualsiasi partito politico». Non poteva il Trattato Lateranense usare espressioni diverse. Vi è poi la legge elettorale per l’Assemblea Costituente la quale punisce il ministro di culto, che abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati ed a vincolare il suffragio degli elettori a favore o in pregiudizio di determinate liste e di determinati candidati o di indurli all’astensione. Io, quindi, debbo richiamare l’attenzione dell’Assemblea Costituente sul fatto che la partecipazione degli aventi cura di anime e cioè, a norma del Concordato, degli ordinari, dei parroci, dei vice-parroci, dei coadiutori, dei vicari e dei sacerdoti stabilmente appartenenti a Chiese aperte al pubblico, è un reato. Ricordi ciò l’onorevole De Gasperi e non si lamenti, poi, se il rispetto della legge, che è un dovere per tutti, sarà, un bel momento, imposto dal popolo.
Ma, onorevole De Gasperi, non sono soltanto le indebite ingerenze del clero che hanno determinato, come reazione, lo sfaldamento bella Democrazia cristiana. Io non voglio, però, che sorgano equivoci: noi non siamo affatto contro la religione. Tutt’altro! (Commenti al centro). Noi la rispettiamo, noi la onoriamo come uno dei fondamentali elementi su cui si asside la coscienza popolare; ma noi non vogliamo che la religione serva come strumento di bassa speculazione politica e di profittantismo elettorale.
Vi è un’altra ragione per cui la Democrazia cristiana va scadendo, e forse l’enunciazione di questa ragione di fronte all’Assemblea Costituente e al Paese scatenerà alquanto disappunto ed è questa: gli onorevoli Deputati democratici cristiani vanno in cerca affannosa di tutti i posti più largamente retribuiti. (Rumori – Commenti). Io confido di potere presentare prossimamente all’Assemblea Costituente l’elenco dei Deputati democratici cristiani i quali sono direttori di banca, presidenti di istituti, consiglieri di amministrazione di società e via dicendo, che hanno numerose e lautissime prebende. Questa è una indecenza. (Interruzioni vivissime – Rumori).
GRONCHI. Oggi lei doveva portare questo elenco.
FINOCCHIARO APRILE. Comincerò da lei.
Una voce. Non si può andare avanti così! Presidente, lo inviti a ritirare le sue parole.
Voci. Non deve più parlare! (Rumori vivissimi).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di far silenzio. Se c’è taluno che si senta colpito dalle affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, ha soltanto il diritto di domandare la parola e a suo tempo l’avrà. Invito quindi l’onorevole Finocchiaro Aprile a non interrompere, ché, mi pare, sia piuttosto in vena di facezie. (Commenti – Interruzioni).
Voci. No, no!
FINOCCHIARO APRILE. Io mi rivolgo al Presidente: quello che ho detto risponde perfettamente a verità. Io mantengo quello che ho detto. Non è una facezia, è una cosa molto seria, onorevole Presidente; è un fatto vergognoso che intacca la dignità e l’onore del partito democratico cristiano. (Rumori vivissimi – Interruzioni al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, lei colpisce indiscriminatamente l’onore di 207 deputati che siedono in questa Camera. La richiamo all’ordine per la prima volta.
FINOCCHIARO APRILE. Questo mio rilievo si riconnette evidentemente ad una proposta fatta dall’onorevole Nitti. L’onorevole Nitti, in uno dei suoi primi discorsi, affermò che i Deputati alla Costituente non devono avere cariche di carattere soprattutto finanziario, che il Deputato deve servire il Paese con abnegazione e non deve andare alla ricerca spasmodica, come molti hanno fatto e fanno, di uffici presso organismi statali e parastatali o comunque aventi pubbliche finalità o rapporti con lo Stato, e ciò a puro scopo di lucro.
Ed io mi riferisco anche alle parole dell’onorevole Conti. L’onorevole Conti è un uomo nobile e generoso. Egli con veemenza richiamò la Camera alla necessità del rispetto e dell’elevazione del senso morale nella vita pubblica.
L’onorevole Scoccimarro, l’altro giorno, con accento commosso, parlò di impiegati che servono onoratamente il Paese, e fece bene. Sono d’accordo con lui. Questi impiegati dovrebbero essere tutelati, protetti, dovrebbero avere ogni vantaggio possibile, dovrebbero essere tolti dal dimenticatoio. Ma, onorevoli colleghi, oggi purtroppo vi sono amministrazioni e uffici nei quali, per ottenere qualche cosa, bisogna andare provvisti di un mezzo chilo di biglietti da mille per distribuirli. Ciò è indegno. Oggi noi viviamo in un clima di corruzione, in un grave disagio morale.
Onorevole De Gasperi, non crede lei che sarebbe stato compito precipuo dei suoi Gabinetti di moralizzare la vita politica e amministrativa d’Italia? Che cosa ha fatto lei in tal senso? Nulla.
Onorevole De Gasperi, io la prego di dirmi qualche cosa, ad esempio, sulla gestione del Ministero dei lavori pubblici da parte dell’onorevole Giuseppe Romita.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Quando vuole, anche adesso.
FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Giuseppe Romita ha popolato il Ministero di impresari, di costruttori, di speculatori. La ditta Cidonio, della quale l’onorevole Romita è stato impiegato, si è mantenuta in testa a tutti. Io non dico, onorevole Romita, che lei sia un disonesto. No, davvero. Però, onorevole Romita, vi sono delle compagnie che bisogna tener lontane, quando si maneggia il danaro dello Stato. Dieci miliardi di lire sono stati distribuiti durante la sua direzione del Ministero dei lavori pubblici. Troppi individui famelici erano intorno a lei che hanno mangiato abbondantemente. Questo è staio scandaloso. Lei è stato giuocato.
Onorevole De Gasperi, lei ha mandato via l’onorevole Bertone, un onesto uomo.
BERTONE. La ringrazio!
FINOCCHIARO APRILE. La successione di Bertone in persona dell’onorevole Campilli è stata la migliore, la più adatta? L’onorevole Campilli è stato uno speculatore… (Interruzioni – Rumori al centro) anche speculatore di borsa. Non importa a me di sapere se abbia fatto bene o abbia fatto male; ma a me pare che l’onorevole Campilli non offra al Paese, come Ministro del tesoro e delle finanze, sufficienti garanzie. (Interruzioni al centro – Proteste vivissime – Rumori).
Una voce. Si tratta di uomini di Governo; non si può più oltre tollerare che parli!
FINOCCHIARO APRILE. Onorevoli colleghi, altra importante ragione che ha determinato la crisi ministeriale è stata la scissione del partito socialista. Era una scissione necessaria. E l’onorevole Saragat, che l’ha determinata, ha, secondo me, acquistato una particolare benemerenza in rapporto al socialismo italiano. Io penso che l’onorevole Saragat abbia salvato il partito socialista dalla rovina. Certo che il ducismo dell’onorevole Nenni non era destinato a rafforzare e a potenziare il socialismo. Quello di Saragat è un nobilissimo tentativo e possiamo dire che sia già riuscito. È sorto un nuovo partito socialista, che vuole essere il partito di tutti i socialisti, non legato ad un altro partito o agli interessi di politica estera di un paese straniero, il partito di tutti i socialisti, che respingono la dittatura e il totalitarismo e credono nella libertà come metodo e nel socialismo come fine. Credo che il programma dell’onorevole Saragat si riconnetta alle pure origini del marxismo; credo che il voler convogliare verso il socialismo i ceti medi sia volere dare una gran forza al socialismo. Lo vedremo nei prossimi mesi. Io auguro pieno successo sia al nuovo partito, sia all’amico Saragat, che ha voluto e saputo raccogliere l’eredità evoluzionista di Filippo Turati.
Voci al centro. Tessera onoraria!
FINOCCHIARO APRILE. La verità è che il socialismo permea ormai in tutti gli ambienti; è diventato un minimo comune denominatore. Se voi esaminate la dottrina liberale di oggi, voi la troverete profondamente diversa da quella che era al tempo di Cavour. Il socialismo esercita un’influenza determinante e decisiva sul liberalismo; e io penso che, oltre al socialismo, anche il liberalismo abbia ancora da adempiere un’alta missione nella vita internazionale e nella vita italiana in particolare.
D’altra parte non dovreste esser voi di parte democristiana a lamentarvi di questa permeazione del socialismo anche nelle vostre file. Per quanto voi siate nemici giurati di Miglioli, egli è, fra i cattolici, l’uomo che ha mirato all’integrazione dello spiritualismo cristiano col socialismo classista.
E che cosa, nell’ultima fase della sua vita veramente luminosa e grande, pensava Filippo Turati? Non era Filippo Turati che auspicava un incontro tra le forze socialiste italiane e le forze del cristianesimo?
Il socialismo si diffonde, il socialismo è nella coscienza di tutti, è luce di progresso, è luce di civiltà: noi indipendentisti siciliani vogliamo che le classi lavoratrici arrivino al Governo; noi vogliamo che i contadini e gli operai, meglio di tutte queste persone che, come dicevo, guardano il proprio ombellico, vadano al banco del Governo, poiché soltanto… (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti).
PRESIDENTE. La richiamo all’ordine, per la seconda volta! Non è questo il modo di parlare di colleghi che siedono al banco del Governo. (Vivi applausi al centro).
FINOCCHIARO APRILE. Lei presiede in modo poco tollerante. (Vivi rumori – Proteste).
PRESIDENTE. Sono stato anche troppo tollerante. Continui!
FINOCCHIARO APRILE. Soltanto, soggiungevo, ripetendo cose dette tante volte, con la partecipazione, diretta e senza interessati intermediari, dei contadini e degli operai al Governo, la voce delle classi lavoratrici potrà risuonare alta a rivendicare i loro diritti e potrà essere ascoltata.
Noi indipendentisti siciliani abbiamo appreso con viva sodisfazione l’uscita dal Governo e la non partecipazione al nuovo Ministero dei repubblicani storici. Nonostante le lusinghe dell’onorevole De Gasperi, i repubblicani storici hanno capito che il loro posto non poteva essere più a fianco dell’onorevole De Gasperi.
In altra occasione io dichiarai che, nelle prime fasi della agitazione indipendentista siciliana, vi era stato un accostamento fra i repubblicani italiani e gli indipendentisti siciliani. L’accostamento era avvenuto sul terreno federativo. Venuti alla Camera, i repubblicani storici abbandonarono questo terreno federativo e non potemmo più accordarci. Io tuttavia confido che il partito repubblicano, rotti gli indugi, saprà assolvere l’alta funzione di restaurare il pensiero politico di Carlo Cattaneo per la confederazione dei liberi Stati italiani.
