Come nasce la Costituzione

LUNEDÌ 14 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 14 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14)

Presidente

Cappi

Bertone

Bubbio

Marinaro

Condorelli

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle Finanze

Scoccimarro

Tosi

Fabbri

Adonnino

Piemonte

Fuschini

Dugoni

Canevari

Micheli

Perrone Capano

Bosco Lucarelli

Paris

Pallastrelli

Stampacchia

Tonello

Crispo

Presentazione di una relazione:

Uberti

Presidente

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Benedetti

Presentazione di una mozione:

Presidente

Lussu

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Continuiamo la discussione degli emendamenti all’articolo 27.

Rammento che la formulazione dell’articolo proposto dalla Commissione è la seguente:

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi, sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati presuntivamente nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26. Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

Al primo comma vi è un emendamento a firma dell’onorevole Cappi, così concepito:

«Al primo comma, alle parole: in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito, sostituire le altre: in detrazione dai beni».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Il mio emendamento è semplice: più che svolgerlo, non ho che da enunciarlo. Esso è in favore dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione. Si è parlato già molto in questa Assemblea dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione, i quali sono rimasti danneggiati dal fatto che, mentre il governo di allora aveva dato assicurazione che il prestito sarebbe stato allacciato al cambio della moneta, tale impegno non è stato poi mantenuto.

Quello del cambio della moneta fu anche un argomento assai valido per la propaganda ed io stesso me ne servii. Se avete del denaro nascosto – si diceva infatti per indurre a sottoscrivere – tanto vale che lo investiate nei titoli del prestito, perché poi, quando verrà il cambio della moneta, esso sarà decurtato.

Il mio emendamento è inteso dunque a venire incontro ai sottoscrittori. Esso consiste nel sostituire alle parole «in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito», le seguenti altre: «in detrazione dai beni».

Mi spiego. Secondo il testo del progetto, i sottoscrittori al prestito della ricostruzione i quali dimostrino di essere ancora in possesso dei titoli sottoscritti possono dedurli da quella quota presuntiva di denaro e titoli di credito che è stabilita, credo, dall’articolo 25. Io vorrei pertanto che fosse possibile la detrazione dalla quota presuntiva anche di mobilio o di arredamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bertone, Bosco Lucarelli, Micheli, Perlingieri, Quarello, Arcangeli, Germano, Bulloni, Bubbio, Cappi.

«Al primo comma, dopo le parole: accertati presuntivamente a mente degli articoli 25 e 26, aggiungere: o nella cifra maggiore denunciata dal contribuente».

L’onorevole Bertone ha facoltà di illustrarlo.

BERTONE. Il mio emendamento è diretto più che altro a chiarire la portata dell’articolo. In questo si ammette che il sottoscrittore al prestito della ricostruzione abbia il diritto di ottenere che l’importo dei titoli sia portato in detrazione dalla quota del 5 per cento presuntiva della ricchezza mobiliare che è stata sostituita all’accertamento mediante il cambio della moneta non più avvenuto. Su questo non c’è niente da dire, se non che potrebbe darsi o che il contribuente denunci una quota di valore superiore al 5 per cento, come potrebbe darsi che la stessa Amministrazione finanziaria, in base all’articolo 25, venisse per altre vie ad accertare a carico del contribuente una quota di patrimonio mobiliare superiore al 5 per cento. Di fatti l’articolo 25, prima parte, stabilisce che «le quote fissate nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà, da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto».

Rilevo qui, per incidente, la situazione, un po’ delicata e sotto certi punti di vista paradossale, in cui verranno a trovarsi i contribuenti possessori di ricchezze mobiliari; non gioielli o mobili, ma ricchezze mobiliari rappresentate da titoli al portatore, da moneta sonante oppure da depositi bancari. Il progetto di legge stabilisce, per questi valori, una quota presuntiva del 5 per cento, ma contemporaneamente dispone l’obbligo per il contribuente di dichiarare ugualmente tutti i cespiti e stabilisce che la quota posta a carico del contribuente potrà anche risultare dall’accertamento fatto dalla finanza, che sia venuta a conoscenza di questi cespiti mobiliari.

Ora, la prima osservazione da farsi su questo punto è la seguente: è chiaro che, se per avventura il contribuente dichiari una quota di ricchezza mobiliare superiore a questo presunto 5 per cento, oppure se la finanza venga ad accertare a carico del contribuente una quota maggiore del 5 per cento, il contribuente deve aver diritto di portare in detrazione altrettanta quota di prestito della ricostruzione che sia in sue mani.

Questo mi pare evidente, ed è in questo senso e a questo proposito che ho presentato il mio emendamento, contro il quale credo non vi possano essere obiezioni serie.

PRESIDENTE. L’onorevole Bubbio ha facoltà di illustrare il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie potranno essere computati a favore del marito, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 3, si considerino come beni del marito quelli acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937».

BUBBIO. È ovvio il fondamento dell’emendamento da me proposto. Dato che secondo l’articolo 3 del disegno di legge si considerano facenti parte del patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937, si potrebbe porre il quesito se agli effetti dell’articolo 29 in esame il marito possa portare a detrazione, propria, nei limiti fissati dalla stessa norma, l’importo dei titoli del prestito della ricostruzione che eventualmente fossero stati sottoscritti dalla moglie.

Pare a me e ad altri colleghi, che avrebbero sottoscritto l’emendamento se lo avessi loro in tempo proposto, che tale facoltà debba essere consentita, per tre ordini di motivi:

1°) perché, per la stessa presunzione che costituisce il fondamento dell’articolo 3 relativamente agli altri beni, si deve presumere che la moglie abbia sottoscritto al prestito della ricostruzione con il denaro somministratole dal marito;

2°) perché se è obbligatorio il coacervo dei beni dei coniugi agli effetti dell’imposta, in contrapposizione deve aversi la possibilità di uguale coacervo dei titoli del prestito predetto agli effetti della detrazione, con un logico parallelismo tra attivo e passivo, tra onere e deduzione;

3°) perché occorre tenere presente equitativamente la considerazione che la moglie, la quale non poteva sapere del coacervo più tardi disposto, dall’attuale disegno di legge, verosimilmente abbia sottoscritto i titoli a nome proprio, pur trattandosi di mezzi fornitile dal marito, nella fondata fiducia di poterne poi ottenere la detrazione ai fini dell’imposta progressiva.

Comunque considerando, questo sarà un ulteriore piccolo beneficio per i sottoscrittori del prestito di cui trattasi, la cui questione rimane tuttora aperta dopo le promesse fatte, e venute purtroppo meno, del cambio della moneta.

Confido perciò che l’emendamento sarà accolto.

Con l’occasione, e per quanto ciò esuli dalla discussione, mi sia lecito di rivolgere vivissima istanza al competente Ministro perché al più presto siano consegnati ai sottoscrittori del prestito predetto i titoli definitivi; e ciò soprattutto allo scopo di agevolare l’esazione degli interessi scaduti, senza obbligare i detentori alla presentazione dei titoli provvisori alle Ricevitorie provinciali, con operazioni che risultano assai complesse anche per i competenti uffici, attesa la necessità di elencare in tutti gli estremi i titoli provvisori, di stampigliarli e di farne la restituzione; il tutto con un lavoro ingente e costoso per gli istituti e, soprattutto, gravoso per i sottoscrittori.

Mi auguro che questa semplice raccomandazione possa essere anch’essa accolta.

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma, ripristinando il testo ministeriale».

L’onorevole Marinaro ha facoltà di svolgerlo.

MARINARO. Onorevoli colleghi, io richiamo tutta la vostra attenzione su questo emendamento. Qui non si tratta di fare una norma fiscale più o meno buona, più o meno opportuna, ma si tratta di evitare che nel sistema e nell’economia generale della legge entri una disposizione che a me sembra profondamente ingiusta.

Siamo in tema d’imposta straordinaria sul patrimonio: siamo quindi in tema d’imposta non reale ma personale, d’imposta cioè che colpisce i cittadini nel complesso dei loro rapporti con gli altri individui, relativamente al patrimonio tassato. Si tratta quindi d’una imposta globale, che tiene conto di tutti gli elementi patrimoniali, che si trasformano in valori e costituiscono un solo tutto ai fini dell’accertamento del patrimonio tassato.

Data questa natura dell’imposta personale che noi stiamo discutendo, è evidente, onorevoli colleghi, che noi dobbiamo tener conto di questa situazione di cose, dobbiamo cioè fare in modo che l’imposta patrimoniale straordinaria sia considerata come la sintesi di tutte le attività e di tutte le passività del contribuente, come la somma algebrica intorno alla quale si deve incidere fiscalmente.

Data questa natura dell’imposta è evidente, a mio avviso, che l’emendamento proposto dalla Commissione, il quale tende a non consentire la detrazione del debito contratto ai fini della sottoscrizione al prestito, contrasta sostanzialmente con il concetto dell’imposta e con lo spirito della legge che stiamo esaminando.

Questo detto in linea generale, secondo me potrebbe essere sufficiente a consigliare la Commissione a desistere dal proposito di aggiungere alla fine del primo comma dell’articolo 27 le parole che non si riscontrano nel testo ministeriale: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo». In base a questo principio di carattere generale, l’Assemblea può trarre il convincimento sicuro che l’inciso dev’essere eliminato così come non l’aveva incluso il testo ministeriale. Qual è la situazione che si verifica nel caso in esame? La situazione è questa. Lo Stato, in un determinato momento, si è trovato nella necessità di trovare moneta per le sue esigenze di cassa, per la sua politica finanziaria; ed ha detto ai cittadini: Venitemi incontro in questo momento, liquidate, eventualmente, anche una parte del vostro patrimonio; vi prometto che il vostro patrimonio residuo sarà esente dalla istituenda imposta patrimoniale.

Questo è l’impegno che ha preso lo Stato al momento in cui è stato indetto il prestito della ricostruzione (Interruzione del deputato Fuschini).

Io facevo, dopo la seduta di sabato, un esempio, onorevole Fuschini, che mi sembrava di una evidenza lapalissiana. Io e l’onorevole Fuschini siamo due contribuenti; abbiamo entrambi due appartamenti del valore complessivo di venti milioni, dieci milioni ciascuno. L’onorevole Fuschini vuol rispondere all’appello del Governo e vuole sottoscrivere al prestito della ricostruzione. Deciso in questo senso, vende un appartamento, ricava dieci milioni e sottoscrive al prestito della ricostruzione per dieci milioni. Che cosa succede? Come deve essere tassato, agli effetti dell’imposta patrimoniale l’onorevole Fuschini? Deve essere tassato per il residuo netto, poiché questo è il carattere dell’imposta patrimoniale personale straordinaria.

La tassabilità viene fatta sul patrimonio netto, quindi l’onorevole Fuschini viene tassato per il residuo patrimonio di dieci milioni.

Io, invece, che avevo al momento dell’emissione del prestito ugualmente due appartamenti, ritengo più opportuno di non vendere un appartamento ma di sottoscrivere ugualmente al prestito per dieci milioni e contraggo un debito con un privato o con una banca, magari concedendo l’ipoteca su uno dei due appartamenti. Ho contratto un debito di dieci milioni che devo estinguere. È questa una passività che deve essere detratta dal patrimonio? Questo è il punto essenziale, su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, se non si vuol correre il rischio di creare una grave ingiustizia. Tutti e due avevamo lo stesso patrimonio lordo al momento dell’emissione del prestito, vale a dire due appartamenti del valore di dieci milioni. Dopo la sottoscrizione al prestito tutti e due che cosa abbiamo? Lo stesso patrimonio netto, poiché l’onorevole Fuschini ha un appartamento invece di due; io ne ho due, ma ho dieci milioni di debito e tutti e due abbiamo lo stesso quantitativo di titoli del prestito della ricostruzione.

Onorevoli colleghi, mi sembra di una evidenza così convincente questo ragionamento che non è possibile resistere alla sua logicità.

Io dico che voi fate ai contribuenti due trattamenti diversi; voi create due forme di contribuenti. Tutti e due, al momento della emissione del prestito, si trovavano nella medesima posizione; oggi si trovano in una posizione diversa rispetto al fisco. E ad ogni modo la legge verrebbe a contraddire un principio fondamentale nel diritto finanziario che è quello, cioè, che in materia di imposta personale straordinaria la tassazione deve essere fatta sul patrimonio netto e non sul patrimonio lordo. Quando la Commissione nella sua relazione dice: «è il debito che non viene detratto dal patrimonio lordo», questo è un gioco di parole, perché, in definitiva, ciò che non viene esentato è il debito contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.

Confido pertanto che l’Assemblea vorrà accogliere il mio ragionamento.

FUSCHINI. È un ragionamento sbagliato.

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgere i seguenti emendamenti presentati unitamente ai colleghi Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo.

«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».

«Aggiungere al secondo comma: e, ove ne sia il caso, della persona a cui mezzo ha eseguito la sottoscrizione, che, facendo prima fede del mandato, firma l’elenco indicando, ove lo abbia eseguito o lo debba eseguire, il luogo della propria dichiarazione in ottemperanza della presente legge».

CONDORELLI. Se l’onorevole Presidente me lo permette vorrei premettere qualche considerazione su quanto ha dichiarato l’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Purché sia breve.

CONDORELLI. Sarò brevissimo.

Mi pare che quanto ha sostenuto l’onorevole Marinaro sia di una evidenza lapalissiana. Evidentemente, la Commissione è caduta in un equivoco, poiché ha voluto impedire, con la sua formulazione, che qualcuno si giovasse due volte della sottoscrizione. Perché chi sottoscrive al prestito della ricostruzione, giusto la legge che stiamo esaminando, viene ad avere due vantaggi: prima di tutto che non è tassato per quello che ha sottoscritto; secondo che quello che ha sottoscritto viene diffalcato dalla percentuale, diciamo così, per numerario.

Ora, indubbiamente, questi vantaggi spettano ambedue. Ma vediamo la situazione. Consideriamo due soggetti, che abbiano ugualmente un patrimonio di cento. Uno sottoscrive venti, ma prendendo il denaro dal suo cassetto. Che cosa avviene? Egli ha venti che non è tassato, perché prestito della ricostruzione. Inoltre questo venti gioca nel senso che viene diffalcato dal suo numerario. Dunque sarà tassato su 60; pagherà l’imposta del patrimonio su 60.

Quale sarà la situazione dell’altro soggetto il quale avrà sottoscritto con denaro che ha preso in prestito? Egli avrà venti che non è tassato, perché prestito, dunque pagherà su ottanta, mentre l’altro viene a pagare sii sessanta.

BUBBIO. Nessuno ha fatto dei prestiti!

CONDORELLI. Questo è proprio il caso di uno che ha contratto un prestito.

Se fate il conto, avete, indubbiamente, che quello che ha sottoscritto prendendo il denaro dal suo cassetto viene tassato su sessanta, avendo egli cento, mentre l’altro che se l’è fatto prestare, pur avendo il debito, che dovrà pagare, viene ad essere tassato su 80.

PRESIDENTE. La questione è stata posta con chiarezza. Passi ora ai suoi emendamenti.

CONDORELLI. Io dico non solo che è stata posta con chiarezza, ma che è stata risoluta con chiarezza. Se fate la giusta considerazione è così.

Il mio emendamento vuole soccorrere a una situazione che si è creata in dipendenza della interpretazione del decreto che apriva la sottoscrizione.

Quel decreto prometteva la esenzione dall’imposta sul patrimonio per i titoli del prestito della ricostruzione. Ora, la legge, molto opportunamente, prevede un secondo beneficio, cioè che quello che si è sottoscritto in titoli della ricostruzione venga diffalcato dalla quota presunta per numerario.

È avvenuto questo, che al dovere verso il Paese si sia adempiuto come si adempie in genere in tutte le sottoscrizioni di titoli al portatore: non era necessaria la presenza del sottoscrittore. Si poteva incaricare un figliolo, si poteva incaricare un fratello, si poteva incaricare il coniuge. Anzi, in rapporto al coniuge, avviene sempre così, per lo meno nei nostri Paesi meridionali, e forse anche negli altri paesi del Nord; è il marito che va a sottoscrivere. Se la moglie ha da fare una sottoscrizione, il marito si reca alla Banca per non far fare la coda alla moglie. Può capitare il caso del padre del minore che debba sottoscrivere per il figliolo, del tutore che debba sottoscrivere per il pupillo. Se questi avessero dovuto fare una sottoscrizione in nome del loro rappresentato, si sarebbero dovuti far autorizzare, ma trattandosi di sottoscrizione di titoli al portatore, non era necessario: si andava, si sottoscriveva, sicuri di garantire al proprio rappresentato o al proprio mandante il vantaggio.

L’interessante era di avere questi titoli. Ma la legge, molto opportunamente, ha assicurato un altro vantaggio: quello del diffalco di questi titoli dal numerario. Per assicurarsi questo vantaggio è però necessario dimostrare di aver sottoscritto personalmente.

Ora io domando all’Assemblea se non è il caso di accogliere il mio emendamento nel quale si chiede che quello che ha sottoscritto a mezzo di stretti congiunti o di mandatario possa, in base ad una dichiarazione, usufruire di questo vantaggio. Si fanno dei cumuli presumendo la rappresentanza da parte di altri membri della famiglia. Questa presunzione che deriva dai rapporti domestici, e che noi applichiamo largamente a danno del contribuente, una volta tanto applichiamola a suo vantaggio. Non è facile che il terzo dichiari di non esser lui il vero interessato alla sottoscrizione quando perde dei vantaggi.

A questo tende l’emendamento che io propongo, il quale calca perfettamente la realtà della nostra organizzazione domestica in cui è sempre l’elemento più fattivo il marito, il padre o, quando questi è vecchio, il figliolo, che provvede a queste operazioni di banca, quando – per la natura dell’operazione – non è necessaria la presenza del vero titolare.

Vorrei far notare anche il caso dei nostri emigranti. Ci sono stati molti emigranti che hanno incaricato la loro famiglia di fare una sottoscrizione. Di questi emigranti, ci ricordiamo quando dobbiamo tassarli, e adesso che potrebbero avere questo beneficio li dimentichiamo.

Il mio secondo emendamento, è correlativo a quello che ho illustrato perché vuole avvisare gli accorgimenti tecnici per far risaltare il mandante. Io propongo che basti una dichiarazione del mandatario perché si operi il trapasso dall’uno all’altro.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. La questione relativa all’articolo 27 è molto più grave di quanto l’Assemblea non si configuri finora, a giudicare almeno dai precedenti discorsi degli onorevoli colleghi. La Commissione, quando ha esaminato la disposizione dell’articolo 27, ha dovuto esaminare anche gli effetti che, sull’applicazione dell’imposta, avrebbe avuto l’esenzione stabilita dalla legge di emissione del Prestito ai fini della imposta medesima.

La Commissione ha dovuto constatare che chi ha sottoscritto il prestito della ricostruzione, presupponendo il cambio della moneta e l’imposta, ed ha visto svalutati i suoi titoli in Borsa, ha avuto una perdita, se la consistenza del suo patrimonio toccava una certa cifra; ha avuto un enorme vantaggio se la consistenza del suo patrimonio superava una determinata cifra. Mi spiego con un esempio molto chiaro: il possessore di un patrimonio di un miliardo pagherebbe a termine della legge il cinquanta per cento di imposta, pagherebbe cioè 500 milioni; se lo stesso possessore di un miliardo avesse convertito 500 milioni in Prestito della ricostruzione, il patrimonio tassabile, ai fini dell’imposta, risulterebbe di 500 milioni e il possessore pagherebbe, di imposta, circa 165 milioni, cioè, per il semplice fatto di aver sottoscritto 500 milioni di prestito della ricostruzione, il possessore risparmierebbe, in base alla legge sulla Patrimoniale, 335 milioni. Questo è il fatto che la Commissione ha dovuto prendere in considerazione.

BUBBIO. Ma questa è l’eccezione!

LA MALFA, Relatore. Noi dobbiamo stabilire la situazione del contribuente rispetto alla imposta. Ho detto che i patrimoni piccoli sono colpiti; per il fatto di aver sottoscritto il prestito, i patrimoni grossi non solo non subiscono una perdita, ma ne hanno enorme vantaggio. La Commissione ha dovuto tener conto degli effetti della esenzione del prestito dell’imposta, tanto per i piccoli come per i grossi patrimoni.

Dichiaro che se la Commissione avesse trovato un mezzo per impedire questo effetto dell’applicazione della legge l’avrebbe adottato, perché essa trova iniquo che la semplice sottoscrizione del prestito della ricostruzione assicuri, a possessori di un patrimonio al disopra di 500 milioni, vantaggi di alcune centinaia di milioni. La Commissione tuttavia si è resa conto che non aveva nessun mezzo legale per ovviare a questo inconveniente, poiché avrebbe dovuto revocare le concessioni fatte, durante la sottoscrizione al prestito, con la legge del prestito. Aggiungo che l’esenzione del prestito, che è stata legata, nel momento dell’emissione, alla legge sulla imposta patrimoniale, ha fatto oggetto di grandi speculazioni, specialmente sul mercato di Milano. Non si tratta di speculazioni in frode della legge – la legge non si conosceva – ma in previsione di quelle che sarebbero state le aliquote progressive e vi è stata una copertura, attraverso il prestito, ai fini della imposta medesima. A noi della Commissione è risultato, ad esempio, che sul mercato di Milano si sono sottoscritti sei-otto miliardi di prestito per evadere o per sfuggire alla progressività dell’aliquota. Come si sono sottoscritti questi sei-otto miliardi? I possessori di grossi patrimoni hanno contratto un debito in banca dando in contropartita azioni in loro possesso. Così, il loro patrimonio si presenta oggi all’attivo con una parte del patrimonio in beni reali ed una parte in prestito della ricostruzione, esente dall’imposta; al passivo con il debito verso la banca.

La Commissione ha tenuto conto di quello che è stato rilevato dagli onorevoli Marinaro e Condorelli, e non si è sentita in grado di fare una distinzione fra sottoscrizione ottenuta vendendo i propri beni e sottoscrizione ottenuta contraendo un debito in banca. Naturalmente, nell’ordine dei vantaggi che il prestito della ricostruzione ha dato, il fatto di avere contratto un debito è stato un ulteriore vantaggio, perché i possessori di grossi patrimoni, contraendo il debito, si sono garantiti anche contro la svalutazione della moneta, cioè hanno conservato intero il loro patrimonio. Quindi, hanno fatto un’operazione perfetta e brillantissima dal punto di vista dei loro interessi; mentre lo Stato ha fatto un cattivissimo affare nei loro confronti.

Ma la Commissione, pur rilevandolo, non ha potuto colpire questo fatto, non potendo distinguere fra prestito sottoscritto vendendo parte del proprio patrimonio o impiegando proprie liquidità, e prestito sottoscritto accendendo un debito in banca. Ed allora, ha cercato di colpire coloro che si sono coperti con debiti in banca, non vietando l’iscrizione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini di quella quota presuntiva di cui parla l’articolo 27. L’emendamento della Commissione non si deve interpretare nel senso che non sia ammessa la detrazione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini della quota presunta. Ed a questa correzione di portata assai limitata la Commissione è pervenuta con rammarico, dopo aver constatato l’impossibilità di stroncare con mezzi legali i vantaggi assicuratisi dai grossi patrimoni.

Perché la Commissione ha fatto l’emendamento ai fini della quota presuntiva? Essa ha ritenuto che l’esenzione della quota presunta in danaro volesse significare questo: presumo che tu abbia avuto una liquidità e che sottoscrivendo al prestito abbia impiegato questa liquidità; quindi, ti do modo di detrarre dalla quota presuntiva il prestito che hai sottoscritto. Ma se un tizio ha sottoscritto al prestito contraendo un debito, non ha impiegato le proprie liquidità nel prestito, ma ha impiegato le liquidità altrui. Non è quindi possibile concedergli il vantaggio di detrarre l’ammontare sottoscritto della quota presunta.

L’espressione usata dalla Commissione non è felice e può dare luogo a qualche dubbio. Comunque, il caso previsto dalla Commissione era quello che ho esposto, mentre sulla stampa è stato interpretato in maniera più estensiva. Il che indica come in definitiva ci fosse un po’ di coda di paglia in questa faccenda.

Ora, se l’emendamento della Commissione è mantenuto, è mantenuto in questo senso: colpisce, cioè, coloro che hanno contratto un debito a fronte del prestito della ricostruzione. Per costoro non vi è il diritto alla detrazione della quota presuntiva.

La Commissione sarebbe inoltre dell’idea di colpire integralmente i grossi patrimoni, che hanno già avuto molti vantaggi dal prestito della ricostruzione e quindi, limitare l’efficacia dell’applicazione dell’articolo 27 ai patrimoni non superiori ai 50 milioni.

In quanto all’emendamento Condorelli, esso sembra eccessivo alla Commissione. Si tenga anche conto del prestito della ricostruzione sottoscritto dalla moglie; però, estendere la facilitazione a qualsiasi altro congiunto fino al secondo grado o ad un rappresentante, significa ammettere che tutto il prestito della ricostruzione vada a diminuzione della quota presuntiva.

CONDORELLI. E il caso del procuratore, il quale non ha detto che agisce per procura.

LA MALFA, Relatore. Le leggi fiscali non possono essere vedute con criterio strettamente giuridico, perché altrimenti non si percepisce un soldo. Mi rammarico, ma la Commissione non può accettare l’emendamento Condorelli.

Per quanto riguarda l’emendamento Cappi, la detrazione del denaro ha, come dicevo, questo significato: presumo che tu avevi una liquidità e che, investendo nel prestito della ricostruzione, hai impiegato di questa liquidità. Ma se ammetto il prestito nella detrazione dei beni, allora il possessore di un miliardo, che abbia sottoscritto 500 milioni, non paga 500 milioni per sottoscrizione, e 500 per detrazione dai beni, e quindi praticamente non paga nulla. Questo non è possibile.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, c’è poi l’emendamento Bertone.

LA MALFA, Relatore. Al collega Bertone, osservo che se il prestito della ricostruzione va in detrazione della quota presuntiva, va nella presunzione che io non possiedo liquidità attuale. Detraggo dalla quota presuntiva, perché presumo che tu abbia investito nel prestito. Ma se una liquidità è esistente e reale ad oggi, a quale titolo detraggo? Non posso detrarre, perché la liquidità c’è e non la posso presumere. Anche il suo emendamento non può essere quindi accolto.

L’emendamento Tosi viene superato dalla nuova proposta della Commissione, e così l’emendamento Marinaro.

PRESIDENTE. Quale è la nuova proposta della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione proporrebbe, in prima istanza, di tornare al testo governativo e di aggiungere, come secondo comma:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori a 50 milioni».

Il secondo emendamento Condorelli la Commissione lo respinge, considerando implicito che, facendo il coacervo, si debba fare il coacervo di tutti i beni della moglie.

L’emendamento Bubbio può essere accettato come raccomandazione.

BUBBIO. È meglio accoglierlo ed inserirlo nel decreto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo condivide, in linea di massima, l’ordine di idee del Relatore e si associa alle sue considerazioni sui diversi emendamenti.

Se ho ben capito, sull’emendamento Bubbio la Commissione ha dato parere favorevole. È così?

LA MALFA. Relatore. Sì, come interpretazione.

BUBBIO. Tanto vale metterlo nel decreto.

PELLA, Ministro delle finanze. Se la Commissione, accettandolo a titolo di raccomandazione, ritiene di accoglierne il contenuto, il Governo preferisce che esso sia inserito nel decreto. Non vorrebbe che la potestà normativa dell’Amministrazione finanziaria, in sede di istruzioni, trasmodasse sino a dettar norme che il decreto non contiene.

LA MALFA, Relatore. La difficoltà di inserire l’emendamento consiste nel fatto che lo stesso caso può sorgere circa il patrimonio dei discendenti, quindi dovremmo fare una norma più completa.

Da questo punto di vista, è conveniente lasciare le cose come sono. La norma dovrebbe essere estesa anche al patrimonio dei discendenti cumulato al patrimonio dell’ascendente.

BUBBIO. Completatela la norma; è meglio dirle certe cose.

LA MALFA, Relatore. Non mi pare che sia rilevante…

PELLA, Ministro delle finanze. Propongo un compromesso. Accogliamo nella legge l’emendamento per quanto riguarda la moglie e lasciamo – e qui veramente può avere adito un’interpretazione per analogia – e lasciamo, dicevo, alle istruzioni di regolare la situazione per quanto riguarda i discendenti.

PRESIDENTE. Ma allora bisogna modificare l’emendamento radicalmente. Onorevole Bubbio, se lei è d’accordo sulla modificazione dell’emendamento, ne formuli un nuovo testo nel senso ora proposto e lo faccia pervenire alla Presidenza.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei far presente all’onorevole Ministro che o si indicano specificamente entrambi i casi o non se ne indica alcuno, giacché l’indicarne uno solo può significare che si intenda implicitamente escludere l’altro. Io non sono per nulla contrario che se ne faccia esplicita indicazione nella legge; vorrei però che così fosse fatto per l’un caso e per l’altro.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA. Relatore. Insisterei perché l’emendamento venisse considerato come raccomandazione, anche perché soltanto in tal modo sarà possibile studiarlo e vederne l’estensione. In caso contrario, invece, saremmo forse costretti a sospendere l’approvazione dell’articolo. Mi pare insomma che accettare, così di punto in bianco, una cosa di questo genere, soprattutto quando l’applicazione potrebbe essere anche più estensiva, non sia prudente.

PRESIDENTE. Invito il Governo a manifestare il proprio punto di vista.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo preferirebbe l’inserzione dell’emendamento in calce all’articolo e pertanto prega l’onorevole Bubbio di completarlo facendo riferimento anche ai discendenti.

PRESIDENTE. Nell’attesa che l’onorevole Bubbio completi l’emendamento, poiché si tratta di un’aggiunta finale, sulla quale potrà deliberarsi più tardi, esauriamo l’esame degli emendamenti proposti al primo comma dell’articolo.

Vi è anzitutto l’emendamento proposto per il primo comma dagli onorevoli Condorelli, Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo, non accettato dalla Commissione e neppure dal Governo:

«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».

L’onorevole Condorelli, vi insiste?

CONDORELLI. Vi insisto.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Sempre al secondo comma, vi è poi l’emendamento dell’onorevole Cappi, anche questo non accettato né dalla Commissione né dal Governo.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.

CAPPI. Ritiro l’emendamento. Avevo però chiesto di parlare per esprimere una opinione sull’altra parte dell’articolo che riguarda i debiti fatti per sottoscrivere al prestito. Vorrei richiamare l’attenzione della Commissione e del Ministro sulla facile possibilità di frodi a questo riguardo. Mi pare strano che vi siano stati dei forti capitalisti che abbiano fatto un debito pagando dal 7 all’8 per cento di interesse, per sottoscrivere un prestito al 3,50 per cento. (Approvazioni a sinistra).

A difesa del fisco mi parrebbero opportune due cautele: anzitutto, che il fisco potesse, in deroga al rispetto del segreto bancario, accertare – anche con ispezioni sui registri delle Banche – la realtà dei debiti che si affermano contratti; in secondo luogo, che anche per la detrazione di questi debiti sia necessario che al 28 marzo i titoli del prestito fossero ancora posseduti, perché mi consta che una delle facili manovre era questa: si contraeva un debito realmente, poi, dopo due o tre giorni, si vendevano i titoli e si riaveva il denaro. E, in questo caso, sarebbe ingiusto ammettere in detrazione il debito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Cappi mi fornisce la possibilità, anticipando in parte quello che sarà meglio sviluppato successivamente, di rassicurare l’Assemblea in ordine alle prove che l’Amministrazione richiederà per la documentazione dei debiti da ammettere in detrazione.

È esatto che forse si indulgeva troppo nel passato a richiedere, come documento sufficiente per tale dimostrazione, la dichiarazione del saldo del debito ad una determinata epoca. Ma vedremo meglio, esaminando i successivi articoli, che si parla di una più ampia documentazione e che è nelle intenzioni dell’Amministrazione finanziaria di chiedere estratti-conti per un determinato periodo di tempo; cosicché le operazioni di contemporaneo addebito ed accredito risulteranno evidenti dall’esame di un estratto-conto dei tre o sei mesi anteriori e di qualche mese successivo. Tale esame permetterà di individuare quelle passività fittizie che l’onorevole Cappi giustamente intende colpire.

Quest’accertamento può essere opportunamente ammesso, senza compromettere la questione del segreto bancario.

PRESIDENTE. Procediamo ora all’esame dell’emendamento dell’onorevole Bertone ed altri sul primo comma. Onorevole Bertone, lo mantiene?

BERTONE. Potrei ritirare il mio emendamento se la Commissione e il Ministro consentissero a togliere la parola «presuntivamente», dopo «accertati».

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Ripeto al collega Bertone l’argomentazione che avevo già fatta: si presume una quota di denaro, e si presume che chi abbia sottoscritto al prestito non abbia più quella quota di denaro. Ma se ce l’ha, a che titolo gli diamo l’esenzione? Se mi risulta che il contribuente detiene il denaro, non posso presumere che l’abbia investito nel prestito della ricostruzione.

PRESIDENTE. Dunque la Commissione è contraria a questo emendamento?

LA MALFA, Relatore. Sarebbe una contraddizione in termini.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi pare che la richiesta dell’onorevole Bertone sia – mi si consenta – abbastanza innocente perché gli articoli 25 e 26 riposano entrambi sul sistema presuntivo.

Ora, quando si chiede di evitare l’avverbio «presuntivamente» e di lasciare: «accertato nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26», non si tende – a mio avviso – che a togliere una parola probabilmente pleonastica.

Ma se ciò può servire all’onorevole Bertone per placare determinate perplessità, potrei aderire all’abolizione dell’avverbio «presuntivamente».

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Bertone ha rinunciato al suo emendamento principale, proponendo però l’eliminazione dell’avverbio «presuntivamente», pongo ai voti tale proposta, accettata dal Governo e non accettata dalla Commissione.

(È approvata).

Passiamo all’emendamento Tosi, già svolto nella precedente seduta:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma:

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

TOSI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Marinaro, mantiene il suo emendamento?

MARINARO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Si dovrebbe tornare, allora, al testo ministeriale, cui la Commissione proporrebbe l’aggiunta di un secondo comma così formulato:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 50 milioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra necessario chiarire la portata dell’articolo 25, per giudicare sull’opportunità di questo nuovo emendamento.

L’articolo 25 – non ancora discusso – dice che si calcola presuntivamente un tanto per cento in conto del denaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore.

Ora se, parlando di titoli di credito al portatore, si vuole alludere soltanto ai titoli di credito assoggettabili all’imposta e non già a quelli esenti, allora l’articolo 27 ha veramente una portata di agevolazione a favore dei portatori del prestito, perché in tale ipotesi, effettivamente, si dedurrebbe da una massa tassabile un determinato ammontare pari al valore dei titoli 3,50 per cento, oltre ad avere concesso l’esenzione a questi ultimi. Ma se si volesse dare all’articolo 25 – e qui è un peccato che l’Assemblea non abbia ancora manifestato il suo pensiero – una portata di accertamento globale induttivo di titoli al portatore esenti e non esenti, la detrazione prevista dall’articolo 27 è una detrazione sotto un certo profilo pleonastica perché se – a cagion di esempio – col 5 per cento si accertano a nome del contribuente 10 milioni di denaro e di titoli e se in questi 10 milioni vi sono due milioni di prestito della ricostruzione 3 e mezzo per cento, questi due milioni vanno già imputati in detrazione, in forza della legge di emissione del prestito, senza bisogno di particolare disposizione. E se questa fosse l’interpretazione dell’articolo 27, l’emendamento limitativo, che ci si propone oggi, dei 50 milioni, purtroppo rappresenterebbe una violazione dell’esenzione. Per questo prego l’Assemblea di considerare come, votando l’emendamento della limitazione dei 50 milioni, indirettamente si venga a dare una interpretazione all’articolo 25. Questa è l’osservazione che volevo fare prima di passare alla votazione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Per quanto riguarda l’articolo 25, mi pare che le dichiarazioni del Ministro precisino un punto: la quota presuntiva di titoli, denaro, depositi, da computare nel patrimonio è soggetta all’imposta; e poiché i titoli del prestito della ricostruzione non sono soggetti all’imposta è chiaro che non sono compresi nella quota presuntiva.

Desidero richiamare l’attenzione sul voto che ha dato l’Assemblea: quando noi consentiamo la detrazione dalla quota presuntiva dell’importo sottoscritto al prestito, in definitiva noi presupponiamo il caso di chi avendo denaro liquido lo ha impiegato nella sottoscrizione al prestito; ed ora con l’attribuzione della quota presuntiva soggetta a imposta, se non si consente la detrazione, di fatto per lui si annullerebbe il beneficio concesso ai sottoscrittori del prestito. Se il possesso di liquido effettivamente esiste, significa che non è stato impiegato nella sottoscrizione, ed allora non è giustificata la deduzione dell’importo sottoscritto. Ma se il possesso di denaro liquido presunto di fatto non esiste, perché impiegato nella sottoscrizione al prestito, allora è pienamente giustificata la deduzione.

È chiaro che nel primo caso si concede un beneficio che supera i limiti delle concessioni previste nella legge del prestito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Scoccimarro ha fatto delle considerazioni esattissime, che non avrebbero bisogno di ulteriori aggiunte se venissero considerate nel quadro esclusivo dell’imposta straordinaria sul patrimonio, indipendentemente da qualsiasi considerazione di altri settori. Però qui siamo nel campo di agevolazioni particolari accordate in sede empirica, in dipendenza della rinunzia al cambio della moneta. Tale è la genesi di questa ulteriore detrazione.

Quando si è emesso il prestito della ricostruzione del 3,50 per cento, si sono fatte molte promesse, fra cui due: una di carattere positivo (esonero dall’imposta); l’altra, di carattere negativo (bastonata a chi non sottoscrive al prestito data mediante il cambio della moneta). Siccome questa bastonata non ci fu, si cerca di colpire ugualmente la ricchezza del portatore con altri mezzi. Ad ogni modo, sarebbe opportuno accordare questa prima agevolazione, in aggiunta ad altra contemplata nel disegno di legge a favore di chi ha sottoscritto al prestito 3,50 per cento. È certamente un’agevolazione empirica: ma è appunto in questo senso che io prego l’onorevole Scoccimarro di considerarla.

PRESIDENTE. La Commissione insiste nell’aggiunta proposta?

LA MALFA, Relatore. Come ho già detto, la Commissione torna al testo governativo senza l’aggiunta già proposta dalla Commissione medesima.

Propone inoltre di aggiungere al primo comma un secondo, in cui si dica: «La detrazione del denaro, depositi, ecc., si applica soltanto per patrimoni non superiori ai 50 milioni».

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Osservo che c’è un contrasto netto fra quello che dice la Commissione e quelle che sono state le giuste ragioni portate dal Governo a favore dei sottoscrittori al prestito.

Se lo scopo dell’agevolazione del Governo è quello di detrarre l’importo impiegato nella sottoscrizione del prestito della ricostruzione, non c’è ragione di porre il limite ai 50 milioni, perché questa gente che ha sottoscritto ha diritto a quei vantaggi empirici, come li ha chiamati il Ministro.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Mi pare di aver detto che per i possessori di patrimoni al disopra di una certa cifra l’esenzione dall’imposta del prestito è già un vantaggio maggiore di qualsiasi altro vantaggio. Quindi è inutile che aggiungiamo un vantaggio, perché ho dimostrato che colui che possiede un miliardo e sottoscrive 500 milioni, risparmia 325 milioni di imposta.

Ora siccome i piccoli patrimoni sono colpiti, abbiamo stabilito un limite perché questi piccoli patrimoni abbiano un vantaggio e gli altri patrimoni non lo abbiano.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Fabbri. Ne ha facoltà

FABBRI. Francamente, o io non ho capito, o qui stiamo violando le condizioni del prestito. In una parte c’è stato l’emendamento Bertone il quale facendo togliere il «presuntivamente» ha creato una confusione dell’altro mondo, perché se un tale dice di avere dei titoli nel suo patrimonio in eccedenza alla quota presunta, perché mai, avendoli, non gli dovrebbero essere considerati anche se ha sottoscritto al prestito in larga misura? Sarebbe una seconda esenzione che non capisco. Nella legge tributaria c’è una presunzione di una disponibilità liquida. La legge del prestito diceva che quella parte di liquido presunto che sarebbe stata impiegata nel prestito non sarebbe stata conseguentemente considerata nel patrimonio. Quindi, se io ho una presunzione di un milione di liquido e dimostro di aver preso 900.000 lire di prestito, io non posso essere tassato che per cento mila lire, perché con le altre 900.000 lire ho comprato il prestito. Se però, dopo aver goduta la esenzione dalle 900.000 lire, spese pel prestito, dichiaro di avere anche altro denaro, questo altro denaro deve essere tassato. Quindi non ho capito perché si è tolto il «presuntivamente».

Adesso vi è dalla stessa fonte un secondo emendamento ed è di fare la detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere il prestito soltanto per coloro che hanno meno di cinquanta milioni. Ma l’eventuale possessore anche di dieci miliardi, al quale è stato garantito che se sottoscriveva il prestito era per il corrispondente importo esente dall’imposta… (Rumori).

LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Effettivamente nel votare la soppressione dell’avverbio «presuntivamente», noi abbiamo spostato la base dell’articolo 27.

FABBRI. Ma poi si è insistito nel dire che vi sarà detrazione…

LA MALFA, Relatore. Precisamente. Per rimediare a questa che è stata una conseguenza, la Commissione ha apportato un emendamento al primo comma, che suona così: «Aggiungere, dopo «a mente degli articoli 25 e 26», le parole: «nei limiti della quota presuntiva». Così si chiarisce un dubbio dell’onorevole Bertone.

Per quel che riguarda il secondo comma, non è che noi non ammettiamo più le agevolazioni fatte in materia di prestito. A giudizio della Commissione il prestito è sempre esente. Ma il secondo comma, stabilendo che: «La detrazione si ammette per patrimoni non superiori a cinquanta milioni», afferma implicitamente che siccome al di là dei cinquanta milioni o dei cento milioni, come volete – ma la Commissione è per la prima soluzione – il vantaggio dato dall’esenzione del prestito è sufficiente, il contribuente non ha più diritto ad altri vantaggi. Non c’è quindi nessuna contradizione ed il testo proposto dalla Commissione mette in chiaro tutte le questioni poste dall’Assemblea.

ADONN1NO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Ritengo, onorevoli colleghi, che quanto all’avverbio «presuntivamente» dell’articolo in esame sia perfettamente esatto il testo primitivo della Commissione. Se noi presumiamo che quei denari ci siano, è inutile venire a dire che i denari furono impiegati nel prestito. Io lascerei: «presuntivamente», né mi pare che migliori le cose la nuova formula ora proposta dalla Commissione; «nei limiti della quota presuntiva». A me pare che la situazione resti sempre la stessa. Cosa significa questa dizione? Significa che il denaro non c’è, ma presumiamo che ci sia. Se invece il denaro è dichiarato esistente dal contribuente, è assurdo che diciamo che con questo denaro sarebbe stato contratto il prestito, perché con questo denaro il prestito non è stato contratto, tanto vero che il contribuente lo dichiara ancora esistente. Siamo nelle strette di una logica a cui non si può sfuggire: o il denaro c’è, e non dobbiamo detrarre nulla perché con questo denaro non si è contratto il prestito, tanto vero che il denaro ancora esiste; o il denaro non c’è, ed allora possiamo presumerlo soltanto, e possiamo detrarre il prestito. Dunque si deve trattare soltanto di «accertamento presuntivo» e mai «dichiarato».

Per quanto riguarda poi l’altro punto, vale a dire l’emendamento Tosi, mi pare che la formula nuova della Commissione faccia un giudizio salomonico, cioè l’accetta per metà, per i patrimoni fino a 50 milioni. È esatta o no la logica dell’onorevole Tosi? È esatta, perché il debito fatto…

TOSI. Ma l’emendamento è ritirato ormai!

ADONNINO. Per me la proposta Tosi era esattissima, ma se è ritirata, allora va modificata la proposta della Commissione nel senso di non ammettere la detrazione in nessun caso e non solo per i capitali fino a 50 milioni.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Voglio chiarire che, se io avevo fatto la proposta di ritirare il mio emendamento, accettando di sopprimere la parola «presuntivamente», è stato perché questo invito mi era stato rivolto da un membro autorevole della Commissione che credevo parlasse a nome della Commissione stessa. Poiché è stato rilevato, come ha fatto giustamente osservare l’onorevole Fabbri, che togliere questa parola può portare ad inconvenienti e a confusioni, io aderisco alla nuova formula dell’onorevole La Malfa. Lungi da me il voler fare delle confusioni.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Desidero fare una proposta concreta. Per non ridurre quasi a nulla i vantaggi concessi a favore dei sottoscrittori del prestito, cui ha accennato il Ministro, propongo, in linea conciliativa, che la limitazione della detrazione sia portata dai capitali di 50 milioni fino a 100 milioni. (Approvazioni).

MARINARO. Mi associo alla proposta e ritiro il mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Vorrei leggere il testo dell’articolo 27 proposto dalla Commissione:

«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva».

Questo è il primo comma.

Il secondo comma suonerebbe così:

«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 100 milioni», secondo l’emendamento Cappi, che noi accettiamo.

Mi pare che non c’entri più la questione del debito, perché la Commissione ha ritirato l’emendamento proposto a suo tempo.

Ora, stiamo considerando la detrazione del prestito dalla quota presuntiva.

MARINARO. Con questo, resta inteso che la Commissione ha abbandonato il primitivo emendamento relativo alla detrazione del debito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministra delle finanze. Mi si consenta di affermare che l’avverbio «presuntivamente», a mio avviso, era superfluo e che quindi è indifferente sia lasciato o ritirato. Quando nell’articolo 27 parliamo di depositi, titoli di credito, ecc., accertati a mente degli articoli 25 e 26, ci riferiamo a due articoli che regolano soltanto gli accertamenti presuntivi. Non vi è nulla, in questi due articoli, che significhi dichiarazione analitica o accertamento analitico. La portata dei due articoli si inquadra nettamente ed esclusivamente nel sistema presuntivo.

BERTONE. L’articolo 25, secondo comma, parla degli accertamenti analitici.

PELLA, Ministro delle finanze. Va bene, ma è un riferimento all’obbligo generale. Ad ogni modo, la questione è superata.

Vorrei, però, pregare l’onorevole La Malfa di riflettere sulla portata dell’emendamento della Commissione, così come è stato formulato. Quando parliamo di patrimoni non superiori ai 50 milioni, evidentemente ci riferiamo ad un patrimonio accertato in sede fiscale. Ora, io faccio un caso limite, attraverso cui potrebbe sfuggire qualche grossissima cifra. Caso limite di chi aveva un pacchetto azionario di 500 milioni ed ha acceso un debito di 460 milioni. Vi sono 460 milioni di titoli che entrano nel gioco. Ora, 500 milioni di titoli meno 460 di debito, danno come differenza 40 milioni. In questo caso si sarebbe avuto il beneficio della detrazione del debito dei 460 milioni; inoltre, si avrebbe ancora il beneficio dell’ulteriore detrazione nei limiti della quota presuntiva.

Ora, il Governo non può essere tenuto ad usare agevolazioni nei confronti di coloro che hanno maliziosamente acceso dei debiti per sottoscrivere al prestito, perché il suo scopo era di chiamare a contributo la ricchezza liquida, che era in possesso dei sottoscrittori.

Il gravare sull’apparato bancario e sulla circolazione, certamente non rientrava nelle intenzioni del Governo.

Se una interpretazione letterale di coordinate disposizioni di legge non risulta sufficiente per respingere la detrazione di questi debiti, cerchiamo almeno di adottare delle formule che non significhino creare ulteriori vantaggi. In concreto, io vorrei suggerire che il proposto emendamento venisse trasformato in questo ordine di idee: qualunque sia il limite di cifre, oltre il quale non c’è più l’agevolazione, tale limite sia determinato, solo a questo scopo specifico, tenendo conto anche dell’ammontare dei titoli, perché solo così si riesce ad evitare che si concedano agevolazioni anche a chi ha posto in essere qualche grosso indebitamento a scopo di evasione.

PRESIDENTE. Faccio presente all’Assemblea che è necessario giungere ad una soluzione. Prospetto l’opportunità che la Commissione, insieme con i proponenti degli emendamenti, si riunisca e cerchi di pervenire ad un accordo, sia pure relativo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La difficoltà in cui si trova la Commissione è notevole. Da sabato ad oggi sono stati presentati emendamenti che allargano la base del problema, e la Commissione deve trovare una soluzione seduta stante. Ciò presenta notevoli difficoltà.

Detto questo, credo di poter chiarire all’onorevole Ministro delle finanze che questa preoccupazione dei debiti l’ha avuta anche la Commissione. Ma ad un certo punto l’ha superata mettendosi da un punto di vista più generale, cioè queste speculazioni, che si sono risolte nel contrarre un debito per sottoscrivere al Prestito, riguardano i grossi patrimoni. Se noi stabiliamo il limite di 50 o 100 milioni, noi in un certo senso mettiamo fuori causa queste speculazioni, perché per queste speculazioni non applichiamo più la detrazione.

Per i piccoli patrimoni, che hanno bisogno di questo vantaggio perché hanno avuto una perdita secca sottoscrivendo al prestito, manteniamo l’agevolazione.

Credo che, votando il testo della Commissione, non si commettano errori e si stabilisca una perequazione tra le varie posizioni.

Pregherei, quindi, di mettere in votazione il testo così come è stato presentato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Piemonte. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Io sono sorpreso dalla facilità con cui si passa da 50 a 100 milioni. E sono anche sorpreso dal fatto che fra la proposta della Commissione e quella che ha esposto il Ministro delle finanze c’è una profonda differenza.

Propongo che si sospenda la seduta per qualche minuto, in modo che il Governo e la Commissione possano mettersi d’accordo.

FUSCHINI. Concordo con l’onorevole Piemonte.

LA MALFA, Relatore. Ma siamo già d’accordo.

PRESIDENTE. Mi pare che si sia giunti ad un punto in cui si possa passare alla votazione.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi dispiace, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, di dover interloquire così spesso, ma ritengo che la questione sia veramente importante e credo che possa essere risolta ponendola nei termini seguenti. Quello che può turbare la bontà del limite – a parte la considerazione della elevatezza della cifra – è l’introduzione dell’elemento pericoloso dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.

Io vorrei pregare che, magari, si elevi la cifra, ma che ai fini di questo limite, non si ammettano in detrazione i debiti contratti per la sottoscrizione del prestito.

TOSI. È ingiusto, ed è contrario all’articolo 22!

PELLA, Ministro delle finanze. Prego quanti sono fautori della detrazione del debito di tener ben presente che qui siamo su un campo accessorio.

Agli effetti del bonifico sulla quota presunta del danaro, depositi e titoli di credito al portatore, insisto di non detrarre i debiti contratti per sottoscrivere il prestito.

Soltanto per questa via si arriva ad eliminare l’inconveniente cui ho accennato.

Naturalmente il Governo si rimette a quello che decide l’Assemblea; ma desidero che resti traccia, nel verbale della seduta, che il Governo si è fatto carico di questa situazione.

PRESIDENTE. Dovrei allora mettere in votazione il testo proposto dalla Commissione.

PIEMONTE. Vi è la mia proposta di sospensione.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, lei fa una proposta formale?

PIEMONTE. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la proposta dell’onorevole Piemonte di sospendere la seduta per qualche minuto, onde giungere alla compilazione di un testo concordato.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 18.45, è ripresa alle 19.10).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. A nome dei colleghi della Commissione, insisto sul testo proposto dalla Commissione stessa, che, a nostro giudizio, è quello che risolve meglio la questione.

Il Governo può accettarlo o chiedere la sospensiva.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Per la controversia che stiamo dibattendo esistono due ordini di questioni; una relativa alla detraibilità dei debiti accessi appositamente per sottoscrivere al prestito; l’altra relativa ai limiti della detraibilità dalla quota presunta, cioè relativa alle agevolazioni da dare ai sottoscrittori al prestito.

Se ho ben compreso, l’ultima proposta della Commissione implicitamente significa ammettere in detrazione i debiti accessi per la sottoscrizione al prestito.

È questo che veramente rende perplesso il Governo. Quando ci si dice che in sostanza tutto ciò rientra nel sistema di tassazione del patrimonio netto, vorrei rilevare che appunto in questo momento noi stiamo redigendo la legge che deve regolare questa imposta e quindi non vi è nulla di prefissato che ci impedisca di esaminare la questione alla luce della giustizia e – vorrei aggiungere – anche alla luce della morale.

Non è la prima volta che in sede tributaria determinate detrazioni sono subordinate a che la contropartita attiva sia assoggettata al tributo. È vero che questo concetto trova applicazione nel campo delle imposte reali, mentre qui ci troviamo in sede di imposta personale, ma non è chi non veda come ragioni di giustizia richiederebbero che, se detrazione vi è per un debito acceso allo scopo di acquisire un determinato cespite, quel cespite sia pure acquisito all’imposta.

Qui ci troviamo invece davanti a debiti che sono stati accesi per acquisire un cespite che è sottratto all’imposta.

Né si venga a dire che con questo noi violiamo la legge di emissione del prestito. Protesto nella forma più vibrata e – vorrei aggiungere – nella forma più solenne contro affermazioni di questo genere. Lo Stato in questo momento, qualunque sia la soluzione che sarà adottata dall’Assemblea in ordine alla detraibilità dei debiti, non viola alcun impegno. E questo desidero che l’Assemblea senta e, con l’Assemblea, lo senta anche il Paese.

Il decreto di emissione del prestito conteneva un impegno; quello di esentare il titolo dall’imposta. Questo impegno è solennemente mantenuto!

Ora, in ordine alle determinazioni che l’Assemblea dovrà prendere per decidere sulla detraibilità o meno dei debiti, mi si consenta di ricordare la fisionomia assunta dalle sottoscrizioni al prestito. Le statistiche ci hanno detto che larghissime affluenze si sono avute da parte di piccoli sottoscrittori – quelli che non avevano un interesse fiscale alla sottoscrizione – mentre invece sappiamo che molte grosse sottoscrizioni sono state effettuate proprio calcolando l’onere dell’imposta a cui ci si poteva sottrarre. Ed è su questa situazione di fatto, che non può non influire sull’atteggiamento che dovremo tenere nel decidere sulla detrazione o meno, che io desidero richiamare in questo momento l’attenzione degli onorevoli colleghi, pur senza cercare di influenzare la loro decisione.

Il Governo preferirebbe che questa questione così delicata non venisse decisa con una votazione di maggioranza, che probabilmente sarebbe votazione di stretta maggioranza.

Non dispero che, assieme alla onorevole Commissione, si possa trovare la via soddisfacente per tutti. Qualche passo in avanti è stato fatto nel breve intervallo di sospensione della seduta; probabilmente prima della prossima seduta la soluzione si troverà.

Per questo mi associo alla richiesta di sospensione della discussione di questo articolo formulata dal Relatore.

PRESIDENTE. Siamo dunque di fronte ad una proposta di sospensiva di questo articolo 27.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero manifestare ben chiaramente il mio pensiero, perché quando la Commissione e il Governo avessero concordato la proposta da portare all’Assemblea, forse sarebbe difficile ritornare sulla questione.

Voglio parlare brevissimamente soltanto sul punto della detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.

Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità di questa questione, che ho avuto occasione di sentire nel momento in cui nasceva, quando cioè, nella mia qualità di Ministro del tesoro, mi recai nelle più grandi città d’Italia a far propaganda per il prestito. Fui allora avvertito, da persone di altissima responsabilità, nelle città più importanti per la finanza, per il commercio e per l’industria, che si stava organizzando su larghissima scala l’evasione dall’imposta sul patrimonio mediante la creazione di riporti fittizi, di anticipazioni fittizie e di mutui fittizi presso istituti di credito. (Approvazioni a sinistra).

Dunque questo addebito non poteva certamente riferirsi né ai piccoli né ai medi risparmiatori, che hanno fatto onore alle loro tradizioni come risulta dalle cifre statistiche che abbiamo sentito, in questa Assemblea, esporre dal Ministro del bilancio in risposta ad una precisa domanda. Questi appunti e questi addebiti vanno invece riferiti alle grandi classi abbienti, use alle grandi operazioni finanziarie, sulle quali è difficile poter gettare lo sguardo a fondo, perché nessuna indagine anche fiscale riesce a penetrare nel fondo di queste operazioni.

Orbene, io mi chiedo se si possa ammettere, se si ragiona con il buon senso e seguendo la rettitudine e la moralità, che vi sia stato qualcuno che abbia contratto debiti presso una banca od un istituto di credito qualsiasi, debiti correnti ad un interesse che non può essere stato inferiore al 7 o all’8 per cento, per investire somme in un titolo che gli rendeva il 3,50 per cento. (Commenti).

MARINARO. Ma c’era il vantaggio del prestito!

BERTONE. Domando se sia ammissibile che si sia contratto un debito che doveva essere pagato in quattro o sei mesi al massimo per ricevere un titolo che sarà pagabile fra trent’anni; se sia ammissibile che si sia contratto un debito da pagarsi al cento per cento per ricevere un titolo che nei corsi di borsa avrebbe perduto parte del suo valore nominale.

Può essere avvenuto che operazioni di tal genere siano state fatte. Io, personalmente, manifesto la mia opinione che queste operazioni non possono essere che fittizie, perché una persona di buon senso, si sarebbe regolata in tutt’altro modo, non certo ricorrendo a prestiti fatti sotto forma di riporti o di anticipazioni o di mutui bancari.

Poiché nell’articolo 22 sta scritto che tutti i debiti contratti esistenti all’epoca del 28 marzo 1947 possono essere detratti, se non si esclude il debito che fu contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione, noi veniamo a inferire una ferita sanguinosa al fianco di questo prestito. A questa manovra dichiaro assolutamente di non prestarmi. (Vivi applausi).

Perciò, se la Commissione rinuncia all’emendamento, lo faccio mio; domando, cioè, che sia posto in votazione il testo integrale inizialmente proposto dalla Commissione per l’articolo 27, salvo la parte riguardante la detrazione circa la quota presuntiva, al cui proposito vi è una nuova proposta dell’onorevole La Malfa sulla quale non ho nulla da dire. Ma ciò che intendo precisare è la posizione che credo necessario assumere circa i debiti contratti per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.

PRESIDENTE. Pongo innanzitutto ai voti la proposta di sospensiva.

(Non è approvata).

Comunico all’Assemblea il seguente emendamento fatto pervenire ora alla Presidenza dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro:

«Aggiungere alla fine del primo periodo dell’articolo 27: Se il Prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo quando esso superi i 50 milioni».

Pongo ora in votazione la formulazione del comma, proposta dalla Commissione, che aggiunge alla fine del testo ministeriale le parole: «nei limiti della quota presuntiva».

(È approvata).

Passiamo ora all’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

DUGONI. Chiedo che l’emendamento sia votato per divisione.

PRESIDENTE. D’accordo. Si voterà prima fino alle parole «patrimonio lordo» e successivamente la proposizione finale «quando esso superi i 50 milioni».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Sono estremamente sensibile alle considerazioni di ordine morale dell’onorevole Bertone, le quali, in sostanza, si riducono alla supposizione di debiti fittizi per sottoscrivere al prestito.

Ora, in realtà, da che mondo è mondo, nessuno ha mai potuto sostenere che in occasione di imposte sul patrimonio o di qualsiasi altra imposta, a questo riferentesi le passività, che sono sempre deducibili, possano essere passività fittizie.

Fiscalmente, giuridicamente e secondo anche il senso comune, una passività per essere deducibile deve avere certe determinate caratteristiche di verità e di dimostrabilità. Ma una volta che questa dimostrazione sia stata data e, nel caso particolare, sia stato garantito che chi sottoscriveva era, per la parte del patrimonio impiegata nella sottoscrizione, esente dall’imposta è, secondo me, una cosa abbastanza analoga alla truffa quella di sostenere che dalla entità di un patrimonio non si deducono le passività fatte per sottoscrivere e tutte le passività in genere, qualunque sia il motivo per cui le passività sono state contratte. E quando dal banco del Governo sento sostenere questo sofisma e questo gioco di parole, che il Governo mantiene il suo impegno, perché tiene ferme le esenzioni dall’imposta relativamente al titolo, ma non ammette la detrazione del debito acceso per avere il denaro che abbia servito per acquistare il titolo, si tratta di un volgare gioco di parole.

Mi dispiace di usare una espressione così grave, ma è un gioco di parole il quale è estremamente pregiudizievole per il credito dello Stato.

Se non si ammette la detrazione del debito contratto per sottoscrivere e si colpisce il patrimonio senza la detrazione di questa cifra, in realtà si colpisce obiettivamente il titolo, che per legge è stato dichiarato esente e quindi si viene meno all’impegno solennemente contratto, il che torna a grave pregiudizio del credito dello Stato.

Può darsi benissimo che non sia stato nell’intendimento del Governo, come si è espresso l’onorevole Pella, che suggerendo di sottoscrivere non si sia suggerito di far anche debiti per sottoscrivere. Ma non era neanche nell’intendimento dei sottoscrittori che avendo sottoscritto e pagato una determinata cifra hanno constatato dopo poche settimane la caduta di questo titolo a 72-73 lire, di fare una perdita secca di quella entità.

Personalmente la cosa non mi interessa né punto, né poco, ma dal punto di vista del credito dello Stato la trovo straordinariamente grave e soprattutto trovo grave che dal banco del Governo si facciano dei giochetti di parole e si dica che non si ammette la detrazione, ma si mantiene la esenzione del titolo. Questo non è serio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Devo evidentemente respingere l’apprezzamento dell’onorevole collega. Non vado oltre quei limiti che sono sufficienti per difendere le intenzioni del Governo e per difenderne la lealtà, ma sino a quei limiti, e non oltre, la mia protesta non può che essere vibrata. Quando noi affermiamo la esenzione del titolo del 3 1/2 per cento, noi rispettiamo in pieno quello che è l’impegno del decreto di emissione. Tutto il resto è discussione sul principio se l’imposta straordinaria sul patrimonio debba colpire quel patrimonio che risulta dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi e passivi o soltanto quel patrimonio residuante dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi soggetti dell’imposta e di tutti gli elementi passivi che hanno concorso a formare i cespiti tassabili.

Ricordiamoci bene che la detrazione di cui parliamo è la detrazione che non ha il corrispettivo in un cespite tassabile. Devo anche qui – mi perdoni l’onorevole collega – deplorare che amore di tesi, sia pure con la più innocente delle intenzioni, porti ad affermazioni che non possono che essere troppo gravi. Poiché si pone in discussione la lealtà dello Stato nell’adempiere ai propri impegni, impegni che invece sono osservati scrupolosamente, mi permetta l’Assemblea di respingere nel modo più vibrato simili affermazioni. (Applausi al centro).

Voci. Basta! Basta!

LA MALFA, Relatore. Non credo che basti, e noi abbiamo il dovere di stabilire a questo punto le responsabilità rispettive. La prima responsabilità delle condizioni in cui è stato emesso il prestito risale al Ministro Bertone e non può essere colmata da nessun’altra supposizione. Mi è d’uopo dire ciò per lealtà verso il Paese e verso l’Assemblea. Il Ministro Bertone ed i suoi consulenti non hanno calcolato tutte le condizioni alle quali hanno emesso il prestito.

BERTONE. Dite «il Governo», non «il Ministro Bertone».

LA MALFA, Relatore. Affermo appunto una responsabilità del Governo, del Ministro Bertone, del Governatore e del Direttore della Banca d’Italia, e la stabilisco pubblicamente, perché quando sono stato interpellato sul prestito, ho dichiarato che non si può emettere un prestito concedendo agevolazioni su due provvedimenti – cambio della moneta ed imposta – che non sono stati concretamente emanati. Nessun Governo può emettere un prestito dichiarando di favorirlo circa l’imposta patrimoniale e il cambio, senza aver detto ai possibili sottoscrittori che cosa sarà l’imposta e che cosa sarà il cambio.

Si tratta di una svista tecnica fondamentale. Conseguenza: se un sottoscrittore, fa i suoi conti e calcolando la progressività delle aliquote, maschera il suo patrimonio attraverso il debito, era dovere del Governo di prevedere il caso e dire: «Nella emissione del prestito, al di là di un limite patrimoniale, non consento l’esenzione del prestito della ricostruzione»; e il Governo doveva sapere di aver a che fare non soltanto con i piccoli risparmiatori, ma anche con coloro che hanno un grosso patrimonio e vogliono fare attentamente i loro calcoli.

FABBRI. E lo doveva dire prima!

LA MALFA, Relatore. Giusto: e lo doveva dire prima. È avvenuto quello che la Commissione ha accertato. Fatti i calcoli su aliquote che erano state più o meno pubblicate, i grandi possessori di patrimonio si sono coperti per mascherare il loro patrimonio. Il Governo in quel momento non ha detto a nessuno quali erano le condizioni ed ha permesso questa speculazione e direi che l’ha, in quel momento, legalizzata. (Interruzione dell’onorevole Bertone). La Commissione ha dovuto esaminare il problema ed ha rilevato che, attraverso l’emissione del prestito, è stato consentito, a possessori di grandi patrimoni, un risparmio che, come dicevo prima, per i patrimoni di un miliardo, si aggira sui 325 milioni di imposta. La Commissione ha dovuto decidere se c’era uno strumento legale per evitare questa speculazione che – badate bene – non è relativa soltanto a coloro che hanno fatto debiti in banca per sottoscrivere il prestito, ma riguarda anche chi ha venduto azioni (se io avevo un patrimonio di un miliardo e vendevo 500 milioni di azioni, guadagnavo 325 milioni di imposta, come colui che ha contratto un debito).

L’Assemblea si trova oggi a dover approvare una disposizione che stronchi a posteriori il movimento speculativo di allora che era legalmente consentito dalle condizioni di emissione del prestito.

FABBRI. Bravo!

LA MALFA, Relatore. Noi, se mai, dobbiamo fissare la responsabilità governativa per avere reso possibile il fatto. Ma non possiamo distruggere un fatto legalmente consentito.

BERTONE. Chiedo di parlare, per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Debbo rispondere al collega, onorevole La Malfa; ed in verità non comprendo questo suo tono polemico, sia contro il Ministro del tesoro, che contro il Governo e contro coloro che hanno lanciato il prestito. Le osservazioni potevano farsi allora e si sono fatte in tutti i campi, da tutte le persone competenti, ed il Governo ha tenuto conto di tutto quello di cui si doveva tener conto.

Si dice: allora il Governo non ha detto che si potessero fare dei debiti per contrarre il prestito. Chi può mai pensare che il Governo dovesse dire una cosa simile? Il Governo lancia un prestito: chi vuole sottoscriverlo, lo sottoscrive nel modo che egli crede, vendendo, utilizzando i suoi risparmi, contraendo debiti. (Approvazioni). Questa non è cosa di cui si deve occupare il Governo. Ma ciò che mi meraviglia, soprattutto, è che io ho creduto di prendere le difese delle conclusioni a cui era giunta la Commissione; perciò non comprendo l’accento polemico del collega ed amico La Malfa. Ho fatto mio ciò che aveva concluso la Commissione. Non avevo proposto nessun emendamento in proposito. Quando ho sentito dire le parole della Commissione: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo» salvo la variante portata dall’onorevole Dugoni e dall’onorevole Scoccimarro, quando ho sentito il Governo dichiarare, per bocca del Ministro Pella, che accettava tutte le nuove formulazioni proposte dalla Commissione, mi sono eretto a difesa di una conclusione specifica adottata dalla Commissione ed accettata dal Governo. Adesso che io difendo la Commissione, la Commissione, in persona del suo Presidente, accusa me! (Commenti). La Commissione ha rinunciato al suo punto di vista, e può avere i suoi legittimi motivi per rinunciare, ma ciò non toglie che coloro i quali sostengono il punto di vista, in un primo tempo espresso dalla Commissione, abbiano anche ragione in questo loro atteggiamento.

Quindi, io credo che il Relatore ed il Governo non dovrebbero essere malcontenti che vi sia qualcuno nell’Assemblea che difende ciò che esse hanno studiato, elaborato e deciso. Se, in un successivo momento, possono aver mutato opinione, la discussione è sempre preziosa ed utile in questo campo.

Ripeto che sostenendo ciò che ho sostenuto ho creduto di far mio il voto e la decisione cui era pervenuta la Commissione. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

CONDORELLI. Ritengo che dovrebbe avere la precedenza l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei è proprio sulla linea che è già stata tracciata.

Mettendo in votazione l’emendamento soppressivo, si mette in votazione lo stesso testo. Se l’Assemblea respinge l’emendamento soppressivo, si intende approvato il testo.

Dovrò porre pertanto in votazione per divisione, l’emendamento Dugoni e Scoccimarro, che, nella sua prima parte, è del seguente tenore:

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro a nome del Gruppo della Democrazia cristiana che noi voteremo a favore del testo della Commissione.

DUGONI. Ma il testo della Commissione non c’è più!

BERTONE. Se la Commissione non mantiene il suo testo, lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ricordo all’Assemblea che la Commissione è tornata al testo governativo, rinunciando al suo emendamento, che viene ripreso nella prima parte dell’emendamento proposto dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

BERTONE. Preciso allora che il Gruppo della Democrazia cristiana voterà a favore della prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro e contro la seconda.

MARINARO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Dopo tutto quello che è stato detto in proposito, io mi limito a far presente all’Assemblea che la prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro è in pieno, assoluto ed inconcepibile contrasto con l’articolo 22, che l’Assemblea ha già approvato, il quale stabilisce che tutti i debiti a carico del contribuente – di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza – sono esclusi dalla tassazione. Pertanto voterò contro.

CANEVARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Dichiaro a nome del mio Gruppo che noi voteremo a favore della prima parte e contro la seconda parte dell’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.

(È approvata).

Si dovrà ora passare alla votazione sulla seconda parte dell’emendamento; «quando esso superi i 50 milioni».

DUGONI. Ritiro la seconda parte dell’emendamento. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli altri emendamenti si intendono assorbiti. Segue il comma proposto dalla Commissione:

«Ai fini della disposizioni contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

Su questa seconda parte dell’articolo 27 sono stati presentati due emendamenti dagli onorevoli Condorelli ed altri.

CONDORELLI. Si possono intendere ritirati.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti il comma proposto dalla Commissione.

(È approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Bubbio, che il proponente ha così definitivamente formulato:

«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».

La Commissione ed il Governo dichiarano di accettare tale formulazione.

La pongo ai voti.

(È approvata).

L’articolo 27, dopo gli emendamenti approvati, si intende approvato nel seguente testo:

«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva.

«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero.

«I titoli del Prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».

Passiamo allora all’articolo 28.

Voci. Rinviamo a domani!

PRESIDENTE. Prego i colleghi di tener presente che, se sospendiamo il nostro lavoro, il disegno di legge non potrà essere approvato entro la settimana, perché saremo distratti da tanto altro lavoro.

PELLA, Ministro delle finanze. Non so se la proposta avrà successo. Cosa ne penserebbero la Presidenza e gli onorevoli colleghi, se si facesse per questa imposta qualche seduta serale? (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Micheli. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io credo che si possano anticipare le sedute di qualche ora, ma non fare sedute notturne. Bisogna tener presente che il giorno in cui si fa una seduta notturna non è possibile fare tre sedute consecutive.

Vi è poi un’altra ragione: bisogna tener presente il personale di segreteria che assiste alle sedute, gli stenografi, i resocontisti, il personale dell’Aula: come è possibile che tutta questa brava gente resista, salvo casi eccezionali, per tre sedute continuative?

Bisognerebbe attuare un turno e, come è noto, non abbiamo sufficiente personale per farlo. Noi soli, quando siamo stanchi di ascoltare o quando abbiamo fatto il nostro discorso o la nostra interruzione, usciamo fuori e ci possiamo riposare o distrarre.

Il Presidente comprenderà le altre ragioni che sconsigliano le sedute notturne, salvo casi straordinari, ed io più oltre non mi dilungo.

PRESIDENTE. Lei, dunque, è contrario, onorevole Micheli.

MICHELI. Senza dubbio.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze propone una seduta notturna alle ore 21, dopo la sospensione di un’ora?

PELLA, Ministro delle finanze. No, non per oggi.

PRESIDENTE. Ma l’andamento delle sedute future non dipende da una eventuale nostra decisione odierna. La proposta di una seduta notturna si porrà al momento opportuno.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desideravo riprendere la giusta proposta già fatta da altri colleghi di invitare la Commissione a convocare i presentatori di emendamenti, per portare qui un lavoro già finito od almeno abbozzato.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi ero permesso di presentare la proposta relativa alle sedute serali, non per suggerire all’Assemblea di tenere tre sedute al giorno, ma per tenerne ugualmente due. Accade infatti che la mattinata è spesso impegnata per il lavoro delle Commissioni e risulta anche molto utile per la Commissione di finanza ai fini dell’esame dei diversi emendamenti. Essa inoltre potrebbe anche servire alla persona che vi parla, perché francamente non si sa più come mandare avanti il lavoro ministeriale. Anche per questo, cioè per venire incontro alle necessità del Ministero, vi prego di impegnare il Ministro nelle ore serali.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la questione non è in discussione adesso, ma lo sarà nella prossima seduta. Aggiungo che si potrà rimanere d’accordo, come è stato già fatto presente, perché la Commissione si convochi, insieme con il Ministro e con i presentatori di emendamenti, per presentarsi alla prossima seduta con un testo già stabilito.

Passiamo dunque all’esame dell’articolo 28.

Ricordo che la Commissione ha proposto la soppressione dell’articolo 28 del progetto ministeriale, così formulato:

«Dal patrimonio netto è ammesso in detrazione l’importo di un ventesimo per ogni figlio, con il massimo di lire 300.000. Per i figli premorti, la detrazione è ammessa a condizione che esistano eredi chiamati a succedere per rappresentanza».

Non essendovi osservazioni, la soppressione si intende approvata.

Si passa all’articolo successivo, che, nel testo della Commissione, diviene il 28. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono soggetti all’imposta i contribuenti il cui patrimonio imponibile, al lordo della detrazione stabilita nel comma successivo, raggiunga il valore di lire 3.000.000.

«Dal patrimonio imponibile si detrae la somma di lire 2.000.000.

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa un’ulteriore detrazione pari a un ventesimo, con un massimo di lire 250.000 per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni. La detrazione stessa non sì applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire.

«L’ammontare della detrazione è calcolato sul patrimonio di ciascun figlio ai fini dell’imposta straordinaria».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Vi sono innanzi tutto i tre seguenti:

«Al primo comma, alle parole: valore di lire 3.000.000, sostituire le altre: valore di lire 5.000.000».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.

«Al secondo comma, alle parole: si detrae la somma di lire 2.000.000, sostituire le altre: si detrae la somma di lire 3.000.000».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.

«Aggiungere in fine le parole seguenti: Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico le aliquote suddette vengono ridotte alla metà».

Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli contemporaneamente.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, ho presentato, insieme con altri colleghi, tre emendamenti all’articolo 28 e vorrei in breve svolgerli contemporaneamente, anche perché il primo e il secondo si integrano a vicenda.

Gli emendamenti in oggetto si chiariscono e si raccomandano da se stessi; ragion per cui avrò bisogno di brevi osservazioni per illustrarli. Con il primo si propone che il minimo imponibile fissato dal progetto e accettato dalla Commissione, in lire 3 milioni, sia elevato a 5 milioni.

Noi parliamo di milioni; e, adoperando questa locuzione, crediamo immediatamente, con la memoria al passato, di alludere a cifre, a sostanze vistose. Ma dobbiamo purtroppo un po’ smobilitare la nostra mente e soprattutto confinare in soffitta il ricordo di ciò che i milioni valevano in passato. Riconoscere, come la legge fa, un minimo imponibile di soli tre milioni, significa colpire in maniera drastica e crudele la piccola proprietà, la piccola proprietà immobiliare; con conseguenze particolarmente gravi nel Mezzogiorno, dove vi sono zone nelle quali la proprietà immobiliare risulta letteralmente polverizzata; la piccola proprietà che costituisce la garanzia e tutto il fine della vita di tanti impiegati, operai, coltivatori diretti, dei rappresentanti, in genere, di quel ceto medio, di cui sempre si tesse l’elogio, ma che poi, viceversa, con questa legge si tenderebbe a colpire. Tre milioni, oggi, pur tenendosi presente un coefficiente molto relativo, corrispondono, sì e no, ad un centinaio di migliaia di lire anteguerra; forse anche a qualche cosa di meno, e di notevolmente meno. Si tratta, quindi, in sostanza, della casetta, del piccolo appartamento, molte volte comperato con danaro prebellico o con danaro avente altro valore, stentatamente, anno per anno, da soggetti che non dispongono di liquido, di altre risorse, e che oggi, vedendosi colpita la casa, o dovrebbero venderla, dandola in pasto ai borsa-neristi o a coloro che comunque con la speculazione hanno profittato delle contingenze eccezionali nelle quali abbiamo vissuto, oppure dovrebbero ricomprarsela con nuovi e drammatici sacrifici.

È doveroso, quindi, elevare questo minimo imponibile. Si tratta, ripeto, mantenendosi nei limiti dei tre milioni, del podere, del fondicello del coltivatore diretto, il quale ugualmente, come l’impiegato, come il risparmiatore che avesse comperato la sua casa, il suo appartamento, si troverebbe di fronte al tragico bivio o di vendere o di trovare, attraverso lo strozzinaggio, il modo come ricomprarsi il fondo, pagando somme molto elevate, ciò che egli ha invece pagato col sudore della sua. fronte, attraverso un lungo sacrificio di anni.

Il secondo emendamento è la conseguenza del primo. Elevandosi il minimo imponibile, è giusto che si elevi ugualmente la misura della detrazione consentita dalla legge.

L’ultimo emendamento: «Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico, le aliquote suddette vengono ridotte alla metà», costituisce esattamente l’applicazione del principio che è stato fissato e approvato con l’ultima parte dell’articolo 10 della legge, articolo che abbiamo precedentemente discusso. Il principio fissato con l’ultima parte del richiamato articolo 10 è che bisognerà procedere, in sede di valutazione degli immobili urbani, ad una discriminazione fra immobili urbani soggetti a regime vincolistico e immobili urbani non soggetti a regime vincolistico.

Ora sembra a me che aver fissato questo principio sia men che nulla, se poi non lo concretiamo con un precetto preciso il quale valga a chiarire ed a mettere in sicura efficienza la bontà del principio stesso.

Che cosa significa discriminazione? Significa lasciare agli organi del fisco la possibilità di valutare ad libitum la differenza, e quindi diversamente, ma non in modo specifico, l’immobile soggetto a regime vincolistico.

Il nostro emendamento precisa che per il patrimonio in prevalenza costituito da immobili soggetti al regime vincolistico la discriminazione debba attuarsi nel senso che le aliquote relative a quei patrimoni debbono essere ridotte alla metà. Ciò è doveroso e giusto ed io confido che l’Assemblea, dandosene conto, lo disponga.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo camma, alle parole: il valore di lire 3.000.000, sostituire le parole: il valore di lire 5.000.000».

L’onorevole Rescigno non è presente, si intende quindi che abbia rinunciato a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. È esattamente quello che ho svolto io.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire al primo comma la cifra: 3.000.000, con la cifra: 5.000.000, ed al secondo comma la cifra: 2.000.000, con la cifra: 3.000.000».

L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BOSCO LUCARELLI. L’emendamento mio è identico a quello svolto dall’onorevole Perrone Capano: si propone la difesa della piccola e della media proprietà; ed anche l’aumento della cifra di detrazione del patrimonio imponibile mira alla difesa della piccola proprietà perché un milione in meno o in più non influisce molto su un grande patrimonio, ma su un piccolo patrimonio influisce moltissimo.

Dichiaro in ogni caso di parlare a nome mio personale.

PRESIDENTE. L’onorevole Paris ha presentato, insieme con gli onorevoli Piemonte, Preziosi, Tonello, Ghislandi, Corsi, Gullo Rocco, Segala, Preti, Grilli, Caporali, Canevari e Bocconi, il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo e. quarto comma con i seguenti:

«Dal cumulo dei cespiti che costituiscono un patrimonio familiare, al netto ciascuno della detrazione fissa di 2.000.000, è ammessa una ulteriore detrazione pari a un ventesimo per ogni congiunto dei contribuenti fino al secondo grado in linea diretta ascendente, discendente e laterale, purché alla data del 28 marzo 1947 convivessero con la famiglia e per coloro che alla stessa data avevano compiuto i 21 anni e prestassero inoltre la loro opera nella gestione del patrimonio. La detrazione non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione dei 2.000.000, superi gli 8.000.000.

«L’ammontare della detrazione è suddiviso proporzionalmente tra i patrimoni dei singoli contribuenti».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PARIS. È naturale che, dopo approvato l’articolo 10, non si concepisce più quest’imposta patrimoniale pura, perché nell’articolo 10 si tien conto, per la tassazione dei fabbricati, di quelli soggetti a regime vincolistico e di quelli non soggetti a tale regime. Del resto, per l’articolo 7, le collezioni artistiche sono esentate perché non danno nessun reddito.

Quindi l’imposta sul patrimonio è connessa con la capacità redditizia di questo patrimonio.

Vi sono ancora in Italia – ed in modo particolare in Alto Adige – delle famiglie patriarcali. Vige colà ancora la legge del «maso» chiuso, che è un patrimonio concepito come una unità inscindibile. Ma su questo patrimonio, anzi, del suo reddito, vivono insieme due, tre, quattro famiglie. Ora nella economia generale, o meglio nel processo dell’eredità, questi «masi» verrebbero suddivisi e quindi non sarebbero soggetti all’imposta sul patrimonio.

Però siccome il reddito è limitato e molti sono gli elementi che costituiscono le famiglie che vivono di questo reddito, è giusto tenerne il debito conto. Non è soltanto il figlio maggiore che eredita, in caso di morte del padre, ma anche i fratelli vivono di quel reddito: ecco perché ho esteso l’esenzione anche ai congiunti laterali.

Oltre che in Alto Adige, anche nelle altre parti d’Italia vi sono famiglie di artigiani e di contadini i quali lavorano insieme e gestiscono tutti insieme il patrimonio. Questo è il concetto che mi ha indotto a presentare l’emendamento. Non è giusto che un patrimonio che dia un determinato reddito sia tassato come un altro, se il reddito del primo è goduto soltanto da una o due persone, mentre nel secondo caso può trattarsi anche di una quindicina di persone.

Il testo della Commissione prevede l’esenzione, ma soltanto per i figli. Ora siccome questi patrimoni formano una unità inscindibile perché non è possibile, specie nei paesi di vallate lontane da centri industriali, dove i figli non possono andare a lavorare, dividere il patrimonio, e solo così i patrimoni si sono mantenuti saldi, io credo che essi, attraverso questa legge, debbano essere favoriti perché su quei patrimoni vivono famiglie numerose. Si tratta, dunque, anche di una misura di giustizia fiscale, anche di un provvedimento che mira a favorire, ad alleggerire dall’imposta queste famiglie numerose.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Per stabilire l’equità o meno del punto di partenza della progressiva, secondo me bisogna guardare innanzi tutto all’imposta patrimoniale proporzionale.

L’imposta proporzionale parte col 4 per cento, prendendo a base un minimo imponibile di lire 100.000. Cioè, colui che possiede più di 100 mila lire paga il 4 per cento.

Ora, se vogliamo stabilire, direi, una curva di equità di questa imposta, dobbiamo avere come punto di partenza il 4 per cento. E come vedete le considerazioni, da molti punti di vista fondate del collega Perrone Capano, perdono di importanza. Se il possessore di un patrimonio minimo di 100 mila-150 mila lire paga il 4 per cento, non c’è nessuna ragione che il possessore di un patrimonio di 3 milioni paghi meno del 6 per cento. Perché? Perché se voi calcolate che c’è un abbattimento alla base di due milioni, la progressiva al 6 per cento su un patrimonio di tre milioni sopporta un peso del 2 per cento; più 4 di proporzionale. Chi possiede 3 milioni paga il 6 per cento.

Avete questo andamento dell’imposta. Da 100 mila lire fino a 3 milioni, il 4 per cento; da 3 milioni, il 6 per cento. Quando si discusse, in sede di Commissione, dei rapporti fra le due imposte, io vi confesso che proponevo l’abbassamento di 3 milioni, parendomi più equo. Se io parto dal 4 per cento per i piccolissimi patrimoni non devo aspettare i 3 milioni per arrivare al 6 per cento. Mi pareva perciò che dovessimo andare più in giù dei 3 milioni: e ciò dal punto di vista della giustizia fiscale. Ma c’è un’altra ragione: i tre milioni in Italia si considerano patrimonio irrisorio. Io dico che in Italia, invece, 3 milioni rappresentano, anche con la moneta svalutata, un discreto patrimonio.

PALLASTRELLI. Neanche mezzo ettaro di terreno!

LA MALFA, Relatore. Prego il collega Pallastrelli di dirmi cosa rappresentano 100 mila lire tassate col 4 per cento.

PALLASTRELLI. Le dico una cosa soltanto: che in questo modo, mentre volete difendere la piccola proprietà, la distruggete.

Una voce. Benissimo!

LA MALFA, Relatore. Allora io capirei che la proposta fosse questa: esentare dall’imposta tutti patrimoni fino a 3 milioni. Ma è illogico che io mantenga la proporzionale del 4 per cento fino a 3 milioni. (Interruzioni – Commenti).

Questa storia della piccola proprietà conviene a tutti. Prego di mettersi dal punto di vista non soltanto della piccola proprietà, ma anche delle necessità dello Stato. (Interruzioni – Commenti).

BOSCO LUCARELLI. Lo Stato rimette 20 miliardi all’anno su l’I.R.I.!

