Come nasce la Costituzione

MERCOLEDÌ 12 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXXV.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 12 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Costituzione dei Comitati direttivi di Gruppi parlamentari:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                    

Gabrieli                                                                                                            

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Laconi                                                                                                              

Romano                                                                                                            

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Presidente                                                                                                        

Scoccimarro                                                                                                    

Damiani                                                                                                            

Di Fausto                                                                                                         

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

 

La seduta comincia alle 16.

 

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Costituzione dei Comitati direttivi di Gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che il Gruppo parlamentare comunista ha proceduto alla ricostituzione del suo Comitato direttivo, che è risultato così composto: presidente, onorevole Togliatti; vicepresidenti, onorevoli Scoccimarro e Grieco; segretari, onorevoli Minio e Iotti Leonilde; componenti, onorevoli Amendola, Maffi, Allegato, Rossi Maria Maddalena.

Il Comitato direttivo, poi, del Gruppo parlamentare della democrazia cristiana è stato così costituito: presidente, onorevole Gronchi; vicepresidente, onorevole Cingolani; segretario, onorevole Andreotti; componenti, onorevoli Angelini, Avanzini, Bettiol, Caronia, Marazza, Mastino Gesumino, Moro, Ponti, Rodinò Ugo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Gabrieli al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, «per conoscere le ragioni che hanno determinato il legislatore, nel recente decreto legislativo sull’assegnazione delle terre incolte ai contadini, a non fissare il criterio da seguire per i terreni alberati. L’interrogante (ad evitare divergenze d’interpretazione, che si sono già verificate) segnala l’opportunità di integrare il testo del decreto con una norma interpretativa, diretta a stabilire che, in caso di terreni alberati, si deve avere riguardo allo stato tecnico colturale dell’albero, più che a quello del terreno sottostante».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il criterio per il riconoscimento dello stato di insufficiente coltivazione dei terreni, agli effetti dell’applicazione dei decreti legislativi 19 ottobre 1944, n. 279 e 6 settembre 1946, n. 89, è enunciato nell’articolo 1 dello stesso decreto, senza discriminazione fra terreni nudi e terreni alberati: «Sono insufficientemente coltivati i terreni adibiti a colture, siano esse erbacee o arboree, per le quali potrebbero essere praticati metodi più attivi ed intensivi, in relazione anche alla necessità della produzione agricola nazionale».

Consegue che i terreni investiti a coltura arborea possono formare oggetto di concessione, ai sensi dei menzionati decreti legislativi, tutte le volte che la coltura stessa si ravvisi insufficientemente curata o, comunque, curata in modo non conforme alle buone regole tecniche in materia, sì che se ne ottengono raccolti scarsi in confronto a quelli che potrebbero ottenersi, in relazione al grado di fertilità del suolo e alle condizioni ambientali.

E, poiché l’attività agricola nei riguardi delle colture arboree comprende non soltanto le pratiche colturali dirottamente applicate agli alberi, ma anche quelle che, pure riverberandosi, in definitiva, sulla produttività dell’albero, riguardano direttamente il suolo, è evidente che non può prescindersi dal considerare anche queste ultime in sede di valutazione dello stato colturale del fondo, agli effetti del giudizio sulla concedibilità di esso, ai sensi dei ricordati decreti legislativi. Ma l’omissione di pratiche, quali l’aratura, riguardanti il suolo, in tanto potrà, di per sé, costituire elemento dal quale scaturirà la dichiarazione di insufficiente coltivazione del terreno alberato, in quanto risulti incontrovertibilmente – e qui si tratta di un giudizio tecnico da formulare caso per caso – che l’omissione stessa, per la sua gravità e persistenza, assurge a causa unica determinante scarsi raccolti in confronto a quelli realizzati in arborati della stessa specie, vegetanti in condizioni ambientali analoghe, nei quali le pratiche colturali al suolo non furono omesse.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GABRIELI. I chiarimenti dell’onorevole Ministro possono considerarsi sodisfacenti. La questione che forma oggetto della mia interrogazione è sorta specialmente in relazione agli oliveti, ove il tradizionale accorgimento dei tecnici ha costantemente consigliato di limitare le attività colturali alla rimonda dell’albero e alla concimazione, o all’aratura del terreno sottostante, omettendo ogni altra seminagione che potesse riuscire dannosa all’efficienza produttiva dello stesso oliveto.

In rapporto a tali criteri deve ritenersi sufficientemente coltivato l’oliveto che si presenti in buone condizioni di vegetazione, anche se il terreno non sia stato sfruttato con altre colture complementari.

La formulazione dell’articolo 1 del decreto è perciò imperfetta dal punto di vista tecnico-giuridico. La dizione adoperata dal legislatore: «Possono ottenere la concessione di terroni incolti o insufficientemente coltivati, cioè tali da potervi praticare colture o metodi colturali più attivi ed intensivi», autorizza ad interpretare l’articolo nel senso che possono essere ritenuti suscettibili di concessione perché insufficientemente coltivati, anche quei terreni che, pur essendo coperti da oliveti in buone condizioni colturali, siano ritenuti eventualmente capaci di maggiore rendimento, se al posto dell’oliveto fossero praticate colture o metodi colturali più attivi o intensivi: così, ad esempio, qualora un fondo coltivato ad oliveto possa rendere di più se coltivato a vigneto, o a tabacco, o a cereali, l’autorità può ordinarne la concessione ritenendolo insufficientemente coltivato ai sensi di legge.

Mi fa piacere che il Ministro abbia dato questo chiarimento.

L’articolo in esame lascia inoltre pensare che sono suscettibili di concessione anche quei terreni olivetati che possano essere sfruttabili con colture complementari. Il danno che può derivare dall’applicazione letterale di tale articolo è enorme. Si potrebbe arrivare all’assurdo di ordinare il diradamento degli alberi di olivo per sostituirvi un’altra coltura opinata più attiva o più intensiva.

I chiarimenti che in questa sede l’onorevole Ministro ci ha dati permettono di calmare tutti gli agricoltori pugliesi e d’interpretare la portata della legge stessa facendo aderire la lettera al vero pensiero del legislatore.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile al Ministro dei Lavori Pubblici, «per sapere quali somme siano state stanziate o s’intenda di stanziare per il completamento e l’attivazione dell’acquedotto di Montescuro Ovest, opera di alto interesse pubblico, destinata a soddisfare le esigenze idriche di ben 18 comuni delle provincie di Palermo, Trapani e Agrigento».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO. Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Nel finanziamento delle opere per il completamento dell’acquedotto di Montescuro Ovest (Trapani), il Ministro dei lavori pubblici aveva predisposto un provvedimento legislativo concernente l’autorizzazione della spesa di 900 milioni, distribuita in tre esercizi: 1946-47, 1947-48 e 1948-49. Lo schema di tale provvedimento fu sottoposto all’esame dei Ministri dell’interno è del tesoro; ma, mentre il Ministro dell’interno vi ha aderito, quello del Tesoro ha fatto conoscere che dovrebbe consentire la concessione di un concorso in capitale di lire 400 milioni, ripartiti in tre esercizi e, per la rimanente somma di lire 500 milioni si potrebbe autorizzare l’Ente interessato a stipulare un apposito mutuo ai sensi dell’articolo 4 della legge 18 gennaio 1942, n. 24.

Ritenendosi opportuno, anche per evitare ulteriori perdite di tempo, di aderire all’accennata proposta, è stato predisposto, d’accordo col Ministero del tesoro, il relativo provvedimento legislativo, che sarà prossimamente esaminato dal Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’onorevole Finocchiaro Aprile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FINOCCHIARO APRILE. Sono assolutamente insodisfatto della risposta datami dal Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Prima di tutto la diminuzione, da parte del Ministero del tesoro, dello stanziamento chiesto dal Ministero dei lavori pubblici è tale da non consentire che le opere di completamento e di attivazione dell’acquedotto di Montescuro Ovest possano essere condotte con relativa sollecitudine e con generale soddisfazione a compimento. Si tratta di uno dei problemi più urgenti ed interessanti della Sicilia.

Fu mio padre a determinare l’origine e la creazione dell’acquedotto di Montescuro, ed io stesso ebbi occasione di incrementarne lo sviluppo nel pubblico interesse. L’acquedotto di Montescuro Est è stato completato con grande compiacimento delle popolazioni. Esso nacque per il servizio delle ferrovie secondarie siciliane, ma poté fortunatamente servire al rifornimento idrico di molti Comuni della Sicilia occidentale. L’abbondanza e la eccellente qualità delle acque convogliate consentì di progettare anche l’acquedotto di Montescuro Ovest, destinato a dare l’acqua a ben 18 Comuni, fra cui quello di Trapani.

Sono Comuni di grande estensione territoriale e densi di popolazione. Essi sono quelli di Giuliana, Sambuca, Menfi, Santa Margherita, Montevago, Partanna, Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Santa Ninfa, Castelvetrano, Campobello, Salemi, Vita, Calafatimi e Paceco; Comuni appartenenti a tre province siciliane.

Come vedete, è un complesso di Comuni, notevole anche numericamente, e di popolazioni che mancano quasi del tutto di acqua, costrette a subire le gravi conseguenze di tale mancanza, che sono per ciò stesso sottoposte a malattie infettive di ogni genere.

Tra questi Comuni è Trapani, centro importante anche dal punto di vista economico ed industriale. Trapani ha grande, assoluto bisogno di acqua. Ora il Ministro del tesoro viene a diminuire lo stanziamento chiesto dal Ministero dei lavori pubblici, mettendo in serio pericolo la sodisfazione dei legittimi desideri di quella cittadinanza. Trapani è capoluogo di provincia. Vorrei vedere che cosa avrebbe fatto il Governo se si fosse trattato di un capoluogo di provincia o di una città dell’Alta Italia! È una vergogna mantenere la Sicilia in queste condizioni e farle mancare persino l’acqua, tanto necessaria alla vita ed ai bisogni delle popolazioni.

Per quanto riguarda Trapani, è vero che vi è un altro sistema di rifornimento idrico in progetto, ma questo progetto sarà molto dispendioso e la costruzione dell’acquedotto per Trapani potrebbe determinare grossi inconvenienti anche per le finanze dello Stato. Per il solo acquedotto di Trapani sono preventivati 290 milioni di lire per dare alla città 60 litri di acqua al secondo. Viceversa, utilizzando l’acquedotto di Montescuro Ovest, la città di Trapani potrebbe essere ugualmente rifornita con una lieve diminuzione a 55 litri al secondo. Si tratta di un acquedotto che può convogliare una massa importante di acqua e può dare una fornitura di litri 168 al secondo, pari a 14.428 litri sulle 48 ore.

È, dunque, assolutamente necessario che il Ministero dei lavori pubblici insista presso il Ministero del tesoro perché lo stanziamento sia portato alla somma di 900 milioni di lire precedentemente chiesta e appena sufficiente, altrimenti il problema non sarà risoluto o sarà risoluto in modo molto parziale, imperfetto e fors’anche dannoso.

Sono quindi assolutamente insoddisfatto della risposta del Governo.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Finocchiaro Aprile, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per le urgenti opere di riparazione e di ricostruzione del porto di Messina, che richiede altresì importanti impianti ed attrezzature per potere assolvere il suo precipuo compito di centro dell’attività marittima e mercantile del Mediterraneo, anche ai fini dell’indispensabile creazione della zona franca».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Per la parziale ricostruzione del porto di Messina è stato compilato ed approvato tecnicamente un progetto di massima che prevede una spesa di lire 500 milioni.

L’attività svolta in attuazione di tale progetto si riassume come appresso:

1°) lavori appaltati e già eseguiti: lire 48.375.000;

2°) lavori appaltati ed in corso di esecuzione: 76.312.000 lire;

3°) lavori da appaltarsi subito, perizie in corso di approvazione: 88.800.000 lire;

4°) progetti in corso di redazione da appaltarsi ed iniziarsi nei prossimi mesi: 342.000.000. – Totale: 555.487.000 lire.

Per quanto concerne la creazione della zona franca, è in via di costituzione una Commissione di rappresentanti di tutti i Ministeri interessati, che dovrà studiare il modo di eliminare le difficoltà di ordine vario che ostacolano la istituzione di detta zona franca.

Desidero poi far presente all’onorevole interrogante che la insinuazione cui ha accennato, nella precedente interrogazione, circa gli stanziamenti per la zona del Nord non ha nessun fondamento e che l’onorevole collega potrà prendere visione negli uffici competenti del Ministero dei lavori pubblici come gli stanziamenti effettuati per la zona Sud, ed in modo particolare per la Sicilia, sono notevolmente superiori. Dirò anzi che nel precedente Governo il Ministro Romita non ha fatto nessun stanziamento, neanche per una lira, per intere regioni dell’Italia settentrionale.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FINOCCHIARO APRILE. Sono insodisfatto, assolutamente insodisfatto, completamente insoddisfatto (Commenti) della risposta data dal Governo alla mia interrogazione.

Il porto di Messina, nella economia marittima siciliana e mediterranea, rappresenta qualche cosa di veramente importante. Il porto di Messina e la stessa città di Messina sono fra i più danneggiati che vi siano stati in Sicilia e altrove. Messina ha avuto, niente di meno, che il 96 per cento dei fabbricati colpiti e danneggiati dai bombardamenti e il porto di Messina è in gran parte distrutto. È un gran porto, necessario ai traffici dell’Isola e a quelli internazionali. Le riparazioni, le ricostruzioni, gli ampliamenti, i nuovi impianti e le attrezzature moderne sono un’assoluta, urgente ed inderogabile necessità.

Gli stanziamenti, di cui ha parlato il Sottosegretario di Stato, sono del tutto insufficienti. Nell’elenco che il Sottosegretario ha fatto sono compresi anche i progetti che dovranno essere approvati. Le somme effettivamente spese sinora ascendono appena a poche diecine di milioni di lire!

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Cinquecento milioni.

FINOCCHIARO APRILE. Stanziati, ma non spesi! Voi non fate nulla con questi stanziamenti! Se si fosse trattato di parecchie centinaia di milioni di lire effettivamente spese, potrei dichiararmi sodisfatto: oggi assolutamente no!

In quanto alla creazione della zona franca, quel che ha detto il Sottosegretario di Stato non può certo appagarmi. Le difficoltà non possono essere che nella volontà del Governo. La zona franca è indispensabile a Messina ed io confido che noi siciliani riusciremo, come è nostro diritto, ad ottenerla.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Desidero fare presente all’onorevole interrogante e all’Assemblea che è in corso di controfirma un decreto legislativo che autorizza per opere pubbliche in Sicilia la spesa di otto miliardi, che sarà ripartita d’accordo con l’Alto Commissario per la Sicilia stessa.

FINOCCHIARO APRILE. Lo sapevamo. (Commenti). Ma gli otto miliardi di lire bisognerà spenderli effettivamente, non lasciarli segnati sulla carta. Che valore ha uno stanziamento di otto o di cento miliardi di lire, quando l’onorevole Romita dice che non ha un soldo? (Commenti).

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Inoltre con decreto legislativo 2 gennaio 1947, n. 2, relativo alla costituzione e all’ordinamento dell’Ente siciliano di elettricità, è stato concesso un contributo statale di 31 miliardi e 795 milioni, che sarà ripartito in dieci esercizi, dal 1946-47 al 1955-56, ed è stata autorizzata la spesa di un miliardo per l’esercizio 1946-47 per impianti idrici o termici di produzione e distribuzione di energia elettrica che saranno costruiti o acquistati dall’Ente predetto.

Questo ho voluto dire per evitare manifestazioni demagogiche che non hanno nessun fondamento. (Vivi applausi al centro).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Laconi, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se sia esatto che egli considera decaduti i decreti di requisizione di terre incolte disposti con provvedimenti dell’ottobre 1944 dal prefetto di Sassari e successivamente prorogati per l’annata 1945-46, e che ha disposto per l’attribuzione delle stoppie ai proprietari. E per conoscere, altresì, se non ritenga opportuno devolvere il riesame di tutto il complesso delle assegnazioni alle apposite Commissioni, le quali potrebbero decidere caso per caso, su istanza della parte interessata, sentita l’altra parte e nello spirito delle ultime disposizioni, che prolungano a nove anni il periodo della concessione».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Ritengo che la questione sia superata nel tempo, perché le concessioni di terre effettuate nell’ottobre 1944 in base all’articolo 19 della legge comunale e provinciale, ebbero la durata di soli due anni. In massima parte esse non furono rinnovate per accordi presi fra le parti. In qualche altro caso, quando le cooperative insistettero perché la concessione fosse prorogata, si è raggiunta una intesa.

Non mi consta che vi siano stati casi di ulteriori discussioni. Forse l’interrogazione dell’onorevole Laconi si riferisce ad un periodo precedente ai provvedimenti da me presi per risolvere la questione.

Ad ogni modo, se vi fossero casi individuali, pregherei l’onorevole Laconi di indicarmeli, per vedere esattamente a che cosa si riferiscono.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LACONI. Convengo con l’onorevole Ministro che la questione è ormai superata nel tempo. L’interrogazione si riferiva infatti ad una procedura che non ha avuto di fatto quella efficacia che sarebbe stata rispondente alle esigenze di quel determinato periodo.

