ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLII.
SEDUTA DI LUNEDÌ 16 GIUGNO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedi:
Presidente
Comunicazioni del Presidente:
Presidente
Risposte scritte ed interrogazioni (Annunzio):
Presidente
Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):
Colitto
Scoccimarro
Benedettini
Cianca
Presidente
Crispo
Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Costantini
Sardiello
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Uberti
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Cimenti, Colonnetti, Gasparotto, Mariani, Saragat, Tremelloni, Caroleo e Arata.
(Sono concessi).
Comunicazioni del Presidente.
PRESIDENTE. L’onorevole Eugenio Reale, non potendo essere presente oggi, mi ha scritto per precisare che nel resoconto della seduta di venerdì scorso il suo nome figura erroneamente fra coloro che hanno votato a favore dell’ordine del giorno Selvaggi, mentre egli ha votato contro.
Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Grassi, nominato Ministro di grazia e giustizia, ho chiamato l’onorevole Bozzi a far parte della Giunta delle elezioni e l’onorevole Reale Vito a far parte della Commissione per la Costituzione, nonché della Commissione per l’esame delle leggi elettorali.
Comunico, infine, che ho chiamato l’onorevole Morelli Renato a far parte della Commissione per l’esame delle leggi elettorali, in sostituzione dell’onorevole Lucifero, dimissionario, e l’onorevole Zuccarini della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Santi, il quale è passato al Gruppo parlamentare misto.
Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.
PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.
Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritto a parlare l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.
COLITTO. Onorevoli colleghi, il mio intervento nella discussione sarà brevissimo. Mi sono, or è qualche mese, rivolto con una interrogazione al Presidente del Consiglio ed al Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere i loro propositi – dopo anni di attività, che, per essere stata frammentaria, avrebbe scoraggiato, come si è detto e si è scritto, la privata iniziativa e avrebbe anche rallentato il ritmo della ricostruzione – circa il problema, che va diventando sempre più scottante, del risarcimento dei danni, che la guerra, nella sua furia scientificamente di struggitrice, ha recato ovunque nel nostro Paese.
Il problema – chi non lo sa? – è veramente un grosso problema. Basti considerare che la guerra ha ruinato la quattordicesima parte delle abitazioni esistenti nel 1931, che i danni ammontano ad oltre tre miliardi di lire italiane, che interessati sono circa sei milioni di cittadini.
Le parole pronunziate dall’onorevole De Gasperi in proposito, nel suo discorso, mi sono sembrate come una risposta a quella mia interrogazione. «È nostro dovere» – egli ha detto – «di non dimenticare i danneggiati di guerra». E, dopo aver ricordato le erogazioni finora effettuate, ha testualmente aggiunto: «Si è elaborato un provvedimento organico, che il Governo esaminerà per poter accertare entro quali limiti di tempo e di misura sia possibile compiere uno sforzo più intenso e più sistematico».
Ma siano o non siano tali parole risposta alla mia interrogazione, io le considero tali, e dichiaro che della risposta sono sodisfatto, ma solo parzialmente.
Le disposizioni vigenti in materia di risarcimento di danni e di ricostruzione non può dirsi certo che rispondano a un criterio di organicità, né può dirsi che gli sforzi sin oggi compiuti siano stati compiuti sistematicamente.
Di qui la mia soddisfazione nell’apprendere che è pronto un provvedimento legislativo organico e che il governo si propone di compiere uno sforzo, oltre che più intenso, più sistematico.
Era tempo, per la verità, che lo Stato a ciò provvedesse.
Pensate. Manca in materia una legge: vi sono capitoli di una legge, vi sono, rectius, anticipazioni di una legge; ma una legge non c’è. Una legge esisteva. Mi riferisco alla legge 26 ottobre 1940, n. 1543, emanata dal Governo fascista, con la quale lo Stato assunse l’impegno di concedere alle persone fisiche e giuridiche, aventi rispettivamente cittadinanza e nazionalità italiana, il risarcimento per la perdita, la distruzione, il deterioramento di cose mobili e immobili, in quanto conseguenza di un qualsiasi fatto della guerra.
Ma tale legge, sebbene non abrogata esplicitamente, non ha potuto di fatto dal 1945 essere più applicata, essendo via via divenuti sempre più imponenti i danni sofferti dall’Italia, danni che, al momento dell’emanazione della legge, bisogna riconoscere che non furono per nulla previsti.
Si sarebbe, quindi, dovuto riformare tale legge, aggiornandola. Ciò non si è fatto; ma si è emanata tutta una serie di provvedimenti sporadici, quasi di emergenza, sarei per dire di pronto soccorso, con i quali si è cercato di recare ausilio alla ricostruzione in determinati settori, come in quello dell’industria, in quello della marina mercantile, in quello dell’agricoltura ed in quello dei trasporti.
Una legge disciplinatrice dell’intera materia adunque non c’è. Sì che, ad esempio, per la ricostruzione degli edifici distrutti dalle azioni belliche, non si ha ancor oggi la norma da applicare. E, in genere, una volta chiusa la fase statistico-istruttoria di una pratica per risarcimento di danni, nessuna parola precisa e definitiva può essere pronunciata, che permetta al danneggiato di conoscere quali le speranze da coltivare o le illusioni da abbandonare, perché appunto manca la legge.
Le disposizioni esistenti, poi, non può, in coscienza, affermarsi che rappresentino, sia singolarmente considerate sia considerate nel loro complesso, la quintessenza della perfezione. Sono anzitutto molto numerose. E poi ve ne sono alcune di dubbia utilità, altre non adeguate, altre fra loro contrastanti, sì che – in definitiva – il danneggiato, se proprio non è munito di un chiaro, preciso e completo vademecum, assai difficilmente riesce ad orientarsi nel labirinto ed a trovare la giusta via.
Assai difficilmente, anche perché della ricostruzione si occupano uffici ancorati presso almeno nove dicasteri (Africa Italiana, Agricoltura, Lavori Pubblici, Esteri, Trasporti, Industria e Commercio, Interni, Marina Mercantile, Tesoro), a ciascuno dei quali corrispondono molto spesso uffici diversi alla periferia.
Il danneggiato, in conseguenza, che voglia godere delle concesse agevolazioni, è costretto a presentare tante domande ed a seguire lo svolgimento di tante pratiche, quante, per così dire, sono le cose o i generi delle cose, che gli eventi bellici gli hanno danneggiato o distrutto. Ha subito danni ai mobili della sua casa di abitazione? Ebbene, occorre rivolgersi al Sottosegretariato per i danni di guerra. Ha subito danni ad una casa colonica? Occorre richiedere l’intervento del Ministero dell’agricoltura. E, se i danni sono stati recati ad un fabbricato urbano, la competenza è del Ministero dei lavori pubblici.
Rileverò qui, fra parentesi e quasi in sordina, due cose, delle quali dovremo ricordarci al momento opportuno: la prima, che al Sottosegretariato per i danni di guerra è stata riservata la leva di manovra più inefficiente, essendosi esso occupato solo dei danni ai mobili delle civili abitazioni; la seconda, che gli otto miliardi, da esso anticipati ai danneggiati, non sono serviti all’acquisto dei mobili, che, data l’irrisorietà degli anticipi, non potevano più essere acquistati, ma sono serviti ad alimentare le attività speculative, che sono molto vicine a quello, che si suole chiamare mercato nero.
Vi sono, poi, pratiche, le quali, per i vari aspetti sotto cui si presentano, debbono passare attraverso uffici diversi di diversi dicasteri. Una pratica riguardante i danni sofferti da un asilo infantile ha dovuto, in questi ultimi mesi, passare attraverso gli uffici di ben sette ministeri!
E ancora più intricata la situazione appare, ove si consideri che chi chiede il contributo per riparare o ricostruire non perde il suo diritto al risarcimento del danno, donde oggi la esistenza di una infinità di procedure parallele, e domani la necessità di conguagli, destinati a diventare sempre più difficili ed arbitrari col variare del valore della lira.
È inutile, infine, sottolineare, a mo’ di conclusione, che rebus sic stantibus, è da escludere che vi sia stata in materia unità di comando e di indirizzo. Altro che unità! Sono stati assegnati 25 miliardi per la ricostruzione nel settore industriale, 3 miliardi per la ricostruzione nel settore della marina mercantile, 12 miliardi per la ricostruzione nel settore dell’agricoltura, 14 miliardi sono stati dati in gestione esclusiva all’IMI con l’incarico di finanziare la riconversione industriale. Ora i vari dicasteri, che si sono occupati della cosa, e l’IMI, hanno svolto attività l’uno indipendentemente dall’altro, hanno agito ciascuno per proprio conto. Nessuna visione unitaria del da farsi. Al posto dell’unità, anzi, la massima varietà, rispecchiante anche – perché negarlo? – la varietà di colore dei dirigenti i vari dicasteri, che spesso hanno perduto il senso della propria responsabilità, esaurendo le loro energie nella faida elettorale, invece di guardare al Paese come ad un più vasto ordito di interessi nazionali.
Era tempo, quindi, come, dicevo, che si provvedesse.
È giunta, pertanto, opportuna la parola del Presidente del Consiglio ad annunziare un testo di legge, che è stato da lui qualificato «organico».
Non lo conosco. Se è quello predisposto dalla diligenza e dalla competenza dell’onorevole Braschi, che ha diretto il Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra, ne so quanto è giunto a me attraverso comunicazioni ed indiscrezioni di stampa.
La nuova legge, secondo queste, sarebbe una specie di testo unico, che, raccogliendo e riordinando le norme disseminate in una cinquantina di provvedimenti, trasformerebbe, aggiornandola, la legge del 1940, esaminando e risolvendo il problema in una visione unitaria di insieme, su un piano realistico, in modo preciso.
Il risarcimento dei danni ai mobili avrebbe luogo per intero fino ad una certa cifra e parzialmente al di là di essa, in base a liquidazioni dell’intendenza di finanza con l’ausilio di commissioni, che sarebbero ricostituite (voglio augurarmi che subito dopo i mobili di civile abitazione si pensi agli strumenti di lavoro), mentre per gli immobili sarebbero previste dalla legge anticipazioni attraverso un particolare congegno creditizio – che oso sperare prescinda da opportunità politiche ed elettorali, puntando unicamente su competenze riconosciute e su esperienze acquisite – e con ammortamenti, in cui lo Stato interverrebbe pro quota.
La legge così non accoglierebbe il duplice voto, che da qualche parte, anche di recente, è stato formulato.
Il primo voto è che si conceda un risarcimento integrale in conformità di quella parte della dottrina, per la quale i danni di guerra derivano come rapporto di causa ad effetto dall’atto di volontà dello Stato, che costituisce il rapporto bellico, e in conformità dell’impegno assunto dallo Stato con la legge del 1940, con la quale effettivamente lo Stato, pur escludendo dalla valutazione del danno il lucrum cessans e tenendo conto solamente del damnum emergens, lasciò intendere che sarebbe intervenuto in guisa da assicurare al danneggiato una restitutio in integrum. Non è giusto, d’altra parte, si dice, che alcuni danneggiati abbiano conseguito il risarcimento totale ed altri lo debbano avere soltanto parzialmente. E non mancano persone, che vedono nella limitazione del concorso statale un freno alla ricostruzione dei grandi caseggiati distrutti, per la qual ragione soltanto esisterebbero ancora, a loro giudizio, una quantità di fabbricati, ridotti allo stato di ruderi, che, mentre le intemperie lavorano ad aggiungere lesioni e franamenti e pericoli nuovi, si levano come braccia moncherino verso il cielo, quasi protesta permanente contro la ignavia degli uomini. Il secondo voto è che al risarcimento del danno si disponga che debbono concorrere tutte le proprietà in base al principio mutualistico, che è una delle caratteristiche della civiltà moderna. È tutta la Nazione – si dice – che deve pagare, fiera di compiere, nella sventura di una parte dei suoi figli, il dovere della solidarietà nazionale. Se alcuni soffrirono, gli altri non debbono dimenticare che i primi soffrirono anche per loro. Quello che ieri incolse agli uni, potrebbe, del resto, domani – quod Deus avertat! – intervenire per gli altri. Comuni, inoltre, sarebbero stati i vantaggi, se la fortuna avesse sorriso alle sorti d’Italia. La nuova legge, invece, a quanto pare, tale duplice voto non accoglie. Solo per i mobili – come si è detto – e fino ad un certo limite consentirebbe un risarcimento totale e non farebbe ricorso al criterio della mutualità e, quindi, ad una imposta speciale per la provvista del denaro occorrente. Forse non a torto. Lo Stato può avere il più simpatico proposito di risarcire in toto i danni; ma non può evidentemente dimenticare le sue possibilità economico-finanziarie. Lo Stato non può, inoltre, fare distinzione, né in teoria né in pratica, fra i molteplici suoi fini e non può, quindi, nell’amministrazione finanziaria tenere distinto dagli altri il gettito della particolare imposta, che dovrebbe istituirsi per provvedere al risarcimento dei danni di guerra.
Ma su ciò avremo occasione di ritornare, quando la legge sarà discussa. Quello che occorre ora è che la nuova legge sia presentata e che il Governo si prepari a fare del suo meglio per adempiere agli impegni assunti o che andrà ad assumere nei limiti più larghi, che le capacità finanziarie del Paese permettano, secondo condizioni, che la legge detti con chiarezza e precisione, augurandoci che non sorgano difficoltà per la provvista dei mezzi occorrenti per il funzionamento del congegno, del quale ho parlato.
A fianco della cosidetta grande politica dei lavori pubblici avrà così inizio subito anche una ordinata, concreta, feconda politica di lavori privati. Avrà luogo così, alfine, la ricostruzione del patrimonio edilizio nazionale, risorgeranno i lavoratori, avranno il loro riassetto le private imprese. La vita della Nazione assumerà così, in generale, nuovamente quel ritmo di vitalità, che la civiltà odierna imprime.
La ricostruzione dei patrimoni dei singoli individui significa ricostituzione delle sorgenti vive della produzione della ricchezza e sarà, pertanto, una spinta davvero effettiva alla tanto auspicata ricostruzione dell’economia del Paese e di restaurazione per un domani non lontano delle fonti del reddito, cui la finanza – anche questo non va dimenticato – deve attingere per i bisogni del tesoro.
Ma perché ho detto che sono sodisfatto solo in parte? Perché il Presidente del Consiglio, mentre ha dichiarato che il Governo si propone di svolgere in materia un’azione più intensa e più sistematica, ha poi soppresso l’organo, che la deve svolgere, cioè il sottosegretariato di stato per i danni di guerra. In Francia esiste un ministero della ricostruzione. Dopo l’altra guerra, nel 1919, per cinque provincie danneggiate – e i danni di allora furono un’inezia nei confronti degli attuali – fu creato il Ministero delle terre liberate. E oggi che il Paese è stato dall’un capo all’altro danneggiato, si sopprime l’unico organo esistente, che possa coordinare e dirigere l’azione, che s’intende svolgere. È evidente che senza l’organo, titolare della funzione organica, intensa, sistematica, da svolgere, tutto rimarrebbe relegato nel limbo delle buone intenzioni.
Di qui preoccupazioni in ogni parte del Paese.
Mi risulta che si sono agitate l’Associazione nazionale danneggiati di guerra, avente la sua sede in Roma, e la Unione nazionale sinistrati di guerra, avente la sua sede in Napoli.
A me pare, invece, che, una volta emanata la legge, occorra rafforzare i compiti del sottosegretariato, unificandosi tutti i servizi o gli uffici sparsi nel Paese, sì che al da farsi si provveda con un’unità di comando, veramente efficiente, e con unità di indirizzo.
La emananda legge, nelle sue esigenze esecutive, dirà quale configurazione più precisa dovrà assumere l’organo di governo, che oggi si identifica col predetto sottosegretariato, se, cioè, debba questo diventare un Ministero od un Alto Commissariato autonomo. Ma un organo, che abbia la forza ed il prestigio sufficiente per disciplinare, si ripete, in unità di comando e di direttive, tutti gli uffici oggi operanti, per così dire, in ordine sparso nelle varie amministrazioni dello Stato, vi deve pur essere, è indispensabile che vi sia.
Onorevoli colleghi, si è già perduto troppo tempo. Ulteriori indugi non dovrebbero essere consentiti. Le sciagure del Paese richiedono un intervento urgente e soprattutto energico, deciso, unitario. Che questo intervento vi sia, legale e amministrativo. Esso gioverà, oltre tutto, a salvare quello che è ancora salvabile ed a realizzare altresì – evitandosi o correggendosi errori, sperequazioni, favoritismi, arbitrî – un ideale di giustizia, che è poi sempre l’ideale, che illumina la via ad ogni popolo civile. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. È la prima volta che questa Assemblea si trova dinanzi a un mutamento di Governo che segna una svolta importante nella direzione politica del Paese, e tuttavia non le è stata data occasione e possibilità né di valutarne preventivamente le ragioni, né di dare una qualsiasi indicazione di merito.
Ciò è tanto più grave in quanto la crisi di maggio segue a pochi mesi la crisi di gennaio e l’una e l’altra si sono svolte al di fuori di questa Assemblea, e l’una e l’altra si sono determinate proprio nel momento critico in cui la situazione economica e finanziaria esigeva particolari provvedimenti di Governo, il cui difetto è stato di grave pregiudizio agli interessi generali del Paese.