E, a questo proposito, voi non potete non aver avvertito i lieviti di disintegrazione nazionale che vanno affiorando un po’ dappertutto. Io sono siciliano, io guido il “Movimento per l’indipendenza della Sicilia” e potrei e vorrei circoscrivere la mia azione alla mia terra e alla realizzazione della grande aspirazione della patria siciliana. Ma ho visto con grande soddisfazione venire a me gente della Sardegna, che ha creato la «Lega sarda», agognante della piena indipendenza della terra di Eleonora d’Arborea; ho visto venire a me i capi della Valle di Aosta…
Una voce al centro. Non è vero.
FINOCCHIARO APRILE. Non è vero? Come, non è vero? È venuto da me il Presidente del Consiglio della Valle di Aosta Caveri; è venuto il direttore dell’«Union Valdôtaine» Deffeyes; è venuto l’avvocato Page, tutti in rappresentanza di quel nobile paese, e mi hanno esposto le loro ragioni, mi hanno parlato con commossi accenti delle aspirazioni delle loro popolazioni, mi hanno esortato ad invitare l’Assemblea Costituente a sodisfarle. La semplice autonomia non basta loro e si vuole che la Valle di Aosta sia elevata a cantone.
Una voce. Non è vero!
FINOCCHIARO APRILE. Come non è vero? Lo domandi all’onorevole Bordon.
BORDON. Lo Stato federale non lo vogliono.
FINOCCHIARO APRILE. Vogliono la Confederazione di Stati liberi: e quei signori sono venuti qui a Roma per dirmelo; ed ho loro promesso di sposare la causa valdostana, che è una vera causa di giustizia. Io vi invito, signori deputati, ad esaminare con benevolenza i voti delle popolazioni valdostane e ad appagarli. (Commenti – Interruzioni).
E aggiungo che non sono soltanto essi ad invocare un diverso assetto politico e amministrativo: vi sono anche gli altoatesini, tanto vicini all’onorevole De Gasperi. I rappresentanti del Süd-tiroler Volkspartei seguono, in massima, la stessa direttiva dei rappresentanti della Valle di Aosta; essi vogliono l’elevazione della loro terra a cantone, di tipo svizzero. E perché il Governo italiano, perché la classe dirigente italiana debbono opporsi alla sodisfazione di queste legittime aspirazioni di popolazioni meritevoli della più alta considerazione? (Interruzioni).
CINGOLANI. Perché vogliono che l’Italia non vada a brani.
BORDON. È fuori causa l’Italia.
FINOCCHIARO APRILE. Benissimo! L’Italia non andrebbe affatto a brani. La Confederazione Nord Americana non distrusse l’unità dei popoli del suo vastissimo territorio; la rafforzò: la Confederazione Svizzera rese granitica l’unità dei popoli elvetici: la Confederazione Germanica fece un solo blocco dei popoli di lingua tedesca. Non è vero che la Confederazione di Stati liberi e sovrani distrugga l’unità dei popoli entro l’ambito confederale: invece la determina, la costituisce, la rinsalda.
Persuadetevi che il sistema unitario del 1860 ha fatto fallimento; che bisogna sostituirgli qualche cosa di più conforme ai supremi e reali interessi delle varie collettività. Non per opporci alle loro esigenze, ma per venire incontro ad esse noi siamo all’Assemblea Costituente; non già per rifare lo Stato, su per giù, così com’era prima, con la sola trasformazione istituzionale. Bisogna operare una grande riforma, degna del pensiero politico e giuridico dei nuovi tempi: bisogna dare alle nostre popolazioni che lo desiderano e che ne sono degne il diritto di governarsi da sé. Non potete imporre a queste popolazioni, che hanno ormai raggiunto un elevato grado di civiltà, di dovere chiedere a Roma, accentratrice e dispotica, la sodisfazione dei loro più elementari diritti, dei loro più elementari bisogni.
Io ho avuto la sodisfazione di veder sorgere a Trieste, tempo fa, un «Movimento per l’indipendenza della Venezia Giulia». A capo di questo movimento c’è un purissimo italiano, Paulin. Io ho assecondato questo movimento, il quale è ormai federato a quelli analoghi della Sicilia, della Sardegna, della Valle di Aosta e dell’Alto Adige. Ebbene, Trieste è città italianissima; nessuno può mettere in dubbio ciò. Orbene, il «Movimento per l’indipendenza della Venezia Giulia», mirava e mira a questo: a svincolare Trieste dalla soggezione di Roma, dal potere esclusivista e soverchiatore di Roma.
Una voce al centro. È un movimento pagato dai finanzieri e dai grossi capitalisti. Questa è la realtà.
FINOCCHIARO APRILE. Lei s’inganna. Però non è avvenuto ciò che Paulin e gli altri indipendentisti triestini desideravano, cioè l’erezione a Stato libero di Trieste e la sua partecipazione ad una Confederazione di Stati italiani. Non è avvenuto, dolorosamente. È avvenuto, invece, qualche cosa che ha colpito nostri cari fratelli triestini, perché gli alleati, nelle loro vacillanti ideologie, hanno concepito un ordinamento diverso.