Poiché dunque la questione è superata nel tempo, non posso che dichiararmi sodisfatto.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Laconi al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se sia esatto che il decreto legislativo luogotenenziale 13 settembre 1945, n. 593, che disponeva speciali provvidenze a favore degli agricoltori sardi danneggiati nel 1945 dalla siccità e dalle cavallette, non ha avuto applicazione per il mancato stanziamento dei fondi occorrenti preventivati in circa 350 milioni di lire, e per l’insufficiente assegnazione di cotonate. E per sapere anche se intenda disporre le misure necessarie per dar pratica attuazione al succitato decreto, venendo così incontro alla giusta aspettazione degli agricoltori sardi».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. I 350 milioni di cui al decreto 13 settembre 1945, n. 593, furono effettivamente stanziati con qualche ritardo da parte del Ministero del tesoro. In ogni modo, allo stato attuale, i primi 200 milioni sono stati già stanziati nel bilancio del Ministero dell’agricoltura per il corrente anno e sono in erogazione. Abbiamo l’assicurazione del Tesoro che i successivi stanziamenti avverranno non appena possibile.

I primi acconti sono stati inviati all’Alto Commissariato per la Sardegna, per modo che le distribuzioni sono state iniziate. Le cotonate sono state integralmente distribuite.

Forse anche qui lo stato cui si riferiva l’onorevole interrogante è stato superato successivamente dal tempo, poiché vi è stato adempimento sia per il finanziamento, che per la distribuzione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LACONI. Convengo col Ministro che lo stato cui si riferiva la mia interrogazione è parzialmente superato. E per quanto convenga anche nel fatto che la responsabilità non è unicamente del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, ma è condivisa dal Ministro del tesoro, non posso dichiararmi sodisfatto della risposta.

Le calamità riversatesi sulla Sardegna nell’estate del 1945 furono di tale entità ed investirono una tale massa di popolazione, da potersi considerare calamità nazionali.

Ed è per questa ragione ed anche per le esigenze particolari, che queste masse di agricoltori avevano, che ritengo che i soccorsi stanziati dal Governo avrebbero dovuto essere distribuiti direttamente alle popolazioni con sollecitudine molto maggiore.

Allo stato attuale – siamo nel 1947 – non posso ancora dire che i fondi stanziati siano entrati in distribuzione regolare e l’esigenza possa dirsi minimamente soddisfatta.

Per questo, nel dichiararmi insoddisfatto della risposta dell’onorevole Ministro, prego i Ministri del tesoro e dell’agricoltura ed il Governo di provvedere, in modo che nelle masse agricole della Sardegna si ristabilisca la fiducia che quando il Governo delibera uno stanziamento o una provvidenza nei loro confronti, questa provvidenza entri rapidamente in attuazione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Romano, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere per quale motivo non si provvede alla classificazione come strada statale della strada Pirato-Catania, via Stazione Raddusa, con il n. 121-bis, e ciò in considerazione della sua particolare importanza a norma del decreto-legge 15 novembre 1923, n. 2506. Detta strada, mantenuta per il breve percorso di 78 (settantotto) chilometri da quattro enti diversi, è in istato di abbandono, mentre è l’arteria che per il suo tracciato altimetrico, senza dislivelli, meglio congiungerebbe al porto di Catania le due provincie più interne della Sicilia, cioè Caltanissetta ed Enna, con un percorso minore di ventiquattro chilometri rispetto alla strada che passa per Pirato, Leonforte, Agira, Regalbuto, Adrano, Biancavilla, Paternò e Misterbianco, strada con dislivelli notevoli, che variano dai trecento ai novecento metri».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Premesso che la detta strada proposta non fu mai statale, né risulta mai presa in esame agli effetti della classificazione in tale categoria, e rilevato che la classificazione stessa non potrà aver luogo, eventualmente, se non con la contemporanea declassificazione della rete statale del citato differente percorso ora incluso nella strada statale n. 121, sono state impartite istruzioni al Compartimento della viabilità di Palermo perché provveda alla necessaria istruttoria tecnica in ordine alla detta sostituzione di tracciato della strada statale n. 121 tra Pirato e Catania, tenendo presente che è già intendimento dell’A.N.A.S. di migliorare il tracciato stesso in corrispondenza di Adrano, e precisamente tra il Ponte Maccarone (sul fiume Simeto), e Paternò, sostituendo ivi all’attuale tratto di detto tracciato, passante per Adrano-Biancavilla-S. Maria di Licodia, quello ora provinciale allacciante direttamente gli indicati due estremi.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROMANO. Non posso dichiararmi completamente sodisfatto, giacché l’interrogazione investe interessi notevoli della Sicilia, in quanto la strada Pirato-Catania è l’unica strada che unisce direttamente il centro dell’isola col porto di Catania. Per recarsi dal centro dell’isola al porto di Catania si è costretti ad utilizzare la strada che passa per Enna e Leonforte, toccando i seguenti paesi Leonforte, Agira, Regalbuto, Adrano, Biancavilla, Paternò e Misterbianco, cioè si fa un circolo vizioso e si percorrono 24 chilometri di più. Invece, rendendo statale la strada che unisce Pirato con Catania – strada pianeggiante – si accorcerebbe il percorso di 24 chilometri e si eviterebbero dislivelli che variano dai 300 ai 900 metri. Si tratta di una strada necessaria, che servirebbe anche a scopi di polizia, giacché in questi 78 chilometri di strada tra Pirato e Catania, non viene toccato alcun villaggio, ma si attraversa quella zona dove imperversano le famose bande armate. Questa strada sarebbe utile non solo dal punto di vista commerciale, ma anche dal punto di vista sociale ed agricolo.

Quindi, io penso che rendendo statali questi quattro tronchi che dipendono da quattro enti diversi, si farebbe opera utile per tutta l’isola, in quanto i centri di Caltanissetta ed Enna, e tutti i centri dell’isola, sarebbero messi in comunicazione diretta, attraverso questa nuova grande arteria pianeggiante, col porto di Catania, che così riceverebbe l’afflusso da tutto l’interno.

Chiedo, pertanto, che si venga incontro a questi bisogni impellenti della Sicilia.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguitò della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri».

Onorevoli colleghi, desidero far presente che gli iscritti a parlare sono ancora 65. (Commenti). Propongo, perciò, che l’inizio delle sedute sia anticipato da domani alle ore 15, e che i lavori proseguano fino alle ore 20. Fino a tale ora nessun oratore potrà rifiutarsi di parlare.

È necessario che da parte degli oratori sia osservata una certa sobrietà nella discussione. Si era fatta la proposta alla Presidenza di ridurre a venti minuti il tempo di ogni intervento; ma non si ritiene opportuno accettarla, perché la discussione deve essere liberissima e completa.

Peraltro la Presidenza prega gli onorevoli Deputati di ridurre i loro interventi al puro necessario. Sarebbe inoltre opportuno che durante la discussione sulle dichiarazioni del Governo, fosse sospeso lo svolgimento delle interrogazioni.

Se non vi sono osservazioni in contrario, così rimarrà stabilito.

(Così rimane stabilito).

È iscritto a parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Onorevoli colleghi, la discussione sulle dichiarazioni del Governo ha rapidamente superato i termini del programma esposto dal Presidente del Consiglio, involgendo nel dibattito problemi politici fondamentali per la vita del nostro Paese.

Era naturale, direi quasi inevitabile, che così avvenisse, per la natura stessa della crisi dalla quale è uscito il nuovo Governo.

Per la prima volta in questa crisi è stata posta in discussione la formula politica del Governo; ad un certo momento pareva persino possibile una soluzione non troppo corrispondente a quella che è stata la chiara manifestazione dell’orientamento politico del popolo italiano nelle più recenti elezioni amministrative, soluzione che proprio per questo non so fino a qual punto sarebbe stata rispettosa di un vero costume democratico.

Elementi di questo genere sono rivelatori della situazione di incertezza e di instabilità della situazione politica del nostro Paese e fanno chiedere a molti: Che cosa sarà la nuova democrazia italiana? Sarà essa un regime politico che consentirà al popolo lavoratore di muoversi liberamente, di elevarsi e progredire senza urtare contro limiti assurdi che gli sbarrano la via? Sarà essa un regime capace di porre radici profonde e sicure nella coscienza dei lavoratori, aprendo ad essi tutte le vie del progresso e dell’avvenire, o non piuttosto si erigerà di fronte ad essi, come spesse volte in passato, ostile e diffidente, sempre pronta ad opporre resistenza ad ogni loro passo in avanti?

È questo l’interrogativo che risorge costantemente dinanzi a noi: in esso si racchiude il segreto del nostro avvenire. Direi di più: se volgiamo lo sguardo fuori del nostro Paese, vediamo che questo problema, in forme diverse e secondo le tradizioni proprie di ciascun Paese, agita la vita politica di tutti i Paesi democratici. È il problema del periodo storico che noi viviamo ed a cui ha dato inizio la seconda guerra mondiale con la distruzione del fascismo e del nazismo.

Ora, è alla luce di queste esigenze che bisogna considerare la formula politica del Governo.

Bisogna elevare tale problema dal piano della cronaca a quello della storia, per intenderlo in tutto il suo significato. E non pare a me che le considerazioni svolte giorni or sono dall’onorevole Vito Reale abbiano tenuta presente questa esigenza, poiché non è vero che fra i comunisti e i democratici cristiani si ponga oggi preminente e prevalente un problema di contrasto di ideologie. Oggi c’è nel nostro Paese l’esigenza di affrontare i problemi concreti della nostra ricostruzione e su questi problemi concreti – non se lo abbiano a male i democristiani – vi sono meno differenze fra democristiani e comunisti che non fra democristiani e liberali.

Non sono neppur vere le considerazioni svolte ieri dall’onorevole Labriola, il cui discorso ha fatto a me l’impressione che una realtà storica nuova la si giudichi attraverso schemi mentali che rispecchiano una realtà storica superata e così non si riesca a comprenderne il vero valore e significato.

Oggi, signori, a mio giudizio, i termini della lotta politica in Italia si pongono molto chiari: coloro che hanno tentato di spezzare la formula politica che è alla base del nuovo Governo sono espressione di forze politiche e sociali che, come certi dannati di Dante, hanno il collo ritorto e lo sguardo sempre rivolto al passato e, di fronte ad essi, stanno partiti e correnti politiche che esprimono e riflettono l’impulso che viene dalle grandi masse lavoratrici, l’impulso che viene dalla nuova coscienza nazionale che la storia ha forgiato a prezzo di sangue. Questo impulso supera il passato, non solo fascista ma anche prefascista, e ci addita le vie nuove della rinascita nazionale. Questa è la realtà che uomini e partiti politici oggi dovrebbero comprendere e non mi pare che a tale comprensione abbia corrisposto, ad esempio, l’onorevole Corbino, quando, ponendo a noi comunisti il quesito di che cosa significava la nostra opposizione ad un Governo puramente democratico-cristiano, attraverso un artificioso sillogismo, arrivava alla conclusione: dittatura, guerra civile. È il solito spauracchio, il solito fantasma che si agita dinanzi al popolo italiano per nascondere la vera realtà.

Una voce a destra. Non è vero!

SCOCCIMARRO. La nostra opposizione ad un tale Governo sarebbe stata inflessibile, perché con quella soluzione non si sarebbero superati i motivi che hanno tormentato i precedenti Governi: essa li avrebbe forse mascherati, limitati, ma certamente aggravati, proiettandoli nel Paese e suscitando reazioni e ripercussioni così profonde, da divenire veramente pericolosa per influenze che avrebbe avuto sullo sviluppo della situazione politica italiana. Quali sono questi motivi? Si è detto che questa crisi era necessaria per costituire un Governo più unito, più solidale e più efficiente. Ora, mi si permettano alcune osservazioni ed impressioni. Le misure adottate per raggiungere questo scopo mi lasciano alquanto perplesso, perché mi pare siano insufficienti, se non saranno integrate da elementi nuovi. L’unità del Governo? Ma l’unità del Governo dipende in primo luogo dalla direzione politica del Governo. E poi bisogna arrivare a superare l’anacronismo di forze politiche che collaborano al Governo e non collaborano nel paese. (Commenti al centro). Questa è una verità. Considerate, amici democristiani, a chi ne risale la responsabilità, specialmente in certe regioni. (Commenti). Noi potremo anche fare un dibattito su questo punto; per ora io constato dei fatti (Interruzioni) obiettivi: io constato, per esempio, che sulla questione dei fatti dell’Emilia, mentre noi al Governo, d’accordo, facevamo una inchiesta per appurare la verità, voi, amici democristiani, non avete accolto l’invito dei socialisti e dei comunisti del luogo per lavorare insieme sul posto alla ricerca della verità. (Commenti).

Una voce. Qual è la verità? Ne riparleremo.

SCOCCIMARRO. Bisogna poi, per realizzare l’unità del Governo, che non vi sia alcun settore dell’apparato dello Stato che operi contro un partito al Governo, cosa che qualche volta è avvenuta. Io non dico questo per fare della critica, ma per richiamare l’attenzione su alcuni inconvenienti che hanno turbato la vita del passato Governo e per proporci di evitare che si ripetano nel nuovo Governo. Ci vuole una maggiore solidarietà, è giusto; ma, signori, la solidarietà non è un atto formale, essa ha per presupposto un programma e solo nel quadro di quel programma si ha il diritto di esigere la solidarietà di tutti i partiti al Governo.

Io riconosco che un programma di Governo, specialmente oggi, abbisogna di una certa elasticità per potersi adeguare alla sempre mutevole realtà; ma vi sono limiti oltre i quali i partiti che hanno responsabilità di Governo non possono superare, ciascuno per proprio conto, senza venire a preventivi accordi con gli altri partiti.

E poi, l’efficienza operativa del Governo. Sia consentito a me, dopo una esperienza di più di due anni di attività governativa, di ricordare che, se è vero che questi elementi influiscono sull’efficienza operativa del Governo, tuttavia la ragione vera della relativa inefficienza del Governo deriva in gran parte dalla particolare situazione che si è creata nell’apparato amministrativo dello Stato. In taluni settori della pubblica amministrazione oggi c’è uno stato d’animo che si potrebbe chiamare di doppio giuoco; vi è cioè una tale incertezza, una tale preoccupazione, anche verso il regime democratico, da far pensare a taluno che: «non si sa mai; è bene non compromettersi troppo anche con la Repubblica e con la democrazia». Ora, da che cosa dipende questo stato d’animo? Dalla direzione politica del Governo, il quale, quando si trova di fronte a certi episodi, come quello di un altissimo magistrato che mancava di rispetto al Capo Provvisorio dello Stato (Applausi a sinistra), ha il dovere di intervenire subito, per dissipare eventuali illusioni o malinconiche nostalgie di un passato che non può più ritornare.

Il Governo aveva deciso unanime di intervenire in questo caso, e solo l’assenza del Presidente del Consiglio, per deferenza verso la sua persona, ci ha indotti ad attendere il suo ritorno. Ma il suo ritorno ci ha portato la crisi. Noi attendiamo dal nuovo Governo un provvedimento adeguato. D’altra parte, tutti i funzionarî dello Stato devono poter contare sul pieno appoggio del Governo, devono essere assicurati che nessuna rappresaglia sarà mai esercitata contro di loro, e non si ripeterà lo sconcio di funzionarî onesti i quali, per avere operato negli organi dell’epurazione, sono oggi soggetti a rappresaglie. L’efficienza operativa del Governo, signori, dipende in grande misura da un mutamento psicologico-spirituale dell’apparato amministrativo dello Stato. Io ricordo quante volte, in seno al Consiglio dei Ministri, di fronte a situazioni obbiettive che esigevano provvedimenti urgenti su cui tutto il Governo era d’accordo, molte volte dovevamo constatare, in tono sconsolato, che non si poteva fare quanto ritenevamo necessario, perché gli strumenti dell’Amministrazione dello Stato non rispondevano con la energia che sarebbe stata necessaria. Bisogna infondere negli organi dell’Amministrazione, del Governo, una energia e uno spirito nuovi: solo così il tono dell’azione del Governo si eleverà e le sue decisioni non saranno più, come nel passato, soltanto una possibilità.

Vorrei ora, richiamare l’attenzione su un altro aspetto del problema. Si è dimenticato un fatto essenziale: i Governi che abbiamo avuto dalla liberazione in poi, e che abbiamo ancora oggi, non esercitano soltanto il potere esecutivo, ma anche il potere legislativo. Questo significa che i dibattiti che dovrebbero avvenire nell’Assemblea legislativa, avvengono invece nel Governo e in esso i partiti prendono posizione ed è naturale che, quando c’è diversità di giudizio e di atteggiamento, questo si faccia conoscere fuori. È una esigenza, direi, caratteristica di questi Governi, che non esisterebbe, quando avessimo istituzioni democratiche normali funzionanti nel nostro Paese. Non è da meravigliarsi che i partiti sentano il bisogno di far conoscere al Paese le ragioni per le quali hanno approvato o non approvato un certo provvedimento di Governo. Questa è la conseguenza della duplice funzione che oggi ha il Governo e che assorbe anche quella della Camera legislativa.

Queste sono le considerazioni che volevo svolgere in ordine alla crisi. Vorrei raccomandare al Presidente del Consiglio che nell’azione e nel metodo di direzione del Governo tenesse presente queste considerazioni. Se così sarà, allora io penso che questo Governo segnerà un passo avanti rispetto a quello che lo ha preceduto.