È questa pura coincidenza casuale? Non so: questo è il segreto dell’onorevole De Gasperi. Ma, prescindendo da ogni considerazione soggettiva e limitandomi alla valutazione obiettiva dei fatti, devo constatare che un serio e grave danno è stato arrecato al Paese e che un danno ancora maggiore si arrischia di infliggergli per l’avvenire, per cui a questa Assemblea si pone un problema di responsabilità. L’Assemblea rappresentativa non può assistere inerte e passiva al succedersi di crisi governative di cui ignora persino le origini; non può ammettere di essere ridotta alla funzione di «notaio» che registra a posteriori quanto si fa al di fuori e indipendentemente da essa; non può tollerare di essere esclusa da ogni suo intervento preventivo nella formazione del Governo; non può rinunciare a giudicare l’opera dei Governi nell’attuazione dei programmi sulla base dei quali essa ha dato la sua fiducia; infine non può ignorare l’esigenza, che sorge dal Paese, di far luce su queste strane crisi governative, a giustificazione delle quali si adducono motivi che non giustificano nulla e che si palesano sempre più come pretesti o artifici polemici atti piuttosto a mascherare la realtà, a creare una cortina di nebbia che ricopre e nasconde le vere ragioni del malessere e della instabilità politica di cui soffriamo.
Come porre termine a questo stato di cose? Non certo, con la formazione di un Governo come l’attuale, il quale non risponde né alla situazione obiettiva del Paese, né alla volontà della maggioranza del popolo italiano. Il quale oggi si domanda: quali sono le vere cause della crisi? – quale il suo valore e significato? – quali conseguenze ne possono derivare nello sviluppo della situazione politica in Italia? L’onorevole De Gasperi ci ha detto che un giorno, dopo un accurato esame della situazione economica e finanziaria, di fronte a manifestazioni concrete di sfiducia, ha creduto di vedere il fondo dell’abisso dell’inflazione: era necessario riconquistare fiducia all’interno ed all’estero.
Io non so se l’onorevole De Gasperi ha soltanto creduto di vedere l’abisso dell’inflazione, o lo ha visto realmente o glielo hanno fatto vedere coloro che potevano avere interesse a farlo. Certo è che queste parole danno l’impressione che egli abbia avuto un momento di smarrimento e di panico: e la paura, si sa, è cattiva consigliera. Invece di prendere provvedimenti adeguati egli rovescia il Governo. In verità la causa della crisi è da ricercarsi nella capitolazione della democrazia cristiana di fronte all’offensiva delle forze conservatrici e reazionarie. Sono quelle stesse forze che prima del 2 giugno si sono battute sotto la bandiera della monarchia e poi, sconfitte sul terreno istituzionale, si sono rivestite di panni repubblicani ed hanno continuato ad agire sabotando e paralizzando l’azione del Governo per dare alla Repubblica un contenuto conservatore e antipopolare: ora hanno conquistato una prima posizione con l’attuale Governo, e di qui tenteranno di muovere verso nuove conquiste.
Pericolosa illusione! Non bisogna confondere le maggioranze occasionali che possono determinarsi in questa Assemblea con il reale rapporto di forze esistente nel Paese. Qual è il valore ed il significato della crisi? Nel nostro Paese si era creata una contraddizione fondamentale. Dopo il crollo del fascismo, l’insurrezione liberatrice, ed il rovesciamento della monarchia, era crollata in Italia la sovrastruttura politica che garantiva il predominio politico dei gruppi monopolistici e plutocratici, i quali però conservano nelle loro mani le leve di comando del mondo economico. In tale situazione si sono trovati di fronte due programmi: il nostro, quello dei partiti di sinistra, che tende ad adeguare il mondo economico alla nuova realtà politica nello spirito della solidarietà nazionale e nell’interesse generale del Paese; quello della destra conservatrice che tende a riadeguare la situazione politica alla immutata realtà economica, riportando la direzione politica del Paese nelle mani delle vecchie classi dirigenti.
In questo contrasto sta il senso profondo della lotta politica svoltasi in questo primo anno di vita della Repubblica. Qui è da ricercarsi il significato vero della crisi: per la prima volta noi abbiamo un Governo, che segna un primo passo verso la realizzazione del programma delle forze conservatrici e reazionarie. Quali possono esserne le conseguenze? Le conseguenze possono essere gravi. La coscienza delle masse popolari ha raggiunto un livello di maturità politica tale da comprendere perfettamente il dilemma che oggi si pone dinanzi ad esse: creazione di una democrazia popolare che tragga forza e autorità dalla coscienza del popolo lavoratore a cui assicura possibilità di tutti i progressi per l’avvenire, oppure instaurazione di una democrazia conservatrice, antipopolare che si impone dall’esterno alla coscienza delle masse popolari, di fronte alle quali si erige come un ostacolo sempre pronto a far resistenza ad ogni loro passo in avanti? In sostanza il problema, messo in termini Crudi, è questo: nel nuovo regime democratico si vuol riconoscere alle classi lavoratrici il diritto di divenire legalmente e democraticamente una delle forze dirigenti del Paese? Questa crisi ci rivela che vi sono in Italia forze sociali che negano questo diritto.
Una voce a destra. Chi l’ha detto?
SCOCCIMARRO. A confermarlo, onorevoli colleghi, c’è questo fatto: nei giorni in cui la crisi ha avuto la sua soluzione, alcuni organi di stampa, per esempio del partito dell’«Uomo qualunque», esprimevano questo concetto: finalmente i partiti di sinistra sono stati riportati alla loro funzione naturale di opposizione e di critica.
Ora, chi ha detto che la funzione naturale dei partiti di sinistra è di essere sempre all’opposizione e di dover fare solo opera di critica? Questa è una concezione che presuppone uno stato di servitù permanente delle classi lavoratrici. I lavoratori non l’accettano. Noi pensiamo che in questo momento storico la funzione dei partiti di sinistra, in quanto rappresentanti diretti delle classi lavoratrici, può anche essere quella dell’opposizione e della critica, quando il responso elettorale li pone in tale condizione, ma può anche essere quella di forza dirigente dello Stato.
GIANNINI. Dopo aver vinto le elezioni!
Una voce a sinistra. Come voi! L’onorevole Einaudi le ha vinte forse?
SCOCCIMARRO. L’aver posto tale problema in forma così brutale può avere senza dubbio gravi conseguenze nel senso di inasprire la tensione dei rapporti politici, di esasperare tutte le contradizioni e i contrasti di classe.
Oh! Non si tema, e nemmeno si speri, che comunisti e socialisti, perché estromessi dal Governo, si lancino a testa bassa in una politica di avventure. Non siamo né folli, né sciocchi. (Approvazioni a sinistra). Però dobbiamo pure dirvi: non fatevi illusioni, la via per la quale vi siete messi non vi darà la fiducia e la solidarietà dei lavoratori italiani.
Per quella via non si costruisce una solida Repubblica democratica in Italia. Al di là di tutte le intenzioni – che sono fuori discussione – i fatti hanno una loro logica inesorabile a cui non si sfugge e saggezza politica vuole che se ne tenga conto.
Voi avete fatto un passo falso. Ritraetevi indietro. Siete ancora in tempo.
Ma, si dice, perché mai il nuovo Governo non risponde a una norma democratica? Esso si presenta all’Assemblea per avere un voto di fiducia e subordina la sua permanenza al potere a questo voto.
Formalmente è vero; sostanzialmente le cose stanno diversamente. Quando il 2 giugno ci siamo presentati al popolo per chiederne i suffragi, il programma col quale anche voi democristiani vi siete presentati indicava un indirizzo preciso: il partito democratico cristiano oggi abbandona il suo programma del 2 giugno e si incammina per la via opposta. Limitandoci al solo terreno economico, i democratici cristiani erano, come noi, in contrasto specialmente col partito liberale, affermando la necessità dell’intervento dello Stato nel riordinamento economico del Paese.
Ebbene, noi oggi dobbiamo constatare che la direzione della politica economica e finanziaria del Governo è affidata ad un uomo che in Italia è il più puro, più coerente, più conseguente rappresentante di quella politica economica liberista contro la quale, il 2 giugno, si sono pronunciati più del 75 per cento degli elettori.
Questo può avvenire perché i 207 deputati democristiani non hanno tenuto fede al mandato del 2 giugno. Non basta richiamarsi al programma del Governo; noi sappiamo per esperienza che voi avete un modo tutto vostro particolare di mantenere gli impegni…
VALENTI. È molto diverso dal vostro.
SCOCCIMARRO. Si è anche detto che bisognava cambiare Governo, perché il tripartito è fallito, che bisognava finirla con la così detta partitocrazia. Ora, io mi domando se veramente è esistito in Italia il tripartito. Vi sono stati dei Governi sul programma dei quali avevano concordato, più o meno, tre o quattro partiti; ma un tripartito, che presuppone un patto fra tre partiti, non è mai esistito. Da parte nostra si è fatta diverse volte la proposta di un patto che regolasse i rapporti fra i nostri partiti, ma da parte vostra ciò è stato sempre respinto, per cui un vero e proprio tripartito non è mai esistito. Quanto alla partitocrazia ho la impressione che qui o ci troviamo di fronte ad un fenomeno di incomprensione, oppure si tratta di una mascheratura esteriore di esigenze politiche reazionarie.
Nelle condizioni storiche dei nostri tempi la democrazia non può funzionare senza i grandi partiti. All’epoca in cui gli elettori erano delle forze ancora limitate e ristrette, l’autorità di eminenti personalità, singoli organi di stampa, potevano essere elementi organizzativi sufficienti per disciplinare le forze politicamente attive; ma quando entrano sulla scena politica milioni e milioni di uomini (oggi in Italia vi sono ventotto milioni di elettori) questa vecchia forma di organizzazione non regge più. È significativo quanto sta accadendo nell’Italia meridionale, dove la vita politica era basata sulle clientele personali (anche la clientela è una forma di organizzazione): oggi queste forme di organizzazione non reggono più e sono sostituite dalle organizzazioni dei partiti. La democrazia moderna non può prescindere dai grandi partiti di massa. Essi sono un mezzo di collegamento con le grandi masse alle quali danno la possibilità di una partecipazione quotidiana alla attività politica generale, al controllo ecc. L’onorevole Piccioni ha giustamente rilevato come questa esigenza storica sta alla base anche del problema, che oggi affiora in tutti i Paesi, delle autonomie locali. Persino nei dibattiti costituzionali è sorto questo problema, per cui si è posto il quesito se si dovevano o no dettare norme costituzionali anche per i partiti. Noi non vi siamo contrari in principio: anzi vediamo in ciò il germe di forme nuove verso le quali può evolvere la democrazia moderna, ma ci pare che oggi manchino ancora le condizioni obiettive per la soluzione di tale problema.
Comunque, partitocrazia, tripartito ecc. non sono altro che pretesti: o rappresentano un fenomeno di incomprensione o sono una mascheratura di esigenze politiche conservatrici: averli accettati e fatti propri è una capitolazione dinanzi alle forze conservatrici e reazionarie.
Si è detto: occorreva un Governo di emergenza.
Ma, emergenza di che cosa? Noi siamo un Paese che sta faticosamente uscendo da una formidabile catastrofe, e la situazione dell’Italia oggi non è più grave di quanto fosse nel 1945 o 1946. Dirò di più: noi non siamo ancora arrivati al momento cruciale della nostra vita economica, che incontreremo nel 1948. La nostra situazione si ritrova in tutti i paesi che hanno subìto, come noi, la furia devastatrice della guerra. Si tratta di uno stato di «emergenza» che durerà molti anni. Non si tratta dunque di un problema di emergenza. La situazione è grave nel nostro Paese, ma non è di tale gravità quale si è voluto far credere al popolo italiano. Io non so per quale mania di autolesionismo economico e finanziario, noi da qualche tempo ci teniamo a dare agli italiani soltanto notizia degli aspetti negativi della situazione, nulla dicendo degli aspetti positivi, che pure ci sono.
Lasciamo quindi stare l’emergenza che non giustifica nulla. Si è detto anche che era necessaria una tregua politica. Ma una tregua politica, non si raggiunge costituendo un Governo che fatalmente determinerà una intensificazione della lotta politica. E quanto poi alla pretesa di costituire un Governo puramente amministrativo, questa è pura illusione. L’onorevole Giannini ha fatto della poesia sullo Stato amministrativo in un suo recente discorso a Bari e vede in questo Governo una prima realizzazione del suo ideale. Mi consenta qualche osservazione: è vero che anche noi comunisti aspiriamo ad un governo che non sia governo di uomini, ma amministrazione di cose.
Però, onorevole Giannini, questa aspirazione – che io mi auguro possa diventare un giorno realtà – presuppone determinate condizioni storiche obiettive che oggi non esistono. Presuppone, cioè, una evoluzione nell’organizzazione economica della società, in cui il contrasto fondamentale di interessi – che non nasce da cattiveria di uomini, ma, obiettivamente, da determinate forme di organizzazione economica rispondenti ad una necessità storica dello sviluppo di un Paese – questo contrasto venga superato in una nuova forma di organizzazione economica in cui si afferma l’unità e la solidarietà di interessi comuni. Tutte le volte che noi ci troviamo di fronte a contrasti di interessi fra gruppi sociali, tra classi, i problemi si risolvono sulla base di un rapporto di forze, e quindi di un rapporto politico: ovunque c’è un rapporto di forze, c’è un elemento politico.
Ora, questi contrasti esistono nel nostro Paese ed oggi è illusione pensare ad un governo che amministri e non faccia della politica.
Chi ha questa illusione – ed è al Governo – fa necessariamente della politica senza saperlo, il che è anche peggio perché così si fa la peggiore delle politiche, oppure si fa una politica che non si osa dichiarare apertamente ed allora la si ricopre con la formula dello Stato Amministrativo, la quale perciò è una ingenuità politica o un inganno.
Voi, signori del Governo, farete dell’amministrazione ed anche della politica e farete una cattiva politica. Ma non è solo questo il motivo della nostra opposizione: nella discussione come si è svolta fino a questo momento tutti si sono dichiarati d’accordo col programma del Governo riconosciuto come programma della sinistra, opponendosi invece alla costituzione del Governo da cui sono assenti proprio i rappresentanti della sinistra.
Ora, signori, io devo portare una voce nuova. Io desidero dire e spiegare le ragioni per le quali non mi soddisfa nemmeno il programma del Governo. In questi cinque mesi sono maturati nel campo economico-finanziario nuovi problemi, i quali esigono una urgente soluzione, e di questi problemi non si fa cenno nel programma del Governo.
Perché non mi soddisfa il programma del Governo? Non per le cose che dice, ma per quelle che non dice. L’onorevole Labriola ha detto giustamente che il programma del Governo non offre materia di discussione perché è un catalogo di questioni, di cui non si dice nemmeno con quale criterio saranno risolte.
Io aggiungerò: è un catalogo incompleto. E dirò di più: sul problema più grave, la difesa della lira, il programma del Governo mi soddisfa ancora meno perché la impostazione generale di tale questione mi pare inadeguata e non rispondente alla realtà.
La difesa della lira è certo la parola d’ordine più suggestiva in questo momento, in quanto riflette ed esprime le preoccupazioni più diffuse: il Paese è oggi dominato dallo spettro dell’inflazione. Ma il modo come è posto il problema risponde veramente alla situazione obiettiva?
Il programma con il quale il Governo si propone di difendere la lira è ispirato al principio di ridurre al minimo l’intervento dello Stato nella vita economica del Paese. Ora, perseguendo un tal fine, si afferma che il maggior pericolo per la nostra moneta deriva oggi dal bilancio dello Stato mentre si accenna solo di sfuggita ad altri problemi che indicano invece, a mio parere, un pericolo ben maggiore.
Con tale errata valutazione, si concentrano le forze là dove minore è il pericolo e si lasciano invece scoperti i punti più vulnerabili.
Di questo mio giudizio desidero dare la dimostrazione. Il pericolo più immediato, quello che minaccia maggiormente la nostra moneta oggi, non viene dal bilancio dello Stato, ma è piuttosto costituito dalla situazione che si è creata nel campo del credito e dalla speculazione nelle sue diverse forme. Il pericolo meno immediato, ma più grave, proviene dalla bilancia dei pagamenti internazionali. Il bilancio dello Stato è il punto di minor pericolo per la lira. Da ciò derivano tutta una serie di problemi che il Governo dovrebbe subito affrontare.
Incomincio dal bilancio dello Stato. Noi ci troviamo in questo momento nel periodo di transizione dal vecchio al nuovo esercizio finanziario. L’esercizio passato ci lascia un’eredità di 610 miliardi di disavanzo, quello nuovo si presenta con una previsione di 300 miliardi di disavanzo. Nel punto di sutura, abbiamo una situazione di tesoreria veramente seria. Essa non è però tale da non consentire al Ministero del tesoro di superarla senza perdere il controllo della situazione.
Ora, noi dobbiamo porci il quesito: perché abbiamo oggi un disavanzo ed una situazione di tesoreria così grave? È derivato ciò da incomprensione dei precedenti governi, i quali avrebbero chiesto al Paese uno sforzo per la ricostruzione superiore alle sue possibilità? Io penso di no.
I governi precedenti avevano un programma di spese ordinarie e straordinarie e di entrate ordinarie e straordinarie. Ora, che cosa è avvenuto? È avvenuto che nel campo delle spese, sia ordinarie che straordinarie, il programma si è attuato, mentre nel campo delle entrate, il programma previsto si è realizzato per le entrate ordinarie, ma non si è realizzato per le entrate straordinarie, poiché i provvedimenti relativi erano collegati al cambio della moneta, che non si poté fare per il furto dei «clichés».
Nel secondo semestre 1946 il Governo contava di realizzare determinati provvedimenti di finanziamento straordinario delle spese per la ricostruzione; il mancato cambio della moneta li ha resi impossibili e ciò è stata una cosa grave, così grave che io mi domando se non sarebbe stato dovere del Governo di accertare tutte le responsabilità. Noi abbiamo delle leggi che prescrivono determinate norme di vigilanza e controllo per la stampa dei biglietti. Quali organi e quali uomini hanno mancato di esercitare la vigilanza e il controllo prescritto per legge, tanto da rendere possibile un atto di così grave danno agli interessi generali del Paese?
