ASSEMBLEA COSTITUENTE
CXLVIII.
SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 12 GIUGNO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
indi
DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Commemorazione:
Pieri
Congedo:
Presidente
Risposta del Vicepresidente del Consiglio di Stato del Paraguay al messaggio dell’Assemblea Costituente:
Presidente
Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):
Presidente
Morandi
Tremelloni
Cerreti
Scelba, Ministro dell’interno
Bellavista
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Bettiol
Mazzoni
La Rocca
Gronchi
Laconi
Dossetti
Marina
Benedettini
Fresa
Benedetti
Giannini
Pignatari
Caroleo
Scoccimarro
Valiani
Vigorelli
Togliatti
Fuschini
Interrogazione con richiesta d’urgenza:
Pressinotti
Scelba, Ministro dell’interno
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La sedata comincia alle 16.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Commemorazione.
PIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERI. Onorevoli colleghi, per un malinteso, ieri, nella seduta pomeridiana, all’inizio non ebbi la parola che avevo domandata per ricordare all’Assemblea Costituente, a nome dei medici che ne fanno parte, che ieri ricorreva il centenario della nascita di Carlo Forlanini, ideatore del pneumatorace per guarire la tubercolosi polmonare, una delle più luminose figure che onorano il nostro Paese nel campo della medicina e del progresso civile.
Nacque a Milano l’11 giugno 1847. A lui la medicina deve il pneumatorace terapeutico per la cura della tubercolosi polmonare, che ad oltre 75 anni dalla sua scoperta, dopo aver superato tutto il misoneismo che sempre osteggia le grandi scoperte, resta la conquista più grande nella terapia della tubercolosi polmonare, ed una vera pietra miliare nella storia della medicina.
Per esso, la terribile leggenda millenaria della inesorabilità della tubercolosi polmonare è stata demolita e l’insidia del bacillo di Koch è apparsa domabile. Tanta parte della umanità che prima, vinta dalla disperazione, era votata ad un amaro destino, ha riacquistato la fiducia nella vita e la gioia del lavoro.
Nella nostra Italia, dove la mortalità annua della tubercolosi al principio di questo secolo era di 60 mila persone, nell’ultima statistica, quella del 1939, era discesa a 30 mila morti annui.
In Carlo Forlanini, al genio dello scienziato si accompagnava l’altissimo sentimento patriottico per cui, a 19 anni, si arruolò come volontario nella legione garibaldina e combatté a Bezzecca, ed il senso profondo di umanità per il quale egli visse per la sua scoperta, sempre assorto a difenderla e perfezionarla per il bene degli uomini. Altri hanno in seguito raccolto i suoi insegnamenti, e portano ora la fiaccola, protendendola verso il futuro, e l’idea scaturita dal cervello di Forlanini ha dato così inizio alla più umana e benefica delle battaglie.
Noi ci auguriamo che la nostra Assemblea onori oggi Carlo Forlanini nel modo più opportuno ed efficace, formulando il fermo proponimento che la lotta contro la tubercolosi non abbia tregua né sosta, poiché la salute dei cittadini rappresenta il sommo bene per l’individuo e la più grande ricchezza per la Nazione. (Applausi).
Congedo.
PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Gui.
(È concesso).
Risposta del Vicepresidente del Consiglio di Stato del Paraguay al messaggio dell’Assemblea Costituente.
PRESIDENTE. Comunico che il Vice presidente del Consiglio di Stato del Paraguay, in risposta al messaggio della nostra Assemblea Costituente, ha espresso la profonda ammirazione della sua Nazione per l’Italia, che definisce «culla della civiltà e della cultura latina», formulando i migliori voti per la ricostruzione totale del nostro Paese e per il suo crescente progresso nel mondo. (Vivissimi generali applausi).
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritto a parlare l’onorevole Morandi. Ne ha facoltà.
MORANDI. Onorevoli colleghi, riconoscerete che non è sulla base delle comunicazioni fatte dal Presidente del Consiglio che noi si possa seriamente stabilire un giudizio sull’indirizzo che sarà impresso all’opera a cui si accinge il nuovo Governo.
L’onorevole De Gasperi non ci ha detta una parola delle ragioni che l’hanno portato alla crisi per l’allargamento, e determinato poi a mettersi a capo di un Governo di colore.
Egli ha deluso così la nostra legittima attesa e curiosità di vedere con quali armi dialettiche avrebbe tentato di dimostrare che il corso di una politica, di cui egli ha per un anno e mezzo portato la responsabilità più diretta, non sia stato da lui bruscamente rovesciato con un’azione puramente personale.
L’onorevole De Gasperi non ha saputo trasfondere alcun calore di convinzione nelle sue dichiarazioni, e possiamo comprendere del resto come questo dovesse riuscirgli impossibile. Egli non è mai stato dinanzi a noi così freddo e chiuso: questo vuol dire, per chi lo conosce, che ha una contrarietà da celare. E quel che ha celato è il suo corruccio, per non essere riuscito a rovesciare sulle sinistre le responsabilità della crisi e del difficile e pericoloso corso che ha avuto. Egli infatti si è ridotto a sganciarsi maldestramente da esse, quando, sotto l’urgenza delle cose e impensatamente per lui, contro la volontà che l’aveva sempre animato di tenerlo nell’impotenza, un’azione unitaria e lineare si è sviluppata dal seno del tripartito.
Così, dopo essersi invano ostinato a sostenere, per aprirsi una via parlamentare all’operazione ideata fin dal dicembre, che nulla c’era da mutare al programma di emergenza tracciato già dal passato Gabinetto, egli è costretto oggi a rimanipolare proprio quella dichiarazione di Governo dell’aprile, cui s’era lasciato sospingere in un’ora difficile, ma che doveva per l’appunto obbligarlo poi, per svincolarsene in tempo, a bruciare le tappe nell’esecuzione del suo vecchio disegno.
Onorevole De Gasperi, mi consenta, con tutta la deferenza che le porto, di dire che non mi sembra convenga al prestigio del suo nuovo Governo e s’addica all’autorità dell’eminente persona cui ella ha affidato la Vicepresidenza che si stia ora a sforbiciare il programma economico del Gabinetto da quella dichiarazione e ad insistere ancora su quei quasi famosi quattordici punti, ch’ella sa benissimo essere stati in origine semplicemente una serie di motivi appuntati da me, per prenderne riferimento nello svolgere al Consiglio dei Ministri una diffusa relazione sulla nostra situazione economica e in particolare sull’andamento dei prezzi. Essi furono utilizzati poi quasi tal quale nell’intento di fissare sinteticamente tutto un orientamento di azione approvato dal Gabinetto, che oggi viene nel suo significato e nella sua sostanza abbandonato, se non capovolto. L’enunciazione pubblica di punti, in qual si voglia numero, era del resto fuori di ogni mia previsione o proposito: questo conviene che dica a mio discarico, dopo che è stato causticamente rilevato, credo dall’onorevole Nitti, che al Signore bastarono dieci punti per ordinare il mondo.
Ricordiamo comunque come furono accolti questi quattordici punti dalla stampa gialla, oggi osannante al nuovo Governo che li riconferma. Buoni i primi due o tre, che significavano la consapevole accettazione da parte nostra di misure che dovevano forzatamente tradursi in nuovi sacrifici per i lavoratori. Eresie e mostruosità tutti gli altri. Del resto posso anche immaginare le aspre critiche che si sarebbero levate da certi settori, che hanno confortato del loro applauso il Presidente del Consiglio, se mai mi fossi presentato a svolgere di persona dinanzi all’Assemblea il programma su di essi incardinato e che era da sviluppare. Su queste critiche l’onorevole De Gasperi aveva forse accortamente calcolato per legittimare la sua così detta operazione di allargamento, ossia, in più povere parole, la crisi. E questo è probabilmente l’imbarazzo che la sua reticenza ha espresso.
Tutto ciò si confà però ugualmente, per un altro verso, all’interesse che l’onorevole De Gasperi ha di non dare neanche a questo Governo – e sotto certi aspetti tanto meno adesso – una linea che lo possa troppo caratterizzare: egli deve pure avere occhio al grosso del suo Partito, che non è costituito da plutocrati, ma da lavoratori, i quali non si differenziano per condizione di vita dagli altri, che sono di diverso colore, e si trovano assillati dagli stessi penosi problemi d’esistenza.
Pertanto, dal momento che l’onorevole Presidente del Consiglio considera la materia dei programmi di una tale elasticità, da poter essere rimessi per l’esecuzione a chi si ispira all’una come all’opposta tesi, noi siamo indotti a chiederci quanta parte della dottrina dei due illustri uomini di scienza, cui s’è affidata la regolazione dei centri motori e inibitori della politica economica, si verserà nell’azione di governo. È un po’ difficile prevederlo, poiché non c’è dubbio, onorevoli colleghi, che l’arte di governare – ed oggi soprattutto in una condizione così mossa, così piena di contrasti e di incognite – può suggere ben poco dalla dottrina e tanto meno nutrirsi del dubbio, che è canone della ricerca, ed ha troppo travagliato in questo periodo – con ben nefasti effetti, ahimè, nella pratica – la mente dell’onorevole Einaudi in materia di politica valutaria. Prima di farlo magicamente calare con la stregoneria di questi giorni, chi ha sospinto il cambio tanto all’insù, ostinandosi a conservare il 50 per cento della valuta libera? Non dirò del cambio nella moneta, poiché in questo caso egli mostrò – come governatore della Banca d’Italia – di possedere tale decisione da saper mettere in atto ogni mezzo, per renderlo alla fine praticamente inattuabile.
E dobbiamo chiederci quanta parte d’altronde, quella che è la prassi spregiudicata dell’alta finanza e della grande industria, prenderà nella politica economica del Governo, attraverso l’opera del nuovo Ministro pieno di vigore che va a maneggiare la leva più delicata di comando, quella del commercio estero.
Non tarderemo a vederlo se questo Governo dovesse superare, come noi vogliamo augurarci, che non sia il primo collaudo del nostro voto. Quel che è certo è che l’onorevole De Gasperi ha inteso, fagocitando questi tecnici, di sottrarsi ad una politica popolare coerente ispirata agli interessi della stragrande parte degli italiani, che penano per saldare la sera col mattino. Sotto un tale aspetto c’è stata veramente una paradossale dose di ingenuità nella pretesa avanzata verso di lui da qualche Gruppo a noi vicino, di avere per sé la direzione economica del Governo, la quale proprio doveva evolvere – questa è stata la ragione della crisi – nell’opposto senso.
È inutile che noi chiediamo all’onorevole De Gasperi dove egli voglia arrivare.
L’operazione politica che egli ha svolto ci parla ben altro linguaggio di quello che non abbia tenuto a quest’Assemblea. Ci dice con grande rudezza questo: che si vuole eludere gli angosciosi problemi che angustiano la popolazione, che si è decisi a non marciare in attesa di invertire il cammino: perché la fiducia che deve sostenere il Governo non è più quella del popolo lavoratore, desideroso d’impegnare tutte le sue energie per riaprire al Paese le vie dell’ascesa, ma quella dei magnati del capitale dell’interno e di fuori, quella che si cucina nelle Borse e deve spuntare nella prava coscienza di chi ha accumulato ricchezze sulla devastazione della vita nazionale.
Onorevole Presidente, voi ci avete detto: «Difendere la lira». Questa è l’ufficiale etichetta del nuovo Governo. Sì, voi vi disponete a difendere la lira, difatti, ma con quei mezzi che torna conto di usare alla borghesia possidente. Ebbene quando, costringendo a fame più nera i lavoratori e infittendo ancora le schiere dei disoccupati, vi sarete guadagnata la fiducia dei banchieri, dei commercianti, dei grandi industriali e degli agrari, che farete poi?
Difendere la lira: ma non ci avete precisato come, quasi consistesse in qualcosa di meccanico e non ci fossero modi diversi per farlo.
Vedete: difendere la lira, vuol dire per noi altra cosa da quel che voi avete avuto in vista affidandovi al forte terzetto che tiene nel vostro Governo le leve della manovra monetaria. Vuol dire non semplicemente difendere la sua convertibilità, ossia il rapporto di cambio di un segno monetario con altre monete, ma difendere piuttosto l’esistenza di un popolo minacciato dal pericolo di una catastrofe monetaria. Non vuol dire presidiare la ricchezza, ma salvaguardare il lavoro e le sole possibilità di vita che da esso trae l’immensa parte della popolazione.
Voi ci avviate inconsciamente ad un disastro, proponendovi di difendere la lira con mezzi puramente finanziari, e, quel che è tragico, esso sarà del tutto inutile. Inutili saranno le sanguinose sofferenze che, per le vie sulle quali vi inoltrate, incontrerà la popolazione lavoratrice, inutili i fallimenti che i nostri liberisti oggi si trovano ad auspicare perché si ristabiliscano quelle norme di giuoco, che – essi lo sanno pure – hanno per presupposto la capacità del mercato di sodisfare i bisogni essenziali della vita e le esigenze dello sviluppo economico.
Essi infatti ci debbono ancora dimostrare come possa mai spontaneamente assestarsi, per virtù insita nella libera concorrenza e nella esplicazione dell’iniziativa individuale, un’economia stremata di risorse come è oggi la nostra, una situazione come è quella in cui precariamente viviamo, caratterizzata da una estrema penuria di beni e stringente carenza di materie.
Il programma economico di questo Governo non è quello che ci è stato esposto, ma piuttosto è semplicemente il proposito di elevare l’interesse delle categorie abbienti sopra la dura condizione che si è creata per noi per effetto delle disastrose vicende che abbiamo attraversate.
Guardiamo alla nuda realtà delle cose, se vogliamo, onorevoli colleghi, stabilire su questa questione un giudizio scevro di preconcetti e di passione.
Consentitemi una rapida incursione in una materia più soda della polemica, anche se può riuscire un po’ pesante a chi ne tratti, senza possedere la scintillante oratoria dell’amico Corbino.
Con la fine dell’U.N.R.R.A. la nuova congiuntura economica ci pone davanti al problema di come provvedere coi nostri mezzi all’acquisto sui mercati esteri dei beni di cui abbisognarne. Il pericolo che nell’attuale momento noi corriamo è precisamente quello di ricadere in quel circolo chiuso, dal quale ci è stato possibile di uscire solo grazie all’aiuto che abbiamo avuto dall’esterno.
Per quanto non ci sia paragone da fare tra la situazione di oggi e le condizioni disperate in cui ancora versavamo un anno e mezzo fa, resta il fatto che l’aiuto accordatoci ci ha permesso sì di risalire dal precipizio, ma non di sorpassare un livello medio, tuttora molto basso, di produzione.
Da questo fatto derivano in catena una serie di conseguenze: insufficienza dei mezzi di pagamento ricavabili da quel tanto che possiamo destinare all’esportazione e che sono necessari ad assicurarci i rifornimenti essenziali – scarse possibilità di riassorbire sul piano produttivo la disoccupazione, applicando in pieno la nostra forza di lavoro – difficoltà di aumentare i rendimenti, perché la scarsità di materie, la miseria e la disoccupazione costituiscono altrettanti ostacoli alla realizzazione del processo produttivo: maestranze esuberanti da un lato, aggrappate alla fabbrica come ad una tavola di salvezza; aziende che mendicano l’aiuto dello Stato dall’altro e si trascinano stentatamente, contradizione drammatica in cui viene ad essere avvolta la politica del Tesoro, premuto per un verso da esigenze di ordine economico che ne richiedono l’intervento, per un altro dalle esigenze di bilancio che ad esso si oppongono.
Da che parte cominciare in una situazione come questa? I consigli interessati non mancano. Ma sono cattivi consiglieri quanti prospettano la situazione sotto qualsivoglia angolo visuale che non sia quello dell’interesse della generalità. Pertanto, pare che il nuovo Governo ad essi precisamente si sia arreso.
Occorrono prestiti e la partecipazione del capitale straniero e dunque, essi dicono, è ozioso preoccuparsi di altro e di salvaguardare la nostra indipendenza economica. È necessario incrementare le esportazioni, e dunque cediamo anche tutta la valuta agli esportatori, perché siano in grado di forzare; bisogna aumentare i rendimenti, e dunque togliamo ogni limitazione ai licenziamenti; si debbono contenere i costi e normalizzare i prezzi, e dunque fermiamo i salari e rendiamo libertà al mercato.
In realtà, la situazione è tale da non poter essere dominata da questo lato solo, che rappresenta l’assicurazione di profitti ai capitalisti, ma investendola da tutti i lati assieme.
Indubbiamente occorre che si moltiplichino gli sforzi per ottenere la partecipazione del capitale straniero alla nostra ricostruzione sotto forma di prestiti, con apertura di crediti, attraverso investimenti. Ma l’onorevole De Gasperi si è guardato fin qui dal farlo, per il timore che ne acquistasse merito e forza il tripartito e per cinque mesi ha voluto che marciassero le trattative per il prestito della Export-Import Bank. Questi famosi cento milioni di dollari debbono piovere solo ora come benemerenza del nuovissimo Governo, il quale avrà cura certamente di concedere forme più lucrose di acquisizione ai grandi industriali.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Lei sa che non è esatto quello che dice.
MORANDI. Questa è la mia convinzione.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Allora mi dispiace che abbia una convinzione non fondata. Lei sa benissimo quando sono stati accantonati i cento milioni per il tripartito.
MORANDI. Ma le trattative per la loro utilizzazione…
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Le trattative dipendevano, caso mai, dal Ministero dell’industria e non da me. (Applausi al centro).
Come si può accusarmi di aver lasciato stagnare apposta le trattative? Questo supera ogni limite! (Applausi al centro).
Una voce a destra. Questa è malafede!
MORANDI. Onorevole Presidente del Consiglio, le mie parole sono tanto libere e crude, oggi, quanto è stata leale sempre l’opera che ho prestato al suo fianco. (Applausi a sinistra).
Non molti hanno un’idea della reale proporzione in cui questo concorso è necessario per assicurare la vita al nostro sistema economico, per consolidare e portare a sviluppo la ripresa iniziata nell’anno decorso.
Fino ad oggi nessun intervento è stato trattato in misura anche lontanamente proporzionata alla possibilità di riportare la nostra attività ad un livello che ci consenta di bastare con le nostre forze a noi stessi.
Ma anche quando le nostre richieste trovassero il più favorevole accoglimento – dal momento che non è su una improvvisa pioggia di miliardi di dollari che noi possiamo contare – il nostro problema non si potrebbe risolvere se non con l’impiego più razionale ed oculato delle nostre attuali risorse, e di tutte quelle di cui potremo in aggiunta venire a disporre. Questo significa che le nostre forze non possono essere lasciate libere di esplicarsi secondo il tornaconto individuale, ma debbono essere fatte convergere su obiettivi determinati, poiché, in relazione appunto alle proporzioni di questo concorso, noi dovremo attenerci ad una produzione ed importazione prevalentemente di beni di consumo, ovvero potremo maggiormente sviluppare la produzione di beni strumentali e l’importazione di materie. Senza una così vasta manovra delle forze economiche, noi non possiamo evitare di cadere in crisi, in una crisi che non sarebbe soltanto – è appena necessario avvertirlo – una crisi economica.
Non si vede come si possano attuare più, oggi che siamo completamente allo scoperto e senza più un sostegno di sicurezza, le sperimentazioni alterne o miste di liberismo e vincolismo che abbiamo potuto praticare nella fase scorsa, operando su ridotta scala o per settori singoli. E allora queste sole sono le vie che noi possiamo battere:
o realizzare – come fino ad un mese fa il Presidente si dichiarava disposto a fare – un ordine che non può scaturire dallo sbrigliarsi della iniziativa individuale e deve proporsi di sodisfare alle esigenze vitali della collettività, rafforzando, per conseguire questo fine, l’autorità dello Stato democratico;
o abbandonare qualsivoglia regolamentazione e disciplina pubblica, smantellando ogni struttura di direzione e di controllo, mettere le forze del lavoro alla mercé del capitale e porre all’incanto lo Stato. È questa l’impresa cui oggi l’onorevole De Gasperi si accinge, a capo del suo nuovo Governo.
Oggi si vuole, onorevoli colleghi, ipnotizzare il Paese, ricercando le cause dell’inflazione che ci minaccia esclusivamente nello stato del bilancio, per distrarre l’attenzione dalle cause vere che toccano la moralità e il civismo delle classi abbienti. Dobbiamo, del resto, dire che tutti gli elementi portati fino ad oggi a nostra conoscenza, non consentono – se vogliamo essere sinceri – una disamina seria della reale situazione finanziaria. Va dato merito all’onorevole Campilli di essersi sforzato di porre un ordine nelle cifre. L’onorevole Corbino si era perfino dimenticato di impostare l’onere derivante dal prezzo politico del pane.
CORBINO. Perché contavo di abolirlo; ecco perché. (Commenti a sinistra).
LEONE FRANCESCO. Tanto, i suoi amici lo possono pagare a duecento lire il chilo!
CORBINO. L’avete abolito anche voi altri!
MORANDI. Neanche l’onere del prezzo politico del pane del resto corrisponde in effetti alla cifra di 90 o 100 miliardi messa in conto da Campilli, perché è da detrarre il saldo attivo di cassa derivante in pratica dal grano ceduto dall’U.N.R.R.A.
E così, non sappiamo bene capire con quali intenzioni, da parte della Ragioneria generale dello Stato, altre cifre sono state allineate al passivo, quando costituivano uno stanziamento puramente nominale, mentre alcune cifre sono state alterate in difetto quando dovevano figurare all’attivo. Questo solo spiega del resto come il deficit di previsione abbia potuto essere ridotto della metà nel giro di due mesi, che han potuto essere utilizzati per un miglior vaglio di esse. Del resto, c’è da domandarci come delle previsioni serie oggi possano essere fatte. Resta però il fatto che indubbiamente non è nel bilancio l’epicentro del pericolo.
Una politica economica la quale abdichi dinanzi all’egoismo dei ceti privilegiati, alla manovra delle forze produttive, e si proponga come soli obiettivi la limitazione rigida della circolazione monetaria e il riassestamento a tappe forzate del bilancio può strozzare oggi, nelle delicate condizioni della nostra economia, la vita della Nazione.
I problemi imponenti, onorevoli colleghi, che noi abbiamo dinanzi si chiamano: la disoccupazione di massa; la minacciata degradazione economica del nostro Mezzogiorno; la specifica formazione nel territorio nazionale di aree depresse; la così detta riconversione dell’industria meccanica, che presuppone la sistemazione del grande complesso I.R.I.; infine, come condizione generale della nostra vita economica, la ripercussione che può avere, sul costo della vita e il potere di acquisto dei salari, l’allineamento dei prezzi al rapporto di cambio della nostra moneta.
Formazione e riqualificazione di maestranze – intervento volto ad evitare la cristallizzazione perniciosa delle aree economicamente depresse, dove è stasi di ogni attività – incremento di ogni attività economica nel Mezzogiorno: dobbiamo proprio chiudere gli occhi davanti a queste primordiali necessità della nostra ricostruzione? La nostra condizione è tale da impedirci veramente uno sforzo serio in queste direzioni? Noi sosteniamo che no, e che non dobbiamo lasciarci abbacinare da una situazione di bilancio, che è seria indubbiamente, ma non è così tragica e nera come si tende a rappresentare, quando sia vero per lo meno che si intende di applicarsi con la più strenua energia alla esazione dei tributi. Del resto tanto varrebbe a rinunciare del tutto al nostro domani ed a risollevarci mai, poiché la nostra politica di risanamento finanziario risulterebbe di ben corta vista, se non si preoccupasse di schiudere nuove fonti di attività e di ricchezza.
Noi abbiamo già affacciato la possibilità ed opportunità di destinare il fondo-lire U.N.R.R.A. alle grandi opere di rigenerazione economica. Si tratta di molte diecine di miliardi che a questo fine precisamente, secondo le vedute e i programmi dell’U.N.R.R.A., dovrebbero essere devoluti e che, impiegati a spizzico, potrebbero disperdersi con ben scarso vantaggio per l’economia della Nazione. So che in gran parte rappresentano oggi delle impostazioni nominali, perché il Tesoro li ha già utilizzati. Ma è anche vero che essi in un modo o nell’altro debbono uscire di nuovo, magari per un ammontare ridotto, dalle casse dello Stato, perché una destinazione ad essi comunque si dia. Pertanto, sarebbe ora che si levasse il velario che si è calato sulla gestione di questo fondo. La domanda è rivolta direttamente alla Presidenza del Consiglio da cui dipende la Delegazione italiana dell’U.N.R.R.A., la quale, senza che nessuna informazione sia stata data mai al pubblico né ai Ministri dei precedenti. Gabinetti, ha già fatto per suo conto una serie di progetti col proposito manifesto di continuare a disporre in avvenire di questo fondo fuori di ogni controllo.
Ci sono stati già una serie di incontri e di scontri su questo terreno con la missione alleata dell’U.N.R.R.A, cui si è in più modi riusciti a forzare la mano. Si tratta di 70-90 miliardi. I Ministri dei precedenti Gabinetti, per lo meno quelli che non erano democristiani, sono stati sempre tenuti del tutto all’oscuro di questa faccenda, che rappresenta una delle tante manifestazioni di accaparramento di posizioni e di influenze che si fa da parte della Democrazia cristiana sotto le materne ali della Presidenza del Consiglio, le quali si conservano tuttora non per nulla così vaste come la dittatura le aveva fatte.
Quando si costituì il passato Gabinetto si era dato incarico ad un ristretto Comitato del CIR di portare a soluzione quello che è diventato il problema I.R.I, riconoscendo tutta la rilevanza che esso era venuto ad assumere nel quadro dell’economia italiana, del cui risanamento è un po’ il presupposto. Ad una soluzione, per lo meno nelle grandi linee, formalmente s’era arrivati all’atto della crisi. Ma nelle dichiarazioni di Governo che abbiamo ascoltate se ne è più completamente taciuto. Ora le idee varie volte manifestate al riguardo dall’onorevole Einaudi, ci impongono di chiedere al nuovo Governo che sollecitamente si esprima al riguardo.
Troppi interessi si sono in questi ultimi tempi agitati per accaparrarsi delle posizioni e troppe premure sono state fatte per una pronta e larga smobilitazione dell’I.R.I., se non addirittura per la sua liquidazione. Si sappia che noi, non consentiremo in nessun modo che queste manovre volgano al risultato nefasto a cui mirano, di privare cioè lo Stato dello strumento più importante di cui disponga per recare ad attuazione una politica produttiva e creditizia improntata agli interessi della collettività. Ricorreremo ad ogni mezzo per attraversare i disegni di chi muove all’attacco del mastodontico organismo, per divorarne la polpa e lasciarne lo scheletro a maggiore imbarazzo dello Stato.
La potenza dell’I.R.I. è presto raffigurata, se si considera che le Banche dall’Istituto controllate dispongono di poco meno di un terzo dei depositi bancari esistenti in Italia. Le imprese siderurgiche vengono a rappresentare circa il 45 per cento della produzione di acciaio e si aggiunga in proposito che, all’infuori del complesso I.R.I., lo Stato è proprietario di un’altra grande azienda siderurgica, la Cogne. Dall’I.R.I. viene controllato circa l’85 per cento dell’attività cantieristica, oltre ad industrie meccaniche importantissime. L’I.R.I. controlla infine il 40 per cento del nostro tonnellaggio marittimo ed in una proporzione molto più grande la navigazione di linea.
Bastano questi riferimenti a dire quale formidabile strumento di azione possa essere esso, proprio quando si voglia esercitare una influenza ed imprimere un indirizzo sulla produzione senza ricorrere alle regolamentazioni coattive.
Si vede, infatti, come nel settore siderurgico sia dato di impostare fondamentalmente i problemi della riconversione, della ricostruzione ferroviaria e della edilizia popolare, nel settore cantieristico quelli della ricostruzione della flotta mercantile od una politica di produzione che serva eminentemente alle nostra manovra valutaria; in quello telefonico ed elettrico la razionalizzazione delle telecomunicazioni ed un’azione equilibratrice, che potrebbe avviare a soluzione senza interventi drastici tanti gravi problemi dell’industria elettrica; infine come la nostra politica creditizia abbia il suo perno nel settore bancario dell’istituto.
Nella sfera dell’industria, nuova parte ha dovuto assumere lo Stato attraverso le operazioni finanziarie svolte dall’I.M.I. Esse riguardano prevalentemente il settore meccanico, e non si può dire ancora a quali risultati ci possano portare. Dipenderà dall’andamento generale della congiuntura se le aziende private che hanno avuto questi aiuti potranno reggere, o non finiranno per cadere sulle braccia dello Stato. In ogni caso è una situazione che deve essere opportunamente inquadrata e vigilata per evitare il pericolo che vada alla deriva, originando nuove crisi.
I nostri liberali e liberisti, che troppo facilmente si abbandonano all’elogio dell’iniziativa privata, per deprecare ogni intervento dello Stato, e poi – come è accaduto per mano del liberale e liberista Corbino, quando era Ministro del tesoro – allargano molto volentieri le maglie della borsa per sodisfare le richieste che i privati imprenditori avanzano, ricattando lo Stato, debbono mettersi d’accordo con se stessi.
Noi sappiamo che proprio per l’avvio dato dal collega onorevole Corbino sono stati spesi molto male, nel complesso, quella dozzina di miliardi che il Tesoro ha direttamente erogato alle industrie (per circa 2/3 alle industrie private). Basti dire che soltanto il gruppo Caproni, la Fiat, Breda e Franco Tosi ne hanno inghiottito 5 sugli 8 che sono andati a imprese private. Abbiamo anche aziende a stretto carattere personale che sono state sovvenute dallo Stato per somme vistosissime, in molti casi non si vede a quale altro titolo che non fosse la loro potenza finanziaria, che li metteva meglio degli altri in grado di speculare sullo svilimento della moneta. Né più utilmente e con sufficienti cautele sono state dallo Stato prestate garanzie con concorso al pagamento degli interessi, per 24 miliardi, su prestiti all’industria, dei quali le banche hanno preferito di non assumere i rischi.
Quando, come Ministro dell’industria, mi feci sostenitore del diritto che lo Stato ha di salvaguardarsi nell’impiego del denaro pubblico e del dovere che ha il capitale privato di correre rischi di congiuntura, se vuole conservare legittimo titolo alla proprietà delle imprese, fui accusato in coro, da tutta la stampa liberista, di perseguire il celato fine di metter mano sull’industria privata; alla fine mi riuscì però di convincere il Tesoro a un cambiamento. Pertanto il freno che opportunamente nel più recente periodo era stato posto, già minacciava di stringersi troppo, per mano del Ministro Campilli, al punto di impedire o render nullo, in settori di produzione che sono di vitale importanza, uno sforzo adeguato di recupero. Quale via intende di tenere il Ministro Einaudi? Qui pure siamo davanti ad una di quelle situazioni che vanno affrontate nel quadro di tutta la dinamica economica, la quale dovrebbe trovare nell’azione governativa un’ispirazione e un indirizzo, che invece non mostra di avere.