E vengo al tema che particolarmente mi interessa: alla politica finanziaria ed alla nostra attuale situazione finanziaria. Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio in questa materia sono state di una tale sobrietà, direi di una tale concisione, che è molto difficile discuterle. È molto difficile, per esempio, discutere l’affermazione che è proposito del Governo aumentare le entrate e diminuire le spese, perché, in verità, non so quale Governo si presenterebbe dinanzi a questa Assemblea per sostenere che bisogna aumentare le spese e diminuire le entrate. Si è accennato alla imposta straordinaria sul patrimonio. Però si sa che tale imposta può esser diversamente concepita e congegnata: stando alle dichiarazioni del Presidente, non sappiamo con quali principî sarà varata la legge relativa.

Si è accennato a problemi di aliquote e di imponibili. Nulla di nuovo rispetto a tutto ciò che si sta facendo in Italia da un anno. Ma noi avremmo sentito volentieri dal Governo una parola precisa sul problema non di aliquote e minimi imponibili, ma sul problema sostanziale dei tributi che colpiscono i redditi di puro lavoro. Il Presidente del Consiglio avrebbe avuto oggi la possibilità di accennare a questa Assemblea le linee generali di un piano finanziario, per il quale in questi ultimi tempi sono maturate tutte le condizioni necessarie.

Ed allora posso dire io qualche cosa a questo proposito. È stato osservato che l’onorevole Corbino quando è al Governo si dimostra estremamente ottimista – e tutti ricordano le caustiche ed acute osservazioni dell’onorevole Nitti – ma quando poi esce dal Governo diventa estremamente pessimista. In verità, l’ottimismo di allora è altrettanto esagerato quanto il pessimismo di oggi. Io personalmente non sono oggi più ottimista o più pessimista di ieri; ma per le cose che dirò credo si possa affermare che le realizzazioni raggiunte ci permettono di guardare con grande fiducia verso l’avvenire.

Io credo – e cercherò di dimostrarlo – che l’anno 1947 sarà per il nostro Paese l’anno del risanamento finanziario. Ed è in vista di questo obiettivo che la decisione presa in merito alla unificazione dei Ministeri finanziari, per taluni aspetti mi lascia un po’ perplesso, perché io penso che il problema vero è quello di un’effettiva direzione unitaria di tutta la politica economica e finanziaria. Ed allora, dal punto di vista organizzativo, il problema non sta nei rapporti fra Ministero delle finanze e del tesoro, ma nel Comitato interministeriale della ricostruzione. È nel C.I.R. che sta il segreto della soluzione di questo problema, è lì che bisogna riorganizzare, perché l’esperienza ci ha dimostrato che, nonostante la intelligente attività data dal Ministro Campilli in questo campo, si può ancora perfezionare l’organizzazione di questo strumento dell’azione del Governo. Per quanto riguarda i due dicasteri finanziari dirò una cosa che forse sorprenderà molti: non è vero che vi sia stata azione del Ministero delle finanze contro il Ministero del tesoro e viceversa, che vi sia stata polemica permanente nell’attività quotidiana, come nel corso della crisi ha accennato l’onorevole De Gasperi. La verità è questa: quando l’onorevole Corbino era al Governo, abbiamo avuto con lui delle discussioni serie e vivaci in seno al Consiglio dei Ministri; ma una volta presa una decisione nel Consiglio – è bene non dimenticarlo – noi ci siamo adattati pur non essendo concordi e vi abbiamo collaborato lealmente, come lo stesso onorevole Corbino ha dichiarato in questa Assemblea.

La verità in questo campo è un’altra: è che di fronte a determinate decisioni del Governo – come mi propongo di dimostrare in seguito – vi sono state decisioni che avrebbero dovuto realizzarsi e non si sono realizzate. E se noi ci domandiamo il perché, nessuno saprebbe dare una risposta seria a questa domanda.

Ora, signori, vediamo che cosa è avvenuto nell’Amministrazione finanziaria dello Stato in quest’ultimo anno. All’indomani della liberazione, l’Amministrazione finanziaria dello Stato si trovava in una situazione di disgregazione e di caos, che spesse volte ci ha fatto vedere davanti il baratro nel quale potevano precipitare le finanze dello Stato: numerosi uffici distrutti, danneggiati e perfino occupati dagli alleati; una notevole quantità di documenti e di atti di accertamento dispersi e scomparsi; il personale dell’Amministrazione finanziaria ridotto dalla guerra al 25 per cento; un’altra grande quantità di funzionari in uno stato di sbandamento e di demoralizzazione; gli organi tributari paralizzati ed inefficienti. Ancora: durante il periodo della occupazione tedesca e del fascismo uno degli strumenti di lotta era stato lo sciopero fiscale. Ora, allo sciopero fiscale ci si era un po’ troppo abituati, ed è continuato a liberazione avvenuta per forza d’inerzia.

Inoltre, per molti mesi tutte le provincie del Nord sono rimaste sotto il Governo militare alleato, il che non consentiva all’Amministrazione centrale un intervento riorganizzativo.

Non bisogna poi dimenticare il disordine economico, la svalutazione monetaria ed il processo di redistribuzione violento della ricchezza avvenuto nel nostro Paese, per cui tutto l’apparato fiscale si è trovato all’improvviso di fronte a situazioni reddituali distrutte ed alla creazione di redditi nuovi sconosciuti agli organi tributari. Era un apparato che girava a vuoto.

Io ricordo una lettera del Conte Sforza, il quale, recatosi un giorno in Apuania, ha assistito ad un episodio di questo genere: della povera gente che ritorna dallo sfollamento e trova la sua casetta distrutta o devastata, e si vede avvicinare come prima persona l’agente del fisco con la bolletta delle tasse. Ed il Conte Sforza ha scritto a me una lettera in cui esprimeva tutta l’angoscia e la pessima impressione che questo fatto aveva provocato, e mi pregava di intervenire e trattenere un po’ l’eccessivo zelo di certi funzionari.

Bisogna tener presente un altro fatto: le nuove situazioni createsi nel Nord in conseguenza della legislazione fiscale della ex repubblica fascista. E poi tutta la legislazione fiscale che aveva perso ogni contatto ed aderenza con la realtà.

Bilancio di questa situazione: le entrate 1945-46 previste in 133 miliardi.

Quale opera si è svolta in poco più di un anno? Gli uffici sono ricostituiti e rimessi a posto, anche se non in piena efficienza. Ve ne sono ancora 46 che attendono gli ultimi lavori di riattamento e che gli alleati sgomberino. Tutti gli atti di accertamento distrutti e dispersi sono stati faticosamente ricostituiti impiegando in tale lavoro un gran numero di funzionari. Ai vuoti dell’Amministrazione finanziaria si è provveduto con numerosi concorsi e nei prossimi giorni, forse nelle prossime settimane, tremila nuove unità entreranno nell’Amministrazione finanziaria: unità tecnicamente selezionate con concorsi per esami.

È stato anche predisposto un provvedimento speciale per gli avventizi che, se attuato, permetterà al Ministero delle finanze di rimettere a posto gli organi finanziari come non lo sono mai stati dalla liberazione in poi.

Inoltre, o signori, si è ripreso il contatto con il contribuente: opera molto più difficile di quello che non si creda; si è unificata la legislazione tributaria in tutto il Paese e soprattutto si è investito tutto il sistema tributario italiano il quale è stato ricostituito con nuove leggi per adeguarlo alla realtà attuale.

Gli ultimi due provvedimenti che non si è fatto a tempo a varare per l’avvenuta crisi, e che sono sul banco del nuovo Ministro, sono: la riforma della imposta di ricchezza mobile e la riforma dell’imposta sui terreni; dopo questi provvedimenti non c’è settore dell’Amministrazione tributaria che non sia stato ritoccato da una attività legislativa che ha rimesso il sistema dei nostri tributi in rapporto ai reali redditi e valori patrimoniali. Ora, qual è la risultante di questo lavoro?

Permettetemi di darvi qualche cifra: anno 1945-46: entrate 133 miliardi; anno 1946-47: entrate previste 140 miliardi, effettive, quasi certe, da 280 a 300 miliardi; bilancio di previsione per il 1947-48, elaborato poche settimane or sono, proprio negli ultimi giorni di mia presenza al Ministero: entrate previste 404 miliardi.

Ora, se voi ponete in serie queste cifre, avete l’indice di quello che è stato il lavoro di ricostruzione fatto dall’Amministrazione finanziaria dello Stato. Ma ciò che interessa, più di queste cifre, è vedere il ritmo col quale le entrate sono aumentate:

primo trimestre 1945-46: entrate mensili 6 miliardi;

secondo trimestre 1945-46: entrate mensili 10 miliardi;

terzo trimestre 1945-46: entrate mensili 12 miliardi;

quarto trimestre 1945-46: entrate mensili 16 miliardi.

Esercizio 1945-46:

mese di luglio: 16 miliardi e mezzo;

mese di agosto: 18 miliardi;

mese di ottobre: 22 miliardi;

mese di novembre: 25 miliardi.

Voi vedete in questa tendenza la caratteristica dello sviluppo della situazione finanziaria, dell’attività dell’Amministrazione finanziaria. Ma bisogna tener presente quale è stato il fattore principale di questo aumento. Non sono le nuove leggi, perché solo poche di queste leggi hanno avuto effetto immediato, ed avranno effetto dal gennaio 1947 in poi.

Una voce al centro. Sono gli accertamenti che mancavano.

SCOCCIMARRO. La causa vera dell’aumento è in parte la ripresa economica del Paese, ma in maggiore parte la ripresa dell’attività degli organi tributari dello Stato, e se qualcuno domandasse, se non si poteva fare più rapidamente, rispondo che fin dal 1945 è stata disposta e condotta innanzi la revisione straordinaria degli accertamenti per l’imposta di ricchezza mobile e sarà ultimata solo fra pochi mesi. Si sono dovuti avvicinare 600.000 contribuenti. E poiché devo dire che i risultati di questa revisione straordinaria non sono sodisfacenti, noi, nella riforma della legge, vi abbiamo già provveduto con adatte misure. Per adeguare l’imposta sui fondi rustici nel 1946, si sono mobilitati 800 tecnici, ingegneri e periti che hanno girato tutta Italia, non per una revisione degli estimi, che oggi è impossibile, ma per aggiornare, sia pure con coefficienti medii, i dati obbiettivi per una legislazione consapevole delle condizioni obiettive e dei suoi limiti.

Nel frattempo si è provveduto con revisioni automatiche e si sono rapidamente messe in atto tutte le risorse che la tecnica finanziaria poteva suggerire. Ma il risultato di questa opera si riavrà nell’anno 1947, quando i nuovi accertamenti, i nuovi ruoli, i nuovi dati di cui l’Amministrazione finanziaria oggi è in possesso, permetteranno di adeguare le entrate a quello che deve essere il ritmo normale.

Si pone la questione: la cifra di 400 miliardi è l’ultimo limite? Io non credo. Penso che già nell’esercizio 1947-48 questo limite sarà superato, perché nelle previsioni, ad esempio, per il monopolio dei tabacchi, abbiamo inscritto in bilancio la cifra di 70 miliardi, mentre la Direzione generale ci dava la previsione di 80 miliardi di entrate. Abbiamo voluto essere prudenti, ma nel margine che è lasciato da questa prudenza c’è la possibilità di superare quel limite.

Non bisogna dimenticare che c’è un dato molto concreto che ci avverte dei limiti a cui possono giungere le entrate ordinarie. C’è una correlazione quasi sempre stabile fra circolazione monetaria ed entrata ordinaria dello Stato. Dopo la passata guerra si aveva una circolazione di poco più di 20 miliardi e un’entrata di 25 miliardi. Oggi abbiamo una circolazione di 450-460 miliardi. Io penso che questo sarà il limite normale. Ma è certo che se noi daremo alla ripresa economica del nostro Paese l’impulso che dobbiamo dare, la cifra di 500 miliardi non sarà esagerata come previsione normale delle nostre entrate tributarie.

Con quale politica abbiamo noi realizzato questi risultati?

Signori, io richiamo la vostra attenzione brevemente sull’analisi della struttura del nostro bilancio.

Le entrate nel bilancio sono così distribuite: 93 miliardi di imposte dirette; 159 miliardi per tasse e imposte sullo scambio della ricchezza; 60 miliardi per imposte di consumo e fabbricati; 70 miliardi per i monopoli; 22 miliardi per entrate diverse.

Se voi analizzate queste cifre, constatate che nelle imposte dirette, e precisamente nell’imposta di ricchezza mobile, il maggior contributo viene dalle imposte sui redditi di lavoro.

Se prendete il bilancio nel suo complesso, trovate che la maggiore entrata viene dalle imposte indirette sui consumi, imposte di fabbricazione, ed altre analoghe.

Questa struttura antidemocratica ha sorpreso persino gli americani e gli inglesi, che si stupivano che nel nostro Paese esistesse ancora un simile sistema tributario.

In quest’anno non abbiamo potuto capovolgere questa realtà, perché questo sarà il compito della futura Camera legislativa, che dovrà realizzare la riforma tributaria. Ma abbiamo cercato di attenuare, di togliere le asprezze maggiori e tutta una serie di provvedimenti è stata destinata ad attenuare la pressione fiscale per i piccoli affittuari, per i piccoli esercenti, per i piccoli contadini, per la piccola economia montana e via via. Tutta questa serie di provvedimenti tendeva ad evitare che la incidenza sulle parti povere della popolazione italiana rimanesse quella che era prima. Questo obiettivo hanno le riforme dell’imposta sull’entrata e le altre studiate per la imposta di ricchezza mobile. Si tende a sgravare i redditi di puro lavoro che sono assolutamente necessari per i bisogni elementari della vita.

Voglio richiamare l’attenzione del Governo su un dato che dev’essere ben conosciuto da questa Assemblea.

Il provvedimento che ha dinanzi a sé il Ministro Campilli porta per la ricchezza mobile un elevamento del minimo imponibile a 240 mila lire l’anno.

In questa cifra comprendiamo quasi tutti gli operai e gli impiegati medi. Ma – badate! – questa cifra rimane ancora al disotto di quello che era il limite di esenzione, che il legislatore aveva posto per questi redditi nel 1864.

La cifra allora era di 800 lire l’anno; ma i prezzi oggi, rispetto a quelli del 1864, sono aumentati molto di più di 300 volte.

Alla fine del secolo scorso, un ministro liberale, moderato, fissava che i redditi di lavoro dovevano essere esenti da ogni imposta fino al limite di lire 3,50 il giorno; se moltiplicate 3,50 per 300, constatate subito che noi dovremmo oggi esentare non i redditi che arrivano a 240 mila lire, ma anche quelli che superano le 360 mila lire l’anno, solo per fare la politica moderata dei governi della destra storica in Italia.

Ma oggi vi sono perplessità.

Dico che, quando si ha un bilancio di previsione, nel quale le entrate superano le spese ordinarie – come dimostrerò poi – questo problema deve essere affrontato e risolto. (Interruzioni).

E dirò di più. Nelle dichiarazioni del Governo – e me ne dispiace – non è stato accennato ad un problema, che ritengo non si possa più rinviare in Italia. Non lo abbiamo ancora risolto, perché la situazione di bilancio era quella che era; ma lo dobbiamo e lo possiamo affrontare e risolvere oggi.

Parlo del problema dei pensionati. Le pensioni per la vecchiaia in Italia costituiscono una vergogna per il nostro Paese. (Commenti).

Non è lecito che un uomo, dopo aver servito lo Stato per 40 anni, debba prevedere con spavento il giorno in cui, raggiunti i limiti di età e di servizio, verrà collocato a riposo, perché ciò significa la fame per lui e per la famiglia. (Vive approvazioni).

Una voce. Non l’avete fatto; bisognava farlo.

SCOCCIMARRO. Abbiate pazienza. Io parlo senza nascondere nulla.

Non è lecito mettere i Ministri di fronte al tragico dilemma: dovere mettere a riposo dei vecchi funzionari ed essere tentati di non farlo per evitar loro la miseria e la fame.

D’altra parte, c’è la pressione di coloro che hanno il diritto di far carriera e che non possono rimanere bloccati.

Per conto mio, il problema l’ho risolto così: mettevo a riposo il funzionario e lo richiamavo immediatamente come avventizio per assicurargli uno stipendio.

Una voce. Bisogna aumentare le pensioni.

SCOCCIMARRO. Bisogna modificare le pensioni; sicuro.

Se il Governo non l’ha fatto, ciò non è dipeso da me: io lo richiedo da molto tempo.

Oggi esistano le condizioni per farlo: il problema può e deve essere affrontato seriamente ed è per ciò che io desidero dal Presidente del Consiglio una parola su questo problema. Qualche cifra giustificherà il mio asserto. Il bilancio di previsione del 1947-48 porta nelle entrate ordinarie 404 miliardi, nelle spese ordinarie 364 miliardi. Che cosa vuol dire questa cifra? Vuol dire che lo Stato italiano non provvede adeguatamente a tutti i servizi cui esso ha il compito di provvedere. Noi non provvediamo adeguatamente per la istruzione; non provvediamo adeguatamente per l’assistenza; non provvediamo per i pensionati; lo Stato non fa il suo dovere.

Ieri avevamo un’Amministrazione finanziaria scardinata e disgregata; delle cifre che non si sapeva quale valore potevano avere. Ma oggi abbiamo un ordine nell’Amministrazione finanziaria, sentiamo di camminare sul sodo; e allora, certi problemi si possono porre e risolvere. Non è un rimprovero che io faccio ai Governi precedenti; ma è un compito, un dovere. (Commenti a destra).

