Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 11 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXLVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 11 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Vicentini                                                                                                          

Tripepi                                                                                                               

Bonino                                                                                                              

Bertone                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Corbino                                                                                                            

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Corsi e Natoli.

(Sono concessi).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole D’Onofrio. Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Vicentini. Ne ha facoltà.

VICENTINI. Il mio intervento si limiterà alla parte sostanziale della esposizione del Presidente del Consiglio. Toccherà i problemi che sono alla radice della vita politica italiana e riguardano da vicino lo stesso divenire e affermarsi della nostra democrazia: problemi eminentemente tecnici e che rispondono all’ansiosa aspettativa del Paese.

Ci ha detto il Presidente del Consiglio che prima cura della azione governativa sarà la difesa della lira.

Abbiamo vissuto tutti le ansie dei mesi scorsi e la Commissione di finanze e tesoro per ben due volte è intervenuta, precisamente per esprimere la dolorosa preoccupazione per la salvezza del residuo potere d’acquisto della nostra moneta. Avere affermato che intendimento del Governo è quello di rinnovare la solenne promessa, non solo davanti a questa Assemblea, ma davanti al Paese, mi sembra che valga a dare tranquillità ed a fugare tutte quelle speculazioni che hanno cercato di minare alla base lo sforzo di tutti i Governi, che si sono succeduti dalla liberazione ad oggi.

La difesa della lira, onorevoli colleghi, rappresenta la difesa del contenuto dei salari, la difesa dei redditi fissi, la difesa del potere di acquisto degli stipendi, in una parola la difesa e la tranquillità del desco familiare, perché tutti ormai sappiamo che difendere la lira significa difendere il già scarso pane quotidiano del popolo italiano. E quindi su questo punto e su questo terreno non può che partire da qui una voce di incoraggiamento e di sprone, perché su questa linea si marci decisamente e inflessibilmente.

Ma la difesa della lira non è un problema che non si estrinsechi in quelli che sono i pilastri fondamentali, che devono essere posti a base del suo valore e della sua stabilità: voglio accennare al bilancio dello Stato, alla bilancia dei pagamenti, ed a tutta una politica produttivistica che è indispensabile intraprendere per trarre il nostro Paese al salvamento.

Non dobbiamo impaurirci di fronte alle difficoltà. Chi ha vissuto l’altro dopo guerra, chi ha conosciuto, attraverso il travaglio sociale, quella che è stata l’opera di ricomposizione e di ricostruzione dell’economia, chi conosce l’attuale travaglio, e lo conosciamo tutti, di tutta l’economia mondiale per ristabilirsi su basi pacifiche di onestà e di lavoro, non deve perdersi di fronte alle difficoltà del momento. D’altra parte verremmo meno alla nostra opera di rappresentanti del Popolo e di collaboratori della Pubblica Amministrazione se, in questo momento, noi non additassimo al Paese i problemi essenziali per la sua tranquillità e per la sua rinascita. (Approvazioni).

Il bilancio dello Stato. Chi scriverà la storia della finanza postbellica di questa seconda tragica conflagrazione mondiale, dovrà pur dire che, in mezzo a tutte le difficoltà, le distruzioni e le devastazioni, la finanza pubblica italiana può ancora dire una parola perché essa sta faticosamente, lentamente, ma sicuramente volgendo il cammino verso la meta del pareggio del bilancio finanziario. Da sei miliardi mensili dopo la liberazione siamo passati, nel mese di aprile 1947, a trentadue miliardi. In poco più di due anni sono quintuplicati i tributi. Però qui è necessario fare degli ulteriori passi in avanti ed io li vedo consolidati nella enunciazione del Presidente del Consiglio coll’impegno del risanamento progressivo del bilancio.

Mi associo alla proposta dell’onorevole Ruini di distinguere il bilancio ordinario da quello straordinario; distinguerlo per una ragione psicologica, perché il Paese sappia che anche la democrazia mira seriamente alla ricostruzione, che essa ha raggiunto delle mete di consolidamento e di stabilità, che anche la Democrazia sa affrontare e risolvere i problemi basilari della vita nazionale.

Per quanto riguarda il bilancio ordinario, tuttavia, ritengo doveroso di fare una raccomandazione che riguarda il rinvigorimento dei tributi ordinari. Tante volte siamo sollecitati e solleticati dalla ricerca di fonti nuove e ci lasciamo svilire nelle mani gli strumenti fondamentali che rispondono alle linee classiche della imposizione tributaria. Da questo punto di vista è necessario quindi, soprattutto per quanto riguarda l’apporto della ricchezza mobile e delle imposizioni dirette, che l’azione del Governo e l’azione del Ministro delle finanze siano energiche e drastiche. Prima della guerra i tributi ordinari di imposizione diretta rappresentavano il 30 per cento della entrata dello Stato, oggi essi concorrono solo per il 20 per cento. È necessario quindi che, negli accertamenti, nelle revisioni, nel perseguire tutta quella massa grigia che ha speculato sulle disgrazie della Patria, l’azione fiscale sia inesorabile, per rispondere ad un supremo canone della scienza delle finanze, cioè al rispetto della giustizia distributiva nella ripartizione dei gravami fiscali. (Applausi).

Sempre in tema di imposizione ordinaria, vorrei che fosse seguito un indirizzo già posto in atto in qualche settore: la riduzione delle aliquote, per costringere alla verità gli accertamenti. C’è troppa gente che si para sotto l’usbergo delle aliquote spogliatrici per venir meno al proprio dovere e per trovare una giustificazione alla frode del contributo che essa deve alla finanza statale. Diamo pure l’esempio di una ragionevole riduzione di aliquote, ma siamo inesorabili nel colpire coloro che devono essere colpiti.

Per quanto riguarda la finanza straordinaria, non c’è che un rammarico da fare: arriva in ritardo. Meglio tardi che mai. Però per quanto riguarda la manifestazione principe della finanza straordinaria, ossia l’imposta straordinaria sul patrimonio, una raccomandazione devo fare, cioè che sia assicurato il funzionamento delle Commissioni provinciali e sia attuata la riforma dei Comitati di borsa che devono stabilire la valutazione dei titoli non quotati in borsa. Si è già vociferato che fondamento della imposta straordinaria sul patrimonio sarà inevitabilmente e sempre la cirenea del sistema tributario italiano: la proprietà immobiliare. Dimostriamo che anche i patrimoni mobiliari, in questa occasione, pagano il loro tributo nella misura dovuta per l’opera di ricostruzione del nostro Paese.

Sempre in tema di bilancio, ancora una raccomandazione: economia nelle spese. C’è tutto un problema che investe la politica del Ministro del tesoro. In altri tempi a noi lontani è stato celebrato un indirizzo che rimase famoso negli annali della finanza italiana per la tenacia con la quale fu attuato e difeso, voglio alludere alla «politica della lesina».

Richiamarlo alla ribalta oggi significherebbe forse venir meno alle gravi, urgenti ed improrogabili necessità di spese che incombono allo Stato; ma, pur nel quadro delle odierne contingenze, vi è e rimane l’assoluta necessità di eliminare tutte le spese superflue e di far sì che i tributi che noi chiediamo ai cittadini vengano totalmente devoluti per spese produttive, ai fini della ricostruzione della nostra economia e della nostra finanza. E bene ha fatto il Presidente del Consiglio ad introdurre il controllo generale sulle entrate e sulle spese; controllo che significa impegno a mantenere il dovuto equilibrio tra le due attività. Se una debolezza vi è stata finora nell’azione governativa, debolezza del resto già lamentata altre volte, è da ricercarsi nel mancato sincronismo fra i due dicasteri fondamentali per la vita del Paese: quello delle finanze e quello del tesoro. Orbene, questo richiamo all’unità deve suonare come garanzia che la finanza pubblica italiana risponderà ai suoi compiti ed ai suoi doveri.

Accanto al bilancio dello Stato vi è un altro elemento indispensabile per la salvezza del nostro Paese. L’equilibrio della bilancia dei pagamenti: equilibrio che è altrettanto necessario quanto l’equilibrio del bilancio dello stato. Dirò di più: attraverso la bilancia dei pagamenti, noi abbiamo l’unica via attraverso la quale affluiscono alla nostra economia le materie prime e l’unico mezzo attraverso al quale affluisce il pane al popolo italiano.

La bilancia dei pagamenti ha inevitabilmente subito le conseguenze del disastro e dello sfacelo di tutta la nostra vita economica. A parte la minorata, e grandemente minorata, possibilità produttiva della nostra economia nazionale, abbiamo avuto la quasi totale soppressione di tutte le cosiddette partite invisibili della bilancia dei pagamenti: noli marittimi, rimesse degli emigrati, turismo, crediti. Il naviglio italiano, che prima della guerra era rappresentato da una flotta mercantile di 2 milioni di tonnellate di stazza lorda, per effetto delle distruzioni subite durante il conflitto, è stato ridotto a non più di 300 mila t.s.l., ed anziché concorrere come elemento attivo della bilancia dei pagamenti, ha rappresentato un gravoso capitolo di spesa, per i noli dovuti alle bandiere estere impiegate nel trasporto delle materie prime e delle derrate alimentari indispensabili alla ripresa della nostra industria ed alla vita delle nostre popolazioni. La guerra ha inoltre annullato le fonti derivate dalle rimesse degli emigrati all’estero, delle correnti turistiche verso il nostro Paese e degli investimenti o finanziamenti stranieri alla nostra economia. Abbiamo quindi la necessità di favorire l’opera ricostruttrice in questo campo; e per quanto riguarda il turismo, cui si accenna nella relazione del Presidente, mi permetto di proporre che, esaminando il problema turistico venga considerata pure l’opportunità di introdurre nel nostro sistema monetario una lira turistica, che ci salvi dalle spogliazioni che i turisti stranieri compiono con la loro valuta pregiata nel nostro Paese. La bilancia dei pagamenti tocca anche la impostazione della politica economica che è stata attuata attraverso la disciplina del commercio estero. Dalla cessione di tutta la valuta ricavata dalle esportazioni, siamo passati alla concessione del 50 per cento di valuta libera, che doveva e deve compensare i costi di produzione e costituire una giusta media tra il valore ufficiale dei cambi esteri espressi in lire italiane ed il valore economico delle merci oggetto di scambio. Anche questa strada si è però dimostrata inadeguata, in quanto abbiamo assistito ed assistiamo al trafugamento di capitali all’estero attuato col sistema della doppia fattura. È necessario escogitare un mezzo per indurre i renitenti al dovere della solidarietà nazionale. Giorni fa mi diceva il Ministro dell’agricoltura che per ogni quintale di grano in meno consegnato agli ammassi si rende necessario un pari acquisto all’estero, e ogni quintale in più acquistato all’estero rende impossibile la importazione di un quintale di fosforiti necessarie per la produzione dei perfosfati, tanto indispensabili all’agricoltura, e dicendo questo mi sottolineava tutta la grave ripercussione di queste infrazioni sull’esito della campagna granaria. Come è doveroso richiamare gli agricoltori a un maggior senso di solidarietà, così è altrettanto necessario e urgente un severo richiamo a coloro che, col sistema delle doppie fatture, lasciano all’estero il frutto del lavoro italiano e falcidiano le possibilità e le disponibilità della bilancia dei pagamenti, compromettendo il suo sforzo di equilibrarsi. (Applausi al centro).

Una voce a sinistra. In galera!

VICENTINI. Ed ancora: è necessaria una politica economica produttivistica. La costituzione del Centro consultivo economico come organo di solidarietà nazionale, mi pare risponda alle aspettative. In questi giorni abbiano assistito ad una manifestazione di alta solidarietà nazionale: la Confederazione generale del lavoro ha rinnovato la tregua salariale. In questo campo e per questo esempio, la politica produttivistica dell’economia italiana deve porsi su un terreno di fiducia per quello che sarà il suo avvenire.

Tregua salariale da una parte e potenziamento della iniziativa pubblica e privata dall’altro, sotto l’indirizzo del Centro economico consultivo, varranno a fugare tutte le incertezze e le paure e poggeranno la nostra politica economica sulle basi sicure della ripresa.

Attraverso al rinvigorimento dell’attività produttiva avremo un miglioramento finanziario per la imposizione dei nuovi redditi, avremo l’avviamento alla stabilità del bilancio dello Stato ed avremo quanto è necessario, se non in tutto, in gran parte, per colmare i disavanzi della bilancia dei pagamenti. In questa atmosfera di concordia e di solidarietà noi dobbiamo progredire, se seriamente ed efficacemente vogliamo contribuire alla salvezza del nostro Paese.

E da ultimo, un altro argomento, la politica del credito: argomento che ha suscitato apprensioni e preoccupazioni. Questa mattina la Commissione di finanza e tesoro ha approvato il disegno di legge che istituisce l’ispettorato del credito. Ben venga e funzioni questo Ispettorato del credito ed allontani col suo controllo ogni investimento volto alla speculazione. Però, rimane pur sempre una preoccupazione, che trasformo in raccomandazione: oggi, fatalmente, la politica del Tesoro è strettamente collegata e, vorrei quasi dire, concorrente alla politica del credito privato. Sappiamo e conosciamo tutti l’entità del Debito pubblico e conosciamo tutti l’entità delle anticipazioni fatte al Tesoro. Siccome investimento di risparmio in iniziative private significa ricostituzione dell’economia italiana, raccomando che la concorrenza del Tesoro nei riguardi dell’impiego del risparmio privato sia contenuta nei limiti strettamente necessari ed indispensabili ai bisogni della Tesoreria e che lo Stato non diventi il monopolizzatore del risparmio privato.

Ho finito: so che ho toccato soltanto problemi tecnici. Ho voluto dimenticare quelli politici, perché li ritengo soltanto complementari, e penso che, in questo momento, dovrebbero essere sacrificati sull’altare della sincera e leale solidarietà nazionale. D’altra parte, sono questi i problemi preminenti che urgono e che non si possono dimenticare, in una visione reale della situazione del nostro Paese.

Io esorto i colleghi affinché concentrino su di essi la loro attenzione, ponendosi al di sopra delle naturali divisioni che ci separano nella topografia parlamentare e politica, perché in quest’ora, che è solenne, abbia a vibrare quello spirito consapevole e sereno di solidarietà che ci ha accompagnato altre volte nella lotta comune, in modo che sul «Piave» della finanza statale e della economia nazionale, così possiamo definire la nostra attuale posizione, possiamo guardare concordemente alla nostra nuova «Vittorio Veneto» che per noi deve essere: consolidamento e difesa della democrazia e della Repubblica, attraverso la rinascita della nostra economia, insostituibile fondamento e premessa del benessere del popolo italiano. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Tripepi. Ne ha facoltà.

TRIPEPI. Onorevoli colleghi, prima che mi soffermi brevemente, e rapidamente sulle dichiarazioni del Governo, per rilevarne le omissioni, intendo esprimere la mia personale soddisfazione per il modo con cui si è risolta la recente crisi. (Commenti Interruzioni all’estrema sinistra).

La fine dei compromessi, inevitabili per le ideologie diverse ed il diverso temperamento politico dei componenti il passato Governo, si è finalmente avuta. (Commenti all’estrema sinistra).

La rottura del fragile, ma pur resistente fronte triarchico, è avvenuta, ed una gran parte del popolo italiano (che per me è la più sana, la più composta e patriottica) ha potuto, con grande compiacimento, assistere a questo nuovo spettacolo che sembrava non dovesse mai verificarsi.

Un rimprovero. c’è da muovere all’onorevole De Gasperi: che si sia deciso un po’ tardi. (CommentiRumori all’estrema sinistra).

TONELLO. Siete stati sempre contro fino a ieri!

TRIPEPI. Ha avuto bisogno tuttavia di molte spinte. I mormorii del suo partito, che mano mano, gradatamente, andavano elevandosi fino a diventare grida di allarme, hanno fatto riflettere l’onorevole De Gasperi. vi ha contribuito anche l’opinione pubblica, che si è espressa nei suoi riguardi, attraverso le poco festose manifestazioni messinesi ed attraverso anche i risultati elettorali.

Tutte queste manifestazioni evidentemente rilevavano una inefficienza di Governo, della quale egli si doveva preoccupare per porvi rimedio.

Quando a tutto ciò si aggiunge l’America, che, non sappiamo se con voce sottile o con voce vigorosa, con voce contenuta o esplicita, ha fatto intendere che per continuare nei suoi sorrisi e nelle sue grazie verso dì noi aveva bisogno di un Governo… (Vive interruzioni a sinistra Commenti Rumori).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non vorranno, per caso, commentare ogni frase dell’onorevole Tripepi!

TRIPEPI. Come è stato bene rilevato qui, e specialmente fuori di qui, si sono manifestate malinconie e agitazioni da parte di tutti i vostri seguaci (Accenna a sinistra) nelle provincie d’Italia. Lasciare il potere è doloroso: il potere è più dolce che amaro; c’è la croce, ma c’è anche la delizia. E, attraverso il potere si conferisce prestigio agli uomini politici più rappresentativi, attraverso il potere si conferisce prestigio agli aderenti ai partiti, ai seguaci dei partiti.

Comprendo, quindi, la sofferenza. Ma questa sofferenza non commuove quella parte sana, quella grande parte sana del popolo italiano, cui accennavo pochi minuti fa, parte sana che incomincia a godere e incomincia a godere perché spera, che il Governo omogeneo potrà finalmente agire. (Rumori Vivi commenti a sinistra).

Anche la scelta dei rappresentanti del Ministero ha incontrato la mia adesione: le fuliggini, le piccole macchie di taluno degli antichi componenti sono completamente fugate e oggi vediamo al Governo uomini di primo ordine, specialmente – è questo che interessa di più – dal punto di vista morale. Quando fra i diversi componenti io vedo l’onorevole Tupini, l’onorevole Grassi, l’onorevole Einaudi, vedo uomini immacolati e degni della massima considerazione. (Applausi al centro Commenti a sinistra).

E vengo ora alle dichiarazioni del Governo. In queste l’onorevole De Gasperi non ha nemmeno sfiorato alcuni problemi che pure hanno tanta importanza nella vita della Nazione.

Io intendo fino ad un certo punto la sua omissione: l’onorevole De Gasperi è stato obbligato a fare in pochi mesi, si può dire, quattro dichiarazioni di Governo e su certi problemi, che aveva già toccato, non ha ritenuto opportuno tornar sopra.