Verso la fine di dicembre, sulla base del nuovo stato di previsione per il nuovo esercizio e vedendo che nuovi ostacoli sorgevano per il cambio della moneta nelle nuove forme tecniche alle quali si era pensato, si convenne – d’accordo fra il Ministero delle finanze e il Ministero del tesoro – di provvedere ad una serie di misure finanziarie indipendentemente dal cambio della moneta, pur senza escluderlo. Si elaborò un nuovo piano finanziario che poneva al centro il problema della rivalutazione delle aziende industriali ormai venuto a maturazione.
Gli obiettivi che esso si poneva erano questi: ridurre il disavanzo, normalizzare la situazione di tesoreria per l’esercizio 1946-47, creare le condizioni del pareggio del bilancio ordinario per il nuovo esercizio, e un piano triennale di finanziamenti per le spese di ricostruzione.
L’onorevole De Gasperi dovrebbe ricordare che il giorno della sua partenza per l’America, salutandolo all’aeroporto, io davo notizia a lui e all’onorevole Campilli, che proprio la sera precedente, a tarda ora, avendo ultimato i lavori per la determinazione del nuovo bilancio di previsione, avevo potuto constatare che l’obiettivo propostosi dal Governo di assicurare un minimo di 400 miliardi di entrate e il pareggio per il bilancio ordinario 1947-48 era raggiunto e se nelle conversazioni in America ciò avesse potuto servire, io avrei potuto mandargli la necessaria documentazione.
Quando l’onorevole De Gasperi fu di ritorno in Italia, gli assicurai e gli riaffermai questi risultati che poteva presentare al Paese come un successo del suo Governo.
Viceversa, qualche giorno dopo, venni a sapere alle ore diciotto che alle 16 l’onorevole De Gasperi aveva rassegnato le dimissioni del Gabinetto. Strana procedura!
La crisi di gennaio ha reso inapplicabile il piano, ha fatto perdere molti mesi, ha fatto sì che il prestito della ricostruzione rimanesse sospeso in aria senza i provvedimenti che dovevano immediatamente seguirlo. Persino i provvedimenti di adeguamento di tributi ordinari che dovevano entrare in vigore in gennaio, sono rimasti inattuati causando allo Stato, alle province, e ai comuni, solo per l’imposta sui terreni, un danno totale di sei miliardi.
E si sono persi tre mesi, lasciando passare il tempo più prezioso per provvedere alle esigenze più urgenti della situazione.
Poi che cosa si è fatto?
Io mi domando sempre perché non si è attuato quel programma che io ho esposto a questa Assemblea nel mio discorso di febbraio.
Che cosa si è fatto? Invece di annunciare al Paese il nuovo piano finanziario che avrebbe dato un senso di fiducia e tranquillità, si è preferito scatenare una campagna allarmistica. Si è data alla stampa la cifra di 610 miliardi di disavanzo, senza chiarire che quello non era disavanzo di cassa, che non bisognava temere un crollo della moneta, che avrebbe potuto essere ancora ridotta. E non si è detto nemmeno quello che diceva l’onorevole Einaudi nella sua relazione di Governatore della Banca d’Italia, che di quei 610 miliardi più di 300 rappresentavano spese di ricostruzione che potevano essere differite al futuro esercizio, non solo come residui passivi, ma anche come stanziamento di bilancio perché una parte di quelle opere non si sarebbero potute attuare nell’esercizio in corso; mentre lo stesso onere del prezzo politico del pane sarebbe stato ridotto dalla riduzione graduale del prezzo politico. Si ha l’impressione che si sia voluto gonfiare quella cifra quanto più era possibile, presentando la situazione nei suoi aspetti negativi e tacendo di quelli positivi. Così, ad esempio, da mesi continuava la campagna contro il Ministero delle finanze e non si è voluto dire al Paese quello che l’onorevole Einaudi ha detto nella sua relazione a proposito delle entrate.
Desidero leggere quello che ha scritto l’onorevole Einaudi: «Le entrate da imposte sono aumentate non solo in quantità assoluta, ma la velocità del loro incremento è stata maggiore dell’aumento dei prezzi. L’aumento è notevole nel gettito nominale, ma vi è pure un aumento sostanziale nella quantità di beni e servizi che con quel gettito si può acquistare». Egli dà degli indici dai quali risulta che mentre i pagamenti diretti passano dal primo al secondo semestre 1946 da 100 a 118, e 144 in dicembre, le entrate passano da 100 a 144 e 216 in dicembre; mentre la circolazione passa da 100 a 116 e 132 nel dicembre, le entrate da 100 a 144 e 216 nel dicembre; i prezzi all’ingrosso da 100 a 141 nel dicembre, le entrate da 100 a 216. L’onorevole Einaudi aggiunge: «la sorte della lira dipende dalla velocità rispettiva dei diversi corridori in lizza: da una parte la spesa pubblica la quale è aizzata a corsa sfrenata dal crescere rapido degli stanziamenti di bilancio fortunatamente non seguiti da erogazioni effettive; dall’altro lato le entrate, di cui quelle derivanti dal mercato monetario danno segno evidente di stanchezza, poiché passano da un indice di 100 a 81, mentre le entrate effettive aumentano da 100 a 144 e danno segni di velocità crescente ascendendo a 216 nel mese di dicembre. E nei primi mesi del 1947 la velocità cresce ancora, perché si passa da 26 miliardi a 32 di entrate mensili. E l’onorevole Bertone diceva che siamo giunti a 36. Ora, quando si è data quella cifra di 610 miliardi di disavanzo perché non si sono dette anche queste verità che pur stavano scritte in un documento notevole e si è invece data l’impressione di una situazione catastrofica? Insomma, invece di dire una parola fiduciosa, e si poteva farlo se si aveva veramente intenzione di agire con rapidità ed energia, si è preferito fare del disfattismo. Ma non basta. Il primo provvedimento da prendere era quello sulla rivalutazione delle aziende industriali: invece non si fa nulla, mentre la rivalutazione, tra il 5 febbraio ed il 5 maggio, assume tale ampiezza da portare alla distribuzione gratuita, ai soci di una settantina di società, di 1200 miliardi, con scarso beneficio per il Tesoro e sfuggendo in gran parte anche alla imposta straordinaria sul patrimonio. Il Governo assiste a questa pioggia di oro come un osservatore distratto ed indifferente. In compenso si comunica la rinuncia al cambio della moneta. E, mentre si lascia libero corso alla speculazione ed alla svalutazione della moneta, senza prendere nessun provvedimento per la stabilizzazione monetaria, si decreta in gran fretta l’imposta straordinaria, lasciando così la via aperta ad una larga evasione attraverso la svalutazione monetaria. Questo provvedimento è stato intempestivo ed inadeguato: è stato sbagliato il momento e il modo, per cui lo stesso onorevole Cappi ha posto il quesito se non convenga differire la data del 28 marzo stabilita per gli accertamenti patrimoniali. Sulla struttura della imposta straordinaria mi si permetta qualche osservazione che ho già avuto occasione di svolgere in sede di Commissione finanza e tesoro. Manca la tassazione degli enti collettivi; manca l’accertamento dei titoli e dei depositi bancari: in tanti Paesi si è sospeso, una volta tanto, il segreto bancario; in Italia non si vuole fare nulla di simile.
Inoltre, mancando l’accertamento del possesso della moneta, dei depositi e dei titoli, se ne attribuisce una parte ad ogni contribuente in base ad una percentuale del patrimonio unica per tutti, per cui avverrà che coloro che non hanno ricchezza mobiliare pagheranno l’imposta per quelli che l’hanno.
Conseguenza di tutto ciò è che con questa imposta straordinaria ancora una volta si colpisce prevalentemente la ricchezza immobiliare, lasciando sfuggire in gran parte la ricchezza mobiliare. E nel nostro Paese questa è cosa grave, perché favorisce le regioni settentrionali a danno delle regioni meridionali.
Ma c’è qualcosa di più. Agli effetti dei bisogni immediati era necessario stabilire il pagamento immediato di una quota come anticipo in attesa dell’accertamento definitivo. Invece cosa si è fatto? Si è imposto il pagamento immediato di 10 annualità dell’imposta ordinaria sul patrimonio, che è una imposta proporzionale e non progressiva, senza stabilire nessun minimo di esenzione e nessuna discriminazione di aliquote. Io so bene che la dottrina vieta tali criteri per le imposte reali. Ma confesso che io sarei più disposto a violare la dottrina, le cui conseguenze d’altronde sarebbero di secondaria importanza, piuttosto che fare una cosa simile. Bisognava stabilire un minimo di proprietà al disotto del quale non si doveva chiedere il tributo straordinario; bisognava discriminare le aliquote secondo l’entità del patrimonio.
Far pagare subito a tutti sulla base d’un tributo reale e proporzionale, rinviando invece il pagamento dell’imposta personale progressiva, significa creare una grave sperequazione a danno dei piccoli proprietari.
Badate che la cosa è seria: la finanza dello Stato si troverà di fronte a moltissimi casi nei quali il contribuente non può pagare. Molta gente dovrà vendere urgentemente la casetta, messa su coi risparmi accumulati in molti anni di lavoro. Io ricevo certe lettere che sono un grido di angoscia, come di chi sta per naufragare. Signori del Governo, impedite che questo avvenga.
A questo punto si pone un quesito. Io so che l’onorevole Campilli era favorevole al piano finanziario del dicembre: perché non lo si è attuato? Quando in Commissione di finanza e tesoro si discusse della inclusione degli enti collettivi nell’imposta straordinaria, il Ministro assicurò che per essi era pronto un provvedimento a parte. I colleghi della Commissione ricordano la motivazione del mio voto contrario su quel punto. Dissi che credevo alla parola del Ministro, ma temevo che qualche evento improvviso poteva impedirne l’attuazione. Nessuno credeva ciò possibile. Ebbene, nel momento in cui il provvedimento che chiamava le Società industriali, la ricchezza mobiliare, a dare il suo contributo, stava per essere portato al Consiglio dei Ministro, l’evento improvviso è avvenuto: è scoppiata la crisi, un’altra crisi. (Applausi a sinistra). Ed allora io ho il diritto di pensare che le cause e i responsabili della attuale situazione finanziaria sono da ricercarsi altrove che non nell’insipienza di Governi o nel fallimento del tripartito. Giorni fa alcuni giornali dei settori di destra della Camera dicevano: oggi abbiamo avuto una vittoria col nuovo Governo, ma noi non rinunziamo a chiamare in giudizio i responsabili della attuale situazione economico-finanziaria italiana. Signori, io vi prego di farlo e vi dico che se non lo farete voi, è molto probabile che lo faremo noi: accertare tutte le responsabilità, accertare perché non si è fatto quello che si poteva e si doveva fare. (Applausi a sinistra).
Perché in gennaio non si è dato tempo di attuare i provvedimenti predisposti? Perché non si sono attuati poi col nuovo Governo? Perché si è rimasti inattivi di fronte alla rivalutazione delle aziende industriali, di fronte alla speculazione? Chi ha fermato la mano del Governo? Sono quelle stesse forze che oggi gridano vittoria con la soluzione data alla crisi, con l’avvento del nuovo Governo.
Se oggi abbiamo un disavanzo di 600 miliardi ed una difficile situazione di tesoreria, le cause sono tre: mancato cambio della moneta, la crisi di gennaio, la mancata attuazione dal piano finanziario di dicembre.
Onorevole De Gasperi, se quella transvolata atlantica fosse venuta solo un mese dopo, noi non ci troveremmo oggi in una così difficile situazione finanziaria, poiché sarebbero stati presi i provvedimenti necessari. Nel mio discorso di febbraio io indicavo le possibilità obiettive di miglioramento e i provvedimenti che si imponevano. Si giudicò ottimista quel mio giudizio ed invece era realista. Quelle possibilità voi avete in larga misura sciupate. Ancora oggi, sia pure in misura più ridotta, esistono possibilità di miglioramento: ma io temo forte che voi sciuperete anche questo ultimo residuo.
Ed ora accennerò rapidamente al bilancio come si prospetta per l’avvenire. Che cosa ci dicono le cifre? Entrate ordinarie previste 430 miliardi, 90 miliardi entrate straordinarie, totale 520 miliardi.
Orbene, per le entrate ordinarie la valutazione è eccessivamente pessimistica; per molte voci essa è già superata con le entrate del mese di aprile. Per quanto riguarda le imposte dirette si dà una previsione di 67 miliardi, mentre dovrebbe essere almeno di 80 miliardi. Vi sono tributi, che per effetto della crisi di gennaio, non hanno dato il loro risultato nel primo semestre e lo daranno invece nel secondo; vi è il problema degli accertamenti di ricchezza mobile il cui adeguamento è stato arrestato dalla crisi di gennaio e che dovrebbe essere messo rapidamente in atto. Dato il ritardo che si è avuto, veda il Ministro Pella se non conviene adottare, ad esempio, per la categoria C., l’accertamento e il pagamento col sistema del contingente.
Ma c’è di più. Nelle imposte e tasse sugli affari si dà una cifra di 168 miliardi. Ora, in questo campo, una sola voce, quella dell’imposta sull’entrata, era fin dal novembre-dicembre preventivata in 120 miliardi. Con la svalutazione della lira di questi ultimi mesi, già nell’aprile ha superato quella previsione ed alcuni organi tecnici hanno dimostrato che essa darà almeno 150 miliardi. Tuttavia la previsione è mantenuta in 120 miliardi. Vi è qui una differenza di almeno 20-30 miliardi.
Anche per i Monopoli i 70 miliardi previsti saranno abbondantemente superati per le possibilità obiettive di aumento della produzione. I 70 miliardi previsti si eleveranno fra gli 80 e 90 miliardi.
In definitiva le entrate ordinarie devono essere elevate da 430 a 480 miliardi. Ed ora poniamo a raffronto le entrate con le spese: entrate ordinarie 480 miliardi; spese ordinarie 470 miliardi; entrate straordinarie previste: 90 miliardi; spese straordinarie di carattere assistenziale: 100 miliardi. Poi avete 260 miliardi di spese straordinarie per la ricostruzione. Cosa ci dicono queste cifre? Che abbiamo il pareggio del bilancio ordinario; che le spese straordinarie a fondo perduto sono coperte dalle entrate straordinarie. Rimangono scoperte le spese di 260 miliardi per la ricostruzione: ma, come dirò poi, queste spese non hanno nulla a che vedere col bilancio ordinario dello Stato e per far fronte ad esse si deve attingere al mercato finanziario, come è logico per spese di investimento patrimoniale. Se questa è la realtà obiettiva, perché non dire che esistono le condizioni del pareggio del Bilancio ordinario?
Si può porre il problema: queste entrate sono possibili con l’attuale reddito nazionale? La attuale situazione economica e finanziaria può sostenere tale onere? La previsione di 480 miliardi di entrate ordinarie rappresenta all’ingrosso una pressione fiscale del 20 per cento; vi si aggiunga il 5 o 6 per cento di tributi locali e il 4-5 per cento di tributi straordinari, si arriva in totale ad una pressione fiscale del 30 per cento, destinata a decrescere gradatamente nei prossimi anni. È uno sforzo notevole che si esige dal Paese, ma è possibile e compatibile con l’attuale situazione economica.
Ed ora, signori, voglio riprendere un argomento su cui da un anno vado insistendo e sul quale ho sentito ora parlare favorevolmente dall’onorevole Ruini e dall’onorevole Bertone: il problema del bilancio straordinario. Questo non è un problema contabile. La Ragioneria Generale dello Stato ha pensato alla distinzione delle spese in normali ed eccezionali, che – secondo me – non risponde alle esigenze attuali. Dobbiamo renderci conto che quando lo Stato spende, ad esempio, 100 miliardi per le ferrovie, o altri miliardi per la costruzione di manifatture, o rimette in piedi stabilimenti termali distrutti, queste spese hanno carattere di veri e propri investimenti di capitali come quelle di un industriale che impianta una fabbrica. Perché queste spese devono rientrare nel bilancio ordinario dello Stato; perché bisogna farvi fronte con i mezzi normali delle imposte e delle tasse? E quando si vede che le spese straordinarie arrivano al 59 per cento della spesa totale, esse non possono più considerarsi un capitolo secondario del Bilancio ordinario.
Ora, io mi domando: perché non prendiamo le spese che lo Stato deve sostenere per ricostruire ciò che la guerra ha distrutto e ne facciamo un conto a parte, che va regolato con particolari criteri e direttive e per il quale si deve provvedere attingendo a fonti diverse da quelle a cui si attinge per le spese normali dello Stato?
