Come nasce la Costituzione

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MARTEDÌ 11 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXIV.

SEDUTA DI MARTEDÌ 11 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Russo Perez                                                                                                     

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

Martino Gaetano                                                                                           

Coccia                                                                                                              

Baracco                                                                                                           

Pella, Sottosegretario di Stato per le finanze                                                       

Mattarella                                                                                                     

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Lombardi Riccardo                                                                                         

Labriola                                                                                                           

Perrone Capano                                                                                              

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto un congedo il deputato Dossetti.

(È concesso).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

Gli onorevoli Ministri della pubblica istruzione e delle poste e telecomunicazioni e l’onorevole Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero, non potendo essere presenti alla seduta di oggi, hanno chiesto che sia rinviata ad altra seduta lo svolgimento delle interrogazioni degli onorevoli. Angelucci, Scotti Alessandro, Pajetta e Volpe, che sono all’ordine del giorno.

La prima interrogazione è quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti abbia presi o intenda prendere per garantire la libertà dei cittadini, a qualsiasi partito appartengano, in vista di quanto è accaduto a Partanna (Trapani), dove il professore Vito De Simone (già candidato nella lista dell’Uomo qualunque per quella circoscrizione), intervenuto a un comizio comunista, fu aggredito e gravemente ferito di coltello. Si desidera anche conoscere se, coi responsabili diretti, anche gli istigatori sono stati assicurati alla giustizia e se sia stato fatto quanto occorre perché nessuno sfugga al giusto castigo».

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. È noto che gli organi di polizia hanno tassative disposizioni di predisporre adeguati servizi d’ordine in occasione di qualsiasi pubblica manifestazione, allo scopo di assicurare il regolare svolgimento e reprimere eventuali incidenti, a garanzia della libertà di tutti i cittadini.

A Partanna, durante un comizio indetto dal partito socialista per illustrare l’azione svolta da quella amministrazione comunale e per controbattere gli attacchi rivoltile in sede polemica dagli oppositori, alcune interruzioni del professor Vito De Simone, esponente qualunquista, determinavano una sovraeccitazione tale che il De Simone e la guardia comunale Guzzo Liborio riportavano alcune lesioni.

L’intervento tempestivo degli organi di polizia valse a circoscrivere l’incidente e ad evitare ulteriori conseguenze. In seguito a tali fatti sono stati adottati i seguenti provvedimenti: 1°) arresto di Stassi Giovanni di Vincenzo, comunista, per lesioni con circostanze aggravanti in persona del professor Vito De Simone, qualunquista da Castelvetrano, ed in persona della guardia municipale Guzzo Liborio, qualunquista, a mente degli articoli 582, 583, comma 2°, n. 4 Codice penale; 2°) denunzia a piede libero del sindaco di Partanna, geometra Costantino Cascio, socialista, oratore, per avere tenuto un comizio in ora diversa da quella stabilita dalle autorità competenti; 3°) denunzia a piede libero del dottor Benedetto Bruscia, medico di Partanna, democristiano, per falso in certificato medico; 4°) denunzia a piede libero di Barbara Rosario, qualunquista, da Partanna, per aver provocato disordini durante il comizio; 5°) denunzia a piede libero del professor Vito De Simone, qualunquista, da Castelvetrano, per essere andato armato di rivoltella ad un pubblico comizio.

Gli atti relativi sono stati già trasmessi dalla Pretura di Partanna alla Procura della Repubblica di Trapani, ed i procedimenti penali sono ancora in corso. Oltre i reati che hanno portato alle denunzie suddette, non se ne sono rilevati altri, neanche durante l’istruzione formale del processo, ed è da escludersi che vi siano altri istigatori o responsabili diretti che siano sfuggiti all’azione della giustizia.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RUSSO PEREZ. Avevo già fatto togliere il microfono, perché speravo di potermi dichiarare sodisfatto, ma una parte della risposta del Governo non mi ha lasciato contento, tanto più che l’affermazione che l’ex candidato qualunquista prof. Vito De Simone era fornito di rivoltella è stata sottolineata da qualche commento in quel settore della Camera. (Accenna a sinistra).

Partanna è un centro molto rosso e l’Amministrazione comunale è social-comunista. Durante la campagna elettorale fu permesso a un solo oratore di parlare in quella piccola cittadina: a me, perché mio padre è nato in quella città e vi sono abbastanza ben voluto; però, quando andai a parlare a Partanna ed un avversario fece esattamente quello che fece il professore De Simone, cioè invitò l’oratore del momento al contradittorio, lo invitai cortesemente a salire sul tavolo dal quale parlavo io, gli diedi la parola, gli risposi e, dopo avergli stretto cordialmente la mano, lo rimandai incolume e contento al suo posto. Viceversa il professore De Simone – armato – ma teneva la rivoltella in tasca – chiese il contradittorio ed ebbe in risposta una bella coltellata, giacché l’aggravante di cui parla il Sottosegretario è proprio quella dell’uso dell’arma. Ecco il secondo personaggio che tentò di parlare a Partanna, col risultato che avete sentito.

Le dichiarazioni del Governo sono rassicuranti, nel senso che sono state impartite le necessarie disposizioni, che l’Autorità di pubblica sicurezza ha il dovere di fare questo e di fare quest’altro.

Però, quando a Sciacca, recentemente, è successo il fatto dolorosissimo dell’uccisione del Segretario della Camera del Lavoro (e tutti i Partiti si sono associati nel deplorare il fatto, e nell’augurare che gli autori e gli istigatori fossero assicurati alla Giustizia), a Sciacca piombarono insieme cinque o sei deputati e sottosegretari, ed anche alcuni alti ispettori di Pubblica sicurezza e misero sottosopra l’intera città.

Una voce all’estrema sinistra. Era l’ottavo che ammazzavano.

RUSSO PEREZ. Ma chi l’ha ammazzato? Io sono innocente (Si ride).

Concludendo: Mi reputo sodisfatto delle dichiarazioni del Sottosegretario, anche perché altrimenti l’onorevole Conti direbbe che noi facciamo l’opposizione a qualunque costo, mentre poi ha confessato che per trent’anni ha detto di no, al tempo della Monarchia, senza eccezione alcuna.

Però la mia sodisfazione è a metà.

PRESIDENTE. Vedo che fa progressi, onorevole Russo Perez (Si ride).

Seguono le interrogazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile:

Al Ministro dell’interno, «sui fatti di Caccamo e per sapere se intenda di ordinare che siano ripristinati finalmente in Sicilia sistemi di civiltà e di umanità, facendo cessare le intimidazioni e le coercizioni che agenti della forza pubblica compiono a danno dei contadini dell’Isola, vittime sempre di soprusi e di sopraffazioni».

Al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se, riconosciuta l’assoluta insufficienza dei fondi stanziati per le opere della provincia di Catania, intenda di aumentare l’assegnazione di varie centinaia di milioni, sino al limite almeno delle somme concesse per le altre provincie dell’Isola; e ciò anche al fine di diminuire la preoccupante disoccupazione locale».

Non essendo presente l’onorevole Finocchiaro Aprile, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Ministro della guerra, «per conoscere se non ritenga opportuno emanare provvedimenti atti a favorire, nell’occasione dello sfollamento dei quadri dell’Esercito, quegli ufficiali i quali si siano resi meritevoli di particolare considerazione: a) perché danneggiati nella loro carriera durante il regime fascista per motivi direttamente o indirettamente di carattere politico; b) per il contegno, aderente alle leggi dell’onore ed ai doveri militari, tenuto 1’8 settembre 1943 e successivamente in territori controllati dai nazi-fascisti».

L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. Il personale militare danneggiato nella carriera per motivi politici può, in analogia alle disposizioni di legge, chiedere al Ministero la revisione della propria condizione. Posso annunziare fin da ora che il Ministero ha dato corso alle pratiche.

Oltre a ciò il Governo, preoccupato di alcune sperequazioni determinatesi nella carriera degli ufficiali per effetto della legge sullo stato di avanzamento del 1940, legge fascista, ha, da tempo, demandato ad una commissione ministeriale:

1°) l’esame della revisione dei vantaggi conseguiti nell’avanzamento per titoli vari da alcune categorie di ufficiali e parallelamente;

2°) l’esame della possibilità di attribuire determinati vantaggi a taluni gruppi di ufficiali dei quali l’avanzamento è stato particolarmente lento come, ad esempio, gli ufficiali col grado di tenente che hanno avuto semplicemente il grado di primo tenente.

Il personale militare che dopo l’8 settembre del 1943, ha tenuto fede alle leggi dell’onore e del dovere, è tenuto dal Ministero nella dovuta considerazione sia nei riguardi dell’impiego, sia nei riguardi dell’avanzamento.

Per converso, le sanzioni disciplinari riportate dal militare in sede di discriminazione, in dipendenza del comportamento tenuto dopo l’8 settembre, sono determinate, ai sensi dell’articolo 2 del decreto 5 maggio 1940, n. 384, con la cessazione del servizio permanente.

Esse, però, diventano esecutive dopo essere state vagliate da apposite Commissioni e sanzionate dal Ministro o dal Consiglio dei Ministri, a seconda dei gradi.

L’espressione «di massima» contenuta in detto decreto, concede di indulgere nei confronti di ufficiali generali e superiori, puniti con sanzioni lievissime, quando tutti gli altri elementi di giudizio nei loro confronti risultino decisamente favorevoli.

Ciò determina, automaticamente, una separazione ben netta tra gli ufficiali che hanno tenuto fede alle leggi dell’onore militare ed ai doveri della situazione contingente, e quelli che, anche parzialmente, vi siano venuti meno.

Infine, a favore del militare che, oltre ad aver tenuto fede alle leggi dell’onore militare, hanno attivamente partecipato alla lotta di liberazione nel territorio occupato dai nazi-fascisti, sono stati recentemente disposti particolari riconoscimenti, fra i quali i seguenti: equiparazione, a tutti gli effetti, dei volontari che hanno operato con le unità regolari delle forze armate della guerra di liberazione; concessione di promozioni e avanzamenti per merito di guerra, sanzionati coi decreti legislativi del Capo provvisorio dello Stato, 6 settembre 1946, n. 93 e 6 settembre 1946, n. 94.

Ritengo che l’onorevole interrogante possa ritenersi pienamente sodisfatto.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Ringrazio l’onorevole Ministro per la difesa e poiché egli ritiene che io possa ritenermi sodisfatto, dichiaro di esserlo.

Mi pare infatti di poter pensare che, citando diffusamente tutte le provvidenze disposte dal Governo a favore delle due categorie di benemeriti, menzionate nella mia interrogazione, l’onorevole Ministro abbia voluto implicitamente darmi l’assicurazione che di queste benemerenze sarà tenuto conto anche in sede di sfollamento dei quadri dell’esercito: il che, appunto, costituisce lo scopo della mia interrogazione.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano al Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga necessario disporre che l’applicazione del regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384 (riguardante il collocamento nella riserva degli ufficiali generali e superiori), avvenga gradualmente secondo le norme precise ed uniformi e nell’ordine seguente: 1°) ufficiali comunque compromessi con la repubblica sociale di Salò; 2°) ufficiali richiamati dal congedo durante la guerra e non ancora congedati; 3°) ufficiali già collocati nella riserva e trattenuti in servizio; 4°) a domanda degli interessati; 5°) di autorità.

L’onorevole Ministro per la difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro per la difesa. Siccome si tratta di risposta assai complessa, l’ho trasmessa per iscritto all’onorevole interrogante.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Mi dichiaro sodisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Coccia, al Ministro dell’interno, «per sapere se è vero che si starebbe preparando il decreto per distaccare dalla provincia di Rieti il mandamento di Cittaducale per unirlo ad altra provincia, il cui capoluogo è distante dal detto paese 50 chilometri, mentre Rieti ne dista solo 9, ed è separato dalle montagne dell’Abruzzo, con comunicazioni stradali e ferroviarie difficilissime. E ciò disprezzando la volontà di quelle popolazioni, che vogliono restare unite con la provincia di Rieti per entrare a far parte della costituenda Regione romana: aspirazione questa secolare e unanime di tutte le popolazioni sabine».

COCCIA. Rinunzio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Giacchero (Scotti Alessandro, Baracco, Stella), ai Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritengano opportuno di proporre un provvedimento legislativo che, a modifica delle disposizioni vigenti, consenta il beneficio della libertà provvisoria ai contadini attualmente detenuti per lievi inadempienze, compiute non a scopo speculativo, ma per necessità familiari e aziendali, nel conferimento agli ammassi, nella considerazione del danno che ne deriva all’agricoltura per l’assenza di braccia all’atto della preparazione delle semine, ed anche per una perequazione con quegli agricoltori delle provincie meridionali, che, pur avendo commesso lo stesso reato, hanno beneficiato dell’amnistia, perché l’infrazione fu commessa prima del 18 giugno, relativamente all’anticipato raccolto del grano».

BARACCO. Rinunzio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gortani, ai Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, «sulla convenienza economica e sociale di combattere finalmente la piaga della disoccupazione, ricorrendo a larghi programmi di bonifica integrale del monte e del piano, finora lasciati di gran lunga in sottordine rispetto alle opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici.

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunciato.

Sono rinviate, per la ragione già indicata, le seguenti interrogazioni:

Scotti Alessandro (Giacchero, Scalfaro), ai Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, «per sapere se non intendano svolgere una ben coordinata azione ai fini di porre i Comuni in condizione di rimettere in efficienza gli edifici scolastici delle zone rurali che sono il più delle volte inadeguati alle esigenze scolastiche e quasi sempre privi di impianti igienico-sanitari che possono e devono essere parte integrante dei mezzi educativi».

Pajetta Giuliano, al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, «a) sulla possibilità della concessione di un quantitativo fisso mensile di francobolli di franchigia militare per i militari di leva e di sottufficiali delle Forze armate, tenuto conto del livello estremamente basso della decade e del soldo. b) sulla possibilità di un’assegnazione fissa mensile di una certa quantità di carta da lettere, buste e cartoline postali semplici a detti militari».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Mattarella, al Ministro delle finanze, «per sapere se non intenda chiarire che l’imposta di fabbricazione, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 1946, n. 43, sugli zuccheri invertiti, non è applicabile ai mosti muti concentrati naturali, destinati ad usi enologici e che solo eccezionalmente in questo periodo di emergenza sono stati utilizzati come dolcificanti. Una tale imposta, che si vorrebbe applicata ai prodotti accennati, verrebbe a danneggiare notevolmente le industrie enologiche siciliane, specie quelle del «marsala», che rappresentano una delle attività economiche più notevoli della Sicilia occidentale. È poi da notare che i concentrati di tali zone sono naturalmente scarsi di acidità e ricchi di contenuto zuccherino, e sarebbe assai strano che per tale loro pregio e qualità essi dovessero venir sottoposti a dei pesi tributari non sopportabili, che, se mai, potrebbero colpire i concentrati deacidificati chimicamente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. La questione che forma oggetto dell’interrogazione è nota al Ministero delle finanze, il quale l’ha considerata con tutta l’attenzione che merita.