Egregi signori, non è a me che lo dovete dire, perché io – il Presidente del Consiglio lo può attestare – più di una volta ho posto questo problema, ma capivo le rimostranze del Ministro del tesoro, le cui condizioni rendevano molto perplessi. (Commenti).

Una voce a destra. Non è cambiato nulla!

SCOCCIMARRO. Avrò molte novità da dirvi, egregi colleghi. (Commenti – Interruzioni).

I dati di previsione per il 1947-48 ci danno per le spese ordinarie la cifra di 364 miliardi; per le spese straordinarie 285 miliardi: totale, spesa complessiva di 649 miliardi. Nelle spese straordinarie vi sono 164 miliardi destinati al pagamento dei danni di guerra.

Quale è dunque il problema che si pone oggi? Se è vero che il bilancio ordinario è in pareggio, come si provvede per le spese straordinarie perché il bilancio nel suo complesso non rimanga in disavanzo? Bisogna provvedere a coprire questo disavanzo con mezzi che si inquadrino organicamente in un piano che dia garanzia al Governo di poter contare su entrate certe e non soltanto su entrate possibili.

E allora voi mi permetterete di esporre qui quello che era il piano finanziario elaborato per rispondere a questa seconda esigenza. Oggi esistono le condizioni e gli elementi per elaborare un piano simile. Ieri si sarebbe potuto fare soltanto se nel 1945-46 avessimo realizzato il cambio della moneta che – come poi dimostrerò – ha incontrato tali e così strani ostacoli, da lasciare molto dubbiosi nel giudizio da dare in merito.

Un piano finanziario straordinario deve rispondere a queste esigenze: 1°) rimanere entro i limiti obiettivi delle possibilità offerte dalla situazione finanziaria del Paese; 2°) essere capace di mobilitare per la ricostruzione tutto il risparmio nazionale che non sia impiegato dall’iniziativa privata; 3°) il bilancio straordinario deve avere un’entrata stabile ed un’altra elastica per potersi adeguare alle variazioni della situazione; 4°) deve essere tale da non costituire un onere troppo pesante e nemmeno un pericolo per il Tesoro; 5°) deve essere anche un sistema differenziato che offra al Ministro del tesoro non una leva sola, come era quella che maneggiava l’onorevole Corbino, ma una molteplicità di leve, che gli consentano di manovrare nello sviluppo del mercato finanziario e monetario; 6°) non deve costituire un ostacolo all’iniziativa privata.

Voglio ora citare alcuni dati: oggi il reddito nazionale si calcola che si aggiri intorno ai 2200 miliardi; è questa la cifra intorno alla quale diversi centri di studio, la Banca di Italia da una parte e gli uffici statistici dall’altra, più o meno concordano.

Ora, su questa cifra noi possiamo calcolare che almeno un terzo può essere destinato al pagamento delle imposte ordinarie, al pagamento dei tributi straordinari ed al finanziamento della iniziativa privata.

Noi abbiamo perciò la possibilità di avere oggi in Italia da 750 a 800 miliardi, dei quali 400 vanno alle entrate ordinarie e 350-400 miliardi rimangono a disposizione, una parte per l’iniziativa privata, una parte a disposizione dello Stato.

Perciò noi calcoliamo che almeno di 300 miliardi l’anno, come previsione prudente, lo Stato potrà disporre per la ricostruzione del Paese.

Il problema che si pone è questo: in quale modo lo Stato può raccogliere questa parte del risparmio nazionale e come deve farlo, senza compromettere la situazione economica del Paese ed esporre il Tesoro ad eccessivo gravame?

Ebbene, io penso che i provvedimenti da prendere siano diversi: alcuni si ritrovano già nei programmi che noi avevamo predisposto fin dal 1945 e che non ci è stato permesso di realizzare; una parte sono provvedimenti che la nuova situazione creatasi nel nostro Paese ci permette oggi di tradurre in realtà. Anzitutto vi è l’imposta straordinaria sul patrimonio.

L’onorevole Corbino aveva ragione quando diceva che non bisogna credere che l’imposta straordinaria possa bastare da sola alle spese straordinarie. Ma nel piano di una molteplicità di proventi, l’imposta straordinaria ha il suo posto d’onore. Senonché, signori, in materia di imposta straordinaria vi sono due concezioni: una, la quale pensa che questa è una imposta che va a mettersi accanto alle altre e che deve pagarsi col reddito normale; l’altra, la quale pensa invece che la catastrofe che ha colpito il nostro Paese dà allo Stato il diritto di avocare a sé una parte della ricchezza nazionale per impiegarla alla ricostruzione del Paese.

Partire dall’uno o dall’altro punto di vista non è la stessa cosa per quanto riguarda il modo di congegnare e organizzare questo tributo. Da calcoli approssimativi, sia pure ipotetici, risulta che l’imposta straordinaria può dare allo Stato oggi almeno 400 miliardi, da scaglionare in quattro o cinque anni. Questo è il limite nel quale questo tributo può contribuire alla ricostruzione del Paese.

L’onorevole Corbino diceva che fare oggi l’imposta straordinaria vuol dire riscuoterla l’anno venturo. Io penso che l’imposta straordinaria si può cominciare a riscuotere molto rapidamente: basta iscrivere a ruolo le denunce che fanno gli stessi contribuenti, incominciare a pagare su quelle denunce, salvo a conguagliare in seguito quando gli accertamenti saranno fatti. Ciò che a me pare essenziale è che l’imposta straordinaria deve investire tutta la ricchezza mobiliare e immobiliare. Inoltre, suo presupposto essenziale deve essere la stabilità monetaria. Prima di oggi questo era possibile solo col cambio della moneta. Oggi, nella nuova situazione finanziaria cui ho accennato, il cambio della moneta può ancora essere utile, ma non è essenziale.

Secondo provvedimento. Noi abbiamo nel nostro sistema un’imposta istituita nel 1939 per ragioni di guerra, l’imposta ordinaria sul patrimonio. Ora, logicamente, quest’imposta oggi bisognerebbe abolirla, perché è finita la guerra. Però io penso che se la guerra è finita le conseguenze della guerra stanno ancora innanzi a noi, ed allora, si può organizzare il riscatto di questa imposta e farla contribuire a facilitare l’opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi un imponibile di 2500 miliardi: basterebbe chiederne, a mio parere, il 3 per cento per il riscatto e realizzare una entrata di 75 miliardi.

Poi, vi sono i profitti di guerra, di regime e di speculazione, i quali incominciano ora a realizzarsi, perché solo da poco tempo il meccanismo apprestato è potuto divenire operante. So che su questo tema, un po’ scottante, le opinioni sono diverse. Ma al nuovo Ministro delle finanze ho da dire una cosa: egli deve attendersi una seria offensiva contro le commissioni giudicatrici dei profitti di regime. Nell’ultimo mese di mia permanenza al Ministero (non farò nomi, né citerò nulla di compromettente per nessuno) è affiorata una nuova teoria. In alcune province certi personaggi si sono molto interessati delle commissioni giudicatrici: constatando che in talune località le ultime elezioni hanno rivelato un orientamento politico che non è più quello dei Comitati di liberazione, essi ritengono che di conseguenza i delegati di quella commissione indicati dal Comitato di liberazione dovrebbero essere cambiati, per mettere al loro posto uomini più a destra.

Ora, io non credo che organi di questo genere debbano variare col variare delle situazioni politiche.

Una voce al centro. D’accordo!

SCOCCIMARRO. C’è una legge, vi sono dei criteri stabiliti e non c’è nessun motivo per cui in qualche provincia, ove elementi monarchici possano avere avuto il sopravvento, si debbano mandar via i delegati indicati dai vecchi Comitati di liberazione e sostituirli con altri che sono gli amici dei profittatori di regime.

E vi dirò di più: colui che si era fatto sostenitore di questa nuovissima teoria, preconizzando gravi conseguenze se non fosse stata accolta, era lui stesso soggetto a giudizio per profitti di regime. Non voglio fare nomi; avverto solo il Ministro delle finanze che su questo terreno la materia diviene scottante, perché oggi si è cominciato a concretare; basta una piccola cosa per fermare il giudizio delle commissioni ed allora tutto si sfascerà.

Io ho fatto un’esperienza che voglio qui ricordare. Sono stato commissario all’epurazione: nel momento in cui si era arrivati, con molta fatica, a costituire in Italia le commissioni giudicatrici e pareva a me di averle costituite nel modo più obiettivo possibile, si è scatenata un’offensiva per la quale ho dovuto andarmene dal Commissariato. Le cose poi sono andate come tutti sanno: oggi, quelli stessi che avevano provocato l’offensiva hanno riconosciuto di avere sbagliato. Ora si ripete la stessa situazione: abbiamo appena completato la costituzione delle sezioni giudicatrici per i profitti di regime ed ecco che succede qualcosa per cui ho dovuto andarmene. Non vorrei che si ripetesse l’esperienza dell’epurazione! (Commenti).

Questi provvedimenti possono essere integrati da altri e si potrebbe immediatamente porvi mano. Noi dovremmo in Italia organizzare l’emissione di obbligazioni speciali per determinati settori e per determinati programmi specifici della ricostruzione: elettrici, trasporti, bonifica, edilizia e via di seguito: per questa via un’altra parte del risparmio può essere convogliata verso la ricostruzione. Il Ministro del tesoro può inoltre disporre del flusso ordinario dei buoni del tesoro e di altri mezzi di tesoreria. Ma c’è un problema nuovo che oggi si può porre, e sul quale richiamo la vostra attenzione, poiché esso può costituire una leva importante nelle mani del Ministro del tesoro: si tratta della rivalutazione degli impianti industriali. Oggi i bilanci delle società industriali, per la maggior parte, registrano il valore dei loro impianti così come era prima della guerra. Bisogna portare questi bilanci alla realtà. Esiste una legge, concepita dall’onorevole Corbino come strumento di tesoreria, ma che può essere trasformata in uno strumento tributario, secondo la quale una parte di quelle rivalutazioni dovrebbe passare allo Stato. Non sarebbe questa una ingiustizia, anche se si tratta di pura rivalutazione monetaria: essa servirebbe anzi a porre le società industriali in una posizione di giustizia rispetto ai proprietari di terre, di case, a coloro che in generale possiedono la ricchezza immobiliare. L’iniziativa nuova da prendersi in questo campo sarebbe quella di organizzare uno strumento finanziario, nuovo per il nostro Paese, ma del quale s’è fatta qualche esperienza all’estero. Si tratti di una specie di buoni di imposta che noi in Italia dovremmo però organizzare in maniera molto diversa da quella con cui fu organizzata, per esempio, in Germania. Lo Stato emette un titolo, che io chiamerei, buono di ricostruzione, che si impegna a ritirare dopo un certo tempo, accettandolo come mezzo di pagamento di imposte. Con questi titoli lo Stato paga una parte delle sue commesse ad appaltatori ed industriali, i quali possono servirsene come pagamento ad altri appaltatori e industriali. Qui si chiude la sfera della loro circolazione. L’importante è di creare sul mercato una domanda ai buoni di ricostruzione.

Ora, si dovrebbe rendere obbligatoria la rivalutazione degli impianti industriali e, poiché parte di tale rivalutazione dovrebbe essere avocata allo Stato, si potrebbero fare particolari agevolazioni a quegli industriali che conservano per un certo tempo nel loro portafoglio una certa quantità di tali buoni. Inoltre, all’atto del ritiro dei buoni in pagamento d’imposta, lo Stato concede un aggio, per esempio dell’l per cento: in tal modo i contribuenti hanno interesse a provvedersi di tali buoni e dopo qualche tempo a pagare con essi le imposte realizzando un piccolo beneficio. Così può essere mobilitato ed utilizzato anche il minuto risparmio polverizzato, che ora non serve a nulla. La cosa può avere importanza specie per i contadini, i cui risparmi possono essere così mobilitati come oggi ancora non lo sono. In questa operazione ha una funzione importante la Banca, alla quale lo Stato, previo compenso, deve chiedere la collaborazione. Si tratta, come si vede, di un titolo nel quale si fondono i caratteri del prestito con quello dell’imposta. Quale sfera d’azione esso possa assumere è dato dai seguenti dati: il capitale delle società industriali, che prima della guerra ammontava a 60 miliardi, oggi dovrebbe essere rivalutato almeno fino a 600-700 miliardi. D’altra parte si possono calcolare 200 miliardi di imposte che potrebbero pagarsi con quei buoni.

Si può obiettare che questo sistema può ridurre le entrate future: l’osservazione non ha gran peso, perché l’incremento dato alla ricostruzione significa anche aumento di entrate, il che neutralizzerebbe la prevista minore entrata. Comunque si tratta di una esperienza che ha avuto successo altrove e può averlo anche in Italia e può divenire uno strumento importante nelle mani del Ministro del tesoro. Ora, fra imposta straordinaria, riscatto dell’ordinaria patrimoniale, sopraprofitti di guerra, buoni di ricostruzione, rivalutazione impianti industriali e, in più, obbligazioni speciali per la ricostruzione e i normali mezzi di tesoreria, il Ministro del tesoro può assicurare un finanziamento straordinario annuale di almeno trecento miliardi, quanti sono cioè consentiti dalla situazione finanziaria del Paese.

Diceva giorni fa l’onorevole Einaudi che il mercato finanziario in Italia può dare, come minimo, un miliardo al giorno: lasciate pure una parte all’iniziativa privata; tutto il resto può essere mobilitato per la ricostruzione. Oggi il problema può essere risolto, mentre non poteva esserlo ieri per la diversità delle condizioni economiche e finanziarie del Paese. Ciò che a me pare essenziale è una cosa: di non ripetere l’errore commesso dall’onorevole Corbino, di maneggiare una leva sola: quella dei buoni del tesoro che, ad un certo momento, hanno messo il tesoro stesso in gravissimo pericolo. Il Ministro del tesoro deve manovrare diverse leve, riducendo al minimo, quando occorra, i buoni del tesoro ordinari.

E qui, benché non sia presente l’onorevole Corbino – e me ne dispiace – vorrei dire due parole sulle affermazioni da lui fatte. Egli ha detto: voi avete una esigenza immediata a cui far fronte: 500 miliardi di disavanzo. Il mercato vi potrà dare in un anno 300 miliardi; ove andrete a prendere i 200 miliardi che mancano? Signori, io penso che bisogna chiarire questo punto: 500 miliardi di disavanzo nel bilancio di competenza non vogliono dire 500 miliardi di deficit nella cassa del tesoro. L’esperienza del passato dimostra che nel 1945-46 le spese stanziate erano per 510 miliardi, e poi si è fatto in tempo a spenderne solo 340. Vi sono spese che non si esauriscono nel corso di un esercizio, ma vanno a ricadere anche al di là dell’esercizio, e ve ne sono altre che addirittura non si fanno nell’esercizio in cui sono state deliberate. Per cui, a mio modo di vedere, non c’è da preoccuparsi esageratamente della situazione del tesoro, la quale è difficile, sì, è preoccupante se volete, ma non è senza soluzione, soprattutto non è una situazione che obblighi il tesoro necessariamente alla inflazione.

E qui vorrei rettificare quanto è stato detto dall’onorevole Lombardi e dall’onorevole Conti. Il tesoro non ha emesso nuova carta moneta.

La circolazione in Italia è aumentata, ma la circolazione può aumentare o diminuire, secondo il flusso della situazione economica. Ciò che importa è che non aumenti per anticipazioni che vanno al tesoro. Ora l’unico elemento di inflazione che si ha nella nostra situazione è dato dai prelievi degli Alleati. Però anche di questi prelievi una parte ci viene riconosciuta come credito dall’America e rappresenta valuta di cui il Governo può disporre.

Inoltre, nelle condizioni attuali non si può pensare, come diceva l’onorevole Lombardi, a porci come obiettivo di arrivare a mille miliardi di entrate l’anno. Per arrivare a mille miliardi, bisognerebbe avere almeno cinquemila miliardi di reddito nazionale, vale a dire quasi il doppio del reddito di prima della guerra. E noi siamo ben lontani da questo, perché siamo appena al 70 per cento del reddito nazionale quale era prima della guerra.

E non è vero, onorevole Conti, che la lira stia paurosamente slittando, perché il movimento dei prezzi può avere un duplice significato: i prezzi possono aumentare per un fenomeno che parte da una svalutazione monetaria, ed allora si tratta veramente del riflesso di una situazione di inflazione; ma possono modificarsi anche per altri fattori che non dipendono dalla situazione monetaria, ed allora si crea una situazione di squilibrio come esiste in Italia, per cui il livello dei prezzi non corrisponde a quello che dovrebbe essere in rapporto alla circolazione monetaria. In questo secondo caso, il Governo può avere delle leve di manovra per fare ricadere gradatamente i prezzi al loro giusto livello, e la leva principale è quella di aumentare la produzione.