Ma se lui non c’è tornato, abbiamo il diritto e il dovere di tornarci noi, perché sono problemi di grande importanza, di grande urgenza, la cui soluzione, che ancora si fa attendere, è voluta imperiosamente dal popolo italiano. (Commenti a sinistra).

L’onorevole De Gasperi si è soffermato quasi esclusivamente sulla questione finanziaria: io sono digiuno della materia e non mi posso quindi arrogare il diritto di giudicarne. Lascio ai sapienti, agli studiosi, di intervenire con patriottismo, augurandomi che la loro saggezza possa essere seguita. Faccio soltanto un’osservazione, che è l’osservazione dell’uomo della strada, l’osservazione che ho avuto modo di rilevare più diffusa di qualsiasi altra, ed è che c’è stata fin ora una confusione in proposito.

Quando si è trattato di risolvere la questione della moneta, si è rimasti sospesi por mesi e mesi. Uomini di studio, uomini di coscienza, uomini di patriottismo gridavano: Bisogna fare questo cambio; uomini di studio, uomini di coscienza, uomini di virtù patriottica dicevano: No, no! Il cambio della moneta sarebbe la rovina.

E c’era tanta gente la quale, dinanzi a queste perplessità, dinanzi a queste contradizioni, dinanzi a questi contrasti, rimaneva naturalmente male, rimaneva sospesa, rimaneva sorpresa, non acquistava quella sicurezza, quella fiducia che deve nutrire ogni cittadino nei confronti dei governanti della Nazione cui appartiene.

Oggi si assiste ad un’altra scena: c’è stato un momento, non più tardi di due o tre mesi fa, in cui si disse che i due Dicasteri delle finanze e del tesoro dovevamo essere unificati perché la distinzione era nociva. Oggi invece si viene qui e non solo si vedono nuovamente divisi le finanze e il tesoro, ma si vede creato un altro ministero: quello del bilancio. Io, signori, mi auguro che questa recente originale creazione sia molto proficua, apporti davvero i suoi effetti vantaggiosi per la Nazione.

Sono lieto che questo ministero sia stato affidato all’onorevole Einaudi, e per l’uomo, e per i requisiti che lo distinguono e che lo rendono ammirevole. L’onorevole Einaudi lanciò il suo grido, lo abbiamo letto sui giornali. L’onorevole Einaudi dichiarò: Bisogna diminuire le spese, bisogna aumentare le entrate. Si è sorriso, anzi si è riso. Si è detto: Ma che trovata! Ma che trovata! E si è da molti osservato che essa non è originale. Ma invece l’originalità dell’onorevole Einaudi consiste, io credo, nel proposito di attuare questa regola, perché fino adesso è stata enunciata, ma, nella pratica, non è stata seguita.

Se pertanto l’onorevole Einaudi dimostrerà di avere quella fermezza, quel coraggio, che occorrono – ed io auguro che a lui non manchino – per mettere in esecuzione questa regola, io sono convinto che finalmente ci avvieremo verso il risorgimento economico e finanziario della Nazione.

Bisogna spendere meno, bisogna negare tutte quelle somme che non occorrono per ragioni impellenti, per necessità di vita, per necessità imperiose di civiltà e di umanità. Non è questa epoca di lussi…

Una voce a sinistra. Voi altri sì, che ve li potete permettere.

TRIPEPI. …non è questa l’epoca in cui ce li possiamo permettere; non li abbiamo avuti forse in altre epoche floride, nelle quali, da un punto di vista finanziario, si è andati sempre piano. Ed è soltanto per questo che si sono conseguiti quei grandi vantaggi che noi ricordiamo e che facevano parte di quella politica di quei grandi parlamentari che la esprimevano con una frase sintetica, significativa ed eloquente: la politica delle mani nette e della lesina.

L’onorevole De Gasperi non ha poi accennato per nulla al problema del Mezzogiorno. Lo ha fatto altre volte, ma mi sarebbe piaciuto sentire un accenno anche questa volta. Il problema del Mezzogiorno, delle province meridionali, è un problema assillante, tormentoso; e io vorrei che tutti i Governi non lo accennassero soltanto, ma cercassero di sviscerarlo; perché, signori, noi nel Mezzogiorno, nelle province meridionali, siamo tanto, tanto, tanto indietro.

L’onorevole De Gasperi non vi ha accennato per nulla. Io non desidero che in questo momento drammatico della vita economica e finanziaria nazionale si pensi alle strade bitumate, per esempio, o alle grandi bonifiche agrarie o agli impianti idroelettrici o ai porti. No, no, non intendo questo; io intendo che, per questo, bisogna avere ancora la virtù di attendere. Io desidero soltanto mettere in evidenza alcune necessità straordinarie di alcuni paesi. Un’altra voce in quest’Assemblea, ha posto in rilievo le condizioni pietose di alcuni paesi della Calabria e specialmente della provincia di Reggio, alla quale io appartengo. Ci sono ancora, signori, paesi in cui non si arriva se non attraverso mulattiere; ci sono paesi privi di cimiteri; ci sono paesi privi di acqua; ci sono paesi privi di luce, ci sono paesi privi di una qualsiasi fognatura; ci sono paesi, signori, in cui si soffre, in cui si piange, in cui si è ancora barbari, dove bisogna intervenire, non per portare la civiltà, ma per portare l’umanità. E bisogna, signori, intervenire presto e con un certo piano di lavori.

Si è fatta una confusione: si chiedeva e talvolta, mentre non si otteneva quello che era necessarissimo, veniva concesso quello che era superfluo. Ci sono i provveditorati, che mancano di finanziamento; i provveditorati i quali, seguendo quello che avviene al centro, si inchinalo di più al deputato di autorità e al deputato ministeriale, anziché al deputato che autorità non ha e che alla maggioranza parlamentare, ministeriale, non appartiene. Il danno, signori, di chi è? Di coloro che sono costretti a vivere in queste zone barbare. Ecco perché, o signori, arriva poi la definizione dell’onorevole Togliatti: «il cafone calabrese». È inutile che io muova qui pubblico lamento per l’infelicità della sua definizione, della sua frase, perché c’è stata una ribellione generale da parte dell’intera Calabria. (Commenti a sinistra). Sì, ci sono cafoni in Calabria, come ce n’è altrove; ma non capisco perché l’onorevole Togliatti abbia voluto dimenticare le altre province, le altre regioni, per pensare unicamente alla Calabria, e per pensarvi soltanto per ingiuriarla. (Interruzione dell’onorevole Togliatti).

E allora, signori, quando noi ci troviamo in un paese così indietro, noi vediamo svilupparsi rapide e tormentose le infermità, vediamo svilupparsi, rapida e tormentosa, la tubercolosi. Non è qui il caso che io mi soffermi molto su questa malattia sociale; ma pure, per poter rilevare utilmente la condizione di infelicità di questi paesi, debbo farne qualche accenno.

Vi dico, o signori, che per la tubercolosi il Governo dovrebbe intervenire in un modo molto diverso da quello che ha usato finora. La tubercolosi è una malattia infettiva per eccellenza, che ancora non può essere efficacemente curata, che si sviluppa rapidissima. Vi sono i consorzi antitubercolari: le rette dei sanatori sono però molto elevate; si arriva attraverso genuflessioni, attraverso mortificazioni, attraverso lacrime, ad ottenere un posto in un sanatorio, e quando si va in questi sanatori, che dovrebbero confortare, irrobustire gli infermi (è avvenuto nella mia provincia, dove ero commissario del consorzio antitubercolare) si scappa perché non si può andare avanti per la fame che vi si soffre.

E noti l’Assemblea, che la tubercolosi è una malattia che si è molto diffusa fra i reduci di guerra. Noi per i reduci ci elettrizziamo, per i reduci palpitiamo, per i reduci lanciamo parole le più pietose e commosse; ma, signori, bisogna farla finita con le parole, bisogna guardare ai fatti, bisogna provvedere subito ed esaurientemente, se si vuole che questa malattia non si diffonda ancora di più e non faccia lutti e non faccia versare lacrime e non mortifichi coloro che disgraziatamente ne sono colpiti! Occorre un intervento speciale, urgentissimo, da parte del Governo, il quale non può e non deve trascurare la soluzione di questo grave problema.

Il Primo Ministro non ha fatto neanche accenno all’ordine pubblico, come se fosse giunto alla perfezione, come se non ci fossero state recenti preoccupanti manifestazioni. La questione dell’ordine pubblico, onorevole De Gasperi, è legata alla questione del disarmo civile, per cui si è fatto molto poco e per cui bisogna fare di più, perché, altrimenti, le armi le vedremo qualche giorno nelle piazze d’Italia, le vedremo lungo le strade e non potremo più provvedere. Occorre fare questo lavoro fin d’ora, occorre finire di considerare il problema superficialmente, occorre invece approfondirlo. Le armi si trovano dovunque: non c’è giorno in cui non si rilevi dai giornali che si trovano armi nei cimiteri, nelle grotte, nelle case isolate! (Commenti a sinistra). Quando i carabinieri della zona laziale vennero incaricati, tre o quattro mesi fa, di eseguire un servizio speciale, dopo quindici giorni di ricerche ammassarono un materiale bellico imponente: quintali di tritolo, tonnellate di esplosivo, diecine di migliaia di proiettili di tutte le specie, centinaia e centinaia di bombe a mano. (Interruzioni a sinistra).

Ora, signori, occorre che si finisca una buona volta! Occorrerebbe imporre alle questure, alle prefetture, di procedere al più presto e nel miglior modo nelle operazioni di loro competenza.

Si conferiscono dei premi agli agenti di questura o agli agenti di pubblica sicurezza che riescono ad elevare la piccola contravvenzione, ma non si è sentita ancora la necessità di conferire dei premi per la ricerca delle armi a questi agenti di polizia, i quali, attraverso la spinta volgare ma molto vigorosa del denaro, si indurrebbero a compiere anche questa fatica.

Una voce a sinistra. È male informato! C’è anche il premio per il reperimento di armi.

TRIPEPI. Bisognerebbe, signori, aggravare le pene per i trasgressori. Badate, io intendo la generosità, l’indulgenza: l’intendo da uomo, da cittadino, da avvocato. Però, signori, in certi campi io non l’ammetto. Io credo che non meriti nessuna attenuante colui che venga trovato in possesso di una, o dieci, o cento bombe a mano. È concepibile l’arma per la difesa, la rivoltella, il fucile. Ma quando vedo il pugnale vedo in esso un’arma insidiosa, e non posso pensare più alla difesa, penso all’offesa. Quando vedo le bombe a mano, i fucili mitragliatori, io non penso alla difesa, ma all’offesa. (Commenti).

Bisogna intervenire in tempo, bisogna evitare che sia troppo tardi, altrimenti non si potrà intervenire più.

Aspettavo anche di sentire dall’onorevole De Gasperi la volontà precisa, marcata, ineluttabile di intervenire a rafforzare l’autorità dello Stato, la quale è deficiente, deficientissima, e direi quasi non esiste.

Bisogna, signori, anche per questo intervenire, e per rafforzare l’autorità dello Stato occorre rafforzare la polizia, occorre solennizzare la magistratura. La polizia invece è trattata male; la polizia è deficiente; è deficiente anche dal lato morale, perché, attraverso il cattivo trattamento economico, si giunge fatalmente alla corruzione e alla compiacenza.

La magistratura è l’organo più serio, più complesso, più delicato, ed è quello che dovrebbe richiedere le maggiori premure da parte del Governo. Io sono lieto di aver letto in un giornale una affermazione dell’onorevole Grassi. Egli disse: la magistratura esercita una funzione di carattere speciale. I magistrati sono uomini, che hanno un intelletto, una cultura, che devono avere un coraggio, una indipendenza e devono essere posti in una situazione di vantaggio, non nella condizione di soffrire la fame, come stanno soffrendo.

Ho sentito qualche magistrato, di immacolata coscienza, dire: la sera io non mangio! E c’è da crederlo, signori. Perché quando vi riferite ad uno stipendio di quindici, di sedici o di diciottomila lire mensili, se il magistrato, che ha moglie, che ha figlioli, che ha qualche congiunto intimo convivente, non ha propri mezzi di fortuna, evidentemente non può cenare la sera. Soltanto se il magistrato non si mantiene onesto, può cenare ed anche pranzare bene. Non dobbiamo porre queste vittime del dovere in una condizione così tormentosa, perché il magistrato sente la nobiltà della sua delicata funzione ma, nello stesso tempo, può sentire i morsi della fame.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevole Tripepi, in questi giorni è stato pubblicato il decreto per l’indennità di toga e per il lavoro straordinario ai magistrati. Fra giorni applicheremo questo decreto che darà un sensibile miglioramento ai nostri magistrati. (Applausi al centro).

TRIPEPI. Per rafforzare l’autorità dello Stato il metodo è semplice: bisogna osservare le leggi scritte e le leggi morali. Mi pare che in Italia, in questo periodo, non si osservino né quelle scritte né quelle morali. Noi sentiamo esposizioni ministeriali, seguiamo interviste, assistiamo a conferenze, apprendiamo determinazioni, provvedimenti; ma quando poi porgiamo l’orecchio per sentire e lo sguardo per vederne l’attuazione, non la vediamo. Ci fu un momento in cui si lanciarono delle definizioni magnifiche: «granai del popolo! oleari del popolo!». Si usò la magica parola «popolo» che elettrizza. Che cosa si è fatto? Si è avuto il danno e sopratutto la beffa: perché gli oleari del popolo non hanno mai funzionato; i granai non hanno mai funzionato. (Interruzioni, commenti).

Ed il popolo soffre la fame. Voi vi infervorate per il popolo. Se fosse un fervore sentito, non avrei che a lodarvi.

Ammasso! C’è una legge la quale lo tutela. Io ritengo che se si facesse una statistica di tutti i procedimenti penali in tutte le regioni d’Italia, contro gli ammassatori trasgressori, credo non ci sarebbero che poche diecine di condanne in tutta Italia.

Oleari del popolo! Ma andate a Piazza Vittorio, girate per tutte le strade e le viuzze d’Italia e vedrete il mercato nero in tutta la sua efficienza.

Possiamo non parlarne più, riconoscendo che esso è una necessità ineluttabile, che non può essere contenuta e repressa, e va bene; ma se dobbiamo sentire il Governo di oggi e di domani, come abbiamo sentito quello di ieri, dire: «interverremo, lo sopprimeremo», bisogna sul serio intervenire. Invece mentre lo si dice, un’ora prima o dopo, andando a Piazza Vittorio o nelle varie strade di Roma, di Napoli, delle grandi città e delle cittadine si trovano tonnellate di farina, tonnellate di pane bianco, di quel pane che gustiamo anche noi alla «buvette».

Oleari del popolo! Che frase elettrizzante! Non c’è niente, di popolo: c’è il mancato adempimento dei doveri annonari. (Commenti Interruzioni a sinistra).

Bisogna osservare le leggi. Quando vengono osservate, lo Stato si irrobustisce nella sua autorità; quando non vengono osservate, la prima e l’ultima impressione è per la inesistenza o la debolezza dell’autorità dello Stato.

Si va in giro e si vedono vendere tonnellate di sale. Io capirei queste manifestazioni in un primo momento del dopo guerra, nei momenti di confusione, di agitazione, di aberrazione; ma non le capisco, non posso comprenderle ora. (Interruzioni a sinistra).

Bisogna lasciare le frasi e pensare alla realtà viva che è amarissima e cercare di venirle incontro per ripararvi.

Bisogna, poi, signori, osservare le leggi morali (Interruzioni a sinistra), e per osservarle, bisogna esercitare onestamente, rigidamente le funzioni attribuite. Occorre reprimere la corruzione, che è un reato (Interruzione dell’onorevole Tonello) difficile ad essere perseguito, perché difficile ad essere scoperto. Nella difesa del corrotto sta la difesa del corruttore e viceversa.

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha lanciato qui un grido di allarme. È stato definito il Don Chisciotte della Sicilia; non c’è ingiuria, che non sia stata rivolta a lui. Non lo approvo in pieno per quello che disse. Però devo venire ad una considerazione e ad una conclusione: l’azione dell’onorevole Finocchiaro Aprile è stata proficua, perché ha fatto intendere al popolo italiano che ci sono delle brutture e che, nello stesso tempo, ci sono uomini energici e coraggiosi, i quali sanno, a tempo opportuno, intervenire e cercare di scoprirle. (Interruzioni).

L’Italia, signori, ha innegabilmente una questione sociale, che ancora deve essere risolta, ma ha soprattutto una questione morale.

È inutile che un partito presuma di essere il monopolista della questione sociale. Riconosco, nella mia lealtà, che ciò abbia potuto essere, ma in tempi ormai tramontati.

La questione sociale non è monopolio, ormai, di alcun partito; è sentita dalla coscienza individuale e dalla coscienza collettiva; e, direi quasi, essi si risolverà automaticamente; ma siccome l’automatico è meccanico, ed il meccanico si può guastare, occorre che si intervenga, con premura ed umanità, per risolverla.

Ma c’è, o signori, la questione morale, che deve essere curata in modo particolare.

La guerra ha distrutto la materia ed ha distrutto lo spirito.

Per la ricostruzione della materia ci potrà anche essere tempo; per la ricostruzione dello spirito occorre agire urgentemente.

Se noi sapremo risolvere questa grave questione morale, da cui dipendono le altre, in parte anche quella economica e finanziaria, noi avremo compiuta una grave e nobile fatica.

È coloro che verranno dopo di noi ci benediranno e si ricorderanno di noi con gratitudine.

Signori del Governo, onorevole De Gasperi, finora avete fatto poco; avete fatto, forse, anche male. (Si ride). Prima avevate una scusa, quella di essere prigionieri in campo amico (Interruzioni a sinistra); non avete forse potuto fare quello che avreste voluto; ora non potete più addurla. Dovete agire, onorevole De Gasperi, con fermezza, con la dignità che non vi manca, con fierezza, con coraggio, questa grande virtù che è stata assonnata per un ventennio, ma che oggi si deve svegliare.

I fatti del Viminale, i fatti dell’Emilia, il tesoro di Dongo (Interruzioni a sinistra), voi li avete tralasciati, mentre non la curiosità, ma il sentimento e il diritto del popolo italiano, vi imponevano di dare delle precisazioni. Non lo avete fatto, mi auguro che lo farete.