Apposito schema di provvedimento conterrà particolari agevolazioni nel senso richiesto dall’onorevole interrogante, soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei mosti concentrati di uva destinati ad uso enologico.

Si può assicurare l’onorevole interrogante che, in attesa di tale provvedimento, sono state impartite disposizioni perché siano sospese le riscossioni coattive in corso.

PRESIDENTE. L’onorevole Mattarella ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MATTARELLA. Mi dichiaro sodisfatto e mi auguro che il provvedimento preannunziato sia emanato con l’urgenza che il caso richiede.

PRESIDENTE. È rinviata l’interrogazione dell’onorevole Natoli, al Ministro del commercio con l’estero, «per conoscere esattamente i criteri che hanno informato l’accordo concluso col Governo norvegese per la costruzione di navi nei Cantieri Ansaldo. E per sapere se è vero che il Governo ha accettato in pagamento una quantità di stoccafisso per 1’86 per cento ceduto ad un gruppo di commercianti. Tale stoccafisso sarebbe ceduto al pubblico ad un prezzo elevatissimo. Questo gravoso sopraprezzo su un alimento di consumo popolare contribuisce all’aumento del costo della vita e rappresenta un premio che i consumatori dovrebbero pagare ai Cantieri Ansaldo, rinnovandosi così un protezionismo dannoso che il regime repubblicano deve invece eliminare.

È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Lombardi Riccardo. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi, io non ho il privilegio al quale si è richiamato l’onorevole Corbino, di parlare prima della firma del Trattato; io parlo dopo che il Trattato è stato firmato dal nostro rappresentante. Ma mi atterrò ugualmente all’impegno di non turbare, con una vera e propria discussione sui termini del Trattato di pace, la libertà di manovra e di azione che il Governo sta svolgendo in questo momento per migliorare almeno le condizioni di applicazione del Trattato stesso. Tuttavia, poiché l’onorevole Corbino ha espresso i sentimenti di questa Assemblea, e a questi sentimenti l’Assemblea si è associata in modo unanime, e questa unanimità d’ordinario dice troppo o dice troppo poco, io penso che sia indispensabile chiarire anche il senso di questa unanimità, anche a nome del gruppo a cui appartengo.

Il Presidente del Consiglio, con le sue dichiarazioni, si è assunto la responsabilità di firmare il Trattato di pace a nome del Governo, ma non si è assunto la responsabilità di proporre all’Assemblea la ratifica dello strumento. Cioè, il Presidente del Consiglio, per l’azione che egli, a nome del Governo, svolgerà durante questi mesi che ci separano dalla firma del Trattato alla ratifica, si propone evidentemente di usare della forza, dell’azione, del prestigio dell’Assemblea a favore dell’azione diplomatica che il Governo dovrà svolgere. Al che noi, come Assemblea, potremmo consentire, alla condizione però che l’Assemblea sia informata dei criteri direttivi che presiedono all’opera del Governo, informata, cioè, di quanto non lo è stata fino ad oggi; poiché nell’azione che il Governo svolge, non è vero che la voce dell’Assemblea possa recare un elemento di debolezza: essa reca in ogni caso un elemento di forza, quale avrebbe portato anche se una discussione preventiva fosse stata fatta. L’Assemblea avrebbe allora illuminato il Governo e l’avrebbe forse deviato dalla sua azione indiscriminata ed uniforme che, a nostro avviso, non è stata la più valida per la tutela dei nostri diritti nazionali.

Il rimprovero che noi rivolgiamo all’azione del Governo fino alla firma del Trattato è proprio di aver posto tutte le questioni che affiorano dal Trattato sullo stesso piano uniforme, piatto, senza rilievo, senza cioè sforzarsi di centrare quei due o tre elementi essenziali che sono effettivamente non accettabili dal Governo e dal popolo italiano. Si sono poste sullo stesso piano la questione di Trieste e quella delle colonie; la questione della sistemazione della Germania e quella della flotta. Si è rifiutato tutto in modo indiscriminato e così non si è avuto il punto di appoggio necessario per poter svolgere un’azione coerente e continuativa, ispirata ad un fine preciso, la sola che ci avrebbe consentito di ottenere i risultati che, secondo noi, si sarebbero potuti ottenere.

Il Governo avrebbe potuto, in questi ultimi mesi, proporre ed isolare le due o tre questioni in cui è impegnato l’onore nazionale, e che riguardano la sistemazione della Germania, da cui dipende la sistemazione dell’Europa ed alla quale quindi non possiamo essere estranei, e la questione delle garanzie delle frontiere e delle nostre minoranze nazionali. Su questi due punti, avrebbe dovuto richiedere delle garanzie e domandare la solidarietà dei molti interessi, che, nell’Europa e nel mondo, premono nello stesso senso e non proporre una discussione ed un rifiuto in blocco, quasi che tutte le questioni, da quelle economiche a quelle militari, avessero lo stesso rilievo e la stessa importanza per noi, col risultato che abbiamo visto, di aver, cioè, preclusa ogni via di miglioramento del Trattato e la stessa possibilità di revisione; revisione che non si può richiedere per tutto il Trattato.

Il Governo non ci ha informati, e per questa ragione, noi che pensiamo che bene abbia fatto ad assumersi la responsabilità della firma del Trattato, non possiamo sgravarlo della responsabilità che si è assunta circa il modo, le condizioni e lo spirito con il quale si è arrivati alla firma del Trattato.

L’onorevole De Gasperi ci ha detto che egli non aveva avuto il tempo, malauguratamente, di fare davanti all’Assemblea un discorso approfondito sulla questione, in quanto la lunghezza inopinata della crisi di Governo lo aveva costretto a rinunciarvi; ma ci ha detto che il programma del nuovo Governo è sostanzialmente quello del Governo precedente; ed allora, perché questa crisi, proprio nel momento in cui dovevamo essere chiamati a valutare tutta la sostanza e l’orrore dei patti che eravamo chiamati a firmare?

Vi è una certa diffidenza del Governo verso quest’Assemblea, una diffidenza che è necessario rompere. Durante i lunghi mesi nei quali si è fatta la grande operazione del prestito nazionale, l’Assemblea è stata tenuta chiusa, perché si temeva che la voce dei contrasti politici potesse turbarne lo svolgimento. Tutti abbiamo potuto vedere che, anche ad Assemblea chiusa, l’operazione è stata turbata da interventi, anche di uomini del Governo, spesso contradittorî e persino privi di tecnicismo, o fatti con spirito di improvvisazione. Non è vero che se l’Assemblea fosse rimasta aperta ed avesse potuto funzionare durante i mesi in cui si sono svolte le sottoscrizioni al prestito nazionale, i suoi dibattiti avrebbero sinistramente influito sui risultati del prestito. È vero, probabilmente, il contrario.

Se questa Assemblea fosse stata chiamata a discutere l’indirizzo delle trattative diplomatiche che il Governo in nostro nome svolgeva con Potenze alleate, noi avremmo potuto dargli qualche lume, avremmo potuto mitigare qualche contrasto, e mettere il Governo stesso in grado di trattare con maggiore autorità e con maggiore fermezza i sostanziali interessi dello Stato che rappresenta. Tuttavia, l’Assemblea non è stata chiamata a pronunciarsi e perciò ritengo che debba essere interamente riservato il suo giudizio sul modo e sullo spirito col quale le trattative che portarono alla firma del Trattato sono state svolte.

Giacché mi trovo a parlare, sia pure di scorcio, sulla questione dell’indirizzo della nostra politica estera, sento il dovere di affermare che per noi è un elemento sostanzialmente favorevole, è un elemento di credito, è un elemento positivo per il nuovo Governo, il fatto che di esso faccia parte l’onorevole Sforza. Io non voglio discutere la persona dell’onorevole Sforza, ma egli rappresenta la continuità di una tradizione politica democratica nella politica estera che è stato un torto e un delitto gravido di conseguenze l’avere abbandonata. La presenza dell’onorevole Sforza al Governo rappresenta per noi la ripresa di una tradizione che fu chiamata rinunciataria, ma lo fu proprio da coloro che hanno portato alla firma di ieri.

Questa crisi di Governo, che ha portato alla nuova compagine ministeriale, ha rappresentato per noi un abbassamento del livello delle precedenti crisi, di quelle crisi che portarono al secondo e al terzo Ministero De Gasperi. Nella crisi di giugno, subito dopo le elezioni per la Costituente, si era discusso, sì, di equilibrio dei partiti, di leve di comando, di zone di influenza riservate ai Partiti che partecipavano al Governo; tuttavia, c’era stata anche una discussione sostanziale di indirizzo programmatico. Si parlò e si discusse a lungo, per esempio, della scuola e della politica economica del Governo; ed anche nella seconda crisi del settembre – determinata dalle dimissioni dell’onorevole Corbino – si discusse dell’indirizzo economico e finanziario.

Invece, durante queste ultime trattative, nessuna discussione programmatica si è affrontata: il Paese ha avuto l’impressione, a mio avviso corrispondente alla realtà, che le trattative si svolgessero su un piano di pura divisione d’influenza, di pure zone riservate – non voglio dire di divisione delle spoglie – per cui si è avuta la sensazione netta che il piano anche morale, sul quale queste trattative si sono svolte, sia notevolmente abbassato rispetto alle trattative precedenti. Probabilmente c’era qualche sintomo, qualche segno di stanchezza. Non si è più ripresa la discussione sulla scuola. Gli onorevoli colleghi, molto probabilmente, avranno ormai scontato il fatto che il Ministro Gonella è destinato ad essere un elemento permanente di tutti i Governi che a mano a mano si succedono, probabilmente nella stessa misura in cui l’Ammiraglio De Courten fu un elemento permanente di tutti i Governi fino alla Costituente.

Oggi, però, il Governo si è formato e l’onorevole De Gasperi ha detto che il programma che sarà chiamato a svolgere è sostanzialmente quello stesso dei passati Governi, o, almeno, quello stesso del Governo precedente. Tuttavia, abbiamo visto alcune omissioni preoccupanti: per esempio, non si è più parlato del programma di nazionalizzazione dell’industria elettrica, che pure era stato uno dei punti della piattaforma del passato Governo. E si è parlato del progetto per i Consigli di gestione in una forma così involuta e ambigua, da suscitare delle reali preoccupazioni.

L’onorevole De Gasperi ci ha esposto un programma molto vago, non dettagliato, ed io posso anche pensare che questo sia un elemento positivo, che questo atto di modestia, il quale contrasta rudemente con la relativa prolissità del programma esposto in occasione della formazione dei precedenti governi, possa essere l’indizio di maggiore coscienza dei limiti che questo Governo ha, del fatto che più che risolvere problemi di largo respiro, esso è chiamato a risolvere problemi, apparentemente di breve momento, ma essenziali per la vita del Paese. Questo Governo che noi abbiamo sempre desiderato non come Governo di ordinaria amministrazione, ma di salute pubblica, può, attraverso la modestia del programma, dare qualche indizio di una più risoluta volontà di mettersi all’opera per realizzare dei programmi minimi sì, ma realizzarli effettivamente. Da qui alle elezioni legislative ci sono problemi che non ammettono di essere rimandati, problemi elementari sui quali qualsiasi Governo degno di questo nome deve impegnare tutta la sua azione, tutta la sua energia. Non si può lasciare un popolo nella vana aspettativa; non si può permettere che dei problemi capitali non siano neanche affrontati. Far questo significherebbe arrivare alle elezioni in uno stato tale che il primo esperimento democratico e repubblicano sarebbe definitivamente screditato.

Il Governo ha risolto, nella sua stessa formula di composizione, qualche problema di apparato: c’è l’unificazione dei Ministeri del tesoro e delle finanze che noi stessi avevamo chiesto e che, a mio avviso, è opportuna e saggia. Ma, badiamo bene, l’abbiamo chiesta in quanto sia garanzia di unicità di direttive della politica economica e finanziaria. Se il Governo, con l’unificazione dei Ministeri del tesoro e delle finanze, ci vuol dare una preventiva assicurazione che da oggi in poi ci sarà una direttiva unitaria nella politica economica, che il Comitato interministeriale per la ricostruzione comincerà finalmente ad essere un vero organismo direttivo di questa politica e che ancora l’azione che sarà svolta dai Ministeri delle finanze, dell’industria, dell’agricoltura e del commercio estero non sarà più slegata e quasi affidata alla iniziativa ed alla responsabilità dei singoli Ministri, ma sarà unitaria e controllata dal Governo con responsabilità collegiale, se questo è, effettivamente, pensiamo che un passo avanti sia stato fatto.

Ma se ciò non dovesse essere, l’unificazione in sé e per sé non significherebbe altro che scaricare sulle spalle (buone come quelle dell’onorevole Campilli, ma assolutamente incapaci, non per difetto della persona ma per la enormità dei problemi) una responsabilità che nessun uomo singolarmente può portare.

Se ciò non fosse, noi dovremmo pensare che tutto il risultato nella variazione della composizione del nuovo Governo rispetto al vecchio altro non sia che lo smantellamento del Ministero dell’assistenza postbellica. Del resto, noi non pensiamo che sia stato un bene eliminare il Ministero: questo era un Ministero nuovo e come tale aveva tutti i difetti, anche di improvvisazione, che hanno tutti i nuovi organismi, ma aveva anche dei pregi.

Perché era stato voluto il Ministero dell’assistenza post-bellica? Perché doveva costituire il primo gradino per arrivare a quel Ministero dell’assistenza sociale, la cui fondazione doveva provare che il Governo democratico e repubblicano considerava l’assistenza come parte integrante dei suoi doveri e dei suoi compiti, dei doveri e dei compiti di uno Stato moderno.

Invece di fare un passo avanti, cioè di passare dal Ministero dell’Assistenza post-bellica al Ministero dell’Assistenza, tout court, si è fatto un passo indietro, si è abolito il Ministero; ma non si sono aboliti gli assistiti, non si sono aboliti i reduci, non si sono aboliti i partigiani, che da oggi in avanti avranno delle difficoltà perfino per sapere a quale dei diversi Ministeri, fra i quali sono stati ripartiti i diversi servizi del soppresso Ministero dell’assistenza post-bellica, dovranno indirizzare le loro domande. Non si sa neanche come e chi dovrà coordinare l’assistenza alle diverse categorie. Certo si farà un passo indietro, cioè da un tentativo di portare l’intervento dello Stato su un piano di assistenza, si ritornerà ad un piano di beneficenza; il che, a mio avviso, è un netto svantaggio, è un notevole regresso rispetto alla stessa difettosa situazione di prima.

Io voglio sperare che il Governo, soppresso che sia il Ministero dell’assistenza post-bellica, non si impunterà nello smantellamento dei servizi. Non so se il braccio secolare dell’onorevole Cappa è già pronto per questa operazione, ma io prego il Governo di pensare che un esperimento che aveva dei lodevoli lati di modernità (poiché era stata tentata la democratizzazione nella distribuzione regionale e provinciale dagli aiuti e delle sovvenzioni che attraverso il Ministero venivano ai diversi organi periferici), non debba essere abbandonato.