Ora, se la situazione è difficile, io devo riaffermare che non è disperata. E quando ho detto dianzi che il Presidente del Consiglio avrebbe avuto la possibilità di dire una parola più confortante al Paese, intendevo che questa parola avrebbe potuto essere la seguente: in Italia noi ci avviamo verso il risanamento finanziario. Abbiamo da una parte un bilancio ordinario per il quale sono create le condizioni del pareggio, dall’altra un bilancio, chiamatelo come volete, straordinario o della ricostruzione, per il quale vi sono possibilità di entrate certe che possono far fronte alle spese straordinarie. Con tutto questo noi abbiamo anche la possibilità di affrontare e risolvere il problema della imposta sui redditi di lavoro e il problema dei pensionati. Il periodo più difficile è di arrivare al giugno 1947: la responsabilità di questa situazione la chiarirò subito. Comunque occorre superare questo breve periodo.

Il Ministro del tesoro può impostare un piano finanziario che può dare la tranquilla assicurazione a tutti gli italiani che la lira non cadrà, può dare l’assicurazione a tutti gli italiani che nella nostra amministrazione finanziaria si è fatto un grande passo in avanti, e si sta veramente per mettere ordine nelle finanze dello Stato. (Applausi a sinistra).

Ed ora, permettetemi di rispondere ad alcune critiche. Perché molte proposte che si fanno oggi non si sono fatte ieri? Perché, mi si dice, non hai fatto l’imposta straordinaria già dal 1945-46? Perché non si è provveduto ai mezzi straordinari dei quali avete tanto parlato? Ebbene, signori parliamoci pure chiaramente. Io non avrei parlato di questo se troppo la stampa non vi avesse insistito. Ma poiché di questo ritardo si fa una colpa al Ministro delle finanze, mi permetterete che io sollevi qualche velo su una realtà che il popolo italiano non conosce. Ancora ieri, un giornale del pomeriggio diceva che una delle cause della grave situazione finanziaria è l’inerzia del Ministro delle finanze. E che cosa avrebbe dovuto fare il Ministro delle finanze, secondo quel tale scrittore? Avrebbe dovuto mettere una imposta sullo zucchero: ed egli ancora non sa, questo signore, che questa è una cosa già fatta da molti mesi.

La verità è che quando si vogliono fare critiche si ha il dovere di documentarsi e di conoscere la realtà delle cose.

Perché non abbiamo fatto l’imposta straordinaria l’anno scorso? Il problema si collega al cambio della moneta e lo riassumerò in breve. Nel 1945, secondo semestre, la situazione del Paese era questa: la produzione ridotta al 50 per cento, una circolazione esuberante (quindi, situazione aperta di inflazione), mancanza di trasporti e squilibrio di prezzi da una Regione all’altra, favoriscono la più sfrenata speculazione. Inoltre, notevoli somme all’estero inviate dai gerarchi fascisti negli ultimi mesi della vita dell’ex repubblica fascista. Poi, un arricchimento illecito in borsa nera in pieno sviluppo con i capitali monetari nelle mani dei borsari neri. Poi, un’amministrazione finanziaria disordinata, disgregata ed in pericolo di dissolversi, senza dati, senza strumenti adeguati per poter fare una politica finanziaria che non fosse fatta alla cieca. Gli strumenti fiscali sono strumenti pericolosi, sono armi a doppio taglio e bisogna maneggiarli con prudenza, se non si vuole correre il rischio di fare più male che bene alle finanze dello Stato. Ci occorreva il censimento dei patrimoni e della distribuzione della ricchezza.

In tali condizioni noi abbiamo proposto questo programma: cambio della moneta, contemporanea emissione dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Il cambio della moneta doveva avvenire col blocco almeno di un terzo della circolazione esistente allora. Fermare un terzo della circolazione, tanto era la circolazione esuberante al bisogno della attività economica di quel tempo, voleva dire combattere l’inflazione, e strappare di mano agli speculatori i mezzi di cui si servivano per la loro opera nefasta, bloccare la valuta italiana all’estero togliendole ogni valore a beneficio del tesoro, cogliere i nuovi ricchi coi capitali monetari in mano. Poi, fare il censimento nominativo della moneta e dei patrimoni indispensabile per le condizioni in cui si trovava l’amministrazione finanziaria in quel tempo, ed impostare così su sicure basi obiettive l’imposta straordinaria sul patrimonio: questo si poteva fare raccogliendo i dati in occasione del cambio della moneta. Senonché, questo piano largamente concordato con il compianto Ministro Soleri, ad un certo momento è rimasto sospeso in aria. Nel settembre, non vedendo concretarsi l’organizzazione del cambio, chiedo al Presidente del Consiglio del tempo, onorevole Parri, una convocazione speciale dei Ministri per esaminare il problema. Ci si comunica che non ci sono biglietti a sufficienza. Per me, quelli che c’erano sarebbero bastati, dato il modo come si sarebbe realizzato il cambio. Ma il problema ha un altro aspetto: mentre di biglietti non ce ne erano abbastanza, il mese prima, anzi, quindici o venti giorni prima, una grande fabbrica di carte valori di Milano aveva invano supplicato il Tesoro di avere un’ordinazione per la stampa dei biglietti. Si trattava di un complesso tipografico che da solo avrebbe potuto stampare in pochi mesi tutti i biglietti di cui avevamo bisogno; nonostante le richieste, non era mai riuscita ad avere questa ordinazione. Alla fine si sono rivolti a me, io mi sono rivolto al Ministro Ricci che ignorava la questione e subito è stata data l’ordinazione di stampare i biglietti anche a loro. Senonché, dopo venti giorni ricevo una seconda lettera nella quale mi si dice che, caso strano, la carta filigranata, che doveva andare a Milano in quella tipografia, era andata invece a Novara in un altro stabilimento che lavorava a pieno ritmo: quindi nuovo ritardo.

Naturalmente, quando ci si sente dire: non abbiamo biglietti sufficienti, e poi si viene a conoscenza di questi fatti, viene il dubbio se sia stato fatto tutto quello che era necessario per avere i biglietti sufficienti in tempo.

In quell’occasione chiesi al Presidente del Consiglio Parri di affidare personalmente a me l’organizzazione del cambio ed io mi impegnavo, sotto la mia personale responsabilità, di realizzarlo nello spazio di un mese o un mese e mezzo, e di realizzare così i programmi ed i provvedimenti finanziari, che erano stati predisposti per combattere l’inflazione e tentare per lo meno di stabilizzare la moneta.

Non si volle fare questo, perché non si ebbe coraggio abbastanza. Si rinviò di due o tre mesi, e quando nel dicembre-gennaio si ripresentò il problema, l’onorevole Corbino era Ministro del tesoro.

Ed allora io ho il diritto di pensare (e mi rivolgo ai colleghi del partito liberale ed anche del partito democratico cristiano, che consentì a questo, rilevando che portare al Governo in quel momento un uomo che nella Consulta aveva preso aperta posizione contro il cambio della moneta ed era uomo abbastanza diritto e fermo che, se si faceva il cambio, se ne sarebbe andato dal Tesoro, e lo disse subito) che ciò voleva dire non volere il cambio della moneta.

Una voce. Lei ha accettato però di collaborare.

SCOCCIMARRO. Le rispondo subito, onorevole collega, e la ringrazio di avermi offerto questa possibilità.

Verso la fine dell’anno – l’onorevole De Gasperi me ne può fare testimonianza – chiedo che venga esaminato il problema e portato in Consiglio dei Ministri. In quell’occasione ripeto la proposta di assumere l’impegno personale di organizzare il cambio.

Una voce. Come personale?

SCOCCIMARRO. Responsabilità personale mia e del mio Ministero. Mi si poteva colpire personalmente se non riuscivo! (Commenti).

Questo per dire a che punto stavano le cose. In quell’occasione feci presente che si incominciava a ritardare troppo se non si faceva il cambio allora, nel febbraio 1946, prima delle elezioni. Nella vivace discussione che ebbe luogo in Consiglio dei Ministri, io allora tracciai le prospettive della grave situazione finanziaria verso la quale si andava se non si faceva il cambio, e dissi chiaro che le conseguenze potevano essere così gravi da porre in seguito il Governo nella necessità di prendere misure molto più radicali di quelle che si consideravano allora. La discussione portò a questo: la maggioranza del Consiglio dei Ministri era per il cambio, ma l’onorevole Corbino molto lealmente poneva la questione: se fate il cambio, dovete cambiare il Ministro del tesoro.

Una voce a destra. Ma queste notizie non sono riservate?

SCOCCIMARRO. Si decide ancora il rinvio. L’onorevole De Gasperi ricorda che io ritenevo di non poter più rimanere al Ministero delle finanze. Fui da lui pregato di rimanervi e di collaborare lealmente con Corbino, sia pure in quella politica che io non approvavo, perché vi era il problema della Costituente, del referendum e bisognava assolutamente evitare una crisi politica in quel momento. Questo fu l’argomento che m’indusse a rimanere a quel posto. (Commenti).

E collaborai lealmente con l’onorevole Corbino, che seguiva una politica della quale io non ero affatto convinto. (Commenti).

Veniamo al terzo atto del dramma. Qui la storia del cambio della moneta incomincia a divenire un romanzo giallo. Due giugno: programma economico e finanziario del Governo. In una prima riunione, l’onorevole Corbino ci comunica che ci hanno rubato le pellicole fotografiche dei nuovi biglietti. Non si può più far uso di quelli stampati. Questo sarebbe stato non solo un pericolo economico, ma anche una impossibilità giuridica: la stampa dei biglietti è subordinata a certe leggi, solo rispettando le quali lo Stato ha il diritto di mettere in circolazione gli strumenti monetari. Il cambio si presenta impossibile. La prima volta mancavano i biglietti, la seconda c’era l’opposizione dei liberali, la terza c’è il furto: ognuno ne tragga le conclusioni che vuole. Devo ricordare ai colleghi che nelle proposte presentate dal partito comunista per il programma governativo di quel tempo, al cambio della moneta non si accenna più, non perché vi fossimo contrari, ma perché una nuova situazione si veniva creando. Le condizioni di sei mesi prima cominciavano a modificarsi. Ed io devo ricordare anche che, in una pubblica dichiarazione, feci rilevare che il cambio della moneta non è una questione di principio, ma solo un mezzo per raggiungere determinate finalità. Se queste si possono raggiungere per altra via, noi comunisti non avevamo difficoltà ad abbandonare il cambio della moneta. Tuttavia si è mantenuta la decisione di preparare gli strumenti necessari per fare ancora il cambio. Ma, non si può non tener conto delle nuove condizioni che nel frattempo si sono venuto creando, anche in rapporto al cambio della moneta.

Oggi la situazione è notevolmente mutata. Sarebbe assurdo pensare a bloccare una parte della circolazione per combattere l’inflazione: la circolazione oggi è insufficiente, non esuberante. Non è possibile, quindi, servirsi del cambio come strumento di lotta contro la speculazione. I quantitativi di lire italiane all’estero sono stati già in gran parte ritirati; gli illeciti arricchimenti, specialmente negli ultimi sei mesi, si sono largamente coperti. Ma il problema è di vedere se si può fare o no il cambio nominativo, e quindi il censimento della distribuzione della ricchezza. È un problema che deciderà il Governo. Se però si decidesse di fare il cambio anonimo col prelievo di un’aliquota una volta tanto, bisogna tener presente che il cambio della moneta è stato concepito come uno strumento per reperire la ricchezza che si nascondeva, per avere un congegno da servire all’imposta straordinaria sui grossi patrimoni, non per colpire anche i piccoli o medi risparmiatori. In tal caso si pensi – e la possibilità tecnica esiste – a risparmiare la povera gente da tale prelievo.

Ora ci si domanda: e gli impegni per il prestito? Non siamo certo contrari al rispetto degli impegni per il prestito.

Vorremmo che il cambio fosse nominativo, col censimento della ricchezza e dei patrimoni che non è un elemento da svalutare, onorevole Lombardi.

Gli impegni del prestito possono essere mantenuti tutti, qualunque sia la decisione del Governo. Vi è la possibilità tecnica di farlo, e di garantire ai sottoscrittori i benefici loro consentiti in rapporto al cambio della moneta.

La possibilità tecnica esiste. Esporla qui non credo sia opportuno, preferirei farlo alla Commissione di finanza e tesoro. Io non voglio creare difficoltà al Ministro Campilli, a cui assicuro tutta la mia collaborazione. Ma dico che gli impegni morali e politici presi dallo Stato verso i sottoscrittori del prestito possono essere mantenuti: può cambiare la forma e il modo, ma è la sostanza quello che conta.

Una voce al centro. Anche se paghiamo in carta straccia.

SCOCCIMARRO. Senza modificare le condizioni del prestito possono essere mantenute tutte le agevolazioni previste e concesse ai sottoscrittori.

Mi pare che ora dovrebbe essere chiaro, perché non è stato possibile finora attuare l’imposta straordinaria: senza il cambio della moneta ciò non era possibile.

L’imposta straordinaria, senza garanzia di stabilità monetaria, è un inganno. La svalutazione della moneta svuota l’imposta straordinaria del suo contenuto. Peggio ancora, si fa credere di aver attuato un tributo straordinario, mentre in realtà una gran parte di esso si volatilizza e rimane nelle mani di coloro che si volevano colpire.

La prima condizione, perché l’imposta straordinaria sia una cosa seria, è che la moneta non si svaluti. Potevamo farla nel 1945 e 1946, col cambio della moneta, perché con questo si realizzava tutto un programma per la stabilizzazione del valore della moneta. Senza cambio della moneta non si poteva istituire l’imposta straordinaria: sarebbe stato un errore. Significava sciupare uno strumento prezioso con scarsissima utilità per il Tesoro dello Stato. Oggi, l’imposta straordinaria si può istituire, anche senza il cambio della moneta, perché, per il piano finanziario che vi ho esposto e per le condizioni del bilancio ordinario, penso che le condizioni di stabilizzazione della moneta comincino concretamente ad esistere. Ed esistono perché, una volta portato il bilancio ordinario al pareggio ed equilibrate le spese straordinarie con le entrate straordinarie, una volta ammessi a Bretton Woods e garantita la stabilità di cambio della nostra moneta, le condizioni finanziarie per la stabilità della lira sono realizzate. Occorre solo realizzare le condizioni economiche, cioè – questo è compito del Governo – bisogna stabilizzare i prezzi. Il giorno che queste condizioni saranno realizzate, la moneta italiana non si svaluterà più.

E siccome questa prospettiva – a mio giudizio – può essere realizzata nel giro di alcuni mesi, dico che oggi è una cosa seria istituire l’imposta straordinaria anche indipendentemente dal cambio della moneta. Le condizioni, che in passato erano garantite dal cambio, oggi sono garantite dalla nuova situazione delle finanze dello Stato.

Credo di avere risposto alla domanda: Chi è responsabile del ritardo dei provvedimenti straordinari: cambio della moneta, imposta straordinaria, ecc.?

Il partito liberale, proprio quel partito che in questi ultimi tempi ha assunto imprudentemente posizione offensiva su questo problema.

Avendo impedito il cambio della moneta, si sono pure necessariamente ritardati i provvedimenti che avrebbero dovuto essere presi almeno un anno fa. Così per i profitti di regime: i liberali ci hanno fatto perdere almeno sei mesi: prima con la crisi governativa del novembre 1945, poi con l’opposizione alla Consulta.

Tutti coloro i quali, per una ragione o per un’altra, hanno ostacolato la realizzazione del programma che fin dal 1945 si poteva realizzare, sono essi, e solo essi i responsabili del fatto che la nostra situazione finanziaria oggi non è migliore di quella che è.

Ed io ricordo – se qualcuno ne avesse voglia – che c’è un verbale del Consiglio dei Ministri, dal quale risulta che queste cose io le dissi fin dal febbraio 1946. Ed è assurdo – che oggi si faccia colpa al Ministro delle finanze del ritardo nella realizzazione di quel programma, quando noi eravamo disposti ad affrontare qualunque responsabilità, pur di riuscire a realizzarlo, poiché ritenevamo quella la giusta politica finanziaria richiesta dalle condizioni del Paese.

Oggi l’amministrazione finanziaria si trova ad una svolta. Nel 1946 si è compiuta una larga opera di ricostruzione e di riorganizzazione, però non ancora ultimata. Si è adeguato il sistema tributario alla nuova realtà economica e finanziaria del Paese. Abbiamo anche riformato alcuni dei tributi essenziali.

L’opera del nuovo Ministro deve oggi consistere nel realizzare un maggiore potenziamento, attraverso una più differenziata specializzazione tecnica degli organi tributari.