Date una nuova via al vostro cammino, sarete seguito da una grande parte, dalla parte sana della popolazione italiana (Rumori), sarete seguito anche da noi; sarete seguito, piccola adesione la mia, di nessun valore, anche da me. Ma dietro di me ci sono decine e decine di migliaia di elettori che mi hanno eletto loro rappresentante. (Interruzioni). Non interrompete; sì, migliaia e migliaia di elettori, mentre, molti di voi sono qui per quella famosa lista nazionale, trovata fascista che non avete potuto fare a meno di imitare. (Applausi a destra).

Se agirete bene, avrete l’appoggio, ripeto, della parte sana e allora voi, insieme coi vostri sostenitori, avrete l’approvazione consolatrice della vostra coscienza morale, civile e politica per avere contribuito alla resurrezione d’Italia. (Applausi a destra Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. L’ombra di don Minzoni è fra voi e noi.

CONDORELLI. La parte più sana siamo noi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bonino. Ne ha facoltà.

BONINO. Onorevoli colleghi, sono appena passati due giorni da quando l’onorevole Presidente del Consiglio ha fatto le sue dichiarazioni e già numerose si sono alzate le voci di dissenso, di dubbio ed anche di contrasto, in questa Assemblea, nella stampa e nel Paese ed in misura talvolta così poco serena, che è generale ormai la convinzione che si tenti di fare naufragare la nave prima che scenda in mare, che possa dimostrare le sue attitudini per una lunga ed utile navigazione.

Ora, giacché il Governo è l’espressione di una notevole parte della volontà popolare e di fronte al mondo assume la responsabilità del proprio operato e ad esso dovrà rendere conto, io ritengo che quando si ama il proprio Paese sarebbe più generoso dare al Governo, nei limiti delle proprie forze, competenze, esperienze, provvidi avvertimenti, affinché chi è stato chiamato a dirigere la nave eviti di perdersi sugli scogli. Onorevoli colleghi, noi non possiamo, noi non dobbiamo dimenticare che quella che taluni chiamano la barca ministeriale dovrà varcare gli oceani e ritornare coi carichi di grano per sfamare nel prossimo inverno il popolo italiano. Oggi che il Governo ha tracciato un programma: esaminiamolo insieme e vediamo se è tale da potere fronteggiare quei fenomeni economici, monetari, di produzione, che, per un oratore di questa Camera, rappresentano un serio pericolo per il nostro Paese, e che il Governo nella sua attuale struttura, non sarebbe forse in condizioni di superare.

Consentitemi pertanto, onorevoli colleghi, per la mia parte, di richiamare l’attenzione vostra su alcuni punti delle comunicazioni del Governo che importano maggiore chiarezza e tempestiva azione.

Il vero dramma, che da alcuni anni minaccia in ogni momento di divenire tragedia, è indubbiamente quello dell’alimentazione. Anche il raccolto che si sta mietendo nei campi è fonte di ansietà e la sua contrazione rappresenta una grave incognita per il futuro inverno. Non è questo un problema che potrete affrontare e risolvere nell’autunno. La scelta dell’Alto Commissario è felice.

Un solo appunto vi può essere mosso, onorevole De Gasperi, cioè di non aver provveduto ad avvalervi prima della collaborazione dell’unico tecnico disponibile in Italia.

Avete scelto un uomo che sa assumere, per amore di Patria, una eredità senza beneficio di inventario e, rivelando una posizione precaria, ha senza dubbio capacità di migliorarla. Sia lasciato l’Alto Commissario libero di manovrare in un mercato estero che dovrebbe, salvo complicazioni internazionali, presentare prospettive migliori, tenendo presente che il tonnellaggio mondiale è in aumento e quello nazionale è in notevole ripresa.

Una sola raccomandazione dovrei farvi: predisponete un piano di tesseramento e di distribuzione per i principali prodotti alimentari, che sia valido e mantenuto fino al giugno del 1948 e ciò tenendo presente la produzione nazionale e le reali possibilità di rifornimento dall’estero, senza ottimismi che finirebbero, col tempo, per affogare nella realtà, generando comprensibili malumori e reazioni. Al popolo italiano deve esser data l’assicurazione che le distribuzioni saranno costanti, anche se modeste.

Non deve ripetersi quanto abbiamo dovuto lamentare in questi ultimi anni, cioè la distribuzione di razioni discrete nei mesi estivi del 1946, mediocri nell’autunno e pressoché nulle o peggiorate in qualità nel periodo in cui l’organismo umano ha maggiore bisogno di nutrimento e di calorie, cioè nell’inverno.

Il Consiglio dei ministri ha fissato in questi ultimi giorni il prezzo del grano. Una larga parte del Paese ritiene che questo sia il prezzo economico. Taluni hanno criticato l’aumento come un ingiustificato beneficio a favore dei grossi agrari. Voci discordi si sono però anche levate, per sostenere che il nuovo prezzo non risponde ai nuovi costi di produzione. Bisogna che il Governo chiarisca questo punto controverso. Se il prezzo è stato ricavato dall’esame coscienzioso dei vari elementi che compongono il costo medio di produzione, il mancato conferimento all’ammasso che si verificò nella campagna 1946, non troverebbe, in quella presente, più alcuna giustificazione; ma se invece, signori del Governo, sorgesse la convinzione che il prezzo fissato non è del tutto quello politico, ma neppure quello economico, e se, dall’analisi dei valori dei concimi chimici e delle sementi selezionate, dalle varie fasi del lavoro che ci portano innanzi alle spighe dorate riunite in covoni, si dovesse constatare che non avete fatto bene i conti, allora dovrete accelerare l’ammasso per contingentamento ad evitare che falliscano tutti e due i sistemi, perché altrimenti voi avrete evasioni superiori a quelle degli anni passati ed ulteriore contrazione delle semine di grano per il 1947-48.

Questo è un dubbio che nasce spontaneo e che voi dovete togliere all’Assemblea, anche perché in un domani si sappia di chi sono le responsabilità dell’eventuale mancato ammasso. Noi dovremo, purtroppo, integrare le nostre disponibilità per assicurare un razionamento umano con l’acquisto di cereali all’estero e bisogna che questi approvvigionamenti siano fatti in tempo e con maggiore avvedutezza che per il passato.

Sono sicuro che non si ripeterà l’errore grossolano di essere costretti a comprare, assillati dall’urgenza, quel famoso grano della Turchia, per cui pagammo a vuoto, se non la merce, almeno il nolo, per la fortissima percentuale di pietre che conteneva, e pregiudicava la normale molitura. Sono convinto che si eviterà di far giungere, alla vigilia dell’estate, i quantitativi di mais che, miscelati nel pane, ora stanno deliziando una parte della cittadinanza italiana, miscela che, se è tollerata nel nord nei mesi freddi, è deprecata nel Mezzogiorno in tutti i mesi dell’anno.

Dalle dichiarazioni del programma del Governo abbiamo sentito confermare il tesseramento differenziato, non certo per ridurre l’area di distribuzione, ma in effetti per ridurre gli oneri del razionamento. Non possiamo condividere le ragioni del Governo, e dobbiamo fare le nostre riserve sui risultati effettivi, lieti se gli stessi ci daranno torto e giustificheranno la spesa di quasi due miliardi e la mobilitazione provvisoria di tanti impiegati di varie capacità.

In caso contrario, faremo le nostre critiche a tempo opportuno. Non comprendo però come, con un ammasso totalitario, fatto sul serio, sia possibile un tesseramento differenziato.

Questo presuppone una larga disponibilità di prodotti lasciati liberi, mentre l’ammasso totalitario importa l’opposto.

C’è ancora, onorevoli colleghi, un altro settore dell’alimentazione sul quale vorrei fare qualche raccomandazione. Voi sapete quale posto di onore abbia, nella mensa familiare, il riso. Anche per questo, da anni, vige l’ammasso e questo ammasso, in confronto a quello di altri cereali, rappresenta una specie di perfezione. Però nella campagna 1946-47, i quantitativi conferiti sono stati inferiori a quelli degli anni normali, nei quali si realizzava il controllo di quasi il 100 per cento della reale produzione; e ciò non per merito dell’ammassatore, ma perché l’agricoltore aveva interesse a conferire tutto il risone prodotto.

Oggi la situazione è cambiata; il prezzo, sul mercato libero e specie nella vicina Svizzera, è talmente più alto del prezzo interno ufficiale, che oltre un milione di quintali è sfuggito ad ogni controllo.

Tenuta presente una produzione effettiva di circa sei milioni di quintali, dedotto il fabbisogno delle semine e le trattenute per uso famiglia, si sarebbero dovuti ammassare oltre 5 milioni 300.000 quintali. In realtà, l’ammasso non ha raggiunto i 4 milioni.

Si delinea sempre maggiore il pericolo di vedere ridotta la superficie seminata e la superficie di trapianto. Ogni commento è inutile.

Se il Governo assicurasse sin da ora che, dopo l’avvenuto conferimento, da parte di ciascun agricoltore, di un certo quantitativo di risone per ettaro coltivato, tutto il restante quantitativo resterebbe libero, sono convinto che la produzione riceverebbe un notevolissimo incremento. Aggiungo che le spese di ammasso, diritti di contratto, spese di distribuzione, hanno superato, per 4 milioni di quintali di risone, 787 milioni di lire con un aggravio a carico del consumatore ed a carico dell’Erario davvero enorme e con una distribuzione media mensile di 642 grammi a persona. È inoltre necessaria una razionale disciplina delle pilerie agricole, che si sono moltiplicate in questi ultimi tempi, che lavorano con una minore resa, rispetto alle pilerie industriali, del 6 per cento, che non assorbono mano d’opera industriale e che sfuggono a tutte le imposte dell’industria. Queste pilerie agricole si sono moltiplicate a tal punto da raggiungere 250 unità contro i 500 stabilimenti industriali.

C’è un altro grave problema che bisogna risolvere con urgenza: i prezzi dei generi alimentari salgono in maniera vertiginosa.

È necessario frenare non solo gli aumenti, ma conseguire una sensibile riduzione che possa giustificare una serena tregua dei salari e forse anche una riduzione degli stessi.

Con l’ingiustificato aumento dei prezzi, e con il naturale aumento dei salari noi arriveremo prestissimo a produrre con costi proibitivi per concorrere sui mercati esteri.

Qualche sintomo lo andiamo già constatando nel campo delle sete e dei tessili.

Tutta la politica dei prezzi dei prodotti contingentati e di quelli ricavati da licenze di importazione, deve essere riveduta con un’analisi ed una revisione accurata dei vari costi ed, occorrendo, con la limitazione degli utili che, per molti prodotti, non hanno, almeno all’apparenza, alcuna giustificazione.

C’è in giro troppa frenesia di arricchire e, in certe categorie, di cautelarsi, con aumenti iperbolici, dalle possibilità di ulteriori svalutazioni.

Le conseguenze che ne possono derivare sono di tale ampiezza, che è indispensabile che taluni ceti riflettano sulla responsabilità che si assumono con il loro egoistico atteggiamento.

Siamo indubbiamente nel periodo più difficile della nostra storia, forse nel momento più pericoloso. Basta anche un attimo di incoscienza, più o meno collettiva, perché possa divampare un incendio: e questo genere di incendi non si spegne in un giorno.

Poche e semplici parole vorrei aggiungere anche a quella che dovrà essere la politica del Dicastero del commercio estero. Le vetrine dei negozi, specie nelle grandi città, si sono riempite in questi ultimi tempi di cose niente affatto necessarie, prevalentemente articoli di lusso e di produzione estera, di cui il nostro popolo non sente il bisogno e che, d’altronde, non è in condizioni di acquistare.

Non voglio, con questo, predicare l’autarchia, ma richiamare l’attenzione del Governo sulla facilità con la quale sono stati rilasciati, in passato, permessi di importazione per prodotti che non rappresentano oggetto di trasformazione o di lavoro. Comprendo che molte importazioni sono frutto di compensazioni obbligate, ma penso altresì che in questo campo possa essere applicato un giusto freno. Non è lecito sottrarre, con importazione di prodotti non essenziali, divisa estera che può essere invece destinata ad acquisto di materie prime di prima necessità, atte a calmierare il mercato interno o a deprimere i prezzi di molti prodotti agricoli, che sono saliti a cifre che non hanno rispondenza nei salari, nelle tasse, nei trasporti. In nessun Paese d’Europa, ricordava l’onorevole Ruini, ed aggiungo io tra quelli che non hanno perso la guerra – se pure in realtà non l’hanno neppure vinta – vi è tanta indisciplina in materia di consumi dei generi voluttuari e di prima necessità.

Si disciplinino le importazioni con criteri più sani e si avrà così una benefica ripercussione sul tenore di vita interno e lo si riporterà ad un livello più rispondente ai tempi attuali. Sono lieto che provvedimenti di carattere fiscale, rimandati più volte, saranno applicati con sollecitudine. Penso che questa risoluzione del Governo sarà la migliore credenziale per trattare i grandi prestiti con l’America. Ma, per trattare i grandi prestiti con l’America, bisogna saper dimostrare di aver fatto tutto il possibile per sollevarci dalle nostre miserie con la nostra volontà, con i nostri sacrifici. Tutti gli italiani sperano in questi aiuti, e tutti gli italiani pensano che questi aiuti possano esserci concessi presto ed in misura abbondante.

Non facciamoci delle grosse illusioni. L’America ha bisogno di piazzare nel mondo il saldo attuale della sua bilancia commerciale; sono circa otto miliardi di dollari; ma le richieste sono altrettanto imponenti e maggiori. L’America non è certo disposta a sacrificare centinaia di milioni di dollari in ricordo dei cimiteri di guerra che ha lasciato nel nostro Paese ed ogni prestito esigerà una contropartita, di cui bisogna valutare bene a priori le conseguenze. Non si tratta soltanto di restituire in avvenire capitale ed interessi. Bisogna pertanto chiedere il minimo indispensabile, imponendo all’interno, a coloro che possono sopportarli, maggiori sacrifici. Sacrifici che fino ad oggi sono stati irrisori.

Le operazioni fiscali, preannunciate più volte, sono ora improrogabili. Onorevole Einaudi, fatele presto, e con polso fermo!

Ho la convinzione che nel complesso, le conseguenze non saranno troppo dolorose e non inaridiranno le fonti sane della ricchezza, che sono fonti di lavoro e di benessere per tutti.

Ed ho la certezza che nessuna forza esterna, né di uomini, né di blocchi, né di interessi potrà mai piegarvi a fare azione di Governo che non sia davvero vantaggiosa per la collettività.

Sono altresì persuaso che gli abbienti siano consci che è necessario pagare, e vogliano pagare, perché questo è l’unico modo per salvarci tutti.

Nessun sacrificio sarà troppo pesante, se effettivamente tutte le uscite dello Stato saranno vagliate con criteri restrittivi e tutte le somme spese con criteri produttivi, e potremo avviarci al pareggio del bilancio ed a risolvere quei problemi che sono connessi con la ricostruzione del Paese.

Cerchiamo quindi di dare coraggio alle nostre energie produttive e cerchiamo soprattutto di avere fiducia in noi stessi, anche se talvolta talune manifestazioni possano apparire come il primo sintomo di una tempesta sociale.

Fra le estreme resistenze, il popolo italiano saprà scegliere indubbiamente la via mediana che riconosce ed onora i valori umani in tutte le umane azioni.

Onorevole De Gasperi, il compito che vi attende è arduo.

Ho la convinzione che oggi, che avete mano libera, saprete guidare la rotta con sicurezza.

Il popolo italiano ha la sensazione che l’orizzonte del campo internazionale sia tutt’altro che sereno ed ha dubbi che taluni possano attentare alla nostra indipendenza ed alla nostra dignità di Nazione civile.

Il popolo italiano non si appassiona né alle canzoni del Volga, né alle nenie dei piantatori di cotone; vuol rimanere alla finestra. In tutti i vostri rapporti internazionali, tenete presente questo stato d’animo, non dimenticatelo mai ed avrete allora il consenso generale del Paese.

In questo momento, voi, finalmente libero, ci ispirate fiducia e nel nostro voto favorevole avete la prova del nostro buon augurio e della nostra sincerità. (Applausi a destra e al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, farò alcune considerazioni sul problema finanziario. Credo che in questo momento la inquietudine e l’ansia del popolo italiano sfocino in una domanda che oggi è generale e quotidiana: riusciremo a salvare la lira? Potremo riprendere il lavoro ordinato e fecondo, annunciatore e compagno inseparabile del benessere e della pace sociale?

Io lo spero fermamente e dirò le ragioni che alimentano questa mia speranza.

Non mi soffermo affatto sui principii generici, che sono ormai di dominio comune, ogni qual volta si parla di economia e di finanza: inseparabilità dell’una dall’altra; piano economico e finanziario che deve tener conto di tutte le contingenze; adeguamento dell’onere tributario alla capacità contributiva dei cittadini; ecc. Intendo soffermarmi su due punti che in questo momento ritengo costituiscano il problema cruciale: il bilancio dello Stato e il problema della circolazione.

E cominciamo dal primo, il bilancio dello Stato. Bilancio in ordine significa tranquillità in casa, fiducia fuori di casa ed apporto di solidarietà economica, di cui abbiamo imprescindibile bisogno.

Ora, le condizioni attuali del bilancio sono veramente preoccupanti: circa 300 miliardi di entrate contro oltre 900 di spesa, con tendenza questa ad aumentare, avvicinandosi ai 1000 miliardi.

Disavanzo di oltre 600 miliardi, che potrebbero diventare 700 e non fermarsi lì.