Il Bilancio straordinario della Ricostruzione che io propongo risponde a diverse esigenze: anzitutto esso afferma la necessità di un piano della Ricostruzione, del quale il bilancio straordinario è la traduzione contabile. Esso esprime inoltre l’esigenza di una politica del tesoro che superi i limiti di una politica di cassa in quanto assume a proprio criterio direttivo la determinazione del modo e dei limiti di impiego del risparmio nazionale attraverso lo Stato e attraverso l’iniziativa privata; ed anche la determinazione del limite del risparmio nazionale rispetto al reddito globale. Il risparmio è un fatto volontario, ma tutti sanno che vi sono provvedimenti che possono determinare anche un risparmio forzoso ed il tesoro può influire nel determinare il limite del risparmio rispetto al reddito generale, esso può e deve dire agli italiani quanto debbono risparmiare, per avviare secondo le nostre possibilità la ricostruzione del Paese. Questo rientra nella politica del tesoro, la quale deve tener presente che il reddito nazionale non è un dato statico e che quando il reddito nazionale si eleva, le possibilità di risparmio si elevano in modo più che proporzionale, mentre quando il reddito nazionale diminuisce le possibilità del risparmio diminuiscono in modo più che proporzionale. Il bilancio straordinario riafferma anche un principio di politica finanziaria per cui le spese ordinarie debbono essere sostenute con le entrate ordinarie; le spese straordinarie di assistenza con tributi straordinari; le spese straordinarie della ricostruzione con mezzi finanziari attinti dal mercato finanziario. Non si devono adoperare le entrate ordinarie per le spese straordinarie; col nostro sistema tributario ciò significa riversare il maggior costo delle conseguenze della guerra e della ricostruzione sulle classi meno abbienti; ma non devono nemmeno le entrate straordinarie servire alle spese ordinarie, perché in tal modo lo Stato perde credito. Vi è poi una esigenza di politica economica, e cioè la necessità di coordinare i lavori di ricostruzione alla attività economica generale del Paese, perché non è indifferente il modo come lo Stato spende i mezzi che preleva dal mercato finanziario: bisogna valutarne le ripercussioni nella situazione economica e finanziaria, anche ai fini della politica monetaria e dell’inflazione. Inoltre, quando si lancia un prestito, se vi è la certezza che esso sarà investito nella ricostruzione di beni reali e produttivi, i sottoscrittori accorrono in maggior numero e con maggiore fiducia, anche perché si possono dare garanzie reali e si può realizzare quel decentramento dei prestiti che oggi ancora non si fa. Vi è infine una esigenza di garanzia e di controllo. Il Governo ha il dovere di dare al cittadino la garanzia giuridica dell’impiego dei mezzi finanziari ai fini per i quali sono stati richiesti. Con la distinzione dei due bilanci non sarà possibile mescolare entrate e spese ordinarie e straordinarie. E viene anche reso possibile un maggior controllo non solo per la veridicità delle cifre, ma anche per la corrispondenza dei documenti contabili alla natura economica e finanziaria degli atti che lo Stato compie. E ciò è tanto più importante oggi che lo Stato è chiamato a compiere una vasta opera di ricostruzione ed assume sempre nuovi compiti e sempre maggiore diviene il suo intervento e la sua influenza nella vita economica del paese.
Per quanto riguarda il controllo dell’opinione pubblica, voglio riferire un esempio concreto. Alcuni giornali, poco tempo fa, asserivano che se si fa un raffronto fra le attuali spese militari, di personale e per interessi del debito pubblico, con quelle di prima della guerra, rispetto alla spesa totale, si constata che la situazione è migliorata. Così le spese militari erano allora un quarto della spesa totale, mentre oggi sarebbero un nono. Questo non è vero; se si tolgono le spese della ricostruzione, che non esistevano nel bilancio antebellico, noi constatiamo che invece di diminuire le spese militari sono aumentate; erano un quarto e sono diventate quasi un terzo. Così per le spese del personale: prima della guerra erano un quarto, mentre oggi si dice che sono un sesto, mentre sono più di un terzo e si avvicinano quasi alla metà. E così per le spese degli interessi: si dice che erano un quarto prima della guerra e che oggi sono un quindicesimo; invece oggi sono quasi un settimo. Ora, se si distinguono i due bilanci questi trucchi non sono più possibili. Voglio infine ricordare l’esperienza che si è fatta fuori d’Italia, ad esempio in Francia. Qui si è istituito il bilancio straordinario della ricostruzione, che è la traduzione contabile del piano Monnet. Quel bilancio è stato discusso in Parlamento ed i problemi discussi sono: distribuzione del risparmio nazionale negli impieghi pubblici e privati; limite del risparmio rispetto al reddito nazionale; decentralizzazione dei prestiti e finanziamenti, controllo sulla spesa, garanzie reali. Tutti problemi di interesse fondamentale per la politica economica del Governo. I due bilanci ci permetterebbero inoltre di affermare: abbiamo il bilancio ordinario in paleggio e un bilancio della ricostruzione di 200, 250, 300 miliardi, al quale facciamo fronte con questi e questi altri finanziamenti, equilibrando le spese con le entrate.
Con tale prospettiva per il bilancio dello Stato 1947-48, nonostante le innegabili difficoltà immediate del Tesoro che tuttavia potranno essere superate senza perdere il controllo della situazione, il Governo può e deve definitivamente risolvere alcuni gravi problemi ancora non risolti.
In primo luogo quello dei pensionati; quando si avvicina questi vecchi lavoratori in miseria, defraudati di ciò che è loro legittimo diritto, si prova un senso di pena e di vergogna, si ha l’impressione che questa povera gente vi dica: «Perché ci continuate a derubare, proprio noi che non possediamo più niente?». Viene poi il problema degli impiegati statali. Eccovi alcune cifre: negli anni dal 1939 al 1943 il numero delle cessioni di stipendio degli impiegati dello Stato contratte presso una grande Banca specializzata in queste operazioni si elevava in media a 300 cessioni mensili per un importo di 30-40 mila lire. Oggi le cessioni di stipendio sono arrivate alla cifra di 3000 per un importo di 110-120 milioni ogni mese: gli impiegati dello Stato spendono oggi quello che sperano di guadagnare nel 1952 e negli anni avvenire. Non è possibile che questa situazione possa durare più a lungo.
Il terzo problema riguarda le imposte sui redditi di lavoro. Io voglio ricordare che il limite già insufficiente proposto in un provvedimento di legge è stato annullato dagli aumenti di prezzo di questi ultimi mesi. Onorevole Pella, io la prego di rivedere il sistema tecnico di quella legge. Si è adottato un sistema che va a danno dei redditi minori ed a benefìcio di quelli maggiori. Non è giusto che ci sia una detrazione fissa di 96 mila lire per tutti i redditi piccoli e grandi. Non c’è motivo di concedere agevolazioni agli alti redditi a spese dei redditi più bassi. Lei sa con quali criteri io mi proponevo di risolvere tale problema prima di lasciare il Ministero delle finanze.
Bisogna cambiare tecnica ed adottare un sistema per cui, quando si supera un certo limite di reddito, non vi deve essere più alcuna detrazione fissa. L’onere della minore entrata deve essere riservato ad alleviare le condizioni di chi ha bisogno e non di chi può pagare.
La risoluzione di questi problemi non compromette la prospettiva del bilancio dello Stato per il 1947-48. Questa è tale che, se sarà mantenuta, ci assicura che non è di là che provengono oggi i maggiori pericoli per la lira. Il bilancio oggi lo possiamo dominare. Non è su questo settore che si combatte la battaglia decisiva per la difesa della nostra moneta.
Ed ora consentitemi di accompagnarvi nella zona veramente pericolosa per la lira: la circolazione monetaria e creditizia. Qui si pongono due problemi: uno di politica monetaria, l’altro di politica del credito. E si impone inoltre la necessità di liquidare una serie di luoghi comuni, che circolano come verità indiscusse, mentre non hanno alcuna rispondenza nella realtà.
A fondamento delle considerazioni che verrò svolgendo richiamo l’attenzione dell’Assemblea su alcuni dati di fatto di particolare interesse. Alcuni indici, che per se stessi hanno un valore limitato, posti in correlazione gli uni con gli altri ci rivelano alcuni aspetti della realtà di particolare importanza per una giusta valutazione della situazione economica attuale. Prendiamo gli indici della produzione, circolazione e prezzi. Nel 1946-47, la produzione in Italia è aumentata del 40/45 per cento e la circolazione è aumentata a un dipresso del 30/33 per cento: questo significa che sul mercato italiano l’offerta di merci e di beni è aumentata in proporzione maggiore all’aumento della circolazione. In queste condizioni i prezzi non avrebbero dovuto aumentare: anche se si tiene conto dell’eventuale aumento di velocità della circolazione e del ritorno sul mercato di moneta tesaurizzata, i due indici possono essersi equilibrati, e quindi i prezzi se non sono diminuiti non avrebbero dovuto nemmeno salire. Invece, nello stesso periodo di tempo si è avuto un aumento del 50 per cento dei prezzi all’ingrosso e del 70 per cento dei prezzi al minuto.
Come si spiega questo fatto?
Per tutto l’anno 1945 e per i primi mesi del 1946, noi abbiamo avuto un aumento di prezzi di carattere inflazionistico, perché la produzione diminuiva mentre la circolazione aumentava. In quella situazione il cambio della moneta, con il blocco di una parte della circolazione, avrebbe operato contro l’inflazione. Il cambio non si fece e l’inflazione continuò a produrre i suoi effetti. Ma nel corso del 1946 la produzione incomincia ad aumentare, mentre la circolazione aumenta in misura minore: ad un certo momento il rapporto si rovescia e con essa si rovescia il processo inflazionistico; non è più l’aumento della circolazione monetaria a determinare l’aumento dei prezzi, ma è invece l’aumento dei prezzi, determinato da altri fattori, che si trascina dietro l’aumento della circolazione.
Quali sono questi altri fattori? Si tratta prevalentemente di fattori speculativi, i quali operano in diverse forme e in diversi campi: in primo luogo in quello del credito. Accanto alla circolazione monetaria, noi abbiamo infatti una circolazione bancaria: nel periodo in cui lo Stato aumentava di cento miliardi la sua circolazione per pagare gli ammassi, le spese degli alleati, ecc., il limite di espansione della circolazione bancaria si elevava fino alla possibilità di un aumento di 282 miliardi della circolazione creditizia.
Può darsi che non tutta questa circolazione fosse in atto, ma è indubbio che qui appare un elemento inflazionistico, che trae origine da operazioni di natura prevalentemente speculativa. La cosa è tanto vera che l’onorevole Einaudi, nella sua relazione come Governatore della Banca d’Italia, ha posto il dito sulla piaga: egli ci dice che le Banche hanno superato i limiti imposti dalla legge per la concessione di crediti, e quando egli ha cercato di farli rientrare in quei limiti ha incontrato da parte dei banchieri le più vive resistenze.
È chiaro che noi abbiamo qui una circolazione creditizia che si è sovrapposta alla circolazione monetaria legale in misura tale da determinare una situazione inflazionistica: questa circolazione creditizia è di origine prevalentemente speculativa, perciò è nella speculazione che noi vediamo uno dei fattori dell’aumento dei prezzi.
Qui si pone un problema al quale ha accennato l’onorevole Corbino nel suo discorso. Ad un certo momento egli ha detto: «Vedrei volentieri un progetto di legge, il quale stabilisse che la circolazione è bloccata ad una determinata cifra, e non può venire modificata». In quell’occasione io l’ho interrotto dicendo che questo era un errore logico e pratico. Io penso che sia più giusto porre il problema come è stato posto nelle dichiarazioni del Governo, là dove si dice che il problema importante non è di bloccare la circolazione ad una determinata cifra, ma stabilire un punto di equilibrio fra la circolazione ed i prezzi ed impedire a fattori estranei di spostare questo punto di equilibrio.
Io richiamo l’attenzione del Governo su questo problema, che così impostato – e giustamente impostato – pone però dei compiti particolari. Quale è la situazione che abbiamo noi in Italia? Abbiamo un livello dei prezzi superiore a quello che dovrebbe essere, data la produzione e la circolazione monetaria…
CORBINO. Ecco perché dico che bisogna bloccare la circolazione. Questa è la ragione.
SCOCCIMARRO. …ed abbiamo viceversa una circolazione monetaria – non vi sembri paradosso quello che dico – inferiore a quella che dovrebbe essere, dato il livello dei prezzi.
Ora, fare una politica di stabilizzazione, non vuol dire non emettere più biglietti, vuol dire creare un equilibrio fra circolazione e prezzi, e con esso le condizioni di stabilità di questo equilibrio. Oggi, l’indice di aumento dei prezzi è di 70; per riportarlo al punto di equilibrio dovrebbe scendere a 45; la circolazione, che ha un indice di aumento di 24, per portarla al punto di equilibrio dovrebbe salire a 36. Ora, come risolvere questo problema? Vi sono tre vie: se si parte dal presupposto di mantenere i prezzi fermi al livello attuale, allora la circolazione, prima o poi, deve adeguarsi e portarsi al suo giusto punto; oppure mantenere ferma la circolazione ed allora bisogna fare una politica economica che faccia assolutamente scendere i prezzi, altrimenti non si ristabilisce l’equilibrio; oppure, si potrebbe seguire la via di mezzo: operare dalle due parti: comprimere i prezzi e lasciare un certo respiro alla circolazione. Qui si pone un problema di composizione qualitativa della circolazione. Onorevole Einaudi, io penso che in questo momento, nelle nostre attuali condizioni, sarebbe ottima cosa se la circolazione bancaria si potesse restringere e si allargasse al suo posto, per la stessa quantità, la circolazione monetaria dello Stato.
CORBINO. Bene.
SCOCCIMARRO. E questa non sarebbe inflazione, perché se noi facciamo una politica di riduzione dei prezzi, e contemporaneamente diamo un po’ di maggiore respiro alla circolazione necessaria alla vita economica del Paese, noi facciamo sempre una politica di stabilizzazione, che implica anche una certa rivalutazione della lira, sebbene minore di quella che si avrebbe se riducessimo i prezzi al loro punto di equilibrio, poiché eliminiamo dalla svalutazione monetaria quel margine attualmente sostenuto da influenze speculative.
Questo è il problema: il programma del Governo imposta il problema in modo esatto, ma non dice come lo risolverà. È interesse dei lavoratori che si faccia una politica di compressione dei prezzi e contemporaneamente si realizzino quelle condizioni di stabilizzazione di cui ho parlato.
Tutto ciò implica un problema di intervento nelle banche, nel credito. Il Governatore della Banca d’Italia ha già fatto la proposta al Ministro del tesoro di modificare le norme vigenti circa i limiti e i rapporti fra depositi, credito e patrimonio delle banche; ma io penso che, alla luce delle nuove realtà, è da vedere se quella proposta non meriti di essere resa un po’ più severa di quanto non sia di fatto.
Se ora osserviamo quanto è accaduto nel 1946-47, non più nel suo complesso, ma per fasi successive, si possono fare non meno importanti constatazioni. Ad esempio, nel trimestre gennaio, febbraio, marzo di quest’anno il prezzo delle merci all’ingrosso aumenta di 150 punti, mentre il prezzo delle merci al minuto aumenta di 1500.
Ora, cosa significa questo divario?
Significa accaparramento che sottrae merci al mercato e fa salire i prezzi a fine speculativo. Ecco un nuovo elemento che fa salire i prezzi!
Ma non è ancor tutto. Andiamo a vedere che cosa accade nel commercio delle materie prime. Vi sono oggi in Italia grandi industrie le quali impegnano tutta la loro produzione annuale al cosiddetto mercato libero, affidandola cioè a speculatori coi quali hanno un tacito patto di non assumere ordinazioni dirette. Si crea così una specie di incrostazione monopolistica per cui l’intermediario impone i prezzi che vuole senza nessun controllo. E avviene, ad esempio, che il ferro, che si potrebbe comprare alla fabbrica a 40 lire al chilogrammo o poco più, i costruttori edili devono pagarlo 120-130 lire al chilogrammo.
Industrie che operano in questo modo ce ne sono diverse in Italia.
Bisogna spezzare queste incrostazioni!
Ma anche per le materie prime che vengono dall’estero avviene qualcosa di analogo.
Permettete che vi dia notizia di un solo fatto: l’Associazione cotoniera italiana è stata autorizzata dal Ministero per il commercio estero a vistare le fatture originarie di acquisto dei cotoni sodi da presentare alle dogane per l’importazione. Questa rispettabile Associazione, senza l’autorizzazione di nessuno, impone per suo conto un tributo di 4 lire al chilo sui cotoni importati, il che vuol dire che sopra una importazione di 174 milioni e 600 mila chilogrammi, realizza un guadagno di 698 milioni e 400 mila lire percepito arbitrariamente. E questo lo paga il consumatore! Queste sono sopravvivenze corporative del fascismo.
Voci a sinistra. Servono per sovvenzionare i giornali fascisti! Questo è quello che succede!
SCOCCIMARRO. Ma c’è di più: questa funzione di controllo poteva essere attuata da un organo ministeriale, dalla Sezione fibre e industrie tessili del Sottocomitato industriale Alta Italia, che già la faceva senza spesa alcuna! Perché si è sottratta quella funzione a quell’organismo per affidarla all’Associazione cotoniera che per suo conto impone un tributo a spese dei consumatori? Ne sa qualcosa il Ministro del commercio estero? E poi ci si chiede perché crescono i prezzi. È la speculazione che è penetrata nelle fibre più intime dell’organismo economico del nostro Paese. Bisogna distruggere la speculazione in tutte le sue forme: questo è il problema.
Ed ora veniamo alle Borse. Signori, è avvenuto che nel periodo del terzo Governo De Gasperi vi sono state molte industrie che hanno proceduto alla rivalutazione monetaria dei loro impianti. Quando si pretende che l’aumento delle quotazioni dei titoli avvenuto in questi mesi è un fatto economico normale dovuto alla rivalutazione ed agli aumenti di capitali, io devo far notare che molte grandi società avevano rivalutato prima del febbraio e il valore dei loro titoli si era già adeguato; l’onorevole Einaudi, nella sua relazione alla Banca d’Italia, afferma che fin dal febbraio l’adeguamento dei titoli era quasi compiuto e ci dà anche i dati: da 13 a 60 volte. Ora, dopo il febbraio noi assistiamo ad un rialzo dei titoli veramente incredibile anche per società che avevano già attuato la rivalutazione monetaria e per quelle che hanno rivalutato in quel periodo, il rialzo dei titoli è andato molto al di là del limite di rivalutazione. Vediamo titoli passare da 21 mila a 54 mila lire, altri da 139 mila a 242 mila; da 9 a 26; si tratta di aumenti del 100, 200 e anche 300 per cento per Società che avevano già rivalutato. Come si spiega tutto ciò? Io mi limiterò a indicare un solo elemento: gli aumenti di capitale nella forma classica dell’«annacquamento». Nei tre mesi, dal febbraio al maggio, si sono distribuiti 491 miliardi di azioni gratuite e 760 miliardi come opzioni, cioè acquisto di azioni ad un prezzo inferiore al valore. È una vera pioggia d’oro di più di 1.200 miliardi a beneficio dei capitalisti e degli speculatori. E non manca l’aggiotaggio, quella speculazione che è reato: ad esempio, i titoli della «Condotte d’acqua» (l’Acqua Marcia di Roma) un bel giorno rialzano da 1.300 a 2.400, poi arrivano al lunedì a 2.800, il martedì scendono a 2.000, il mercoledì rialzano di nuovo a 2.800: è una specie di montagne russe della speculazione. E si sa che coloro i quali avevano venduto il lunedì sono gli stessi che ricomprano il martedì. Vecchio sistema ben noto. Tutto questo avviene mentre il Governo assiste come un osservatore distratto ed indifferente alla distribuzione di 1.200 miliardi, senza trarne un contributo adeguato per il tesoro boccheggiante. Intanto i titoli di Stato diminuiscono del 10 o 15 per cento, le valute estere vanno alle stelle, la lira si svaluta ed i prezzi aumentano.