Si deve inoltre incominciare quell’opera di sfrondamento del sistema tributario che semplifichi e unifichi i tributi, e poi si deve preparare la riforma generale tributaria, che deve essere portata alla discussione della prossima Camera legislativa. I risultati raggiunti in poco più di un anno hanno superato quelle che erano le nostre stesse previsioni. Ed io voglio da questi banchi mandare un saluto di riconoscente gratitudine ai miei collaboratori ed ai funzionari che in quest’anno hanno lavorato con uno spirito di sacrificio che poca gente conosce ancora. Permettetemi, colleghi, che vi racconti un piccolo episodio. Ieri si è parlato qui di corruzione nell’Amministrazione dello Stato. C’è della corruzione in Italia, è vero. Ma io direi che prima ancora che nell’Amministrazione dello Stato la corruzione esiste nel Paese, perché se c’è qualche funzionario che si lascia corrompere, c’è necessariamente chi lo corrompe. Quando, nei primi giorni in cui assunsi il dicastero delle finanze, volli fare una visita agli uffici, per avere una conoscenza personale e diretta dei funzionari, in un ufficio, dietro ad un tavolo pieno di carte, trovo un uomo: egli si alza rispettoso, ha l’abito sdrucito, è pallido, macilento. Converso con lui, e poiché vedo dei tavoli vuoti, chiedo come mai non c’era nessuno. «Sono in licenza!». E allora mi viene di chiedergli se lui era andato in licenza, e mi risponde: «Non posso; perché – vede? – e mi accenna ad un mucchio di carte: questo è un lavoro che posso farlo bene solo io. In quell’attimo abbasso lo sguardo: quell’uomo aveva le scarpe rotte. Esco; mi informo di lui: un vecchio funzionario, che faceva la fame con la sua famiglia. Aveva le scarpe rotte; lavorava senza contare le ore; da anni non andava in licenza, e considerava che non poteva andare in licenza, se non aveva compiuto tutto il suo dovere; mettere a punto tutti i documenti venuti dal Nord. Ebbene, signori, quest’uomo era passato attraverso il fascismo, attraverso venti anni di corruzione, integro e puro; nessun’ombra nella sua azione. Di questi uomini ce ne sono nell’Amministrazione dello Stato. (Vivi applausi). Di fronte ad essi io sento un profondò rispetto; questi sono veramente gli umili ed oscuri eroi della Amministrazione dello Stato. Ora, io dico che a questi uomini noi facciamo troppo poca attenzione. Noi guardiamo ai corrotti e cerchiamo di colpirli; ma noi dobbiamo pure esaltare le virtù; noi dobbiamo fare uscire dalla burocrazia italiana tutto ciò che essa ha ancora di più sano, e fare di essi lo strumento per combattere i corrotti.

Nel mio Ministero ho cambiato un costume: c’era l’abitudine di deferire i funzionari che si lasciavano corrompere alla Commissione di disciplina, la quale giudica dopo cinque o sei anni aggiustando spesso le cose in famiglia. Da quando ho preso io la direzione del Ministero delle finanze, i funzionari scoperti in questa situazione sono stati denunciati all’autorità giudiziaria (Applausi); nessuno è stato risparmiato.

Ma quando mi incontravo con funzionari dome quello, io venivo loro in aiuto con tutti i mezzi, anche con sussidi particolari, anche interessandomi della loro famiglia, perché solo così io penso che si possa ricreare uno spirito nuovo nella burocrazia italiana. (Approvazioni).

Ora, che cosa si voleva dal Ministero delle finanze? È una cosa strana, signori, tutti sanno che l’Amministrazione dello Stato porta con sé le tare dei residui del fascismo e della guerra, nessuno si meraviglia che ancora non sia tutto perfetto e che ci siano ancora molte cose da organizzare e da rimettere a posto. Però si ha la strana pretesa che proprio nel Ministero, tecnicamente il più complesso e difficile a maneggiare, si potesse in pochi mesi portare le cose alla perfezione. Tutti criticano: che cosa fa il Ministero delle finanze?

La gente gira l’Italia, vede ponti di fortuna, costruzioni di ripiego, rimedi contingenti e nessuno si meraviglia. Ma, se poi scopre un borsaro nero, ancora ignoto al fisco, allora si grida allo scandalo.

Ora, quello che non si è potuto fare nelle altre Amministrazioni dello Stato non lo si è potuto nemmeno nell’Amministrazione finanziaria. Ci vuole tempo ed io debbo dire che i più esperti ed anziani funzionari ritengono che occorrano almeno 4-5 anni per avere un’Amministrazione come l’avevamo in passato. Io, ho posto per obiettivo che entro il 1947 l’Amministrazione finanziaria deve essere tutta messa a posto.

Ma bisogna svolgervi un lavoro particolare, perché, come giustamente diceva l’onorevole Einaudi, la macchina finanziaria è ancora rattoppata con lo spago, è un po’ aggiustata alla meglio. E questo lo abbiamo fatto per poterla mettere subito in movimento, perché non potevamo attendere di rifarla tutta nuova bella e pulita. È certo, però, che bisogna ricostruirla e vi si può arrivare, secondo me, entro il 1947. Prima sarebbe opera impossibile.

Ciò che noi abbiamo fatto fino ad oggi è molto, ma è solo un primo passo. Però è il passo decisivo, da quel lato ormai nessun pericolo ci minaccia. Questa è la prova, a mio giudizio, che il popolo italiano ha non solo la volontà, ma anche la capacità di risorgere. Noi dobbiamo bandire ogni scetticismo; non dobbiamo farci ingannare dalle fatue illusioni dell’ottimismo, ma neanche dallo sconforto del pessimismo.

Bisogna guardare in faccia alla realtà e saper affrontare le sue asprezze e difficoltà con animo virile e con la decisa volontà di dominarle e superarle.

Onorevoli colleghi, in questi giorni, su questa Assemblea si è distesa l’ombra sinistra di un ingiusto trattato. Ebbene in quest’ora triste e buia della nostra storia noi dobbiamo essere più forti dell’avverso destino che si è abbattuto su di noi. Noi dobbiamo dimostrare al mondo che, se grande è la sfortuna che ci ha colpito, ancor più grande è la nostra volontà di risorgere a nuova vita. Solo così, nelle opere feconde di lavoro e di pace, l’Italia a nuova grandezza risorgerà. (Vivissimi applausi – Congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 18,35, è ripresa alle 19,5).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Damiani. Ne ha facoltà.

DAMIANI. Io non so se in queste speciali condizioni, in cui nell’aula c’è appena un quinto dei deputati presenti a Montecitorio, si possa parlare.

Dobbiamo sentire, in questo momento, profondo il dovere di essere qui presenti quando la seduta è aperta.

Nel discorso che Fiorello La Guardia tenne il 22 luglio del passato anno ai deputati della Costituente, emerse, fra i vari rilievi sui problemi della disoccupazione, una frase particolarmente incisiva che deve essere ricordata perché sintetizza tutta l’asprezza del momento e richiama i vincitori ed il mondo ad un esame di coscienza.

Fiorello La Guardia disse:

«Non vi può essere un mondo felice con una Italia infelice».

Purtroppo, nel giuoco dei fattori della vita, sia singola che collettiva, le passioni tendono sempre a prevalere e perciò quel che accade e quel che si fa, è, purtroppo, spesso lontano dalla logica, dalla giustizia e dal diritto naturale.

Basta il pietoso spettacolo delle guerre, ripetutesi sempre a breve scadenza, per rilevare la triste e insensata passionalità che era alla base di quei grandi crimini che sono i conflitti tra i popoli.

Oggi i vincitori non hanno saputo far trionfare la saggezza e un superiore senso di umanità, nel risolvere il problema della pace, che doveva essere il problema della ricostruzione del mondo ed è diventato invece il problema delle dure sentenze di espiazione da infliggere ai popoli vinti e umiliati nel dolore e nella miseria.

C’è in qualcuno un sadico desiderio di vedere milioni di creature umane dibattersi disperatamente fra stenti di ogni genere, col pretesto di far scontare loro colpe, che non sono colpe ma errori, e dell’umanità intera.

E la guerra, che è stata combattuta in nome della libertà, genera una così detta pace che ribadisce la scissione del mondo in popoli opulenti che comandano e in popoli poveri che debbono obbedire.

Se questa scissione dovesse restare, sarebbe inevitabile una nuova guerra, cui, certamente, non sopravviverebbe la civiltà.

Ma gli uomini che vivono secondo la propria coscienza, e sono la maggioranza, devono denunziare, davanti al tribunale dell’Umanità, questo nuovo delitto; devono gridare ai popoli che il mondo è uno, perché una è la giustizia, una è la libertà, uno è il diritto.

Le guerre non risolvono i contrasti internazionali, ma li peggiorano.

La guerra è oggi una tale assurdità che dev’essere scacciata dalla nostra mente con la più decisa repulsione.

Il problema fondamentale della pace non è di assicurare al mondo una tregua che permetta ai popoli di riarmarsi per ripetere domani il tentativo di tornare a sopraffarsi, ma è di rendere impossibile la guerra.

E, dunque, ciò che si è fatto finora e si sta facendo deve essere considerato come una fase di smorzamento del conflitto, ma non come un inizio della ricostruzione.

Ciò che si è edificato sulla base della passione non è solido e non può durare. Così i trattati, che nasceranno da questo primo accostamento tra vincitori e vinti, non possono essere che transitori accordi, perché sono lontani dal naturale orientamento della storia, che è quello diretto all’unità mondiale.

È assurdo pensare che la vita culturale e scientifica del mondo, che ha raggiunto luminose basi di unità, possa marciare indipendentemente dalla vita sociale ed economica.

È evidente che il mondo rimpicciolito dalla radio e dall’aeroplano marcia verso l’unione, verso un governo economico internazionale.

La società delle nazioni fu un pallido tentativo.

Oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite rinnova l’azione su basi più promettenti. Ma ciò che fa sperare nel rapido progresso di questa evoluzione, che del resto è fatale, è il fiorire spontaneo, in ogni continente, di numerose associazioni che hanno la stessa mèta: unire gli stati; è il sentir ripetere da alte personalità della politica, della scienza e della cultura, incitamenti, giudizi e previsioni sull’affratellamento dei popoli.

Il grande statista americano Cordell Hull, nel suo testamento spirituale, dettato nel settembre scorso, affermò:

«Il raggiungimento e il mantenimento dell’unità e della cooperazione internazionale devono continuare ad essere il supremo dovere degli uomini di Stato».

Baruch, già consigliere di Roosevelt, e ora rappresentante americano alla Commissione per l’Energia Atomica dell’O.N.U., è noto in tutta l’America per il suo progetto di Stato Universale.

Einstein, l’eminente fisico che fin dal 1905 predisse che la materia e l’energia sarebbero state reciprocamente convertibili (teoria che schiudendo il cammino alle ricerche nucleari ha portato alla liberazione dell’energia atomica), ha recentemente dichiarato: «Alla luce delle nuove cognizioni, un’autorità mondiale e, alla fine, uno stato mondiale non sono semplicemente desiderabili, in nome della fratellanza: essi sono necessari per la sopravvivenza».

«Nelle epoche precedenti, la vita e la cultura di una Nazione potevano essere protette, in certa misura, mediante lo sviluppo di eserciti e rivalità produttive. Oggi dobbiamo abbandonare la rivalità ed assicurare la cooperazione.

«Questa deve essere la pietra angolare di tutte le nostre considerazioni sugli affari internazionali, altrimenti andremo incontro ad un sicuro disastro.

«I metodi contemporanei del pensiero non hanno impedito le guerre mondiali; il pensiero futuro deve impedire altre guerre.

«La nostra difesa non sta negli armamenti o nella scienza o nell’andare nel sottosuolo. La nostra difesa sta nella legge e nell’ordine.

«D’ora innanzi la politica estera di ogni nazione deve essere giudicata interamente in base ad una sola considerazione: ci conduce essa alla legge e all’ordine mondiale, oppure ci conduce all’anarchia e alla morte?

«Non dobbiamo essere semplicemente disposti, ma effettivamente ansiosi, di sottometterci ad una autorità suprema necessaria per la sicurezza del mondo».

Considerazioni simili ha più volte espresso anche Churchill.

Egli propugna l’unità europea, come già sostenne e sostiene Coudenhove-Kalergi con la sua opera Paneuropa. Ma a questa unità bisogna pensare come fase intermedia per giungere alla unificazione del mondo.

In un recente discorso Churchill ha, tra l’altro, asserito:

«Bisogna gettar via il fardello delle contese e delle lamentele del passato, che impedisce ai popoli di proseguire nel loro cammino. Essi debbono guardare avanti, all’ideale di un’Europa unita!».

Pochi giorni fa il senatore Taylor, degli Stati Uniti, ha dichiarato che nell’êra atomica la pace non può essere mantenuta se non con la costituzione di un Governo mondiale.

Le sue precise parole sono queste:

«Gli sviluppi che fanno ora pensare ad un Governo mondiale, come ad una necessità, sono dovuti all’impiego dell’energia atomica.

«L’O.N.U. è un’organizzazione di inestimabile pregio: sono sicuro che essa continuerà lungo le direttive di una crescente cooperazione mondiale, ma le Nazioni Unite non potranno essere all’altezza del compito.

«Dobbiamo mettere la guerra al bando dell’umanità, e questo è possibile soltanto col trasferire parte della nostra sovranità ad una organizzazione che sappia far rispettare la pace contro chiunque.

«La sola organizzazione che sia in grado di assumersi un tale compito – ha aggiunto Taylor – è un Governo rappresentativo mondiale».

Non è possibile citare tutti i brani salienti dei vari autorevoli sostenitori di un Governo mondiale, ma quel che importa è rendersi conto della grandezza e significato di questa nuova forza che sorge come autodifesa della civiltà stessa.

Del resto, in un’epoca in cui la storia non annunciava ancora la seconda guerra mondiale e la conquista atomica, uno dei più acuti pensatori europei, Anatole France, con quella chiaroveggenza che distingue gli intelletti supersensibili, espresse una felice sintesi della crisi storica che viviamo.

«Che si voglia o no – egli disse – è venuta l’ora di essere cittadini del mondo o di rassegnarsi a veder perire ogni civiltà».

E questa è la verità che domina la vita del mondo.

E, dunque, il nuovo orientamento dei popoli verso una convivenza mondiale è l’unica via di salvezza, è il segno più chiaro della guarigione dalle funeste malattie del nazionalismo cieco e del militarismo tracotante.

Bisogna creare una coscienza federalista, bisogna che i popoli si convincano che fanno ancora in tempo a salvare se stessi e il mondo dal terribile cataclisma che li minaccia, dando vita concreta a organizzazioni politiche che creeranno l’avvento del nuovo ordine internazionale.

Bisogna riconoscere alle forze della ragione il diritto di intervenire nella soluzione del problema della pace.

I problemi nazionali non possono essere considerati a sé, ma devono essere studiati in relazione al complesso dei problemi mondiali.

La politica interna di ogni paese è oggi stretta funzione della politica estera.

Bisogna che i popoli si dichiarino contro ogni blocco. Devono ritenere che le grandi forze che si sono concentrate oggi in due poli opposti, non hanno ragione di combattersi, ma nell’interesse dei propri paesi e dell’umanità, devono incontrarsi su un piano di stima e di rispetto reciproco per giungere ad una soluzione che le forze dello spirito non possono e non debbono affidare alla forza bruta delle armi.

Bisogna lavorare per questa maggiore comprensione e maggiore intesa, e a questo lavoro sono chiamati tutti i popoli.

Il     nuovo spirito democratico li chiama a protagonisti della storia.

Essi eleggano rappresentanti che nelle varie camere legislative sappiano propugnare la causa dell’Unione internazionale e il mondo uscirà rapidamente dal disordine per organizzarsi in una nuova vita veramente degna dello spirito umano.

Il Movimento Unionista Italiano, che rappresento in questa Assemblea, e che sorse nel 1944 per tradurre in forza politica questa naturale e nobile aspirazione degli uomini alla realizzazione della fratellanza mondiale, e che è stata la prima organizzazione politica ad assumere tale iniziativa, ha preso atto con vivo compiacimento dell’articolo 4 del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, che dichiara: «L’Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».

La recente costituzione francese contiene pure simile dichiarazione.

Ciò è un fatto di una importanza immensa, ha un significato solenne.

Esso rappresenta il fattore potenziale della nuova storia umana.

Ma occorre sviluppare ed educare tale nobile impulso, per passare dallo stato potenziale a quello di realizzazione. E deve ripetersi, per il mondo tutto, quello stesso meraviglioso fenomeno etico-politico-sociale, per il quale tanti popoli diversi per indole, educazione ed origine, affratellati dal lavoro, si fusero per formare gli Stati Uniti d’America.

Essi, nell’armonia delle loro energie, hanno trovato tali possibilità di sviluppo industriale ed economico da poter oggi elargire al resto del mondo, dissanguato dalla guerra, gli aiuti più generosi.

Milioni di tonnellate di merci sono stati donati dall’America ai popoli immiseriti e questi, mercé i loro aiuti, stanno rinascendo e riorganizzando il loro lavoro.

Questi popoli europei, che dettero vita e civiltà all’America, sono oggi riportati alla rinascita dall’America stessa.

Il lavoro europeo tornerà a risplendere e ricambierà in ricchezza ciò che oggi ci viene offerto in aiuto.

Il sogno di Mazzini si concreterà in una vivente e palpitante costruzione, ove le incertezze e le storture sociali saranno vinte dall’armonia che andrà sempre più rafforzandosi fino a conformare il tutto a quei principî universali di libertà, di giustizia e di solidarietà che Iddio fa ugualmente vibrare nel cuore di tutti gli uomini.

E questo doloroso periodo dobbiamo affrontarlo con decisione, con spirito di illimitato sacrificio, per ridare all’Italia un volto degno delle eccellenti qualità della sua gente laboriosa e profondamente sensibile al progresso democratico e civile.

La Costituente deve rispondere alle aspettative del Paese che ha visto con disappunto quest’aula chiusa per cosi lunghi mesi.

Esso sapeva che le Commissioni lavoravano per elaborare un progetto dal quale deve nascere la nuova Costituzione democratica italiana; ma non sapeva e non sa capire perché, mentre 75 Deputati erano intenti alla esecuzione del progetto, gli altri 480 erano posti in condizione di non poter contribuire, mediante il pubblico dibattito, alla definizione e soluzione dei complessi e difficili problemi della nuova vita italiana.