Il senatore americano Connally, in un discorso tenuto a Parigi il 16 settembre, diceva: «Il libero territorio di Trieste non deve esistere soltanto sulla carta; esso deve essere uno Stato reale, con la sua propria identità ed il suo proprio carattere, con la sua propria indipendenza e la sua propria dignità». Orbene, se questo fosse avvenuto, mantenendo le richieste di Paulin e compagni di una confederazione dello Stato libero di Trieste con lo Stato italiano, tutti sarebbero stati contenti. Non si è fatto ciò; si è creato, sì, uno Stato libero, ma lo si è voluto staccare dall’Italia e gli si è imposto un governatore straniero.
Diceva Connally: «Lasciateci fare di Trieste il simbolo della sicurezza nel mondo». No, signori; si è fatta di Trieste una nuova Danzica, una roccaforte angloamericana contro l’avanzata russa nell’Europa occidentale, una polveriera che farà saltare nuovamente il mondo per aria.
Io non so se voi siate informati di certi piani militari alleati nel Mediterraneo. Io ne ho avuto notizia da varie fonti, notizia raccolta anche da Don Sturzo. I piani angloamericani hanno già stabilito una linea di difesa, che comprende il Portogallo, la Spagna, l’Africa settentrionale e la Sicilia. Voi ben comprendete, come io siciliano, consideri questo avvenimento con estrema perplessità e preoccupazione, perché è evidente che, quando la pace è appena avvenuta, già le armi si affilano, disgraziatamente.
Io non ho approvato il viaggio dell’onorevole De Gasperi in America. (Commenti al centro). È stato un grosso errore. Si dice che questo viaggio ha determinato una ripresa di rapporti fra i due Paesi; si dice che si è verificata una maggiore distensione fra di loro e che l’America si propone ora di aiutare maggiormente l’Italia. Non nego ciò, per quanto io ignori qual ne sia la contropartita. Ma, rovesciate la medaglia. Avete notato la reazione violenta da parte della Russia? E credete che avere la Russia ancor più nemica valesse la pena di un viaggio in America?
Il Trattato, signori Deputati, se anche lo volete considerare tale, non è in funzione di pace, ma è in funzione di guerra. Se non fosse così, le decisioni degli alleati nei riguardi di Trieste sarebbero state completamente diverse. Vanamente il signor Bevin sparge oggi lacrime di coccodrillo. Egli è stato uno dei più pervicaci nemici del nostro Paese. Il diktat è un documento disonorevole per noi. L’Italia perdette la guerra; era ovvio, quindi, che dovesse e debba risentire le conseguenze di una guerra perduta; ma per noi, sul terreno politico interno, il responsabile primo dell’odioso Trattato è l’onorevole De Gasperi. (Si ride).
Mi sovviene che, nel 1905, fu negoziato un trattato di commercio con la Spagna, trattato di commercio che non fu, specialmente riguardo ai vini, un buon trattato. Orbene, il Ministro delle finanze era allora l’onorevole Majorana. Egli venne alla Camera dei Deputati e disse tutto quello che aveva fatto per ottenere un trattato migliore. La Camera si persuase che nulla si sarebbe potuto fare di più e di meglio da parte del Ministro delle finanze. Ma l’onorevole Majorana, di fronte all’insuccesso, sentì di non potere restare al suo posto e l’indomani rassegnò le sue dimissioni. Lo stesso avrebbe dovuto fare l’onorevole De Gasperi. Io non nego che qualche cosa egli abbia tentato di fare, ma la verità è che il suo è un incommensurabile insuccesso, un insuccesso di cui non ve n’è l’uguale, e l’onorevole De Gasperi deve subirne le conseguenze.
Io vorrò in poche parole esaminare questa azione dell’onorevole De Gasperi. Già egli avrebbe dovuto intervenire fin da due anni fa, fin dalla sua nomina a Ministro degli esteri: egli doveva andare a destra ed a sinistra, a Washington ed a Mosca, a Parigi e a Londra, dappertutto, chiedendo condizioni umane, parlando in nome della tradizione di civiltà del popolo italiano, del nostro genio, delle nostre necessità di vita, dell’onore del nostro Paese. L’onorevole De Gasperi si dilettò, invece, di rafforzare il suo partito, si dilettò di trovare ai suoi amici posti nell’Assemblea Costituente o altrove, e si accorse che c’era un Trattato di pace da concludere soltanto quando il Trattato fu a lui comunicato dagli alleati. Troppo tardi, onorevole De Gasperi!
Quale fu la condotta dell’onorevole De Gasperi in rapporto alla Francia? Ho rimproverato aspramente all’onorevole De Gasperi di avere rinunziato agli statuti di Tunisi, rinunzia che tanto danno recò ai miei fratelli siciliani di laggiù, ormai oggetto della più sfrontata persecuzione. La richiesta francese doveva essere virilmente contrastata e comunque negoziata. Si poteva ottenere il mantenimento degli statuti, consentendo e cedendo qualche altra cosa. Lei invece, rinunziò puramente e semplicemente, dimenticando – e lo dissi l’altra volta alla Camera e non si ebbe il coraggio di oppormi nulla – che lei in tal modo tradiva i siciliani di Tunisia, i quali con il loro lavoro e la loro tenacia, avevano creato la ricchezza e la prosperità di quella grande colonia francese nel Mediterraneo. Lei rinunziò, come ha sempre rinunziato. Non ha saputo fare altro che rinunziare in politica estera.