Il Presidente del Consiglio, accennando all’azione che il Governo intende di svolgere nel campo dei prezzi, ha riesumato qualche frase della famosa dichiarazione d’aprile. Noi ne prendiamo scandalo a nome del Vice-Presidente, il quale non crede per nulla a tal genere di sofismi che possono solo albergare nella nostra mente di statolatri. Abbiamo la ventura di conoscere tutti il suo pensiero al riguardo, perché ognuno di noi legge sempre volentieri un articolo di Luigi Einaudi.
L’esperienza è però, almeno su un punto, conclusiva in materia di regolazione di prezzi. Essa ci dice che il prezzo delle merci, quando esse si rarefanno sul mercato, si svincola dagli elementi del costo, i quali ne sono in condizione normale di concorrenza la fondamentale determinante, e tende a stabilirsi in semplice funzione d’una domanda che presenta la più grande irregolarità e mutevolezza. Così, per quanto i prezzi vincolati che interessano la sfera dell’economia privata fossero già stati nella generalità dei casi adeguati ai costi, tali cioè da remunerare il produttore ed il commerciante (ossia «prezzi economici»), scarti enormi noi abbiamo visto determinarsi tra essi e quelli che il consumatore è disposto a pagare. Su un mercato depauperato avviene d’altra parte paradossalmente che gli scarsi beni a disposizione siano attratti dai settori d’impiego meno essenziali e dalle categorie che sodisfano eccessi di consumo. Per queste ragioni il controllo dei prezzi ha ben dubbia efficacia, se non si attua in stretta correlazione con una regolamentazione preferenziale della produzione ed una disciplina degli scambi, dei consumi e delle valute.
L’onorevole De Gasperi non può certamente dire che i partiti della sinistra, della cui collaborazione ha voluto sbarazzarsi, non abbiano dato prova di senso di responsabilità accettando di addivenire, come premessa necessaria del risanamento finanziario, alla graduale abolizione dei prezzi politici, che vuol dire inevitabilmente scaricarne l’onere soprattutto sulle classi meno abbienti.
Ma noi intendevamo che queste misure, così come l’inasprimento effettuato delle imposte indirette, la contrazione delle spese in generale e la graduale normalizzazione dei prezzi vincolati, venissero controbilanciati con quel complesso di azioni rivolte a salvaguardare il livello di vita dei lavoratori e dei ceti più miseri della popolazione, che noi non abbiamo ottenuto venissero dal precedente Governo messe in atto se non in piccolissima parte, e che non abbiamo fede alcuna che questo Governo realizzi. Perché? Perché ricordiamo quale coro di dileggi e di proteste si sia levato contro la semplice enunciazione che se ne fece, proprio da parte di chi oggi sostiene questo Governo e lo tiene, lo voglia esso o no, suo prigioniero. Perché sappiamo che alle pressioni di chi le osteggia, alle pressioni degli agrari, degli industriali e dei commercianti, questo Governo cederà: cederà tanto più di buon grado in quanto esso è stato composto dopo di aver tenuto consulto coi dirigenti delle associazioni padronali ed essersene guadagnata la benevolenza. Si capisce che esse ben tollerano oggi un affronto ai sacri canoni dell’egoismo mercantile, se questo può servire all’imbonimento del pubblico, e sono così disposte a digerirsi i 14 punti e quanti altri punti si vogliano: sono denti che non morderanno mai nelle loro carni.
Per quanto riguarda quelli che impropriamente si chiamano «prezzi politici», è da tener presente quando si parla della loro eliminazione, da una parte il gravame rappresentato dall’accollo al Tesoro dell’integrazione per determinati generi o per la gestione di servizi pubblici fortemente deficitari; dall’altra un onere virtuale relativo all’applicazione di un tasso di cambio, nella utilizzazione dei fondi in valuta a disposizione dello Stato, non più rispondente alla linea di equilibrio dell’attuale nostra situazione.
Qui tocchiamo una delle questioni più delicate che si pongono agli effetti dell’equilibrio del nostro sistema economico, voglio dire la questione valutaria. C’è da temere fortemente che questo Governo non sia capace di risolvere la contradizione che noi vediamo già profilarsi, tra un’azione intesa a recuperare la lira all’interno con mezzi puramente finanziari (e per ciò stesso già per sé insufficienti), ed un’altra in direzione decisamente opposta, che la lascia liberamente rotolare sul mercato internazionale. Conosciamo tutti con quale tenacia di convinzioni l’onorevole Einaudi abbia sostenuto il sistema vigente, il quale consente la libera negoziazione del 50 per cento della valuta che resta a disposizione dell’esportatore: escogitazione suggerita una volta dagli industriali esportatori e dimostratasi gravida di conseguenze, che ha trovato solo a posteriori la sua giustificazione teorica in questa tesi, che cioè affacciandoci attraverso questa finestra sul mondo – che è del resto un mondo di Stati tutti ancora gelosamente chiusi nelle loro frontiere valutarie – avremmo potuto trovare un utile termine di riferimento per stabilire il valore reale della nostra moneta. Nella pratica infatti gli scambi che noi potemmo attivare dovevano naturalmente risultare ben troppo limitata cosa per servire allo scopo. Il risultato di questo infelice esperimento furono, non soltanto i profitti di qualche settore, incrementati dal «franco valuta» e dalle «lavorazioni per conto», ma, in definitiva, un turbamento profondo di tutto il nostro sistema che, accendendo una indomabile febbre speculativa, pregiudica oggi sempre più seriamente, per lo stesso nostro esportatore, l’equilibrio tra prezzi e costo.
È accaduto poi questo fatto paradossale: il Tesoro, che è portato a considerare come una integrazione di prezzo la realizzazione di valuta al di sotto del cambio medio, che si stabilisce fra il tasso ufficiale (il quale si è completamente volatilizzato e non si capisce più quali elementi di determinazione abbia) e il tasso della valuta negoziata, si è ridotto a rincorrere le quotazioni del mercato libero, che sono altrettanto fittizie, poiché basta una manovra speculativa di modesta portata o la notizia che stanno per essere rilasciate licenze di importazioni di qualche conto per causare sempre nuovi bruschi balzi all’insù.
Possiamo ben sostenere che i liberisti (per essere troppo facili a subire le suggestioni di un mercato dominato dalla speculazione) ai quali oggi si dà la sacra consegna di difendere la moneta, sono stati essi i primi responsabili del processo inflazionistico e dell’ascesa tumultuosa dei prezzi che per questa via hanno sospinto… (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevole collega, cerchi di riassumere.
Una voce. Ma gli altri hanno parlato quanto hanno voluto.
PRESIDENTE. Si può parlare quanto si vuole; ma se si legge si ha solo un quarto d’ora a disposizione.
I colleghi di tutti i settori che ricordano alla Presidenza che c’è questa disposizione per l’appunto quando si fanno discorsi che ad essi spiacciono, dovrebbero ricordarla in tutti i casi. Onorevole Morandi, prosegua.
MORANDI. Onorevole De Gasperi, non ci dica che sia piacevole la parte che noi oggi ci assumiamo di oppositori; in noi c’è l’ansia del presente e la tema per il domani di questo popolo, che non merita davvero nuove umiliazioni e nuove afflizioni dopo tatto quello che con virile animo ha sofferto. In un’ora così grave, nella quale si gioca l’avvenire del nostro Paese, noi non mancheremmo di augurare, per il bene e la maggior fortuna di esso, successo pieno alla vostra opera, sol che ci aveste francamente detto che il nostro momentaneo allontanamento doveva facilitarvi per ottenere quei prestiti di cui abbisogniamo o questo comunque fosse vero. Eppure questa precisa domanda vi fu posta in una seduta di Consiglio quando, al preludio della crisi, con altro animo da quello che avete portato all’Assemblea, ci parlavate della vostra tormentosa ricerca. Noi eravamo, e saremmo del resto ancora, ben disposti ad aiutarvi, se si trattasse soltanto di rimuovere un ostacolo costituito da infondate prevenzioni a nostro riguardo. Malauguratamente la verità è tutt’altra e suona severa condanna al vostro operato. La verità è che non l’interesse della Nazione avete avuto in vista, ma un interesse di parte e di classe. (Rumori, interruzioni al centro – Applausi a sinistra).
JACINI. Valeva la pena di leggere per dire queste belle cose! (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano!
MORANDI. E nel giuoco condotto contro le forze che sono le più genuine rappresentanti del popolo lavoratore, voi non solo non avete combattuto tali prevenzioni nei circoli ben lavorati dai nostri plutocrati, dove esse si manifestano… (Rumori al centro).
CARBONARI. Anche noi rappresentiamo dei lavoratori! (Rumori).
MORANDI. …ma le avete di buon grado tollerate e con la vostra condotta rafforzate, sol per trarne profitto isolandoci. (Commenti).
Vi siete lasciato attrarre, inconsciamente, noi vorremmo ancora credere, nella rete di intrighi tesa dalla parte più spregevole della reazione che è disposta a perpetrare ogni delitto contro la Nazione, sino ad insidiarne l’indipendenza. (Rumori al centro).
Per l’estimazione che abbiamo, onorevole Presidente del Consiglio, della vostra persona, per le privazioni ed i sacrifici che avete patito nell’affermare la vostra fede nella libertà, noi vi diciamo: guardatevene! (Interruzioni – Rumori).
CARBONARI. A me, il Presidente tolse la parola dopo quindici minuti che leggevo.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio. Si può non applicare strettamente il regolamento, ma questa inosservanza non deve essere rivendicata quasi come un diritto in modo così rumoroso. L’onorevole Carbonari ha buone ragioni di intervenire, perché, in occasione di un suo discorso letto, gli dovetti togliere la parola. (Interruzione dell’onorevole Vernocchi). Onorevole Vernocchi, abbia memoria anche per le cose che le dispiacciono!
MORANDI. Gli aiuti a noi necessari non ci debbono venire sotto condizione di asservirci. Gli aiuti di cui abbisogniamo, noi riteniamo che si debbano chiedere a fronte alta, ponendo l’esigenza inviolabile della indipendenza come la vera e più grande forza vitale della Nazione e la garanzia di solvenza massima che essa può prestare.
Tutto questo permettetemi di soggiungere, onorevoli colleghi, si riduce comunque a una frase facile ad uscire dai nostri petti, se – come è destinato ad accadere con questo Governo – non sappiamo e non vogliamo dare altra consistenza che di parole a una tale rivendicazione: e così sarebbe se noi lasciassimo concorrere cioè sfrenatamente le forze più agguerrite del capitale, in gara per sopraffarsi, prevalendo in definitiva sull’interesse della generalità – se noi rinunciassimo, a pro di interessi particolaristici, ad assumerne la guida e ad esigere un ordine – se ad essa non chiedessimo di schierarsi al servizio delle collettività come chiediamo ai lavoratori di essere a servizio della Nazione, che domanda loro nuovi sacrifici per risorgere – se noi non svolgessimo insomma una manovra razionale delle nostre forze, col supremo obiettivo di subordinare ogni altro interesse alle esigenze dì vita della Nazione minacciata nella sua esistenza.
Ecco la suprema ragione della condotta economica che noi propugniamo esprimendo l’esigenza del piano. La politica del piano per noi non è quell’ibrido connubio di ideologismo con la realtà economica che i nostri avversari vogliono raffigurare. Non è il soffocamento delle risorse spontanee e l’irretimento progressivo della privata iniziativa. Non è un ponte di passaggio verso la società socialista, poiché non esistono di questi passaggi. Noi abbiamo in vista la dura realtà di oggi e ne facciamo pacata considerazione. Essa esige che sia tutelata da noi prima di tutto la vita materiale dei lavoratori, ed a questo consideriamo dovere nostro di dedicarci senza lasciarci distrarre da miraggi avveniristici. L’economia del piano non è un nuovo ordine che noi si voglia introdurre, ma semplicemente la manovra delle nostre forze, che è necessaria per vincere la limitazione opposta alla nostra ricostruzione dalla povertà delle risorse di cui disponiamo, all’infuori di quella del nostro lavoro, che non può avere oggi, senza che sia regolata la ricerca dell’utile e l’accumulazione del profitto, possibilità di essere sfruttata a pieno a vantaggio della collettività.
La condotta programmata della nostra economia è dunque prima di tutto la positiva e concreta condizione per la Nazione di ottenere crediti senza vendersi.
Il piano vuol dire nella sua attuazione la condotta manovrata della nostra economia, per conseguire la più razionale applicazione delle nostre forze e l’eccitazione massima di esse. Se è così, misuriamo tutta la vastità e complessità dell’opera.
Non si tratta tanto di quei congegni tecnici, che voi onorevole De Gasperi lamentate che manchino – di strutture amministrative, di commissioni, di organi di rilevazione e di controllo – quanto, e ancor più, di una coscienza che si deve infondere nel Paese, perché siano messe in moto tutte le nostre energie. Si tratta di chiamare ad uno sforzo consapevole l’intera popolazione.
Il fenomeno della produzione non appartiene invero, onorevoli colleghi, solo a chi lo dirige, e tanto meno in un’ora come questa, in cui dobbiamo disperatamente lottare per la nostra salvezza. Schiudiamo allora, noi vi diciamo, senza pavide riluttanze, la immensa riserva di volontà e di intelligenza dei nostri lavoratori facendoli, fuor d’ogni retriva prevenzione, partecipi del processo produttivo. Ecco su quale fondamento noi abbiamo inteso poggiasse il riconoscimento dei consigli di gestione, al quale tutti i vostri Governi, onorevole Presidente, sono stati successivamente impegnati, fino a questo ultimo Governo che dichiaratamente non assume più su di sé l’obbligo di corrispondervi.
Ho terminato, onorevoli colleghi, e tutto quanto ho detto è stato rivolto a provare che la difesa della lira – intesa come salvaguardia della nostra economia e della nostra indipendenza – non è dunque cosa così semplice ad attuarsi per un Governo come questo, sollecitato essenzialmente dagli interessi di quelle categorie che non sarebbero certamente le più colpite dalla rovina monetaria e che hanno puntato finora sull’inflazione. Esse possono bensì mutare oggi di atteggiamento, dopo l’atto di debolezza che noi imputiamo al Presidente del Consiglio, quando si è piegato al volere del capitale (è la più benevola interpretazione che noi possiamo dare della crisi), ma questo avverrà solo e fino a quando il nuovo Governo a questo volere si manterrà prono.
È incontrastabile, infatti, che la caduta della moneta, alla quale abbiamo assistito, non trova spiegazione in una situazione economica che non ha subito in questi ultimi mesi sostanziali peggioramenti, ma solo nella estrema tensione dei rapporti economici dovuta all’opera delle forze responsabili della nostra economia, le quali hanno sistematicamente sabotato ogni azione ispirata alla tutela degli interessi della collettività.
Esse hanno avuto un obiettivo politico e non hanno esitato a giocare la vita della Nazione per raggiungerlo. Di queste forze il nuovo Governo è destinato a subire l’incessante ricatto. Ma pure, onorevole De Gasperi, non è per merito di questo «Quarto partito», come con triste ironia ella lo ha battezzato, che il popolo italiano s’è risollevato dal fondo di miseria e di dolore in cui l’aveva precipitato un regime sciagurato di tirannia!
Il «Quarto partito», che oggi vi affianca, vi sospingerà fatalmente, onorevoli colleghi del Governo, contro ogni vostra volontà, per una via al fondo della quale stanno nuovi dolori e nuovi stenti per il popolo, e può costare forse la perdita del nostro bene più grande, che abbiamo già difeso con la morte dei nostri migliori, e dobbiamo oggi nella nostra povertà più gelosamente custodire.
Ebbene, senza alcuna enfasi noi vi diciamo che, con quella forza che è stata in essi ingenerata dalle sventure immeritatamente patite, i lavoratori italiani riprendono la lotta contro chi fa calcolo di trarre vantaggio dalle avversità dell’ora. È in noi la calma certezza che questa forza attrarrà a sé tutti gli italiani liberi e piegherà possente gli ostacoli e le resistenze che vorrebbero sbarrare la via del civile progresso, poiché essa attinge alla coscienza in virtù della quale il nostro popolo, nel tormento di questi anni, ha tratto la consapevolezza di avere solo nel lavoro e nella giustizia sociale la possibilità di conservare la dignità, a così grave prezzo guadagnata, di popolo libero. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra – Commenti – Molte congratulazioni).
Presidenza del Vicepresidente CONTI
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cappi. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l’onorevole Tremelloni. Ne ha facoltà.
TREMELLONI. Questa crisi ministeriale non si è aperta ai primi di maggio, ma, a mio avviso, si è aperta dal giorno della liberazione. Allora si posero i grandi problemi che la pace deve risolvere sul piano economico e sul piano morale. Si trattava allora di andare verso la pace con ardita risolutezza, con quella risolutezza con cui un Paese si avvia ad una guerra sacrosanta di liberazione. Questa chiara visione e questa robusta certezza io ho forti dubbi che manchino ancora. Noi ci troviamo, insomma, come quei naufraghi che, dopo avere fatto il punto per via indiziaria, e dopo una lunga e stremante lotta con i marosi, si accorgono di essere molto più lontani dalla costa di quanto credevano.
Di che cosa ha bisogno il Paese oggi?
Il Paese ha bisogno soprattutto di sapere e sapendo, di sperare: ha bisogno di quella che gli americani chiamerebbero la libertà dal dubbio e dalla paura; ha bisogno di un ordine giuridico volto al bene di tutti i cittadini e non di una parte soltanto; ha bisogno di un potere esecutivo che abbia il prestigio per far osservare questo ordine giuridico. Ma io mi limiterò a prendere in esame qui il tema economico.
Quando, dopo le sollecitazioni pervenute anche dal nostro Gruppo, l’onorevole Campilli si decise a rompere quella prescrizione per silenzio continuo che gravava sulle reali condizioni del bilancio statale, l’attenzione si incentrò su tale bilancio, e questo Ministero è nato sotto questa stella. È essenziale che, per vedere una stella, non perdiamo di vista il firmamento. Il problema è, evidentemente, più vasto: anche se ci si limitasse al solo terreno economico, un dibattito che si rattrappisse nell’esame di un bilancio statale, e tanto meno un dibattito che si limitasse alla sola imposta straordinaria, farebbe immiserire la discussione che si svolge qui oggi.
Il problema trascende irresistibilmente i limiti contabili di un bilancio; essendo un problema di politica economica generale, ci obbliga a guardare oltre l’equilibrio formale, anche oltre il convenzionale allineamento delle cifre, anche oltre la convenzionale suddivisione in cicli annuali. È inutile che io ripeta qui gli argomenti che ho affacciato quattro mesi or sono, e che potrei a buon diritto ripetere. È indubbio che in tutti i paesi si va rapidamente sostituendo ad un bilancio finanziario un bilancio economico nel senso più vasto della parola. E la ricca documentazione che accompagna al Parlamento inglese questa ampia discussione può esserci senza dubbio di esempio. Nel succedersi dei governi di emergenza noi abbiamo avuto sempre, invece, l’abitudine di vivere un po’ alla giornata: senza arrischiarci a spingere l’occhio al futuro, abbiamo travisato un po’ il significato originario della parola «emergenza». Confesso che mi trovo qui molto esitante nel parlare, di fronte ad uomini che sono stati miei venerati maestri come Einaudi, Del Vecchio e Corbino e ai quali, d’altronde, nel campo scientifico va la deferente ammirazione di tutti. Ma è giusto che io esprima quella che ritengo essere la verità.
Cosa avevamo proposto noi? Ben lontani dal miracolismo delle formule capaci di risolvere tutto – e, in realtà, qui si sono fatti e si fanno molti discorsi ma, diciamoci la verità, nessuno possiede ricette magiche – eravamo però convinti che occorresse tracciar le linee chiare di una politica economica, e di una sola. Ed eravamo convinti che l’esecuzione di tale politica doveva essere tale da offrire ogni garanzia alla grande maggioranza del popolo italiano.
Ora, tutti gli onorevoli colleghi sanno – io lo vado dicendo da un paio di anni, e l’onorevole Corbino l’ha ripetuto ancora ieri – non c’è in questo eccezionale momento un’alternativa tra due sistemi economici; ci sono dei binari obbligati; c’è l’esigenza di una politica empirica capace di conciliare temporaneamente istanze ideologiche differenti.
L’essenziale è di vedere come, in un periodo di così grave patologia economica, in cui non si può credere a rapidi riequilibri spontanei, si possano imporre le necessarie restrizioni; l’essenziale è di vedere come vengano distribuite queste restrizioni. E qui davvero vi sono molte strade, non una sola. Più che nelle proposte di provvedimenti analitici che i medici ricercano affannosamente, e sul carattere dei quali spesso possono anche essere d’accordo, il divario sta dunque in certe questioni di limiti. È perciò che la politica economica concreta non si scrive: si fa. Molto rumore si è udito sulla stampa intorno a questa, che ha assunto il carattere di una controversia tra pianificatori e antipianificatori. Ritengo che in realtà si sia molto esagerato su questo punto: la politica economica oggi può essere una sola, e noi abbiamo appunto criticato il tripartito perché aveva due politiche. Ma quella dell’onorevole De Gasperi qual è di queste due politiche: quella che ha descritto ieri l’onorevole Corbino o quella che l’onorevole De Gasperi ha affermato nel suo programma? Io credo che purtroppo vogliano essere entrambe contemporaneamente. Non c’è, a mio avviso, che un modo per risolvere l’antinomia; ed è quello di scegliere o l’uno o l’altro spirito informatore, quindi l’una o l’altra – e qui confesso la mia somma ignoranza in materia – «combinazione politica».
Qualche deputato mi esprimeva in questi giorni la propria preoccupazione perché argomenti di natura così delicata vengano portati al dibattito pubblico. Ma io sarei più giustamente preoccupato se questi argomenti non fossero portati qui, e sono più preoccupato della deficienza di elementi ai fini conoscitivi, o della scarsezza di ricerche a tal uopo, perché ritengo che la sfiducia nasca nel dubbio e ingigantisca nel dubbio.
Comprendo in tutti i loro minimi aspetti e non minimizzo le difficoltà dei passati governi, stretti tra le morse di un congegno statale che è meno efficiente proprio quando dovrebbe esserlo di più, di fronte ad un’opinione pubblica tanto esigente nel pretendere quanto avara nel dare, di fronte a coercizioni esterne non sempre modificabili per volontà nostra. Se parlo, dunque, non è per aggiungere altra facile rettorica e altre critiche di maniera, ai costosi tornei di parole di questo dopoguerra troppo loquace, ma per incentrare l’attenzione su alcuni argomenti e per evitare che la congiura del silenzio su taluni argomenti possa continuare.
Concordo che sarebbe vano e difficile redigere programmi a lunghissima scadenza, ma ritengo che altrettanto pericoloso – e forse più – sia redigere programmi a troppo breve scadenza. A spingere l’occhio lontano si rischia di cadere nelle generose utopie; ma guardare soltanto alle poche settimane di vita che consente questa strana democrazia orientale ad ogni nostro Governo, è altrettanto dannoso e gravido di illusioni.
Qualcuno diceva durante la recente crisi che i piani non occorrono; anzi, che i programmi non occorrono, e che l’unico piano era quello di non fare piani. E forse lo diceva con l’intenzione di un piacevole paradosso, perché un paese non può vivere alla giornata, come il felice lazzarone napoletano esaltato da Goethe. Fare un piano è evidentemente qualche cosa di più che fare un programma; almeno se queste parole, si intendono nel loro significato volgare. La verità è che oggi occorrono limitazioni, e che nessun gruppo sociale vuole soggiacere a queste limitazioni, a questi sacrifici. Equilibri spontanei rischiano di farli sopportare dai più deboli, avvantaggiando i più forti. Ciascuno preferisce svolgere il proprio piano, e quindi diviene pianificatore per sé e antipianificatore per gli altri. Ma quando i vari piani si intersecano, quando si trova una strettoia, chi passerà per primo? Chi regola le precedenze? La sola forza fisica della persona che è in grado di passare per prima?
Qui, in particolari circostanze come le attuali, devono intervenire, noi pensiamo, coloro cui è affidata la vigilanza dell’interesse collettivo, e devono intervenire senza essere ispirati da passioni di parte, senza che sia lecito neppure il dubbio che lo siano.
Comunque, sull’esigenza di deciderci a fare il nostro preventivo e il nostro consuntivo nella ricostruzione della nostra casa lesionata, tutti concordano. Da parte nostra vorremmo che si delineassero chiaramente il pavimento e il soffitto di questa casa da ricostruire, tenendo conto dei mattoni a nostra disposizione. Ecco perché la collana di provvedimenti isolatamente studiati, alternativamente e parzialmente applicati, prima ancora di aver tracciato le linee generali di una politica economica conseguente, formò oggetto delle nostre critiche e fece trovare il Paese di fronte a crescenti scetticismi. Non si può affrontare una situazione economica e sociale come quella che ci sta dinanzi con il sistema degli Orazi e dei Curiazi, per esperienze di successive approssimazioni. Non si può con soverchio semplicismo pensare ad una politica economica totalmente intervenzionista o totalmente liberista. D’altronde, lo stesso onorevole De Gasperi ci aveva detto qui quattro mesi fa che il piano era in elaborazione, e io spero che il nostro suggerimento abbia ora migliore esito.
Il «diabolico» pavimento di questo piano è quello che noi abbiamo chiamato il minimo vitale da assicurare a tutti gli italiani, col contributo di tutti gli italiani. Senza dubbio, per un certo periodo di tempo, il tenore di vita del nostro popolo non potrà non essere inferiore a quello d’anteguerra. Ma noi dobbiamo mettere tutti nella condizione di vivere fisicamente, di alimentarsi, di vestirsi, di alloggiarsi, di nutrire fondate speranze per il domani. Vi furono obiettivi assai meno degni, come le guerre di conquista, che giustificarono qualsiasi intervento e qualsiasi imposizione di sacrifici e di vincoli. Oggi il compito è di assicurare il minimo vitale, ed è a mio avviso un compito al quale lo Stato non può sottrarsi. D’altronde il significato della nota e spesso abusata distinzione tra spese pubbliche e spese private consiste proprio in ciò: fino a che limite lo Stato deve assicurare questo famoso minimo vitale a tutti i propri cittadini? Anche dallo stretto punto di vista produttivistico è essenziale rendere impossibile il verificarsi di condizioni di estrema povertà che non consentano ad una parte di popolazione di lavorare in modo efficiente.
È con questa premessa, la quale significa una politica di austerità non limitata ad una sola classe sociale, che noi mettiamo in luce il tema di aumentare il reddito nazionale attraverso un concorde sforzo collettivo per vincere i costi naturali, così alti nel nostro Paese. Noi socialisti ci rendiamo conto per primi che o portiamo la produttività del nostro lavoro ad un livello più alto, o dobbiamo ancora abbassare il nostro tenor di vita, già incredibilmente e quasi ferocemente basso. Sappiamo perfettamente che nessuna magia economica può essere invocata e messa in atto per cui determinati vincoli restrittivi adducano di per sé un aumento del reddito reale per la collettività. Un rapido aumento della produzione totale è d’altronde la condizione essenziale per mettere in grado le classi lavoratrici di migliorare la loro esistenza. E noi non abbiamo creato mai illusioni a questo proposito, neanche nei comizi elettorali quando non c’erano gli stenografi che raccoglievano le nostre parole.
Occorre quindi concretare le condizioni necessarie e sufficienti per un clima di lavoro; il che non vuol dire soltanto però ridurre il numero delle carte bollate e dei timbri, come qualcuno vorrebbe suggerire a mo’ di soluzione, perché anche sulle cosiddette «sovrastrutture» si è molte volte esagerato. Noi non potremo senza dubbio guarire di questa pervicace malattia, che ci ha inoculato il lungo periodo di guerre, di autarchia e di inflazione, se non aumentando la massa totale della ricchezza disponibile.
Sarebbe già un notevolissimo risultato se toccassimo quella meta alla quale ho altra volta accennato: raggiungere cioè nel 1950 un reddito medio individuale pari almeno a quello del 1938.
Mi pare che non sia sconveniente, né in alcun modo taumaturgico, proporci questo obiettivo, e tanto meglio se i fatti consentiranno di raggiungerlo prima. Obiettivo che non potremo certo toccare se non abbandonando ogni stanchezza, ogni lusso di interiori violenze (e il costo delle violenze, badate, è altissimo, ancorché invisibile ai contendenti); abbandonando, dicevo, ogni pigrizia intellettuale o materiale, talvolta anche rinviando senza rimpianti carezzate conquiste delle nostre ideologie, ma offrendo la sicurezza che nessuno avrà privilegi o esenzioni di sacrifici rispetto ad altri, che nessuno sarà in condizioni tali da stare al disotto di quel minimo vitale cui abbiamo accennato, che nessuno sarà privato della parte che gli spetta nell’aumento del reddito nazionale. In questo quadriennio, che chiamerei «del pane e del lavoro», se non temessi di abusare di questo slogan inventato per i comizi elettorali, la politica economica e sociale di qualsiasi Governo non può essere più superba e ottimistica, e deve contentarsi di essere una politica minimalista, che non trascuri però alcuna delle esigenze accennate. Solo conciliando queste esigenze, si possono trovare le premesse per un temporaneo accordo tra gli antagonisti della lotta sociale, e solo così si possono stabilire garanzie reciproche per quel periodo di emergenza che ci sta dinanzi e che dobbiamo superare.
È possibile tutto ciò senza fare programmi e senza cercare di farli eseguire, ove occorra? È possibile aspettare che le cose si aggiustino da sé date le posizioni di partenza che tutti conosciamo? Noi abbiamo affermato di no, anche se gli onorevoli colleghi, che siedono alla destra, non sono tutti convinti di questa nostra conclusione, a differenza del loro amico Beveridge. In una sola cosa siamo d’accordo però, che la politica economica a mosca cieca, quella che accumula controlli senza alcuna organicità, quella che è vincolista senza precisi scopi di interesse collettivo, deve essere bandita risolutamente.
Ecco la ragione del programma, anzi del piano.