LA MALFA, Relatore. Quindi dico che è sembrato più equo a me ed alla Commissione mettere in relazione le due imposte: del 6 per cento su 3 milioni rispetto al 4 per cento al di sotto dei 3 milioni. Non credo che i colleghi che discuteranno la proporzionale vorranno discuterla fino a distruggerla. Ma c’è un’altra ragione ed è questa: noi possiamo applicare un concetto di giustizia tributaria e tassare fortemente i grossi patrimoni, come la Commissione ha fatto alzando le aliquote del Governo e portandole per i grossi patrimoni, fino al 60 per cento. Però è mio dovere dichiarare che la massa del gettito dell’imposta è data in Italia dai piccoli e medi patrimoni. Non esiste nessuna imposta in Italia che non si percepisca sui piccoli e medi redditi. (Commenti). Se voi, onorevoli colleghi, volete percepire le imposte tassando i grossi patrimoni, non avrete un sistema fiscale degno di questo nome, ma un aborto. L’economia italiana è fondata sulla piccola e media proprietà e questa proprietà deve contribuire a pagare le imposte. Se volete applicare una giusta legge fiscale, dovete tassare fortemente i grossi patrimoni, ma non potete esentare i piccoli e medi patrimoni senza annullare il significato tributario di qualsiasi legge.

C’è un’altra ragione ed è data dalla precedente legge del 1920-22, la quale tassava col 4 per cento i patrimoni a partire da 50 mila lire e 50 mila lire di allora sono il 60° dei 3 milioni attuali. Ora, io non credo che la svalutazione monetaria dal 1920-22 sia tale che noi dobbiamo applicare un coefficiente di 60, cioè che per trovare la corrispondenza fra la tassazione del 1920-22 e quella attuale possiamo moltiplicare per 60.

Ritengo, cioè, che questo coefficiente di tassazione sia molto alto. Ecco perché propendevo per l’abbassamento del minimo imponibile dal punto di vista del gettito fiscale. L’imposta del 1920-22 dava il minimo imponibile vicino a 50 mila e non vicino ai grossi patrimoni.

Questo è detto chiaramente nella relazione. La massima parte del gettito dell’imposta del 1920-22 fu data dai piccoli e medi patrimoni, vicini al minimo imponibile. Man mano che alziamo il minimo imponibile annulliamo l’imposta. Possiamo prendere tutto quello che volete ai miliardari, ma senza la tassazione sulla diffusa proprietà annulliamo l’imposta.

Ora, onorevoli colleghi, qui bisogna una buona volta che noi ci decidiamo. Vogliamo una patrimoniale che tassi i contribuenti al fine della difesa della lira? Sì, o no? Se vogliamo che il contribuente sia tassato ai fini della difesa della lira, bisogna che grossi, grandi, piccoli e medi proprietari facciano sacrifici tributari. Se noi non vogliamo questo, allora cancelliamo l’imposta patrimoniale.

Chiedo ai colleghi: con quali provvedimenti essi intendono risanare la moneta?

CRISPO. Non creando una massa di straccioni e di pezzenti!

LA MALFA, Relatore. Trovo che nessun collega abbia risposto al mio quesito. Sento commenti, ma nessuna risposta.

Quando gli onorevoli colleghi e la stampa criticano il controllo del credito, dicono che la patrimoniale tartassa i piccoli e medi, io dico: un Governo che vuol difendere la lira che cosa deve fare?

Ora, guardate, se voi alzate il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, quasi certamente la metà dell’imposta salta. Siccome la Commissione di finanza non può prescindere dal punto di vista fiscale e dal punto di vista antinflazionistico del provvedimento, non può assumersi la responsabilità di esentare la massa dei patrimoni che costituiscono ancora la ricchezza italiana. Ripeto: se andate in campagna voi non mi potete dire che il patrimonio di tre milioni sia per gli italiani una inezia. C’è in Italia una massa di gente che non ha né uno, né due, né tre milioni di patrimonio. Per questa ragione la Commissione respinge tutti gli emendamenti che spostano la base dell’imponibile dell’imposta.

PRESIDENTE. C’è ancora un ultimo emendamento degli onorevoli Crispo, Perrone Capano ed altri, sul quale prego il Relatore di dire il suo pensiero.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda il regime vincolistico, la Commissione ha tenuto presente la situazione dei fabbricati in tema di valutazione. Facendo una concessione in quella sede, la Commissione non può farla in sede di aliquota. Si farebbero due concessioni ai proprietari di fabbricati a regime vincolistico: si abbasserebbe una volta la valutazione ed un’altra l’aliquota. È molto più ragionevole che si tenga conto del regime vincolistico in sede di valutazione e che le aliquote si applichino come per tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Stampacchia. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Il discorso dell’onorevole La Malfa mi dà la sensazione che egli si sia affezionato assai alla posizione di Presidente di questa Commissione fiscale. Egli invero molto candidamente ha confessato che in Italia questa imposta sarà pagata dalle piccole e medie proprietà e non dalle maggiori. (Commenti – Proteste al centro).

Spiego: egli ha detto che, in fondo, i grandi patrimoni – dato il limitato loro numero – non potrebbero fronteggiare le necessità per cui l’imposta viene creata, onde dovranno le proprietà piccole e medie, assai numerose, far fronte a tali necessità. (Rumori).

L’onorevole La Malfa ha ricordato, ad avvalorare la sua tesi, che ciò si verificò pure con la legge del 1922. In proposito, è da osservare che la legge del 1922 sorgeva e si realizzava in condizioni molto diverse dalle presenti.

Infatti l’onorevole La Malfa, e naturalmente la Commissione, solidale col Presidente, dimentica che l’imposta di cui discutiamo faceva parte di un complesso di altri provvedimenti fiscali – ora abbandonati – coi quali si doveva raggiungere il risanamento economico del paese. Fu avulsa da quel complesso, per cui è a codesta imposta patrimoniale che oggi si affida essenzialmente il compito di quel risanamento. E la legge vien presentata ora in termini e clausole di tal natura che si finisce per colpire soprattutto il Mezzogiorno, ove la piccola e media proprietà è diffusissima. (Commenti).

Questa è la verità, se pur dispiaccia sentirla. Ciò si verifica, strano a dirsi, nel momento in cui tutti – uomini e partiti – si dichiarano paladini della piccola e media proprietà e tutti svisceratamente amici del Mezzogiorno, di cui vogliono sollevare le sorti. Fondamento adunque di giustizia ha l’emendamento che vuol portare da tre a cinque milioni il valore dei patrimoni soggetti ad imposta, e da due a tre milioni la detrazione, non tassabile, da farsi su detti patrimoni.

Ai valori attuali, ben minuscolo patrimonio deve considerarsi quello che raggiunga soltanto tre milioni di lire. Un collega, che ha interrotto poco fa il precedente oratore, ha detto che i tre milioni rappresentano mezzo ettaro di terreno. Io non so se ciò sia esatto: so però che da noi, nel Salento, con tre milioni di lire non molto al di là di quanto ha precisato il collega può andarsi. Non è dunque ammissibile che si possa colpire tanto duramente la piccola proprietà inferendo ancora al Mezzogiorno una nuova atroce tortura nel tempo stesso in cui i valori mobiliari, di cui abbonda il Settentrione, godono ogni favore. A tal riguardo voglio ricordare che vi è un emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, col quale si vuole che le società in collettiva vengano esonerate dall’imposta sino al valore di cinque milioni. Dal Governo…

PRESIDENTE. Tale emendamento non è stato presentato su questo articolo.

STAMPACCHIA. Dal Governo, dicevo – e l’onorevole Lombardi me lo ricorda in questo momento – è stato fatto osservare che le predette società, per la legislazione in vigore, sono esonerate del tutto onde quello del progetto in discussione costituirebbe un tentativo di farle rientrare nella legge comune, per cui si è stati costretti ad adottare nei loro confronti, nella legge in discussione, un criterio indulgente di tassazione. Questo non persuade. Per quanto attiene al prestito – di cui si è discusso discutendo il precedente articolo – si è poi creduto giustamente, di poter fare qualche innovazione a quanto annunziato al momento dell’emissione, però scalfendo in misura assai modesta l’esonero dalla tassazione.

PELLA, Ministro delle finanze. Integralmente esente: qui il Governo è irriducibile.

STAMPACCHIA. Ora – checché dica il Ministro – quando si ammette la possibilità giuridica di tassare le società predette, non si comprende poi l’indulgenza nel colpirle, o si capisce anche troppo, essendo ormai chiaro come verso i beni e patrimoni mobiliari il legislatore è di una inverosimile benignità. E invece si colpisce senza pietà alcuna il piccolo e medio proprietario di beni immobili: il proprietario della casetta o del piccolo podere. Anche questa volta il Mezzogiorno deve accollarsi gran parte delle nuove gravezze fiscali; ad essere giusti però, non soltanto il piccolo e medio proprietario del Mezzogiorno, ma in genere la piccola e media proprietà di ogni regione d’Italia. Da Bologna, dalla Confederazione lavoratori della terra, viene infatti rivolto al Gruppo parlamentare del Partito socialista italiano un appello, di cui sono autorizzato a farmi eco. In esso, per quanto attiene all’Emilia, non sono diverse le doglianze di cui ho detto innanzi in rapporto alle condizioni della piccola e media proprietà delle province meridionali. Egli è perciò che non soltanto per mio conto personale, ma pure di compagni meridionali e non meridionali, dichiaro di votare per l’emendamento proposto.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Farò brevemente osservare, a proposito dell’emendamento che tende a portare il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, che un patrimonio il quale sia costituito da beni immobili e raggiunga il valore di tre milioni, secondo la legge e secondo gli emendamenti proposti dalla Commissione, paga 60.000 lire rateate in 6 anni. Ora la piccola proprietà, per quanto piccola essa sia, può, a nostro giudizio, sopportare un carico che è stato ridotto al minimo possibile ed è stato rateato in modo da facilitare il pagamento per quei piccoli patrimoni che sono meno liquidi e che si trovano quindi in maggior difficoltà. (Approvazioni a sinistra). Faccio osservare che l’argomento portato dal Presidente della Commissione, circa la necessità di correlazione tra l’imposta patrimoniale progressiva e l’imposta patrimoniale proporzionale ha un leggero difetto, che è stato rilevato dall’onorevole Perrone Capano: noi non abbiamo ancora approvato la parte della legge riguardante l’imposta proporzionale e vi sono forti pressioni da parte dell’opinione pubblica, perché venga modificato il sistema dell’imposta proporzionale.

Ora, a nostro giudizio, l’imposta patrimoniale che colpisce i piccoli patrimoni di 100 mila lire, e che li colpisce con una imposta del 4 per cento, da pagarsi in 10 bimestralità, è vero che è una imposta che deve essere riveduta proprio per salvaguardare la piccola proprietà, la quale, onorevoli colleghi, sarà salvaguardata soprattutto se noi salveremo la lira.

Questo è il concetto dal quale dobbiamo partire. Per salvare la lira noi dobbiamo fare due cose: permettere che le imposte siano pagate con regolarità (e quindi non mettere imposte eccessive), e nello stesso tempo pesare, in modo più efficace, sui grandi patrimoni. Questo ci siamo promessi di fare con la legge che abbiamo sottoposto alla vostra approvazione. Noi chiediamo però di rendere alla piccola proprietà, in questo momento, la vita più facile. Manterremo questo nostro proposito, modificando e votando a favore di modifiche dell’imposta proporzionale. Per l’imposta progressiva noi crediamo che essa debba essere votata nelle grandi linee, come risulta dal testo della Commissione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero fare una breve dichiarazione che potrà servire anche a scopo di chiarimento. Così come è nelle sue due parti, quella progressiva e quella proporzionale, la legge è nel suo complesso eccessivamente gravosa per le piccole proprietà. Però, il punto dove essa deve essere corretta non è questo, ma quello che riguarda l’imposta proporzionale. In quell’occasione presenterò un emendamento per mitigare il peso che graverebbe sulla piccola proprietà.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Rappresento la voce di tanti piccoli proprietari del Veneto, e vi so dire che l’imposta che voi imponete ai piccoli proprietari non è logica. Vi è gente che possiede due o tre campi e che è costretta, per poter vivere, ad andare a lavorare perché altrimenti il pane non basta per tutte le bocche della famiglia. Questa povera gente ha uno strumento meschino. Da noi, con tre milioni non si acquistano nemmeno due ettari di terreno. (Commenti). Non dovete perseguitare questa povera gente, perché non avrà la possibilità di pagare.

Io esprimo l’avviso che si debba tassare il meno possibile e che si tenga conto delle condizioni in cui vive questa gente. Ci sono dei padri che, morendo, hanno lasciato eredità indivise.

Orbene, costoro vivono in queste piccole comunità familiari e perciò figura che vi sia un solo titolare, mentre in realtà sono tre o quattro famiglie che vivono unite. Voi dovete tenere conto di questo perché altrimenti andrete ad affamare di più la povera gente.

Noi vediamo che anche questa gente, che pure possiede qualche cosa, vive di stenti e di fame, specie in quelle zone dove il raccolto è scarso, dove non basta il pane e dove si deve andare a cercare altri lavori supplementari per tirare avanti l’azienda agricola. Come possono pagare questi disgraziati?

È un problema che va quindi meditato.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Vorrei fare osservare che i due argomenti addotti dal Relatore sono privi di consistenza. Il primo si riferisce a quanto è stato stabilito in ordine all’imposta proporzionale; ma l’imposta proporzionale è regolata dagli ultimi articoli della legge che stiamo esaminando e di conseguenza non è stata ancora oggetto della nostra convalida o meno.

Ci riserbiamo in quella sede di dimostrare come gli argomenti addotti dall’onorevole La Malfa non siano accoglibili, giacché anche la proporzionale deve essere riveduta in relazione alle condizioni della piccola proprietà. Quando poi l’onorevole La Malfa ha detto che tutte le imposte patrimoniali in Italia sono state in molta parte fronteggiate e pagate dalle piccole sostanze, dalla piccola proprietà, ha finito per porre il dito su quella piaga che si sta ormai da tempo mettendo a nudo sulla stampa e nelle libere discussioni che riguardano l’imposta patrimoniale. Ha messo in rilievo – in sostanza – la crudeltà e l’ingiustizia profonda di questo balzello, il quale dovrebbe essere pagato – secondo quanto dice il Presidente della Commissione – dalla piccola proprietà, cioè dai coltivatori diretti e dai proprietari delle case normalmente abitate dalla famiglia del proprietario, stroncando, insomma, il ceto medio. Così dicendo l’onorevole La Malfa ha parlato per noi, non contro di noi.

LA MALFA, Relatore. Non ho detto questo. E troppo facile rispondere così!

PERRONE CAPANO. Lei ha detto che queste imposte sono, in generale, pagate dalla piccola proprietà, non che non sono pagate anche dalle grandi proprietà; questo non lo poteva dire. Ma lei ha detto che la massima parte dei patrimoni soggetti all’imposta sono i piccoli patrimoni…

SCOCA. E questa è la verità!

DUGONI. Lei vuole cambiare le statistiche, onorevole Perrone Capano? (Commenti).

PERRONE CAPANO. Io, infatti, riconosco esatto il rilievo del Presidente della Commissione; ma dico che, in quel rilievo, è esattamente la dimostrazione della bontà del nostro assunto. Non si può far pagare la rivalutazione della lira dai piccoli patrimoni, dai coltivatori diretti, da coloro che hanno tanto poco quanto basta per la vita quotidiana. Di conseguenza, mi pare che sia profondamente giusto operare questa modificazione del minimo imponibile, a tutela dei diritti della piccola proprietà ed elevare in favore di tutti la misura della detrazione automatica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Ho chiesto di parlare, perché redattore dei due emendamenti che hanno dato luogo alla discussione attuale, sono più di ogni altro in grado di chiarirne lo spirito e il concetto.

Consentitemi, intanto, una dichiarazione personale. Io sono contro questa legge, perché ritengo che essa costituisca un mal congegnato sistema di norme, inteso a perturbare profondamente l’economia del Paese, senza che possa avere alcuna influenza sul processo di risanamento della lira, del quale tanto si va parlando in quest’aula.

Mi riservo di sviluppare questo concetto quando saremo chiamati a dare il voto per la convalida, della quale, per altro, non riesco a rendermi conto, perché una delle due: o il decreto fu emesso nell’ambito della potestà legislativa delegata al Governo e non c’è bisogno dell’intervento dell’Assemblea, o il Governo ritenne che la materia fosse tecnicamente e politicamente così importante da essere demandata alla deliberazione dell’Assemblea, tanto da richiedere la discussione delle Commissioni, ed in tal caso avremmo noi dovuto deliberare e non essere chiamati ad approvare il fatto compiuto.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, parli sull’emendamento.

CRISPO. Il concetto dell’emendamento è questo: aumentare il minimo imponibile a 5 milioni significa impedire che un patrimonio di 3 milioni sia gravato, nello stesso tempo, e dell’imposta patrimoniale straordinaria e dell’imposta progressiva; aggravio tanto più notevole per la proprietà edilizia, soggetta a regime vincolistico, in quanto essa fu già assoggettata al prezzo politico della casa, pagando così già un’imposta del 16 per cento. Ed è davvero odioso che a danno del Mezzogiorno d’Italia, cui si levano sempre inni in quest’Aula, oggi ci si irrigidisca e si voglia colpire, soprattutto, la piccola proprietà. (Applausi – Commenti).

Per questa ragione sostengo il mio emendamento.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Ho presentato anche io un emendamento in questo senso; ma, se un termine medio potesse rappresentare l’avvicinamento delle due tesi, proporrei di stabilire il limite dei patrimoni non tassabili a 4 milioni, nella speranza che questa mia proposta possa trovare consenzienti anche i presentatori dell’altro emendamento.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Parlo a titolo personale per dichiarazione di voto; ma, se ne avessi l’autorità, vorrei richiamare l’Assemblea a un senso di responsabilità cui già l’hanno richiamata altri oratori di vari partiti. Se noi non vogliamo rendere impossibile la vita dello Stato, badiamo bene a quello che facciamo. (Approvazioni).

L’onorevole Pallastrelli, quando ha detto che tre milioni rappresentano il valore di mezzo ettaro, ha detto una cosa assolutamente contraria alla verità: io sono della Lombardia, dove i terreni sono fertili, e posso assicurarvi che in Lombardia, dove i terreni hanno un valore molto elevato, con tre milioni non si compera mezzo ettaro, ma si comperano sei o sette ettari. (Approvazioni – Commenti). Questa è la verità.

All’altra osservazione dell’onorevole Perrone Capano, quella cioè secondo cui la massima parte delle imposte sono pagate dalla piccola e dalla media proprietà, rispondo che ciò non dipende dal fiscalismo, ma dalla costituzione del patrimonio nazionale. Se noi andiamo all’assurdo, onorevole Perrone Capano, in un Paese in cui tutta la proprietà fosse piccola o media, nessuno dovrebbe pagare.

Quanto poi alla preoccupazione dell’onorevole Tonello circa la questione dei patrimoni indivisi, mi permetto di ricordarvi che la questione è regolata dall’articolo 4 della legge. La tassazione avviene dunque a norma del Codice civile e nel caso da lui fatto, del patrimonio lasciato da un padre di dieci figli, i figli pagano per un decimo del patrimonio, anche se non formalmente diviso.

Per queste considerazioni io, personalmente, dichiaro di votare contro l’emendamento.

PRESIDENTE. Dovrei ora invitare il rappresentante del Governo a pronunciarsi su questa questione. Faccio però osservare all’onorevole Ministro e all’Assemblea che c’è una richiesta di appello nominale. (Commenti).

DUGONI. È giusto: bisogna che ciascuno assuma le proprie responsabilità. (Rumori).

PRESIDENTE. Ora, se procediamo alla votazione per appello nominale, difficilmente si raggiungerà il numero legale. Propongo pertanto che le dichiarazioni dell’onorevole Ministro e la votazione siano rinviate alla prossima seduta.

(Così rimane stabilito).

Presentazione di una relazione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: «Norme sull’elettorato attivo e sulla revisione annuale delle liste elettorali».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della difesa, per sapere se risponde a verità che la base navale di Messina sarà trasferita prossimamente ad Augusta; e per conoscere se, nell’ipotesi affermativa, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno revocare tale provvedimento che accrescerebbe la disoccupazione nella città di Messina, già così duramente provata dalla guerra, giustificando tra l’altro gravi agitazioni, che già si preparano, suscettibili di turbare l’ordine pubblico.

«Martino Gaetano».

«Al Ministro della difesa, per conoscere se intende revocare i provvedimenti predisposti dallo Stato Maggiore della marina relativi al trasferimento della base navale di Messina ad Augusta.

«Fiore».

«Al Ministro degli affari esteri, per sapere se corrisponde a verità quanto è stato pubblicato dalla stampa brasiliana di San Paulo circa i bandi di vendita dei beni italiani congelati in Brasile e, in caso positivo, per conoscere quale è l’azione del Governo italiano a tutela dei nostri connazionali allarmati da dette notizie.

«Giacchèro».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che ritardano l’istituzione dell’ente coordinatore per i servizi dei danni di guerra (Alto Commissariato o Sottosegretariato), di cui alle ultime dichiarazioni del Governo, e per attuare ordine e disciplina giuridica in materia che riguarda milioni di famiglie, le quali è bene che sappiano quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da scartare.

«Caso, Bastianetto, Titomanlio Vittoria, De Maria, Riccio, Mazza, Lizier».

«Ai Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se, in considerazione della particolare crisi economica che attraversa il nostro Paese e per premiare le benemerenze di guerra e di pace contratte dai vigili del fuoco, non ritengano di rimandare il licenziamento di mille unità, per lo meno fino al 31 dicembre 1947, onde dare tempo di altrimenti occupare i licenziandi.

«L’interrogante, che si occupa del problema da circa otto mesi, auspica il proposto decentramento del servizio antincendio, specie nei capoluoghi di zone boschive, che ogni anno, per incendi spontanei, colposi o dolosi, sono sottoposte ad ingenti perdite proprio perché non vi è la tempestività dell’intervento del servizio contro gli incendi.

«L’interrogante, pur preoccupato dell’ingente onere finanziario per lo Stato, pensa che vi si possa far fronte con l’aumentare il contributo capitario dei comuni e delle società di assicurazione, per potenziare così un servizio civile e sociale che, in nome del progresso, si rende ogni giorno di più indilazionabile.

«Caso».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere le disposizioni che intenda impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo.

«Benedetti».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947.

«Canevari».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Alle interrogazioni che riguardano il Ministro delle finanze potrei rispondere anche subito. Per le altre interrogazioni interesserò i Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Insisto affinché la mia interrogazione sui giuochi d’azzardo venga posta in discussione prima della chiusura dei lavori parlamentari.

L’anno scorso, esattamente il 17 luglio, presentai la stessa interrogazione. Oggi mi trovo a ripeterla.

Prego il Presidente di raccomandare al Governo d’impegnarsi a rispondere su questo mio argomento che è gravissimo e coinvolge il senso di moralità che noi tutti dobbiamo sentire più che ogni altro. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Farò presente al Ministro dell’interno la sua richiesta.

Comunico inoltre che sono state presentate anche le seguenti interpellanze con richiesta di discussione urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali criteri il Governo segua per far cessare in Sicilia le violenze organizzate che si sono manifestate in questi ultimi tempi; e, in seguito agli ultimi risultati delle indagini per il delitto di Pian delle Ginestre, attentati alle sedi comuniste, al Mattino di Sicilia, caso Miraglia (che si desiderano conoscere), quali provvedimenti siano stati e saranno presi.

«Russo Perez».

«Al Ministro dell’interno, sullo stato dell’ordine pubblico in Sicilia.

«Mattarella».

Queste interpellanze saranno discusse, insieme con quella dell’onorevole Li Causi, anch’essa sulla situazione in Sicilia, nella seduta antimeridiana di domani.

Presentazione di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata alla Presidenza dell’Assemblea la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente,

considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte Regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica,

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia,

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto,

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta Regionale sarda presentato al Governo,

che, se si seguitasse il regolare andamento della discussione sulla Costituzione, l’Assemblea Costituente non potrebbe esaminare lo Statuto sardo neppure in settembre, per cui le elezioni regionali in Sardegna non potrebbero aver luogo entro l’anno, mettendo così l’isola in uno stato ingiusto di disparità rispetto alla Sicilia,

delibera:

che per lo Statuto sardo sia adottata la stessa procedura usata per lo Statuto siciliano; e pertanto l’Assemblea Costituente autorizza il Governo all’approvazione immediata dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, sì da rendere possibile in Sardegna la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno, riservandosi, come per lo Statuto siciliano, per la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente il diritto di un maggiore esame per coordinare lo Statuto con la nuova Costituzione della Repubblica.

«Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni, Binni, Fiorentino Giosuè, Schiavetti, Tosato, Fuschini».

Ha chiesto di parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ritengo che si potrà parlare di questa mozione domani mattina, quando sarà presente il Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Domani si terranno due sedute; alle 10, per lo svolgimento di interpellanze ed il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale, ed alle 17 per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

Ne ha facoltà.

PELLA, Ministra delle finanze. Forse è necessario che domani il Governo si riunisca con la Commissione, perché la discussione di oggi sull’imposta patrimoniale ha dimostrato l’utilità di una migliore intesa.

PRESIDENTE. Credo che si possa venire ad una transazione: durante lo svolgimento delle interpellanze, la Commissione si riunirà con il Governo, in modo che si possa essere pronti poi per il seguito della discussione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali urgenti provvedimenti intenda adottare in favore delle migliaia di connazionali civili e militari e delle loro famiglie, reduci dalla prigionia e dai campi di internamento, che da mesi in Eritrea attendono l’aiuto del Governo per rimpatriare in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se sarà provveduto, per il prossimo inverno, da parte dello Stato ad una adeguata assegnazione di carbone o di altro combustibile per il riscaldamento delle aule scolastiche e se non si ritenga opportuno anticipare a settembre l’inizio delle lezioni onde potere nei mesi più freddi (dicembre-gennaio) sospendere le lezioni senza danno per lo svolgimento dei programmi scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi degli ufficiali dell’esercito che ottennero, durante la ultima guerra, proposte di promozione per merito di guerra approvate dal Ministero, alle quali non seguì il decreto di promozione soltanto perché tali ufficiali vennero fatti nel frattempo prigionieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non voglia provvedere, affinché tutti i direttori di conservatori musicali (tanto di prima quanto di seconda classe) possano fruire della stessa carriera, grado gerarchico e stipendio dei professori universitari, cioè dal grado sesto al grado quarto:

«È noto che i direttori di conservatori musicali sono nominati per chiara fama, mentre ciò raramente avviene per i professori universitari; inoltre l’attività artistica dei direttori di conservatori ha sempre risonanza internazionale, mentre (pur senza sminuire l’attività culturale e scientifica dei docenti universitari) non sempre ciò si verifica per i professori citati.

«L’interrogante ritiene che, pur mantenendo la distinzione tra conservatori di prima e di seconda classe, sia logico e necessario che il Ministero provveda con sollecitudine in merito a quanto esposto, che graverà sul bilancio per un maggiore onere che s’aggirerà sulle cinquecentomila lire annue.

«L’interrogante è certo che l’onorevole Ministro troverà ingiusto e soprattutto non pari alla risonanza, che un direttore di conservatorio sia equiparato come grado e stipendio a un preside di liceo o d’istituto (grado sesto per i conservatori di seconda classe) o un provveditore agli studi o ispettore di prima categoria (grado quinto per i conservatori di prima classe. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chiaramello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali non ancora è stata estesa ai privati la legge 4 dicembre 1946, n. 671 (relativa alla sospensione del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici nei riguardi dei comuni, provincie, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti ecclesiastici beneficiarî) per la evidente lesiva sproporzione fra il valore della moneta e quello delle derrate agricole, dichiarando inoltre estinti i procedimenti di affrancazione in corso di giudizio e di appello.

«Sarà scongiurata così l’ulteriore spogliazione di direttari, quasi sempre piccoli proprietari e sinistrati di guerra.

«In linea subordinata si chiede l’adeguamento dei canoni stessi al valore attuale della lira. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere quali ragioni si oppongono a che i direttori degli educandati e dei convitti nazionali possano fruire dei «fondi a disposizione» per provvedere direttamente al pagamento del personale fuori ruolo, incaricato o supplente, come accade in tutti gli altri istituti e scuole. La mancanza di tale possibilità determina lunghe e penose quanto ingiustificabili more nella corresponsione degli stipendi a istitutori e professori non di ruolo, i quali debbono spesso attendere circa un anno prima di poter percepire anche una minima parte delle loro spettanze; con evidente gravissimo disagio economico e morale e aperta violazione di ogni giustizia remunerativa. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Franceschini, Rapelli, Quarello Gioacchino, Lizier, Foresi, Zaccagnini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno trasmesse ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 21.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento di interpellanze.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 12 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXIII.

SEDUTA DI SABATO 12 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14)

Presidente

Rescigno

De Vita

Bosco Lucarelli

Caroleo

Scoca

Pella, Ministro delle finanze

Tosi

Corbino

La Malfa, Relatore

Bertone

Condorelli

Perrone Capano

Pesenti

De Mercurio

Balduzzi

Cifaldi

Perlingieri

Bulloni

Castelli Avolio

Dugoni

Scoccimarro

Fabbri

Bubbio

Carboni Angelo

Marinaro

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Scoccimarro

Presidente

La seduta comincia alle 9.30.

PRETI, il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole deputato Fogagnolo.

(È concesso).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto amministrativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14)».

Riprendiamo l’esame del decreto, all’articolo 9. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I terreni si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con il regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, di coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria centrale.

«Le scorte dei terreni agrari, anche se dati in affitto, si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione ai redditi imponibili agrari iscritti in catasto, depurati dalla parte corrispondente al lavoro direttivo, di coefficienti stabiliti dalla Commissione suddetta.

«Quando le scorte sono di spettanza del proprietario e del colono, la quota di reddito agrario da attribuirsi al colono è determinata dall’ufficio distrettuale delle imposte, salvo ricorso alle Commissioni amministrative.

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, mediante applicazione alla loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria centrale.

«Le aree fabbricabili si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, determinati caso per caso».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Vi è anzitutto quello dell’onorevole Rescigno, del seguente tenore:

«Al primo comma, dopo le parole: I terreni si valutano in base ai valori medi, aggiungere la parola: stimati».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Due parole sole, tanto più che la proposta aggiunta della parola «stimati», più che costituire un emendamento, è determinata dall’esigenza di chiarire e di fissare bene un punto essenziale; perché a me sembra che il sistema di valutazione escogitato dalla legge della quale ci stiamo occupando, sia un sistema piuttosto farraginoso, macchinoso; né credo che altri possa suggerirne uno migliore. Forse sarebbe stato più opportuno continuare nel sistema attuale, un po’ superficiale, sbrigativo, ma evidentemente più economico, quello cioè di moltiplicare gli attuali valori per un coefficiente fisso. Ad ogni modo, osservo questo: che la legge dice che i terreni si valutano in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947; mentre tecnicamente avrebbe dovuto dire meglio: in base ai valori venali in comune commercio del periodo indicato, così come si è fatto per le precedenti leggi di imposta sul patrimonio.

La locuzione che si è adoperata lascia comprendere appunto che il Governo e la Commissione si sono preoccupati di ciò e hanno compreso che base della valutazione non potevano essere le compravendite effettuate in questo periodo, perché influenzate da circostanze straordinarie, da circostanze anormali, contingenti, come ad esempio il grande squilibrio tra l’offerta limitata e la domanda vasta, gli investimenti fatti dagli arricchiti di guerra, decisi ad investire a qualunque costo, a sbarazzarsi della carta moneta.

Ora, il valore deve essere depurato di tutte queste circostanze anormali; e credo che questo sia anche il pensiero della Commissione censuaria centrale, la quale intende riferirsi appunto ad un valore stimato.

Perciò, con questo emendamento, io intendo soprattutto precisare e chiarire questo concetto: che si tratti, cioè, di valori «stimati».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Al primo comma del testo governativo sopprimere: in base ai valori medi del 1946».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’emendamento da me proposto è soltanto di carattere formale; esso non tocca la sostanza della disposizione ed è connesso all’altro emendamento da me presentato all’articolo 10.

PRESIDENTE. Si limiti ad illustrare quello all’articolo 9.

DE VITA. Debbo riferirmi anche a questo secondo emendamento, perché è strettamente connesso al primo.

Con il mio primo emendamento, risulterebbe più chiaro l’articolo 9, il cui testo sarebbe il seguente:

«I terreni si valutano mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con il regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, di coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria centrale».

Ora, i coefficienti come sonò determinati? Questa domanda mi ha suggerito l’altro emendamento all’articolo 10, cioè di proporre l’aggiunta al primo comma, dopo le parole «per zone economiche agrarie» delle parole «in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947». Il primo comma dell’articolo 10 suonerebbe così: «Il coefficienti per la valutazione dei terreni e relative scorte sono stabiliti per zone economiche agrarie, in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, e con riguardo alla qualità di coltura ed alla classe di produttività».

Sostanzialmente non muta niente. Ripeto, si tratta soltanto di un emendamento di carattere formale.

PRESIDENTE. L’onorevole Bonomi Paolo ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, secondo rigo, sostituire le parole: 1° luglio 1946-31 marzo 1947, con le seguenti: 1° gennaio-31 dicembre 1946».

«Al secondo comma, terzo rigo, sostituire alle parole: del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, le seguenti: del periodo 1° gennaio-31 dicembre 1946».

«Dopo il terzo comma aggiungere il seguente:

«Per proprietari coltivatori diretti il reddito agrario al quale si dovranno applicare i coefficienti di cui al precedente comma verrà depurato della parte corrispondente alle anticipazioni colturali».

L’onorevole Bonomi non è presente.

BOSCO LUCARELLI. Faccio miei questi emendamenti, rinunciando a svolgerli.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento al quarto comma:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, tenuto conto del reddito effettivo alla stessa epoca, in relazione ai provvedimenti vincolistici intervenuti dal 1915 in poi e distinguendo tra cespiti sbloccati e cespiti soggetti ancora alle restrizioni di legge».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Dirò poche parole. La posizione dei proprietari di fabbricati è abbastanza nota. Le condizioni difficili di questa categoria di abbienti (che può dirsi benemerita perché la proprietà edilizia risponde preminentemente a quella funzione sociale che si va affermando nel campo della proprietà), le condizioni difficili – dicevo – risalgono al 1917, allorché intervenne il primo blocco – non per merito allora dei comunisti, ma dei liberali – ed il blocco stabiliva anche l’istituzione di alcune Commissioni arbitrali per l’equo affitto. Dal 1917 si andò, sempre in regime vincolistico, al 1927, in cui si consentì soltanto che il canone potesse essere quadruplicato rispetto alla consistenza del 1914, e si consentì anche che i proprietari potessero conseguire un certo adeguamento all’imposta che andavano a pagare, stabilendosi così il principio – in via generale – che al proprietario di fabbricati fosse soltanto concesso di esigere quanto poteva essere sufficiente per pagare l’imposta.

Dopo il 1927, ci troviamo di fronte al decreto del 1934, per cui si disse che – poiché la lira si era rivalutata e potevamo ormai contare sulla lira oro – bisognava che si riducessero anche le pigioni che erano state vincolate dal 1917 in poi, e si apportò una decurtazione variabile dal 12 al 15 per cento.

È sui canoni così ridotti che poi giuoca quel tale aumento (perché c’è il periodo 1936-1945, durante il quale il blocco delle locazioni di fondi urbani è perfetto); giuoca appunto dopo la diminuzione del 12-15 per cento quell’aumento, prima del 30 e poi del 25, che è stato apportato dalle nuove disposizioni.

Naturalmente questo ha rappresentato, onorevoli colleghi, la piena espropriazione della proprietà edilizia, anzi ha rappresentato un trasferimento di questa proprietà dai titolari del diritto di dominio agli inquilini, i quali si sono sostituiti ai proprietari con un appetito che non ha forse precedenti in nessuna storia dell’economia. Gli inquilini fanno speculazione attraverso il subaffitto, non solo, ma anche attraverso la vendita. È a tutti noto che a Roma, se si vuol vendere un fabbricato bloccato, bisogna pagare un prezzo al proprietario ed un prezzo, a volte anche maggiore – in ogni caso almeno uguale – agli inquilini. In tale situazione interviene prima l’imposta ordinaria che si sta pagando. Noi sappiamo che cosa sta avvenendo fra le popolazioni meridionali per i possessori dell’unica casetta, per i pensionati, per i funzionari dello Stato che avevano fondato tutte le risorse della loro vecchiaia nell’unica casetta: piangono in mezzo alle strade, vanno girando presso questo o quell’istituto per aver i mezzi onde fronteggiare questa imposta ordinaria. Si è sentito dire qui, anche da parte dell’illustre Relatore della Commissione, che si è esercitato, per quell’imposta, largamente il riscatto. Ma, quando si fa questa affermazione, bisogna dire a iniziativa di chi questo riscatto è stato operato; perché, se gli accertamenti si fossero eseguiti, ad esempio in Calabria, si sarebbe visto che il riscatto si è potuto attuare soltanto a iniziativa di proprietari di uliveti, di agrumeti e di castagneti, ma non di proprietari di fabbricati; perché i possessori di fabbricati vanno svendendo attualmente le loro case per adempiere a questo dovere, indiscutibilmente insopprimibile, di concorrere al risanamento finanziario dello Stato. Espropriazione, dico, e anche soppressione dell’iniziativa privata in questo campo, perché abbiamo veramente qui assistito a una specie di collettivizzazione: il primo esperimento, che non è merito dei comunisti ma dei liberali del 1917, come ho già detto. Ora, che cosa chiedo con questo emendamento? Anche i proprietari dei fabbricati, che non esistono più, hanno il dovere di concorrere al risanamento della finanza nazionale; però, compiamo una volta tanto questo atto di giustizia, riconosciamo che questi proprietari devono rispondere per quello che hanno, per quello che è stato loro lasciato. E, quindi, ogni valutazione non si allontani da quello che è il primo, fondamentale elemento di ogni stima di cespiti mobiliari ed immobiliari, cioè dal reddito. Ci sono fitti sbloccati ed i proprietari paghino in relazione al reddito dello sblocco; ma si tenga anche conto dei canoni vincolati. In secondo luogo, bisogna fissare l’epoca in riferimento alla quale questa valutazione deve essere fatta. Il Governo proponeva in base ai valori medi del 1946. La Commissione estende dal luglio 1946 al marzo 1947; ma ricordiamo che questo è il più grave periodo inflazionistico: c’era la minaccia del cambio della moneta, si correva dietro ai proprietari per ottenere, con le lusinghe di molta carta, delle cessioni di immobili. Perché far coincidere con questo momento la valutazione dei fabbricati?

Io parlo anche a nome del collega Veroni, che ha pure presentato un emendamento in proposito, così formulato: Al quarto comma, sostituire alle parole: «ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947» le parole: «ai valori medi alla data del 1° gennaio 1946».

Interpreto specialmente i voti di una vasta categoria, cioè dell’Associazione nazionale dei piccoli proprietari, che si vede posta in condizioni assolutamente impossibili, e mi auguro che l’emendamento dell’onorevole Veroni ed il mio possano riscuotere il consenso di questa Assemblea.

PRESIDENTE. Segue un secondo emendamento presentato dall’onorevole Rescigno:

«Al quarto comma, dopo le parole: I fabbricati si valutano in base ai valori medi, aggiungere la parola: stimati».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Valgano le stesse considerazioni fatte per i fabbricati.

PRESIDENTE. L’onorevole De Mercurio ha già svolto il seguente emendamento:

«Modificare il quarto comma nel modo seguente:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, mediante applicazione alla loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria, per le diverse destinazioni, o diverso adattamento delle singole sue parti».

Invito la Commissione ad esprimere il proprio parere sugli emendamenti presentati all’articolo 9.

SCOCA. A nome della Commissione, dichiaro di ritenere che l’aggiunta della parola «stimati», proposta dall’onorevole Rescigno, sia superflua, perché evidentemente nel concetto dei valori medi è incluso il concetto della stima.

RESCIGNO. Tenevo a che risultasse stabilito questo. Dopo tale dichiarazione, posso anche rinunziare ai miei emendamenti.

SCOCA. L’onorevole De Vita, il quale sposterebbe dall’articolo 9 all’articolo 10 la frase «in base ai valori medi dell’anno 1946» (ovvero, secondo il testo modificato dalla Commissione, la frase «nel periodo dal 1° luglio 1946 al 31 marzo 1947») ha dichiarato che questo non implicherebbe una modificazione sostanziale.

La Commissione ritiene di non potere accettare la proposta, perché, altrimenti, bisognerebbe spostare anche altre dizioni, come quella del secondo comma dell’articolo 9; quindi bisognerebbe riordinare un po’ tutto; ma, dal momento che si tratta di correzione formale, si corre il rischio, per correggere, di fare un danno maggiore; quindi, è meglio lasciare così.

L’onorevole Bonomi propone il ritorno al testo del Governo per quanto riguarda la data. Ma siccome la Commissione è stata essa a proporre lo spostamento della data, in ciò è implicito il rigetto degli emendamenti Bonomi.

Riguardo all’emendamento proposto dall’onorevole Caroleo, sono perfettamente convinto delle ragioni da lui addotte; ma mi pare che la Commissione ne abbia già tenuto conto, nell’includere all’articolo 10 questo concetto della discriminazione fra fabbricati, secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico. Più in là la Commissione non crede di poter andare, cioè non crede di accedere al concetto più ampio esposto dall’onorevole Caroleo, che si tenga conto dei provvedimenti vincolistici emanati dal 1915 in poi.

Non possiamo andare a date tanto lontane, perché si complicherebbero la stima e le valutazioni.

D’altra parte, si tratta di imposta sul patrimonio, e il valore del patrimonio dipende, in gran parte, dal reddito, poiché, secondo i principî economici, il valore del patrimonio equivale alla capitalizzazione del reddito.

Se ci sono delle circostanze, che influiscono a far divergere dal concetto economico, queste devono essere tenute presenti anche dal legislatore, che fa una legge finanziaria, perché bisogna colpire il patrimonio per quello che è.

Indubbiamente, questo elemento vincolistico, questo fatto che dai fabbricati non si ritrae il reddito, che si potrebbe in regime di assenze di vincoli e perciò li pone in stato di svantaggio rispetto ad altri beni, influisce sulla valutazione.

La Commissione ha introdotto questo concetto nell’articolo modificato e più in là non può andare.

Sull’emendamento De Mercurio, per le stesse ragioni, la Commissione esprime parere contrario.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda gli emendamenti dell’onorevole Rescigno, sia in ordine ai terreni, sia ai fabbricati…

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha dichiarato di rinunziarvi.

PELLA, Ministro delle finanze. Allora sta bene.

Per quanto riflette gli emendamenti dell’onorevole Bonomi, che in sostanza vogliono riproporre il sistema del testo governativo, il Governo potrebbe essere tentato di aderirvi. Ma, per deferenza, il Governo ha accettato le modifiche della Commissione: perciò non posso che respingere gli emendamenti dell’onorevole Bonomi.

Per l’emendamento dell’onorevole Caroleo, nella prima parte, valgono le considerazioni esposte in ordine all’emendamento Bonomi.

Il riferimento ai valori dell’anno 1946 rappresenta il sistema proposto dal Governo, che la Commissione ha modificato. Quindi il Governo è d’accordo con la Commissione nel respingere questa parte dell’emendamento.

Per la seconda parte, l’emendamento sembra superfluo, perché, come ha osservato l’onorevole Scoca, già all’articolo 10 si fa riferimento al regime vincolistico come ad un elemento ai fini della valutazione.

Aggiungo che tutto questo era già implicito nel testo governativo, perché nella determinazione dei valori, va tenuto conto di tutti gli elementi, compresa la possibilità di reddito.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Mercurio valgono le stesse considerazioni, nel senso che il concetto del riferimento all’anno 1946 è superato dalle proposte della Commissione.

Analoga osservazione debbo fare per l’emendamento dell’onorevole Veroni.

Per quanto concerne l’emendamento dell’onorevole De Vita, convengo con l’onorevole Scoca che sul suo contenuto potremmo dichiararci tutti d’accordo. Ma devo osservare che si tratta di una questione soltanto formale, e non mi sembra sia il caso di rendere più pesante il nostro lavoro, sconvolgendo il sistema dell’articolazione.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. A proposito degli emendamenti presentati dall’onorevole Bonomi e dall’onorevole De Mercurio, vorrei far presente – a nome della Commissione – che se non possono essere accettati come emendamenti da inserire nel testo, potrebbero però essere tenuti eventualmente presenti dal Governo come raccomandazione per un criterio da dare alle Commissioni nella valutazione.

Infatti, l’onorevole De Mercurio parla di una valutazione da determinarsi tenuto conto delle diverse destinazioni o dei diversi adattamenti dei singoli immobili, e l’onorevole Bonomi parla di determinazione dei valori per i coltivatori diretti, valutando i loro terreni e detraendoli dall’importo delle anticipazioni colturali. Queste, praticamente, sono dei debiti ed entrano nel concetto generale; si tratta, insomma, di criteri di valutazione che non possono evidentemente essere inseriti nella legge, ma di cui il Governo potrebbe tener conto per le sue eventuali determinazioni.

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Bosco Lucarelli, che ha fatto propri gli emendamenti dell’onorevole Bonomi Paolo, se li mantiene.

BOSCO LUCARELLI. Li mantengo.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo nella richiesta della Commissione di accettare a titolo di raccomandazione i suggerimenti di cui al terzo comma, dell’emendamento Bonomi e di cui alla seconda parte dell’emendamento De Mercurio.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo chiedere alla Commissione ed al Governo un chiarimento circa le sanzioni che sarebbero applicate a carico del contribuente il quale ignorando i valori che saranno stabiliti dalla Commissione censuaria centrale, potrebbe credere di essere esonerato dall’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini dell’imposta. In questo modo noi introduciamo, nel fatto dell’obbligo della dichiarazione, un elemento di incertezza che, probabilmente, peserà sul 60-70 per cento delle dichiarazioni.

TOSI. Se ne parlerà quando tratteremo delle sanzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, ha udito. La Commissione assicura che se ne parlerà al momento opportuno.

LA MALFA, Relatore. Si può chiarire senz’altro. In definitiva il contribuente deve fare la dichiarazione in base all’imponibile già accertato, e tutto il resto verrà concordato dopo. Non si può quindi cadere in nessuna sanzione.

CORBINO. Non mi sembra. Supponiamo che io ho un cespite colpito in base a un imponibile attuale di un milione. Sono pertanto esentato dall’obbligo della dichiarazione. Viene la Commissione censuaria…

LA MALFA, Relatore. L’obbligo della dichiarazione c’è sempre in base agli imponibili già accertati.

CORBINO. Per chi ha un patrimonio superiore ad un milione e mezzo. Per chi abbia, invece, un patrimonio inferiore a tale cifra non c’è obbligo di dichiarazione. Chi ha l’obbligo di dichiarazione per un milione e mezzo e ha fatto la dichiarazione in sede di accertamento, si vedrà mutare i valori che formano l’imponibile per l’imposta straordinaria, ma chi credeva di essere nel limite di esenzione…

LA MALFA, Relatore. Vorrei sentire prima il parere del Governo. Ad ogni modo credo che, essendoci obbligo di dichiarazione solo degli imponibili accertati, quando non c’è imponibile non ci può essere sanzione. La cifra di un milione e mezzo stabilisce il limite della obbligatorietà.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione sui vari emendamenti. Si dovrebbe iniziare da quello presentato dall’onorevole De Vita al primo comma.

DE VITA. Se l’onorevole Ministro e la Commissione ritengono che il mio emendamento non valga a chiarire meglio l’articolo, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Bonomi Paolo, fatti propri dall’onorevole Bosco Lucarelli.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni del Governo, che accetta come raccomandazione l’emendamento al terzo comma, non vi insisto. Insisto invece sui due emendamenti al primo ed al secondo comma, con i quali si intende riportare la valutazione all’intero anno 1946, anziché fissarla al periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, come proposto.

Prego il Governo e la Commissione di accettare tali emendamenti.

PRESIDENTE. Ricordo che la Commissione ed il Governo hanno espresso parere contrario.

Pongo ai voti l’emendamento al primo comma proposto dall’onorevole Bonomi Paolo e fatto proprio dall’onorevole Bosco Lucarelli.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento al secondo comma dello stesso onorevole Bonomi Paolo.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Caroleo, sostitutivo del quarto comma.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io voto a favore dell’emendamento Caroleo per quanto non sia del tutto d’accordo sulla forma che egli ha adoperato per esprimere il suo concetto. In sostanza, non vorrei tener conto dei provvedimenti vincolistici che vi sono stati dal 1915 ad ora: sono passati trent’anni! Piuttosto, vorrei che le Commissioni censuarie centrali tenessero conto di quelle che potranno essere le probabilità del regime vincolistico nei riguardi dell’avvenire, perché in sostanza se noi valutiamo, agli effetti dell’imposta, i fabbricati in base ai valori medi corrispondenti ai prezzi realizzati nei contratti di compra-vendita, che sono stati stipulati in questo ultimo anno, oppure in base al costo delle nuove costruzioni, noi evidentemente veniamo a determinare dei valori patrimoniali che non hanno nessun riferimento con la realtà, specialmente nei riguardi delle abitazioni bloccate.

Ecco perché anche se in questa sede, per ragioni di equilibrio generale della legge, noi non vogliamo modificare il sistema che si è introdotto, è bene che il Governo tenga presente che la legislazione sugli affitti la fa lo Stato e non l’hanno fatta né gli inquilini, né i proprietari di case. Ora, lo Stato non può, in sede di imposizione, ignorare una serie di provvedimenti che nella sua potestà ha creduto necessario di prendere; ma deve tener conto anche delle conseguenze che derivano su coloro che devono pagare l’imposta.

Ecco perché vorrei che, per lo meno, l’emendamento Caroleo fosse tenuto presente come una raccomandazione al Governo, perché ne tenga conto in sede di quei provvedimenti integrativi che certamente dovranno venire, dopo che avremo convalidato questo decreto legislativo.

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Caroleo, pur consentendo nella opinione espressa dall’onorevole Corbino che del contenuto di esso sia tenuto conto come raccomandazione.

Voterò contro perché questo emendamento porta a sostituire, ad un criterio che deve essere generale per tutta l’Italia nello stabilire i metodi con cui si debbono fare le valutazioni (criterio che verrà applicato dalla Commissione censuaria centrale), altri criteri che non si sa da chi dovranno essere applicati, e che potranno essere applicati con criteri diversi da ufficio ad ufficio, da regione a regione, portando disparità in una materia che deve essere regolata da una legge uniforme.

Quindi, rimango al testo della Commissione; e, se si vuole intendere che il suggerimento dell’onorevole Caroleo debba essere tenuto presente come raccomandazione, sarà la Commissione censuaria che dovrà raccogliere questa raccomandazione.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Nella speranza che il Governo e la Commissione tengano conto del mio emendamento nella forma di una raccomandazione, potrei ritirarlo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Bisogna tener presente un fatto: che i proprietari di fabbricati hanno già dato largamente il loro contributo alla difesa della lira. Non si tratta di pensare al valore attuale, ma bisogna pensare che questa imposta sul patrimonio è stata già largamente pagata dai proprietari, sotto altra forma, e in modo esorbitante.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Faccio notare ai colleghi che la Commissione si è preoccupata di questo, e all’articolo 10 ha aggiunto la dizione: «discriminando i fabbricati a seconda che siano soggetti o no al regime vincolistico».

Credo che questa aggiunta della Commissione valga a stabilire un criterio rigoroso in sede di valutazione ed in relazione al regime vincolistico.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Non solo aderisco alle considerazioni dell’onorevole Relatore, nel senso che la Commissione censuaria centrale, in sede di determinazione dei valori, dovrà farsi carico, per le categorie dei fabbricati soggetti a regime vincolistico, di quelle che sono le ripercussioni del vincolo; ma vorrei, nell’ordine di considerazione di quanti si preoccupano dei fabbricati vincolati, sottolineare quello che succederà a mano a mano che ci allontaneremo dal 28 marzo.

Se non si stabilirà diversamente quando discuteremo l’articolo 10, i valori dei fabbricati vincolati saranno determinati in relazione alla entità, alla incidenza del vincolo nel periodo di riferimento 1° luglio-31 marzo.

Ora, è legittimo prevedere che, nel prossimo futuro, la disciplina dei fitti potrà essere soggetta a revisione.

Faccio naturalmente delle ipotesi, che non intendono costituire alcuna indicazione rispetto a quella che può essere la politica del Governo, perché evidentemente non ne sarebbe questa la sede.

Ora, se, per ipotesi, nel 1949, anno in cui effettivamente comincerà a pesare l’imposta (perché nel 1948, prevalentemente, si comincerà a pagare sulla base delle dichiarazioni) il regime vincolistico sarà attenuato, quale sarà la conseguenza?

Che i proprietari di fabbricati vincolati pagheranno in un’epoca in cui il vincolo sarà minore, rispetto a valori determinati nell’epoca in cui il vincolo era più rigoroso.

Dico questo, non già per ipotizzare un qualche emendamento che possa rendere più rigorosa la valutazione, ma perché desidero sottolineare due punti: primo, che l’articolo 10 emendato secondo il testo della Commissione consente di tener conto delle preoccupazioni dei proprietari vincolati; secondo, che i proprietari vincolati finiranno per trovarsi in una situazione di particolare facilitazione e cioè di pagare, forse in un’epoca in cui il regime di vincolo sarà meno rigoroso, sopra valori accertati con riferimento ad un regime di vincolo più rigoroso. (Commenti).

CAROLEO. Dopo le spiegazioni del Ministro delle finanze non posso non insistere sul mio emendamento. Conosco il destino di questo emendamento; ma intendo che l’Assemblea rifletta sull’opportunità di respingerlo o di accoglierlo. Vuol dire che, se non sarà accolto, ognuno avrà assunto la propria responsabilità di fronte ad una categoria di proprietari che sono stati completamente espropriati in Italia.

Io non mi preoccupo tanto dell’espropriazione quanto delle conseguenze che questa espropriazione può avere; già non costruisce più nessuno in Italia; costruisce lo Stato e per ogni piccolo vano comincia già a far pagare, per le case popolari, mille e più lire mensili.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Pregherei l’onorevole Caroleo di non insistere nel suo emendamento, diversamente metterebbe in forse l’importanza della modifica che la Commissione ha introdotto all’articolo 10.

A noi è parsa talmente chiara la direttiva che abbiamo segnato alla Commissione centrale all’articolo 10, che il respingere l’emendamento Caroleo potrebbe prendere senso diverso da quello che ha.

CAROLEO. Vorrei semplicemente osservare che non avevo ignorato questa difficoltà per la Commissione censuaria, perché naturalmente la raccomandazione, il suggerimento era per la Commissione censuaria centrale e non per gli uffici distrettuali.

PRESIDENTE. Dopo le osservazioni del Relatore ritira l’emendamento, onorevole Caroleo?

CAROLEO. Sì, lo ritiro, trasformandolo in raccomandazione, e credo che in questo possa ottenere il voto unanime dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole De Mercurio al quarto comma.

Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Vi è ora da porre ai voti un emendamento sostitutivo del quarto comma, proposto dall’onorevole De Vita.

DE VITA. Desidero illustrare questo mio emendamento.

PRESIDENTE. Le avevo già dato facoltà di parlare per illustrare tutti i suoi emendamenti all’articolo. Comunque, illustri ora questo emendamento. Rammento che esso è così formulato:

«Sostituire il quarto comma con il seguente:

«I fabbricati si valutano mediante applicazione alla loro consistenza dei valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947 determinati dalla Commissione censuaria centrale per singole unità immobiliari».

DE VITA. Attribuisco importanza a questo emendamento, perché, se si può parlare di coefficienti di valutazione per i terreni, non si può più parlare di coefficienti di valutazione per i fabbricati. Se per i fabbricati si fa ricorso al catasto edilizio, dobbiamo parlare di unità immobiliare tipo e di valori che si riferiscano all’unità immobiliare tipo.

Ritengo di aver così chiarito il mio emendamento.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi al riguardo.

LA MALFA, Relatore. Non comprendo lo spirito dell’emendamento. Esprimo parere contrario.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Anche il Governo è contrario.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole De Vita.

(Non è approvato).

Quanto all’emendamento dell’onorevole Veroni, si intende assorbito in quello dell’onorevole Caroleo, trasformato in raccomandazione.

L’articolo 9 s’intende così approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 10.

Si dia lettura del testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I coefficienti per la valutazione dei terreni e relative scorte sono stabiliti per zone economico-agrarie, con riguardo alla qualità di coltura ed alla classe di produttività.

«I coefficienti per la valutazione dei fabbricati sono stabiliti per ogni comune, con riguardo alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, ai sensi del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito nella legge 11 agosto 1939, n. 1249, discriminando i fabbricati, secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico».

A questo articolo sono stati presentati tre emendamenti. Il primo, a firma degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi e Cifaldi è del seguente tenore:

«Aggiungere alle parole: discriminando i fabbricati secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico, le seguenti: con riferimento al reddito vincolato».

Essendo assenti tutti gli onorevoli presentatori, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene; allora ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Io credo che l’emendamento valga a chiarire ancor meglio di quanto non abbia fatto la Commissione il testo del secondo comma dell’articolo 10 e assorba il contenuto della discussione che si è svolta poco fa intorno all’emendamento dell’onorevole Caroleo.

Il testo del secondo comma dell’articolo 10, così come è stato formulato dalla Commissione, detta in ultimo: «…discriminando i fabbricati secondo che siano o no soggetti a regime vincolistico». L’emendamento propone di aggiungere a questo punto le parole «con riferimento al reddito vincolato», perché in questa maniera riesca più preciso e più chiaro che le Commissioni debbono tener conto in concreto del reddito vincolato.

PRESIDENTE. Segue un emendamento al secondo comma, a firma dell’onorevole Veroni:

«Al secondo comma, alle ultime parole: regime vincolistico, aggiungere le altre: tenendo conto della data iniziale del blocco subito da ciascun fabbricato ai fini di una graduazione dell’entità di limitazione del reddito».

L’onorevole Caroleo ha dichiarato di far suo anche questo emendamento. Intende svolgerlo?

CAROLEO. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Al primo comma, dopo le parole: per zone economico-agrarie, aggiungere: in base ai valori medi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Rinuncio al mio emendamento, in quanto esso è collegato con quello proposto al precedente articolo, che non è stato approvato dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 10.

LA MALFA, Relatore. Vorrei pregare i presentatori di emendamenti di non insistere, perché mi pare naturale che il regime vincolistico debba venir considerato solo in sede di accertamento di reddito. Noi qui specifichiamo concetti che sono impliciti nel testo della Commissione.

PERRONE CAPANO. Dichiaro di non insistere.

CAROLEO. Anch’io non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 10 si intende allora approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 11.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I coefficienti previsti negli articoli precedenti sono predisposti dall’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, la quale li comunica, per tutti i comuni di ciascuna provincia, alle singole Commissioni censuarie comunali ed alla Commissione censuaria provinciale.

«Le Commissioni censuarie comunali hanno facoltà di presentare, entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti, alla Commissione censuaria provinciale le proprie osservazioni sui coefficienti stessi.

«Entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale, questa inoltra, con le proprie proposte, alla Commissione censuaria centrale, per il tramite dell’Ufficio tecnico erariale, contemporaneamente per tutte le zone economico-agrarie e per tutti i comuni della provincia, le osservazioni che siano state formulate dalle Commissioni censuarie comunali.

«La Commissione censuaria centrale, tenute presenti le proposte presentate in termini dalle Commissioni censuarie provinciali e sentita l’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, stabilisce in via definitiva i coefficienti per ciascuna zona economico-agraria e per ciascun comune».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei fare una precisazione di forma circa i termini previsti nell’articolo.

Si dice, nel secondo comma, che «le Commissioni censuarie comunali hanno facoltà di presentare, entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale le proprie osservazioni sui coefficienti stessi». E poi si prosegue: «Entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione dei coefficienti alla Commissione censuaria provinciale, questa inoltra, ecc.».

Ora, questi novanta giorni da. quando decorrono? Perché le Commissioni censuarie comunali sono molte; per ogni Comune vi è la Commissione censuaria comunale: una può presentare le sue osservazioni il primo giorno, un’altra il quindicesimo, un’altra il trentesimo e così via. Quindi non si sa esattamente la decorrenza di questi novanta giorni, entro i quali la Commissione provinciale deve inoltrare queste osservazioni.

Io suggerirei, perciò, di dire: «Entro novanta giorni dalla scadenza dei trenta giorni di cui al termine del comma precedente». Così la decorrenza è sicura.

CORBINO. Si potrebbe dire: «Entro i successivi novanta giorni».

LA MALFA, Relatore. Non abbiamo difficoltà; se il Governo accetta.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Il terzo comma secondo l’emendamento Bertone suonerebbe così:

«Entro novanta giorni dalla scadenza dei trenta giorni di cui al comma precedente, ecc.»

LA MALFA, Relatore. Forse la formula suggerita dall’onorevole Corbino: «Entro i successivi novanta giorni» è migliore.

BERTONE. No, perché i successivi novanta giorni possono riferirsi ai Comuni che hanno presentato le osservazioni in data diversa. Io voglio riferirmi alla scadenza dei trenta giorni, cioè ad una data fissa: è una questione di precisione.

CORBINO. Diamo mandato al Governo o alla Commissione di studiare la formula migliore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione propone la dizione: «Entro novanta giorni dalla scadenza del termine sopra stabilito».

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la formula proposta dall’onorevole Relatore.

(È approvata).

L’articolo 11 si intende approvato con l’emendamento testé votato.

Passiamo all’articolo 12, il cui testo è accettato dalle Commissione nella formulazione proposta dal Ministero. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Contro le valutazioni dei terreni, eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte dirette con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli Uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondano alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette.

«Contro le valutazioni dei fabbricati eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono, ai soli fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, quando la destinazione o le caratteristiche di esso siano, in atto, notevolmente diverse da quelle dell’unità tipo, approvate dalla Commissione censuaria centrale come rappresentative della categoria o classe cui il fabbricato è stato assegnato».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole De Mercurio, già svolto, così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Contro la valutazione dei terreni, eseguita dagli uffici in base alle risultanze catastali ed ai coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per la non corrispondenza alle qualità di coltura risultanti dal catasto. D’altra parte gli uffici potranno rettificare la valutazione dei terreni da essi effettuata, nel termine di un anno dall’eseguita notifica dell’accertamento, tutte le volte che le risultanze catastali non corrispondano allo stato di fatto e che si siano verificati errori di calcolo».

L’onorevole Rescigno ha proposto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo le parole: per questioni riflettenti, aggiungere le parole: la natura, la consistenza o».

Ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Dirò brevi parole d’illustrazione del mio emendamento e prego i colleghi di prestare una cortese attenzione, trattandosi di un argomento di importanza sostanziale.

L’applicazione dell’articolo 12 presuppone l’esistenza del catasto edilizio urbano, il quale adesso è invece soltanto in formazione, in base alla legge 11 agosto 1939 n. 1249; e che io sappia, in nessun comune del territorio nazionale il nuovo catasto è stato reso pubblico.

Ora, i dati di questo catasto non sono definitivi. Non sono definitivi non solamente riguardo all’assegnazione del fabbricato alla classe o alla categoria, ma non sono neanche definitivi riguardo alla consistenza, cioè riguardo al numero dei vani che compongono il fabbricato, e – quello che è più grave – non sono neanche definitivi riguardo alla natura urbana o rustica o industriale o commerciale del fabbricato stesso.

Ora, l’articolo 12 limita il ricorso del contribuente alle questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, in maniera che il contribuente non ha nessuna difesa contro le valutazioni ingiuste, contro indebite pretese della Finanza e, soprattutto, contro le duplicazioni di imposizione. Infatti, queste duplicazioni d’imposizione potranno essere molto estese, perché nel nuovo catasto edilizio urbano si trovano accertati molti cespiti, molti fabbricati i quali attualmente sono censiti al rustico, e poi si trovano accertati tutti i fabbricati industriali e commerciali.

D’altro canto, il valore dei fabbricati rurali è contenuto già istituzionalmente nel valore dei fondi rustici dove essi si trovano, così come i fabbricati industriali e commerciali sono contenuti nel valore delle rispettive aziende industriali e commerciali.

Difatti all’articolo 17 si dice che «le aziende industriali e commerciali si valutano nel loro complesso, tenuto conto dei vari elementi che li compongono, sulla base ecc.».

Di modo che il pericolo della duplicazione di valutazione è grave ed esteso.

Più grave ancora è la mancata concessione al contribuente del ricorso contro l’accertamento che si riferisce alla consistenza. Perché? Perché il famoso catasto edilizio in formazione adotta al riguardo delle unità e dei metodi molto complicati, che solamente gli iniziati conoscono; e per giunta, questi metodi sono anche un po’ arbitrari, perché non sono contenuti in quella legge 11 agosto 1939 n. 1249, né sono contenuti in alcun regolamento, perché non c’è stato nessun regolamento per questa legge.

Ne consegue che contro questi abusi, contro questi metodi, contro queste unità complicatissime – che, ripeto, soltanto pochi iniziati possono comprendere – al contribuente non è dato nessun riparo, nessun rimedio.

Di qui la necessità di dare al contribuente la facoltà di ricorrere non solamente contro l’assegnazione alla classe o alla categoria, ma anche contro l’accertamento della consistenza o della natura del fabbricato.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Foa, Pesenti, Scoccimarro e Valiani:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora il valore dei fabbricanti risultante dall’applicazione dei coefficienti di cui all’articolo 9 sia superiore di almeno un quinto al valore medio effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può chiedere all’ufficio distrettuale delle imposte l’accertamento del valore effettivo e l’applicazione dell’imposta in base ad esso. Contro l’accertamento dell’ufficio è concesso il ricorso alle Commissioni amministrative. Il ricorso non sospende l’iscrizione a ruolo dell’imposta».

In assenza dell’onorevole Foa, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Pesenti, secondo firmatario.

PESENTI. L’emendamento proposto risponde ad un senso di giustizia perché la valutazione meccanica fatta in base ai coefficienti, stabilita dall’articolo 9, può essere non corrispondente a quello che è l’effettivo valore dei fabbricati. Per questo, quando lo scarto sia superiore ad un quinto, cioè al 20 per cento del valore effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può avere il diritto di ricorrere per stabilire la giusta valutazione di mercato indicata dalla media.

Per quel che riguarda questo emendamento, ripeto che noi crediamo che esso risponda ad un senso di giustizia. Mi è stato fatto rilevare il pericolo che possa aprire una breccia nel sistema, e per questo ci rivolgiamo al Governo per sentire il suo parere in proposito.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

LA MALFA, Relatore. La Commissione trova molto limitativo nell’emendamento De Mercurio il termine di un anno dato agli uffici distrettuali per rettificare la valutazione dei terreni. Non credo che si possa assegnare agli Uffici un termine così breve. Ma su questo la Commissione vorrebbe sentire il parere del Governo.

Quanto all’emendamento Rescigno, la Commissione lo accetterebbe; e sull’emendamento Foa-Pesenti la Commissione, essendo divisa, intenderebbe rimettersi all’opinione del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Mercurio, osservo che purtroppo gli uffici non saranno in grado, nel giro di un anno, di rilevare le discrepanze esistenti fra la situazione reale e le risultanze catastali, quando tali discrepanze sarebbero da eccepire nell’interesse dell’amministrazione. Per questo prego l’onorevole De Mercurio di non insistere.

Circa l’emendamento dell’onorevole Rescigno, penso che esso possa essere accettato.

Per l’emendamento Foa, Pesenti, Scoccimarro, Valiani, sebbene il ricorso non sospenda l’iscrizione a ruolo dell’imposta e quindi non turbi la riscossione, sono perplesso circa le conseguenze di un cumulo di lavoro che fatalmente verrebbe a gravare sopra gli uffici.

Desidero riservare la risposta definitiva alla prossima seduta dopo avere interpellato gli uffici sulla portata pratica dell’emendamento, pregando fin da ora i presentatori, nell’ipotesi che si possa accedere a questo ordine di idee, di aumentare lo scarto del quinto che mi sembra troppo tenue per ammettere un ricorso speciale del genere.

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, mantiene il suo emendamento?

DE MERCURIO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti?

PESENTI. In conformità a quanto è stato rilevato dall’onorevole Ministro, sono d’accordo nel rinviare e rivedere l’emendamento tenendo conto del consiglio di aumentare lo scarto qualora il principio fosse accettato dal Governo.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni l’emendamento sarà ripreso in esame alla prossima seduta.

(Così rimane stabilito).

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero fare un’osservazione all’emendamento dell’onorevole Rescigno.

Chiederei al collega Rescigno, alla Commissione, ed anche al Ministro, se non riterrebbero opportuno di rinviarne l’esame, come si propone per l’emendamento Pesenti, giacché è una materia coordinata.

L’osservazione è dettata dal rilievo fatto dal Ministro, che non si sa quali conseguenze l’accoglimento dell’emendamento possa portare per gli uffici fiscali. Riconosco la gravità delle ragioni che l’hanno suggerito; però è mio dovere fare osservare che dare al contribuente la facoltà di ricorrere non solo per l’assegnazione del fabbricato alla categoria ma anche per la natura e la consistenza, significa spingere tutti, indistintamente, i possessori di fabbricati a ricorrere. E questo può portare agli uffici fiscali una complicazione di lavoro che deve essere ponderata prima. Perciò, se viene rimandato ad un ulteriore esame l’emendamento Pesenti, credo sia opportuno un esame più ponderato anche per questo emendamento Rescigno.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Rilevo solamente che il maggiore o minor lavoro cui potranno essere sottoposti gli uffici non è un elemento tale che possa influire. Noi siamo qui per assolvere alla funzione principale del Parlamento. I Parlamenti sono sorti per tutelare le ragioni dei contribuenti; e sono quelle che ci devono preoccupare. Quindi insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Rescigno sul quale hanno espresso parere favorevole Governo e Commissione.

(È approvato).

La decisione sull’emendamento degli onorevoli Foa ed altri si intende rinviata.

Segue l’articolo 13. Se ne dia lettura nel testo ministeriale, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nel caso di terreni dati in affitto, l’accertamento, mediante l’applicazione al reddito agrario iscritto in catasto dei coefficienti previsti nel secondo comma dell’articolo 9, è eseguito previa detrazione della quota del reddito stesso, stabilita dall’Ufficio distrettuale delle imposte, da attribuire al proprietario, per la parte di scorte che sia, eventualmente, di spettanza del medesimo.

«La stessa norma si applica in caso di soccida o di contratti analoghi».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo di intende approvato.

Passiamo all’articolo 14. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il valore della nuda proprietà è determinato in base alla differenza tra il valore dell’intera proprietà – stabilito ai sensi degli articoli precedenti – e quello dell’usufrutto. Lo stesso criterio si applica per la valutazione della proprietà, quando questa è gravata da diritti di uso e di abitazione.

«Il valore da attribuire ai diritti di usufrutto, uso o abitazione, si calcola scontando alla data del 28 marzo 1947 il valore dell’annualità di reddito percepita, riferita al periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947:

  1. a) alla ragione del tasso contrattuale, o, in mancanza, alla ragione composta del 5 per cento, se trattasi di diritti la cui scadenza è esattamente conosciuta;
  2. b) alla ragione del tasso contrattuale, o, in mancanza, alla ragione composta del 5 per cento e con riguardo alle probabilità di vita corrispondenti alla classe di età del reddituario, se trattasi di diritti che cesseranno con la morte di lui, in conformità ad una tabella da approvarsi con decreto del Ministro per le finanze e tesoro.

«Qualora l’annualità di reddito sia percepita in natura, il valore di essa è calcolato in base alla quantità dei prodotti nel triennio 1944-1946 ed ai prezzi correnti nel periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947.

«Nei casi di assicurazione sulla vita, previsti nel n. 3 dell’articolo 8, il capitale corrispondente è valutato al prezzo di riscatto alla data del 28 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo articolo hanno presentato emendamenti l’onorevole Bonomi Paolo e l’onorevole Balduzzi. L’emendamento dell’onorevole Bonomi è del seguente tenore:

«Sostituire il primo periodo del secondo comma col seguente:

«Il valore da attribuire ai diritti di usufrutto, uso o abitazione, si calcola scontando alla data del 28 marzo 1947 il valore dell’annualità di reddito percepita, riferita al periodo 1° gennaio 1946-31 dicembre 1946».

L’onorevole Bonomi non è presente: s’intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

L’emendamento dell’onorevole Balduzzi è così formulato:

«Al penultimo comma, aggiungere: intendendosi i prezzi corrisposti dagli ammassi per i prodotti soggetti a tale regime».

L’onorevole Balduzzi ha facoltà di svolgerlo.

BALDUZZI. Faccio osservare soltanto che il mio emendamento tende ad eliminare dubbi sulla applicazione della disposizione.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Riguardo all’emendamento Balduzzi, il concetto è implicito, nel senso che la Commissione farà le valutazioni per i prodotti soggetti all’ammasso in base ai prezzi ufficiali.

BALDUZZI. Insisto nel mio emendamento, poiché si tratta d’una precisazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Comprendo le preoccupazioni dell’onorevole Balduzzi, il quale fa l’ipotesi che si possa tenere conto di prezzi diversi da quelli legali, cioè da quelli dell’ammasso.

Evidentemente, non possiamo, in sede legislativa, avvalorare questa ipotesi. Per questo, non posso entrare affatto nell’ordine di idee che ispira l’emendamento; e quindi dichiaro di non poterlo accettare.

PRESIDENTE. Onorevole Balduzzi, insiste?

BALDUZZI. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’articolo 14 si intende allora approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 15. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo o enfiteutico, compresi i canoni da colonia perpetua, si tengono in conto in ragione del 100 per 5 del rispettivo ammontare, a meno che, per convenzione o per legge, non debbasi applicare, per il riscatto, un saggio diverso.

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. L’onorevole Bonomi Paolo propone di sostituire il secondo comma col seguente:

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° gennaio 1937-31 dicembre 1946».

L’onorevole Bonomi non è presente.

BOSCO LUCARELLI. Faccio mio l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. È nella tradizione giuridica ed anche nella tradizione dell’accertamento fiscale che i valori si capitalizzino sempre in base alla media decennale; è nella legge per i canoni enfiteutici e nelle norme con cui vengono valutati i cespiti anche in materia fiscale. Non vedo perché si dovrebbe trascurare questo criterio costantemente seguito dalla legge e dalla pratica, sia legale che fiscale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi propone un emendamento analogo:

«Aggiungere, al secondo comma, dopo la parola: media, la parola: decennale, e sopprimere le parole: del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

Ha facoltà di svolgerlo.

CIFALDI. Sostanzialmente, la mia proposta coincide con quella dell’onorevole Bonomi Paolo, illustrata dall’onorevole Bosco Lucarelli; quindi non richiede altra illustrazione.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Faccio notare che, trattandosi di canoni in natura, essi, data la svalutazione monetaria, riacquistano valore nel tempo.

La Commissione non ha trovato ragione di fare a questi canoni un trattamento diverso da quello che fa a tutti i cespiti.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. L’onorevole La Malfa non tiene presente che per i canoni enfiteutici in natura si procede, per legge, alla capitalizzazione, in base alla media decennale del valore dei prodotti in natura. Il canone, per legge, può essere affrancato in qualunque momento. Si può verificare, quindi, questa ipotesi: che si pagherebbe su un capitale determinato in misura superiore, cioè non secondo la media decennale, e dopo aver pagato il reddente affrancherebbe con le norme di legge. A me pare che questo si traduca in una imposizione su un valore patrimoniale superiore a quello effettivo. Quindi noi ci troviamo in un determinato binario.

SCOCA. Fate modificare quell’altra legge, non questa.

PERLINGIERI. Ma è il Codice civile!

SCOCA. Fate modificare il Codice civile.

PERLINGIERI. Ma la imposta opera su questo terreno e non su quello che potrà essere domani. Come si affranca? Secondo le norme stabilite dalla legge: ossia capitalizzando il canone, e tenuto presente, quando il canone è in natura, la media decennale del valore del canone stesso. Non mi pare si possa sfuggire da questa legge. In caso diverso la imposta non graverebbe più sul patrimonio, sul capitale, ma su un valore superiore a quello capitale.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Perlingieri, certamente, ha toccato un punto delicato e non nego che sarebbe opportuno stabilire un parallelismo tra il sistema della valutazione ai fini dell’affrancamento e il sistema della valutazione ai fini della imposta patrimoniale.

Si tratta di argomento che merita di essere ulteriormente approfondito, anche rispetto ad eventuali modifiche del sistema di valutazione. Ed è per questo che prego di non rimproverare il Governo se chiedo di rinviare la discussione alla prossima seduta.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea è d’accordo nell’accogliere la proposta del Ministro, cioè di rinviare alla prossima seduta l’emendamento dell’onorevole Cifaldi, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 16. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I crediti si valutano al loro importo nominale.

«Quando concorrano circostanze di fatto che lascino fondatamente presumere la perdita totale o parziale del credito, il contribuente può chiedere che fra le attività patrimoniali non sia computato il credito stesso, oppure che sia accordata una riduzione del valore nominale di esso.

«Per i debiti non ancora scaduti ed improduttivi di interessi, la valutazione è fatta sulla base del valore alla data del 28 marzo 1947, scontando l’importo nominale all’interesse composto del 5 per cento annuo, fino alla data di scadenza».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 17. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le aziende industriali e commerciali, comprese in esse quelle esercenti industrie agrarie di qualsiasi genere, si valutano nel loro complesso, tenuto conto dei vari elementi che le compongono, sulla base dei valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo testo proposto dalla Commissione vi è un emendamento dell’onorevole Bulloni, il quale propone di aggiungere il seguente comma:

«Nella valutazione delle aziende industriali e commerciali, ai sensi del comma precedente, si tiene conto anche dell’avviamento senza pregiudizio dell’assoggettamento del medesimo all’imposta sul reddito in conformità alla legislazione vigente in materia».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

BULLONI. Il mio emendamento è inteso a fissare una precisazione stabilita nell’ordinamento giurisprudenziale.

Con esso si vuole chiarire che l’avviamento è assoggettato a imposta patrimoniale e altresì, ogni qualvolta si verificano dei trasferimenti, anche alle altre imposte.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. In sede di Commissione abbiamo inteso includere tutti gli elementi dell’azienda, quindi anche l’avviamento. L’espressione è stata usata proprio in questo senso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che nell’emendamento dell’onorevole Bulloni dobbiamo configurare due concetti. Il primo afferma che l’avviamento costituisce elemento tassabile. Su questo punto siamo tutti d’accordo. E ricordo che in seno alle Commissioni di studio ed in seno alla Commissione di finanza, non si era fatto esplicito riferimento all’avviamento, perché questo si intendeva compreso nella concezione di valore globale dell’azienda.

C’è, però, un secondo concetto dell’emendamento Bulloni, ed è quello che afferma che l’avviamento, anche se colpito con imposta straordinaria sul patrimonio, successivamente, qualora venga realizzato, può essere colpito ancora col tributo mobiliare di categoria B, come reddito conseguito. Sono grato all’onorevole Bulloni che dà occasione di risolvere legislativamente una questione sorta attraverso ad una giurisprudenza che molti ritengono discutibile e che, in ogni caso, è a danno della Finanza. Secondo, infatti, una giurisprudenza creatasi dopo l’imposta straordinaria sul patrimonio del 1920, se in una azienda già si era colpito l’avviamento allo stato potenziale al 1° gennaio 1920, non poteva più questo avviamento essere colpito con il tributo mobiliare al momento in cui esso veniva realizzato.

Ad evitare le conseguenze dell’applicazione di questo concetto, che certamente sarebbe trasferito dal 28 marzo 1947 in avanti per tutti i trapassi di aziende, potrà giovare l’emendamento proposto dall’onorevole Bulloni, che il Governo, naturalmente, è pronto ad accettare.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. L’opinione della Commissione è che, essendo l’avviamento compreso nella formula generale, non è necessario aggiungere un altro emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Probabilmente ho reso male il pensiero del Governo e lo stesso onorevole Bulloni non si è soffermato molto ad illustrare la portata della seconda parte dell’emendamento.

Se non viene accolto questo emendamento, arriveremo a conseguenze di questa specie: azienda industriale X, avviamento valutato 2 milioni, colpito con imposta straordinaria sul patrimonio.

E fin qui, d’accordo. Ma se legislativamente non diciamo altro, può avvenire che, quando questa azienda venga trasferita, successivamente al 28 di marzo, e quell’avviamento venga realizzato, non possiamo più colpirlo con l’imposta di ricchezza mobile, che grava la realizzazione di tutti gli avviamenti come redditi una tantum. E non riusciamo più a colpirlo, perché si è consolidato, dopo l’imposta straordinaria sul patrimonio al primo gennaio 1920, il concetto giurisprudenziale per cui, se un avviamento è stato colpito da imposta sul patrimonio, non può essere più colpito dalla imposta sul reddito, in base ad argomentazioni che possono essere riassunte in questi termini: una volta considerato capitale, l’avviamento non può più essere considerato reddito.

Ora, su tale concezione la stessa dottrina è tutt’altro che concorde.

Detta giurisprudenza è a netto danno dell’amministrazione finanziaria e per questo prego di inserire in sede legislativa il concetto espresso dall’emendamento dell’onorevole Bulloni che vivamente ringrazio, perché permette di meglio difendere l’amministrazione finanziaria.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. L’indirizzo della giurisprudenza è quello che ha riferito l’onorevole Ministro; ossia: avvenuto il trasferimento dell’azienda e dovendosi applicare, all’atto di trasferimento, l’imposta di ricchezza mobile, viene ad essere individuato quale è l’avviamento dell’azienda in quel determinato momento in cui è avvenuto il trasferimento stesso. Ed allora se, precisamente come avvenne nel 1922, questo valore di avviamento, che è uno degli elementi dell’azienda – perché un’azienda non avviata evidentemente non è in esercizio – è già stato convertito in capitale, si potrà, nel trasferimento successivo dell’azienda, colpire l’avviamento cosiddetto successivo, ma non è ammissibile una seconda tassazione, che rappresenterebbe una non formale ma sostanziale duplicazione, e noi siamo contro il concetto della duplicazione.

La questione è vero che in dottrina è controversa, ma la giurisprudenza è pacifica, ed è stata pacifica quando si è applicata la legge del 1922 nel senso che, assoggettato alla tassazione dell’imposta patrimoniale del 1922 l’avviamento, successivamente, nel caso di trasferimento dell’azienda, si dovesse escludere il valore di avviamento. Ora, con l’emendamento proposto dall’onorevole Bulloni, si verrebbe ad applicare un concetto contrario, e cioè, percepita l’imposta sull’avviamento quale elemento essenziale dell’azienda, in applicazione della legge che ora stiamo discutendo, e poi successivamente trasferendosi l’azienda stessa, l’avviamento sarebbe di nuovo assoggettato alla imposta di ricchezza mobile.

Io credo che in sede di imposta straordinaria sul patrimonio, noi non ci dobbiamo preoccupare di queste cose. Lasciamo che l’accertamento dell’avviamento sia discusso e sia deciso in sede di ricchezza mobile, ed atteniamoci al testo del nostro articolo 17, laddove parla di aziende industriali e commerciali «nel loro complesso», cioè nel complesso di tutti i fattori che le costituiscono e quindi compreso l’avviamento, senza preoccuparci ora di ciò che potrà avvenire in materia di tassazione in sede di applicazione della imposta di ricchezza mobile.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi perdoni l’onorevole Presidente e mi perdoni l’Assemblea se faccio ancora perdere qualche minuto su questo argomento. L’onorevole Castelli Avolio ha perfettamente riassunto i termini della questione. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’avviamento, considerato capitale ai fini di una imposta sul capitale, non possa successivamente essere considerato reddito ai fini della imposta di ricchezza mobile. L’onorevole Castelli Avolio, particolarmente colto in questa materia, mi insegna però che la dottrina è tutt’altro che concorde e che questo indirizzo giurisprudenziale dal mondo dei contribuenti è stato considerato un vero e proprio regalo piovuto dal cielo. Ora, rinviare e non preoccuparci oggi della questione, perché si discute dell’imposta straordinaria sul patrimonio, e lasciare che l’accertamento dell’avviamento in sede di ricchezza mobile faccia il suo corso, significa – lo tenga presente l’Assemblea – la certezza che questi accertamenti non possono più essere fatti. E mi sembra che sarebbe ben più disarmonico provvedere con un decreto successivo, che non invece affrontare ora la materia.

Intende l’Assemblea aderire al concetto che l’avviamento, considerato allo stato potenziale in sede di tassazione di un patrimonio, non possa più essere materia di tassazione in sede di ricchezza mobile? Questo è il quesito che debbo portare davanti all’onorevole consesso. L’Assemblea, respingendo o accettando l’emendamento Bulloni, entra nel merito della questione e risponde a questa mia domanda. Era mio dovere prospettare la questione nei termini precisi.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Come l’Assemblea ha sentito dall’esposizione fatta dal Ministro e da quella del collega Castelli Avolio, la questione è di una delicatezza estrema. Ora, io non vorrei che questa questione, la quale non investe soltanto l’imposta sul patrimonio, ma investe anche l’imposta sul reddito, venga decisa senza un approfondito esame. Io mi preoccupo proprio del fatto che in questo momento noi accettiamo o respingiamo una certa tesi, senza che sia approfondita.

A me pare che sarebbe opportuno occuparci in questa sede soltanto dell’imposta sul patrimonio, lasciando impregiudicata la questione d’ordine generale sulla natura e la tassabilità dell’avviamento. Oggi la potremmo pregiudicare, perché credo che tutti siano, a incominciare da me, non ben preparati a risolverla. E correremmo il rischio di fare non gli interessi dell’Amministrazione, ma di andare contro l’Amministrazione stessa.

PRESIDENTE. In sostanza, questa è una proposta sospensiva.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Pregherei il Ministro di volersi attenere al parere quasi unanime della Commissione, risolvendo la questione, senza rinvio. Poiché per quanto riguarda l’avviamento, ai fini dell’imposta straordinaria, l’articolo ci sembra completo, la questione dell’avviamento in sede di ricchezza mobile può essere risolta a parte, con altro provvedimento legislativo.