Pare a me che non sia possibile mantenere una spesa sui 1000 miliardi, equivalente a quaranta volte la spesa del 1920, quando l’entrata è meno di quindici volte e non potrà in nessun modo superare la proporzione di venti volte, portandosi a 500 miliardi. Bisogna quindi contenere il bilancio entro i limiti della possibilità contributiva del popolo italiano in tutte le sue classi produttrici, e così, a mio avviso, non andare oltre agli 800 miliardi, dei quali 500 tratti dai tributi normali destinati alla spesa normale e 300 tratti da entrate straordinarie destinate alle spese eccezionali. Ed è mio avviso che a tradurre in realtà positiva questa aspirazione sia, non soltanto utile, ma indispensabile, per un certo periodo, tenere ben distinto il bilancio ordinario dà quello straordinario, o della ricostruzione, se così vi piace chiamarlo. In tempi e condizioni normali, l’entrata e la spesa straordinaria sono un capitolo di importanza secondaria del bilancio: nelle condizioni in cui ci troviamo, la parte straordinaria supera di gran lunga e quasi soffoca col suo peso la parte ordinaria. La relazione del Ministro Campilli, alla quale bisogna rendere omaggio per la sua completezza e per lo spirito di verità, obiettiva e serena, che tutta la informa, avverte che, della cifra complessiva del bilancio in corso – 900 miliardi circa – il 60 per cento è portato da spese di carattere eccezionale, e si tratta di spese, purtroppo, continuative per una serie di esercizi, dei quali non è possibile oggi determinare il numero. Di qui, la naturale illazione di doversi tenere rigorosamente distinti i capitoli della spesa ordinaria da quelli della spesa straordinaria, affinché ciascuno resti, durante l’esercizio, nel proprio ambito e non vada oltre i propri stanziamenti, i quali, sulla cifra di cinquecento miliardi per le spese ordinarie e di trecento per le straordinarie, dovrebbero consentire lo svolgimento di un programma onesto e sufficiente. Vi sono partite di spesa che consentono sicuramente una riduzione; vi sono partite di entrata che altrettanto sicuramente consentono un incremento.

Per quanto riguarda le spese, basti pensare al carico del personale, la cui inflazione, iniziatasi nel ’39, ha raggiunto cifre quasi iperboliche. La relazione Campilli ci ha reso noto che il personale, da 660.000 unità nel ’38, ascende oggi a 1.100.000, unità. Ma, guardando ai singoli reparti, la constatazione si fa più impressionante. Nelle Ferrovie, si è passati da 134 a 200.000 unità ed urgono alle porte circa 30.000 licenziati o meglio epurati, nel ’23, sotto lo specioso pretesto dello scarso rendimento; e il movimento ferroviario è ancora lungi dal tornare ad essere quello che era nel ’38, onde è chiaro che una quota del personale non ha modo di spiegare un’attività redditizia. Si spiega così il deficit dell’azienda che richiederà, alla fine dell’esercizio, un’integrazione dal tesoro di forse 25-30 miliardi.

Il personale delle Poste e Telegrafi è passato da 60 a 90.000 unità; gli avventizi in genere sono saliti da 13.000 a 70.000. È stato annunziato ufficiosamente che, a cominciare dal prossimo esercizio, verrà fatta una riduzione annua del 5 per cento. Benissimo; e starà a noi tutti aiutare questa prima timida operazione di risanamento, non intralciandola, per quanto sta in noi, con raccomandazioni.

Un passo decisivo verso il risanamento del bilancio è stato compiuto con l’abolizione del prezzo politico del pane e di altri generi; ma, più che sulla riduzione delle spese, specie delle straordinarie, che è già in atto, è da contare sulla resistenza nei confronti di quelle nuove che si presenteranno di giorno in giorno.

Occorre qui saldissima volontà, da parte di tutti e di ciascuno, nell’opera di riparo; occorre rimanere, a costo di qualunque sacrificio, nei limiti prefissati nella formazione del bilancio, pur tenuto conto del margine da lasciare a disposizione delle emergenze improvvise, eccezionali, che durante l’esercizio si possono presentare.

Se riusciremo a ciò, potremo dire dr aver fissato il punto di partenza della ripresa, la quale incomincerà il giorno in cui vi sia non solo la sensazione, ma la certezza che ci si è fermati sulla china sdrucciolevole della discesa e che il terreno sotto i nostri piedi per ascendere non è più friabile, ma fermo.

Questo proposito è stato enunciato dal Presidente del Consiglio e noi lo asseconderemo. Ad attuarlo è di conforto e di incoraggiamento consolantissimo l’aumento delle entrate normali. Io ho il profondo convincimento che, per la restaurazione del bilancio, bisogni puntare non dico esclusivamente, ma sovratutto, essenzialmente, sull’incremento delle entrate normali. I provvedimenti di finanza straordinaria sono infatti un po’ come i temporali: attesi e chiamati da tutti quando l’afa è grave ed insopportabile, ma accompagnati spesso da grandinate che distruggono i raccolti. La spina dorsale della finanza è costituita dalle entrate normali.

E tutta l’attenzione che si darà all’incremento delle entrate normali non potrà che portare benefici duraturi. L’opera degli Uffici periferici, infatti, si va manifestando ogni giorno più efficace; e ciò non è frutto di improvvisazione, ma di lavoro diuturno, lungo, tenace, del Governo e degli uffici centrali e periferici, ai quali tutti va rivolto – ed io di qui rivolgo – un alto e meritato elogio. (Approvazioni). L’opera di riorganizzazione è stata iniziata e faticosamente condotta – rendo omaggio alla verità – dal Ministro Scoccimarro. Ed io, nel breve tempo che ebbi l’onore di coprire l’ufficio di Ministro del tesoro, non gli lesinai le somme ch’egli chiedeva per la riorganizzazione degli uffici finanziari. Di tale opera silenziosa ed accurata raccogliamo oggi i primi frutti.

Le entrate, che erano nel luglio 1946 di 17 miliardi mensili, hanno un incremento progressivo notevolissimo: agosto: 18 miliardi, settembre: 19 miliardi, ottobre: 25, novembre: 26 e mezzo; gennaio 1947: 30, marzo: 32, a maggio saremo oltre: giungiamo così alle soglie dei 40 miliardi mensili, 500 miliardi annui, di cui dicevo poc’anzi che basteranno a coprire largamente le spese normali, con un supero disponibile. E non sembra potersi o doversi dubitare che l’incremento, specie in alcuni settori, dovrà manifestarsi ulteriormente e in misura accentuata. I raffronti del rendimento di alcuni dei principali tributi, quali sono esposti nella relazione Campilli, sono di una evidenza impressionante. Mentre le tasse sugli affari danno un introito di 21 volte quello del 1938, le imposte dirette lo danno solo di otto volte e i dazi doganali di cinque volte.

Un’attenzione speciale va data al monopolio dei tabacchi. La previsione aggiornata nella relazione Campilli assegna a questo capitolo per l’esercizio in corso il gettito di 51 miliardi: quattordici volte il gettito del 1938. Gli aumenti di prezzo, però, recentemente deliberati, lo porteranno sicuramente a non meno di 70 miliardi. Ma siamo ancora lungi dalla meta che in questo ramo è legittimo desiderare. Il gettito è ancora inadeguato e all’inadeguatezza concorre, fra le altre cause, il deficit industriale, sì da far scrivere al Ministro Campilli nella sua relazione la malinconica constatazione che l’Azienda dei tabacchi va anch’essa inserita tra le aziende industriali passive; e passiva non di poco: pare di 15 miliardi. È impressione di molti che qualche cosa non cammina in questa azienda; ed è domanda di persone serie, competenti, se convenga ancora continuare in una gestione diretta quale l’attuale, che non riesce ad aggiustare il proprio conto economico e che grava sulla finanza statale.

Il bilancio della Gran Bretagna stanzia, per il provento dei tabacchi, 360 milioni di sterline: che al cambio odierno significano qualcosa come 500 miliardi di lire.

La Gran Bretagna ha una popolazione pressoché uguale alla nostra: la classe dei fumatori è numerosa e benemerita qui come là: vi è sì una differenza di mezzi a disposizione. dei cittadini, ma non certamente in tal misura da giustificare un tale abisso fra le due gestioni. Ma la Gran Bretagna non ha monopolio di fabbricazione. Essa, che non ha coltivazioni interne di foglie di tabacco, fa provenire le foglie dai dominions e da altri paesi, in porto franco: e appena i carichi giungono, vende alla privata industria, debitamente attrezzata, ricavandone senza ulteriori noie e disturbi, il magnifico gettito che ho accennato, pur riservandosi il diritto di controllo sulla confezione e sui prezzi. Il costo industriale, cioè acquisto delle foglie di tabacco, carico ai porti di imbarco e trasporto in Gran Bretagna, assorbe il 20 per cento del gettito bilanciato; restano così 290 milioni di sterline di gettito netto per il bilancio.

Credo che valga la pena di studiare a fondo questo problema: un gettito maggiore dell’attuale di 150, o anche solo di 100 miliardi, costituirebbe da solo una quota imponente del risanamento del bilancio: e probabilmente vedremmo scomparire rapidamente lo sconcio a cui tutti ed in ogni città si assiste: che, in regime di monopolio, la libera vendita dei tabacchi stranieri è praticata su larghissima scala, liberamente e dappertutto.

Vengo al secondo punto: circolazione.

Tasto particolarmente delicato, sul quale si appuntano con particolare attenzione gli occhi degli economisti, della stampa e in genere del pubblico. Il timore dell’inflazione, che significa rovina dei risparmi, disperdimento della lira, giustifica la vigile ed ansiosa attenzione sull’andamento della circolazione.

Il problema va esaminato con calma, e non isolatamente, nella semplice cifra della quantità dei biglietti in circolazione, la quale può anche spaventare: 540 miliardi, in confronto ai tre del 1913 ed ai 20 del 1920. Bisogna inserirla nel quadro delle cause che l’hanno prodotta e degli effetti che nella economia interna produce il suo accrescimento.

Causa prima, e per noi unica, la guerra. Si guardi al 1914 e al 1940: troveremo, sia pure in diversa proporzione, gli stessi fatti.

La circolazione dell’Italia prima del 1914, era da decenni fissa su meno di 3 miliardi; con una copertura metallica di circa il 40 per cento, sufficiente, insieme al buon nome dell’Italia nel campo economico internazionale, a conferire alla nostra lira pregio sull’oro.

Scoppia la guerra del 1914 e il contraccolpo è immediato. Lo Stato abbisogna di grandi quantità di lire per i contratti, per le forniture in grande stile da eseguirsi a ritmo incalzante; la quantità di biglietti in circolazione è insufficiente alla bisogna, il torchio deve entrare in funzione. La circolazione, a cominciare dal 1944, aumenta di circa 2 miliardi all’anno fino al 31 dicembre 1916; nel 1917 aumenta di quasi 4 miliardi, portandosi ad oltre 10 miliardi; di altri 4 si accresce nel 1918; indi, a guerra finita e con la liquidazione degli impegni contratti, il movimento si fa anche più vorticoso, e in due anni l’aumento è di circa 9 miliardi, portandosi così la circolazione a fine 1920 ad oltre 22 miliardi: cifra massima che, da quel momento, comincia a decrescere.

Gli è che l’economia interna era intatta: passata la bufera della guerra gli impianti industriali provvidero rapidamente alla loro riconversione, e l’equilibrio della bilancia interna non tardò a ristabilirsi. Il popolo italiano ebbe presto a disposizione la medesima quantità di beni di consumo e di servigi che aveva prima della guerra, e non sentì nessun disagio nel fatto di avere per i pagamenti sette volte tanto di moneta, in confronto di quella che aveva prima della guerra. La gente si abituò a pagare ogni bene di consumo in cifre almeno sette volte maggiori di prima: ed essendovi ugual quantità di beni di consumo, l’equilibrio rimase.

Da allora la circolazione si mantiene ferma sui 20 miliardi e, sebbene l’economia interna sia stata sottoposta a durissimi esperimenti da un regime che, in nome dello Stato, volle appropriarsi poco alla volta di tutte le libertà private, tuttavia, tanto sana e forte era la sua struttura, che seppe e poté vincere ogni sorpresa e difficoltà e mantenere le sue posizioni, sì da non portare turbamento di sorta alla circolazione.

Il turbamento ricomincia quando sull’Italia precipitano nuove sciagure belliche; le guerre di Spagna e di Africa sono l’avviso del terremoto; il 1940 apre le cateratte. Durante i cinque anni terribili della nuova conflagrazione la fiumana della carta si fa imponente. Alla liberazione, la circolazione si è ventuplicata in confronto del 1920. Siamo quasi a 400 miliardi.

Ma la fine del conflitto ci trova in condizioni ben diverse da quelle del 1918: distruzioni immense di vite e di beni; perdute le colonie, perdute le scorte auree; l’avvilimento della sconfitta tanto più amara, quanto il popolo italiano era stato contrario alla guerra, trascinatovi dalla dittatura. E così: da una parte aumento di biglietti in volume impensato, diminuzione dall’altra dei beni di consumo e della capacità produttiva.

Di qui, continua ed inarrestabile ascesa dei prezzi, ed intanto necessità di stampare altra carta per fronteggiare esigenze indilazionabili, alla cui ampiezza non sono sufficienti le lire in circolazione.

Il 1946 segna un aumento di altri 100 miliardi ed oggi siamo ai 530 circa. Non si dimentichi intanto che di questi 530 miliardi circa 120 furono emessi a benefìcio delle truppe alleate, causa assolutamente straordinaria, estranea alla nostra economia ed alle esigenze di essa.

E la cifra sarebbe ben più alta se non vi fosse stato il prestito della ricostruzione, contro il quale si sono levate facili censure ed anche ironie. Non come persona, ma come Ministro del tesoro di quel tempo, mi trovo un po’ come San Sebastiano: trafitto da tutte le parti; ieri, dal di fuori, una frecciata dell’onorevole Ruini; stamane, dall’interno della casa comune, altra dell’amico Cappi.

Prestito disgraziato, si è detto. Io spero che l’onorevole Einaudi, e gliene faccio viva preghiera, vorrà levarmi dall’imbarazzo di fare il difensore in causa propria; e ripetere qui all’Assemblea quanto ha già scritto e dimostrato, che il prestito ha dato quanto ragionevolmente poteva attendersi. Io mi limito a ricordare che intanto il Prestito ha permesso alla Tesoreria di fronteggiare pesantissimi pagamenti, dipendenti da impegni assunti in precedenza, di liberarsi dal pericolo di dover rimborsare, a brevissime scadenze, ben 130 miliardi di buoni ordinari e del tesoro, con qual pauroso pericolo, in questi momenti di turbamento, non è chi non veda, pericolo non altrimenti fronteggiabile che con aumento di circolazione; infine di lasciare in cassa al 31 gennaio, quando io lasciai il Ministero del tesoro, ben 32 miliardi disponibili: in confronto dei cinque trovati al mio ingresso. E tutto ciò. senza aver chiesto alla Banca d’Italia una lira di anticipazione.

Ed a proposito ancora del prestito, mi consenta l’Assemblea una brevissima risposta ad una specifica censura, riguardante il suo corso sul mercato. Si disse e si scrisse che il titolo avrebbe subito perduto, sul mercato, del suo valore di emissione; e si credette di aver fatto chissà quale antiveggente profezia.

In linea di massima, basta rispondere: quando mai lo Stato ha garantito il corso dei titoli emessi al valore nominale? Era d’altronde elementare, lapalissiano, che fino a che sul mercato vi sono titoli che rendono il cinque per cento il nuovo titolo a tre e cinquanta doveva logicamente avete un corso inferiore. Ed infatti il titolo fu negoziato ad 80 ed anche meno. Ma il Governo aveva ben spiegato, all’atto della emissione, che il titolo non era e non doveva diventare speculativo, era un titolo da conservare fiduciosamente, in vista dei benefici fiscali che vi erano connessi. E tali benefici, che gli sono inseparabili, lo accompagneranno nella certissima ascesa. La vecchia rendita, che in tempi difficili nell’inizio dell’Italia unificata era scesa a sotto 40, risali poi l’erta fino a superare in mercato la pari; d’altronde il basso corso dei titoli di Stato a breve distanza dalla emissione, è caratteristico e normale. Guardate ciò che avvenne al titolo di uno dei prestiti meglio riusciti, e che viene giustamente citato ad esempio: parlo del prestito Nitti del 1919. Emesso a 87.50, e rimasto aperto quasi sei mesi, con l’interesse del cinque per cento, diede il gettito di circa 7 miliardi in contanti, e 12 di conversione. Ebbene; sentite che cosa dice la relazione del Governatore della Banca d’Italia del tempo, l’indimenticabile Bonaldo Stringher: «Nel maggio (e cioè a meno di due mesi dalla chiusura) il titolo registrava alla Borsa di Roma un prezzo medio di poco superiore alle lire 85: nel giugno si era discesi a 81.50 per precipitare a 75 nel luglio, a 68 in ottobre, ed a minimi ancora più bassi in novembre, per le agitazioni sociali. Dopo cessata la bufera e ricomposto lo stato d’animo degli operatori e dei detentori di rendite nazionali, il titolo risalì a mete più favorevoli: le medie di dicembre furono fra il 75 ed il 76 per cento; i corsi attuali (aprile 1921) non sono migliori, ma appaiono abbastanza resistenti». Fin qui la relazione. E successivamente il titolo migliorò di notevole quota.

Ora, se a qualcuno prende vaghezza di consultare i bollettini odierni di Borsa, vedrà che hanno avuto torto coloro che si sono dimostrati pessimisti, ed hanno avuto ragione coloro che hanno avuto fiducia nel titolo. Il titolo ha sempre avuto un corso superiore alla stessa rendita 3,50 del 1902.

 

Prestito

Rendita

 

Ricostruzione

1902

28 marzo

88,25

80,50

20 aprile

77,50

79 —

5 maggio

80,60

79 —

5 giugno

82,20

75 —

9 giugno

82,20

75 —

Nella borsa di ieri il titolo ha segnato 84.

Quindi coloro che hanno conservato il titolo ed hanno avuto fiducia in esso fanno bene a conservare il titolo e la fiducia.

Chiudo la parentesi. Siamo dunque a 530 miliardi. Ma non vi è affatto motivo di spaventarsi. Non siamo ancora al punto di rottura dell’equilibrio; cioè a quel punto del piano inclinato dove non è più possibile fermare lo scivolamento. Ne siamo anzi ancora lontani: tanta è la forza di resistenza del nostro popolo nel campo dell’economia.

La circolazione ha seguito in massima l’aumento dei prezzi: 30 volte i prezzi del 1920. Anzi, si è mantenuta al disotto; su tale base dovrebbe essere di 600 miliardi, e non tocca i 540; ed il suo accrescimento in questo ultimo periodo fu dovuto a cause che in parte notevolissima non si verificheranno più. Tali cause furono già perspicuamente enunciate dall’onorevole Einaudi nella sua relazione sull’esercizio 1945-46 della Banca d’Italia e dal Ministro Campilli nella sua relazione alla Commissione di finanza e tesoro ed alle Commissioni riunite: cause dovute, non a richiesta di anticipazione alla Tesoreria, ma agli ammassi, alla stampa di amlire, ai rimborsi bancari in occasione del prestito, alla fornitura di lire agli esportatori, in cambio del 50% della valuta da essi versato. Ma tutte queste cause sono destinate evidentemente a scomparire quasi totalmente.