A nessuno sfugge oggi che quel complesso di limitatissime risorse di cui disponiamo deve sodisfare il più possibile a numerose richieste: uomini, servizi da essi prodotti e altri beni di cui può disporre il Paese devono congiuntamente provvedere ai consumi personali, ai servizi pubblici, all’attrezzatura e manutenzione di imprese produttive; e tutto ciò si risolve anche nel pagamento di necessarie importazioni. Di queste concomitanti esigenze occorre stabilire, sia pure senza scrupolo di esattezza assoluta, la mutua complementarietà. Se aggiungete qualcosa ad uno di questi capitoli di spesa, di altrettanto private un altro, almeno finché il dividendo nazionale non si elevi. In quasi tutti i paesi europei, quindi, si tende a tracciare le linee di queste attribuzioni delle limitate disponibilità alle concorrenti istanze del Paese. Si tratta di garantire, per quanto possibile, che le cose essenziali abbiano la precedenza sulle non essenziali, almeno finché durino circostanze tali da prevedere che questo ordine di priorità sia invertito con grave danno per la collettività.
Noi pensiamo naturalmente a un piano che si compia sempre su rapporti favorevoli tra costi e ricavi, che eviti le contradizioni e le neutralizzazioni, che assista e non contrasti mai la formazione del reddito, e così possa raggiungere gli scopi che si è proposto. Fare tale piano non significa creare una camicia di forza, condannarci in una totalitaria caserma: non dobbiamo dimenticare la struttura economica e sociale differenziatissima del nostro Paese, né il carattere degli abitanti. Un governo democratico deve evidentemente dare una sua impostazione a questo piano, deve dare molta importanza al carattere orientatore, deve condurne l’attuazione in modo ben differente dal governo totalitario, deve tener conto di decisioni democraticamente prese, deve mirare a conservare quel massimo possibile di libere scelte individuali che è compatibile con le esigenze collettive.
Fare un piano per noi significa insomma pensare ed attuare quella politica economica organica che le condizioni oggi richiedono inesorabilmente, e che manca. Molti, forse troppi, sono i provvedimenti già in atto: qualcuno senza dubbio pleonastico o applicato solo formalmente, qualche altro contraddittorio. È essenziale – avevamo detto – che questi provvedimenti siano pensati ed attuati con minor lusso di circolari che si sovrappongono vulcanicamente, si smentiscono con facilità. I testi unici, quando ci sono, diventano spesso testi plurimi. Talvolta i cittadini, gli stessi funzionari e magari il magistrato sono padroneggiati dal dubbio, che è cosa assai commendevole nella scienza; ma non è altrettanto commendevole nei riguardi dell’obbedienza alle leggi. Ora il Governo deve esporre chiaramente le condizioni di questa azione e promuovere senza indugio maggiori ricerche ai fini conoscitivi; deve dire quali sono gli obiettivi desiderati e indirizzare e coordinare l’attività degli enti pubblici, ed entro certi limiti dei privati; e ciò ai fini dell’utilità collettiva di cui è guardiano. Ognuno deve sapere con esattezza e senza tavole logaritmiche fin dove può arrivare, dove può muoversi. Ognuno deve sapere quale è l’area che gli è riservata. Far tornare la fiducia significa dare al Paese un minimo di certezza, non un massimo di incertezza. È necessario affermare senza reticenze che ci sono cose possibili e cose impossibili; e che ci si accinge a fare solo le cose realmente possibili; e che nessuno si attenda le impossibili. Tutti i partiti devono convincersi che queste non necessarie incertezze sull’avvenire hanno un costo incommensurabilmente alto che si aggiunge ai costi già altissimi di altre incertezze non facilmente eliminabili.
Noi abbiamo più volte fatto cenno dei punti essenziali del nostro programma: punti che d’altronde, per quel che riguarda l’enunciazione, sono, mi pare, condivisi da tutti: 1) avviarci rapidamente verso la stabilizzazione monetaria; 2) assicurare gli approvvigionamenti alimentari e di materie prime, tali da consentire un livello minimo di esistenza, una graduale ripresa e un’occupazione crescente; 3) attuare una politica economica produttivistica facendo saggio uso delle risorse disponibili; 4) distribuire i sacrifici in relazione alle reali capacità contributive.
Nell’avviamento alla stabilizzazione monetaria non è ignoto ad alcuno che occorre deciderci a raggiungere al più presto l’equilibrio dei bilanci degli enti pubblici in generale. Ma un intervento decisivo sulla bilancia dei pagamenti è solo possibile attraverso una energica chiamata di prestiti esteri e la garanzia di quel clima di lavoro cui accennavo prima. Frattanto occorrerà mobilitare tutte le risorse valutarie mobilitabili; sollecitare e pungolare l’esportazione, dirigendo verso di essa alcuni beni di consumo o strumentali che rappresentano in Paese dei consumi superflui. Infine occorre avviarci gradualmente a migliorare, con la rapida formazione dei rispettivi strumenti, l’apporto delle voci invisibili: quella dei noli e quella dei trasporti; e con saggi accorgimenti migliorare l’apporto delle rimesse degli emigrati. Senza dubbio irta di difficoltà è l’azione da svolgere riguardo agli approvvigionamenti, dove mentre si deve, a mio avviso, minimizzare i consumi ritenuti superflui, si devono assicurare rigorosamente quei pochi razionamenti che sono realmente applicabili, anche con il sistema del contingente, se è il migliore, e utilizzare meglio la manovra delle importazioni dei beni di consumo ritenuti indispensabili.
Il cosiddetto controllo dei prezzi, più che da calmieri o da imposizioni pubblicitarie di ribassi, manifestatisi ripetutamente vane, dovrebbe essere continuato per voci essenziali, ma con rigore e con attento e rapido studio dei costi. Occorre influire maggiormente sui prezzi attraverso l’azione antinflazionistica, giacché ora è il timore della svalutazione monetaria l’elemento preponderante, della pressione assai più che non gli elementi quantitativi di mercato.
La ripartizione delle materie prime, alle quali occorre dare la massima pubblicità, è essenziale avvenga più razionalmente e secondo i programmi stabiliti. Ove possibile, si accerti che sia il consumatore ultimo ad avere vantaggio dalla definizione di prezzi ufficiali, se sono distanti dai prezzi di mercato; quando ciò non sia possibile, occorre riassorbire il margine eccezionale rapidamente, attraverso un’energica azione fiscale.
Ogni possibile accorgimento deve essere anche messo in atto per evitare la compressione dei salari reali; ed è inutile dire che una più organica politica deve essere attuata anche attraverso il riordino e l’estensione delle mense popolari, degli alberghi popolari, delle aziende consorziali di consumi, degli spacci di paragone, la razionalità dei trasporti e della distribuzione di viveri, e così via.
A questo proposito è utile che il Governo faccia sapere come intende affrontare la situazione alimentare, per tutta l’annata 1947-1948, al fine di evitare che possano essere distribuiti oggi, in periodo estivo, delle razioni abbondanti, mentre poi si rimanga a secco al momento dell’inizio dell’inverno.
Tutto ciò non vuole sempre essere uno stimolo all’aumento delle pratiche restrittive; ma significa, in gran parte, effettivo, armonico e non formale funzionamento di quelle che sono giudicate necessarie; significa sostituzione e coordinamento di provvedimenti, alternativamente o disordinatamente applicati, con i pochi seriamente ed organicamente applicabili. Anzi, a mio avviso, il Governo non deve essere ossessionato unicamente delle pratiche restrizionistiche, che sono negative, ed essere cieco di fronte all’efficienza; ma a questa politica di restrizioni, che chiamerei negativa, deve affiancarsi una vivace politica positiva di incoraggiamento e di stimolo, altrettanto organica ed armonica. A ciò potranno giovare quelle maggiori disponibilità di risorse energetiche e di materie prime, sulle quali dobbiamo decisamente puntare; una saggia concessione del credito, affinché riesca socialmente produttivo; la graduale riconversione programmata di imprese; una maggiore mobilità qualitativa e spaziale del lavoro, accompagnata da una sistematica rieducazione delle maestranze. Né potranno dimenticarsi applicazioni di intelligenti incentivi, affinché sia rapidamente rialzato l’indice di produzione, mentre l’avviamento a più intensi scambi internazionali dovrebbe premere sui costi, ora altissimi, delle nostre imprese.
Qui occorrerebbe innanzi tutto affrontare il tema di più ampie dotazioni di beni strumentali, cioè di quegli organismi collettivi efficienti (centrali idro-elettriche, macchinari, sistemi irrigatori, scuole, ecc.) che fu veramente il grande problema delle generazioni che ci precedettero, ma che oggi è di gran lunga ingigantito. Si tratta di saper dare al Paese, nel tempo stesso in cui non lo si lascia morire di fame, non soltanto quei beni capitali che furono distrutti, ma anche dei nuovi, più numerosi e più efficienti, in modo da sollevare dal cantinato profondo e fangoso quel pavimento di cui abbiamo parlato.
Se si pon mente al fatto che, ad uguali unità lavorative, la deficienza soprattutto di adatti beni strumentali procura a noi una ricchezza pari ad uno, quando negli Stati Uniti ne procura una pari a cinque, ci si accorge che i quattro quinti della fatica umana sono sperperati tra noi per deficienza di beni strumentali. Ecco perché noi poniamo il tema di una politica congiunturale attiva, riducendo oggi la promessa al solo minimo vitale per gli italiani, pur di ottenere questa rapida dotazione di beni strumentali che è la condizione prima per una esistenza migliore dei lavoratori, poiché il lavoro non forma la ricchezza più di quanto non ne sia da essa formato. Sono i lavoratori che per primi ambiscono di uscire da questa palude economica, perché nessuna conquista sociale sarà loro possibile in un clima di mortifera e generale miseria, perché il loro sforzo e la loro fatica sono inesorabilmente avviliti in questa che sembra essere una fatale involuzione. Indispensabile sarà quindi, nel bilancio prospettico dell’economia del Paese, destinare le nostre risorse con una graduatoria di urgenze e, sodisfatti i bisogni essenziali ridotti al minimo, provvedere a quegli investimenti che sono i più suscettivi di aumento del dividendo nazionale.
Purtroppo il nostro risparmio monetario non supera attualmente i 300 miliardi annui di lire, e viene conteso tra Stato e privati. Ora è evidente che è sommamente necessaria ed urgente una energica politica degli investimenti, giacché finora non c’è stata. Né la piccolina legge degli impianti industriali ha resistito validamente agli assalti degli interessi di gruppo, né si è potuto vietare che sorgano moltissimi nuovi cinematografi e deliziosi edifici per i nuovi ricchi, impegnati a collocare in tal modo quei capitali che il fisco aveva loro generosamente concesso; né si è potuto evitare che lussuose automobili consumassero lamiere, benzina e gomme, sottraendo così all’importazione un certo quantitativo di grano. Esemplifico, non intendo enumerare. Né lo Stato ha potuto evitare che gran parte dei lavori pubblici si risolvessero in vere e proprie spese di lusso per un paese che non riesce a costruirsi le proprie dighe, o sistemar bonifiche. Né tanto meno si è riusciti ad un efficace controllo del sistema bancario e così a rendere meno indifferenti le banche, neppure quelle collegate all’I.R.I., di fronte alla utilizzazione di loro depositi. Tutto ciò si è fatto, invece, ad esempio, nel paese che ha le più radicate tradizioni liberiste del mondo, dove a tutt’oggi, ad esempio, si vietano costruzioni edilizie; dove c’è un sistema di razionamenti rigorosi; dove le automobili prodotte sono obbligatoriamente esportate nella quasi totalità, dove si è attuato un sistema di vita estremamente austero. Bisogna insomma decidere se questo modesto risparmio monetario, gravato oggi di troppi alti costi del servizio bancario, e con cento cause che cospirano a deprimerlo anziché farlo vigorosamente rinascere, debba essere convogliato verso quelle imprese che rispondendo a bisogni di utilità pubblica possono pagare un saggio di interesse minimo o se debba essere convogliato ad imprese che producono beni di carattere voluttuario, e che possono pagare un saggio di interesse altissimo.
Questo, a mio avviso, è il punto centrale: attuare una seria ed organica politica degli investimenti. Bisogna decidere se il Paese oggi ha più bisogno di strade o di centrali elettriche, di teatri o di ponti, di sale da ballo o di abitazioni, di profumerie o di stalle.
E qui potremo anche chiederci fino a che punto il Paese può destinare miliardi alle lotterie e alle bische, per noi, poveri sfortunati perdenti di questa grande disperata lotteria che abbiamo giocato nell’ultimo terzo di secolo.
Purtroppo alla somma di queste confuse alternative noi non abbiamo risposto, o abbiamo risposto parzialmente, talvolta incolpando quel relitto di macchina statale che è a nostra disposizione. Possiamo, in coscienza, continuare questa olimpica attesa? È singolarmente proprio delle crisi italiane – di questa, in particolare – di tendere a degenerare in marasma, perché né i gruppi favoriti, né i Governi timidi, né circostanze effimere consentono che se ne affronti un programma coraggioso di liquidazione per la salvaguardia degli interessi della maggioranza.
Intendiamoci, anche qui ci sono limiti all’azione del Governo. È troppo facile dare la colpa soltanto al Governo. Anche questa mania di fare qualche cosa ad ogni costo – che è la ragionevole mania dei parenti ad ogni capezzale di malato – va intesa con saggezza e non sodisfatta senza discriminazione. La spinta ad una terapeutica superficiale e che viene da chi vede il fenomeno economico alla sola superficie, è pericolosa. Bisogna prendere dei provvedimenti, ma ritenere che le leggi e le disposizioni governative nel campo economico possano agire come la pietra filosofale è errore da combattere con ogni energia.
Ciò che è necessario è agire come quei medici saggi che badano più alle cause profonde e congegnano la loro terapia con organicità, senza pericolose concessioni al malato, dandogli poche medicine ma facendogli osservare rigorosamente la dieta.
Onorevole Presidente, se lei ritiene che l’Assemblea sia stanca e sia opportuno consentire cinque minuti di riposo, io posso sospendere.
PRESIDENTE. Prosegua onorevole Tremelloni. L’Assemblea è calmissima.
TREMELLONI. Io ho volutamente falciato, prima di parlare, due argomenti sui quali mi pare essenziale invece approfondire l’indagine. Sono quelli che riguardano la bilancia dei pagamenti e il bilancio statale. Non so quindi se devo prolungare il mio discorso.
PRESIDENTE. Prosegua pure.
TREMELLONI. Se la gravità del bilancio statale è stata spesso drammatizzata, forse non lo è stata abbastanza la gravità delle condizioni della bilancia dei pagamenti. Noi siamo vissuti finora al livello attuale di esistenza, e lo hanno detto numerosi oratori, in virtù di quei due miliardi e mezzo di dollari che in due anni e mezzo sono affluiti in vario modo dall’estero. Il 1947, e soprattutto gli anni successivi, ci si presentano densissimi di incognite; perché a tutt’oggi non sappiamo come potremo operare questo saldo, se intendiamo mantenere il tenore materiale di esistenza ed il livello di occupazione che abbiamo avuto nel 1946. Della duplice esigenza per il risanamento monetario, che è costituita dall’equilibrio del bilancio statale e dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti, è però proprio quest’ultima la meno suscettibile di essere sodisfatta per volontà nostra. Ma l’esperienza di Schacht, quando operò nel 1924 il cosiddetto «miracolo del marco», ci insegna che non è tanto sul bilancio statale che dobbiamo contare, quanto sulla bilancia dei pagamenti, per risolvere le nostre difficoltà. Allora Schacht si trovava con un bilancio statale che aveva un’entrata pari, salvo errore, al 2 per cento. Quindi il problema della bilancia dei pagamenti va esaminato con somma rapidità e somma energia.
Hanno già detto gli altri oratori come questo problema si presenta quantitativamente. Badate, io non sono favorevole a far discendere di molto il livello, già ridotto, di 1200-1300 milioni di dollari che rappresenta la cifra dei nostri acquisti all’estero. Alcuni vorrebbero costringerla a 900-1000 milioni di dollari, ma non ritengo sia possibile senza gravi conseguenze. Non credo necessario ricordare all’Assemblea che ad ogni contrazione di 100 milioni di dollari in materie prime importate, corrisponde quasi sempre una contrazione di almeno 200 milioni di dollari di prodotti da esportare. E quindi il processo di involuzione si farebbe catastrofico e la spirale si chiuderebbe: tutte le economie autarchiche ce lo insegnano.
Nessuno potrebbe d’altra parte postulare qui la sorridente attesa di un equilibrio automatico della nostra bilancia dei pagamenti, in breve periodo, perché ciò vorrebbe dire un ulteriore sacrificio alimentare per le nostre masse lavoratrici, vorrebbe dire superare realmente quei pericolosi limiti di rottura a cui siamo già assai vicini, vorrebbe dire raddoppiare le sofferenze dei più poveri senza scalfire nessuna posizione di privilegio. E, d’altra parte, pensare a contrazioni di acquisti di materie prime mi pare altrettanto impossibile, perché significherebbe fare entrare le nostre industrie in una fase di paralisi progressiva, coll’aumento pauroso della disoccupazione. In una parola significherebbe entrare nel baratro di esasperati ed incontenibili antagonismi sociali.
Ed allora? Vi sono soluzioni che dipendono da noi ed altre che non dipendono da noi. Quelle che dipendono da noi sono, fra l’altro, di aumentare le nostre esportazioni eventualmente contraendo alcuni consumi interni; ma occorre anche influire su quelle che dipendono da altri, continuamente intensificando l’azione per ottenere, nei prossimi quattro o cinque anni, quel prestito estero di cui ho più volte parlato.
Occorre dire senza reticenze che, mancando nei prossimi anni un ben congegnato sistema di prestiti esteri che approssimativamente, secondo un mio calcolo, non possono essere inferiori, nel quadriennio venturo, a 500 milioni di dollari annui, è vano sperare in un prossimo avvenire più degno per il nostro Paese.
Il problema economico si incentra dunque soprattutto in un problema di carattere internazionale. Ma se i rifornimenti dall’estero ci mancassero? Questa è la domanda che oggi si sente ripetere spesso, e di fronte alla quale si propongono istanze politiche che in questo momento appaiono vane. Se i paesi che possono collaborare con noi per la rinascita italiana non comprendessero che il venirci incontro con immediatezza e senza stillicidi rappresenta un risparmio di costi rispetto a ben più gravosi e irreparabili e deprecabili interventi tardivi; se si accentuasse lo squilibrio tra un emisfero orientale devastato dalla guerra ed un emisfero occidentale ricco di viveri e di materie prime; se noi fossimo confinati ancora e sempre in un’isola avara di risorse, cronicamente povera e amaramente scettica sui principî conclamati di solidarietà internazionale, è sommamente probabile che i germi di una disgregazione sociale facciano trascorrere alla nostra generazione giorni assai peggiori di quelli che abbiamo trascorso. (Applausi a sinistra).
È da augurarsi che i nostri uomini di Stato pongano nettamente e rudemente e senza ritardi, ai paesi dell’ONU, questo come un problema di emergenza, informandoli con onesta obiettività e senza infingimenti delle sue reali dimensioni prospettiche. Ma per fare questo occorre ancora il «diabolico» piano, il quale documenti nitidamente quel che intendiamo seriamente costruire, occorre che dimostriamo di sapere amministrare nel modo più conveniente e nel modo più efficace le nostre limitate risorse; occorre che stabiliamo quali sacrifici siamo capaci di fare e quali limiti ha la sopportazione dei nostri lavoratori.
Dobbiamo dire anche a questi Paesi che la dolorosa ironia della sorte non può e non deve farci concludere che il costo immane pagato per edificare e poi distruggere una autarchia, non debba essere doppiamente pagato per riedificarne un’altra.
L’Europa sta attraversando, senza dubbio, il più tremendo periodo della sua storia, dopo un secolo e mezzo di prosperità e di quasi ininterrotto progresso. E non solo l’Europa, ma ogni continente sta assumendosi gravi responsabilità sul pagamento del prezzo della pace, sul come si ricostruisce una vita economica e sociale intorno alle macerie. A noi l’assumere con onesta chiarezza le nostre responsabilità; agli altri paesi, le loro.
Io mi scuso vivamente presso i colleghi se devo prolungare ancora il mio discorso. Devo dire ora qualche parola sul bilancio statale. Il problema finanziario italiano è oggi più un problema di aumento delle entrate o di compressione delle spese? Io non vorrei essere frainteso, ma penso che in questo periodo in cui lo Stato non può e non deve sottrarsi ai compiti gravi che gli sono attribuiti, sarebbe estremamente avventato prendere impegni precisi per i prossimi esercizi, in ordine alla contrazione di spese. Assai difficile, a mio avviso, sarà nei prossimi due o tre anni spendere molto al di sotto delle cifre attuali, le quali rappresentano, in lire attuali, spese quali si ebbero in altri gravi periodi della vita nazionale, come dopo la prima guerra mondiale. Ed anche allora, se rileggete i discorsi parlamentari, si gridò – e forse si gridò troppo – alla fine del mondo, alla bancarotta; eppure non si ebbe né la fine del mondo né la bancarotta.
Una pacata valutazione di queste colonne d’Ercole della pressione tributaria va sempre fatta anche tenendo conto dei fini a cui lo Stato deve provvedere, quei fini a cui lo Stato non può sottrarsi senza trarne motivi ben più costosi di disgregazione sociale. Bisogna superare i limiti angusti di un ciclo annuale, considerando un più vasto orizzonte, perché è proprio quando le condizioni economiche di un Paese sono allo stremo, che maggiori sono le esigenze cui provvedere.
Se ci sono economie che possono e debbono esser fatte, ci sono anche grosse incognite, che si avanzano e che non tarderanno ad affollarsi intorno a queste economie. L’eredità assistenziale lasciataci dalla guerra difficilmente potrà essere ridotta nel prossimo triennio e quadriennio. È probabile che nel futuro inverno, sia per la depressione internazionale da taluno prevista non senza fondamento, sia per cause di natura interna alle quali prima accennavo, i compiti di assistenza ai disoccupati – censiti, speriamo, con maggior rigore – si moltiplichino, mentre le imprese deboli (e ce ne sono tante) invocheranno salvataggi. È sommamente probabile che l’azione assistenziale richiederà una estensione di provvedimenti, alla quale nessun Governo potrebbe porre un diniego, specialmente quando la Costituzione sancisce il diritto al lavoro.
D’altra parte, molte spese per i servizi pubblici hanno un carattere strumentale, per cui una riduzione di esse potrebbe incidere sulle sorgenti stesse del reddito privato, come sulla sorgente stessa di tale reddito può influire il depauperamento dei capitali personali, intesi come la vigoria e l’educazione della persona fisica. Anche le spese per i beni strumentali diventano più gravi ed urgenti proprio quando lo scarso risparmio inibirebbe di erogarle in più gran copia.
Ho detto, comunque: «non vorrei essere frainteso», perché sono lontano con ciò dal giustificare quelle che si possono chiamare le prodigalità del bilancio dello Stato. A me pare soprattutto che la tesi avanzata, di operare l’equilibrio attraverso una contrazione notevole delle spese, sia errata, o almeno illusoria, perché non dobbiamo crearci dei castelli in aria circa una sensibile contrazione nei prossimi anni di quegli 800-900 miliardi di spese cui si accennò nella relazione del Ministro Campilli e nell’esposizione dell’onorevole De Gasperi.
È d’altra parte pacifico che nessuna collettività può essere prodiga al punto da destinare alle spese pubbliche più di quello che produce, se non ha, come noi non abbiamo, un patrimonio da intaccare, o se non può operare fondati sconti su formazioni rapide di ricchezza nel futuro immediato.
A lungo andare il bilancio dello Stato deve certamente svolgersi in armonia con il bilancio dei cittadini; ed allora bisogna trovare quella serie di limiti che possano conciliare le esigenze inderogabili dei bisogni privati con quelli che riteniamo i bisogni pubblici, senza dimenticare i fini che ci proponiamo di raggiungere, e senza astrarre da nessuno dei mezzi che sono a nostra disposizione.
Il mio giudizio è che gli 800-900 miliardi di lire, che diventano 1000 miliardi di lire con i bisogni degli enti autarchici, e che rappresentano oggi pressoché il 40 per cento del reddito nazionale, come è valutato dagli statistici – lascio agli statistici la responsabilità di questa valutazione – non potranno essere raggiunti senza dubbio; ma almeno per due terzi dovranno essere coperti dalle entrate tributarie. E lo potranno solo se si attuerà un sistema tributario severo, anche senza trasmodare in un sistema di rapina a cui si sarebbe, senza dubbio, costretti, ove si superasse questo termine, quando pensiamo che il reddito medio degli italiani, sempre se i calcoli degli statistici sono esatti, non supera le 150 lire giornaliere.
L’essenziale – a parte l’esigenza di una azione fiscale condotta con energia, con prestigio e con congegni adatti – è che si diano sicure garanzie sul modo e sul perché della spesa: tale è il locus minoris resistentiae del nostro bilancio. Si è speso finora affrettatamente, senza una politica attiva ed organica e, talora, con inconscia prodigalità e, soprattutto, si è atteso troppo a fare i conti, giudicandoli poi col doloroso stupore che è giustificabile solo per chi non li conoscesse, e non per i ministri responsabili.
Delle spese fatte fin qui, alcune, e non tra le minori, potevano essere procrastinate, e per talune di quelle impegnate si arriverà ancora in tempo a farlo, come certe spese pubbliche che ricordano gli sfortunati esperimenti degli atéliers nationaux; altre hanno giovato a piccoli gruppi privilegiati e potevano essere seguite da paralleli prelievi sugli extra redditi così conseguiti, il che non si è fatto. Comunque, tutte le spese dovrebbero essere coordinate alla reale disponibilità di materiali: sono cose che ho detto altre volte e mi scuso se devo ripeterle. Su altre spese, ancora, potevano agire quelle doti di fermezza che si attribuiscono a qualche ministro delle finanze del secolo scorso, per nostra fortuna amante dell’impopolarità.
È possibile, ad esempio, che, ad oltre due anni dalla pace, per ogni lira di reddito il cittadino debba spenderne almeno un ventesimo per la difesa militare di un paese che non ha alcuna intenzione, né la materiale possibilità di risolvere manu militari i proprî problemi internazionali? (Applausi a sinistra). È possibile che in un paese che ha ancora un quarto o un quinto della sua popolazione analfabeta si dedichi all’istruzione pubblica una spesa pari ad un terzo di quella che si brucia sull’ara di Marte? Poco gioverebbe avere a disposizione un apparato militare se ciò si accompagnasse al collasso economico di una collettività nazionale che non sa né leggere né scrivere.
È possibile che un altro settimo del reddito del cittadino sia destinato ad opere pubbliche, se il cittadino non è convinto che tali opere siano veramente profittevoli ed impostate su un programma organicamente produttivo? Ad un altro ventesimo del reddito destinato ai razionamenti ed ai prezzi politici corrisponde un insieme di vantaggi, nelle condizioni attuali in cui tali servizi sono resi, da giustificare questa parte di tributi? E che dire di quel decimo della sua fatica che il cittadino paga per avere una burocrazia non tanto numerosa quanto bene scelta, selezionata, razionalmente organizzata e retribuita quanto è necessario per esplicare onestamente il proprio compito? È oggi l’apparato statale congegnato in modo da fornire quei servizi pubblici che ad esso si chiedono celeri e col minor costo possibile?
Non vorrei ripetere qui quello che ho detto, onorevole colleghi, quattro mesi fa in quest’Aula. Ci sono dei dipendenti statali che sono trattenuti in servizio a titolo puramente caritativo, e la selezione dei migliori opera alla rovescia, e le note caratteristiche dei funzionari sono monotonamente ottime per tutti. Ci sono degli statali veramente sfruttati da questo solitamente generoso padrone che è lo Stato, ma ce ne sono anche moltissimi che sfruttano lo Stato con rendimento impari alla loro stessa modesta mercede. Le economie nei bilanci dei ministeri si possono accompagnare a ben maggiori snellezze, purché si adotti una severità che è oggi ignota.
Una sottocommissione di sottosegretari, mi pare nel giugno del ’46 – presieduta dall’onorevole Persico – presentò delle conclusioni per addivenire a delle economie nei bilanci dei ministeri: che fine hanno fatto quelle conclusioni?
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Abbiamo ridotto qualche cosa.
TREMELLONI. Bisognerà pure accingerci ad affrontare il tema centrale e vitale per ottenere una maggiore efficienza e moralità nella macchina dello Stato; altrimenti anche i più perfetti programmi non potranno mai essere attuati, neppure i programmi postulati da qualche settore dell’Assemblea che vorrebbe veder ridotto lo Stato alla sola funzione del carabiniere e dell’agente fiscale; e la politica economica sarà nelle mani non dei ministri, ma nel migliore dei casi nelle mani di qualche volonteroso e isolato funzionario soffocato dal lavoro in mezzo a gente soffocata dall’ozio, in mezzo a quelle forme di «nazionalismo di ministero» che sono tipiche come i nazionalismi regionali sopravviventi.
Io non credo che la soppressione di molti dei sottosegretariati, soppressi ora, sia utile. Non mi spavento né del numero dei ministeri né del numero dei sottosegretari, purché naturalmente ministeri e sottosegretari facciano solo il loro mestiere, quello cioè di attenti e laboriosi e imparziali e infaticabili amministratori della cosa pubblica. Qualche volta la lesina può anche essere una cattiva forma di risparmio.
Quanto alla nebulosa distinzione tra oneri normali e oneri eccezionali – che si manifesta sempre più arbitraria, assai più di ogni abituale classificazione schematica – andrebbe forse completata con quella tra spese per servizi immediati e spese per dotazione di beni strumentali: in tal modo potrebbero meglio saltare all’occhio le spese procrastinabili. Talune, poi, contabilizzate ora, dovrebbero essere sottoposte subito ad un vaglio perché si possa sapere esattamente quali spese impegnate saranno cancellabili, quali si impegnarono per lavori cui sarà certamente impossibile dar seguito per mancanza di materiali, quali sono urgenti e quali meno urgenti. Sebbene un controllo repressivo delle spese riesca spesso difficile e inefficace, queste discriminazioni e questi depennamenti gioveranno alla chiarezza del bilancio e ad una sua meno generica discussione. Su quel grosso calderone delle spese per opere pubbliche e per la ricostruzione – che rappresenta il 37 per cento del totale – si deve esercitare utilmente l’acume critico del Paese, perché furono erogate piuttosto disordinatamente e senza badare all’utilità dei lavori.
La stessa ricostruzione di impianti delle aziende autonome non può sempre avvenire con un ritmo tale da non essere soppesato e graduato in relazione alle possibilità del paese e alle priorità giustificate.
E le spese per colmare i disavanzi di gestione delle imprese statali devono scomparire al più presto. Non è possibile, che il contribuente si addossi il prezzo politico dei trasporti ferroviarî, che integri le tasse postali, che paghi una parte notevole dei servizi forniti da imprese male amministrate. Lo Stato può e deve esigere che le proprie imprese siano condotte con criteri rigorosamente economici, provvedendo in altra forma e con altri capitoli di bilancio ad esigenze di altra natura. Lo Stato deve assolutamente contrarre i costi dei servizi che rende. Le imprese statali devono cessare di essere l’appannaggio di questo o quel partito, per dispensare piccoli o grandi favori. (Applausi).