Questa è la dura realtà, che nessun professore riuscirà mai a coprire con il manto logoro di una pseudo-scienza di eccezione messa al servizio degli speculatori. Alludo ad un professore universitario che recentemente, dalle colonne di un organo tecnico della Capitale, si rammaricava della «ignoranza economica» degli uomini politici che attribuiscono alla speculazione l’aumento dei prezzi, che dipenderebbe invece da altri fattori. Con buona pace di quell’egregio professore, se è vero che a determinare i prezzi concorrono altri fattori, è pur vero che ogni qual volta la moneta si svaluta, per qualsiasi causa, i prezzi aumentano. A quell’egregio signore io posso anche dire che l’indice di maggiorazione dei prezzi per effetto della speculazione è stato nel primo semestre del 1946 del 17 per cento; nel secondo semestre del 37 per cento e tale si è press’a poco mantenuto nei primi mesi del 1947. Ancor più: la lira oggi è scesa ad un centesimo e mezzo rispetto al 1938; mentre il suo valore, in relazione alla produzione ed alla circolazione attuale, dovrebbe essere almeno di centesimi 2,5. La sua maggiore svalutazione è dovuta a fattori speculativi. Questa è la realtà: ed è veramente spiacevole che dei professori universitari la ignorino e dicano sciocchezze tali che disonorano la cattedra che ricoprono.
Nessuno ignora che una formidabile ondata speculativa si è riversata sul nostro paese nei mesi scorsi, che non può spiegarsi interamente con ragioni economiche: vi sono stati anche motivi politici. Ed anche qui si è fatta l’obbiezione: «Voi credete che sia la speculazione a creare la sfiducia politica, mentre è la sfiducia politica che crea la speculazione». Ora a me pare che tanto l’una quanto l’altra asserzione possono essere vere: bisogna guardare volta a volta alla concreta realtà. Ma prima di esaminare che cosa è avvenuto di fatto nei mesi scorsi, desidero dare alcune precisazioni sulle borse e la speculazione.
La Borsa è l’organismo più perfetto e più delicato creato dall’economia capitalistica nel suo sviluppo storico. Essa assolve ad una funzione utile e necessaria: pensare di sopprimere la Borsa, permanendo il sistema dell’economia capitalistica, è una sciocchezza. Tra le funzioni della Borsa è anche quella della speculazione: prevedere lo sviluppo avvenire della situazione economica per adeguarvi gradatamente il meccanismo economico, in modo da evitare sbalzi improvvisi di prezzi. La Borsa e la speculazione sono un po’ come il «volano» del meccanismo economico. Lo speculatore prevede l’avvenire e gradatamente vi adegua la realtà con enorme benefìcio della società; ma questa è la speculazione sana, utile, che assolve ad una funzione economica importante e che bisogna difendere. Ma c’è poi anche un’altra speculazione, la speculazione che somiglia al giuoco d’azzardo, la speculazione di aggiotaggio e la speculazione con moventi e fini politici. Una determinata situazione politica può creare sfiducia e determinare la speculazione; ma può avvenire anche che si operi con la speculazione in borsa per determinare una situazione politica: i due aspetti possono essere contemporanei. Che cosa è avvenuto nei mesi scorsi? Si è commessa l’imprudenza di lanciare quella cifra: 610 miliardi di disavanzo, in modo tale da suscitare una ondata di allarme e di panico in tutto il Paese: ci sono poi stati gruppi e forze finanziarie che ne hanno approfittato aggravando la psicosi allarmistica, potenziando consapevolmente il moto inflazionistico per creare una determinata situazione politica. Ecco quello che è avvenuto. La speculazione opera in pieno: all’orizzonte si leva lo spettro dell’inflazione. De Gasperi si spaventa e invece di colpire la speculazione con provvedimenti adeguati, rovescia il Governo ed estromette comunisti e socialisti per conquistare la fiducia degli speculatori: altro che «doppio giuoco dei comunisti». Quelle forze che tanto male hanno fatto al paese hanno spinto l’onorevole De Gasperi alla crisi ed hanno imposto la loro volontà nella formazione del nuovo Governo. Questo è, o signori, quanto è avvenuto in Italia; questo è il retroscena che sta alla base della crisi. Quale fiducia si può avere in tale Governo? Perciò quando noi parliamo di speculazione, non intendiamo affatto parlare di quella che è la funzione normale e logica delle Borse, ma di ben altra cosa, che non ha nulla a che fare con la funzione normale e necessaria delle Borse che bisogna salvaguardare: è perciò che siamo dubbiosi di fronte alla proposta dell’onorevole Ruini di sospendere i contratti a termine: temiamo che sarebbe un errore, poiché i contratti a termine servono…
RUINI. Ho detto temporaneamente.
SCOCCIMARRO. …allo svolgimento normale di quella che ho detto essere la funzione utile e necessaria delle borse.
Voce al centro. Ma servono anche molto alla speculazione.
SCOCCIMARRO. D’accordo. Ma appunto per questo bisogna distinguere. Le proposte che farò tendono a colpire la speculazione senza danneggiare la funzione normale delle borse. A tal fine è necessario porci un altro problema. Quando noi poniamo il dilemma: stabilizzazione o inflazione, tutti rispondono: stabilizzazione, niente inflazione. Ma io mi domando: ci sono o non ci sono delle forze in Italia che sono interessate e vogliono l’inflazione? Io dico di sì. In verità l’inflazione è un processo di violenta redistribuzione della ricchezza nazionale: sulla miseria e la rovina della maggioranza della popolazione si accumulano nuove ricchezze nelle mani di classi o gruppi che già detengono la maggior potenza economica. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Oggi poi, l’inflazione è il mezzo più facile e più efficace di evasione dall’imposta straordinaria sul patrimonio. E sul piano politico, l’inflazione è ancora l’arma più insidiosa e pericolosa contro la sorgente democrazia repubblicana: non dimentichiamo che in Germania, è stata la catastrofica inflazione del 1923 a dare impulso al nazismo.
Voci. Benissimo.
SCOCCIMARRO. Ora, una serie di fatti e di episodi, specialmente dopo il 2 giugno e con maggior rilievo ed intensità negli ultimi mesi, dimostrano e confermano che ci sono nel paese forze che operano consapevolmente in senso inflazionistico. Ho detto consapevolmente, per tacere di coloro che inconsapevolmente, mossi dal panico od altro, concorrono a favorire il moto inflazionistico e quindi a determinare quella situazione che essi per primi temono e deprecano. Noi assistiamo di tanto in tanto a delle vere e proprie offensive contro la lira: ondate speculative in grande stile in Borsa, fughe di capitali, aumenti artificiosi di prezzi, ecc. Fenomeni di questo genere si sono manifestati dopo la crisi di gennaio in tali proporzioni da creare nel paese una situazione di grave turbamento, uno stato d’animo quasi di panico come di chi si senta minacciato da un pericolo a cui non può sfuggire; uno stato di psicosi collettiva in cui l’immaginazione ingrandisce il pericolo, dà corpo alle ombre e si producono i fenomeni più strani, incomprensibili e irrazionali, nei quali tuttavia si ritrova un elemento razionale e precisamente nell’azione di chi, in tanto scomposto agitarsi, persegue freddamente e consapevolmente un suo fine determinato.
Per concludere su questo punto dell’inflazione creditizia e della speculazione, delle incrostazioni monopolistiche negli scambi dei beni di consumo e delle materie prime, il Governo, a mio giudizio, deve prendere provvedimenti immediati in difesa della moneta. Il credito deve essere messo sotto controllo: non deve essere possibile che la circolazione aumenti per volontà di interessi particolari, come è già avvenuto. L’onorevole Corbino ha ricordato un episodio della nostra storia monetaria, che ha determinato una nuova legislazione sulla emissione dei biglietti. Non ha detto però che in quella occasione c’era una circolazione clandestina fatta dalle banche in frode dello Stato.
CORBINO. C’era la circolazione eccedente.
SCOCCIMARRO. Le banche si erano fatte venire clandestinamente i biglietti dall’estero. Anche ora c’è stato qualcosa di analogo: si è violata la legge e si è creata una inflazione nella circolazione a beneficio di interessi particolari e contro gli interessi generali del Paese. Bisogna stabilire un serio controllo del credito, ricondurre la circolazione creditizia alla normalità ed impedire che si ripeta quanto è avvenuto.
Per quanto riguarda le Borse occorrono tre provvedimenti. Innanzi tutto occorre che sia riveduta la legge per la vigilanza ed il controllo delle borse: il Tesoro dovrebbe già avere un ispettore in ogni Borsa; ma di fatto ne esistono solo in qualche località. Per di più essi si trovano da molti anni nello stesso luogo ed hanno contratto rapporti personali con gli operatori per cui la funzione ispettiva in realtà vien meno. Bisogna cambiare sistema. Sapete che cosa avviene oggi in Borsa? Gli operatori di Borsa denunciano solo in parte i titoli che negoziano: si calcola che ne denunciano solo il 10 per cento. E mentre in passato registravano i titoli negoziati nella loro contabilità, dopo l’aumento dell’imposta di negoziazione al 4 per cento non fanno più nemmeno questo e frodano quindi lo Stato.
FABBRI. Come fanno allora a trasferire i titoli nominativi?
SCOCCIMARRO. Ho detto che denunciano il 10 per cento. Non omettono tutto. Avvengono poi accordi fuori Borsa.
FABBRI. Ma come trasferiscono i titoli nominativi?
PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, la prego di non interrompere.
FABBRI. No, mi interesserebbe saperlo.
SCOCCIMARRO. Gli agenti di cambio, quando operano o in proprio a mezzo di prestanome o per conto di clienti di piena fiducia, non registrano le operazioni nei loro libri, né compilano per esse i regolari fissati bollati. Essi compensano direttamente le operazioni chiuse nella stessa giornata, mettendo a diretto contatto le rispettive contropartite di Borsa e facendosi accreditare o addebitare le differenze in conto liquidazione. Per le operazioni che non si chiudono lo stesso giorno, il compenso viene effettuato a fine mese facendo passare nei conti di liquidazione solo i saldi in valuta risultanti a debito o a credito. Essi si sottraggono perciò: 1°) alla sovraimposta di negoziazione 4 per cento; 2°) alla tassa di bollo per i fissati bollati; 3°) al regolare accertamento dell’imponibile di ricchezza mobile. Il danno per l’Erario è dell’ordine di parecchi miliardi all’anno.
Oltre a istituire una reale vigilanza e controllo, occorre dare una nuova disciplina ai rapporti fra Banche e Borse, particolarmente per quanto riguarda i «riporti», che sono il mezzo tipico di cui si serve la speculazione. Infine io credo necessaria una nuova legislazione fiscale per le Borse.
Per quanto riguarda la circolazione delle materie prime, è necessario sopprimere tutte le inutili bardature, pure sopravvivenze corporative, e istituire un reale controllo democratico sulla distribuzione delle materie prime per distruggere tutte le incrostazioni monopolistiche che si sono costituite.
Per i beni di consumo, è necessario controllare seriamente alcuni prezzi fondamentali contro ogni forma di accaparramento speculativo.
Per i prezzi bisogna fare una seria ed energica politica di compressione.
Questi sono i provvedimenti che in questo campo io ritengo urgenti per la difesa della lira. Saranno adottati dal Governo? Non nascondo che ho seri dubbi. Io non posso dimenticare che nel 1935 l’onorevole Einaudi scrisse nella Riforma Sociale che «arrangiarsi è il più meraviglioso verbo che esista nell’economia applicata. Di tutti i consigli che possono essere dati agli uomini, questo è forse il più salutare». Non lo ripeta oggi, onorevole Einaudi: c’è della gente che si arrangia anche troppo; è contro di loro che ella dovrebbe lottare per difendere la lira. E non dimentico nemmeno che anche l’onorevole Ministro Del Vecchio ebbe a scrivere nel 1933 nel Giornale degli Economisti che «di fronte alla lenta liquidazione delle insolvenze ed agli altri processi che derivano dalla diminuzione di certi prezzi e di certi redditi ed oltre certi limiti della loro intensità ed estensione l’inflazione si può presentare come il minor male»; io la pregherei, onorevole Del Vecchio, di dimenticare in questo momento questa sua affermazione.
DEL VECCHIO. Ministro del tesoro. Non mi ricordo di averlo mai scritto.
SCOCCIMARRO. Se non lo ricorda gliela manderò; le farò omaggio di un suo scritto.
Ed ora passiamo ad un ultimo problema che, a mio giudizio, è il più grave di tutti: la bilancia dei pagamenti.
Tutti sanno che nel 1946 abbiamo usufruito dei rifornimenti U.N.R.R.A. che hanno coperto il disavanzo della nostra bilancia. Nel 1947 possiamo usufruire dei residui del piano U.N.R.R.A., dell’assegnazione post-U.N.R.R.A., dei conti sospesi per il fondo paga truppe, e di altre voci, per cui il disavanzo si riduce di molto e potrà essere coperto con qualche aiuto limitato: la situazione perciò non è grave, per il momento. Ma sarà gravissima nel 1948, quando vi sarà uno scoperto medio di 600 milioni, senza più nessuna riserva. È necessario ricordare alcuni dati della nostra bilancia commerciale ante-guerra. Le importazioni ed esportazioni in Europa comprendevano il 60 per cento dei nostri scambi internazionali: solo nella Germania e nei paesi orientali i nostri scambi andavano dal 20 al 25 per cento. La Germania assorbiva quasi un terzo dei nostri ortaggi e della nostra frutta ed un terzo di agrumi. Attualmente il nostro commercio con la Germania e i paesi dell’Europa sud-orientale è quasi nullo: finché non avremo riaperto le vie del commercio con l’Europa centro-orientale, alla nostra bilancia dei pagamenti mancherà un apporto del 20 per cento. Con l’aggravante che i nostri approvvigionamenti ci vengono d’oltre mare e su di essi incide un maggior costo di trasporti, ancor più aggravato dal fatto che, contrariamente a quanto avvenne dopo l’altra guerra, i noli si mantengono elevatissimi a causa del forzato disarmo di gran parte delle navi Liberty e Victory costruite durante la guerra.
In secondo luogo le entrate invisibili si calcolavano, nella nostra bilancia, tra il 15 ed il 20 per cento, mentre oggi sono ridotte al minimo.
In terzo luogo noi non siamo in grado di ridurre le nostre importazioni senza aggravare ancora di più la bilancia dei pagamenti, perché per un paese che ha esuberanza di forze lavoratrici ed ha un tenore di vita così basso, una riduzione di importazioni vuol dire una riduzione di materie prime e questo incide più che proporzionalmente sulle nostre esportazioni e quindi si aggrava la nostra bilancia.
Queste tre condizioni: la mancanza di alcuni principali mercati europei di sbocco; la perdita della maggior parte delle partite invisibili; la rigidità delle nostre importazioni, fa sì che per alcuni anni avremo un deficit approssimativo di 600 milioni di dollari all’anno.
In queste condizioni per noi il prestito dall’estero è assoluta necessità.
A questo proposito desidero precisare il nostro pensiero sui rapporti con l’America. Noi sappiamo che abbiamo bisogno di prestiti e sappiamo che il solo paese che ce li può dare sono gli Stati Uniti d’America. Noi siamo disposti a dare tutte le garanzie economiche per i prestiti che ci sono fatti, ed anche tutte le garanzie politiche, nel senso della stabilità politica nel nostro Paese. Però, signori, se noi riconosciamo che l’investimento di capitali crea un interesse economico dell’America in Italia, io debbo ricordare anche che l’America non ha mai avuto interessi politici nel nostro Paese. E pensiamo che non vi è ragione che li debba avere oggi, al di là delle garanzie di quella stabilità politica che assicura alla nostra vita economica la possibilità di svilupparsi in modo da garantire che i prestiti saranno pagati, e, con essi, i relativi interessi. Altrimenti arrischiamo di lasciarci trascinare nel vortice di contrasti internazionali verso nuovi conflitti.
Vorrei anche ricordare che se è vero che noi abbiamo bisogno di prestiti, anche «l’America ha bisogno di far prestiti»: la sua economia non può prescindere dall’economia europea senza esporsi ad una gravissima crisi: essa ha bisogno di esportare. L’interesse è reciproco, come sempre accade quando si fanno degli affari. Su questo punto non s’incontrerà mai nessun ostacolo da parte nostra.
Che cosa occorre fare per risolvere il grave problema della nostra bilancia di pagamenti? Anzitutto c’è una questione di politica valutaria. Noi crediamo che bisogna rivedere urgentemente la politica che si è seguita fino ad oggi: il 50 % delle valute libere lasciate agli esportatori è stata un’esperienza dei cui insegnamenti non possiamo prescindere. È avvenuto che gli esportatori hanno avuto un interesse particolare ad esportare nei Paesi a valuta libera, piuttosto che nei paesi dove si scambia in compensazione, anche a un prezzo più basso di quello al quale avrebbero potuto vendere altrove, compensandosi col guadagno speculativo sulla valuta: l’interesse particolare è favorito a danno dell’interesse generale, poiché il nostro lavoro è venduto a troppo basso prezzo ed inoltre si svaluta la nostra lira di fronte alla valuta estera.