Invece di rinviare la questione e di aumentare il numero degli articoli sui quali dobbiamo ancora decidere, pregherei il Ministro di prendere immediata decisione.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desideravo, prima di rivolgere una preghiera all’onorevole Bulloni, far presente che qui sono in discussione rilevanti interessi dell’Amministrazione finanziaria; non vi è dubbio che l’emendamento, che sto difendendo, significa possibilità per l’Amministrazione di percepire entrambe le imposte. Perciò, non vorrei che l’Assemblea potesse pensare che vi sia da fare una scelta tra l’una e l’altra imposta, per decidere, tenendo conto dei rispettivi gettiti. Vi può essere tuttavia perplessità circa l’interesse superiore della giustizia, ed in questo senso ammetto che si possa discutere.

Ora, siccome si configura la possibilità di risollevare la questione con separato provvedimento legislativo, io preferirei che l’emendamento non venisse respinto, perché la sua reiezione potrebbe assumere un significato ed uno spirito diversi da quelli che si potrebbero desiderare.

Ed è in questo senso che, ringraziando l’onorevole Bulloni di avere portato alla ribalta un argomento così importante, lo prego di non insistere sul suo emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Bulloni se intende ritirare il suo emendamento.

BULLONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’articolo 17 s’intende così approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 18. Se ne dia lettura nel testo ministeriale, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I buoni del tesoro ordinari si valutano per il loro importo nominale, con deduzione dello sconto dalla data del 28 marzo 1947 a quella della loro scadenza. Gli altri titoli emessi o garantiti dallo Stato si valutano in base alla quotazione media ufficiale del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947.

«Le azioni, obbligazioni, cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito quotato in borsa sono valutati in base alla media dei prezzi di compenso del semestre indicato nel comma precedente.

«I buoni postali fruttiferi sono valutati per l’importo nominale, con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947.

«I valori medi dei titoli quotati in borsa saranno rilevati in apposita tabella da approvarsi con decreto del Ministro delle finanze e tesoro».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti:

«Alla fine del primo comma, alle parole: del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, sostituire le seguenti: del trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947.

«Valiani, Valmarana, Dugoni»;

«Al penultimo comma, sopprimere le parole: con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947.

«De Vita».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di illustrare il primo emendamento, a nome dei firmatari.

DUGONI. Debbo premettere che l’emendamento, come è stato proposto, è leggermente incompleto, perché anche nel secondo comma noi dovremmo mettere l’indicazione dei prezzi di compenso dei trimestri indicati nel comma precedente; cioè allineare tutto l’articolo a questo emendamento.

Questo è un dettaglio tecnico, di formulazione; ma la ragione che ci ha indotto a proporre questo emendamento è stata determinata dall’andamento delle quotazioni di borsa successivamente al 28 marzo 1947. Dal 28 marzo – cioè dal giorno in cui è stata fissata la data della composizione del patrimonio agli effetti dell’imposta progressiva – noi abbiamo visto scatenarsi una delle più violente campagne borsistiche che si siano conosciute in Italia, con rivalutazione di capitali, aperture di sottoscrizioni a nuovi capitali, rivalutazioni dei cespiti costituenti le diverse aziende ecc. Io non ho sotto mano i dati, ma sta di fatto che noi siamo passati da 1700 – indice generale di borsa – a 2400 ed abbiamo avuto un aumento di circa il 45 per cento dei titoli quotati in borsa, subito dopo la fissazione del catenaccio della imposta patrimoniale.

Ora, molti dei nostri colleghi propendevano per uno spostamento della data, chiedendo che l’inventario dei beni appartenenti ai cittadini fosse fatto ad una data successiva al 28 marzo, appunto per colpire questa ondata speculativa che ne è derivata.

Il senso di giustizia, che deve animare il legislatore, ci ha trattenuto dallo spostare questa data. Il Governo aveva preso un impegno verso il Paese, e questo impegno andava rispettato. Noi abbiamo voluto mantenerlo; però, dal momento che alcune categorie di contribuenti hanno fatto una speculazione evidente su questa data, noi abbiamo il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per difenderci da questa speculazione successiva, e quindi, invece di prendere un periodo di riferimento di nove mesi, nel corso del quale per sei mesi le borse sono state molto stazionarie su valori bassi, abbiamo riportato agli ultimi tre mesi il periodo medio di valutazione, in modo da elevare il valore medio dei titoli che saranno compresi nella denuncia dell’imposta patrimoniale. È, sostanzialmente, un provvedimento contro gli speculatori e contro la speculazione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. L’emendamento soppressivo che ho proposto al penultimo comma dell’articolo 18, poggia su due considerazioni: la prima è che i buoni postali fruttiferi, nella stragrande maggioranza, appartengono a cittadini che non hanno un patrimonio superiore al minimo imponibile.

La seconda considerazione è che la soppressione da me proposta, incoraggerebbe gli investimenti di piccoli risparmi in buoni postali fruttiferi, cioè sarebbe, io ritengo, un vantaggio enorme per il Tesoro.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. L’emendamento Valiani è stato accettato dalla Commissione, tenendo conto dell’andamento del mercato azionario in questi ultimi mesi.

Io leggo gli indici del semestre, perché l’Assemblea possa valutare la portata dell’emendamento stesso.

La quotazione dei titoli azionari alla Borsa di Milano dall’ottobre in poi ha avuto questo andamento:

Nell’ottobre l’indice era di 748; nel novembre saliva a 1059; nel dicembre 1301.

Questo sarebbe il trimestre che noi sopprimeremmo. Nel gennaio l’indice è ripiegato a 1227; nel febbraio era di 1569; nel marzo 2376; nell’aprile 3354; nel maggio 3169.

Dopo il maggio non ho i dati; ma alla fine di giugno siamo andati molto giù.

Ora, riducendo i valori medi dal semestre al trimestre, noi alzeremmo la quota, quindi il valore medio, di circa 400 o 500 punti. Tuttavia questo valore medio rimarrebbe quasi la metà di quello che si è avuto nel trimestre dall’aprile al giugno; quindi è ancora una valutazione molto favorevole agli azionisti. E questo spiega perché l’integrazione di tassazione attraverso gli enti collettivi serva un po’ a correggere quella che è la difficoltà che incontriamo, di valutare il patrimonio azionario secondo i corsi che si sono manifestati dopo la data del 28 marzo.

La Commissione ha esaminato una proposta che voleva spostare la data in cui si accertavano i patrimoni; ma all’unanimità non ha ritenuto di fare questo, perché il Governo aveva preso un impegno.

Però, per ragioni, direi, di giustizia tributaria e per ragioni di perequazione del trattamento fatto alla proprietà mobiliare ed a quella immobiliare, la Commissione ha ritenuto di accettare la riduzione dal semestre al trimestre, perché i valori della proprietà immobiliare non hanno seguito l’andamento dei valori mobiliari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Pella, Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. In linea di massima, l’Amministrazione dovrebbe essere contraria a sistemi di valutazione che comportino medie di valori su periodi troppo ristretti.

Tale concetto, di ordine generale, dovrebbe portare alla conseguenza di respingere l’emendamento proposto. Però non posso farmi carico delle considerazioni svolte dall’onorevole Dugoni e dall’onorevole Relatore. Per questo mi rimetto senz’altro al parere della Commissione e al giudizio dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a proposito dell’emendamento De Vita.

LA MALFA, Relatore. La Commissione conviene che l’emendamento De Vita può favorire i piccoli risparmiatori, anche perché, se non erro, gli interessi dei buoni postali fruttiferi maturano e sono percepibili dopo un certo periodo. Il solo inconveniente che presenta l’attuazione della proposta è dato dalla circostanza che, se si sono accumulati molti interessi sui buoni, si finisce col fare a tali titoli un trattamento di favore.

Comunque, in linea di massima, la Commissione accetta l’emendamento.

PRESIDENTE. Invito il Governo a esprimere il proprio avviso.

PELLA, Ministro delle finanze. La proposta dell’onorevole De Vita non è molto ortodossa alla luce di una giustizia pura, perché bisognerebbe effettivamente considerare tale rateo di interessi per determinare il valore del capitale al 28 marzo. Però, per la considerazione che si tratta di modesti portatori di titoli e, in ogni caso, di un settore nel quale è bene dare qualche prova di benevolenza, aderisco all’emendamento.

PESENTI. Chiedo di parlare.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Pesenti.

PESENTI. L’emendamento proposto e accettato dalla Commissione e dal Governo riguardo alla media del trimestre anziché del semestre è frutto di un compromesso che io intendo ancora illustrare, perché esso ha una importanza molto rilevante. Una proposta era stata fatta da alcuni membri della Commissione – fra l’altro, da me e dall’onorevole Scoccimarro – e intendeva, come già è stato detto, spostare il termine, di imposizione e di valutazione dei beni del patrimonio del contribuente stabilito dall’articolo 1 della legge dal 28 di marzo al 30 di giugno. E questo non soltanto per una questione di valutazione di beni. Ciò avrebbe portato come conseguenza lo spostamento anche del semestre dal periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 al periodo 1° gennaio-30 giugno 1947, il che, come è stato possibile rilevare anche poco fa dalle cifre degli aumenti delle quotazioni di Borsa, avrebbe condotto a una diversa valutazione del patrimonio dei singoli contribuenti, questione questa di grande importanza specie se, come il Governo sembra consentire, si addivenisse anche alla tassazione del patrimonio degli enti collettivi.

Ma non si sarebbe trattato soltanto di una diversa valutazione del patrimonio imponibile con lo spostamento del termine indicato dall’articolo 1 della legge, ma anche di una più esatta valutazione della entità del patrimonio dei singoli contribuenti, cioè di quali cespiti fanno parte del patrimonio. Noi sappiamo, per esempio, che, se è vero che la legge elenca – all’articolo 33 – tutti i cespiti soggetti a tassazione ed indica fra questi anche le azioni e le obbligazioni, i depositi, nonché la moneta posseduta dal contribuente, noi sappiamo che questa elencazione è soltanto formale, perché sostanzialmente l’accertamento di questi cespiti mobiliari non è agevole. A questo proposito, noi presenteremo degli emendamenti perché sia reso più agevole anche questo accertamento, ma è certo che tutta la ricchezza mobiliare che noi abbiamo visto poi apparire alla ribalta in occasione della rivalutazione di capitali, della emissione di azioni gratuite che sono state distribuite tra i soci, tutta questa ricchezza, dicevo, che noi abbiamo visto apparire e che effettivamente esisteva anche prima al 28 di marzo sia pure presso altri contribuenti, difficilmente potrebbe essere colpita. Spostando invece i termini dell’accertamento alla data del 30 giugno, tutta questa ricchezza sarebbe apparsa alla luce, in quanto che molte società avevano già, a quella data, emesso delle azioni gratuite e compiuto l’aumento di capitale.

È perciò con rammarico che noi abbiamo accettata la decisione della Commissione di giungere ad un compromesso, e di accettare come valutazione il trimestre dal gennaio al marzo del 1947, ferma tenendo la data dell’accertamento del patrimonio del contribuente quale era al 29 marzo.

Io credo, in questo momento, di riproporre all’attenzione dell’Assemblea la possibilità, pur mantenendo ferma la data dell’accertamento riguardo al contribuente del 29 marzo, di spostare la valutazione non al trimestre 1° gennaio-31 marzo 1947, ma al semestre 1° gennaio-30 giugno del 1947.

Si dirà, forse, che questo è un contravvenire ai sani principî, in quanto che il patrimonio del contribuente deve essere valutato come termine ultimo alla data in cui egli è soggetto all’obbligo dell’imposta. Però, considerando che anche la valutazione dei titoli azionari, in questo caso, del giorno, sconta anche quello che è l’andamento futuro del titolo azionario, considerando che se noi vogliamo fare un punto medio, bisogna tener conto non soltanto del passato, ma anche del futuro, non trovo così contro alla logica il fatto che la valutazione, per esempio, dei titoli azionari, sia fatta in base alle quotazioni di tutto il semestre dal 1° gennaio al 30 giugno.

Perciò sottopongo questo, che può essere un emendamento, al giudizio dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Se vuole presentare un emendamento, onorevole Pesenti, la invito a farmelo pervenire.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Intendevo dire le stesse cose dette ora dall’onorevole Pesenti.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Tosi, membro della Commissione.

TOSI. Onorevoli colleghi, l’onorevole Pesenti ha accennato ad un compromesso. Mi vorrà perdonare se mi esprimo contro di lui. C’è un errore che vorrei far rilevare, ed è questo: fin qui si è parlato di un’intesa sui titoli azionari e obbligazionari. L’emendamento che esaminiamo si riferisce invece ai titoli di Stato.

LA MALFA, Relatore. È un errore.

TOSI. Pregherei perciò di lasciare il semestre al primo comma, per quello che riguarda i titoli di Stato; e pregherei l’onorevole Dugoni…

PALLASTRELLI. I membri della Commissione non potevano mettersi d’accordo prima?

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, non interrompa.

TOSI. Il trimestre 1° gennaio 31 marzo 1947, dovrebbe valere per i titoli azionari ed andrebbe sostituito nel secondo comma alle parole: «semestre indicato al comma precedente».

Se l’onorevole Dugoni accetta questa modifica, non avrei altro da dire.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono contrario all’emendamento relativo all’accertamento dei valori per un solo trimestre, e, quindi, voterò per il testo che precedentemente era stato proposto dal Governo ed accettato dalla Commissione.

Indipendentemente dalla soluzione che daremo al problema della tassazione degli enti collettivi, io trovo che prendere un trimestre a base di un accertamento di valori, quando questo trimestre presenta non un andamento normale, ma un andamento particolarmente delicato, per influenze di fattori che sono estranei ai problemi di patrimonio in sé e per sé, costituisce un errore di tecnica finanziaria.

Non dobbiamo confondere la speculazione con la massa di coloro che possiedono i titoli azionari. La speculazione di Borsa concerne una piccolissima frazione dei titoli azionari: è appena l’1 per cento al mese che cambia di mano, e lo speculatore che si vorrebbe colpire accorciando il periodo di formazione della media è quello che non sarà colpito, perché lo speculatore in borsa ha pochissimi titoli in portafoglio e quei pochi che ha li compra e vende per guadagnare sulle differenze dei corsi. Noi veniamo ad introdurre un criterio di determinazione del capitale che forma la base imponibile dell’imposta per tanta gente che con la Borsa non ha niente a che fare, e che ha comprato i titoli senza nessun riferimento ai valori correnti.

Per me vi è un problema su questo punto, e non è tanto rispetto al passato quanto rispetto all’avvenire; ed è questo che mi turba. Quando noi dobbiamo risolvere il problema del periodo in cui i valori devono essere accertati, siamo proprio convinti che i valori di Borsa media del semestre ottobre-marzo, del trimestre gennaio-marzo, del semestre gennaio-giugno (come vorrebbe l’onorevole Pesenti) corrispondano ad una realtà di valore patrimoniale? Io vi confesso sinceramente che ho molti dubbi su questo punto.

SCOCCIMARRO. Ma neanche per un terreno o per un fabbricato!

CORBINO. No; sui terreni e sui fabbricati abbiamo degli elementi che attenuano l’ampiezza delle oscillazioni, tanto è vero che non abbiamo quotazioni di Borsa dei terreni e dei fabbricati. Abbiamo invece quotazioni di Borsa per i valori industriali, perché sono quei valori su cui le influenze di carattere economico, che derivano da particolari situazioni anche psicologiche o da altri fattori, si possono esercitare con maggiore facilità.

Noi abbiamo oggi saggi di capitalizzazione dei valori industriali che vanno da 0,10 a 0,90 per cento. Che cosa significa questo? Significa o che i valori sono per lo meno quattro volte superiori a quelli che dovrebbero essere se si capitalizzasse un reddito certo, o queste quattro volte in più non sono che la copertura del rischio di una svalutazione monetaria.

E allora è evidente che se la svalutazione monetaria non avverrà (come ci auguriamo), i valori azionari si dovranno adeguare al reddito e dovranno necessariamente perdere una parte delle quotazioni che in questo momento noi consideriamo come acquisite agli effetti della determinazione dell’imposta.

Sono inconvenienti ai quali non si può sfuggire con nessuna delle soluzioni prospettate. Si tratta di scegliere la soluzione relativamente meno sfavorevole rispetto a tutti gli elementi che sono in giuoco; e perciò io mi attengo alla soluzione che era stata prospettata dal Governo e che era stata accettata dalla Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Vorrei prima di tutto dire che sarei disposto ad accettare la modifica al mio emendamento proposta dall’onorevole Tosi, se questo non costituisse un danno per i portatori di titoli a reddito fisso, perché gli indici di Borsa – per i valori a reddito fisso – del trimestre gennaio-marzo sono inferiori di poco, ma sono inferiori, alla media del semestre 1° luglio 1946-31 dicembre 1946.

Quindi, se l’onorevole Tosi insiste, lo possiamo fare. Ma questo in definitiva si risolve in un danno per i portatori di titoli a reddito fisso.

In secondo luogo volevo osservare all’onorevole Corbino che non è possibile correre dietro al valore dei beni economici in un periodo d’inflazione. Su questo punto siamo perfettamente d’accordo; non c’è norma possibile che permetta veramente di colpire i beni per il valore che hanno in quell’istante, ma in quell’istante determinato, nel corso dell’inflazione. Però, noi dobbiamo cercare di avvicinarci il più possibile a questi valori e soprattutto quando abbiamo un mercato ideale che riflette nel miglior modo possibile il valore rappresentato da determinati beni, come dovrebbe essere il mercato borsistico.

Quello che l’onorevole Corbino ha detto circa la mancanza di un consimile metro per i beni immobili è proprio l’arma migliore che possiamo avere per credere che noi siamo sulla strada giusta, che cioè, proprio perché abbiamo un indice elastico quotidiano delle mutazioni di certi valori mobiliari o delle valutazioni che fanno gli operatori di questi valori, noi dobbiamo andare il più vicino possibile al momento in cui dobbiamo fissare il patrimonio del contribuente. Direi quasi che avremmo potuto prendere il valore di Borsa del 28 marzo. Sarebbe stata in un certo senso la misura più giusta. Ma certo è che portando ad un trimestre, mantenendo ferma la nostra proposta, noi diamo prova di equanimità e verso il contribuente e verso lo Stato. Non possiamo infatti dimenticare che ci sono necessità alle quali dobbiamo far fronte in tutti i modi possibili.

Questa è la mia opinione, e per questo credo di dover mantenere l’emendamento presentato da me e degli onorevoli Valiani e Valmarana.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei brevemente rispondere ad un’osservazione giusta dell’onorevole Corbino. In materia di valutazione di titoli, il termine di tre mesi, da un punto di vista tecnico, è troppo breve, e per questo approvo che sia portato a sei mesi, però non all’indietro ma in avanti, non dall’ottobre al marzo, ma dal gennaio al giugno 1947.

È vero che in questi sei mesi ci sono state speculazioni in Borsa e anch’io ne ho parlato largamente, ma non c’è stata soltanto speculazione. Accanto al fenomeno speculativo c’è stato pure un processo di rivalutazione di aziende, di aumenti di capitali, insomma un processo che non è speculativo. Si è compiuta una revisione di valori che non sono puramente fittizi e, pertanto, destinati a sgonfiarsi per tornare al giusto equilibrio. Ci si è avvicinati, insomma, a quello che è il valore reale dei titoli azionari. Il mutamento di valori azionari avvenuto nel semestre gennaio-giugno ha perciò un duplice aspetto; uno speculativo che dà luogo ad inflazione di valori destinati a sgonfiarsi, ed a ritornare al loro livello normale; e l’altro di adeguamento di valori derivanti da rivalutazione di aziende, aumento di capitali, ecc., che segna una nuova posizione di equilibrio. I nuovi valori potranno avere delle oscillazioni, ma si consolideranno ad un livello più elevato. Infatti che cosa è avvenuto? Molti titoli sono aumentati del 100, 200, 300 per cento; qualcuno ha avuto qualche oscillazione in meno in questi ultimi mesi, però tutti sono ben lungi dal ritornare ai valori del dicembre 1946. Oramai ne sono lontanissimi. Per un criterio di giustizia noi vogliamo che la ricchezza che si esprime in titoli azionari venga colpita con gli stessi criteri con i quali colpiamo la ricchezza immobiliare. Dobbiamo adeguare i termini di valutazione in rapporto a questo semestre gennaio-giugno 1947. Se in avvenire si constaterà che c’è qualche cosa di artificioso in questi valori per cui questo provvedimento rischia di divenire eccessivamente gravoso per i possessori di titoli azionari, il Governo che sorveglia l’andamento della situazione economica ed i riflessi che l’imposta straordinaria ha su di essa, può sempre intervenire con provvedimenti integrativi.

Dando la mia adesione all’emendamento Dugoni con la proposta di estendere il trimestre al semestre, noi correggiamo almeno in parte l’errore di aver lasciato la data del 28 marzo per l’accertamento dei patrimoni. So che i colleghi la pensano diversamente. Ma io penso che per un atto di giustizia avremmo dovuto spostare quella data dal 28 marzo al 30 giugno. Non lo si è fatto; correggiamone almeno le conseguenze negative. Le ragioni dei lavori degli uffici sono di scarso valore: quando una cosa occorre farla, la si fa anche se implica un certo lavoro in più negli uffici. Per le ragioni esposte propongo il semestre gennaio-giugno come termine di valutazione dei valori. Se questa proposta non sarà accolta approverò l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ripeto che la Commissione nella sua maggioranza, anzi all’unanimità, presi in considerazione tutti gli elementi, si era fermata al trimestre 1° gennaio-31 marzo 1947. Molte delle argomentazioni dell’onorevole Corbino sono esatte e devono preoccupare l’Assemblea: noi non possiamo fissare l’imposta su dei valori estremamente mutevoli, perché altrimenti daremmo all’imposta una base di irrealità. Tuttavia, dato l’andamento del corso dei titoli azionari, è apparso alla Commissione che si potesse arrivare a considerare quel trimestre come un periodo rappresentativo di un valore sufficientemente capace di garantire anche i diritti degli azionisti: cioè le azioni effettivamente scontano una svalutazione monetaria, ma non si sono ancora adeguate al corso stesso dei prezzi nel campo dei prodotti alimentari e di altri prodotti. Ora l’hanno scontata molto di più dopo il 28 marzo, indubbiamente. Noi abbiamo avuto delle oscillazioni nell’ultimo periodo, ma si può considerare che le azioni non ritorneranno mai ad una base tanto lontana dal livello generale dei prezzi, da far ritenere il trimestre scelto come lontano dalle condizioni reali del mercato.

L’emendamento presentato dai colleghi Scoccimarro e Pesenti mi sorprende, perché avevamo esaminato anche la proposta di estendere al semestre l’accertamento dei valori delle azioni e l’avevamo esclusa: accertare valori al di là della data in cui si stabiliscono le consistenze patrimoniali, è una contraddizione in termini. Il termine ultimo è quello nel quale il contribuente deve dichiarare il suo patrimonio. Se portiamo i valori nel futuro possiamo arrivare a conseguenze assai gravi.

Credo perciò poter esprimere parere contrario all’emendamento presentato dai colleghi onorevoli Scoccimarro e Pesenti, ed insisto per l’accettazione dell’emendamento presentato dalla Commissione.

La questione sollevata dall’onorevole Tosi ha effettivamente rilievo.

Abbiamo considerato il mercato dei titoli azionari e non abbiamo considerato la situazione degli altri titoli. Tuttavia accetto per questi altri titoli il trimestre gennaio-marzo. Quando il mercato azionario va su, il mercato delle obbligazioni e dei titoli di Stato è depresso; se accettiamo il nuovo trimestre per l’accertamento dei valori facciamo condizioni più favorevoli ai possessori di redditi fissi, maggiormente colpiti dall’imposta.

Il trimestre si può adottare, per tutte le quotazioni di Borsa, anche per i portatori di titoli a reddito fisso, i quali guadagnano da una valutazione più bassa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Aderisco alle considerazioni fatte dall’onorevole Relatore.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, mantiene il suo emendamento?

DUGONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Scoccimarro e Pesenti, mantengono il loro emendamento?

SCOCCIMARRO. Lo manteniamo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento Scoccimarro-Pesenti, con il quale si propone di sostituire alle parole: «1° ottobre 1946-31 marzo 1947», le altre: «1° gennaio 1947-30 giugno 1947».

Ricordo che su questo emendamento il Governo e la Commissione hanno espresso parere contrario.

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’emendamento degli onorevoli Valiani, Valmarana e Dugoni i quali propongono di sostituire alle parole: «del semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947», le altre: «del trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947».

Questo emendamento è accettato dal Governo e dalla Commissione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro, perché mi pare assurdo e non equo prendere come base di quotazione solo un trimestre.

(L’emendamento è approvato).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 12.20).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Vorrei rilevare che, in seguito all’approvazione dell’emendamento testé avvenuta, si dovrà – per il necessario coordinamento – tener presente che al secondo comma dovrà dirsi: «dei prezzi di compenso del trimestre indicato nel comma precedente», invece «del semestre».

PRESIDENTE. È giusto. Pongo ai voti la modifica proposta al secondo comma dell’onorevole Dugoni.

(È approvata).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole De Vita al penultimo comma, soppressivo delle parole:

«Con l’aggiunta degli interessi maturati alla data del 28 marzo 1947».

Nell’assenza dell’onorevole De Vita, l’onorevole De Mercurio dichiara di fare proprio l’emendamento e di mantenerlo.

Ricordo che l’emendamento è accettato dalla Commissione e dal Governo. Lo pongo ai voti.

BUBBIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento, nella prevalente considerazione della natura di questi cespiti, in cui tanti risparmiatori hanno avuto fiducia, che la pubblica finanza ha interesse di mantenere inalterata. Aggiungasi che tali titoli non sono compresi in quelli contemplati dall’articolo 25, con conseguente doppia tassazione in fatto; cioè la prima sul loro effettivo importo e la seconda per la mancata possibilità di comprendere il loro importo nella percentuale fissata dal predetto articolo in conto del denaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore.

(L’emendamento De Vita è approvato).

PRESIDENTE. L’articolo 18 si intende approvato con gli emendamenti testé accolti dall’Assemblea.

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in Borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, accertati con la procedura relativa all’imposta di negoziazione.

«Quando si tratti di quote di partecipazione, in società non soggette all’imposta di negoziazione il valore è determinato valutando il patrimonio della società, ai sensi del precedente articolo 17, e ripartendone l’importo tra i soci in proporzione alle quote di spettanza di ciascuno».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Sull’articolo 19 proporrei un rinvio, di cui desidero brevemente spiegare le ragioni.

PRESIDENTE. Credo che l’Assemblea sarà d’accordo nel rinviare. Comunque do la parola all’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Sull’articolo 19, se non sbaglio, vi sono due emendamenti. Vi è un emendamento Foa-Pesenti-Scoccimarro che tende a cambiare il criterio di valutazione per i titoli non quotati in Borsa, trasferendo la valutazione dal titolo all’azienda. Ora, su questo problema la Commissione si era pronunciata. Aveva lungamente discusso e aveva mantenuto ferma la valutazione dei titoli invece delle aziende. La valutazione di queste ultime sarebbe infatti di estrema difficoltà per gli uffici finanziari.

PRESIDENTE. Ritengo che il Governo voglia proporre un rinvio, perché questo articolo 19 è connesso con la questione degli enti collettivi.

TOSI. È connesso con un provvedimento approvato due giorni fa.

LA MALFA, Relatore. Se permette, onorevole Presidente, vorrei chiarire. La Commissione si è preoccupata del sistema di valutazione di questi titoli ed ha chiesto al Governo che studiasse un provvedimento tale da perfezionare tale valutazione ai fini dell’applicazione dell’imposta di negoziazione. Poiché il Governo ha adottato un provvedimento che verrà esaminato dalla Commissione, non credo si debba sospendere l’approvazione dell’articolo. Possiamo approvare l’articolo 19 che resta integrato con il provvedimento che il Governo manderà alla Commissione. Non rimarrebbe perciò altro problema che quello della media, e a questo riguardo la Commissione potrebbe accettare l’emendamento De Mercurio.

Pregherei, quindi, il Ministro, se non ha altre ragioni di rinvio, di permettere l’approvazione dell’articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Ringrazio l’onorevole Relatore. La richiesta di rinvio dipende da questo; è esatto che è stato approvato nel Consiglio dei Ministri di ieri mattina il nuovo provvedimento che modifica le norme di valutazione di titoli e quote soggetti alla imposta di negoziazione, non quotati in Borsa, provvedimento su cui il Consiglio dei Ministri della settimana scorsa già aveva dato il suo benestare di massima. Con questo provvedimento – è bene che l’Assemblea ne conosca gli estremi – si adottano, oltre ad alcune disposizioni di minore importanza, due ordini di provvidenze di maggiore portata. Primo ordine: innovazioni nella composizione degli organi chiamati a valutare. In luogo del Comitato direttivo che era emanazione unicamente del settore agenti di cambio, senza che l’Amministrazione finanziaria vi avesse suoi rappresentanti diretti con potere deliberativo, si istituisce un collegio giudicante, quindi con funzioni giurisdizionali, composto in parte da rappresentanti diretti dell’Amministrazione finanziaria, e in parte da membri designati dal Comitato direttivo degli agenti di cambio. Contro la determinazione del valore fatto dal collegio di primo grado, è ammesso l’appello ad un collegio centrale di secondo grado, formato in parte da rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria e di altre pubbliche amministrazioni, ed in parte da tecnici nominati con le necessarie cautele. Questo per quanto riguarda gli organi chiamati alla valutazione.

Per quanto attiene ai criteri di valutazione, si riafferma, in sede legislativa, quanto già faceva parte della prassi amministrativa, che cioè la valutazione debba essere diretta ad accertare il valore venale effettivo dei singoli cespiti patrimoniali.

Il provvedimento tende ad evitare che, indipendentemente dalla diligenza e dalla buona volontà degli organi di valutazione, si possa attraverso società fittiziamente modeste, far valutare in misura inadeguata, patrimoni che spesso sono di portata notevolissima.

In questo provvedimento avrebbe dovuto trovar posto anche una disposizione speciale, relativa alle valutazioni ai fini della imposta straordinaria sul patrimonio.

Poiché, peraltro, il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri in primo luogo era ed è diretto a salvaguardare il gettito della imposta ordinaria di negoziazione, per ragioni di tecnica legislativa si è ritenuto opportuno che la parte relativa alla valutazione ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, venga trasferita nel provvedimento che è in esame, in quanto si tratta di norma o di complesso di norme di portata transitoria, che esauriscono la loro funzione con l’esaurirsi dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

E questa è la vera ragione della richiesta di rinvio.

Io ho qui con me il testo dell’emendamento governativo all’articolo 19, ma siccome so che non sarebbe molto simpatico da parte mia distribuirlo in questo momento, la richiesta di rinvio ha anche lo scopo di poter trasmetterne il testo alla Commissione.

L’emendamento ha lo scopo di assicurare che nei riguardi delle società, per le quali nella forma si provvede a valutare il titolo, ma nella sostanza si vuole valutare il patrimonio, la valutazione abbia luogo con quegli stessi precisi criteri che saranno adottati ai fini della valutazione di aziende analoghe, di proprietà dei così detti contribuenti privati: sicché più non debba verificarsi la disarmonia di una valutazione diversa di due aziende di pari dimensioni, per il semplice fatto che l’una appartiene ad una società per azioni e l’altra ad una società in nome collettivo o ad una singola persona fisica.

Questa è la portata dell’emendamento che mi onorerò consegnare al Presidente dell’Assemblea ed al Presidente della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro, la Commissione è d’accordo nel rinviare l’articolo 19.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta stabilito che l’articolo 19 è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’esame dell’articolo 20. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I titoli esteri sono valutati in base alla media delle quotazioni ufficiali nel luogo di emissione, o, in mancanza di tali quotazioni, in base ai valori correnti di mercato del luogo di emissione, nel periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, rapportando il valore così determinato a quello corrispondente al valore in lire italiane, sulla base del cambio corrente alla data del 28 marzo 1947, che sarà rilevato in una tabella da approvarsi con decreto del Ministro delle finanze e tesoro».

PRESIDENTE. Su questo testo non sono stati presentati emendamenti e pertanto l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 21. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Tutti i cespiti, non specificati negli articoli precedenti, si valutano in base alla media dei valori del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’esame dell’articolo 22. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Dall’ammontare lordo del patrimonio complessivo sono ammessi in detrazione:

  1. a) tutti i debiti a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza alla data del 28 marzo 1947. Per i debiti contratti dopo il 10 giugno 1940 o che non abbiano data certa, la detrazione è subordinata alla dimostrazione del loro impiego;
  2. b) la somma corrispondente alla capitalizzazione, fatta a norma dell’articolo 15, dei censi, canoni, livelli ed altre prestazioni previste nell’articolo stesso;
  3. c) le somme corrispondenti al valore degli usi civici e di ogni altro onere reale gravante sui cespiti facenti parte del patrimonio del contribuente;
  4. d) tutte le imposte, tasse e contributi a favore dello Stato, provincie, comuni ed altri enti autorizzati per legge ad imporre tributi obbligatori, riferentisi al periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947 ed ancora dovuti a tale data».

PRESIDENTE. Su questo articolo, l’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Alla lettera d), dopo le parole: tutte le imposte, tasse e contributi a favore dello Stato, aggiungere le parole: compresi i contributi di bonifica».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Dirò pochissime parole. A carico dei proprietari c’è un contributo del 12,50 per cento per l’esecuzione delle opere di bonifica. Penso che sia opportuno precisare che anche questo contributo, naturalmente limitatamente alla quota dovuta ancora alla data del 28 marzo 1947, sia da detrarsi dal valore del patrimonio.

LA MALFA, Relatore. Ma questo concetto è implicito nella dizione della Commissione. È preferibile lasciare la disposizione così come è. La Commissione è contraria all’emendamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio notare che, se mai, l’emendamento dovrebbe riferirsi all’alinea a), perché costituisce un debito per il futuro, mentre l’alinea d) si riferisce ad imposte per il periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Se dovessi esprimere il mio pensiero sull’articolo 22, dovrei dire che, a mio avviso, la enunciazione contenuta nei comma a), b), c), d) non avrebbe ragione di essere. Affermato il principio che deve essere tassato il patrimonio netto, evidentemente devono essere ammessi in detrazione tutti i debiti, liquidi e non liquidi, certi e non certi, salvo naturalmente l’esame di queste diverse passività ai fini di accertarne la reale esistenza.

Quindi, la elencazione dell’articolo 22 non può che essere una elencazione esemplificativa, e, così stando le cose, non avrebbe ragione di essere la preoccupazione dell’onorevole Rescigno, nel senso che, se esistono altre passività oltre a quelle tassativamente indicate – purché si tratti di passività inerenti al patrimonio, gravanti il patrimonio al 28 marzo 1947, anche se liquidate posteriormente – sono senza dubbio detraibili.

Desidero, quindi, pregare l’onorevole Rescigno di non insistere nel suo emendamento, perché la casistica troppo spinta, finisce, troppo spesso, per snaturare il carattere esemplificativo della elencazione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Rescigno se, dopo le dichiarazioni del Governo, mantiene il suo emendamento.

RESCIGNO. Lo ritiro.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei chiedere un chiarimento al Governo sulla portata della lettera d) dell’articolo 22. In questo comma si dice: «tutte le imposte, tasse e gravami a favore dello Stato, provincie, comuni ed altri enti autorizzati per legge ad imporre tributi obbligatori, riferentisi al periodo anteriore alla data del 28 marzo 1947, ed ancora dovuti».

Io vorrei sapere con precisione che cosa importa la norma, Perché i casi sono due: o le imposte riferentisi al periodo anteriore al 28 marzo 1947 sono state pagate e non si detraggono; o non sono state pagate e si detraggono. È vero che trattasi di un debito del contribuente sorto prima dalla data di riferimento, ma mi pare che si faccia un trattamento di disparità, perché, mentre colui che ha pagato regolarmente le imposte ordinarie non ha nessun beneficio, il contribuente moroso, ha un premio per la sua inadempienza. L’osservazione non sembrerà irrilevante, se si pone mente che le imposte ordinarie si pagano col reddito. La natura del debito autorizzerebbe la indetraibilità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. La portata della lettera d) è questa: detrazione delle imposte, tasse, contributi che alla data del 28 marzo 1947 siano ancora da pagare che, cioè, rappresentino un debito. E mi perdoni l’onorevole Scoca, perché non vorrei che si arrivasse alla conclusione che penalizziamo quelli che hanno pagato.

Quelli che hanno pagato hanno già visto uscire dal patrimonio la relativa attività, e, quindi, non c’è più attività e nemmeno il debito; quelli che devono pagare hanno un debito da ammettere in detrazione. E molti si trovano in queste condizioni, perché purtroppo parecchie imposte, principalmente di natura straordinaria, sono ancora largamente arretrate, nonostante la buona volontà degli uffici. Abbiamo l’imposta sugli utili di guerra, l’avocazione degli utili di guerra, l’avocazione dei profitti di speculazione, l’avocazione dei profitti di regime, che rappresentano altrettanti debiti esistenti, ma spesso ancora da liquidare.

La lettera d) è da interpretarsi come pleonastica, rispetto all’affermazione generica che tutti i debiti sono detraibili; ma, in ogni caso, non può che riferirsi a imposte, tasse e contributi ancora da pagare.

Questo è il chiarimento, in sede interpretativa, perché non vorrei che si pensasse che si possa ammettere una detrazione di imposte già pagate.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 22 si intende approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI. Segretario, legge:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti.

«Per i crediti derivanti da rapporti con imprese commerciali e sempre che si tratti di atti inerenti all’esercizio dell’impresa, la esistenza del debito può venire provata in base alle scritture contabili dell’impresa creditrice regolarmente tenute.

«Quando si tratti di rapporti con aziende di credito indicate alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141, ed al regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito nella legge 7 aprile 1938, n. 636, la esistenza del debito può essere provata in base agli estratti dei saldi conti, certificati conformi alle scritturazioni da uno dei dirigenti dell’istituto».

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato un emendamento soppressivo dell’intero primo comma. Ha facoltà di illustrarlo.

BOSCO LUCARELLI. A me pare che il principio affermato in questo comma sia molto grave, perché, per colpire una inadempienza fiscale, si verrebbe a dichiarare inesistente a tutti gli effetti giuridici – anche fra le parti – il rapporto giuridico interceduto tra un creditore e un debitore.

Ora, che di fatto si colpisca con una penalità il contribuente che non fa la dichiarazione esatta, lo comprendo perfettamente e l’ho riscontrato anche in altri articoli della legge. Ma che da questa inadempienza fiscale si voglia arrivare ad una dichiarazione di inesistenza di un rapporto giuridico, mi pare sia cosa molto grave, che è stata anche criticata altre volte che ha avuto la sua attuazione in provvedimenti fiscali.

Quindi, penso che questo comma vada soppresso: chi non fa la denunzia incorre in penalità, contravvenzioni che sono contemplate in altra parte del progetto di legge; ma non si può assolutamente, per una questione fiscale, mettere in nulla un rapporto giuridico avvenuto fra le parti. Questo a me pare un principio molto grave e penso che non possa essere affermato nella legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Volevo far presente che l’espressione dell’articolo 23 è abbastanza chiara; data l’esistenza di un debito, se questo è denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, ma è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti. Qual è dunque la vera portata di questa disposizione? Io, debitore, verso l’onorevole Bosco Lucarelli di una determinata somma, indico come passività detraibile dal mio patrimonio la somma che devo all’onorevole Bosco Lucarelli, se effettivamente io sono debitore verso di lui della somma: è questo un controllo necessario per non permettere improvvisazioni di debiti.

Se l’onorevole Bosco Lucarelli, per considerazioni che non riuscirei ad immaginare in questo momento, in quanto si tratterebbe di vero autolesionismo, ritiene di negare la esistenza del suo credito, io sono allora liberato dal pagamento nei suoi confronti.

Una voce al centro. Paga l’imposta e non paga il debitore.

PELLA, Ministro delle finanze. Pago l’imposta e non pago il debitore. Debbo, però, ammettere di essere stato inesatto quando ho accennato ad un autolesionismo di cui non so vedere la ragione; ci può essere invece qualche circostanza che suggerisca di nascondere una determinata attività. Si noti bene, comunque, che il diniego del creditore non immobilizza la finanza nei confronti del creditore stesso. È una prima sanzione per impedire la collusione fra debitore e creditore; ma la Finanza ha ancora mani libere per andare alla scoperta di tutta la verità.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, dopo i chiarimenti dell’onorevole Ministro, mantiene il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo ritiro.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Rilevo che il Ministro si è preoccupato del debitore e del creditore, ma non si è affatto preoccupato del terzo sequestrante o pignorante che può avere alle volte interessi anche superiori a quelli della Finanza ed evidentemente anche del debitore e del creditore che hanno potuto colludere fra di loro.

PELLA, Ministro delle finanze. Si potrebbe aggiungere: «fermi restando i diritti dei terzi».

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Condividendo in pieno l’esattezza delle considerazioni fatte dall’onorevole Ministro e l’opportunità della disposizione, mi rendo conto però anche della giustezza del rilievo fatto dall’onorevole Caroleo. Proporrei pertanto che si adottasse la seguente formula: «è dichiarato inesistente a tutti gli effetti fra le parti, salvo il diritto dei terzi».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare che questo inciso annulla completamente il valore dell’articolo, perché qualsiasi persona che si presenti come terzo va dall’onorevole Ministro Pella e si fa pagare quella somma che ha diniegato prima di dovere all’onorevole Bosco Lucarelli. E in questa maniera ci troviamo a frodare il fisco.

LA MALFA, Relatore. E il terzo paga.

DUGONI. No, il terzo non paga perché non ha denunziato. Diventa allora una posizione incredibile, tantoché non vi può essere altro che tagliare la testa al toro, dicendo semplicemente: «Ne è negata l’esistenza a tutti gli effetti». Noi verremmo altrimenti a creare debiti su debiti, sequestri su sequestri, una serie di non so quante altre complicazioni di questo genere, le quali permetteranno di negare il debito e di mantenerlo in vita attraverso un terzo sequestratario di cui si ignora l’esistenza al momento della dichiarazione della patrimoniale.

Anzi, dirò di più: metto vivamente in guardia l’Assemblea contro la tesi dell’onorevole Caroleo e dell’onorevole Carboni, perché ne potrebbero uscire veramente delle grosse falle fiscali.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che qualche volta ricredersi sia da saggi. Ora, l’idea di aggiungere «salvi restando i diritti dei terzi» che a prima vista mi sembrava idonea per tranquillizzare l’onorevole Caroleo e l’onorevole Carboni, dopo le argomentazioni dell’onorevole Dugoni, mi sembra veramente pericolosa.

Per cui chiedo al l’onorevole Caroleo se egli effettivamente insiste.

CAROLEO. Sì.

PELLA, Ministro delle finanze. È vero che vi sono i rimedi ordinari contro le simulazioni, contro le frodi, che possono naturalmente essere strumenti anche a disposizione della Finanza. È vero che la simulazione può sempre essere colpita con i mezzi del diritto comune…

DUGONI. Forse si potrebbe dire: «salvi i diritti dei terzi risultanti da atto pubblico o da scrittura privata avente data certa».

Questa, potrebbe essere una formulazione.

BUBBIO. Io propongo di rinviare e di studiare la formula, data la delicatezza della materia nei rapporti con i terzi.

PRESIDENTE. Allora, vi è una proposta di rinvio. È d’accordo l’onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che sia opportuno rinviare: è un lavoro di cesello che dobbiamo fare. Forse, si potrebbe dire: «salvi i diritti dei terzi legittimamente accertati». Ad ogni modo, concordo sull’opportunità di rinviare.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, rimane stabilito che questo articolo sarà rinviato per una migliore formulazione.

(Così rimane stabilito).

Segue l’articolo 24. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie in anticipazione è soggetto all’imposta straordinaria per il valore dei titoli stessi, determinato a mente degli articoli 18 e 19 del presente decreto e ha diritto di ottenere in deduzione l’ammontare del debito verso l’istituto od il privato sovventore dell’anticipazione. Quando l’anticipazione abbia avuto luogo dopo il 1° gennaio 1946 la deduzione è subordinata alla dimostrazione dell’impiego dell’importo del debito.

«Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie a riporto è soggetto all’imposta straordinaria pel valore dei titoli stessi risultante dal prezzo di compenso del mese di marzo 1947 o determinato per lo stesso mese ai sensi dell’articolo 19 e ha diritto di ottenere in deduzione l’ammontare del debito verso l’istituto o verso il prenditore dei titoli a riporto. Quando il riporto abbia avuto luogo dopo il 1° gennaio 1946 la deduzione è subordinata alla dimostrazione dell’impiego dell’importo del debito.

«Il prenditore dei titoli a riporto è soggetto all’imposta straordinaria per la somma che, alla data del 28 marzo 1947, aveva impiegata in operazioni di riporto».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Marinaro ha presentato i seguenti emendamenti.

«Al primo comma, primo periodo, dopo le parole: Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie in anticipazione, aggiungere: o a riporto bancario che abbia sostanziale carattere di anticipazione; e, al secondo periodo, alle parole: Quando l’anticipazione abbia, sostituire le seguenti: Quando le operazioni di cui sopra abbiano.

«Al secondo comma, primo periodo, dopo le parole: Chiunque abbia dato titoli di qualsiasi specie a riporto, aggiungere: di Borsa o di speculazione; e, al secondo periodo, dopo le parole: Quando il riporto, aggiungere: di Borsa o di speculazione».

L’onorevole Marinaro ha facoltà di illustrarli.

MARINARO. La Commissione si è discostata dal testo ministeriale nel punto in cui si determina il criterio di valutazione dei titoli dati in anticipazione ed a riporto. Infatti, mentre il testo ministeriale stabilisce che dei titoli dati in anticipazione o a riporto la valutazione viene fatta sulla base della media dei prezzi di compenso del semestre ottobre-marzo 1947, per quanto riguarda, invece, i titoli dati a riporto, la Commissione ha proposto che la valutazione sia fatta sulla base del prezzo di compenso del marzo 1947. Ora, non è chi non veda l’ingiustizia di questa distinzione fatta dalla Commissione, in quanto che, dato l’andamento ascendente del valore dei titoli negli ultimi tempi, ai titoli dati a riporto è fatto un trattamento peggiore di quello fatto ai titoli dati in anticipazione.

Vero è che l’onorevole La Malfa ha giustificato nella sua relazione queste differenziazioni con la considerazione che i riporti sono spesso usati a scopo speculativo. Siamo perfettamente d’accordo, onorevole La Malfa, ma dobbiamo distinguere fra riporti intesi come speculazione, intesi cioè come mezzo per sistemazione di operazioni di Borsa, e riporti puramente bancari. E se la memoria non mi tradisce (credo che questa distinzione esista anche nella pratica) ho letto proprio in un libro del nostro Ministro delle finanze, una distinzione precisamente in questi termini: riporti di speculazione, cioè che servono come mezzo di sistemazione di operazioni di speculazione; e riporti bancari, i quali non sono altro che vere e proprie anticipazioni in senso economico, salvo la diversa natura giuridica; si tratta cioè, in sostanza, di prestiti in denaro che la banca fa a chi consegna delle azioni e si garantisce con queste azioni. Ed in pratica avviene che le banche preferiscono all’operazione di anticipazione l’operazione di riporto, appunto perché i titoli passano poi in proprietà.

Io non vedo perciò la necessità di mantenere questa distinzione. Piuttosto si può vedere l’opportunità di distinguere fra le due specie di riporto; e il mio emendamento tende appunto a questo, a distinguere fra riporti di speculazione e riporti bancari.

Quando si può provare che il riporto è bancario, non c’è ragione di fare la distinzione. E naturalmente il testo del mio emendamento al primo comma non menoma affatto la potestà di accertamento da parte del fisco, il quale può in ogni circostanza accertare se si tratti di un riporto veramente bancario o no.

L’emendamento da me proposto al secondo comma, poi, è giustificato dalle necessità di coordinamento con il primo.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta gli emendamenti dell’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Il Governo accetta?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Marinaro al primo comma dell’articolo.

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento dello stesso onorevole Marinaro al secondo comma.

(È approvato).

L’articolo 24 si intende approvato con gli emendamenti testé posti in votazione.

Passiamo all’articolo 25. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Si presume che facciano parte del patrimonio del contribuente le seguenti quote percentuali in conto rispettivamente del valore del mobilio, dell’arredamento e dei gioielli, del danaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore:

Mobilio, arredamenti e gioielli: 3 per cento fino a 5 milioni, 5 per cento fino a 10 milioni, 7 per cento fino a 50 milioni, 10 per cento oltre 50 milioni;

Denaro, depositi e titoli di credito al portatore: 2 per cento fino a 5 milioni, 4 per cento fino a 10 milioni, 6 per cento fino a 50 milioni, 10 per cento oltre 50 milioni.

«Dette quote si computano con riferimento al patrimonio netto, risultante dalla differenza tra il valore lordo delle attività, escluse quelle costituite dai cespiti sopra indicati e l’ammontare delle passività deducibili.

«Le quote stabilite nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto.

«La quota presunta in conto mobilio, arredamento e gioielli è ridotta alla metà nei riguardi del cittadino e dello straniero residenti all’estero, che abbiano beni nello Stato. La quota non si aggiunge se non risulti che detti contribuenti possiedano del mobilio nello Stato».

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Credo che, per ragioni di opportunità, vada discusso prima l’articolo 28 che fissa i minimi tassabili – e sul quale sono stati proposti emendamenti – e poi l’articolo 25 che tiene presenti i minimi di cui all’articolo 28.

PRESIDENTE. Faccio presente che l’articolo 28 del testo ministeriale è soppresso e che l’articolo 28 della Commissione corrisponde all’articolo 29 del testo ministeriale.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Sono di opinione che noi dovremmo oggi approvare l’articolo 25, perché se non lo approvassimo sotto la specie che vi sono degli emendamenti che attendono di essere esaminati riguardanti lo spostamento del minimo imponibile, noi indicheremmo una certa preferenza verso l’accettazione di questi emendamenti, cosa che l’Assemblea non vuol fare in questo momento.

Quindi sono di opinione che si debba esaminare l’articolo 25, salvo poi a modificarlo nella eventualità che i minimi siano mutati. I minimi attuali sono quelli proposti dalla Commissione ed accettati dal Governo e non abbiamo nessun motivo per ritenere che vengano mutati.

In queste condizioni, propongo che si esamini l’articolo 25.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Noi abbiamo lasciato in sospeso tante questioni di una certa importanza, e senza pregiudicare la questione di merito potremmo anche mettere da parte l’articolo 25 e passare agli articoli 26 e 27.

Quanto all’articolo 29 del testo governativo che diventa 28 nel testo della Commissione, se approveremo gli articoli 26 e 27, io vorrei fare la proposta di rinvio. Infatti la questione di un minimo va risolta con ponderazione. Ecco perché io vorrei dire: Prendiamo tempo, approviamo gli articoli 26 e 27 senza pregiudicare la questione di fissare il minimo e rimandiamo alla prossima seduta gli articoli 25 e 28 della Commissione.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Penso anch’io che l’articolo 25 non possa essere considerato a sé stante. Dipende fra l’altro dai mezzi che avremo per l’accertamento dei beni mobiliari. La presunzione che qui viene considerata dipende dalle forme molto imperfette di accertamento che la legge prescrive per i beni mobiliari, come mobili, arredamenti, gioielli, denaro, depositi. Se si accettasse di abolire il segreto bancario, è chiaro che la dizione potrebbe modificarsi. Quindi, penso che si debba rinviare la discussione dell’articolo 25 a quando saranno noti gli altri articoli della legge.

DUGONI. Aderisco alle considerazioni dell’onorevole Pesenti.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, resta stabilito che l’articolo 25 è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 26. Se ne dia lettura, nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il danaro ed i titoli di credito al portatore entrati nel patrimonio del contribuente dopo il 1° gennaio 1944, in dipendenza di alienazione di beni, di successione ereditaria e di donazione, si presumono ancora posseduti alla data del 28 marzo 1947, salvo al contribuente di dimostrarne il consumo o l’impiego in cespiti dichiarati o comunque accertati ai fini della imposta straordinaria, o esenti dall’imposta stessa.

«Quando il tenore di vita del contribuente, posto in relazione con i suoi redditi conosciuti o altri elementi indiziari, lasci fondatamente ritenere che il patrimonio accertato a suo carico in via analitica sia inferiore a quello effettivamente posseduto, può procedersi ad accertamento presuntivo».

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno propone la soppressione del primo comma e, subordinatamente, di aggiungere il seguente capoverso:

«La detta presunzione non ha luogo per i contribuenti che traggano i loro mezzi di vita esclusivamente dalla loro retribuzione di impiegati o salariati».

Non essendo presente l’onorevole Rescigno, s’intende che abbia rinunciato ai suoi emendamenti.

Sul secondo comma è stato presentato il seguente emendamento dagli onorevoli Corbino, Cannizzo, Colitto, Condorelli, Perrone Capano, Perugi, Marinaro, Bencivenga, Maffioli, ed altri, così concepito:

«Fare del secondo comma un articolo a parte premettendo le seguenti parole: Nel caso di contribuenti, il cui patrimonio sia prevalentemente composto di valori mobiliari».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Desidererei che il secondo comma dell’articolo 26 fosse staccato per farne un articolo a parte; ma vorrei limitarne la possibilità di applicazione ai contribuenti il cui patrimonio sia prevalentemente mobiliare. È vero che in questo modo noi verremo a contenere i poteri del fisco per l’accertamento dei patrimoni; ma dobbiamo tener conto che rispetto alla patrimoniale noi abbiamo due tipi quasi estremi di contribuenti: il contribuente che ha il patrimonio prevalentemente immobiliare, che non può sfuggire all’imposta e rispetto al quale la presunzione di evasione è relativamente piccola; ed il contribuente, che invece ha valori mobiliari, e rispetto al quale la presunzione di evasione è forte. Quindi, introdurre i metodi induttivi nell’accertamento del patrimonio può costituire un ottimo strumento di perequazione fiscale nel caso dei contribuenti che abbiano il patrimonio prevalentemente mobiliare. Non lo estenderei agli altri patrimoni; perché per costoro eventualmente potrebbero intervenire le Commissioni in base all’articolo 46, che il Governo ha già proposto e la Commissione ha accettato, che dà alle Commissioni di prima istanza la facoltà di eseguire anche aumenti sugli accertamenti fatti dagli uffici, nel caso in cui vi siano elementi per ritenere che questi accertamenti siano inferiori al vero.

In sostanza, perché noi ricorriamo all’emendamento indiziario? Per colpire soprattutto coloro che, avendo ricchezze mobiliari, possono più facilmente sfuggire all’imposta. Per costoro lasciamo per intero la facoltà al fisco. Ma per gli altri, che saranno accertati quasi certamente fino all’ultimo centesimo, cerchiamo di non metterli alla mercé di tanti nemici personali che talvolta possono benissimo dire: «Tizio vive agiatamente». I contribuenti potranno, sì, dimostrare che non vivono agiatamente, ma avranno un sacco di pasticci. Quindi lasciamo la facoltà di accertare su indizi soltanto per coloro per i quali gli indizi siano i soli elementi.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo pensiero.

LA MALFA, Relatore. Mi rendo conto delle argomentazioni dell’onorevole Corbino. Osservo tuttavia che aggiungendo che la disposizione si applica ai contribuenti che hanno prevalentemente patrimonio mobiliare, non modificheremmo nulla. Implicitamente la norma non si può che applicare a quei contribuenti. Se risultano patrimoni immobiliari, la finanza non ha ragione di applicare questa disposizione poiché conosce la composizione del patrimonio e, quindi, può stabilire l’equivalenza del tenore di vita col patrimonio posseduto. È solo quando non conosce la composizione del patrimonio, che applica la disposizione.

Ci può essere d’altronde un possessore di patrimonio immobiliare che abbia reddito mobiliare nascosto e il suo patrimonio immobiliare può non essere proporzionato al tenore di vita.

Pregherei l’onorevole Corbino di non insistere nel suo emendamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In sostanza resterebbe affermato il principio che il sistema indiziario si limiterebbe soprattutto al patrimonio mobiliare. Credo opportuno poi di farne un articolo separato, perché l’averlo collocato con la disponibilità, di danaro, titoli di credito, provenienti da operazioni effettuate dopo il 1° gennaio 1944, farebbe supporre che questo accertamento indiziario sia da limitare soltanto in questo caso, mentre a me pare che la disposizione, per la sua importanza, dovrebbe formare un articolo a sé.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente sarebbe più esatto dividere, salvo a riordinare, il testo legislativo.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il proprio parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la proposta di dividere l’articolo 26 in due parti, sono perfettamente d’accordo. Anzi sono grato all’onorevole Corbino del suo suggerimento, perché la enucleazione della seconda parte e la formulazione di un articolo autonomo servono a scolpire meglio l’importanza del sistema di accertamento induttivo.

Francamente, però, non posso aderire alla proposta di limitare l’accertamento induttivo generico ai casi in cui prevale il patrimonio mobiliare, perché, all’atto pratico, svuoteremmo di contenuto l’accertamento induttivo, in quanto il punto di partenza è quasi sempre l’aver trovato dei cespiti immobiliari. Né d’altra parte deve preoccuparsi l’onorevole Corbino di quello che può succedere in rapporto ai contribuenti possessori di patrimonio immobiliari, perché, una delle due: o il reddito di questi cespiti immobiliari giustifica il tenore di vita, ed allora la questione è risolta, o il reddito suddetto non giustifica il tenore di vita e il contribuente non dà altra giustificazione al riguardo, e allora non vedo la ragione di sottrarlo all’accertamento induttivo per il semplice fatto che abbia patrimonio immobiliare.

Per questo prego l’onorevole Corbino, che è maestro della materia, ed ha così vivo il senso della tutela degli interessi della Finanza, di non insistere sulla seconda parte del suo emendamento.

CORBINO. Accetto l’invito dell’onorevole Ministro, raccomandando però che l’Amministrazione sia piuttosto cautelativa con quei contribuenti che dovranno pagare al cento per cento.

PRESIDIENTE. Poiché l’onorevole Corbino ritira il suo emendamento per la parte che si riferisce all’aggiunta, pongo ai voti la sua proposta, accettata dal Governo e dalla Commissione, di dividere l’articolo in due parti. La prima parte andrà fino alle parole: «sono esenti dalla imposta stessa». Un successivo articolo, 26-bis, comincerà con le parole: «Quando il tenore di vita del contribuente ecc.».

(La proposta di divisione è approvata).

Con questa modifica, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 27. Se ne dia lettura nel testo modificato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati presuntivamente nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26. Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.

«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».

PRESIDENTE. L’onorevole Tosi ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma: Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».

Ha facoltà di illustrarlo.

TOSI. Si tratta di questo. Con l’emendamento introdotto dalla Commissione si è attuato un principio che è contrario agli articoli della legge fin qui votati. Noi abbiamo approvato gli articoli 22 e 24 nella loro formula; abbiamo in sospeso l’articolo 25, dove si ripete lo stesso concetto: vale a dire che tutti i debiti del contribuente devono essere sottratti dal patrimonio lordo. L’affermazione non vale soltanto per la legge, ma vale anche come principio generale, perché quando si parla di imposta sul patrimonio, nella legge fiscale, nel concetto giuridico, nel concetto economico si intende sempre il patrimonio netto e non quello lordo.

Il che vorrebbe dire che se noi in questo caso specifico, proprio perché il contribuente ha sottoscritto il prestito della ricostruzione, non dovessimo accordare la detrazione del debito, proprio in questo caso, dico, noi creeremmo il danno di chi ha in buona fede concorso ad aiutare lo Stato. Quali altri argomenti abbiamo a nostro appoggio? Si dice: se quell’individuo avesse venduto una sua proprietà e con quei soldi avesse sottoscritto al prestito, avrebbe compiuto un’azione diversa da colui che andò a contrarre un debito per sottoscrivere al prestito. Vediamo se è vero. Supponiamo che un Tizio abbia prima della proposta di emissione del prestito un patrimonio di 100 e questo è l’individuo che vende il bene. Dall’altra parte un altro individuo, che è quello che sottoscrive col debito ha pure cento. Al momento della sottoscrizione il primo aliena una quota di 20 del suo patrimonio che tramuta in prestito; il che vuol dire che dopo questa operazione gli sono rimasti: 80 di beni vari, più 20 di prestito: totale 100 come all’origine. Al secondo, che aveva 100 di patrimonio originario meno 20 di debito che ha contratto, più 20 di prestito sottoscritto, è rimasto pure un patrimonio di 100 come era all’origine.

Veniamo ora alla tassazione con la imposta sul patrimonio: il primo individuo ha una quota di 80, da essere sottoposta all’imposta patrimoniale, più 20 di esenzione. Il secondo individuo ha un patrimonio di 100 meno 20 del debito, quindi 80 che deve essere tassato e 20 che ne è esente.

L’esempio mi pare così semplice da persuadere anche i meno adatti ad accorgersi dell’errore.

C’è poi un’altra considerazione. Se noi non accettassimo la detraibilità del debito dal patrimonio, finiremmo col venir meno al principio affermato con la legge di sottoscrizione del prestito, quando si disse che chiunque sottoscriveva al prestito, per quella parte sottoscritta sarebbe stato esente. La norma da me impugnata arriverebbe a questa conclusione: che la legge dichiara esente il prestito e questa imposta colpisce il denaro con cui l’individuo ha sottoscritto al prestito. Secondo me c’è, in questi argomenti, la logica sufficiente a suggerirci che qui si deve fare come negli altri casi, applicando la norma comune: togliere dall’attivo lordo le passività. Resta un’ulteriore eccezione che mi sono sentito dire ed è questa: chi ha contratto il debito, ha sottratto alla imposta patrimoniale parte del suo patrimonio. La risposta è nella legge relativa al prestito. La sera stessa in cui il Ministro Bertone annunciava che 225 miliardi di prestito erano stati sottoscritti, in quel momento ciascuno di noi accettava per vero, perché contenuto nel testo stesso della legge del prestito, che 225 miliardi di patrimonio italiano dovevano andare esenti dalla imposta straordinaria sul patrimonio.

Non capisco perché, nel momento in cui si attua questa imposta, si debba venir meno al principio inserito nella legge generale e voluto in quel determinato momento. Un’altra osservazione è che questi debiti, essendo stati in generale accesi con enti collettivi, non tassati da questa legge, evidentemente sfuggono all’imposta. A parte la considerazione fatta ora sulla legge del prestito, resta quest’altra: anche chi ha venduto di suo bene ad enti collettivi si trova nella stessa identica situazione di vedere i beni sottratti all’imposta. Mi pare che con queste brevi argomentazioni ho dato succintamente ragione del mio emendamento.

C’è, secondo me, un altro ragionamento che ci viene in aiuto ed è questo: se il secondo individuo non avesse contratto il debito per sottoscrivere al prestito, ritenete voi che quei soldi si sarebbero tramutati nel prestito? Io affermo di no, perché se è vero che colui il quale ha prestato i soldi o ha comprato i beni, ha preferito queste due forme di investimento anziché la sottoscrizione diretta ed immediata del prestito, vuol dire che, senza la volontà dell’altro, quei soldi non si sarebbero mai trasferiti nel prestito. E non capisco perché il sottoscrittore che ha fornito alla Patria soldi in un momento in cui lo Stato diceva di averne bisogno, anche per salvare la lira, deve, lui solo, cadere nell’errore voluto dall’articolo 27. Qualcuno potrebbe sostenere che da anteporre ai suesposti argomenti tecnici ed economici ve n’è uno morale, cioè che questa gente ha tentato, attraverso debiti, di nascondere parte del proprio patrimonio. Dopo le spiegazioni date, voglio affermare: 1°) i sottoscrittori al prestito anche se hanno contratto debiti, non hanno fatto altro che seguire quanto una legge speciale invitava a fare, e dichiarava essere nell’interesse dello Stato; 2°) per me il problema morale non è quello di chiedere al sottoscrittore perché ha contratto un debito, ma quello di chiedere allo Stato se vuole o non vuole mantenere fede alla parola data, cioè di rendere esenti i patrimoni che sono stati sottoscritti al prestito.

Messo il problema nei giusti termini, viene come conclusione che se quest’ultimo periodo, del primo paragrafo, vuol dire la non detraibilità del debito dal patrimonio lordo, tutti gli elementi concorrono a dimostrare che esso periodo deve essere modificato. Infine se il debito fosse contratto con un privato, cadremmo anche nella doppia tassazione, perché lo prenderemmo presso il primo contribuente come debito, e lo prenderemmo come credito presso l’altro contribuente.

Insisto dunque nel chiedere che deve assolutamente essere accolto il mio emendamento.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Farei la proposta di rinviare questa discussione per una ragione importante: la discussione è di grande momento. Le banche e i direttori di banche hanno segnalato a me, come membro della Commissione di finanza, al momento della sottoscrizione del prestito, il tipo di operazione di cui ha parlato Tosi, diretto a frodare l’imposta patrimoniale. Ora, io darò la dimostrazione che queste operazioni si sono compiute esattamente come ha detto l’onorevole Tosi, e poiché si tratta di parecchie centinaia di milioni solo per le banche milanesi, credo che sia il caso di rinviare la nostra discussione.

TOSI. In ogni caso, non possono superare i 225 miliardi del prestito sottoscritto. Questa era la volontà della legge originaria. Se l’abbiamo accettata allora, abbiamo il dovere di rispettarla oggi, e sempre.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Io sono contro l’emendamento e contro il rinvio. La proposta, nei limiti posti dalla Commissione, è semplice poiché si vuole evitare una duplice detrazione, nei soli confronti di coloro che per sottoscrivere al prestito hanno fatto delle anticipazioni. Al solito, queste sottoscrizioni avvengono con anticipazioni presso banche. Mi pare che non sia opportuna la proposta di rinvio, perché l’impostazione del quesito è già chiara nella legge.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La questione, effettivamente ha una certa gravità. È stata ampiamente discussa in sede di Commissione, e la Commissione si è divisa ed ha approvato a maggioranza un emendamento che dovrebbe essere ampiamente illustrato. Credo che il rinvio sia necessario, anche perché quest’argomento ha avuto molte ripercussioni sulla stampa. Discuterlo così, in fine di seduta, non mi sembra opportuno.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di lunedì 14.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne è di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri.

«Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne».

«Gallico Spano Nadia, Merlin Lina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se rispondano a verità le notizie diffuse negli ambienti popolari ed impiegatizi di Siracusa sull’accertamento di gravi irregolarità nell’ufficio alimentazione e razionamento di Siracusa, per ammanchi o sottrazioni di notevoli quantità di farina, col peggioramento della confezione del pane, irregolarità che avrebbero determinato la nomina di un commissario prefettizio; e se e quali provvedimenti siano stati o si intendano adottare contro i responsabili di imperdonabili malefatte, in un momento così delicato ed in materia così sensibile, date le gravi deficienze del grano.

«Di Giovanni».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di precisare la data in cui intende rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione, pure con richiesta di urgenza:

«Al Ministro delle finanze, per invitarlo, in considerazione dell’enorme lavoro cui sono sottoposti gli uffici distrettuali delle imposte, ad aumentare il personale tecnico, richiamandolo da uffici scarsamente produttivi e compensandolo con adeguata partecipazione economica, in rapporto al gettito dell’imposta patrimoniale così come – del resto – è già stato praticato per le ricevitorie postali, nelle quali è stato sottoscritto, con una percentuale di premio, il prestito della ricostruzione.

«Caso, De Michele, Numeroso».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, sugli incidenti di Palermo del giorno 11 luglio, nel corso dei quali la polizia ha aggredito donne inermi che protestavano contro il vertiginoso rincaro dei prezzi e contro il mancato intervento delle autorità regionali.

«Merlin Angelina, Fiorentino Giosuè».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se non ritengano giusto e opportuno, urgente e necessario, estendere a tutti gli agricoltori italiani, per tutti i lavori agricoli, i beneficî della esenzione dal dazio doganale sui carburanti liquidi in distribuzione e assegnazione, beneficî già accordati in passato ed oggi conservati e mantenuti per gli agricoltori siciliani, per i Consorzi di bonifica e per la motopesca. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Braschi, Pallastrelli».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere:

1°) quali provvedimenti sono stati presi verso l’ufficiale che dava luogo ad una grave provocazione contro gli allievi della scuola di Polizia di Nettuno;

2°) quali motivi hanno determinato l’esonero dal servizio di una trentina di allievi (partigiani), avendo tutti gli appartenenti alla scuola manifestato a favore di alcuni compagni trattenuti dal suddetto ufficiale nel corpo di guardia, e non in cella di punizione evidentemente perché non meritavano alcuna punizione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Mezzadra, Lombardi Carlo».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

Sull’ordine dei lavori.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Siccome nella discussione sull’imposta patrimoniale si sta per affrontare questioni molto importanti come quella relativa agli enti collettivi, ed arrivati all’articolo 29, non sarà possibile proseguire se in precedenza non sarà stato risolto questo problema, si potrebbe rinviare la discussione a martedì prossimo anziché a lunedì, poiché lunedì non saranno presenti molti deputati.

PRESIDENTE. Se non si tiene seduta lunedì per continuare la discussione sulla patrimoniale, tutto il programma dei lavori verrebbe a cadere.

Ritengo quindi opportuno fissare la prossima seduta a lunedì, e raccomando agli onorevoli deputati di essere presenti.

Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.35.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 14 luglio 1947.

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

«Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Coppi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Zuccarini

Bozzi

Colitto

Morelli Renato

Tosato

Rossi Paolo

Perassi

Preti

Dugoni

Codignola

Corbino

Lussu

Nitti

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Fuschini

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La sedata comincia alle 17.

LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo agli onorevoli colleghi che si deve riprendere l’esame delle materie di competenza legislativa della Regione, contemplate nell’articolo 109. Si è proceduto ieri, esaminando l’emendamento unificato Perassi-Zuccarini, alla votazione sulle voci «industria e commercio»; rimane ancora la voce «Camere di commercio» compresa nella proposta dell’onorevole Zuccarini. Si tratta ora di stabilire se questa voce può considerarsi assorbita dopo la votazione avvenuta ieri che ha escluso la voce «industria e commercio».

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Vorrei fare osservare ai colleghi che la dizione «Camere di commercio» che si legge nell’emendamento, non mi pare tecnicamente esatta. Si dovrebbe dire «Camere di commercio, industria e agricoltura». Questa è la dizione esatta dell’istituto che noi vorremmo comprendere fra le materie soggette all’attività legislativa della Regione.

Ritengo che in tal senso debba essere rettificato il testo dell’emendamento.

PRESIDENTE. A meno che l’Assemblea, nella sua maggioranza, sia di avviso contrario, ritengo che, non avendo accettato di includere l’industria e il commercio fra le materie di competenza legislativa della Regione, anche le Camere di commercio debbano ritenersi escluse per lo stesso risultato delle votazioni avvenute ieri, e che pertanto l’emendamento dell’onorevole Zuccarini, per quest’ultima parte, debba considerarsi assorbito, cioè non più da porre in discussione.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Il fatto che la votazione di ieri abbia escluso le voci «industria e commercio» non esclude – a mio avviso – che le Camere di commercio, industria ed agricoltura possano cadere sotto l’attività legislativa della Regione. Si tratta di cose sostanzialmente diverse. Altro è legiferare in materia di agricoltura, industria e commercio, ed altro in materia di Camere di agricoltura, industria o commercio. Si tratta di cose sostanzialmente diverse, anche se vi è una certa connessione di materie fra le une e le altre.

PRESIDENTE. Vi è forse più che una certa connessione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla chiara osservazione del nostro Presidente, desidero osservare che le Camere di industria, commercio ed agricoltura sono forme rappresentative d’organizzazioni di interesse professionale e sindacale, che non si possono sottoporre esse sole alla legislazione delle singole Regioni, senza tener presente tutto il complesso delle altre organizzazioni di carattere professionale e sindacale. Oltre la ragione formale esattissima che ha prospettato il Presidente, v’è dunque una questione di sostanza, per cui non si può lasciare a sé, nella competenza legislativa della Regione soltanto un pezzo di mosaico di regolamentazione dell’organizzazione d’interessi, che ha importanza così fondamentale nella vita moderna.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Non insisto nel mio emendamento. Vorrei però osservare che, quando ho incluso questo concetto nell’emendamento, come parte integrante di esso, mi riferivo ad organi, che inizialmente furono organi autonomi, provinciali, e che solo successivamente sono caduti, durante il fascismo, nella regolamentazione dello Stato anzi, divennero organi statali.

Questo concetto desidero affermare qui; e la questione potrà essere risolta in altro momento: questi enti, che non possono essere soggetti ad una speciale legislazione, ma che hanno una origine autonoma, debbano ritornare a funzionare in modo autonomo nella vita del nuovo Stato italiano. Non ho difficoltà, comunque, a rinunziare al mio emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Coppi se insiste nel suo emendamento.

COPPI. Non insisto.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’alinea successivo così formulato: «Altre materie indicate da leggi speciali». V’è a questo proposito un emendamento dell’onorevole Mortati, tendente a sopprimere l’alinea, in quanto assorbito dalla seguente formulazione più ampia, che egli propone e che dovrebbe costituire un nuovo comma:

«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione l’esercizio della funzione legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74».

Vi sono poi altre proposte dell’onorevole Bozzi.

BOZZI. Le ho ritirate.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, la formulazione in discussione rimane quella della Commissione:

«Altre materie indicate da leggi speciali».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Devo chiarire che la mia proposta di sopprimere tale inciso è da porre in relazione con quella che si riferisce al comma successivo, e che tende ad estendere la possibilità di delega della facoltà regolamentare a favore della Regione, comprendendovi non solo quella esecutiva, ma anche l’altra, che si vuol chiamare indipendente.

Ora, io penso che, una volta che si accetti questo concetto e si ampli nel senso detto la concessione di potestà regolamentare alla Regione, non si presenti il bisogno di prevedere a favore di questa una vera e propria delegazione legislativa.

Infatti lo Stato potrebbe ridurre al minimo le sue statuizioni, lasciando così un amplissimo margine all’intervento normativo della Regione, anche se contenuto nei limiti delle leggi generali.

Se, contrariamente a questo orientamento, si ritenesse di lasciare alla Regione la possibilità di invadere con le sue norme quella che si vuol chiamare la riserva della legge, sembrerebbe opportuno modificare la dizione proposta, sia per fare risultare la distinzione fra le materie elencate, per cui la Costituzione opera un trasferimento istituzionale di competenza, e queste «altre materie», che sono oggetto di semplice delegazione ad opera della legge, e sia altresì per mettere in armonia questa disposizione con quella dell’articolo 74 del progetto, che prevede la concessione di delegazione legislativa al Governo.

Pertanto, in via subordinata, ove non fosse accolto l’emendamento soppressivo dell’ultimo alinea del primo comma dell’articolo 109, propongo la sostituzione del medesimo, con il seguente testo:

«Le leggi della Repubblica possono attribuire alla Regione la funzione della potestà legislativa statale, con l’osservanza delle modalità di cui all’articolo 74, il quale si riferisce alla possibilità della concessione di attività legislativa delegata al Governo».

Mi pare che almeno questi limiti generali di materia e di tempo non possono non farsi valere, anche nei riguardi della concessione di potestà legislativa alla Regione, come si sono fatti valere nei riguardi della delegazione al Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene di mantenere la sua formulazione, perché la proposta dell’onorevole Mortati, specialmente come l’ha esposta ora, ritornerebbe a complicare quelle linee che sono diventate abbastanza semplici.

MORTATI. Ho già chiarito che la mia proposta sostitutiva era fatta in linea subordinata; sarebbe quindi opportuno che l’onorevole Ruini ci dicesse qual è il pensiero del Comitato in ordine all’emendamento soppressivo proposto in via principale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già detto, onorevole Mortati, che il Comitato mantiene la sua proposta. Anche per la sua subordinata, non può accettarla.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione questo alinea nella formulazione:

«Altre materie indicate da leggi speciali».

(È approvato).

Abbiamo ora il seguente emendamento aggiuntivo, già svolto, dell’onorevole Bozzi:

«Inserire, prima dell’ultimo comma, il seguente:

«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Onorevole Bozzi, lo mantiene?

BOZZI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Vi è poi un altro emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Morelli Renato. Esso è così formulato:

«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere:

«sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ricordo che l’onorevole Mannironi ha presentato un emendamento per un articolo aggiuntivo che è presso a poco nello stesso ordine di idee:

«Nelle materie indicate nell’articolo 109, lo Stato potrà provvedere all’emanazione delle leggi che integrino i principî direttivi emanati, qualora non vi abbia provveduto la Regione entro un anno.

«Analogamente, e nelle stesse materie, la legge generale eventualmente emanata dalla Regione, dovrà, entro lo stesso termine, essere adattata alle direttive contenute nella legge emanata dello Stato a norma dello stesso articolo 109».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi non è presente e quindi si intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

Vi è anche un emendamento dell’onorevole Colitto, che, se accettato, dovrebbe essere inserito prima della norma che abbiamo approvato in questo momento, perché rappresenta ancora una materia specifica delegata alla competenza della Regione. L’emendamento dice:

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Invito l’onorevole Presidente della Commissione a pronunciarsi in merito a questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. Non credo che questo emendamento possa essere accolto. Prima di tutto, di quali servizi pubblici si tratta? Bisognerebbe evidentemente dire che si tratta di quelli della stessa Regione. Ma poi, oltre a ciò, non pare che la materia così importante delle socializzazioni e delle nazionalizzazioni, sia pure ridotte qui a regionalizzazioni, possa essere affidata alla legislazione della Regione. È tema da riservare allo Stato, pei grandi interessi economici che importa. La questione è anche d’interesse generale. Non sembra sia da ammettere in via ordinaria una facoltà legislativa della Regione. Se una legge intesa a stabilire principî di socializzazione e nazionalizzazione vorrà delegare talune funzioni anche alla Regione, sarà arbitra di farlo; ma la potestà sistematica di legislazione regionale non sembra inopportuna.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Non insisto e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà allora di parlare l’onorevole Morelli Renato per illustrare il suo emendamento testé letto.

MORELLI RENATO. Coll’approvazione dell’articolo 109 e con l’approvazione dell’elenco delle materie nelle quali potrà esercitare il potere legislativo, la Regione come organismo nasce, e nasce, come Minerva, armata già tutta dei suoi poteri. Ora, nell’esercizio di questi poteri vi è un limite. Secondo il testo dell’articolo 109, vi è il limite delle direttive e dei principî generali. Col mio emendamento si propone un altro limite. In verità debbo dichiarare che questo secondo limite era già nella formulazione del Relatore, era nel testo approvato dal Comitato di redazione, era in quello approvato dalla Sottocommissione, nonché in quello approvato dalla Commissione dei Settantacinque. Infatti la formulazione originaria del testo era rimasta integra attraverso quattro fasi di elaborazione. Poi, nella fusione dei tre articoli, questo limite è scomparso.

Il mio emendamento tende a farlo rivivere per una ragione evidente: si tratta di sodisfare un’esigenza logica e un’esigenza politica. L’esigenza logica è di stabilire, oltre un limite formale di legittimità – si potrebbe dire, più specificamente, di competenza – all’attività legislativa della Regione, un limite di merito, consistente nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni. Ma si tratta di sodisfare anche un’esigenza politica: che la Regione segua, nella emanazione di norme, un indirizzo comune. Ora, con l’emendamento da me proposto, si assicura che ciascuna Regione svolgerà un’attività legislativa coordinata con quella delle altre Regioni e sottoposta per questo a un controllo superiore.

Affiora dalla mia proposta anche una preoccupazione, un timore; il timore che le Regioni deboli, povere, possano essere trascurate dalle Regioni sorelle più ricche, dopo che il padre – lo Stato – avrà come perduta una parte della patria potestà, cioè il potere legislativo primario.

Si può muovere all’emendamento da me proposto una obiezione, ed è questa: nell’articolo 118 è già contemplato un controllo di merito, in quanto si ipotizza il caso che il Governo o rinvii al Consiglio regionale, perché lo riesamini, un determinato provvedimento, o lo impugni, portandolo all’esame dell’Assemblea legislativa, quando esso viola l’interesse della Nazione o di altre Regioni.

Se non che, questa dell’articolo 118, che dovrà essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea, è una norma procedurale, mentre io tendo, per ragioni anche di sistematica giuridica, a far collocare il limite di merito al posto opportuno, come norma di diritto sostanziale.

Si potrebbe anche dire che il limite dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni è sottinteso. Ma io credo che un tale limite debba essere viceversa esplicito; e spero di trovare d’accordo la Commissione, per coerenza, in quanto, come ho già ricordato, il limite di merito era già contemplato nel testo rimasto integro attraverso varie successive elaborazioni. E potranno essere d’accordo anche i regionalisti, in quanto qualche ragione di diffidenza, di dubbio, potrà essere così superata e l’ostilità verso la Regione attenuata. Quanto agli antiregionalisti, cioè a quelli che sono diffidenti verso l’organismo di nuova istituzione, essi dovranno essere favorevoli, perché stabilire in modo chiaro questo limite di merito, serve ad evitare la possibilità di deviamento nell’esercizio del potere normativo della Regione.

Dunque io spero che siano di accordo gli uni e gli altri; se, invece di una speranza è una illusione, pazienza! Per conto mio, dichiaro in piena sincerità che lo scopo che mi propongo è soltanto quello di stabilire in maniera netta e precisa che l’attività legislativa regionale debba svolgersi nel segno dell’unità e che, anche rispetto alle future norme che emaneranno da ciascuna Regione, supremo sarà sempre l’interesse della Nazione e la solidarietà fra tutte le Regioni.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta dell’onorevole Morelli era già stata avanzata prima dall’onorevole Zotta e poi dall’onorevole Colitto. Il Comitato li aveva pregati di rinviare la questione all’articolo 118, accettando fin d’ora in massima il concetto espresso ed ammettendo che, come collocamento, si sarebbe potuta, quando si farà la sistemazione di tutta la Costituzione, mettere la norma anche qui, nell’articolo che stiamo esaminando.

Di fronte a nuove insistenze, il Comitato non si oppone a che il principio sostanzialmente acquisito già al testo dei Settantacinque, in altra forma, abbia fin d’ora di nuovo formule ed esplicita approvazione. Non vi è nulla di nuovo nel pensiero del Comitato. Su questo principio non v’è dubbio: regionalisti e antiregionalisti sono d’accordo che le disposizioni della legislazione secondaria della Regione non debbano mai contrastare con l’interesse della Nazione e delle altre Regioni.

L’Assemblea voti, dunque, il principio in modo che rimanga definitivamente stabilito. In quanto al collocamento, meglio forse che rimanere nell’ultima parte dell’articolo attuale, dovrebbe essere trasferito nel suo primo comma. Ma si può ancora riservare la questione se metterlo qui o altrove, alla revisione sistematica che avrà luogo dopo che tutta la Costituzione sarà approvata.

PRESIDENTE. L’onorevole Morelli è d’accordo?

MORELLI RENATO. Sono d’accordo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Riterrei opportuno di rinviare la votazione anche sulla questione di principio, perché questa materia della competenza regionale ha subito tante trasformazioni da indurre a pensare che qualche dubbio sia sorto sulla questione del controllo di merito nella legislazione regionale in relazione agli interessi dello Stato e delle altre Regioni. La nuova configurazione della legislazione regionale rimane talmente delimitata e precisata, che la questione del controllo di merito, concesso anche dall’articolo 118 al Governo per opporsi alle leggi regionali (in quanto eventualmente contrastanti coll’interesse delle altre Regioni e dello Stato), va riveduta e meditata. Per questo propongo che tutto l’insieme della questione sia riesaminato in sede di articolo 118.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il suo pensiero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ciò che ha detto l’onorevole Tosato non mi sembra avere un fondamento decisivo. Che la legislazione secondaria regionale non debba contrastare con gli interessi nazionali o delle altre Regioni è un punto talmente acquisito a tutta l’elaborazione della Costituzione, e così inerente alla struttura unitaria dello Stato, che l’onorevole Tosato non ne può certamente dubitare. Posto il principio, si tratterà di vedere le vie e gli organi di controllo. Che sia sempre la Corte costituzionale o che, essendo questo controllo di merito, spetti piuttosto al Parlamento o ad un suo ramo, è questione che sarà decisa dall’Assemblea nel modo che crederà migliore; ma ciò non tocca, ed anzi presuppone, il principio che ora è da votare.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Non sarei intervenuto nella discussione se l’onorevole Tosato non me ne avesse dato l’occasione. Egli ha dimostrato chiaramente col suo intervento che l’emendamento dell’onorevole Morelli è perfettamente giustificato, che è urgente, che è necessario e che dobbiamo votarlo. Un qualche dubbio ci poteva essere circa l’opportunità dell’inserimento, finché avevamo sentito le parole dell’onorevole Presidente, il quale ci diceva: badate che è solo un di più, perché questo principio è ammesso e pacifico. Ma se un’ombra di dubbio c’è, è bene votare subito l’emendamento dell’onorevole Morelli. C’è una questione, eventualmente, di ridondanza. Ma, a questo proposito, rilevo che, se il nostro testo costituzionale fosse uno di quei politi e torniti documenti giuridici cui non si può togliere o aggiungere una virgola senza turbarne l’euritmia, non saremmo né io né l’onorevole Morelli a volerne rompere la perfezione. Ma ci sono in esso tante tautologie e ridondanze che questa affermazione necessaria e principale mi pare possa esservi compresa. Quindi voterò per l’emendamento Morelli.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che proposito?