Le innegabili ragioni sociali con cui si giustificano troppo comode esuberanze di personale, possono essere a miglior diritto invocate per ben diversi provvedimenti che non quelli di appesantire le imprese statali. E prima di assumersi il compito di diventare imprenditore in nuovi settori, lo Stato – a mio avviso – deve dimostrare che può essere oggi un saggio imprenditore nelle aziende che già possiede. Oggi invero non si potrebbe affermare con onesta tranquillità che lo sia. La grande impresa statale non ha soltanto bisogno di dipendenti selezionatissimi, ma anche di organizzatori che alla sagacia sappiano spesso unire un’eroica inflessibilità. E bisogna pure dire che è giunta l’ora di rinviare senza debolezze tutte le spese che riflettono servizi non essenziali alle esigenze odierne della collettività, anche se clientele politiche tentino di dare loro carattere di urgenza. Fino a che gli italiani riterranno, a torto o a ragione, che gli uomini del Governo hanno la facoltà di decidere partendo da malintese ragioni elettorali, non potranno inchinarsi alla legge, e considereranno la legge un sopruso. Se non dovesse essere questa l’ora delle ardite innovazioni e dell’autocritica da parte di tutti i partiti, dovremmo proprio disperare di averla mai.
Le spese statali, insomma, se si palesano al cittadino, come fin qui si sono palesate negli ultimi anni, scarsamente ispirate a criteri seriamente sociali o dedicate a strumenti inefficienti, provocano o accrescono giustificate resistenze dei contribuenti.
Il nostro bilancio trascina con sé inevitabilmente, e inesorabilmente forse, quella pesante palla al piede che si è formata durante un lungo periodo, attraverso incrostazioni lasciate dalla guerra e dall’autarchia; e se si vuole procedere leggeri, bisognerà pure eliminarla questa palla, prima che sorga qualche costoso salvatore.
Sono costretto ad essere brevissimo anche sulla politica delle entrate, se il Presidente mi consente di continuare.
Da oltre un biennio il popolo italiano non si lamenta – e forse soltanto per la prima volta nella sua storia – del fisco. Ciò non è solo indice di una sua manifesta lacunosa educazione economica, perché il mondo economico non elargisce mai regali, ma è anche prova di grave colpa dei Governi succedutisi dalla liberazione in poi.
Delle tre strade classiche: imposte, prestiti, inflazione, la terza è stata seguita con particolare indulgenza e con inspiegabile mancanza di resistenza da parte dei contribuenti, anche se con sommo compiacimento da parte di quei gruppi che potevano profittarne. Ora, la terza – come ben sanno gli onorevoli colleghi – è la più facile, la più silenziosa, la più allettevole, forse, ma certo la più disperata delle imposte; ed essa può scuotere l’istituto tributario fin nelle sue fondamenta.
Questa finanza, che non è straordinaria, ma ultra-straordinaria, ha purtroppo caratterizzato in gran parte l’ultimo terzo di secolo della nostra vita economica. Ed è venuta l’ora in cui minaccia di bruciare le radici dell’albero, e di sconvolgere ogni moderna struttura sociale. Noi siamo forse – e nessuno se l’è nascosto fino adesso – alla vigilia o all’antivigilia di quella fase inflazionistica che ad un certo punto blocca tutto il meccanismo, conduce alla paralisi progressiva l’economia di tutto il Paese, infetta la nostra vita sociale e lo stesso istituto democratico.
Non da oggi noi diciamo chiaramente e onestamente ai lavoratori che non dobbiamo a nessun costo consentire questa catastrofica conclusione; che la via d’uscita ottenuta attraverso il moltiplicarsi dei segni monetari è illusoria; che sono i percettori di redditi fissi o semifissi, cioè le categorie cosiddette proletarie e quelle dei ceti medi, le più scarnificate da questo iniquo e vano prestito forzoso. E i lavoratori se ne sono convinti, sì che ormai ritengono giustamente l’inflazione il verme solitario dei loro salari reali; reclamano non aumenti cartacei di mercedi, ma il mantenimento di un minimo di alimenti e di vestiario.
Primo punto del programma economico è dunque quello di rialzare questo piano inclinato, sul quale sdrucciola inesorabilmente ogni nostra costruzione economica e sociale; e di rialzarlo senza molti indugi. Ci sono probabilmente ancor oggi tutte le condizioni obiettive per salvare la lira, e gravi colpe si assumerebbe chi tardasse ad affrontare coraggiosamente questo salvataggio. Ma errore altrettanto grave, a mio avviso, sarebbe di considerare il problema dell’inflazione con una concezione semplicemente e puramente monetaria, illudendosi che basti immobilizzare il torchio, fermare cioè meccanicamente l’emissione dei segni monetari, trascurando l’intima correlazione tra politica economica e politica finanziaria, affidando al solo equilibrio del bilancio statale la funzione risolutiva. Ritengo che la Assemblea sia concorde dunque nell’invocare il più stretto coordinamento tra i dicasteri che si occupano più generalmente di politica economica e quelli che si occupano più specialmente di politica finanziaria, coordinamento fin qui in gran parte mancato.
Forse con qualche esagerazione, ma non senza ragione, un economista inglese, D.H. Robertson, diceva che consigliare ai governi di ritrovare l’equilibrio economico-monetario attraverso l’equilibrio del bilancio statale, è come consigliare ad un uomo che sta per affogare di mantenersi bene al riparo dall’umidità.
Se vogliamo soffermarci brevemente sulle entrate statali, dobbiamo ripetere che occorre una immediata, dura, inesorabile politica fiscale. Sarà utile concentrare gli sforzi su pochi tributi amministrati in modo efficiente; aggiornare l’imposizione diretta, che oggi non tocca un quinto delle entrate mentre era pressoché un terzo; liquidare con celerità la precedente finanza straordinaria; semplificare alcune ingombranti imposte minori; accentuare alcune progressività; aumentare alcuni minimi imponibili per consentire una maggiore efficienza fiscale al di sopra di tali minimi. Occorre che il congegno tributario funzioni rapidamente e senza falle, riducendo il divario fra il verificarsi del fatto imponibile e la riscossione. Tutto ciò è necessario anche ai fini di rialzare decisamente il rapporto, fra tributi e debiti. Giacché non si può sperare in un notevole ricorso ad indebitamenti volontari ulteriori nelle attuali circostanze, e fino a che il metro monetario non sarà assestato; mentre il ricorso ad indebitamenti forzosi presenta altri pericoli, non ultimo dei quali quello di togliere all’iniziativa privata le possibilità di un ricorso al risparmio monetario, paralizzando temporaneamente o definitivamente molte fonti produttive e quindi disseccando le stesse sorgenti fiscali. Se lo Stato possa, nel prossimo esercizio, far conto ancora su quella larga parte di risparmio monetario che ha assorbito negli ultimi due anni, è cosa assai dubbia, e sotto taluni aspetti non sperabile. Probabilmente è da ritenersi fortemente anemizzata la politica dell’indebitamento a breve scadenza, né purtroppo mi sembra per ora destinata ad essere efficacemente utilizzata la politica dell’indebitamento a lunga scadenza. Non c’è che la prevalente strada dei tributi, almeno in un primo momento.
Per la situazione di Tesoreria, che il Ministro Einaudi ci dirà certamente come intenda di affrontare nei prossimi mesi, occorreranno accorgimenti immediati ad evitare che la soluzione poggi ancora quasi totalmente sull’emissione di moneta cartacea. Uno di tali accorgimenti potrebbe essere, ad esempio, una più sollecita liquidazione dei beni in possesso dell’A.R.A.R., e che, se non vado errato, sommano a un centinaio di miliardi di lire. La più rapida immissione di queste merci sul mercato potrebbe anche agire come espediente calmieristico non privo di efficacia.
Ai fini di offrire il massimo di risorse alla tesoreria sarà anche necessario perfezionare i rapporti con il sistema bancario, nel senso di evitare che continui a ridursi fortemente l’afflusso di danaro al Tesoro per tali canali. La coordinazione tra emissioni statali ed emissioni di privati dovrà essere presa, infine, in serio esame.
Quanto all’intero sistema tributario, non occorre ripetere che esso somiglia ormai a un paniere di vimini con il quale si voglia trasportare a distanza dell’acqua. Tutti i sistemi tributari studiati per i periodi di moneta sana, invero, non valgono più, perché l’erosione monetaria li appesantisce e li deforma, assai più di quanto non deformi la stessa curva dei redditi; e l’essenziale è di adattarli in modo che non diano origine a un’impresa in cui i costi di accertamento e di esazione quasi pareggino, se non in moneta legale certo in misura reale, le entrate tributarie. E man mano che si richiede un congegno più agile e tempestivo, si ha proprio allora più pesante, più tardo, più impacciato, più ricco di attriti, perché il lavoro si moltiplica geometricamente, si fa caotico, quindi arbitrario ed iniquo. Occorre quindi, anzitutto, alleggerire il congegno delle cose ingombranti non necessarie, e farlo seriamente funzionare per le necessarie.
Cosicché – e non sembri una contradizione in chi vi parla, che sempre sostenne doversi ricorrere più alle imposte dirette che alle indirette – è giocoforza oggi ricorrere soprattutto a quelle imposizioni il cui tributo è accertabile automaticamente ed è crescente in ragione inversa della svalutazione. Purtroppo, fino a che non si avrà la lira stabilizzata, dovremo dunque far ancora largo ricorso alle imposte indirette, e in particolare a quella imposta sull’entrata che per molti noti motivi abbiamo vivacemente criticato. L’essenziale è invece di poterle discriminare in modo da evitare che i suoi effetti distributivi non siano inaccettabili, che ricadano cioè sul consumatore più povero, mirando invece a colpire fortemente quei consumi che si ritiene di giudicare voluttuari. Penso che la larga capacità di acquisto di alcune categorie di cittadini, cui contribuisce la facilità di alcuni guadagni congiunturali, debba essere colpita attraverso questa identificazione e una saggia discriminazione di alcuni consumi: in tal senso vedrei favorevolmente una decisa azione del nostro Ministro delle finanze, alla cui fertile fantasia noi bruciamo sempre incensi propiziatori. È singolare che i nostri ministri delle finanze abbiano agito finora, nei confronti del contribuente, come quei bambini cattivi che tormentano volentieri le mosche, ma si guardano bene dal toccare le vespe: bisogna invece tormentare le vespe e lasciar in pace le api. Quei 500 o 600 miliardi che si attribuiscono dagli statistici, nel calcolo del dividendo nazionale, ai redditi di borsa nera o comunque a redditi largiti da queste patologiche congiunture, sfuggono quasi interamente al fisco; ed essi non sono raggiungibili se non attraverso le manifestazioni del consumo, di quel consumo eccezionale che colpisce la fantasia dei turisti stranieri e giustifica spesso le reazioni dei ceti proletarizzati dall’inflazione.
E quelle centinaia di miliardi che attraverso le materie prime importate dall’U.N.R.R.A. hanno rappresentato la differenza tra i prezzi ufficiali cui furono cedute ed i prezzi che dovette pagare il consumatore del prodotto, non sono stati finora sfiorati dal fisco.
Inutile aggiungere chiaramente che le imposte sullo scambio della ricchezza – portatesi dal 13 al 40 per cento delle entrate tributarie dal 1913 ad oggi – sebbene rappresentino in gran parte un espediente necessario oggi, dovranno essere le prime a subire le opportune contrazioni non appena il terreno monetario lo consentirà.
Il tempo non mi consente soffermarmi minutamente sui vari problemi tecnici dei provvedimenti presentati (e che d’altronde la commissione finanze tesoro ha esaminato analiticamente), ma mi rendo assai parzialmente conto delle ragioni tecniche che hanno ora indotto il Governo a far naufragare il troppo ritardato e discusso cambio della moneta che era considerato, a ragione o a torto, l’espressione più significativa di una politica fiscale energica; e mi si consenta di dolermi che in tal modo si sia persa forse definitivamente l’occasione di utilizzare un mezzo di accertamento della ripartizione di questa ricchezza mobiliare, la cui stima percentuale ragguagliata ad altri elementi nell’imposta straordinaria darà origine a non lievi sperequazioni. L’imposta straordinaria, così come era proposta, non era sufficientemente progressiva e bene ha fatto la Commissione finanze a rincrudirne l’incidenza per i patrimoni maggiori. Ma doveva trattarsi di congegnare un’imposta di rapida attuazione, non diluita nel tempo e resa molto aleatoria nel gettito reale delle scadenze pluriennali. Si dovrà comunque pensare a quella imposta sulla rivalutazione dei bilanci azionari, di cui si è più volte parlato.
Ché se poi la somma dei provvedimenti presi per evitare ulteriori svalutazioni monetarie non riuscisse a frenarla in modo deciso, allo Stato non rimarrebbe se non la soluzione di sistemi di scala mobile per talune imposte che si accertano oggi e che si possono pagare tra qualche anno: il principio, che già si riconobbe d’altronde nel caso delle spese, non è certo ortodosso, né gradito, ma la sua applicazione diverrebbe inevitabile se non si giungesse rapidamente a un metro monetario stabile.
D’accordo, infine, sulle riduzioni operate per i minori redditi di lavoro nella ricchezza mobile, ma non condivido l’opinione che in momenti tanto gravi vi siano generiche esenzioni per i redditi di lavoro in generale. Il minor gettito della imposta diretta verrebbe inevitabilmente sopportato dalle masse lavoratrici attraverso più temibili imposte indirette che graverebbero anche sulla massa dei disoccupati. Se da un lato, per talune imposizioni, giova puntare con maggior energia più sull’intensità che sull’estensione delle imposte, attese anche le condizioni degli uffici accertatori, per talune altre non si può prescindere dal criterio dell’estensione.
Poca ma decisa e rapida finanza straordinaria, che è finanza di eccezione e che spesso illude e si illude su arricchimenti a loro volta illusori. Molta e chiara finanza ordinaria, senza aspettare che la riforma del sistema – da porre in ogni caso sollecitamente allo studio – possa concretarsi perfetta e istantanea come Minerva nel cervello di Giove.
Vorrei raccomandare ancora al nostro Ministro delle finanze di avviare rapidamente e di perseguire rapidamente studi intesi a determinare i costi di accertamento e di esazione paragonandoli con criteri severamente economici. Vi sono tributi che non mette conto di riscuotere, tanto sono modesti in relazione agli oneri che comportano. E taluni tributi vivono ancora come quei gendarmi messi dinanzi alla famosa panchina verniciata di fresco; taluni altri si possono notevolmente rialzare in ragione del diminuito valore della moneta. Inutile poi ricordare ancora qui l’esigenza che la macchina dello Stato sia veramente messa a punto. Che, cioè, la selezione dei funzionari avvenga con quel rigore soltanto possibile quando si retribuiranno con adeguatezza; che sia dato valore di giuramento alle dichiarazioni formali del contribuente, con penali severe per le false dichiarazioni; che si snellisca con disposizioni chiare il sistema dei rapporti fra il contribuente e fisco; che si riformi adeguatamente il contenzioso; che si torni ad un’inflessibile severità nel colpire quei funzionari i quali non fanno l’interesse dello Stato e che comunque non intendono il delicato compito loro affidato.
La politica dell’entrata non può essere oggi considerata che come una politica di emergenza; e io non credo debba spaventare l’obbiettivo di raggiungere, almeno temporaneamente, un rapporto che si avvicini anche al 30 per cento fra tributi e reddito nazionale, né debba essere dimenticato che l’urgenza degli accertamenti e delle riscossioni è massima. Ciò che si rischia di perdere, con una politica fiscale troppo cauta, supera certo di molto i pericoli e gli svantaggi di una politica fiscale troppo energica. Vi sono larghe zone di privilegio determinate dalla congiuntura, vi sono infinite rendite di posizioni che l’azione d’intervento dello Stato può e deve contribuire a ridurre e correggere. Attraverso l’azione tributaria, se ben condotta ed entro limiti adatti, si possono assai meglio raggiungere molti scopi extra fiscali di natura sociale, e talvolta si può deviare il flusso delle attività verso i rami ritenuti più utili. Scopi che sarebbero con maggiori oneri ottenibili oggi attraverso regolazioni dirette nel campo della produzione, e che, in determinate condizioni, possono preferibilmente essere raggiunti con questa strada, evitando complicati e più costosi vincoli nella fase produttiva. Ma bisogna finirla di promettere feroci imposte, senza attuare neppure quelle modeste e pacificamente accettate, altrimenti finiremo per attenere quel che ottenne il pastore che gridava troppo, e per ischerzo, «al lupo».
Ho superato i limiti della vostra pazienza a sopportazione e mi affretto a concludere. Gli obiettivi immediati della nostra politica economica sono dolorosamente quelli di costringere gli italiani a più duri sacrifici, a più intenso lavoro, ma anche a meno inuguali oneri: solo così essi potranno costruirsi un edificio sociale migliore, così solo potranno salvarsi dalla catastrofe. Dobbiamo insomma stabilire nell’interesse di tutti, e non soltanto della minoranza, i semafori di questa nostra caotica affollata circolazione stradale, dove il transito è ritardato e spesso impossibile, e dove sarebbe contrario alle nostre concezioni di uomini del secolo ventesimo se dovessimo concludere con il «peggio per chi rimane travolto». Badiamo bene che i semafori siano collocati nei crocevia dove occorrono, e che le luci guidino e non accechino il passante, lo facciano sostare ma non lo immobilizzino. Se i semafori esistenti, spesso residui di quelli di una pericolosa impalcatura corporativa, sono destinati a rimanere spenti, tanto vale eliminarli; ma se si ritengono dalla maggioranza indispensabili, bisogna farli funzionare con regolarità severa in modo che siano consoni allo spirito dell’ordinamento democratico. Non bisogna permettere che ogni gruppo possa a piacer proprio spengerli e accenderli quando più gli fa comodo, come ha fatto spesso finora.
Tutto ciò si accompagna a gravi sforzi, a gravi difficoltà che nessuno, e tanto meno chi vi parla, sottovaluta. Ma guai a sostare sempre e rassegnatamente nei vicoli ciechi del mito delle «impossibilità fatali».
Dobbiamo infine andar cauti nell’applicare soluzioni permanenti a problemi temporanei; ma io vorrei ammonire anche il governo ad essere cauto nel trovare soluzioni temporanee che possono compromettere problemi permanenti.
La posta in gioco è così alta da farci riflettere quale sarebbe il costo se noi perdessimo la partita. Tanto vale oggi adottare severamente i provvedimenti necessari, per non essere costretti in peggiori condizioni ad adottarne il doppio domani. Nessuna classe sociale, nessun partito può illudersi, d’altra parte, di portare a concretezza le proprie ideologie se le condizioni peggiorano al punto da scendere al livello di quella che fu chiamata la «sottonutrizione sociale», se cioè si lascia mancare il vitale calore della convivenza, e si lasciano liberamente vaganti fuori della cornice sociale gli sfrenati interessi individuali e di gruppo. Il problema diventa anche qui, di limiti: ma tutto l’istituto democratico è un problema di limiti: o sappiamo imporceli, o li lasceremo imporre alla dittatura. Non si tratta dunque oggi di una polemica di opposte ideologie, dove da un lato si mettono i pianificatori e dall’altro i liberisti. Una nota rivista economica inglese tracciava qualche tempo fa le linee di una «politica della ricchezza», ed una politica della ricchezza può anche essere facilmente liberista; purtroppo noi dobbiamo tracciare i programmi di una «politica della povertà», che non può essere, almeno nel futuro immediato, se non una politica di limiti e di intelligenti vincoli. Personalmente non sono affatto amico dei vincolismi, e non vorrei farmene patrono se non trovassi regolarissimo, d’accordo in ciò con gli stessi liberali, almeno quelli inglesi, che in una zona terremotata si proclami lo stato d’assedio. In tutti gli altri paesi europei se ne sono accorti dal giorno in cui la guerra è finita; in taluni, come in Gran Bretagna, si è avuto l’eroismo di siffatte restrizioni, ed è forse un eroismo più difficile di quello bellico.
Senza dubbio il compito di dirigere con metodi democratici un sistema economico complesso e molto differenziato come il nostro attuale, va oltre il potere di qualsiasi meccanismo governativo, anche se efficiente; e qui ha ragione Luigi Einaudi di fare appello alla concorde, ma non inconsapevole e fatalistica, ubbidienza e allo sforzo di tutti. Una politica della povertà non si può fare se si consentono, e non si eliminano, i presupposti oggettivi della litigiosità. «Tutto ciò che dà valore all’esistenza di ognuno di noi – diceva non un patrono della pianificazione, ma John Stuart Mill – dipende dai freni che sono imposti all’azione degli altri». Sforzo, dunque, ma non unilaterale; sacrificio, ma equo e consapevole; freni all’azione dei gruppi e non privilegio e messianica attesa. Queste, a mio avviso, sono le vie d’uscita, anche se le più dure e le più difficili, sono le invocate e non messianiche salamandre per questa che è la definitiva, la irrevocabile prova del fuoco della democrazia nel nostro Paese. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).
La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.55.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cerreti. Ne ha facoltà.
CERRETI. Onorevoli colleghi, già alcuni oratori di questi settori hanno messo in luce che le dichiarazioni del Governo hanno dato luogo a larghe sorprese e che la presentazione del nuovo programma ha uguale facciata a quella del Governo precedente. Però il paradosso è questo: che ad applicare questo programma sarebbero chiamati uomini diversi da coloro che lo hanno concepito, che probabilmente sono ostili e forse sono disposti, «tecnicamente» s’intende, a dimostrarne la inattuabilità.
Credo che il Paese non potrà mai comprendere che ad applicare ad esempio i quattordici punti cosiddetti di Morandi non sia il simpatico ed attivo ex Ministro socialista e coloro che con lui hanno collaborato durante sedute lunghissime e penose del Consiglio dei Ministri durate – non so, secondo la cronaca – 140 o 170 ore, ma altri che a quei dibattiti non erano presenti e che rappresentano interessi opposti a quelli che ci spingevano a decidere quando discutevamo questi problemi.
Ad applicare, per esempio, la politica del tesseramento cosidetto differenziato non dovrebbe essere il sottoscritto che, per carenza di altri, se ne è dovuto assumere la responsabilità, ma coloro che non ci credono, forse un Sottosegretario alla Presidenza che deride quel progetto, aiutato da un tecnico che sarà incaricato di dare le cifre alterate per dimostrarne la inapplicabilità.
Questo doppio giuoco mi ricorda una fiaba del grande scrittore scandinavo Andersen, fiaba poco conosciuta che scrisse nel decimo anniversario della pubblicazione del suo primo libro di novelle e che fu riesumata soltanto nel 1940 da uno scrittore antifascista perseguitato e pubblicata in un grande giornale danese, il «Politiken».
Questa fiaba diceva che in un grande paesaggio norvegese vi erano due vallate, una più alta e l’altra più bassa. A cavallo delle due vallate si trovava una grotta ed in questa grotta vi era un uomo deforme, una specie di mostro. Nella bassa valle si trovavano dei derelitti, pescatori affamati, artigiani disgraziati e malvestiti, villici che non avevano certamente la facoltà degli abbienti di assicurarsi il benessere. Nell’altra, in alto, vi erano invece un grande castello feudale, una zona fertile, un centro di ricchezza. E questo mostro che stava a cavallo fra le due vallate aveva la facoltà, forse per incantesimo (non so se allora si parlasse di provvidenza divina) di trasformarsi volgendosi verso la vallata povera in uomo compassionevole, derelitto anche lui e volgendosi dall’altra parte in cortigiano profumato. Egli si chiamava il «mostriciattolo del doppio giuoco». (Rumori al centro – Applausi a sinistra). Termino la fiaba.
Una voce a destra. Ma è una fiaba!
Una voce a sinistra. È realtà.
Una voce al centro. Purtroppo è realtà, lo sappiamo.
CERRETI. È una fiaba che non ho scritto io. (Ilarità – Rumori).
Ma la cosa curiosa del fenomeno era che in questo incrocio di vallate tirava sempre un vento fortissimo che, il più delle volte, spingeva il mostriciattolo del doppio giuoco ad andare verso la valle dei ricchi e quindi ad essere un cortigiano. La fiaba è terminata. (Commenti).
Resta il fatto che è impossibile per i democratici italiani concepire che, ad applicare il programma steso ed elaborato da uomini della democrazia, tra cui collaborarono i rappresentanti dei lavoratori in modo diretto, possa essere il senatore Einaudi, malgrado il rispetto che gli dobbiamo come studioso. (Commenti a destra).
LUCIFERO. E perché, l’onorevole Einaudi non è forse un rappresentante della democrazia? (Commenti).
CERRETI. Vi prevengo, onorevoli colleghi, che, se c’è volontà d’interrompere, ne avrete molte occasioni, ma non perderò la calma (Commenti al centro e a destra). Dicevo che l’onorevole Einaudi, uomo di studio e di vasta cultura – forse troppo antico per comprendere il corso nuovo della situazione in Italia, o per età, o per disposizione intellettuale troppo sordo a comprendere le voci allarmate ed inquiete delle masse lavoratrici – non crediamo potrà essere l’uomo che farà una politica a favore delle classi più disagiate del nostro Paese. (Commenti al centro). Non crediamo che sarà l’uomo che prenderà misure coercitive contro la speculazione e che sarà l’uomo che potrà permettere al Paese di attuare alfine una politica che porti a far pagare i ricchi, responsabili dei grandi disastri nazionali.
L’onorevole Einaudi farà una politica a favore delle classi possidenti e dei ceti plutocratici italiani. Si può dire: perché? Perché l’onorevole Einaudi è il Governo! Ma che tipo di Governo! (Commenti al centro e a destra). Si è parlato di Governo di emergenza, ma, permettete, se l’emergenza ha una caratteristica particolare, legata a contingenze immediate, e siccome si dice che questa emergenza ha carattere finanziario ed economico, è giusto che l’uomo che ha preso un dicastero che controlla tutti i settori della finanza e dell’economia, sia l’uomo che dirige in fatto e di fatto il Governo.
L’onorevole De Gasperi non abbia l’illusione di essere il dirigente del Governo, come lo fu di quello passato, anche se dei due precedenti lo fu solo in una certa misura. Ora lo sarà in misura minore. Ci sono esempi storici…
Una voce al centro. Prima la fiaba ed ora la storia!
CERRETI. …che dimostrano questa verità.
In Francia nel 1937, al momento dell’aggressione straniera contro il popolo spagnuolo, vi era un Governo diretto da un socialista, da Léon Blum.
Questo Governo, malgrado le manifestazioni visibili della stragrande maggioranza delle forze popolari francesi – compresi i socialisti che erano appassionatamente difensori e sostenitori della lotta eroica del popolo spagnolo – non fu in grado di prendere posizione di difesa e di aiuto verso quella Repubblica minacciata da tutte le parti.
E sapete perché? Perché chi decideva nel Consiglio dei Ministri era il Ministro delle finanze, che in Francia comprende tutto – tesoro e bilancio – e questo uomo subiva la pressione della City, che voleva mettere in difficoltà ed in pericolo la Repubblica spagnola a mezzo della criminale politica del «non intervento». E si cominciò ad agitare lo spauracchio dei titoli che in borsa cadevano, dello sfacelo del franco, sicché il Governo francese fu costretto, malgrado fosse diretto da un socialista che intenzionalmente era favorevole agli spagnoli, a cedere alle ingiunzioni di Londra e ad applicare la politica del non intervento che costò sangue, rovine e favorì la fine della Repubblica popolare spagnola.
Possiamo portare anche due esempi nostrani. Nel primo Governo, dopo la proclamazione della Repubblica, vi era un uomo che per certi aspetti è estremamente simpatico, l’onorevole Corbino. Ma, chi fu il dirigente di quel Governo? Fu Corbino e non De Gasperi, ed anche se De Gasperi avesse avuto delle eccellenti intenzioni non poteva riuscire a fare una politica a favore del popolo, perché vi era la mano della finanza, a mezzo di Corbino, che ne impediva gli effetti, come avvenne per il cambio della moneta.
CONDORELLI. Per il popolo ci siete solo voi, gli altri non contano! (Commenti).
CERRETI. Quando fu Ministro del tesoro l’onorevole Campilli, devo riconoscere qui che in tutte le sessioni dei comitati interministeriali del CIR e del Governo, alle quali ho avuto l’onore di partecipare, ho visto questo Ministro sforzarsi di fare una politica democratica. Egli stesso però era premuto da forze oscure, alle quali l’onorevole Corbino ha fatto lievi allusioni (Commenti al centro), che facevano di alcuni Consigli dei Ministri un ambiente di apprensione, di inquietudine a causa delle notizie che giungevano dai circoli finanziari a proposito della lira, a proposito dei titoli di Stato, a proposito dei Buoni del Tesoro, a proposito del ritiro dei depositi dalla Banche medesime e degli aiuti e anticipi finanziari al Tesoro. Sicché, anche tutte quelle decisioni sui famosi quattordici punti di Morandi furono prese in quell’ambiente, non per colpa del Ministro del tesoro, ma per colpa di quelle forze pericolose che sono attorno e che oggi hanno in mano il Governo, in modo diretto e in modo aperto. Si capisce che si nasconde il fatto sotto la formula dei tecnici. Ma, diciamolo francamente (perché siamo uomini abituati alla vita politica e quindi allo studio della storia e dei problemi che sono connessi alla vita dei popoli), che cosa significano questi tecnici? Nel primo caso, o sono già legati ai gruppi plutocratici o finanziari, e quindi non sono indipendenti; nel secondo caso, quando non sono legati già a questi gruppi plutocratici, sono più facile preda degli uomini politici i quali devono rispondere, di fronte al paese, del proprio mandato e della propria qualità di Rappresentante del popolo. I tecnici rappresentano sempre l’ingerenza attiva e diretta delle forze che sono dietro le quinte del Governo, le quali mandano i loro tecnici al Governo per impadronirsi della leva di comando, sono uomini che, strumenti di queste forze, sono divorati rapidamente da esse. E si potrebbero citare esempi al riguardo in tutti i paesi democratici.
Del resto, mi stupisce che il Presidente del Consiglio, che è un uomo duttile e abile e – non date a questa parola il significato cattivo – anche furbo, non ricordi come rispose ad un deputato che lo interpellava a proposito della nomina dell’onorevole Micheli a capo del Ministero della marina militare: che là occorreva un uomo politico per mettere a posto le cose. Ma dappertutto occorre un uomo politico. Si tratta di sapere quale politica dobbiamo fare, in quale direzione dobbiamo andare per alleviare le maggiori sofferenze delle classi lavoratrici; ossia se dobbiamo fare una politica che faccia pagare le spese della catastrofe del fascismo a coloro che del fascismo hanno approfittato, oppure una politica che vada a favore dei ceti medi e delle classi lavoratrici.