Oltre a ciò, il sistema attuale crea all’interno un regime di prezzi discriminati e quindi di equilibrio instabile che tende a distruggersi da sé e diviene perciò un ostacolo alla determinazione dell’equilibrio economico nel paese.
Ora, noi dobbiamo creare le condizioni favorevoli all’esportazione, dobbiamo favorire i nostri esportatori, ma dobbiamo trovare un altro sistema: quello seguito fin ad oggi deve essere riveduto.
Un altro problema che si pone è quello della fuga dei capitali con il sistema delle doppie fatture. Tutti sanno che in Italia gli esportatori denunciano un prezzo di vendita inferiore a quello reale e lasciano poi all’estero parte delle valute. Non è possibile trovare un sistema di controllo per impedire questo scandalo? E poi bisogna trovare il modo di far rientrare questi capitali italiani che si sono insediati fuori di Italia, mentre noi ne abbiamo tanto bisogno.
Altro problema è quello della ripresa dei nostri traffici con i paesi europei. Non si dimentichi che l’area del dollaro difficilmente assorbe i nostri prodotti, mentre l’area della sterlina acquista ma non vende. Sorgono perciò problemi nuovi per sfruttare tutte le possibilità che ci si offrono. Intanto noi dobbiamo fare tutto il possibile per accelerare la ripresa dei rapporti commerciali con l’Europa centrale e orientale. È questa una esigenza essenziale per la nostra bilancia dei pagamenti. Perciò raccomando vivamente al Governo l’approvazione e la ratifica del trattato di commercio con la Jugoslavia: esso ci fa condizioni favorevoli che saranno molto utili alla ripresa dei nostri scambi commerciali.
Ultimo problema essenziale per le nostre esportazioni è quello del «costo di produzione». Le nostre esportazioni sono ostacolate dai nostri costi troppo elevati rispetto ai costi di produzione internazionali. Bisogna affrontare seriamente e subito questo problema: bisogna ottenere una riduzione dei costi. In quale modo?
Mediante un aumento della produttività del lavoro, e la riorganizzazione economica generale sulla base del principio dei più bassi costi.
Per aumentare la produttività del lavoro occorre rinnovare l’attrezzatura tecnica industriale da una parte e l’intensità del lavoro dall’altra. Sotto questo aspetto, guai se pensassimo di ottenere una riduzione dei costi con la riduzione dei salari! Sarebbe grave errore perché si otterrebbe l’effetto opposto: il tenore di vita dei nostri operai è così basso che ogni ulteriore riduzione significa una caduta più che proporzionale dell’intensità del lavoro. I nostri lavoratori avrebbero bisogno di più di tremila calorie, mentre invece ne hanno appena poco più di duemila. Per aumentare la produttività del lavoro in Italia si devono migliorare le condizioni alimentari dei lavoratori; perché solo così potremo avere una intensificazione del lavoro, un aumento della produttività ed una riduzione dei costi di produzione.
Ma, signori, per i lavoratori italiani non c’è soltanto un problema alimentare, c’è anche un problema morale. Tenga presente il Governo che una delle condizioni per condurre la battaglia della riduzione dei costi in Italia oggi è la risoluzione del problema dei consigli gestione: bisogna creare condizioni morali e politiche nell’interno della fabbrica per cui l’operaio sia stimolato a porsi il problema dei «costi», come un suo problema.
Se non risolviamo questo problema, non risolviamo quello della nostra esportazione, non risolviamo quello della nostra bilancia dei pagamenti: ed allora saremo un Paese destinato alla servitù.
Un altro aspetto di tale questione, investe tutta l’organizzazione industriale del Paese, la quale deve essere riorganizzata dal punto di vista produttivistico secondo il principio del più basso costo di produzione. In altre parole, il principio del costo di produzione deve valere non solo per ogni singola industria, ma deve essere il principio regolatore dell’organizzazione di tutta l’industria italiana, e, sotto questo aspetto, permettetemi che vi accenni all’ultimo grave problema: l’I.R.I., l’Istituto per la ricostruzione industriale.
Questo, oggi, è diventato un problema nazionale; problema economico in quanto è elemento essenziale per la riorganizzazione economica del Paese; problema politico in quanto è strumento efficace di intervento dello Stato nella vita economica del Paese; problema sociale in quanto investe la vita di 250 mila lavoratori.
Ora, a che cosa assistiamo? Ricompare oggi quella campagna sulla «riprivatizzazione» che già si sviluppò negli ultimi anni del regime fascista. Essa tende a strappare dalle mani dello Stato questo importante strumento del suo intervento regolatore nella vita economica; tende a screditare l’I.R.I. per farlo crollare e liquidare sottocosto, tende infine a mobilitare l’opinione pubblica facendo apparire l’I.R.I. come un baratro nel quale il Tesoro debba versare miliardi e miliardi. (Commenti al centro).
UBERTI. Bisognerebbe che i miliardi non fossero dilapidati!
SCOCCIMARRO. Ora, l’I.R.I. mi fa l’impressione di una nave in gran tempesta, sbattuta dai marosi che minacciano di sommergerla e tutt’intorno si aggirano grossi squali dall’appetito vorace che attendono il momento opportuno per dare l’assalto e cogliere l’ambita preda.
È tempo che il Governo dica una parola molto precisa su tale questione; una parola che faccia scomparire tanti appetiti insani, che faccia comprendere a tutti che è inutile perdere tempo a mettere mine sotto l’I.R.I. per farlo saltare in aria. Sull’I.R.I. vigilano 250 mila operai i quali non tollereranno che l’I.R.I. serva a qualche grosso affare speculativo a danno del patrimonio nazionale e dell’interesse generale.
Oggi l’I.R.I. rappresenta un patrimonio intorno ai cento miliardi.
UBERTI. Non si è mai chiarito bene questo punto.
SCOCCIMARRO. No, è invece molto chiaro. L’I.R.I. controlla il 30 per cento dei depositi fiduciari. Ora, se si esamina la situazione dell’I.R.I., tranne che per il settore meccanico-cantieristico, le aziende sono in stato normale ed alcune anche in stato di floridezza.
Per il settore meccanico-cantieristico avviene per l’I.R.I. quello che avviene per tutte le industrie italiane le quali, per riparare danneggiamenti, per la riconversione da industrie di guerra in industrie di pace, per la ricostruzione e l’ammodernamento delle attrezzature hanno bisogno di essere sostenute…
Una voce al centro. Ma sono state sempre passive.
Un’altra voce al centro. Allora bisogna vendere.
Una voce a destra. E lì ci sono i consigli di gestione.
SCOCCIMARRO. …hanno bisogno di essere sostenute, come ne hanno avuto bisogno le industrie private per le quali voi non protestate.
SCOCA. Altro che se protestiamo!
SCOCCIMARRO. L’I.R.I. avrebbe potuto anche provvedere da sé, se la campagna di discredito condotta contro di essa non le avesse tolto la possibilità di finanziarsi sul mercato privato.
Le industrie meccaniche e cantieristiche dell’I.R.I. saranno entro un anno in condizioni di andare avanti con i propri mezzi; esse hanno bisogno soltanto di avere un credito sufficiente per riconvertire i loro impianti, così come ne hanno avuto bisogno industrie alle quali pure molto si è dato.
SCOCA. Male!
Una voce a destra. Ma hanno gestioni attive, quelle.
SCOCCIMARRO. Io sono d’accordo che l’I.R.I. non deve essere un baratro nel quale debba precipitare il Tesoro dello Stato. Ma qual è la situazione oggi? Alienando alcune sue attività non essenziali, l’I.R.I. potrebbe realizzare quanto le occorre per assolvere a questo compito: 24 miliardi.
L’I.R.I. possiede proprietà immobiliari urbane non essenziali per i compiti e le funzioni che noi le attribuiamo; proprietà immobiliari agricole nell’Agro Romano, Sardegna e Calabria; attività estere che non rappresentano interessi vitali; occorrendo si possono smobilitare tali attività per sostenere quelle essenziali. Però, se noi obbligassimo l’I.R.I. a farlo subito noi commetteremmo una cattiva azione, perché la campagna di discredito che si è fatta contro l’I.R.I. ha fatto sì che essa dovrebbe vendere sotto costo, a prezzi fallimentari.
Una voce al centro. Ma se le aziende sono buone, le comprano subito.
Altra voce al centro. Ma se anche voi dite che all’I.R.I. le cose vanno male!
SCOCCIMARRO. Sicuro; e anche ora lo ripetiamo; ma le cose non possono continuare ad andare avanti come per il passato.
La lotta fra chi vuole liquidare e chi vuol salvare l’I.R.I., ne ha paralizzato l’azione. È anzitutto necessario che si ponga termine a tale situazione assurda.
Bisogna poi aiutare subito l’I.R.I. e si può farlo senza esborsi diretti del Tesoro: per esempio, concedendo buoni del tesoro di cui l’I.R.I. assicura il collocamento e il servizio di interessi, oppure concedendo un certo numero di annualità che l’I.R.I. può scontare presso il Consorzio per le opere di pubblica utilità; si può far concedere dall’I.M.I. dei mutui alle aziende I.R.I. di cui questo garantirebbe il servizio. Si possono trovare anche altre forme. In ogni modo occorre che si decida e che si ponga termine al sistema dell’eterno rinvio di ogni decisione. Finora l’I.R.I. è vissuta alla giornata: questo sistema deve finire. Non si obblighi a liquidare immediatamente, ciò che può essere liquidato in condizioni più favorevoli domani.
Una voce al centro. No, in questo momento pagano bene.
SCOCCIMARRO. Che cosa occorre fare?
Occorre che l’I.R.I. concentri nelle sue mani tutte le partecipazioni industriali, bancarie e finanziarie dello Stato, ora gestite da diversi Ministeri. Io avevo incominciato a farlo col Ministero delle finanze; ma non lo si è fatto per tutti i Ministeri. Bisogna che tutto si concentri in mano all’I.R.I. Poi occorre che il Governo stabilisca quali sono le funzioni ed i compiti dell’I.R.I. nella economia italiana, quale la direttiva politica della sua azione, e in relazione a ciò la sua struttura ed organizzazione e quindi quello che deve rimanere all’I.R.I. e quello che può essere liquidato.
L’I.R.I. deve diventare l’organo e lo strumento tecnico del Governo, assumendo una funzione regolatrice nella vita economica del Paese: deve divenire il mezzo attraverso cui si realizza ogni iniziativa ed attività dello Stato nella economia nazionale. Perciò i rapporti fra Confederazione dell’industria e l’I.R.I. devono porsi su un piano di stretta collaborazione.
Se faremo in questo modo, noi potremo avere nell’I.R.I. uno strumento che può servire grandemente a risolvere il problema della riorganizzazione economica ed industriale italiana secondo i principî cui ho dianzi accennato.
Io ho finito. Volendo trarre da questa mia esposizione un giudizio conclusivo sui pericoli che minacciano la lira e quindi sulla azione da compiere in sua difesa, io porrei in primo luogo il problema della bilancia dei pagamenti, che presenta i pericoli meno immediati, ma certo i più gravi; poi quelli del credito e della speculazione, più immediati ma più facilmente dominabili. Per ultimo porrei il bilancio dello Stato, per il quale si sono già create condizioni che rendono minori i pericoli e più facilmente superabili. Il programma del Governo dà invece importanza preminente se non unica al bilancio statale. Questa impostazione della lotta per la difesa della lira, mi pare che non corrisponda alla realtà.
È per questo che il programma del Governo, così com’è, non ci soddisfa e non ci ispira fiducia. Ho già detto e non ripeterò quali provvedimenti si dovrebbero prendere per il bilancio, la politica monetaria e creditizia, le borse, il commercio interno ed estero, la produzione e riorganizzazione industriale. Questi sono tutti problemi urgenti che dovrebbero entrare nel programma del Governo. Io non so che cosa esso ne pensi, ma il solo fatto di non averli considerati ha già di per sé un significato. Ma quand’anche il Governo condividesse i miei giudizi e le mie proposte, sorge un altro problema: avrebbe esso la forza politica di realizzare tale programma che tende a spezzare le incrostazioni parassitane, a recidere i tumori maligni che infettano e rovinano la nostra economia; in altre parole, che comporta un’azione a fondo contro interessi ben agguerriti nella difesa dei loro privilegi? Non lo credo. Oltre alla vostra volontà che è dubbia, occorrerebbe il sostegno attivo e la fiducia delle forze popolari. Ma tale fiducia non esiste. Da ciò anche la nostra sfiducia.
Onorevoli colleghi, giorni fa l’onorevole Corbino, iniziando il suo discorso si compiaceva che questa crisi avesse dato al Paese la prova della lealtà democratica del Partito comunista, il quale, benché allontanato dal Governo, non ha dato luogo non so a quali diavolerie: l’insurrezione od altro che sia.
C’era molta ingenuità in quelle parole; esse però dimostrano quanta incomprensione ancora esiste in taluni nei nostri confronti.
Ma i fatti finiranno col far comprendere la realtà a quanti non l’hanno ancora compresa.
Oggi vi diciamo: noi siamo all’opposizione convinti di fare così opera utile, ed ancor più utile sarebbe se riuscissimo a rovesciare subito il Governo! (Commenti).
Quello che desideravo dirvi è che noi oggi stiamo all’opposizione con uno spirito diverso di quello col quale vi saremmo stati 25 anni fa: siamo all’opposizione con lo spirito di un partito il quale sa che la volontà del popolo gli chiederà di riassumere nuovamente responsabilità diretta di Governo. La nostra opposizione sarà costruttiva, perché vogliamo ridurre al minimo possibile il male che questo Governo può fare.
Sulla vostra attività, signori del Governo, noi terremo gli occhi aperti! Ricordatevi che il popolo italiano ha sofferto abbastanza per avere il diritto di crearsi una vita nuova per l’avvenire. Voi non date questa garanzia, perciò non avete la fiducia dei lavoratori e non avrete il nostro voto.
Una voce al centro. Ma noi non siamo lavoratori? Non siamo popolo anche noi?
SCOCCIMARRO. Fate attenzione alle suggestioni e alle lusinghe reazionarie; non sbarrate la via alle masse lavoratrici: il progresso e l’ascesa dei lavoratori significa progresso e ascesa di tutta la nazione! (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).
PRESIDENTE. La seduta è sospesa per 10 minuti.
(La seduta, sospesa alle 19.5, è ripresa alle 19.35).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Dopo il discorso semi-conservatore dell’onorevole Scoccimarro, io sarò brevissimo.
Se le dichiarazioni fatte finora dagli oratori che mi hanno preceduto sono state quasi tutte impostate sulla questione economico-finanziaria, non vuol dire che sulle comunicazioni del Governo De Gasperi non vi siano da fare considerazioni di altro carattere e di natura differente, importanti quanto e forse più di quelle.
Innanzitutto c’è un equivoco che deve essere chiarito. Sembra che il problema più scottante dell’attuale momento sia di natura economico-finanziaria. Ora, io non discuto l’importanza e l’urgenza di questo problema ma affermo che la crisi del precedente Governo e quella di tutto il Paese è una crisi eminentemente politica. Perciò qui si ha il preciso dovere di giocare a carte scoperte.
L’onorevole De Gasperi ha provocato quaranta giorni or sono una crisi del suo Ministero perché, dopo un anno di cosiddetta coabitazione forzata, di matrimonio di convenienza, si è convinto che in quel modo non poteva andare avanti. In altre parole, più crude ma più espressive, l’onorevole Presidente del Consiglio, al pari della maggioranza degli italiani, è giunto alla conclusione che con i comunfusionisti al Governo non si poteva, non si può governare. Di qui la crisi, di qui il nuovo Governo De Gasperi, terzo della Repubblica.
Quale monarchico tengo a dichiarare che i monarchici non hanno dimenticato e non possono dimenticare, per ciò che concerne il fattore istituzionale e politico, tutte le responsabilità che gravano sui passati Governi, e quindi anche sul nuovo, che di quelli è il diretto erede.
Da questo punto di vista, è chiaro che i monarchici dovrebbero schierarsi contro questo Governo. Ma per i monarchici, come ha dimostrato col suo alto esempio, col suo personale sacrificio Sua Maestà Umberto II (Interruzioni a sinistra) – dico Sua Maestà Umberto II (Vivi rumori a sinistra) – partendo per l’esilio per evitare la guerra civile (Interruzioni – Rumori), al disopra della questione istituzionale, vi è innanzitutto l’interesse della Patria (Commenti) e al lume di questo interesse la mia coscienza, e credo anche quella di moltissimi monarchici, sente il dovere di appoggiare il nuovo Governo. (Applausi à sinistra).
Prendiamo atto dell’approvazione con molto piacere.
Qui però la questione è duplice: l’una riguarda la fiducia al Governo, cioè agli uomini ed ai Gruppi che questo Governo impersona; l’altra riguarda l’approvazione o meno del suo programma. Anche a tal proposito, sarò quanto mai chiaro ed esplicito. Di fronte alla situazione del Paese che richiede un Governo capace di governare, di fronte alle esigenze del popolo che sta sopportando con crescente indignazione la politica dei suoi rappresentanti…
COSTANTINI. Conseguenze della monarchia.
BENEDETTINI. …pur non dimenticando la responsabilità che alcuni uomini dell’attuale Governo hanno assunto per il nascere di questa Repubblica, dichiaro che il nuovo Governo De Gasperi, anche per gli uomini che lo compongono, deve avere il nostro appoggio. (Commenti a sinistra).