TOSATO. Soltanto per una chiarificazione circa l’esistenza di limiti di merito alla legislazione regionale. Questa va intesa nel senso che la legislazione regionale trova un limite nell’interesse delle altre Regioni e nell’interesse generale dello Stato; siamo tutti d’accordo su questo punto; ma il problema non è sul limite, ma sul terreno tecnico. Il problema è, tecnicamente, di procedura, e per questo va esaminato sotto il profilo dell’articolo 118.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. A me sembra, contrariamente a quanto ha detto l’onorevole Tosato, che il problema non sia di procedura, ma di sostanza: incide sulla qualificazione della potestà legislativa della Regione. Nel momento in cui la Costituzione conferisce un potere di dettare leggi alla Regione, e lo precisa con un limite estrinseco, che è quello che abbiamo segnato nel primo comma, è necessario anche un limite di merito, che attiene alla quantità, per così dire, di questa potestà legiferante della Regione. La questione di procedura verrà dopo se e in quanto ci sarà un limite di sostanza, che noi dobbiamo fissare proprio in questa sede. Direi di più: che questa precisazione è indispensabile, anche se non ci dovesse essere la possibilità di un controllo costituzionale. È, in altri termini, una direttiva, un orientamento che lo Stato dà alla Regione. Esso dice alla Regione: puoi fare delle leggi, ma esse incontrano questo limite: non violare gli interessi della Nazione e delle altre Regioni. Se ci potrà essere una possibilità di sanzione è un altro problema. Ciò non toglie che questa necessità d’imposizione di un limite chiaro e preciso, che tranquillizzi sulla unità del sistema legislativo debba essere posto. Perciò voterò a favore dell’emendamento Morelli.

PRESIDENTE. Pongo anzitutto in votazione la proposta dell’onorevole Tosato di rinviare la decisione su questo particolare emendamento.

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Morelli Renato del seguente tenore:

«Dopo l’elenco delle materie, aggiungere: sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni».

(È approvato).

Resta inteso che si dovrà, in sede di coordinamento, stabilire il collocamento di questa proposizione.

Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 109, che è del seguente tenore:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

Su questo comma sono stati proposti alcuni emendamenti.

L’onorevole Mortati propone che il comma sia sostituito dal seguente:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione l’emanazione delle norme regolamentari per la loro integrazione ed esecuzione».

Invece l’onorevole Preti propone soltanto di aggiungere dopo la parola «norme», la specificazione» regolamentari».

Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi ed Azzi propongono, infine, di sostituire alla parola «esecuzione», la parola «attuazione».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Il nostro emendamento si riduce alla sostituzione della parola «esecuzione», con la parola «attuazione». Perciò, lo svolgimento dovrebbe essere brevissimo. Tuttavia, vorrei approfittare di questa occasione, per sottolineare il valore di questo comma, allo stato attuale dei nostri lavori. Dopo le lunghe discussioni sull’articolo 109, si è arrivati a fare una elencazione, relativamente ristretta, delle materie sulle quali le Regioni hanno un potere legislativo, nell’ambito dei principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato.

L’ultimo comma, così come figura nel testo della Commissione, proviene dall’ultimo comma dell’articolo 111 dell’antico progetto, e risente un po’ di questa sua origine, in quanto nel testo primitivo si parlava, in realtà, di esecuzione, ma si parlava anche di norme regolamentari; invece, il testo attuale della Commissione non parla più di norme regolamentari, ma di norme, puramente e semplicemente.

Ora, a noi pare che questa modificazione, già accolta dal Comitato, è certamente da accogliersi; ma, appunto per questo, è anche da rettificarsi l’ultima parola usata nel comma, dicendo «attuazione» in luogo di «esecuzione».

La parola «esecuzione» poteva comprendersi, quando si parlava soltanto di norme regolamentari. Allargato, invece, il concetto, conviene usare una espressione più larga. Ora, fra le formule abitualmente usate per indicare qualcosa di più della «esecuzione», cioè una integrazione, un’emanazione di norme complementari in dettaglio, la nostra tecnica legislativa usa di solito «attuazione».

Questo comma, dicevo, rappresenta, in fondo, una norma complementare di quella che sarebbe stata la formula generale, quale era proposta da alcuni colleghi e particolarmente dall’onorevole Targetti, anzi è meno ardita. È una formula che viene a completare il quadro e che potrà e dovrà avere una notevole importanza pratica; in quanto, secondo questo sistema, lo Stato, facendo una legge, al di fuori di quelle materie elencate in maniera tassativa nella parte prima, avrà una notevole elasticità di movimento, una notevole libertà di disciplina. E potrà usare varî modi; uno potrà essere questo: che lo Stato, facendo una legge su una certa materia, lasci alle Regioni una notevole ampiezza nello stabilire le norme di integrazione e di attuazione; ma lo Stato potrà anche usare quest’altro espediente: stabilire delle norme aventi carattere dispositivo, nel senso che esse avranno efficacia, se ed in quanto la Regione, utilizzando il potere attribuitole dall’ultimo comma di questo articolo, non adotti essa stessa delle norme di attuazione.

Ritengo, dunque, che questo articolo avrà notevole importanza pratica. In definitiva, forse, più che la prima parte, questa seconda parte darà la misura dell’intervento regionale nel campo legislativo.

Chi ha seguito, anche in questi ultimi giorni, la discussione di leggi in quest’Assemblea, ha vissuto un’esperienza che dà molti insegnamenti; cioè dimostra come un Parlamento difficilmente possa fare leggi, che scendano al dettaglio. In queste condizioni, il Parlamento si trova esposto al pericolo che, non potendo scendere al dettaglio, sia facilmente indotto a delegare al Governo la competenza di fare norme complementari. Ora, questo comma offre invece un’altra possibilità, che potrà avere una notevole utilizzazione, e cioè che la legge statale regoli una certa materia con norme che restino in un campo abbastanza generale, e deferisca alle singole Regioni la competenza di fare le norme di dettaglio e di attuazione.

Ritengo, dunque, che questo articolo ha notevole importanza. La modificazione proposta mi pare che non possa incontrare difficoltà e mi auguro che su questo comma si manifesti l’unanimità dell’Assemblea, con l’adesione, cioè, anche di tutte quelle parti politiche che finora si sono, per ragioni che non voglio discutere, rifiutate o, per lo meno, hanno resistito nell’attribuire alle Regioni il potere legislativo così come è indicato nella parte prima di questo articolo.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Dirò brevi parole. Dopo una lunga discussione si sono stabilite le varie materie sulle quali la Regione è chiamata ad emanare norme legislative. Ora, mi sembra evidente che su tutte le altre materie la Regione non potrebbe essere chiamata che ad emanare norme regolamentari. Perciò mi sembra opportuno che nel testo dell’ultimo comma dell’articolo non si dica semplicemente che le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione «il potere di emanare norme», bensì specificamente si abbia a parlare di «potere di emanare norme regolamentari». Mi sembra che tutti debbano arrivare a questa conclusione, a meno che non si mediti un allargamento del concetto di norma di cui a questo ultimo comma, come mi ha lasciato pensare l’onorevole Perassi. Se prima ero in dubbio se sostenere il mio emendamento, ora, dopo aver sentito le parole dell’onorevole Perassi, ritengo necessario insistere.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

MORTATI. A me pare che all’onorevole Preti sia sfuggito il significato della votazione avvenuta poco fa, che ha portato all’approvazione della dizione «altre materie stabilite dalla legge». Con tale norma si è data al legislatore la podestà di attribuire alla Regione un’attività legislativa assai vasta, in cui possono rientrare tutte le forme di legislazione delegata. Non vi è luogo perciò, all’infuori di questa, se non ad un conferimento di potere regolamentare. Credo pertanto che non sia il caso di insistere sull’inserzione della frase «regolamentare», essendo tale carattere implicito.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

DUGONI. Devo dire che queste sono cose stupefacenti, in quanto si sta ricreando la triplice distinzione della facoltà legislativa da parte della Regione, che si era voluta cancellare abolendo i vecchi articoli 109, 110 e 111. Si era detto: creiamo un’unica facoltà per la Regione, in modo che sia uniforme e che sia senza possibilità di equivoci e soprattutto che sia estremamente semplice. Oggi noi vediamo che si torna a creare la facoltà legislativa quasi a tipo esclusivo, perché attraverso l’emendamento attuale si respinge verso l’esclusività, cioè verso una menomazione della facoltà legislativa dello Stato. Questo è il concetto che oggi viene fuori; si va verso la restrizione della possibilità dello Stato di legiferare su determinate materie.

PERASSI. Non è vero.

DUGONI. Ma sì, questo è il gioco che si sta facendo.

PERASSI. Non facciamo nessun gioco.

DUGONI. Parlo con molta precisione di linguaggio. Si sta facendo il gioco (Commenti) di far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Il problema che si viene ponendo è questo: dopo che si è trovato un accordo, dopo che si era cercato in tutti i modi di confluire verso un sistema unico di potestà legislativa della Regione, adesso si stanno creando i tre tipi, cioè la legislazione esclusiva, la legislazione integrativa e la legislazione regolamentare. Se questo non si chiama riportare dalla finestra quello che l’Assemblea ha già buttato fuori dalla porta col suo voto, io non so che cosa questo significhi. Noi ci opponiamo a questo sistema soprattutto per una ragione di lealtà. (Commenti). Non avendo tutte le frecce al vostro arco, voi adoperate le frecce dell’avversario quando vi fa comodo. Questo è un sistema che non è giusto e che non è leale e noi lo respingiamo con tutte le nostre forze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Dugoni, che vede oscuri intenti e manovre, voglio osservare che il richiamo della potestà regolamentare da lui sostenuto è messo avanti proprio dall’onorevole Mortati, della tendenza da cui partirebbero le manovre. La questione è anzitutto tecnico-giuridica, e va decisa da tale punto di vista. Del resto prego l’onorevole Dugoni di riflettere che alcune delle apprensioni che qui lo muovono, non gli furono presenti quando accettò l’emendamento Giua, che aveva qualcosa d’affine agli emendamenti ora da lui combattuti. Non è difficile smarrirsi in questa galleria di facoltà legislative e regolamentari.

Come punto di partenza resta fermo che noi abbiamo unificato i tre tipi sottili e complicati, che erano stati predisposti per la competenza legislativa della Regione. Resta fermo che lo Stato stabilisce nelle sue leggi i principî entro i cui limiti la Regione ha una facoltà di dettare norme, che abbiamo chiamata legislativa. Resta fermo che lo Stato, stabilendo i principî, traccia come un cerchio nel quale si deve tenere la Regione, che è bensì libera entro il cerchio (la cornice, come dicono i giuristi tedeschi), ha entro quel cerchio una competenza propria, che però è sempre, in sostanza, quella di integrare i principî posti dallo Stato.

Vi sono state battaglie sulle parole «potestà legislativa». Sorsero e rimangono parecchi scrupoli sulla figura di «legge della Regione». Forse, se invece di parlare di «norme legislative» si fosse parlato di «norme che abbiano valore di legge» vi sarebbero stati meno scrupoli. Tutti sanno che vi sono atti che non sono formalmente leggi, ma hanno valore come se fossero leggi. Io penso che la classica e tipica distinzione fra legge e regolamento non abbia più il rilievo ed il taglio netto di un tempo; quando le due categorie risalivano ad una distinzione anch’essa più netta e recisa, tra i compiti del Parlamento e del Governo. Per la maggior complessità della vita dello Stato e per le esigenze pratiche del suo funzionamento, si sono sempre più sviluppate forme intermedie: di legge delegata, di regolamento indipendente; e così via. Si viene delineando, e noi che facciamo la Costituzione ne sappiamo qualcosa, una scala e gerarchia di norme: che vanno dalla Costituzione e dalle leggi di valore costituzionale alle leggi ordinarie dello Stato; e vengono fuori altre categorie secondarie di norme, come queste emanate dalla Regione, che prendono anch’esse rango e nome di leggi. Molto si spiega con un fatto, sul quale ho più volte insistito di fronte all’Assemblea: il Parlamento non è più in grado di fare tutte le leggi necessarie alla vita attuale del Paese; ed allora (oltre i congegni interni che dovranno svilupparsi nel suo seno di delega a sue speciali Commissioni) si fa strada l’attribuzione di compiti legislativi, sempre secondari ed in dati limiti, alla Regione e ad altri organi (come potrebbero essere i Consigli economici). È tutta una materia in movimento; e se fra legge e regolamento non vi sono più i confini di un tempo; e se la parola «legge» si espande, sollevando i giovanili furori dell’onorevole Preti, pur così colto e preparato, non è arbitrio o capriccio o manovra terminologica; né tutto si riduce a voler valorizzare la Regione. È un processo in cammino; che non possiamo definire ancora in tutti i suoi particolari; un processo di decentramento legislativo, che dobbiamo registrare, cercando nel tempo stesso di evitare gli equivoci.

A tale scopo, dopo aver combattuto la legge della Regione, l’onorevole Preti non vuole ora che si parli di regolamento; e qui gli do ragione, appunto perché non c’è più la distinzione e la configurazione rigida di un tempo. Invece l’onorevole Zotta vorrebbe, come l’onorevole Mortati, parlare di regolamento; ed a me non sembra opportuno; come non mi sembra opportuno parlare, come egli vorrebbe, d’«integrazione»; perché, lo ho già detto, anche nella potestà legislativa del primo comma vi è in sostanza una integrazione di norme dello Stato. Accetto, invece, l’emendamento Perassi, che invece di «esecuzione», dice «attuazione»; e ritengo che l’espressione si addica a quanto veniamo a dire in questo ultimo comma.

Ciò che in esso stabiliamo non contraddice alle disposizioni del primo comma; in forza del quale lo Stato, in date materie, si limita a stabilire principî fondamentali, e la Regione ha una competenza propria a far norme entro i limiti posti dallo Stato. Nelle altre materie, in tutte le materie, lo Stato fa leggi comuni, particolareggiate e minute, e può per la loro attuazione, caso per caso, attribuire facoltà di dar norme alla Regione, anziché al Governo centrale. Preferisco non parlare (lo ripeto) di norme regolamentari. Non insista, onorevole Preti, perché sarebbe controproducente alla sua concezione delle norme del primo comma, di cui accentuerebbe il carattere legislativo. Non parliamo, in quest’ultimo comma, né di legislazione integrativa, né di regolamento. Siamo ai margini. Nomi e designazioni verranno fissati; e vi avrà la sua parte la dottrina. Quel che importa, intanto, è che si ponga una differenza di processo fra il primo e l’ultimo comma. Il Comitato ritiene che basti il suo testo; ed accoglie soltanto l’emendamento Perassi.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Ho spiegato che il mio emendamento non ha più ragione di essere, una volta approvato l’inciso «altre materie». Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Preti?

PRETI. Voglio osservare che il mio emendamento non è controproducente. Il Presidente Ruini ha detto che ho combattuto la famosa distinzione tra norme e regolamento, quando si trattò del primo comma dell’articolo. Ed invero io sostenni che si doveva genericamente parlare di potestà normativa, e non di potestà legislativa. Ma, poiché per il primo comma è stata adottata la dizione «potestà legislativa», è chiaro che è prevalsa l’altra tendenza. Proprio per questo io chiedo che in questo ultimo comma, per togliere ogni equivoco, si dovrebbe meglio specificare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è, onorevole Preti, il taglio netto fra legge e regolamento.

PRESIDENTE. Al testo della Commissione sono stati dunque proposti due emendamenti, uno dei quali, quello dell’onorevole Perassi, è stato accettato dalla Commissione, mentre l’altro, presentato dall’onorevole Preti, non è stato accettato.

Pongo prima in votazione il testo con l’emendamento dell’onorevole Preti, per il quale la dizione suonerebbe così:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme regolamentari per la loro attuazione».

(Non è approvato).

Dovremo ora passare alla votazione del testo della Commissione, comprendendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi, accolto dalla Commissione stessa.

DUGONI. Onorevole Presidente, ritengo che si debba votare per divisione su questo punto. Che la Commissione abbia accettato l’emendamento Perassi è altra questione.

PRESIDENTE. Quando si fanno questioni procedurali esse devono avere uno sbocco. A cosa sbocca questa questione? Lo sbocco è che dobbiamo votare il testo della Commissione, includendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi.

L’onorevole Dugoni, vorrebbe che l’emendamento Perassi fosse votato subito?

DUGONI. Domando se vi saranno due votazioni.

PRESIDENTE. Soltanto se il testo comprensivo dell’emendamento Perassi fosse respinto, faremmo una seconda votazione.

Pongo dunque in votazione il testo della Commissione con l’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

(È approvato).

È esaurita pertanto la votazione sui vari commi dell’articolo 109, il cui testo risulta così formulato:

«La Regione emana norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, nelle seguenti materie:

ordinamento degli uffici degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;

modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali;

polizia locale urbana e rurale;

fiere e mercati;

beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;

istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;

musei e biblioteche di enti locali;

urbanistica;

turismo e industria alberghiera;

tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;

viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;

navigazione e porti lacuali;

acque minerali e termali;

cave e torbiere;

caccia;

pesca nelle acque interne;

agricoltura e foreste;

artigianato;

altre materie indicate da leggi speciali, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 112. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie indicate negli articoli 109 e 110 e nelle altre delle quali lo Stato le delega la gestione».

PRESIDENTE. Per questo articolo il Comitato di redazione ha ora proposto la seguente nuova formulazione:

«Spettano alle Regioni le funzioni amministrative per le materie indicate nel precedente articolo, in quanto regolate da norme speciali, salvo quelle di interesse esclusivamente locale attribuite con leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni e ad altri enti locali».

In relazione a tale articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo emendamento è quello sostitutivo dell’onorevole Mortati. Lo leggo nella sua definitiva formulazione:

«Sostituire l’articolo con il seguente:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

Do la parola all’onorevole Ruini perché esprima il pensiero della Commissione su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato fa proprio l’emendamento Mortati, ed io ne dirò le ragioni. Il testo dell’articolo 112 si limitava e stabilire che spettano alla Regione le funzioni amministrative corrispondenti alle materie in cui la Regione ha competenza legislativa. Questo in via di massima, come principio; perché è sembrato alla maggioranza del Comitato che tra l’uno e l’altro ordine di funzioni, legislativa ed amministrativa, vi sia un rapporto di connessione; e sarebbero insorte molte questioni non facili a risolversi in sede costituzionale, se si fosse voluta fissare una serie di attribuzioni amministrative. Vi sarebbe stato anche l’inconveniente di irrigidire in forma costituzionale la distribuzione di funzioni fra Regione ed altri enti locali. Il Comitato è stato unanime nello stabilire che non vi sia parallelismo rigido fra funzioni legislative ed amministrative della Regione e che le funzioni amministrative, attribuite in via di massima alla Regione per la correlazione alle sue funzioni legislative, possano essere, con leggi dello Stato affidate ad altri enti locali; in vista di quel riordinamento e di quella redistribuzione di attività amministrative, deve essere uno dei migliori risultati di questa nostra riforma, che parte dalla istituzione dell’ente Regione.

Potevano sorgere e son sorte a tal punto questioni. Come? L’elenco delle materie in cui spetta competenza legislativa alla Regione è tale, che passando anche su tale materia le funzioni amministrative, la Provincia sarebbe privata del suo attuale contenuto di attribuzioni. Non basta, osservano i (diciamo così) provincialisti, che la Regione possa volontariamente incaricare la Provincia di esercitare funzioni che spetterebbero a lei Regione. D’altra parte, dicono i regionalisti, se lasciamo alle leggi ordinarie dello Stato di togliere alle Regioni funzioni che le abbiamo, in via di massima, attribuite, e di darle invece agli altri enti locali, che cosa resta della Regione?

Si è trovato un accordo nell’ammettere che agli altri enti possano passare soltanto funzioni di esclusivo interesse locale, non regionale. Indicazione non ben determinata; ma intanto, e tutti furono di quest’idea, si è aperta la via alla redistribuzione di funzioni locali, che è la cosa che più importava.

L’emendamento Mortati mantiene e non tocca la prima parte dell’articolo. Vi aggiunge che «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici». Non è cosa nuova; era acquisita al vecchio testo, per evitare la burocratizzazione della Regione. Messo qui, ed espresso in forma migliore, con la distinzione della delega e dell’utilizzazione degli uffici locali, la disposizione assume un efficace risalto; e conferisce ad inquadrare subito, nel suo aspetto generale, la fisionomia e la struttura della Regione.

Non ho altro da dire. L’emendamento dell’onorevole Mortati raccoglie felicemente quegli elementi che prima erano trasferiti in varie parti del progetto. Pertanto il Comitato lo fa proprio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero richiamare l’attenzione sulla notevole importanza di questo articolo, che stabilisce la competenza amministrativa della Regione. Secondo l’orientamento che sembra più opportuno, questa competenza dev’essere concepita in funzione prevalentemente direttiva, normativa, di impulso, di controllo. Si deve evitare il pericolo, che molti temono, e che non è ipotetico, di un accentramento regionale, che potrebbe portare all’inconveniente di trasportare nel seno della Regione quell’accentramento che si vuole sopprimere nell’organizzazione dello Stato.

Quindi, l’opportunità di stabilire nello stesso articolo che determina la sfera dell’attività amministrativa della Regione, il principio del decentramento.

C’è un altro punto che mi pare di notevole importanza, quello di stabilire un parallelismo tra la funzione normativa e la funzione amministrativa della Regione. Questo parallelismo era stato stabilito dal Comitato con una formula che a me non sembrava esatta, perché parlava di potestà amministrativa genericamente nella materia normativa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene; ma abbiamo fatto nostro il suo testo.

MORTATI. Allora è inutile soffermarsi; volevo soltanto segnalare l’importanza che ha dal punto di vista politico il collegare l’attività amministrativa della Regione all’attività normativa propria istituzionalmente della medesima.

PRESIDENTE. Vi è un altro emendamento presentato dagli onorevoli Bozzi, Colitto, Crispo, Villabruna, Morelli Renato, Preziosi, Cifaldi, Bencivenga, Fresa, Caroleo, Condorelli:

«Le Regioni, le Provincie ed i Comuni provvedono all’amministrazione nelle materie indicate dalle leggi della Repubblica».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, noi dobbiamo oggi affrontare il secondo argomento di maggiore importanza, nel tema della Regione. Abbiamo finora trattato della potestà normativa ed abbiamo tutti sentito la necessità di fissare alcuni limiti.

Adesso passiamo al secondo capitolo: la competenza amministrativa della Regione, cioè l’attività che attiene all’esecuzione delle leggi. Le leggi non sono dichiarazioni accademiche; hanno importanza in quanto si traducano in atto; quindi, la necessità di stabilire l’organo, l’ufficio che deve amministrare, che deve eseguire le leggi e dare soddisfazioni, nei limiti di esse, ai pubblici interessi.

Io, che pure non passo per un regionalista, sento la necessità di un decentramento amministrativo. (Approvazioni al centro). Però sento altrettanto imperiosa la necessità di chiarezza.

Ora, mi sembra che, tanto nel testo originario, quanto – sia pure in minor grado – nel testo proposto dal collega professore Mortati ed accettato ora dal Comitato di redazione, si stabilisca un collegamento, che io non approvo, fra potestà normativa della Regione e potestà amministrativa. Si dice: la Regione ha competenza di amministrare in quelle materie nelle quali ha competenza di far leggi; quindi, non solo in quelle particolarmente elencate, ma in tutte quelle altre per le quali con leggi speciali lo Stato potrà delegare l’esercizio del potere legiferante alla Regione.

MORTATI. No, no.

BOZZI. Credo di sì; l’articolo proposto si riferisce al primo comma dell’articolo sulla potestà normativa della Regione, che comprende anche la possibilità di delega di cui ho detto.

Ora, mi sembra che questo collegamento tra competenza amministrativa e competenza normativa sia un difetto di impostazione e causa di incertezze. Io credo che non sia da escludere che alla Regione possa essere attribuita potestà di amministrare, anche in materie per le quali essa non abbia potestà normativa.

Noi ieri abbiamo, per esempio, escluso dalla potestà normativa della Regione le materie dell’industria e del commercio, ma io non vedrei nulla di male che su queste materie fosse conferita alla Regione stessa una certa competenza amministrativa. I Comuni già oggi ne sono titolari.

Questo articolo poi mi sembra limitativo. L’interpretazione che io ne do è questa: le materie che possono amministrare le Regioni, le Province e i Comuni sono quelle, e soltanto esse, previste per rinvio in questo articolo; donde la conseguenza che le leggi della Repubblica possono distribuire la potestà di amministrare fra Regione, Province e Comuni, ma soltanto nell’ambito delle materie elencate. Ma questo è un errore, e grave. Si pensi che oggi il Comune ha scopi illimitati; si può dire che sia suscettivo di massima espansione, che è paragonabile soltanto con quella dello Stato.

Ma vorrei, in modo particolare, che la Commissione mi desse un chiarimento intorno ad un altro mio dubbio, che stimo di qualche rilevanza. Noi abbiamo stabilito una potestà normativa delle Regioni, la quale è indiscutibilmente una potestà subordinata ai fini fondamentali dello Stato; la Regione, cioè, si muove con le sue leggi entro zone che sono predeterminate dalle leggi dello Stato e – secondo quanto abbiamo oggi aggiunto – con vincoli di merito, perché la Regione non può mai dettare norme che contrastino con l’interesse dello Stato o di altre Regioni. Ma la potestà amministrativa della Regione è del pari subordinata, così come la potestà normativa? In sostanza, come noi abbiamo cercato di assicurare una unità legislativa, cercheremo di assicurare anche l’unità amministrativa, cioè l’unità nell’esecuzione delle leggi? E come cureremo l’attuazione amministrativa dei principî fondamentali che sono riservati alla potestà legislativa dello Stato? Questo è un dubbio, egregi colleghi, che si pone alla mia coscienza di giurista; è un dubbio che è balzato ai miei occhi non appena ho letto quest’articolo, e che desidero mi venga chiarito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo.

BOZZI. Io desidero, in altri termini, sapere quali saranno i rapporti fra gli uffici autarchici regionali e gli organi burocratici dello Stato, se esisteranno ancora.

Ma qui la visuale dei dubbi si allarga. Onorevoli colleghi, ho l’impressione che abbiamo dimenticato un punto importante, o non lo abbiamo tenuto nella giusta luce. Noi abbiamo istituito la Provincia come ente autarchico: ebbene, non è questa una introduzione di poco momento; è questo, invece, un istituto che incide nella struttura di tutto il sistema di autonomie che abbiamo creato.

Non solo, ma si parla anche di altri enti locali, che non si sa bene quali potranno essere. Ora, quale sarà la distribuzione dei compiti? Che cosa sarà la Regione? Lo Stato amministra; ma amministrano anche le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti. Dov’è l’ordinamento di questo complessò sistema? Qual è la linea? Accentreremo noi forse le funzioni amministrative nella Provincia, così che la Regione sarà quasi un consorzio obbligatorio di Province e avrà prevalentemente una funzione di coordinamento? Io vedo, per esempio, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, un alinea che mi fa pensare che le funzioni amministrative saranno prevalentemente esercitate dalle Province e dai Comuni, sia pure attraverso una delega delle Regioni. Ora, io dico: un decentramento vivo e reale lo vogliamo tutti; tutti sentiamo i danni di un accentramento statale, opprimente alcune volte. Ma perché un decentramento possa avvenire è necessario che noi riorganizziamo, con una visione organica e completa, non solo la competenza degli enti locali, ma le competenze amministrative dello Stato. Si impone, cioè, una riforma completa della pubblica amministrazione, statale e indiretta, come si chiama da taluni quella dei Comuni e delle Province.

Ed ecco la ragione del mio emendamento: facciamo un articolo di rinvio. I Comuni, le Province, le Regioni avranno la competenza amministrativa nelle materie che saranno indicate dalla legge. E con ciò – e il Presidente onorevole Ruini me ne può far fede – non propongo, in definitiva, cosa diversa da quanto non sia stabilito nell’articolo 8 delle Disposizioni transitorie e di attuazione, là dove si dice che con legge della Repubblica sarà regolato il trapasso delle funzioni dallo Stato alle Regioni.

In altri termini, perché questa riforma possa avere cominciamento, attuazione e sviluppo, è necessaria una legge organica. E allora dico: non pregiudichiamo il problema con affermazioni che potrebbero domani turbare la linea di quella che deve essere una riforma organica. Attendiamo questa riforma del decentramento amministrativo, del quale oggi dovremmo solo affermare la necessità e stabilire l’impegno per il futuro legislatore.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero eliminare il possibile equivoco, quale può desumersi dalle parole dell’onorevole Bozzi. Il mio emendamento, quando fa riferimento alle materie indicate nel primo comma del precedente articolo, intende riferirsi alle materie comprese nell’elencazione, escludendo cioè quelle indicate genericamente, come delegabili dal legislatore ordinario. Queste ultime, dando luogo ad una competenza temporanea, e sempre revocabile, perciò non istituzionale, della Regione, non possono importare un passaggio automatico di competenza amministrativa.

Se me lo permette l’onorevole Presidente, vorrei ancora precisare molto brevemente la ragione di questo parallelismo fra potere legislativo e potere amministrativo della Regione. In sostanza, noi abbiamo voluto con questa proposta dare un primo avviamento al principio del decentramento amministrativo dello Stato; abbiamo voluto, cioè, nella stessa Costituzione affermare un criterio del passaggio alla Regione di tutte quelle attività amministrative inerenti a materie per cui essa ha potere esclusivo di legislazione integrativa dei principî.

Ciò dovrebbe consentire l’eliminazione degli uffici locali dello Stato per interi gruppi di materie, iniziando la decongestione dell’Amministrazione statale in modo razionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo col seguente:

«La Regione esercita funzioni amministrative, oltre che nelle materie di cui all’articolo precedente, in tutte le altre che le siano delegate dallo Stato.

«Funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia e al Comune dalle leggi dello Stato o da quelle della Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Vorrei far presente due punti. Anzitutto, come ha rilevato l’onorevole Bozzi, mi pare che accettando l’emendamento dell’onorevole Mortati noi veniamo a stabilire che si possano decentrare funzioni amministrative ai Comuni e alle Province solo nell’ambito delle materie indicate nell’articolo 109. Almeno, se non sbaglio, questa è l’interpretazione letterale dell’emendamento dell’onorevole Mortati: insisterei quindi nel mio emendamento per la parte che dice che «funzioni amministrative di carattere locale possono altresì essere deferite alla Provincia o al Comune dalle leggi dello Stato»; e aggiungerei poi «o da quelle della Regione», significando cioè, che anche la Regione può decentrare le proprie funzioni amministrative alla Provincia e al Comune.

Non sarei favorevole all’accettazione dell’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Mortati, che riporta alla materia disciplinata dall’articolo 120 del progetto. Credo che questa materia dell’articolo 120 sia opportuno lasciarla dove l’ha posta il progetto; essa riguarda anche i consorzi e la definizione della Provincia: è un problema più vasto, che non può essere ristretto negli angusti limiti di quest’ultimo comma, così come è proposto dall’onorevole Mortati.

In via di massima accetterei quindi i primi due commi dell’emendamento dell’onorevole Mortati, ma a condizione che sia chiarito che ai Comuni e alle Province possono essere delegate funzioni amministrative anche in materie non comprese fra quelle deferite dall’articolo 109 alla Regione agli effetti legislativi.

PRESIDENTE. Mi permetta, allora lei aderirebbe all’emendamento Mortati.

CODIGNOLA. Con la precisazione che ho detto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Comincio col rispondere all’onorevole Bozzi sulle questioni minori che ha sollevato con la consueta acutezza. Egli esprime il dubbio che siano attribuite alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti non solo alle materie tassativamente indicate dall’articolo precedente per la potestà legislativa della Regione, ma anche alle «altre materie» in cui pure può essere accordata eguale facoltà. L’intento del Comitato è proprio di evitare che avvenga tale estensione; ed è in vista di ciò che nell’ultimo testo proponiamo di dire materie «elencate», e cioè indicate nell’elenco, non comprese genericamente nelle «altre materie». Comunque, se sarà necessario un chiarimento maggiore, lo potremo fare in sede di coordinamento. Nulla vieta che delle «altre materie» si possa fare un comma a sé, in modo che non possa più sorgere il menomo dubbio.

L’onorevole Bozzi si preoccupa poi (e la sua preoccupazione mi sembra condivisa dall’onorevole Codignola) che ai Comuni ed alle Province non possano essere attribuite altre funzioni oltre a quelle indicate nell’articolo precedente. Non è così. Quest’articolo considera solo le funzioni amministrative, spettanti in via di massima alla Regione, che possono da leggi dello Stato essere trasferite alle Province ed ai Comuni. Ma questi enti possono e debbono avere altre funzioni e compiti attribuiti ad essi da leggi dello Stato. Lo dice il successivo articolo 121, che definisce più direttamente (qui nel 112 si parla di Regione) la figura delle Province e dei Comuni. Il dubbio degli onorevoli Bozzi e Codignola non regge. Del resto potranno, in occasione dell’articolo 121, proporre, se lo credono necessario, formulazioni anche più esplicite nel senso desiderato.

Altra preoccupazione dell’onorevole Bozzi: che, dove la Regione ha funzioni legislative ed amministrative, si debbano sopprimere gli uffici centrali. È chiaro che, quando dati servizi passano dallo Stato alle Regioni, dovranno passare alle Regioni dati uffici ed il relativo personale. Ma è altrettanto chiaro che quando si danno alle Regioni funzioni legislative ed amministrative, ad esempio, sull’agricoltura e sulle foreste, non deve con ciò intendersi soppresso il Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Lo Stato, che stabilisce i principî generali della legislazione in siffatte materie, deve evidentemente conservare funzioni di vigilanza e di controllo. Sarà un compito diverso da quello di prima; si dovranno evitare doppioni e pesantezze burocratiche; ma insomma vi saranno anche uffici centrali.

Su questi tre punti l’onorevole Bozzi può essere tranquillo.

Veniamo al problema principale: il nesso fra le potestà legislative e le funzioni amministrative delle Regioni. Questo nesso non è indispensabile, siamo d’accordo; si poteva (l’ho già detto in un altro intervento) far due elenchi ben distinti di materie di competenza legislativa, e di funzioni amministrative. Ma quante difficoltà ed incertezze. E sarebbe giovato – proprio contro gli intendimenti dell’onorevole Bozzi – irrigidire anche le funzioni amministrative in un elenco di Costituzione?

Che cosa si è fatto? Si è tenuto presente che un nesso, sia pure non inscindibile, esiste fra le materie in cui la Regione pone le mani, sia come legislazione secondaria, sia come gestione. Dacché ci voleva un criterio, si è preso questo; ma subito dopo si è provveduto alla possibile disgiunzione, in quanto leggi ordinarie dello Stato possono trasferire ad altri enti locali le funzioni che, essendo connesse alla sua potestà legislativa, erano attribuite, come principio e schema, alla Regione. In altri interventi ho spiegato, e non mi ripeterò, come si sia realizzato l’accordo fra regionalisti e provincialisti, che temevano venisse spogliato, a vantaggio dell’altro, il loro ente. In sostanza, onorevole Bozzi, si è rinviata effettivamente la definitiva distribuzione di compiti fra Regione, Provincia e Comune, alla legislazione ordinaria, che provvederà gradualmente e sistematicamente.

Questo è savio rinvio, onorevole Bozzi. Non si può invece accettare il suo, che non vorrebbe neppur dare un primo schema delle funzioni della Regione, così che questa sorgerebbe del tutto teoricamente ed astrattamente; ossia in realtà non comincerebbe a vivere, se non quando una legge fondamentale avesse risoluto il problema dell’attribuzione dei suoi compiti. Invece, come ha ideata questa nascita il Comitato, e come risulterà dalle Disposizioni transitorie, Province e Comuni conserveranno le funzioni che hanno attualmente, e la Regione assumerà quelle altre che corrispondano alle sue funzioni legislative; salvo che, in virtù dell’articolo 112 che ora discutiamo, trasferisca alcune di queste agli enti minori. È il sistema più elastico possibile; risponde, onorevole Bozzi, alla concezione con cui io ho inteso la creazione della Regione; ed è sistema che, col riordinamento degli enti e di tutta la vita locale, apre orizzonti più vasti che la visione, limitata alla sola Regione, dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, è soddisfatto?

BOZZI. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Ruini, che ritengo valgano a dare una interpretazione autentica al testo, ritiro al mio emendamento perché mi ritengo soddisfatto.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola?

CODIGNOLA. Rinuncerei al primo comma del mio emendamento aderendo a quello dell’onorevole Mortati. Quanto al secondo comma, invece, lo manterrei in sostituzione della seconda parte della formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

Preciso. Approvo la prima parte dell’emendamento Mortati: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo articolo». In sostituzione della seconda parte; mantengo invece il secondo comma del mio emendamento: «Funzioni amministrative di carattere locale, ecc.».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che questo emendamento Codignola cancelli il significato della nostra proposta; perché va a finire che la Regione ha fatalmente, assolutamente tutte le funzioni comprese nell’articolo precedente e poi «funzioni amministrative di carattere locale», cioè altre funzioni. Noi, invece, abbiamo ammesso che le stesse funzioni, date alla Regione, possono essere trasferite alle Province ed ai Comuni.

Quindi, la disposizione Codignola è molto più restrittiva.

CODIGNOLA. Ma ho rinunziato al primo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se non mette «salvo quelle d’interesse esclusivamente locale, attribuite…» viene a togliere quella che è la virtù di adattamento e di equilibrio, che abbiamo introdotto.

Con questa disposizione, l’onorevole Codignola vuol dire che tutte le funzioni amministrative, relative all’articolo precedente, passano, massicciamente, senza eccezione, alla Regione; poi, si possono attribuire altre funzioni; questo è molto meno di quello stabilito dal Comitato.

CODIGNOLA. Il secondo comma riguarda le Province ed i Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta di fatto che con le sue proposte verrebbero tolte alle Province ed ai Comuni tutte le materie su cui la Regione ha facoltà legislativa; ossia sarebbero svuotate del loro attuale contenuto: e potrebbero essere attribuite soltanto «altre funzioni di carattere locale». Bisogna invece stabilire chiaramente, come primo passo al riordinamento della vita locale, che agli enti minori possano attribuirsi anche funzioni su cui alla Regione compete una legislazione secondaria.

CODIGNOLA. Non sono d’accordo con quanto afferma l’onorevole Ruini.

L’emendamento Mortati dice espressamente che la Regione esercita le normali funzioni amministrative sulle materie di sua competenza delegandole alle Province ed ai Comuni. Di conseguenza, l’emendamento Mortati prevede che solo le materie dell’articolo 109 possano essere delegate, per l’amministrazione, alle Province ed ai Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No. In questo caso è la volontà della Regione, che delega o meno. Qui, invece, è la legge dello Stato a stabilire che date funzioni, anche se soggette alla facoltà legislativa della Regione, vanno alle Province ed ai Comuni. È intuitiva la differenza delle due posizioni.

Inutile poi aggiungere che lo scopo del secondo comma dell’emendamento è perfettamente garantito, quando, parlando all’articolo 121 delle Province e dei Comuni, diremo che la legge dello Stato può attribuire loro tutte le «altre» funzioni che vuole. Ma, non prevedendo il trasferimento delle funzioni che l’emendamento lascia alla Regione, la sua disposizione, onorevole Codignola, è molto limitativa.

CODIGNOLA. Vorrei sapere se vi sono delle materie oltre quelle elencate nell’articolo 109 la cui amministrazione può essere deferita.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma senza dubbio; è scritto nel nostro testo, e non so quante volte ho ripetuto, che possono essere retribuite dalle leggi dello Stato a Province ed a Comuni le funzioni che in via di massima spetterebbero alle Regioni.

CODIGNOLA. Con questa assicurazione ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Si tratta allora di passare alla votazione dell’articolo, nel testo emendato dall’onorevole Mortati e accettato dalla Commissione. Su questo testo viene presentato un emendamento dell’onorevole Corbino. L’articolo dispone: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma». L’emendamento dell’onorevole Corbino tende ad aggiungere l’avverbio «esplicitamente», onde si dica «spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie esplicitamente elencate pel primo comma».

L’onorevole Mortati accetta questa modificazione?

MORTATI. Nella sostanza siamo d’accordo, nel senso che ho già specificato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, ormai si tratta di un testo della Commissione, non più dell’onorevole Mortati.

MORTATI. Non mi pare dubbia la necessità di precisare in sede di coordinamento, ciò anche perché la formula attuale non è sintatticamente corretta, non coordinandosi l’alinea in discorso con la dizione del primo comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Qui ognuno vuol essere maestro anche di grammatica e di sintassi e si improvvisa non solo legislatore ma purista. Alla pulizia formale passeremo da ultimo, dopo aver votato tutti gli articoli. Anche una formula che parla di «elencazione esplicita» non pare bella e corretta. Ciò che importa è la sostanza: che sia escluso di dare alla Regione i servizi amministrativi per le «altre materie» in cui le siano attribuiti poteri legislativi, oltre quelle elencate nell’articolo precedente. Mi tocca purtroppo di dovermi, una volta ancora, ripetere. Ho detto all’onorevole Bozzi che, se non basta l’espressione usata, potremo adottarne un’altra più chiara in quell’articolo che abbiamo approvato, ma potremo rivedere nel coordinamento finale.

PRESIDENTE. Il Comitato di redazione accetta la proposta dell’onorevole Corbino?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si oppone, e si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, insiste?

CORBINO. Se io avessi la certezza che in sede di coordinamento si chiarirà il significato limitativo della parola «elencate», ritirerei la mia proposta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le do assicurazione.

CORBINO. Allora non insisto.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione il nuovo testo accettato dal Comitato di redazione, del quale do lettura:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare che si potrebbero mettere d’accordo l’onorevole Corbino e l’onorevole Mortati (Commenti al centrò) qualora si dicesse: «Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie specificatamente elencate nel precedente articolo».

Non si parla di comma e si toglie ogni dubbio.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, le faccio osservare per regolarità di procedura, che siamo in votazione sul testo approvato dal Comitato di redazione. Non è possibile fare nuove proposte.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che si possa giungere a un chiarimento. Intanto chiederei che si votasse per divisione. Se l’onorevole Mortati conserva l’ultima parte, cioè «La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni, ecc.», io debbo votare contro. Che cosa questo, infatti, significa? Significa, o può significare, che la Regione, nell’esercitare le funzioni suddette, non le esercita direttamente, ma le esercita per il tramite della Provincia, del Comune, ecc. In altre parole, si viene a togliere alla Regione quella funzione amministrativa diretta che non le può essere tolta né dalla Provincia, né dal Comune, né da altri. Questo credo appaia chiaro a tutti, e questo è grave, perché si passa a conservare la Provincia come ente autarchico improvvisamente, senza una preparazione adeguata. Si poteva arrivare ad una conclusione pacificamente accettata dalla grande maggioranza.

Non si è fatto questo, e adesso si vorrebbe concedere a questa Provincia – rimasta così, per un colpo improvviso e che la grande maggioranza dell’Assemblea fino a pochi giorni fa intendeva trasformare – anche una funzione amministrativa delegata per tutte quelle materie che invece, secondo noi, spettano alla Regione, e se non alla Regione in forma diretta, ai suoi organismi amministrativi. Così viene smontata tutta la Regione e si riempie la Provincia…

Voci. Ai voti, ai voti!

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, se voleva svolgere questo tema, doveva farlo nella sede opportuna.

LUSSU. È una questione estremamente delicata. Prego l’onorevole Mortati o di rinunciare, oppure di modificare il suo emendamento nel senso che la Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici. Questo sarebbe un concetto accettabile da tutti o, almeno, da quanti ritengono l’economia della Regione una cosa seria.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Osservo questo: che il testo proposto dalla Commissione riproduce l’articolo 120, che l’onorevole Lussu ha, a suo tempo, approvato e che dice: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali…». Ad ogni modo mi pare che l’emendamento Lussu nella sostanza non alteri lo spirito informatore di questa disposizione e perciò non avrei difficoltà ad accettarlo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Lussu di precisare il suo emendamento.

LUSSU. Il testo della mia proposta è questo: «La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali, o valendosi dei loro uffici».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si può accettare la proposta dell’onorevole Lussu. Secondo la concezione del Comitato, che l’Assemblea va accogliendo, le Province ed i Comuni debbono vivere di vita, se è possibile, anche più piena sotto le ali della Regione, che deve vivificarli e potenziarli. La Regione ricorre «normalmente» a Provincie e Comuni per esercitare le sue funzioni amministrative. Ma il significato di «normalmente» non è che debba farlo sempre. Vi sono funzioni, proprie della Regione, che non possono essere esercitate a mezzo delle Province e dei Comuni, ma direttamente dalla Regione stessa. Tranne tali casi, da ritenersi eccezionali, la Regione si varrà dei minori enti locali, che hanno già uffici costituiti e capaci; e bisogna evitare – è un’altra idea fissa del Comitato – le nuove ed inutili burocratizzazioni. Non mi sembra che l’onorevole Lussu abbia compreso lo spirito e l’equilibrio della nostra proposta, che non possiamo alterare.

PRESIDENTE. Mantiene la sua formulazione, onorevole Lussu?

LUSSU. Non vi rinuncio.

PRESIDENTE. Dato che non vi rinuncia, le faccio presente che non si può ammettere un emendamento orale. Perché gli emendamenti si possano presentare alla votazione dell’Assemblea, bisogna presentarli per iscritto.

LUSSU. Io intendevo usare un atto di delicatezza verso il collega Mortati e verso la Commissione. Anziché presentare un emendamento, poiché la questione mi sembrava estremamente chiara e ragionevole, chiedevo alla Commissione di voler essa stessa procedere alla modifica.

Chiedo, comunque, che si voti per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo della Commissione, onorevole Presidente, è quello scritto. Chiediamo che si voti comma per comma questo testo; come abbiamo votato sempre comma per comma. Non si tratta, quindi, di una votazione per divisione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo comma, che è del seguente tenore:

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento, ora pervenutomi, proposto dall’onorevole Lussu, per il terzo comma, del seguente tenore:

«La Regione può esercitare le funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici».

(Non è approvato).

Pongo allora in votazione il terzo comma nel testo delle Commissioni:

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

(È approvato).

L’articolo 112 risulta, quindi, così formulato:

«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel primo comma del precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, attribuite dalla legge della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.

«Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

Sospendo la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.20).

Si passa ora all’articolo 113 nel nuovo testo presentato dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.

«Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali per provvedere alle spese necessarie per adempiere alle loro funzioni normali.

«Per provvedere ad altri scopi determinati lo Stato può assegnare a singole Regioni contributi speciali.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione, o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose».

PRESIDENTE. Passiamo subito allo svolgimento dei vari emendamenti.

L’onorevole Codignola ha presentato due emendamenti su questo articolo. Il primo emendamento è così formulato:

«Sostituire i primi quattro commi coi seguenti:

«La Regione provvede alle proprie necessità finanziarie mediante sovrimposte o quote di tributi erariali e comunali, o contributi erariali ad essa riservati dallo Stato, o con tributi propri, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Per l’accertamento e l’esazione dei tributi, la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò designati.

«La Regione ha un proprio demanio e patrimonio secondo le disposizioni di legge.

«Lo Stato conserva la facoltà di assegnare alle Regioni meno provviste di mezzi, particolari sovvenzioni, nell’interesse del loro sviluppo ovvero in quello generale del Paese».

Inoltre l’onorevole Codignola propone il seguente altro emendamento:

«Fare del quinto comma un articolo a sé del seguente tenore:

«Non possono istituirsi dazi d’importazione ed esportazione o di transito fra l’una e l’altra Regione; né prendersi provvedimenti che mirino comunque alla creazione di privilegi in favore di una o più Regioni a danno di altre o della generalità dei cittadini. L’unità dell’economia nazionale ed internazionale e la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni non troveranno ostacolo nell’ordinamento autonomistico dello Stato».

L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere i suoi emendamenti.

CODIGNOLA. Il Comitato di redazione ha già modificato la primitiva formula, in quanto ha soppresso quella parte che riguardava i cosiddetti fondi per fini speciali. Ma anche l’attuale formulazione presenta, mi pare, qualche punto oscuro. Anzitutto, non si accenna affatto alla necessità, che me pare fondamentale, dell’unicità degli organi di accertamento e di esazione dei tributi. A questo riguardo non vi è alcuna indicazione, neanche nel nuovo testo dell’articolo 113.

Io ritengo che, se la cosiddetta autonomia finanziaria dovesse comportare una moltiplicazione degli organi di accertamento e di esazione dei tributi, noi verremmo a creare una serie di difficoltà molto notevoli, e perciò ritengo che nel testo costituzionale sia opportuno inserire il principio che per l’accertamento e l’esazione dei tributi la Regione si avvale degli organi dello Stato a ciò destinati.

Mi pare, anche, che sarebbe opportuna qualche altra precisazione. Anzitutto, vorrei sapere dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, che cosa la Commissione abbia voluto intendere con l’espressione «autonomia finanziaria» che, a dire il vero, è molto oscura.

Cosa significhi, dal punto di vista tecnico, «autonomia finanziaria» di una Regione, non riesco a capire. Possiamo dire semplicemente che la Regione provvede alle proprie necessità con determinati tributi; ma dire che la Regione ha una propria autonomia finanziaria, quando l’intero Paese costituisce tutta un’unità dal punto di vista finanziario, non riesco a capirlo. E penso che sarebbe opportuno che nel testo definitivo questa espressione venisse meno e si trovasse una formula meno equivoca.

Vorrei poi fare osservare che al comma secondo si afferma che alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali. Ora, mi pare che si dovrebbe precisare «quote di tributi erariali e comunali», poiché ci possono essere dei casi in cui la Regione applica una addizionale su tributi comunali. È un caso che dovrebbe essere, comunque, previsto, perché non si deve precludere la possibilità che esso si verifichi.

Quindi io suggerirei, come è indicato nel mio emendamento, la formula «mediante sovrimposte, o quote di tributi erariali o comunali, o contributi erariali ad essa riservali dallo Stato».

Ricordo che nello Statuto siciliano sono passate alcune cose estremamente gravi su questo argomento, poiché nello Statuto siciliano si è data, in sostanza, facoltà al Governo della Regione di stabilire esso quali saranno i tributi dello Stato che restano allo Stato e quali quelli che passano alla Regione: tanto è vero che il Governo siciliano ha interpretato questa norma, nel senso che tutti i tributi erariali, salvo quei pochi espressamente indicati dallo Stato, come di sua pertinenza, passano alla Regione.

Ora, bisogna ben chiarire che è lo Stato che determina quali sono i tributi erariali che restano ad esso e quali quelli che devono passare alla Regione, e ciò per evitare la possibilità che sia, invece, la Regione a determinare quali siano i tributi erariali che essa assume a proprio favore.

Un’ultima cosa: il quinto comma del testo proposto dalla Commissione accenna al punto fondamentale del divieto di dazî di importazione e di diritti doganali. Mi pare che bisognerebbe dare maggior rilievo anche formale a questo quinto comma, perché esso è fondamentale. Questo comma ci garantisce che l’autonomia regionale non costituirà ostacolo allo sviluppo economico del Paese; quindi, non soltanto propongo di fare di questo comma un articolo a sé, ma credo che sia necessario adottare una formulazione più ampia, che stabilisca esplicitamente che non vi potrà essere alcun ostacolo alla libera circolazione delle persone, del lavoro e dei beni sul territorio nazionale, e che costituisca una maggiore garanzia rispetto alla formulazione proposta dalla Commissione.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, su che cosa desidera prendere la parola?

NITTI. Per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

NITTI. Noi siamo stati finora nell’indeterminato. Qui ci troviamo di fronte ad un argomento concreto e preciso di cui non possiamo parlare senza avere una guida, una traccia, un’indicazione. Quale sarà cioè la finanza della Regione? Quale sarà la finanza locale? Improvvisazione: nessuno di noi, infatti, in questo momento, è preparato a fare progetti concreti sulla finanza regionale.

Ma è evidente che la Commissione e il relatore soprattutto debbono aver studiato questo argomento e debbono essere in grado di esporci il loro programma in forma concreta. Quale sarà la finanza della Regione, quale sarà quella della Provincia, quale sarà quella del Comune? Come sarà organizzata? In qual modo e in base a quali criteri saranno prelevate le entrate? E in che misura?

È evidente che tutto questo noi dovremmo sapere con una certa precisione, in modo da fare la discussione che ci apprestiamo a condurre, su dati concreti. Vorrei, quindi, pregare l’onorevole relatore di esporre egli, prima che altri parli, i risultati delle sue ricerche. Vorrei insomma conoscere, sia pure in modo relativo, quali siano le previsioni delle entrate, quali siano le previsioni delle spese. La mia mozione d’ordine consiste, quindi, nel proporre, prima che ci si lanci nelle ipotesi e nelle discussioni, che l’onorevole Ruini ci esponga le sue considerazioni sulla materia: spero che egli non avrà nulla in contrario.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a dichiarare se intenda fornire le notizie richieste dall’onorevole Nitti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avrei preferito che i presentatori di emendamenti li avessero svolti, così da non costringermi a parlare altre volte. Avrei desiderato che si sentisse un po’ di pietà per la mia persona e per la mia stanchezza. Comunque, parlerò subito.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, è una sua facoltà; nessuno la obbliga.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No; io mi inchino di fronte all’invito dell’onorevole Nitti.

Per dargli i chiarimenti che mi ha richiesti, debbo prima di tutto spiegare quali sono le nostre proposte. È necessario aver davanti un quadro d’insieme; non per conoscere fin da ora, nei suoi dettagli, il sistema tributario della Regione; ma per saperne le grandi linee, per «uscire dall’indeterminato», come dice l’onorevole Nitti, che domanda soltanto, ed io concordo con lui, delle tracce e delle direttive.

L’articolo sulla finanza della Regione è composto di cinque commi. Prima delle ultime modifiche, era foggiato così. Si cominciava affermando l’autonomia finanziaria della Regione ed il coordinamento del suo sistema tributario con quello dello Stato e degli altri enti locali. Qualcuno potrebbe osservare che l’affermazione dell’autonomia è un pennacchio; e che, se autonomia finanziaria vi è, deve risultare da tutto l’insieme dell’articolo. Ma qualche volta anche i pennacchi hanno la loro ragione d’essere.

Secondo comma. Si stabiliva di dare alle Regioni tributi propri o quote di tributi erariali, in modo che anche le Regioni meno provviste di mezzi potessero provvedere alle loro funzioni essenziali. Ecco la sostanza dell’autonomia; da realizzare appunto, sia con tributi esclusivamente assegnati alla Regione, sia con quote di tributi dello Stato; il quale punto va inteso non soltanto nel senso che vada alla Regione una parte di dati tributi riscossi nel suo territorio, ma che possa spettare una parte del gettito generale di qualche tributo dello Stato. Con la graduazione delle quote, diversa a seconda dei bisogni delle Regioni (maggiore nella Basilicata che nelle ricche Regioni del Settentrione) si ha modo di mettere le più povere in grado di adempiere le loro funzioni essenziali.

Ma non basta. Oltre alle attività ordinarie, le Regioni, specialmente le povere, possono sentire il bisogno di svolgere, per determinati scopi attinenti al proprio compito, lavori e sforzi che eccedono il criterio di normalità, e non si possono sostenere coi mezzi tributari assegnati alle Regioni stesse. Ecco dunque il terzo comma dell’articolo, che nel testo originario prevedeva fondi speciali – i cosiddetti fondi di solidarietà – da istituire con leggi della Repubblica, che ne avrebbero determinato le fonti, la gestione, col concorso di tutte le Regioni, ed i modi di riparto e di elargizione alle Regioni bisognose.

Questi erano i capisaldi della finanza regionale. Gli ultimi due capoversi riguardano il demanio e patrimonio, ed il divieto di imporre dazi di esportazione ed importazione da Regione a Regione.

Il Comitato di redazione, nell’incessante lavoro di revisione al quale si assoggetta, di fronte alla pioggia di emendamenti presentati nell’Assemblea, ed alla nuova riflessione che suscitano questi non facili problemi, ha proposto alcune modifiche all’anteriore formulazione.

Il primo comma resta quale era. Richiamo la vostra attenzione sull’esigenza di coordinamento con la finanza delle Province e dei Comuni; esigenza che corrisponde all’altra – l’abbiamo già visto all’articolo 112 – di rivedere e ridistribuire le funzioni di tutti gli enti locali, agli effetti della loro efficienza e del loro potenziamento.

Resta anche il secondo comma, nella sua sostanza. Soltanto, invece di «essenziali» abbiamo messo «funzioni normali»; perché la prima espressione poteva sembrare troppo stretta, troppo all’osso; e così le altre che si presentavano di funzioni facoltative o straordinarie, collegate alle attuali categorie di spese, nei riflessi contabili e di bilancio. Si è preferito far capo al criterio di normalità, che non va inteso in un senso di mera conservazione e manutenzione; ed imprimere un ritmo progressivo di sviluppo, nel limite delle risorse finanziarie attribuite stabilmente alla Regione.

Quando, invece, si tratta di attività straordinarie ed eccezionali che, sempre nell’ambito dei propri compiti, la Regione intende svolgere per intensificare ed agevolare il proprio sviluppo – ed a tale sforzo non possono bastare le risorse normali – allora sorge la necessità di provvedere in modo particolare. A questo riguardo il Comitato ha creduto di abbandonare il sistema dei «fondi speciali» o di solidarietà, che dà luogo a complicazioni ed a possibili contrasti fra Regioni che elargiscono e Regioni che ricevono. Non ha creduto, come fanno alcuni emendamenti, di parlare di «sovvenzioni», che non è espressione degna, o di «integrazione di bilancio», che richiama metodi ed inconvenienti, ai quali si vuole ora por fine, per gli enti locali. È molto meglio stabilire, e dire semplicemente, che per determinati scopi, al di là delle funzioni normali – nel senso che ho spiegato – lo Stato assegnerà, con le sue leggi, alle Regioni, contributi speciali. Il che potrà avvenire di fatto, con attribuzioni di cespiti ad hoc o con prelievo dal complesso del bilancio statale; senza bisogno di istituire macchinosi e contesi fondi di solidarietà. Le Regioni potranno avanzare le loro richieste, e farle valere attraverso il Parlamento, e specialmente il Senato, dove avranno una più diretta rappresentanza. Io ho sostenuto e difendo questo modo più pronto e più lineare di venir incontro alle aspirazioni delle Regioni meno fortunate.

Nulla dirò degli ultimi due commi, che si mantengono; sebbene a me personalmente non sembri necessario l’ovvio richiamo al demanio ed al patrimonio della Regione; e mi sembri pure non necessario ed un po’ strano il divieto, che fu messo per insistenza dell’onorevole Einaudi, di dazi d’esportazione ed importazione all’interno di uno Stato unitario ed «indivisibile», come l’abbiamo esplicitamente dichiarato. Non si dovrebbe pensare, neppure in via di ipotesi, a simili dazi. Comunque, poiché la questione fu messa, il Comitato conserva la disposizione.

Resta così tracciato il quadro delle proposte che il Comitato fa, in tema di finanza della Regione.

Riservandomi di esaminare, uno ad uno, i numerosi emendamenti presentati da numerosi colleghi, accennerò soltanto, per ora, a due di essi, che hanno una portata generale, come l’emendamento Preti, o sistematica, come l’emendamento Codignola. Col primo non si richiede più una legge di valore costituzionale, ma una legge ordinaria della Repubblica per stabilire le norme sull’autonomia finanziaria della Regione e sul coordinamento con le finanze locali. Il Comitato dapprima aveva ritenuto che, trattandosi di garantire l’autonomia, sarebbe occorsa una legge costituzionale; ma poi è prevalsa la riflessione che, se così fosse, ogni pur lieve modifica di tributo assegnato alla Regione avrebbe richiesta la lunga procedura necessaria per tali leggi di tipo costituzionale. Può bastare la legge ordinaria della Repubblica, tenendo conto che l’autonomia finanziaria è garantita dal complesso delle norme tracciate in questo stretto articolo. L’emendamento Preti è dunque accettato.

L’onorevole Codignola ha testé svolto un emendamento che rivela la sua diligenza ed il suo desiderio di precisione. Vorrebbe perfezionare, comma per comma, il nostro testo. Ma non lo possiamo seguire, quando sopprime la dichiarazione d’autonomia tributaria, che, per quanto di principio, ha un significato nel fermare, anche sotto tale aspetto, il volto della Regione; e diventa ancor più opportuna, in quanto ci rimettiamo a leggi ordinarie della Repubblica. Nel secondo comma l’onorevole Codignola indica, fra le possibili fonti, anche le sovrimposte; ma sembra che possano rientrare nella designazione generale da noi adottata. Prosegue, l’onorevole Codignola, suggerendo di stabilire che l’accertamento dei tributi debba sempre aver luogo da parte di uffici governativi; ma ciò non è necessario, e contrasta con quanto ora avviene per certi tributi che sono accertati e riscossi da enti locali; le leggi che regoleranno queste materie provvederanno nel modo più acconcio e sicuro; né occorre, al riguardo degli accertamenti, una norma nella Costituzione. L’onorevole Codignola parla già di «sovvenzioni» che lo Stato ha facoltà di assegnare alle Regioni…

CODIGNOLA. Ho rinunciato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene. Non insisterò sull’aggiunta all’ultimo comma – anzi, l’onorevole Codignola vorrebbe farne un articolo a parte – per vietare alle Regioni di stabilire «privilegi» per sé e pei propri abitanti. Che cosa vuol dire? Qui non c’è lo spirito di precisione dell’onorevole Codignola; la sua non è una norma di chiara consistenza giuridica; ed il generico diniego dei privilegi rientra nel principio generale dell’eguaglianza, che la Costituzione proclama in uno dei primi suoi articoli. Non possiamo, dunque, aderire al tentativo, lodevole ma non riuscito, dell’onorevole Codignola di migliorare il nostro testo.

Ho spiegato quali saranno i principî da introdurre nella Costituzione; e ciò anche per andare incontro al desiderio di chiarimenti dell’onorevole Nitti. Egli vuol «uscire dall’indeterminato»; ma intanto crede che non si dovrebbe mettere nulla nella Costituzione sulla finanza delle Regioni. Sono problemi, secondo lui, insolubili; e si aspetta che io non potrò corrispondere al suo invito. Non è così.

Intendiamoci bene. La Costituzione non può stabilire che principî generali. Dovrà poi intervenire una grande legge tributaria sulla finanza degli enti locali, in coordinazione a quella dello Stato. In tale legge soltanto si avrà la maggior determinazione richiesta dall’onorevole Nitti, ed io spero di dargli fin d’ora la sensazione di una sufficiente concretezza, senza pretendere di adottare fin d’ora soluzioni, che soltanto tale legge potrà specificare.

La Commissione dei Settantacinque ha tenuto presenti i problemi che l’onorevole Nitti ritiene insolubili. Ed ha cercato di raccogliere dati al riguardo. A pagina 191 del primo volume degli atti della Commissione, distribuito a tutti i deputati, vi è un programma completo di ricerche – steso da me ed approvato pienamente dall’onorevole Einaudi – sulla consistenza sia finanziaria sia economica delle Regioni. Grande è la difficoltà di raccogliere questi dati, per l’incompletezza, la lentezza e la resistenza degli uffici che dovrebbero darli. Io avevo proposto che il Governo promovesse fin da principio (e certamente dovrà farlo nel preparare la legge tributaria) una vera e propria inchiesta con tutti i poteri d’accertamento necessari. La Commissione preferì che si raccogliessero, intanto, a sua cura, tutti gli elementi disponibili; ed io dovetti assumermi anche questa fatica. Non credo che si potesse fare di più; tale è anche il giudizio dell’onorevole Einaudi. Tengo i dati raccolti a disposizione dell’onorevole Nitti.

Per suo conto, ad interessamento del suo Presidente, l’istituto centrale di statistica ha pubblicato un volume sulle Regioni, nel quale la parte finanziaria ed economica ha scarso sviluppo, ma ove si cerca di raffigurare la fisionomia delle Regioni sotto altri aspetti, e specialmente sotto l’aspetto demografico.

L’onorevole Nitti può essere sicuro che non si sono ignorati i problemi. Nessuno meglio di lui sa… da mezzo secolo le difficoltà di simili ricerche. Risale al 1900 il suo luminoso libro: Nord e Sud, che destò tanto scalpore. Per me, che arrivavo allora a Roma, appena laureato, fu una rivelazione; e cominciò allora la mia devozione, che non venne mai meno; andai con lui al Governo; ed egli è testimone che, del primo gruppo che lo circondava, fui il solo che gli rimasi veramente fedele; perché nulla ho concesso al fascismo. Nel mio attuale dibattito con lui desidero considerarmi sempre suo discepolo.

Nel libro del 1900 l’onorevole Nitti cominciava ad impostare i raffronti finanziari ed economici fra le Regioni. Combatteva l’opinione, in quei tempi diffusa, che il Sud vivesse a spese del Nord e fosse un peso morto per l’economia italiana. Quanti «miti» vi sono stati pel Sud! Il grande unificatore, Cavour, ed uno dei meridionali più colti ed intelligenti, Antonio Scialoja, dicevano che bastava battere il piedi sul suolo del Mezzogiorno, perché ne scaturissero infinite ricchezze. Purtroppo non era così; e si andò poi ad un altro eccesso, al grido di Giobbe della irrimediabile povertà, ed alla «politica del nulla» – non c’era nulla da fare – del nostro amico Giustino Fortunato. Bisogna riconoscere che l’onorevole Nitti serbò sempre una posizione intermedia, aliena dagli estremi.

E pur sollevando in forma drastica i confronti fra Nord e Sud, e fra Regione e Regione, non abbandonò mai una nota fortemente unitaria. Sostenne che il Sud non aveva guadagnato, ed anzi aveva economicamente perduto nell’unificazione; ma scrisse nel Nord e Sud che «l’Italia non può essere che unitaria; una Lombardia o una Sicilia autonome non sarebbero nulla, se anche questo non senso storico noi potessimo solo per maligna ipotesi ammettere». Vero è che nell’altro libro su Napoli e la questione meridionale, attaccava «l’unitarismo assurdo sotto la forma di unità legislativa» e dichiarava che «avanzando l’ipotesi economica che il Mezzogiorno si separasse dal resto dell’Italia, non si potrebbero che rilevare i vantaggi del distacco, derivanti dall’impiego delle proprie risorse».

Non credo si possa condividere un recente rilievo del De Maria sui «sedicenti studiosi della questione meridionale» che avrebbero più o meno direttamente suscitato il pericolo del separatismo. Ciò non può certamente dirsi dell’onorevole Nitti; e credo che, quand’egli vagheggiava una diversità legislativa, si rimettesse sempre alla legislazione dello Stato; se no, non sarebbe stato così tenace avversario dei poteri che abbiamo ora attribuiti alla Regione.

Dal suo libro del 1900 risultava che «il Mezzogiorno è il più duramente aggravato dalle imposte»; e che «la più grande mole di spese dello Stato avviene nell’Italia settentrionale e nella centrale». Per ogni 10 lire che si riscuoteva di imposte e tasse, lo Stato pagava 13 lire in Liguria, 12 nel Lazio, quasi 10 in Toscana, da 8 a 9 in Piemonte e Lombardia, e così via fino a scendere a meno di 5 in Abruzzo, Basilicata e Puglie. Queste cifre furono allora contestate da vari scrittori; ma insomma, rovesciando la anteriore credenza, si ebbe l’impressione che le Regioni del Mezzogiorno non ricevevano più di quello che davano in tributi.

Sembra che, per quanto riguarda la situazione attuale, l’onorevole Nitti non sia più di siffatta opinione. Egli ha detto, in quest’Aula, che «nei primi 5 mesi del 1946 lo Stato ha incassato con le tasse in Sicilia 4 miliardi e mezzo; ha speso 6 miliardi…». Così per altre Regioni del Sud; che, teme l’onorevole Nitti, avrebbero più da perdere che da guadagnare con l’autonomia regionale.

Anche l’onorevole Einaudi ha fatto sulla stampa rilievi per mettere in luce che in generale, oggi, le Regioni meridionali ricevono dallo Stato più di quello che gli versano in tributi.

Credo doveroso mettere in guardia; perché quanto vanno dicendo anche due maestri come Nitti ed Einaudi non può portare ancora a conclusioni complete e definite. Osservo anzitutto che se si trova in quasi ogni Regione, un disavanzo, nel senso che le spese che lo Stato vi fa non sono coperte dalle entrate che ne ricava, ciò va messo in relazione al bilancio dello Stato, nel momento che attraversiamo. È inutile poi avvertire che, raffrontando gli incassi ed i versamenti che lo Stato fa attraverso le tesorerie provinciali, non sempre quanto lo Stato versa, ad esempio a fornitori ed appaltatori, corrisponde a prestazioni e lavori fatti in quella Provincia.

Ad ogni modo, poiché è l’unico metodo d’indagine che si può seguire, ho esaminato tutti i dati, che si sono cominciati a raccogliere, riservatamente, dal 1940, ed a pubblicare dal 1945. Cominciamo ad osservare le medie dei bienni 1943-44, 1944-45, 1945-46, che comprendono la gestione dello Stato italiano libero e quello della cosidetta repubblica di Salò. Risulta che solo in Piemonte l’amministrazione statale ha incassato, più che non abbia speso, il 2,4 per cento. Nelle altre Regioni è l’inverso. Ha incassato il 25 per cento circa di meno in Toscana e nella Venezia tridentina; dal 30 al 40 in Emilia, Marche, Veneto e Liguria; poi vi è un gruppo di Regioni, col 50 circa per cento, Calabria, Sicilia, Umbria, Campania, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; infine lo Stato ha incassato oltre il 60 per cento di meno in Puglia, Lombardia, Venezia Giulia, Lazio; (e vi spiego anche perché; in Puglia vi fu per un po’ la capitale temporanea; e così in Lombardia a Salò; nel Lazio vi è Roma: e le capitali richieggono spese maggiori). I dati che ho esposti si riferiscono ad un periodo veramente eccezionale, con la guerra nel suo acme ed il grandissimo disordine tributario.

Se prendiamo il solo esercizio 1945-46, che è sempre, ma meno accentuatamente, anormale, troviamo che lo Stato ha incassato di più di quanto ha pagato – 1’80 per cento – in Lombardia e Piemonte; ha riscosso di meno dovunque nelle altre parti d’Italia; e le cifre vanno da meno di 20 nel Veneto, da meno di 30 nella Venezia Tridentina ed in Emilia, e da meno di 50 in Liguria, Marche, Umbria e Toscana ad una percentuale dal 60 al 70 in Sicilia, Sardegna, Calabria, Venezia Giulia, Campania, Abruzzi, Puglie e Basilicata. Infine il Lazio giunge al 70 per cento.

Bisogna però tener conto che nelle Regioni del Nord, ed in esse soltanto, figurano gli incassi del prestito Soleri, che era stato emesso nel Sud un anno prima. Se si esclude il gettito del prestito Soleri, si ha che nel 1945-46 lo Stato, in tutte le Regioni, nessuna eccettuata, ha incassato meno di quel che non abbia speso. La percentuale minima è del 3 in Lombardia e del 18 in Piemonte; sale man mano, per vari gruppi dal 40 al 50 nelle Marche, in Umbria, Toscana, nella Venezia tridentina e nel Veneto, e va ad oltre il 60 nelle rimanenti Regioni.

Se veniamo infine ad un periodo più vicino – ho i dati dei primi nove mesi dell’esercizio in corso 1946-47, perché solo a tal data è aggiornato il conto del Tesoro – troviamo che lo Stato ha incassato più del pagato in parecchie Regioni. Si arriva quasi al cento per cento – il 93 – in Lombardia; al 56 in Piemonte; e si sta attorno al 15 in Umbria, Liguria, Emilia, Toscana, Veneto; anche le Marche superano dell’l per cento i pagamenti. Nelle altre parti d’Italia gli incassi di Stato sono inferiori agli esborsi, del 5 per cento nella Venezia tridentina, dal 20 al 35 in Calabria, Campania, Sicilia, Puglie, Basilicata, Abruzzi, Sardegna; si va al 50 nel Lazio; e si ha un massimo dell’80 per cento in Venezia Giulia.

Ma non bisogna fare affrettate conclusioni; durante i nove mesi vi è stato il prestito della Ricostruzione, al quale le Regioni hanno partecipato in proporzioni assai diverse (la Lombardia ha dato un quarto dell’intero prestito); e non mi è possibile questa volta rettificare le cifre come pel prestito Soleri, giacché la Banca d’Italia non ha ancora reso noto il riparto delle sottoscrizioni. Certo è che, ove non si tenesse conto degli incassi pel prestito, in ben poche Regioni lo Stato avrebbe incassato più dello speso (forse nella sola Lombardia e nel Piemonte).

Ho insistito in dettagli e precisazioni, perché ritengo necessario mettere in guardia contro le conclusioni che anche cari eminenti colleghi traggono nei confronti tra le Regioni. Come linea generale, il fenomeno degli incassi di Stato minori ai suoi versamenti è, come si doveva attendere, più sensibile nel Sud che nel Nord: ma vi sono spostamenti, e non vi è una netta distinzione ed una scala corrispondente alle condizioni economiche delle Regioni. Né i dati disponibili si prestano, lo ripeto, a giudizi definitivi e sicuri, Lasciamo dunque stare per ora, calcoli che dan luogo a non ben fondate impressioni.

LUSSU. Sono comprese, per le Regioni del Sud, le spese per i Dicasteri delle Forze armate.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho fatto il calcolo in via generale; sarebbe in ogni modo un altro elemento di non comparabilità.

Affrontiamo ora il tema che più risponde alle domande che mi ha fatto l’onorevole Nitti. Come sarà possibile, egli chiede, fabbricare un bilancio della Regione? Molti, anche regionalisti, hanno timore che non riusciremo a cavarne le mani.

Ho detto sempre con senso di responsabilità, che questo problema della sistemazione finanziaria della Regione è difficile. Ora che l’ho esaminato attentamente ancora una volta, posso affermare con altrettanto senso di responsabilità, che non è un problema insolubile, ed anzi è meno difficile di quello che può apparire a prima vista. Difficile sempre; non difficilissimo; non insolubile.

Non si può risolverlo concretamente, qui nella Costituzione. L’onorevole Nitti si rimette ad una legge futura; e molto correttamente mi chiede di dare delle tracce e delle direttive.

Quali saranno le spese e le entrate delle Regioni? Studi speciali sono stati condotti per il Trentino-Alto Adige, dalla Commissione presieduta dall’onorevole Bonomi, che ne predispone lo Statuto. Ma quella Regione non può essere presa a modello, perché, avendo un’autonomia particolare, molte spese ad esempio scolastiche e di lavori pubblici passano alla Regione, come non è delle altre di tipo ordinario. È alle Regioni di questo tipo che ci dobbiamo riferire. Lo farò con la maggiore esattezza possibile, in via generale; e starò attento, perché da un maestro come l’onorevole Nitti vi è sempre da ricevere delle lezioni.

Per valutare quali saranno le spese e le entrate dell’ente Regione, bisogna partire dalla considerazione delle funzioni amministrative che, in base a quanto abbiamo stabilito nella Costituzione, passeranno dallo Stato alla Regione. Cominciamo ad esaminare i dati dell’esercizio 1938-39, che si può considerare come un anno medio del preguerra.

Sopra, un complesso di 40 miliardi di spese, la parte di gran lunga maggiore sarebbe sempre rimasta allo Stato, anche se si fossero fin da allora applicati i criteri della Costituzione. Sarebbero rimaste allo Stato le spese di tesoro (12 miliardi e mezzo, un terzo di tutte le spese); quelle militari (15 miliardi, più che un altro terzo di tutte le spese); le spese di amministrazione dell’interno e della giustizia (2 miliardi, il 6 per cento della spesa totale); ed altri gruppi di spese.

Dove si sarebbero verificati passaggi di funzioni, e quindi di spese? Essenzialmente in tre categorie: l’istruzione, per cui allora si spendevano 2 miliardi (il 5 per cento della spesa complessiva), i lavori pubblici con 1 miliardo e mezzo (il 4 per cento), l’agricoltura con 900 milioni (il 2 per cento).

Non tutte però le spese di queste tre categorie si sarebbero trasferite alla Regione. Dell’istruzione sarebbe rimasto allo Stato il grande complesso di attività e di spese; essendo attribuite alle Regioni solo le scuole professionali ed artigiane, con un passaggio non rilevante di fondi. Vediamo pei lavori pubblici, servendoci della distribuzione per genere di opere, secondo i dati raccolti dall’Ufficio di statistica di quel Ministero, e pubblicate dall’annuario statistico. Nel 1938-39 lo Stato spendeva, e gli sarebbero rimaste, anche secondo la nostra Costituzione, 500 milioni per strade statali, 130 di opere idrauliche e di navigazione interna, 100 per utilizzazioni idroelettriche, 150 per porti, 200 per edilizia statale e scolastica, 150 per danni e calamità. Cosa poteva passare alla Regione? Al più 100 milioni di spese per nuove costruzioni stradali; 150 per acquedotti; 100 per edilizia popolare. In complesso facendo le previsioni più larghe, 350 milioni. Ed eccoci all’agricoltura, che ebbe nel 1938-39 per bonifiche, una spesa di 550 milioni di lire; e si noti che vi sono bonifiche che, pel loro carattere sovraregionale o interregionale, lo Stato riserverà sempre a se stesso; e la nostra Costituzione non lo esclude. Ad ogni modo passiamo pur tutte queste cifre – 350 milioni di lavori pubblici, 550 di bonifiche, una somma minore per l’istruzione – arriveremmo al miliardo.

Aggiungiamo pure una quota di spese generali e di personale; teniamo conto di passaggi per altre minori categorie: arrotondiamo fin che si vuole; non saliremo oltre 1 miliardo e mezzo (s’intende di lire 1938), che non è cifra da far paura. Si tenga presente che in quell’anno le spese ordinarie per tutti i comuni non superarono i 6 miliardi e mezzo, per le provincie 1 miliardo e mezzo. Se fossero sorte allora le Regioni – una quindicina – nei limiti e con le funzioni che ora abbiamo stabilite, non sarebbe costato più delle provincie, che sono verso il centinaio. Un miliardo e mezzo non è cifra paurosa.

Ho esaminato anche la media dei tre bilanci 1943-44, (1944-45), 1945-46; ed inoltre, a sé, le cifre del 1945-46; quelle dell’esercizio in corso (fino a marzo); le previsioni del 1947-48, e tengo, onorevole Nitti, tutti questi elementi a sua disposizione. Vi citerò per ora soltanto i dati del 1945-46, che si prestano ad un certo raffronto col 1938-39. Non sono più milioni, ma miliardi; lirette recenti, d’un anno fa. Sopra un insieme di 540 miliardi di spese rimarrebbero allo Stato 170 di spese del tesoro (un terzo del totale), 130 di spese militari (il quarto), 60 di spese degli interni e della giustizia (poco più del decimo), con altri minori gruppi. Anche qui le categorie che potrebbero in parte passare sono i lavori pubblici (100 miliardi, il quinto del totale), l’agricoltura (6 miliardi, l’1 per cento), ed in parte ben minore l’istruzione (25 miliardi, il 5 per cento). Debbo dichiarare che per gli ultimi esercizi il Ministero dei lavori pubblici, nella sua lentezza, non fornisce ancora le statistiche della distinzione fra i gruppi di opere; così che non è possibile una valutazione abbastanza approssimata come pel 1938-39. Ad ogni modo, anche applicando le proporzioni di quell’esercizio, le spese da passare alle Regioni non dovrebbero complessivamente superare dal 5 al 10 per cento le intere spese dell’Italia. Debbo poi fare un’altra dichiarazione; anche per rispondere ad una domanda che mi fece alcuni giorni fa l’onorevole Porzio. Vi è un fatto nuovo: vi è la ricostruzione. Quasi tutte le spese di lavori pubblici sono oggi di ricostruzione. E sono spese che non si possono addossare alle Regioni; rimangono in ogni caso allo Stato; do piena assicurazione all’onorevole Porzio che con la nuova Costituzione non si è inteso addossare queste spese eccezionali alle Regioni. Lo Stato potrà bensì, se crede, valersi degli enti locali, della Regione, quando vi sarà, come ora può – per una legge da me promossa – valersi delle Province e dei Comuni; un savio decentramento sarà molto opportuno. In un mio recente discorso sul programma di governo mi sono lagnato che non vi sia fatto sufficiente ricorso; ma sarà sempre lo Stato che dirigerà, spenderà e sarà responsabile. Stabilito ciò, onorevoli colleghi, vedete che le spese che passerebbero alla Regione in regime 1945-46 sarebbero proporzionalmente minori di quelle che fossero passate nel 1938-39.

Ho voluto dare la dimostrazione, e credo di esservi riuscito, che, come ordine di grandezza, non sono cifre che possono spaventare. Il passaggio di funzioni e di spese sarà sempre delicato e non agevole; ma non presenterà ostacoli insuperabili.

Bisognerà naturalmente far fronte con corrispondenti entrate alle spese che spetteranno alle Regioni. Partiamo anche qui dall’esercizio 1938-39. Su 27 miliardi di entrate effettive vi erano 500 milioni di imposte dirette immobiliari (fondiaria e fabbricati, e cioè il 2 per cento dell’entrata totale), e la ricchezza mobile con 4 miliardi e 200 milioni (il 15 per cento dell’intera spesa). Se si fosse, nel 1938-39, istituita la Regione avremmo potuto attribuirle quanto lo Stato incassava dalle immobiliari (è noto che la maggior parte di ciò che i contribuenti pagano pei fondi e pei fabbricati va oggi come sovrimposta ai Comuni ed alle Province). Col passaggio in pieno di queste imposizioni si sarebbero attuate idee che sostenemmo ai nostri giovani anni, Bonomi con un bel libro ed io con alcuni studi su riviste. Se poi, oltre al passare i tributi reali, avessimo attribuito alla Regione una quota di ciò che riguarda l’altro tributo diretto dell’imposta sulla ricchezza mobile, si sarebbero coperte tutte le spese spettanti alla Regione, che abbiamo calcolate attorno ad 1 miliardo e mezzo (lire 1938).

Ho parlato di quote della ricchezza mobile, perché è imposta diretta, e non vi nascondo che, senza fare anticipazioni avveniristiche, mi sembra logico e desiderabile, quando si addivenisse ad una concreta sistemazione di tutte le finanze statali e locali, assegnare alla Regione ed agli altri enti locali le tre cedolari – fondiaria, fabbricati e ricchezza mobile – per edificarci sopra, come progressiva sul reddito, una grande imposta di Stato. Prescindendo da ciò, se invece di una quota della ricchezza mobile, sceglierete una quota di un’altra imposta erariale, otterrete lo stesso risultato di provvedere alle entrate della Regione.

Con lo schema che vi ho tracciato, riferendomi al 1938-39, allo Stato sarebbero restati i 12 miliardi delle indirette (affari e consumi, che erano il 40 per cento del totale); i 4 miliardi e mezzo dei monopoli e del Lotto (il 15 per cento); ed altre ancora. E cioè la gran massa delle entrate, con le quali lo Stato, oltre a provvedere ai suoi servizi, avrebbe potuto: a) assegnare alle Regioni i contributi speciali per scopi determinati oltre le funzioni normali; b) provvedere alle spese delle funzioni che avesse delegate volontariamente alle Regioni.

Vi risparmierò, onorevoli colleghi, altre indagini ed altre cifre. Vi dirò solo che nel 1945-46 le imposte dirette – tutte e tre – hanno dato soltanto 22 miliardi; ed è da temere che in tal misura non basterebbero a coprire le spese delle Regioni. Ma nel bilancio 1946-1947 si calcolano 66 miliardi; ed il loro gettito va aumentando così che il timore sembra superato.

Ho parlato del complesso delle Regioni. Naturalmente non tutte le Regioni presentano le stesse esigenze e le stesse proporzioni di spese e di entrate. Vi sono Regioni che per la situazione più arretrata in cui si trovano hanno bisogno di maggiori attività e lavori, e d’altra parte con le fonti tributarie assegnate alle Regioni più ricche non riuscirebbero a provvedere alle loro funzioni normali. Entrerà qui in azione, nella quota di contributo, la gradazione che consentirà di raggiungere un equilibrio. Si sono fatti scandagli per alcune Regioni, e si stanno ancora raccogliendo elementi. Ma penso di aver assolto il compito che per ora mi proponevo: dissipare l’impressione che non si potrebbe far fronte alle spese delle Regioni senza mettere a soqquadro e senza devastare il bilancio dello Stato e la finanza ordinaria.

Ho finito. Parto sempre dal concetto: la Regione c’è, e dobbiamo fare in modo che funzioni il meglio possibile.

Contro la creazione della Regione vi sono motivi etico-politici, perché si teme che possa incrinare ed insidiare la compagine dell’Italia. Noi abbiamo affermata l’unità e indissolubilità dello Stato; e la difenderemo sempre con ogni fermezza, regionalisti ed antiregionalisti. Abbiamo intanto dato alla Regioni funzioni e poteri, limitati in modo che non vi sia il pericolo di turbare l’ordinamento unitario.

Vi sono poi, contro la Regione, apprensioni di ordine amministrativo ed economico. La necessità del decentramento l’hanno proclamata tutti, anche coloro che non vorrebbero la formazione di un ente autonomo, ma uno spostamento d’uffici governativi nelle Regioni. Dovremo fare anche ciò, per le funzioni che restano allo Stato. Quando fui ai lavori pubblici, istituii i Provveditori regionali alle opere. Qualcosa di corrispondente si potrebbe fare in altri rami, se non per tutti, per molti Ministeri, al fine di mettere gli organi dello Stato a contatto con i bisogni e le richieste locali. Su questi punti l’accordo è pieno. Ma sono molti a temere che il decentramento amministrativo, a base burocratica, non basti; e che lo spostare in loco i funzionari del Governo non vinca le abitudini, le resistenze, le lentezze proprie della burocrazia. Si sostiene che è opportuno dar voce e peso più diretto alle forze vive della Regione, con una savia e contenuta autonomia dell’ente regionale.