Un tecnico si perde in questo dedalo. Il professor Merzagora è giunto dal Brasile da poco, e probabilmente non porterà nelle sue valigie del caffè a prezzi modici, ma è probabile che porti invece i nuovi cartelli che dovranno avere il monopolio del commercio estero. È probabile che si vedano rapidamente risorgere in Italia quei cartelli che furono la caratteristica del periodo fascista, con i vari Pozzani che furono i re dei cereali sotto il fascismo, e quindi con quei profitti marginali che verrebbero ad incidere sul prezzo di costo e cioè sul pane del popolo.
Anche all’alimentazione adesso abbiamo un tecnico di valore, lo riconosco; ma c’è da domandarsi come mai questo tecnico non fu sorretto e sostenuto nel periodo tragico della saldatura, che sembrava compromessa, ma fu invece costretto dal mio predecessore ad andarsene sbattendo le porte.
Come mai l’onorevole De Gasperi non consigliò che questo tecnico restasse, e mi riferisco al professor Ronchi…
MENTASTI. È falso!
CERRETI. La verità è che il professor Ronchi è un uomo dignitoso, e non approvava la sua politica.
MENTASTI. Non è vero niente.
CERRETI. Tanto è vero che, il secondo giorno della mia nomina ad Alto Commissario, il primo passo che feci fu di chiedere al professor Ronchi che venisse a collaborare con me e riprendesse il suo posto di direttore generale. Non poté farlo, non so perché, ma ritengo che ci fosse un siluramento sotterraneo che impedisse la nuova nomina a cui io lo avevo proposto.
SEGNI, Ministro dell’agricoltura e foreste. Non volle ritornare lui. (Approvazioni al centro).
CERRETI. Io ho troppo rispetto per lei, onorevole Segni, per non ritenere la sua interruzione dettata da buona fede; ma io ho qui una lettera del professor Ronchi nella quale egli dice che, a seguito di un nuovo incarico avuto nell’agricoltura, non poteva accettare l’incarico da me offertogli.
MENTASTI. Questo che cosa significa? Che non volle lui.
Una voce al centro. Troppe favole, onorevole Cerreti. (Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.
CERRETI. Comunque, il settore dell’alimentazione aveva ed ha, per fortuna, oltre al professor Ronchi, dei tecnici eccellenti, quali il professor De Marzi, il professor Pellegrini, e tutti i loro collaboratori che sono stati gli artefici della saldatura ottima, che abbiamo fatto quest’anno.
MENTASTI. E che si è fatta anche l’anno scorso.
CERRETI. Ma la questione non è ancora questa. Io mi domando come farà questo tecnico, bravissimo, a poter sostenere la necessità di una politica alimentare a favore dei ceti meno abbienti se il Governo non la vorrà fare, quale voce egli potrà avere in questo Ministero quando sarà convocato ad udienza al Consiglio dei Ministri, sapendo che dietro di sé non ha le forze che noi avevamo, la fiducia del popolo, i partiti di sinistra, le organizzazioni sindacali, quelle forze che ci hanno messo in condizioni di mantenere una tranquillità completa nel Paese. Queste forze mancheranno al professor Ronchi e quindi o farà una politica conforme alle premesse del Presidente del Consiglio, o, altrimenti, sarà liquidato e al suo posto andrà un altro tecnico, forse più maneggevole.
Io vorrei far rilevare come mi è amaramente spiaciuta la formula che ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio alla rilevazione annonaria decisa dal Consiglio dei Ministri: egli ha parlato di «inchiesta Cerreti», ben sapendo che tutta la stampa faziosa italiana non ha fatto altro che dare questo attributo al Cerreti, di aver fatto una cosa personale, mentre si trattava di una decisione nei termini in cui era stata deliberata dal Consiglio dei Ministri, preceduto da ben quattro Comitati interministeriali, alla testa dei quali si trovava l’onorevole Segni, che è stato sempre con me un corretto collaboratore.
Quindi, si è dato pretesto alla stampa di falsare i fatti, di dimostrare che vi era un piccolo dittatore in un settore governativo, il quale faceva di sua testa, e il Governo lo ha tollerato.
Quando, addì 20 aprile, chiesi alla Presidenza del Consiglio di fare un comunicato ufficiale di rettifica per spiegare le ragioni del censimento, non ho avuto mai risposta, malgrado quattro fonogrammi di sollecitazione. Tengo però a dichiarare che quando si è rivelato il sabotaggio organizzato dalla Confida e dalla Confederazione dell’Industria, l’onorevole De Gasperi ha fatto un telegramma a queste organizzazioni, spiegando che era obbligatorio rispondere agli impegni contenuti nelle disposizioni per questa rilevazione annonaria. Ma tutte le falsità che sono state scritte sui giornali sul fallimento del censimento nazionale non sono state mai rettificate.
Io mi permetto di darvi le cifre. Questo malfamato censimento annonario si termina, perché, malgrado i chiari sabotaggi, le insinuazioni, le accuse personali, siamo nella fase decisiva, superata quella della rilevazione nel lavoro delle Commissioni comunali, che devono adempiere alla loro funzione del controllo delle classificazioni.
È in queste condizioni che oltre un milione di carte annonarie è stato eliminato, il che vuol dire oltre un milione di quintali di grano risparmiati all’anno, il che vuol dire 30 o 40 miliardi di lire risparmiati all’anno per la nostra economia nazionale. (Applausi a sinistra).
Ed è terminato anche con una proporzione molto giudiziosa, migliore delle prospettive di impostazione che noi avevamo dato circa le classificazioni delle varie categorie dei cittadini: 59,4 per cento di non abbienti, 19,9 per cento di semiabbienti, 20,7 per cento di abbienti. Ci sarà ancora probabilmente qualche modificazione; ma quello che è certo è che noi abbiamo dato al Governo uno strumento efficiente per fare, se lo vorrà, una politica democratica.
A ciò abbiamo lavorato per mesi e mesi, in commissioni composte di uomini di alta capacità; tutto sta adesso a vedere quale uso si vorrà fare di queste cifre, quale politica si vorrà seguire. Io mi permetto di avvertire che il censimento, nonostante quello che ha scritto certa stampa gialla, i cui articoli sono fatti da giornalisti, o pseudo tali, che non hanno perduto l’abitudine di intingere i loro pennini nell’inchiostro fascista (Commenti), è un’arma efficiente nelle mani del Governo.
In quella stampa ci si è accusati di aver speso due miliardi e più…
Una voce al centro. Cinque miliardi.
CERRETI. …per i moduli, quando per i moduli si sono spesi appena 95 milioni e per le spese di censimento sono andati circa 930 milioni: neppure un miliardo!
Una voce al centro. Non è vero.
CERRETI. Ma non interrompete! Voi non conoscete i fatti e le cifre: siete soltanto degli insolenti! (Commenti – Interruzioni – Rumori – Scambio di apostrofi).
PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, misuri le parole che pronunzia; lei non può offendere l’Assemblea.
CERRETI. Io non offendo nessuno. (Rumori – Commenti).
È doloroso constatare ciò quando si è avuta l’onestà di accettare, almeno a parole, il punto quarto del progetto Morandi, di dichiarare cioè che il tesseramento differenziato sarà tenuto in considerazione.
Il brutto è che al Governo vi è il partito delle destre che ha perseguito il sabotaggio del censimento annonario e questo partito prende la direzione della politica italiana.
Non facciamo quindi della demagogia. Se non si porranno in questa Assemblea e nel Paese le condizioni perché si costituisca un vero governo rappresentativo, le classi lavoratrici italiane, i ceti medi possono essere certi che questo tentativo di organizzazione della politica annonaria democratica sarà votato al fallimento.
Del resto, io metto in guardia il Governo sui problemi che al tesseramento differenziato sono legati.
Perché si sbaglierebbe colui che ritenesse che noi siamo stati spinti per demagogia a mettere in campo questo progetto, a volerlo attuare con decisione. Forse questa è la sola nostra colpa. Si sbaglierebbe colui che pensasse che è dovuto al caso. Guardate, la mia breve esperienza all’Alto Commissariato per l’alimentazione mi ha dimostrato che da tutte le parti si chiede la libertà. Vogliono la libertà gli importatori, vogliono la libertà i contadini, vogliono la libertà gli industriali: tutti vogliono la libertà. In queste condizioni, se noi accettassimo di liquidare tutti i vincoli esistenti all’ora attuale, ciò significherebbe spingere la parte più povera del nostro paese – e mi riferisco a quelli che sono a reddito fisso e specialmente ai vecchi pensionati, ai disoccupati, a tutte le famiglie più disagiate del Paese – a conoscere in gran parte periodi incresciosi; e molte di queste persone potrebbero incontrare quella morte reale per fame cui alludeva metaforicamente ieri l’onorevole Corbino.
Non solo questo, ma non bisogna dimenticare che prima la guerra e le conseguenze di essa, poi l’arrivo degli Alleati in Italia, avevano sconquassato tutto il sistema dei controlli, e quindi reso impossibile per il Governo l’applicazione stretta e metodica del regime vincolistico, per fare una politica che impedisse le evasioni, che impedisse il mercato nero, che impedisse gli accaparramenti e le speculazioni.
Inoltre è da aggiungere che quella politica fu chiamata socialista quando gli Alleati ce la imposero come politica annonaria, ma in realtà oggi ci troviamo con strumenti invecchiati e semidistrutti in mano, senza aver potuto sostituirli con nuovi strumenti che ci permettano di agire per giungere alla liquidazione di ogni tesseramento, per gradi, senza creare disordini nel nostro Paese.
E poi mi ha portato molto a riflettere – e con me i miei amici – il fatto che nelle zone industriali e nelle zone di montagna i lavoratori vivono in condizioni disagiatissime. Ho sempre davanti agli occhi i costruttori delle nuove centrali elettriche a Bolzano, quei settemila lavoratori che stanno quasi tutta la giornata con l’acqua fino alle ginocchia e che devono essere alimentati coi prodotti che lo Stato dà loro: cioè appena mille o millecinquanta calorie. E la questione è che noi non abbiamo una massa di prodotti sufficienti da distribuire equamente, come sarebbe giusto, a tutti gli italiani. E quindi, siccome c’è una situazione sperequata, siccome le nostre possibilità sono modeste, bisogna, attraverso il tesseramento differenziato, andare incontro a queste categorie disagiate, anche per fermare quella corsa catastrofica degli alti salari e dei continui aumenti della «contingenza», che poi porta ad influire sui prezzi di costo e quindi sulla saldezza della lira.
Aumentando unicamente la quantità dei beni di consumo a disposizione di questa parte attiva e davvero produttiva della popolazione italiana, noi potremo garantirci da molti guai, ai quali altrimenti andremmo incontro.
Ma qui c’è un problema: non basta fare questa politica democratica nel campo annonario; occorre anche pensare a dare più poteri all’Alto Commissariato dell’alimentazione, perché adesso è come quel famoso vaso di terracotta, di manzoniana memoria, fra due vasi di ferro: l’agricoltura e il commercio estero; deve distribuire ciò che l’agricoltura riesce ad avere e deve dare come assegnazione, generalizzata, una volta tanto, ogni tanto, cioè raramente, quel poco che ci viene dagli acquisti all’estero. L’essenziale è che nel periodo in cui durerà ancora la necessità di un mercato razionato, controllato dallo Stato, l’Alto Commissariato abbia i poteri di ammassare, di reperire e di fare gli acquisti all’estero; cioè sia creato un vero Ministero degli approvvigionamenti il quale faccia una politica sociale mantenendosi in contatto stretto con organizzazioni che non sono a carattere speculativo, quale la meravigliosa rete di cooperative che abbiamo in Italia e gli Enti comunali di consumo, che da tutte le parti si cerca di far venir meno salvo dalla parte, direi, di questo settore, perché si comprende la capacità di quest’organismo a carattere collettivo di potere intervenire come fattore calmieratore sul mercato annonario italiano.
Badate, l’avvertimento di questa debolezza dell’Alto Commissariato fu dato un anno fa da personalità alleate, studiose delle nostre questioni alimentari, che misero in guardia il Governo di allora sulla insufficienza dei poteri di esso che, quasi povero servo, deve togliersi sempre il cappello quando parla al gruppo dei signori dei due Dicasteri maggiori. E dissero questi esperti alleati che, se si voleva assicurare in Italia una politica alimentare che tenesse conto delle esigenze della parte più disagiata del popolo, bisognava dare più poteri a chi si trovava alla testa di questo Dicastero, dargli il diritto di parlare da pari a pari con gli altri Ministri.
Non si ascoltò quella voce, allora. Speriamo che questa volta si ascolti la nostra, perché ragione vorrebbe che si pensasse a questa soluzione, e non ad una diversa, a diminuire cioè i poteri di questo strumento, che deve essere invece sempre più efficiente nella politica alimentare del nostro Paese.
Comunque, ritornando al Governo, quando si verifica il caso strano di uomini chiamati a fare una politica nella quale non credono e la quale porterà ad un vicolo cieco, c’è da dirsi che il vero problema sta nel nostro vecchio adagio: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». (Applausi a sinistra – Commenti).
Io mi domando se la crisi poteva essere evitata. Secondo me, è certo che poteva essere evitata. L’onorevole Presidente del Consiglia dovrà, agli uomini che hanno collaborato con lui nel Governo precedente, concedere per lo meno questo: che hanno con lealtà, e direi anche con devozione, o per lo meno con grande passione (Commenti a destra), collaborato alla stesura di quel programma e lavorato alla sua applicazione.
Quindi un problema di fiducia fra gli uomini del Governo non esistette. Fiducia di popolo. Quale? Dei lavoratori? Dei contadini? Di queste masse che, in condizioni disagiatissime, nei mesi di febbraio e marzo non hanno fatto, come negli altri Paesi esteri, manifestazioni contro la fame (Applausi a sinistra), manifestazioni anche contro la grande Repubblica americana, ritenuta responsabile per non aver dato a sufficienza, per mantenere inalterate le razioni? Da noi questo non vi è stato, ma non per caso strano; non v’è stato perché i lavoratori, le masse popolari avevano fiducia negli uomini che li rappresentavano al Governo! Voi, questi uomini, li avete mandati via. E quindi, quale fiducia avete ricercato? La fiducia degli elettori che dopo le elezioni del 2 giugno hanno sempre manifestato una più netta speranza nel consolidamento della Repubblica e della democrazia, che hanno sempre maggiormente fatto affluire i loro voti, e quindi i loro appoggi, alle forze di sinistra? Oppure di quei gruppi industriali e commerciali che si sono lanciati nell’opera di ricostruzione del Paese, appoggiandosi alle organizzazioni sindacali e che non sono forze parassitarie? Neppure di queste! Tutte queste forze, se mancavano di fiducia era perché il Presidente del Consiglio aveva già dato troppe volte la prova di non essere fermo nell’applicazione dei programmi che erano stati decisi. Se una prova di sfiducia vi è stata, è stata questa e non quella che si è voluta presentare.
Sfiducia dell’estero? Per carità! L’estero durante i governi ai quali hanno partecipato i rappresentanti dei lavoratori, ha dato all’Italia – lo diceva l’onorevole Corbino – oltre due miliardi di dollari, ed oggi, per 200 milioni, per questa misera somma, bisogna gettare fuori i comunisti e i socialisti, ché, altrimenti, l’America non li darebbe. (Applausi a sinistra). Se fosse così, sarebbe umiliante per tutti noi, in tutti i settori, dalla destra alla sinistra.
In realtà non è così. Gli alleati non vanno visti in senso separato, non vanno presi isolatamente. Noi abbiamo bisogno della fiducia del grande popolo americano, sì, ma anche degli altri popoli e degli altri Stati che hanno contribuito a liberarci dal fascismo e dall’oppressione tedesca, e la condizione essenziale per questa fiducia è di mostrare che noi restiamo fedeli alla democrazia, alla Repubblica e che siamo decisi a estirpare alle radici il regime che ci ha portato alla disfatta. Questa è la condotta che chiedono gli alleati all’Italia, ma la strada sulla quale si è incamminato questo quarto governo porta ad un fine opposto. Non a guadagnare questo tipo di fiducia, ma quella di certi circoli che stanno tramando nel mondo (Commenti) per provocare nuove guerre e per trascinare l’Italia in un nuovo conflitto, conflitto che potrebbe essere per noi non solo la fine dell’indipendenza ma la fine anche fisica dello Stato italiano e dell’Italia.
Con troppa leggerezza si parla di fiducia dell’estero quando si hanno degli esempi concreti, e prendo il mio settore; e se non erro, il segretario generale del mio partito, prima di accettare il posto difficile che gli si voleva affidare, pose una questione, disse: forse sarà meglio che ci sia un altro uomo, anziché un comunista, per ottenere dall’America quegli aiuti in grano e in cereali che ci sono necessari. Si rispose: forse non è necessario. Quali i risultati di questo tentativo? I risultati di questo tentativo sono stati che quando io ho preso l’Alto Commissariato dell’Alimentazione – fatti tutti i conti di quello che dovevamo ricevere e di quello che avevamo in Italia – mancavano netti quaranta giorni di pane al nostro Paese. Come fare? Occorreva chiedere nuovi prestiti all’America, nuovi invii; fare nuovi acquisti. Ma vi erano le assegnazioni, la politica dell’allocation che ci teneva imbrigliati; bisognava costringere i nostri amici alleati, a cominciare dall’ammiraglio Stone, a dare i prestiti necessari al nostro Paese. Sono stati dirottati in Italia oltre 36 vapori non attesi, sono stati permessi all’Italia acquisti per altri 20 vapori di farina non attesi e non previsti, cosicché abbiamo il piacere di far conoscere alcuni brani (due soltanto) del direttore generale dei generi razionati dell’alimentazione, di un documento che mi ha rivolto quando ero ancora Alto Commissario, per dimostrare che eravamo tranquilli per la saldatura.
Dice il primo brano: «Sono lieto di segnalare che la saldatura, che in altri paesi d’Europa si presenta in condizioni veramente critiche, può essere ormai sicuramente superata nelle migliori condizioni possibili in Italia per merito dell’attività svolta dal Governo italiano all’estero per l’acquisto di cereali in aggiunta all’approvvigionamento U.N.R.R.A.».
L’altro: «Prescindendo dai quantitativi di granoturco, le disponibilità di cereali per la copertura della seconda quindicina di giugno presentano una eccedenza che può calcolarsi in 40.000 tonnellate di grano e derivati». Questo è il risultato. E abbiamo chiesto all’Agricoltura di non occuparsi quest’anno di fare l’ammasso dei grani precoci per non spendere somme inutili, in quanto il grano ci sarà in Italia fino al cinque o sei luglio, senza bisogno di accelerare niente. Non solo, ma abbiamo voluto, prima di uscire da quel dicastero, inviare telegrammi a tutti i Prefetti invitandoli per la prima volta a pastificare in tutta Italia. Aggiungo: a noi che siamo stati cacciati dal Governo perché non degni di avere la fiducia dei grandi amici americani, l’U.N.R.R.A ha concesso su per giù due miliardi di lire italiane di prodotti alimentari che sono andati in quei modesti pacchi alimentari di cui, all’ora attuale, sono in distribuzione circa 4 milioni e mezzo. E quindi mi pare smentita la diceria assurda che comunisti e socialisti al Governo siano un impedimento ai prestiti, siano un impedimento agli aiuti da parte dell’America. Il problema è interno e politico; e quindi non si devono cambiare le carte in tavola. Il fatto è che le forze della reazione che da tempo premevano… (Interruzioni a destra – Commenti) le forze della reazione… (Rumori – Interruzioni a destra).
Una voce a destra. In agguato!
CERRETI. …i rottami del fascismo (Applausi a sinistra) che da tempo premevano… (Interruzioni – Commenti a destra) i così detti uomini della plutocrazia sono riusciti a prendere la mano all’onorevole De Gasperi e ad una parte del partito della democrazia cristiana, alla sua ala destra. (Interruzioni al centro).
E c’è da domandarsi: «perché questo strano Governo?» Si è detto ad un certo momento che si voleva fare un tentativo – sempre possibile – di dare maggior responsabilità al più grande partito dell’Assemblea Costituente, il partito democratico-cristiano: e va bene. L’esperienza, benché osteggiata, non era impossibile a realizzarsi. Ma non dite che questo Governo sia un Governo democristiano puro, anche se quasi tutti i dicasteri sono in mano dei democristiani. Perché, aggiungo, mancano su quei banchi, salvo alcuni fra cui l’onorevole Segni ed altri, gli uomini più rappresentativi della democrazia cristiana: gli onorevoli Gronchi, Bertone, Bertini (Commenti); manca l’onorevole Aldisio, il quale ebbe il merito, nel tempo in cui fu all’alimentazione, di avere messo in guardia il Governo sui pericoli cui andavamo incontro, se non si cambiava la razione di pane da novembre.
Come mai non ci sono questi uomini? Non date ad intendere quindi agli italiani che avete voluto fare un nuovo governo, per assumere maggiori responsabilità.
Avete, forse, fatto il governo per scopi elettorali? Per fare le elezioni ad ottobre o novembre e quindi avere in mano tutte le leve, per fare elezioni di parte?
È questo che avete voluto fare? (Interruzioni al centro).
In questo caso, io dico che tutti qui dobbiamo essere inquieti, a cominciare dai deputati del meridione, con un Ministro della Giustizia che si chiama onorevole Grassi, che personalmente può essere la persona più degna, ma politicamente rappresenta determinati interessi degli agrari pugliesi (Interruzioni) e con un Ministro degli interni quale l’onorevole Scelba, di cui non è in giuoco la persona, ma il metodo, la concezione settaria di interprete della legge e il fatto che egli non tiene conto forse, troppo spesso, che esiste una Repubblica, che esistono delle forze da salvaguardare ed istituzioni da consolidare contro tutti i faziosi e contro quei giornali che creano il discredito e che gettano il Paese in condizioni di divergenze pericolose che sono sempre preliminari alla guerra civile.
Non avremo più all’interno un uomo equilibrato, indipendente, quale si rivelò il Ministro Romita nel periodo delle elezioni (Interruzioni a destra); avremo un uomo di parte…
BENEDETTINI. Non è di parte l’onorevole Romita?
CERRETI. …un uomo di parte, che in alcune sue azioni può apparire anche, sotto certi aspetti, scorretto. (Commenti). Mi spiego. Siccome le parole non servono a convincere molti colleghi dell’Assemblea, passiamo agli atti.
Vi è una legge sugli Enti comunali di consumo, dovuta alle agitazioni del Nord d’un anno fa (l’amico Corsi, allora Sottosegretario di Stato agli Interni, ne ricorda l’origine e gli sviluppi). Questa legge avrebbe potuto permettere al nostro Paese di creare un nuovo organismo indipendente, veramente efficiente, per lenire un po’ le sofferenze di questo nostro disgraziato Paese o almeno della parte che più soffre delle condizioni disagiate.
Orbene, alcuni articoli di questa legge sono involuti e danno luogo ad interpretazioni varie da parte dei prefetti, i quali, anche senza applicare l’articolo 19, hanno, purtroppo, tendenza a creare degli staterelli o repubblichette, qualche volta dei piccoli feudi, ed allora in talune località si danno dei generi contingentati e razionati, in altre non se ne danno e quindi non si creano condizioni per uno sviluppo normale e regolare di questi organismi, dato che manca l’atteso finanziamento elaborato dall’onorevole Campilli, del quale non si parla più in questo quarto Governo dell’onorevole De Gasperi.
Durante la mia permanenza all’Alto Commissariato io chiesi, per precauzione, prima di dare disposizioni alle SEPRAL, all’onorevole Ministro dell’interno che precisasse la sua opinione sulla possibilità di dare generi razionati, in base a quelle disposizioni, agli Enti di consumo. Rispose: «Il Ministro concorda sui criteri ai quali la proposta si ispira. In particolare riconosce l’opportunità che siano affidati agli Enti di consumo, insieme con i commercianti, anche generi razionati». Fatto acquisito. Le disposizioni furono date il 30 aprile. Il 29 maggio fu diramata una circolare ai Prefetti, che io ho ignorato, io il maggiore responsabile del settore alimentare del Paese non sono stato interrogato su un documento, che ne infrangeva un altro e (che di comune accordo avevamo cercato di rendere pubblico attraverso disposizioni alle Sepral ed ai Prefetti), secondo il quale si attribuisce agli Enti suindicati di consumo il compito di provvedere mediante la distribuzione di derrate non razionate, (quindi è proibito dare generi razionati a questi Enti di consumo). Modo questo per farli morire.
SCELBA, Ministro dell’interno. È la legge.
Una voce a sinistra. Questo è doppio gioco.
CERRETI. Non è solo doppio gioco, questa è scorrettezza.
SCELBA, Ministro dell’interno. È la legge, onorevole Cerreti. La scorrettezza la fa lei, nel dare disposizioni contrarie alla legge. (Commenti).
PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Cerreti.
CERRETI. Io ho volontà di proseguire anche senza essere redarguito.
PRESIDENTE. Io non la redarguisco, la agevolo, anzi. (Si ride).
CERRETI. Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso.
LOPARDI. È un reato.
CERRETI. È un reato. Lo so. Per questo dico che se questo Governo vuol fare le elezioni dobbiamo essere tutti inquieti; non abbiamo garanzia della dovuta imparzialità che saranno, cioè, fatti gli interessi del Paese e non gli interessi di parte. (Applausi a sinistra – Commenti – Interruzioni).
LOPARDI. Si faccia una inchiesta.
CERRETI. Noi abbiamo legittima ragione per essere in opposizione con questo Governo, che non ci garantisce dalla minaccia degli accaparratori e degli speculatori, che non ci garantisce di assicurare il pane al popolo che soffre di più nel nostro Paese, che non ci garantisce che le armi che può avere a disposizione siano sempre usate contro i faziosi che potrebbero mettere in pericolo la Repubblica e le istituzioni democratiche, Governo quindi che va rovesciato se vogliamo liberarci da un incubo pauroso! (Rumori al centro).
Le ragioni della nostra opposizione sono diverse. Ad alcune ho già accennato. Cercherò, concludendo, di completare queste ragioni. La prima è che non vogliamo che questo Governo serva da trampolino alle forze della reazione monarchica (Commenti a destra), alla reazione neo-fascista ed a quelle forze che il Governo dovrebbe mettere a tacere ogni qual volta tentassero, e tentano già, di minacciare le nostre libertà.
Poi perché non riconosciamo nel metodo seguito dal Presidente del Consiglio un metodo democratico. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).
In cinque mesi sono state fatte due crisi. Nella prima l’onorevole De Gasperi non si è curato neppure di mettere al corrente il Capo dello Stato e i suoi colleghi. Nella seconda fa un discorso radio che è la condizione per gettare dalla porta di servizio i Ministri che hanno collaborato con lui, mentre sarebbe stata possibile un’intesa se quei dubbi di coscienza fossero stati espressi nella sede opportuna. Il metodo usato dal Presidente del Consiglio – malgrado riconosca la sua fede democratica – assomiglia a quella tale politica presidenziale che congedava i Ministri per telegramma o per radio! (Commenti – Interruzioni).
Una voce al centro. Come in Ungheria! (Rumori a sinistra).
CERRETI. Comunque, se democrazia significa lealtà, il Presidente del Consiglio non ha mai in questi tempi utilizzato questa arma per consolidare la Repubblica.
E poi per un’altra ragione, noi saremo all’opposizione: per il nostro amore dell’unità. (Commenti al centro).
Certo, non l’unità con coloro che portarono il Paese alla catastrofe (Applausi a sinistra), non l’unità con coloro che ci portarono il tedesco in casa (Applausi a sinistra), ma l’unità con le forze sane rappresentative del popolo, mentre questo Governo è fattore di divisione e di inquietudine. Non abbiamo garanzie tali che ci permettano di ritenere che sarà consolidata l’unità del fronte democratico, fronte al quale non può essere estranea la Democrazia cristiana, perché noi la consideriamo un partito democratico…
Una voce al centro. Grazie!
CERRETI. …malgrado certi argomenti di una certa fazione che è legata, corpo ed anima, alle forze reazionarie (Commenti). Da questa tribuna facciamo appello a tutti i lavoratori democristiani, ai loro dirigenti ed ai deputati democratici cristiani perché siano con noi (Commenti – Interruzioni a destra e al centro) per costituire un vero Governo rappresentativo che dia fiducia al Paese, che consolidi le nostre libertà (Interruzioni al centro e a destra) e che ci permetta di sormontare la difficilissima situazione attuale, la mano nella mano, nell’interesse della Patria. (Vivissimi applausi a sinistra – Commenti – Molte congratulazioni).
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Io non starò a ricordare che, se c’è un uomo che nel suo Dicastero ha portato uno spirito di parte estremamente acceso, quest’uomo è stato l’onorevole Cerreti. (Approvazioni a destra).
Non risponderò all’onorevole Cerreti della mia fede repubblicana, perché, almeno da quella parte, di questa fede mi è stato ripetute volte dato atto. Mi limiterò a ricordare quella pretesa scorrettezza che sarebbe stata compiuta dal Ministro dell’interno contro l’Alto Commissario per l’alimentazione.
L’onorevole Cerreti ha ricordato che una circolare, in data 12 aprile, autorizzava gli Enti comunali a vendere generi razionati. Con quella circolare, se l’onorevole Cerreti avrà la bontà di leggerla, in previsione di una disposizione di legge in corso, si autorizzavano, quando la disposizione di legge sarebbe stata approvata, gli Enti comunali a procedere alla vendita di generi razionati. Questa disposizione non fu mai emanata e quella circolare del Ministro dell’interno, pertanto, fatta in previsione di una legge, non aveva, né poteva avere nessun valore legale. Nel mese di maggio, quando il Governo era già in crisi, l’onorevole Cerreti ha convocato a Roma i dirigenti degli Enti comunali ed ha comunicato loro che una grande vittoria del partito comunista era stata ottenuta. (Interruzioni a sinistra).
Una voce al centro. Questo sì che è doppio giuoco! (Proteste a sinistra).
SCELBA, Ministro dell’interno. Io non comprendo la ragione delle proteste, fatte senza sapere cosa io intendo dire. Poteva essere anche una vittoria del partito comunista, se tale veniva definita.