Un giorno dovevo commemorare a Palermo l’anniversario del Vespro Siciliano. Mi fu inviato un emissario del generale De Gaulle, il quale si dolse del mio proposito e pretendeva quasi d’impormi di astenermi dal celebrare il grande avvenimento, per non offendere la suscettibilità francese. Risposi che avrei commemorato egualmente questa memorabile data che segna veramente, nella storia, l’inizio del risveglio della coscienza e dell’anima popolare di tutto il mondo. In quella occasione dissi anche a questo emissario francese che De Gasperi aveva tradito noi siciliani, rinunziando agli statuti di Tunisi, rinunzia da noi considerata illegittima. Confidiamo, infatti, di ritornare domani in possesso di questi statuti ai quali abbiamo sacrosanto diritto.
L’onorevole De Gasperi ha portato al fallimento anche l’internazionale cattolica. Quando Bidault assunse il governo in Francia, era quella la migliore occasione per incontrarsi con lui e per intendersi. Voi, professando la medesima ideologia, parlavate la stessa lingua. Tentò lei questo incontro, onorevole De Gasperi? O mostrò il viso duro ed arcigno a questo suo correligionario?
E lei, onorevole De Gasperi, ha anche la responsabilità di avere determinato pure il fallimento – nei riguardi dell’Italia, ben’inteso – dell’internazionale rossa. Quando lei – e lo ha fatto ripetutamente – ha rimproverato all’onorevole Togliatti di non avere ottenuto nulla dai suoi amici di Mosca e del Kremlino, lei ha sbagliato, perché egli non poteva ottenere nulla, data la politica stolta del Capo del Governo. Quando, onorevole De Gasperi, lei, forse senza volerlo, prendeva partito per l’Inghilterra, era evidente che la Russia doveva mettersi, come poi effettivamente si è messa, contro l’Italia.
Se dal principio lei avesse fatto veramente una politica estera accorta ed illuminata, se avesse manovrato scaltramente, se avesse messo da parte gli interessi suoi di partito, i risultati sarebbero stati certo diversi.
Il famigerato congresso di Bari mise lei e tutti gli altri fuori strada; quel congresso di Bari che fu pronubo di tante sciagure. Una delle maggiori fu la scelta degli ambasciatori che le profferirono i vari partiti e che lei manda per rappresentare l’Italia all’estero: tutta gente senza conoscenze, senza esperienze, senza prestigio, senza dignità. Cosa voleva e poteva lei ottenere da questi ambasciatori di nessun conto?
Eh! onorevole De Gasperi, quando si pensa che l’Italia ebbe diplomatici come Nigra, Tornielli, d’Avarna, Tittoni, di Sangiuliano, vi è veramente da rimanere desolati di fronte agli ambasciatori che lei ha chiamati a succedere loro ed a parlare in nome dell’Italia.
La politica estera di De Gasperi io la chiamo la politica estera del nulla.
Senta, una volta che parlo della Francia, io le voglio ricordare l’esempio di Visconti Venosta. Visconti Venosta, in tempi di Triplice Alleanza, riuscì abilmente ad annodare rapporti con la Francia ad Algesiras. Vero è che Bülow disse che l’Italia ormai era abituata ai giri di valzer, ma la politica di Visconti Venosta assicurò dei grandi successi all’Italia, non certo equiparabili ai successi dell’onorevole De Gasperi!
Come con la Francia, l’onorevole De Gasperi non ha saputo trattare con la Jugoslavia.
Era venuto in Italia il dottor Josip Smodlaka ed io ho qui una sua lettera pubblicata sul giornale Il Popolo.
Scrive il dottor Smodlaka: «La Jugoslavia ha fatto il primo passo per riprendere le relazioni con l’Italia, come fu pubblicamente affermato dal Presidente del Governo Jugoslavo, Maresciallo Tito, senza che nessuno potesse smentirlo, in quanto ero stato inviato proprio io a Roma quale rappresentante speciale con il compito di un accordo diretto con il Governo italiano per le questioni in pendenza fra i due Paesi. E se non si poté pervenire a trattative formali, di ciò il Governo italiano ne porta tutta la responsabilità. Al mio arrivo a Roma, comunicai lo scopo della mia venuta al ministro italiano Togliatti, e, dietro sua richiesta, lo autorizzai ad informare i suoi colleghi dello scopo della missione. Nel corso delle conversazioni in cui era apparsa la possibilità di un accordo, Togliatti ed io siamo giunti alla conclusione che, per iniziare le trattative, bisognava creare prima di tutto un’atmosfera adatta. Mentre io avevo il compito di comunicare al nostro Governo i desiderati italiani, il signor Togliatti si era dichiarato d’accordo con me che il Governo italiano dovesse dare pubblica sodisfazione alla Jugoslavia per tutte le ingiustizie e le prepotenze sofferte dalla stessa per gli attacchi italiani. Togliatti mi aveva pure promesso formalmente di parlarne ai colleghi del Governo e di riferirmene l’esito. Rimanemmo senza risposta».