Questo esperimento democratico, nella sua modestia, era un passo importante, era qualcosa che tranquillizzava le numerose categorie che fino ad oggi hanno visto nel Ministero dell’assistenza post-bellica non certo una cosa perfetta, ma il primo gradino per qualcosa di sostanziale e qualcosa, soprattutto, di continuativo, che involgesse la responsabilità del Governo e dello Stato nel suo dovere elementare di non lasciare che alcun cittadino fosse messo in condizione di essere privo degli elementi indispensabili alla vita.

Ora, pur senza sottovalutare i compiti e le difficoltà del nuovo Governo, io penso che compito dell’opposizione parlamentare debba essere quello, non già di riconoscere che alcune cose non si sono fatte e che alcune non si possono fare, ma di centrare i punti sui quali, a nostro avviso, l’opera e la responsabilità del Governo sono impegnate.

Noi assistiamo, direi con simpatia, allo sforzo ed alla responsabilità che il Ministro del tesoro e delle finanze si assume. Egli è certamente chiamato ad un compito enormemente grave, tuttavia non disperato. Nessuno oserebbe chiedergli dei provvedimenti di disperazione. Ma se il Ministro del tesoro e delle finanze guarderà a quelli che sono i sui compiti immediati (che, a nostro parer sono quelli di decidere sulla incidenza delle imposte straordinarie e delle imposte ordinarie e di portare l’apparato tributario ad un grado di funzionalità tale che il programma di mille miliardi annui di imposte possa essere realizzato col tempo, e con l’aumento del reddito nazionale), se egli metterà a concorrere fermamente in questo piano, nei prossimi mesi, potrà essere sodisfatto della propria opera. Noi pensiamo che le imposte straordinarie, alle quali siamo stati, siamo e saremo favorevoli, oggi abbiano perduto in gran parte il campo stesso sul quale possono incidere. C’è stato un momento, da questo punto di vista felice, nel quale i detentori di ricchezza, coloro che si erano arricchiti lecitamente o illecitamente durante il fascismo, erano pronti ed avevano perfino delle riserve precostituite per poter fronteggiare un’efficace e moderna finanza democratica. E coloro che rimproverano all’onorevole Scoccimarro di non aver fatto abbastanza in questo senso, sono coloro stessi che hanno ostacolato l’opera sua, per poter portare ad altri altri provvedimenti indirizzati allo stesso fine. (Applausi a sinistra).

Ora il tempo non è più così favorevole. Siamo nelle condizioni in cui, malgrado tutti gli sforzi fatti da questa sinistra per poter arrivare a determinati provvedimenti, come quello del cambio della moneta (che andava fatto nell’epoca e nelle condizioni opportune, che ci furono e che furono condizioni ideali) i provvedimenti stessi hanno perduto in gran parte, se non tutta la loro validità. Ci troviamo oggi a dover dire che, dopo due anni di spese eccezionali per le industrie, dopo due anni nei quali i detentori di ricchezze, bene o male guadagnate, hanno avuto tempo e larghe possibilità per poterle investire (e molte volte in investimenti speculativi o investimenti all’estero), il mordente della finanza straordinaria è in gran parte caduto. Ed allora il Governo deve onestamente porsi questo problema e porlo davanti all’Assemblea, informandola dei suoi propositi. Oggi nessuno sa che cosa il Governo intenda fare, se intende premere le leve delle finanza ordinaria più che quelle della finanza straordinaria.

C’è il problema, al quale l’onorevole Corbino ha accennato, dei cinquecento miliardi di deficit annuo, sui quali la finanza straordinaria potrà incidere per una parte che io non credo modesta. L’onorevole Scoccimarro ci dirà probabilmente a che punto ha lasciato le cose, e l’onorevole Campilli ci dirà come intende proseguire quest’opera. Ma è certo che soltanto con le imposte straordinarie non si assicura una continuità di gettito alla finanza dello Stato.

Oggi ci sono altre leve sulle quali operare: ci sono industrie in condizioni eccezionalmente favorevoli, e ci sono i redditi di queste industrie. Noi non siamo contro i profitti, sebbene vogliamo che il profitto sia investito sotto controllo nazionale per il miglioramento del nostro apparato produttivo. Ci sono redditi eccezionali in determinate branche dell’industria e tutti sanno che essi sfuggono sistematicamente al fisco. Ora, il primo compito dell’onorevole Campilli è proprio questo, di impedire che tale sconcio continui, di impedire che le industrie che si arricchiscono (e fanno bene ad arricchirsi) neghino la loro solidarietà.

La fame di gran parte del popolo non è una invenzione propagandistica o demagogica, ma è una triste realtà, che tutti noi, che viviamo a contatto con la vita popolare, sentiamo ogni giorno. (Applausi).

Io credo che l’opera del Ministro delle finanze e del tesoro abbia qualche possibilità di respiro.

Noi osserviamo che il livello attuale dei prezzi è notevolmente superiore al livello attuale dell’aumento della circolazione (ci sono prezzi stabilizzati a circa trenta volte quelli dell’anteguerra, mentre il carico di inflazione è sulle venti-ventidue volte). Evidentemente abbiamo un margine che può resistere a questi mesi in cui necessariamente si dovrà stampare; e non lo neghiamo, non diciamo che ci taglieremo le mani al momento di firmare un decreto per la stampa di nuova moneta, quando la stampa si continua a fare.

A questo proposito invito il Governo a ristabilire la pubblicità dei conti del tesoro e della situazione decadale della Banca d’Italia, perché tutto il popolo italiano ha il diritto di sapere queste cose. Questo diritto è stato soppresso all’inizio della guerra dal fascismo, e non si capisce perché dobbiamo essere informati attraverso conti complicati, quando la Banca d’Italia ha l’elementare dovere, per legge, di informare l’Assemblea Costituente ed il popolo italiano dello stato della nostra finanza.

L’onorevole Campilli dovrà essere sufficientemente accorto per utilizzare questo margine. Che cosa vuol dire avere un moltiplicatore d’inflazione minore del moltiplicatore dei prezzi? Vuol dire che i prezzi non sono aumentati soltanto come conseguenza dell’inflazione, ma che su di essi operano delle situazioni, direi psicologiche, alle quali il Governo è chiamato a far fronte.

Durante questo periodo, noi possiamo scontare la possibilità di stampare un po’ di nuova carta-moneta, senza che i prezzi crescano, a patto che non intervengano altri elementi psicologici capaci di contrastare la manovra. E perché non intervengano questi elementi, il Governo deve operare alla luce del sole, deve dire qual è il suo programma, deve stabilire un programma anche audace, se vuole, ma limitato, in modo che tutti siano in grado di sapere fino a quale limite opereranno le nuove imposte e tutti possano sapere se il Governo intende svolgere un’azione in questo senso o in senso opposto, in modo che vi sia l’elemento della fiducia, che non è mai elemento astratto, astrale, ma nasce dalla sensazione che alla testa della nostra amministrazione finanziaria vi sono uomini saggi che non vogliono certo sopprimere le difficoltà, che nessuno può sopprimere, ma nella cerchia di queste difficoltà sanno operare assegnandosi dei limiti ed impegnando il loro onore e la loro responsabilità politica a non varcarli.

In questo modo, se il Governo riuscirà ad abbozzare, ma soprattutto a realizzare un programma che sia limitato, ma che si sappia esattamente quale sia, quegli elementi psicologici indispensabili, perché i prezzi non reagiscano a loro volta, e non si abbia una nuova discrepanza fra tasso di inflazione e tasso di prezzi, potranno operare e servire come uno strumento utile nelle mani della nostra amministrazione.

Certo, uno dei principali elementi perché questa fiducia rinasca, è costituito dalla politica che si intende svolgere in materia di cambio della moneta. Non starò qui a riprendere una vecchia polemica, che ormai si trascina da mesi, su questa eterna questione del cambio della moneta. Penso, però, che il Governo, dopo avere impostato tutta la sua propaganda per il lancio del Prestito sulla base che il cambio della moneta si sarebbe fatto, non può onestamente rinunziare a questa operazione.

Ed allora mi permetto di riprendere la mia vecchia proposta, che forse è ancora attuale: cioè che il cambio della moneta debba esser fatto, non tanto a scopi statistici di accertamento delle ricchezze monetarie individuali, ma in modo che si traduca in una vera e propria imposta sulla moneta; la quale, per riuscire, deve essere limitata e con aliquote modeste.

Questo si può fare, anche perché, se il Governo ricorre a tale sistema, esso, intanto, terrà fede agli impegni (ed in fatto di credito pubblico il tener fede agli impegni è cosa sostanziale e fondamentale) e, nello stesso tempo, potrà preparare e applicare, con relativa rapidità, un’operazione che non esige la creazione di grossi sistemi di accertamento, un’operazione che potrebbe essere addirittura effettuata in forma di stampigliatura, senza prelevamento diretto in moneta, ma soltanto con una decurtazione nominale, facilitando l’operazione e mettendo lo Stato in grado di far fronte ai propri doveri e di rispettare gli impegni assunti.

Una errata presa di posizione su questo problema ha turbato l’opinione pubblica; e non c’è ragione che essa si turbi. Un’infinità di gente ha pagato in investimenti di riparo assai di più di quanto avrebbe pagato con un tasso di decurtazione, anche il massimo, che il Governo poteva avere intenzione di applicare, ove l’operazione del cambio fosse stata fatta come preparazione della imposta progressiva sul patrimonio.

Se il Governo, con coscienza e con chiarezza, giustificando le ragioni della propria azione, ricorrerà ancora a questo sistema, finalmente libererà l’atmosfera finanziaria ed economica del Paese da un incubo sproporzionato all’effettiva realtà del problema, e potremo fare un passo avanti, senza avere il cielo oscurato da questa minaccia.

Io non penso che il Governo – come mi pare abbia detto ieri l’onorevole Conti – sia chiamato a compiti di ordinaria amministrazione; sono persuaso, invece, che sia chiamato a compiti di emergenza della massima importanza. Noi siamo veramente in una situazione grave per le ragioni obiettive che tutti riconoscono e che non potrebbero essere diverse, ma anche perché ci troviamo di fronte ad una reviviscenza, ad un tentativo di organizzazione e di potenziamento di organismi, senza diretta responsabilità politica, i quali intendono sempre più controllare l’opera del Governo e dell’Amministrazione. Io non so spiegarmi la campagna continua, dura, che si fa oggi non contro questo o quel Ministro dell’industria, ma dentro il Ministero dell’industria. La Confederazione Generale dell’Industria pubblica un organo di stampa solo per combattere tutti i provvedimenti che il Ministro dell’industria propone, applica o si propone di applicare.

A cosa vogliamo arrivare? Parliamoci chiaro. Io non credo al liberismo della Confederazione dell’industria. Quei signori industriali della Confederazione non sono stati mai liberisti. (Approvazioni a sinistra). Quando hanno avuto la possibilità di operare nella vita economica nazionale, non lo sono stati.

Protezionisti prima del fascismo, corporativisti durante il fascismo, e oggi all’improvviso tutti seguaci dell’onorevole Einaudi, tutti fautori del libero scambio. Quando si fa una campagna di questo genere è legittimo il sospetto che non si vogliano abolire le bardature; ed effettivamente ci sono bardature eccessive, irrazionali, come ci sono bardature necessarie. È legittimo il sospetto che non si voglia ritornare alla politica del libero scambio, perché ho visto in questi mesi che quando si è trattato di arrivare a determinati obiettivi, anche questa politica liberista, affermata in linea di principio, è stata abbandonata. È stata abbandonata quando era chiaro che non poteva servire a determinati interessi. E allora è legittimo il sospetto che si voglia, non già abolire i controlli, ma mantenerli, ma averli in mano per farli servire a determinati interessi. Contro queste manovre è necessario reagire, è compito nostro reagire. Dobbiamo richiamare il Governo ad avere la chiara coscienza che è necessario fronteggiare questa situazione, opporre forza contro forza; opporre la forza della risolutezza politica, la forza del coraggio politico. Perché tutto quello che oggi si fa, tutti i tentativi in gran parte modesti, se vogliamo, ma anche necessari per arrivare ad una programmazione, ad una pianificazione della nostra vita economica, devono essere guardati con l’occhio volto avanti e non indietro, devono essere guardati come il primo gradino per dare un’organizzazione razionale alla nostra vita economica, quali strumenti al servizio degli interessi della collettività nazionale e non di interessi particolari che non sempre coincidono con quelli del Paese.

La stessa minaccia, io credo, che dobbiamo prepararci a fronteggiare nel Ministero dell’onorevole Segni, il Ministero dell’agricoltura. Perché la Confederazione dell’agricoltura dà indizi di terremoto, dei segni sismici curiosi; si sta riorganizzando in una forma che assomiglia stranamente ad una reviviscenza di sistemi corporativi che abbiamo conosciuti molto da vicino. Questi tentativi della Confida di organizzarsi per branche di prodotti, sebbene appena abbozzati, e per quanto ancora tenuti, diremo, sotto banco, suscitano il grave sospetto che la Confederazione dell’agricoltura, reputando che la situazione politica sia favorevole a questo esperimento, intenda ripristinare un sistema complesso e rigido di corporativismo. Io credo che sia persino superfluo richiamare l’attenzione dell’onorevole Segni su questo pericolo reale, non effimero, che minaccia tutta la vita della Nazione in una parte sostanziale e fondamentale come l’agricoltura.

I nostri amici della Confederazione del lavoro, della Federterra debbono non soltanto preoccuparsi delle agitazioni salariali, ma capire che ci sono alcune fondamentali esigenze che ci interessano tutti molto da vicino e che sono gravemente minacciate dal tipo di organizzazione a cui ho accennato. Sarebbe stolta politica voler guardare le prime e non le seconde, perché la Confederazione dell’industria e la Confederazione dell’agricoltura, o amici della Confederazione del lavoro, si indurranno facilmente, sia pure esteriormente molto riluttanti, a cedere a richieste salariali. Si faranno pregare molto e diranno che sono rovinati; ma cederanno, e cederanno molto volentieri. Ma di fronte a questo e dietro a questo preparano la conquista di ben altre leve di comando, di ben più solido terreno; e quando avremo ottenuto dei miglioramenti di salari, ma troveremo tutti i gangli dello Stato permanentemente occupati da forze che ci faranno scontare il loro peso, la loro forza, per lunghi anni, che cosa avremo ottenuto?