Ora questa Assemblea deve lavorare con eccezionale intensità perché il popolo abbia da essa la prova che la democrazia è superiore alla dittatura, che dalla democrazia nasce e si sviluppa la vita del popolo, mentre nella dittatura esso è ridotto ad una massa passiva e abulica di sfruttamento.

I partiti, espressione della libertà, devono superare i punti critici del loro interno travaglio e dei loro esterni contatti; essi sono forze di uno stesso popolo, nati per lavorare a suo vantaggio, per dargli coscienza dei suoi diritti, e nei momenti difficili, come l’attuale, devono trovare un comune piano d’intesa, di comprensione e d’azione, perché l’Italia risorga, più splendente che mai, dalle rovine della tragedia impostale dalla cecità di un esperimento politico che non deve più ripetersi.

E il Governo sia messo in condizione di operare nel modo più efficiente, sia liberato dalla funesta ruggine dei contrasti dei partiti, originati spesso da interessi particolari che non debbono interferire nell’interesse generale del Paese, interesse che deve prevalere su ogni altro.

Tra le tante azioni che il Governo deve svolgere occorre promuovere energicamente anche quelle dirette a difendere il popolo dal malcostume, dalla pornografia, dalla stampa incosciente e turpe che per scopi di lucro alimenta le curiosità morbose e psicopatiche dei pervertiti e dei pervertibili, dando loro in pasto i più sporchi racconti e ripugnanti illustrazioni sulle crescenti manifestazioni della criminalità, pretendendo, in malafede, questi perniciosi fogli, di fare opera di divulgazione scientifica.

I delitti aumentano sempre più con un crescendo impressionante!

La cronaca divulghi invece le manifestazioni della bontà e dell’altruismo, che sono più numerose di quanto si possa supporre e che commuovono e dispongono l’animo al bene.

L’onorevole Presidente del Consiglio, nelle sue comunicazioni fatte sabato scorso a questa Assemblea, ha dichiarato che la massima cura sarà dedicata alla tutela delle emigrazioni e che sarà richiamato in vita l’antico Consiglio Superiore dell’emigrazione.

Il Paese attende con ansia nuovi adeguati provvedimenti che facciano cadere la barriera della legislazione fascista, che purtroppo ancora vige in questo campo, e che fu ispirata a quel funesto principio cui fu dato il nome di autarchia.

È urgentissima una nuova legge che regoli tale delicata materia, subordinandola alle esigenze del lavoro e dell’economia italiana, e nello stesso tempo conformandola alle aspirazioni e necessità dei lavoratori e assicurando la più pronta ed efficace tutela del Governo italiano per il nostro lavoratore che porta in terra straniera il patrimonio della sua laboriosità intelligente e fattiva.

Occorrerebbe promuovere a tal uopo opportune intese con i Governi degli Stati interessati ad accogliere i nostri lavoratori, per la esecuzione del loro piano di lavori pubblici, affinché ditte specializzate italiane fossero invitate a presentare progetti e preventivi di lavori stradali, idraulici, edilizi e agricoli, impegnandole nel caso di aggiudicazione, a portare dall’Italia le maestranze occorrenti per i detti lavori. E si dovrebbe altresì promuovere la costituzione di Istituti finanziari, sostenuti da capitali italiani e stranieri, che potessero potenziare cooperative e colonie agricole italiane, provvedendo al fabbisogno occorrente per dare alle nuove aziende nascenti dal lavoro italiano all’estero la massima efficienza produttiva.

Un altro urgente bisogno del Paese è quello di procedere al riordinamento delle anagrafi comunali sconvolte dalla guerra.

Necessità questa reclamata anche dall’Associazione dei Comuni italiani in occasione del recente primo convegno dei sindaci.

È assolutamente urgente indire un nuovo censimento generale della popolazione per il riassesto della situazione anagrafica e del tesseramento annonario.

Inoltre occorre considerare che sono più di cento le leggi la cui applicazione è subordinata all’esito del censimento. Esso da ben 11 anni non si esegue più, e il grave perturbamento demografico prodotto dalla convulsa vita dell’ultimo quinquennio, rende inutilizzabili i dati del censimento precedente.

Occorre assolutamente aggiornarsi circa l’attuale situazione demografica, economica e sociale.

Gli stessi problemi della disoccupazione e dell’emigrazione, del riordinamento regionale e della ricostruzione edilizia e della definizione delle circoscrizioni elettorali secondo il loro effettivo peso demografico, non possono essere razionalmente risolti senza la conoscenza dell’effettiva struttura professionale ed economico-sociale della popolazione e della sua distribuzione e relativa densità di accentramento nelle varie zone urbane, industriali e agricole.

Voler governare, prescindendo da una precisa documentazione sulla consistenza quantitativa e sulle caratteristiche strutturali della popolazione, significa, in realtà, non governare ma affidarsi al caso, cioè procedere alla cieca.

Inoltre, disposizioni legislative, tuttora vigenti, fanno obbligo di eseguire, ogni cinque anni, il censimento della popolazione e perciò si rende assolutamente inderogabile tale importantissima rilevazione.

Questo nuovo periodo della vita del Paese impegna tutti in un lavoro intenso e concorde.

L’Assemblea Costituente deve, contrariamente alle aspettative dei nemici della rinascita, assolvere pienamente il suo alto compito di rigeneratrice della democrazia italiana. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Di Fausto. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Nei sette mesi trascorsi, dacché questa Assemblea ha iniziato i suoi lavori, non una volta ha risuonato in quest’Aula la parola che avrà potere forse di trarci dalle rovine, così come quella del divino Maestro trasse Lazzaro dai regni delle ombre.

Arte. Magica parola che esprime qualcosa di veramente connaturato con la terra, col cielo e col sole d’Italia.

Chi vi parla ha avuto la singolare ventura di dare volto di dignità e di arte a numerosissime opere di civiltà dell’Italia nel mondo.

Oggi, nell’angoscia che ci opprime per l’altrui ingiustizia, che offende con noi la stessa civiltà, e per l’altrui cupidigia, che ci priva anche dei lontani lembi di terre primitive acquisite dalla nostra opera altamente umana e civilizzatrice, chi vi parla sente sanguinante la mutilazione sofferta dalla Patria, ma sente altresì che le pietre grideranno «Italia» pei secoli, così come quelle di Roma, ancora e sempre, lungo i lidi del mare della civiltà antica.

L’iniquo trattato che ci è stato imposto, riaffermando, a conclusione dell’ultima più grande e più inutile strage, il trionfo della forza sul diritto, dimostra che la difesa del principio di libertà – che è difesa della stessa civiltà cristiana – spetta ormai a noi, vinti.

E l’Italia, affidandosi alle sue inesauribili forze morali, potrà ancora esprimersi e sopravvivere.

Nulla ci è stato più fedele nel passato, nulla ci sarà più fedele nell’avvenire.

Nelle precedenti sessioni fui tentato di impostare il problema dell’arte. Mi parve però che tra le angustie materiali relative al nostro problematico durare fisiologico, quello di investire questa Assemblea di questioni prevalentemente spirituali, fosse atto intempestivo.

Oggi, il perdurare di quelle mi ha confermato nel convincimento che anche i problemi materiali debbono essere soccorsi dalle forze dello spirito: proprio come è dell’uomo che, posto dinanzi a compiti che superano le sue possibilità, leva alto lo sguardo in cerca di un ausilio ultraterreno.

Peraltro, l’interesse alle cose dell’arte – che fu prerogativa di classi privilegiate prima e della borghesia poi – è oggi, con tendenza ad una sempre maggiore universalizzazione, così permeato nella vita sociale, che sarebbe assurdo, dopo il pauroso collasso politico, proporsi il compito immane della ricostruzione senza l’ausilio dell’arte, alla quale l’Italia deve la sua più inconfondibile gloria.

E sia subito affermato che tutto quanto gravita nell’ambito delle attività artistiche – direttamente od indirettamente, con effetto immediato o lontano – costituirà per l’Italia una delle più sicure e cospicue basi della nuova economia.

Riacquisteremo, con la nostra specifica missione, piena consapevolezza del nostro più vero destino.

Tra i sintomi più dolorosi della disintegrazione conseguente alla guerra, ed alla disfatta, è l’indifferenza del pubblico e dei Governi ai problemi dello spirito.

L’umanità imbestiata cerca in ogni modo di sfuggire ai richiami dell’ordine spirituale. Il problema dell’arte assurge pertanto ad importanza politica in quanto deve essere riaffermato – ad ogni costo – nelle sue esigenze di dignità e di ordine sociale. Trattandosi di un settore di qualità e non di quantità, esso è trascurato dai partiti politici, dagli organizzatori e dagli agitatori. Esso è trascurato naturalmente anche dalle democrazie.

Ecco perché questo autentico proletariato – al quale mi onoro di appartenere – è ufficialmente assente in questa Assemblea, ove tutti, anche i più banali interessi, trovano rappresentanza e tutela. Ecco perché la frattura col mondo intellettuale si riflette nello sforzo delle democrazie ad affermarsi.

Ma poiché l’arte è fattore essenziale di vita – per un Paese come il nostro – sia dato ad essa, nel quadro generale della ricostruzione, il posto che le compete, se veramente ricostruzione dovrà essere.

Urgente è quindi definire una politica dell’arte, evitando di costringerla alla politica del Governo – come è capitato in tempi non lontani – con le conseguenze a tutti note. Sorge la necessità di nuovi orientamenti organizzativi e di nuovi statuti, atti ad impedire il ripetersi della soggezione politica e nel contempo ad assicurare l’istaurazione di un ordine artistico, nel quale possano manifestarsi, in libero giuoco, tendenze, fermenti e reazioni che dovranno risolversi infine in arricchimento della vita spirituale della nazione.

E poiché il Governo non ha inteso fin qui, nelle sue varie esposizioni programmatiche, l’esigenza di così preminente questione – io – unico artista presente in questa Assemblea – non posso non chiedere che siano posti senza indugio all’ordine del giorno della Nazione i problemi: delle Arti Maggiori; delle Arti Collettive; delle Arti Sociali e Minori; ed in connessione con questi, il problema dell’economia turistica. Veramente di quest’ultimo è cenno nelle recenti dichiarazioni di Governo, delle quali mi piace sottolineare l’accidentale richiamo alle arti.

Gi ha narrato l’onorevole De Gasperi che a Washington, durante la visita alla Galleria Nazionale, i capolavori italiani gli sono stati mostrati con l’ammirata espressione: «Ecco i vostri più autentici ambasciatori nel Mondo».

Ed ora una scorsa, sia pure fugacissima, attraverso i vari settori:

Alle arti pure accedono le sole classi intellettuali. Una riforma ed una riorganizzazione, del resto già in studio presso il Ministero dell’istruzione, si impone. Si impone anche un riesame del «Novecento», fenomeno che trovò in Francia il clima per la sua naturale espansione, ed in Italia i suoi imitatori prima e gli speculatori poi, quando il fenomeno da letterario divenne politico.

Quanto alle arti spettacolari collettive, nelle quali è ormai totale l’accesso delle folle, è superfluo il richiamo all’interesse di un Governo democratico. Urge un pronto intervento per arrestare il rapidissimo declinare del teatro, a causa del troppo rapido ascendere del cinematografo e della radio. Anche in funzione turistica, l’esperienza insegna che le nostre possibilità per gli spettacoli all’aperto – ove entrano in giuoco grandi masse e grandi mezzi organizzativi – sono veramente eccezionali. Chi ha assistito agli spettacoli del Teatro Greco di Siracusa e del Teatro Romano di Sabratha può affermare di avere vissuto un prodigio di bellezza e di elevazione spirituale davvero incomparabile.

Del cinema e della radio basterà accennare come a nuovi fattori ad ampio sviluppo sociale. In Italia stanno essi oggi all’arte solo come fatti di eccezione per inaridimento di fonti e crisi manifesta di contenuto. È palese il dissidio fra gli interessi dell’industria, prevalenti su quelli dell’arte.

Occorrerà suscitare opere a più profondo senso morale sociale e umano, opere che trovano largo consenso nelle folle, così come hanno dimostrato recenti esperienze straniere.

Delle arti sociali – quelle cui accede la più vasta collettività – l’architettura è preminente, in quanto comprende in sé le altre arti plastiche ed in quanto più direttamente interessa la vita dell’uomo. Arte sociale di assoluta attualità per le necessità imperiose della ricostruzione.

Un cenno anche alla crisi che investe l’artigianato e le piccole industrie: crisi economica, sindacale-organizzativa e di produzione.

L’attività artigiana è la più idonea al libero temperamento italiano, così come lo sono la piccola proprietà, il lavoro domestico ed i mestieri indipendenti in genere, nei quali si realizza l’unità ideale del produttore e del lavoratore, sfuggendosi ai rapporti coattivi che tendono, nelle grandi industrie, a rendere odiosa la parte dell’uno e dell’altro, con la conseguente graduale distruzione della gerarchia, della solidarietà e del senso cristiano ed umano del lavoro. L’italiano ha sempre amato il lavoro, che gli consente anche libera espressione e che dia diletto al suo animo.

Purtroppo la guerra ha devastato anche questo settore in profondità: abbassamento del senso morale, febbre del facile guadagno e del godimento, disprezzo delle tradizioni e paralisi di sviluppo della personalità umana, col crollo di ogni aspirazione alla formazione di un avvenire individuale sul piano del lavoro. Ma non è tutto perduto: i mercati esteri richieggono tuttora insistentemente il prodotto italiano.

Urge rieducare i giovani all’amore del dovere, urge suscitare le nostre migliori tradizioni attraverso scuole, musei, biblioteche, centri sperimentali, ecc.

Concludo la rassegna delle attività artistiche facendo miei i voti di eminenti colleghi, di Istituti storici, di Enti insigni, enumerando le necessità effettive dell’arte nel quadro generale della nazione e nel quadro di Roma particolarmente.

1°) Che sia agevolata l’organizzazione unica apartitica di tutti gli Artisti d’Italia per la loro tutela, la loro rappresentanza e la loro difesa economica.

2°) Che sia agevolata – per gli stessi scopi – l’organizzazione unica apartitica degli artigiani d’Italia.

3°) Autonomia e riordinamento delle grandi Accademie storiche, col potenziamento della insigne Accademia di San Luca in Roma, affinché essa assolva – debitamente riorganizzata – nel campo delle arti quello che la gloriosa Accademia dei Lincei assolve nel campo delle scienze.

4°) Protezione dell’arte e dell’artigianato all’estero e vigilanza illuminata delle manifestazioni individuali e collettive.

5°) Riorganizzazione delle mostre nazionali ed internazionali.

6°) Riordinamento delle gallerie di arte moderna, con la revisione delle opere acquistate nell’ultimo ventennio, e nuovo disciplinamento che sottragga una così delicata materia al capriccio ed al mutevole gusto di dirigenti transitori.

7°) Restituzione alla sua funzione di origine del grande Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, in Roma.

8°) Assetto, in Roma, in edificio adeguato, della Collezione Loria e suo completamento così da farne un Museo Etnografico tra i più importanti nel mondo.

9°) Assegnazione del complesso edilizio e delle aree annesse all’ex-Foro Mussolini in Roma al Ministero della Istruzione, affinché sia destinato «a città dell’arte», per accogliere, in ambiente organico e suggestivo, le Accademie di arti figurative, i pensionati artistici, l’Accademia di recitazione ed un Conservatorio musicale.

Saranno attratte allo studio delle arti in Roma vaste correnti da tutti i Paesi del mondo, correnti già assai notevoli, malgrado il disagio e la insufficienza delle sedi attuali.

10°) Concessione e destinazione dei Mercati Traianei in Roma a centro artistico per mostre continuative e ritrovi suggestivi, integrati da un quartiere artigiano di eccezione.

11°) Assegnamento a cooperative edilizie fra gli artisti della zona fra via Flaminia e le pendici della villa Strohl-fern in Roma, per costruzioni esclusive di studi e piccoli alloggi.

12°) Partecipazione dell’organizzazione unica fra gli artisti italiani alla tutela del patrimonio artistico nazionale esercitata dallo Stato.

13°) Gradualmente – con l’auspicata ripresa costruttiva – per quanto si riferisce a chiese, edifici pubblici ed opere monumentali in genere, sia salvaguardato, con quello degli architetti, l’interesse dei pittori, degli scultori e dei decoratori, assicurando all’attività di questi una adeguata partecipazione alla realizzazione di tali opere. Sarà ripresa così la tradizione della collaborazione fra le arti, nobile caratteristica dell’arte edificatoria italiana. E sarà avviato a soluzione anche in questo settore il problema silenzioso ma tragico della disoccupazione intellettuale.

Eccoci infine alla attività pratica che compendia e valorizza tutte le manifestazioni dell’arte.

Dico della economia turistica italiana.

Questa industria, per la parte superstite della guerra, sta morendo in silenzioso isolamento, mentre in tutti i Paesi turistici del mondo – anche in quelli non meno rovinati dell’Italia – la riorganizzazione è in atto da tempo.

L’Italia, pel primato indiscusso delle sue bellezze naturali artistiche e storiche, è paese turistico per eccellenza.

Questa attività deve essere ripresa e potenziata. L’annuncio dato dal Presidente del Consiglio del ripristino della rete ferroviaria pel 1949 è già un elemento incoraggiatore e, sotto vari aspetti, risolutivo.