Coll’approvazione del trattato di pace, cesserà la stampa di biglietti per il mantenimento delle truppe alleate; i prezzi politici sono stata soppressi, e l’economia in questo settore sarà quasi completa; si dovranno sì emettere biglietti per il finanziamento ammassi 1947, ma essi dovrebbero rientrare, il recupero bilanciando, o dovendo bilanciare, l’uscita; nuovi prestiti, come operazione autonoma, non sono per ora alle viste, ed è quindi accantonato il pericolo di rimborsi bancari da parte della Banca d’Italia, e conseguente emissione di biglietti. Infine le lire, date in cambio valuta agli esportatori, dovrebbero rientrare tutte o in gran parte col realizzo in Italia delle merci che lo Stato acquista mediante le valute. Al qual riguardo non sarà raccomandato abbastanza al Governo di vigilare che dette valute non siano distratte dalla loro naturale destinazione, che è di concorrere a ridurre la circolazione di quella medesima cifra di biglietti, di cui la circolazione si accrebbe, quando furono stampati per darli agli esportatori. La relazione sull’esercizio 1946 della Banca d’Italia scrive al riguardo parole, che vanno seriamente meditate: «Bisognerebbe che le valute versate dagli esportatori, contro lire, venissero realizzate con l’acquisto di beni essenziali, e il ricavo di questi fosse impiegato nel rimborsare le anticipazioni in lire ricevute dall’istituto di emissione. Ma vi sono due rischi. Il primo è che i beni acquistati con le valute siano venduti non a prezzi economici, ma a prezzi politici, ed ancora calcolando le valute, non ai corsi corrispondenti alla realtà del momento della vendita dei beni esteri, ma a corsi storici, per esempio calcolando il dollaro a 225 anziché a 400. Nasce così una perdita per l’erario, che qualcuno dovrà sopportare.

Il secondo rischio sta in ciò, che le lire incassate non sieno adoperate a rimborsare l’istituto di emissione che ha anticipato le lire: ma che sieno consacrate a spese correnti. Se ciò accade, la emissione originaria di lire per gli esportatori, da temporanea diventa permanente, e come peso morto consacra definitivamente la spinta dei prezzi all’insù».

Rischio purtroppo reale, non ipotetico. Leggo nel conto del Tesoro ultimo pubblicato, alla data del 31 marzo 1947, che nei nove mesi del corrente esercizio sono stati consumati 95 miliardi di valuta a disposizione dello Stato per approvvigionamenti sui mercati esteri. È cifra che induce a grave meditazione, e che mostra con evidenza cristallina quale inscindibile legame corra fra bilancio, circolazione e bilancia dei pagamenti. Intanto il pubblico, di ogni classe, domanda ansiosamente: quando cesserà di aumentare la circolazione? Su quale cifra si fermerà? Siamo a due anni dalla fine della guerra e sembra che non vi dovrebbe più essere necessità di stampare carta moneta. La risposta è facile; la guerra è finita, ma purtroppo non sono finite le sue conseguenze, a riparare le quali ancora occorrono ed occorreranno provvidenze straordinarie. È sempre utile guardare a ciò che avvenne in analoghe contingenze.

La guerra del 1915 terminò nel novembre 1918. Ebbene la circolazione per conto del commercio cominciò proprio allora i balzi in alto: 1200 milioni stampati nel 1919; 3 miliardi nel 1920; altri 2 nel 1921: in tre anni aumento di quasi 6 miliardi equivalenti a 250-300 miliardi di adesso.

Sono passati appena due anni dalla liberazione e sarebbe eccessivo pretendere o presumere che la crisi monetaria sia finita e che la circolazione sia ormai giunta al suo punto più alto e che anzi debba decrescere. Vi sarà ancora, verosimilmente, oscillazione di non grande ampiezza, conseguenza naturale e logica delle presumibili mutazioni nel campo economico, ma non vi è assolutamente da temere che essa sfugga al controllo della Banca d’Italia e del Tesoro.

Importante è e sarà, che eventuali aumenti corrispondano ad esigenze economiche, e non a necessità di tesoreria: perché, il giorno in cui per fronteggiare le esigenze normali di tesoreria si dovessero stampare biglietti, allora saremmo veramente a quel punto del piano inclinato dove l’arrestarsi è assai difficile.

Anche qui bisogna far tesoro di quanto avvenne nell’altro dopoguerra, quando la espansione della circolazione era incontenibile, e critiche si elevavano sulla stampa, e nei circoli finanziari. Rispondeva Bonaldo Stringher: «La espansione delle operazioni di sconto e di anticipazioni è stata imposta dalla necessità delle cose. Se la Banca avesse caparbiamente resistito alle domande di credito, sempre più intense, che le furono rivolte dalla primavera del 1920 in poi, per sodisfare ad evidenti, indeclinabili bisogni, si sarebbe prodotto un panico, che avrebbe turbato la vita economica del Paese».

Le stesse cose diceva nel medesimo periodo il Governatore della Banca di Francia: «Durante questo periodo critico era nel compito della Banca di dare, senza restrizioni, al mondo degli affari il più largo concorso possibile. Era la sua missione essenziale; la Banca non poteva mancarvi. Quale sia stata la intensità della crisi, noi non abbiamo potuto respingere nessuna domanda di credito. Noi abbiamo accolto per il risconto tutta la carta che ci è stata presentata dal commercio e dalla industria, e che si ravvisò necessaria ai suoi bisogni. Mediante questa politica liberale alla quale noi siamo stati e resteremo fedeli, noi intendiamo assecondare con tutte le nostre forze e con lo scopo primo dell’interesse generale, l’azione dei diversi fattori che in Francia tendono in questo momento ad attenuare la violenza della crisi». Ed il Governatore attuale della Banca d’Italia, onorevole Einaudi, scrive, nella relazione sull’esercizio 1946, queste parole ben significative: «Nel secondo semestre 1946 la circolazione aumentò del 28 per cento, ma le entrate effettive furono nel dicembre superiori del 116 per cento alla media del primo semestre. Se faremo in avvenire che l’incremento nel gettito delle imposte sopravanzi l’incremento dei segni monetari, un valido argine sarà opposto al progredire della inflazione».

Il problema della circolazione aveva poi ed ha ancora relazione con un altro problema, sul quale mi sia consentito un breve accenno. Intendo il cambio della moneta. Mi permetto esprimere al Governo con amichevole parola l’opinione che sia stato un errore rinunciarvi, se la rinuncia è definitiva.

Nel mio discorso come Ministro del tesoro del 25 settembre 1946 io non ne avevo parlato, perché non sapevo ancora quale fosse la intenzione del Governo.

Ma quando fu deliberato il prestito della ricostruzione tanto il Comitato incaricato di predisporlo, quanto il Consiglio dei Ministri, ravvisarono e stabilirono che il prestito dovesse essere inscindibilmente congiunto colla imposta straordinaria sul patrimonio e col cambio della moneta. La propaganda per il prestito, tanto da me quanto da tutti i colleghi del Ministero e dai deputati di ogni parte, venne fatta su tale base. I risparmiatori furono invitati a sottoscrivere con denaro e con conversione di buoni ordinari e di buoni del tesoro, e fu loro detto che avevano interesse a ciò fare, perché tutti i titoli di Stato al portatore sarebbero stati censiti, come pure il denaro in ogni sua forma.

Si deve ritenere che una tale propaganda, richiamantesi ad un preciso impegno di Governo, abbia influito assai nella raccolta dei 230 miliardi, fra contante e conversione. A prestito chiuso non restava che eseguire gli impegni. La imposta straordinaria è stata deliberata. Il cambio della moneta invece è stato abbandonato. In conseguenza la ricchezza mobiliare sfuggirà quasi intieramente alla tassazione, essendo trascurabile il provento di quel 5 per cento, aggiunto al patrimonio come possesso presunto di denari e valori mobiliari, e senza contare che tale percentuale colpirà prevalentemente i possessori di immobili e non la falange degli speculatori d’occasione, arricchitisi sulle sofferenze del popolo, e contro i quali specialmente si appuntava lo sguardo di tutti. (Applausi).

Quale sia stata la ragione dell’abbandono del cambio, io precisamente non conosco. Tutti i gruppi parlamentari, o almeno la gran parte di essi, avevano chiesto tale provvedimento fino dal 1944. Non credo che negli ultimi tempi l’indirizzo generale fosse mutato, perché nessun provvedimento, come questo del cambio della moneta, risponde alle esigenze di una finanza democratica. Sopravvenute difficoltà tecniche? Autorevolmente e ripetutamente fu spiegato in questa Assemblea che il cambio materiale non si sarebbe potuto fare in tempo, perché i biglietti predisposti fin dal 1944 non potevano essere usati, dato il furto avvenuto dei clichés dei biglietti di maggior taglio, cioè da 500 e da 1000 lire, il che è verissimo. E la stampa di altri biglietti per 400 e più miliardi avrebbe richiesto non meno d’un anno di tempo, onde l’impossibilità di abbinarla alla imposta straordinaria sul patrimonio che si voleva e si doveva varare senza ulteriore ritardo. Ma questa difficoltà era stata esaminata e superata in fase di preparazione del prestito, ed era anche stato pubblicato un comunicato ufficiale in proposito. Il cambio si sarebbe fatto, non più col cambio materiale dei biglietti in corso con altri nuovi, ma con la stampigliatura di quelli in corso. In proposito, i Ministri economici incaricati dal Consiglio dei Ministri di predisporre il Prestito, e i tecnici facenti parte del Comitato di preparazione, erano stati unanimi sulla convenienza e sulla possibilità della misura. La quale avrebbe potuto essere varata insieme all’imposta patrimoniale, ossia entro il mese di aprile. Ho sentito accennare a difficoltà tecniche, ma esse, qualunque fossero, erano agevolmente superabili. È ovvio che una operazione di tale e tanta importanza aveva insite in se stessa delle difficoltà di esecuzione; ma in tutti i paesi dove il cambio avvenne, Belgio, Francia, Cecoslovacchia, Ungheria, Olanda, ecc., ed avvenne nella forma del cambio effettivo, enormemente più complicata che non la stampigliatura, le difficoltà furono superate. E in Italia le difficoltà sarebbero state minori che in ogni altra nazione, dato che vi era una preparazione tecnica predisposta dal nostro Istituto di emissione, e sulla quale era lecito contare per una soddisfacente esecuzione. Mi richiamo ad un documento autentico: la relazione della Banca d’Italia sull’esercizio 1945 dove, a pag. 75, si legge: «Dopo l’armistizio e specialmente dopo la liberazione, in previsione della eventualità che la liberazione dell’Italia Settentrionale precedesse la resa della Germania e che, di conseguenza, sorgesse la possibilità della immissione in Italia di nostre banconote stampate nel Reich, la Banca d’Italia prese in esame l’opportunità di procedere alla stampigliatura dei propri biglietti in circolandone. Gli studi relativi iniziati dal nostro Istituto, vennero proseguiti fino al maggio del 1945 da apposita commissione di esperti. Scartata l’idea della stampigliatura delle banconote mediante applicazione di speciali marche, che avrebbero presentato soprattutto l’inconveniente della facile falsificazione, si accolse quella della impressione ad umido sulle banconote di una impronta con figura numismatica, e venne pertanto predisposta la fabbricazione dei punzoni, cuscinetti e dell’inchiostro necessari. La nostra Banca frattanto predisponeva l’apertura, negli uffici, degli sportelli che avrebbero dovuto procedere alla stampigliatura, le bozze del manifesto per il pubblico, delle distinte di presentazione dei biglietti, delle istruzioni di servizio agli sportelli e gli altri particolari esecutivi. Nell’aprile 1949 il nostro Istituto era già pronto, nelle parti di sua competenza, a dar corso alla stampigliatura. Ma la capitolazione della Germania, avvenuta contemporaneamente alla liberazione del Nord, fece venir meno lo scopo principale della operazione, che fu perciò abbandonata».

Non si vede dunque perché non si potesse fare adesso ciò che era dichiarato effettuabile, ed era stato anzi preparato, nel 1944. E lascio a voi tutti di considerare i vantaggi che la misura avrebbe portato. Il sapere anzitutto quanta circolazione effettiva esiste, con la certezza assoluta che, in ogni modo, una cospicua quantità di biglietti non sarebbe stata presentata, o perché scomparsa negli eventi bellici, o perché all’estero, o perché perduta o dimenticata. Nel cambio operato in Francia, in un periodo di appena otto giorni furono così guadagnati dallo Stato ben 110 miliardi. Si sarebbero fatti accertamenti senza dubbio interessantissimi ai fini della patrimoniale, e magari, consentendosi il cambio anonimo, con decurtazione, si sarebbero realizzate diecine di miliardi. Si sarebbe fatto il censimento della ricchezza mobiliare, con altro rispettabile apporto al bilancio dello Stato; si sarebbero snidate le molte e molte diecine di miliardi tesaurizzati per egoismo o per paura e sottratti alla circolazione; si sarebbe posto il fermo alla falsificazione dei biglietti che va aumentando con un crescendo preoccupante. Nel 1945 furono repertati soltanto 7.650 biglietti falsi di grosso taglio; ma nel 1946 ben 30.405. Negli stessi due anni, rispettivamente 20.742 amlire e 25.793 amlire di grosso taglio. La falsificazione lavora evidentemente su larga scala e la ingente quantità scoperta nel 1946 fa pensare quanta altra ve ne sia in giro, non ancora conosciuta. Infine, e questo è per me il lato più importante da considerare: la soddisfazione che si sarebbe data alla psicologia popolare, che, dopo tutto, era stata alimentata ed accesa dagli annunci ufficiali e sistematici che il cambio della moneta si sarebbe fatto, e che in qualche modo avrebbe voluto veder perseguiti quelli che, attraverso le speculazioni esose e fraudolente, si riteneva avessero accumulato ingenti ricchezze mobiliari, non investite mai in cespiti visibili per il timore della confisca totale o parziale. Io credo che, prima o poi, al censimento ed al cambio della moneta dovrà venirsi. Auguro di tutto cuore al Governo che, frattanto, le misure adottate e le altre che lo saranno, per il risanamento del bilancio, valgano ad ottenere almeno in parte i vantaggi che il cambio avrebbe assicurato, e sovrattutto a dare al popolo italiano la soddisfazione che esso giustamente reclama in questa così delicata e complessa materia. (Vivi applausi Interruzione dell’onorevole Nenni).

Concludo. I propositi manifestati dal Governo meritano ogni migliore attenzione e serena fiducia. Ne sono garanzia gli domini ai quali è stato affidato il settore economico e specialmente il bilancio ed il tesoro, e, sovra di essi, la persona del Presidente del Consiglio. Bene ha operato il Governo a ridare ai due Dicasteri delle finanze e del tesoro la loro autonomia. Fu un errore l’unificarli; fu provvida e coraggiosa iniziativa riparare all’errore, ponendo nuovamente la finanza italiana sui due binari collegati ma indipendenti, sui quali marcia da ottanta anni, e che solo il fascismo, nella sua furia accentratrice, aveva voluto unificare. I Ministri Einaudi e Del Vecchio sapranno tradurre in azione ed in provvedimenti concreti i consigli e gli ammonimenti che, quali maestri di economia, ebbero finora ad impartire sul modo come formare un bilancio sano, e come difenderlo da ogni insidia e sorpresa, e come vincere poco a poco il disavanzo che oggi ci turba. Concorrerà in tale meritoria opera di risanamento l’attenzione e l’iniziativa del nuovo Ministro delle finanze. A noi, a tutti gli italiani incombe un altro e pur grande dovere: assecondare gli sforzi del Governo, accettando con disciplina i sacrifici che saranno domandati: non dimenticare che fondamento inderogabile dell’azione di Governo dovrà essere, da una parte la ricerca dei tributi là dove si formano sulla ricchezza economica, niun settore, escluso, e niun provvedimento per quanto duro e drastico risparmiato, e dall’altra il sollievo di tutte le classi dei non abbienti dalle condizioni precarie in cui versano; ma soprattutto vincere la psicosi della paura che oggi imperversa ed alla quale si deve in gran parte lo sbalzo altrimenti inspiegabile dei prezzi, con il conseguente aumento delle difficoltà quotidiane di vita.

Sono rimedi semplici, di buon senso: ma in essi è la garanzia del nostro salvamento, intendo dire del salvamento della lira, che è la meta suprema affidata alla energia del Governo, assistita dalla disciplina e dalla fiducia del popolo italiano.

Consentitemi di chiudere rileggendovi alcune brevi parole dovute a persona che alla grande autorità di ieri, aggiunge oggi la posizione di responsabilità: l’onorevole Einaudi. Egli ha scritto, nella relazione sull’esercizio 1946 della Banca d’Italia, queste parole: «Basta ripetere oggi quel che in altri tempi fecero gli uomini della generazione passata. Ricordate le cifre dei disavanzi dell’altro dopo-guerra? A pronunciarle sembrano piccole: 23 miliardi nel 1918-19; 11 nel 1920-21; 21 nel 1921; 17 nel 1922. Piccolissime in confronto al disavanzo oggi denunciato nella relazione Campilli per l’anno corrente. Ma traduciamo, per renderle paragonabili, quelle cifre in lire aventi l’uguale potenza di acquisto delle lire odierne; e constatiamo che nel 1919 il disavanzo fu di 759 miliardi: nel 1920 di 320: nel 1921 di 520: nel 1922 di 465.

«Eppure qualche anno dopo, nel 1924, il Ministro del governo fascista poteva orgogliosamente annunciare che il suo governo aveva riconquistato il pareggio. Vanto bugiardo; ché il pareggio esisteva già, a conti fatti, il 28 ottobre 1922, ed esisteva perché i governi che si erano succeduti dopo la fine della guerra avevano mirato a liquidare l’eredità di essa, ed a liberare il bilancio dagli oneri permanenti, i quali avrebbero condotto anche allora la moneta al disastro».

Tre grandi uomini di Stato, che io qui ricordo: gli onorevoli Giolitti, Nitti e Meda seppero allora assumersi il tremendo compito e la correlativa responsabilità, guadagnandosi la riconoscenza e l’ammirazione del popolo italiano. L’onorevole Paratore, Ministro del tesoro, al 28 ottobre 1922, e chi vi parla in questo momento, allora Ministro delle finanze, ebbero il compito e l’onore di consegnare nelle mani del primo governo fascista un bilancio che era avviato al pareggio.