E poiché sono a parlarvi della politica economica del Governo, io credo che questa Assemblea debba finalmente occuparsi della questione dell’Istituto per la ricostruzione industriale. L’I.R.I. è nato, si può dire, per caso, in Italia, con un programma che è stato poi largamente superato dagli avvenimenti. Debbo dire che, nato male, nel corso della sua vita è diventato una bella donna, uno strumento utile. Però, guardate che questo uno dei pochi strumenti efficienti di cui lo Stato dispone per la sua politica, sta per liquefarsi. Quello che sta avvenendo all’I.R.I. è cosa che ci deve gravemente preoccupare. Non ho visto ancora nessuna domanda di smobilitazione del1’I.R.I.; nessuno ha pensato che l’I.R.I. potesse essere di ostacolo al liberismo economico. Debbo pensare con ragione che ciò non è stato chiesto, perché l’I.R.I. minaccia di diventare uno strumento non già del Paese, ma, ancora una volta, di determinati gruppi. (Commenti). Io credo che il Governo non abbia l’intenzione di privare il Paese di uno strumento essenziale che esso ha in mano.

C’è stato un momento, in cui alcuni di noi (che allora eravamo prefetti del Comitato di liberazione nazionale) hanno in tutti i modi cercato di incanalare, di favorire l’opera del Governo, perché questo strumento dell’Istituto della ricostruzione italiana diventasse una cosa seria nelle sue mani, perché alcune partecipazioni si mutassero nella proprietà statale di determinate industrie. Alcuni dei miei colleghi, che sono stati prefetti durante quel tempestoso periodo, ricorderanno che noi non abbiamo facilitato determinati crediti e industrie siderurgiche e metallurgiche, perché volevamo portarle a rivolgersi allo Stato, cioè all’Istituto della ricostruzione italiana, per essere acquistate per poco, perché in quel momento ciò era possibile. Ma lo Stato, invece di impadronirsi di queste industrie, ha concesso crediti per dieci miliardi prima e venti miliardi dopo, che sono stati bruciati per l’eccesso di mano d’opera o in opere più o meno utili; e tutto ciò, con quello stesso denaro dello Stato che avrebbe potuto costituire uno strumento ben più efficiente di governo dell’apparato industriale.

Comunque, è chiaro che oggi ci troviamo nella curiosa situazione, per cui il Presidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale – persona per la quale io credo che tutta questa Assemblea abbia il massimo rispetto e la massima considerazione – è nello stesso tempo Presidente dell’Associazione fra le Società italiane per azioni e ciò nonostante una certa, anzi una radicale, opposizione di interessi fra la grande industria, che domina l’Associazione delle Società per azioni e l’Istituto della ricostruzione italiana, strumento dello Stato, chiamato proprio a garantirlo contro lo strapotere della grande industria. È questo un problema sul quale, con tutta la moderazione necessaria, richiamo l’attenzione del Governo e particolarmente del Ministro dell’industria.

Io penso perciò che in materia di politica economica il Governo non abbia poco da fare: esso avrà molto da fare; avrà soprattutto il compito di perfezionare i suoi organi e di perfezionarli in modo serio, perché tutto il Paese è stanco di sentire che determinate operazioni, che sono elementari in qualsiasi paese, non si possono fare da noi, perché l’apparato statale ed amministrativo è distrutto.

Ciò è vero, ma ci sono stati due anni di tempo: che quindi non si possa proprio far niente, che anche nell’alimentazione non si riesca a rimettere nulla in piedi, questo è eccessivo per qualsiasi amministrazione statale ed è assolutamente intollerabile per il Governo di un grande Paese come l’Italia. In queste cose, non è tanto la volontà di questo o di quel Ministro che possono essere determinanti, quanto la solidarietà fra i Ministri, e questo è un compito del Governo nel suo complesso, il quale, su questi problemi che sono pochi, ma sostanziali, deve assumere un determinato indirizzo e dire al Paese ciò che intende fare, mentre l’Assemblea potrà essere chiamata a pronunciare un determinato giudizio. Sotto questo aspetto, si può dare un valore positivo alla modestia del programma esposto dall’onorevole De Gasperi, perché proprio questa modestia può essere garanzia di maggior coscienza dei propri compiti.

Prima di finire, voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea e del Governo sulla sistemazione che è stata data ai Ministeri delle forze armate, con la creazione del Ministro della difesa. Non avrò il cattivo gusto di dilungarmi sul fatto che il cambiamento del Ministero della guerra in Ministero della difesa non è poi una garanzia efficace contro lo spirito di guerra, una dimostrazione tanto sicura della volontà di pace. C’è stato qualche precedente che farebbe pensare esattamente il contrario; tuttavia, poiché il programma del Governo, come ci ha detto l’onorevole De Gasperi, è sostanzialmente identico a quello precedente, il programma di sfollamento degli alti gradi dell’esercito dovrà essere proseguito, sottraendolo all’opera di erosione e di sabotaggio che di esso si vuol fare.

Ci sono interessi che premono in questo senso; io penso che i compiti dello Stato maggiore debbano tornare ad essere quelli naturali, dell’attrezzamento e dell’addestramento, con la soppressione di una quantità di uffici e di servizi; perché effettivamente, ci sono delle soprastrutture che vanno eliminate corrispondentemente ai compiti più modesti che, non so se sfortunatamente o fortunatamente – a mio avviso, fortunatamente – vengono assegnati all’esercito.

L’onorevole De Gasperi ha detto giustamente che si deve fare in modo che tutti i combattenti delle passate guerre siano reinseriti nella compagine nazionale. Approvo incondizionatamente questo indirizzo; e penso che tutti coloro i quali hanno combattuto o sofferto, anche sotto una falsa bandiera, sotto la bandiera fascista, debbano tornare ad essere cittadini nella totalità dei loro diritti. Ma non i generali faziosi ed inetti, non i responsabili, non dico di una politica sbagliata, ma di una direzione dell’esercito, la quale ci ha portati a quello che tutti sappiamo, a una condotta della guerra, indipendente dalle ragioni politiche della guerra stessa, ad una direzione, oserei dire, tecnicamente e moralmente responsabile del modo come si sono verificate la ritirata di Russia e la ritirata di El Alamein.

La nuova democrazia italiana deve avere la certezza che il nuovo esercito abbia liquidato tutti i marescialli ed i generali prestigiosi. Deve avere la garanzia che il nuovo esercito rappresenti una forza democratica, a disposizione soltanto del Paese. Su questo io spero di poter trovare il consenso di tutta l’Assemblea. (Applausi a sinistra – Commenti).

Voci all’estrema destra. No, no!

LOMBARDI RICCARDO. Questa interruzione mi fa ricordare che ad un amico, parlando proprio del Ministero della guerra, dicevo che un Ministro della guerra, il quale si assume questo grave compito, che voglia cioè svolgerlo sul serio, deve essere un Ministro preparato ad interrompere la sua carriera politica. Non aggiungo altro. (Commenti).

Se il Governo affronterà i compiti ai quali ho, sia pure di scorcio, accennato, esso avrà in questi mesi, che ci separano dalla approvazione della Costituzione e dalle nuove elezioni, un compito meritorio da assolvere e che non sarà certamente di ordinaria amministrazione.

Il poter affrontare questi problemi, il poter resistere a tutte le minacce ed alle manovre contrarie, e svolgere una politica coerente e indirizzata in senso veramente democratico, è un compito duro per qualunque Governo, ed io mi auguro che questo Governo sia pari al suo compito.

Per quanto riguarda i compiti della nostra opposizione, cioè della opposizione di sinistra, che è la sola opposizione reale che esista in questa Assemblea…

Una voce all’estrema destra. Lei presume troppo!

LOMBARDI RICCARDO. E vi dico subito il perché: quando l’altro ieri l’onorevole Corbino fece un discorso di opposizione così blando, così amichevole, io me ne meravigliai, ma un uomo politico assai fine, al quale facevo questa osservazione, mi disse: ciò è naturale, perché Corbino è al Governo ed all’opposizione siete voi. (Commenti – Si ride).

Credo che questo Governo debba dimostrare di non essere ispirato ad una politica conservatrice, dimostrare che esso è effettivamente un Governo di sinistra o almeno un Governo di centro sinistra. Ed è strano che l’opposizione debba essere organizzata proprio a sinistra, dove siedono i maggiori fautori di questo Governo.

Il nostro compito di oppositori, al quale abbiamo assegnato una divisa che credo non sia disdicevole, quella di non criticar mai senza avanzare proposte costruttive, è quello stesso tipo di opposizione che il nostro gruppo ha fatto dal 2 giugno ad oggi, e sarà continuato, in modo che l’azione del Governo sia, non intralciata, ma stimolata.

Noi vogliamo rappresentare la viva coscienza delle esigenze democratiche della resistenza, le quali continueranno ad essere la sola cosa viva, pulita ed efficacemente operante che esista in questo Paese. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

LABRIOLA Onorevoli colleghi, credo che l’unica risposta che possa farsi alle comunicazioni del Capo del Governo consista nell’esortazione: facciamo le elezioni il più presto che sia possibile.

La triarchia ha fatto seguito all’esarchia. Le deficienze e gl’inconvenienti dell’una sono le stesse qualità dell’altra. Essi si riassumono in un disordine interno, dal quale non emergono se non confuse speranze per l’avvenire.

Ho sentito dire che la sola democrazia possibile al tempo nostro non sia che una democrazia di partiti. Ciò può essere vero o non vero. Ma una tale democrazia sarebbe desiderabile, soltanto se potesse dimostrarsi che essa è stata e può ancora esser benefica.

Dubito dell’esattezza del principio, specie se la politica dei partiti si debba intendere come un monopolio. Ma vero o non vero, è certo che se non si tratti se non di un male necessario, noi vorremo fare tutto quello che è in noi per distruggere il male. E l’appello agli elettori può essere un rimedio.

Sventuratamente esso non può funzionar subito.

Un pubblicista, che molti si accordano a ritenere equo ed avveduto – io stesso sono di questa opinione – don Luigi Sturzo, ha lanciato la formula (slogan in americano): le elezioni o il caos. Ho già risposto per le stampe all’illustre scrittore, che le elezioni, allo stato attuale delle cose, sarebbero esse stesse il caos. «Il caos oppure il caos» non è una formula molto chiara. La questione consisterebbe nell’avere un corpo elettorale o consapevole o indirizzato a diventarlo. Nelle ultime elezioni si è visto il caso che mentre undici milioni di elettori hanno votato contro l’esarchia, nel referendum istituzionale e nelle elezioni per la Costituente, quest’ultima è risultata composta, per circa i quattro quinti, di componenti dell’antica esarchia, diventata poi triarchia. Se gli elettori continueranno a commettere di simili solecismi, l’anarchia italiana non avrà mai termine.

L’idea che i partiti trionfati col luglio del 1943 si son fatta del loro compito è tutta nella espressione: noi dobbiamo agire come un Comitato di salute pubblica. Quindi il Governo deve rimanere nelle nostre mani; e poi fare in modo che un generico popolo non venga ad occupare i nostri seggi. Se no, la rivoluzione antifascista è in pericolo. La rivoluzione antifascista siamo noi.

Tutta la situazione politica italiana, dal luglio del 1943, è dominata da questa preoccupazione. Dirò poi che questa preoccupazione era un errore.

La prima constatazione da fare è: alle sorgenti della crisi presente italiana c’è la presunzione degli attuali partiti dominanti che essi erano la rivoluzione antifascista. Ciò condusse ad un duplice erroneo atteggiamento: 1°) diffidenza generica del popolo purché non passato per il filtro dei partiti ammessi; 2°) risoluzione di conservare il potere nelle proprie mani. Da quest’ultima volontà l’inclinare verso una legge elettorale, che creasse il monopolio dei partiti, e che permettesse la conservazione del potere nelle mani dei gruppi dirigenti di questi partiti (Applausi – Commenti).

Ma prima di affrontare la questione delle conseguenze di questo duplice fatto, giova vedere in che cosa consistesse l’errore fondamentale della preoccupazione del Comitato di salute pubblica.

Il concetto di esso sorse in Francia dalla necessità di concentrare i poteri in vista della guerra esterna, e perciò di garantirsi contemporaneamente contro i loro complici interni: monarchici, ecclesiastici ed aristocratici. Però volle essere essenzialmente un organo democratico, articolato in modo da impedire la formazione di un potere personale o della parte. La catastrofe di Robespierre è una conseguenza della psicologica preparazione di esso contro ogni potere personale.

L’idea della dittatura del proletariato fu ripresa – attraverso il laburismo o il blanquismo – dal Comitato di salute pubblica. Ma si ebbe sempre la preoccupazione di aggiungere che si trattava di un potere impersonale, ed infatti si disse: dittatura impersonale del proletariato. La dittatura di una classe è cosa ben diversa dalla dittatura di una persona.

In Italia, purtroppo, non si trattava di difendere il paese dal nemico esterno. L’istessa nozione di «nemico esterno» era complicata e contraddittoria. Chi era il nemico esterno? Il tedesco già alleato del Governo rovesciato, o l’inglese che si disponeva ad occupare il nostro territorio? Noi, è doloroso constatarlo, eravamo forse persino costretti a considerare come un «amico interno» quello che era un nemico esterno.

In Italia non si trattava oramai di concentrare intorno ad un potere centrale la nazione per la sua difesa militare, ma di procedere alla riorganizzazione della sua vita interna. Quindi un’opera di essenza democratica, questa parola intesa nel suo significato filologico. Aprire i quadri della classe dirigente, non restringendoli a quelli dei partiti improvvisati.

La parola «fascismo», diventata ingiuriosa e denunziatrice, servì per concentrare il potere nelle mani dei gruppi dirigenti dei partiti e per escluderne coloro che non avevano accettato di subirne monopolio.

L’idea dominante del Comitato di salute pubblica spiega la politica: 1°) del rinvio delle elezioni per la Costituente al più tardi possibile; 2°) la legge elettorale, che doveva assicurare ai partiti ufficiali la maggioranza in questa Assemblea; 3°) la riduzione dei poteri di questa Assemblea al semplice ufficio di preparare una legge costituzionale, mentre il Governo era sottratto all’Assemblea e concentrato nei partiti ufficiali; 4°) una politica del Governo consistente nella soddisfazione da accordare esclusivamente ai ceti o classi che si supponeva dovevano sostenere il Governo. E di ciò varrebbe la pena di parlare più distesamente.

Ad ogni modo, per restare sul terreno puramente parlamentare, questa politica condusse ad un effetto o impreveduto dagli autori stessi, o bensì preveduto, ma destinato ad un inganno reciproco.

Tralasciando la menzione di gruppi, bensì rispettabili, ma che l’esperienza ha dimostrato trascurabili, i gruppi ammessi all’esercizio unilaterale del potere, erano tre, e tutti miranti allo stesso effetto di rimanere… uno. Che cosa hanno di comune democratici-cristiani, da una parte, e socialisti e comunisti dall’altra?