Questa tendenza ha vinto. Tutta l’Assemblea, tutto il Paese devono inchinarsi, e collaborare sinceramente e fervidamente perché l’esperienza riesca. La nostra Costituzione avrà molti difetti, ma – soprattutto in questo Titolo – si ispira a criteri di elasticità. La Regione nasce e comincia a muoversi con passi saviamente misurati. Sta a lei stessa di guadagnare, gradualmente e sperimentalmente, la possibilità di maggiori conquiste. (Applausi).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Avverto che nella seduta antimeridiana di domani sarà proseguita la discussione sull’imposta patrimoniale.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Propongo che domani, sabato, si mantenga quella consuetudine che si è venuta creando, cioè d’iniziare alle 9.30 per terminare verso le 13.30 o le 14, in modo da tenere un’unica seduta. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che la Direzione generale dell’A.P.B. abbia destinato la somma di lire 25 milioni alla città di Pescara per la costituzione di colonie estive assistenziali; e se sia vero che l’amministrazione di detta somma, per disposizione ministeriale, sia stata affidata al Centro italiano femminile con esclusione di ogni altra organizzazione assistenziale esistente nella provincia di Pescara.

«Corbi, D’Onofrio, Spano Gallico Nadia».

«Ai Ministri dell’agricoltura, dell’industria e commercio e del commercio estero, per conoscere se e come intendano fronteggiare il gravissimo pericolo che incombe sulla coltura e sull’industria della seta. Il prezzo dei bozzoli è infatti sceso quest’anno, sul mercato interno, a un terzo o poco più di quello dell’anno scorso, e cioè ad una quota del tutto inadeguata e tale da rendere prevedibile con quasi assoluta certezza l’abbandono della coltura del baco da seta e la sostituzione dei gelsi nelle campagne.

«La cessazione della bachicoltura in Italia – che dopo il Giappone è stato ed è tuttora il paese più intensamente sericolo – oltre che troncare un nobile ramo dell’esportazione nazionale che, se aiutato, potrebbe ancora riprendersi e rifiorire, sarebbe di irreparabile danno a grandi masse di lavoratori (contadini e donne filandiere soprattutto) specie nelle regioni maggiormente produttrici, quali il Veneto e la Lombardia. È, pertanto, necessario che il Governo si preoccupi con tutta urgenza di tale problema che interessa al vivo la stessa vita economica e sociale di numerose provincie».

«Franceschini, Lizier, Ferrarese, Baracco, Ponti, Carbonari, Fantoni, Valmarana, Schiratti, Rapelli, Alberti, Rumor, Giacchero, Cappelletti, Uberti, Micheli, Sartor, Tessitori, Del Curto, Giordani, Guerrieri Filippo, Dominedò, Moro, Firrao, Valenti, Stella, Bastianetti, Monticelli, Tosato, Balduzzi, Cappugi, Fabriani, Bellato, Burato, Marzarotto, Cremaschi Carlo, Biagioni».

«Ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quale fondamento abbia la notizia recata da un giornale romano del mattino di oggi, secondo la quale una ricca proprietaria di terre si sarebbe resa colpevole di istigazione nel reato di sottrazione all’ammasso di notevole quantità di grano e, fermata, sarebbe stata rilasciata a seguito di illeciti interventi; e per conoscere, altresì, quali provvedimenti intendano adottare, nel caso il fatto risponda a verità, per prevenire che altri fatti del genere si ripetano e per punire i responsabili di così gravi violazioni della legge e della solidarietà nazionale».

«Bulloni».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere:

1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso;

2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire.

«Perugi».

Ne darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano conoscere quando intendono rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (Enel) e poscia con decreto del famigerato gerarca Ricci liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nel ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, necessario e urgente intervenire subito a disciplinare l’uso delle acque del sottosuolo destinate alla irrigazione, disponendo la limitazione delle perforazioni e dei pozzi artesiani.

«Si osserva, al riguardo, che il diffondersi e l’allargarsi in zone ristrette di tale sistema di irrigazione determina un graduale corrispondente abbassamento e una progressiva contrazione delle vene e dei pozzi con grave danno e con pericolosa minaccia per gli impianti già esistenti e operanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Adonnino

Caroleo

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Condorelli

Bertone

De Vita

Vanoni

Scoca

Dugoni

Tosi

Scoccimarro

Corbino

Sicignano

Veroni

Fabbri

Cifaldi

Perassi

Micheli

Schiratti

Carbonari

La seduta comincia alle 10.35.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Si riprende la discussione sugli emendamenti all’articolo 3.

Comunico che l’onorevole Adonnino, ha modificato il suo emendamento all’ultimo comma dell’articolo 3, presentando questa nuova formulazione: «Quando si fa luogo al cumulo previsto dal presente articolo, la quota proporzionale di imposta afferente i beni ceduti farà carico, mediante rimborso, all’intestatario fino alla somma che egli avrebbe pagato per il bene ceduto ove esso fosse stato compreso nel suo patrimonio e, per il di più, al contribuente e all’intestatario, in proporzione della ripartizione del valore del patrimonio originario».

Informo che l’onorevole Condorelli ha presentato i seguenti emendamenti all’ultimo comma dell’articolo 3, così formulati:

«Prima dell’ultimo comma inserire il seguente:

«Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge o dai discendenti del primo cedente».

«Alla fine dell’ultimo comma aggiungere: «e non oltre l’importo delle quote proporzionali d’imposta che il cessionario avrebbe dovuto pagare se i beni stessi fossero stati computabili nel suo patrimonio».

Richiamo nuovamente l’attenzione dei colleghi sulla necessità che gli emendamenti siano presentati tempestivamente, in modo che il Governo e la Commissione abbiano la possibilità di esaminarli.

Invito intanto l’onorevole Adonnino a svolgere il suo emendamento.

ADONNINO. Io sono partito da questo concetto pratico. Mi pare che sia un’ingiustizia che il padre che ha ceduto al figlio un bene che può essere relativamente piccolo di fronte ai molti beni rimasti a lui padre, debba farsi rimborsare dal figlio una cifra di tributo progressivo calcolata su tutti i beni rimasti al padre. In tal modo il figlio può essere sottoposto ad un carico che anche se non arriva al cento per cento, come si era in un primo momento ipotizzato, può arrivare però al 61 per cento. Sicché un figlio, per un patrimonio di tre milioni, viene a pagare circa un milione e 700 mila lire, con un sacrificio gravissimo, quale lo stesso progetto ammette solo per i patrimoni elevatissimi.

Ora che il figlio debba pagare in proporzione del tributo afferente al bene ceduto è giusto, ma mi sembra troppo che egli venga a pagare il di più, perché il conteggio si fa aggiungendo il bene ceduto ai beni del padre o di tutti gli altri fratelli a cui la cessione è stata fatta.

È per diminuire questa gravezza che io ricordo che il concetto generale per cui noi accettiamo l’imposta progressiva è che essa è un’imposta anche ad aliquote alte, ma non distruttiva del patrimonio. Le aliquote alte colpiscono chi ha di più. E, per esempio, una persona molto ricca che abbia un miliardo può sopportare un’imposta di 600 milioni, perché gliene rimangono sempre altri 400. Dunque, per diminuire l’ingiustizia della situazione sopra prospettata, io propongo di ripartire il carico della maggiore imposta che viene a gravare sul cespite ceduto, secondo le proporzioni in cui il patrimonio originario è stato suddiviso.

Se il padre si tenne molto, lasciando poco ai figli, è giusto che l’imposta gravi per molto al padre, e per poco al figlio; se si fa il caso che il padre abbia ceduto tutto…

CAROLEO. Questo è già detto.

ADONNINO …ed è rimasto con poco, allora l’eventuale di più lo sopporti il figlio, che è il più ricco. Questo non è già detto. Si parla nell’emendamento due volte di proporzionale: la prima volta, si intende la parte proporzionale di tributi afferente al bene ceduto. E questo è quello che è già detto nel testo della Commissione. Ma io propongo di fare una seconda proporzione, cioè fissare il di più da pagare in quanto si tassa il cespite insieme ai beni del padre, invece che insieme ai beni del figlio e dividere questo di più proporzionalmente alla maniera in cui è stato diviso il patrimonio originario fra padre e figli. Una ingiustizia resta sempre, ma è la meno ingiusta, in quanto il carico maggiore fa carico a colui che è più ricco e non a colui che è più povero. Ecco il senso che ho creduto di raggiungere con questo emendamento.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Mi pare che qui ci sia un grande malinteso, che può facilmente considerarsi, ipotizzando il caso di un padre – caso frequente, onorevoli colleghi – che si è spogliato di tutto il suo patrimonio nei confronti dei figli. Del patrimonio di un milione, di cui ha dato ad uno centomila, all’altro duecentomila e all’altro trecentomila, paga una determinata imposta, che è conseguenza del cumulo e non del fatto di chi ha donato. È conseguenza di questa legge, che è contro i principî che abbiamo fissato nella Carta costituzionale a favore della donna, della famiglia, dei figli; ma il donante non c’entra affatto: egli si è spogliato di tutto il suo patrimonio ed è stato costretto da questa legge a pagare una certa imposta. La deve distribuire: come la distribuisce? Divide la imposta per tutto il valore del patrimonio, poi stabilisce delle unità di mille lire, di diecimila, di centomila e moltiplica le unità contenute nel valore di ciascuna quota, pel quoziente ottenuto. La proporzionale si attua aritmeticamente e si tratta soltanto di aritmetica elementare: l’imposta si distribuisce con quel criterio proporzionale che è nella legge. Può effettivamente esserci qualche inconveniente da eliminare, perché, ripeto, questa legge si è posta contro i diritti delle donne, delle mogli, dei figli, di chi ha lavorato: è la legge contro i pezzenti a favore dei signori. Potrebbe abolirsi il cumulo, per quanto ha detto l’onorevole Adonnino, perché si tratta di imposta personale che dovrebbe andare a colpire colui al quale ciascun cespite risulta intestato.

Ma, fuori di questo, non possiamo fare una politica fiscale contro il donante, perché ciò è irragionevole e non si può prescindere dall’obbligo di integrale rivalsa e dal criterio della proporzionalità, che è già nella legge.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ripeto un’osservazione che a nome della Commissione ho già fatto. Non è possibile alla Commissione, in una materia così importante, valutare gli effetti di un emendamento se non dopo una seria considerazione; e credo che questo problema si ponga per molti emendamenti tecnici. In sede di discussione generale ho anche considerato improbabile che la legge possa rimanere, nei suoi particolari tecnici, immutata. L’esperienza indicherà al Governo quali disposizioni integrative introdurre. Pregherei pertanto gli onorevoli colleghi di non abbondare in emendamenti tecnici e fermarsi alle disposizioni fondamentali della legge, a quelle, cioè, che hanno vasta incidenza, lasciando al Governo, magari con raccomandazioni e voti, di mettere allo studio la revisione di alcune norme tecniche.

Se la Commissione avesse dovuto esaminare la legge in tutti i suoi più minuti aspetti tecnici, avrebbe impiegato sei mesi per discuterla. La Commissione ha fermato la sua attenzione sugli elementi fondamentali della legge, e su essi ha deliberato.

Di fronte alle proposte dell’onorevole Condorelli e dell’onorevole Adonnino, manifesto l’avviso, a nome della Commissione, di mantenere ferma la disposizione della legge e di rimettere i loro voti e la loro formulazione al Governo per uno studio più approfondito della questione.

Dico di più. Avendo esaminato meglio il problema posto dall’onorevole Adonnino, ho dovuto concludere nel senso indicato dalla regge. Se il donante ha stabilito un certo rapporto tra il patrimonio di un figlio e quello dell’altro, la legge non può modificare questo rapporto applicando un suo principio di progressività.

Mi spiego meglio. Se per esempio abbiamo un patrimonio d’un miliardo e una tassazione del 50 per cento, il patrimonio di un figlio che ammonti a cento milioni viene ridotto a cinquanta per il fatto della quota proporzionale, e il patrimonio di un altro figlio, di trecento milioni, viene ridotto a centocinquanta. Il rapporto fra cinquanta e centocinquanta dopo il pagamento dell’imposta è uguale al rapporto fra cento e trecento. E siccome la volontà originaria del donante era di dare cento a un figlio e trecento a un altro, dopo l’applicazione dell’imposta, il rapporto rimane il medesimo. La disposizione di legge, così come è congegnata, rispetta cioè la volontà del testatore o del donante.

PRESIDENTE. Invito il Ministro delle finanze ad esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Relatore ha postulato nell’applicazione della legge delle successive approssimazioni. Mi sembra che, effettivamente, per questa imposta stia verificandosi un fenomeno del genere. Il Governo ha emanato un decreto, che si riteneva fosse il meno imperfetto possibile.

Siamo dinanzi all’Assemblea per perfezionare il decreto governativo, attraverso una prima approssimazione.

L’onorevole La Malfa pensa che, forse, una successiva approssimazione potrebbe apportare altri miglioramenti.

Non nego che questo, da un punto di vista pratico, possa essere un concetto fecondo di ottimi risultati, anche perché si potrebbe tener conto delle prime esperienze, nonché delle critiche rivolte alla formulazione adottata dall’Assemblea.

D’altra parte, un sistema siffatto non sarebbe una novità, perché, anche per la vecchia imposta del 1° gennaio 1920, si è verificata una successione di testi legislativi che vanno da quello del 24 novembre 1919 a quello del 22 aprile 1920, per giungere a quello definitivo, pubblicato a distanza di due anni, il 5 febbraio 1922.

Se l’onorevole Relatore convenisse nel punto di vista che ho espresso, il Governo si farebbe carico di promuovere a tempo opportuno un nuovo strumento legislativo, che dovrebbe costituire uni perfezionamento dì quello anteriore. Tutto questo potrebbe sveltire le nostre discussioni; e, infatti, pur non essendo minimamente mio intendimento di contribuire a strozzare comunque la discussione, devo tuttavia considerare che, applicando una regola di proporzionalità del tipo di quella dell’ultimo comma dell’articolo che stiamo discutendo, arriveremmo a finire la discussione di questo schema di legge forse fra qualche mese.

Se l’Assemblea ritiene opportuno di sveltire la discussione, abbandonando alcune questioni di dettaglio e facendo carico al Governo di riesaminare le questioni stesse e di proporre un successivo provvedimento, il Governo non può non essere d’accordo.

Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Adonnino, credo che, tutto sommato, non convenga complicare la regola di applicazione della rivalsa.

L’onorevole Adonnino, in sostanza, propone di dividere in due parti la somma, alla quale la rivalsa si riferisce; cioè: una prima parte che tenga conto della capacità contributiva del cumulato e una seconda che sia in relazione alla capacità contributiva del cumulante.

A prescindere da qualsiasi considerazione sulla bontà della soluzione proposta (e potrebbero essere considerazioni di ordine adesivo), penso non sia il caso di complicare il sistema, anche perché ci troviamo nell’orbita di un quadro strettamente familiare, in cui grosse questioni non dovrebbero nascere se non in casi veramente eccezionali.

D’altra parte, il cumulo opera essenzialmente là dove si sono effettuati trasferimenti a titolo gratuito, e perciò si può sostenere che non rappresenta un grave sacrificio per il donatario sopportare una rivalsa di imposta secondo la capacità contributiva del donante.

Per quanto riguarda i trasferimenti a titolo oneroso, il cumulo si fa quando non è possibile dare la dimostrazione del reimpiego di beni posseduti prima. Mi augurerai che questa prova sia veramente idonea ad escludere dal cumulo tutti i cespiti che sarebbe ingiusto di farvi rientrare. Ritengo perciò di aderire alla preghiera del relatore in ordine all’emendamento Adonnino.

Se, in ipotesi, l’Assemblea approvasse l’emendamento medesimo, pregherei di modificarne la stesura, in quanto dicendo che la quota proporzionale di imposta eccedente i beni ceduti farà carico all’intestatario, si può pensare che venga a cambiare il soggetto d’imposta di fronte alla amministrazione finanziaria, e questo francamente non potrei desiderarlo.

Perciò, se l’emendamento fosse approvato, nonostante il parere contrario del Relatore e del Governo, pregherei modificarne la formulazione in modo che non vi sia dubbio sul suo contenuto.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni del relatore della Commissione e del Governo, chiedo all’onorevole Adonnino se insiste nel suo emendamento.

ADONNINO. Vi insisto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. I miei emendamenti sono due, o meglio il mio emendamento è duplice: uno riflette il problema che ha illustrato l’onorevole Adonnino; l’altro un problema connesso.

Ho proposto l’aggiunta di un comma che dovrebbe precedere l’ultimo comma, in modo che la formulazione definitiva sarebbe la seguente: «Il cumulo non si opera ove, prima del 28 marzo 1947, i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti del primo cedente».

Mi sembra evidente che si debba necessariamente far così, perché, se il padre, invece di donare o vendere ad un figlio, prima del 28 marzo 1947, avesse venduto a dei terzi, nessuno avrebbe potuto parlare di frode domestica alla legge. Se hanno venduto i figli, cioè i cessionari, evidentemente questi beni sono usciti dal patrimonio cumulabile prima del 28 marzo 1947 e non mi pare che, in questo caso, si dovrebbe operare il cumulo. Il mio emendamento è reso necessario da una inesatta formulazione del comma terzo dell’articolo 3, dove si dice: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti…». Bisognava dire, come si era detto per la moglie: «si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni posseduti dai discendenti, che siano stati loro ceduti dagli ascendenti». Difatti è evidente che, se questi beni non sono più nell’ambito della famiglia, o che li abbia venduti l’originario cedente, o che li abbia venduti il supposto prestanome, il risultato è sempre quello: sono usciti dall’ambito del patrimonio familiare e non possono, dunque, essere cumulati. Questa è certamente una omissione alla quale dobbiamo riparare.

Vi è poi il secondo punto dell’emendamento che riflette, come dicevo, il problema sollevato ieri, molto opportunamente, dall’onorevole Adonnino. Che il problema ci sia non c’è dubbio; è vero che nelle leggi finanziarie opera quella che da alcuni è stata detta la brutalità fiscale; è la spada dello Stato che cade, obbedendo a necessità pubbliche, e cade come cade. Qui però non sono gli interessi dello Stato che noi regoliamo, perché gli interessi dello Stato sono fuori discussione. Qui noi poniamo una norma di diritto privato sostanziale, che regola le rivalse tra le persone private. Noi, perciò, non possiamo essere così sommari. È un problema delicato di giustizia, che è tanto più delicato in quanto si pone nell’ambito della famiglia. I problemi di giustizia vanno risolti con la massima delicatezza, per evitare proprio quelle liti che non debbono verificarsi, soprattutto in quegli ambienti. Noi abbiamo il dovere di presentare una legge che tra gli altri mali necessari, non ne produca altri che non sono necessari, cioè di far scoppiare liti nell’ambito della famiglia. Se noi volessimo ricorrere ad un accorgimento opportuno, potremmo addirittura sopprimere questo comma dell’articolo ed occuparci in altra fase della legge – che potrebbe essere anche alla fine di questa legge o in provvedimento aggiunto – di questo problema.

Ma fissare qui una norma che è certamente ingiusta – e non vi è nemmeno bisognò di dimostrare che è ingiusta – non mi sembra assolutamente opportuno.

Vi dico anche che non appena tutto questo apparato fiscale dovrà funzionare, i rapporti fra i privati devono essere ben guardati, perché qui ci saranno delle persone (gli ascendenti) che dovranno sborsare somme ingenti, e che devono avere la possibilità di recuperare immediatamente da chi di ragione le somme che devono sborsare. Noi non possiamo fare una legge che vada in vigore successivamente; noi dobbiamo mettere i contribuenti nella possibilità di ottenere la rivalsa quasi con la stessa rapidità con cui lo Stato potrà ottenere il pagamento.

Si rifletta, dunque, sul problema.

A me pare che la soluzione dell’onorevole Adonnino sia perfetta e sia la più rispondente ad una giustizia scrupolosa.

Penso che si potrebbe votare oggi e, per facilitare la votazione, rinuncio ai miei emendamenti, per aderire a quello dell’onorevole Adonnino. Ma se il Governo e se la Commissione avessero delle perplessità, sopprimiamolo pure questo comma dell’articolo e rinviamo l’esame ad altro momento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore.

LA MALFA, Relatore. Se gli onorevoli Condorelli e Adonnino insistono, la Commissione deve chiedere 24 ore di tempo per esaminare e decidere.

CONDORELLI. La mia, in sostanza, è una proposta sospensiva.

LA MALFA, Relatore. Sarei d’avviso che sia opportuno sospendere l’approvazione dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora, si può sospendere l’approvazione di questo articolo con i relativi emendamenti, perché la Commissione chiede 24 ore di tempo per pronunciarsi sul comma in questione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Poiché si rinvia, io vorrei pregare la Commissione di porre mente ad un’altra difficoltà che potrebbe insorgere nell’applicazione di questo articolo 3.

Questo articolo 3, nei rapporti fra ascendenti e discendenti, ha una parte che è assistita da una presunzione juris et de jure, quella che riguarda i trasferimenti avvenuti a titolo gratuito, ed un’altra parte che è assistita da una presunzione juris tantum, riguardante i trasferimenti avvenuti a titolo oneroso. Per questi trasferimenti avvenuti a titolo oneroso, è consentito alla parte interessata di dare la dimostrazione che essi non sono stati ceduti in modo da poter essere colpiti in nome del cedente. Il quesito che mi pongo è questo: l’articolo dice che si considerano facenti parte del patrimonio anche i beni ceduti. Quindi, questa iscrizione al nome del cedente, può avvenire di ufficio, ed il cedente avrà sempre il diritto di dare la dimostrazione contraria. Ma quando dovrà dare questa dimostrazione? Può darla preventivamente se è avvertito in tempo, quando cioè gli viene fatta questa contestazione; se la contestazione è avvenuta senza contraddittorio, senza cioè che il cedente lo sapesse, avrà tempo di dirlo dopo. Ma quando egli lo dice dopo viene a ferire la valutazione che è già stata iscritta a ruolo, mediante il corrispondente carico dell’imposta.

Vorrei che la Commissione, esaminando l’articolo, esaminasse anche il punto in questione, quello cioè fare in modo che la chiarificazione sull’appartenenza del patrimonio all’una o all’altra persona avvenga in sede preventiva di istruttoria, sicché, una volta fatto l’accertamento, il fisco non sia obbligato a ritornare sull’accertamento stesso.

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione, avendo 24 ore di tempo per decidere sul comma in questione, potrebbe convocare i presentatori di emendamenti per combinare insieme con essi il testo definitivo, che potrebbe essere messo ai voti domani.

Propongo intanto che la discussione su questo articolo sia rinviata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I beni indivisi sono ripartiti, agli effetti dell’imposta straordinaria, nelle quote spettanti ai singoli aventi diritto, secondo il disposto dell’articolo 1101 del Codice civile.

«Il patrimonio costituito da beni dotali è considerato di spettanza della moglie».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Segue l’articolo 5. Se ne dia lettura nel testo formulato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato dall’onorevole De Vita il seguente emendamento aggiuntivo:

«Aggiungere il seguente comma:

«In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

L’onorevole De Vita ha facoltà di illustrare il suo emendamento.

DE VITA. L’emendamento è di per sé chiaro. Ritengo giusto che siano osservate le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, come è previsto dall’articolo 5, ma ritengo altresì giusto che, in ogni caso, i beni posseduti all’estero dai cittadini italiani siano considerati come facenti parte del loro patrimonio ai fini, almeno, della determinazione dell’aliquota,

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che l’onorevole De Vita abbia già spiegato sufficientemente il suo concetto. Egli propone che i beni esistenti all’estero siano computati ai fini della determinazione dell’aliquota. Il concetto si potrebbe accettare. Naturalmente qualora il cittadino – in caso di doppia imposizione – abbia pagato una imposta doppia, bisognerebbe decurtare l’imposta di ciò che è stato pagato all’estero.

SCOCA. Ma chi fa l’accertamento?

LA MALFA, Relatore. Che questi valori siano accertabili, lo dice la stessa legge. Non si può fare l’obiezione che non siano accertabili questi valori all’estero, quando il fisco ne prevede l’accertamento. Se la disposizione di legge dice questo, vuol dire che l’accertamento è possibile. L’esenzione di questi beni residenti all’estero è quindi data soltanto nel caso della doppia imposizione. Sorge allora la questione, sollevata molto sottilmente dall’onorevole De Vita, ossia quale aliquota debba applicarsi a questo patrimonio.

Se effettivamente questi valori sono accertati, si dovrebbe applicare una aliquota diversa, salvo però il caso – che l’onorevole De Vita non ha previsto – in cui il cittadino italiano abbia pagato anche una imposta all’estero, nel qual caso si dovrebbe decurtare di questa imposta. L’emendamento dell’onorevole De Vita può essere pertanto accettato con questa modifica.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desideravo chiedere all’onorevole De Vita se quella frase «in ogni caso» si riferisce all’imposta di cui al primo capoverso o anche a quella di cui al secondo.

DE VITA. Si riferisce anche al caso della seconda imposizione, ed in ogni modo si riferisce al cittadino.

VANONI. Io faccio una domanda precisa: il primo capoverso accenna alla posizione del cittadino straniero o italiano residente all’estero il quale abbia beni in Italia; il secondo invece contempla l’ipotesi di un cittadino italiano residente in Italia che abbia beni all’estero. Sorge pertanto il dubbio se quell’«in ogni caso» si riferisce soltanto all’ipotesi prevista nel primo capoverso o anche a quella prevista nel secondo.

DE VITA. No, si riferisce al cittadino.

VANONI. Bisognerebbe quindi usare un’espressione diversa?

Mi pare poi che l’opportunità di deduzione non si ponga nel caso specifico. Dice infatti l’onorevole De Vita che noi dobbiamo, su cento ipotetici milioni che sono in Italia, nel caso in cui i cento milioni che sono all’estero non siano assoggettabili all’imposta in Italia, applicare non già l’aliquota corrispondente ai cento milioni, ma quella corrispondente ai duecento milioni. È dunque un puro problema di aliquota, non un problema di duplicazione d’imposta. È infatti sui cento milioni accertati in Italia che si chiede di applicare l’aliquota corrispondente al patrimonio complessivo dei duecento milioni.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Desidero osservare che il regime che viene adottato per i beni dei cittadini italiani esistenti all’estero, secondo il progetto di legge, è questo: o sono tassati all’estero e allora sono esclusi dalla tassazione in Italia, o non sono tassati all’estero e allora sono tassati in Italia. Ora, nella seconda ipotesi, quando cioè non sono tassati all’estero, sono computati in Italia e quindi sono conglobati ai fini dell’applicazione dell’aliquota.

Il problema quindi non sorge; il problema sorgerebbe invece nel caso in cui i beni del cittadino italiano fossero tassati all’estero; ma in questo caso, non pare equo che questi beni debbano essere sempre computati in Italia, sia pure ai fini del calcolo dell’aliquota, poiché, essendo tassati all’estero, può anche darsi che lo siano in una misura superiore a quella esistente in Italia. Vi è quanto meno la possibilità che si incorra in un aggravamento di tassazione o in una violazione di accordi internazionali sulle doppie imposizioni.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio osservare, circa quanto ha detto l’onorevole Scoca, che non si tratta di sottoporre tutto il patrimonio all’imposta straordinaria in Italia. Si tratta di sommare i due tronconi del patrimonio, di cui uno si trova in Italia e l’altro all’estero, ai fini della determinazione dell’aliquota, per assicurare la progressività dell’imposta. L’imposta in realtà si applica soltanto sul patrimonio che esiste in Italia.

Mi pare quindi che nessuna discussione si possa fare a questo proposito e che si debba senz’altro accettare l’emendamento proposto dall’onorevole De Vita.

L’altro punto è quello cui accennava poc’anzi l’onorevole La Malfa, che si dovrebbe cioè tener conto dell’imposta pagata all’estero. Mi pare che non si possa fare questo ragionamento, perché una volta che l’imposta è pagata all’estero, il patrimonio è decurtato di altrettanto e nell’accertamento si rileverà che il patrimonio, che era di un milione, è diventato di trecentomila lire in seguito al pagamento di un’imposta all’estero; e quindi si farà il cumulo di quello che residua del patrimonio all’estero e quello che è il patrimonio in Italia, al semplice fine – ripeto – della determinazione dell’aliquota. Quindi, non credo ci debbano essere delle difficoltà.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Desidero rispondere all’osservazione dell’onorevole Dugoni. Le aliquote sono state determinate in funzione di uno scopo, sono stati previsti, perciò, i patrimoni dei singoli cittadini e la gravità dell’imposta che deve incidere su di essi. Accettando la tesi dell’onorevole Dugoni, che è la tesi del collega De Vita, si avrebbe questo inconveniente: di non sapere con quali criteri sono tassati all’estero i primi tronconi. Perciò l’effetto dell’imposta, che per noi è stata studiata relativamente a tutto il patrimonio dell’individuo, subisce una variazione in funzione di quello che può essere stato il criterio accertatore dello Stato estero sul primo troncone rimasto all’estero. Quindi può accadere, ad esempio, che, se per un caso, all’estero è stata applicata l’imposta del cinquanta per cento sul primo troncone e noi sommiamo il 60-61 per cento sulla somma totale, veniamo a portar via tutto il patrimonio.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Prego l’Assemblea di voler guardare al profilo della questione che è questo: noi veniamo a fare un trattamento peggiore al cittadino italiano che, pur essendosi trasferito all’estero, ha voluto conservare la cittadinanza italiana, mentre quegli italiani che si sono trasferiti all’estero e hanno accettato, o chiesto la cittadinanza straniera, verrebbero ad essere privilegiati. Mi pare che l’Assemblea Costituente italiana non possa assolutamente adottare un principio di questo genere.

DUGONI. Ma è detto «il cittadino italiano residente in Italia», onorevole Condorelli.

CONDORELLI. No, l’emendamento si riferisce tanto al cittadino quanto allo straniero sul patrimonio esistente nello Stato.

DUGONI. Ma no.

CONDORELLI. Anzi, per l’emendamento De Vita, è stato domandato se si deve applicare allo straniero.

DUGONI. Ed è stato risposto di no.

CONDORELLI. Allo straniero non si deve applicare. Dunque, è chiaro che l’italiano che abbia acquistato la cittadinanza estera verrebbe ad essere trattato meglio del cittadino italiano che è stato geloso della sua nazionalità.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desideravo solo far presente un’osservazione. Ho l’impressione che si stiano confondendo cose molto semplici e che si dimentichi quello che è il criterio di razionalità dell’imposta. Facciamo un esempio concreto: un tale possiede un patrimonio di duecento milioni: cento milioni in Italia e cento milioni all’estero.

In Italia ed all’estero vi è un’imposta straordinaria progressiva. Se io considero in Italia – e il legislatore estero all’estero – solo il patrimonio che risiede nel territorio, in definitiva chi possiede un patrimonio di 200 milioni paga l’aliquota di chi possiede il patrimonio di 100 milioni.

Questo dimostra l’irrazionalità delle osservazioni fatte ed è quindi giusta la proposta dell’onorevole De Vita.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze ad esprimere il proprio pensiero.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole De Vita, sarei tentato di dichiarare che il Governo l’accetta, perché comporta una soluzione elegante la quale potrebbe trovare applicazione anche in altri casi, principalmente quando una imposta reale interferisca con un’imposta personale e si debba stabilire il trattamento di cespiti dichiarati esenti ai fini di imposte reali, che facciano parte però di un patrimonio da assoggettare ad imposta personale.

Mi preoccupano, però, le pratiche conseguenze dell’emendamento. Esso non potrebbe – credo – portare gran vantaggio e, probabilmente, creerebbe un lavoro notevole all’Amministrazione qualora questa volesse darsi carico di un’effettiva applicazione della disposizione contenuta in questo emendamento.

Ed è unicamente sotto questo profilo nettamente empirico che non do parere favorevole all’emendamento stesso.

Vorrei rivendicare un po’ il diritto anche al Governo di complicare la discussione, presentando a mia volta tre emendamenti all’articolo 5.

Il primo emendamento riguarda il secondo comma, fermo restando che il Governo accetta il testo della Commissione. Occorre osservare che la formula finale: «salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni» può essere insufficiente a raggiungere il risultato prefìsso. Cioè, se facciamo l’ipotesi che un altro Stato estero applichi un’imposta straordinaria sul patrimonio, la posizione di fatto è nettamente configurata; allora entra in giuoco il sistema delle norme relative alle doppie imposizioni. Ma la imposta straordinaria sul patrimonio non è un tributo molto diffuso negli altri Stati. Può darsi che alcuni Stati adottino altre forme di imposizione che, pur avendo carattere di straordinarietà e pur incidendo sopra quei cespiti a cui noi vogliamo avere riguardo, non abbiano una veste specifica di imposta straordinaria sul patrimonio.

Ed è per questo che io presento alla Presidenza un primo emendamento con cui il Governo suggerisce di aggiungere, dopo le parole: «contro le doppie imposizioni», le parole: «derivanti da tributi di carattere eccezionale».

Fissato il principio della eventuale esenzione di beni esistenti all’estero in applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione, dobbiamo considerare la posizione di società azionarie le quali hanno cespiti patrimoniali esistenti all’estero, che potrebbero sottrarsi alla imposta per le regole relative alle doppie imposizioni.

Si propone quindi un terzo comma del seguente tenore:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalla società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari ai sensi del comma precedente».

Da ultimo, sono stati completamente dimenticati i beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazione diversa da quella italiana. Sarebbe assurdo di considerare tali beni alla stregua di cespiti pienamente tassabili, in quanto non si sa con esattezza quale sorte, in definitiva, essi potranno avere.

Non sarebbe nemmeno giusto il trascurarli completamente. Per questo presento un terzo emendamento che dice:

«I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e zone metropolitane sotto amministrazioni diverse da quella italiana devono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuova disposizione, a formare il patrimonio imponibile».

Cioè dovrebbe esistere l’obbligo di dichiararli, rinviando a nuove disposizioni il regime di tassazione, per attendere che si creino le condizioni di fatto e di diritto necessarie per stabilire l’assoggettabilità o meno all’imposta di tali beni. (Commenti).

PRESIDENTE. Evidentemente, con questi emendamenti presentati, noi ci rimettiamo a fare il testo della legge, e non credo che la Commissione sia in grado di seguire il lavoro in questo modo.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente la Commissione non è in grado di dire il suo parere.

PRESIDENTE. Potremmo passare all’articolo 5, sospendendo l’approvazione anche di questo articolo 4. Ma intanto desidero conoscere dal Governo se intende proporre altri emendamenti al testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il primo dei successivi emendamenti sarà all’articolo 17.

PRESIDENTE. E allora sarà opportuno che il Governo presenti tutti i suoi emendamenti alla Commissione, in modo che questa possa studiarli e riferire all’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Io insisto nel fare presente che non è possibile continuare nell’esame della legge con questo sistema. Insisto perché si studi un provvedimento integrativo, portando tutti gli emendamenti alla Commissione. Ma intanto bisogna andare avanti nell’esame della legge, anche se essa non è ancora perfetta.

Pregherei dunque l’Assemblea di limitarsi alla discussione dei principî fondamentali della legge, e se siamo d’accordo su di essi, di mandare avanti la legge, salvo dopo qualche mese ad emanare un provvedimento integrativo tenendo conto delle modifiche che nel frattempo si saranno potute elaborare. L’Assemblea non può dimenticare che il termine dell’applicazione della legge, termine già prorogato, scade il 31 luglio.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi associo al pensiero espresso dal Relatore circa la procedura da seguire per l’applicazione di questa legge.

Noi dovremmo qui fermarci ai punti che possono formare oggetto di discussione sui criteri politici, o sui criteri fondamentali della legge. Potremmo poi pregare la Commissione e il Governo di considerare tutti gli emendamenti di carattere tecnico come raccomandazioni per un provvedimento integrativo che il Governo potrà o emanare per conto proprio, come ne ha la facoltà, o sottoporre all’approvazione dell’Assemblea in un secondo tempo. Altrimenti andremo avanti per tutto il mese di agosto e non finiremo mai.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Dissento dall’onorevole Corbino e dal Relatore. Mi permetto di Sottoporre all’Assemblea la gravità della materia che abbiamo dinanzi: gravità per lo Stato ed anche per i singoli cittadini. Vorrei ricordare che quando si discuteva la pena di morte, a chi diceva: «ma come riparerete voi a un errore giudiziario?» si rispondeva: questi sono piccoli inconvenienti della vita comune. E l’onorevole Ferri osservava: «fare questi ragionamenti sulla pelle degli altri, è comodo». Anche nel caso nostro, può essere comodo dire: limitiamoci a deliberare i concetti generali e non perdiamo tempo nei particolari. Ma qui si tratta di gravi interessi dei cittadini. Ed anche dell’interesse dello Stato, il quale non può tendere a stremare i cittadini. Dunque io credo che sia dovere e diritto nostro di discutere la legge in tutti i suoi particolari. D’altra parte, non è una legge tanto ponderosa, per la quale si possa dire che saremo occupati tre mesi. Io credo che con questo accorgimento adottato oggi, per cui, quando sorge una questione si può rinviare di un giorno o due il punto su cui la questione sorge, andando avanti negli altri punti della legge, invece di stare quattro giorni staremo otto giorni, ma non potrà essere troppo lungo il periodo del nostro lavoro. Anche se perciò si dovesse protrarre di qualche giorno il termine per la denuncia, ciò non sarà gran male. Ma io mi permetto ancora di far presente agli onorevoli colleghi che hanno fatto quella proposta, e a tutta l’Assemblea, che la questione è altrettanto grave quanto quella della Costituzione che stiamo studiando. Abbiamo il dovere di adoperare la massima coscienza e precisione.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. A me sembra alquanto strana la procedura seguita dal Governo. Secondo questa procedura, l’Assemblea verrebbe a trovarsi, nell’esame dei singoli articoli, dinanzi a proposte presentate dal Governo seduta stante. Per Queste considerazioni mi associo agli onorevoli La Malfa e Corbino.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dissento dall’opinione manifestata dall’onorevole Corbino e da altri, che si possa ovviare agli inconvenienti denunciati mediante un provvedimento a venire che si chiamerà «provvedimento integrativo». Mi permetto di rappresentare all’Assemblea la grandissima gravità di una decisione di questo genere, la quale in pratica significherà l’arresto degli uffici fiscali: perché gli uffici finanziari, che sono chiamati ad applicare l’imposta, quando sapranno che questo provvedimento non è completo e che dovrà essere integrato non faranno più niente e diranno: attendiamo le nuove istruzioni.

Ora, abbiamo bisogno di un provvedimento concreto, definitivo, anche se non perfetto: naturalmente, nulla vieta che possa venire dopo un altro provvedimento. Ma il dire fin d’ora che approviamo un provvedimento che dovrà essere integrato da un altro provvedimento, mi sembra significhi l’arresto della macchina fiscale, mentre abbiamo bisogno invece che essa proceda rapidamente. Quindi ritengo che sia giusto quanto ha espresso il Presidente dell’Assemblea, che cioè gli emendamenti – specie quelli proposti dal Ministro delle finanze a tutti gli articoli – se sono pronti, siano passati alla Commissione, la quale in due o tre giorni avrà tempo di esaminarli e, man mano che verranno in esame gli articoli, sarà in grado di dire il suo pensiero e d’istruire l’Assemblea. Tanto meglio se questi saranno conosciuti anche dall’Assemblea: ciascuno di noi sarà preparato a discutere l’articolo a cui l’emendamento si riferisce e così noi giungeremo in porto non con una legge perfetta, ma con una legge completa nella massima misura possibile. Quindi ritengo che si debba procedere nella discussione del progetto di legge, senza rinviare, per una eventuale integrazione della legge che stiamo per approvare, ad un provvedimento di là da venire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. Mi si permetta di concludere. Forse i colleghi non si rendono conto dell’imbarazzo in cui ci troviamo. In questa materia un emendamento non può essere sempre rapidamente valutato in tutte le sue possibili conseguenze e quindi noi abbiamo bisogno di qualche tempo per studiarlo e per metterci d’accordo col Governo.

Noi abbiamo già rinviato la decisione su molti articoli, rischiamo di rinviare tutti gli articoli all’esame della Commissione. Dovete tener conto delle condizioni in cui lavora l’Assemblea e in cui lavorano le Commissioni. D’altra parte la macchina fiscale non si può arrestare, essa è già in funzione su questo decreto.

Non è possibile che una imposta così complessa sia messa a punto in poco tempo. Giorno per giorno sorgeranno nuovi casi. Si tratta di non commettere errori fondamentali, ma anche di non soffermarsi troppo su problemi particolari, rischiando di peggiorare la legge.

Per esempio, l’emendamento dell’onorevole De Vita sembra nel complesso giusto; ma tutti i prevedibili effetti di questo emendamento non possono essere immediatamente valutati. Rischiamo di approvare un emendamento senza prevederne tutti gli effetti.

PRESIDENTE. Mi sembra di poter concludere così: Vi sono due correnti, una sostenuta dall’onorevole La Malfa e dall’onorevole Corbino, per la quale con provvedimenti integrativi dovrebbe provvedersi a tutto quanto la legge non ha potuto prevedere; l’altra, della quale si è fatto esponente l’onorevole Bertone, la quale, considerata la importanza del problema, sostiene la necessità di una soluzione ponderata. Penso che se si continua a discutere sugli emendamenti proposti e su quelli che potessero aggiungersi da un momento all’altro, si perderebbe troppo tempo, e chiedo all’Assemblea se non ritenga opportuno che la Commissione esamini, insieme con il Governo, gli emendamenti presentati dal Governo stesso e dagli onorevoli deputati, rinviando il seguito di questa discussione. (Commenti).

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Il Regolamento ammette che con dieci firme si possa presentare qualsiasi emendamento anche all’ultimo momento. Vorrei fare la proposta che coloro che intendono presentare emendamenti lo facciano subito, in modo che quando la Commissione si sarà riunita per esaminare a fondo il problema, non debba temere che poi sopravvengano ulteriori emendamenti.

PRESIDENTE. Ho già rivolto ai colleghi questa raccomandazione.

Ora però bisogna decidere su un altro punto; quando cioè l’Assemblea dovrà riunirsi per continuare la discussione.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Faccio la proposta formale di continuare la discussione perché in tutte le leggi e quindi anche in questa, ci sono dei punti senza aver risolto i quali non si può andare avanti, ma ci sono dei punti che si possono accantonare e risolvere domani o posdomani. Per esempio, il punto sul quale ora discutiamo credo si possa accantonare e andare avanti con l’articolo successivo. Questo mi pare possa essere il sistema da seguire per non perdere troppo tempo e insieme per dar modo di presentare tutti gli emendamenti che si ritengano opportuni.

Ritengo che non si possa vietare ad alcuno, se vogliamo lavorare con coscienza, di fare nuove proposte anche all’ultimo momento, perché proprio allora possono sorgere – dalla discussione – le migliori idee.

PRESIDENTE. D’accordo, ma questo dovrebbe accadere in via eccezionale.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Faccio presente che, per parte mia, ho presentato l’emendamento in tempo debito e chiedo quindi all’Assemblea se ritiene opportuno di passare alla votazione del mio emendamento regolarmente presentato nei modi e nei termini previsti dal Regolamento.

PRESIDENTE. Ma non è in discussione la regolarità della presentazione; è l’accordo della Commissione con il Governo!

DE VITA. Faccio formale richiesta all’Assemblea di pronunciarsi sulla mia proposta.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. L’Assemblea mi permetta di esprimere il mio senso di sconcerto davanti alla fatale lentezza con cui i lavori finiscono per procedere.

Passando da accantonamento ad accantonamento siamo arrivati a questo risultato: che sono stati approvati soltanto gli articoli ai quali non erano stati proposti emendamenti.

L’articolo 2, per la questione degli enti collettivi, l’abbiamo accantonato, e non per colpa del Governo.

L’articolo 3 è stato accantonato perché, non si trova la formula da inserire nell’ultimo comma, e anche questo non per colpa del Governo.

L’articolo 5 vorremmo accantonarlo, e qui forse la colpa si ripartisce fra Assemblea e Governo…

Non so se questo metodo del rinvio ci permetterà di arrivare a risultati solleciti e concreti.

Naturalmente, la formula per la futura disciplina dei lavori non può che essere di competenza dell’Assemblea. Segnalo però la gravità di una situazione che va delineandosi. Per la prosecuzione dei lavori, evidentemente, io non ho che da rimettermi a quello che decide la Presidenza. Mi si permetta, però, di osservare che lunedì mattina difficilmente sarà presente un numero tale di deputati che possano contribuire efficacemente alla discussione.

Non sarebbe il caso di invertire l’ordine del giorno per lunedì? Senza sminuire di importanza le interrogazioni, molte hanno carattere eminentemente locale, ovvero nettamente specifico, ed allora esse potrebbero essere discusse al mattino, riservando la patrimoniale alla seduta pomeridiana.

In questo senso, rivolgo, quindi, una proposta alla Presidenza: se lunedì si dovrà discutere, come mi sembra opportuno, la imposta patrimoniale, chiedo che essa sia discussa nella seduta pomeridiana. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Mi pare che si possa venire ad una decisione. Il Presidente della Commissione ha fatto sapere che la Commissione è disposta a dare subito il suo parere sugli emendamenti agli articoli, e che si può passare anche alle votazioni. Stando così le cose, evidentemente possiamo continuare il nostro lavoro oggi ed anche domani, senza che si presenti la necessità di uno spostamento o di un rinvio delle interrogazioni fissate lunedì.

Procediamo allora nell’esame degli emendamenti all’articolo 5. Comunico all’Assemblea che il Governo propone di aggiungere, dopo le parole «doppie imposizioni», le altre: «derivanti da tributi di carattere eccezionale». Prego la Commissione di esprimere il suo parere in merito all’emendamento proposto dal Governo.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non accetta l’emendamento, perché ne ritiene il principio implicito alla legge.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ritira l’emendamento, prendendo atto dell’affermazione del Relatore che il suo contenuto è implicito nello spirito della norma.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole De Vita, di cui ricordo la formulazione: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero fanno parte del patrimonio complessivo del soggetto ai fini dell’applicazione dell’aliquota».

DE VITA. Chiedo di parlare per dare un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, onorevole De Vita, ma si ricordi che ella ha già svolto il suo emendamento.

DE VITA. Il chiarimento è questo: invece di aggiungere un altro comma, si potrebbe emendare l’ultimo comma nel senso da me proposto, senza fare nessun’altra modificazione.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetterebbe l’emendamento De Vita così modificato:

«I beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai soli fini della aliquota».

CORBINO. Io direi: «della determinazione dell’aliquota».

LA MALFA, Relatore. Accetto la modifica.

DE VITA. Bisogna mantenere l’espressione: «in ogni caso». Se si mantiene questa espressione, posso anche aderire alla formula della Commissione.

SICIGNANO. Prego la Commissione di accettare integralmente il testo dell’onorevole De Vita.

LA MALFA, Relatore. Se l’onorevole De Vita accetta le altre modificazioni proposte, la Commissione aderisce, accettando la frase: «in ogni caso».

DE VITA. Accetto le altre modifiche della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il nuovo testo concordato dell’emendamento: «In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato ed i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

(È approvato).

Vi è ora la proposta del Governo, di aggiungere un terzo comma così formulato: «Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia, si detrae una quota parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalle società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari, ai sensi del comma precedente».

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Io faccio una domanda: è possibile che noi ci mettiamo a discutere un emendamento del Governo, senza che l’Assemblea lo conosca in precedenza? L’emendamento deve essere prima stampato e distribuito, perché possa essere esaminato.

PRESIDENTE. Trattandosi di emendamenti aggiuntivi, possono anche essere approvati in un secondo momento, dopo essere stati stampati e distribuiti.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome l’emendamento si ricollega alla questione della tassazione degli enti collettivi, esso può essere accantonato e discusso quando si parlerà di tale questione.

PRESIDENTE. Resta inteso allora, che questi emendamenti saranno stampati e distribuiti, e discussi in un secondo tempo.

CORBINO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. C’è un altro emendamento del Governo, riguardante i beni residenti nei territori coloniali. Su questo si potrebbe discutere anche ora.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento è così formulato: «I beni esistenti nei territori coloniali, nei possedimenti e nelle zone metropolitane, sotto amministrazioni diverse da quella italiana, debbono essere compresi nella dichiarazione, ma non concorrono, fino a nuove diposizioni, a formare il patrimonio imponibile».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Ha perfettamente ragione l’onorevole Veroni, ed hanno egualmente ragione quei colleghi che sostengono l’opportunità di distribuire gli emendamenti prima che essi siano posti in discussione.

In questo senso il Governo si impegna per il futuro, invocando, però, un trattamento di reciprocità! Per quanto riguarda gli emendamenti governativi, essi saranno tutti consegnati entro brevissimo tempo alla Commissione competente e alla Presidenza dell’Assemblea.

La portata di questo emendamento non ha bisogno di molte illustrazioni; vi sono dei beni di cittadini italiani nelle colonie e nei possedimenti sotto amministrazioni diverse dalla nostra.

La sorte definitiva di questi beni è incerta; comprenderli nel patrimonio tassabile sarebbe evidentemente ingiusto.

D’altra parte, sarebbe pericoloso dimenticarli o comunque trascurarli, anche perché la loro sistemazione definitiva nel quadro internazionale potrebbe farsi attendere parecchio tempo: ed a mano a mano che ci allontaniamo dal 28 marzo 1947 può essere difficile il loro reperimento.

Perciò l’emendamento propone l’obbligo di dichiarare tali beni e di non tenerne conto per il momento nella determinazione del patrimonio tassato.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ci sono dei beni di cittadini italiani residenti in Italia ma che sono situati in paesi nei quali, rispetto alla situazione del Trattato di pace, i cittadini corrono il rischio di una espropriazione più o meno totale. Quale sarà il modo con cui ci regoleremo? Una risoluzione esplicita è evidente che non la possiamo adottare; ma è bene comunque che si ponga il problema, perché una disposizione con riserva mi pare che si potrebbe prendere.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi sembra che la preoccupazione dell’onorevole Corbino non abbia ragione di essere perché, se ho ben compreso il chiarimento del Ministro delle finanze, la dichiarazione viene fatta a fine puramente informativo, non già a quello dell’imposizione di una tassa; viene fatto al fine soltanto di un accertamento e ciò mi sembra sia utile. La tassazione verrà più tardi.

CORBINO. Ma io non mi riferisco a beni nelle colonie, ma ai beni italiani in Europa.

BERTONE. Ma è la stessa cosa.

PELLA, Ministro delle finanze. Posso assicurare l’onorevole Corbino, il quale vorrà comprendere le ragioni per le quali il Governo, illustrando l’emendamento, si è limitato a mettere l’accento sui beni esistenti nelle colonie, che l’emendamento stesso comprende anche i casi da lui accennati, perché parla di beni esistenti nelle zone metropolitane soggette ad amministrazione diversa da quella italiana.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Desidero domandare al Governo che voglia considerare se veramente sia da ritenersi indispensabile chiedere, con una dichiarazione particolare, la denuncia di questi beni situati nelle colonie o nelle zone metropolitane soggette ad altra amministrazione. Io prego il Governo di voler considerare che noi non abbiamo il potere di sceverare se questi territori siano giuridicamente ancora italiani o meno; ritengo pertanto che non sia forse delicato porre l’accento su questa questione.

Il problema è invece un altro: sapere in qual modo si debbano valutare questi beni ai fini dell’imposta. E siccome esiste quella situazione di incertezza giuridica cui accennava poc’anzi l’onorevole Ministro, a me pare che tale situazione si possa risolvere in sede amministrativa, arrivando anche alla soluzione accennata dall’emendamento, mediante un accertamento condizionato, salvo a risolvere la cosa definitivamente più tardi, quando sarà possibile determinare quale sarà la valutazione effettiva dei beni stessi.

Mi sembra che, se questo mio punto di vista verrà accettato dal Governo, noi potremo rinunziare benissimo all’emendamento, salvo a dirimere definitivamente la questione il giorno in cui saranno prese delle risoluzioni definitive riflettenti le nostre colonie.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei una spiegazione dal Governo in ordine alla risposta che l’onorevole Ministro delle finanze ha dato all’onorevole Corbino. Mi pare che l’onorevole Corbino si preoccupasse di beni esistenti in territorio propriamente estero, supponiamo in Romania o in Ungheria. Ora l’onorevole Ministro ha letto un emendamento dove si parla di luoghi metropolitani non soggetti all’amministrazione italiana. Ma l’onorevole Corbino parlava di Paesi diversi. L’onorevole Ministro ha detto che quell’emendamento era idoneo a soddisfare l’esigenza dell’onorevole Corbino: ora, o io non capisco l’esigenza o non capisco l’emendamento che la soddisfarebbe. Supponendo, ad esempio, che l’onorevole Corbino parli di beni esistenti in Romania o in Ungheria, non capisco in che cosa l’emendamento sodisfi.

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritenevo che l’onorevole Corbino avesse fatto l’ipotesi di beni in zone metropolitane. Se invece l’ipotesi che ha fatto è quella di beni nella situazione cui ha accennato l’onorevole Fabbri, è esatto che questa ipotesi non è compresa nell’emendamento. Ma, arrivati a questo punto – se mi concede il Presidente di dire la mia opinione sul suggerimento dell’onorevole Vanoni – ringrazio l’onorevole Vanoni, perché con le sue dichiarazioni – se condivise dall’Assemblea – si fornisce all’Amministrazione la possibilità di risolvere il problema in sede di istruzioni. Se, cioè, si ritiene che l’Amministrazione possa, con provvedimento interno, dettare quei temperamenti cui ha accennato l’onorevole Vanoni, è esatto che l’emendamento non ha ragione di essere, e quelle istruzioni interne possono risolvere anche gli altri casi prospettati dall’onorevole Fabbri.

Se questo è il pensiero dell’Assemblea, il Governo ritira l’emendamento. (Commenti).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta la decisione del Ministro in questo senso: che la materia è molto complessa e riguarda molti casi: territori metropolitani ceduti, beni sequestrati in Paesi esteri e territori coloniali. La Commissione lascia al Governo la scelta, o di studiare un provvedimento apposito per questi casi o di farne oggetto di istruzioni interne.

PELLA, Ministro delle Finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Non so se ho reso bene il mio pensiero. Se l’Assemblea riconosce che possa essere nei poteri della Amministrazione di dettare norme interne in sede di valutazione, norme che abbiano quell’elasticità sufficiente per arrivare a stabilire una provvisoria sospensiva, salvo a riprendere la valutazione, norme che permettano di stabilire dei temperamenti in sede di valutazione; se tutto questo l’Assemblea ritiene che l’Amministrazione possa fare, il Governo ritira l’emendamento.

Ma però questo ritiro è subordinato a che esplicitamente l’Assemblea risponda su questo punto: se riconosce che l’Amministrazione abbia i poteri accennati.

PRESIDENTE. Evidentemente l’Assemblea non può pronunciarsi, onorevole Ministro. Io posso darle atto che l’Assemblea non ha fatto osservazioni di sorta intorno alle considerazioni che ella ha esposte, ritirando l’emendamento. Il che significa che l’Assemblea consente nelle motivazioni da lei date.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’interpretazione che ha dato l’onorevole Presidente vi è il presupposto per ritirate l’emendamento. E quindi lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, ha udito; il Governo ritira l’emendamento.

BERTONE. Ma lo ha ritirato nel senso che ritiene di avere la facoltà di dare quelle istruzioni?

PRESIDENTE. Evidentemente, onorevole Bertone.

BERTONE. Ritengo che con ciò si crei un precedente troppo pericoloso.

Questo demandare all’Amministrazione di risolvere essa internamente dei problemi, i quali possiamo prevedere avranno grandissima portata finanziaria ed economica, è un atto che mi sembra pericoloso non solo per l’argomento stesso in oggetto, ma anche perché crea un precedente che apre la porta a chiedere la stessa cosa in altre contingenze, per cui verremo poco per volta a scalfire, a vulnerare, a ridurre i poteri che sono anche i doveri dell’Assemblea. Quello che è stato chiesto oggi sarà chiesto domani e non potremo dire di no, perché abbiamo detto di sì oggi. Io conosco perfettamente gli imbarazzi in cui può trovarsi un’Amministrazione finanziaria nell’eseguire un provvedimento, so quanta libertà bisogna dare all’Amministrazione finanziaria, nella esecuzione e nella interpretazione dei provvedimenti. Sono in questo campo per la più larga libertà, ma non fino al punto di abbandonare all’Amministrazione ciò che è di competenza di organi superiori. Quindi, credo opportuno che l’emendamento proposto dal Ministro delle finanze venga esaminato e discusso.

PRESIDENTE. Se il Governo lo ritira!

PORZIO. Ma c’è un presupposto.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Io volevo chiarire il mio pensiero che ho impressione non sia stato esattamente compreso dall’onorevole Bertone. Io non chiedo e non ho proposto di mettere da parte i poteri dell’Assemblea in materia di legislazione, ma ho fatto una semplice considerazione: che i beni, che si trovano all’estero o in colonia, debbono essere dichiarati è già detto nella legge, e non c’è bisogno di parlare di colonie esplicitamente. Il problema, quindi, non esiste e non sorge, almeno secondo me.

Secondo punto, invece: questi beni, sia che si trovino in colonia, sia che si trovino in territori metropolitani ceduti, sia che si trovino all’estero, sequestrati per una ragione o per un’altra, connessa con gli eventi bellici, sono in una posizione giuridica di incertezza che incide sulla loro valutazione ai fini del computo del patrimonio, e questa incertezza ha un grado maggiore o minore che noi non potremo risolvere con norme legislative oggi, perché in ogni situazione, rispetto ad ogni Paese, e col passare del tempo, anzi di tempo in tempo, questa incertezza si colorirà di una certezza particolare: o nel senso che i beni siano interamente perduti o nel senso che i beni siano recuperabili – in tutto o in parte – da parte del soggetto.

È in questo senso che l’Amministrazione – come per altri settori in cui detta norme interne di valutazione per indirizzare gli uffici nel fare uso del loro potere discrezionale di valutazione, che la legge stessa ha ammesso e delimitato – è in questo senso, dicevo, che l’Amministrazione può risolvere, con le sue istruzioni, le incertezze di cui oggi è stato il Governo.

Non che io dica che si debba dare al Governo la potestà di dare delle istruzioni in materia puramente legislativa. Io ho dietro di me una lunga battaglia, combattuta in periodo fascista con argomenti tecnici e giuridici, contro il malcostume dell’Amministrazione di prendere decisioni e provvedimenti finanziari con circolari interne, e non ammetterei mai che su questa strada pericolosa si ritornasse oggi, in regime democratico. Ma di fronte a questa situazione, impostato così il problema giuridico, rientra proprio nei compiti dell’Amministrazione di dare questi criteri discrezionali – nei limiti sempre dei poteri discrezionali dell’Amministrazione – per fare delle valutazioni di situazioni concrete incerte, che noi oggi non possiamo esattamente valutare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento proposto dal Governo muove dal presupposto che l’Amministrazione non sia investita di quei poteri discrezionali di cui si sta parlando. Il Governo, quindi, presuppone di dover derivare dall’Assemblea i propri poteri in questa materia.

Ora, è esatto che questi beni sono già soggetti ad un obbligo di dichiarazione, ma io sono perplesso ad accogliere le conclusioni dell’onorevole Vanoni, perché non credo che all’atto pratico sia semplice e facile arrivare a quelle soluzioni cui egli accenna. Infatti, o quel bene ha un valore zero per la sua situazione giuridica particolare, per i rischi inerenti, e allora non vi è l’obbligo di dichiarazione; o il bene non ha un valore zero e allora entrano in scena le regole di valutazione della legge, la quale non contempla beni di valore incerto.

Vedremo, passando ai successivi articoli, che vi sono regole per la prima dichiarazione e per la prima valutazione dei terreni, dei fabbricati, dei titoli, ma non è configurata la possibilità di valutazione in una posizione di incertezza.

Se non si ritiene opportuno mettere in votazione questo emendamento, posso aderire a questo criterio di opportunità; il Governo perciò lo ritira e si riserva di ripresentarlo quando si giungerà a discutere della materia della valutazione.

PRESIDENTE. L’emendamento allora si considera ritirato. Dopo l’approvazione dell’emendamento De Vita, l’articolo 5 risulta così formulato:

«L’imposta straordinaria è dovuta, tanto dal cittadino quanto dallo straniero, sul patrimonio costituito dai beni esistenti nello Stato.

«Il cittadino italiano residente in Italia deve l’imposta anche sul patrimonio costituito da beni esistenti fuori dello Stato e da titoli emessi all’estero, salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. In ogni caso i beni esistenti fuori dello Stato e i titoli emessi all’estero si computano nel patrimonio del cittadino ai fini della determinazione dell’aliquota».

Lo pongo ai voti nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Si considerano esistenti nello Stato:

1°) i terreni ed i fabbricati situati nel territorio dello Stato ed i diritti reali sui medesimi;

2°) i beni facenti parte di aziende industriali, commerciali ed agricole a carattere individuale che siano situati nel territorio dello Stato;

3°) le quote e le azioni di società italiane, nonché le obbligazioni ed ogni altro titolo di credito emesso in Italia dalle società stesse, dallo Stato, dalle Amministrazioni dello Stato, dalle Provincie, dai Comuni od altri enti italiani, dovunque posseduti, dal cittadino o dallo straniero;

4°) le quote di comproprietà di navi italiane;

5°) i crediti che fanno carico a debitori domiciliati nello Stato;

6°) i capitali comunque investiti nello Stato, o iscritti negli uffici ipotecari dello Stato;

7°) i buoni postali fruttiferi, i depositi a risparmio ed i conti correnti presso aziende, Casse di risparmio, postali ed ordinarie, e presso altri istituti di credito e banche, che siano stati raccolti nel territorio dello Stato;

8°) i biglietti dello Stato italiano, i biglietti a corso legale della Banca d’Italia e quelli emessi in lire dal Governo militare alleato, ovunque si trovano;

9°) i diritti di autore, nonché i brevetti, i modelli di utilità, i marchi di fabbrica e simili, iscritti nei pubblici registri dello Stato, limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato;

10°) i gioielli appartenenti a cittadini italiani;

11°) i quadri, gli arazzi, le statue, i tappeti, le porcellane, le stampe, le medaglie e simili, posseduti nel territorio dello Stato;

12°) tutti gli altri beni situati nel territorio dello Stato ed i titoli che rappresentano beni reali situati nel territorio stesso.

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un emendamento dell’onorevole De Vita, il quale propone di sopprimere l’alinea 9°.

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. Per chiarire il mio pensiero non mi resta che leggere a questa Assemblea una massima giurisprudenziale della Commissione centrale di finanza. È una massima di giurisprudenza costante, che si riferisce all’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio 1920. Dice questa massima: «Il brevetto di invenzione in sé e per sé non può costituire una entità patrimoniale comunque valutabile in denaro. Il brevetto è l’atto col quale l’inventore tende a garantirsi contro lo sfruttamento da parte di altri dell’invenzione, e quindi non è che il riconoscimento dell’esistenza dell’invenzione da parte dello Stato, il quale assume la tutela giuridica ed economica dell’inventore.

Nel campo dell’applicazione, però, rappresenta soltanto una entità patrimoniale, alla quale non può attribuirsi un valore qualsiasi fino a quando lo sfruttamento del brevetto non porti l’invenzione al campo della pratica attuazione».

Io credo di aver chiarito la portata del mio emendamento, e chiedo, quindi, alla Commissione e al Governo se i brevetti di cui si parla nel testo si riferiscano proprio a quei brevetti che hanno già trovato sfruttamento in Italia, e anche a quei brevetti che sono stati soltanto registrati per la tutela.

LA MALFA, Relatore. Il n. 9 dice: «limitatamente al valore corrispondente ai diritti di sfruttamento nello Stato».

DE VITA. Quando un brevetto è stato registrato all’estero ha dei diritti all’estero, ma sono diritti potenziali di sfruttamento. Finché il brevetto non è stato sfruttato non si può considerare come un patrimonio assoggettabile all’imposta.

LA MALFA, Relatore. Si parla di diritti di sfruttamento nello Stato. La Commissione prega mantenere la disposizione.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Lo mantengo, perché non risulta chiara la portata dell’articolo.

PRESIDENTE. Si procederà allora alla votazione dell’emendamento dell’onorevole De Vita soppressivo dell’alinea 9°.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Poiché nell’alinea oltre che di brevetti si parla anche di diritti di autore, propongo che la votazione abbia luogo per divisione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole De Vita riguarda l’alinea nel suo complesso, e non può esser votato per divisione.

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

L’articolo 6 s’intende pertanto approvato nel testo del Governo, accettato dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 7 del Capo III, concernente le esenzioni. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario legge:

Capo III.

Esenzioni.

Art. 7.

«È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, e quello posseduto dai consoli ed agenti consolari di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari.

«Sono, altresì, esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni costituite all’estero aventi finalità religiose, culturali, assistenziali e di beneficenza».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un primo emendamento dell’onorevole Dugoni, così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Sono esenti dalla imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera accreditati presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano, nonché i consoli di cittadinanza straniera, in quanto non esercitino una industria o un commercio in Italia e non siano amministratori di aziende commerciali, sempre che esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato da cui dipendono e salvo le speciali convenzioni consolari».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DUGONI. Lo mantengo, ma rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Al primo comma, alle parole: È esente dall’imposta straordinaria il patrimonio posseduto dagli agenti diplomatici delle nazioni estere, sostituire: Sono esenti dall’imposta straordinaria gli agenti diplomatici di cittadinanza straniera; ed alle parole: e quello posseduto, dai consoli, sostituire le altre: ed i consoli».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. L’emendamento che ho proposto si può scindere in due parti: una è una pura questione di forma, direi di stile; si tratta di dare al primo comma una formulazione analoga a quella usata per il secondo comma. In questo articolo 7, che fa parte del titolo concernente le esenzioni, si stabiliscono alcune esenzioni soggettive, cioè si indicano certi soggetti ai quali l’imposta non si applica. E infatti, nel secondo comma dell’articolo 7, si dice: «Sono esenti dall’imposta straordinaria gli enti e le associazioni ecc.». Per la stessa ragione anche nel primo comma occorre seguire, dal punto di vista formale, lo stesso metodo, cioè indicare i soggetti che sono esenti, cioè gli agenti diplomatici. Questa è, del resto, la formula usata anche nella legge del 1920.

La seconda parte del l’emendamento proposto consiste in una precisazione. Anziché dire, come si dice nel testo: «agenti diplomatici di nazioni estere», si propone di dire: «agenti diplomatici di cittadinanza straniera». La ragione di questa precisazione è la seguente. Nelle varie leggi tributarie della nostra legislazione, nel regolare le esenzioni concesse agli agenti diplomatici, si è abitualmente usata la dizione che è riprodotta nel testo attuale del disegno di legge: cioè «agenti diplomatici di nazioni estere». Ora, questa formula ha dato luogo ad alcune controversie. Si è fatto questo quesito: in questa dizione rientra anche un agente diplomatico di una Potenza estera che sia cittadino italiano?

La questione ha dato luogo a contestazioni in sede giurisprudenziale. Ricordo che la Commissione centrale per le imposte dirette, a Sezioni unite, con una elaborata decisione del 26 marzo 1941, ha interpretato questa espressione, nel senso che non comprende gli agenti diplomatici che abbiano la cittadinanza italiana. Il diritto internazionale relativo ai privilegi diplomatici non obbliga, infatti, uno Stato a concedere esenzioni tributarie ad agenti diplomatici di Governi esteri che siano suoi cittadini.

Ora sembra opportuno di prendere questa occasione per chiarire questo punto, in modo che quella espressione che è stata usata in leggi precedenti sia intesa nel senso che ormai la giurisprudenza le ha dato, cioè nel senso che l’esenzione è concessa solo agli agenti diplomatici di cittadinanza straniera.

È questa dunque la portata dell’emendamento il quale, mentre usa nel presente disegno di legge una dizione più precisa, intende avere un valore interpretativo della formula meno chiara usata nelle leggi tributarie precedenti.

Dal punto di vista pratico c’era una certa ragione per fare questa precisazione. E la ragione è che il trattamento di esenzione concesso agli agenti diplomatici di Governi esteri accreditati presso il Governo della Repubblica si deve estendere, in virtù di impegni internazionali, agli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede, e a taluni alti funzionari di Istituti internazionali. C’è dunque l’opportunità di usare la dizione proposta, la quale toglie ogni equivoco ed elimina ogni eventuale contestazione.

Il mio emendamento differisce in un solo punto da quello dell’onorevole Dugoni, inquantoché l’onorevole Dugoni oltre che, come nel mio emendamento, menzionare gli agenti diplomatici di nazionalità straniera accreditati presso lo Stato italiano, menziona espressamente gli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede.

Mi sembra che non convenga uscire, a questo riguardo, dal sistema adottato dalle varie leggi analoghe, poiché l’esenzione degli agenti diplomatici accreditati presso la Santa Sede deriva automaticamente dall’articolo 12 del Trattato del Laterano. Non c’è bisogno di ripetere qui la stessa cosa. Se noi lo facessimo, dovremmo allora trovare qualche altra frase per coprire altre ipotesi, cioè quelle accennate prima di taluni alti funzionari di Istituti internazionali. Per queste considerazioni, ritengo opportuno che non si parli di queste categorie speciali e che l’emendamento al primo comma dell’articolo 7 del disegno di legge si limiti ad introdurvi la precisazione da me proposta, la quale ha lo scopo di eliminare contestazioni che in passato hanno avuto luogo nell’applicazione di analoghe esenzioni previste da altre leggi tributarie.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni mantiene il suo emendamento?

DUGONI. Non lo ritiro, a meno che l’onorevole Perassi accetti la precisazione che io ho fatto riguardante l’accreditamento presso la Repubblica italiana e presso la Santa Sede, perché, data la possibilità di confusione, e certamente la ricerca di creare delle situazioni particolari per sottrarsi al pagamento dell’imposta, nella formula dell’onorevole Perassi si possono introdurre degli elementi di dubbio. Quando si parla di agenti diplomatici delle nazioni estere, questi agenti possono prestar servizio in un altro Paese ed avere dei beni in Italia, ed allora questa ipotesi, che io configuro, darebbe loro diritto, secondo la dizione dell’onorevole Perassi, ad una esenzione del loro patrimonio. Quindi la mia specificazione intende soltanto restringere in un campo ben delimitato il numero delle persone che in ragione della loro attività hanno diritto a questa specifica esenzione.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero dell’onorevole Perassi, dopo la precisazione dell’onorevole Dugoni?

PERASSI. L’aggiunta dell’onorevole Dugoni non è necessaria, perché l’equivoco a cui accenna non può avvenire, in quanto qui si dice agenti diplomatici di cittadinanza straniera, purché esista reciprocità di trattamento da parte dello Stato che rappresentano: il che significa dire che noi abbiamo riguardo soltanto agli agenti diplomatici che sono tali rispetto allo Stato italiano, cioè accreditati presso il Governo della Repubblica. L’estensione agli agenti della Santa Sede deriva dal Trattato Lateranense. Per conseguenza non mi pare il caso di aggiungere altre specificazioni, perché l’equivoco non c’è, e il dubbio, al quale ha accennato l’onorevole Dugoni, non si è mai sollevato nell’applicazione delle altre leggi nelle quali è stata usata una dizione analoga a quella in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha la parola per esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Perassi, la Commissione dichiara di preferire l’emendamento da lui presentato.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, insiste nel suo emendamento?

DUGONI. Ritiro il mio emendamento, pur confermando che la dizione dell’onorevole Perassi è nettamente equivoca.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro delle finanze, la prego di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alle conclusioni dell’onorevole Relatore, nello spirito con cui l’onorevole Perassi ha illustrato il suo emendamento.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Perassi, avendo l’onorevole Dugoni ritirato il suo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 8 con l’emendamento Perassi, testé approvato.

(È approvato).

Si passa all’articolo 8. Se ne dia lettura nel testo emendato della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio i seguenti cespiti:

1°) i capitali corrispondenti a contributi che, per legge o per contratto, siano stati versati a Casse di previdenza, o di soccorso, istituite contro i rischi di malattia, infortuni, vecchiaia ed invalidità; a Casse di previdenza o Casse di pensione per gli impiegati privati, od a Casse di pensione per vedove o orfani, contemplate alle lettere c) ed f) dell’articolo 2 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966;

2°) i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo;

3°) il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, fatta eccezione per i contratti di assicurazione a premio unico, stipulati dopo il 10 giugno 1940;

4°) le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, col mobilio, gli arredi sacri, i reliquiari e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa;

5°) gli immobili dichiarati esenti da tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;

6°) i titoli del Prestito della ricostruzione, autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento;

7°) le cose mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, quando facciano parte di collezioni o serie notificate ai sensi dell’articolo 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, oppure siano soggette a pubblico uso o godimento;

8°) le rendite di benefici ecclesiastici maggiori e minori».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti. Il primo, dell’onorevole Costa, è del seguente tenore:

«Al n. 3°), alle parole: dopo il 10 giugno 1940, sostituire: dopo il 28 marzo 1937».

L’onorevole Costa non è presente.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Costa, e se la Commissione l’accetta, rinunzio ad illustrarlo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Limitare il n. 3°) alle parole: il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, sopprimendo il rimanente.

«Ove rimanesse integro il testo proposto, alle parole: stipulati dopo il 10 giugno 1940, sostituire le altre: stipulati dopo l’8 settembre 1943, ed aggiungere: Il prezzo di riscatto relativo a siffatti contratti non è cumulabile col restante patrimonio del contribuente; da detto prezzo è detratta, per ciascun contratto, la somma indicata al secondo comma dell’articolo 29».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. I principî generali del diritto considerano, come fuori del patrimonio dell’assicurato, il risparmio assicurativo. Per questa ragione appare pericoloso che attraverso questa legge si instituisca un tributo che colpisca le somme assicurate nel corso del contratto, cioè prima che esse entrino a far parte del patrimonio del beneficiato.

La deroga ai principî generali del diritto sembra ancora più grave, in quanto la legge colpirebbe le assicurazioni stipulate dopo il 10 giugno 1940, e si riferisce quindi all’ipotesi che al principio della guerra non poteva, in nessun modo, essere ancora concepita.

Questo concetto lo spiegai anche ieri in una dichiarazione di voto. La decisione stabilita in genere per i contratti assicurativi costituirebbe una innovazione assai pregiudizievole all’industria assicurativa, la quale trovasi già in serie difficoltà a causa della svalutazione monetaria.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, ella ha presentato anche quest’altro emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

Ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Al riguardo, vi è già un emendamento del collega Schiratti, che, presso a poco, dice la stessa cosa. Io ho voluto fare una ulteriore precisazione. La questione dei tributi dei terreni montani al di sopra dei 700 metri è antica quanto la mia presenza in questo Parlamento. Nel 1916 io ricordo di averne parlato in occasione della discussione del bilancio delle finanze, sostenendo questa tesi, che venne accolta, per la prima volta, dalla provincia di Aosta, unicamente, si comprende, per quello che riguardava la sovraimposta. Questa è stata la prima vittoria che ha ottenuto quel gruppo di deputati presieduti dal compianto Luchino Dal Verme per l’esenzione fiscale per quei terreni, in modo da poter incoraggiare i cittadini che abitano le più alte pendici delle Alpi e degli Appennini, evitando la loro coatta emigrazione, a restare lassù, quasi custodi dei loro terreni. Si diceva, allora, che questi cittadini benemeriti avessero quasi diritto di essere favoriti ed indennizzati. Una volta gli antichi Longobardi mandavano sui più alti luoghi delle Alpi e degli Appennini i loro vecchi soldati pensionati perché custodissero i confini e si formarono quelle formidabili «grimannie» montane, che nei valichi più pericolosi tante volte sbarravano il passo al nemico.

Per la legge proposta si deve pagare la imposta patrimoniale in dieci rate. Ora faccio notare che esse diventano, in molti casi dei possessori di questi piccoli «predii» montani, troppo gravose e pressanti.

Perché non seguire quanto, con lungimirante criterio, ha fatto il nostro legislatore in altre leggi? Nella questione dei terreni montani, l’obiezione del Ministro delle finanze che si tratti della imposta in corso anticipata e condensata, non ha fondamento. Vi erano i contributi unificati, dai quali si era esonerati oltre i 700 metri. Poi si è ritenuto di farli riscuotere ancora. Durante il precedente Ministero, Ministro l’onorevole Scoccimarro, si è approvato il decreto 27 giugno 1946 n. 98, che fu poi integrato dall’altro successivo del 7 gennaio 1947, n. 12. Mentre il primo stabiliva che dovessero essere esonerati dai contributi fondiari solamente quei comuni nei quali il capoluogo fosse al di sopra dei 700 metri, di fatto si deve osservare che quasi sempre gli abitati ed i capoluoghi sono in fondo alle valli, mentre la maggior parte dei terreni sono in alto. Ed allora, di fronte a questa constatazione, che ho potuto far valere anche in Consiglio dei Ministri, si è provveduto al secondo decreto, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 1947, veniva concessa l’esenzione dalla imposta fondiaria e dal reddito agrario anche per i territori situati ad una altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare, qualunque fosse l’altitudine alla quale si trova il capoluogo, rimanendo per altro escluso – altro piccolo guaio – lo sgravio d’ufficio, il che impone all’interessato una domanda e, purtroppo, una documentazione a base di carte topografiche o di perizie gravose a procurarsi. Ma, pazienza! Ora succederebbe che, mentre per quella legge dal 1° gennaio 1947 questi piccoli proprietari, che vivono in alto lassù in quelle zone montane, erano esonerati, ora, hanno appena goduto da poche rate un piccolo vantaggio, che già arriva loro addosso una imposta molto più forte ed ingente per le loro modeste forze e tale che toglie ad essi qualsiasi beneficio. Ciascun d’essi dirà: «Appena vidi il sol che ne fui privo»!

Ora, in considerazione di questa particolare situazione, che è in contrasto colla vigente legislazione fiscale, io chiedo che si tengano presenti questi casi e la nostra tradizione non si interrompa. Non si può adesso togliere con una mano ciò che si è dato coll’altra appena pochi mesi or sono, per non creare una contradizione in termini. Dal lato morale poi mi pare che lo Stato debba incoraggiare questi forti cittadini che risiedono e lavorano fra le nevi e i ghiacci parte dell’anno, serbando fede ai loro monti, rendendoli produttivi col loro lavoro, in modo che anch’essi siano a ciò confortati dal sapere che lo Stato ha tenuto presente la loro particolare situazione, con rinnovata benevolenza mantenendo quella stessa esenzione, così come essa era stata già stabilita dal precedente Governo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Schiratti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente alinea:

9°) i terreni montani situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCHIRATTI. Mi associo alle considerazioni esposte dall’onorevole Micheli.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Prego gli onorevoli colleghi di voler accogliere ed inserire tra le esenzioni anche quella dei beni immobili che sono stati danneggiati dalla guerra per oltre un quarto. Unitamente ai colleghi Crispo, Morelli Renato e Bozzi, propongo pertanto il seguente emendamento:

«Aggiungere dopo il numero 8°):

9°) i beni immobili danneggiati dalla guerra per oltre un quarto».

L’onorevole La Malfa, mi pare, si è occupato anch’egli della questione, e, se non ricordo male, ha accennato che, in sede di esecuzione della legge, si sarebbe potuto tener conto delle diverse situazioni che si sarebbero potute prospettare man mano. Mi permetto di osservare che la questione riveste grande importanza e rilievo, in quanto interessa moltissime località colpite dalla guerra e moltissime proprietà immobiliari urbane: caseggiati distrutti per metà, per un terzo, per una parte rilevantissima; caseggiati esentati dal tributo fondiario perché riconosciuti assolutamente non abitabili.

Si tratta, cioè, di proprietà potenziale più che di proprietà effettiva. Bisognerebbe poi distinguere fra i beni che hanno avuto una riparazione dal 1943 e quelli che invece non l’hanno ancora avuta. Ora, per i beni che ancora non sono stati riparati, credo che si potrebbe senz’altro accedere al criterio dell’inclusione, mentre per gli altri si potrebbe tener conto del fatto che le riparazioni sono state effettuate con il concorso dello Stato, ma con grande sacrificio anche da parte dei privati. Vi è poi la questione degli immobili rustici, i quali sono privati della loro capacità produttiva o perché hanno avuto distrutte le case coloniche, o perché hanno avuto degli impianti di irrigazione distrutti o perché sono ancora minati.

Io vorrei dunque pregare l’Assemblea di volere accogliere questa inclusione nell’articolo delle esenzioni e, in via subordinata, nell’ipotesi peggiore, che l’Assemblea voglia raccomandare al Ministro di dare disposizioni agli uffici finanziari perché tengano conto, all’atto degli accertamenti, dell’effettiva capacità produttiva dei singoli cespiti.

Bisogna pur fare qualche cosa per la vasta e dolente categoria dei sinistrati di guerra.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei un chiarimento a proposito del numero 5° dell’articolo 8, secondo il quale sono esenti dall’imposta sul patrimonio gli immobili dichiarati esenti dai tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del Trattato del Laterano. Io mi domando: perché questo comma è stato inserito? Io non ne vedo la ragione. Mi pare anzitutto inutile perché c’è già il Trattato del Laterano, ma, oltre che inutile, mi pare anche del tutto fuori posto.

L’articolo 8 concerne le esenzioni oggettive, in contrapposto all’articolo 7. L’articolo 8 presuppone che esistano dei soggetti all’imposta. Ora, allo stato attuale delle cose, lo schema di legge riguarda soltanto le persone fisiche, mentre il numero 5° dell’articolo riguarda dei beni i quali, per la loro stessa natura, appartengono ad un ente, la Santa Sede. Aggiungo che, inserendo questa specificazione, sorgerebbero altri delicati problemi, qual è, il trattamento che si farà ai beni di Stati esteri? Esistono Stati, per esempio, che sono proprietari di stabili in Italia, ove hanno loro Accademie. Lo stesso dicasi per i beni di Istituti internazionali.

Sono quindi del parere che il numero 5° si dovrebbe senz’altro stralciare, perché in ogni caso inutile. Ove debba restare aperta la questione se all’imposta, ora limitata alle persone fisiche, siano da assoggettarsi anche enti diversi, questo numero 5° si potrebbe almeno accantonare, perché, se venisse risoluta in senso affermativo la sottoposizione di enti all’imposta, bisognerebbe vedere se non sia necessario qualche ritocco o qualche ampliamento.

PRESIDENTE. Avverto che sono pervenuti alla Presidenza altri emendamenti. Uno è a firma degli onorevoli Carbonari, Rescigno ed altri colleghi, e dice:

«Aggiungere dopo il n. 8°):

«I beni immobili costituenti l’azienda agricola il cui reddito non superi il minimo di esistenza necessario per la famiglia del piccolo proprietario».

Gli onorevoli Scoccimarro, Dugoni ed altri hanno poi presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituire il n. 8°) col seguente:

«Le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori, che abbiano diritto a congrua o che con la detrazione dell’imposta rientrino nella categoria degli aventi diritto a congrua».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Avevo rinunziato prima a sviluppare l’emendamento dell’onorevole Costa, che avevo ripreso a mio nome, riguardante i contratti di assicurazione a premio unico.

Dirò in una parola le ragioni per le quali noi riteniamo che la data di suspicione riguardante questi contratti deve essere spostata dal 10 giugno 1940 al 28 marzo 1937.

Queste operazioni, come è ben noto, sono delle vere e proprie operazioni di speculazione finanziaria, le quali vengono compiute attraverso cessioni di queste polizze a premio unico mediante semplice girata, e costituiscono sostanzialmente dei veri e propri grossi contratti finanziari. Quindi, non c’è nessuna ragione che noi accettiamo questa decurtazione del patrimonio, questo taglio che è stato volontariamente dato alla consistenza del proprio patrimonio, perché Sarebbe come se si esentasse un qualsiasi proprietario il quale avesse un determinato pacchetto di titoli di Stato al 5 per cento o di Buoni del tesoro decennali. È esattamente la stessa situazione, cioè, come se si dicesse: sono esentati coloro che hanno comperato Buoni del tesoro decennali.

Quindi, per conto mio, la data di suspicione si deve riportare al 1937.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sui vari emendamenti ora illustrati.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda l’emendamento Costa, la maggioranza della Commissione esprime parere contrario alla sua accettazione. Essa trova che non ricorrano qui le ragioni per portare la data al 1937, come in materia di divisione del patrimonio in seno alla famiglia. Sembra alla maggioranza della Commissione che in questo caso la data del 10 giugno 1940 – che è la data della dichiarazione di guerra – rispecchi meglio la situazione.

La Commissione respinge poi gli emendamenti dell’onorevole Micheli, riguardanti i contratti di assicurazione, e propone di mantenere il testo del Governo.

Così pure respinge da modificazione di carattere puramente formale dell’onorevole Costa al n. 4.

Per quanto riguarda i terreni montani situati al di sopra di 700 metri, la Commissione non può accettare l’emendamento Micheli e neppure quello Schiratti, perché della condizione di tali terreni si tiene già conto in sede di determinazione del loro valore. Stabilire un’esenzione generale darebbe luogo a sperequazioni assai gravi. La situazione dei terreni al di sopra dei 700 metri è diversa da un luogo all’altro, da una regione all’altra, da una provincia all’altra, e non si vede per quale ragione obiettiva tali terreni si debbono porre in condizione di privilegio.

Come ho detto, la valutazione rispecchierà la situazione diversa dei vari terreni, e quindi l’imposta sarà maggiore o minore secondo il rendimento dei terreni.

Per la stessa ragione prego il collega Cifaldi di non insistere nel suo emendamento. Anche per quanto riguarda gli immobili sinistrati è operativo il criterio di tenere conto del loro stato in sede di valutazione, ma non è possibile neanche per essi costituire una categoria speciale di privilegi.

Questi sono gli emendamenti che la Commissione conosce e ha preso in esame. Ci sono poi due emendamenti che la Commissione non conosce nel loro preciso testo, ma solo attraverso la lettura che qui se ne è data.

Volevo esprimermi, infine, non direi sull’emendamento, ma sulla proposta dell’onorevole Perassi. Mi pare giusto che la disposizione di cui al numero cinque non sia necessaria nel testo; tuttavia, siccome si deve esaminare la questione degli enti collettivi, converrà sospendere la decisione di questo paragrafo in attesa della discussione sugli enti collettivi.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole La Malfa ad esprimere il pensiero della Commissione anche sugli emendamenti degli onorevoli Carbonari e Scoccimarro.