L’onorevole Cerreti comunicava che era suo proposito di consentire agli Enti comunali la vendita dei generi razionati e dava disposizioni perché facessero premura sui prefetti, affinché, in attesa che le nuove disposizioni legali consacrassero questo suo ordine, fin da quel momento fosse consentita la vendita dei generi razionati. Di questa comunicazione data dall’onorevole Cerreti i presidenti delle SEPRAL, che sono i prefetti, diedero comunicazione al Ministro dell’interno, il quale aveva il dovere di richiamare i prefetti all’osservanza della legge. E ciò il Ministro dell’interno fece precisamente col telegramma 29 maggio, in cui si diceva che nella materia nulla era innovato, e fino a quando una disposizione legale non avesse sancito la facoltà degli Enti comunali di vendere generi razionati, non era lecito farlo. (Applausi al centro – Interruzioni – Proteste a sinistra).
Non entro nel merito della cosa e soprattutto sulla funzione specifica istituzionale degli Enti comunali, che è quella di essere elementi di concorrenza coi commercianti liberi, e questa concorrenza si può fare soltanto sui generi che non sono razionati o contingentati. (Approvazioni al centro – Proteste a sinistra).
Uni voce a sinistra. Affamatori! In questo modo affamate l’Italia (Rumori e proteste al centro – Scambio di apostrofi).
LEONE FRANCESCO. Lei ha ceduto ai grandi commercianti!
PRESIDENTE. Onorevole Leone, non interrompa. Prosegua, onorevole Scelba.
SCELBA, Ministro dell’interno. In materia si possono manifestare tutte le opinioni, ed anch’io posso avere un mio parere in merito alla sostanza della questione. Ma non si trattava di decidere la sostanza della cosa, come non si tratta di deciderla questa sera. Si trattava soltanto di fare osservare la legge. Ora, se richiamare i prefetti all’osservanza della legge (Commenti a sinistra) significa commettere una scorrettezza, di questa scorrettezza assumo tutta intera la responsabilità. Se indurre le autorità comunali a violare la legge significa una scorrettezza, questa scorrettezza, maggiormente grave in periodo di crisi, è stata commessa dall’Alto Commissario Cerreti. (Applausi al centro – Rumori a sinistra – Scambio di apostrofi).
CERRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERRETI. Io vorrei continuare il dibattito sugli Enti comunali di consumo, che ha grande importanza, anche perché è ovvio che non c’è bisogno di una legge per aiutare organismi che il Governo vuole sostenere nell’interesse del Paese (Interruzioni – Commenti a destra) e se una legge c’era e c’è, si tratta di interpretarla a favore del popolo e non a favore dei capitalisti. (Proteste al centro).
Del resto io ho parlato in questo caso di una certa scorrettezza e facevo riferimento al fatto semplice che si doveva almeno discutere con me queste disposizioni. Un maggiorenne poteva abbassarsi fino ad un minorenne per una volta almeno.
SCELBA, Ministro dell’interno. Ma gli ordini da lei dati non sono stati discussi col Ministro dell’interno! (Interruzioni – Commenti).
CERRETI. Secondo me, resta il fatto che l’onorevole Scelba non ha creduto bene di rispondere alla seconda questione e pertanto chiedo al Presidente la costituzione di una Commissione di inchiesta per indagare sui fatti da me portati a conoscenza. (Commenti – Rumori).
Una voce al centro. Ma quali fatti? Precisi!
PRESIDENTE. Prego i colleghi di fare silenzio.
SCELBA. Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Cerreti nel suo discorso ha accennato al fatto che, per intervento del Ministro dell’interno e con semplice fonogramma, sarebbe stata sospesa dall’autorità giudiziaria una azione penale contro responsabili di evasioni alla disciplina dei consumi.
Ora, io mi domando se è possibile in Italia – e sarebbe veramente ed estremamente grave per la magistratura – che basti un semplice fonogramma del Ministro dell’interno per sospendere un giudizio penale.
Una voce a sinistra. Ma questo fonogramma c’è o non c’è? (Rumori – Vivi commenti al centro).
Una voce al centro. Non volete la risposta!
SCELBA, Ministro dell’interno. La cosa è talmente enorme, dico, che appare assolutamente incredibile. Comunque, io prego l’onorevole Cerreti di voler precisare il fatto, i nomi, il testo del fonogramma e l’autorità alla quale era diretto. Quando avrà fatto questo, io risponderò dettagliatamente alla sua richiesta. (Vivi applausi al centro – Rumori a sinistra – Scambio di apostrofi).
PRESIDENTE. Domando all’onorevole Cerreti, che ha fatto cenno di una sua proposta di inchiesta, che cosa abbia inteso di chiedere, un’inchiesta personale o una inchiesta parlamentare?
CERRETI. Io chiedo che sia costituita una Commissione parlamentare, alla quale sottoporrò i documenti. (Rumori al centro – Scambio di apostrofi).
Voci. Subito! Subito!
CERRETI. Insisto per la nomina di una Commissione parlamentare di inchiesta, la quale potrebbe anche estendere… (Rumori – Scambio di apostrofi).
PRESIDENTE. Prego l’Assemblea di volersi calmare: qui si tratta di precisare con chiarezza quali sono i termini della questione di cui dobbiamo occuparci. Ha parlato il Ministro Scelba; egli ha dato dei chiarimenti che non sono sembrati sufficienti: da tutte le parti si chiede chiarezza; cerchiamo dunque di chiarire. (Applausi al centro). Continui, onorevole Cerreti.
CERRETI. Insisto per la nomina di una Commissione parlamentare di inchiesta per esaminare se le interferenze di cui ho accusato il Ministro dell’interno… (Rumori – Interruzioni).
Una voce. Ma quali?
PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, la prego di precisare, perché in questo modo non è possibile pervenire ad una decisione. Prego gli onorevoli colleghi di far silenzio.
CERRETI. …per impedire che denunzie fossero fatte, o che quelle già fatte andassero avanti… (Rumori vivissimi – Scambio di apostrofi fra il centro e l’estrema sinistra).
Una voce al centro. Non deve rimandare; deve parlare questa sera. (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Se l’Assemblea farà silenzio, sarà possibile avviarsi alla conclusione.
Per il Regolamento della Camera e per le consuetudini parlamentari, quando si tratta di un caso come quello attuale, il deputato che ha elevato accuse a carico di un Ministro deve procedere secondo le regole, cioè presentando una proposta per l’inchiesta sui fatti che egli ha denunziato.
Perciò è evidente che, dopo tutto quello che si è detto qui dentro, non vi è altra via che questa: di chiudere l’incidente e invitare l’onorevole Cerreti a procedere secondo il Regolamento. (Commenti al centro).
Onorevole Cerreti, ella si riserva di procedere in questo senso?
CERRETI. Sì.
PRESIDENTE. L’onorevole Cerreti si riserva di procedere secondo le norme indicate. (Proteste al centro).
Voci. Subito!
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Nessun Ministro, che ha il senso della responsabilità, onorevoli colleghi, potrebbe rimanere al proprio posto neanche per cinque minuti soltanto, se lasciasse all’arbitrio di un deputato il promuovere o meno un’inchiesta su una accusa formulata pubblicamente in piena Assemblea.
L’onorevole Cerreti ha dichiarato che egli si riserva di agire secondo la procedura indicata dal Presidente. Questo sarà il diritto dell’onorevole Cerreti; ma c’è un diritto dell’accusato, che sono io, e questo diritto mi fa pretendere che, indipendentemente da quello che l’onorevole Cerreti sarà per fare, egli dichiari e precisi davanti all’Assemblea i fatti che genericamente ha comunicato. Io ho il diritto di sapere dall’onorevole Cerreti – proceda egli o non proceda poi nelle forme del Regolamento – che precisi i fatti genericamente indicati. Se egli questo non facesse, non può che assumere la piena responsabilità dell’accusa senza fondamento, cioè a dire di una calunnia lanciata contro un Ministro in carica. È per questo che prego l’onorevole Cerreti di volermi mettere in condizione di rispondere tempestivamente, immediatamente, se possibile. Se mi occorrono atti risponderò domani; ma io desidero che l’onorevole Cerreti (ed è suo dovere, è sua lealtà di deputato e di gentiluomo) precisi i fatti affinché io possa essere messo in grado di rispondere, indipendentemente dalla Commissione d’inchiesta, se i fatti siano veri o sono falsi. Se sorgerà controversia, ciò potrà essere oggetto di Commissione d’inchiesta; ma non possiamo annacquare nella Commissione d’inchiesta un’accusa non specifica o senza elementi probatori e di fatto.
Io torno ad insistere: l’onorevole Cerreti precisi i fatti perché io possa rispondere da questa tribuna. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).
CERRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERRETI. Io prego il Presidente dell’Assemblea di nominare cinque colleghi per esaminare i fatti e decidere poi sulla procedura. (Rumori al centro – Interruzioni).
Una voce al centro. Sono i metodi di Finocchiaro Aprile.
CERRETI. Io sono – e bisogna scusarmi – un deputato novellino e non conosco perfettamente il Regolamento. Quindi mi rimetto al Presidente nel determinare la procedura da seguire.
PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, le ho già detto quello che è possibile fare. Lei può proporre una proposta di legge. (Rumori – Interruzioni al centro). Facciano silenzio!
D’altra parte, lei è di fronte ad una precisa domanda dell’onorevole Scelba, alla quale io la prego di dare risposta. Potremmo chiudere l’incidente così, senza bisogno di Commissione d’inchiesta. (Commenti – Interruzioni).
CERRETI. Domani sul processo verbale preciserò i fatti. (Vive proteste – Vivissimi rumori al centro – Commenti).
PRESIDENTE. Io credo, onorevole Cerreti, che lei possa esporre i fatti con precisione. Se poi avrà bisogno di documentazioni o altro, lei potrà domani aggiungere quello che crederà. Oggi voglia rispondere alla domanda dell’onorevole Scelba precisando i fatti.
Una voce al centro. Non lo può! (Rumori).
PRESIDENTE. Facciano silenzio. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cerreti.
CERRETI. Al mio discorso non ho nulla da aggiungere. Sono a disposizione della Presidenza, come ho detto, e ritengo non decoroso neppure per il Paese… (Vivissime proteste al centro – Apostrofi dal centro all’indirizzo dell’onorevole Cerreti – Commenti).
PRESIDENTE. Io credo che se continuiamo nel dialogo fra le parti, non arriveremo ad una conclusione.
BELLAVISTA. Chiedo di parlare.
Una voce al centro. Cosa c’entra? (Rumori).
PRESIDENTE. Tutti hanno diritto di parlare. Parli pure, onorevole Bellavista.
BELLAVISTA. Mi rivolgo direttamente all’onorevole Cerreti. (Interruzioni a sinistra). Penso di essere un membro dell’Assemblea, e prego i miei feroci molossi di ascoltare quello che dico e poi criticare. Mi rivolgo direttamente all’onorevole Cerreti perché sono stato uno di quegli «insolenti» che hanno ascoltato con attenzione viva e con interesse il suo lungo discorso; ed ho anche apprezzato nel giusto valore, a parte i lenocinî di forma, i riconoscimenti obiettivi che degli ex colleghi di Governo l’onorevole Cerreti ha fatto. Se mi rivolgo a lui dunque in questo momento è con buona disposizione; per ricordare a me stesso ed a lui medesimo quello che è un primo principio di procedura in questioni di questo genere. Un fatto che rivesta i caratteri di illecito, quale che sia, deve essere delimitato e precisato nei suoi contorni; l’accusa ha da essere precisa; è quello che l’Assemblea – convinta della buona intenzione dell’onorevole Cerreti – aspetta da lui, perché in caso contrario un grave dubbio potrebbe sorgere. Egli ci ha dato questa sensazione quando nel suo intervento si è dimostrato esperto conoscitore della letteratura scandinava e delle fiabe di Andersen, ma potrebbe sembrare all’Assemblea che abbia anche letto Beaumarchais (Figaro, «la calunnia») ed il «Tartufo» di Molière. (Approvazioni al centro e a destra – Rumori, commenti a sinistra).
CERRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERRETI. Tengo a precisare che sono giunto soltanto incidentalmente su una questione concreta che può toccare il metodo di direzione di un dicastero da parte di un collega o di un altro. Ma sono spinto, all’infuori delle ragioni politiche, a precisare che il fatto, o i fatti a cui ho accennato, esistono: che del fatto fondamentale ho qui il documento.
Una voce al centro. Lo legga.
CERRETI. Accetto la giusta osservazione del collega Bellavista e dico: come Alto Commissario per l’alimentazione, io ho dovuto, negli ultimi tempi, procedere ad un’inchiesta rigorosa sulla situazione alimentare a Padova.
Non vi dico quali e quante sono state le pressioni su di me esercitate perché l’inchiesta non andasse avanti. L’inchiesta è andata avanti. Sono stati scoperti dei fatti gravi, che partono da Grosseto, giungono a Padova, tornano a Savona, in Valle d’Aosta, fino a Roma, ad un centro organizzatore.
Ho dovuto onestamente io, che ho fatto tra i primi arrestare un uomo vicino al partito di cui faccio parte, perché era stato disonesto, ho dovuto vincere tutte le resistenze ed anche le suscettibilità, in seguito ad una sfacciata presa di posizione del vice direttore della Sepral di Padova, il quale, pur essendo un disonesto, aveva avuto la sfacciataggine di minacciare di querelare un giornale accusatore. In quel momento non ho avuto esitazione. Esitavo per ragioni politiche, perché non ritenevo fosse necessario acutizzare la tensione fra i vari settori dell’Assemblea.
Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denunzia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di avere presentata la denunzia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Con sua dichiarazione esplicita, presentandosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un fonogramma del Ministro, col quale si chiedeva di sospendere l’inchiesta, in attesa di ulteriori disposizioni. Ero io il solo a doverle dare.
Il firmatario fece presente al Prefetto che l’inchiesta era stata ultimata e che aveva presentato rapporto giudiziario al signor Procuratore della Repubblica di Padova. Ho il documento autentico. (Applausi a sinistra – Interruzioni, rumori al centro).
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Cerreti, nel suo discorso ha esplicitamente dichiarato che il Ministro dell’interno sarebbe intervenuto con un fonogramma presso l’autorità giudiziaria per ottenere la sospensione d’un provvedimento.
Una voce a sinistra. No, no!
Una voce al centro. Sì, sì!
CHIEFFI. È la vostra scuola del doppio giuoco! (Rumori a sinistra).
SCELBA, Ministro dell’interno. Almeno avevo compreso così, tanto è vero che ho risposto dichiarando che mi sembrava la cosa talmente enorme che l’autorità giudiziaria potesse sospendere un giudizio, una istruttoria, su semplice fonogramma del Ministro dell’interno. Ora l’onorevole Cerreti precisa i contorni della sua accusa e li precisa dicendo che un capitano dei carabinieri da lui inviato a compiere un’ispezione a Padova, avrebbe avuto comunicazione da parte del Prefetto di un fonogramma che il Ministro dell’interno avrebbe inviato al Prefetto per sospendere l’inchiesta in attesa di ulteriori istruzioni. Se ho capito bene, sono questi i termini della sua accusa. È bene, onorevoli colleghi, che precisiamo, poiché debbo rispondere a fatti concreti e specifici ed anche perché, dovendomi accertare presso i miei uffici della veridicità dei fatti (Interruzioni a sinistra), devo avere esatta conoscenza dei fatti stessi per poter essere in grado di rispondere con precisione altrettanto uguale a quella dell’onorevole Cerreti. Onorevoli colleghi, io rispondo subito e se è necessario completerò domani, se esiste un fonogramma del Ministro dell’interno.
Posso fin da questo momento dichiarare all’onorevole Cerreti che il fonogramma nei termini in cui egli accenna, cioè come riferimento ad un preciso reato, non esiste.
È troppo seria questa Assemblea e ci siamo capitati già una volta (Applausi al centro e a destra) perché si possa ad ogni costituzione di Governo lanciare accuse. (Rumori a sinistra).
Ad ogni modo posso dichiarare fin d’ora che questo fonogramma nei termini in cui ha accennato l’onorevole Cerreti non esiste (Rumori all’estrema sinistra – Commenti). Prego l’onorevole Cerreti di volermi comunicare la data del fonogramma diretto dal Ministro dell’interno al Prefetto di Padova. (Rumori a sinistra – Applausi al centro e a destra).
Voci a destra ed al centro. La data, la data!
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo anche formalmente all’onorevole Cerreti di voler depositare alla Presidenza la copia del fonogramma incriminato. (Rumori a sinistra).
Ho il diritto di pretendere questo, perché, ripeto, un fonogramma ha una data ed ha un numero di protocollo, ed il Ministro ha il diritto prima di esprimere definitivamente il proprio pensiero di avere questi dati per accertare se questo fonogramma esiste agli atti e dichiarare pubblicamente se esiste o non esiste, perché non basta che l’onorevole Cerreti, su dichiarazione di un capitano dei carabinieri e su un rapporto di questi, dichiari che esiste questo documento, perché il documento come tale esista in realtà. Ma poiché l’onorevole Cerreti ha dichiarato di aver fatto la fotografia di tutti i documenti incriminati, egli è in grado immediatamente (Rumori a sinistra) ed io posso pretendere questo da lui, di consegnare le copie fotografiche di questi documenti, e se non potrà farlo questa sera, potrà farlo anche domani. Io mi riservo di rispondere domani stesso. (Rumori a sinistra – Applausi al centro).
TOGLIATTI. Perché domani?
Una voce al centro. Quando si è a mal partito si ricorre ai metodi di Finocchiaro Aprile! (Rumori).
SCELBA, Ministro dell’interno. Io ho diritto di parlare perché sono l’accusato e non intendo di essere accusato in questa maniera. Se l’onorevole Togliatti crede di potere avere la memoria di Pico della Mirandola, e di poter rispondere di tutti i fonogrammi inviati dal suo Ministero, io non sono né l’onorevole Togliatti, né Pico della Mirandola e, per rispondere documentatamente, ho diritto… (Interruzioni a sinistra).
Una voce al centro. Il vostro è il vento della calunnia! Vi sentite deboli.
SCELBA, Ministro dell’interno. …ho diritto, torno a ripeterlo, di pretendere che l’onorevole Cerreti precisi. (Interruzioni, rumori a sinistra). Come si rispetta la libertà di parlare degli imputati!
PRESIDENTE. È chiaro che così non si può andare avanti! Prego l’Assemblea di tornare nella sua tranquillità perché dobbiamo conchiudere con una decisione. La decisione può venire da parte dell’Assemblea o da parte degli interessati: la Presidenza non può prendere nessuna iniziativa per conchiudere questo dibattito. La prima cosa da fare è di consentire di parlare a chi ne faccia domanda, senza essere interrotto. Abbiamo udito il discorso dell’onorevole Cerreti; abbiamo udito l’onorevole Scelba e la sua spiegazione; abbiamo udito ancora l’onorevole Cerreti; è stata chiesta una precisazione di fatto e l’onorevole Cerreti si è apprestato a fornirla. Egli dice di possedere dei documenti. L’onorevole Scelba ha replicato chiedendo che i documenti siano prodotti alla Presidenza. Questo lo stato delle cose. Siamo quindi nella condizione di dover chiarire una situazione e di dover emettere, al momento opportuno, un giudizio, pronunciando iuxta alligata et probata.
A proposito dell’inchiesta parlamentare che si è domandata, l’articolo 135 del Regolamento dice: «Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra proposta di iniziativa parlamentare». Gli articoli 133 e 134 stabiliscono i modi e le forme di una tale proposta. Questa è la strada sulla quale ci possiamo mettere se l’onorevole Cerreti insiste nella richiesta che ha fatto di una inchiesta parlamentare sui fatti che sono stati precisati e che possono essere precisati ulteriormente.
Vi è un altro modo di procedere. Noi siamo stati di fronte a una situazione analoga, in occasione delle accuse – se così possiamo dire – dell’onorevole Finocchiaro Aprile, le quali hanno dato luogo alla nomina di una Commissione di undici colleghi, che hanno preso visione di documenti, hanno interrogato persone ed hanno pronunziato un giudizio.
Siamo di fronte, dunque, alla possibilità di una inchiesta di questo genere, ma ho detto prima che la Presidenza non può prendere nessuna iniziativa, la quale deve venire dall’Assemblea. Né ritengo che ci si possa avvalere dell’articolo 80-bis, perché ci troviamo di fronte ad un Ministro. Non resta quindi alla Presidenza che pregare i colleghi di procedere in un modo calmo, decoroso, degno dell’Assemblea, per cercare una soluzione.
A questo fine vorrei rivolgere l’invito all’onorevole Cerreti di mettere in condizione l’Assemblea di avviarsi a una conclusione con il deposito di quegli atti che egli possiede, naturalmente sotto la sua responsabilità.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Cerreti.
CERRETI. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare. Ho fatto un discorso politico; avevo fatto delle allusioni, nemmeno troppo dirette. Si è voluto, per acrimonia, portarmi a spiegare certi fatti, ed ho precisato. Che cosa si vuole da me? Se il Ministro dell’interno ritiene di voler essere messo a conoscenza del documento, che ho nelle mie mani, non ha che da aderire alla richiesta di nominare una Commissione di inchiesta. (Rumori al centro).
La questione si ridurrebbe ad un favore personale da fare all’onorevole Scelba. Non avrei nessuno scrupolo; ma la cosa ha preso un’ampiezza smisurata, che va al di fuori della mia stessa intenzione, ragione per cui non posso consegnargli questo documento.
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Io chiedo all’onorevole Cerreti semplicemente una cosa, e cioè di risolvere tempestivamente questa questione. Se poi l’Assemblea vorrà procedere alla nomina di una Commissione di inchiesta, questo è un altro affare. Ma io chiedo di essere messo in condizione di poter rispondere immediatamente all’onorevole Cerreti, chiedendo a lui che mi precisi pubblicamente, di fronte all’Assemblea – dal momento che possiede il documento – che mi precisi soltanto questo: la data del fonogramma.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Segni di viva attenzione). L’onorevole Cerreti era Alto Commissario presso la Presidenza del Consiglio, quindi mio diretto collaboratore. Permetta che io esprima il mio grande stupore che di un addebito così grave contro il Ministro dell’interno non mi abbia mai fatto il minimo cenno, e mi pare che il tempo ci sia stato, come c’è stato il tempo di fare fotografie e di documentarsi.
Mi pare che era nella logica e nel dovere dei rapporti di solidarietà ministeriale riferire la cosa al Presidente del Consiglio, il quale oggi sarebbe in grado di stabilire le responsabilità altrui e di assumere anche le proprie.
In secondo luogo, mi pare di dover constatare che già l’onorevole Cerreti, nella sua dichiarazione ulteriore, ha attenuato e modificato la sua accusa che, nel primo momento, come l’avevamo compresa qui, era molto più grave.
In terzo luogo, mi pare che, di fronte ad un’accusa lanciata comunque genericamente e non ancora precisata, non possiamo parlare di inchiesta o di responsabilità: fino a prova contraria l’onorevole Cerreti faceva parte di un Ministero da me presieduto nella supposizione che fossimo gente onesta, e quindi la presunzione è che noi non avevamo, né abbiamo commesso scorrettezze. Bisogna dimostrare il contrario e l’onere della prova incombe all’accusatore.
Noi non possiamo lasciar sorgere il dubbio, col nostro contegno, che questa accusa possa avere un manifesto fondamento.
Io non lo credo, perché conosco personalmente il Ministro dell’interno quale uomo di onore. (Commenti a sinistra).
Si tratta dell’onore di una persona e non della crisi di un Governo: avete cento maniere per provocare una crisi di Governo! (Applausi al centro).
Io non credo e non posso credere, fino a prova contraria, che il Ministro dell’interno abbia mancato alla correttezza e, in genere, al suo dovere.
Se l’onorevole Cerreti, il quale evidentemente ha avuto quelle informazioni per la carica che rivestiva e quindi in un momento di corresponsabilità ministeriale (Applausi al centro), se l’onorevole Cerreti vuol fare cosa utile al Paese e direi anche di riguardo all’onestà delle persone, egli ha il dovere, se non vuol farlo direttamente con il Ministro Scelba, di portare a me, i documenti. (Applausi al centro e a destra – Vivissimi rumori a sinistra – Scambio di apostrofi fra la sinistra e il centro).
BETTIOL. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BETTIOL. Siccome si tratta di fatti che sarebbero accaduti a Padova e siccome io sono Consigliere comunale di Padova (Commenti a sinistra), posso dire una parola in materia, perché del problema si discusse proprio l’altro giorno in sede di seduta del Consiglio comunale di Padova.
In tale seduta, tutti i partiti indistintamente hanno riconosciuto che convenisse sollecitare un’inchiesta sui fatti stessi. (Applausi a sinistra – Commenti). Senonché, essendo del fatto già investita l’autorità giudiziaria, tutti indistintamente, comunisti, socialisti e democristiani, si misero d’accordo per attenderne il responso.
Ché se il fatto cui accennava ora l’onorevole Cerreti fosse vero, con i mezzi a disposizione che hanno certe centrali di partito (Interruzioni a sinistra), i compagni sarebbero stati tempestivamente informati dell’accusa e avrebbero gridato allo scandalo.
Ora l’onorevole Cerreti, in un primo momento, ha parlato di intervento dell’autorità amministrativa – prefetto – presso l’autorità giudiziaria, mentre poi si è rimangiato questa sua calunnia ed ha attenuato le sue affermazioni. (Proteste a sinistra).
Questo si chiama cambiare completamente le carte in tavola; questo significa, in parole povere, confessare già a priori di non avere le idee chiare e di non possedere prove in relazione ai fatti attribuiti al Ministro. Questo significa calunniare e diffamare senza avere in mano le prove che i fatti sussistano. (Rumori – Interruzioni a sinistra). L’onorevole Cerreti non ha, infatti, addotto alcuna prova per individuare il fatto da lui denunciato e non è invero individuabile, dal punto di vista giuridico, il fatto attribuito al Ministro Scelba.
Con questi metodi non si può procedere, perché non sono assolutamente metodi democratici, in quanto la democrazia non è soltanto rispettosa delle fondamentali regole del vivere morale, ma anche delle fondamentali regole del vivere giuridico. E qui non sono state portate prove nei confronti dell’onorevole Scelba; qui si è voluto fare soltanto una insinuazione. Noi siamo pronti a subire inchieste, purché i fatti, in questa sede, siano specificati, individuati, perché non è assolutamente possibile lasciar permanere una pura e semplice insinuazione. (Proteste a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Bettiol, concluda.
BETTIOL. Se l’onorevole Cerreti vuole l’inchiesta, la chieda pure a termini di Regolamento, ma ha il dovere sacrosanto, se è un gentiluomo, di specificare qui, in questa sede, la sua accusa. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).
MAZZONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZONI. Ho una pretesa un po’ orgogliosa; quella di dare suggerimenti, a questa ora, in un’Assemblea che è evidentemente ridotta in condizioni di esasperazione da un sistema di lavoro che l’altra sera io ho battezzato la negazione della fisiologia. Si è urlato, ma, credete, che le tradizioni della Camera, che le forze fisiche degli uomini non possono a lungo resistere ad un sistema come questo. Credo di poter interpretare il pensiero di tutti i colleghi, senza distinzione di partito, facendo appello al decoro – che io devo ritenere interessi tutti, da una parte e dall’altra della Camera – al decoro di questa Assemblea, la quale, malgrado le nostre violenze, noi amiamo, perché è l’unico baluardo della nostra speranza. (Approvazioni).
Orbene, io capisco che se continuiamo con questo sistema – io ho domandato la parola abusivamente, e chiedo scusa alla cortesia del Presidente – stiamo qui fino a mezzanotte, fino a domani mattina. Non se ne esce. Qui bisogna trovare una soluzione, e la soluzione c’è.
C’è un episodio che è tipico. Quelli che hanno la fortuna sciagurata di essere vecchi, sanno che un giorno un deputato sciocco, il marchese Centurione, camminando nei corridoi della Camera con una grande busta gialla sotto il braccio, spargeva la voce di avere dei documenti che dimostravano che Giolitti era un venduto allo straniero. Giovanni Giolitti, con quella sua flemma che tutti ricordiamo, si alzò dal suo banco e disse: «Signori della Camera, un deputato va dicendo che io sono un venduto allo straniero; va spargendo un’accusa infame. Io non ammetto che su questo terreno si perda neanche un minuto di tempo: o c’è un calunniato o un calunniatore; uno dei due deve uscire da questa Camera. (Approvazioni al centro). Propongo che seduta stante sia nominata una Commissione (Applausi a sinistra) la quale in termini brevissimi dica chi è l’uomo che deve vergognarsi di entrare qui dentro».
Il vecchio, grande, nostro amico, Emanuele Modigliani si alzò e disse: «Appoggio».
In cinque minuti il Presidente della Camera nominò la Commissione, della quale adesso non ricordo più chi fossero i membri; se tra questi ci fossero Turati, Modigliani od altri. In due ore la Commissione tornò alla Camera e riferì all’assemblea che lo sciocco calunniatore non aveva nella busta che dei pezzi di carta. Un applauso, e da quel giorno il marchese Centurione ebbe il buon senso di non entrare più qui dentro.
Ora io dico: l’incidente sul quale non mi voglio soffermare, scaturito oggi in questa Assemblea, non interessa la posizione degli uomini chiamati in causa, e non interessa la partecipazione al Governo del Ministro Scelba. Qui ci sono due gentiluomini, due uomini di questa Assemblea. Uno accusa e l’altro è accusato. Chiedo al Ministro Scelba di non sentirsi umiliato – perché non ci si umilia mai nel cercare la verità! – nel riprendere la proposta che fece Giolitti e domandare che una Commissione di deputati… (Applausi a sinistra) indaghi e riferisca rapidamente. Se accettate questa soluzione, ne usciremo. Altrimenti, amici miei, stiamo qui tutta la notte. (Applausi a sinistra).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi duole per il precedente storico ricordato dall’onorevole Mazzoni, ma richiamo l’attenzione dell’Assemblea sulla completa mancanza di analogia dei due casi. Qui si tratta di responsabilità ministeriale, quindi di una cosa di cui è responsabile il Ministero in pieno, e soprattutto il suo Presidente (Interruzioni a sinistra); quindi di un atto avvenuto nell’amministrazione, attraverso un Ministro e per intervento di un Ministro. Qui l’accusatore era anche membro dello stesso Ministero. A parte l’osservazione che io ho fatto, che mi pareva logico e doveroso per l’onorevole Cerreti, se avesse avuto sospetti o prove, di darne notizia al Capo del Ministero, io ho constatato: 1°) che si tratta di responsabilità ministeriale e che primo responsabile di questo è il Consiglio dei Ministri e che il Consiglio dei Ministri deve avere il rapporto (Commenti a sinistra); 2°) che non intendo escludere qualsiasi inchiesta o qualsiasi Commissione. Non lo potrei fare, ma non desidero di farlo. Soltanto c’è una graduatoria che è necessaria. L’accusa è venuta dall’onorevole Cerreti, che ha precisato fino ad un certo punto. Le prove non le ha presentate. Egli ha il dovere di precisare l’accusa in modo che al più presto, magari domattina, il Ministro accusato sia in grado di rispondere (Proteste a sinistra) e solo quando questa risposta apparisse all’Assemblea insufficiente, allora vi sarebbe ragione di domandare l’inchiesta (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Desidero che l’Assemblea ascolti la lettura del testo stenografico delle parole pronunziate dall’onorevole Cerreti. L’onorevole Cerreti ha detto:
«Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».