Io auguro al nuovo Governo di conquistare in egual modo il lauro della vittoria; lo accompagnano nella dura e nobilissima fatica i nostri voti e le speranze del popolo italiano. (Vivissimi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare gli onorevoli Corsi, Gullo Rocco, Bernini, Farini, Bonomi Paolo, Benedetti, La Malfa, Canevari, Barbato, Giannini, Marinaro. Non essendo essi presenti, s’intende che vi abbiano rinunciato.

Apro una breve parentesi. La discussione sulle comunicazioni del Governo pareva avesse suscitato un grandissimo interesse, tanto che vi erano 87 iscritti a parlare.

Ma dopo i primi due giorni di dibattito, al terzo giorno sono cominciate a piovere le richieste di mutamento, o meglio di posposizione di turno.

E io ho cominciato, a norma di regolamento, a cancellare i nomi e a riportarli in coda; ma ormai tutto è coda! (Si ride).

Ora, io vorrei pregare tutti i colleghi iscritti a parlare, di fare un breve ed intimo esame e di dichiarare, se non in seduta pubblica, almeno in Segreteria, se conservano la loro iscrizione. Se la conservano, devono però essere pronti a parlare. Oppure i dirigenti dei gruppi regolarmente costituiti, potrebbero designare in maniera impegnativa i membri dei loro gruppi che devono parlare. Occorre che l’una o l’altra via sia imboccata; altrimenti, potremmo chiudere in dieci minuti la discussione sulle comunicazioni del Governo, il che potrebbe forse essere una soluzione semplice e radicale, che è meglio tuttavia evitare.

Sospendo pertanto per mezz’ora la seduta; ma, alla ripresa, conto su una discussione ordinata, senza fughe degli iscritti.

(La seduta, sospesa alle 18.50, è ripresa alle 19.20).

È iscritto a parlare l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

CORBINO. Onorevoli colleghi! Vi confesso che il mio intervento questa sera mi coglie un po’ alla sprovvista; la qual cosa, nella mia situazione, aumenta la mia perplessità, perché è la prima volta che io, da questi banchi, parlo a favore del governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Tutto può accadere.

CORBINO. È veramente strano che questo accada; e vorrei proprio incominciare con il dire qualche cosa che concerne i motivi per cui questo è accaduto. In sostanza, perché parlo a favore del governo? Non per una ragione di carattere personale, ma per una ragione di carattere politico, perché la formazione di questo governo, a mio giudizio, segna una data importante nella nostra storia parlamentare, anche se la sua esistenza è ancora subordinata al voto dell’Assemblea.

Segna una data importante perché si è potuto costituire un Governo con una frazione dell’Assemblea, con dei tecnici presi da un altro gruppo dell’Assemblea stessa, senza che sia successo nulla: senza che sia successo nulla nell’Assemblea, senza che sia successo nulla fuori di essa. Ora, io dico che, per questo solo fatto, l’avvenimento è veramente importante; importante perché significa che in Italia il metodo democratico ora funziona benissimo, nel senso che è l’Assemblea che forma il Governo, e che non sono forze estranee all’Assemblea quelle che possono determinare questa formazione o possono non determinarla. E il giuoco della democrazia consiste proprio in questo: che in determinate condizioni si formano certi governi che rispondono a quelle condizioni; e compete alla rappresentanza del popolo il diritto di dire se la combinazione realizzata sia quella che consente di ottenere i risultati che, in quel dato momento ed in quelle determinate circostanze, corrispondono al massimo vantaggio per il Paese.

Questo ho voluto dire, perché quando quattro mesi or sono io avanzai qualche riserva su questo punto, in una cortese, personale polemica coll’onorevole Togliatti, egli mi assicurò che, contrariamente a quello che io avrei potuto credere, il pensiero del suo partito rispondeva invece alla logica e al rispetto delle regole del giuoco parlamentare; ed oggi devo lealmente riconoscere che questa logica e questo rispetto del giuoco parlamentare da parte dell’onorevole Togliatti e dei suoi amici ci sono stati, tanto che noi siamo qui oggi a discutere sulle comunicazioni di un Governo in cui i socialisti e i comunisti non ci sono,

Perché non ci sono? È curioso che degli oratori che fin qui hanno parlato – e sono pochini, in verità – qualcuno si sia occupato soltanto di problemi tecnici, mentre nessuno – tolto l’onorevole Labriola, con il suo brillante intervento di questa mattina – ha affrontato la questione politica. Ma la questione politica c’è. E se volete una prova che ci sia una questione politica, e non soltanto una questione tecnica, la trovate proprio nel fatto che io, 46° nel turno degli oratori iscritti, sono il quinto o il sesto a parlare.

Da che cosa deriva lo sfaldamento di coloro che avevano avuto fretta di iscriversi, e che ora sentono di non poter parlare? È evidentemente una manifestazione della crisi che c’è stata; io potrei anche dire: è una manifestazione della crisi che forse c’è ancora; di una crisi che investe non soltanto il Governo nei suoi rapporti con l’Assemblea, ma anche l’Assemblea nei suoi rapporti con se stessa, come creatura vitale, di cui la vita non si sa ancora di quanto tempo debba essere prorogata. Le due questioni – Governo e proroga dei poteri –, che sembrano completamente staccate, sono invece, nella realtà della vita politica, strettamente collegate; è potrebbe darsi che dalla soluzione dell’una dipenda anche la soluzione dell’altra, cioè a dire, potrebbe darsi che ad una certa data di proroga dell’Assemblea corrisponda un certo voto rispetto al Governo, e che ad un’altra data risponda un altro voto. Scusate se io dico nell’aula cose che ci andiamo ripetendo solo nei corridoi; ma la realtà è questa, e il Paese non capirebbe perché, mentre noi tutti abbiamo fretta di arrivare in fondo, e rapidamente, nei nostri lavori, non si trova nessuno che sia disposto a parlare sulle comunicazioni del Governo; non si trova nessuno che sia disposto a parlare sui banchi dai quali dovrebbero venire le critiche, critiche di opposizione netta al programma governativo, o critiche di collaborazione fattiva per coloro i quali giudicano che, pur non potendosi dare illimitatamente una fiducia al Governo, gli si possa dare una fiducia per un tempo limitato.

Questa mattina il collega Labriola ci ha presentato due De Gasperi ed ha fatto un brillante giuoco di parole per dire che se noi votiamo contro il De Gasperi di oggi votiamo a favore del De Gasperi di ieri, e che se invece votiamo a favore del De Gasperi di oggi votiamo contro il De Gasperi di ieri. È una realtà quella alla quale Labriola, col suo ingegno brillante, è arrivato, e ce l’ha fatta toccar con mano. Soltanto, egli è arrivato ad una conclusione che a mio giudizio deve essere integrata, perché egli ha detto che, votando oggi a favore o contro, in ogni caso si vota contro De Gasperi. Ora io, servendomi della stessa argomentazione sua, dico che votando a favore o contro, si vota a favore di De Gasperi.

Non credo d’altra parte che l’onorevole De Gasperi non si renda conto della situazione particolarmente difficile nella quale è stato posto dal giuoco delle circostanze politiche, che lo hanno obbligato a presentarsi a questa Assemblea con questa composizione ministeriale.

In sostanza, noi avevamo una situazione che fino al gennaio era impostata sul tripartito, cioè a dire era impostata su un accordo politico fra il più forte dei partiti dell’Assemblea e una combinazione dei due più forti partiti di sinistra, stretti da un patto di unità d’azione. Evidentemente fra il blocco dei due partiti di sinistra e il partito della democrazia cristiana una certa differenza c’è.

Un giorno l’onorevole Togliatti, in un suo discorso alquanto dialettico, ci volle far credere che questa differenza non vi fosse perché arrivò alla conclusione che, in sostanza, fra l’estrema sinistra social-comunista e la democrazia cristiana vi era una identità quasi assoluta di programma. Ammetteva anche lui che vi fossero delle piccole differenze; e consentitemi allora di ricordare un vecchio episodio che si è ripetuto recentemente alla Costituente francese, allorché un deputato, sostenendo l’uguaglianza – che noi abbiamo affermato – dei diritti delle donne nei confronti degli uomini, diceva che, tutto sommato, fra un uomo ed una donna non c’è che una piccola differenza. Allora un altro deputato gli gridò: Evviva quella piccola differenza!

Voci a sinistra. È vecchia!

CORBINO. Ora, consentitemi di dirvi che, se anche in questa questione fra l’estrema sinistra e il gruppo democristiano ci sarà una differenza molto piccola, io per conto mio dico: Evviva questa differenza molto piccola! Dico «Viva» perché proprio da questa differenza è nata la crisi del gennaio, del Governo retto sul tripartito, crisi ingerita poi dallo stesso onorevole De Gasperi per necessità di cose, perché probabilmente la situazione economica e finanziaria non era ancora arrivata a quel punto da rendere inevitabile quel processo di chiarificazione che si è verificato dopo e che sta alla base della crisi odierna, la quale è nell’Assemblea il riflesso della crisi che è nel Paese.

E badate che il riflesso della crisi che è nel Paese non è da cercare nei settori di estrema sinistra, il settore cioè del Partito Comunista e del Partito Socialista, chiamiamolo così, nenniano; ma è da cercare negli altri due settori della sinistra. La crisi che travaglia gli spiriti in Italia è la crisi che travaglia quei due settori i quali sono quindi, senza volerlo, probabilmente anzi desiderando il contrario, sono i veri responsabili del marasma attuale dal punto di vista governativo. Perché essi non si sanno decidere se andare da una parte o dall’altra, e si sono messi lì, in mezzo, quasi a rendere impossibile qualsiasi seria combinazione ministeriale. Questa è la realtà politica dell’Italia in questo momento, una realtà politica che si è vista attraverso il travaglio di questa lunghissima crisi, che non ha fatto gran danno al Paese durante la sua lunga durata, perché, come ho già detto altre volte, durante le crisi il Paese sta bene, dato che il Governo non c’è, e quindi non può fare né del bene né del male. (Si ride Commenti).

Ma il travaglio della crisi, che è grave anche se lascia i cittadini tranquilli dal punto di vista economico e materiale, infligge alle loro menti un tormento continuo, perché ciascuno di essi si domanda: perché non possiamo avere un governo che ci governi? Perché ci sono tutte queste difficoltà? Da che cosa nascono?

Noi abbiamo avuto una fase – come dire – non perfettamente nota della crisi; la fase di primo germoglio che è stata una specie di sandwich, quella delle prime comunicazioni per radio del Presidente del Consiglio. Contrariamente a quello che qualcuno temeva, l’annunzio della crisi determinò subito un senso di apaisement nella tensione monetaria, soprattutto nella tensione dei cambi. Mi permetto ricordarvi che qualche giorno prima dell’annunzio ufficiale delle dimissioni di De Gasperi, o perlomeno, della certezza che ci sarebbe stato l’annuncio ufficiale, il cambio del dollaro di esportazione aveva toccato in qualche istante le 1015 lire. Bastò l’annuncio della certezza delle dimissioni perché il cambio declinasse; e successivamente si sono avute delle oscillazioni che sono state in istretta correlazione con le vicende della crisi. Se noi potessimo trasformare in dati statisticamente valutabili gli elementi imponderabili che giuocarono nella crisi, e li sviluppassimo in diagrammi, noi troveremmo una strettissima correlazione fra il diagramma delle probabilità della soluzione della crisi in un senso o nell’altro, e il diagramma del corso dei cambi, sia per i cambi di esportazione, sia per le quotazioni del mercato nero.

La crisi ha avuto parlamentarmente uno svolgimento logico. Partita dal presupposto del fallimento del tripartito, non poteva essere risolta in un primo tempo che col tentativo di una concentrazione generale di tutti i partiti, che naturalmente doveva essere affidata alle mani di un indipendente.

Ecco l’origine del tentativo di Nitti. Io avrei desiderato parlare dopo l’onorevole Nitti per il legittimo desiderio di sentire da lui le ragioni per le quali non è riuscito a fare il Ministero. In fondo un elemento positivo egli l’avrebbe avuto a suo vantaggio; perché, per fare il Ministero, Nitti avrebbe dovuto avere Nitti al Governo, e quindi si assicurava che Nitti non fosse all’opposizione: il che rappresentava un forte elemento di successo. Ma evidentemente ciò non deve essere bastato all’onorevole Nitti, e quindi ci devono essere delle altre ragioni che noi gradiremmo sapere. Probabilmente è tutto il Paese che gradirebbe di sapere tutto quello che forma il retroscena dell’ultima crisi, tutto quello che è accaduto nei corridoi, nei colloqui, e di cui il Paese ha sentito soltanto qualche pallido riflesso attraverso quelle dichiarazioni fatte alla radio, che avevano il carattere della trappola a coloro che dovevano andare alle consultazioni del Capo dello Stato. Dichiarazioni piene di riserve, piene di se, di ma, «è possibile», «non è possibile». La gente non ha capito niente, ha capito soltanto che l’onorevole Nitti non ha potuto fare il suo Ministero, ma le ragioni per le quali la concentrazione nittiana è fallita non sono del tutto note. Ce ne può essere una che cade interamente sotto la nostra responsabilità; può essere stata la dichiarazione del gruppo parlamentare liberale di non voler aderire ad una concentrazione cosidetta di unione nazionale per il convincimento che il gruppo parlamentare aveva una unione nazionale che in questo momento non risponde ai veri interessi del Paese. Di questa presa di posizione netta del mio gruppo parlamentare, come Presidente del gruppo, assumo tutta la responsabilità; anche; se fosse questa la sola ragione, potrebbe darsi che la mancata composizione del Ministero di unione nazionale sia esclusivamente dovuta a noi. Per il chiarimento che è necessario nell’attuale situazione politica sia ben noto che la nostra posizione non cambierà nella eventualità in cui oggi, domani, fra alcuni mesi la situazione si dovesse ripresentare. È bene, a mio giudizio, che i gruppi assumano atteggiamenti netti, e ciascuno di noi assuma la piena responsabilità dei propri atti.

Abbiamo avuto dopo il tentativo Orlando, rispetto al quale le ragioni del mancato successo potrebbero essere identiche a quelle che portarono al fallimento del tentativo Nitti, con qualche cosa in più, cioè a dire la difficoltà soggettiva per Nitti di aderire ad una combinazione Orlando, quando egli non era riuscito con lo stesso gruppo parlamentare a farne una a nome proprio. Comunque anche il tentativo Orlando è fallito, e così si è chiusa quella che si può chiamare la prima fase della crisi, dopo della quale costituzionalmente sono ricominciate le consultazioni.

Logicamente si doveva partire da una soluzione che fosse affidata ai gruppi parlamentarmente più forti nell’Assemblea. Era la soluzione costituzionale, la soluzione logica e poiché il gruppo più forte, quello della democrazia cristiana, aveva accettato di assumere la responsabilità della direzione del nuovo governo, automaticamente la direzione del nuovo governo doveva andare all’onorevole De Gasperi. Non credo che sia fondata la critica mossa stamani dall’onorevole Labriola all’onorevole De Gasperi, perché la democrazia cristiana, assumendo, come ha assunto, la responsabilità della direzione del Governo, non poteva designare altro uomo che l’onorevole De Gasperi; se avesse designato una qualsiasi altra persona, esso avrebbe dato all’onorevole De Gasperi una sconfessione, che avrebbe colpito non soltanto l’individuo, ma il suo partito perché nei riguardi politici, se vi sono delle responsabilità, esse vanno dall’uomo al suo gruppo.

Io parlo forse superando i confini della finzione comunemente usata nell’aula. Ma io credo che sia bene parlare con franchezza e che il Paese conosca gli elementi veri, che stanno dietro le quinte, quando le crisi si risolvono, e che sovratutto il Paese impari la tecnica della soluzione delle crisi; perché noi, purtroppo, ce ne siamo dimenticati. Venticinque anni fa avevamo tutti una notevole esperienza in questa materia, perché avevamo un parlamento che funzionava, e le crisi anche allora erano molto frequenti. Ma ora, dopo 25 anni, chi ricorda più che vi sono consuetudini da rispettare, norme parlamentari da tenere presenti, e limitazioni nella cosidetta libertà di movimento dei gruppi e degli uomini? Bisogna che il Paese conosca le ragioni per le quali certe cose si risolvono in un determinato modo e non in un altro; e che, anche nell’apparente illogicità di alcuni passi o di alcuni compromessi, vi è una logica, che è il derivato della ripresa delle tradizioni parlamentari nel nostro Paese, Andiamo un po’ a scuola tutti. E noi stiamo facendo del nostro meglio, per cercare di ricordare a coloro che queste tradizioni parlamentari ignorano, come si debba fare, quando ci si trovi in situazioni analoghe.

L’onorevole De Gasperi, evidentemente, non poteva risolvere la crisi nella maniera in cui non erano riusciti a risolverla né l’onorevole Nitti, né l’onorevole Orlando. Egli doveva tentare un’altra soluzione: non certo la soluzione del tripartito, perché egli aveva provocata la crisi proprio per uscire dal tripartito; e sarebbe stato illogico che anche questa volta vi ritornasse. Quindi, egli doveva tentare di realizzare una combinazione ministeriale, che non desse solo alla democrazia cristiana la responsabilità, sia della direzione che della condotta della politica del Governo, ma chiamasse nella corresponsabilità anche altri gruppi dell’Assemblea. Ed è qui che il tentativo dell’onorevole De Gasperi è fallito; è fallito perché, per i riflessi di quella crisi del Paese, che si ripercuote sui banchi dell’Assemblea, da parte dei gruppi di sinistra non si è creduto possibile di aderire all’invito del Presidente del Consiglio. Non voglio indagarne le ragioni, perché non le conosco; avrei desiderato che qualcuno le dicesse; vorrei che qualcuno le dicesse, ora che da questa parte ne viene fatta anche formale richiesta. Ma io voglio ammettere che ci sia stata soltanto la preoccupazione di non creare una situazione stabile, nel senso che potesse compromettere per lungo periodo di tempo la possibilità di formazioni di governo su basi più larghe, sia pure escludendo eventuali gruppi che ora, invece, sono entrati nella combinazione.