Né potrebbe essere diversamente se si considera che già nella crisi del gennaio scorso noi ci dichiarammo disposti ad appoggiare un Governo De Gasperi senza i comun-socialisti, cioè composto da democristiani e da tecnici. L’onorevole De Gasperi ricorderà che tale parere personalmente gli espressi nel gennaio scorso (Commenti) e questi sei mesi hanno rafforzato ancor più il mio convincimento; cosicché ripeto oggi quello che dissi allora: di dovere appoggiare questa nuova compagine ministeriale. Ma nell’altro punto della questione è necessario discutere e parlarci chiaro. L’onorevole Presidente del Consiglio nell’esposizione del suo nuovo programma ha affermato che il Governo manterrà fede ai 14 punti del precedente Governo…
Una voce a sinistra. Per la difesa della Repubblica.
BENEDETTINI. …vale a dire al programma imposto nel gennaio scorso dai marxisti. In quei 14 punti si parla di leggi eccezionali per la difesa della Repubblica, e quindi di provvedimenti antiliberali che sopprimono le basilari libertà democratiche del Paese. Ora è evidente che se il nuovo Governo De Gasperi intende continuare a percorrere quella strada non può trovarci solidali. Io so benissimo che quello che sto per dire, se non è opportuno diplomaticamente, né prudente politicamente, è però espressione di una realtà di fatto. Questa realtà, piaccia o dispiaccia ai repubblicani di ogni colore, ci avverte che l’attuale Governo, formato da democristiani e da tecnici, ha contro di sé le estreme sinistre ed ha l’appoggio dei liberali, dei qualunquisti e degli esponenti dichiaratamente monarchici. (Commenti).
Ebbene, io ho il dovere di ricordare che gli 11 milioni di voti monarchici, oltre che agli esponenti dichiaratamente monarchici, andarono precisamente nella loro totalità a questi partiti: ai democristiani, ai liberali, ai qualunquisti. Sarebbe perciò veramente grottesco, oltre che assurdo, se un Governo, poggiato prevalentemente su forze monarchiche, dovesse con leggi speciali ed eccezionali perseguitare i monarchici o impedire ad essi l’uso delle fondamentali libertà democratiche. E sarebbe anche assurdo se i partiti, che questo Governo compongono e questo Governo appoggiano, dovessero continuare a impedire ai propri iscritti e ai propri rappresentanti di esprimere liberamente le proprie opinioni e i propri convincimenti nel campo istituzionale; dovessero, ad esempio, impedire di far parte o di accettar cariche nell’Unione monarchica italiana, che è un’associazione al di fuori ed al di sopra dei partiti. Tutto ciò, ripeto, sarebbe non solo grottesco e assurdo, ma contrario a quei principî di libertà che questi partiti affermano di propugnare, e assolutamente conforme a quei principî totalitari che pur si afferma di voler combattere.
Intendiamoci: io non riapro qui la questione istituzionale; anzi, proprio perché sono pensoso delle sorti del Paese, affermo la necessità di appoggiare il nuovo Governo De Gasperi, ma devo pur precisare che questo appoggio è decisamente condizionato al rispetto di quelle libertà che sono a fondamento di ogni società civile, e di ogni Governo veramente democratico.
Una voce a sinistra. Violate dalla monarchia del tradimento.
BENEDETTINI. Ho l’impressione che qui si abbia un po’ il timore di chiamare le cose con il loro vero nome, il che crea confusione e impedisce di chiarire la situazione.
Non bisogna mai aver paura della chiarezza. In genere non bisogna mai aver paura di niente.
La situazione è questa: l’Italia non può rinascere, i suoi Governi non possono governare perché le forze sovversive impediscono questa rinascita, impediscono quest’azione di Governo.
Una voce a sinistra. Siete voi le forze sovversive.
BENEDETTINI. L’Avanti! ha detto chiaramente: «Il così detto Gabinetto di colore (nero) che s’è presentato alla Costituente è il tipico Ministero Facta o Kerenski. Non si sa se farà il giuoco dell’estrema destra o dell’estrema sinistra, ma è destinato a provocare un conflitto che la democrazia cristiana (cioè il Governo) non è in grado di dominare». Dunque, per i sovversivi, siamo alla guerra civile, siamo alla vigilia dell’azione diretta. (Interruzioni a sinistra).
Qui non c’è tempo da perdere, qui non si tratta di compromessi vecchi o nuovi. La guerra civile s’impedisce se il Governo assume in pieno le responsabilità dell’ora, se è deciso ad affrontare la situazione politica prima di quella economica e finanziaria, perché è questa che dipende da quella e non viceversa, come molti credono.
SICIGNANO. Vuole il colpo di Stato monarchico?
BENEDETTINI. Con la scusante della questione sociale i sovversivi apprestano la rivoluzione, il colpo di Stato e a tal fine aizzano le masse, impediscono al Governo di governare, giacché le rivoluzioni hanno bisogno di disordine, di scontenti, di miseria, di disoccupazione per scatenarsi.
E questo non hanno compreso i repubblicani veramente democratici; non hanno mai compreso di fare il giuoco dei sovversivi.
Infatti, stando ai risultati del referendum (risultati che non hanno mai convinto i monarchici e forse neppure i repubblicani)…
ROMITA. Sono esattissimi.
BENEDETTINI …dei 12.700.000 voti che avrebbe riscosso la Repubblica, circa 9 milioni sono favorevoli ad una Repubblica non democratica, ma totalitaria, cioè bolscevica, così che per il regime totalitario e dittatoriale vi sono 9 milioni di voti, per il regime democratico vi sono 3.700.000 voti repubblicani e 10.700.000 voti monarchici.
Ieri si volle decidere sul dilemma monarchia o repubblica; oggi bisogna scegliere e decidersi sul dilemma: democrazia o totalitarismo ed il Governo non può, non deve dimenticare questa realtà di fatto, la democrazia è voluta, è difesa decisamente e in grande maggioranza dalle forze monarchiche. (Commenti). E mentre queste hanno come fine supremo il bene della Nazione (tanto che noi monarchici siamo disposti ad appoggiare questo Governo), le forze totalitarie sono avverse a ogni nazionalismo, perché legate all’internazionalismo, a quell’internazionalismo che oggi ha per sede centrale il Cremlino. Questa è la realtà di fatto e su di essa bisogna operare, senza equivoci, a viso aperto, perché il tempo stringe. La realtà dimostra che sinora la vita politica italiana è stata disorientata e sconvolta dal monopolio dei partiti marxisti sulle classi lavoratrici, come ha recentemente confermato il Congresso della Confederazione generale italiana del lavoro a Firenze. (Interruzioni).
Noi neghiamo recisamente che i partiti sovversivi abbiano difeso gli interessi del proletariato, e denunciamo alla Nazione che l’opera da loro svolta, apertamente od occultamente, impedendo la ripresa del Paese, ha nuociuto sopratutto alle classi lavoratrici.
Una voce. Questo è falso.
BENEDETTINI. Bisogna spezzare questa bassa demagogia speculatrice. Tutti gli italiani, che hanno il senso della solidarietà nazionale e la sensibilità dei tempi, vogliono che il livello di vita del popolo italiano, soprattutto di coloro che lavorano e soffrono in silenzio, sia portato al massimo di benessere, e che si raggiunga finalmente una vera giustizia sociale. Questa è la volontà e la meta dei monarchici che solo una propaganda falsa e faziosa dipinge come reazionari. Tanto è vero che molti, moltissimi sono i monarchici che vanno ingrossando le file del Partito nazionale del lavoro, partito sociale, cattolico e monarchico, che unisce nel suo programma la difesa delle libertà democratiche con l’esigenza di una più alta giustizia sociale, senza deprimere i valori nazionali. Le masse lavoratrici, che sempre più affluiscono in questo partito (Commenti), dimostrano che il popolo è desideroso di ordine e di pace; e non vi è affatto bisogno di essere sovversivi per tutelare gli effettivi interessi dei lavoratori, e questi, se per qualche tempo possono cadere vittime della demagogia, al momento opportuno sanno aprire gli occhi e giudicare la via migliore per difendere i propri interessi. (Commenti).
Concludendo: data la drammatica situazione in cui versa il Paese, io, a nome dell’Unione monarchica italiana, da cui ho avuto il preciso mandato, dichiaro che i monarchici sentono di dover appoggiare in questo momento il nuovo Governo (Interruzioni a sinistra), in quanto ritengono che esso, anche per le persone che lo compongono, parta con la volontà di iniziare la ricostruzione. Devo però subordinare questo appoggio a tre condizioni (Commenti): innanzitutto l’abbandono di quegli impegni programmatici che, se erano concepibili con il tripartito, sono un assurdo oggi che il Governo De Gasperi si è liberato dei comunisti.
Intendo riferirmi a quelle leggi speciali e eccezionali che, rappresentando una palese violazione delle libertà democratiche, sono agli antipodi dei princìpi che ispirano la Democrazia cristiana.
Secondo: l’attuazione di una sana politica sociale, che vada incontro agli interessi delle masse lavoratrici e i cui elementi sono contenuti in quella parte dei 14 punti che noi accettiamo e sosteniamo.
Infine, lo smantellamento di tutto quel complesso di enormità giuridiche che vanno dal sistema epurativo alla retroattività delle leggi, ai tribunali speciali e che, dividendo gli italiani dagli italiani, servono ad acuire le ingiustizie, le fazioni, gli odi, preparando il terreno alla guerra civile.
Onorevole Presidente del Consiglio, io sono certo che sodisfacendo a queste necessità morali, politiche e sociali, voi non solo avrete l’appoggio dei monarchici, ma otterrete l’unanime consenso della Nazione, che per noi come per voi dev’essere sempre al di sopra di ogni interesse di parte. (Commenti a sinistra – Applausi all’estrema destra).
CIANCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa?
CIANCA. In riferimento ad una frase contenuta nel discorso che il precedente oratore ha letto. In detto discorso c’è una frase che suona così: «I 12 milioni e 700.000 voti che avrebbe riscosso la Repubblica».
PRESIDENTE. Ritengo che questa non sia una ragione sufficiente per dare la parola a lei o a qualunque altro collega che la chiedesse. Nel corso degli interventi che si faranno, coloro che vogliono parlare a questo proposito avranno modo di esporre la loro giusta opposizione.
CIANCA. Se permette, io la prego, signor Presidente, di farsi interprete della nostra protesta contro un’affermazione la quale tende ad invalidare le origini stesse di questa Assemblea. La Repubblica è, ed è, per volontà diretta degli elettori italiani. La Repubblica non «avrebbe avuto» ma «ha avuto» 12 milioni e 700.000 voti. Io non potevo lasciar passare l’affermazione dell’oratore senza protestare. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno firmato anche dagli onorevoli Badini Confalonieri, Morelli Renato, Zanardi, Villabruna, Reale Vito, Bozzi, Rubilli, Scoccimarro, Costantini, Gullo Fausto, Mancini, Sereni, Perrone Capano, Martino Gaetano, Preziosi, Caso, Rodinò Mario e Abozzi:
«L’Assemblea, considerato che l’applicazione del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, colpisce fino all’espropriazione la proprietà edilizia e terriera, a danno dei meno abbienti, con specifico grave pregiudizio dell’economia meridionale, invita il Governo agli opportuni emendamenti».
L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.
CRISPO. Onorevoli colleghi, mi piace rilevare che il mio ordine del giorno è sottoscritto non solo dai colleghi del mio Gruppo, ma anche dagli onorevoli Scoccimarro, Gullo, Mancini e Sereni.
I motivi che lo ispirano non possono, adunque, suscitare alcuna diffidenza.
Come è noto, col 10 giugno s’inizia l’applicazione dell’imposta straordinaria di cui al decreto legislativo 29 marzo 1946, e col 13 luglio si dovrà adempiere l’obbligo della denunzia, ai fini dell’imposta progressiva sul patrimonio. Due provvedimenti che s’inquadrano nello stato attuale di emergenza: l’uno, inteso a risolvere il problema delle impellenti esigenze di Tesoreria; l’altro, considerato come il primo di una serie di mezzi rivolti al risanamento del bilancio e ad impedire il processo di slittamento della lira. Due provvedimenti che incidono – e questa è la ragione del mio intervento – in modo pauroso e preoccupante, sopratutto, sulla piccola proprietà. A me sembra, innanzitutto, un errore che l’Assemblea e il Paese siano stati posti dinanzi al fatto compiuto, che il decreto legislativo, cioè, sia entrato in vigore, senza l’intervento dell’Assemblea, rimasta del tutto estranea in un atto di così evidente importanza tecnica e politica. Errore tanto più grave in quanto nell’articolo 77 del decreto stesso è stabilito che esso dovrebbe essere convalidato dall’Assemblea, e il disegno di legge per tale convalida fu già presentato da tempo.
Questo fatto crea, a mio avviso, un problema politico, un problema giuridico e un problema d’indole pratica. Quanto al primo, in uno Stato democratico il rispetto verso il cittadino deve essere norma inderogabile in ogni provvedimento che lo concerne e non può essere consueto che si disponga dei beni dei singoli, senza che se ne dimostrino, con pubblica discussione, la utilità e la necessità Non si tratta, per vero, di diritti contrapposti, quello dello Stato e quello del cittadino, ma si tratta, invece, di contemperare le esigenze dello Stato con le garanzie che deve avere il cittadino, quando è chiamato a sodisfare quelle esigenze. Tanto più in quanto, in tema di tributi, ha notevole importanza il fattore psicologico, la fiducia, cioè, che un governo deve riscuotere. La fiducia crea l’autorità del governo nello Stato democratico, e l’autorità è cosa diversa dall’autoritarietà che di quella è soltanto la veste esteriore. Ed è la fiducia che crea anche la coscienza tributaria dei cittadini, lo spirito di sacrificio, la consapevolezza della necessità del sacrificio stesso, elementi senza dei quali il contribuente è indotto a ricorrere a tutti i mezzi per l’evasione. Imporre, adunque, il tributo, e riscuoterlo senza la preventiva autorizzazione del Parlamento può apparire come una sopraffazione, come una specie di despotismo finanziario, destinato a suscitare le maggiori diffidenze, e anche a frustrare la finalità dei provvedimenti.
Dopo la disfatta di Novara, il piccolo Piemonte si trovò in una situazione tragica, e il Governo impose e riscosse senza alcuna autorizzazione del Parlamento. Orbene, quando nel 27 agosto 1849, il Parlamento subalpino accordò la sanatoria al Governo, non mancò di far precedere al disegno di legge un preambolo che affermava non soltanto gli obblighi, ma anche i diritti del cittadino per il pagamento dei tributi, ed era di severo monito per il Governo. E a proposito dei rapporti tra Governo e Parlamento sono sempre attuali le parole di Ruggiero Bonghi: «Questo che si è andato sviluppando, per la supina condiscendenza dell’Assemblea, è un sistema assurdo, da qualunque aspetto si guardi. Se è vero che il potere esecutivo da solo faccia meglio che col concorso del legislativo, cominciamo dal convertire il sistema parlamentare in assoluto, e sarà, almeno, cosa intelligibile e chiara».
Il fatto compiuto, in contrasto, per altro, con le esigenze proprie del metodo democratico, crea un problema d’indole giuridica. I rapporti tra Governo ed Assemblea sono regolati dal decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, per il quale, a norma dell’articolo 3, il potere legislativo è delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali, le quali devono essere deliberate dall’Assemblea. Nondimeno, è data facoltà al Governo di sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa.
Tale facoltà, per il noto articolo, aggiunto al regolamento, divenne obbligo per i casi nei quali apposite Commissioni permanenti rilevassero l’importanza tecnica e politica di determinati provvedimenti.
Nel caso nostro, l’importanza tecnica e politica dei provvedimenti finanziari è evidente, epperò essi furono oggetto di fervide discussioni, in seno alle Commissioni riunite, ed avrebbero dovuto essere deliberati dalla Assemblea. Non si comprende, adunque, la disposizione dell’articolo 77, col quale si stabilisce che L’Assemblea sarà chiamata a convalidare il decreto legislativo. L’istituto della convalida non è contemplato nel surricordato decreto legislativo luogotenenziale, il quale, all’articolo 6, per l’attività legislativa delegata al Governo, stabilisce l’obbligo della ratifica non da parte dell’Assemblea, ma da parte del futuro Parlamento, entro un anno dalla entrata in funzione di esso.
Occorre, adunque, domandarsi che cosa significhi la convalida di cui al suddetto articolo 77. Una delle due: o il provvedimento rientra nell’ambito della facoltà legislativa delegata, e, in tal caso, non c’è bisogno di convalida, o non rientra nell’ambito della delega, per l’importanza di esso, e, in tal caso, l’esorbitanza è evidente, sì che il Governo, usurpando un potere che non gli spetta, emette un provvedimento privo di efficacia. Si versa chiaramente in quest’ultimo caso, come del resto si rileva dalla stessa relazione del Ministro Campilli, nella quale non si dice che il provvedimento sarà sottoposto all’Assemblea per la convalida che non consentirebbe emendamenti, ma si dice, invece, che l’Assemblea potrà deliberare le eventuali necessarie od opportune modificazioni.
FUSCHINI. Il provvedimento ha il carattere di un decreto catenaccio.
CRISPO. No, si tratta d’un decreto legislativo del Capo dello stato, come è definito nel testo. Il decreto catenaccio, come ella sa, onorevole Fuschini, rientra nella competenza straordinaria del governo, ed è giustificato da esigenze di necessità. Si tratta, adunque, non di attività delegata, ma di attività autonoma, che la dottrina riconosce legittima nei casi straordinari di urgenza, e pei quali dovrà poi intervenire il potere legislativo per convertire o non in legge il provvedimento del potere esecutivo.
Adunque l’articolo 77 che prevede la convalida ha una sola spiegazione. Il provvedimento doveva essere deliberato dall’Assemblea; venne, invece, emesso dal Capo dello stato, senza l’intervento dell’Assemblea, e si credette, per sanare la evidente violazione del diritto e del potere di essa, di ricorrere allo espediente della convalida.
Ciò premesso, a quale funzione obbedisce la convalida? È condizione sospensiva o risolutiva?