LA MALFA, Relatore. La Commissione esprime parere contrario al primo emendamento.

Sul secondo, dell’onorevole Scoccimarro, la Commissione non è in grado di esprimersi, dovendo fare un esame accurato della proposta. Chiedo pertanto la sospensiva anche su questo, come l’ho chiesta per quanto riguarda la disposizione del paragrafo 5°.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Costa, il Governo ritiene che si possa mantenere ferma la data del 10 giugno 1940 per le ragioni che più avanti richiamerò per motivare il pensiero del Governo, contrario all’emendamento dell’onorevole Micheli.

L’onorevole Micheli vorrebbe che fossero esenti dall’imposta anche le polizze costituite con versamento a premio unico dopo il 10 giugno 1940, e motiva brillantemente la sua richiesta (che – mi permetta l’onorevole Micheli – francamente, però, non mi ha persuaso) parlando di retroattività. Ma qui non è questione di retroattività; qui si tratta di colpire un’attività esistente al 28 marzo 1947, ma sorta posteriormente al 10 giugno 1940. Così come non costituisce retroattività colpire una casa esistente dopo il 28 marzo 1947, ma costruita prima del 10 giugno del 1940. Ed anche per le esperienze personali acquisite seguendo la propaganda che veniva fatta di questa forma di assicurazione, credo che essa abbia servito spesso da rifugio contro il pericolo di imposte straordinarie sul patrimonio. Devo, però, onestamente, riconoscere che questa forma di propaganda è stata effettuata negli ultimi anni; per questa ragione, non ritengo opportuno andare fino al 28 marzo 1937 così come vorrebbe l’onorevole Costa.

Per quanto riguarda l’esenzione per i terreni montani, dobbiamo prima di tutto osservare che si tratterebbe di esenzione connessa con l’imposta straordinaria progressiva, cioè con la personale, quella per la quale funziona il minimo di esenzione dei tre milioni.

Siamo tutti d’accordo per appoggiare i desiderati della montagna, ma naturalmente, non dobbiamo lasciarci fuorviare da questa comune simpatia.

Se i terreni montani rendono poco, il loro valore capitale deve essere quasi nullo; abbiamo demandato alla Commissione censuaria centrale di stabilirlo. Certamente si terrà conto – in tale sede – della scarsità del reddito di detti terreni. Ma se questi, sia pure a reddito scarsissimo, nella valutazione portassero all’accertamento di un patrimonio superiore ai 3 milioni, non vedo la ragione per concedere l’esenzione. Quindi mi perdonino gli onorevoli Micheli e Schiratti se devo associarmi al pensiero del Relatore il quale è contrario all’accoglimento dei loro emendamenti.

Per l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo e da altri, ed illustrato dall’onorevole Cifaldi, devo osservare che siamo tutti d’accordo nel deplorare che la materia dei danni di guerra, per ragioni estranee, ritengo, alla buona volontà di organi e persone, non abbia sinora trovato una soluzione sodisfacente.

Ma non ritengo che al risarcimento del danno di guerra possa arrivarsi nella forma proposta dall’emendamento, che dice che il proprietario dell’immobile lesionato oltre il quarto, dovrebbe fruire dell’esenzione dall’imposta per tutto l’immobile residuo.

Ammesso il principio che l’immobile deve essere valutato secondo il suo stato attuale, mi sembra tecnicamente inaccoglibile la proposta di concedere, a titolo di compenso, a forfait, l’esenzione della parte residua, quasi in acconto sulla liquidazione definitiva dei danni di guerra. Per queste ragioni, pur apprezzando lo spirito che ha animato i proponenti, dichiaro che il Governo non può accettare questi emendamenti.

Per quanto riguarda il quasi emendamento dell’onorevole Perassi, ho il dovere di aderire alle conclusioni…

LA MALFA, Relatore. Non c’è un emendamento Perassi.

PRESIDENTE. C’è una proposta di sospensiva. Se ne riparlerà.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo; la materia è connessa con quella degli enti collettivi.

Sono dello stesso avviso del Relatore di non poter accettare l’emendamento Carbonari, Rescigno ed altri.

Sono d’accordo altresì di non essere in grado di valutare l’emendamento Scoccimarro e di dover riservare la risposta del Governo in materia.

TOSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSI. Sulla proposta Perassi mi permetto di chiedere se si tratta di una formale proposta sospensiva, perché allora potremmo senz’altro cancellare l’alinea 5°, senza rinviarlo ad una seconda discussione.

L’alinea 5° fa riferimento all’articolo 16 del Trattato lateranense, articolo che dopo l’elencazione specifica di beni conclude che tutti questi beni non saranno mai assoggettati a vincoli od espropri per cause di pubblica utilità e saranno esenti da tributi, sia ordinari che straordinari, tanto verso lo Stato che verso altre nazioni, ecc. Messo perciò l’argomento in questi precisi termini, è pleonastico l’averlo inserito, ma è altrettanto inutile rinviare la discussione. E allora, se la proposta è messa in termini ufficiali, io dico: cancelliamo l’alinea 5°, perché non c’è più bisogno di esaminarlo in altra sede.

LA MALFA, Relatore. Concordo.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo anch’io.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. A proposito degli emendamenti degli onorevoli Schiratti e Micheli per i terreni montani situati al di sopra dei 700 metri, ho l’impressione che la breve discussione svoltasi non abbia chiarito un equivoco, il quale rimane anche dopo le dichiarazioni del Ministro. Si tratta, cioè, di questo. In questo progetto c’è un’imposta personale progressiva, e una seconda parte che è l’imposta ordinaria reale sul patrimonio. Per l’imposta progressiva gli emendamenti non hanno senso, perché c’è un minimo imponibile e quel minimo imponibile è operante indipendentemente dalla ubicazione dei terreni: chi possiede una proprietà al di sotto dei 700 metri e al di sotto dei 3 milioni è esente da imposta. Chi avesse più di tre milioni anche se sopra i 700 metri…

MICHELI. La parte dei tre milioni resta fuori.

SCOCCIMARRO. Permetta, onorevole Micheli. Il problema che lei pone è giusto solo per quanto riguarda l’imposta ordinaria. Vorrei chiedere una cosa: siccome a tal proposito presenterò un emendamento quando discuteremo la parte proporzionale dell’imposta, chiedo agli onorevoli Schiratti e Micheli di rinviare la questione a quando discuteremo quella parte del progetto, non ponendo all’imposta personale limitazioni di questo genere, il che è impossibile.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Giacché abbiamo accantonato tante questioni, non ho nessuna difficoltà ad accantonare anche questa. Però quella lieve confusione cui ha accennato l’onorevole Scoccimarro effettivamente può in questa parte non esistere; perché è vero che il problema dell’esenzione dai tributi dei terreni montani è più sensibile nell’imposta progressiva che in quella proporzionale, ma anche nella proporzionale ha il suo riferimento e può recare un contributo notevole all’elevamento della quota di ciascuno. Ha un’importanza notevole se domani, per la mia proposta, i terreni al di sopra dei 700 metri non fossero calcolati, indipendentemente dalla loro quantità.

SCOCCIMARRO. Ma lei in questo modo non viene ad aiutare i piccoli proprietari, ma i grandi.

MICHELI. Gli uni e gli altri, ed i piccoli di più perché in numero maggiore: tanto è vero che siete giunti ad esonerare i 3 milioni. Giacché il concetto del legislatore è fondato, mi pare, sulla concezione per cui, imponendo un tributo nuovo non si debba colpire troppo ma lasciare la possibilità che il contribuente viva. Ora, debbo rispondere all’onorevole La Malfa, il quale ha affermato che si tratterebbe di una situazione di privilegio.

Privilegio, sia pure, perché esso è stato riconosciuto recentissimamente dal legislatore in due provvedimenti, in corrispettivo delle condizioni particolari in cui la vita economica dei privilegiati si svolge, e che lo Stato non solo ha il dovere, ma ha l’interesse di riconoscere… (Commenti).

Non è una invenzione mia, o signori, c’è la firma dell’onorevole Scoccimarro in questi due decreti, e io lo ricordo a titolo di onore e ho piacere che egli sia qui a confermarlo. Naturalmente io avrei desiderato che, come egli ci ha aiutato allora e nella imposta progressiva, si fosse spinto un po’ più in su con la sua parola autorevole anche in questa parte, che era quella che aveva bisogno di essere aiutata.

Comunque, sono lieto di constatare come nella seconda parte – cioè nell’imposta progressiva – si sia tutti d’accordo, in quanto anche il Ministro ha detto che riteneva, riferendosi alla mia proposta, che in qualche parte avrebbe potuto consentire. Ora io prendo atto di questa dichiarazione del Ministro, perché mi assicura che in questa altra prossima parte riusciremo ad ottenere, non un nuovo privilegio, ma un piccolo conforto a coloro che continuano imperterriti ad abitare lassù e restano a coltivare e custodire le loro terre.

Ad ogni modo, anche per la parte prima, debbo insistere affinché nelle leggi nostre non vi siano due cose in contrasto l’una con l’altra. E per questo io mantengo l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli emendamenti.

C’è innanzi tutto una proposta dell’onorevole Tosi, che riferendosi alla osservazione dell’onorevole Perassi, porterebbe alla eliminazione dell’alinea 5°.

TOSI. Soppressione definitiva senza che torni più in discussione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la soppressione dell’alinea 5°.

(È approvata).

Passiamo agli altri emendamenti. Onorevole Dugoni, ella ha fatto suo l’emendamento dell’onorevole Costa. Lo mantiene?

DUGONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Costa, fatto proprio dall’onorevole Dugoni, tendente a sostituire nel n. 3°), alle parole: «dopo il 10 giugno 1940», le altre: «dopo il 28 marzo 1037».

Pongo ai voti questo emendamento.

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Micheli.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Dovrei insistere sul mio emendamento, perché la mia convinzione è che effettivamente, come ha detto il Ministro, questa formazione di polizze per investimento di capitali è cosa di questi ultimi anni, determinatasi attraverso la propaganda cui egli ha accennato. Ad ogni modo, siccome la Commissione insiste, io preferisco il 1940 al 1937 dell’onorevole Costa ed al 1935 dell’onorevole Dugoni. Rinuncio quindi al mio emendamento ed aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Vi è poi un altro emendamento dell’onorevole Costa:

«Al n. 4°), alle parole: di spettanza della chiesa, sostituire: inservienti al culto».

DUGONI. È ritirato.

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Schiratti ha ritirato il suo emendamento.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Cifaldi.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero dichiarare che di fronte alle dichiarazioni contrarie dell’onorevole Presidente della Commissione, fatte a nome della Commissione tutta, e di fronte alle dichiarazioni del Ministro, io mi trovo in grande perplessità. Non vorrei che l’Assemblea, rigettando il mio emendamento, avesse l’aria di non voler venire incontro ai danneggiati di guerra. Quindi mi permetto ricordare al Ministro di tener conto di questa situazione.

L’onorevole Ministro delle finanze ha detto che si rendeva conto dello spirito del mio emendamento; onde desidero aggiungere che egli nelle istruzioni che dovrà dare voglia dare anche norme perché i fabbricati quasi distrutti dalla guerra e i beni rustici notevolmente danneggiati dalla guerra siano esentati dal calcolo globale con quelle norme…

PRESIDENTE. Tutta l’Assemblea è d’accordo.

CIFALDI. Ritiro perciò il mio emendamento, trasformandolo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento aggiuntivo?

MICHELI. Insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, così concepito:

«Aggiungere il seguente alinea:

«9°) terreni esentati dall’imposta fondiaria dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento Carbonari non accettato dal Governo e dalla Commissione…

CARBONARI. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Ricordo che l’emendamento dell’onorevole Scoccimarro è stato rinviato.

SCOCCIMARRO. Resta inteso che l’alinea 8° dell’articolo 8 resta sospeso.

PRESIDENTE. Naturalmente.

Con questa intesa e con la soppressione dell’alinea 5°, l’articolo 8 si intende approvato.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ IO LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Zuccarini

Carbonari

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Colitto

Perassi

Dugoni

Nitti

Pallastrelli

Corbino

Gullo Fausto

Piemonte

Aldisio

Sereni

Rivera

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di urgenza (Annunzio):

Presidente

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Calamandrei

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

ROSSI MARIA MADDALENA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Come gli onorevoli colleghi ricordano, la discussione sul diciottesimo alinea dell’articolo 109, «Agricoltura e foreste», è stata ieri sospesa e rinviata ad oggi, per poter trattare l’importante materia con maggior ponderazione.

Sull’alinea sono stati presentati vari emendamenti, tra cui uno nuovo, in questo momento, con le dieci firme prescritte dal Regolamento.

Comunque, per restare agli emendamenti già presentati, e che sono quindi noti a tutti i membri dell’Assemblea, ricordo che vi è quello dell’onorevole Nobile, soppressivo dell’intero alinea.

Vi è poi un emendamento degli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi ed Azzi, in cui si propone di aggiungere le voci «artigianato, industria e commercio» dopo le parole «Agricoltura e foreste».

L’onorevole Caronia, unitamente agli onorevoli Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano, De Maria, Borsellino e Codacci Pisanelli, propone di aggiungere: «industria e commercio», mentre l’onorevole Colitto propone di aggiungere: «assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

L’onorevole Zuccarini, oltre a sottoscrivere l’emendamento Perassi sopra accennato, ha presentato un proprio emendamento, tendente a sostituire la dizione dell’alinea con la seguente: «agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari» ed inoltre propone un emendamento tendente ad aggiungere le parole: «industria e commercio, Camere di commercio». Prego pertanto l’onorevole Zuccarini di voler unificare i suoi emendamenti in modo da poterli porre in votazione come un unico alinea.

ZUCCARINI. Oltre ad aver firmato l’emendamento dell’onorevole Perassi, ho presentato due altri emendamenti. Per quanto riguarda il primo, nel quale si suggerisce la dizione: «agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari», dichiaro che sono disposto a ritirarlo, qualora il Presidente della Commissione voglia darmi qualche chiarimento sulla interpretazione che s’intende dare alle parole generiche «agricoltura e foreste», e dirmi se quelle forme di attività da me aggiunte a titolo di esemplificazione potranno risultare comprese nel testo della Commissione.

Mantengo, comunque, l’emendamento aggiuntivo: «industria e commercio, Camere di commercio».

PRESIDENTE. Sta bene.

Comunico altresì all’Assemblea che è stato presentato poco fa un altro emendamento a firma degli onorevoli Pallastrelli, Carbonari ed altri, così formulato:

«Dopo agricoltura e foreste, aggiungere: irrigazioni e miglioramenti agrari».

L’onorevole Carbonari ha facoltà di illustrare questo emendamento,

CARBONARI. Se nella dizione «agricoltura e foreste» è compreso anche il concetto della irrigazione e dei miglioramenti agrari ritiro il mio emendamento; altrimenti lo mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In questa materia non vi è stato un consenso completo in seno al Comitato. Una parte dei membri del Comitato ha manifestato dubbi che sia da trasferire alla Regione la potestà legislativa, anche secondaria e nei limiti dei principî delle leggi dello Stato, in materie, come ad esempio quella delle foreste, che interessano molto spesso più Regioni. È prevalsa la corrente che ammette la potestà legislativa per l’agricoltura e per le foreste, restando ben fermo ed inteso – è esplicita dichiarazione anche di tale corrente – che le leggi dello Stato dovranno fissare i principî ed i limiti, entro cui la Regione potrà dettar norme in materie, come questa, che hanno così spiccato profilo di interesse comune e nazionale, e non possono essere lasciate a punti di vista esclusivamente particolaristi. Se il potere legislativo, per così dire primario, dello Stato è per definizione elastico e può avere maggiore intensità e lasciare meno spazio alla legislazione secondaria della Regione in alcune materie, vi è, fra queste ultime, certamente l’agricoltura e le foreste.

Una volta poi che anche tal voce è entrata nell’elenco, non vi è dubbio e resta inteso che, sia pure con possibili graduazioni di interventi legislativi dello Stato, a seconda delle varie forme di esplicazione dell’attività relativa all’agricoltura rientra nella dizione generale.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini sulla interpretazione da dare alla dizione «agricoltura e foreste» ritiro il mio primo emendamento, mentre mantengo quello aggiuntivo: «industria e commercio, Camere di commercio».

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione, ritiro anch’io il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sempre su questo diciottesimo alinea vi è la seguente altra proposta di emendamento, presentata dai colleghi Giua, Jacometti, Amadei, Malagugini e Bernini:

«Sostituire: Agricoltura e foreste e: Altre materie indicate da leggi speciali, col seguente comma:

«La Regione ha pure facoltà di emanare norme integrative delle leggi della Repubblica, per la loro attuazione in conformità delle condizioni locali, in materia di agricoltura e foreste e per le altre materie per le quali le relative leggi speciali lo prevedano».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che il metodo logico di lavori sia questo: chi ha proposto questo emendamento voterà contro la formulazione: «agricoltura e foreste», in quanto essa fa parte dell’elencazione contenuta nel primo comma, e proporrà poi – nel caso che non passi la formulazione del Comitato – la nuova dizione che riguarda anche altre materie e sostituisce tutto l’ultimo comma.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Desidererei chiarire che, col mio emendamento, non ho creduto di apportare modifiche all’alinea in discussione, ma ho proposto che si aggiunga all’alinea 18 un alinea 19.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Anch’io ho inteso che il mio emendamento figuri come un alinea a sé.

PRESIDENTE. Allora, poiché all’alinea diciottesimo non vi è più nessun emendamento, si può passare senz’altro alla votazione sulla formulazione presentata dalla Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi pare che si dovrebbe portare in votazione prima la formulazione degli onorevoli Giua, Jacometti ed altri.

PRESIDENTE. In proposito l’onorevole Ruini ha già espresso il parere.

DUGONI. Sì, ma io dissento do questo parere ed avevo motivo di ritenere che anche Ella, onorevole Presidente, dissentisse.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, avrebbe dovuto, invece, prevedere che io non avrei potuto dissentire dal Presidente della Commissione per la Costituzione, in quanto la proposta di emendamento dell’onorevole Giua muta profondamente la questione. La muta proprio con le parole «norme integrative»; ed io ho ritenuto che tutto il valore della proposta stesse appunto in questa indicazione.

Ora, siccome i 17 punti precedenti sono stati votati in base ad una disposizione che non parla di norme integrative, è evidente che non si possono mettere sullo stesso piano materie in cui si parla di norme legislative e materie per le quali si propone invece la dizione: «norme integrative».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione peri la Costituzione. Vorrei aggiungere a quello che così bene ha detto il Presidente all’onorevole Dugoni che, in realtà, la nuova formula viene ad alterare, ed anche in senso non favorevole alle sue idee, quello che è stato il sistema stabilito fino ad ora negli articoli 109, 110, 111. Che cosa si è fatto in questi articoli? Si sono unificati i tre tipi di legislazione che erano nel testo primitivo della Commissione dei 75. Ora, se creiamo un nuovo tipo – la legislazione integrativa – alteriamo l’unificazione, complichiamo di nuovo tutto il quadro, e rendiamo possibile che, per riflesso, la formula unitaria che abbiamo già approvata, e che resta, possa avere interpretazioni, sia pure non esatte, che le diano una portata maggiore, al di là dell’integrazione che superi i limiti dei principî che abbiamo inteso attribuirle.

Ne parleremo ancora, se credete. Comunque, non si può votare subito.

DUGONI. Se il Presidente è di avviso diverso dal mio…

PRESIDENTE. Non si tratta di questo, onorevole Dugoni; si tratta del fatto che, per giungere all’emendamento a firma Giua od altri, occorre che precedentemente l’Assemblea abbia respinto la proposta della Commissione di inserire l’agricoltura e le foreste sullo stesso piano delle altre materie su cui la Regione ha il potere di emanare norme legislative. Una volta poi che l’Assemblea abbia eventualmente escluso questa potestà, soltanto allora sarà possibile proporre che alla Regione sia conferita una potestà di altro genere al riguardo, quale quella di emanare norme integrative.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io dichiaro di non comprendere questa attribuzione alle Regioni dell’agricoltura e delle foreste. Io ho avuto l’onore di essere per lungo tempo a capo di questi servizi che ho contribuito a trasformare, chiamandovi a capo uomini di prim’ordine, e fra essi Antonio Sansone che fu uno dei grandi trasformatori dell’agricoltura italiana, e che, con il Bizzozzero, contribuì a renderla più moderna ed attiva in alcune zone che sono ora, dal punto di vista agrario, fra le più progredite d’Italia.

L’agricoltura e le foreste sono poi due cose diversissime e sono servizi di carattere nazionale. Quando infatti si dice «agricoltura», non si intende soltanto di significare la piccola agricoltura locale, ma si intende comprendere tutta l’agricoltura nazionale con tutti i problemi che la riguardano. Anche nei grandi Paesi, e perfino nei grandissimi Paesi agricoli come gli Stati Uniti d’America, l’agricoltura è soprattutto un grande servizio nazionale perché è un campo di sperimentazione e di ricerche che non sono da confondere con i piccoli interessi locali. Quando si dice agricoltura, si intende alludere a tutti i laboratori, a tutte le ricerche, a tutte le trasformazioni, a tutto un particolare indirizzo di studi e di attività.

Ora, che cosa potrà fare, sotto questo aspetto, la Regione? Quali potranno essere le sue capacità? Quali gli uomini di cui potrà disporre? Essa si andrà occupando di piccole questioni locali prive di vero interesse o d’interesse limitato.

Per quello che riguarda poi le foreste, è da osservare che l’Italia ha un piccolissimo numero di foreste; l’Italia è anzi il Paese di Europa che ha meno foreste, anche relativamente al suo territorio. Tutto il servizio delle foreste è, e deve essere, nazionale, anche per il suo personale. Anche adempiendo ai compiti locali e avendo destinazione secondo le loro origini e le loro attitudini, il personale, sopra tutto per i rimboschimenti, deve esser tale da dare affidamento.

La direzione dei servizi forestali esige una specializzazione, una disciplina, un indirizzo. Le foreste, nei paesi moderni, sono considerate non come eredità del passato, spesso non fruttifere o poco fruttifere, ma come una impresa industriale che deve produrre reddito.

Una foresta che sia sempre passiva è sempre minacciata nella sua esistenza. In Germania, come in Svizzera, dove l’economia forestale è molto progredita, principale preoccupazione non è solo la conservazione delle foreste e il loro sviluppo, ma la loro industrializzazione.

Questo significa che le foreste richiedono oltre un personale specializzato, un personale di esecuzione. Essendo per parecchi anni a capo del servizio delle foreste, io cercai di riordinare tutti i servizi. Feci e cominciai ad applicare vasti piani di rimboschimento e creai pure l’insegnamento forestale, anche a scopo di ricerca, con l’istituto superiore forestale.

Utilizzando il personale delle varie zone quanto più è possibile secondo le sue conoscenze locali, io cercai sempre che la direzione fosse lasciata a uomini competenti non legati a interessi locali.

Devo constatare che quando volevo fare piantar foreste, quando volevo impedire la distruzione di foreste esistenti, è solo localmente che trovavo tutta la resistenza. Se non si ha un corpo forestale, con disciplina nazionale, non si arriva a difendere le foreste né a svilupparle.

Io posso assicurarvi che tutti i tentativi che feci trovarono sempre la più grande resistenza proprio negli interessi locali. Io non mi spiego come si possa mettere sotto una unica disciplina l’agricoltura e le foreste, che sono due cose diversissime. Pretendere poi che si improvvisino tecnici locali è assurdo; vi sono servizi che devono avere in gran parte, soprattutto l’agricoltura, ma anche le foreste, carattere scientifico, con i campi di sperimentazione, ecc. Tutto questo non può essere un servizio locale. Pensate che anche negli Stati Uniti d’America (cioè in un Paese più grande di tutta l’Europa, al di fuori della Russia) i grandi servizi sono centralizzati non solo negli Stati, ma anche nei campi di sperimentazione creati dal Governo centrale. Ora, come volete tutti questi servizi, così diversi e così complessi, di natura scientifica, come volete trasportarli alle Regioni, cioè a enti locali che non hanno visione di quella che è la produzione? L’agricoltura ha oramai trasformato tutte le forme di produzione. L’agricoltura e il bestiame (io ne ho fatto una ragione di studio anche recente) sono oramai sulla via di una completa modernizzazione per effetto di nuovi metodi scientifici e non fanno che seguire le scoperte scientifiche. Ora, come volete che tutto ciò diventi materia locale? Quali sono le competenze? Vi possono essere per eccezione, e solo in qualche Regione, alcuni uomini preparati da utilizzare in alcuni servizi. Si tratta sempre di casi isolati.

Ma parlare di servizi scientifici, di ricerche, di sperimentazioni agrarie, zootecniche, forestali, da confidare alle Regioni è semplicemente puerile.

Tutto ciò che non è semplice esecuzione in queste materie, tutto ciò che riguarda ricerche e coordinamento di ricerche non può essere competenza della Regione.

Io debbo fare tutte le mie riserve, ed essere diffidente. La semplice definizione «agricoltura e foreste» in unico servizio mi dà una grande tristezza. Vedo che si confondono due cose diverse e che nessuna delle due può essere affidata completamente alla Regione.

Ed è perciò che dichiaro di votare contro.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Prevedevo che l’onorevole Nitti, con la speciale sua competenza, avrebbe fatto un quadro, che sotto un certo aspetto risponde alla realtà; un quadro, dico, magistrale relativamente ai problemi dell’agricoltura, ma soprattutto contrastante con ciò che stiamo discutendo per la Regione.

Mi permetta l’onorevole Nitti che io, sotto questo aspetto, dissenta da lui. Sono d’accordo che per tutto quello che riguarda i problemi generali e fondamentali dell’agricoltura e delle foreste, debba essere unica la fonte legislativa, unica la direzione, affidata al Ministero dell’agricoltura. Vorrei anzi aggiungere, incidentalmente, a proposito di quanto ha detto l’onorevole Nitti, parlando di sperimentazione agraria, che anche le scuole di agricoltura, come erano ai tempi in cui l’onorevole Nitti fu Ministro dell’agricoltura – magnifico Ministro, ricordato ancora da tutti per l’impronta ch’egli ha lasciato in quel Dicastero – fossero non più alle dipendenze del Ministero della pubblica istruzione, ma del Ministero dell’agricoltura.

Con questo non intendo dire che il Ministero della pubblica istruzione abbia demeritato; tutt’altro; ma esso ha mezzi abbondanti, e, posto il confronto fra ciò che occorre per la sperimentazione agraria e ciò che invece occorre per tutti gli altri istituti di istruzione classica o anche professionale, c’è sempre un contrasto e questo fa sì che si tenda sempre a provvedere insufficientemente a quanto occorre per la sperimentazione agraria, perché a certi profani di detto dicastero sembra anche che questa sia eccessiva, così come la si vorrebbe da chi ne conosce la importanza.

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, il problema non è se debba essere il Ministero della pubblica istruzione o quello dell’agricoltura ad aver affidati questi compiti.

PALLASTRELLI. Scusi, onorevole Presidente, è una piccola ma non inutile digressione.

PRESIDENTE. Rientri in argomento, la prego.

PALLASTRELLI. Ritorno subito all’argomento. D’accordo, quindi, che in linea generale debba essere il Ministero dell’agricoltura l’organo propulsore di tutto quello che riguarda i problemi dell’agricoltura e i problemi delle foreste. Ma non dimenticate, onorevoli colleghi, che l’Italia si può dire che sia, da Provincia a Provincia e non solo da Regione a Regione, diversa: ciò che può essere necessario nella zona delle bonifiche del Veneto è inutile nella Puglia dell’amico onorevole Raffaele Pastore, ciò che può essere necessario per la Valle del Po è inutile per la Sicilia e viceversa.

Noi dobbiamo – anche tenendo presente che dovremo poi occuparci della riforma agraria – cercare che questa riforma agraria possa adattarsi luogo per luogo, perché – ripeto – come le piante hanno bisogno di un clima, così anche la riforma agraria ha bisogno di trovare il clima adatto per sé.

Inoltre importa (e credo che qui, oggi, dovrebbero essere tutti d’accordo, regionalisti e antiregionalisti) che in agricoltura si facciano delle decentrazioni: si devono decentrare soprattutto certi organi che attualmente sono divenuti degli organi burocratici del Ministero dell’agricoltura, che non rispondono più alle esigenze e non possono più risolvere i compiti che dovrebbero essere loro affidati.

Onorevole Nitti, lei mi ricorda spesso le Cattedre ambulanti di agricoltura; le Cattedre ambulanti lei mi insegna che non erano organi del Ministero. C’entrava sì il Ministero dell’agricoltura perché vi era un consorzio fra Stato, provincia e enti sovvenzionatori, e il Ministero aveva quale suo rappresentante il presidente del consiglio di amministrazione, ma si trattava di un organismo snello, affatto burocratico; il direttore della Cattedra ambulante (chi vi parla lo è stato) era l’amico dei contadini, il loro confidente, era colui che sapeva creare la forza dinamica per aumentare la produzione della terra a vantaggio degli agricoltori, dei lavoratori e dello Stato. Ma non intendo indugiarmi su questo: le Cattedre ambulanti vanno ricordate, in quest’Assemblea, come le vere benemerite del progresso agricolo nazionale. Col decentramento di questi organismi i loro dirigenti non correranno più il rischio, dannoso per loro e per l’agricoltura, di vedersi trasferiti dal Piemonte alla Calabria per motivi politici.

Bisogna decentrare, insisto, e là dove si dice nell’articolo in discussione «agricoltura e foreste» vorrei si aggiungesse una frase che implicasse tale accordo col Ministero dell’agricoltura; ritorneranno così quasi completamente gli organi regionali e provinciali autonomi.

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, badi che non siamo in sede di discussione.

PALLASTRELLI. Ho finito. Scusi Presidente, l’argomento è molto grave; spero ne consentirà. Non si raggiungeranno mai risultati concreti, se non si decentrerà e se per tutti i problemi che riguardano l’agricoltura e le foreste (non parlo di quelle questioni generali trattate dall’onorevole Nitti), non sapremo adattare le disposizioni particolari e gli organi necessari, e ridurre questi ad essere, come una volta, organi propulsori del progresso agricolo, se anche nel campo forestale non sapremo soprattutto smilitarizzare, perché purtroppo ancora la direzione delle foreste è una caserma (Applausi), come l’aveva voluta un generale fascista; e pure per fortuna il fascismo è morto. Lo credereste? Si parla ancora di comandi forestali, di colonnelli forestali, di maggiori forestali, di capitani forestali e pare quasi si abbia vergogna di dire dottori in scienze agrarie specializzati in materia forestale. Bisogna distruggere questi residuati, occorre decentrare, e bisogna rendere gli organi forestali adattati alle Regioni e alle provincie.

Non voglio tediarvi di più. L’argomento che mi appassiona, che è la vita della mia vita e per cui ho combattuto per 40 anni, mi porterebbe troppo oltre. Dico soltanto che, se volete salvare l’agricoltura e le foreste, ricordatevi soprattutto di mantenere, sì, l’unità di indirizzo, come ha detto l’onorevole Nitti, nelle mani del Ministero dell’agricoltura, ma di decentrare più che sia possibile anche nei riguardi della riforma agraria, e nei riguardi soprattutto dei lavoratori che soffrono e attendono queste riforme, e per vedere, Regione per Regione, fiorire un’agricoltura adeguata ai nuovi tempi per il bene del nostro Paese. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che si possa facilmente raggiungere un accordo in questo senso. Noi finora abbiamo parlato di competenza della Regione a emanare norme nei limiti e secondo le direttive delle leggi della Repubblica su argomenti specifici. Introdurre un argomento così generico come l’agricoltura oppure, secondo l’emendamento Zuccarini, l’industria e commercio, mi pare significhi dire alla Regione: «Voi potete fare tutto». Ora io vorrei far rilevare all’Assemblea che immediatamente dopo viene un alinea che dice: «Altre materie indicate da leggi speciali». Ed allora non potremmo togliere tutte queste indicazioni generiche e lasciare al Parlamento futuro di definire volta per volta nelle leggi speciali quali saranno i poteri normativi della Regione? Ecco perché sono contrario alla introduzione della voce «agricoltura e foreste» nell’articolo in discussione, e sono contrario all’emendamento Zuccarini. E credo che anche l’emendamento Giua potrebbe essere assorbito dal significato che ha il penultimo alinea dell’articolo che stiamo discutendo.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Mi associo a quante ha detto ora l’onorevole Corbino circa la genericità della espressione «agricoltura e foreste». L’onorevole Nitti ha giustamente rilevato come per queste due materie sia necessario avere una disciplina esclusivamente nazionale. Io vorrò, riferendomi soprattutto al Mezzogiorno d’Italia, volgere l’attenzione alle nostre foreste ed affermare senz’altro quello che ogni meridionale sa, ossia che se qualche foresta ancora sopravvive alla rovina che si è abbattuta su di esse, questa foresta è demaniale, è dello Stato. Non ci sono foreste, che non siano dello Stato, le quali non siano abbattute o per una ragione o per un’altra.

Soltanto lo Stato è riuscito a conservarle. Chi va nella mia Sila, per esempio, ha la prova di ciò: le foreste che sopravvivono sono quelle dello Stato, mentre quelle degli enti locali sono totalmente sparite. Dare alla Regione potestà sulle foreste, significa senz’altro alimentare questa distruzione che ha già colpito gran parte delle foreste del Mezzogiorno d’Italia.

Il presidente della Commissione si rifà senz’altro, anche per questo argomento, alla premessa segnata nell’articolo 109, cioè: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica».

Comincio col notare – e questa mia considerazione non si riferisce solo all’argomento in discussione in questo momento – che può essere prevalente nella formulazione di questa premessa la parte formale e non la sostanziale. Cosa vuol dire «nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica»? Potrebbe essere intesa questa proposizione nel suo aspetto puramente formale o per lo meno prevalentemente formale. Ma, a parte questo, c’è un secondo argomento, più importante: indubbiamente, con la proposta formulazione noi stabiliamo una facoltà esclusiva della Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

GULLO FAUSTO. Una volta costituita la Regione, penso anch’io che non è possibile che essa si disinteressi dell’agricoltura e delle foreste.

Noi accogliamo in pieno le osservazioni fatte dall’onorevole Pallastrelli, il quale, evidentemente, mirava ad un decentramento amministrativo funzionale dei vari organi dell’agricoltura e delle foreste; il che non può avere noi contrari; siamo perfettamente d’accordo. Il decentramento amministrativo può riuscirà utile e può essere necessario.

La questione è altra. Non mi preoccupo di quello che la Regione può fare sia nel campo dell’agricoltura e delle foreste, sia negli altri campi, che abbiamo attribuiti alla Regione. Io mi preoccupo di ciò che la Regione può non fare, specialmente nel campo dell’agricoltura e delle foreste. Riconosciuta questa facoltà esclusiva alla Regione, noi possiamo trovarci di fronte alla inattività di una Regione, che può corrispondere alla superattività di altra Regione.

Non solo; ma possiamo andare senz’altro incontro a pericolose forme di autarchia; ed avrete questo di più pregiudizievole e dannoso: il sorgere, di fronte alla condannata, autarchia nazionale, di varie autarchie regionali. Comunque, affidare queste due attività, così vitali, alla Regione può dar luogo al gravissimo inconveniente di legislazioni diverse da Regione a Regione.

Ora, se noi votiamo che la Regione si occuperà anche dell’agricoltura e delle foreste, vogliamo avere fin da ora il quadro delle attività che saranno affidate alla Regione. Cosa vuol dire che la Regione si occuperà legislativamente dell’agricoltura e delle foreste? Potrà anche significare la possibilità di dare un indirizzo all’attività agricola, in una determinata Regione, in contrasto con l’indirizzo generale e nazionale o con l’indirizzo di altre Regioni. Noi non possiamo non prospettarci questo pericolo.

Noi voteremo contro, non perché pensiamo che la Regione non debba occuparsi di questi problemi; una volta creata, a torto o a ragione, la Regione, è intuitivo che essa non può prescindere da essi; ma in che misura se ne deve occupare?

Non solo, ma io sono preoccupato, ripeto, dal pericolo che la Regione non si occupi di questi problemi. (Rumori). E poiché si riconosce una facoltà esclusiva alla Regione stessa, noi potremo avere, in un campo così vitale per la Nazione, una inattività che riuscirebbe sommamente dannosa. (Commenti – Interruzione del deputato Conti).

L’amico onorevole Pallastrelli fermava la sua attenzione sull’aspetto tecnico dell’agricoltura e foreste; ma io penso che sia ancora più importante l’aspetto sociale di questa attività agraria-forestale. Ora, intendiamoci bene, nel Mezzogiorno di Italia è vano sperare dalla iniziativa locale quel rinnovamento dell’attività agraria e forestale sia dal punto di vista tecnico, ma più ancora dal punto di vista sociale, quel rinnovamento che noi possiamo avere soltanto da una legislazione di portata nazionale.

È per queste ragioni che noi votiamo contro.

PRESIDENTE. Il problema è troppo importante, perché io, attenendomi strettamente alla norma del Regolamento, non consenta di parlare a tutti coloro che chiedono la parola. Prego però tutti coloro che hanno chiesto la parola, e sono numerosissimi, di non dimenticare completamente a quale punto siamo attualmente della fase dei nostri lavori.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Pallastrelli ha abbreviato di molto quello che io volevo dire e aderisco in pieno alle considerazioni da lui esposte. Ritengo che la formulazione della Commissione «agricoltura e foreste», debba essere mantenuta.

Le condizioni agricole in Italia sono molto diverse. Questa nostra Italia è lunga come la quaresima e presenta tante zone di produzione agraria così diverse, sì che io non vedo in modo chiaro come si possa fare una unica riforma agraria. Se si uscisse da un movimento rivoluzionario la cosa sarebbe facile procedendo alla collettivizzazione della terra; credo che gli stessi colleghi comunisti siano convinti che la riforma agraria non possa essere così profonda. La riforma agraria dovrà adattarsi alle situazioni locali.

Una norma unica non si potrà dare neanche pei contratti di lavoro come è possibile nell’industria. Io farò un solo esempio: la mezzadria è un contratto storico che andava bene in tempi determinati quando effettivamente ci trovavamo in queste condizioni: che l’imprenditore agrario, il proprietario si occupava dei suoi beni assiduamente, era di consiglio al mezzadro e il mezzadro a sua volta era ignorante, non conosceva il progresso agrario, molte volte era analfabeta.

È evidente che allora una simile collaborazione fra capitale e lavoro poteva determinare una forma di contratto di lavoro agrario che andava bene quale è la mezzadria, forma che per secoli è andata bene e che andrà bene in certe provincie e luoghi ancora in avvenire. Ma l’aspirazione generale dei contadini qual è? È di avere una maggiore responsabilità nella produzione agraria. Ora, in tante province, il mezzadro ha imparato, a scuola, a leggere e scrivere, si è innamorato, attraverso le cattedre ambulanti di agricoltura, del suo mestiere, legge il suo giornale tecnico e molte volte si è fatto una cultura, anche scientifica, sia pure primordiale, sufficiente perché egli si senta di affrontare più responsabilità e di curare il podere senza l’aiuto del padrone. Ecco quindi che in questo caso una riforma che agevolasse il mezzadro a diventare responsabile dell’intera azienda, a trasformare la mezzadria in affitto novennale, sarebbe utile. Ma ciò che per un luogo andrebbe bene, per un altro sarebbe un danno grave.

Ecco perché la riforma agraria, a mio avviso, è una questione di adattamento locale ad un progresso nuovo dell’agricoltura in cui il lavoro sia messo in una funzione superiore di quella che aveva prima.

Se la riforma agraria dovesse consistere semplicemente nell’occupazione delle terre e poi nella distribuzione di queste terre in piccoli pezzetti ove ognuno fa quello che vuole, con i limitati mezzi che il contadino possiede, evidentemente questa riforma agraria sarebbe destinata al fallimento. L’occupazione delle terre e la loro suddivisione fra i contadini può servire oggi in un momento in cui la necessità di produrre cereali è assoluta, ma non nascondiamoci la verità. La verità è che queste occupazioni di terre, fra uno, due, tre, cinque anni…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, guardi però che non è in discussione la riforma agraria.

PIEMONTE. Ho finito. In verità, se a fianco dell’occupazione di terre non sorgeranno piani organici di appoderamento, di irrigazione, di forniture di mezzi meccanici, di concimi, di caseggiati, ebbene l’occupazione delle terre non avrà una lunga vita perché, depauperata la poca fertilità naturale, accumulatasi nei terreni incolti, in breve, come pel passato, il latifondo si ricostituirà. E vengo al secondo punto. Io sono d’accordo con l’onorevole Nitti che il corpo forestale deve essere unico per tutta Italia, la direzione delle foreste deve essere unica, ma la Regione può presiedere a notevoli iniziative locali. Noi avevamo istituito in Alta Italia degli enti di economia montana, avevamo formato delle organizzazioni particolari le quali venivano incontro al montanaro, risolvevano ad un tempo il problema della sua vita e quello della conservazione e miglioramento del patrimonio boschivo. Ora tutta questa attività, questi istituti sono pressoché scomparsi, annullati o assorbiti dallo Stato per volontà del fascismo.

Ha ragione l’onorevole Pallastrelli. Il corpo forestale è diventato una caserma, ma a gerarchia rovesciata.

Io conosco un ispettore provinciale che è capitano ed ha sotto di sé tre maggiori. Questi maggiori non saranno molto contenti della loro situazione. È tempo che tutta questa gente…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, venga alla questione in discussione.

PIEMONTE. In aeronautica il valore degli uomini che sono addetti al volo si conta dalle ore di volo da essi fatte e nel Corpo forestale dovrebbero contare, oltre che gli studi tecnici, i giorni passati nei boschi…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, la prego di concludere.

PIEMONTE. Concludo: io credo che le Regioni potranno attuare i principî di una seria riforma agraria e che si servono le foreste molto meglio dandole alle Regioni che non allo Stato, il quale dal 1866 al 1900 non ha impedito che quasi tutto l’Appennino venisse spolpato, denudato e immiserito! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Aldisio. Ne ha facoltà.

ALDISIO. A nome del Gruppo parlamentare democristiano, dichiaro che se viene negata l’attività legislativa nella materia agricola alla Regione, noi avremo svuotato l’istituto dell’autonomia. L’autonomia della Regione è stata sempre pensata in funzione della risoluzione in loco dei problemi agricoli. Negate questa attività alla Regione e l’autonomia non avrà alcun contenuto. L’agricoltura italiana per i vari aspetti del nostro territorio è molto difforme, è necessario perciò che i problemi ad essa connessi e che nel passato non è stato possibile risolvere, siano risolti dagli uomini delle Regioni…

GULLO FAUSTO. Dai baroni siciliani! (Rumori a sinistra e al centro).

ALDISIO. Cosa c’entrano i baroni colle riforme effettive a basi popolari che noi postuliamo?

Onorevole Gullo, io debbo una risposta a lei su questo punto. Guardi il suo decreto sulla ripartizione dei prodotti agricoli che era necessariamente un progetto vago, impreciso, una specie di rebus; in Sicilia, se non si fosse emesso un decreto normativo dell’Alto Commissario, onorevole Gullo, il suo non sarebbe stato mai e poi mai attuato. (Rumori a sinistra). Il che vuol dire…

LI CAUSI. Non viene applicato lo stesso!

ALDISIO. No, onorevole Li Causi, è stato applicato! (Interruzione del deputato Gullo Fausto). Mi dispiace di non aver sentito l’onorevole Gullo e di non potere quindi rispondere a questa sua seconda interruzione.

Debbo insistere su questo punto che è fondamentale. Data la varietà e data la difformità della situazione agricola che, come ha detto poco fa l’onorevole Pallastrelli, varia da Provincia a Provincia, non tanto da Regione a Regione, le norme e la soluzione non possono essere che locali. È inutile illudersi, onorevoli colleghi: se vogliamo davvero ben vestire un individuo, il sarto deve fare il vestito direttamente sulla persona; se si ricorre a vestiti di serie essi vestono sempre goffamente. (Approvazioni al centro). È avvenuto per la legislazione agraria in Italia che dal 1860 in poi i legislatori nel formulare ogni disposizione di legge hanno tenuto presente costantemente una sola Regione, tradizionalmente fissa nel loro pensiero: la Pianura Padana, e non si è più usciti da questi schemi, sicché le Provincie meridionali spesse volte anzi sempre non hanno potuto usufruire delle provvidenze legislative perché in questo quadro esse non riuscivano ad utilizzare le disposizioni di legge.

Occorre che la legislazione sia locale e questa esigenza noi abbiamo avvertita fin dal 1919-1920, quando, per la risoluzione del complesso problema del latifondo siciliano, domandammo una legge prettamente regionale. Purtroppo allora non si volle addivenire a ciò e qua fu discusso faticosamente un progetto di legge che a forza di transazioni, di concessioni, di allargamenti fu radicalmente svisato e anche quando fosse stato approvato dal Senato – e non lo fu – ne sarebbe uscita una legge inefficace e nulla di effetti.

Perciò, noi siamo del parere che la Regione debba avere facoltà legislativa nella materia agricola, e deve avere questa facoltà, perché senza di ciò voi non risolverete nemmeno il problema sociale. Non lo risolverete, perché per 80 anni le forze agrarie si collusero qua dentro con altri interessi per eludere la soluzione del problema del Mezzogiorno d’Italia.

Onorevole Gullo, lei poco fa affermava che nel Mezzogiorno d’Italia non esistono che solo alcune foreste demaniali. Io le ricordo che ancora esistono non pochi boschi comunali tenacemente difesi dai cittadini del luogo. Nessuno impedirebbe tuttavia di creare boschi di demanio regionale. Comunque, per quella che è stata l’attività del Governo centrale in questa materia e per quanto poco potranno fare le Regioni, faranno sempre di più di quello che è stato fatto finora in questo settore nel Mezzogiorno d’Italia.

Ed è per lo meno azzardato affermare che le popolazioni del Mezzogiorno siano abuliche e mancanti d’iniziativa. Svincolatele da tutti i complessi legami del presente e del passato, fate in maniera che non debbano vanamente venire qui a postulare le più modeste risoluzioni, mettetele dinanzi alla responsabilità dell’avvenire e dello sviluppo della loro particolare economia, e vedrete che queste diffamate popolazioni sapranno rispondere alla nuova situazione ed alle nuove esigenze, potenziando la vita della Regione e tutta l’economia nazionale. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

SERENI. Onorevoli colleghi, sono d’accordo con quanto or ora diceva il collega Aldisio: che se vi è, in effetti, una materia per la quale è giustificata l’esigenza regionalistica, questa materia è proprio quella, che è data dalle attività agricole.

La discussione intorno a questo punto è senza dubbio tra le più importanti, e penso che dobbiamo affrontarla senza pregiudiziali di carattere regionalistico o antiregionalistico ma con una visione chiara e precisa di quelle che sono le possibilità della Regione in questo campo, dato che la maggioranza dell’Assemblea ha accettato la struttura regionale dello Stato italiano.

L’onorevole Pallastrelli sottolineava poco fa – come altri hanno fatto – la estrema differenziazione dell’agricoltura italiana.

Non può meravigliarci il fatto che proprio nel campo della vita agricola la differenziazione sia spinta, e si facciano sentire con particolare vivacità le esigenze regionalistiche. Proprio nella differenziazione caratteristica dell’agricoltura, e nel particolarismo contadino, anzi, la esigenza regionalistica ha il suo fondamento storico e sociale.

Penso dunque che possiamo essere tutti d’accordo nel dire che qualsiasi provvedimento che riguardi la vita e l’evoluzione agricola della Nazione debba essere differenziato. Non credo vi sia ragione di elevare dei clamori da una parte o dall’altra, quando per esempio il collega Aldisio sottolinea la necessità che decreti, come quelli che ha elaborati l’onorevole Gullo, siano differenziati nella loro applicazione. È un terreno questo sul quale possiamo trovarci tutti d’accordo, senza clamori. Su questo non c’è discussione, giacché anche i più accesi antiregionalisti riconoscono questa necessità.

Si tratta, invece, qui di esaminare in concreto la formulazione che la Commissione ci ha data, e di confrontarla con alcuni emendamenti presentati all’Assemblea.

Cerchiamo di ricondurre la discussione su questo terreno e di vedere se la formulazione della Commissione risponde alle concrete esigenze che tutti sentiamo. La deficienza della formulazione data dalla Commissione va ricercata, a mio avviso, nel fatto che si parla in essa genericamente di agricoltura. Ora, «agricoltura», come «industria e commercio», sono termini estremamente vaghi.

Io penso che noi dobbiamo ricercare una formulazione più esatta, che dia la possibilità di realizzare un decentramento, ma che mantenga anche una linea unitaria nazionale. Bisogna sgombrare il terreno da certe preoccupazioni che si manifestano a volte sia a sinistra che a destra. Io non vedo nessun motivo di preoccupazione, ad esempio, nel fatto che la realizzazione della riforma agraria sia affidata alla Regione. Ciò significa soltanto, dal mio punto di vista, che la riforma agraria – potrà trovarsi realizzata in una data Regione in forme più avanzate, mentre in altre potrà dapprima trovarsi ad esser contenuta in limiti più ristretti. Se in Sicilia, ad esempio, in conseguenza di una determinata situazione politica, si dovesse effettuare una riforma agraria di carattere più limitato, non vedo proprio ragione di disperarsi. Vuol dire che dovremo lavorare a spiegare certe cose ai contadini siciliani. E se parleremo loro del latifondo, del feudo del barone X, il contadino siciliano lotterà per una profonda riforma agraria con molto maggior interessamento di quello ch’egli non possa avere per una discussione, necessariamente un po’ generica, che si svolga intorno al tema della riforma agraria sul piano nazionale.

Tengo a ripetere, dunque, che non ho nessuna pregiudiziale su questo terreno. Ma il problema è un altro. Mi pare che dobbiamo cercare, proprio mentre sottolineiamo questo valore della funzione regionale nel campo dell’agricoltura, di delimitare questa funzione con una terminologia meno generica. Mi preoccupa il problema delle scuole agrarie, dei consorzi agrari, una serie di altri problemi sui quali una eccessiva differenziazione sul terreno regionale può disorganizzare tutta la vita agricola della nazione.

Non dobbiamo dimenticare nessuno dei due termini di quella delicata dialettica che si svolge tra l’esigenza regionale e l’esigenza unitaria nazionale. Ci sono mille questioni, che riguardano l’esportazione dei prodotti agricoli, la tecnica agricola ecc. per cui sono necessarie organizzazioni, istituti, norme legislative di carattere Nazionale.

Per questa ragione, noi aderiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Giua ed altri, e potremmo anche accettare una formulazione più avanzata in senso regionalistico, purché essa delimiti più esattamente il terreno delle funzioni della Regione in questo campo. Proprio in questo settore, che è essenziale, perché in esso si può e deve promuovere un profondo rinnovamento della vita locale, non bisogna compromettere il successo della ricostruzione nazionale. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rivera. Ne ha facoltà.

RIVERA. L’organizzazione regionale dell’agricoltura può costituire – per quanto possiamo prevedere in questo momento – un fattore favorevole per quel gravissimo problema italiano, che è il problema del basso rendimento agrario, cioè della miseria agricola di talune regioni? Questo è l’interrogativo che io vorrei proporre, sul quale non mi sembra che qui sia stato discusso di proposito e con precisione.

Fino a questo momento noi abbiamo portato avanti l’esperimento, che è durato parecchio, di «governamento» dell’agricoltura dal centro, il quale esperimento, oramai lo dobbiamo riconoscere, è completamente fallito qui in Italia.

Infatti, se un progresso agricolo si è determinato in Italia – particolarmente nell’Italia settentrionale e nell’Italia centrale – esso, per la verità, è stato indipendente dalle direttive emanate dai dirigenti centrali dell’agricoltura italiana dai quali, mi dispiace di dirlo, sono venuti più intralci al progresso agricolo italiano che non aiuti.

Non voglio qui portare gli argomenti di una critica acerba alle direttive centrali dell’agricoltura italiana, contro le quali nel campo tecnico mi sono espresso senza circonlocuzioni dal 1919 in poi. Vedi specialmente i miei libri II problema agronomico del Mezzogiorno d’Italia (1924), Battaglie per il grano (1925), Oro di Puglia (1928).

È una realtà quella che, mentre paesi tanto più arretrati di noi, quali, ad esempio, tra quelli africani, la Nigeria, il Sud Africa, il Kenia, il Tanganica, hanno risolto in questo cinquantennio i loro problemi fondamentali agricoli, in testa a tutti quello del basso rendimento delle loro terre – nell’Africa del Sud ad esempio è stata introdotta una specie (la Digitaria eriantha) particolarmente adatta al bestiame da latte – e ciò attraverso studi e ricerche sperimentali in Italia ci troviamo per il Mezzogiorno nella situazione di parecchi secoli addietro, tra le spire debilitanti della prevalente coltura granaria!

Questa ha anzi ritrovato qui una singolare valorizzazione politico-economica, durante il fascismo, quando è stata ideata ed indetta la «battaglia del grano». Questa battaglia, bandita dal centro, con criteri antieconomici ed antiagronomici, dimostra quanta sconoscenza si è avuta da quei Governi delle esigenze e capacità agricole del nostro paese.

Quali sono le capacità agricole del nostro Paese? Signori miei, guardate su una carta geografica l’Italia: essa sembra un molo proteso nel mare Mediterraneo prolungantesi per circa nove gradi di latitudine. Questa particolare situazione determina un mosaico di climi, un mosaico di situazioni ambientali, un mosaico di agricolture: sicché, a rigore, non si potrebbe parlare di una agricoltura italiana, ma bisognerebbe riferirsi alle agricolture italiane. È ben vero, onorevoli colleghi, che c’è il mare, lungo il quale una fascia di territorio litoraneo presenta alcune caratteristiche ambientali che in qualche parte si rassomigliano, come si nota, ad esempio, dalla Sicilia sino a Genova: ma dietro ed anche dentro questa fascia vi sono tanti problemi, e tra essi alcuni assolutamente dominanti e sino ad oggi insoluti.

GULLO FAUSTO. Ma per vedere, lei si deve mettere al di sopra delle Regioni, altrimenti non lo vedrebbe questo mosaico.

RIVERA. Ma, onorevole Gullo, il problema particolare si vede meglio da vicino che da lontano. È ben vero che, a loro volta, i problemi delle grandi regioni agricole si suddividono in problemi di piccole regioni, ma rassomiglianze e differenze giuocano nel problema agricolo una partita complessa, in mezzo alla quale si devono discernere le questioni fondamentali.

Io dico solo questo, che la nostra agricoltura è rimasta indietro perché è mancata una direttiva scientifica capace e perché la direttiva centrale, in certi momenti assillata dalla mania autarchica, ha sviato il problema agricolo italiano verso una strada senza uscita, verso quel vecchio male nostro che fu chiamato il «male necessario» esacerbato e giustificato dalla proclamazione di quella battaglia del grano, che ha spinto l’Italia – che è un Paese che coltiva grano in molti territori inadatti e per una superficie tra le più estese d’Europa – ha spinto ancor più l’Italia verso questa miseria agricola. È questo il cerchio che dobbiamo rompere…

RUSSO PEREZ. La battaglia del grano è stata nefasta?! Qui è permesso dire tutto…

RIVERA. È permesso dire ed è giusto dire che la battaglia del grano è stata l’iniziativa più nefasta che potesse escogitarsi per l’agricoltura italiana.

RUSSO PEREZ. Io faccio appello a quelli che mangiavano e ora non mangiano più! (Interruzioni – Commenti a sinistra).

RIVERA. La battaglia del grano non è capace di darci tutto il pane, se pur ciò fosse economicamente conveniente, in quanto il raccolto è meno dipendente dal nostro volere e più da fattori climatici; e volere il grano non vuol dire averlo.

Voglio dare un piccolo chiarimento su questo argomento. I nostri tecnici si sono affaticati a spiegare in continuazione in quest’ultimo cinquantennio, a quelli che coltivano la terra, che occorre intercalare, per esempio, tra il grano e il granturco una coltura leguminosa. Vale a dire che secondo la tecnica agricola più sicura, in Italia il progresso agricolo è identificato in moltissimi casi con la limitazione della superficie coltivata a grano. Questo è stato il passo attraverso il quale il problema agricolo italiano ha proceduto potentemente verso la sua felice soluzione e questa è stata la chiave attraverso la quale le aziende del Nord e del Centro d’Italia hanno potuto registrare, a cinquant’anni di distanza, un profitto doppio e triplo ed hanno potuto fugare l’antica miseria agricola che le angustiava.

La miseria agricola è rimasta invece nell’Italia meridionale, dove le vie del progresso non sono identiche, a causa dell’ambiente fisico così differente, a quelle che hanno così fortunosamente risollevato il Nord.

L’onorevole Nitti ricordava poc’anzi l’organizzazione tecnica del Nord America, che noi dovremmo imitare, ma egli non ha aggiunto che stazioni agrarie esistono in America in ogni Regione agricola ed operano per proprio conto, beninteso attraverso un coordinamento, che è tanto più necessario quando si studino problemi generali ed in collaborazione.

MANCINI. Sì, ma non parliamo della battaglia del grano,

RIVERA. Noi ne dobbiamo invece parlare, onorevole Mancini, perché si minaccia da qualche parte di ripetere l’errore di spingere i nostri agricoltori ancora più verso questo «male necessario»: e ciò non per un breve periodo di emergenza, per cui sarebbe accettabile, ma per la condotta normale dell’agricoltura. L’insistenza nella battaglia nel grano è una delle cause del perdurare che si lamenta del basso reddito dell’agricoltura del Sud. Noi dobbiamo parlarne perché, se noi riusciremo a far sì che si abbandonino tali errati preconcetti di sfibrarci dietro una coltura poco adatta per una larga parte del nostro territorio, più facilmente e più rapidamente troveremo la strada del progresso agricolo dell’Italia meridionale.

Io vorrei augurarmi che sia finalmente giunta l’epoca in cui tutto il mondo venga a comperare i prodotti tipici dell’agricoltura italiana e particolarmente di quella del Sud, in specie i nostri ortaggi, le nostre frutta, i nostri vini: sarebbe questa una grande nostra fortuna, giacché, come attraverso specialmente la coltivazione delle leguminose da foraggio e l’incremento del bestiame che ne è derivato è scomparsa la miseria nell’Italia Centrale e Settentrionale, attraverso le coltivazioni caratteristiche del clima mediterraneo, che qui in Italia trovano la loro sede prediletta, potremo far scomparire la miseria nelle terre dell’Italia meridionale.

Se pertanto il potere centrale ha dato questa prova di incapacità di non essere stato in grado di risolvere in più che cinquanta anni un problema tecnico come questo, non ci resta che fare l’altro esperimento, quello cioè di consegnare a questa gente appassionata che nel Sud cerca in ogni modo…

GULLO FAUSTO. Ma qual è questa gente appassionata? L’assenteismo è proprio del Sud.

RIVERA. Non è vero, onorevole Gullo, e mi permettano onorevoli colleghi di rispondere subito. Io la prego di andare nelle zone del Sud dove ella è nata, a visitare quelle terre che furono aride e dove un filo di acqua è riuscito a fecondare le colture e lei troverà i prodotti migliori del mondo. (Interruzione del deputato Gullo Fausto). Sa lei, onorevole Gullo, quali sono le terre che più altamente sono state valutate secondo i rigorosi e precisi nostri estimi catastali? I terreni seminatori di Bisceglie (Bari), valutati più dei terreni di prima classe irrigui della provincia di Cremona, perché vi si coltiva pomodoro che va all’estero. Sa lei quali sono le terre dove viene impiegata maggior mano d’opera? Sono, tra gli altri, i territori coltivati a vite esclusiva nell’Italia centrale e meridionale. E sa lei qual è l’acqua che si paga di più? È l’acqua che si impiega ad irrigare le terre di Puglia che costa circa 10 volte l’acqua di irrigazione del Piemonte o dell’Emilia. Non parliamo poi di quanto costi l’acqua irrigua in Calabria o in Sicilia o nella Campania. Lei non può dire, onorevole Gullo, che in queste zone ci sia dell’astensionismo, dell’assenteismo o della pigrizia: in queste zone invece il lavoro è fervido e moltiplicato più che altrove da parte del ceto operaio ed i possidenti azzardano spese d’impianto più importanti di qualunque altra parte d’Italia.

Nella sua stessa regione, onorevole Gullo, e nella regione finitima alla sua, in Calabria e in Sicilia, ella trova uno dei più luminosi esempi di questa abnegazione nei «botteschi» o «miniere d’acqua», dovunque ammirati come un miracolo dell’ingegneria e dell’agronomia. E questi botteschi portano alla luce acqua che è capace di trasformare nei più begli agrumeti del mondo i coni di deiezione delle fiumare o torrenti, mare desolato di brecciame della sua terra. Attraverso questi ardimenti di lavoro questi assenteisti, come lei li chiama, conquistano ricchezza per sé stessi e per tutti noi.

E così dovunque in Italia, e specialmente nel Mezzogiorno, non appena e là dove sia possibile modificare le condizioni dell’ambiente in favore dell’agricoltura, vedi cambiarsi l’assenteista in fervido interventista e l’inerte o poco solerte in operaio instancabile.

È per questo, onorevoli colleghi, che domandiamo agli antiregionalisti che pongano un poco di vino regionalistico nella loro acqua così come i difensori del regionalismo hanno un po’ annacquato il loro vino regionalistico. È il buon senso che finisce con il trionfare in un consesso dove, malgrado alcune apparenze e molte maldicenze, si discute bene.

Orbene, a voi, onorevoli colleghi in gran parte, come me, dubitosi e perplessi su questa incognita che è il regionalismo, io torno a dire che se esiste una ragione per poter stabilire un dominio direttivo della Regione sopra quelli che sono i problemi assillanti propri, se esiste un settore nel quale bisogna dire alla gente che lavora e si ingegna sul posto: «Dovete provvedere da voi stessi a risolvere i vostri problemi», io credo che questo settore sia il settore dell’agricoltura. Beninteso che il coordinamento degli sforzi di ogni Regione deve esser fatto dal Governo centrale e che perciò il Ministero dell’agricoltura non può essere ucciso.

Questa sarà, se la Regione sarà, una delle vittorie che il regionalismo potrà vantare sopra il modo di concepire univoco ed uniforme dei problemi agricoli della Nazione, sopra il comando unico in questo campo, che ha dato sino ad oggi cattiva prova. (Applausi).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, si dovrà ora passare alla votazione dell’alinea.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. In una telegrafica dichiarazione di voto desidero affermare che aderisco toto corde a quanto, con la loro indiscussa autorità, hanno detto gli onorevoli Nitti, Corbino e Gullo. Gli argomenti chiari e precisi, da essi esposti, sono rimasti fermi, se anche ex adverso si tentato di sminuirne l’importanza. Ogni tentativo in proposito non poteva, del resto, non riuscire vano, nessuno potendo disconoscere che, a parte ogni rilievo, la dizione della norma è così vaga, così generica, così lata, così indeterminata, da non poter non destare in chiunque grandi perplessità e vive fondate preoccupazioni.

Gli onorevoli colleghi che hanno parlato in favore della norma, si sono espressi con grande passione ed hanno detto cose anche giuste, ma, in sostanza, essi hanno dato la dimostrazione che anche in subjecta materia si sente il bisogno di un decentramento gerarchico; non hanno dato, invece, la dimostrazione della necessità di giungere ad un decentramento politico.

UBERTI. È stata data!

COLITTO. Ora con la norma in esame è un decentramento politico che si vuole attuare, e non un decentramento gerarchico.

Per queste ragioni dichiaro di votare contro.

PRESIDENTE. Vi è dunque da votare puramente e semplicemente la formulazione dell’alinea proposta dalla Commissione: «Agricoltura e foreste».

Avverto che per la votazione dell’alinea è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Moro, Piccioni, Fuschini, Mortati, Tozzi Condivi, De Palma, Murgia, Bastianetto, Ferrarese, Turco, Mastino Gesumino, Fabriani, Cappi, Lazzati, La Pira, Biagioni.

Avverto che vi è poi un’altra richiesta di votazione per appello nominale sulla soppressione dell’alinea. Poiché la decisione è unica, verrà naturalmente presa con un’unica votazione.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione nominale sul testo del diciottesimo alinea della Commissione: «Agricoltura e foreste». Chi approva questa formulazione risponderà , chi non approva, risponderà no.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dall’onorevole Fedeli Armando. Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Bastianetto – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Borato.

Caiati – Calamandrei – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Cartìa – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallo – Germano – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier – Lombardi Riccardo – Longhena – Lussu.

Magrassi – Magrini – Marazza – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Romano – Rumor.

Sampietro – Sartor – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Simonini – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vicentini – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bozzi – Bucci.

Cacciatore – Candela – Caprani – Carpano Maglioli – Cavallari – Cerreti – Cifaldi – Colitto – Colonna di Paliano – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cortese – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dugoni.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Ferini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fiore – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Landi – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Maffioli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marinaro – Massini – Massola – Mastrojanni – Mattei Teresa – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Paratore – Pastore Raffaele – Perugi – Pesenti – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Russo Perez.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni – Tumminelli.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Villabruna – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli – Musotto – Mannironi.

Pera.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Villani.

Tomba.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale sull’alinea «agricoltura e foreste»:

Presenti e votanti          382

Maggioranza                192

Hanno risposto           203

Hanno risposto no         179

(L’Assemblea approva l’alinea).

Dopo l’esito di questa votazione, si può ritenere superato l’emendamento degli onorevoli Giua, Jacometti ed altri.

Si debbono ora esaminare le proposte di alinea aggiuntivi a quelli elencati dalla Commissione.

Vi è un emendamento dell’onorevole Perassi ed altri che propongono di aggiungere: «Artigianato, industria e commercio».

L’onorevole Zuccarini, da parte sua, propone di aggiungere un alinea così formulato: «Industria e commercio, Camere di commercio».

Vi è infine la proposta dell’onorevole Colitto così concepita:

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Gli onorevoli Caronia e Dominedò hanno presentato anche essi un emendamento tendente a sostituire il comma con il seguente: «Agricoltura e foreste, industria e commercio».

Questo emendamento rimane però assorbito negli emendamenti Perassi-Zuccarini, che possono costituire un alinea unico: «Artigianato, industria e commercio e Camere di commercio».

PERASSI. Chiedo la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene. Si voterà separatamente le varie voci dell’alinea: Artigianato, industria e commercio, Camere di commercio.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare, a nome del Comitato, che, in tutti i lavori del Comitato stesso e della Commissione, la tesi di mettere fra le materie di competenza legislativa della Regione l’industria e commercio è sempre stata respinta a grande maggioranza. Io personalmente non posso che aderire a tale tesi. Se l’Assemblea ritiene di inserire la voce «Artigianato», il Comitato non si oppone.

VERONI. Che cosa significa artigianato?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Basta aprire un annuario tecnico, statistico, un’enciclopedia per fanciulli, perché l’artigianato vi abbia la sua configurazione, distinta da quella dell’industria e del commercio. Vi saranno zone di confine; ma, come lineamento e norma generale, non sono cose confondibili.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione prima la voce «Artigianato», votandosi per divisione l’alinea, secondo la richiesta dell’onorevole Perassi. La Commissione ha dichiarato di non opporsi all’inclusione di questa voce.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo in favore.

(La voce «Artigianato» è approvata).

PRESIDENTE. Pongo ora in votazione la voce «Industria». L’onorevole Ruini ha dichiarato che la Commissione, a maggioranza, è contraria all’inserimento di questa voce.

(Dopo votazione per alzata e seduta e per divisione, non è approvata – Applausi a sinistra).

Dovrò porre ora in votazione la terza voce dell’emendamento: «Commercio».

Avverto che su questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Micheli, Cappi, Coccia, Belotti, Schiratti, Monticelli, Morelli Luigi, Piccioni, Fuschini, Vigo, Scotti Alessandro, Caroleo, Tessitori, Angelucci, Pastore Giulio e Tosi.

RESCIGNO. Vorrei far notare all’Assemblea che l’industria e il commercio sono due attività inscindibili. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, ella avrebbe dovuto fare questa osservazione nel momento in cui è stata chiesta la votazione per divisione.

Ormai la votazione è cominciata e così deve proseguire.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per appello nominale sulla voce «Commercio». Estraggo a sorte il nome del deputalo dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dall’onorevole Fresa.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Balduzzi – Bastianetto – Bellato – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caiati – Camangi – Camposarcuno – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carìstia – Caroleo – Caronia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chiostergi – Ciccolungo – Cicerone – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Germano – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – La Pira – Lazzati – Lizier – Lussu.

Maffioli – Magrassi – Marazza – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasi – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Perassi – Perrone Capano – Petrilli – Piemonte – Ponti – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Rumor – Russo Perez.

Sampietro – Sartor – Scelba – Schiratti – Scotti Alessandro – Spallicci – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zappetti – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bei Adele – Benedetti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bosi – Bozzi.

Cacciatore – Calamandrei – Candela – Canepa – Caporali – Caprani – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallari – Chieffi – Cifaldi – Codignola – Colitto – Colonnetti – Condorelli – Cerbi – Corbino – Corsi – Cortese – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Dugoni.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – Laudi – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marina Mario – Massini – Massola – Mattei Teresa – Merighi – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Montagnana Rita – Montemartini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Paratore – Parri – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Sansone – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni.

Vallone – Vernocchi – Veroni – Vigna – Villabruna – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli – Musotto – Mannironi.

Pera.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Villani.

Tomba.

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti          344

Maggioranza                173

Hanno risposto          169

Hanno risposto no         175

(L’Assemblea non approva l’inclusione della voce «Commercio»).

Rinvio il seguito della discussione alla seduta pomeridiana di domani.

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per l’approvazione ed il finanziamento del progetto di captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno, che dovranno finalmente fornire di acqua potabile i comuni delle provincie di Caserta e di Campobasso e costituire altresì l’indispensabile acquedotto sussidiario per la città di Napoli.

«Si tratta di un’opera di grande importanza ed urgenza, soprattutto di carattere igienico e sanitario, che interessa circa due milioni di abitanti della Campania e che non può ulteriormente procrastinarsi».

«Numeroso, De Michele».

«Al Ministro della difesa, per conoscere quale fondamento abbiano le notizie secondo cui l’Accademia dell’aeronautica non sarebbe trasferita per il prossimo anno scolastico nella sua antica sede di Caserta e ciò in contrasto con le esplicite assicurazioni fatte anche recentemente dall’onorevole Ministro a una rappresentanza del personale.

«Il Comando della predetta Accademia, ora a Nisida, avrebbe fatto ritirare in questi giorni dalla sede di Caserta macchinari di officina e materiali vari per installarli a Nisida con spese e lavoro completamente inutili, tenuto conto del trasferimento a Caserta per il prossimo anno scolastico.

«Numeroso, De Michele, Caso».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere il suo pensiero circa quanto è affiorato nel recente Convegno nazionale delle commissioni interne delle compagnie marittime di linea, raggruppate nella FINMARE, a proposito delle trattative inerenti a possibili cessioni da parte dell’I.R.I. all’armamento libero. Tale eventualità rappresenterebbe un grave attentato alla integrità di un organismo di preminente interesse nazionale, che risponde alle esigenze pratiche, morali e alla struttura economica del nostro Paese.

«Faralli».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni che, a quattro anni dalla battaglia del Volturno, fanno ritardare la ricostruzione dei ponti sul fiume omonimo, sacro alla Patria e utile all’economia nazionale al pari degli altri fiumi italiani; e per invitarlo, a nome delle popolazioni interessate, a quell’intervento decisivo che superi ogni intralcio burocratico e mostri effettivamente che la giustizia distributiva per il Mezzogiorno d’Italia non è puro artificio retorico.

«I ponti sul Volturno da costruire o ricostruire sono quattro: quello della Scafa di Vairano Patenora, il ponte Margherita presso Dragoni, il ponte di Annibale, il ponte alla Scafa di Caiazzo (provincia di Caserta); e tutti e quattro sono di tale riconosciuta importanza che il farne senza costituisce attualmente l’ostacolo maggiore per la ripresa del traffico di una zona che è il passaggio obbligato fra il Molise, il Lazio, le Puglie, Napoli e Roma.

«Caso, Numeroso, Titomanlio Vittoria, De Michele».

Comunico inoltre che è stata presentata la seguente interpellanza con richiesta di discussione urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere con quali intendimenti ha proceduto al bando precipitato delle elezioni per il Consiglio superiore della pubblica istruzione, secondo un nuovo decreto legislativo non ancora pubblicato; e se non creda che tale provvedimento non possa valere a indebolire il prestigio delle nostre istituzioni scolastiche.

«Lozza, Preti, Binni, Codignola, Bernini, Condorelli, Cifaldi, Parri».

Chiedo al Ministro della pubblica istruzione quando intende rispondere a questa interpellanza.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Nella prima seduta destinata alle interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Poiché il Ministro dell’interno ha comunicato di essere pronto a rispondere nella seduta di martedì all’interpellanza dell’onorevole Li Causi sulla questione siciliana, che era stata rinviata, anche questa interpellanza potrà essere inserita nell’ordine del giorno della seduta mattutina di martedì prossimo.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Ho presentato al Ministro della pubblica istruzione da più di un mese una interpellanza relativa alle nomine per chiara fama e al modo con cui il Ministro ha ritenuto di procedere alla conferma dei professori che furono nominati nel periodo fascista con questo titolo. Credo opportuno che anche questa mia interpellanza, che ha dei punti di contatto con quella annunciata ora sul Consiglio Superiore della pubblica istruzione, venga trattata, se l’onorevole Ministro consente, nella seduta antimeridiana di martedì.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Sono pronto a discutere martedì anche questa interpellanza.

PRESIDENTE. Sta bene. Quanto alle interrogazioni con richiesta di risposta urgente, interpellerò i Ministri competenti per conoscere se intendano rispondere lunedì, nella consueta seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali rimostranze intenda presentare al Governo turco per il trattamento inflitto ai nostri connazionali di religione israelitica residenti in Turchia, circa la mancata concessione di visto di rientro in Turchia a quei connazionali che per avventura vi si fossero assentati anche per un brevissimo soggiorno all’estero. Dal 1938 a oggi nessun cittadino italiano di religione israelitica osa lasciare il territorio turco per timore di non potervi rientrare, con quanto danno per ognuno di essi è evidente. Dalla liberazione ad oggi il richiesto interessamento delle nostre autorità è stato senza esito.

«Tremelloni, D’Aragona, Treves».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se gli risulti lo stato di abbandono in cui è lasciato il tratto di linea Sant’Eufemia Lamezia-Catanzaro, non collegato neppure in coincidenza con i diretti e i direttissimi per la Sicilia, e se non ritenga di disporre che sia evitato almeno ai viaggiatori per Catanzaro il tormentoso disagio di molte ore di attesa di giorno e di notte, alla stazione di Sant’Eufemia.

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere quali provvedimenti intende adottare onde sia assicurato il regolare funzionamento del servizio telefonico della rete di Siracusa, di cui è concessionaria la società S.E.T., in considerazione delle gravissime deficienze nelle quali, da molto tempo, versa questo importante servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga di promuovere provvedimenti di abrogazione delle norme contenute nel testo unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934 e successive modificazioni, secondo le quali i concorsi per posti di sanitari condotti vengono banditi per tutti i posti vacanti nella provincia dal prefetto anziché dai rispettivi comuni, i quali poi sono chiamati a nominare i vincitori di detti concorsi, che possono essere anche persone del tutto sconosciute ai comuni stessi.

«L’abrogazione delle norme dianzi richiamate ed il riconoscimento ai comuni del diritto di bandire i concorsi per posti di sanitari condotti è urgente, poiché vi son numerosi comuni dove i servizi sanitari sono affidati a personale provvisorio e la precarietà dura da parecchi anni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bazoli, Bulloni, Montini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non creda di dover sottoporre al riesame – nei riguardi ed agli effetti dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, disciplinata dagli articoli 68 e seguenti del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 marzo 1947, n. 143 – la norma contenuta nell’articolo 4 del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, secondo la quale andavano esenti dall’imposta ordinaria sul patrimonio i patrimoni che non superassero le lire 100.000.

«Si osserva, all’uopo, che le norme secondo le quali i valori patrimoniali a ruolo nel 1946 dovevano essere – con effetti dal 1° gennaio 1947 – moltiplicati per dieci (se riguardavano terreni) e per cinque (se rappresentassero fabbricati) hanno pressoché annullato il beneficio della esenzione accordata ai piccoli patrimoni dal richiamato decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 381, e pertanto persone manifestamente povere sono chiamate ora a pagare, entro il 1948, somme considerevoli a titolo di imposta proporzionale straordinaria sul patrimonio; le quali somme non possono, sicuramente, prelevarsi dal reddito annuale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bazoli, Bulloni, Montini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se ritenga lecito alle forze di polizia servirsi di automezzi militari e di scorte armate per trasportare, con immunità, grano sottratto agli ammassi, senza alcuna valida autorizzazione.

«Se ciò, come si suppone, non è lecito, gli interroganti chiedono se l’onorevole Ministro intenda procedere o abbia già proceduto, ad accertare se è vero, quanto agli interroganti risulta da copia di atti ufficiali, che cioè il 2 luglio un camion targato «Polizia», con a bordo funzionari della Questura di Napoli, con un carico di 50 o 60 quintali di grano, senz’altro permesso che quello di un capitano della medesima questura, è stato fermato a Grottaminarda (Avellino) e successivamente, ad onta delle vigenti disposizioni, rilasciato in libertà per poco lodevoli interferenze, vivacemente commentate dalla pubblica opinione della provincia di Avellino, dove, mentre si va alla caccia dell’isolato affamato, si lascia incontrollato il contrabbando in grande stile effettuato ad esempio sulla linea ferroviaria Rocchetta Sant’Antonio-Avellino. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Preziosi, De Mercurio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) quali siano gli specifici impedimenti che sino ad oggi hanno ostacolato ed ostacolano il sollecito ripristino della trazione elettrica della linea Sestri Levante-Spezia, che, secondo le ripetute precedenti assicurazioni, avrebbe dovuto effettuarsi sino dal maggio ultimo scorso, ricordando l’urgenza dello stesso per il grave disagio, giunto sino a fenomeni di soffocazione, per l’uso della trazione a vapore e per le frequenti gallerie, cui sono sottoposti i viaggiatori ed in modo particolare gli operai, che quotidianamente ed in numero considerevole debbono recarsi per ragioni di lavoro a Spezia dai vari centri della Riviera di Levante;
  2. b) se risponda a verità che, proprio in questi giorni, in contrasto con le aspettative e le assicurazioni di cui sopra, sia stata trasportata da Levanto ad altra zona la sottostazione mobile di trasformazione, in modo da ritardare, anziché affrettare, l’invocata rielettrificazione della linea in oggetto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo, Gotelli Angela».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non sia oramai necessario ed urgente provvedimento quello dell’immediato ripristino delle preture di Formicola, Pietramelara e Caiazzo, soppresse ingiustamente dal fascismo e finora non ricostituite. Da lunghissimi anni i cittadini di quei tre mandamenti, per ottenere giustizia pretoriale, sono costretti a recarsi in sedi lontane (Capua, Teano e Piedimonte d’Alife), affrontando spese sproporzionale, attraversando decine di chilometri di strade spesso impraticabili, con mezzi di trasporto incomodi e disagevoli e con impiego di intere giornate per ottenere provvedimenti anche se di scarsa importanza.

«L’interrogante chiede perciò di sapere fin quando debbano durare i sacrifizi, i fastidi ed i danni di quelle sventurate popolazioni, già tanto martoriate dalla guerra e dal fascismo, o se invece esse abbiano diritto ad una amministrazione della giustizia praticata con minore dispendio ed in maniera più umana e conveniente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fusco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali ragioni, ricostituita la provincia di Caserta col decreto 11 giugno 1945, n. 373, e procedutosi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie «per porle in armonia con la nuova circoscrizione provinciale», giusta autorizzazione contenuta nell’articolo 6 di detto decreto, non si è creduto finora di comprendere nella circoscrizione giudiziaria di Caserta (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) i mandamenti di Mignano, Roccamonfina e Capriati al Volturno, appartenenti alla circoscrizione amministrativa di detta provincia, mentre, con il decreto 15 aprile 1947, n. 398, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 giugno, detto anno, i mandamenti di Acerra, Cicciano e Nola, già da lunghissimi anni compresi nella circoscrizione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sono stati aggregati al Tribunale di Napoli, pel solo fatto che essi non sono entrati a far parte della ricostituita provincia di Caserta.

«Era giusto, conveniente, opportuno e doveroso che per le stesse ragioni per le quali i mandamenti di Acerra, Cicciano e Nola venivano trasferiti al Tribunale di Napoli, si fossero contemporaneamente assegnati al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i mandamenti di Mignano, Roccamonfina e Capriati al Volturno. Tanto più che tale assegnazione era stata fervidamente richiesta con tre distinte deliberazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Santa Maria Capua Vetere, inviate tempestivamente al Ministero di grazia e giustizia e con le quali la classe forense domandava, attraverso il suo organo rappresentativo, con l’aggregazione dei mandamenti indicati, non solo il riconoscimento di un diritto, ma anche un parziale compenso dei gravissimi danni causati dalla notevole riduzione della circoscrizione giudiziaria: ed ancora si augura che la sua giustissima invocazione non rimanga inascoltata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fusco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni del grave ritardo nell’assegnazione delle borse di studio, già istituite dal Ministero dell’assistenza post-bellica, in favore degli studenti universitari reduci e partigiani, che si trovano ora in precarie condizioni economiche a seguito del mancato versamento da parte dello Stato degli assegni loro spettanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Codignola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia vero che ex ufficiali effettivi, i quali prestarono fino all’ultimo servizio nell’esercito repubblichino e nella X flottiglia mas, continuano a percepire regolarmente lo stipendio, e possono così compiere i loro studi, mentre migliaia di studenti reduci ed ex partigiani attendono inutilmente da mesi gli assegni loro dovuti a norma del concorso a suo tempo bandito dall’ex Ministero dell’assistenza post-bellica. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Codignola, Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se gli siano stati segnalati gli ordinari inconvenienti per l’occupazione dei posti riservati sui treni ai deputati alla Costituente, specie sulla linea Napoli-Reggio Calabria, e se non creda opportuno di raccomandare agli organi dipendenti una più riguardosa considerazione e la osservanza dell’obbligo della custodia dei posti. Tale obbligo oggi si nega egualmente sia dalla polizia, sia dal personale ferroviario col pretesto che né l’una né l’altro abbiano ricevuto ordine di adempiervi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per far fronte alla crescente diminuzione della produzione della canapa nelle provincie di Napoli e Caserta, che da oltre 300.000 quintali annui è passata a circa 60.000, con la conseguente disoccupazione di lavoratori agricoli e industriali e con particolare danno dell’artigianato locale; e per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per correggere l’insufficiente funzionamento del Consorzio nazionale canapa e per modificare il vigente sistema dei prezzi, che procurando eccessivi vantaggi alla grande industria, danneggia i produttori, allontanandoli dalla coltivazione della canapa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Per lo scoppio della polveriera di Castenaso:

Zanardi

Gingolani, Ministro della difesa

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Chiostergi

Dugoni

La Malfa, Relatore

De Vita

Pesenti

Crispo

Marinaro

Corbino

Scoccimarro

Micheli

Dominedò

Condorelli

Bertone

Caroleo

Persico

Adonnino

Scoca

Cifaldi

La seduta comincia alle 10.30.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Musotto.

(È concesso).

Per lo scoppio della polveriera di Castenaso.

ZANARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZANARDI. Onorevoli colleghi, la nostra città, Bologna, è in lutto: i giornali di stamane annunciano che nel paese di Castenaso, limitrofo alla città, è scoppiata una polveriera. Molti operai sono morti e moltissimi sono i feriti, di cui neppure si può precisare il numero. Castenaso è già stata vittima dell’ultima guerra ed è un paese semidistrutto, di modo che continua per questa operosa borgata il lungo e tragico calvario.

Ho preso la parola – e credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi del collegio di Bologna – per rendere omaggio alle vittime, per invocare una sollecita inchiesta c per domandare al Governo generosa solidarietà verso tutti coloro che sono rimasti senza conforto e senza sostegno.

Nel contempo sono però sicuro che Bologna generosa interverrà, come sempre, in aiuto dei figli che sono rimasti senza padre, o dei vecchi che sono rimasti senza i figli, che erano il sostegno della famiglia. Con questo sentimento, mosso dall’amore e dal dolore, chiedo che l’onorevole Presidente, nel presentare le condoglianze ai sindaci di Bologna e di Castenaso, porga l’espressione della nostra solidarietà per questi nuovi martiri del lavoro. (Applausi).

CINGOLANI, Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il Governo si associa alle nobili parole pronunciate dall’onorevole Zanardi a nome della Assemblea tutta. Come Ministro della difesa, posso assicurare che ho disposto immediatamente per un’inchiesta, e posso assicurare anche l’onorevole Zanardi che già cinque giorni prima del luttuoso fatto, ho mandato una circolare urgentissima a tutti gli stabilimenti del genere, perché rinnovassero le premure a tutte le maestranze di usare quell’oculatezza che c’è sempre, ma che l’onorevole Zanardi, chimico illustre, sa che con la consuetudine di maneggiare materiale così delicato molte volte si perde.

Comunque, il Governo non solo si unisce alle parole commosse dell’onorevole Zanardi, ma può anche assicurare che tutte le provvidenze a favore delle vedove e degli orfani saranno sollecitamente messe in atto dal Ministero della difesa.

PRESIDENTE. La Presidenza dell’Assemblea, accogliendo l’invito dell’onorevole Zanardi, esprimerà ai sindaci di Bologna e di Castenaso la piena solidarietà dell’Assemblea stessa per il lutto che ha colpito queste due città. E l’onorevole Zanardi ha espresso con parole acconce il sentimento che riempie tutti i nostri cuori in questo momento.