Lo so che se mi metto a dire che il fideismo cristiano e l’antimisticismo socialistico sono idee contrastanti, corro rischio di essere smentito dagli uni e dagli altri. «È la comune difesa di una classe economica che ci unisce, e non il dettaglio di una opinione filosofica» essi dicono. Non ammetto nessuna di queste idee: la classe economica comune da patrocinare è una classe differenziata sino all’ultimo punto, e le idee filosofiche delle quali si parla sono il senso della vita delle singole parti. Come si conciliano due orientamenti della vita così contrastanti come quello che chiede la perfezione all’al di là e quello che chiede un al di là quaggiù?

Ma si può scendere a terra.

Le parti coalizzate erano parti coalizzate per il Governo, e non per un’opera sociale comune (salvo, forse, quella immediata); esse miravano chi alla Città del Vaticano, chi a Mosca, chi a Londra, e recentemente anche a New York. Senza immeschinire la questione sino a pretendere che si mirava soltanto ai vantaggi temporali del potere; è certo che il Comitato di salute pubblica si proponeva soltanto l’utile particolare di ciascuna delle tre parti coalizzate.

Da ciò la loro crisi permanente. La triarchia ebbe per progenitrice l’esarchia. Triarchia ed esarchia non hanno mai fatto altro che beccarsi. Le critiche personali che i capi dei sei gruppi, poi dei tre, si son rivolte reciprocamente hanno superato anche la media di una polemica politica giunta in Italia al livello del truogolo o del rigagnolo. Si può persino ammettere che i propositi delle parti contendenti fossero retti, ma le manifestazioni delle divergenze furono pietose.

Volendo essere giusti anche col diavolo, si deve ammettere che tutto questo fu la conseguenza di una lega assurda fra elementi incompatibili, tenuti insieme dall’artificiale pretesto della difesa del nuovo Stato italiano di fronte al passato prossimo del fascismo, in realtà dalla illusione che ognuna delle parti potesse ricavare un vantaggio dallo stare insieme. Che poi si sia decaduti nella omertà, il passo era breve.

È lecito parlare apertamente, senza essere tacciati di fini obliqui, come di chi sia un reazionario in agguato, o un neo-fascista dissimulato, un vero e proprio marrano o un criptofascista? Ad ogni modo è un diritto che mi prendo e che la lealtà del Presidente vorrà garantirmi.

Anzi tutto eliminiamo questa idea della reazione in agguato, anzi della destra che vuol rinascere. Questa differenza di destra o sinistra io non la capisco più. Anzi, volete che io vi dica una cosa? Se oggi ci sono, non dei reazionari, non degli induriti conservatori, ma semplicemente dei moderati o dei gradualisti, siete stati proprio voi a dare a certi elementi della vita italiana questa idea, ed a sistemare le loro teorie, alle quali essi non pensavano punto. Il nemico è sempre il nostro maestro.

Il luglio del 1943 è stato veramente uria rivoluzione, e come deve essere veramente una rivoluzione, essa cominciò dagli spiriti. La scossa fu tremenda. Credo che con l’unica eccezione degli antichi gaudenti e profittatori dei fascismo, tutti si accorsero della manifesta fallacia del fascismo. Il fascismo era la guerra, ma cosa più terribile, esso era la guerra perduta. E sia detto di passaggio: questa fu la vera colpa di Mussolini, di aver messo mano non tanto ad una guerra – perché la guerra è il destino cosmico dell’umanità – ma ad una guerra perduta in partenza, come è perduta in precedenza ogni guerra ideologica, cioè non risultante da una necessità nazionale, e che perciò non può affrontarsi senza un pieno combaciamento dell’ideologia astratta e dei sentimenti del popolo, mentre il popolo italiano, nella sua quasi totalità, era contrario all’ideologia di quella guerra. La caduta del fascismo significò del pari la caduta della monarchia e dei privilegi locali ed economici. Essa – liberando il terreno da tutte le istituzioni tradizionali o recentemente introdotte dal fascismo – aprì per l’Italia l’èra socialista, come avvenimenti analoghi l’hanno preparata ed iniziata altrove. Peraltro, dirò di passaggio, il socialismo aveva proprio per nemici i socialisti tradizionali.

Codesto socialismo non rassomigliava affatto a quello preveduto nella sua realizzazione dai «maestri». Del resto non ci sono «maestri» nelle scienze sociali. Nelle matematiche, nella fisica è differente; ed anche nelle scienze naturali, ma nelle scienze sociali le cose vanno in altro modo: si è sempre parte. Pigliate in mano un libro di disciplina storica o economica, e voi subodorerete sempre un rivoluzionario o un conservatore. I «maestri» del socialismo non parlarono mai per illustrare la verità, ma per servire le proprie tendenze. Il crescere indefinito della ricchezza, preveduto dal Marx, per esempio, non è più cosa da prendere sul serio. (Commenti – Approvazioni).

La caduta del fascismo era inevitabilmente l’avvento del socialismo. Lo provo: gli stessi democratici-cristiani, fattisi, da confessionalisti, socialisti.

Credo che ad un dipresso tutte le classi storiche del paese lo compresero. Chi non lo comprese fu – non il socialismo della parte – ma i gruppi dirigenti di esso. Del resto i veri nemici del progresso storico sono appunto le cricche dominanti delle parti. (Applausi).

Due tesi che gli avvenimenti suggerivano: favorire le esperienze immediate delle classi lavoratrici (consigli di fabbrica, consigli di gestione, cooperative socialiste, ecc.) e mettersi nelle vie della esperienza socialista. Confesso che la cosa era difficile. Non sempre gli uomini sono eguali alle circostanze, come non sempre le circostanze sono eguali agli uomini. La farsa umana è tutta in questo contrasto. Tempi possibili ed uomini impossibili, tempi impossibili e uomini possibilissimi; e si può dimostrarlo con la storia del socialismo, che non va esposta qui.

Come fu inteso il socialismo italiano? Uno spoglio dei ricchi, elemosine per i poveri: questa fu la sua pratica concreta. Non un tentativo di organizzazione industriale nel senso del socialismo fu tentato: aumenti dei salari nominali, depauperamento dell’impresa privata. Così si inaugurava soltanto il socialismo della mendicità. Ed il suo effetto fu: l’aumento della disoccupazione.

La politica del Governo, se non creò, favorì largamente l’effetto dell’aumento dei prezzi, della disoccupazione e della miseria. Le mie «avverate» previsioni all’epoca del prestito furono appunto che il prestito avrebbe accresciuta l’inflazione monetaria e fatta aumentare la disoccupazione (Commenti – Approvazioni).

Perché? Perché si fece la politica della parte al posto della politica nazionale. Politica nazionale e politica socialista possono coincidere. Però il socialismo deve essere il socialismo del proprio paese, e non quello dello straniero. Non crediate che io accetti una facile calunnia. Non ho però aspirazioni personali. Ma si può amare nella più perfetta buona fede il modello russo. Esso è inapplicabile nel nostro paese, a causa delle tradizioni, liberali le nostre, dispotiche le altre; a causa delle condizioni, di un paese ricco e disordinato quello, d’un paese povero e spontaneamente parsimonioso il nostro.

Ma è un errore supporre che il socialismo si faccia distruggendo una classe e mettendone su un’altra. Ogni società di classe è una società antisocialista. II socialismo è aclassista, vuole la soppressione delle classi. Quando è di una classe è necessariamente autoritario. Ma è così facile confondere statalismo e socialismo! Ogni socialismo statalista è un socialismo burocratico e poliziesco. Essi sono fondati sul lavoro improduttivo, e, perciò, sullo sperpero. La società socialista è una società produttivista.

In Italia era possibile avviare un’economia socialista, pigliando per punto di partenza la cooperazione, e ce ne era la predisposizione nel lassallismo. L’assistenza statale alla cooperazione è su di una strada diversa dal burocratismo e dall’autoritarismo. Nulla di tutto questo si è poi fatto.

Il triennio che va dal 1943 al 1946 ha visto la dissoluzione irreparabile della vecchia Italia agraria, padronale e protezionista plutocratica. Dire che c’è una reazione in agguato è negare la realtà della rivoluzione avvenuta in Italia. Essa però è stata il pretesto per non far nulla e per consolidare un’egemonia delle parti politiche; anzi per creare l’officialismo delle parti politiche.

Praticamente parlando, la rivoluzione antifascista è andata a finire nella disgregazione dell’economia italiana, di cui è un indice la crescente disoccupazione, e nella consolidazione della oligarchia delle parti politiche.

E passiamo alla politica estera.

È certo che i Governi formatisi dopo il luglio del 1943 non hanno fatto nulla per intraprenderne una.

Non è una giustificazione che la situazione non lo consentiva. Anche in regime di occupazione militare straniera una politica estera è possibile. La questione è di sapersi nettamente orientare. Questa politica impone, come tutte le politiche estere, un duplice atteggiamento: nelle condizioni presenti, nelle speranze future.

Una politica estera attualista è tutta volta alla soluzione delle difficoltà immediate. Esse sono: la pace e la cessazione della occupazione militare straniera. Confesso che il Trattato di pace m’interessa poco. Tutto al più può interessarmi come un problema di storia politica. Nel «Salvate l’Italia» previdi perfettamente come le cose sarebbero andate a finire. Il delitto storico di Mussolini e di Hitler fu di non prevedere che essi offrivano, ad un nemico deciso a cercarle, le occasioni che esso desiderava.

Tutta la storia d’Italia è determinata dalla situazione geografica del Paese, estrema parte di un’Europa centrale perpendicolare. Fino al XVII secolo, le sue parti settentrionali sono il campo di battaglia delle rivalità austro-francesi; a partire dalle guerre della rivoluzione francese e di Napoleone è il punto nevralgico della solidità dell’Impero britannico, o anche, se vi piace, la cerniera di esso.

L’adesione dell’Italia all’alleanza dei due Imperi, che poi fu chiamata la Triplice alleanza, fu più un desiderio britannico congiunto ad un interesse dinastico sabaudo, che una spinta italiana. E noi fummo anti-francesi per una suggestione britannica, poscia confluenti con la Francia, dopo che per la Gran Bretagna era apparso il pericolo navale germanico.

Presa dalla Gran Bretagna la decisione di eliminare per sempre il pericolo germanico, le sorti della parte meridionale dell’Europa centrale (in ordine perpendicolare) erano decise. È chiaro che ormai la nostra sorte è decisa, decisa almeno per i prossimi vent’anni.

La vecchia tesi inglese che l’Italia possa diventare un collaboratore dell’Inghilterra nel Mediterraneo: la tesi che portò ad una offerta di collaborazione nelle cose dell’Egitto, è per sempre scartata. Potrei dire «per ora»; ma gl’inglesi sono lenti e duri, e poi ormai è apparsa – sì, nel disastro – anche una volontà di indipendenza dell’Italia.

La nostra politica estera immediata è in funzione della nostra politica interna. Così si sono rovesciati i termini tradizionali di ogni politica estera: la politica interna in funzione della politica estera.

Oggi per noi non esiste la questione del Trattato di pace. Data la volontà degli alleati di farci ritornare al XVI secolo, e quindi di distruggere la nostra capacità di lavoro internazionale, non è più il caso di discutere questa o quella clausola del Trattato di pace.

Noi possiamo accettar tutto, purché ci restituiscano la nostra indipendenza su quella parte del territorio che ci hanno lasciata e ci permettano di ricostituire la nostra vita interna.

Non credo che ci sia stato un tentativo di politica estera italiana in questo triennio; e riconduco l’assenza alle condizioni di predominio delle parti politiche. Prima di tutto si è fatta della politica interna. E poi si è ceduto alla fisima di una politica estera di tradizioni internazionalistiche.

Intanto i vincitori si rifiutano di ammettere una possibilità di revisione delle loro conquiste: forse loro unico punto di convergenza e di accordo. Perché non si fece l’unità d’Italia sino dai principî del XIX secolo; perché oggi l’Italia deve essere mantenuta nella dipendenza? Fino ai principî del secolo XIX l’Italia era il campo di aggiramento reciproco della Germania e della Francia. Scartata la Germania, il suo posto è preso dalla Russia. Ad ogni modo essa è l’unico ostacolo al predominio inglese nel Mediterraneo. Si tratta di eliminare definitivamente questo ostacolo.

Ecco il vero segreto del rifiuto dei vincitori di ammettere la possibilità di una revisione del trattato imposto all’Italia.

L’Italia deve ripiegarsi su se stessa, e pensare alla propria ricostituzione interna. L’idea di rendersi estranei tanto ad un blocco occidentale, quanto a un blocco orientale, deve considerarsi soltanto come una conseguenza di questa politica. Non mi pare nemmeno che sia da prendere in considerazione il suggerimento di mostrare la propria condiscendenza verso vicini di destra o di sinistra che non inclinano verso nessuna reciprocità. La Francia non ci ama; sono quaranta anni che facciamo degli inutili sforzi per renderla nostra amica. La conformità linguistica non è conformità razziale. Essa ritorna alla nozione dell’impero coloniale, e si trova accanto all’Inghilterra nella sua politica di abbassamento dell’Italia nel Mediterraneo. Quanto alla Jugoslavia, essa eredita le posizioni austriache verso l’Italia. Il grande dissenso è l’Adriatico. L’Austria popolò di slavi l’Istria per disitalianizzarla. La Jugoslavia ne approfitta per prendersi l’Adriatico.

Quali illusioni avere? L’Italia deve pensare a sé. Se l’Italia ridiventerà una nazione forte, questi problemi – anche senza guerre – potranno risolversi; e se no, il triste destino del nostro Paese, dal XVI al XIX secolo, continuerà.

Per noi non c’è che il problema della ricostruzione interna. Tutto il resto è secondario.

Per la ricostruzione interna occorre soprattutto un Governo serio, omogeneo, intraprendente. Il Governo attuale non può aspirare a soddisfare queste esigenze.

La mia opinione è che la futura consultazione elettorale non potrà perpetuare l’attuale compagine. Io credo che i risultati del referendum permettono qualche speranza. I dieci milioni di voti per la monarchia non sono voti per la triarchia. Il problema istituzionale è sciolto. Le illusioni di qualche ritardatario gruppo monarchico sono fantastiche. Ma se voi lo ricordate, io non credo più alla esistenza di reazionari nel nostro Paese. Credo che il dilemma sia: inettitudine triarchica e iniziativa popolare. L’iniziativa popolare può venire dai dieci milioni di voti che, votando contro l’esarchia, preparano un governo migliore.

La mia idea è che voi non potete fare nulla d’efficace. Il miscuglio della vostra composizione lo esclude. Confido in un’Italia che cominci dalle prossime elezioni. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perrone-Capano. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, conto di restare strettamente all’argomento: «Comunicazioni del Governo» e, forse, vi stupirà quello che sto per dirvi.

Mi propongo di esaltare – allegro, ma non troppo – l’opera di Fausto Gullo, di criticare l’opera dell’onorevole De Gasperi e dell’onorevole Segni.

Vi farò grazia di un discorso sulla firma del Trattato, e sul modo onde è stata impostata e poi risolta la crisi ministeriale.