L’onorevole Foa ha accennato a qualcosa; ha parlato di una offerta che era stata fatta dai partiti di sinistra per risolvere il problema economico e finanziario secondo una certa formula. Evidentemente, il fatto che l’onorevole De Gasperi non ha accettato la soluzione proposta dimostra che nella offerta vi era qualcosa che per lui non era accettabile. (Ilarità).

L’onorevole De Gasperi ha detto che per non determinare polemiche, egli ha preferito glisser su questa parte; io vi confesso, con la cordiale devozione che ho per lui, che avrei preferito che qualche cosa egli avesse detto su questo punto, e cioè che l’impostazione delle ragioni politiche della formazione dell’attuale Governo, pur senza carattere polemico, venisse dal Governo. E forse a questa mancata impostazione è dovuta la situazione di incertezza, che spiega il motivo per cui io parlo oggi, mentre non avrei dovuto parlare. Ma andiamo allo svolgimento logico dei fatti. Una volta fallita la coalizione delle sinistre, che cosa restava all’onorevole De Gasperi da fare? O rinunciare all’incarico, la qual cosa poteva creare una situazione piuttosto grave per il Paese, o, per lo meno, avrebbe potuto fare prolungare la crisi ancora per molto tempo, o assumere, come leader del partito più forte dell’Assemblea, la responsabilità di presentarsi con un Ministero prevalentemente formato da uomini del suo partito, ed al quale egli ha creduto di aggregare dei tecnici, e presentarsi all’Assemblea con una formazione politica, rispetto alla quale, egli dice all’Assemblea: questo è il meglio che io potevo fare; se voi credete che ci sia una soluzione migliore, datemi un voto che sia il risultato di questo vostro convincimento e vuol dire che poi io mi regolerò come crederò di regolarmi nella mia funzione di Capo del Governo; il mio gruppo si regolerà in conseguenza; il Capo dello Stato tirerà le conseguenze che deve tirare, nel caso che si debba aprire una nuova crisi o si possa fare andare avanti il Governo, se il Governo avrà la fiducia della maggioranza.

Dunque, come voi vedete, siamo sul terreno perfettamente democratico, siamo sul terreno del più rispettoso ossequio alle leggi della democrazia. Dipende da noi, rappresentanti della sovranità popolare, prendere le nostre decisioni, assumere la nostra responsabilità e dare il voto che corrisponde a quelle decisioni e a quella responsabilità.

Consentitemi, adesso, che io faccia un altro passo avanti ed esamini un po’ il programma del Governo. Non ripeterò le argomentazioni fatte dall’onorevole Ruini nel suo discorso di ieri, né, me lo consentirete, posso associarmi alle riserve dell’onorevole Bertone, che sono spiegabilissime per la sua situazione personale, in quanto egli aveva una particolare situazione da difendere e da sostenere, ma che, a mio giudizio, non sarebbe opportuno che il Governo accogliesse come elemento del suo programma, senza voler aprire polemiche che ormai si devono considerare chiuse.

Il programma del Governo – l’onorevole De Gasperi me lo consenta – presenta qualche contradizione con la sua composizione, contradizione che è il risultato della crisi della quale ho parlato dianzi. L’onorevole De Gasperi ha detto: «Io seguirò le linee del precedente Gabinetto, mantengo le leggi che sono già state votate, mi propongo di applicare le altre che ancora non sono state votate», come a dire alle sinistre: «State tranquilli che, in fondo, noi faremo un po’ quello che voi desiderate che si facesse». (Rumori).

PAJETTA GIANCARLO. Non siamo degli ingenui.

DUGONI. Onorevole Corbino, se ci credesse, lei non voterebbe per il Governo.

CORBINO. Non c’è nessun obbligo che noi ci crediamo. (Ilarità). Dunque anche voi potete non crederci, tanto è vero che io immagino che se voi ci credeste e foste logici, dovreste votare a favore. Siccome votate contro, vuol dire che non ci credete.

DUGONI. Bravo, d’accordo.

CORBINO. Dunque la questione è diversa; non è questione di credere o di non credere, questo è l’errore. L’errore è che noi siamo convinti che abbiamo la possibilità di scegliere, di maniera che, rispetto ai fatti, sia possibile. credere o no. Questo è un errore. Ci sono determinate condizioni della vita del Paese… (Interruzioni).

LACONI. Questo non c’entra.

CORBINO. Onorevole Laconi, io parlo oggi, pur essendo il quarantaseiesimo, perché quaranta oratori prima di me, e qualcuno pure del suo gruppo, non hanno voluto parlare.

Voi sapete con quale spirito di cordialità noi abbiamo sempre collaborato quando siamo stati insieme al Governo; credo che possiamo collaborare anche da oppositori con la stessa cordialità. Ecco perché io dico che qui non è questione di credere o di non credere. C’è un binario obbligato per la condotta politica in materia economico-finanziaria del Governo, un binario obbligato che deve essere seguito sia che ci si creda sia che non ci si creda, ed è questa la ragione per la quale il tripartito è venuto meno, perché il tripartito seguiva il cammino su due linee divergenti, ed ora è arrivato il momento in cui si è dovuto scegliere. Ora la linea che ha scelto l’onorevole De Gasperi è quella che a mio giudizio corrisponde grosso modo alle necessità. Io potrei anche avere dei dissensi sul suo programma concreto. Potrei averne, per esempio, per dirvene una, in materia di imposta patrimoniale, che applicherei per ora solo per i patrimoni al di sopra dei 20 milioni per farla rendere subito, perché, così com’è, ci vorranno parecchi anni prima che essa dia qualche cosa. Manterrei tutte le altre imposte, perché sono convinto che le altre imposte vanno mantenute. Ci si deve mettere in testa che chi ha, deve pagare, e su questo punto non dobbiamo lasciare nessun dubbio; e se qualcuno credesse che noi, da parte nostra, lasciamo dei dubbi, vi assicuro che non ho la più piccola intenzione di far credere a chicchessia che da parte nostra si voglia una politica finanziaria concepita in maniera da non consentire alla Finanza di riprendersi rapidissimamente. (Applausi al centro e a destra).

Ma vi sono certi elementi e certe cose che rispondono alla necessità, dato che gli uomini operano di regola con un criterio economico individuale. Gli uomini vanno collettivamente ai comizi, vanno collettivamente alla Messa, collettivamente vanno al teatro od al cinematografo, si riuniscono in collettività, ma sul settore economico ciascun uomo opera per conto proprio, guardando alla propria tasca, contando i quattrini di cui dispone ed ha un solo desiderio: di utilizzarli nel modo che a suo giudizio ritiene il migliore possibile. Potete creare tutte le leggi di questo mondo e potete mobilitare tutte le polizie che vorrete: non riuscirete mai ad impedire ad ogni uomo di seguire il principio edonistico.

Ora, cosa era accaduto da noi? Questo è l’aspetto più preoccupante al quale bisogna subito far fronte: era accaduto che la gente – a torto od a ragione – si era messa in testa che la lira se ne sarebbe andata. E quindi ciascuno si regolava partendo da questo presupposto: che il denaro si doveva spendere perché cento lire di oggi sarebbero state equivalenti a 102 di domani, a 110 tra un mese. Ma c’era un altro elemento importante e cioè che la gente non aveva più nessuna voglia (e purtroppo non credo che la situazione sia del tutto mutata oggi) di risparmiare e di far sacrifici: nessuno, in ogni categoria sociale, vuole fare dei sacrifici al di fuori di quelli che gli sono imposti dall’ambiente in cui vive. E sapete perché? Perché la massima parte di coloro che risparmiano, risparmiano lira a lira, e questo risparmio investono non certo comprando palazzi o comprando terreni, o comprando oro (perché per comprare un solo grammo di oro ci vogliono ben 1.100 lire, e c’è in Italia solo una ristrettissima categoria di persone che in un mese possa, ad esempio, comprare pochi grammi di oro). Il risparmio è fatto goccia a goccia, ma quando ciascuno di noi vede che il risparmiare serve soltanto per far liquidare il risparmio, ognuno si domanda: Perché debbo sacrificare i miei figli? Perché debbo impedire a mia moglie di avere un vestito elegante e perché mi debbo privare la sera del cinematografo e del teatro? Per mettere da parte 200, 500, mille lire che domani lo Stato mi farà diventare 200, 500, mille centesimi?! E tutti ci siamo dati alla pazza gioia! (Ilarità a sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. I lavoratori no!

CORBINO. Tutti; potete esserne tranquilli.

Una voce a sinistra. La gente ha fame.

CORBINO. Ma c’è dell’altro. Chiunque abbia delle merci se le tiene, perché dice: «Ma, se io cedo merce, che cosa mi danno? Mi danno lire, mi danno i biglietti Corbino (come chiamano i biglietti da cinque e dieci mila lire); che me ne farò domani?». E così i contadini comperano bestiame, tengono il grano per l’anno successivo, salvo a vender dopo il vecchio e nascondere il nuovo; chi aveva olio o vino li conserva. Una massa enorme di merci sono così giacenti, inerti; merci che costituiscono il vero risparmio liquido che si dovrebbe mobilitare per trasformarlo in impieghi produttivi. Questo è il vero risparmio liquido, e non quello formato dai biglietti di banca, perché se i biglietti di banca lo fossero, noi avremmo risolto il problema di aumentare il nostro risparmio: basterebbe che sia nella forma ufficiale, sia nelle forme private, il Poligrafico lavorasse a piena andatura. (Applausi a destra).

Bisogna dare uno choc al popolo italiano e bisogna dirgli: «Signori, da oggi si cambia strada: o sarà un Governo di sinistra che vi farà cambiare strada e vi farà rigare, oppure sarà un Governo di destra o di centro». Ma l’importante è che ci sia qualcuno che sul terreno del risparmio, sul terreno della sicurezza per l’avvenire dell’unità monetaria dia al Paese la tranquillità che tutti desiderano.

Io non intendo pretendere per il gruppo piccolissimo al quale appartengo o per il gruppo maggiore col quale in questo momento siamo sul terreno parlamentare legati, non intendo chiedere il monopolio della difesa della moneta. Se lo volete voi (Indica la sinistra), fatevi la vostra maggioranza, e noi saremo lietissimi di vedere che cosa saprete fare. Il problema consiste in questo: vedere se questa combinazione sia più o meno efficace della combinazione che potreste realizzare voi. Noi potremmo anche fare l’esperimento, ma vi è un elemento che fa supporre che la prova non andrebbe bene. E ve lo dico subito. In sostanza, voi siete stati nelle combinazioni ministeriali fino a poco tempo fa, perché la combinazione del tripartito è caduta di fatto il 28 aprile, anche se ufficialmente è caduta poco dopo. Che cosa era accaduto prima di questo periodo? Voi lo avete visto: prima i corsi delle azioni sono enormemente cresciuti come i corsi dei cambi, sia di esportazione, che del mercato nero. Anzi, si è verificato un fenomeno curiosissimo, e cioè mentre fino al settembre dell’anno scorso il cambio di esportazione era al di sotto del cambio del mercato nero, a partire dal gennaio di quest’anno il cambio di esportazione è andato al di sopra del cambio del mercato nero. Che cosa vuol dire questo?

Vuol dire che gli esportatori, avendo la preoccupazione di quello che potrebbe accadere, siccome sono autorizzati a conservare i cambi di esportazione per un certo limite di tempo, li trattengono, di maniera che si verifica la rarefazione dell’offerta di cambi, mentre tutti coloro che devono comprare, appunto perché temono che il cambio di esportazione possa aumentare, domandano oggi di comprare al cambio di esportazione attuale. E allora accade per i cambi quello che accade per tutte le altre cose: quando l’offerta si contrae, la domanda aumenta ed il prezzo aumenta fatalmente.

Cosa è accaduto dopo? È venuta la crisi e i cambi sono andati giù; si è costituito il Ministero, e i cambi sono andati in giù. Il Ministero ha annunciato il suo programma di ristabilire il controllo sul credito, e quegli speculatori dei quali ha parlato l’onorevole Ruini, debbono avere avuto una giornata molto brutta, ed un’altra ne avranno anche oggi. Questa è la sola maniera di tagliare la testa alla speculazione! Quando il Governo fa una politica sana gli speculatori perdono, e questo è il pericolo più grave che io vedo nella permanenza al Governo degli uomini che vi sono oggi. Perché da voi, colleghi dell’estrema sinistra, che avete così nobilmente accettato il giuoco democratico – ed io ve ne ringrazio in nome del Paese, perché noi abbiamo dato oggi al mondo l’esempio di una Nazione che appena fuori dalla più tremenda delle tragedie è riuscita a ricostruire la sua ossatura parlamentare e democratica al cento per cento…

SCOCCIMARRO. Lei non doveva nemmeno dubitarne! (Applausi a destra Commenti all’estrema sinistra).

CORBINO. Ma, gli attacchi a quel Governo, a quegli uomini, non li aspetto da voi perché, a lungo andare, anche voi vi convincerete che, sia pure temporaneamente, per voi, per sei mesi, per un anno o più, una politica di questo genere, che faccia aumentare il potere di acquisto del salario e degli stipendi degli impiegati e degli operai, è la vera politica a favore delle classi lavoratrici! (Applausi al centro e a destra).

Le difficoltà e i pericoli io li pavento da un altro lato: me li attendo da quella categoria di speculatori che giuocano al rialzo. Questi sono la vera fonte dei pericoli per questo o per qualsiasi altro Governo che volesse fare una politica di risanamento.

BARONTINI ILIO. Noi li metteremo a posto, onorevole Corbino; ed è quello che non farete voi.

CORBINO. Io qui entro in una questione che è contemporaneamente politica e tecnica; intendo riferirmi un po’ alle dichiarazioni del Governo in cui si accenna alla circolazione cartacea, per applicare in parte le argomentazioni che ha svolto l’onorevole Bertone con le cifre da lui enunciate. Noi non dobbiamo aspettare e far sì che la circolazione debba aumentare di tanto di quanto sono aumentati i prezzi. No, nel circolo vizioso dei cambi, dei prezzi e della circolazione, la circolazione viene spesso penultima; ma noi non dobbiamo far sì che essa segua gli altri due, perché, se la circolazione seguirà gli altri due, automaticamente, in un secondo tempo, noi avremo un rialzo dei prezzi e dei cambi.

Quindi, niente politica deflazionista nel senso tecnico della parola; ma niente emissioni ulteriori di carta-moneta, per qualsiasi ragione, anche per ragioni commerciali.

Io sarei lietissimo se il Ministro del bilancio presentasse all’Assemblea Costituente una legge che bloccasse la circolazione della Banca d’Italia, alla cifra che ha in questo momento.

SCOCCIMARRO. Sarebbe un grande errore, teorico e pratico!

CORBINO. Non sarebbe un errore (Commenti Rumori a sinistra).

SCOCCIMARRO. Sì, proprio così.

CORBINO. Vogliate perdonarmi se ricorro ad un esempio tecnico, ma calza benissimo con la situazione attuale: nel 1893 vi erano sei Banche di emissione e tutte e sei avevano una circolazione eccedente i limiti legali, con un corso di biglietti convertibili, in diritto, ma a corso forzoso di fatto. Si creò la Banca d’Italia e la creazione della Banca d’Italia avvenne con una legge bancaria preparata da un uomo, Giovanni Gioliti, che delle banche non si era mai occupato da tecnico; tuttavia quella legge è una delle migliori leggi bancarie che siano mai state fatte nel mondo.

Questa legge, per una volta tanto, riconobbe la circolazione eccedente, però ne vietò di fatto l’ulteriore espansione, ricostituendo la convertibilità non in oro, ma in biglietti di Stato, dei quali fu vietata l’ulteriore emissione. L’emissione dei biglietti di Stato fu fissata in 499 milioni e la Banca d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia dovevano tenere a copertura della loro circolazione i biglietti di Stato, oppure oro nella misura del 40 per cento.

Che cosa accadde? La circolazione non aumentò; ma gradualmente, mano a mano che i prezzi sugli altri mercati salivano, essi si adeguarono ai prezzi italiani e la circolazione rimase ferma fino a quando si costituì una bilancia dei pagamenti tale, che la Banca d’Italia poté valersi della possibilità di emettere biglietti in circolazione con copertura del 100 per cento in oro.

Ora, noi oggi potremmo fare la stessa cosa: annullare la circolazione per conto dello Stato, come debito fra la Banca d’Italia e il Tesoro, e garantirla con dei buoni del Tesoro infruttiferi, e fare che la circolazione diventi soltanto circolazione per conto del commercio, non aumentabile, se non con piena copertura metallica, perché i buoni del Tesoro, in quel tipo, non dovrebbero essere ulteriormente aumentabili. Voi potete essere sicuri che in tal modo in breve tempo noi ci metteremmo a posto.

Occorre rilevare che questo fatto porterebbe subito ad una politica deflazionista nei riguardi della velocità di circolazione, ma bisogna che i nostri produttori ed i nostri commercianti si mettano in testa che, a qualsiasi punto si spinga la svalutazione, ad un certo momento la politica deflazionista avverrà sempre automaticamente, perché, non appena effettuata una stabilizzazione monetaria, in quelle stesso istante si sgonfia il dato relativo alla velocità di circolazione e la deflazione diventa una cosa assolutamente inevitabile. Io non sono, onorevole Scoccimarro, del parere che si debba restare fermi su una quota di stabilizzazione che porrebbe non corrispondere alle esigenze dell’economia nazionale: siamo d’accordo. Io dico questo: obblighiamo i produttori, i commercianti, gli intermediari a subire il torchio della prima fase di deflazione; che essi facciano tutto quello che è in loro potere per ridurre i costi e quindi per ridurre le scorte, facendo diminuire i prezzi; dopo, quando si dovesse ulteriormente deflazionare per incidere sui redditi reali degli operai, allora, a quel momento potremo riesaminare la situazione.

Ma noi siamo ancora lontani da questa fase perché, negli ultimi tre mesi, il corso del dollaro di esportazione – dico il dollaro per citare una moneta tipo – è salito molto di sopra di quello che non corrisponda al livello dei prezzi. E noi dobbiamo oggi rapidamente riportare il corso del dollaro alla sua quota, diciamo così, normale, per non dare giustificazione degli ulteriori aumenti dei prezzi che sarebbero la conseguenza di una perpetuazione della politica inflazionistica.

Ora, i ceti che sono interessati in questo senso sono poco numerosi, ma sono potenti. Sì, voi avete detto, onorevole Scoccimarro, che li metterete a posto.

SCOCCIMARRO. Ce ne siamo accorti anche noi.