Queste sono le parole dell’onorevole Cerreti.
LA ROCCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. L’onorevole Presidente del Consiglio è padronissimo di provocare tutte le crisi extra-parlamentari che vuole e di iniziare una pratica che trasformi questo presunto regime parlamentare in un regime presidenziale, ma non può imporre a noi una procedura nuova, a suo uso e consumo. (Interruzioni, rumori al centro – Commenti).
Bisogna, onorevole Presidente, riportare la questione nei suoi termini. L’onorevole Cerreti che ha ammonito l’Assemblea e il Paese sul pericolo che le elezioni politiche si svolgano sotto la dittatura democristiana… (Proteste al centro).
PRESIDENTE. Onorevole La Rocca, stia all’argomento.
LA ROCCA. …a conferma di questo timore, allegava un fatto in modo generico. L’onorevole Presidente ha invitato l’onorevole Cerreti a precisare il fatto, e da parte democristiana, non so con quale buon gusto, si è levato un gran rumore intorno a cose che il Ministro dell’Interno sa essere vere. (Interruzioni al centro).
L’onorevole Presidente ha invitato l’onorevole Cerreti a uscire dal vago, perché la precisazione aprisse la via all’attuazione della richiesta mossa dallo stesso onorevole Cerreti. È inutile qui rimettersi ai regolamenti, che accettiamo. L’onorevole Presidente del Consiglio ha parlato di una sorta di responsabilità ministeriale, di solidarietà ministeriale. Si è invocata una Commissione di inchiesta. Noi, nella questione in esame, siamo per la procedura più rapida. L’onorevole Mazzoni ha evocato il ricordo di un’epoca alla quale dovremmo ricollegarci: di uomini che, appena toccati, avevano la sensibilità di levarsi in piedi e chiedere che immediatamente si accertasse se nella Camera vi erano dei galantuomini o dei colpevoli, dei calunniati o dei calunniatori. Il Ministro dell’interno si è rimesso anche al senso di cavalleria dell’onorevole Cerreti. (Rumori al centro – Interruzioni – Scambio di apostrofi).
L’onorevole Ministro dell’interno ha invitato l’onorevole Cerreti a uniformarsi alla buona norma parlamentare di non lanciare così genericamente un’accusa, ma di precisarla. Ha tirato l’onorevole Cerreti per i capelli (Commenti) e l’onorevole Cerreti ha precisato. Mi stupisco come si osi indugiare un istante nel nominare una Commissione, immediatamente, che accerti questi fatti. (Rumori, commenti al centro e a destra).
Presidenza del Presidente TERRACINI
PRESIDENTE. Prego i colleghi di prendere posto. Faccio appello alla serietà dell’Assemblea per giungere rapidamente ad una conclusione. (Applausi). Penso che non vi sia bisogno di approvazioni e non vorrei avere disapprovazioni. È un’ora e tre quarti che dura questo dibattito spiacevole per tutti e in particolare per i membri della Presidenza, i quali hanno delle responsabilità di fronte al Paese. Mi pare che il problema sia molto semplice. L’onorevole Cerreti ha pronunciato, durante il suo discorso, le frasi che l’onorevole Vicepresidente Conti ha rilette poco fa e che io leggo di nuovo:
«Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».
Questa è la dichiarazione fatta dall’onorevole Cerreti, da cui ha preso origine il dibattito. Io ero presente e cercherò di riassumerlo in forma del tutto imparziale. L’onorevole Scelba ha chiesto delle precisazioni.
L’onorevole Cerreti inizialmente aveva detto di essere pronto a depositare alla Presidenza i documenti, prima che la questione si allargasse. Successivamente, l’onorevole Scelba ha dato spiegazioni su una parte soltanto delle affermazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Questi ha chiesto spiegazioni anche sull’altra parte di cui ho dato ora lettura. E qui è cominciato come un giuoco, col quale ciascuno mirava a conoscere prima il colpo che avrebbe vibrato l’avversario. Ma io penso che non vi debbono essere avversari; né da una parte, né dall’altra. C’è da precisare, ed i mezzi per precisare sono molto semplici.
Vi sono tre forme per uscire da questa situazione, cosa che ha detto già l’onorevole Conti molto saggiamente, ma che, nella concitazione del dibattito, pochi hanno potuto sentire.
La prima è quella prevista dall’articolo 80-bis, che però si riferisce ai deputati. L’onorevole Scelba è deputato, sebbene anche Ministro, ed egli può scegliere questa via o non sceglierla. C’è stata un’accusa. L’accusato dice: «indagate; chiedo io stesso che si indaghi». In questo caso non c’è da procedere a votazione. La Presidenza è investita immediatamente del dovere di nominare una Commissione, che indaghi.
C’è una seconda strada, quando l’accusa si riferisce a fatto compiuto da Ministro nell’esercizio delle sue funzioni; è la vera responsabilità ministeriale. L’onorevole Conti ha già detto: coloro i quali ritengono che si debba così procedere, depositino una proposta di legge di iniziativa parlamentare; sarà messo all’ordine del giorno immediatamente e l’Assemblea, accettandolo o respingendolo, evidentemente esprimerà il suo giudizio sulla concretezza o meno delle accuse presentate.
Vi è la terza via – l’abbiamo già battuta: qualcuno propone che si nomini una Commissione. L’onorevole Natoli lo ha fatto, quando si è trattato delle accuse lanciate dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Ed è in base alla proposta precisa dell’onorevole Natoli, che non era né accusato, né accusatore, ma preoccupato dell’onore e della dignità dell’Assemblea, che questa, unanime, ha creata la Commissione. Ma, fino a quando non c’è un deputato, il quale faccia questa proposta, è evidente che la Presidenza non può procedere alla nomina di alcuna Commissione.
Sono queste le tre vie aperte.
Se ce n’è una quarta, venga proposta e l’Assemblea la valuterà e deciderà.
LA ROCCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. Vorrei dire che, in fondo, con la mia dichiarazione non ho fatto altro che chiedere la nomina di una Commissione che indaghi e riferisca sui fatti denunziati dall’onorevole Cerreti.
PRESIDENTE. Faccia allora la sua proposta per iscritto e la depositi al banco della Presidenza.
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Avevamo pregato l’onorevole Bettiol, che non è riuscito a farsi sentire, di precisare il nostro pensiero in ordine a questo increscioso incidente. E il nostro pensiero è il seguente: poiché non può essere applicato l’articolo 80-bis, visto che si tratterebbe di atti compiuti da un Ministro, e poiché la responsabilità di questi atti si estenderebbe all’intera attività ministeriale, a noi pare che questo sia il caso specifico che aveva indotto l’onorevole Cerreti, vorrei dire di istinto, poiché si è auto-definito deputato novellino, a chiedere l’inchiesta parlamentare. Sta a lui di fare la proposta di inchiesta parlamentare che domani mattina sarà discussa e si avrà così modo, secondo gli articoli 135 e 136, di indagare in lungo e in largo, in alto e in basso, per fare quella piena luce che noi per i primi completamente desideriamo (Applausi al centro – Commenti).
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Signor Presidente, ho l’impressione che tanto l’onorevole De Gasperi poco fa, quanto l’onorevole Gronchi in questo momento, siano caduti in un equivoco singolare. Non mi stupisce da parte dell’onorevole De Gasperi, in quanto la continuità della sua presenza a capo dei diversi Ministeri gli dà modo forse di confondere l’uno con l’altro. Sta di fatto che il Ministero, in cui l’onorevole Scelba ha compiuto gli atti che hanno dato luogo a quei rilievi che l’onorevole Cerreti ha testé portato nell’Assemblea, non è lo stesso Ministero che in questo momento siede in carica. Non può quindi parlarsi di accuse rivolte a un Ministro nell’esercizio delle sue funzioni… (Interruzioni a destra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per favore, lascino parlare.
LACONI. Onorevoli colleghi, parlerò molto cortesemente; vi chiedo uguale cortesia nell’ascoltarmi.
Non si tratta, dicevo, di accuse rivolte ad un Ministro nell’esercizio delle sue funzioni, bensì a un deputato di quest’Assemblea per quello che avrebbe commesso all’atto in cui era Ministro di un Governo decaduto. Che poi questo deputato sia attualmente Ministro, è cosa che non ci riguarda; starà eventualmente al deputato che si trova in questa particolare condizione valutare le opportunità che gli si possono presentare, ma indubbiamente l’accusa non si riferisce al Ministro in quanto tale.
Cadono quindi, innanzi tutto, le eccezioni sollevate dall’onorevole Presidente del Consiglio. Sarebbe procedura singolarissima se per delle accuse rivolte a un ex Ministro ci si dovesse rivolgere al decaduto Presidente di quel Governo decaduto.
L’onorevole De Gasperi, in questo momento, rispetto a quel Governo è un ex Presidente del Consiglio, e come tale non può ricevere accuse, né ha facoltà, né autorità di fare inchieste e quindi in questa veste resta completamente fuori causa. Rimane soltanto, come lucidamente ha esposto il Presidente, la possibilità di una inchiesta parlamentare, non di un’inchiesta amministrativa, e per proporre un’inchiesta parlamentare chiunque di noi in questo momento è qualificato.
Vero è che in questo momento, per il fatto che sono protagonisti nella questione, l’attenzione dell’Assemblea si concentra da un lato sull’onorevole Scelba e dall’altro sull’onorevole Cerreti, ma nessuno di noi è fuori causa in questo caso. Comunque, se anche noi volessimo concentrare l’attenzione sull’onorevole Scelba e sull’onorevole Cerreti, a me pare evidente che in questo caso l’onorevole Scelba soltanto dovrebbe provocare l’inchiesta. (Interruzioni – Proteste al centro).
Soltanto l’onorevole Scelba ha una ragione morale per chiedere un’inchiesta.
L’onorevole Cerreti ha misurato la propria accusa, nel corso del suo discorso, a seconda degli elementi che voleva fornire all’Assemblea. Mosso dai rumori di una parte di questa Assemblea, precisa queste accuse e porta dei documenti (Interruzioni al centro)…
Una voce. Non è vero!
LACONI. …o, almeno, ha dichiarato dei fatti circostanziati e facilmente verificabili.
Vi è contestazione sugli elementi forniti dall’onorevole Cerreti? L’onorevole Scelba chieda l’inchiesta, ma è strana cosa che si chieda ad un deputato di precisare dei fatti e di portare delle date e dei documenti di cui egli avrebbe dovuto aver conoscenza all’atto in cui era Alto Commissario, ma di cui non può più avere conoscenza (Interruzioni – Commenti al centro).
Questa precisazione di fatti può esser fatta o non fatta dall’onorevole Cerreti, a sua discrezione, ma non si può dire che egli vi sia tenuto quando ha fatto accuse di tale ampiezza e le ha confermate e specificate. Non si può dire che egli sia tenuto a precisare i fatti dettagliatamente. Non a lui quindi si può chiedere che provochi l’inchiesta. Egli ha detto che si riserva per domani di presentare la domanda di inchiesta, ma questo non esenta affatto l’onorevole Scelba, del cui caso morale in questo momento si tratta (Commenti al centro), dal chiedere egli stesso immediatamente una inchiesta, la più opportuna per tutelare…
PRESIDENTE. Onorevole Laconi, alle dieci di sera non si può fare un discorso così lungo. Prego lei, che è oratore così conciso, di concludere.
LACONI. Concludo soltanto col dire che io ritengo che la cosa per oggi sia definita. C’è un miglior modo di chiudere la questione ed è che l’onorevole Scelba si alzi in piedi e dica: chiedo un’inchiesta parlamentare. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).
DOSSETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su quale argomento intende parlare?
DOSSETTI. Io chiedo di parlare dello stesso argomento di cui ha trattato l’onorevole Laconi, e cioè sulla questione da lei, onorevole Presidente, proposta all’Assemblea, per quanto riguarda la decisione relativa alle varie possibili procedure che possono essere accolte. Nella questione in esame a me pareva che l’attenzione dell’Assemblea non si fosse sufficientemente concentrata sul lato regolamentare, e vorrei richiamare modestamente l’Assemblea a quest’esame, facendo una precisazione di carattere procedurale.
PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, prima di darle facoltà di parlare, comunico all’Assemblea che l’onorevole Benedetti ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, decide la nomina di una Commissione di indagine che, nel più breve termine, ne accerti il fondamento. Delega al Presidente la nomina della Commissione».
Onorevole Dossetti, ha facoltà di parlare.
DOSSETTI. Vorrei esaminare brevemente la questione per individuare l’oggetto centrale del problema da sottoporre. (Interruzioni – Commenti a sinistra).
SCOCCIMARRO. Non ne abbiamo bisogno!
DOSSETTI. L’onorevole Presidente ci ha riletto le dichiarazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Se l’onorevole Presidente avesse la bontà di rileggere anche la successiva edizione di queste dichiarazioni, vedremmo che presentano, indubbiamente, notevoli differenze rispetto alle dichiarazioni iniziali. È stato pertanto chiesto da più parti, soprattutto da questo settore, che venisse precisato il fatto di cui l’onorevole Cerreti si faceva accusatore.
Onorevoli colleghi, il verbo «precisare» è improprio: stabiliamo che qui non si tratta di precisare, o come alcuni impropriamente hanno detto, di addurre delle prove in questa sede, ma si tratta semplicemente di individuare il fatto. Nessuna ricerca e nessuna indagine può essere effettuata in ordine ad un fatto che non è stato ancora individuato. Non dobbiamo sapere quale è nei suoi elementi precisi e tanto meno nei suoi elementi accidentali, ma dobbiamo sapere qual è il caso che è proposto all’indagine, dobbiamo sapere come si chiama il luogo, dov’è avvenuto il fatto, in quale data. (Interruzioni a sinistra). Di fronte a questa situazione nego che fin’ora si sia individuato il fatto.
Tanto è vero che, se dovessi stare alle dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, dovrei vedermi balzar fuori tutta una serie di figure di reati molto differenziate l’una dall’altra: in una prima dichiarazione l’onorevole Cerreti ha parlato di impedimento frapposto ad una denuncia già presentata dall’Alto Commissariato; in una dichiarazione successiva ha parlato di un fonogramma di cui ha letto soltanto alcune parole senza dirne la data ed il contenuto…
CERRETI. Questo è un giuoco di azzeccagarbugli! (Rumori al centro e a destra).
DOSSETTI. Nego che il fatto proposto sia stato sufficientemente individuato.
Detto questo, a me pare che l’unica possibilità alla quale ci si può attenere è quella che lo stesso onorevole Cerreti aveva scelta in una delle sue molteplici e variopinte dichiarazioni, cioè quella di chiedere egli stesso una Commissione di inchiesta per individuare il fatto di cui vuole spiegazione. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).
PRESIDENTE. Bisogna impedire che attorno al testo autentico delle dichiarazioni – per fortuna abbiamo gli stenogrammi – si possano, per mancanza di memoria, fare citazioni avventate. Lasciamo, quindi, la strada delle induzioni. Ho già dato lettura della prima parte delle dichiarazioni dell’onorevole Cerreti. E di queste dichiarazioni rileggo in questo momento ciò che si riferisce ad una attività del Ministro dell’interno: «Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».
In un secondo momento, l’onorevole Cerreti, invitato a precisare, ha detto quanto segue: «…e dico: come Alto Commissario per l’alimentazione, io ho dovuto, negli ultimi tempi, procedere ad una inchiesta rigorosa sulla situazione alimentare a Padova.
«Non vi dico quali e quante sono state le pressioni su di me esercitate perché l’inchiesta non andasse avanti. L’inchiesta è andata avanti. Sono stati scoperti dei fatti gravi, che partono da Grosseto, giungono a Padova, tornano a Savona, in Valle d’Aosta, fino a Roma, ad un centro organizzatore.
«Ho dovuto onestamente io, che ho fatto tra i primi arrestare un uomo vicino al partito di cui faccio parte, perché era stato disonesto, ho dovuto vincere tutte le resistenze ed anche le suscettibilità, in seguito ad una sfacciata presa di posizione del vice direttore della Sepral di Padova, il quale, pur essendo un disonesto, aveva avuto la sfacciataggine di minacciare di querelare un giornale accusatore. In quel momento non ho avuto esitazione. Esitavo per ragioni politiche, perché non ritenevo fosse necessario acutizzare la tensione fra vari settori dell’Assemblea.
«Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denunzia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di avere presentata la denunzia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Con sua dichiarazione esplicita, presentandosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un telegramma del Ministro, col quale si chiedeva di sospendere l’inchiesta, in attesa di ulteriori disposizioni. Ero io il solo a doverle dare».
Queste sono le dichiarazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Vorrei che fossero state bene ascoltate.
In sostanza, l’onorevole Cerreti ha mosso accusa al Ministro dell’interno di avere, con un fonogramma, di cui egli avrebbe copia, chiesto che la denuncia firmata dall’Alto Commissario non avesse luogo ecc. ecc. Ciò precisato, quali sono i termini precisi della questione? Se si debba procedere alla nomina di una Commissione di inchiesta, e quale sarà la materia delle indagini.
In questo momento possiamo soltanto esaminare la questione della procedura.
Vi sono tre alternative, l’ho già detto: su una l’unico a decidere può essere l’onorevole Scelba, ed è inutile che altri pensino di mettersi al posto suo. Per la seconda, qualunque deputato di questa Assemblea può farsi iniziatore di un progetto di legge per una inchiesta parlamentare.
L’onorevole Cerreti inizialmente aveva parlato di inchiesta parlamentare: nella sua inesperienza di questa Assemblea – che è del resto di noi tutti – può aver pronunziato una parola che, praticamente, non rispondeva alla sua intenzione. Ma ora egli sa cosa voglia dire inchiesta parlamentare e può decidere se si attiene a questa procedura. E come ho detto poco fa che solo l’onorevole Scelba può valersi del primo mezzo, dirò che anche l’onorevole Cerreti potrà valersi di questa seconda procedura.
Vi è il terzo mezzo: cioè la proposta per la costituzione di una Commissione di inchiesta del tipo che abbiamo avuto nei mesi scorsi. (Interruzione dell’onorevole Dossetti). Onorevole Dossetti, lei voterà contro se è avverso alla proposta; ma se l’Assemblea l’accetterà, essa prevarrà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. La responsabilità è senza dubbio ministeriale, perché si tratta di responsabilità assunta come Ministro: questo per rispondere a chi ha obiettato che non può trattarsi di responsabilità ministeriale.
La responsabilità è, senza dubbio, ministeriale, perché è assunta direttamente o indirettamente da chi agisce come Ministro. Non c’è dubbio.
Secondo: credete voi che sia possibile fare un’inchiesta parlamentare in presenza del Ministro, allo stesso posto, circa l’attività da lui stesso svolta durante un altro Ministero?
Vi dico, quindi, che è materia di inchiesta parlamentare, come è previsto dalla legge.
Io sono disposto ad accettare la inchiesta parlamentare, per mio conto; ma vi propongo di fare ragionevolmente un tentativo di chiarire lo stato della questione in confronto dell’onorevole Scelba, attraverso il Presidente dell’Assemblea.
Vorrei pregare l’onorevole Cerreti di consegnare al Presidente dell’Assemblea il documento e il Presidente di dare notizia all’onorevole Scelba dei dettagli di questo documento, perché l’onorevole Scelba anche domani possa rispondere all’Assemblea, e allora l’Assemblea potrà decidere e deliberare con coscienza se si debba fare una inchiesta parlamentare, o meno. (Applausi al centro e a destra).
PRESIDENTE. Siamo sempre al punto iniziale. L’onorevole De Gasperi ha presentato alcune considerazioni ed ha fatto una proposta: sarebbe quella quarta proposta alla quale accennavo.
L’Assemblea può accettarla, o respingerla.
BENEDETTINI. Vi è la pregiudiziale del fonogramma!
PRESIDENTE. Non vi sono pregiudiziali.
BENEDETTINI. Noi dobbiamo giudicare.
PRESIDENTE. Lei giudicherà se la Commissione, essendo formata, lei ne farà parte; se no darà il suo giudizio soltanto quando la Commissione presenterà all’Assemblea le sue conclusioni. Solo in questo momento ogni singolo deputato avrà poteri per giudicare.
È stato invocato dall’onorevole Mazzoni un precedente, che potrebbe essere tenuto in considerazione. In questo precedente troviamo riunite due cose: da una parte la Commissione di inchiesta, dall’altra il deposito dei documenti alla Presidenza. D’altronde è evidente che il primo atto concreto di ogni procedura sarebbe il deposito degli atti alla Presidenza, la quale li consegnerebbe a sua volta alla Commissione di inchiesta. Io non so se possiamo trovare una soluzione che non abbia precedenti, ad esempio quella che è stata prospettata un’ora fa, dallo stesso onorevole Scelba quando proponeva di rinviare a domani.
In questo momento, qualcuno del Gruppo dell’onorevole Cerreti, o l’onorevole Cerreti stesso – non ho ben compreso – ha formulato appunto la richiesta che la discussione venga rinviata a domani. Ora, io chiedo: non potremmo in uno col rinvio a domani, prendere la decisione di formare una piccola commissione (Commenti), la quale, insieme con il Presidente dell’Assemblea, riceva i documenti dell’onorevole Cerreti e domani – richiamo appunto il precedente invocato dall’onorevole Mazzoni – faccia all’Assemblea una proposta concreta, avendo preso visione del fondamento o meno dell’accusa che è stata mossa?
Io faccio semplicemente la proposta: non insisto perché sia accettata. (Commenti).
MARINA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINA. Vorrei fare una proposta semplificativa. Questa ristretta commissione potrebbe sveltire le cose in questo senso: recarsi domani mattina stessa al Ministero dell’interno, presente il Ministro, e fare ricerca immediata di questo fonogramma incriminato. Esso infatti non può non essere stato da qualche parte archiviato, se esiste. Se invece non esiste, noi avremo in tal modo il vantaggio di saperlo subito dalla stessa commissione e sapremo così se dobbiamo o non dobbiamo procedere.
BENEDETTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Si metta ai voti la proposta del Presidente del Consiglio. Mi pare sia la cosa migliore. (Commenti).
FRESA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRESA. L’onorevole Cerreti comunichi il testo del fonogramma, con data e numero di protocollo. (Commenti).
BENEDETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTI. Io ho presentato un ordine del giorno.
PRESIDENTE. Ne ho dato lettura, onorevole Benedetti.
BENEDETTI. Chiedo scusa all’Assemblea della mia estrema ingenuità. Ho assistito, con grande attenzione, a questa discussione e ad un certo momento mi è parso che tutti fossero d’accordo nel volere che l’incidente fosse chiarito nel modo più completo.
È interesse dell’accusato; è interesse dell’accusatore; ed è interesse di tutti noi, che dobbiamo rispondere delle nostre azioni e del modo come esplichiamo il nostro mandato al Paese. Mi è parso, quindi, che, quando il Presidente ha enunciato il suo proposito di mettere in votazione la prima proposta che gli sarebbe stata presentata delle tre che egli considera come idonee a risolvere l’incidente; mi è parso – e faccio ammenda della mia grande ingenuità – che io, presentando il mio ordine del giorno, venissi incontro al desiderio di tutti quanti, dell’accusato, dell’accusatore; e soprattutto che sodisfacessi una esigenza dell’opinione pubblica.
Vedo che nel momento attuale non si è più dello stesso parere. Non me ne rendo conto, e perciò domando al Presidente se la posizione come io l’avevo capita inizialmente è esatta, oppure se è modificata. Se la posizione è esatta, pregherei di mettere in votazione il mio ordine del giorno, che corrisponde perfettamente al Regolamento. (Interruzioni).
Se il Presidente me lo consente, mi permetterei di fare ancora una osservazione. Io che appartengo ad una minoranza, e direi anzi meglio che esprimo soltanto il mio pensiero, vorrei richiamare l’attenzione su un altro punto fondamentale che deve servire di guida a tutti i nostri lavori: ed è che l’osservanza del Regolamento è una garanzia per tutti noi. Se mi sono sbagliato, ritiro il mio ordine del giorno; se per caso sono nel vero, lascio alla sua discrezione di metterlo in votazione.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non so se sia opportuno sospendere per pochi minuti la seduta, senza che i deputati escano dall’Aula, per poter fra di loro mettersi di accordo sul da farsi.
Voci. No! no!
PRESIDENTE. Sta bene; ma poiché mi pareva che si fossero già incominciati i conversari particolari da banco a banco, pensavo fosse opportuna una breve sospensione.
CERRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERRETI. Devo dichiarare che al punto in cui le cose sono state spinte in questo momento, ritengo che la sola via d’uscita possibile è quella di accettare l’ordine del giorno Benedetti, per un’indagine ampia e sufficiente. Accetto perciò l’ordine del giorno Benedetti.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se non mi inganno, l’ordine del giorno Benedetti invoca una Commissione generica da nominarsi dal Presidente.
Ora, questa è una proposta la quale sbocca nella nomina di una Commissione straordinaria, che non è prevista dal Regolamento; Commissione straordinaria, di cui abbiamo visto come sia difficile stabilire l’oggetto dell’esame e la procedura dell’indagine in un caso recente. (Commenti a sinistra). È evidente che questa non è una procedura che si possa immaginare così rapida come nel caso Centurione. Si tratta di un’indagine sopra la responsabilità ministeriale. Voi ricordate come l’altra volta, nella discussione iniziale, prima della nomina della Commissione proposta dall’onorevole Natoli, si sia dibattuta molto la questione, perché si distingueva nettamente fra quella che era la responsabilità solidale ministeriale – per la quale è previsto un metodo – e quella che poteva essere l’accusa privata, la compatibilità o l’incompatibilità di un deputato. Si è fatta una netta distinzione. In realtà poi avete visto come per la Commissione degli Undici sia stato difficile rimanere su tale terreno.
Ora, è inutile che ci imbarchiamo di nuovo in una identica impresa. Noi daremmo un cattivo esempio e trascineremmo le cose in un marasma, proprio in un momento in cui siamo qui a difenderci sulle comunicazioni del Governo da una opposizione che mi pare abbastanza armata e non ha bisogno di armi straordinarie. Quindi non faremmo che complicare una situazione abbastanza tesa.
Io vi propongo di nuovo di accettare quel suggerimento che avevo dato, che mi pare onesto. (Commenti a sinistra). Io propongo che questa sera l’onorevole Cerreti consegni al Presidente i documenti. (Proteste e rumori a sinistra).
BENEDETTINI. Ai voti la proposta del Presidente!
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini!
BENEDETTINI. Richiamavo la necessità di mettere ai voti la proposta del Presidente per appello nominale.
PRESIDENTE. L’ha già detto una volta.
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro per l’interno. L’onorevole Dossetti molto opportunamente ha richiamato l’Assemblea sullo svolgimento dei fatti. Ora, l’ultima affermazione dell’onorevole Cerreti si riferiva all’intervento del Ministro dell’interno presso il Prefetto con un fonogramma di cui ha letto il testo. Io ho domandato all’onorevole Cerreti di voler precisare il testo e la data del fonogramma, riservandomi di rispondere immediatamente se questo fonogramma era o non era partito. Perché, onorevoli colleghi, mi sembra che la questione si sia drammatizzata nella sostanza della cosa, in quanto il fonogramma di per sé non implica, anche se fosse esistente, (Commenti a sinistra), cosa che io ho dichiarato di escludere, non implica una responsabilità del Ministro (Rumori a sinistra – Commenti). Il fonogramma, che sarebbe stato indirizzato dal Ministro dell’interno al prefetto, invitava, secondo quel testo, il prefetto a sospendere un’inchiesta; e quindi sarebbe stata un’inchiesta di carattere amministrativo evidentemente disposta dal Ministero, in attesa di ulteriori istruzioni da parte del Ministero. Io voglio accertare i termini di questo fonogramma. Ma questo fonogramma l’onorevole Cerreti lo aveva messo in riferimento non ad una inchiesta amministrativa, ma ad un intervento del Ministro attraverso il Prefetto sull’autorità giudiziaria.
Chiederò io stesso la commissione d’inchiesta, non per scagionare me, ma per accertare la responsabilità eventuale del mio accusatore. Ma ho detto che non si può accettare una commissione d’inchiesta senza un’accusa precisa. (Approvazioni al centro – Proteste e rumori a sinistra). E ho dichiarato, per evitare alla Assemblea molta perdita di tempo, che avrei risposto domani mattina stessa sull’esistenza di questo documento. (Rumori a sinistra – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se si continua così mi costringono a togliere la seduta. Facciano silenzio su tutti i banchi.
SCELBA, Ministro dell’interno. In base ad un principio fondamentale del nostro diritto l’onere della prova spetta all’accusatore. Io avrei dunque il diritto di pretendere dall’onorevole Cerreti che depositasse la prova della sua accusa. Ma poiché egli ha fatto chiaro e preciso riferimento all’esistenza di un documento di cui possiede la copia, io non riesco a comprendere perché non debba l’onorevole Cerreti precisare la data per accertarne resistenza (Interruzioni a sinistra).
Una voce. Troppo comodo!
SCELBA, Ministro dell’interno. E sono pronto a dichiarare domani se il fonogramma esiste o non esiste, e quale rapporto questo fonogramma abbia in riferimento all’oggetto concreto e alla materia a cui il fonogramma stesso si riferisce.
Quindi mi permetto di fare al Presidente una modesta proposta. Non mi oppongo ad una qualsiasi commissione di inchiesta, anzi la chiederò io stesso. Credo soltanto giusto che l’onorevole Cerreti sia invitato a precisare la data del fonogramma, e perciò avevo fatto appello alla sua lealtà e non alla sua cavalleria, perché la lealtà è un dovere di tutti, perché depositasse presso la Presidenza dell’Assemblea la copia del fonogramma, in modo da mettere il Ministro in condizione di accertarne resistenza.
Se volete rinviare questa materia, prendendo il tempo perché siano dati all’Assemblea tutti i chiarimenti necessari in ordine a questo fonogramma, mi pare che ciò sia la cosa più opportuna. (Approvazioni – Commenti).
PRESIDENTE. Adesso dobbiamo veramente concludere. Ognuno deve assumere la propria responsabilità. Prendano posto, onorevoli colleghi.