Certo, bisognava trattare con la Jugoslavia con mentalità adeguata, che non era quella dell’onorevole De Gasperi. L’onorevole De Gasperi ha trattato sempre come una specie d’imperatore della Cocincina, mirando tutto e tutti dall’alto in basso, come se dovesse non domandare, ma concedere qualche cosa. Egli merita il rimprovero di Churchill, il quale disse che il Governo italiano agì sempre come se l’Italia avesse vinto la guerra e l’Inghilterra e le altre potenze l’avessero perduta.
Se l’onorevole De Gasperi, anziché scrutare le nuvole, avesse volto gli occhi a terra, si sarebbe accorto che con la Jugoslavia vi era possibilità di una intesa giusta, d’una intesa feconda di bene.
L’onorevole De Gasperi è il responsabile del mancato accordo con la Jugoslavia.
È questione che gli uomini non si improvvisano.
L’onorevole De Gasperi, solo per la conoscenza di qualche lingua, ha creduto di poter fare il ministro degli esteri e di riuscire a barcamenarsi astutamente sul terreno internazionale; ma il risultato è stato che è fallito in pieno. Perché non s’è ispirato all’esempio di Venizelos?
Nell’ultima guerra Venizelos era detestato da tutti, amici e nemici; ma era uomo pieno di tatto e di abilità. Egli con il lungo insistere, con una pazienza da certosino, con le sue argomentazioni serrate, finì col vincere ogni resistenza. In ultimo egli riuscì a raddoppiare il territorio nazionale greco.
L’onorevole De Gasperi è, mi dicono, uno studioso; ma forse non si è mai interessato di storia diplomatica. Io voglio ricordare a lui ed a voi la conferenza di Berlino del 1878. Ebbene, allora Disraeli si trovava in una situatone alquanto grave e con lui il suo paese, l’Inghilterra. Disraeli era circondato dall’avversione più tenace di Bismarck e di Gorgiakoff, il molosso ringhioso tedesco e l’orso zoppo russo. Bismarck e Gorgiakoff volevano assestare qualche colpo mortale alla Gran Bretagna e particolarmente al suo impero coloniale. Erano ormai d’accordo. Si erano sempre odiati. Si unirono strettamente al fine di raggiungere quell’intento. Ma, più i due si accanivano, più divenivano arroganti, più Disraeli si faceva umile e suadente. Egli aveva buon sangue veneziano, era fine, elegante, profumato, subdolo. La sua era una logica impeccabile. I suoi avversari, pur tanto adusati alla schermaglia diplomatica, non avevano mai trovato il punto debole, per colpire quegli che doveva poi essere lord Beaconfield. Il trattato di Berlino richiese parecchio tempo. Alla fine Disraeli uscì vittorioso: ed anziché il tradizionale mazzetto di primule, poté offrire all’innamorata regina Vittoria, su un piatto di malakite verde e azzurra, la corona di imperatrice delle Indie.
Nessuno pretende che l’onorevole De Gasperi avrebbe dovuto e potuto imitare Disraeli: ma era giusto attendersi da lui una più convinta e vigorosa difesa degli interessi italiani. Tale difesa è completamente mancata.
Con la Jugoslavia l’onorevole De Gasperi avrebbe potuto ottenere quello che avesse voluto. Gli slavi, del nord o del sud che siano, sono ben migliori della fama che si è loro fatta. Lo avrebbe potuto ottenere prima che apparisse chiaro alla Russia che l’Italia si era fatta attrarre nel giuoco diplomatico britannico, giuoco consistente nel promettere Trieste sia all’Italia sia alla Jugoslavia. L’onorevole De Gasperi credette alla promessa fatta all’Italia e si strinse alla Gran Bretagna, senza riflettere che, proprio da questa parte, con Attlee e Bevin, come prima con Churchill e Eden, erano i più tenaci e irriducibili nemici dell’Italia.
Seppe l’onorevole De Gasperi della promessa di Trieste fatta dalla Gran Bretagna a re Pietro? È a credersi di no. Ma è molto strano che la notizia, non certo riservatissima, non sia pervenuta all’onorevole De Gasperi. Se non gli pervenne fu a causa dell’insufficienza dei suoi informatori e dei suoi ambasciatori.
Ma la notizia giunse all’onorevole Togliatti e ad altri, e giunse anche a me attraverso il capo dell’Ufficio stampa del reale Governo jugoslavo che, al tempo dell’occupazione alleata della Sicilia, ebbe a comunicarmela a Palermo. (Commenti).
Venne la smentita britannica, ma la smentita britannica, come quasi sempre le smentite diplomatiche, non smentì nulla. La smentita britannica era questa: «Secondo quanto si apprende da alcuni giornali italiani, il capo del partito comunista italiano, onorevole Togliatti, avrebbe, in una intervista concessa dopo il suo ritorno da Parigi, dichiarato che tra il Governo di re Pietro di Jugoslavia e il Governo britannico era stato firmato un patto per cui alla Jugoslavia sarebbe stata attribuita, dopo la guerra, la frontiera dell’Isonzo».
Un patto scritto? Ma nessuno aveva parlato di un patto scritto. Era una smentita gratuita. L’impegno esisteva inequivocabilmente, per quanto il mantenerlo non fosse nelle sole possibilità britanniche e le prevedibili sopravvenute circostanze internazionali, con la caduta del regime monarchico in Jugoslavia, dovessero renderlo frustraneo.