Nel primo caso, dovrebbe sospendersi l’esecuzione della legge fino alla convalida, nel secondo, pur venendo applicato, la legge si caducherebbe, se la convalida fosse negata.
Ecco il problema giuridico, del quale non bisogna dissimularsi la gravità e l’importanza.
Il fatto compiuto pone, infine, problemi d’ordine pratico. Non può, innanzi tutto, sfuggire ad alcuno la diversità di trattamento in rapporto al patrimonio mobiliare e a quello immobiliare. Prescindendosi dall’errore del mancato cambio della moneta, il decreto favorisce l’evasione della massa dei capitali liquidi, poiché consente soltanto di accertare la consistenza del capitale azionario, ove lo schedario centrale sia aggiornato e funzioni, mentre per i titoli al portatore e per i depositi bancari l’accertamento dipenderà soltanto dalla buona volontà del contribuente. La norma dell’articolo 44 non si estende, difatti, alle banche, epperò i titoli e i depositi saranno coperti dal segreto che ragioni di opportunità politica e psicologica avrebbero consigliato di rispettare.
Quanto al coefficiente di valutazione, esso costituisce un mezzo di espropriazione, sopratutto della piccola proprietà. Capitalizzandosi la rendita al tasso del 5 per cento, e moltiplicandosi il capitale per 5, se si tratta di immobili urbani, e per 10, se si tratta di fondi, la rivalutazione si ottiene in base ad un criterio che non risponde alla realtà, in base, cioè, ad un valore venale immaginario, non reale, senza tenersi conto della rendita, e senza alcuna discriminazione tra case a fìtti bloccati e case a fìtti non bloccati.
Si faccia, per esempio, il caso di un immobile con un reddito lordo di 90 mila lire: si avrà un imponibile di 60 mila lire che, capitalizzato al 5 per cento, corrisponderà alla somma di un milione e duecentomila lire, la quale, moltiplicata per cinque, raggiungerà la cifra di sei milioni.
Orbene, il contribuente dovrà corrispondere l’imposta straordinaria in ragione del 4 per cento, pari a dieci annualità in ragione del 0,40 per cento, cioè duecentoquarantamila lire; dovrà pagare, inoltre, l’imposta sul patrimonio progressivamente sulla base del 7 per cento, nonché il 7 per cento per mobili, arredamento e gioielli, e, infine, il 5 per cento per denaro liquido per la nota, indefinibile presunzione con la quale si pretende di colpire il patrimonio mobiliare nel possessore di attività immobiliari.
Una cifra enorme! Un peso che supera la capacità contributiva, e, come tale, insopportabile.
E si giunge a tanto per l’assurdo criterio di rivalutazione al quale si è fatto ricorso, e per la mancata discriminazione tra fitti bloccati e fìtti non bloccati.
PELLA, Ministro delle finanze. Si farà.
CRISPO. Prendo atto della sua promessa, e la ringrazio, ma, intanto, il contribuente deve pagare.
Se si consideri poi la condizione del piccolo proprietario, che dovrà pagare soltanto l’imposta straordinaria, si constaterà che egli non potrà sodisfarla. La proprietà è vincolata dal 1930; nel 1934 furono ridotti i fìtti del 15 e del 12 per cento, secondo la destinazione dell’immobile; nel 1940 fu applicata l’imposta sulle entrate, e nel 1936 quella straordinaria, collegata col prestito forzoso di quell’anno. Essa ha, inoltre, sopportato il peso di un vero e proprio prezzo politico mercé il blocco degli affitti; un prezzo politico posto a carico del privato, a favore della collettività! E se calcolate questo sacrificio in ragione del 4 per cento per quattro anni, esso corrisponde al 16 per cento!
I provvedimenti finanziari adottati si risolvono, adunque, in una vera espropriazione, a danno, sopratutto, dell’economia meridionale, e sono destinati a creare un enorme turbamento di essa, senza realizzare il gettito sul quale il Governo fa assegnamento per fronteggiare le attuali esigenze.
È, difatti, assurda pretesa che vi siano proprietari in condizione di sopportare pesi siffatti e di provvedere alle esigenze impellenti dello Stato. Il proprietario o dovrà vendere, o dovrà lasciarsi espropriare. Nel primo caso, o le vendite non saranno facili, anche per l’ipoteca di cui saranno gravati gli immobili a favore dello Stato, o le vendite si risolveranno in esose speculazioni a favore degli arricchiti di guerra; nel secondo caso, è difficile immaginare un maggiore disordine economico, posta la possibilità d’una generale espropriazione dei contribuenti non in grado di pagare. Comunque, il bisogno urgente dello Stato non sarebbe sodisfatto. Anche questa volta l’economia meridionale resterà particolarmente colpita, ove si consideri che si sottrae all’imposta il patrimonio degli enti collettivi, ossia il quinto del patrimonio imponibile, e sarà facile l’evasione dei depositi bancari e dei titoli di Stato, non estendendosi l’articolo 44 alle banche e alle aziende di credito. Questa ricchezza, compreso il patrimonio degli enti collettivi, si calcola in circa 1600 miliardi. Milleseicento miliardi sottratti all’imposta, mentre la piccola proprietà paga! Ecco la realtà!
Tutti gl’italiani sono consapevoli della tragica ora che il Paese attraversa.
Ciò non toglie che il Governo debba rendersi conto della enorme gravità, della insopportabile durezza dei provvedimenti adottati, tanto più duri, quanto meno aderenti alla realtà, nella indefinibile disparità di trattamento tra patrimonio mobiliare e patrimonio immobiliare, e, sopratutto, tra nord e sud! Si disse che la Repubblica avrebbe dato in pochi mesi al Mezzogiorno quello che in 50 anni i passati governi avevano sempre inutilmente promesso. Orbene, noi chiediamo soltanto che ci si lasci, almeno, vivere, ed esprimendo la nostra fiducia al Governo, poniamo voti perché esso, raccogliendo il nostro monito, non voglia accrescere lo stato di disagio e di abbandono delle popolazioni meridionali. (Applausi).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.
Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con carattere di urgenza. Desidero a questo proposito far presente ai colleghi che il grande numero di interrogazioni con carattere di urgenza fa sì che questa non possa essere più rispettata. Il Governo sino ad ora non ha risposto e abbiamo elevato la nostra protesta; ma v’era la giustificazione che non si tenevano più sedute per lo svolgimento delle interrogazioni. D’ora innanzi qualche seduta mattutina si potrà tenere a questo scopo; occorre che non tutte le interrogazioni siano presentate con carattere di urgenza. E veramente per alcune di esse la qualifica di «urgente» è tale da lasciare stupiti.
Comunico che all’interrogazione urgente presentata sabato scorso dagli onorevoli Li Causi e Montalbano al Ministro dell’interno questo risponderà giovedì prossimo.
L’onorevole Abozzi ha presentato la seguente interpellanza urgente:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se credano opportuno politicamente e giuridicamente lecito che il Governo approvi immediatamente lo Statuto regionale sardo sottraendolo all’esame, alla discussione e al voto dell’Assemblea Costituente alla quale è riservata la materia costituzionale».
Chiedo al Governo quando intenda fissarne lo svolgimento.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questa come altre interpellanze sullo stesso oggetto potranno essere svolte dopo il voto sulle dichiarazioni del Governo.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente presentata dagli onorevoli Molè e Turco:
«Ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sui provvedimenti che intendono adottare per venire incontro ai senza tetto, disastrati dal terremoto in provincia di Catanzaro».
Poiché il Ministro dei lavori pubblici risponderà domani ad altra interrogazione sullo stesso oggetto, penso che risponderà contemporaneamente a questa.
L’onorevole Costantini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, per sapere se consti l’esistenza in Albania, a precisamente a Korce, di circa settecento lavoratori italiani ai quali non è stato finora consentito di rientrare in Patria, e per conoscere quali provvedimenti siano stati presi o siano in corso di adozione allo scopo suddetto, tenuto anche presente che gli stessi prigionieri di guerra sono da tempo rientrati in famiglia».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io sarei disposto a star qui anche la notte; ma l’Assemblea ci metta in condizione di poter rispondere come Governo responsabile. Vi sono ancora 54 oratori iscritti sulle comunicazioni del Governo e siamo alla seconda settimana. Il Governo dovrebbe avere il tempo di preparare le risposte. Prendo impegno di una maggiore solerzia, ma chiedo all’Assemblea che permetta al Governo di esaminare i singoli argomenti per poter rispondere.
COSTANTINI. Il Presidente del Consiglio potrebbe rispondere alla mia interrogazione prima che l’Assemblea concluda la discussione sulle comunicazioni del Governo data l’importanza dell’argomento della mia interrogazione che non consente indugi.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente degli onorevoli Musolino e Silipo:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’alimentazione) e al Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano necessario ed urgente autorizzare i prefetti delle provincie produttrici di olio a bloccare un quantitativo di questo prodotto, essenziale all’alimentazione, in quantità sufficiente a far fronte ai bisogni delle popolazioni interessate, servendosi per la vendita degli enti più qualificati.
«Ciò allo scopo di infrenare la speculazione che in questi ultimi giorni, dopo avvenuto lo sblocco in virtù del decreto ministeriale 14 maggio 1947, ha fatto salire il prezzo dell’olio a cifre iperboliche nei luoghi di produzione con gravissimo danno delle masse popolari consumatrici».
Sarà comunicata al Ministro dell’agricoltura e delle foreste il quale potrà precisare quando vi risponderà.
Segue l’interrogazione urgente presentata dall’onorevole Sardiello:
«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:
1°) se – in esecuzione del decreto che, dal 1° luglio prossimo venturo, trasferisce la Sezione di Corte d’appello di Reggio Calabria dalla dipendenza della Corte d’appello di Messina a quella di Catanzaro, e dovendo il 1° luglio i magistrati ed i funzionari attualmente in missione a Reggio rientrare alla Corte di appello di Messina – possa assicurare che la Corte di Catanzaro provvederà prontamente alla sostituzione;
2°) se – nel caso non sia possibile dare tale assicurazione – non creda opportuno disporre, con l’urgenza che il caso consiglia, che i magistrati e i funzionari attualmente dipendenti dalla Corte di Messina ed in missione presso la Sezione di Reggio vengano (per i magistrati, con la loro adesione) trasferiti alla Corte di Catanzaro, restando destinati in missione presso la Sezione di Reggio. A tal proposito è da notare che i magistrati e funzionari predetti, durante la loro missione presso la Sezione di Reggio, sono stati sempre esclusivamente adibiti al lavoro di questa;
3°) quali altri provvedimenti – in caso che non ritenga attuabile o non risulti sufficiente quello sopra indicato – intende adottare (e potrebbesi pensare anche ad una proroga della data di entrata in vigore del decreto) per garantire oltre il 1° luglio prossimo venturo il funzionamento della Sezione di Corte di appello di Reggio Calabria, che ha risposto e risponde in modo opportuno e degno sotto tutti i rapporti al funzionamento della giustizia, e che quella nobile popolazione ha invocato per lunghi decenni, ha conseguito con piena soddisfazione ed intende conservare e difendere con tutte le sue forze».
SARDIELLO. Il Ministro della giustizia mi ha già comunicato che risponderà lunedì prossimo.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente presentata dall’onorevole Morini:
«Al Governo (Alto Commissariato dell’alimentazione), per conoscere se non si ritiene che le stesse ragioni che hanno consigliato – agli effetti del tesseramento differenziato – di assegnare tutti gli operai alla categoria A, indipendentemente dal salario percepito, militino anche a favore degli impiegati, assegnati invece nella categoria A o B, a seconda dello stipendio sino a 25.000 lire mensili o superiore a detta somma».
Interesserò l’Alto Commissario, affinché comunichi quando intenda rispondere.
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Dopo l’approvazione della proroga ritengo che si possa vedere con una certa tranquillità la prospettiva dei nostri lavori. Penso che potremo ridurre grandemente le sedute mattutine. C’era anzi, a questo proposito, una proposta dell’onorevole Giannini, il quale ha acceduto al criterio che ho espresso e cioè che potremmo limitarci a due sedute mattutine per settimana, lasciando quattro mattinate libere per le altre incombenze dei deputati e per le riunioni di Gruppo. Le due sedute mattutine possono essere dedicate allo svolgimento delle interrogazioni e delle interpellanze oppure, ove queste non vi siano, alla prosecuzione dell’ordinaria discussione. Ad esempio, mentre propongo che domattina non si tenga seduta, penso che dovremo tenerla mercoledì per riprendere l’esame del Titolo V del progetto di Costituzione, relativo alle Regioni. Ritengo che in questi giorni siano stati presi gli eventuali contatti per gli accordi sul testo di Costituzione.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mercoledì si potrebbe continuare la discussione sulle comunicazioni del Governo.
PRESIDENTE. Desidero accennare alla questione, che l’onorevole Presidente del Consiglio ha già sfiorato con una certa delicatezza. Occorrerebbe che in questa settimana si finisse la discussione sulle comunicazioni del Governo. Ma vi sono ancora 54 iscritti a parlare ed ogni giorno ricevo nuove iscrizioni.
UBERTI. Chiederemo la chiusura.
PRESIDENTE. Poiché gli elementi più rappresentativi di tutti i Gruppi, salvo alcuni, non hanno ancora parlato, non so se una richiesta di chiusura presentata domani non vada contro il desiderio dei Gruppi stessi. Quindi, prima di chiedere la chiusura, sarà bene che i Gruppi rivedano l’elenco degli iscritti, in modo che nel momento in cui la chiusura sarà chiesta ed approvata, nessuno abbia a rammaricarsi. Cosicché la discussione sulle comunicazioni del Governo potrebbe chiudersi col voto venerdì, poiché tutti sanno che vi è in programma un viaggio a Milano per la visita alla Fiera Campionaria.
UBERTI. Teniamo seduta anche domattina.
PRESIDENTE. Si potrebbe tener seduta anche domattina; ma i Ministri saranno pronti a rispondere alle interrogazioni?
Una voce. Domattina si potrà porre all’ordine il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
PRESIDENTE. Faccio osservare che i colleghi iscritti a parlare non sono stati avvisati; questo potremo farlo per mercoledì.
Pertanto ritengo che si possa proseguire nella seduta di domani, alle 16, la discussione sulle comunicazioni del Governo, dedicando la prima mezz’ora ad alcune interrogazioni urgenti, alle quali i Ministri competenti si sono impegnati di rispondere.
Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere per quale ragione il Governo tollera che associazioni private impongano forti contributi alle industrie beneficiarie di assegnazioni statali di prodotti contingentati. In particolare, per sapere perché si consente che l’Associazione prodotti alimentari, che si è fatta iniziatrice di una causa presso il Consiglio di Stato per evitare il contributo di circa trenta centesimi per ogni chilogrammo di zucchero a favore della Commissione centrale economica, proceda poi ad applicare a proprio favore un contributo di sei lire al chilogrammo, e cioè venti volte maggiore. Gli interroganti chiedono se l’onorevole Ministro non ritenga opportuna un’indagine completa sui contributi fatti pagare dalle associazioni private sulle assegnazioni statali di prodotti contingentati.
«Tremelloni, Cairo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che hanno indotto il Governo a nominare Vicedirettore generale della Banca d’Italia il dottor Paride Formentini, estraneo all’Amministrazione della Banca stessa, interrompendo così una lunga tradizione, in base alla quale almeno uno dei tre alti dirigenti dell’Istituto veniva scelto fra il personale superiore del medesimo, ed umiliando ingiustamente il folto gruppo di detto personale.
«Marinaro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere i motivi per i quali non è stata ancora concessa l’autorizzazione (che la Direzione generale dell’Italcable assicura di avere da tempo richiesta al Ministero) per la istituzione del servizio Italcable in Reggio Calabria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sardiello».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato dell’alimentazione), per conoscere i risultati degli accertamenti disposti sulle cause che hanno determinato nei magazzini dell’Alimentazione di Reggio Calabria il deterioramento di quintali 49,67 di latte evaporato e sulle decisioni della Commissione provinciale per l’accertamento delle avarie, nonché sui provvedimenti adottati in conseguenza.
«L’interrogazione ha riferimento alla risposta scritta comunicata il 9 febbraio 1947, col n. 7388, ad un’altra precedente, nonché all’interrogazione immediatamente successiva, dello stesso tenore della presente e rimasta, tuttavia, senza risposta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Sardiello».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, perché – in relazione al regio decreto-legge 8 luglio 1941, n. 868, convertito in legge il 5 dicembre 1941, n. 1508, che estende i beneficî economici di carriera concessi ai combattenti della guerra 1915-18 a quelli della guerra 1940-45, e più precisamente con riferimento alle disposizioni sulla carriera del personale dello Stato di cui al comma terzo, articolo 43, capo IV, del regio decreto 30 settembre 1922, n. 1290, nel quale è detto che «il tempo trascorso lontano dai reparti combattenti, per ferite o malattie contratte a causa di servizio o per prigionia non dipendente da circostanze imputabili all’interessato, si considera come passato presso i reparti predetti, agli effetti del collocamento di cui al presente articolo» – voglia precisare se il periodo trascorso in prigionia dopo l’8 maggio 1945 (data di cessazione delle ostilità) e fino alla data del rimpatrio, sia da considerarsi come trascorso presso i reparti combattenti per la concessione dei beneficî economici e di carriera di cui al predetto articolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ferrarese».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere se sia a conoscenza che vi sono vallate che, pur essendo importanti centri turistici (Cogne e Gressoney), sono ancora, a seguito dei danneggiamenti avuti durante la guerra, senza servizio telegrafico, nonostante che esse da tempo abbiano offerto di mettere a disposizione dell’Amministrazione statale il materiale (pali) occorrente per la riattivazione delle linee relative a tale servizio.
«Data l’imminente ripresa della stagione turistica, si invocano urgenti provvedimenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bordon».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.45.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Interrogazioni.
- – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.