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’Assemblea si è riconvocata stamane, in base ad una disposizione regolamentare, direi automaticamente, poiché, essendosi proceduto ieri ad una votazione per appello nominale, l’Assemblea non è risultata in numero legale per deliberare. Noi ci ritroviamo, quindi, nella seduta dì stamane ad affrontare quello stesso problema di fronte al quale ieri i nostri lavori hanno dovuto necessariamente interrompersi.

Si trattava del seguente ordine del giorno, a firma degli onorevoli Macrelli e Chiostergi e altri, presentato nel corso della discussione sul progetto di legge della patrimoniale:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione e alla votazione della legge sulla imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Dobbiamo ora procedere alla nuova votazione, allo scopo di decidere in relazione all’ordine del giorno presentato appunto dagli onorevoli Macrelli, Chiostergi ed altri colleghi.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, nella seduta di ieri mattina avevo ritenuto opportuno fare appello al senso di responsabilità dei firmatari dell’ordine del giorno e dell’intera Assemblea prospettando le conseguenze che avrebbero potuto riflettersi sull’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio, qualora la questione contenuta nell’ordine del giorno avesse trovato il consenso della maggioranza. Resta ferma la preoccupazione cui accennavo ieri mattina: l’ordine del giorno, se dovesse essere messo in votazione e venisse accolto, comporterebbe praticamente la sospensione dell’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio per un periodo di tempo certamente lungo. Il Governo, che aveva ed ha nel proprio programma l’applicazione più sollecita di questo tributo straordinario, non potrebbe che constatare con dolore che le correnti tuttora contrarie all’applicazione di questo tributo, approfittando della buona fede di taluni dei nostri colleghi, avrebbero finito coll’avere il sopravvento.

Ma c’è un’altra ragione per cui io debbo pregare gli onorevoli firmatari dell’ordine del giorno di voler benevolmente rivedere la loro posizione. Purtroppo, da ieri mattina, appena si è diffusa la sensazione che la questione del cambio della moneta potrebbe rappresentare un argomento di nuove discussioni, un argomento che potrebbe essere, cioè, riaperto, l’andamento dei prezzi si è nettamente orientato al rialzo. (Commenti).

Ora, tutto ciò non può non preoccupare il Governo, il quale intende perseguire una sua politica decisamente antinflazionistica e di assestamento dei prezzi.

Desidero, quindi, caldamente raccomandarmi al senso di responsabilità e di civismo degli onorevoli firmatari dell’ordine del giorno, affinché esaminino se, in nome di queste alte opportunità che intendiamo tutti perseguire, non ritengano opportuno di ritirare il loro ordine del giorno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Onorevoli colleghi, credevo di essere stato ieri molto preciso dichiarando che non era nostra intenzione di attaccare il Governo nella sua politica deflazionista. I repubblicani volevano riaffermare una questione di principio per la quale erano entrati nel primo Governo della Repubblica, per la quale ne erano usciti e non vi erano più tornati poi. Volevamo e vogliamo che la nostra affermazione suoni rampogna ai Governi che si sono succeduti e che hanno promesso sempre e non hanno mai mantenuto l’impegno di cambiare la moneta. Se il cambio fosse stato eseguito in tempo opportuno, avrebbe dato all’Erario un guadagno di diecine e diecine di miliardi, annullando una gran parte di quelle banconote che sono state rubate al nostro Paese, che sono state portate all’estero. Non volevamo, col nostro ordine del giorno, combattere la legge sull’imposta patrimoniale, alla quale siamo profondamente attaccati; ed è per questo che ho accettato di modificare l’ordine del giorno in assenza del collega Macrelli, ammalato, perché risultasse chiaro, inequivocabile, che i repubblicani volevano la discussione immediata e la votazione dell’imposta sul patrimonio.

Evidentemente, il pericolo d’una affermazione di questo genere – rilevato dal Ministro Pella – esiste. Non possiamo nasconderci che vi possono essere conseguenze poco liete che avremmo voluto e vorremmo evitare. Ma, d’altra parte, noi desideravamo che in sede di discussione della legge sulla imposta patrimoniale (e lo vogliamo più che mai oggi) si correggessero, con gli emendamenti che presenteremo, quelle sperequazioni che il mancato cambio della moneta rende così evidenti e così gravi.

Ad esempio, noi insisteremo ed insistiamo fin d’ora sulla necessità di tassare gli enti collettivi, comprese le società; insistiamo su una maggiore rateizzazione dell’imposta e sulla determinazione di un diverso minimo imponibile per l’imposta patrimoniale, in modo che sia difesa la piccola proprietà; insistiamo anche sulla necessità dell’accertamento dei depositi bancari.

Ho accennato soltanto a qualcuno degli elementi fondamentali che ci hanno spinto ad iniziare questa nostra azione.

Non vogliamo noi, come hanno scritto alcuni giornali, falsando le nostre intenzioni, dare battaglia al Governo, e fare una questione di successione del Governo attuale. Abbiamo preso posizione di fronte al Governo politicamente; manteniamo questo nostro atteggiamento; ma non ci avvarremo mai di metodi di questo genere per dare battaglia al Governo stesso.

PRESIDENTE. Onorevole Chiostergi, lei mantiene il suo ordine del giorno?

CHIOSTERGI. Con queste richieste e dopo le eventuali dichiarazioni del Governo, noi siamo disposti a ritirare l’ordine del giorno (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Il Governo ha fatto una dichiarazione in questo momento. Onorevole Chiostergi, le prego di chiarire il suo pensiero.

CHIOSTERGI. Dichiaro di essere disposto, a nome dei miei compagni repubblicani, a ritirare l’ordine del giorno presentato ieri, a condizione che ci siano date assicurazioni che le sperequazioni esistenti nel progetto dell’imposta patrimoniale, per il mancato cambio della moneta, siano corrette con gli emendamenti cui ho accennato (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze può esprimere il suo pensiero.

PELLA, Ministro delle finanze. Quando ebbi l’onore di parlare all’Assemblea, chiudendo la discussione generale sul progetto di legge, pregai l’Assemblea di dare la migliore delle leggi, assicurando che il Governo aveva un’unica preoccupazione: quella di dare la migliore delle esecuzioni alla migliore delle leggi. Evidentemente, partendo da tale ordine di idee, e ricordando le reiterate preghiere fatte alla Commissione di finanza e all’Assemblea di collaborare per il perfezionamento del decreto, là dove esso possa presentare delle lacune, corrispondo largamente al desiderio dell’onorevole Chiostergi: tutte le proposte che significano perfezionamento del decreto non possono che incontrare il più largo gradimento da parte del Governo. (Applausi al centro).

CHIOSTERGI. Dichiaro di ritirare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole De Mercurio, si intende che egli abbia rinunziato al suo ordine del giorno già svolto e sul quale il Ministro delle finanze ha espresso il suo parere:

«L’Assemblea Costituente, interpretando le particolari necessità delle popolazioni dell’Italia meridionale, le quali risentiranno il maggior onere fiscale, che loro deriverà dal decreto istitutivo dell’imposta progressiva e proporzionale sul patrimonio – in rapporto specialmente a criteri di valutazione in esso contenuti – che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, da cui è caratterizzata l’economia del Mezzogiorno, ritiene opportuno apportarvi quegli emendamenti che valgano a mitigarne gli effetti deleteri».

Dichiaro pertanto chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli del decreto legislativo.

Il Governo accetta che la discussione si svolga sul testo proposto dalla Commissione?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Esaminiamo il primo articolo, Titolo I. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo I.

IMPOSTA STRAORDINARIA PROGRESSIVA SUL PATRIMONIO

Capo I. – Soggetti passivi dell’imposta.

Art. 1.

È istituita un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio complessivo posseduto da ciascun contribuente alla data del 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.

Sono, altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».

PRESIDENTE. Su questo articolo 2 sono stati presentati i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono soggetti a questa imposta:

  1. a) le persone fisiche;
  2. b) gli enti collettivi che sono tassati di imposta di ricchezza mobile in base a bilancio.

«Dugoni».

«Al primo comma, aggiungere: e gli enti collettivi.

«Pesenti, Valiani, Barbareschi, Lombardi Riccardo».

«Aggiungere, dopo il primo comma, il seguente come nuovo secondo comma:

«L’imposta straordinaria non si applica alle società assoggettate ad imposta di ricchezza mobile in forma diversa da quella stabilita con l’articolo 25 della legge 24 agosto 1877 e successive modificazioni.

«Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle Finanze. Gli emendamenti che vengono proposti all’articolo 2 configurano la questione molto importante della tassazione degli enti collettivi parallelamente alla tassazione del patrimonio delle persone fisiche.

Su questo argomento ho avuto l’onore di intrattenere brevemente l’Assemblea in sede di discussione generale. Avevo assicurato allora ed assicuro ancor oggi che quel progetto di tassazione delle rivalutazioni patrimoniali, il quale tecnicamente, ad avviso del Governo, avrebbe meglio raggiunto lo scopo, era ed è pronto, e avevo sollecitato, dalla benevolenza del Presidente della Commissione parlamentare di finanza, una forma di collaborazione preventiva per esaminare il provvedimento prima che venisse portato alla approvazione del Consiglio dei Ministri.

In occasione di tale collaborazione vi sono stati degli scambi di idee anche in ordine all’attuale tassazione degli enti collettivi.

Non posso in questo momento anticipare il giudizio di merito che il Governo potrà dare in materia.

Riconosco però che vi è, sia da parte della Commissione, sia da parte del Governo, la massima buona volontà di arrivare ad una soluzione concordata, la quale non potrà che essere determinata dalla preoccupazione di creare in questa sede lo strumento tecnicamente più perfetto.

Siccome in ogni caso l’eventuale adozione del principio della tassazione degli enti collettivi comporterebbe la creazione di un certo numero di norme che dovrebbero trovare collocamento in un titolo separato della legge, io vorrei pregare gli onorevoli presentatori di tali emendamenti di soprassedere alla loro illustrazione e di rinviarla a una prossima seduta in attesa che il Governo possa esprimere definitivamente il suo punto di vista al riguardo.

PRESIDENTE. Prego i presentatori degli emendamenti all’articolo 2 di esprimere il loro pensiero sulla richiesta del Ministro delle finanze.

DUGONI. Aderisco alla richiesta del Ministro delle finanze.

DE VITA. Accetto la proposta del Ministro delle finanze.

PESENTI. Aderisco alla proposta del Governo, senza rinunciare, naturalmente, allo svolgimento in sede opportuna del mio emendamento.

PRESIDENTE. In adesione alla richiesta del Ministro delle finanze, accolta da tutti i presentatori degli emendamenti, propongo di accantonare l’articolo 2 e di discuterne al momento in cui il Ministro delle finanze avrà sciolto la riserva alla quale ha accennato.

(L’Assemblea approva).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937.

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi proprî, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti.

«Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è dell’onorevole Costa:

«Al secondo comma, alle parole: anteriormente al matrimonio, sostituire: anteriormente a detta data; alle parole: conseguiti durante il matrimonio, sostituire: realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937; alle parole: di fondi provenienti da accensione di debiti, sostituire: di capitali provenienti da accensione di debiti».

Non essendo presente l’onorevole Costa, l’emendamento si intende decaduto.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. L’emendamento presentato dall’onorevole Costa ha uno scopo, per così dire, puramente ordinativo della legge: cioè, avendo la Commissione proposto un emendamento il quale sposta la data di suspicione riguardante i beni della moglie entrati nel patrimonio familiare al 28 marzo 1937, bisogna adattare anche il secondo capoverso della legge alla stessa data e alla stessa armonia di disposizione. Per questo ho ripreso l’emendamento dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, poiché ha la parola, la prego di svolgere anche i due emendamenti da lei presentati:

«Aggiungere al secondo comma il seguente:

«Si considerano egualmente nel patrimonio del marito le azioni acquistate a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937, anche se intestate al nome della moglie al momento della istituzione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941».

«Al terzo comma, lettera a), sopprimere a partire da: esclusi quelli effettuati…, sino alla fine».

DUGONI. Ho presentato un emendamento successivo che è nello stesso spirito. Al momento della trasformazione dell’anonimità dei titoli azionari in nominatività obbligatoria, ci sono state, si ha fondata ragione di supporre, numerose intestazioni di questi beni a membri della famiglia: figli, moglie, ecc. Allo scopo di garantire il ritorno alla consistenza reale del patrimonio, io ho proposto che i beni intestati alla moglie, in occasione dell’obbligatorietà della nominatività dei titoli azionari, vengano considerati nel patrimonio del marito. L’altro mio emendamento…

LA MALFA, Relatore. Signor Presidente, non converrà approvare le modificazioni per commi?

PRESIDENTE. Lo svolgimento si fa articolo per articolo.

DUGONI. Io ho proposto che alla lettera a) dell’articolo 3 della legge sia abolita la dispensa di rapporto nel patrimonio dell’ascendente dei beni, quando questi siano stati dati ai discendenti per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico.

La ragione per la quale io ho proposto questo emendamento è molto grave. Di fronte alla tendenza moderna della legislazione di colpire progressivamente i patrimoni, le grandi famiglie e le grandi fortune hanno preso l’abitudine di spezzettare, almeno apparentemente, questi cospicui patrimoni prendendo tutte le occasioni possibili, fra le quali quelle del matrimonio dei discendenti è uno dei casi tipici in cui i grandi proprietari cedono una parte della loro fortuna, mentre, sia attraverso le costituzioni di usufrutto, sia attraverso altre formule giuridiche, mantengono nelle loro mani la disponibilità ed il godimento di questi beni. Noi consideriamo che questa imposta debba avere un reale carattere di progressività. Consideriamo che questo spezzettamento del patrimonio sia una fraus legum e non una fraus legis.

Questa legge non si conosceva e non si poteva prevedere, ma c’era una tendenza di tutto il sistema tributario di colpire progressivamente i patrimoni o quanto meno i redditi di questi patrimoni. Quindi vi è da anni una tendenza a spezzettare queste fortune. Per colpire veramente con una imposta progressiva questi grandi patrimoni, non c’è che un mezzo: far rientrare tutto quello che noi abbiamo diritto di credere che sia stato disperso in frode a questa tendenza moderna nella legislazione di cui l’attuale legge sull’imposta straordinaria è un’applicazione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo, Foa hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Aggiungere, dopo il secondo comma, il seguente, come nuovo terzo comma:

«Si considerano acquistate a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937 le azioni intestate al nome della moglie in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9».

Aggiungere come nuovo penultimo comma:

«Ai medesimi fini si considerano nel patrimonio del padre le azioni intestate al nome dei figli in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9, salvo non sia dimostrato che le azioni erano state acquistate dal figlio – a titolo gratuito o a titolo oneroso – prima della conversione».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgerli.

PESENTI. I due emendamenti proposti stabiliscono alcune presunzioni per evitare evasioni fiscali, in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari. Noi consideriamo che facciano parte rispettivamente del marito o del padre, le azioni intestate a nome della moglie o dei figli. Questa norma serve appunto ad evitare la possibilità che, in occasione della nominatività, vi siano fittizie intestazioni a nome della moglie e dei figli di un patrimonio che, in realtà, sia del marito o del padre. I due emendamenti sono stati discussi e, in linea di massima, approvati dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, sostituire la lettera a) con la seguente:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per donazione in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’articolo 3 del progetto dice, al primo comma: «Ai fini della imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937. Al terzo comma dice: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti, i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimento a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico, ecc.

Questo articolo non prevede il caso della donazione in occasione del matrimonio, tanto diffusa nelle provincie del Meridione. A mio giudizio, questa diversità di trattamento tra la costituzione di dote e la donazione in occasione di matrimonio non trova giustificazione alcuna. Per questo motivo ho presentato un emendamento inteso ad escludere dalla cumulazione dei patrimoni anche i beni trasferiti dall’ascendente al discendente per costituzione di dote in occasione di matrimonio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi hanno presentato il seguente emendamento:

«Alla lettera a) del terzo comma, eliminare le parole: «per costituzione di dote».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Il mio emendamento è uguale a quello dell’onorevole De Vita, in quanto io dico che va eliminato dal comma a) dell’articolo 3 l’inciso: «per costituzione di dote». Penso che la ragione della esclusione contemplata nella lettera a) dell’articolo 3, sia questa: risultando da atto pubblico che parte del patrimonio degli ascendenti fu trasferita nel patrimonio dei discendenti, sarebbe ingiusto colpire questa parte già uscita in modo certo dal patrimonio del contribuente.

Onde dicevo: è necessario eliminare l’inciso: «per costituzione di dote», perché, quando in contemplazione di matrimonio, si eseguono comunque donazioni da parte del padre al figlio, la stessa ragione della legge, per la quale il legislatore ha ritenuto di escludere i beni trasferiti per costituzione di dote, permane quando questo trasferimento ha luogo per atto pubblico a titolo di donazione. Ecco il motivo per cui insisto che sia eliminata l’espressione: «per costituzione di dote».

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, lettera a), sopprimere le parole: in occasione di matrimonio ed aggiungere, dopo le parole: patrimonio ecclesiastico, le altre: o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di matrimonio».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARINARO. Il fine essenziale dell’articolo 3 della legge è, a mio avviso, quello di evitare che il patrimonio tassabile venga diminuito, nella sua consistenza, fraudolentemente.

Ora, il terzo comma dell’articolo stabilisce che ai fini dell’imposta si considerano nel patrimonio dell’ascendente i beni da esso ceduti a discendenti in seguito a trasferimenti a titolo gratuito. Da questi trasferimenti a titolo gratuito sono escluse le costituzioni di dote e le costituzioni dei patrimoni ecclesiastici. Io ho chiesto la soppressione delle parole «in occasione di matrimonio», perché si sa che la costituzione di dote viene fatta in occasione di matrimonio. Inoltre, il nostro Codice civile consente che la costituzione di dote sia fatta anche successivamente al matrimonio. Ho chiesto poi che dai trasferimenti a titolo gratuito siano escluse anche le assegnazioni che, comunque, vengano fatte a discendenti per causa di matrimonio. Io penso che quando, per tabulas, risultasse che il trasferimento a titolo gratuito abbia avuto luogo per le stesse giustificate ragioni per cui si tiene conto dei trasferimenti previsti dalla lettera a), cioè la costituzione di dote e la costituzione del patrimonio ecclesiastico, non ci sia ragione di escludere le altre assegnazioni che siano state fatte in occasione di matrimonio di ascendenti, in genere, come quelle che avvengono, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, in occasione della creazione di nuovi nuclei familiari, dell’avviamento dei figli alla professione, e via di seguito.

Anche in tali casi, a mio avviso, il concetto fondamentale della legge rimane fermo e non si verificano diminuzioni fraudolente di patrimonio. Pertanto, chiedo che sia introdotta nella legge anche la esclusione dai trasferimenti a titolo gratuito delle assegnazioni a discendenti per causa di matrimonio».

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere alla lettera a) le seguenti parole: o per divisione inter liberos, a titolo di successione ereditaria anticipata».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Lo mantengo, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa aveva presentato un secondo emendamento, del seguente tenore:

«Al terzo comma, lettera b), alla parola fondi, sostituire: capitali».

Onorevole Dugoni, lo fa suo?

DUGONI. Lo sostengo, e mi risulta che la Commissione stessa, sostanzialmente, lo accetta.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore di esprimere l’avviso della Commissione sugli emendamenti svolti.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Costa, che corregge un errore formale. Emendato il primo comma, bisognava emendare il secondo, cioè renderlo coerente al nuovo criterio stabilito dalla Commissione, che ha come punto di partenza il 28 marzo 1937.

CORBINO. Perché il 28 marzo 1937?

LA MALFA, Relatore. Abbiamo molto discusso intorno alle date e ai periodi cosiddetti di sospetto per la finanza. Abbiamo avuto inoltre una questione specifica, di cui è fatto cenno nella relazione, relativa agli israeliti. La data a partire dalla quale, si faceva il coacervo dei beni familiari, ledeva particolarmente gli ebrei che erano stati colpiti dalle leggi razziali. La comunità ebraica ci aveva chiesto di portare la data al periodo successivo alla liberazione, periodo in cui la disponibilità dei patrimoni ebraici sarebbe risultata libera per i possessori. Noi abbiamo ritenuto di mettere tutti i cittadini in condizione di parità, arretrando le date.

Per quanto riguarda tali date, in generale, avevamo tre scelte: il luglio 1943 (cioè armistizio e liberazione); il 10 giugno 1940 (dichiarazione di guerra) e il periodo precedente alla dichiarazione della grande guerra mondiale, periodo in cui si è fatta la guerra di Abissinia ed in cui la guerra minacciava di scoppiare in Europa da un momento all’altro.

Per il matrimonio siamo andati al 28 marzo 1937, conglobando in questa data il periodo nel quale si poteva ritenere che ciascun patrimonio fosse soggetto a diversi rischi. È una data come un’altra; non abbiamo avuto presente nessun criterio rigido, ma una questione di opportunità.

La Commissione accetta la sostanza degli emendamenti Pesenti e Dugoni. Essi vogliono colpire il fatto che, essendosi dichiarata la nominatività obbligatoria dei titoli azionari, si fosse, in quell’occasione, distribuito il patrimonio azionario fra i membri della famiglia. Tuttavia alla Commissione sembra che gli emendamenti non siano precisi.

Non si comprende che cosa voglia dire: «acquistati a titolo oneroso dopo il 1937» (Interruzione dell’onorevole Corbino). L’espressione può dar luogo ad equivoci: può significare che in definitiva non si possa fare la presunzione di frode; anzi, il contrario. Anche l’emendamento dell’onorevole Dugoni ha questo inconveniente: di non colpire esattamente il fatto.

La Commissione proporrebbe questo testo: «Ai fini della imposta straordinaria – come dice l’articolo 3 – si considerano il patrimonio del marito e i beni acquistati dalla moglie»; e poi ripetere: «Agli stessi fini si considerano nel patrimonio del marito, le azioni intestate a nome della moglie, in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal decreto, ecc.». Mi pare che questa sia la formulazione più chiara.

Se il marito ha trasferito le azioni alla moglie in altro periodo, questo rientra nella presunzione generale!

Una voce al centro. Dovrebbe essere juris et de jure quella disposizione.

LA MALFA, Relatore. In sostanza, avremmo accettato gli emendamenti Pesenti e Dugoni.

Adesso c’è la questione dei discendenti.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, prima di entrare in argomento, siccome sono stati presentati altri due emendamenti, ne do lettura.

Il primo è quello dell’onorevole Pesenti:

«Alla lettera a) del comma terzo sostituire: in occasione di matrimonio, con le parole: all’atto del matrimonio, e aggiungere: a meno che non ci sia riserva di usufrutto o di abitazione».

C’è poi un secondo emendamento presentato dagli onorevoli Dominedò, Micheli, Carbonari, Valenti, Coccia, Adonnino, Alberti, Ambrosini, Balduzzi:

«Sostituire alla data: 28 marzo 1937, quella: dell’8 settembre 1943, o subordinatamente: 10 giugno 1940».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, pensavo e penso che, trattandosi di una presunzione assoluta, la quale colpisce retroattivamente con efficacia juris et de jure e non solo juris tantum dei negozi giuridici validi, sia opportuno tener presente che il fondamento razionale di ogni presunzione assoluta debba ricollegarsi ad un evento cui facciano capo dei presupposti dai quali possano discendere le conseguenze eccezionali, sulle quali poggia la norma legislativa.

Ed allora, per quanto riguarda i negozi giuridici anteriori all’evento, che possa in ipotesi giustificare la norma, a me sembra che questo fatto fondamentale non debba essere se non quello della guerra.

In analogia all’emendamento dell’onorevole Micheli, presentato all’articolo 8 del progetto e allo stesso modo in cui questo emendamento fa capo alla data dell’8 settembre 1943, abbiamo proposto in via principale questa data come quella che conclude il fatto della guerra. Laddove la Commissione, il Governo o l’Assemblea, come giudice sovrano, non ritenessero di dover accedere a questo criterio, proporrei di ritornare, in subordinata, al testo ministeriale, cioè alla data del 10 giugno 1940.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda i discendenti, il criterio della Commissione è stato più restrittivo. Il decreto-legge porta la data del 10 giugno 1940. La Commissione, un po’ per analogia, un po’ perché ha scelto il 28 marzo 1937 come periodo di suspicione, ha voluto parificare la condizione della moglie a quella dei discendenti ed ha preso il decennio per tutti e due i rami familiari.

Se noi troviamo che la data del 28 marzo è opportuna per quanto riguarda la moglie, credo che si possa superare l’obiezione del collega Dominedò e adottare la stessa data del 28 marzo 1937 per i discendenti.

Come dico, la Commissione non ha avuto un criterio razionale per questo; ha scelto soltanto la data che potesse rappresentare l’inizio di un periodo di gravi perturbazioni e di altrettante preoccupazioni di ordine familiare e patrimoniale. Dovrei insistere sulla data scelta, pur rendendomi conto di alcune ragioni esposte dall’onorevole Dominedò. Elementi informativi raccolti dai colleghi, specie da quelli che conoscono le strutture patrimoniali in provincia, confermano che molte divisioni di patrimoni si sono fatte prima della dichiarazione di guerra. La data del 28 marzo 1937 verrebbe quindi a colpire tutto un periodo che si può chiamare di sospetto generico.

Una questione largamente discussa in seno alla Commissione, è quella riguardante l’esclusione dal coacervo dei trasferimenti a titolo gratuito effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio, o per costituzione di patrimonio ecclesiastico. In seno alla Commissione si sono manifestate al riguardo due tendenze. La prima, di carattere restrittivo, è quella rispecchiata dai due emendamenti degli onorevoli Dugoni e Pesenti, consistente nel non ammettere se non in misura ristrettissima questa esclusione; o escluderla del tutto (emendamento Dugoni). La seconda è intesa a far sì che si tenga conto non solo dei casi specifici di costituzione di doti, ma di qualsiasi donazione per matrimonio, intesa cioè all’adozione di un criterio più largo. Mi pare che questo secondo atteggiamento sia espresso dagli emendamenti De Vita e Marinaro. La Commissione, come ho già detto, ha largamente discusso intorno a questa disposizione ed ha trovato una linea di conciliazione nel senso di lasciare il testo così come è stato redatto dal Governo.

La Commissione ha ridiscusso il problema dopo la presentazione degli emendamenti ed ha deliberato a maggioranza di accettare l’emendamento dell’onorevole Marinaro, con la sostituzione alla frase «di matrimonio», della frase «di seguito matrimonio».

Naturalmente gli emendamenti presentati dall’onorevole Persico cadono perché troppo larghi. Accettiamo l’emendamento dell’onorevole Costa, consistente in una modificazione formale, e accettiamo quello dell’onorevole Pesenti nei riguardi della nominatività obbligatoria dei titoli azionari.

PRESIDENTE. Invito allora l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Sostanzialmente il Governo condivide il pensiero espresso dal Presidente della Commissione in ordine ai diversi emendamenti presentati. Vorrei aggiungere però qualche osservazione di dettaglio. Il primo emendamento dell’onorevole Costa, ove si propone di sostituire alla parola «anteriormente al matrimonio» le parole «anteriormente a detta data» e alle parole «conseguiti durante il matrimonio» le parole «realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937», può prestare il fianco a censure, nell’ipotesi di matrimonio che sia stato effettuato posteriormente al 28 marzo 1937; ed è per questa ipotesi che suggerisco di aggiungere alle parole «realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937» le parole «o anteriormente al matrimonio, qualora esso sia successivo a tale data». In altri termini, nell’ipotesi di un matrimonio che abbia avuto luogo successivamente al 28 marzo 1937, non si può pretendere dalla donna la dimostrazione di reimpiego anteriore al 28 marzo 1937.

DUGONI Questo è in re ipsa, onorevole Pella. Possiamo aggiungerlo, se lei crede.

PELLA, Ministro delle finanze. Sì, se si crede riterrei opportuno introdurre questa modificazione.

Per quanto riguarda le intestazioni in capo alla moglie in occasione della nominatività dei titoli, il Governo è perfettamente d’accordo nella formula proposta dalla Commissione col suo emendamento, il quale emendamento dovrebbe assorbire quello degli onorevoli Pesenti, Valiani e altri e quello dell’onorevole Dugoni.

DUGONI. Alla formulazione della Commissione si dovrà aggiungere che i titoli devono essere acquistati posteriormente al 28 marzo 1937, altrimenti spostiamo tutta l’economia del paragrafo.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevole Dugoni, mi sembra che sia errata la formula del suo emendamento: «Aggiungere al secondo comma il seguente».

DUGONI. È giusto; bisognava dire: «Aggiungere come secondo comma il seguente».

PELLA, Ministro delle finanze. Così che il terzo comma investirebbe sia il primo che il secondo. In questo senso, il Governo è d’accordo.

Il Governo accetta quindi l’emendamento Marinaro, con l’espressione suggerita dalla Commissione «di seguìto matrimonio»; l’emendamento Costa, quello dell’onorevole Pesenti; non può accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Dominedò.

Quanto all’emendamento Persico devo farmi carico delle osservazioni che al riguardo sono state fatte dalle Commissioni di studio per la preparazione del progetto governativo e delle osservazioni fatte in sede di Commissione parlamentare.

A nome del Governo non posso aderire all’emendamento dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la Commissione accoglie l’emendamento dell’onorevole Persico?

LA MALFA. Relatore. La Commissione non lo accoglie.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sulla questione della data si potrebbe trovare un accomodamento fra una di quelle proposte dall’onorevole Dominedò e quella accettata dalla Commissione, fermandoci al primo settembre 1939, che è la data dello scoppio della guerra in Europa. In effetti è da questo momento che si sono cominciate a manifestare le prime distribuzioni di patrimonio da parte di coloro i quali avevano la sensazione precisa che l’Italia sarebbe entrata in guerra e che, quindi, tutto il sistema tributario avrebbe potuto risentire gli effetti della guerra medesima.

La data del 10 giugno 1940 non mi sembra la più esatta, perché viene a saltare proprio il periodo in cui coloro che avevano intenzione di preparare le evasioni le hanno potuto preparare più tranquillamente, in attesa della guerra imminente.

Ecco perché alla data del 28 marzo 1937 (che in ogni caso vorrei sostituita con la indicazione di un periodo, anche per giustificare perché noi la scegliamo) io penso si possa sostituire quella del 1° settembre 1939.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino propone, quindi, che la data del 28 marzo 1937 sia sostituita da quella del 1° settembre 1939.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io devo ricordare che questa data del 28 marzo 1937 è già essa stessa il risultato di un compromesso. Il concetto che ha ispirato la Commissione è questo: il momento che fa sorgere la presunzione di un rimaneggiamento dei patrimoni è lo scoppio della guerra; ma non alla data 1939-40, poiché la guerra in Italia è cominciata nel 1935 con l’impresa d’Abissinia. È da quel momento che appaiono elementi obiettivi tali da far presumere che sin da allora si è cominciato a premunirsi contro provvedimenti fiscali straordinari.

Allora la Commissione, fra la data del 1935 e quella del 1940, ha deciso di considerare il decennio; da ciò la data del 28 marzo 1937.

Perciò io penso che si possa rimanere su questa posizione di compromesso, perché altrimenti bisognerebbe discutere quale delle due date, 1935 o 1940, occorra mettere nella legge.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Dichiaro che avendo presentato un emendamento all’articolo 8, il quale propone una modificazione più radicale, per ora non posso accedere alla nuova proposta, ed in questa veste ho anche firmato l’emendamento dell’onorevole Dominedò. Voterò quindi contro a proposta della Commissione, perché la data indicata elimina rapporti giuridici, che non sono creati, a mio modesto avviso ed anche per una certa esperienza professionale, in un periodo che giustifichi effettivamente l’ipotesi della evasione fiscale.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Poiché la Commissione aderisce all’emendamento Marinaro, che è più comprensivo del mio, io rinuncio al mio emendamento e aderisco a quello Marinaro.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Corbino, ed avendo ascoltato anche quelle dell’onorevole Scoccimarro, rinunzio al mio emendamento per associarmi alla proposta Corbino di scegliere la data del 1° settembre 1939, come quella che ha effettivamente aperto il conflitto mondiale.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente l’onorevole Scoccimarro ha riferito esattamente i termini in cui la questione si è posta in seno alla Commissione. Abbiamo dovuto esaminare anche il termine previsto della dichiarazione di guerra all’Abissinia, come periodo di sospetto. D’altra parte, quando abbiamo modificato le norme del decreto, non modificando tutto il periodo matrimoniale, abbiamo incontrato molte obiezioni da parte del Ministro e degli uffici finanziari, che ritenevano di dovere esaminare tutto il periodo matrimoniale per stabilire la situazione patrimoniale ed i rapporti fra marito e moglie.

La Commissione, adottando la data del 28 marzo 1937, ha ristretto effettivamente molto il criterio fiscale e tributario. Non vorrei che spostassimo di troppo questo periodo, perché se da un certo punto di vista abbiamo peggiorato la situazione per quanto riguarda i discendenti, per quanto riguarda i rapporti matrimoniali abbiamo messo gli uffici finanziarî in una certa situazione di difficoltà in questi accertamenti. Quindi, la Commissione mantiene il suo punto di vista, ed avendo accettato questo compromesso sul decennio, prega i colleghi di accettare il 28 marzo 1937.

PRESIDENTE. Passeremo allora innanzi tutto alla votazione dell’emendamento Corbino, accettato dall’onorevole Dominedò, tendente a sostituire, nel primo comma dell’articolo 3, la data del 1° settembre 1939 a quella del 28 marzo 1937.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Voterò per la data del 28 marzo 1937.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Corbino.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo proposto dalla Commissione.

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937».

(È approvato).

Dopo il primo comma occorre inserire, come secondo comma, gli emendamenti dell’onorevole Pesenti e altri e dell’onorevole Dugoni: due emendamenti che sono stati unificati dalla Commissione nel seguente testo:

«Agli stessi fini si considerano nel patrimonio del marito le azioni intestate a nome della moglie in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9».

L’onorevole Pesenti aderisce a questa formulazione. Anche lei, onorevole Dugoni?

DUGONI. Non aderisco, perché manca la specificazione della data di acquisto di questi titoli. Deve essere, a mio giudizio, specificato che questi titoli siano stati acquistati dopo il 28 marzo 1937, per mantenere integra l’economia dell’articolo.

LA MALFA, Relatore. La data del 28 marzo si riferisce agli acquisti della moglie, non del marito. Il primo comma dice che si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistali dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937. Ora questo acquisto a titolo oneroso è rappresentato anche nel secondo comma dalla intestazione delle azioni a qualsiasi data risalga l’acquisto da parte del marito. Quindi mi pare che il comma proposto dalla Commissione esaurisca la questione.

PRESIDENTE. Ella mantiene l’emendamento, onorevole Dugoni?

DUGONI. Di fronte all’insistenza della Commissione, lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo unificato proposto dalla Commissione, che diventerà secondo comma dell’articolo 3.

(È approvato).

Passiamo al secondo comma, che diviene terzo:

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti».

L’onorevole Costa ha presentato alcuni emendamenti, svolti dall’onorevole Dugoni e accettati dalla Commissione e dal Governo.

Il primo è il seguente:

«Alle parole: anteriormente al matrimonio, sostituire: anteriormente a detta data».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il secondo emendamento è del seguente tenore:

«Alle parole: conseguiti durante il matrimonio, sostituire le altre: realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il terzo emendamento è il seguente:

«Alle parole: di fondi provenienti da accensione di debiti, sostituire: di capitali provenienti da accensione di debiti».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pertanto il terzo comma risulta nel suo complesso del seguente tenore:

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente a detta data o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimenti di redditi proprî realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937 o di capitali provenienti da accensione di debiti».

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Avevo accennato all’ipotesi del matrimonio che sia stato celebrato dopo il 28 marzo 1937, ed avevo rappresentato l’opportunità di inserire una modifica all’emendamento per fotografare questo caso.

L’onorevole Dugoni, credo con una certa esattezza, ha osservato che doveva intendersi sottinteso nello spirito dell’emendamento.

Se così è, l’Amministrazione finanziaria, potrà, in sede di istruzioni, interpretare la portata dell’emendamento rispetto al caso particolare che accennavo. Ma siccome non vorrei che si eccepisse poi un eccesso di potere dell’Amministrazione finanziaria in sede di applicazione, desidererei restasse traccia, nel processo verbale della seduta, che effettivamente la Commissione e l’Assemblea ritengono che lo spirito dell’emendamento è quello accennato dall’onorevole Dugoni; che se cioè il matrimonio ha avuto luogo dopo il 28 marzo 1937, anziché fare aritmetico riferimento al 28 marzo 1937, occorre fare riferimento alla data di matrimonio.

Chiedo, quindi, alla Commissione ed alla stessa Assemblea, con quelle forme procedurali di cui l’onorevole Presidente è maestro, di consacrare nel processo verbale tale ordine di idee.

Una voce. Non sarebbe meglio fare una formulazione?

LA MALFA, Relatore. È implicito.

DUGONI. Comunque siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo al terzo comma che diviene quarto:

«Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

Alla lettera a) l’onorevole Dugoni ha proposto di sopprimere, a partire da: «esclusi quelli effettuati…» sino alla fine.

DUGONI. Ritiro l’emendamento per associarmi all’emendamento Pesenti.

PRESIDENTE. Sta bene. Alla stessa lettera a) l’onorevole Marinaro ha proposto di sopprimere le parole: «in occasione di matrimonio» e di aggiungere, dopo le parole: «patrimonio ecclesiastico», le altre «o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di matrimonio».

L’onorevole Marinaro è presente?

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avevo presentato un emendamento inteso ad eliminare le parole «per costituzione di dote» allo scopo di far comprendere nell’esclusione tutte le donazioni in occasione di matrimonio. Poiché la formula proposta dell’onorevole Marinaro mi sembra più comprensiva, rinunzio al mio emendamento e fo mio quello dell’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Ricordo che la Commissione e il Governo hanno accettato l’emendamento Marinaro, fatto proprio dall’onorevole Crispo, aggiungendovi alla fine la parola: «seguìto».

Lo pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova è approvato).

 

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Ricordo di aver presentato un emendamento sostitutivo alla lettera a) del seguente tenore:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per donazione in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico».

Ora desidero far presente che con tale emendamento si rende più agevole l’opera degli uffici finanziari che debbono procedere all’accertamento, in quanto dicendo: «donazioni in occasione di matrimonio», fissiamo un elemento certo, mentre con la formulazione dell’onorevole Marinaro introduciamo un elemento di incertezza, che può mettere in serio imbarazzo gli uffici finanziari competenti. Ecco il significato del mio emendamento. Purtroppo si è già votato. Avrei desiderato che il Governo manifestasse il proprio pensiero in merito alla mia formulazione.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, le faccio osservare che l’emendamento che noi abbiamo ora approvato è più ampio della sua formulazione, perché parla di «altra assegnazione ai discendenti, ecc.». È evidente che la donazione è compresa tra le altre assegnazioni.

DE VITA. La donazione precede il matrimonio. Quando avviene il matrimonio, come fa l’ufficio finanziario a trovare il nesso tra la donazione ed il matrimonio?

PRESIDENTE. Dato che la votazione è avvenuta, ed essendo stato accettato l’emendamento dell’onorevole Marinaro, ritengo che la proposta dell’onorevole De Vita sia assorbita nel testo approvato.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Propongo il seguente emendamento aggiuntivo all’emendamento dell’onorevole Marinaro: «purché non siano limitati da usufrutto o diritto di abitazione».

PRESIDENTE. Osservo che vi è già un emendamento in tal senso presentato dall’onorevole Pesenti, il quale ha proposto di aggiungere: «a meno che non vi sia riserva di usufrutto o di abitazione».

DUGONI. Desidero riprendere tale emendamento come modifica all’emendamento Marinaro.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Voterò contro questa aggiunta, perché se la riserva di usufrutto o di abitazione può essere un elemento induttivo di frode allorché si fa il trasferimento a titolo gratuito a favore di terzi, non è stato mai indice di frode quando il trasferimento stesso si faccia a favore dei discendenti, perché è nella normalità delle cose che, donando ai figli una parte del patrimonio, i genitori se ne conservino il godimento vita durante. Dunque, richiamare questo preteso indice di frode alla legge, mi pare assolutamente inopportuno e fuori della realtà dei negozi di cui ci occupiamo.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Questi emendamenti sono stati presentati stamane e siamo tutti un po’ incerti. Non è il caso di improvvisare in una materia, che, viceversa, dovrebbe essere studiata ponderatamente. Per quanto riguarda l’usufrutto, abbiamo l’articolo 14 che regola, in linea generale, il valore dell’usufrutto stesso. Ritengo che non possiamo adottare una disposizione speciale.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Indubbiamente, questo emendamento tenderebbe a inserire una presunzione di frode, che era già, per le riserve di usufrutto nelle alienazioni a favore dei discendenti, inserita dell’articolo 811 del Codice del 1865, e che il nuovo legislatore del 1942 ha creduto di abolire, ragionando precisamente così: non si può presumere, in via assoluta, la simulazione di un atto e non si può mettere il giudice di fronte a presunzioni assolute, anche per casi in cui la simulazione non ci sia stata. Ora, dal momento che nella nostra legislazione ordinaria questa presunzione juris et de jure di frode, nei confronti dei discendenti, per le riserve di usufrutto, è stata superata, mi pare che sia un tornare indietro il volerla riprodurre in questa legge con l’emendamento in questione.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, mantiene l’emendamento?

DUGONI. Lo conservo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione tale emendamento.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero far presente lo stato di disagio in cui ci troviamo discutendo una materia delicatissima come questa; chiedo pertanto, rispettosamente al Presidente che voglia sospendere questa discussione finché non abbiamo sott’occhio tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, mi pare che ella cada in un equivoco allorché sostiene questa necessità, perché gli emendamenti si trovano effettivamente tutti pubblicati in un voluminoso fascicolo, che è stato regolarmente distribuito. In ogni caso vi è l’archivio sempre aperto e a disposizione degli onorevoli colleghi.

Non so se l’onorevole Bertone faccia una richiesta formale; comunque, debbo far presente che noi ci troviamo generalmente in questa situazione: che molti emendamenti sono presentati all’ultimo momento, cosicché se tutti pretendessero di averli in tempo, non si potrebbe praticamente procedere alla discussione.

Per esempio, sull’articolo che stiamo esaminando sono stati presentati diversi emendamenti proprio in questo momento; e questi debbono essere accettati, a meno che non si decida che siano respinti tutti gli emendamenti che non sono stati presentati almeno 48 ore prima.

MICHELI. Basterebbero 24 ore.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al desiderio unanime dell’Assemblea che gli emendamenti siano presentati in tempo utile per prepararsi alla discussione. Fra le 48 ore fissate dal Regolamento e il limite estremo a cui si è arrivati di presentarli durante la seduta, non potrebbe la Presidenza escogitare un termine breve che permetta di assicurare la celerità del lavoro, ma che consenta, nello stesso tempo, di avere conoscenza degli emendamenti prima che si apra la seduta?

PRESIDENTE. Onorevole Pella, il Regolamento prevede che si possono presentare emendamenti anche nel corso della discussione, quando abbiano dieci firme, e sappiamo che, data la cordialità e l’accordo che vi è tra i colleghi, è difficile che non si trovino le firme necessarie per presentare un emendamento. Bisognerebbe modificare il Regolamento; ma l’esperienza ci dice che, qualunque disposizione noi prendessimo, praticamente non sarebbe mai osservata, perché sono sei mesi che insistiamo a questo proposito, sono sei mesi che si discutono la Costituzione e progetti di legge e gli emendamenti sono sempre presentati in questo modo.

Sarei ben lieto di aderire all’ordine di idee che è stato manifestato, ma bisognerebbe che tutti coloro che in questo momento plaudono alle parole dell’onorevole Bertone, si chiedessero se non è mai avvenuto che essi stessi abbiano presentato emendamenti in ritardo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non si trova in grado di esprimere un giudizio su molti emendamenti, venendone a conoscenza all’ultimo momento. Pregherei, pertanto, i colleghi, a nome della Commissione, di presentare gli emendamenti almeno 24 ore prima della discussione.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, lei ha sempre diritto, in base al Regolamento, quando si trova di fronte ad un emendamento presentato nel corso della seduta, di chiedere che ne sia rinviato di 24 ore l’esame; ma questa richiesta deve esser fatta per ogni singolo emendamento.

In fondo, si vuol salvaguardare fino all’ultimo minuto la possibilità ai membri dell’Assemblea di dare alta discussione a quel contributo che essi ritengono necessario. Talvolta, può veramente accadere che la discussione stessa sia di stimolo a qualche nuova formulazione. Non si può contrastare questo diritto; ma bisognerebbe servirsene veramente in caso di necessità

In ogni modo, onorevole Bertone, siamo alla fine di questo articolo, che si potrebbe completare. La discussione potrebbe poi essere rinviata a domani in modo che si possa avere il tempo di far stampare altri esemplari degli emendamenti.

Prego comunque gli onorevoli colleghi di volersi interessare per ritirare ogni mattina in archivio tutto il materiale di stampa di cui hanno bisogno per la discussione.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Persico:

«Aggiungere alla lettera a) le seguenti parole: o per divisione inter liberos, a titolo di successione ereditaria anticipata».

Onorevole Persico, mantiene questo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. La Commissione ed il Governo hanno dichiarato di non accettare questo emendamento. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

La lettera a) rimane pertanto così formulata:

«a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per costituzione di patrimonio ecclesiastico o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di seguìto matrimonio».

Passiamo alla lettera b):

«b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi proprî o di fondi provenienti da accensioni di debiti».

L’onorevole Costa ha proposto di sostituire: «alla parola: fondi, la parola: capitali».

Questa proposta è accettata dalla Commissione e dal Governo.

La pongo in votazione.

(È approvata).

Vi è poi l’emendamento degli onorevoli Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo e Foa:

«Aggiungere come nuovo penultimo comma:

«Ai medesimi fini si considerano nel patrimonio del padre le azioni intestate al nome dei figli in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9, salvo non sia dimostrato che le azioni erano state acquistate dal figlio – a titolo gratuito o a titolo oneroso – prima della conversione».

La Commissione ha dichiarato di accettarlo ed anche il Governo si è pronunciato favorevolmente. Lo pongo, pertanto, in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 3:

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

Gli onorevoli Adonnino, Micheli, Bosco Lucarelli ed altri hanno ora proposto di aggiungere, alla fine, le parole: «nei limiti del valore del bene ceduto».

Invito l’onorevole La Malfa, relatore, a pronunciarsi nei confronti di questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, non sono in grado di esprimere un giudizio su un emendamento come questo, che va meditato.

Pregherei l’onorevole Adonnino di illustrarlo.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, vuole illustrare il suo emendamento?

ADONNINO. Lo scopo del mio emendamento è questo: in sostanza con questo articolo, in parte si annulla il trasferimento, in parte, nei riguardi reciproci dei due individui – padre e figlio, poniamo – si mantiene, perché il bene resta al figlio.

Facciamo un esempio. Un padre ha donato al figlio, parecchi anni addietro, un fondo di 100 mila lire. Adesso noi, ai fini dell’imposta progressiva, prendiamo questo fondo e lo consideriamo come un fondo del padre; e naturalmente, unito ai molti milioni che questo padre può avere, la quota proporzionale di imposta che graverà su questo fondo di 100 mila lire, potrà forse essere superiore alle 100 mila lire stesse. Perciò il padre, o gli eredi del padre, vanno da questo figlio e gli dicono: Pagaci più di 100 mila lire.

Paghi quindi esso per lo meno 100 mila lire e si consideri distrutto e come non avvenuto quel passaggio. In altri termini, la proporzione di aumento della progressione non deve incidere su quello che è personalmente del figlio. Mi pare chiaro.

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. In sostanza mi pare che il collega Adonnino voglia evitare che si applichi al patrimonio un’aliquota che non sia quella ad esso pertinente in base al criterio della progressività.

PRESIDENTE. Lei è dunque d’accordo per quello che riguarda il concetto, onorevole La Malfa?

LA MALFA, Relatore. Vorrei valutarne tutta la portata.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Se ho ben capito, il pensiero dei proponenti è questo: che la rivalsa dell’imposta nei confronti di coloro che avrebbero dovuto essere i contribuenti, e non lo sono stati per quello specifico bene a causa del cumulo, cioè, nell’esempio citato, la rivalsa che viene esercitata nei confronti del figliuolo, non superi il valore del bene donato. Quindi, non è questione di evitare una progressività maggiore o minore; è questione di fare in modo che il limite della rivalsa non oltrepassi il valore del bene.

ADONNINO. Nei rapporti tra padre e figlio, lo Stato non c’entra.

PELLA, Ministro delle finanze. Così stando le cose – pur esprimendo qualche preoccupazione circa l’esattezza del termine «ceduto» – accolgo senz’altro l’emendamento a nome del Governo.

ADONNINO. Il termine si può anche modificare. Io parlavo di «ceduto», perché sopra si parla pure di «ceduto».

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole La Malfa se ha qualche cosa da aggiungere dopo le dichiarazioni del Ministro delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Forse più esattamente si potrebbe emendare la dizione della «quota proporzionale al bene» dicendo: «ha diritto di rivalsa della quota che si applicherebbe a quel bene».

SCOCA. Qui supponete che si abbia una aliquota superiore al cento per cento. È assurdo.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che ci sia un equivoco. Qui la dizione «quota proporzionale di imposta» – e do ragione al collega – può significare che si divide secondo i valori l’imposta, e si applica, quindi, a quel bene un’imposta superiore a quella che sarebbe applicata se il bene fosse tassato direttamente. E allora mi pare più semplice dire: «ha diritto di rivalsa di quell’aliquota che si applica a quel bene» (Commenti). Non può essere il valore del bene ceduto, cioè il valore di cessione, perché questo valore muta nel tempo. Quindi, se io accerto presso il figlio un bene ceduto ad un prezzo x, oggi lo accerto al suo valore reale; e quindi, se io accertassi presso il figlio quel solo bene, applicherei una certa aliquota, rispondente al valore reale di oggi. L’onorevole Adonnino vuol dire questo: che il padre si possa rivalere della quota d’imposta che si applicherebbe a quel bene, qualora fosse il solo bene posseduto da un soggetto fisico.

PELLA, Ministro delle finanze. Non è questa la portata dell’articolo.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A me pare che debba restare fermo il testo della Commissione, fissando il criterio della proporzionalità, perché, se anche si accettasse il correttivo proposto dall’onorevole Relatore, ci si potrebbe trovare di fronte ad un cespite per il quale non si saprebbe come determinare la percentuale di imposta, in quanto potrebbe trattarsi di un valore al di sotto del limite imponibile.

LA MALFA, Relatore. Allora non c’è diritto di rivalsa.

CAROLEO. Se si stabilisce questo, sì. Ma non mi pare che sia giusto, perché, se ci sono dieci figli, a cui siano stati date eguali quote, inferiori al limite imponibile, e per le quali, nel complesso, il genitore sopporta anche il criterio della progressione, si lascerebbero esenti tutti gl’intestatari da ogni obbligo di rivalsa. Questo è un eccesso a cui non si potrebbe arrivare. Quindi mi pare che debba mantenersi fermo il testo della Commissione, che è esattissimo e che ci porta ad un criterio di proporzionalità. Tutti coloro che subiscono il cumulo finiranno col pagare rispettivamente una quota proporzionale al valore dei beni ricevuti.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Ci troviamo di fronte ad una questione di una grande delicatezza e gravità, ed io raccomando al Ministro delle finanze di voler bene ponderare, anche per la finanza e per gli uffici fiscali, le conseguenze alle quali si potrebbe andare incontro adottando un provvedimento senza avere prima ben meditato.

L’onorevole Adonnino diceva che lo Stato qui non c’entra. Viceversa c’entra e moltissimo! Questa questione sorgerà al momento in cui l’intestatario di tutti i beni ha avuto liquidato dalla finanza l’imposta progressiva che deve pagare. Dovrà pagare – supponiamo – 50. Egli ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati nel suo patrimonio per una quota, e vedremo quale essa possa essere. Questa quota certamente non può essere la progressiva a cui egli è stato sottoposto, perché egli paga in base ad un patrimonio di 100, mentre colui il quale ha conferito fittiziamente i suoi beni, attraverso il cumulo pagherebbe soltanto 10, 8, 5. Quindi evidentemente si ha una diversità d’imposta.

In secondo luogo, supponiamo che si faccia uno scarico verso il possessore reale dello stabile o del fondo. Costui rimborserà la sua quota, ma l’importante è che colui che è stato tassato d’una imposta progressiva ha il diritto, per ragioni di onestà e di moralità, di essere scaricato della parte d’imposta che si riferisce ad un bene per cui ha diritto di rivalersi.

E allora ecco dove entra l’ufficio fiscale! Si dovrà rivedere la tassazione, ed ogni volta che sorgerà un caso del genere, bisognerà esaminare la posizione del riversante e del riversato, il che vuol dire ritoccare, rivedere le tassazioni.

Non so se a questo si voglia addivenire. Io mi permetto di far presente all’Assemblea la questione, la quale – a mio modestissimo avviso – è importantissima non soltanto per il contribuente, ma anche per lo Stato e per gli uffici fiscali.

Quindi è opportuno meditare bene sull’emendamento prima di prendere una decisione.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io non vedo la gravità del problema. Credo che ci figuriamo un castello che è un castello in aria. La norma del progetto che stiamo discutendo mi sembra sufficientemente chiara. Che cosa vuole la legge? La legge vuole che si facciano i cumuli del patrimonio ai fini dell’applicazione dell’imposta e considera due, tre, quattro patrimoni, giuridicamente divisi, come un patrimonio unico ai fini dell’applicazione dell’imposta progressiva. Ma siccome la realtà giuridica è diversa dalla finzione della legge, il legislatore (ed è proprio il legislatore, perché ci troviamo di fronte ad un provvedimento che ha già efficacia di legge), il legislatore che ci ha preceduti ha considerato il caso per risolvere la questione del riparto dell’imposta sul piano normale: cioè ha dato possibilità a chi ha pagato l’imposta di rivalersi verso l’intestatario, cioè colui che giuridicamente appare il proprietario dei beni.

Il timore che l’onorevole Adonnino affacciava nel proporre il suo emendamento era questo: che siccome l’imposta è progressiva e siccome si arriva a pagare una somma diversa da quella che si pagherebbe se la tassazione avvenisse separatamente, la rivalsa potrebbe assorbire completamente il valore del bene cumulato.

Se questo è il timore dell’onorevole Adonnino, esso non ha ragione di essere, perché, per quanto sia alta l’aliquota, non arriva mai al cento per cento, mentre perché si verifichi l’ipotesi prospettata dall’onorevole Adonnino bisognerebbe che l’imposta superasse il cento per cento.

Qual è il caso che si può verificare? Che il diritto di rivalsa superi la quota di imposta proporzionale che quel determinato intestatario dovrebbe pagare se i beni fossero tassati separatamente. Ma questo è nello spirito della legge che considera più entità patrimoniali come formanti un unico oggetto di tassazione.

Comunque, a me pare lampante che il timore prospettato dall’onorevole Adonnino non ha luogo di essere e che, quindi, si possa in piena tranquillità votare la formula come è stata proposta: porre il limite di cui all’emendamento equivale a supporre una condizione di cose che non può verificarsi.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi pare si debba premettere che in questa questione della ripartizione il fisco non c’entra. Il fisco percepisce dalle mani del cumulatario, cioè da colui a favore del quale è stato fatto il cumulo, ma lascia che cumulante e cumulatario se la vedono fra di loro.

La rivalsa, secondo me, dovrebbe essere proporzionale, cioè pari al tasso d’imposta che viene pagato dal cumulatario. Perché questo? Perché in generale queste suddivisioni di patrimonio vanno da persona che deve probabilmente premorire verso persona che normalmente vive più a lungo.

Quindi coloro che dovrebbero vivere più à lungo riceverebbero al momento dell’eredità il bene diminuito della quantità d’imposta che avrebbe dovuto pagare il cumulatario. Sostanzialmente quindi, dobbiamo fare come nel caso della divisione ereditaria in cui facciamo pagare ad ognuno una quota proporzionale di quello che è stato pagato complessivamente al fisco. La situazione è la stessa e perciò deve essere mantenuto il testo del Governo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono d’accordo con l’onorevole Scoca nel ritenere che non vi sia materia di discussione. Il cespite sarà colpito con una aliquota, ma siccome l’aliquota anche la più alta, è sempre inferiore al valore del cespite, non può presentarsi il caso che un contribuente debba pagare un’imposta più alta del valore del cespite medesimo (Commenti).

Ci sarà una differenza di aliquota fra quello che il conferente avrebbe pagato se il patrimonio fosse stato suo e quello che invece paga il patrimonio cumulato. Non può sorgere il problema che Tizio sia chiamato a pagare per l’imposta pagata dal padre più di quello che valgono i beni che il padre gli ha concesso.

C’è piuttosto una questione che affiora dall’articolo 3, e che è in relazione con l’articolo 60, per quello che concerne le sanzioni per coloro che non pagano. Perché noi qui concediamo il diritto alla rivalsa, ma potrebbe darsi che il fisco domandi a colui che viene ad essere privato dell’obbligo di pagare, di contribuire con il suo patrimonio all’imposta del contribuente principale. Questa è la questione che noi dobbiamo porre fin da questo momento, riservandoci di esaminarla in sede di articolo 60.

Le preoccupazioni dell’onorevole Bertone mi pare siano infondate, perché il fisco in tutto questo non c’entra. Io devo pagare per me ed i miei figli: è un affare che devo regolare con i miei figli, non è un affare che il fisco deve regolare con me e con i miei figli.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. A me pare che la questione sia ormai chiara in un punto iniziale; che, cioè, l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Adonnino non possa creare nessun pregiudizio in riferimento agli obblighi del cumulatario di diversi patrimoni, nel quale cioè si accumulano i patrimoni, sui quali si deve pagare. Non vi possono essere preoccupazioni al riguardo. Quello che diceva l’onorevole Bertone non ha fondamento, perché l’emendamento aggiuntivo tende a disciplinare i rapporti tra colui che è proprietario fittizio e colui che è proprietario effettivo degli immobili. Vi è una garanzia reale dello Stato verso questi immobili, per modo che non sarà possibile a colui che è fittizio proprietario di sfuggire al pagamento della imposta. Dopo di che rimane da chiarire il rapporto fra coloro che pagano e coloro che sono esenti. Per questi rapporti mi pare che quanto è detto nell’ultimo capoverso dell’articolo non sia preciso, perché dire: «Il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni accumulati con quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi» fa nascere il quesito: ma qual è la quota proporzionale afferente i beni? Ve n’è una che appare nei rapporti dei beni cumulati, ma ve n’è un’altra, e non interessa il fisco, quella che si riferirebbe agli immobili qualora fossero tassati separatamente. A questo riguardo vi può essere anche un bene il quale non giungerebbe ad essere tassato. Per questo bene non tassato, indubbiamente, l’individuo proprietario non deve niente al fisco, ma ha il dovere di dare la quota proporzionale a colui che è fittizio proprietario. L’onorevole Adonnino dice: Possiamo avere l’ipotesi che l’imposta che grava su questo cespite per il fittizio cumulo sia una imposta che superi addirittura il valore del cespite. Mi pare che questa ipotesi si possa verificale agevolmente, perché, ad esempio, la quota del 61 per cento riflette l’interezza dei beni, i quali fittiziamente vengono a cumularsi, ma non si riferisce a ciascun cespite. Faccio questa ipotesi: in un patrimonio di centinaia di milioni, che varca lo scatto ultimo per centomila lire, questo cespite, singolarmente preso, non è tassabile. Quando viene ad essere tassato proporzionalmente agli altri beni accumulati fittiziamente, raggiunge una quota altissima: il 30 o il 40 per cento di tutti i beni. Questa percentuale rappresenterà una quota di venti milioni di imposta. Allora l’emendamento aggiuntivo tende a dire: il massimo della quota che il cumulato può pretendere dall’intestatario non deve superare il valore del cespite. Onde credo che si possa aderire a questo emendamento, il quale tende a far sì che la quota proporzionale di colui che deve pagare per un cespite inserito fittiziamente nei beni del cumulante non possa superare al massimo il valore del cespite stesso.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io penso che la parola della saggezza portata dall’onorevole Bertone sia quella da seguire.

È sorta una grave questione che più si discute e più complicata diventa, perché vedo per esempio questo: che i colleghi che si sono occupati della questione hanno guardato alla lettera a) ma non hanno guardato alla lettera b).

Sono colpiti anche i trasferimenti a titolo oneroso che si presumono, ai fini puramente fiscali, fittizi, simulati, ma che però sono tanto veri per quanto il padre chiama il figlio a rimborsare la proporzionale. In questo caso noi avremo la certezza che questo trasferimento, che è ritenuto fittizio ai fini fiscali, è reale giuridicamente. Tanto è vero che il figlio non può opporre al padre: io ho fatto questo negozio per farti un favore, quindi nulla ti devo.

Se non gli risponde questo è perché il negozio, che fiscalmente è fittizio, giuridicamente è reale. E in questo caso noi ci troveremo di fronte a un compratore che dovrebbe riversare milioni al suo venditore, che potrebbe essere anche un altro prezzo della cosa, che potrebbe essere anche il 61 per cento.

Vi prego di considerare anche il caso, che è stato tenuto presente, di una donazione vera e propria.

Qui si avrebbe che il donatario dovrebbe scontare gli effetti della ricchezza del donante. E considerate poi la situazione in cui si troverà questi quando dovrà fare i conti in sede di divisione ereditaria coi proprî fratelli. Che cosa dovrà imputare alla propria quota? Quello che avrà avuto al momento della donazione o questo tanto poi diminuito di quel 61 per cento che in ipotesi avrebbe rimborsato subito?

Mi pare che sorgono delle questioni talmente gravi che meritano che noi rinviamo il seguito di questa discussione a domani mattina, perché si faccia una disposizione sensata, e in questo senso faccio formale proposta che la discussione sia rinviata a domani mattina.

SCOCCIMARRO. Se si accetta la proposta dell’onorevole Condorelli, io mi riservo di intervenire nella discussione in seguito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Sulla proposta dell’onorevole Condorelli, premetto che ne raccomanderò l’accoglimento.

Quando l’onorevole Adonnino ha proposto il suo emendamento, istintivamente abbiamo sentito che vi potevano essere delle ragioni di giustizia per determinare un limite all’esercizio della rivalsa; ma forse il calcolo aritmetico porterà a pregare l’onorevole Adonnino di ritirare il suo emendamento.

Infatti, premesso che questo ultimo comma spiega i suoi effetti esclusivamente nei rapporti interni fra cumulatario e cumulato, per cui il fisco è fuori discussione, salvo le eventuali ripercussioni in sede di garanzia per la riscossione, se l’ultimo comma stabilisce che l’imposta deve essere ripartita in proporzione dei valori attribuiti ai diversi cespiti, è esatto che la preoccupazione dell’onorevole Adonnino non ha ragione d’esistere, in quanto mai vi potrà essere una quota di imposta superiore al valore del cespite cumulato.

La portata dell’ultimo comma, così come è stato presentato davanti all’Assemblea, è nel senso che l’imposta deve essere ripartita proporzionalmente ai valori dei cespiti, e pertanto io debbo arrivare alla conclusione – anche a modifica di quanto ho detto prima – che l’onorevole Adonnino potrebbe tranquillamente ritirare il suo emendamento.

Però è affiorata un’altra questione, a cui ha accennato qualche oratore, relativa alla tecnica della rivalsa.

Se fosse esatto che tutto questo complesso di cumuli rappresenta il rimedio contro le simulazioni che sonò state poste in essere a danno del fisco, evidentemente non dovremmo neanche configurare un diritto di rivalsa, posto che il frazionamento del patrimonio sarebbe interamente fittizio.

Tenuto all’imposta è il vero contribuente, ma il diritto di rivalsa nasce dalla presunzione di simulazione fiscale, che può parzialmente o totalmente essere in contrasto con una determinata realtà giuridica.

Ed allora nasce il problema se in tale ipotesi – ed è tutta una gamma di ipotesi che soprattutto possono differire fra loro, a seconda che ci troviamo sul piano dei trasferimenti a titolo gratuito o a titolo oneroso – la forma di rivalsa configurata dall’ultimo comma dell’articolo in discussione sia la più felice. Ed è allo scopo di riesaminare tutta questa materia, che aderisco alla proposta dell’onorevole Condorelli di rinviare la discussione ad una successiva seduta.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Desidererei dare un chiarimento che può servire al Governo, non essendo perfettamente d’accordo con la dichiarazione del Ministro. L’onorevole Adonnino ha portato all’estrema conseguenza un caso di questo genere: si tassa un miliardo con una aliquota progressiva del 50 per cento. Se divido proporzionalmente l’imposta su qualsiasi cespite io applico il 50 per cento. Se raggiungo il miliardo, cumulando 100 milioni di un discendente, questi cento milioni sono tassati al 17 per cento, cioè io pagherei di imposta 17 milioni. Se invece pago proporzionalmente, pago 50 milioni. Questa è la questione che pone l’onorevole Adonnino, ed è questione molto importante. In effetti, se divido una imposta proporzionalmente, non tenendo conto dell’entità patrimoniale, gravo i patrimoni piccoli di rivalsa molto di più dei grandi. (Commenti).

SCOCA. Allora aboliamo il cumulo!

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviata alla seduta antimeridiana di domani.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

 

 

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Cifaldi                                                                                                              

Nobile                                                                                                               

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                            

Porzio                                                                                                               

Colitto                                                                                                             

Conti                                                                                                                

Caronia                                                                                                            

Dugoni                                                                                                              

Gullo Fausto                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Lopardi                                                                                                             

Dominedò                                                                                                         

Zuccarini                                                                                                         

D’Aragona                                                                                                       

Einaudi                                                                                                             

Uberti                                                                                                               

Nitti                                                                                                                  

Fabbri                                                                                                               

Bozzi                                                                                                                 

Pallastrelli                                                                                                    

Paris                                                                                                                 

Piccioni                                                                                                             

Malagugini                                                                                                      

Merighi                                                                                                             

Medi                                                                                                                  

Miccolis                                                                                                           

Gasparotto                                                                                                      

Togliatti                                                                                                          

                                                                                                                          

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Interrogazione e interpellanze con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Togni, Ministro dell’industria e del commercio                                                    

Li Causi                                                                                                             

Malagugini                                                                                                      

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo riprendere l’esame e la votazione sulle materie deferite dal testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 alla potestà legislativa della Regione. Sono stati approvati i primi dieci alinea. Passiamo ora all’undicesimo alinea: Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.

L’onorevole Nobile ne ha proposto la soppressione.

L’onorevole Caronia, con altri deputati, ha proposto di sostituire la seguente dizione: «Lavori pubblici d’interesse regionale». Si tratta quindi di un emendamento soppressivo della prima parte dell’alinea.

Dovremo passare ora alle votazioni sugli emendamenti.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Sono contrario all’inclusione delle materie che riguardano la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici, sia pure di interesse regionale. Per quanto, specialmente, attiene agli acquedotti, nonostante la limitazione che siano di «interesse regionale», è facile intuire le difficoltà che sorgerebbero, se in questa materia dovesse legiferare la Regione. Per convincersi di ciò basta ricordare quanto è avvenuto nei riguardi dell’Acquedotto pugliese. Quando si dovette decidere della regione, del posto, delle sorgenti dove attingere l’acqua per tante centinaia di Comuni, il Comune proprietario ed i viciniori videro nella creazione di quell’acquedotto una spoliazione a danno delle loro esigenze locali, e quindi quell’opera che interessava una vastissima plaga si è potuta compiere solamente con una concezione unitaria del problema. Oggi vi è la richiesta di buona parte della Campania, e specialmente di Napoli, di un acquedotto che tragga le acque dal Biferno e dal Torano, da zone cioè che appartengono alla Regione del Molise. Ma a questo progetto in via di esecuzione, si oppone la provincia di Campobasso, che insorge contro l’attuazione del progetto stesso, perché lo ritiene contrario agli interessi della sua zona. Ora, solamente con un visione di carattere generale sarà possibile dare acqua a centinaia di Comuni e ad una città come Napoli. Se questo problema dovesse essere di competenza regionale, la sua attuazione pratica sarebbe impossibile. Prego gli onorevoli colleghi di fermare la loro attenzione su queste considerazioni sommariamente esposte, ma che da ciascuno di noi potranno essere maggiormente vagliate, per negare che la Regione debba legiferare anche in materia di acquedotti. Si tratta di poter conciliare gli interessi singoli locali con interessi di carattere generale, si tratta di vincere le possibili e comprensibili resistenze locali, sorte sotto l’impressione di un’eventuale perdita di qualche ricchezza locale, per cercare un beneficio a più largo raggio che interessa la vita nazionale.

E solamente con una visione di carattere generale che possa partire dal centro si può vincere una resistenza di carattere locale.

Sono quindi contrario a questa inclusione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Desidero sapere se è esatto che su questa voce il Comitato abbia introdotto modifiche al testo primitivo, cancellando le voci «viabilità ed acquedotti».

PRESIDENTE. Noi abbiamo sott’occhio il testo del Comitato. Alla Presidenza non risulta alcuna modificazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare all’onorevole Cifaldi che il caso da lui addotto non sembra rientrare nell’interesse esclusivo regionale. Quando si tratta di un acquedotto che eccede l’interesse della Regione, competente sarà lo Stato. La sua preoccupazione non sarebbe dunque fondata.

Quanto all’onorevole Nobile, faccio presente il Comitato non ha innovato nulla. Tiene conto che l’espressione «Lavori pubblici di interesse regionale» comprende anche la viabilità e gli acquedotti. Bisogna mettersi in mente che il Comitato non formula nuove proposte, ma considera gli emendamenti presentati. Il testo rimane: «Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale». Se l’Assemblea crede di votare «Lavori pubblici di interesse regionale», comprendendo in questi gli acquedotti e la viabilità, il Comitato non ha nulla da opporre.

CIFALDI. Si potrebbe votare per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho da fare alcuna proposta.

PORZIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Non so come esprimermi per persuadere gli onorevoli colleghi che non mi muove altro che non sia unicamente il desiderio di giovare, senza partito preso, senza ostilità preconcette. Io vorrei che gli onorevoli colleghi avessero la bontà di considerare tutta l’importanza di questa formulazione, specialmente – devo dirlo – per il Mezzogiorno d’Italia. Perché ha ben detto l’onorevole Cifaldi per tutto quello che concerne gli acquedotti (e nella questione dell’acquedotto è naturalmente compreso un grande interesse di Napoli, che è la capitale della Campania con o senza il Molise); ma, in questo alinea, io vedo anche scritto: «e i lavori pubblici di interesse regionale».

Vorrei sapere quali sono questi interessi regionali nel campo dei lavori pubblici. Signori miei, nientemeno questa legge andrà forse in vigore quando ancora le macerie ingombreranno le nostre città, come avviene in gran parte del Mezzogiorno. Io son venuto ieri da Frosinone e non ho visto che disastri! Per lavori pubblici di interesse regionale s’intende rifare le strade, gli edifici, i ponti e scuole, ospedali, ecc. Ma questo è un attentato contro il risorgimento meridionale, contro regioni così provate dal disastro guerresco.

Sapete che il Mezzogiorno d’Italia ha una grande storia, ha uomini veramente insigni e nomi celebri nei fasti del nostro Risorgimento; ha fertilità, bellezze; ma ha delle magre risorse economiche. Ed allora voi tutto il suo divenire lo affidate alle Regioni, ad enti poveri, ponendo una miseria su un’altra miseria. E lo Stato apparirà, secondo il mio concetto, come un sommo sacerdote, una specie di Ponzio Pilato che si lava le mani riversando oneri, spese, ricostruzioni, tutto, sulle miserabili Regioni che dovranno provvedere a così vaste ed essenziali esigenze. Ecco perché vorrei pregarvi di considerare queste condizioni, e di chiarirle. Siamo mossi da un desiderio di amore al Paese, di fervore nell’adempimento del nostro dovere.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Sia dall’onorevole Cifaldi che dall’onorevole Porzio si è fatto accenno al Molise. Gli esempi da essi indicati mi inducono a votare a favore del testo, ché tali esempi si aggiungono come altri argomenti a quelli che erano già nella mia mente e già mi inducevano a votare come ho detto. Nel 1904 al Molise vennero sottratte le sorgenti del Volturno. Questo, evidentemente, non sarebbe accaduto, se intorno al destino di quelle sorgenti avesse potuto legiferare la Regione.

Una voce. Ecco che la Regione serve a questo scopo.

COLITTO. Questo mi pare che si prepari di nuovo per le sorgenti del Biferno. Le preoccupazioni della mia terra sono tali e tante, per cui io penso che opportunamente interviene in sua difesa la norma, alla quale do il mio voto.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho ascoltato con molto interesse il collega onorevole Porzio, il quale porta una nota malinconica nella nostra discussione intorno alla Regione. L’onorevole Porzio è sempre molto commosso quando parla della Regione, perché intravede nel progetto la fine di questa povera unità d’Italia che ha tanto giovato al Mezzogiorno. Siamo all’ottantasettesimo anniversario dell’unità d’Italia ed il Mezzogiorno è il paese che non ha né acquedotti, né strade, né ferrovie, né tranvie, né enti di beneficenza, né fognature, né scuole, né ospedali: niente. (Applausi). Ed allora è evidente che l’esperimento deve significare, per tutti i rappresentanti della Nazione in questa Assemblea, per lo meno incitamento a tentare un’altra via. Noi, regionalisti convintissimi, siamo qui i primi ad affermare che non giuriamo sulla efficacia del Progetto; che noi non siamo affatto sicuri, come non lo siamo per nessun’altra riforma, dei risultati eccellenti di questo ordinamento regionale che noi proponiamo. Ma diciamo che la coscienza di ognuno di noi deve imporre, almeno, che l’esperimento si faccia. Dopo l’esperimento concentrazionista, dopo l’accentramento statale, dopo il nulla che si è verificato durante 87 anni vediamo se, chiamando le regioni a nuova vita, possa prodursi qualche risultato benefico. Questo è il concetto che ci muove.

Quando poi sentiamo l’onorevole Cifaldi che fa eco all’onorevole Porzio, e sentiamo tanti altri che si mettono sulla stessa strada, assolutamente errata, di considerare la Regione come un ente territoriale, con tanto di muraglia della Cina attorno, chiusa a sé, la Regione che guarda i suoi interessi egoisticamente senza considerare gli interessi nazionali, allora siamo costretti a dire: non avete riflettuto abbastanza su questo grosso problema; non avete compreso che non si tratta di un problema di carattere territoriale, che non si tratta di interessi particolaristici, i quali escludano gli interessi della Nazione, ma che si tratta di una divisione di lavoro. Si vuol portare tra le popolazioni, le quali stanno ad attendere da Roma tutti i benefici, la preoccupazione di risolvere i problemi locali con le proprie forze. (Approvazioni).

Una voce a sinistra. Che non ci sono.

CONTI. Se mi si risponde da parte dell’onorevole Porzio con un’offesa alle popolazioni meridionali, io devo difenderle pur non essendo cittadino del Mezzogiorno, non avendo cioè questo vanto. Egli dice: i meridionali non si muovono; sono gente che bisogna spingere; sono gente che bisogna portare per mano…

MICCOLIS. Crede lei che sia così. Non abbiamo bisogno di essere portati per mano.

CONTI. Lei, onorevole Miccolis, non ha capito! Ripeto quanto sembra voglia dire l’onorevole Porzio.

PORZIO. Non ho detto questo!

CONTI. Se si fa questa obiezione, io dico che si deve riconoscere alle popolazioni meridionali tanta intelligenza, tanta energia, tanta capacità da non aver bisogno della burocrazia romana per vivere (Applausi al centro) e per provvedere a se stesse. Basta, dunque, caro amico Porzio, con le melanconie.

Siamo sempre daccapo con la storia delle capitali, e siamo sempre daccapo con la storia della sorgentucola di acqua e con la storia della strada regionale… Ma, benedetto Iddio, quando faremo lo sforzo di capirci? Quando riusciremo a chiarirci questo problema? Quando si riuscirà a capire che, al di sopra degli interessi regionali, al di sopra degli interessi locali, il Progetto pone in modo fondamentale l’interesse nazionale? Che nulla si può fare che prescinda o che sia in contrasto con l’interesse nazionale? Che nulla può essere fatto e neppure proposto se sia in contrasto con l’interesse nazionale?

Si è detto, se non ho mal capito, che l’Acquedotto pugliese è stato possibile per una concezione unitaria dello Stato. Ma non diciamo sciocchezze! La concezione unitaria, onorevole Cifaldi, non c’entra proprio per niente. (Interruzione dell’onorevole Cifaldi).

PRESIDENTE. Non dimentichiamo che stiamo trattando la questione degli acquedotti in generale.

CONTI. Dicevo, dunque, l’Acquedotto pugliese è stata opera di carattere nazionale, proprio perché v’è stata una coscienza regionale che si è mossa e che lo ha imposto. Non si sarebbe fatto l’Acquedotto pugliese, se in questa Camera, anzi dai banchi dell’antica auletta, Matteo Renato Imbriani non avesse gridato, in cento sedute il suo grido: «La Puglia ha bisogno di acqua e di giustizia». Ci sono voluti anni ed anni per ottenere quell’opera grandiosa.

Oggi si discute per l’acquedotto di Napoli. E l’onorevole Colitto, che ci appare un po’come imperatore del Molise, si oppone alla captazione delle sorgenti di quella regione a favore di Napoli. Ritengo non ci sia nulla di straordinario in questo: è naturale che i più vicini alle sorgenti neghino l’acqua alle popolazioni lontane. Immagino che l’onorevole Colitto preferirebbe che le acque fossero captate a benefìcio delle popolazioni della regione. Questi piccoli egoismi sono nella natura umana, onorevole Cifaldi! Ma basta richiamare ancora una volta il principio che la sovranità d’una Assemblea nazionale supererà queste difficoltà campanilistiche e questi egoismi regionali. Sarà facilissimo, con una legge votata dal Parlamento nazionale, stabilire che le sorgenti del Molise siano di vantaggio per i cittadini di Napoli ed eventualmente di altre città.

Dovete uscire dalle strettoie, nelle quali siete voi antiregionalisti. Dovete sveltirvi; siete addormentati. (Applausi al centro – Rumori a sinistra). Amico Porzio, non essere vecchio; sii giovane, svegliati, diventa regionalista anche tu. (Applausi al centro).

PORZIO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Il mio amico onorevole Conti mi vuole ringiovanito. Egli ha detto che io parlavo della Regione con un senso, con una nota di melanconia. E, forse, sarà. Ma egli, invece, ha parlato dell’unità italiana secondo una visione puramente pessimistica, perché ha negato ogni utile attività a questi 87 anni di risorgimento e di unità nazionale. Eppure credo che la mia città, Napoli, abbia conseguito progressi, pur tra lotte ed ostacoli.

Se non vi fosse stata la guerra, con tutte le sue iatture ed i suoi orrori, Napoli avrebbe ancora vive ed operanti le sue fonti di ricchezza, ora completamente distrutte; cosa della quale noi ci siamo occupati, ma che però ha trovato scarsa eco nell’Assemblea.

Ma all’onorevole Conti devo dire che le sue osservazioni sarebbero state, come sono state, forse, efficaci, in sede di discussione generale, la quale ormai è stata fatta; il dado è tratto ormai. Voi ve ne compiacete; io no, ma comunque, recriminare non giova!

Io desidero richiamare l’attenzione della Costituente sull’alinea che è in discussione.

Non è più il caso di ripetere considerazioni d’ordine generale. Restiamo nel tema. L’alinea riguarda la viabilità, gli acquedotti ed i lavori pubblici che si vorrebbero addossare alla Regione. Ecco il mio allarme.

Il mio amico Conti dice: ci si preoccupa per qualche piccolo rigagnolo d’acqua.

No, no, noi ci preoccupiamo di acquedotti e delle cascate d’acqua che sono inoperose e che devono essere riconvogliate, utilizzate per interesse pubblico, generale. Or ora, avete la palmare dimostrazione della fondatezza delle mie preoccupazioni. Il mio amico Colitto, quando ha sentito parlare di un contributo del Molise (che, per me, è sempre nella regione campana) alle necessità della regione campana si è ribellato ed io pensavo fra me a quel che avevo accennato nella discussione generale, ormai già fatta. Ma dico: guardate che risorgono gli egoismi, risorgono gli antagonismi, e noi torniamo al vecchio «i pisan veder Lucca non ponno»! (Applausi) Lasciamo andare le discussioni di ordine generale.

Il Presidente cortesemente non mi ammonisce, ma indovino che pensa: restate nel tema. Ci sono.

Il tema è questo! Voi volete affidare i lavori pubblici alla Regione, vale a dire, per esempio, la ricostruzione di una Napoli distrutta alla Regione. (Commenti).

Saranno perpetuate le liti all’infinito, i conflitti, i contrasti. Qui a Roma vi saranno ostacoli, interferenze, intoppi burocratici che impediranno il risorgere di questa o di quella Regione. E lungaggini, ritardi, una via crucis estenuante, la via tante volte percorsa penosamente da Napoli.

L’amico Conti diceva: snellite.

Sì, però i lavori si fanno con i denari, con le possibilità finanziarie. E quali sono queste possibilità finanziarie che noi abbiamo, quali?

Ed allora dico: senza preconcetti, senza ostilità, senza voler vulnerare nulla, anche per non dare un dispiacere al mio amico Conti, dico: guardate a questo pericolo. La questione generale, ripeto, è stata fatta, ma cerchiamo di tener presenti i destini del Mezzogiorno d’Italia, del quale tutti quanti parliamo, ma del quale non ci preoccupiamo abbastanza, ora che si stabiliscono gli obiettivi ed i limiti della legge. Ed ecco perché io invocavo ed invoco l’attenzione della Commissione, la considerazione dell’Assemblea, la quale solamente così acquista credito, valore, prestigio, quando cioè si preoccupa dei grandi interessi del Paese. (Applausi).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non rientriamo nella discussione generale. Quel che è avvenuto, è avvenuto! Quando si trattava di istituire o no la Regione, il tema dei lavori pubblici poteva influire in un senso o nell’altro.

L’onorevole Porzio temeva che, togliendo i lavori pubblici allo Stato, il Mezzogiorno ne avrebbe sofferto danno. Invece l’onorevole Conti partiva dal punto di vista che, poiché lo Stato non aveva fatto sufficienti lavori nel Mezzogiorno, era opportuno darne la competenza alla Regione, fornendo ad essa i mezzi necessari.

Fra le due correnti nelle quali si divideva l’Assemblea, ha prevalso quella che ha istituito la Regione. Faccio presente, all’amico Porzio che, una volta istituita la Regione, bisogna per forza attribuire ad essa dei lavori pubblici, perché non si può concepire una Regione senza competenza nel campo dei lavori pubblici. Ma molti, i più dei lavori pubblici resteranno allo Stato. Vi sono, in materia di viabilità, le strade comunali, provinciali, nazionali. Le strade nazionali e la loro Azienda resteranno allo Stato. La Regione potrà (sempre nel limite dei principî stabiliti da leggi della Repubblica) assumere la cura e la costruzione di strade che non siano di interesse statale, ma restino circoscritte nell’ambito della Regione. Ricordiamoci d’aver respinto l’emendamento dell’onorevole Caronia, il quale attribuiva tutte le strade, anche le nazionali, alla Regione. Oltre alle provinciali e comunali (salvo pur sempre una redistribuzione fra gli enti locali) vi saranno strade per così dire ultra provinciali che potranno essere attribuite alla Regione.

I porti non saranno assegnati alla Regione, perché hanno interesse nazionale: vanno alla Regione soltanto i piccoli porti lacuali. Vi è nei lavori pubblici una specie di graduatoria, appunto per la sfera d’interessi ai quali si riferiscono.

Quanto alla giusta preoccupazione dell’amico Porzio, osservo che i lavori di ricostruzione per danni causati dalla guerra non sono lavori pubblici nel senso usuale e proprio degli altri; tant’è che alle ricostruzioni e riparazioni di quei danni, si provvede più spesso mediante sussidî che sono concessi ai privati. Questa categoria di lavori non potrà ad ogni modo spettare e gravare sulla Regione, ma sarà compito e dovere dello Stato, in base ai criteri della più larga solidarietà nazionale e al riguardo uguali per tutte le parti d’Italia.

Riassumo, ripetendomi, il mio pensiero così. Primo: dato che abbiamo istituito la Regione, è naturale che le siano attribuiti lavori pubblici, e saranno quelli che non eccedono l’interesse regionale. Secondo: i danni di guerra eccedono i confini e la caratteristica dei lavori pubblici; comunque la ricostruzione è funzione non declinabile dello Stato. Questi chiarimenti ho voluto dare all’onorevole Porzio.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Abbiamo proposto di sostituire la formula della Commissione con l’altra: «Lavori pubblici d’interesse regionale», in quanto nel nostro emendamento all’alinea precedente, erano compresi la viabilità e gli acquedotti. Poiché tale emendamento non è stato approvato, mi adeguo alla formula della Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Avverto che sull’alinea in esame è stata presentata richiesta di votazione per appello nominale. Pongo ai presentatori della richiesta la questione se essi intendano estendere la votazione a tutto l’alinea, o se intendano votare separatamente le voci dell’alinea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quando si poteva intendere l’espressione «lavori pubblici» come una frase sintetica, comprensiva di tutti i lavori pubblici, beninteso d’interesse regionale, il Comitato non aveva fatto formali difficoltà a tale dizione; ma ora che si è dichiarato che si vuole con essa escludere dai lavori pubblici la viabilità e gli acquedotti, il Comitato si oppone. Cosa resta se volete togliere specialmente la viabilità? Sarebbe più logico allora sopprimere tutto il comma.