Quando il destino di Trieste fu deciso, così come tutti voi sapete, l’onorevole De Gasperi si meravigliò del mancato impegno britannico, gridò al tradimento, ma non pensò di attribuire alla sua fanciullesca ingenuità il proprio insuccesso con la dolorosa perdita di Trieste.
È una fatalità per il Paese che, alla direzione del Ministero degli esteri, vadano talvolta dei creduloni. Altro che discendenti di Machiavelli! Capitò anche a Cairoli. Cairoli, da galantuomo e da soldato, credette alla parola di un ambasciatore francese che la Francia non sarebbe mai andata a Tunisi. Dopo 48 ore, la Francia era sostanzialmente padrona di Tunisi.
La verità è che, attraverso la inconsistente e incongruente politica estera dell’onorevole De Gasperi, l’Italia è oggi isolata. La Russia si è posta anzi contro di noi. Bisogna assolutamente far sì che questa situazione non perduri; bisogna, per la salvezza d’Italia, che a Capo del Governo si mandi un uomo che sappia riprendere e consolidare i rapporti con tutte le potenze e con la Russia in ispecie. (Commenti – Interruzioni). Quest’uomo è l’onorevole Nitti, soltanto lui. (Interruzioni – Commenti).
Onorevole De Gasperi, occorre non ingannarsi: il nostro Paese è ridotto veramente a mal partito (Interruzioni) per opera sua, per opera della sua insipienza. (Rumori). Dovunque è ansietà, è preoccupazione, è dolore, è miseria. Onorevole De Gasperi, è necessario e urgente che lei si decida ad andar via. (Commenti – Rumori – Interruzioni).
Non vi meravigliate, signori Deputati, che io parli in questo modo, in sede di discussione sulle comunicazioni del Governo, appena dopo costituito un nuovo Gabinetto, perché io considero la crisi ancora aperta: ed è, infatti, virtualmente aperta. Si disilluda l’onorevole De Gasperi che il suo Ministero possa resistere al più lieve stormir di fronde: fra un mese, fra due mesi lei dovrà lasciare il suo posto. Si decida a lasciarlo prima. (Si ride). E ricordi le parole di Alessandro Manzoni: «È un dovere impiegare le proprie forze in servizio della Patria; ma, dopo averle misurate, il lasciar libero un posto importantissimo a chi possa più degnamente occuparlo, è una maniera di servirla».
Vada via, onorevole De Gasperi! (Commenti – Rumori).
E si decida finalmente l’Assemblea Costituente, che è oggi la depositaria unica e vera della sovranità popolare.
Il Trattato, purtroppo, per nostra sciagura, è quello che è. Voi avete perduto molto tempo a discutere, se il Trattato avrebbe dovuto o meno essere firmato prima dal Governo, com’è avvenuto, e poi ratificato da noi. Certo l’onorevole De Gasperi non ha adempiuto al suo dovere verso l’Assemblea Costituente: doveva portarci il Trattato appena gli fu comunicato. Egli avrebbe dovuto cercare e trovare conforto nell’Assemblea Costituente e regolarsi in base alle decisioni dell’Assemblea stessa. Che domani il Trattato, firmato dal Governo italiano, sia portato alla ratifica dell’Assemblea è ovvio; ma l’Assemblea, checché si dica in contrario, non sarà più libera e sarà certamente vincolata dalla decisione del Governo.
Rifiutare la ratifica sarebbe una cosa sciocca. Anche Brokdorf Rantzau rifiutò di firmare, per la Germania, il Trattato di Versaglia, ma, dopo poco tempo, dovette egli stesso sollecitare di sottoscriverlo. Capiterebbe anche a noi la stessa cosa. Occorre, quindi, ratificare il Trattato. E occorre ratificarlo, perché noi non siamo in condizioni di resistere, perché siamo alla mercé dei vincitori. Se essi dirottassero solo alcuni piroscafi carichi di grano diretti in Italia, noi saremmo a terra. E bisogna ratificare il Trattato, perché l’Italia ha d’uopo di entrare nell’Organizzazione delle Nazioni Unite; ha d’uopo di prendere parte alle decisioni che dovranno prossimamente esser prese su problemi urgenti ed interessanti la vita presente e l’avvenire del nostro Paese. Per esempio: le denunzie di due Trattati, quello di Montreux, da parte sovietica, e quello anglo-egiziano, da parte del Governo del Cairo, hanno riportato sul terreno della discussione internazionale gravi problemi, cui la situazione politica determinatasi dopo la guerra impone nuove soluzioni. Si tratta, nientemeno, che del passaggio dei Dardanelli, di Suez e del Panama. Se non ratificheremo il Trattato di pace, non potremo partecipare né alle conferenze che si terranno al riguardo, né agli ulteriori accordi che dovranno su questo o su altro campo essere presi.
Io vi dico schiettamente una mia personale opinione.
Una voce a destra. E le altre opinioni non erano personali?