CORBINO. Sì, me ne sono accorto anch’io sette mesi fa, perché io me ne sono andato più per quelle pressioni che non per le vostre.

Essi hanno un’influenza decisiva nel Paese e noi dobbiamo impedire che essi agiscano a scapito degli interessi della Nazione. Su questo punto stia tranquillo l’onorevole Scoccimarro, che potremo procedere di comune accordo più strettamente di quello che non si creda, perché, verso questi ceti che sono costituiti da coloro che vogliono speculare sulle disgrazie del Paese, noi siamo animati dalla ferma intenzione di combattere, molto più di quanto non siate animati voi.

SCOCCIMARRO. E intanto mandate via dal Governo quelli che vogliono collaborare. (Commenti).

CORBINO. Già, ma anche voi avete mandato via me otto mesi fa. (Applausi a destra).

Ma c’è un altro punto; ed è forse questo un punto un po’ più delicato di quelli già accennati, soprattutto in relazione ad alcune osservazioni fatte questa mattina dall’onorevole Labriola. Onorevole Presidente, non so se ci siano dei limiti di tempo: mi scusi se li avessi già sorpassati.

PRESIDENTE. No, no.

CORBINO. È il punto dei nostri rapporti economici con l’estero. Dico rapporti economici, perché non concepisco che possano esservi rapporti con l’estero interessanti e di altra natura; io non posso infatti ammettere neppure lontanamente l’idea che si possa formare iri Italia, nelle condizioni attuali del Paese, un Governo il quale sia un Governo piacevole per Tizio o per Caio, chiamando Tizio o Caio qualcuno dei gruppi di potenze straniere. Ciò non è ammissibile; noi non abbiamo purtroppo oggi la possibilità di fare una politica estera autonoma, indipendente; non abbiamo i mezzi per farla. Ma per quello che concerne la nostra vita interna, noi reclamiamo come nostro diritto imprescrittibile quello di regolarle come vogliamo noi: se ci vogliamo abbracciare o ci vogliamo prendere a pugni, è cosa che riguarda noi; gli altri se ne stiano a casa loro.

Non si può nemmeno fare un collegamento fra politica generale e politica economica, anche nei riguardi dei prestiti che il nostro Paese deve avere. Io lo escludo per una ragione molto elementare. Prestiti finora ci sono stati fatti dagli Stati Uniti d’America. Ora, non credo che gli Stati Uniti d’America abbiano proprio una gran voglia di occuparsi delle cose interne nostre. C’è un elemento obiettivo che mi pare dovrebbe troncare qualsiasi discussione su questo punto, ed è questo: gli Stati Uniti hanno ratificato il trattato di pace con l’Italia; essi, quindi, per la parte che li riguarda, hanno rinunziato a tutti i diritti che avrebbero potuto pretendere in applicazione delle clausole del trattato di armistizio. Ora, se essi veramente avessero voluto conservare un controllo sulle nostre cose interne, sarebbe bastato non ratificare il trattato e tenere le loro truppe qui in permanenza. E noi che cosa avremmo potuto dire?

MAFFI. Non faccia l’ingenuo!

CORBINO. No, non significa fare l’ingenuo; questa non è ingenuità, onorevole Maffi; questa è osservazione concreta, è osservazione reale. Vi è appunto una clausola del trattato che prescrive che dentro novanta giorni dalla ratifica le truppe alleate dovranno sgomberare l’Italia. Ora, per interventi nelle faccende interne, io non credo che noi dovremo, che noi potremo temere degli sbarchi ulteriori di truppe americane in Italia. Vi possono essere – e vi sono, forse – degli altri timori, da altre parti; ma sono le parti dalle quali non c’è nessuna possibilità di avere prestiti. (Ilarità Approvazioni al centro).

Quindi il problema per me è un problema di carattere esclusivamente economico; problema economico che si imposta in termini molto elementari. Mi duole che, avendo dovuto parlare improvvisamente, non ho portato con me nulla dei dati che avevo raccolto nelle ultime ventiquattr’ore; ma qualche dato credo che si possa dire così a memoria, a orecchio. Sbaglierò di cinquanta milioni di dollari in più o in meno, la cosa non importa. Dunque, dal 1943 noi abbiamo avuto dagli Stati Uniti di America e dall’Inghilterra aiuti, sia sotto forma diretta che sotto forma indiretta, che forse non è esagerato valutare intorno a 2500 miliardi di dollari, dei quali un miliardo e mezzo provenienti dagli Stati Uniti e circa un miliardo – forse un poco meno – provenienti dalla Gran Bretagna. Per quelli della Gran Bretagna vi sono in corrispettivo le spese di occupazione dell’esercito britannico in Italia, che sono – lo rilevava anche l’altro ieri l’onorevole Ruini – abbastanza ingenti. E il regolamento ultimo, effettuato fra una nostra delegazione e il Cancelliere dello Scacchiere britannico, ha stabilito una specie di transazione: abbandono dell’Italia delle rivendicazioni concernenti le spese di occupazione, ed una quota di otto milioni di sterline per il surplus inglese che resta nel nostro territorio. Da parte americana vi sono stati invece gli accreditamenti in conto paga truppe, che superano di molto i 200 milioni. Poi, vi sono le spese per la popolazione civile in Italia, ed i soccorsi in conto U.N.R.R.A. Si noti che l’U.N.R.R.A. è proprio una prova della mancanza assoluta di volontà, diciamo così, imperialistica da parte americana; perché, in fondo, che necessità avrebbero avuto gli americani di coprire sotto una insegna internazionale una massa di aiuti di cui essi pagavano l’85 per cento? Hanno preferito poter dire: è un ente internazionale quello che dà. Noi abbiamo avuto 450 milioni di dollari; abbiamo avuto un surplus a credito per 160 milioni di dollari; probabilmente avremo ancora degli accreditamenti per l’opera post U.N.R.R.A. per circa 100 milioni di dollari. Complessivamente in questi quattro anni, da quando sono sbarcati in Italia, gli americani ci hanno fatto dei danni, va bene, ma qualche cosa ci hanno dato. Quel che ci hanno dato ci è bastato per vivere, perché diversamente noi saremmo stati esposti ad una fame sul tipo di quella dalla Grecia, dove la gente è morta di fame per le strade, ma non morta di fame come comunemente si suol dire, ma nel senso che la gente se ne è andata davvero all’altro mondo; perché quando si suol dire che la gente muore di fame quella gente che muore di fame è viva, ma quello era il caso in cui quando si moriva di fame si moriva sul serio! (Si ride). Noi saremmo stati in Italia nelle medesime condizioni. Credete voi che avremmo potuto fare a meno di quegli aiuti?

L’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato delle cifre su quelle che sono le nostre attuali disponibilità in dollari, su quelle che sono le prospettive realizzabili nel prossimo periodo di esportazione, su quelle che sono le nostre necessità.

Mi permetto di aggiungere qualche cosa su quel che concerne le necessità alimentari. Sì, sta bene: razionamento, sia pure diverso e con ammassi contingentati, finché non se ne possa fare a meno. Ma se noi vogliamo risolvere il problema italiano da tutti i punti di vista, dobbiamo avviarci alla abolizione del tesseramento, dobbiamo assicurarci sul mercato mondiale il rifornimento di quelle quantità di grano che occorrono per dare ad ogni cittadino la soddisfazione di mangiare tutto il pane e la pasta che vuole senza ricorrere al mercato nero. (Commenti a sinistra).

Questo deve essere l’obiettivo! Vi sono due difficoltà per raggiungere questo punto: una difficoltà di carattere quantitativo rispetto al grano occorrente. La nostra produzione quest’anno non è abbondante. La divina provvidenza non ci ha molto aiutato. Si vede che in questo non è d’accordo con la democrazia cristiana. (Si ride).

Non arriveremo forse a superare i 45 milioni di grano, sicché avremo bisogno di un minimo di 35 a 40 milioni di quintali. (Commenti).

Bisogna che i nostri rappresentanti negli organismi internazionali di agricoltura affermino questo bisogno assoluto, di ordine fisiologico e politico, del popolo italiano, per portare praticamente all’elevazione della razione attuale così misera di pane. È la sola maniera di stanare tutto il grano imboscato, e di colpire veramente il mercato nero. Non c’è altro mezzo: non ci saranno polizie che siano capaci di fare altrettanto, perché le polizie sono fatte di uomini e non di santi, e gli uomini sono esposti al rischio di peccare, e peccano spesso.

Poi vi è un problema di mezzi finanziari: prima chiedere il quantitativo, e poi procurarsi i mezzi finanziari occorrenti. Al prezzo di undici dollari per quintale si ha un fabbisogno di 440 milioni di dollari soltanto per il grano fino a giugno 1948.

In materia di mezzi di pagamento dovremo poi insistere per avere almeno una dotazione supplementare di carbone di centomila tonnellate al mese in più, perché tanto occorre per dare lavoro tranquillo ad almeno 500 mila dei nostri disoccupati. Ma i mezzi finanziari per questo scopo non ce li possono dare che gli Stati Uniti d’America.

Questo è il problema, e gli Stati Uniti ci dicono: voi potere fare il comodo vostro, e seguire la politica interna, che più vi piaccia. Nel giuoco di influenze fra i due grandi colossi l’Italia rappresenta una pedina importante sì, ma, credete pure, fastidiosa; essi vorrebbero, tanto l’uno che l’altro, acquistare un predominio in Italia, ma si trattengono dall’intervenire a fondo, perché quando vedono le nostre beghe dicono: è meglio che se le risolvano da soli, senza che ci mettiamo le mani noi. È questa la conclusione dell’esperienza che hanno fatto in questi tre anni in cui per nostra disgrazia, e forse, anche per la loro, hanno fatto una politica che noi non abbiamo capito, ma che sembra non abbiano capito nemmeno loro. (Si ride).

Gli americani dicono soltanto questo: mettete la vostra economia su un terreno di praticità e di produttività, e noi vi daremo tutti gli aiuti che vi occorrono. Non si tratta di aiuti che ci occorrono per moltissimo tempo, e non siamo soltanto noi ad averne bisogno. Tutti i paesi di Europa ne hanno bisogno, e gli altri paesi del mondo che possono darlo commetterebbero un errore e un delitto contro se stessi se si rifiutassero di darlo. Finché l’Europa non avrà trovato il suo assetto economico, non troverà nemmeno il suo assetto politico sicché il mondo sarà sempre esposto al rischio di una guerra; e una guerra oggi costerebbe molto, ma molto di più, in un solo mese, di quanto non sarebbe necessario dare ai vari stati d’Europa in cinque anni per rimetterli tutti m condizione di normale funzionamento. Questo è il problema che noi dobbiamo risolvere, un problema in cui la base fondamentale è l’unità di indirizzo. Che sia l’unità di indirizzo da questo lato o dal lato opposto, lo dirà l’Assemblea. È il suo dovere. Ed è nostro diritto per gli impegni che abbiamo assunto verso i nostri elettori, e perché noi dobbiamo pretendere di assolvere il nostro compito di deputati con la coscienza di poter dare ai nostri figli un Paese in condizioni migliori di quelle nelle quali la guerra lo ha dato a noi. (Vivissimi applausi al centro e a destra Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 16.

Nella seduta antimeridiana, alle 10, si riprenderà la discussione del progetto di Costituzione e si inizieranno le votazioni sugli ordini del giorno presentati e svolti nelle precedenti sedute.

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

«Al Ministra dell’interno, sugli incidenti occorsi a Cremona la domenica 8 giugno ultimo scorso in occasione di un’assemblea politica, in conseguenza dei quali il questore di quella città è stato destituito dalla carica.

«Caporali».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se il provvedimento nei confronti del questore di Cremona è stato preso al lume di precisi fatti controllati, o se invece è stato determinato da generiche informazioni, pervenutegli da fonti non completamente serene e disinteressate.

«L’interrogante è in condizione di affermare, dopo un’accurata inchiesta, che il questore di Cremona predispose regolare servizio d’ordine per garantire lo svolgimento del Congresso provinciale del fronte qualunquista.

«Senonché la popolazione di quella laboriosa e pacifica città ravvisando, fra i partecipanti al Congresso in parola, taluni fra i più noti manganellatori, seviziatori, ufficiali di brigate nere e responsabili dell’invio di lavoratori nei campi della morte in Germania, di fronte a tanta provocazione, che coincideva con la giornata commemorativa di Giacomo Matteotti, non potevasi trattenere dal manifestare il suo disprezzo e la sua giusta indignazione.

«Dal sereno esame dei fatti, i quali si riducono a cazzottature e frasi dispregiative, l’interrogante deduce che il questore di Cremona non poteva che impiegare, a tutela dell’ordine, i mezzi normali, rifiutandosi di ricorrere a forme che potevano essere nei desideri di taluni ceti interessati.

«L’interrogante, rendendosi interprete del locale Comitato d’intesa della Repubblica, nel quale tutti i partiti democratici sono rappresentati, invita l’onorevole Ministro al riesame del provvedimento, ritenendolo un incoraggiamento alla riorganizzazione fascista.

«Pressinotti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Nella seduta di domani, il Ministro dell’interno dichiarerà quando intende rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi per i quali – a due anni dalla fine delle ostilità – non si pagano ancora le pensioni alle vedove dei caduti della guerra partigiana.

«Valiani».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere perché la Legazione d’Italia a Berna non vista i contratti di lavoro dei muratori della provincia di Novara al fine di poter entrare in Svizzera.

«La ragione che se ne adduce non regge, cioè che in provincia di Novara vi è minore disoccupazione che nelle altre provincie d’Italia, basandosi sugli elenchi ufficiali dei disoccupati, perché l’emigrazione della suddetta provincia è data quasi tutta da piccoli proprietari, che da generazione a generazione emigrano all’estero e non si sono mai iscritti nelle liste ufficiali della disoccupazione. Si viene così a creare una situazione assurda e intollerabile, in quanto che gli emigranti di cui sopra, vedendosi negati i visti, diventano elementi perturbatori nella zona e gli impresari svizzeri si stancheranno alfine di attendere e cercheranno la mano d’opera in Austria e in Germania, con quale danno per la nostra Nazione è facile immaginare.

«Va tenuto presente dall’onorevole Ministro anche un altro fattore di alta importanza sociale e morale, cioè che essendo le zone sopraddette, zone di confine, il negare la possibilità di lavoro in Svizzera agli operai allarga la triste piaga del contrabbando e di altre attività illegali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zappelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se sia esatto che il Ministero abbia affidato ai Provveditorati agli studi la mansione di corrispondere il premio giornaliero di presenza anche al personale dipendente dalla Università; e se sia realmente accaduto che in qualche sede, essendosi esauriti i fondi a tale uopo inviati dal Ministero nella corresponsione del premio giornaliero di presenza ai dipendenti degli stessi Provveditorati, il personale universitario non abbia ancora ottenuto il versamento di ciò che da oltre un anno gli è dovuto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se creda opportuno promuovere la modificazione degli articoli 112, 113, 117 del testo unico sulla finanza locale, approvato con decreto 14 settembre 1934, tenuto presente quanto segue:

  1. a) che l’articolo 117 del testo unico contiene la grave tautologia con la quale si indicano, per la determinazione dell’agiatezza da colpire, due categorie di elementi, una delle quali è costituita dagli indici dell’agiatezza, definita con questa denominazione: tautologia accoppiata a confusione fra l’oggetto dell’imposta e la sua fonte;
  2. b) che secondo gli articoli 112 e 113 il marito e la moglie, il genitore e i figli, anche se minorenni, sembra debbano essere tassati come famiglie distinte quando abbiano patrimoni distinti, anziché patrimonio unico e indiviso, la quale circostanza quasi mai si verifica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere se ritengano opportuno di promuovere una modificazione al decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, nel senso che all’articolo 2, alle parole: «non si tiene conto della moglie legalmente separata», si aggiunga: «salvo che la separazione sia stata pronunciata per colpa della moglie medesima e che a favore di questa esista liquidazione di assegno alimentare». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se ritengano opportuno promuovere un’aggiunta alle leggi 3 marzo 1938, n. 680 e 25 luglio 1941, n. 934, nel senso di rendere possibile che siano cumulati col servizio prestato presso enti locali precedenti o successivi servizi eventualmente prestati presso privati, con assicurazione presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere il suo intendimento in merito alla lavorazione del risone da parte delle pilerie industriali, che ancora si avvantaggiano dell’anacronistico monopolio della lavorazione, a tutto danno dei medi e piccoli agricoltori, i quali non possono utilizzare i cascami del proprio risone, se non acquistandoli dalle suddette pilerie, spesso adulterati.

«Se non ritiene urgente estendere la deroga, di cui beneficiano gli impianti di pilerie in tenuta, anche ai piccoli e medi proprietari, che si consociano per la esclusiva lavorazione del proprio risone.

«L’estensione della deroga verrebbe incontro ad una legittima aspirazione dei risicultori e favorirebbe l’incremento zootecnico aziendale senza frustrare la disciplina degli ammassi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se sia stata data una destinazione ai fondi raccolti pubblicamente nelle scuole nel 1943 e nel 1944 per onorare la memoria di Carmelo Borg Pisani.

«I promotori della sottoscrizione avevano annunziato che la somma doveva servire a borse di studio per maltesi, che fossero venuti a frequentare l’Accademia di belle arti di Roma.

«Tale fine può e deve essere raggiunto, indipendentemente dal nome del Borg, perché la volontà dei sottoscrittori deve essere rispettata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali sono stati sospesi i lavori di ricostruzione del ponte sul Ticino, ponte a duplice uso, ferroviario e carrozzabile, nel tratto Vigevano-Abbiategrasso, e se non credano di riprenderli al più presto possibile al fine di ripristinare la normale viabilità attualmente resa difficile, e pericolosa, col passaggio sul ponte di legno, scomodo, ingombrante, e che non presenta quindi sufficienti garanzie per l’incolumità dei viaggiatori in transito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali sono i criteri in base ai quali l’ufficio competente del Ministero dell’interno istruisce le pratiche relative alla richiesta di visto d’ingresso, da parte di cittadini stranieri, in Italia e se tali criteri differiscono, a seconda la nazionalità dei richiedenti, oppure vengono rilasciati a giudizio discrezionale dei funzionari competenti. Ciò si richiede per rispondere alle continue ed innumerevoli lamentele che pervengono da tutte le parti d’Italia al Gruppo parlamentare dell’interrogante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tremelloni».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.