La firma che disonora e degrada di fronte alla storia non è, a mio avviso, quella del vinto che, inerme e con la coscienza a posto, deve subire il dettato; ma è quella che al dettato appone il vincitore, il quale, abusando della sua forza, abusando delle sue possibilità, viene meno alla sua parola e offende, prima che il popolo italiano, l’Europa e la democrazia con una pace che è ingiusta quanto sciocca.

Della crisi vorrei dire una sola cosa: che essa ha avuto anche un altro benefico effetto, oltre quello indicato l’altro ieri in quest’aula dall’onorevole Corbino: ha provocato, cioè, questa discussione.

Onorevoli colleghi, il patto tra Governo e popolo, che fu sancito dalla legge 16 marzo 1945 e poi dal voto del 2 giugno, attribuiva a questa Assemblea Costituente, accanto al compito di stendere la Costituzione del nuovo Stato italiano e di approvare i trattati e le leggi elettorali, il compito che, sino ad oggi, l’Assemblea non ancora ha iniziato, cioè una funzione strettamente e squisitamente politica che l’Assemblea ha cercato in tutti i modi di esercitare e che, viceversa, le è stata, si può dire costantemente, inibita. Onde appunto dobbiamo ringraziare la crisi, se possiamo finalmente in un certo qual modo esercitarla.

Noi abbiamo cercato – deputati di tutti i settori e gruppi di deputati – di investire l’opera del Governo con le nostre interpellanze volte a considerare, a criticare aspetti molteplici e, molte volte, notevoli dell’azione governativa. Abbiamo visto le nostre interpellanze quasi costantemente muffire o sugli scrittoi dei Ministri o tra la polvere degli archivi. E, questo sia consentito dirlo; e chi lo dice crede di interpretare un sentimento, un’idea comune a tutti i banchi di questa Assemblea: non è un contributo dato all’attuazione della democrazia, un contributo, onorevole De Gasperi, a quella educazione democratica che al Paese deve esser data sotto la guida e, vorrei aggiungere, la responsabilità del Governo. Perché è impossibile negare che anche una Assemblea Costituente deve essere guidata dal Governo. Il Governo è costantemente fuggito di fronte alle nostre richieste: è parso che non avesse voluto sentir parlare, ad esempio, delle inchieste sui fatti del Viminale o sui fatti d’Emilia, né dei Consorzi agrari e del modo onde tecnicamente, ad esempio, deve essere disciplinato il fenomeno dell’assorbimento della disoccupazione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non siamo fuggiti. Abbiamo agito, e non abbiamo parlato.

PERRONE CAPANO. Dei fatti diremo dopo. Ma ella non ha, signor Presidente, accordato all’Assemblea, opposizione e maggioranza, quella soddisfazione che l’Assemblea aveva il diritto di avere, perché, quando l’Assemblea poneva, come tante volte ha posto, queste questioni sul terreno, aveva diritto di ottenere una risposta, aveva diritto di affrontare su ciascuno di questi argomenti una pubblica discussione.

DE GASPERI Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma lei non è l’Assemblea!

PERRONE CAPANO. L’Assemblea è rimasta completamente chiusa. Anche questa nostra discussione solo oggi sembra che si avvii veramente ad essere una discussione, mentre nei giorni passati è trascorsa di rinvio in rinvio. Noi diciamo, onorevole De Gasperi, che l’insegnamento di Cavour non deve essere dimenticato. Il Governo si deve e si può sentire tanto più forte, quanto più a lungo è aperta la Camera.

Benvenuto, sia detto dunque a questa discussione, nel corso della quale mi auguro che siano portati al vaglio della critica argomenti concreti.

Ho detto che avrei voluto esaltare l’opera dell’onorevole Gullo, criticare quella dei suoi successori. Non sembri questa una battuta di spirito. Vuole essere, fino ad un certo punto, una sincera constatazione.

Voglio dunque alludere al settore dell’azione politica del Governo nel campo dell’agricoltura. È un campo di importanza fondamentale nella vita del Paese; un campo nel quale, potrei osare di affermare che andrebbe capovolta la proposizione tante volte enunciata dall’onorevole Nenni: technique, non politique d’abord! Si guardi, per esempio, al settore dei Consorzi agrari. Non si preoccupi il mio amico onorevole Pastore. Non intendo dire che nella famiglia consortile debba essere inibito l’ingresso al lavoratore. Al contrario. Io, infatti, sono perfettamente d’accordo con quella parte della Camera nel ritenere che i Consorzi agrari devono essere restituiti agli agricoltori. E, quando si dice agricoltori, si dice innanzitutto lavoratori della terra, perché i lavoratori della terra sono, senza dubbio, parte integrante della famiglia degli agricoltori. Ma quello che io deploro, ed in questa deplorazione ritengo che dovremmo essere tutti d’accordo, è che si continua a tenere in sofferenza l’attesa, l’annunciata, riforma della legge regolatrice dei Consorzi agrari, e si continua a mantenere la quasi totalità dei Consorzi stessi sotto il regime commissariale, affidato ieri ad uomini di parte comunista, oggi in maggioranza ad uomini di parte democristiana. (Commenti).

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e foreste. Non è vero.

PERRONE CAPANO. È verissimo. E potrei fare i nomi. Incominciamo, per esempio, dal Consorzio agrario di Bari. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompano!

PERRONE CAPANO. Dalla lettura dei giornali che si occupano di agricoltura vedo che questa lamentela parte anche da altre parti d’Italia. Ad ogni modo, onorevoli colleghi, lasciamo i casi particolari e guardiamo il problema nel suo complesso.

Darò conto frase per frase, fatto per fatto, di tutto ciò che verrò affermando. Ma lasciatemi dire. Non ho detto che i commissari sono dei disonesti. Dico che sono commissari, mentre sarebbe necessario, una buona volta, che non i commissari reggessero i Consorzi, ma delle regolari amministrazioni nominate dai Consorzi stessi. Dico che, per effetto delle amministrazioni commissariali, si verifica che i commissari, per essere in generale degli elementi politici, si occupano di politica e non si occupano dei Consorzi. Ed allora accade quanto, ad esempio, è accaduto nell’ambito del Consorzio agrario provinciale di Bari, dove di fatti, per dirne alcune, in questo momento si celebra un gravissimo dibattito in Corte di assise per malversazioni in danno del patrimonio consortile; dove, a Canosa, è accaduto che, recatasi una Commissione ad ispezionare i depositi dell’olio di quel Consorzio agrario comunale, in uno ne ha trovato 200 quintali di meno e in un altro ha trovato 150 quintali di acqua invece di olio, e dove è accaduto ancora che un cassiere ha potuto prendere il volo con dodici milioni in tasca! Ora, noi non diciamo che questo è dipeso dalla complicità di Tizio o Caio, ma diciamo che i Consorzi agrari hanno bisogno una buona volta di uscire dal regime eccezionale per rientrare nel regime ordinario.

Regolamento tecnico della disoccupazione.

La disoccupazione, di cui si è parlato fino ad oggi, è stata sempre e soltanto la disoccupazione industriale, al riguardo della quale lo Stato è intervenuto soccorrendo gli industriali. Occupiamoci invece, una buona volta, della disoccupazione nel campo agricolo, ove essa non è meno gravosa e deleteria.

Ora sta di fatto che in questo campo non si possono, in sostanza, fare rimproveri né ai lavoratori né agli agricoltori, ma se ne devono fare allo Stato. I lavoratori hanno ragione, perché chi ha fame ha diritto ad avere lavoro e pane. Gli agricoltori hanno ragione, e sono venuti incontro ai lavoratori attuando un po’ in tutte le provincie degli accordi sindacali, consacrati da altrettanti decreti prefettizi, che hanno dato luogo a quella che si suole chiamare l’imposizione obbligatoria della mano d’opera.

Ma non basta questa buona volontà degli uni e degli altri. Quando, onorevoli colleghi, si addiviene alla stipulazione di questi accordi, in sostanza si consacrano due principî egualmente esatti: il primo è che il lavoratore veramente disoccupato ha il diritto di essere occupato; il secondo è che ogni azienda agricola ha il dovere di assorbire tanta mano d’opera fin quanto è capace di assorbirne, e non oltre. E quando appunto si dice «quanta è capace di assorbirne», si allude evidentemente al massimo della sua capacità. Ma a questo punto, perché si evitino inconvenienti spiacevoli, i quali tornano a danno, non soltanto delle aziende agricole, ma della produzione, del mantenimento dell’ordine pubblico, della tranquillità cittadina e quindi in definitiva degli stessi lavoratori, occorrono due cose e queste due cose sono a carico dello Stato. Lo Stato, fino adesso, non ha mostrato di aver compiuto con piena intelligenza questo suo duplice dovere, giacché, mentre ha fatto qualche cosa con il decreto 1° luglio 1946, che tende ad aiutare gli agricoltori i quali si accingano ad opere straordinarie, nei loro terreni, al fine di determinare un maggiore assorbimento di lavoratori, mentre ha teso la mano ai disoccupati, elargendo dei sussidi, i quali sussidi, in definitiva, costituiscono una causa di moltiplicazione e di mortificazione dei disoccupati stessi, non ha pensato e sembra che non intenda pensare, ma deve pensarci, a garantire che la selezione della disoccupazione avvenga in maniera che sia dato definitivamente il bando a quel fenomeno della inflazione della disoccupazione, di cui si sono dati carico tante volte onestamente gli stessi autorevoli rappresentanti della classe lavoratrice; e perché le aliquote di disoccupati, risultanti in eccedenza sulle quantità assorbibili in ogni zona cruciale da parte dello aziende agricole, trovino lavoro presso lo Stato stesso, cioè a dire in opere pubbliche preparate, progettate, disposte in tempo. Questo è fondamentale, onorevoli colleghi, perché non è scritto in nessun libro, che, dispostasi l’imposizione obbligatoria della mano d’opera, la capacità di assorbimento delle singole zone sia tale da poter dare lavoro a tutte le maestranze locali. Le maestranze locali possono eccedere questa capacità di assorbimento ed alle quote che eccedono non si può rispondere dicendo di mangiare domani, né si può pretendere che esse siano addebitate alle stesse aziende, che abbiano già avuto le precedenti assegnazioni, perché in questo modo si attenterebbe alla base stessa della produzione, si determinerebbero maggiori costi di produzione, e quindi il danno delle classi lavoratrici.

Ed è così che si spiegano quegli incidenti, quelle manifestazioni che tante volte la stampa ha narrato e che con vivo senso di raccapriccio tutti quanti noi abbiamo appreso. Allora si suole dare dagli uni il crucifige ai lavoratori, come colpevoli, o agli agricoltori, come se essi fossero tetragoni ai loro doveri. La verità invece è che la colpa non è né degli uni né degli altri, ma risale a chi, pur dovendolo, non ha saputo disciplinare il fenomeno del collocamento dei disoccupati; giacché i tumulti sono opera delle quote di lavoratori rimasti in eccedenza, le quali non possono non protestare. Ed è noto che quando taluno protesta, e legittimamente protesta per l’affermazione e per il riconoscimento di un suo diritto sacrosanto, accade, e tutti noi ne siamo esperti, che agenti provocatori, elementi torbidi si mescolano alle agitazioni e alle manifestazioni con le conseguenze che sono note e che io ho or ora deprecate e ne derivano speculazioni politiche e confusione sociale.

Quindi è necessario che lo Stato consideri il problema della disoccupazione, non solo nel quadro dell’incremento dell’iniziativa privata, trionfando la quale e dandosi progresso e sviluppo alla produzione sarà il medicamento sovrano, ma facendo sì che, in corso di applicazione delle panacee, dei rimedî, cioè, diretti a curare le manifestazioni, le conseguenze del male, queste cure, queste panacee abbiano luogo in maniera organica e preventiva.

Terre incolte ed occupazioni di terreni. Ecco il primo punto dove il contrasto fra la legislazione Segni e la legislazione Gullo appare in tutta la sua evidenza, e dobbiamo riconoscere che l’onorevole Gullo, forse perché a parte il rimprovero che tempo fa poté muovergli il suo compagno Pertini – è uomo di legge. (Commenti – Interruzioni al centro).

Se anche l’onorevole Segni proviene dalla stessa categoria, sono ben lieto di dargliene atto, ma devo ritenere che, di fronte ai canoni che presiedono alla formulazione delle leggi, che sono cioè la chiarezza e la delimitazione dell’oggetto di fronte al quale le norme giuridiche devono avere esecuzione, è stato più in linea l’onorevole Gullo che non l’onorevole Segni. Absit injuria verbis. Sono i documenti che parlano. E sono ben lieto di poter ricorrere, da avvocato, alle testimonianze e ai titoli che mi vengono proprio dalla parte opposta.

Perché, vedete, io trovo che la legge 19 ottobre 1944, quando dettava che oggetto di assegnazione alle cooperative dovessero essere i terreni non coltivati o insufficientemente coltivati, in relazione alle loro qualità, alle condizioni agricole del luogo, e alle esigenze colturali dell’azienda, delimitava, con chiarezza e precisione maggiori di quanto non siano usate nel successivo decreto Segni, la sfera di applicazione del decreto stesso. Il decreto Segni, infatti, ha parlato invece di terreni incolti o insufficientemente coltivati, tali da poter essere suscettibili di un metodo di coltura più intensivo in relazione alle necessità della produzione agricola nazionale, con una dizione, dunque, equivoca e troppo lata.

Ora, sia bene inteso, non si tratta di attentare ai principî informatori di questi due decreti. I principî noi li accettiamo pienamente. Sono principî profondamente liberali, perché non può esservi liberale che non combatta la proprietà assenteistica, che non riconosca la necessità che la terra sia resa il più possibile produttiva e che al fenomeno della produzione siano chiamati a partecipare in prima linea i contadini, i quali sono coloro che indiscutibilmente, in ordine logico e morale, costituiscono il numero uno nella famiglia agricola.

Si tratta soltanto di criticare la dizione tecnica del decreto per le conseguenze che l’errata dizione determina.

Certo è che, mentre il decreto Gullo non dette luogo ad inconvenienti ed abusi, il decreto Segni è stato come una maglia attraverso la quale è riuscito possibile immettere ogni sorta di incongruenze e di abusi.

I fatti parlano; i fatti che sono stati denunciati con ripetute interpellanze da diversi settori di questa Assemblea al Governo; i fatti di cui sono piene le gazzette, e che tutti segnalano. Perché non è una menzogna, per esempio, che in provincia di Caltanissetta un prefetto, richiesto di assegnare ad una cooperativa settanta ettari di terreno in una tenuta che ne contava 750 (e questi 750 erano perfettamente in regola sotto l’aspetto della coltivazione e della produttività), avendo avuto parere negativo dal consulente tecnico richiesto di esporre la sua opinione in merito alla domanda avanzata dalla cooperativa, non potendo accordare i 70 ettari, ha concesso l’intera tenuta di 750 ettari. (Commenti).

Una voce. Allora è il prefetto che ha sbagliato.