I venti miliardi di danni, sofferti dalla attrezzatura ricettiva alberghiera – i 1.500 alberghi colpiti, i 60.000 letti perduti – sono entità cospicue, ma la riattivazione di questa immensa industria, che interessa non meno di 700 Comuni, presenta tali prospettive di rendimento da non fare davvero esitanti finanziatori appena intelligenti. Si aggiunga la ricorrenza dell’Anno Santo nel 1950 per affermare l’attualità e l’urgenza della questione. Occorre, come ha già dichiarato il Presidente De Gasperi, affrettare il graduale processo di derequisizione degli alberghi da parte degli alleati. Occorre affrontare ed incoraggiare il coordinamento degli sforzi che i singoli sono pronti ad affrontare, ma, soprattutto, occorre anche, con opportune riforme legislative, dare un sicuro indirizzo alla politica del turismo in Italia, affinché sia riattivata al più presto questa naturale fonte di lavoro e di ricchezza. Con questa enumerazione di esigenze per una politica dell’arte e della ospitalità io ho finito.

Nelle sue recenti comunicazioni il Presidente ha annunciato la costituzione di un organo di Governo agile e snello, che presieda alla attività turistica. È augurabile che – anche avulso dalle attività affini – questo organo risponda veramente e completamente alle effettive necessità.

Quanto alle Arti, la vigile attenzione del Ministro Gonella ha messo allo studio molti dei punti da me toccati. Manca però al Ministero dell’istruzione un organo centrale propulsore, coordinatore e convogliatore di tante possibilità reali.

La Direzione Generale delle Arti, organizzata ed attrezzata per mansioni normali, è oggi impegnata invece anche alla urgente opera di salvezza del patrimonio artistico, uscito largamente devastato dalla guerra: compito di una enorme vastità e pel quale non si dispone che di mezzi assolutamente esigui, per poco che si pensi all’incalcolabile valore delle opere che, intaccate dagli aventi bellici, ora per ora, cedono all’azione del tempo.

Dai mirabili sepolcri angioini distrutti con Santa Chiara in Napoli, agli affreschi del Mantegna perduti con la Chiesa degli Eremitani a Padova, agli ormai scomparsi affreschi del Trionfo della morte nel chiostro del camposanto di Pisa, è tutto un mondo che si svuota dell’infinito che gli era stato apportato dal genio italiano e cristiano.

I mezzi debbono essere trovati: la nostra responsabilità dinanzi al mondo e dinanzi alle future generazioni è di quelle che non consentono alternativa.

Appare strano comunque che nella situazione di effettiva emergenza del Ministero della istruzione si sia insistito nella soppressione del Sottosegretariato alle Arti: l’unico che avesse effettive ragioni di esistenza, fra le alcune dozzine di Sottosegretariati conservati, e dei quali l’utilità è largamente discussa. Vien fatto di pensare che l’agitare problemi nell’aula sia meno efficace dell’agitarsi di uomini nei corridoi.

Peraltro, come ha affermato l’onorevole Corbino nel suo recente chiarissimo discorso, in pochissimi paesi è così viva ed incontenibile la capacità a riprendersi, malgrado tutto, come nel nostro.

Nulla di più preciso e di più vero posso confermare anch’io, dopo una recente peregrinazione attraverso i paesi dell’Europa centro-occidentale.

Così che è possibile, ed è certo anzi, che l’Italia si leverà veramente al centro della attenzione universale, perché nessun’altra terra può rispondere come essa alle necessità dello spirito – necessità che il dolore, l’orrore e le delusioni sofferte susciteranno su scala sempre più vasta nel mondo.

In Italia ed a Roma, le libere arti, i liberi cuori, le anime libere.

È il suo fatale destino: chiamare a raccolta le forze dello spirito – come sempre – nei secoli.

Secondiamo fidenti questo destino, sotto lo sguardo di Dio.

Esso non fallirà! (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 15.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Avverto che è pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione firmata dagli onorevoli Spano, Pratolongo, Pellegrini e Longo, per la quale è stata chiesta la discussione d’urgenza:

«Ai Ministri dell’interno e degli affari esteri, per conoscere per quale motivo non sono state prese le opportune precauzioni allo scopo di proteggere la sede della Delegazione jugoslava presso la Commissione consultiva per l’Italia; e per sapere quali misure sono state adottate a carico dei funzionari sui quali ricade la responsabilità dei deplorevoli incidenti di lunedì 10 febbraio».

Chiedo al Governo se riconosce l’urgenza di questa interrogazione e quando intende rispondere.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Riconosco l’urgenza e prego di rinviarne lo svolgimento a domani.

PRESIDENTE. L’interrogazione sarà iscritta nell’ordine del giorno della seduta di domani.

Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute oggi alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non intenda provocare una riforma legislativa all’articolo 33 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, che prescriveva per la costituzione di nuovi Comuni un minimo di tremila abitanti.

«Tale riforma si impone per non creare delle diverse situazioni fra i vari Comuni e per dare agio a delle frazioni, aventi piena possibilità di assurgere a Comuni, di poter vedere accolti i loro legittimi desideri.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quanto vi sia di vero in ciò che la stampa ha pubblicato intorno al funzionamento dell’A.R.A.R., alle merci che esso ha lasciato e lascia perire ed ai «carrozzoni» che ha consentito e consente, e per avere precisazioni e ragguagli intorno al modo onde si ritiene garantire ai cittadini una razionale utilizzazione e distribuzione delle ingenti quantità di materiali di recupero dall’A.R.A.R. incettati, sì che tale incetta si risolva in un sollievo della popolazione a traverso una riduzione di molti prezzi e non in una sozza fonte di continui arricchimenti per ingordi speculatori.

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, perché, in relazione al recente episodio del detenuto Caroselli, che, fermato mentre era in ottime condizioni di salute, è deceduto appena tradotto a Regina Coeli, precisi se e come è stata eseguita in mento un’inchiesta, quali esatti risultati essa ha dati e perché faccia conoscere se, di fronte all’eventuale profilarsi di responsabilità di funzionari o di agenti, non abbia creduto o non creda di dare corso agli opportuni provvedimenti di natura disciplinare e penale, affinché sia dissipato anche il dubbio che i sistemi di investigazione poliziesca non sempre si adeguino al dovere del rispetto della integrità fisica degli inquisiti e siano, nonostante ciò, tollerati.

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, in base anche agli affidamenti dati, intenda provvedere nel modo più sollecito alla ricostituzione del tribunale di Pinerolo.

«Tale ricostituzione, per vero, trova giustificazione e fondamento nelle tradizioni insigni di quel Tribunale e nelle necessità inderogabili di quelle popolazioni e corrisponde anche al principio di avvicinare sempre più al popolo gli organi della giustizia.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non si intenda dare una sistemazione definitiva, così come venne praticato nell’altro dopoguerra, ai segretari comunali provvisori reggenti, che, pur sprovvisti di titolo, hanno prestato e prestano validissima opera presso varie Amministrazioni comunali.

«Nell’altro dopoguerra, con regio decreto-legge 2 ottobre 1919, n. 1858, veniva autorizzato il Governo ad indire un esame straordinario, in base al quale molti segretari reggenti vennero definitivamente sistemati.

«Il riproporre oggi un siffatto provvedimento costituirebbe opera di giustizia verso una benemerita categoria, che nelle attuali contingenze ha dato prova di solerzia e di proficuo rendimento.

«Bovetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, per conoscere se non credano opportuno far precedere alla discussione del cosiddetto Trattato di pace una rievocazione del testo preciso della «Carta Atlantica», con la quale le Nazioni Unite si impegnarono solennemente a concludere la guerra con una pace umana e generosa ed ottennero per questo che popoli neutri e combattenti si augurassero la loro vittoria, si schierassero a loro fianco e sacrificassero migliaia di giovani vite alla certezza di portare finalmente la «pace cristiana» ad imperare sui forti e sui deboli.

«L’interrogante chiede che il Governo, ove le conosca e ritenga opportuno di rivelarle, indichi quali siano le ragioni che indussero le Nazioni Unite a smentire con i fatti i loro primitivi propositi, per addivenire alla imposizione di patenti ingiustizie, che non daranno pace ad alcuno e che lasceranno un perenne risentimento nei popoli che credettero all’impegno solenne dei Grandi capi di quelle potenti Nazioni.

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per sapere la ragione del rifiuto, opposto alle industrie conserviere siciliane, di licenze d’importazione di stagno, indispensabile per la manifattura delle conserve in scatole che si esportano all’estero.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, per conoscere – dato che il Ministero ha avocato a sé l’importazione e la distribuzione dello stagno e delle bande stagnate assegnate all’Italia pel 1947 – le ragioni che consigliano di ripartire queste materie a gruppi monopolistici e di negarle alle industrie conserviere siciliane. Queste, con le loro esportazioni, specialmente di pomidori pelati, hanno, infruttifere, forti somme in sterline giacenti a Londra, divise che potrebbero essere, invece, impiegate all’acquisto di materie prime necessarie all’industria conserviera siciliana.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per sapere quando sarà inviata una draga nel porto-canale di Mazara del Vallo.

«Da anni il porto-canale, sul quale si trova il centro peschereccio più importante, non è dragato e i motopescherecci corrono il rischio di infrangersi.

«Già piroscafi, motovelieri e velieri non possono attraccare, dato il fango trasportato dal fiume Màzaro e le alghe accumulate dal mare verso le rive.

«L’invio di una draga è urgente, per assicurare l’attività di questo centro peschereccio e centro industriale fra i più attivi d’Italia, ma fra i meno assistiti e che ancora attende la soluzione del problema del suo porto, senza banchine e senza gru pel carico.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati o si intenda di adottare, in occasione del riconoscimento di Scuole ed Istituti privati e pareggiati, onde impedire un indegno sfruttamento del personale insegnante da parte dei privati od enti che geriscono le nuove scuole, sì che non si ripetano casi come quello che si è dato in un Istituto pareggiato della provincia di Bergamo, che ha liquidato ad un suo insegnante una pensione di lire 1250 per trimestre.

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulla dolorosa lentezza colla quale si procede alla liquidazione della pensione a umili lavoratori che hanno passato tutta una vita di lavoro nei nostri istituti scientifici.

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quali concreti ed immediati provvedimenti intenda adottare perché la liquidazione degli acconti ai danneggiati di guerra della provincia di Frosinone possa procedere con un ritmo, che almeno non sia di quella esasperante lentezza che sino ad oggi l’Intendenza di finanza è stata costretta a seguire.

«L’interrogante ricorda all’onorevole Ministro:

1°) che sino al 31 dicembre 1946 sono state presentate all’Intendenza di Frosinone circa 140 mila domande per danni a beni mobili ed immobili;

2°) che, in 22 mesi, sono state definite solo 18 mila pratiche, limitatamente agli acconti per danni a mobili e ad arredi domestici;

3°) che, di fronte a una richiesta complessiva di risarcimento che si aggira intorno ai 40 miliardi, sono stati erogati acconti per 400 milioni di lire circa;

4°) che al servizio danni di guerra sono addetti 21 impiegati, dei quali uno soltanto, il capo reparto, di ruolo;

5°) che l’amministrazione centrale non ha creduto sinora di poter autorizzare l’Intendenza di Frosinone a svolgere lavoro straordinario retribuito.

«L’interrogante fa, inoltre, presente che è assolutamente necessario adeguare il personale all’importanza del servizio, destinandovi impiegati di ruolo, che potranno eventualmente essere distolti da altri servizi che abbiano un grado minore di urgenza; e che è del pari necessario far eseguire lavoro straordinario, congruamente retribuito.

«Fa voti, infine, perché la liquidazione degli acconti – ben misera cosa al cospetto dei danni subiti da ciascun danneggiato – possa essere definita nel volgere di pochi mesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e della difesa, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intendano prendere per definire al più presto la situazione dei dispersi e delle loro famiglie, allo scopo di liquidare loro una pensione;

2°) se nell’attesa di tale definizione, non credano dovere aumentare l’ammontare degli assegni d’assistenza al fine di evitare che: gli orfani diventino dei candidati alla tubercolosi; le vedove diventino delle candidate alla prostituzione; i parenti diventino dei candidati alla mendicità.

«L’interrogante fa presente che le famiglie dei soldati dispersi nell’ultima guerra continuano a percepire somme irrisorie a titolo di assistenza; che le povere vedove, per mantenere le loro creature, sono costrette ad un doppio lavoro: quello della casa e quello dell’officina; e, in mancanza di quest’ultimo, sono costrette a tutte le rinunce, a tutti gli avvilimenti, compreso il mercimonio del loro corpo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vischioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in quale modo e quando pensa di procedere alla sistemazione della categoria dei dipendenti statali già addetti presso i vari uffici pubblici del Possedimento delle Isole Egee, che, per categorica disposizione delle Autorità alleate, sono stati costretti a lasciare le loro funzioni e le loro sedi. Costoro che, tra personale di ruolo egeo (200) e personale a contratto (136), sono in tutto appena 336 unità, dopo essere stati esposti, a seguito dell’armistizio, ad inenarrabili sofferenze per la durezza dei tedeschi, e dopo essere stati, a seguito della liberazione, strappati dai loro posti, ove pure avevano svolta tanta utile opera a servizio della Patria e della civiltà, vivono oggi in condizioni ben dure, di abbandono materiale e morale, mentre, in definitiva, non dovrebbe essere difficile riassorbirli e distribuirli tra le varie Amministrazioni dello Stato. Costituiti in Comitato per la gestione amministrativa delle Isole italiane dell’Egeo, hanno posta la questione e formulato delle sollecitazioni, ricevendo promessa di opportuna considerazione, ma sin’oggi tali promesse non si sono tradotte in realtà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non creda opportuno che il personale subalterno in servizio di avventiziato da oltre un decennio presso varie Amministrazioni statali (e in particolar modo presso i Ministeri della grazia e giustizia, dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro) riceva una definitiva sistemazione in ruolo, per modo che in tempi così calamitosi, come gli odierni, tanti laboriosi ed onesti padri di famiglia cessino di tribolare per il loro domani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, perché – con riferimento al decreto legislativo presidenziale 6 dicembre 1946, n. 424, recante disposizioni sulla disciplina degli immobili adibiti ad uso di albergo, pensione o locanda – dica se non riconosca l’opportunità di sottoporre a riesame i criteri informatori di quella legge e di proporne la modifica nei sensi:

1°) che la proroga resti esclusa quando l’entità dei danni subiti dall’immobile in dipendenza della guerra riveli l’impossibilità che l’albergatore li ripari e se ne rivalga nel tempo concessogli;

2°) che, del pari, la proroga resti esclusa nei casi nei quali il proprietario dell’immobile intenda gestire lui l’albergo e dimostri capacità e mezzi economici e tecnici per i miglioramenti e per la gestione stessa;

3°) che, a scelta del proprietario dell’immobile, il canone sia adeguato ad una misura fissa di percentuale sugli incassi, facendosi applicazione così, in materia alberghiera, dello stesso criterio adottato in tema di proroga dei contratti agrari col decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 435;

4°) che, infine, siano esclusi dalla ulteriore proroga di anni tre gli alberghi che abbiano subito danni da requisizioni.

«Le reclamate modifiche si ispirano al criterio di contemperare i diritti della proprietà e della impresa e non vorrà disconoscere, l’onorevole Ministro, che ad entrambi quei diritti si deve, in clima di rinnovata fiducia della privata iniziativa, adeguata tutela. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro, dei lavori pubblici, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere il piano di impiego delle somme costituenti il fondo lire U.N.R.R.A., e l’utilizzazione effettiva da parte dei Ministeri cui l’interrogazione è rivolta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Dugoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno intervenire perché il dottor Lorenzo Filippone, che è stato assegnato come segretario generale al comune di Pavia, possa prendervi servizio, vincendo la ingiustificabile resistenza di quell’Amministrazione comunale – o, se questa persista a ribellarsi al Ministero – non creda di provvedere a trasferirlo in altra sede, previa assicurazione che l’invio di un funzionario di altra città o regione sia accolto senza ostruzionismo, che offendono il senso dell’unità italiana e il prestigio del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«BASILE».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se e quali provvedimenti abbia adottato in merito alla sistemazione a ruolo del personale contrattista delle Ferrovie dello Stato in relazione al progetto proposto da tempo dal Ministro dei trasporti, e per conoscere, in ogni caso, se non intenda, e per quali motivi, addivenire alla auspicata sistemazione del detto personale, il quale da parecchi anni dà le migliori energie in favore dell’Amministrazione, per fare cessare, tra l’altro, un trattamento non consono all’Amministrazione stessa e una inutile e dannosa finzione introdotta dal fascismo, che ha istituito questa categoria unicamente per fare credere alla riduzione del numero dei ferrovieri. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Cappugi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.55.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 15:

  1. – Svolgimento della seguente interrogazione:

Spano (Pratolongo, Pellegrini, Longo).

Ai Ministri dell’interno e degli affari esteri.

– Per conoscere per quale motivo non sono state prese le opportune precauzioni allo scopo di proteggere la sede della Delegazione jugoslava presso la Commissione consultiva per l’Italia; e per sapere quali misure sono state adottate a carico dei funzionari sui quali ricade la responsabilità dei deplorevoli incidenti di lunedì, 10 febbraio.

  1. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  2. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.