FINOCCHIARO APRILE. La mia opinione è questa: che il Paese attende che a Capo del Governo sia un altro uomo (Interruzioni – Commenti). Il nome di questo altro uomo è sulla bocca di tutti; è quello, ripeto, di Francesco Nitti… (Commenti). Francesco Nitti, per esperienza, per competenza, per preparazione in materia finanziaria ed economica, per relazioni internazionali è veramente l’uomo capace che potrà, forse, tentare il salvataggio dell’Italia ed io vi dico che, nel supremo interesse del popolo, noi dobbiamo auspicare fervidamente che l’onorevole Nitti vada, al più presto, alla direzione del Governo; noi dobbiamo auspicare fervidamente che il timone dello Stato sia finalmente in mani più pure e in mani veramente italiane come le sue. (Rumori – Vivissime proteste al centro – (Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Vivissimi applausi). Circa le affermazioni politiche di questo, per tanti aspetti, inqualificabile discorso, mi riservo di rispondere – se sarà il caso – alla chiusura di questo dibattito. (Vive approvazioni).
Per quello che mi riguarda personalmente, il modo con cui il precedente oratore ha osato parlare della mia persona non mi permette di rispondere per fatto personale (Vivissimi applausi al centro), ma ho il dovere di deplorare vivamente e protestare indignato contro le infondate insinuazioni dirette contro membri del mio Governo. (Vivissimi applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per fatto personale l’onorevole Romita. Ne ha facoltà.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’onorevole Finocchiaro Aprile ha fatto contro di me due affermazioni, che se fossero minimamente vere, smentirebbero la stessa patente di onestà da lui riconosciutami. Ha detto che io ho popolato il Ministero dei lavori pubblici di impresari e di costruttori. Quello che affermo non viene smentito: non ho introdotto al Ministero dei lavori pubblici né un impresario, né un costruttore; non mi sono mai occupato né direttamente né indirettamente, né in senso positivo né in senso negativo, di qualsiasi impresa o di qualsiasi costruttore italiano.
Ha detto che io, come ex impiegato della impresa Cidonio, ho favorito l’impresa Cidonio. Fui impiegato anni or sono e per pochi mesi nella impresa Cidonio. All’impresa Cidonio non ho dato nulla e, a quanto mi risulta, dal mio Ministero non ha avuto un soldo di lavoro e ciò in conformità dei miei ordini. Non mi sono mai occupato né direttamente, né indirettamente dell’impresa Cidonio, che nulla mai mi ha domandato.
Ha chiesto inoltre come ho distribuito i 10 miliardi dal Tesoro concessimi. I 10 miliardi sono stati non da me, ma dal Ministero, distribuiti alle varie Regioni d’Italia, a seconda delle richieste, ai prefetti, provveditorati, comuni, autorità locali. Nessuna persona quindi ha avuto un soldo di lavoro da me. Ed a proposito di questo, un’altra smentita: mi si dice che il Ministro ha il torto di essere piemontese. Dei 10 miliardi, o colleghi, nonostante che al Ministero dei lavori pubblici ci fosse un Sottosegretario piemontese, l’onorevole Restagno, e un Ministro piemontese, Romita, ed al Tesoro un Ministro pure piemontese, l’onorevole Bertone, dei 10 miliardi tutte le Regioni d’Italia hanno beneficiato; il Piemonte non ha avuto nemmeno un centesimo. (Vivi applausi a sinistra e al centro).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per fatto personale, l’onorevole Ministro delle finanze e del tesoro. Ne ha facoltà.
CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. In mia assenza, l’onorevole Finocchiaro Aprile ha osato fare degli apprezzamenti generici che potrebbero interpretarsi come lesivi della mia onorabilità per l’attività da me svolta nella vita privata. Dichiaro decisamente che nessuna delle molte forme della mia attività di lavoro può dare motivo comunque a insinuazioni del genere, che dimostrano soltanto la irresponsabilità di chi le ha pronunciate. (Vivi applausi al centro).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per fatto personale, l’onorevole Gronchi. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Ho esitato alquanto a mantenere la mia domanda di intervento per fatto personale perché discorsi come quelli dell’onorevole Finocchiaro Aprile si qualificano da sé. Però io ho già detto, sia a nome mio personale che dei miei amici, che egli se è un galantuomo deve precisare le generiche accuse che ha lanciato, ed aggiungo ora che se non lo farà egli avrà – secondo il mio parere personale e quello dei miei amici – la scelta tra la definizione di commediante pazzo o di volgare mentitore. (Vivi applausi al centro – Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile per fatto personale. Ne ha facoltà. (Rumori – Commenti).
Una voce. Ha il diritto di replicare.
FINOCCHIARO APRILE. Il Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Vivissimi rumori – Proteste – Vivaci apostrofi dal centro).
Voci. Non si può più tollerare!
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, io l’ho già richiamata all’ordine due volte e dovrei a questo punto ricorrere alle sanzioni previste dal Regolamento. È la seconda volta che lei offende un membro dell’Assemblea, che è anche Presidente del Consiglio, dichiarando che non è italiano. (Vivissimi applausi).
FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Vivissimi rumori – Proteste – Interruzioni – Apostrofi dal centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha chiesto che l’onorevole Finocchiaro Aprile continui a parlare, riservandosi di replicare. (Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. L’onorevole Presidente del Consiglio, toccato dalle mie ultime parole con le quali auspicavo che il Governo fosse in mani veramente italiane… (Agitazione vivissima – Tumulto).
PRESIDENTE. Sciolgo la seduta.
La seduta termina alle 20.10.