PERRONE CAPANO. Non avrebbe potuto sbagliare, se la legge fosse stata concepita in termini diversi. Il prefetto, in tanto ha sbagliato, in quanto la legge, con la sua dizione elastica, troppo elastica, gli permetteva di fare entrare dalla finestra quello che non poteva entrare dalla porta. A Grosseto sono stati concessi a pseudocooperative di contadini terreni che erano in regolare possesso di mezzadri; e questi hanno fatto ricorso alle autorità contro il provvedimento.

Ad Agrigento si sono avuti episodi ancora più spiacevoli. Si è verificato, ad esempio, il caso d’un provvedimento che doveva essere dato in contradittorio in un determinato giorno e che, viceversa, è stato dato in anticipo di parecchi giorni per mettere la parte interessata, che aveva dalla sua la ragione, di fronte al fatto compiuto.

In Calabria si è verificata una serie di occupazioni di terreni da parte di cooperative.

Una voce a sinistra. Citi i nomi, quando parla della Calabria.

PERRONE CAPANO. Voi li conoscete molto bene i nomi, anche qui dentro.

Ogni sorta di accuse è venuta in seguito alla emanazione di questa legge, la quale non ha saputo segnare confini chiari e limpidi alla sua applicazione; sino al caso classico di Matera.

Lì, come sapete, il prefetto, invocando il famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale (in merito alla interpretazione del quale ci si dovrebbe una buona volta mettere d’accordo, perché non se ne faccia uso ed abuso), ha ritenuto di potere staccare sistematicamente da ogni azienda, che eccedesse i 40 ettari di terreno, una quota proporzionale e progressiva, determinando, naturalmente, le proteste di quella popolazione. C’è stato il ricorso al Consiglio di Stato e questo ha annullato il decreto.

Ora non è evidentemente in questo modo, onorevoli colleghi, che si può e si deve attendere all’applicazione d’un saggio principio, il quale ha, indiscutibilmente, un altissimo contenuto etico, economico e sociale e che non deve essere, appunto per questo suo contenuto, strumento di violenza e di abusi, sovrattutto di abusi, e di abusi talvolta deplorevoli, e tanto maggiormente, in quanto essi hanno rivelato apertamente il proposito speculativo.

Perché, onorevoli colleghi, non è stato soltanto il prefetto, che si è rivelato debole e che ha abusato della larghezza della legge, per farvi rientrare quello che non poteva entrarvi, ma sono state d’accordo le cooperative, che, tante volte, sono sorte col nome di cooperative di reduci o di combattenti e nel loro seno, invece di contadini, contenevano, sì, reduci e combattenti, ma reduci maestri elementari, combattenti farmacisti! E queste cooperative, una volta avuta l’assegnazione del terreno, hanno finito spesso col retrocederlo, a titolo di affitto, allo stesso proprietario!

Un terreno pascolativo, assegnato per la trasformazione in seminativo, veniva nel Lazio affittato a pastori.

Questi sono fatti documentati e documentabili, contro i quali tutti quanti dobbiamo concordamente reagire, perché a tutti deve premere che, viceversa, il decreto serva ai fini, per i quali è stato dettato. E perché serva a questi fini, il da fare non è poi tanto arduo e non deve essere ispirato a criteri reazionari o a criteri riprovevoli. Basta, ad esempio, che si ritorni alla dizione più chiara della legge Gullo 19 ottobre 1944; basta che si chiarisca ai prefetti che l’articolo 19 della legge comunale e provinciale non è la boîte à surprise, il dato del quale il prefetto si possa servire per mettere fondo a tutte le leggi patrie e passare al di sopra delle leggi stesse, ma è la facoltà di agire con la massima libertà entro l’orbita dei poteri che al prefetto stesso vengono dalla legge comunale e provinciale, di cui l’articolo 19 fa parte. Basterà che si riconosca, anche nel campo dell’assegnazione delle terre incolte, il diritto di appello dal provvedimento di primo grado; in quanto oggi si verifica la strana situazione per cui, mentre il reclamo è consentito, nel caso di rigetto della domanda, attraverso l’azione dell’Ispettorato compartimentale dell’agricoltura, mentre il reclamo è consentito altresì avverso il provvedimento che per avventura revochi l’assegnazione della terra – e tutto questo non si può dire malfatto… (Interruzioni a sinistra) giacché il doppio grado di giurisdizione è sempre una garanzia di giustizia – viceversa l’appello, il ricorso non è consentito nel caso in cui l’assegnazione sia accolta! (Commenti a sinistra).

Ma perché vi dispiacete, se in definitiva io non faccio che richiamare le norme che sono venute proprio da voi, dai vostri uomini, i principî da voi enunciati, e che sono in questo caso anche i nostri? Io mi richiamo alle norme dettate legislativamente dai vostri esponenti, e dico che il doppio grado di giurisdizione è un diritto che deve essere riconosciuto a tutti, e non riconosciuto agli uni e negato agli altri.

E infine mi appello ancora una volta ad un altro vostro autorevole esponente, perché noi siamo i primi a riconoscere, quando i vostri autorevoli esponenti fanno bene, che essi obbediscono a dettati di ragione e di logica: mi appello a quanto è stato fatto dall’onorevole Romita nel campo di applicazione delle cooperative nel settore dei lavori pubblici. È necessario richiedere dalle cooperative assegnatarie dei terreni le stesse garanzie di tecnica, di capacità, di organizzazione, di attitudine a finanziare le opere, che sono state richieste per le cooperative che concorrono per l’assegnazione dei lavori pubblici.

E quando parlo di Gullo o di Romita, parlo, tra l’altro, di due immobili per destinazione (Commenti), perché essi sono infatti immobili per destinazione al Governo dell’esarchia prima, della triarchia dopo.

Ultimo argomento. (Rumori al centro).

Vi dà fastidio la critica? No? E allora noi dobbiamo in questo essere d’accordo – penso – con l’onorevole Conti, il quale appunto ieri diceva: «Parole poche, ma critica, ma opposizione – purché non sia sistematica, ma ragionata – sì». E del resto, se non vi fosse un’opposizione, se non vi fosse una critica, l’unanimità dei consensi sarebbe veramente avvilente.

Mezzadrie e compartecipazioni. Anche qui bisogna riconoscere che, per lo meno sotto l’aspetto dell’astuzia elettoralistica, il comunista è stato più abile del democratico cristiano.

Perché anche qui assistiamo a questa situazione: che, mentre di fronte alle sperequazioni determinate dalla guerra nell’economia dei contratti di mezzadria e di compartecipazione, l’onorevole Gullo dette, con altro decreto del 19 ottobre 1944, una disposizione elastica, la quale permetteva, nei singoli casi, di adeguare il compenso all’indole e all’entità dei danni e alla diminuzione di produzione, quando essi vi fossero stati, il cosiddetto giudizio dell’onorevole De Gasperi non ha fatto altrettanto, perché ha avuto il torto di porre su una stessa piattaforma automaticamente i casi di danno in dipendenza del conflitto con i casi in cui, al contrario, non un danno, ma un vantaggio vi era stato, perché non si può negare che, dove la guerra sia realmente passata ed abbia operato le sue distruzioni, ivi sia stato un danno, ivi siasi verificata una diminuzione di produzione, ivi ricorra un titolo di risarcimento; dove viceversa la guerra non sia passata e l’agricoltura abbia potuto ugualmente esplicare la sua mansione, ivi quegli, che ha avuto la fortuna di rimanere attaccato alla terra e di goderne i frutti, dei vantaggi ha riportato e non dei danni dalla guerra. Ebbene, il giudizio dell’onorevole De Gasperi – non vorrei che tutto il giudizio dell’onorevole De Gasperi rimanesse condensato lì – ha fatto piazza pulita, ha posto sullo stesso piano un caso e l’altro!

Una voce a sinistra. Ha fatto bene.

PERRONE CAPANO. Ed oggi si afferma di volere l’estensione, dalle Alpi al Lilibeo, di quei criteri di cui ho parlato e di volerli applicare nel settore delle compartecipazioni. Ora siamo ancora al punto di partenza, dove eravamo a proposito del problema che abbiamo considerato prima: nessuna reiezione, accoglimento integrale, anzi, del principio informatore che bisogna venire incontro al mezzadro, come al compartecipante, perché l’uno e l’altro sono, in linea astratta, da segnare all’ordine del giorno della nazione come benemeriti della produzione nazionale e quindi di quel campo dal quale la vita del Paese ha potuto trarre alimento. Ma un altro concetto occorre fissare e, al riguardo di esso, bisogna avere l’onestà di parlarsi con chiarezza: si intende mantenere in vita il contratto di mezzadria? Si intende mantenere in vita il contratto di compartecipazione? O si intende attentare alla esistenza di essi, e quindi, in definitiva, travolgerli? Se si intende travolgerli, che questo avvenga e avvenga con chiarezza, senza determinare tutti fenomeni e tutti gli episodi che sono passati dinanzi agli occhi attoniti del Paese e passano tuttora: alludo ai dolorosi episodi delle campagne emiliane e toscane, di cui sono piene tutte le nostre gazzette. È superfluo attardarsi a sequestrare o sopprimere agricoltori ed a creare consigli di fattorie, di aziende o di cascine; è meglio dire chiaro e tondo che la mezzadria e la compartecipazione hanno fatto il loro tempo. Ma, se è vero, onorevoli colleghi, che la mezzadria è un contratto che ha ricevuto attraverso una esperienza secolare il collaudo e il vaglio della storia e del tempo, se è vero che la compartecipazione, pur non potendo vantare gli stessi titoli di anzianità secolare vantati dal contratto di mezzadria classica, previsto dall’articolo 2141 del Codice civile, ha prodotto anch’essa i suoi benefici effetti, specialmente nelle provincie meridionali, dove infatti, a mezzo delle compartecipazioni, il bracciantato agricolo è stato largamente ridotto ed una parte notevolissima di esso si è trasformata in una agiata piccola borghesia rurale; se dunque è vero che la mezzadria e la compartecipazione hanno questi titoli, allora riformiamole, adeguiamole ai tempi, poniamo indiscutibilmente al numero uno il diritto del mezzadro e del partecipante alla pari con gli altri diritti del lavoro, ma non facciamo tutto questo caoticamente e in maniera demagogica, facciamolo razionalmente.

Nel corso delle discussioni e dei dibattiti, che si sono svolti proprio per l’esame di questi problemi, si sono manifestati due indirizzi: quello distributivo e quello produttivo. L’indirizzo distributivo si rivela indubbiamente più demagogico; quello produttivo più aderente alle necessità dell’ora che volge, della nazione, della classe lavoratrice.

Intendo dire, onorevoli colleghi, che bisogna uscire, sì, d’accordo, dall’astrattismo delle formule rigide, dalla tirannia di certi cancelli, i quali talvolta possono rappresentare veramente delle ingiustificate barriere; ma non bisogna creare cancelli nuovi, criteri rigidi nuovi. Così, per esempio, in materia di mezzadria e di compartecipazione, non spostare il contenuto fondamentale e la base strutturale del contratto si deve, ma tenere presente, ad esempio, l’adozione del criterio della quota di conguaglio, come quella, che, adattandosi caso per caso, meglio rispetta le variabili, mutevoli condizioni degli ambienti, delle persone, delle cose.

E che cosa è la quota di conguaglio?

È precisamente il prelievo che può venire riconosciuto al mezzadro o al compartecipante in ragione della diversa produttività del terreno, e quindi della maggiore entità di sforzi che egli abbia dovuto compiere per rendere il terreno arido altamente produttivo.

Bisogna, dunque, adottare formule che non siano demagogiche, a sfondo elettoralistico, ma abbiano un concreto e profondo contenuto sociale ed economico. Bisogna avere di mira, innanzitutto e soprattutto, l’interesse della produzione, e così mettere in pratica ciò che avant’ieri diceva il Presidente del Consiglio. Bisogna – egli affermava – fare in maniera che la collaborazione organica fra capitale e lavoro si affermi sempre di più: ed il Governo si impegna di proteggerla.

Ebbene, i contratti di mezzadria e di compartecipazione segnano proprio il punto di incontro fra capitale e lavoro, la consacrazione della collaborazione sociale fra queste due forze che rappresentano le due diverse e concorrenti facce del fenomeno della produzione. Facciamo in modo che la collaborazione, e non il contrasto, trionfi e si affermi. Quando avremo fatto questo, avremo reso un servizio all’agricoltura e all’Italia.

A questo punto, onorevoli colleghi, debbo dirvi che i problemi dell’agricoltura non si debbono dissociare da quelli della politica interna, e particolarmente da quelli che riguardano il rispetto dell’ordine pubblico.

Tutta l’attività dei nostro Paese che, come ebbe esattamente a notare l’onorevole Corbino, dimostra una crescente vitalità e di essere tanto più capace e feconda quanto meno è inceppata dall’azione di un Governo in cui elementi disparati e contrari si elidano e contrastino a vicenda; tutta l’attività nazionale ha bisogno di serenità e di pace, per svolgersi in un ambiente di sicurezza e di tranquillità.

Noi non invochiamo, onorevole Nenni, il feticcio insanguinato, perché nessun feticcio insanguinato ha rappresentato mai l’elemento di una collaborazione feconda ed utile per l’avvenire delle categorie sociali che operano nell’interesse del Paese.

Noi diciamo che il Governo deve dare la sensazione di essere, esso per il primo, al servizio della legge e deve operare perché l’impero della legge in Italia, una volta per sempre, si affermi e sia rispettato.

Non vi può essere ordine senza legalità, senza rispetto della legge, e quando non v’è rispetto della legge non vi può essere libertà, e senza libertà non vi può essere giustizia.

Onorevoli colleghi, in Italia circolano ancora troppi stranieri per le vie e sono quelli che ci portano via l’olio ed il grano per restituirci armi e tritolo. Abbiamo letto persino ieri sulla stampa che automobili innocentissime in apparenza trasportavano quintali di tritolo!

Noi vogliamo che questi stranieri diano conto della loro presenza. Il Governo si è preoccupato di questo fatto, ma soltanto dopo che uno slavo ha ucciso un altro slavo. Noi diciamo che non doveva il Governo attendere che sul suolo della nostra Patria, l’Irgun Zwei Leumi venisse a compiere le sue esercitazioni terroristiche o che lo slavo cetnico venisse a massacrare lo slavo titino, per darci finalmente la soddisfazione di dire allo straniero che non ha le carte in regola: tu non hai diritto di venire a mangiare il nostro pane e a disturbare la nostra pace e devi uscire dal territorio nazionale e non avvicinarti di notte tempo alle nostre coste con velieri o con barche per portar via i prodotti alimentari necessari alla vita del nostro Paese. (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra).

Ma voi siete Deputati della Jugoslavia o siete Deputati italiani, siete i Deputati della Camera di Tito o i Deputati della Camera italiana? (Commenti).

Noi non possiamo ammettere che vi sia questa gente che ci derubi e che ci porti in cambio il tritolo!