L’onorevole Cerreti ha formulato una accusa di carattere preciso: ha accusato il Ministro dell’interno di aver inviato un fonogramma con il quale si chiedeva che una denunzia fatta dall’Alto Commissario fosse sospesa. L’accusa è precisa e concreta nei suoi elementi ed è stata spiegata in tutta quella lunga dichiarazione della quale ho dato lettura; ognuno di noi sa in questo momento che il fonogramma, se esiste, è stato trasmesso al Prefetto di Padova affinché sospendesse l’inchiesta allora in corso, in relazione a certi fatti che ancora ignoriamo nei particolari. Afferma l’onorevole Cerreti che l’unico che aveva il diritto di dare disposizioni di questo genere era lui stesso. L’accusa è chiara e definita. Da questo punto di vista io ritengo che le precisazioni che erano state chieste insistentemente all’onorevole Cerreti sono state fornite. La Commissione di inchiesta, o la Presidenza, o la Commissione parlamentare, dovranno dunque accertare se è stato spedito dal Ministro dell’interno un fonogramma al Prefetto di Padova col quale si chiedeva che si sospendesse una inchiesta su fatti circa i quali il Commissario dell’alimentazione aveva già fatto le proprie indagini, giungendo alla conclusione di presentare una denuncia al Procuratore della Repubblica per mezzo di un capitano dei carabinieri mandato a tale scopo a Padova. Questa è l’unica incombenza che si può affidare alla Commissione d’inchiesta, o alla Commissione parlamentare o a qualunque altro strumento l’Assemblea ritenga di dover forgiare, questa è la base sulla quale penso che si debba concludere la questione. (Commenti – Interruzioni). Qui vi sono molti avvocati: mi sanno essi dire se all’inizio di un procedimento si dispone già di tutti gli elementi di giudizio che si acquisiranno invece solo nel corso del procedimento stesso? (Commenti).
BENEDETTINI. Onorevole Presidente, faccia mettere ai voti la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. Sarà presa in considerazione.
GIANNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, mi consenta di esprimere l’opinione di una parte dell’Assemblea, la quale ha assistito come spettatrice a questa istruttiva disputa tra vecchi amici, i quali, evidentemente, sono oggi di cattivo umore.
Noi abbiamo ricevuto delle strane impressioni, che è bene i due contendenti conoscano. Noi abbiamo ricevuto prima l’impressione che tutti volessero fare la luce più ampia. Poi abbiamo visto che qualcuno vuole una luce ed altri un’altra luce. La luce non è che una sola: ed è la luce che possa scaturire da un’inchiesta parlamentare, che noi oggi chiediamo; perché vediamo che la discussione trascende le persone dei nostri onorevoli colleghi Cerreti e Scelba. Noi ne stiamo parlando come d’un fatto personale, come se essi si accapigliassero per gli occhi d’una bella donna, il che potrebbe, in certo modo, giustificare questa scenata di gelosia. Noi vediamo che, se da una parte c’è l’invito ad esibire un certo documento, dall’altra c’è una certa predisposizione a non presentarlo; e questo non perché il documento non esista, ma perché non si vuole presentarlo in un determinato momento e a determinate persone.
D’altra parte, signor Presidente, al di sopra della onorabilità di questi nostri due colleghi, ai quali va ugualmente la nostra stima, c’è la dignità dell’Assemblea. Sono esattamente tre ore che si discute intorno a questo episodio, che mi sembra lamentevole. Per la quale ragione io la prego – e prego di scusarmi se non seguo le precise forme parlamentari, perché anch’io sono deputato novellino – di accogliere, a nome del nostro Gruppo, la domanda di un’inchiesta parlamentare sull’incidente, a parte quanto ne possano pensare gli interessati; perché l’Assemblea ne è direttamente investita e vuol sapere esattamente se l’onorevole Cerreti ha il documento autentico e se l’onorevole Scelba si è regolato o no bene nel fare quanto egli si dice che abbia fatto. Insomma chiediamo che la questione esca dai limiti di due persone e di due partiti ed interessi una volta tanto tutta l’Assemblea. E non ho altro da dire, signor Presidente. (Approvazioni – Commenti).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE Ne ha facoltà.
GRONCHI. Coerentemente a quanto avevamo dichiarato quando invitavamo l’onorevole Cerreti a chiedere l’inchiesta parlamentare, siamo d’accordo con la proposta dell’onorevole Giannini.
PIGNATARI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIGNATARI. Ritengo che l’Assemblea possa rinviare a domani ogni decisione. (Rumori a sinistra).
GIANNINI. No.
PRESIDENTE. Mi pare che questa proposta incontri la disapprovazione generale.
PIGNATARI. In sostanza l’onorevole Scelba nella mattinata di domani, senza meno, vuole rispondere e l’Assemblea potrà esprimere il proprio giudizio. (Commenti).
CAROLEO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAROLEO. Aderisco a quello che poco fa diceva l’onorevole Dossetti: parliamo di inchiesta ed ancora non sappiamo quale è l’accusa. (Commenti).
PRESIDENTE. Ma si parla di inchiesta parlamentare.
CAROLEO. L’accusa consisterebbe in questo: che in un determinato momento il Ministro dell’interno avrebbe telegrafato o inviato un fonogramma ad un suo prefetto, per sospendere una certa inchiesta, in attesa di disposizioni. Pare che la competenza, per quello che afferma l’onorevole Cerreti, spettasse soltanto a lui. E qui ci troviamo di fronte ad una questione di competenza, di cui forse l’Assemblea in questo momento non sarebbe in grado di precisare i termini. Comunque, dato che si contesta al Governo perfino il potere d’intervenire (Interruzioni a sinistra – Commenti), anche per il necessario controllo, negli atti dei dipendenti funzionari, credo che l’onorevole Scelba abbia diritto di vedere chiaro su questa questione. (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si renda conto ognuno che in queste condizioni non possiamo andare avanti. Facciano silenzio se vogliono che la seduta continui e si arrivi ad una conclusione.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Propongo la chiusura della discussione.
VALIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALIANI. Propongo che si voti sulla proposta dell’onorevole Giannini.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiamo tre proposte concrete: la prima del Presidente del Consiglio; la seconda dell’onorevole Benedetti; la terza dell’onorevole Giannini. La proposta del Presidente del Consiglio è questa: che si depositino al banco della Presidenza i documenti (Commenti). La Presidenza ne prenda visione, e comunichi al Ministro dell’interno il loro contenuto, in modo che esso possa domattina dinanzi all’Assemblea confermare o smentire la validità dei documenti stessi.
Vi è poi la proposta dell’onorevole Benedetti che vuol porre in essere un meccanismo simile a quella che noi chiamammo Commissione degli Undici.
Vi è infine la proposta dell’onorevole Giannini, accettata dall’onorevole Gronchi e dall’onorevole Valiani, che si proceda alla nomina di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla base della proposta di legge che l’Assemblea discuterà ed approverà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho fatto prima un appello al mio antico collaboratore onorevole Cerreti, di dare occasione di risolvere in tutta equità e tutta calma la questione, mettendo a disposizione del Presidente dell’Assemblea il documento, e dando possibilità al Ministro dell’interno di rispondere entro domattina. Con ciò non si preclude qualsiasi possibilità, anche quella della inchiesta parlamentare, perché penso anch’io che se un’inchiesta va fatta, questa inchiesta debba essere quella parlamentare, per l’argomento di cui si tratta e per le responsabilità di chi è in causa.
Quindi se il mio suggerimento non è stato accolto, lo faccio di nuovo. Credo che sarebbe un ricorrere ad una procedura di slealtà, portare le cose in lungo, nel momento in cui altre discussioni ed altri dibattiti saranno vivi. Non si sottrae nulla al giudizio dell’Assemblea, perché domani potrà riprendere la discussione. Comunque, se questo suggerimento non viene accolto non ho nessuna difficoltà che si presenti la proposta di legga per l’inchiesta parlamentare.
PRESIDENTE. Data la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio, che si è rivolto personalmente all’onorevole Cerreti, sono tenuto a chiedere all’onorevole Cerreti se ha qualcosa da rispondere ed in quale senso.
CERRETI. Non ho nulla da aggiungere.
PRESIDENTE. Allora, abbiamo tre proposte, il cui ordine di importanza ritengo sia il seguente: quella dell’onorevole Giannini, quella dell’onorevole Benedetti, quella dell’onorevole Presidente del Consiglio. Io cerco, onorevoli colleghi, di tracciare la via e vorrei che ciascuno in questo momento non si facesse prevalere da impulsi soggettivi. Procederemo, quindi, dalla proposta più importante alla meno importante. La precedenza spetta, dunque, alla proposta dell’onorevole Giannini, poi vi è quella dell’onorevole Benedetti.
FUSCHINI. Non è proponibile la proposta dell’onorevole Benedetti. È contro il Regolamento.
PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, per sua tranquillità, poiché so che lei è molto rispettoso di tutti gli insegnamenti che ci hanno tramandati i nostri predecessori, le leggerò alcune righe che si riferiscono ad un precedente pressoché analogo.
«Durante la discussione sulle comunicazioni del Governo, il deputato Centurione, prendendo la parola (23 novembre 1918) per fatto personale espone che in seguito ad indagini da lui fatte personalmente ha potuto procurarsi la prova delle mene disfattiste e anarchiche di alcuni uomini politici, senatori e deputati, del partito giolittiano e del partito socialista ufficiale, e dichiara che egli tiene i documenti raccolti a disposizione della Camera. Il deputato Sciorati propone che il Presidente nomini un Comitato d’inchiesta per l’esame delle accuse mosse dal deputato Centurione; il Vicepresidente Alessio, che presiede la seduta, avverte che la proposta Sciorati deve seguire la procedura regolamentare prescritta per le proposte d’iniziativa parlamentare. Si osserva peraltro da più parti della Camera (deputati Modigliani, Monti-Guarnieri, Falcioni, Vinai, Giolitti ed Orlando, Presidente del Consiglio), che la questione va chiarita immediatamente, poiché essa tocca la dignità ed il decoro dell’Assemblea, e che l’onore sta al disopra di qualsiasi regolamento; che ad ogni modo non si tratta qui di procedere ad una vera e propria inchiesta parlamentare, per cui il regolamento detta norme di cautela, ma bensì soltanto alla nomina di un Giurì d’onore che con deliberazione sommaria dovrà vedere se nelle accuse fatte vi sia qualche consistenza. Si aggiunge che in ogni modo, di fronte ad una Assemblea che chiede unanime l’accertamento immediato di un fatto, non v’è nessun regolamento che possa prevalere; che infine la facoltà che si vuole attribuire al Presidente di nominare una Commissione per l’accertamento della consistenza dei fatti denunciati, tocca puramente e semplicemente l’onore della Assemblea e dei suoi componenti, e che quindi la proposta fatta può senza altro accogliersi. Il Vicepresidente Alessio dichiara che egli lascia giudice la Camera sulla proposta fatta dal deputato Modigliani ed altri, ma desidera che questa sia formulata per iscritto.
«Viene quindi approvata per alzata e seduta, all’unanimità, la proposta concordata tra i deputati Modigliani e Pietravalle con cui «si delega al Presidente la nomina di una Commissione di sette membri che riferisca nel minor tempo possibile sulle accuse del deputato Centurione, informando ad ogni modo, entro questa sera, dell’esito del primo esame dei documenti che l’onorevole Centurione ha affermato di possedere e che debbono essere consegnati subito alla Presidenza».
«Vengono chiamati a far parte della Commissione i deputati Leonardo Bianchi (sostituito nella stessa seduta, perché assente, dal deputato Baccelli), Ivanoe Bonomi, Daneo, Di Scalea, Pistoja, Stoppato e Turati; ed il deputato Centurione, dietro invito dello stesso Presidente, si reca al banco della Presidenza e consegna al Presidente un plico.
«In fine di seduta il Presidente della Commissione, Pistoja, legge il verbale da essa redatto in cui si conclude col dichiarare ad unanimità che dall’esame dei documenti prodotti dal deputato Centurione nessun elemento le è finora offerto per pronunciarsi sul fondamento dell’accusa formulata. Nella seduta del 24 novembre il deputato Pistoja legge la relazione conclusiva della Commissione in cui si esprime unanime il giudizio che dai documenti esaminati non risulta alcun fondamento delle accuse espresse dall’onorevole Centurione».
Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad una situazione analoga, salvo che l’onorevole Scelba sta al banco del Governo. Ma quei nostri antichi predecessori, di fronte ad una questione di questo genere…
FUSCHINI. Ma qui si tratta di un atto di Governo!
PRESIDENTE. Io ho fatto il richiamo per dimostrare che anche la terza proposta Benedetti aveva diritto di essere presentata.
Si tratta, ora, di procedere alla votazione, onorevoli colleghi, dalla proposta più radicale alla proposta più lieve. D’altra parte, ciascuno di noi ha già, nel suo intimo, deciso come voterà, e l’ordine di votazione poco conta.
Vi è la proposta degli onorevoli Giannini, Gronchi e Valiani.
BELLAVISTA. Chiedo di parlare. (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BELLAVISTA. Io penso che la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio non escluda e non sia contraddittoria affatto con le altre, ma è pregiudiziale alle altre due e deve essere quindi posta in votazione per prima. (Applausi a destra e al centro – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, mi pare che non vi siano questioni pregiudiziali qui. È evidente che l’eventuale approvazione delle proposte che chiamerò Giannini, Gronchi, Valiani, significa che gli onorevoli Giannini, Gronchi, Valiani presenteranno la proposta di inchiesta parlamentare nelle forme stabilite dal regolamento. (Commenti).
BENEDETTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Io ritengo che la proposta dell’onorevole Giannini possa non escludere quella del Presidente del Consiglio, il quale chiede che siano depositati questa sera stessa i documenti. (Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. La proposta del Presidente del Consiglio non si limita a richiedere che sia depositato un documento alla Presidenza, perché – io aggiungo – qualunque proposta sia approvata, mi pare pacifico che i documenti debbano essere depositati nelle mani della Presidenza dell’Assemblea. (Approvazioni).
Onorevole Benedettini, il Presidente del Consiglio proponeva qualche cosa di più. Lei si limita invece a questa pregiudiziale, ma essa è pacifica ed implicita in tutte le proposte ed io credo che tutti i membri dell’Assemblea abbiamo sufficiente fiducia nella Presidenza per stare sicuri che i documenti depositati nelle sue mani vi resteranno sino a che l’organo investito dell’indagine non possa ritirarli…
VIGORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VIGORELLI. Domando che si voti anzitutto la proposta del Presidente del Consiglio, in quanto essa non è esclusiva delle altre due. Se ho bene inteso, infatti, il Presidente del Consiglio propone che siano depositati i documenti nelle mani del Presidente dell’Assemblea, il quale ne darà visione al Ministro dell’interno, il quale riferirà all’Assemblea. (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Fuschini ha presentato il seguente ordine del giorno:
«La Camera invita l’onorevole Cerreti a depositare presso la Presidenza dell’Assemblea i documenti da lui indicati nelle sue dichiarazioni, restando stabilito che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, esaminatili, e sentito il Ministro onorevole Scelba, riferirà domattina all’Assemblea per le sue decisioni». (Approvazioni – Rumori a sinistra – Commenti).
Desidero sapere se questa proposta dell’onorevole Fuschini è sostitutiva di quella fatta dal Presidente del Consiglio e da altri colleghi.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io non ho obiezioni da fare perché accetto la proposta dell’onorevole Fuschini, mantenendo parimenti l’adesione alla proposta dell’inchiesta, nel caso che questa risulti indispensabile.
BENEDETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTI. Io trovo che stasera non brucia la casa. E perciò la proposta dell’onorevole Fuschini, che in sostanza sposta a domattina la discussione di merito, mi pare sia perfettamente accettabile. Pertanto, se il ritiro della mia proposta è consentito dal Regolamento – e io lo domando in quanto alla mia proposta altri hanno aderito e quindi potrebbero farla propria – io aderisco alla proposta dell’onorevole Fuschini, ritirando la mia.
PRESIDENTE. Onorevole Benedetti, io le sono grato di questo suo, come dire, passo semplificatore, ma una proposta simile alla sua era stata presentata dall’onorevole La Rocca per iscritto. Non l’avevo mai citata perché mi pareva inutile parlare di due cose uguali.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Le tre proposte che sono davanti all’Assemblea non sono alternative, non si pongono sullo stesso piano. Vi è una proposta di inchiesta parlamentare e una proposta di Commissione d’indagine. Queste due proposte vanno sullo stesso binario, ma sono, per così dire, l’una di maggiore, l’altra di minore intensità. Possono essere accettate o l’una o l’altra.
L’altra proposta che viene fatta è che l’onorevole Cerreti consegni i documenti che egli afferma di avere in sue mani, per un esame preliminare.
Prima di tutto, io credo che sia un errore attribuire alla Presidenza dell’Assemblea una funzione simile, perché la Presidenza dell’Assemblea deve essere al di sopra della questione. (Commenti al centro).
Una voce a destra. Appunto, perché è al di sopra!
TOGLIATTI. In secondo luogo, questa proposta può essere accolta soltanto se l’onorevole Cerreti l’accetta, ma l’onorevole Cerreti può respingerla. (Proteste a destra e al centro).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare!
TOGLIATTI. L’onorevole Cerreti ha il diritto di chiedere all’Assemblea di non dare i documenti se non ad una Commissione giudicatrice. (Commenti e interruzioni al centro).
Se voi volete che l’onorevole Cerreti accetti questa proposta, allora voi dovrete dare le funzioni di organismo giudicante alla Presidenza. (Proteste al centro e a destra).
Finché la questione non si pone in questi termini, l’onorevole Cerreti ha il diritto di rifiutare (Proteste al centro e a destra). E siccome l’onorevole Cerreti ha già dichiarato due volte che i documenti, in queste condizioni, non li dà, è inutile insistere in questa proposta. (Applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).
VALIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALIANI. Io prego l’onorevole Presidente del Consiglio, che in linea subordinata ha già accettato la proposta dell’onorevole Giannini, di sciogliere senza altro la sua riserva, visto che la sua proposta di una composizione immediata attraverso la Presidenza dell’Assemblea non incontra l’unanimità; mentre mi pare che sia interesse dell’Assemblea e di tutta la democrazia italiana (Commenti) che venga fuori di qui una risoluzione di larga maggioranza. Prego quindi l’onorevole Presidente del Consiglio di sciogliere la sua riserva e di accettare la proposta Giannini ed altri in modo definitivo, sicché si possa passare a votare la proposta stessa. (Commenti).
Voci. Prima i documenti!
GIANNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, la mia domanda di inchiesta parlamentare comprendeva e sottintendeva – come ella benissimo ha spiegato interpretando il mio pensiero – l’immediata consegna dei documenti che avrebbero dovuto fare oggetto dell’inchiesta parlamentare. Ora, io mantengo la mia richiesta essendo essa fatta allo scopo di tutelare l’onore generale dell’Assemblea, in quanto io non mi sento qualificato a tutelare quello dell’onorevole Scelba e dell’onorevole Cerreti, bensì quello generale dell’Assemblea, a cui ho l’onore di appartenere.
La domanda di inchiesta parlamentare era fatta con questa idea, che venissero immediatamente consegnati i documenti di accusa. Ma poiché adesso sento che questi documenti l’onorevole Cerreti non li consegnerà… (Rumori a sinistra).
Voci. Si, si!
GIANNINI. C’è una differenza tra la consegna fatta prima e la consegna fatta dopo. La consegna s’intendeva fatta nelle mani del Presidente dell’Assemblea che io – mi dispiace di non essere per una sola volta d’accordo con l’onorevole Togliatti – ritengo perfettamente idoneo a tutelare l’onore e la dignità dell’Assemblea, in quanto egli è stato eletto con questo compito specifico. Quindi mantengo la mia proposta di inchiesta parlamentare sull’incidente (non credo di poterlo chiamare diversamente) Scelba-Cerreti, purché s’intenda che immediatamente, questa sera stessa, i documenti che fanno parte dell’accusa siano consegnati nelle mani del Presidente dell’Assemblea. (Rumori a sinistra – Approvazioni – Commenti).
PRESIDENTE. Le posso precisare che l’onorevole Cerreti ha fatto sapere che se l’Assemblea vota di formare una Commissione o vota la sua proposta egli depositerà immediatamente i documenti.
L’onorevole Cerreti – e l’onorevole Togliatti aveva spiegato il suo pensiero – intende di non consegnare i documenti ove si dovesse passare attraverso la procedura pregiudiziale, insita nella proposta degli onorevoli Fuschini e De Gasperi. Ma nel caso da lei proposto, immediatamente i documenti sarebbero stati depositati alla Presidenza.
CERRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CERRETI. Io preciso che la risposta che ho fatto pervenire al Presidente è derivata da questo fatto: una decisione dell’Assemblea medesima che chiedesse che io consegnassi i documenti priva me del mezzo di difesa ed è illegittima (Commenti – Rumori), mentre se si nomina una Commissione d’inchiesta, come ho chiesto all’inizio, io consegno immediatamente i documenti (Commenti al centro). Quindi accetto la proposta dell’onorevole Giannini nella speranza che non la ritiri, come ha fatto l’onorevole Benedetti, la cui proposta avevo già accettata.
FUSCHINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FUSCHINI. Vorrei far presente agli onorevoli colleghi questo: perché si possa proporre una proposta di legge per un’inchiesta parlamentare bisogna, prima di ogni altra cosa, stabilirne l’oggetto. (Interruzioni a sinistra).
La mia proposta ha lo scopo informatore di cui deve essere investita la Presidenza: perché non è mai avvenuto alla Camera che si sia fatta una denuncia con carattere personale o ministeriale, di cui si sia affermato di avere i documenti, e che i documenti non siano stati offerti immediatamente alla Presidenza perché la Presidenza li rimettesse poi a quell’organo che l’Assemblea decidesse di nominare. La Presidenza non ha il compito di giudicare, ma semplicemente l’incarico di riferire all’Assemblea sul contenuto puro e semplice di questi documenti, salvo poi all’Assemblea di prendere le decisioni che crederà opportuno. (Rumori a sinistra – Approvazioni al centro e a destra – Scambio di apostrofi – Commenti).
PRESIDENTE. In questo momento si tratta di stabilire l’ordine di precedenza nella votazione delle varie proposte.
Pongo in votazione la proposta di dare la precedenza all’ordine del giorno Fuschini.
(Segue la votazione per alzata e seduta).
Poiché l’esito è incerto procediamo alla votazione per divisione.
(È approvata).
Pongo in votazione l’ordine del giorno Fuschini, di cui do nuovamente lettura:
«La Camera invita l’onorevole Cerreti a depositare presso la Presidenza dell’Assemblea i documenti da lui indicati nelle sue dichiarazioni, restando stabilito che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, esaminatili, e sentito il Ministro onorevole Scelba, riferirà domattina all’Assemblea per le sue decisioni».
(È approvato).
Il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo è rinviato a domani alle 16.
Domani si terrà seduta anche alle 10, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESSINOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRESSINOTTI. Vorrei chiedere all’onorevole Ministro dell’interno quando intenda rispondere alle interrogazioni presentate con carattere di urgenza sui fatti di Cremona.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ministro dell’interno quando intenda rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò all’inizio della seduta pomeridiana di domani.
Interrogazioni ed interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda doveroso e urgente provvedere alla sistemazione giuridica e morale degli insegnanti delle scuole pubbliche, che – per non essere inscritti al partito nazionale fascista – furono esclusi da ogni possibile inizio e avanzamento di carriera.
«Macrelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere la reale entità degli incidenti avvenuti a Cremona l’8 giugno in occasione del Congresso provinciale del partito liberal-democratico dell’Uomo Qualunque.
«Cappi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni che hanno determinato il grave provvedimento adottato in data 9 giugno a carico del questore di Cremona e la pubblicità data per radio al provvedimento stesso ancora prima che giungesse ufficialmente a destinazione.
«E per chiedere, inoltre, che con la stessa pubblicità venga ricondotto alle sue vere, modestissime proporzioni, l’episodio verificatosi domenica scorsa a Cremona, sul quale la stampa – male informata dall’Ansa e da altre fonti tendenziose di informazione – la radio italiana e straniera hanno inscenato una montatura, il cui risultato non può essere altro che quello di invelenire la lotta politica e provocare nuovi incidenti.
«Bernamonti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:
1°) come mai il Risorgimento liberale in data odierna (12 giugno 1947) in una corrispondenza da Palermo dal titolo: «Lo scandalo di Sciacca» e dal sottotitolo: «L’inesplicabile atteggiamento di un deputato comunista», dopo aver messo in rilievo presunti rapporti dell’interrogante con funzionari di polizia della provincia di Agrigento, ha potuto affermare quanto segue:
«A meglio illuminare il morboso clima di speculazione politica che ha gravitato intorno all’episodio di Sciacca vale la pena ricordare l’inesplicabile atteggiamento d’un teste molto importante, l’onorevole Giuseppe Montalbano, citato a comparire innanzi alla Sezione istruttoria e non ancora comparso, probabilmente per sottrarsi ad un confronto pericoloso con qualche ufficiale di polizia giudiziaria».
«La verità è che l’interrogante è stato citato due volte a comparire dinanzi alla Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo e tutte e due le volte si è presentato all’ora stabilita (ore 9) alla Sezione istruttoria; ha trovato l’ufficio col solo cancelliere, ha atteso più di un’ora invano l’arrivo di qualche consigliere istruttore e poi ha dovuto andar via, d’intesa col cancelliere che sarebbe stato citato per altro giorno;
2°) quali provvedimenti intenda proporre contro i consiglieri della Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo, colpevoli sia di recarsi molto tardi in ufficio, sia di fornire alla stampa notizie arbitrarie e tendenziose su un processo ancora in corso di istruzione;
3°) per quale ragione l’istruttoria per l’assassinio del ragionier Miraglia sia ancora affidata al consigliere Merenda, che, alcuni mesi fa, firmò l’ordinanza di scarcerazione degli imputati Curreri, Di Stefano e Rossi, senza motivare l’ordinanza, come ne aveva l’obbligo;
4°) quali disposizioni intenda dare affinché la deposizione dell’interrogante possa essere raccolta veramente ed al più presto dal magistrato inquirente;
5°) se è vero che siano stati sottratti dei verbali dal processo Miraglia e, nell’affermativa, quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili;
6°) se è vero che la polizia abbia estorto mediante sevizie la confessione dell’imputato Marciante e quali provvedimenti intenda disporre perché sia fatta piena luce al riguardo.
«Montalbano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti concreti sono stati presi in dipendenza dei gravi fatti di Cremona.
«Selvaggi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni – eventualmente anche legislative – che hanno sinora impedito la decisione sulla domanda di pensione, presentata ancora il 20 dicembre 1945, dalla signora Peresson Petronilla di Arta (Udine) madre di tre bambini e vedova di Radina Luigi di Osvaldo, prigioniero civile dei nazi-fascisti e morto di fame e di stenti nel campo di concentramento di Flossemberg (Germania) il 26 marzo 1945. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Piemonte».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno modificare la legislazione vigente relativa al collocamento nella riserva degli ufficiali superiori in servizio permanente effettivo, che non abbiano ritenuto di prestare il prescritto giuramento e che si trovano in situazione economica peggiore di quegli altri ufficiali che furono collocati nella riserva per essersi compromessi con la Repubblica di Salò. Infatti, con la legge 16 giugno 1945 veniva data facoltà agli ufficiali superiori in servizio permanente effettivo di chiedere il collocamento nella riserva con diritto a fruire di un trattamento economico speciale.
«La stessa legge disponeva pure l’eliminazione d’autorità dall’esercito degli ufficiali superiori compromessi con la pseudo repubblica e il loro collocamento nella riserva con lo stesso trattamento economico speciale previsto per gli ufficiali non compromessi collocati nella riserva a domanda.
«Gli ufficiali superiori che avevano fatto domanda e che non erano compromessi con la pseudo repubblica, nel mese di gennaio 1947 sono stati collocati in licenza straordinaria con assegni, in attesa del collocamento nella riserva secondo la legge suddetta.
«Al principio del 1947, in occasione del giuramento alla Repubblica italiana del personale militare, è stato disposto che gli ufficiali in servizio di qualunque grado, che non intendessero prestare il giuramento, dovessero venire collocati in licenza straordinaria con assegni, in attesa del collocamento nella riserva col trattamento ordinario. Gli ufficiali superiori che avevano fatta domanda di collocamento nella riserva in base alla legge 16 giugno 1945 e domanda di licenza straordinaria in attesa del collocamento nella riserva, in tale occasione non sono stati interpellati in merito al giuramento.
«Recentemente è stato disposto che gli ufficiali superiori in attesa del collocamento nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, prestino giuramento alla Repubblica italiana. In caso di rifiuto, valgono per loro le stesse disposizioni previste per gli ufficiali in servizio, in attesa di un provvedimento di Stato.
«Pertanto si chiede:
se è ammissibile che chi ha chiesto di essere collocato nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, e in precedenza alle disposizioni sul giuramento, debba subire la coercizione del giuramento per non perdere il trattamento economico previsto da tale legge;
se è ammissibile che gli ufficiali che vengono eliminati d’autorità, perché compromessi con la pseudo repubblica, debbano avere un trattamento economico di favore, che verrebbe negato non solo a chi ritiene col proprio unico giuramento di essere tuttora legato alla Patria, ma anche a chi ha chiesto, in base alla stessa legge che concede il trattamento di favore agli ufficiali compromessi, di essere collocato nella riserva, forse proprio per non dover fare nuovi giuramenti;
se è ammissibile che non sia precisato in termini inequivocabili il provvedimento di Stato contro coloro che, avendo fatto domanda di essere collocati nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, non intendono prestare giuramento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Badini Confalonieri».
«I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze, del tesoro e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere come intendano affrontare e risolvere il gravissimo problema che si è posto in conseguenza del recente terremoto, che sconvolse una parte della costiera ionica calabrese, col suo retroterra, arrecando danni non lievi, in modo particolare a ben 16 paesi, tra i quali Isca sul Ionio, che ebbe danneggiato gravissimamente o distrutto il 35 per cento dell’intero agglomerato urbano e si trova attualmente con ben 350 famiglie (in complesso 1870 persone, circa la metà della popolazione) senza tetto e prive di tutto.
«Giacché, dopo i primi soccorsi, nulla di concreto si è fatto fino ad oggi; giacché, appunto per questo, un grave malumore serpeggia tra gli abitanti dei paesi terremotati, i quali insistentemente chiedono che si provveda in tempo utile, affinché tutte le famiglie colpite dal disastro – in tutto 1244 per complessive 5342 persone – riabbiano un tetto; giacché infine si temono anche gravi conseguenze per la salute pubblica per le condizioni antigieniche in cui si è costretti a vivere, gli interroganti chiedono che la presente interpellanza sia discussa con carattere di urgenza.
«Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Bei Adele».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 23.55.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Alle ore 16:
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.