Io credo di avere una dizione limpida ed una parola dall’accento potente (Si ride), se anche non armonioso. So bene che voi amate la musica monocorde. Lo spettacolo della partitocrazia trionfante che ci state offrendo è la dimostrazione migliore dell’esattezza di quello che affermo.

Io ho cominciato, mi sono poi inoltrato nel mio dire, cercando di portare il massimo rispetto a tutti i settori di questa Assemblea e di discutere delle leggi e della loro applicazione senza veleno, senza esagerazioni partigiane, ma con un solo spirito, una sola finalità: servire la verità, mettere il tecnicismo a servizio dei principî sociali. E ho detto, onorevoli colleghi, che noi accettiamo tutti i postulati, ineccepibilmente, che sono stati consacrati nelle leggi di cui abbiamo discorso, ma vogliamo che quei postulati si incornicino nel quadro della calma, della pace, della collaborazione sociale e, soprattutto, sul terreno del più completo e sicuro trionfo della democrazia.

Se ho potuto lamentare che questa Assemblea sia stata sino ad oggi chiamata poche volte ad occuparsi di quella funzione politica che non è meno aderente agli attributi suoi, di quanto lo siano la funzione costituzionale e l’obbligo di occuparsi del trattato di pace, ho potuto farlo perché, non solo il Governo ha messo le interpellanze e la funzione politica dell’Assemblea a dormire, ma perché questo hanno fatto anche – ed è doloroso constatarlo – le tre direzioni dei partiti di massa.

Ora, signori, in questo, le direzioni dei partiti di massa non si devono e non si possono sentire solidali col Governo, ma si devono sentire solidali con noi, col diritto ineccepibile di questa Assemblea. Onorevoli colleghi, è stato autorevolmente insegnato da uomini che sono in questo Parlamento e lo onorano ancora, che la democrazia cade e si corrompe quando, dimenticando il Parlamento, distribuisce onori, titoli e prebende e legifera a più non posso. L’insegnamento è di Francesco Saverio Nitti. È stato insegnato pochi giorni or sono, con l’autorità del suo nome, della sua carica, dal Capo dello Stato italiano, che non vi può essere democrazia, se non sia restituito il prestigio al Parlamento. E il prestigio al Parlamento lo potremo restituire noi, soltanto noi (Commenti a sinistra); dico tutti noi, se ci sentiremo veramente gli apostoli di questa idea democratica e degni di sedere in quest’aula. Tutti, ma noi dell’opposizione non meno di voi. E l’opposizione, onorevoli colleghi, farà onore a voi e dimostrerà il vostro sincero spirito democratico, quanto più voi le lascerete libertà di parola, tolleranza di opinioni e rispetto delle affermazioni sue. Il Parlamento in Italia deve ritornare in auge come ai tempi nei quali a quel banco (Accenna al banco del Governo) un uomo, che si chiamava Giovanni Giolitti, non soleva alzarsi e andarsene quando parlavano oratori, sia pur modestissimi, dell’opposizione. Vi sedevano, i Ministri, inchiodati con i gomiti sul banco, la testa appoggiata sulle mani per ascoltare. Perché anche le parole dell’ultimo gregario dell’ultimo partito – ed io sono il modesto rappresentante di un partito illustre – può essere il portatore di un briciolo di luce e di verità. (Applausi a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenganecessario, per elementare dovere di giustizia e di somiglianza di trattamento con altre classi di lavoratori, per i quali esiste il blocco dei licenziamenti, di sospendere di urgenza il provvedimento di congedo dei sottufficiali e dei militari di finanza, richiamati o trattenuti alle armi per il periodo bellico. Si fa notare che con il Diktat il Corpo delle guardie di finanza deve diventare un Corpo civile per cui potrà adottarsi lo stesso provvedimento elaborato dal Ministero dell’interno per la pubblica sicurezza, evitando a migliaia di padri di famiglia di essere condannati alla disoccupazione ed alla fame.

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere: se non ritenga opportuno ed urgente che la linea Bologna-Lecce per la sua importanza, e la grande affluenza di viaggiatori, sia migliorata adeguatamente con treni meglio rispondenti alle esigenze del traffico esistente.

«Se, perdurando l’impossibilità del sollecito ripristino della tratta Pescara-Roma, non debba considerarsi indispensabile concedere ai viaggiatori dell’Abruzzo un collegamento più sollecito con Ancona a mezzo treni coincidenti con quelli in partenza da Ancona per Roma e viceversa, istituendo almeno due vetture Roma-Pescara.

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, e i Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intendano adottare nei confronti del professore Livio Tanfani, preside dell’Istituto «Dante Alighieri» di Roma, qualora risultassero veri i fatti riferiti dal giornale La Repubblica d’Italia.

«Detto giornale nel suo numero dell’11 febbraio 1947, ha scritto: «… Il professore Livio Tanfani, preside del suddetto Istituto, ha fatto riunire tutti gli alunni, propinando loro una melodrammatica concione nazionalistica, al termine della quale ha lanciato il grido di Viva il re! Non contento di ciò, ha preteso – a quanto ci viene riferito – che gli studenti intonassero in coro la marcia reale e «Giovinezza».

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non si ravvisi la necessità di sollecitare la preparazione e l’approvazione del progetto per la trasformazione della strada nazionale Torino-Alba-Savona in strada camionale, alla finalità di assicurare con rapido mezzo le comunicazioni Torino-Mare e di togliere dall’isolamento la ricca regione delle Langhe albesi, che solo dall’auspicata rettifica stradale attendono il loro progresso agricolo e commerciale.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga ormai tempo di adeguare gli assegni degli assuntori di stazione ferroviaria e passaggi a livello alle paghe percepite dal personale di ruolo di eguale qualifica e liquidare gli arretrati che loro spettano. Detto personale percepisce dal 1° settembre 1945 l’irrisorio acconto mensile di lire 5700. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se abbia preso in considerazione il grave fatto, lesivo del normale funzionamento delle Università della Sardegna, secondo il quale i professori vincitori di concorso bandito per cattedre delle facoltà di Cagliari e di Sassari, non raggiungono neppure la sede, chiamati da facoltà della Penisola; e se non intenda ripristinare per i vincitori dei concorsi universitari l’obbligo della permanenza di due anni nella cattedra della facoltà per cui è stato bandito il concorso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Falchi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se siano allo studio disposizioni intese ad assicurare alle Amministrazioni comunali il rimborso integrale da parte dello Stato della spesa per il servizio del razionamento consumi e non nella somma forfetizzata in lire 39 per ogni abitante, sempre e di gran lunga inferiore al costo effettivo del servizio, che, interessando la generalità dei cittadini, dovrebbe essere a carico esclusivo dello Stato, con sollievo dei bilanci comunali da un onere notevole da fronteggiarsi sempre, trattandosi di spesa effettiva ricorrente, con mezzi straordinari. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Bazoli».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se sia allo studio il provvedimento inteso ad estendere ai militari volontari della Guerra di Liberazione il beneficio della riduzione della pratica notarile a sei mesi, già riconosciuto ai reduci dalla prigionia e dalla deportazione, quale giusto riconoscimento dei meriti di coloro, che, dopo avere combattuto a fianco delle truppe alleate, non hanno potuto subito rientrare nella vita civile, e mentre molti degli stessi, non avendo potuto usufruire del beneficio di potere terminare gli studi prima della chiamata alle armi, all’atto del congedo si sono trovati nella necessità di riprendere gli studi da lungo tempo interrotti e nella impossibilità di iscriversi alla pratica notarile se non dopo il conseguimento della laurea e di conseguire quindi l’anno di pratica egualmente ridotto per i militari della sedicente repubblica sociale. (Gl’interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Bazoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia vera la voce della prossima soppressione dei Depositi cavalli stalloni per motivi di economia.

«Un tale provvedimento sarebbe disastroso per la buona produzione ippica, mentre alle deficienze finanziarie si può ovviare passando all’Amministrazione dell’agricoltura i centri rifornimenti, non più necessari all’Amministrazione della guerra e facile preda di speculazioni private.

«La diretta conduzione di tali aziende da parte del Ministero dell’agricoltura (com’è avvenuto per la tenuta di Scordia in Sicilia, condotta dal Deposito di Catania) potrebbe non solo consentire un più utile impiego di quelle tenute, ma fornirebbe senza spesa i foraggi necessari ai vari Depositi, che potrebbero vivere senza gravare sul bilancio dello Stato e darebbe possibilità ai palafrenieri e alle rispettive famiglie di trovare ottima sistemazione nell’azienda invece di gettare, con la soppressione dei Depositi, centinaia di famiglie tra la schiera dei disoccupati.

«Indipendentemente da tutto ciò, l’interrogante ritiene che, per qualsiasi provvedimento si intenda adottare riguardo ai Depositi cavalli stalloni, debba essere esclusa l’applicazione al Deposito di Catania, in quanto, con l’imminente attuazione dell’autonomia regionale siciliana, quel Deposito passerà alle dipendenze del Governo regionale, che emetterà i provvedimenti che riterrà meglio rispondenti ai bisogni della produzione ippica della Sicilia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se rispondano a verità i fatti segnalati dalla Federterra di Brescia, secondo cui in data 27 gennaio scorso le preture riunite di Brescia ordinavano al Consorzio di Brescia la restituzione agli agricoltori Trebeschi Paolo e Gatti Giovanni di Passirano di quintali 8,34 di granoturco sequestrato dalla squadra annonaria e versato all’ammasso. Nello stesso tempo e per lo stesso fatto le preture riunite condannavano i suddetti agricoltori al pagamento di lire 1500 ciascuno. In caso affermativo l’interrogante chiede quali provvedimenti siano stati adottati, visto che non si può conciliare il pagamento di un’ammenda con la restituzione del grano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare ì Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per chiedere la revoca della disposizione (circolare del Ministero dell’interno ai Prefetti, n. 2198 del 13 novembre 1946) che pone a parziale carico dei comuni l’onere del funzionamento degli uffici imposte di consumo.

«Tutte le disposizioni governative finora emanate concernenti le amministrazioni comunali impongono pesi sempre più gravosi; nessuna di esse contempla provvidenze atte a fornire ai comuni possibilità di ricupero. Gli uffici razionamento consumi assolvono ad un servizio che in riguardo alle caratteristiche della sua organizzazione centrale e periferica, deve essere soddisfatto dallo Stato, com’è avvenuto finora.

«Se il Ministero del tesoro rileva che l’attuale situazione finanziaria del Paese non consente ulteriori aggravi per le pubbliche spese, l’argomento vale per l’Amministrazione dello Stato, ma vale ancor più per le amministrazioni comunali. Gli aumenti degli stipendi e salari ai dipendenti comunali – ampiamente giustificati dalla situazione economica – disposti d’autorità senza offrire adeguata contropartita, hanno già alterato notevolmente l’equilibrio dei bilanci comunali: il nuovo onere per gli uffici annonari accrescerà il disagio finanziario e impedirà ai comuni di por mano, sia pure con la massima parsimonia di denaro, a quelle opere ordinarie la cui esigenza di attuazione è improrogabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Luisetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non crede necessario disporre perché gli appalti di lavori approvati dai Provveditorati di opere pubbliche e per i quali lo Stato dovrebbe anticipare il finanziamento, possano essere di diritto esperiti direttamente da quei comuni che hanno adeguata attrezzatura di uffici tecnici, senza che gli Uffici provinciali del Genio civile possano interferire, ostacolando talvolta la rapidità della procedura. In casi recenti, i ritardi degli appalti dovuti a questa causa hanno determinato rilevanti aumenti nei prezzi di capitolato e resa impossibile l’esecuzione dei lavori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Luisetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e della difesa nazionale, per conoscere:

1°) quali passi diplomatici siano stati fatti, dopo il triste epilogo del processo contro il colonnello Lozzi, e quali assicurazioni furono ricevute sul conto degli altri ufficiali medici ed i connazionali tutti, rimasti in territorio albanese per sola opera umanitaria e sociale;

2°) quale trattamento economico sia stato fissato per le famiglie, di quegli arrestati, che vivono in misere condizioni economiche;

3°) se non si creda necessario ed urgente (fallendo ogni nostra diretta opera diplomatica) svolgere una decisa azione presso l’O.N.U. per tale ingiusto trattamento verso i nostri connazionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per prospettargli il pericolo di uno sviluppo esplosivo della peronospora del frumento (sclerospora) in seguito alle estese inondazioni degli scorsi giorni, sviluppo che l’esperienza ci ammonisce essere molto probabile, poco dopo il ritiro delle acque; e per sapere se, in tali circostanze, non creda necessario ed urgente di far affluire al più presto nelle zone danneggiate la quantità di nitrato di soda indispensabile come mezzo di lotta, per dare alle piantine di grano il vigore necessario per giungere a dare prodotto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non creda urgente di chiarire, possibilmente nell’auspicato testo unico delle disposizioni sul risarcimento dei danni di guerra, la portata del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 226 (Gazzetta Ufficiale 22 ottobre 1946, n. 240), particolarmente in ordine al termine perentorio di presentazione delle domande; termine che nel testo del citato decreto potrebbe ritenersi riferito ai soli fatti citati nell’ultimo capoverso dell’articolo 1, e non esteso (come sarebbe logico) a tutti i fatti elencati anche nei capoversi precedenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare affinché i nostri Consoli agevolino il movimento turistico verso l’Italia anziché ostacolarlo sottoponendo i visti di ingresso a lungaggini burocratiche, sviando cosi l’afflusso dei turisti a beneficio delle stazioni climatiche di altri paesi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pera, Canepa, Viale, Rossi Paolo, Martino Enrico, Parri».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti sono in corso o s’intendono prendere per dare autorità alle amministrazioni locali al fine di risolvere la posizione di alcuni dipendenti a suo tempo sospesi e successivamente discriminati dalle Commissioni provinciali di epurazione, quando la loro riassunzione è in contrasto con la volontà della popolazione e con gl’interessi dell’Amministrazione stessa, che oggi è tenuta ad erogare stipendi a personale che non presta servizio. Ciò anche allo scopo di evitare turbamenti alla vita cittadina e municipale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pucci, Bianchi Bruno, Gorreri, Dozza, Landi, Bucci, Platone, Lombardi Carlo, Negarville, Ricci Giuseppe».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e quali provvidenze egli abbia in animo di promuovere per attenuare i gravi danni economici subìti dai professori che, nel 1941, per avere raggiunto gli anni 65, furono collocati a riposo anche con meno di quaranta anni di servizio, in base all’iniqua legge De Vecchi, la quale modificava arbitrariamente il diritto, vigente all’atto della loro prima nomina, di insegnare fino agli anni settanta, ciò che attualmente viene concesso, pur con opportune cautele.

«E per conoscere, altresì, se egli, per evidenti ragioni di umanità, ritenga opportuno di ottenere anche per i pensionati la continuazione dell’assistenza sanitaria di cui godono i professori in servizio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Marzarotto, Gui».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.25.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  3. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.