DUGONI. Ma c’è anche la Provincia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo di Costituzione ora in esame attribuisce alla Regione la viabilità d’interesse regionale; e ciò, si noti, come potestà di legislazione subordinata. Delle funzioni amministrative ci occupiamo nell’articolo successivo; e vedremo che alle Provincie possono restare le strade di loro esclusivo interesse.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Il Presidente della Commissione ha detto che s’intendono escluse dalla competenza della Regione le strade nazionali. Saranno escluse, per le stesse ragioni, le strade provinciali le quali hanno un ufficio tecnico che non si occupa se non di strade. Bisognerebbe sapere quali sono le strade che residuano e che diventeranno di competenza della Regione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. L’onorevole Gullo ha fatto le osservazioni che avrei voluto fare anch’io. Mi associo, quindi a quanto egli ha detto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già detto che in questo articolo si stabilisce quali sono le funzioni normative della Regione. Si attribuisce ad essa la potestà di legislazione secondaria (entro i principî base stabiliti dallo Stato) per la viabilità, gli acquedotti ed i lavori pubblici d’interesse regionale. Questa funzione normativa non coincide esattamente con le funzioni amministrative della Regione. Di queste si parla nella nuova formulazione proposta dal Comitato per l’articolo 112: «Spettano alle Regioni le funzioni amministrative per le materie indicate nel precedente articolo, in quanto regolate da norme speciali; salvo quelle di interesse esclusivamente locale attribuite con leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni e ad altri enti locali». Inoltre, è stabilito nel numero 8 delle disposizioni finali e transitorie; con un comma aggiuntivo, che «Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali, restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

PRIOLO. Ed alla Regione che cosa resta?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resteranno da costruire e da gestire strade che abbiano interesse non esclusivamente provinciale ma regionale, come sono molte di quelle che si chiamavano «provinciali di serie». Decideranno le leggi della Repubblica che potranno anche – e sarà un notevole vantaggio – rivedere un po’ la distribuzione dei servizi stradali fra Comuni, Provincie e Regioni. Siete sicuri che ai Comuni devono essere lasciate tutte le strade che hanno ora, anche quelle alle quali non possono provvedere? Non sarà meglio passarle in certi casi alla Provincia o anche alla Regione? Questa è una materia che la Costituzione rimanda a leggi della Repubblica. Intanto, per la norma transitoria, nulla pregiudica la competenza della Provincia.

Credo che l’onorevole Gullo possa essere soddisfatto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Dugoni, il quale propone di votare semplicemente la formula: «Lavori pubblici di interesse nazionale». Poi, vi è la formula della Commissione: «Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale».

Dovrò porre anzitutto in votazione l’emendamento dell’onorevole Dugoni: «Lavori pubblici di interesse regionale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero mettere in guardia, ancora una volta, contro un possibile equivoco. Secondo i proponenti, con la dizione «lavori pubblici» si escludono la viabilità e gli acquedotti. Il Comitato si dichiara contrario.

PRESIDENTE. Tenendo conto dell’osservazione dell’onorevole Ruini, faccio presente che l’emendamento dell’onorevole Dugoni dovrebbe essere così formulato: «Lavori pubblici di interesse regionale, salvo la viabilità e gli acquedotti».

In questa maniera sarebbe chiaro il significato di questo emendamento, altrimenti si potrebbe cadere nell’equivoco accennato dall’onorevole Ruini.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Secondo il mio intendimento, l’emendamento ha questo significato preciso: che non possiamo dare alla Regione una facoltà esclusiva rispetto ai Comuni e alle Provincie, in materie così importanti come la viabilità e, soprattutto, come gli acquedotti.

CODIGNOLA. Ma è in via transitoria!

DUGONI. Sì, è in via transitoria; intendo anch’io, onorevole Codignola. Io l’ho detto nel senso che le materie riguardanti gli acquedotti e la viabilità non siano di esclusiva competenza della Regione.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Ruini ha sollevato una eccezione abbastanza giustificata, prego l’onorevole Dugoni di formulare l’emendamento in modo che ogni possibilità di incerta interpretazione sia completamente eliminata.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io volevo dichiarare, nel caso in cui la proposta dell’onorevole Dugoni fosse messa ai voti per togliere alla competenza della Regione la viabilità, che non è esatto quello che egli ha detto in questo momento, che una norma, come quella proposta dalla Commissione e sostenuta dal suo Presidente, dia l’esclusiva amministrazione della viabilità alle Regioni.

Oggi chi è che ha questa esclusiva rappresentanza? Non l’ha certamente lo Stato per intero, perché i Comuni hanno la loro competenza e le Provincie altrettanto. Quale è la competenza che vogliamo dare alla Regione? Parte di quella dello Stato. (Commenti a sinistra).

Qui, cari amici, si tratta di decentrare sul serio…

NOBILI TITO ORO. Liquidatori dello Stato! (Vivaci commenti al centro).

MICHELI. Noi non cerchiamo di liquidare lo Stato, noi cerchiamo di rafforzarlo: siete voi che cercate di liquidarlo, ma non ci riuscirete, perché noi ve lo impediremo. (Commenti).

Noi, nella formazione della Regione, cerchiamo di stabilire quali sono le competenze statali che vengono affidate alla Regione stessa. In materia di viabilità – porto la questione sul terreno pratico – in materia di viabilità dunque, onorevole Dugoni, quali sono le competenze che ha presentemente lo Stato? Le strade di accesso alle stazioni, le strade di serie, le strade di allacciamento coi Comuni isolati, e parecchie altre.

TONELLO. Le strade nazionali.

MICHELI. Onorevole Tonello, questa volta non si tratta dei patronati scolastici! È un’altra cosa, perché nessuno vuole che le strade nazionali passino alle Regioni. Ma ad esempio, perché noi desideriamo che passino le strade di serie alla competenza della Regione? Le strade di serie sono state una geniale creazione del Ministro Baccarini con la legge del 1881, con la quale lo Stato veniva in aiuto alle Provincie impari da sole alla bisogna. Ma lo Stato è riuscito a sistemarne forse poco più della metà. Noi in provincia di Parma, in provincia di Piacenza, in provincia di Reggio, abbiamo ancora otto o dieci strade di serie che non sono state ancora terminate; quante decine d’anni ci vorranno ancora? Ebbene, ce le costruiremo da noi, con le nostre Regioni, amici miei. (Commenti a sinistra).

Non solo, ma aggiungo, onorevole Dugoni, per sua maggiore tranquillità, che le Regioni che non vogliono sostituirsi ai Comuni, li potranno anche aiutare per le strade intercomunali, specie per le maggiori che hanno interessi anche provinciali (Rumori). Voi non avete pratica di queste cose e non siete mai stati in mezzo come ci siamo stati noi che la Regione non abbiamo studiato sui libri, ma ce ne siamo persuasi attraverso le necessità quotidiane dei luoghi e dei cittadini. Ed è precisamente la loro voce che io vengo a portare a voi per confortarvi a disperdere questi vostri timori che non hanno ragione di essere. (Applausi al centro).

LOPARDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, teniamo presente che si deve tornare alla consuetudine delle dichiarazioni di voto che non riaprono la discussione. Ora invece sono ben tre quarti d’ora che stiamo discutendo in sede di dichiarazioni di voto.

Onorevole Lopardi, ha facoltà di parlare.

LOPARDI. Il collega onorevole Micheli ci ha tacciato, lui entusiasta dell’ente Regione, di non aver conoscenza pratica della Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Lopardi, la prego: si attenga strettamente alla dichiarazione di voto.

LOPARDI. Io dichiaro di votare a favore dell’emendamento Dugoni per la ragione che, evidentemente, coloro i quali hanno formulato quella disposizione hanno dimenticato, mentre poi accusano noi di essere degli astrattisti, quelle che sono le condizioni di molte Regioni del Mezzogiorno. Il difetto è tutto questo. Per alcune Regioni si è fatto pochissimo, come, ad esempio, per la Basilicata: ma se non fosse intervenuta la legge speciale, non si sarebbe fatto neppure quel poco. Infatti molte Regioni, la maggior parte anzi delle Regioni nostre, non hanno i mezzi necessari per fare quello che è strettamente richiesto.

MICHELI. Ma c’è l’articolo 122.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, non interrompa, per favore…

LOPARDI. Lo Stato interviene. Se voi guardate nelle nostre Regioni, vedete una differenza sensibile tra le strade comunali, che sono tenute pessimamente, le strade provinciali, tenute un po’ meglio, e le strade nazionali, che sono tenute benissimo. Con l’approvazione di quell’articolo voi condannereste le Regioni nostre all’inferiorità più assoluta. Quando si parla, per esempio, di costruzione di strade, avreste la Regione ricca, la quale provvede largamente a se stessa anche con opere di lusso come certe autostrade, e le strade che si dovrebbero allacciare a quelle della Regione ricca e che appartengono alla Regione povera, o non sarebbero costruite affatto o sarebbero in condizioni disastrose. Ecco perché l’azione equilibratrice dello Stato, così deprecata dall’onorevole Micheli, è necessaria e provvida. E io credo che si farebbe opera dissennata e funesta, e soprattutto esiziale al Mezzogiorno, mantenendo quella disposizione di legge. Per questo voterò contro.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò contro l’inclusione di questa voce. Mi permetto di far osservare che si continua a fare una deplorevole confusione fra potestà legislativa e potestà esecutiva…

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, lei ha chiesto di fare una dichiarazione di voto. Questa non è una dichiarazione di voto.

NOBILE. Ho finito. Constato che si continua a confondere la facoltà di fare leggi con la facoltà amministrativa. È una deplorevole confusione, che si ripercuote anche nella votazione.

PRESIDENTE. Dichiaro chiuse le dichiarazioni di voto. (Commenti).

Passiamo alla votazione.

C’è anzitutto l’emendamento dell’onorevole Dugoni, così formulato: «Lavori pubblici di interesse regionale, esclusi gli acquedotti e la viabilità nazionale».

Poiché è stata ritirata la richiesta di appello nominale, metto ai voti questo emendamento per alzata e seduta.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione della formula della Commissione:

«Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale».

CIFALDI. Come precedentemente avevo accennato, proporrei che si votassero per divisione le varie voci. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ai voti la prima parola: «Viabilità».

(È approvata).

Pongo ai voti la parola «acquedotti».

(È approvata).

Pongo ora ai voti l’ultima parte dell’alinea: «e lavori pubblici di interesse regionale.».

(È approvata).

Passiamo al dodicesimo alinea: «Porti e navigazione lacuale». L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere la parola «porti e», riducendo pertanto la dizione a «navigazione lacuale».

L’onorevole Zuccarini ha proposto la formula: «Porti e navigazione interna e lacuale».

L’onorevole Caronia ha proposto la formula: «Porti, bacini di alaggio e di carenaggio».

Infine l’onorevole Dominedò ha proposto la formula: «Navigazione e porti lacuali».

Chiedo ai presentatori di questi emendamenti se li mantengano. Onorevole Dominedò, mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini?

ZUCCARINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia?

CARONIA. Ritiro il mio emendamento e aderisco a quello dell’onorevole Zuccarini, con l’aggiunta delle parole: «e territoriale».

PRESIDENTE. Che cosa intende per navigazione territoriale?

CARONIA. Intendo riferirmi alle acque territoriali intorno alla Regione. (Commenti).

Una voce. Ma tutte le acque sono territoriali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sul primo emendamento dell’onorevole Caronia – non so bene come egli voglia modificarlo ora, ma ad ogni modo, su quello che fu presentato all’origine – il Comitato non può essere che recisamente contrario. Che cosa dice l’emendamento? Che i porti debbono essere regolati con norme dalla Regione. Il porto di Genova dovrebbe essere regolato soltanto dalla Liguria, il porto di Palermo soltanto dalla Sicilia. Sono interessi nazionali così evidenti che bisogna respingere l’emendamento Caronia.

L’emendamento dell’onorevole Nobile, che si trova spesso, nella discussione, all’altro estremo, vuole sopprimere la parola «porti».

Intendiamoci bene: «porti», nel testo del Comitato, si riferisce soltanto ai porti lacuali, e in questo senso si può accogliere. Nessuno, onorevole Nobile, è senz’altro impeccabile nella forma ed assolutamente perfetto. Lei continua a dar lezioni di tecnica legislativa a chi se ne occupa da decenni. Noi cerchiamo umilmente di migliorare di continuo la nostra formulazione; e prima ancora che ella ci desse la sua ultima – per ora – lezione, avevamo deciso di chiarire il nostro pensiero con un piccolo spostamento di parole, che è registrato ora in un emendamento Dominedò, che dice «navigazione e porti lacuali», e noi dunque lo accettiamo.

Per quanto riguarda l’emendamento Zuccarini, pregherei l’onorevole Zuccarini di non complicare la cosa con i porti interni; che possono attenere anche all’interesse nazionale. Il porto lacuale è una questione più semplice che non esce dall’interesse regionale. Accettiamo soltanto l’emendamento dell’onorevole Dominedò, che è di pura forma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia: «Porti e navigazione interna, lacuale e territoriale».

(Non è approvato)

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Zuccarini: «Porti e navigazione interna e lacuale».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Dominedò, accettato dalla Commissione: «Navigazione e porti lacuali».

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Quando si deve intervenire in questa discussione si è sempre in condizioni d’inferiorità: perché se uno cerca di eliminare alcuni inconvenienti, è subito tacciato di antiregionalista; se invece fa qualche proposta aggiuntiva, passa immediatamente per un feroce regionalista. Ora dichiaro che le domande che farò non hanno nulla a che vedere né con il regionalismo, né con l’anti-regionalismo. Soltanto mi sembra che l’ultima formulazione si riferisca soltanto alla navigazione e ai porti lacuali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche la prima.

D’ARAGONA. Io capisco ancora i porti, per quanto è difficile regolare la navigazione se non c’è un addentellato con i porti. Ora, secondo la dizione dell’articolo, la Regione dovrà regolare la navigazione lacuale. Domando: la navigazione lacuale del Lago Maggiore sarà regolata dalla Regione lombarda o dalla piemontese?

Una voce. La sponda sinistra, dalla piemontese.

D’ARAGONA. Ma non è possibile regolare la navigazione regolando una sponda in un modo e l’altra in un altro modo. (Interruzioni – Commenti).

Domando: il Lago di Garda lo regolerà la Regione lombarda o la veneta; oppure creeremo dei dissidi fra queste due Regioni; oppure dovranno intervenire accordi fra Regione e Regione? Ora è proprio necessario complicare tutto questo? Ma siamo andati sempre avanti benissimo; la navigazione lacuale è stata sempre regolata fino adesso senza bisogno né di ricorrere allo Stato, né alla Regione. Sono accordi che avvengono localmente. Perché non volete lasciare che le cose continuino così, e volete aggiungere invece un altro organismo che complicherà le cose e creerà un’altra burocrazia per stabilire come si dovrà navigare per arrivare al posto A o B? Ecco perché dichiaro che voterò contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare per rispondere all’onorevole D’Aragona.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi sono in Italia laghi compresi in una sola regione: Como, Iseo; e riguardo a questi non vi può essere dubbio. Altri – Garda, Maggiore – sono divisi tra due regioni.

Il Comitato si è occupato della questione. Cosa doveva fare? Lasciare tutta la regolamentazione allo Stato? Escludere ogni legislazione secondaria delle Regioni? È parso di no.

Io sono stato da giovane, quando ero al Ministero dei lavori pubblici, nel servizio che si occupava di navigazione interna; e so che l’ingerenza minuta dell’amministrazione centrale in questo campo può riuscire inutile e dannosa. Meglio lasciare questa materia alla Regione. Vi sono casi in cui un lago ha sponde in due Regioni. Non può evidentemente bastare la regolazione di una sola. Vi è un articolo nel progetto il quale prevede che tutte le norme d’una Regione non possono contrastare con gli interessi di altre Regioni. Questo è già qualche cosa. Ma vi dovrà essere di più. Lo stesso onorevole D’Aragona ha parlato della facilità degli accordi locali. Questi accordi non mancheranno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione accettata dalla Commissione: «Navigazione e porti lacuali».

(È approvata).

Passiamo al tredicesimo alinea. «Acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

Su questo alinea vi sono due emendamenti, presentati rispettivamente dagli onorevoli Nobile e Preti, e dagli onorevoli Dugoni, Malagugini, Merlin Angelina, Bernini, Tomba, Tonello, Grazia, Barbareschi, Fornara, Pistoia.

L’onorevole Colitto ha proposto di sopprimere, dopo le parole: «Acque pubbliche ed energia elettrica», le parole: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Infine è stato presentato il seguente emendamento sostitutivo dagli onorevoli Uberti, Rescigno ed altri: «Acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto la loro regolamentazione non contrasti con la disciplina nazionale di competenza dello Stato e con gli interessi di altre Regioni».

Chiedo ai presentatori di questi emendamento se li mantengono.

NOBILE. Lo mantengo.

DUGONI. Lo mantengo.

COLITTO. Lo mantengo.

UBERTI. Lo mantengo.

EINAUDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Mi associo a coloro che hanno proposto la soppressione di questo comma. Ritengo non possa essere formulata nessuna riserva, la quale venga a menomare, in qualunque modo, il gravissimo pericolo di attribuire alla Regione la legislazione sulle acque pubbliche; e ciò è vero pur facendo astrazione della parola «incida», che non so cosa voglia dire.

In realtà, bisogna affermare recisamente che non esiste nessuna possibilità di legiferare, in materia di acque pubbliche, regionalmente, evitando che siffatta legislazione contrasti con la legislazione nazionale.

La legislazione sulle acque pubbliche è essenzialmente nazionale, anzi tende a diventare internazionale.

Ho avuto occasione altra volta di illustrare questo punto. Se noi accettiamo il comma, facciamo un passo indietro nell’economia e nella legislazione italiana.

È impossibile, assolutamente, legiferare localmente sulle acque pubbliche, sulle derivazioni sia per l’irrigazione, come per la produzione dell’energia elettrica, senza menomare il valore della regolamentazione nazionale. La regolamentazione delle acque pubbliche non può assolutamente avere carattere regionale.

Per queste perentorie ragioni, mi associo a coloro che hanno chiesto la soppressione del comma. (Applausi).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Mi associo alle parole del collega Einaudi. Io credo pericolosissimo, in materia di acque pubbliche, dare qualunque ingerenza alla Regione, che possa compromettere una utile sistemazione nazionale.

Naturalmente l’utilizzazione delle acque pubbliche va fatta in misura della utilizzazione generale. Quando si utilizza un bacino bisogna utilizzarlo nella sua maggiore capacità e prendendo tutto ciò che può essere utile, non con una utilizzazione restrittiva di carattere locale. Quando si tratta di un bacino che può dare una massa d’acqua X, niente di più pericoloso che iniziare lavori con criteri regionali e utilizzarlo solo in parte. Queste utilizzazioni devono essere considerate non solo dal punto di vista nazionale, ma, come ha detto il collega Einaudi, dal punto di vista internazionale. Oramai tutta la rete idraulica italiana si potrà considerare fra poco come una sola rete e lo Stato dovrà intervenire non per aumentare le divisioni, ma per accrescere l’unità fra l’Italia del nord, che ha la massima magra nei periodi estivi, e l’Italia del sud, che ha la massima magra nei periodi opposti. L’utilizzazione deve essere totale. Niente sarebbe peggior cosa di una restrizione a questa utilizzazione generale.

Mi associo quindi a queste considerazioni, ritenendo come una perdita di ricchezza qualunque limitazione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io ho presentato un emendamento col quale mi sembra che le ragioni esposte dagli onorevoli colleghi che hanno parlato un momento prima possano essere conciliate. Vi sono due esigenze che devono essere contemperate. Chi deve dare le concessioni idriche? Lo Stato o la Regione?

È perfettamente esatto quello che dice l’onorevole Einaudi che dobbiamo arrivare alla massima utilizzazione delle nostre forze idriche e perciò che qualsiasi diminuzione, la scelta di un impianto che fosse non adeguato al massimo sviluppo della potenza idrica sarebbe un errore che deve essere assolutamente evitato.

Insieme però a questa esigenza fondamentale vi sono anche dei diritti regionali che non si possono trascurare.

Quando una Regione vede tutte le sue forze idroelettriche trasportate fuori dal suo territorio per modo che le proprie acque non sono utilizzate né per l’agricoltura, né per l’industria locale, evidentemente si determina un contrasto che deve essere superato. Lo stesso onorevole Einaudi deve darmi atto che in una Commissione è stato esaminato il problema, d’accordo anche coi funzionari del Ministero dei lavori pubblici, per trovare una via onde risolvere equamente questo problema, queste contrastanti esigenze, e si è giunti ad una soluzione che a me appare equa, anche perché passare le concessioni alla Regione, significherebbe, oggi che quasi tutte le acque sono concesse, dare a questo nuovo ente un riconoscimento puramente teorico che si eserciterebbe di fatto solo fra trenta o quaranta anni allo scadere del sessantennio della concessione. Si è stabilito cioè che la prerogativa, il potere delle concessioni rimanga nelle mani dello Stato, come il più adatto a scegliere i progetti di più alto rendimento, ma che insieme vi sia il riconoscimento di quelli che sono i diritti della Regione, passando a questa i canoni delle concessioni, ma soprattutto allargando il principio contenuto in embrione nell’articolo 52 della legge attuale sopra le acque pubbliche.

Si riapra il termine del quadriennio a favore dei rivieraschi per l’utilizzazione del 10 per cento della forza idroelettrica ricavata, si conceda un altro 10 per cento gratuito a favore dei servizi regionali, si riconosca una prelazione a prezzo di costo di un altro percento a favore dell’agricoltura e dell’artigianato locale.

Se si vuole mantenere il diritto di concessione in mano dello Stato, bisogna dare qualche cosa di sostanziale, di concreto alla Regione. Riconosco la difficoltà di mettere nella Costituzione il regolamento di queste quote. Sembrami che, a chiarire ogni dubbio, basterebbe introdurre, il seguente emendamento: «acque pubbliche ed energia elettrica in quanto il loro regolamento non contrasti con la disciplina nazionale di competenza dello Stato». Cioè che la concessione, che è la questione essenziale, rimanga nelle mani dello Stato, ma che, nella revisione della legge, si debba arrivare a determinate concessioni a favore delle Regioni.

In questo modo a me sembra che si possano contemperare la situazione di alcune Regioni e le necessità di carattere nazionale. Come ci siamo trovati d’accordo in linea pratica su di una questione particolare con l’onorevole Einaudi, così potremo trovarci d’accordo anche nella formulazione di questo emendamento all’articolo che stiamo discutendo.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mantengo l’emendamento col quale ho proposto la soppressione di questa facoltà della Regione per le ragioni dette dall’onorevole Einaudi, per quelle sostenute dall’onorevole Nitti, e per alcune considerazioni che mi sono state suggerite dal mio predecessore, onorevole Uberti.

Se io fossi stato in dubbio sulla soppressione o meno di questa facoltà data alla Regione, il discorso dell’onorevole Uberti mi avrebbe certamente convinto che era urgentissimo sopprimerla.

E mi spiego. L’onorevole Uberti ha proposto che certe facoltà, certi diritti che oggi sono concessi ai Comuni rivieraschi, che sono in realtà quelli che vengono ad essere danneggiati dall’asportazione delle acque, vengano passati alla Regione, cosicché il Comune il quale già si lamenta per queste acque che se ne vanno malgrado il compenso che ha per l’articolo 54 della legge, si vede, con la proposta dell’onorevole Uberti, portar via anche questi piccoli vantaggi. (Commenti al centro – Interruzione dell’onorevole Uberti). Se ho capito, male, chiedo scusa, ma questo è quanto ho capito, e quanto ha capito, con me, l’Assemblea. Comunque, la Regione si verrebbe a sovrapporre e ad unire allo Stato per spogliare i Comuni rivieraschi. (Commenti al centro). Io dico che, per le ragioni che ho esposte, non posso aderire ad una proposta di questo genere.

Per quanto riguarda l’affermazione che esistono acque pubbliche di interesse regionale, non c’è necessità d’illustrarne l’infondatezza. Infatti non vi sono acque che interessino puramente e semplicemente una Regione: il sistema idrografico è un sistema complesso ed unico che trapassa di Regione in Regione, e quindi ogni locale regolamentazione dell’uso di queste acque è una rottura della completezza del sistema idrografico che, credo, non può essere ammessa per nessuna ragione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei fare una breve dichiarazione di voto. Io voterò a favore della soppressione di tutto il comma, in quanto l’acqua pubblica non può diventare energia, se non attraverso l’atto di concessione, ed è necessario che l’atto di concessione sia ispirato a criteri assolutamente nazionali, perché appena un chilowatt è prodotto, questo chilowatt è una delle merci più fungibili che esistano attualmente, ed è suscettibile di utilizzazione nel punto più remoto dalla sua produzione. Quindi, una produzione di energia che avvenga in una centrale del Piemonte, può servire anche per la Basilicata attraverso elettrodotti ed attraverso una rete di interesse nazionale. Questa utilizzazione e questa destinazione, che fin dalle origini può essere preveduta e regolata, è spesso contenuta negli oneri dell’atto di concessione.

Quindi, dire acque pubbliche ed energia elettrica, significa dimenticare l’atto amministrativo di concessione che deve essere ispirato a criteri di utilità generale nazionale perché è regolativo della produzione e della destinazione di questa produzione, la quale è potenzialmente a disposizione di tutta la rete nazionale. Basta, come dicevo, che vi sia la possibilità di un allacciamento e qualunque servizio pubblico può, con gli opportuni accorgimenti tecnici, utilizzare l’energia più disparata e più diversa. A questo servono le convenzioni di elettrodotto, per cui una società si serve di una rete piuttosto che di un’altra o viceversa; e quindi è un controsenso dire: produzione di energia elettrica in quanto non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni, perché il chilowatt, appena è prodotto, vi incide ed è virtualmente a disposizione di tutta l’economia nazionale.

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io voterò per la soppressione di questo alinea, anche nella formulazione dell’onorevole Uberti, la quale non mi sembra diversa da quella originaria. Infatti, dire: «in quanto la disciplina non contrasti col regolamento statale e coll’interesse delle altre Regioni», significa richiamare un principio di ordine generale che deve essere limitativo di tutta la potestà normativa della Regione. L’attività normativa della Regione incontra sempre queste barriere: essa non deve essere in contrasto col regolamento dello Stato e con l’interesse delle altre Regioni. Richiamare questo principio specificatamente nella regolamentazione legislativa delle acque pubbliche significa, sia pure indirettamente, che, per altre materie, questo vincolo non sussiste o sussiste in modo affievolito. Mi sembra che le ragioni esposte dagli onorevoli Einaudi, Nitti e da altri colleghi, siano decisive. Vi è la necessità impellente di disciplinare in modo unitario questa materia: gli interessi particolari dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni potranno e dovranno essere tenuti in conto, ma sempre nel quadro della valutazione unitaria. Io credo – e richiamo su ciò l’attenzione dell’Assemblea – che inserire questa materia costituirebbe un grave pericolo per l’economia nazionale.

EINAUDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Einaudi, ella ha già espresso il suo pensiero; comunque parli pure.

EINAUDI. Vorrei pregare l’onorevole Uberti di ritirare il suo emendamento. L’emendamento stesso, come ha già in parte osservato l’onorevole Bozzi, significa far sorgere un contrasto, il quale è inesistente, perché non può esistere contrasto fra l’interesse nazionale e l’interesse regionale.

Lo scopo di tutti noi quale è? È quello di cercare quella utilizzazione delle acque pubbliche, la quale dia il massimo rendimento. Ed è soltanto una questa utilizzazione: quella che dando il massimo rendimento nazionale dia la possibilità, altresì, di ottenere il massimo vantaggio per le singole Regioni e per i singoli Comuni.

Io accetterei l’emendamento Uberti, non come emendamento, ma come raccomandazione al legislatore; raccomandazione che del resto si potrebbe ritenere superflua. Ricordo all’Assemblea il fatto che la nostra legislazione sulle acque è la migliore legislazione che esista al mondo. Non esiste nessuna legislazione sulle acque la quale abbia tenuto tanto conto degli interessi nazionali e di quelli locali. Già questa legislazione nazionale, dando un certo privilegio per l’uso dell’acqua ai Comuni rivieraschi, ha affermato il concetto della tutela degli interessi regionali. Lo si potrà in seguito, ma sempre nella legislazione nazionale, affermare ancora meglio. Io non avrei nessuna obiezione a che nella legislazione nazionale si sancisse anche il principio – e nella Commissione per il regolamento della Regione tridentina ho anche fatto mio questo principio – che lo Sato invece di incamerare tutto il canone pagato dai concessionari potrà cedere, a vantaggio della Regione e dei singoli Comuni rivieraschi, anche il 90, anche il 99 per cento del canone stesso. Quello che importa, dal punto di vista nazionale, è che vi sia la massima utilizzazione. Ottenendo questa massima utilizzazione, diamo pure ai Comuni l’intero canone, e riserviamo allo Stato anche solo un diritto nominale allo scopo di affermare il principio della demanialità delle acque. Non è il vantaggio pecuniario ciò che massimamente interessa. Interessa il vantaggio della massima utilizzazione razionale, ed in questa legislazione nazionale potrà anche essere ammesso che non solo i Comuni rivieraschi, ma anche le Regioni, possano avanzare un certo diritto di avere una quota nell’uso delle acque.

Ma questo è affare non della Regione, ma della legislazione nazionale, la quale dovrà curare, nel tempo stesso, tanto l’interesse nazionale quanto quello regionale. (Approvazioni).

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea su una questione molto importante, prima che si decida come votare. L’onorevole Einaudi, con la sua competenza, ha parlato di utilizzazione delle acque. Io mi domando: quale utilizzazione si intende? Oggi, a questo riguardo, il problema più importante per la Nazione non è tanto quello preso isolatamente della utilizzazione delle acque per la produzione dell’energia elettrica, quanto quello, in armonia con esso, della utilizzazione migliore delle acque per l’irrigazione. Se noi vogliamo sul serio che l’Italia possa bastare a se stessa, bisogna ricordarsi che, se non il primo problema, certo uno dei più importanti è quello delle acque per l’irrigazione.

Un maestro in materia, il Petrocchi, scriveva recentemente, a proposito di derivazioni di acque e di interessi nazionali che bisogna stare attenti a queste derivazioni di acque fatte unicamente a scopo di produrre energia elettrica, perché l’agricoltura italiana, se vogliamo vederla prosperare, dovrà avere sempre più a disposizione una efficiente irrigazione: agricoltura oggi vuol dire particolarmente: acqua, acqua e acqua; altrimenti sarà vano ogni miglioramento, ogni riforma agraria, ogni speranza di incrementare la produzione foraggera per avere direttamente carne e indirettamente maggiore quantità di grano. (Commenti).

DUGONI. Questo è un argomento a favore della utilizzazione nazionale.

PALLASTRELLI. Fino ad un certo punto, quando per le acque ci fermiamo al campo nazionale. Circa i bisogni e i diritti locali, dico questo per una dolorosa esperienza acquistata nella mia Provincia, ad esempio, vi è una Regione che ha un versante dell’Appennino che permette di facilitare, con la deviazione delle acque verso il suo territorio, la costruzione di serbatoi con salti maggiori e perciò più facilmente produttori di maggior quantità di energia elettrica. Questo dal punto di vista dell’energia elettrica può sembrare più importante di quanto non si possa ottenere nell’altro versante che può essere la Valle Padana. Così si corre il rischio di togliere tutta l’acqua che spetta per le stesse ragioni naturali ad una Provincia o Regione e che è indispensabile per dare fertilità al terreno.

Queste osservazioni possono valere per la provincia di Piacenza. Si tratta di un grosso problema che non è solo di oggi, ma è una questione che si dibatte oramai da un secolo e di tanto in tanto gli interessi industriali cercano di soffocare il sacrosanto diritto di una Regione che ha bisogno di acqua di irrigazione.

Le brevi considerazioni che ho esposte confermano la necessità che, specialmente in questo momento, si debbano tener presenti gli interessi ricordati della Regione e perciò si deve dare voce e forza alla Regione per difendere l’agricoltura. (Approvazioni al centro).

PARIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Io dichiaro di votare per l’emendamento presentato dall’onorevole Uberti per una considerazione: che gli interessi regionali vengono sempre sopraffatti dagli interessi delle grandi società idroelettriche. Concessioni date 25 anni fa non vengono ancora sfruttate. Vi sono anche gli interessi dell’agricoltura da considerare: noi corriamo il pericolo di vedere spopolate le vallate montane. Che cosa succede con l’attuale sistema di deviare interi corsi di acqua con la traforazione di montagne, di lasciare cioè intere vallate senza irrigazione per l’agricoltura? Si provoca, necessariamente un impoverimento della terra e conseguentemente la spopolazione della vallata. Per queste considerazioni voterò in favore dell’emendamento Uberti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È inutile che io dica che il Comitato non è tutt’uno; si vota anche in esso diversamente gli uni e gli altri. Vi sono state, su questo argomento, due correnti, con diversità pur in seno ad uno stesso partito. Il riflesso che domina nella divergenza è un riflesso tecnico di opportunità. La corrente che ha (contro il mio voto) prevalso ed il cui testo vedete scritto qui, ha fatto dichiarazioni di cui avete sentito anche qui una eco nella voce dell’onorevole Uberti.

Sono grato all’onorevole Einaudi che lo ha ripetuto, ma tutti sanno che il problema idraulico ha tale unità che volerla in qualche modo togliere dalla disciplina dello Stato sarebbe un assurdo economico. Vi dovranno essere piani regolatori nazionali; scambi di energia, ed in sostanza una rete unica in tutto lo Stato. Ciò tanto più in un momento come questo, in cui bisogna utilizzare l’ultima oncia di energia, il minimo chilowatt, anche termico; ed occorre una disciplina unitaria. È una esigenza che la stessa corrente vincitrice non ha negato.

Un altro punto essa ha dichiarato, ed ha molta importanza: che le concessioni devono essere fatte dallo Stato. Su questi due punti vi è unanimità di pensiero.

La corrente dominante, che non è la mia, ha ritenuto che, fermi i due principî accennati, vi possano essere campi in cui la Regione può utilmente dettare norme. Ad esempio, i pozzi artesiani potrebbero essere lasciati alla disciplina della Regione. Vi è poi tutta la materia su cui l’onorevole Uberti ha insistito; alla Regione dovrebbe essere garantita una quota di acque o di energia sulle concessioni dello Stato, per poter provvedere ai bisogni locali.

La corrente che non ha vinto, e che si opponeva all’attuale dizione, riteneva che questa dizione lascerebbe ben maggiori possibilità all’ingerenza della Regione, senza garantire i due punti unitari, dell’unità e della concessione di Stato, riconosciuti anche dai vincitori.

Arrivati a questo punto, l’onorevole Uberti ha proposto un emendamento, cercando di esprimere le necessità comuni che la sua stessa corrente aveva ammesso. Ma anche la dizione da lui proposta non toglie – a mio avviso – il dubbio, perché stabilire che la regolazione della Regione non deve contrastare con la regolazione dello Stato equivale a dire ciò che è già messo nel cappello generale del primo alinea e non risolve, d’altro lato, i dubbi contrapposti.

Questa mattina in Comitato si è delineata un’altra possibilità, che poi è naufragata; ma io la devo accennare: che cioè l’Assemblea, come ha fatto in altre occasioni, stabilisse con un ordine del giorno il principio che ha ammesso anche l’onorevole Einaudi, che si debba rivedere la legislazione idraulica, tenendo conto della opportunità che nelle concessioni vengano assicurate quote alla Regione, sia di acqua che di energia, per provvedere ai bisogni locali. Il problema non è tanto di leggi regionali, quanto di leggi nazionali che devono essere modificate.

Vi ho esposto obiettivamente quali sono le due correnti. Esprimo una opinione personale, ma interpreto il pensiero dei membri del Comitato che mi seggono vicini: l’emendamento Uberti non toglie le difficoltà e i dubbi che si possono sollevare. Quindi, se non si trova altra via, l’Assemblea voti sul testo proposto dalla maggioranza della Commissione. Io voterò contro.

Se, poi, fosse possibile con un ordine del giorno concordare le tesi Uberti ed Einaudi, affermando il principio che la legislazione sulle acque sia ritoccata tenendo conto delle esigenze regionali, io personalmente non ho nessuna difficoltà da opporre.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, mantiene il suo emendamento?

UBERTI. Lo mantengo e dichiaro che con esso si lascia allo Stato il diritto di concessione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma bisognerebbe formularlo diversamente.

PRESIDENTE. Per la votazione dell’alinea in esame è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Nitti, Abozzi, Venditti, Rodi, Rognoni. Colitto, Miccolis, Zappelli, Nobile, Russo Perez, Villabruna, Grilli, Canepa, Capua, Crispo, Einaudi, Morelli Renato, Preti, Tremelloni. Poiché dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Uberti, chiedo se la richiesta di appello nominale debba trasferirsi alla votazione di questo emendamento Uberti.

NITTI. Sì.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Di fronte alla richiesta di appello nominale, che dà un tono di battaglia al mio emendamento, mentre io ritenevo di presentare una proposta conciliativa, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. La votazione per appello nominale avverrà allora sul testo della Commissione.

Chiedo all’onorevole Colitto se intende mantenere il suo emendamento.

COLITTO. Sì.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento dell’onorevole Colitto, secondo me, non può essere accolto né dalla prima, né dalla seconda tendenza, perché affida interamente alla Regione la regolamentazione delle acque, senza nessun intervento da parte dello Stato.

PRESIDENTE. Vi è una richiesta di soppressione totale di questo alinea presentata dagli onorevoli Nobile e Preti. È evidente pertanto che, se questa proposta fosse accettata, non sarebbe possibile procedere ad una votazione parziale. Procediamo, dunque, alla votazione sulla proposta di soppressione totale dell’alinea. Qualora essa venisse respinta, voteremo la soppressione parziale proposta dall’onorevole Colitto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi pare che ieri si sia seguita una prassi diversa di fronte alle proposte soppressive avanzate dall’onorevole Nobile, innumerevoli, in verità.

L’onorevole Presidente ha avvertito l’Assemblea che coloro i quali erano dell’opinione dell’onorevole Nobile avrebbero votato contro il testo posto in votazione.

Questo, evidentemente, anche per guadagnare tempo, perché altrimenti procediamo per voti negativi e dobbiamo poi ripetere la votazione per acquisire qualche cosa di positivo al testo che stiamo deliberando.

Perciò chiederei che fosse seguito il criterio che è stato ripetutamente seguito nella seduta di ieri.

PRESIDENTE. Il problema è facilmente risolvibile – credo anche con sua sodisfazione, onorevole Piccioni – disponendo che nell’appello nominale coloro che rispondono «sì», confermano la conservazione del testo.

È da tener presente che l’onorevole Colitto ha diritto che sia votato il suo emendamento che è di soppressione parziale. Col sistema che ho proposto io, resta salvaguardato questo diritto dell’onorevole Colitto, qualora l’Assemblea non si sia pronunciata nella sua maggioranza per la soppressione dell’intero alinea.

PICCIONI. La soppressione parziale può essere posta ai voti preliminarmente.

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Piccioni; poiché è evidente che – e ciò appare da tutta la discussione svolta – che una formula di questo genere sarebbe insodisfacente per numerosi colleghi, i quali non potrebbero pronunciarsi.

PICCIONI. Non insisto nelle mie osservazioni.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione sulla proposta di soppressione totale dell’alinea.

L’onorevole Nobile ha chiesto su questa votazione l’appello nominale.

Domando se la sua domanda è appoggiata.

(È appoggiata).

Procediamo allora alla votazione nominale, restando così intesi: coloro che accettano la soppressione totale dell’alinea rispondono «sì»; coloro che accettano che l’alinea sia conservato, indipendentemente dalla modificazione proposta dall’onorevole Colitto, rispondono «no».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di soppressione dell’alinea tredicesimo: «Acque pubbliche ed energia elettrica in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

La chiama comincerà dall’onorevole Del Curto.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

AMADEI, Segretario. Fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Allegato – Amadei – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bei Adele – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bosi – Bozzi – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Calamandrei – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Caprani – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallari – Cerreti – Cianca – Cifaldi – Codignola – Colitto – Colonna di Paliano – Colonnetti – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Einaudi.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Fiore – Fogagnolo – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Gravinese Pasquale – Lami Starnuti – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marinaro – Massini – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Giuliano – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sereni – Silipo – Silone – Stampacchia.

Tega – Tieri Vincenzo – Togliatti – Tonello – Tonetti – Tremelloni – Treves.

Valiani – Vallone – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zappetti.

Rispondono no:

Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Bellusci – Belotti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Burato.

Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Ferrarese – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Foresi – Franceschini – Froggio.

Gabrieli – Galati – Germano – Geuna – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – La Pira – Lazzati – Lettieri – Lizier – Longhena.

Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Roselli.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scelba – Schiratti – Scotti Alessandro – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vicentini – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo – Lussu.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli.

Pera.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito.

Saragat.

Villani.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     358

Maggioranza           180

Hanno risposto      180

Hanno risposto no     178

(L’emendamento soppressivo dell’alinea 13 è approvato).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

MALAGUGINI. Per proporre un ordine del giorno sull’oggetto della votazione testé conclusa.

PRESIDENTE. L’articolo 92 del Regolamento dice: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

Io non so a quale proposito lei, essendo stata eseguita una votazione largamente preceduta da una discussione che ne ha chiarito tutto il valore, voglia adesso presentare un ordine del giorno.

MALAGUGINI. Siccome è stata votata la parte negativa…

PRESIDENTE. È stato deciso che l’oggetto non figuri nel testo della Costituzione.

MALAGUGINI. Era per un atto di lealtà. Se non lo posso compiere, mi rassegno.

PRESIDENTE. Rediga l’ordine del giorno, lo mandi alla Presidenza; e così si potrà capire che cosa chiede.

Passiamo al quattordicesimo alinea: «Acque minerali e termali».

Ne hanno proposto la soppressione gli onorevoli Merighi e Fornara; e poi gli onorevoli Nobile e Preti.

MERIGHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Come presentatore di emendamento, lei non ha più ragione di giustificare il proprio voto. Comunque parli.

MERIGHI. Noi, di questa parte, combattiamo anche dopo morti. Ma non è la questione di parte che dovrebbe essere considerata, ma puramente e semplicemente la questione di tecnica.

Dal punto di vista tecnico, noi pensiamo che la questione delle acque minerali e termali sia essenzialmente nazionale; il patrimonio idrico è un bene nazionale, che deve essere devoluto a tutta la collettività.

Per questo siamo contrari alla assegnazione alla Regione delle acque minerali e termali.

La questione delle acque minerali e termali può avere riflessi su altre questioni sostanziali, di interesse nazionale, come il turismo.

Ho voluto semplicemente richiamare l’attenzione sul lato tecnico della questione ed invitare ad una considerazione molto severa della nostra proposta di soppressione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione «Acque minerali e termali».

Si intende che chi ritiene di votare a favore dell’emendamento soppressivo voterà contro la proposta.

(È approvata).

Passiamo al quindicesimo alinea: «Cave e torbiere». L’onorevole Nobile ne ha proposto la soppressione. Gli onorevoli Medi, Martino Gaetano e Dominedò hanno proposto di sostituirlo col seguente: «Giacimenti minerari, cave e torbiere».

MEDI. Chiedo di parlare per chiarire l’aggiunta da noi proposta.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Togliere alla Regione la competenza sui giacimenti minerari vuol dire togliere quello che le spetta di diritto.

MICCOLIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Voterò contro l’inclusione dei giacimenti minerari, perché essi si cercano e si trovano con un’organizzazione e un’attrezzatura che la Regione non è capace di reggere.

MEDI. Che non è mai esistita.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può che confermare la decisione presa dalla Commissione dei Settantacinque ad unanimità, di non assegnare le miniere alla competenza delle regioni; si farebbe una cosa di gravità eccezionale.

Quindi, il Comitato respinge la proposta.

MEDI. È molto importante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione è stata unanime ed è composta anche di elementi competenti del suo partito, onorevole Medi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione: «Cave e torbiere».

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Medi, non accettato dalla Commissione: «Giacimenti minerari».

(Non è approvato).

Passiamo al sedicesimo alinea: «Caccia».

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Non intendo frapporre difficoltà. Voterò anche questa voce, che stava per passare inosservata, ma con questa chiarificazione. Non vorrei che, senza l’interpretazione autentica che richiedo al Presidente della Commissione, venisse a dimenticarsi quella legge unica sulla caccia, che fu fatica legislativa di 50 anni, perché è risaputo che prima della legge proposta dal Ministro Angelo Mauri, accettata dal Ministro De Capitani e diventata testo legislativo nel 1924, la legislazione della caccia era frammentaria; cioè si riportava alle ordinanze degli antichi Stati comprese, per il Veneto e la Lombardia, le ordinanze di Napoleone e del principe Beauharnais, viceré d’Italia.

La scienza ed i cacciatori reclamarono a gran voce una legge unica, e attraverso sudati tentativi, attraverso quello del Peruzzi, del Baccelli, del Raineri e tanti altri, si è giunti nel 1924 all’auspicata e giustificata unificazione. Auspicata e giustificata perché? Perché la caccia si distingue in caccia alla selvaggina stanziale che si può dire che non esista quasi più, salvo quella di allevamento, che può essere attribuita alla regolamentazione regionale o provinciale; e in caccia alla selvaggina emigratoria che attraversa la penisola italiana da nord-est a sud-ovest e che appartiene a tutti e a nessuno e interessa l’intero territorio del Paese.

Ora, nei riguardi di questa caccia (alla selvaggina cioè migratoria), il provvedimento non può essere che generale per tutto il Paese, in quanto, altrimenti, verrebbe a crearsi una concorrenza fra Regione e Regione, fra Provincia e Provincia, al fine di ottenere il maggiore sfruttamento particolare.

Per esempio, la legge unificata proibisce, in massima, la caccia primaverile. Se noi abbandonassimo alla legislazione regionale questa materia; avverrebbe che per ragioni di egoismo locale potrebbe ritornare in onore quella caccia primaverile che è realmente distruttrice della selvaggina, e, come tale, dovrebbe essere abolita in tutto lo Stato.

Di conseguenza approvo la voce «Caccia», in quanto che il primo comma dell’articolo si richiama ai principî generali delle leggi nazionali e quindi dico e domando al Presidente se intenda con questo di rispettare nei principî suoi fondamentali quella legislazione unica che è stata, come dissi, fatica e conquista legislativa di 50 anni.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Gasparotto che domanda una interpretazione autentica, io posso dichiarare soltanto che siccome è la legge dello Stato a stabilire i principî fondamentali in base ai quali l’attività legislativa della Regione dovrà esplicarsi, si potrà tener conto – agli effetti di una certa uniformità – di quel complesso di motivi che ha portato alla unificazione legislativa soprattutto per impedire la devastazione della selvaggina.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il sedicesimo alinea: «Caccia».

(È approvato).

Passiamo al diciassettesimo alinea. «Pesca nelle acque interne».

Gli onorevoli Caronia, Dominedò ed altri hanno proposto di aggiungere le parole: «e territoriali».

Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può accogliere la proposta di emendamento dell’onorevole Caronia, perché aggiungendo le acque territoriali si ammette che la pesca marittima sia regolata dalla Regione. Una parte importante della pesca si svolge appunto nelle acque territoriali, e quindi il Comitato respinge l’emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presente nessuno dei firmatari dell’emendamento, si intende che vi abbiano rinunciato.

Pongo in votazione la formula della Commissione:

«Pesca nelle acque interne».

(È approvata).

Passiamo al diciottesimo alinea: «Agricoltura e foreste».

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Data la gravità e l’importanza del tema dell’agricoltura, non sarebbe meglio rinviarne la discussione alla seduta di domani?

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti, lei fa proposta formale?

TOGLIATTI. Si.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Togliatti di rinviare a domani la discussione.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 17.

Interrogazione e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali non si dà ancora pratica esecuzione agli impegni solenni assunti dal Governo, anche davanti all’Assemblea Costituente, relativamente alla ricostruzione ed al potenziamento dell’organo politico (Sottosegretariato od Alto Commissariato), che dovrà occuparsi – eliminando una situazione di penosa incertezza – del riordinamento dei servizi riguardanti i danni di guerra e della emanazione della legge organica, che da due anni i sinistrati ed i danneggiati reclamano ed attendono».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Comunicherò questa interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, riservandomi di far conoscere eventualmente domani quando vi sarà data risposta.

LI CAUSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. Desidererei sapere quando potrà essere discussa la mia interpellanza sulla situazione in Sicilia.

PRESIDENTE II Ministro dell’interno ha comunicato di essere pronto a discuterla nella seduta antimeridiana di martedì prossimo.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Ho presentato venerdì scorso una interpellanza con carattere di urgenza. Desidererei sapere quando sarà svolta.

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, lei sa che la seduta pomeridiana di lunedì prossimo sarà interamente dedicata allo svolgimento delle interrogazioni ed interpellanze urgenti.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. In seguito alla constatazione della mancanza del numero legale in occasione della votazione nominale di stamani sull’ordine del giorno degli onorevoli Macrelli, Chiostergi ed altri, la prosecuzione della discussione sul decreto legislativo istitutivo di un’imposta straordinaria sul patrimonio è stata automaticamente rinviata alla seduta di domani mattina con inizio alle 10.

Poiché alcuni deputati hanno prospettato l’opportunità di un breve ritardo dell’inizio della seduta antimeridiana di domani, per consentire che abbiano luogo alcune riunioni di Gruppo, la seduta di domani mattina, se non vi sono osservazioni in contrario, comincerà alle 10,30.

(Così rimane stabilito).

Comunico che l’Assemblea dovrà iniziare, probabilmente nel corso della settimana prossima, l’esame del disegno di legge per l’autorizzazione alla ratifica del Trattato di pace. Penso, perciò, che potrà essere opportuno prolungare le sedute nella tarda serata, in modo da esaurire nel minor tempo possibile la notevole mole di lavoro urgente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non intenda, per evidenti ragioni di equità estendere anche a favore dei privati concedenti, le norme sancite dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 4 dicembre 1946, n. 671, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio 1947, n. 39, col quale si stabilisce la temporanea sospensione, fino al 31 dicembre 1948, dell’esercizio del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici, censi ed altre prestazioni perpetue nei riguardi dei comuni, provincie, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti ecclesiastici beneficiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda urgente di restituire approvato lo schema di decreto per il ripristino delle preture di Cesarò e San Fratello (Messina), comunicato dal Ministro di grazia e giustizia, con nota numero 1760 del 7 febbraio 1947, tenendo presente che il provvedimento non porta carico finanziario per lo Stato – perché si provvede al personale con quello esistente nel distretto della Corte di appello di Messina – e che il decreto legislativo 4 gennaio 1947, n. 64 (Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 1947) ha fatto la determinazione della circoscrizione del Tribunale di Mistretta, che funziona dal febbraio di questo anno senza che ancora – da allora – siano ricostituite le due preture suindicate, della circoscrizione del Tribunale stesso, che era stato soppresso dal regime fascista dopo 50 anni di esistenza e deve ormai funzionare regolarmente. L’assurdità della situazione attuale è che le cause del mandamento di Cesarò (provincia di Messina) si fanno per ora a Bronte (provincia di Catania) e le cause in appello anziché al Tribunale di Messina si fanno al Tribunale di Catania, cioè in un’altra provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile»

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello. Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente                                                                                                        

Adonnino                                                                                                         

La Malfa, Relatore                                                                                           

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

De Vita                                                                                                             

Schiratti                                                                                                          

Bertone                                                                                                            

Micheli                                                                                                             

Di Fausto                                                                                                         

Valiani                                                                                                             

Chiostergi                                                                                                        

Angelini                                                                                                           

Porzio                                                                                                               

Scoccimarro                                                                                                    

Dugoni                                                                                                              

Persico                                                                                                             

Marina                                                                                                             

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 5 luglio.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Marchesi.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Procediamo allo svolgimento degli ordini del giorno. Il primo è dell’onorevole Adonnino ed è così formulato:

«L’Assemblea Costituente,

considerato

che l’imposta patrimoniale proporzionale, di cui al decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, ratizzata in soli 10 bimestri, può riuscire troppo gravosa ai piccoli e medi contribuenti e può produrre dannosi perturbamenti economico-sociali con deleteria conseguenza sulla grande opera di ripresa cui il Paese si accinge,

e che il termine del 10 luglio prossimo venturo, per la domanda di riscatto, coglie i contribuenti in periodo non ancora concluso di introiti dell’annata agricola,

invita il Governo

a studiare una forma, pur limitata, di maggiore ratizzazione, anche con tenui interessi, a favore di contribuenti che si trovino in determinate condizioni e che siano ritenuti dagli uffici statali meritevoli della speciale agevolazione;

e a disporre che le domande di riscatto possano essere accettate almeno fino al 30 ottobre prossimo venturo».

L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgerlo.

ADONNINO. Onorevoli colleghi, in sostanza, più che uno svolgimento dell’ordine del giorno, questo è un ringraziamento all’onorevole Ministro il quale, si può dire, nei concetti fondamentali, ha accolto le richieste che io in quello facevo.

Non le ha accolte completamente, le ha accolte in certa misura ed è per questo che io profitto dell’occasione che ho di dirne ancora. Quanto all’imposta proporzionale, chiedo al Governo una maggiore ratizzazione di quella che nel progetto è contenuta e chiedo, in secondo luogo, uno spostamento del termine della presentazione delle domande di riscatto. Un certo spostamento ho letto che è stato apportato. Prego che questo spostamento sia maggiore. I due argomenti sono specifici e, si potrebbe dire, secondari, ma la giustificazione di queste mie due richieste credo stia in quei concetti fondamentali, generali, che sono stati qui a lungo e profondamente discussi. In sostanza, da tutta la discussione parmi sia risultato che questa imposta che stiamo creando (e abbiamo il dovere di creare) è un tributo gravissimo ed in certo senso ingiusto per le classi umili. Bisogna dirlo con assoluta sicurezza e con assoluta lealtà. Tutti l’approveremo di buon animo, considerando la necessità di salvare la lira e di rinforzare le casse dello Stato, ma di fronte a questo importante concetto c’è la necessità assoluta – tutti lo vediamo, e bisognerebbe essere ciechi per non vederlo – di porre nella stessa rilevanza ed in tutta la sua imponenza il concetto della sopportabilità e della giustizia del tributo. Mi pare che questo secondo concetto non sia stato sufficientemente considerato, e che si sia voluto sminuire il significato della giustizia e della sopportabilità del tributo, mentre è rimasto preminente il concetto della necessità di esso. Ho ancora nelle orecchie le parole dell’onorevole Relatore, che ha sottolineato soprattutto la necessità assoluta di questo tributo. Cosa importa – egli ha detto – a me dei criteri della giustizia tributaria? Quali che essi siano, io non voglio nemmeno guardarli: mi inchino alla necessità, e vado avanti.

Che debba avere preminenza il concetto della necessità nessuno può negarlo, lo ripeto, ma che il concetto della giustizia del tributo e la sua sopportabilità debba essere un concetto evanescente, mi pare cosa inammissibile, anche perché determina posizioni psicologiche di partenza ed orientamenti intellettuali che possono spingere verso gravissimi errori. Se ci poniamo su questo binario, se cioè non ci importa per nulla la giustizia, e il colpire una classe piuttosto che un’altra, od una parte di una classe, piuttosto che un’altra parte di un’altra classe, noi andiamo incontro a gravissimi errori e a gravissime conseguenze.

Se invece teniamo conto di ambedue le esigenze molto importanti, cioè non disconosciamo mai la necessità del tributo, ma teniamo nella giusta considerazione il criterio della giustizia tributaria, forse potremo giungere a qualche modifica, a qualche addolcimento e temperamento che, senza nuocere alla necessità, potrà diminuire ed attenuare l’ingiustizia.

Ora, mi pare fondamentale ed innegabile che l’imposta colpisce principalmente le classi dei medi e soprattutto dei piccoli proprietari terrieri dell’Italia meridionale. Si sa – sono dati di pubblica ragione – che globalmente il valore patrimoniale della ricchezza italiana si aggira intorno ai 2250 miliardi, e che di questi 2250 miliardi, i due terzi, vale a dire 1500 miliardi, sono costituiti dalla proprietà immobiliare rurale soltanto.

L’altro terzo è costituito dalla proprietà immobiliare urbana (fabbricati), dai valori industriali e commerciali e dagli altri valori.

E, quando colpiamo principalmente la proprietà immobiliare rurale, colpiamo per due terzi i piccoli e medi proprietari. Vi dico piccoli e medi proprietari, perché è risaputo che in tutta Italia la piccola proprietà è nella proporzione del 54 per cento, con punte che arrivano, nell’Italia meridionale, fino al 60 per cento. Mi pare dunque assolutamente incontestabile che noi con questo tributo colpiamo principalmente i piccoli e medi proprietari meridionali. Se teniamo presente che non si colpiscono i depositi bancari ed i titoli al portatore – e l’onorevole Relatore ci dice nella sua relazione che essi ammontano a circa 1600 miliardi, di fronte ai 1500 miliardi di proprietà immobiliare rurale che noi colpiamo – se pensiamo che tutta la massa circolante del denaro (ed ormai non si parla più di cambio della moneta) è assolutamente esente, non possiamo negare questa verità fondamentale della gravità e della ingiustizia del tributo. Non dico questo per fare colpa a nessuno; riconosco che siamo – forse inesorabilmente – costretti dalla necessità. Ma ciò non deve indurci a chiudere gli occhi alla realtà.

Inoltre, bisogna tener presente un altro concetto. È provato dalla statistica finanziaria che col crescere dei redditi secondo una certa proporzione, i capitali corrispondenti crescono in una proporzione maggiore. È evidente dunque che quella che è un’imposta proporzionale sul capitale, ragguagliata al reddito, diventa un’imposta progressiva, e quella che è un’imposta di una certa progressione sul capitale, ragguagliata al reddito, diventa una imposta maggiormente progressiva. Questa è la prova della gravità dell’imposta, e di fronte a ciò avrei desiderato che anche da parte ufficiale si fosse riconosciuta questa gravità per cercare di giungere ad una soluzione possibile: riconoscimento che, invece, è mancato del tutto, mettendosi anzi in ombra gli elementi di gravità e di ingiustizia sopra dimostrati.

L’onorevole Ministro, con la sua autorità, ci ha detto che in Piemonte questo tributo grava molto di più che nelle altre parti d’Italia. Secondo lui, il Piemonte è la zona più colpita. Se l’onorevole Ministro fa la proporzione fra il reddito che i terreni danno in Piemonte e le quote che lo colpiscono, e se principalmente confronta la proporzione tra ricchezza immobiliare e ricchezza mobiliare dell’Italia settentrionale e dell’Italia meridionale, allora nessuno potrà negare la verità del mio assunto, verità lapalissiana, che quella che è maggiormente colpita è la piccola proprietà dell’Italia meridionale.

Si dice che la gente affluisce agli sportelli per pagare. Onorevoli signori, si paga la prima rata; bisogna pensare, però, che appresso alla prima rata, di due mesi in due mesi, ci sono le altre rate, e poi c’è anche la progressiva. Ora, il fatto che si paghi la prima rata con buona volontà, forse può essere ragione di una lode all’eroismo, non mai smentito, del contribuente italiano; ma non bisogna poi avere la sicurezza assoluta che questo eroismo potrà continuare.

Gli sportelli sono affollati di gente che corre a riscattare. Ora, bisognerebbe sapere quale è la proporzione fra le somme riscattate e quelle dovute. Insomma, questi che sono indici in parte confortanti, non si può dire che siano indici assoluti, per cui si possa, a cuore leggero e ad occhi chiusi, dire che se anche l’imposta fosse più grave non importerebbe nulla.

Io vorrei che i colleghi tutti, con comprensione pensosa, tenessero conto delle necessità impellenti del Tesoro e della moneta, senza dimenticare però la necessità anche di una giustizia, giustizia che io credo necessaria per il buon andamento della cosa pubblica.

D’altra parte, io vedo che specialmente l’onorevole Relatore ha tirato fuori una teoria, la quale, in se stessa, è la confessione più precisa della gravità di questo tributo. Egli ha detto che se i piccoli e medi proprietari non possono pagare, debbono vendere e buttare quindi sul mercato la maggiore quantità possibile di beni immobili. Questo, secondo lui, farebbe ribassare i prezzi e farebbe raggiungere lo scopo che ci si propone. Il concetto è geniale e non potevamo non aspettarcelo da un geniale finanziere qual è l’onorevole Relatore. E c’è stata la parola dell’onorevole Ministro delle finanze, che ha accennato ad uno scopo sociale di redistribuzione della ricchezza, ed ha detto che bisogna promuovere questa svendita, questo afflusso globale ed in massa di appezzamenti di terreno, di immobili, sul mercato, per far ribassare i prezzi.

Ora io dico francamente che queste affermazioni, queste posizioni intellettuali di partenza, mi preoccupano. Sarà quello che sarà nel campo teorico (e anche nel campo teorico vedremo che tali affermazioni sono erronee), ma in sostanza, di fronte alla massa del popolo italiano creano gravissime preoccupazioni e difficoltà. Ripeto, questo principio ufficialmente proclamato alla Costituente e diramato in Italia da tutti i giornali, è un principio che ha profondamente preoccupato tutti quanti.

Io osservo che l’esigenza di giustizia, in altri punti del decreto in esame, è stata tenuta in opportuna considerazione. Infatti: perché non si sono trattati gli enti collettivi? Perché la loro trattazione creerebbe una sperequazione tra enti che presuppongono partecipanti ed enti che non li presuppongono. Perché, dunque, quando si discute delle classi che debbono essere colpite e della gravità delle aliquote e delle ratizzazioni, l’esigenza della giustizia deve essere dimenticata? Bisogna dare sempre al concetto di giustizia quel necessario risalto che possa portare ai giusti temperamenti.

Badate: la piccola e media classe rurale italiana è forse l’unica parte veramente sana dell’economia italiana; è la spina dorsale della nostra economia. Diceva lo stesso onorevole Relatore che ogni tributo, per un buon gettito, conta principalmente sulle classi piccole e medie. Ma allora preoccupiamoci di non sacrificarle; di lasciarle in vita, con piena e rigogliosa vitalità: esse hanno tutte le qualità necessarie per la nostra ripresa: tenacia al lavoro, spirito di sacrificio, abitudine al risparmio, resistenza alle avversità, vita sobria: è una classe fondamentale, che non va in alcun modo trascurata. Ed essa paga realmente le tasse. È mestiere dunque non aggravarla tanto da mettere in pericolo la sua esistenza.

Il ricco si salva sempre, specialmente nel campo della proprietà terriera; perché i ricchi proprietari, che hanno molte proprietà coltivate a prodotti non vincolati hanno accumulato, con i prezzi odierni, delle forti disponibilità. Forse si salva anche il piccolissimo, perché a suo favore certamente intervengono dei principî equitativi e delle agevolezze: quelli invece che non si salvano sono il piccolo e il medio, quelli che sono l’unica speranza del nostro risorgimento economico, quelli che sono l’unica tranquillità nostra.

E, del resto, tutti diciamo che vogliamo proteggere il piccolo e il medio proprietario; lo si dice anche dalla parte estrema della Camera e questo è il vero titolo di onore di quei nostri colleghi. Dobbiamo darne loro atto. Benché infatti per la loro posizione ideologica, quella marxistica, che dovrebbe renderli contrari a qualunque tipo di proprietà, essi non potrebbero a rigore ammettere e tanto meno proteggere la piccola e la media proprietà, essi di fatto la proteggono; essi, di fronte alla necessità di risolvere il problema gravissimo dell’economia nazionale, di fronte a questa nostra situazione disastrosa, si mostrano disposti ad accantonare la loro ideologia. Io non so come possano conciliare tale loro politica con la loro posizione mentale, ma, in fondo, ciò non è affar nostro: a noi compete il doveroso riconoscimento di questo loro merito.

Una voce a sinistra. Perché noi non andiamo contro la realtà.

ADONNINO. Inoltre io non vedo ancora un concetto chiaro, evidente, di quelli che saranno i risultati dell’applicazione di questo tributo. Avrei desiderato che gli organi tecnici ministeriali ci avessero approntato dei conteggi precisi. Ad esempio: un ettaro di terra coltivata in una maniera nell’Italia settentrionale, un ettaro di terra coltivata in un’altra maniera nell’Italia centrale, un ettaro di terra coltivato in una terza maniera nell’Italia meridionale saranno gravati dal nuovo tributo in questa o in quest’altra misura. E allora si potrà discutere se il peso sarà più o meno agevolmente sopportabile; se sarà sopportabile o sarà insopportabile. Invece, nulla di tutto ciò. Ci si dice, vagamente: se i proprietari non potranno pagare, venderanno e i prezzi ribasseranno. Ma insomma tutto questo è un concetto generico, vago, che non può darci la tranquillità necessaria a compiere il nostro dovere.

Io vi dico, onorevoli colleghi, che se veramente dovessimo arrivare a una forte compressione della piccola e della media proprietà, ci assumeremmo una responsabilità innegabilmente grave. Quanto poi all’idea di non doverci dolere troppo se obblighiamo i proprietari a vendere perché, con l’aumento dell’offerta, raggiungeremo lo scopo di un ribasso generale dei prezzi, io debbo osservare che è un’idea nuovissima mai espressa da alcuno. Ho cercato infatti di compulsare tutte le pubblicazioni in fatto di imposta patrimoniale, ma nessuno ha mai detto che si debba agevolare questa svendita.

In certi casi, i concetti drastici, meccanici, anche in economia, possono avere il loro effetto.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, vorrei pregarla di tener presente che i venti minuti sono trascorsi.

ADONNINO. Mi avvio alla conclusione. Bisogna andare molto cauti, al riguardo.

Io comprenderei il sistema drastico se agisse in tutti i settori, di qualunque commercio, e permanentemente, in un periodo di una certa lunghezza: allora sì, si avrebbe, con il generale e persistente aumento dell’offerta, a domanda invariata, il ribasso generale dei prezzi, da noi e da tutti tanto ardentemente auspicato. Ma se voi provocaste un aumento di offerta in un solo settore, anzi in una sola parte di un settore, cioè nelle compravendite di piccoli e medi immobili – settore che, per giunta, influisce solo indirettamente sul mercato dei generi di più largo consumo, che è quello che a noi più interessa – e solo con un atto drastico momentaneo, cioè con un’imposta una volta tanto, allora voi provochereste solo il ribasso limitato e momentaneo in quel settore e in quel momento; cioè rovinereste una classe, determinereste uno spostamento artificioso ed ingiusto, anzi immorale (che cos’è di diverso l’aggiotaggio?) di ricchezza, ma non influireste per nulla sul livello generale dei prezzi, e, quel che più monta, sul livello dei prezzi dei generi di prima necessità e di largo consumo popolare. Anzi, vi dico, che aumentereste la speculazione, cioè provochereste un rialzo generale dei prezzi.

Un nostro grande economista, che tutti rispettiamo come maestro, criticando in un aureo libretto una patrimoniale che non si arrivasse a pagare col reddito, scriveva: «Ovvero il contribuente si decide a vendere parte del suo patrimonio?… Le vendite producono il consueto inevitabile effetto di tutte le vendite in massa: lo svilimento dei beni offerti… Il vantaggio di chi sarà? Dei pescecani, dei borsari neri, delle prostitute arricchite, che, avendo possibilità liquide, potranno partecipare alla baldoria». Sapete chi è questo grande economista? È il nostro Ministro del bilancio: Luigi Einaudi.

E con tale sistema di vendite in massa neanche si raggiunge lo scopo sociale di una ridistribuzione delle terre, perché in questo modo esse non vanno ai contadini, non vanno ai coltivatori. Questo è lo scopo sociale della riforma agraria che si deve fare, e che si farà in quest’aula; ma si deve fare in modo che gli appezzamenti di terra vadano a chi lavora, non agli speculatori, ai borsari neri, che poi li rivendono aumentando così la speculazione e aumentando anche i prezzi delle altre merci, che già tanto pesano sulle nostre spalle.

Questa è la situazione, onorevoli colleghi; voi vedete che parlo per affermazioni schematiche, ma le verità sono tanto evidenti che non hanno bisogno di dimostrazione.

L’onorevole Ministro ha detto anche: «Noi impediremo che le Banche facciano credito ai contribuenti». Perché? Per attuare meglio, in pratica, la teoria delle vendite coatte testé discussa? Del resto, per avere crediti, c’è soltanto da ricorrere alle Banche?

Si obbligheranno i contribuenti a ricorrere agli usurai, dando così nuova esca a questo terribile malanno. I mezzi drastici e meccanici sono sempre pericolosi. Lo sono massimamente in economia! Non s’illuda l’onorevole Ministro di poter fare tutto quello che vuole. Le leggi economiche si ribellano a qualunque autorità! Il vero guaio è che quando si giunge in posti di autorità, si acquista la tendenza a credere che l’autorità può tutto. In sostanza, l’uomo che arriva al potere non è più lui: diventa un altro uomo. (Si ride).

Io ho provato l’orgoglio che dà l’autorità quando mi hanno fatto caporale. (Si ride).

Una voce al centro. Era molto più di un Ministro!

ADONNINO. Allora, sì. Vi posso raccontare a proposito del senso dell’autorità un episodio. (Commenti).

Lo dirò in due parole. Lenin – ed era quel po’ po’ di colosso che tutti conosciamo – in quella fatale notte del novembre 1917, quando salì al potere, dopo una giornata terribile ed emozionante, dormì in un camerino dell’istituto Smolny, quartiere generale del partito bolscevico, insieme a Trotzki sopra un mucchio di tappeti e di cuscini. Dopo un sonno breve, profondo, agitato, si svegliò, e la prima frase che disse a Trotzki sapete quale fu? «Sono al potere; questa idea mi dà le vertigini!». Il potere dà le vertigini. (Si ride).

Non bisogna dunque fidarsi molto del potere, e bisogna pensare che i mezzi drastici e meccanici non sono i più sicuri per raggiungere effetti nel campo economico. Faceva un magnifico quadro il nostro Relatore, onorevole La Malfa, quando parlava di controlli sul credito, quando parlava di indurre la gente a portare sul mercato masse di beni immobili. Ma con questo non si raggiunge nulla. Questa è l’aspirina che fa momentaneamente calare la febbre, ma che non cura la polmonite. Ci vuole altro. Occorre aiutare la produzione, migliorare i commerci, attivare gli scambi di prodotti tra interno ed estero, migliorare la bilancia commerciale, ecc. Quello, cioè, che nell’ultimo Consiglio dei Ministri si è manifestamente cominciato a fare. Ma non speriamo molto, onorevoli colleghi, non speriamo molto sui mezzi drastici e meccanici.

Onorevoli colleghi: vi ho esposto i miei dubbi e le mie preoccupazioni.

Il concetto generale che vorrei fosse preminente nell’animo vostro è: badate che c’è una grande ingiustizia. Se è necessario commetterla, se è necessario che un’aliquota di proprietari medi e piccoli siano costretti a svendere la loro proprietà, non consideriamo questo un beneficio, ma una grande iattura che bisogna cercare di ridurre al minimo. Se c’è una parte di piccoli e medi proprietari che dovranno ricorrere all’usura, cerchiamo di restringere al minimo possibile questo terribile fenomeno.

In questo quadro, dunque, io mi permetterei di pregare l’onorevole Ministro di tener presente il temperamento prospettato nel primo comma del mio ordine del giorno: guardate come è possibile attuare una maggiore ratizzazione della proporzionale.

Non ho voluto fare emendamenti per rispetto al Governo e per fiducia in esso. Deve essere esso, con gli elementi che ha e col suo senso di responsabilità, a fare l’emendamento. Non mi permetto di farlo io. Io mi permetto solo di fare un invito anche sul punto del termine del riscatto, nell’interesse stesso dello Stato. Infatti i proprietari, prima di vedere se possono o no fare il riscatto, devono poter vedere quanto ricavano dall’annata agraria. Avete spostato il termine ad agosto, ma ad agosto i proprietari di vino non sanno quanto ricaveranno, i proprietari di oliveti non sanno quanto ricaveranno. Come fa un proprietario a dire: mi obbligo a pagare tanto, senza sapere quanto ricaverà dall’annata agraria?

Quindi, per il bene dei proprietari, per il bene dello Stato, che ha il massimo interesse che questi riscatti avvengano nella maggiore misura possibile, io prego l’onorevole Ministro di volere esaminare la possibilità di una maggiore proroga.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Adonnino, la prego.

ADONNINO. Io ho proposto anche un emendamento che fa tesoro di una proposta dell’onorevole Relatore.

In questo emendamento, io propongo che l’Assemblea nomini – per mezzo della sua Presidenza – un ristretto Comitato di deputati che segua passo passo, vigilante, l’applicazione dell’imposta, in modo da potere poi proporre tutte quelle modificazioni o inasprimenti o addolcimenti che la pratica suggerirà.

Appunto perciò io presento questo emendamento ed insisto nell’ordine del giorno. (Applausi).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare sull’ordine del giorno dell’onorevole Adonnino.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ho ascoltato l’onorevole Adonnino con molta attenzione, ma ho l’impressione che egli abbia esagerato un poco i pericoli e gli inconvenienti.

ADONNINO. Per fissare un albero bisogna piegarlo nel senso opposto!

LA MALFA, Relatore. Mi pare che egli abbia dato una interpretazione un po’ troppo spinta a quello che ho detto. Ho detto che l’imposta esercita una pressione sul mercato e quindi ha una funzione antinflazionistica. Ho detto che la liquidità dimostrata dal largo riscatto dell’imposta proporzionale indica che i contribuenti possono pagare. Mi sono fermato a questa conclusione.

Ora, vedere una catastrofe di grandi proporzioni, immaginare che tutti i piccoli e medi proprietari siano costretti a vendere è apprensione esagerata. Non mi pare che vi debbano essere disastri di questo genere.

Ripeto, una volta per tutte, che non dobbiamo equivocare su questa questione dei piccoli e medi proprietari, perché da un punto di vista fiscale la massima posta del gettito di qualsiasi imposta è data in Italia dal contributo della piccola e media proprietà. Se volessimo fondare le imposte sulla grande proprietà, probabilmente applicheremmo un concetto di giustizia sociale, ma non avremmo nessun gettito fiscale. Nell’imposta del 1920-22 la media dell’imponibile fu di 222 mila lire, il minimo imponibile fu di lire 50.000. La maggior parte dei patrimoni si collocava fra 50.000 e 200.000 lire, corrispondenti, stabilendo un rapporto tra il 1920-22 ed oggi, a patrimoni attuali tra 2 milioni e al massimo 10 milioni di lire.

Se volessimo diminuire il contributo delle categorie piccole e medie, finiremmo col distruggere l’imposta. Mi perdoni il collega Adonnino: è molto facile anche a me o al Ministro accettare determinate considerazioni circa la media e piccola proprietà. Ma chi ha la responsabilità di percepire un’imposta non può essere molto proclive a facili motivi politici. Ho trovato nella stampa echi di queste preoccupazioni circa la media e piccola proprietà. Teniamone conto, ma trattiamo i problemi finanziari con la responsabilità con la quale vanno trattati. D’altronde, i piccoli e medi proprietari posseggono titoli di Stato, conti nelle casse postali ed in banca. Determinando una svalutazione della moneta, apportiamo a queste categorie gravissimi danni. È necessario trovare una soluzione di equilibrio. Tassare per salvare la moneta, significa tassare per salvare il risparmio liquido.

Comunque, credo che si possa tener conto delle raccomandazioni del collega Adonnino.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo, con l’onorevole Relatore, che l’onorevole Adonnino abbia esagerato nel prospettare un quadro apocalittico delle conseguenze della imposta straordinaria proporzionale 4 per cento.

Come ho già avuto occasione di comunicare sabato scorso, il Governo non desidera assolutamente che i proprietari più modesti debbano alienare le loro piccole proprietà per pagare l’imposta. Questa non rappresenta, in realtà, un nuovo tributo, ma l’anticipazione di un certo numero di annualità di un’imposta già esistente che viene soppressa. Non esiste, quindi la possibilità di stabilire esenzioni di pagamento dallo straordinario tributo; esiste invece un più semplice problema di rateazione, problema che diviene più grave per alcune categorie, come le opere pie, i proprietari di fabbricati a fitti bloccati, i minori proprietari di terreni e i sinistrati di guerra.

Per queste categorie, l’Amministrazione finanziaria, se l’Assemblea è d’accordo, è disposta ad accordare lunghe rateazioni dei pagamenti, oltre i limiti contemplati dalla legge.

Sarà piuttosto difficile stabilire una regola uniforme per tutti, poiché per la realità dell’imposta, un piccolo appezzamento di terreno può rappresentare in un caso il solo cespite posseduto da un determinato contribuente; in altro caso, invece, un minuscolo cespite inserito in patrimonio ben maggiore.

Da ciò la difficoltà di una regola generale, applicabile obiettivamente a tutti i casi.

Occorrerà, forse, lasciare agli organi locali la facoltà discretiva di accordare, dove sia il caso, la rateazione, in un quadro di linee direttive generali.

In ordine alla piccola proprietà terriera, desidero far presente che l’imposta terreni comprende, attualmente, 9.600.000 articoli di ruolo, in tutta Italia.

Di questi 9.600.000 articoli, 8 milioni sono automaticamente fuori della sfera di applicazione della imposta straordinaria proporzionale 4 per cento, perché il valore dei terreni, riportati in ciascun articolo è inferiore alle 100.000 lire (minimo imponibile per l’ordinaria imposta patrimoniale).

Quindi, una larghissima massa di piccoli proprietari è automaticamente esente. Occorre, inoltre, tener presente che le 100 mila lire dell’attuale minimo imponibile rappresentano il risultato della moltiplicazione per 10 dell’imponibile prebellico.

Per correggere le sperequazioni che possono essersi verificate in occasione delle rettifiche promosse ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio negli anni decorsi, proprio ieri è stata licenziata una circolare a tutti gli Ispettorati compartimentali delle imposte dirette, con la quale si dispone che, in tutti i casi in cui il valore medio dei terreni del triennio 1937-39, prima di essere moltiplicato per 10, abbia subito una qualche revisione in aumento, si annullino gli effetti di tale revisione e d’ufficio si proceda a una nuova determinazione del valore del triennio 1937-39, al quale deve essere applicato il coefficiente di rivalutazione 10. La revisione, poi, dell’imponibile dei fabbricati, in base alle disposizioni contenute in una circolare del 19 giugno 1947, deve avvenire in seguito a richiesta di parte, in ragione dei criteri seguiti per la valutazione di tali cespiti.

Tale revisione deve essere richiesta entro il 31 dicembre dell’anno corrente.

Ponendosi su questa strada, il Ministero ha voluto andare incontro alle preoccupazioni di quanti guardavano alle sperequazioni che si erano determinate tra le diverse Regioni a causa delle accennate rettifiche.

Tutto ciò premesso, dico all’onorevole Adonnino che, a titolo di raccomandazione, il Governo è pronto ad accettare la prima parte del suo ordine del giorno.

Per quanto riguarda la seconda parte: «Proroga del termine per la domanda di riscatto», ieri è stato diramato un telegramma a tutte le Intendenze di finanza affinché siano considerate tempestive le domande presentate entro il 10 agosto, purché il pagamento abbia luogo entro il 18 agosto.

Il Governo, per deferenza verso l’Assemblea, che sta discutendo questo progetto, anche nella parte relativa ai termini, non poteva andare oltre.

Personalmente ritengo che sarebbe pericoloso protrarre il termine fino al 30 ottobre.

Se però l’Assemblea lo desiderasse, il Governo non avrebbe nulla da obiettare.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene il suo ordine del giorno?

ADONNINO. Siccome chiedo che il Governo lo accetti, lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora dovremo metterlo ai voti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Prego il collega onorevole Adonnino di limitarsi alla raccomandazione, senza chiedere una votazione sul suo ordine del giorno, perché in esso ci sono delle enunciazioni, come quella di prorogare il riscatto al 30 ottobre, che farebbero meglio parte di emendamenti ai singoli articoli.

Se l’onorevole Adonnino insiste sulla votazione, la Commissione è costretta ad esprimere parere contrario al suo ordine del giorno.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Adonnino a ritirare il suo ordine del giorno ed a trasformarlo in raccomandazione.

ADONNINO. Se il Governo e la Commissione l’accettano come raccomandazione, ritiro l’ordine del giorno, salvo poi a presentare proposte specifiche in sede opportuna.

PRESIDENTE. Il Governo ed il Relatore hanno dichiarato di accettare come raccomandazione il suo ordine del giorno; resta, quindi, così stabilito.

Segue l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Macrelli, De Mercurio, Bernabei, Spallicci, Azzi, Chiostergi, Bellusci, De Vita, Camangi, Paolucci:

«L’Assemblea Costituente, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dar corso ai provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Faccio rilevare che quest’ordine del giorno, essendo stato presentato dopo la chiusura della discussione generale, non potrà essere svolto.

Chiedo al Relatore ed al Governo il loro parere su questo ordine del giorno.

LA MALFA, Relatore. Ho espresso il parere della Commissione sulla questione del cambio della moneta in sede di relazione generale.

Ero favorevole, come molti in quest’Assemblea, al cambio della moneta; ma riproporre il problema in questo momento, in sede di imposta patrimoniale, non mi sembra neanche tecnicamente possibile. Il cambio della moneta deve precedere l’imposta, non seguirla.

Prego gli amici del partito di non insistere su questo ordine del giorno.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo all’onorevole Relatore nel pregare i presentatori dell’ordine del giorno a non volere insistere.

DE VITA. Come firmatario dell’ordine del giorno, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Onorevoli colleghi, devo rilevare che il Governo ha fatto formale promessa, proprio da questi banchi e nei confronti di quest’Assemblea, di attuare il cambio della moneta.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, lei deve dire se mantiene l’ordine del giorno, tenendo presenti le considerazioni fatte dal Governo e dal Relatore.

DE VITA. Vorrei spiegare la portata dell’ordine del giorno.

Il Relatore ed il Governo si sono pronunziati; ritengo che anche i presentatori abbiano il diritto di esprimere il loro parere.

PRESIDENTE. No, onorevole De Vita; questo diritto non le compete.

DE VITA. Ad ogni modo, dichiaro di mantenere l’ordine del giorno, riservandomi di esprimere il mio pensiero in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno, che rileggo:

«L’Assemblea Costituente, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dar corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

DE VITA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Il Governo promise formalmente di attuare il cambio della moneta. Poi difficoltà di ordine tecnico, furto di clichés, cose che avvengono nel nostro Paese, avrebbero impedito di fare il cambio.

Oggi il Governo rinunzia definitivamente, a quanto pare, al cambio della moneta.

Ritengo che il cambio della moneta avrebbe potuto evitare tutte le ingiustizie che oggi si commettono anche nel campo tributario.

Per quanto riguarda le difficoltà di ordine tecnico, in ogni momento prospettate dal Governo, faccio presente che il cambio della moneta è riuscito in quasi tutti i Paesi europei, compresa la stessa Francia. L’aumento di circolazione, che si è verificato in Francia dopo il cambio della moneta, è dovuto soltanto all’emissione di circolante per conto del commercio.

Ora si dice che il cambio della moneta non può più farsi perché è in discussione l’imposta straordinaria sul patrimonio. Il Governo dovrebbe però dire perché non è stato fatto prima.

Comunque il Governo non può più parlare di giustizia tributaria. Il Governo parlando di giustizia tributaria, di perequazione del carico tributario, offende la stessa giustizia. Non si può parlare di giustizia tributaria, quando non c’è in Italia una giustizia distributiva.

Chi ha accumulato ricchezza illegittimamente non deve pagare soltanto un’imposta. È troppo poco, dovrebbe restituire questa ricchezza alla collettività cui l’ha tolta illegittimamente.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. A me sembra che l’ordine del giorno del quale stiamo discutendo non possa e non debba essere sottoposto a votazione.

Mi richiamo all’articolo 87 del Regolamento, il quale dice:

«Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono esser presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino e ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni».

Che cosa importa questo? Che possono essere posti in votazione ordini del giorno inerenti alla specifica materia di cui stiamo trattando.

Ora noi stiamo trattando dell’imposta patrimoniale; non del cambio della moneta.

Per questa ragione mi sembra che la disposizione del Regolamento sia preclusiva e quindi che non possa essere posto in votazione l’ordine del giorno Macrelli.

PASTORE RAFFAELE. Bisogna accertare chi detiene il denaro.

DE VITA. È ovvio, è materia intimamente connessa con l’imposta patrimoniale; è argomento della nostra discussione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei fare una preghiera all’onorevole De Vita e agli altri colleghi perché sia rimandata la decisione sul loro ordine del giorno, in quanto la materia del cambio della moneta non è di competenza del Ministro delle finanze, ma del Ministro del bilancio e soprattutto del Ministro del tesoro, i quali è evidente che non possono restare assenti da una discussione e da una decisione su questo punto di tanta importanza. Che questo oggetto sia connesso all’imposta patrimoniale credo che sia evidente, che si possa discutere non c’è dubbio; ma a me sembra logico che ciò debba essere fatto quando siano presenti il Ministro del tesoro ed il Ministro del bilancio. Perciò io domando la sospensiva.

DE VITA. Mi dispiace, ma non posso accettarla.

PRESIDENTE. Vediamo, di comune accordo, se vi sono ragioni per le quali si possa concordemente rimandare la discussione.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io credo che l’onorevole Schiratti abbia teoricamente ragione per il modo con cui ha impostato la questione sull’articolo del Regolamento; però praticamente la sua proposta non mi sembra che sia concludente in questo momento, perché basta che i colleghi che hanno presentato l’ordine del giorno lo ripresentino domani sotto forma di articolo aggiuntivo perché tutto si risolva. Quindi è questione di intendersi a questo riguardo, nel senso che sia rimandata la discussione ad altro momento. Chiedo pertanto se i proponenti dell’ordine del giorno, di fronte a questa eccezione di procedura che difficilmente si potrebbe superare, non ritengano opportuno di presentarlo sotto altra forma. Questo eliminerebbe la sospensiva dell’onorevole Bertone, in quanto domani sarebbero presenti anche i Ministri competenti, per quanto chi rappresenta il Governo è il Ministro delle finanze, il quale può quindi rispondere anche su questo problema.

PRESIDENTE. Resta allora la mozione dell’onorevole Schiratti, sulla quale ha parlato a favore il proponente ed ha parlato contro l’onorevole De Vita.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Devo chiarire all’Assemblea quali sono le conseguenze di questo ordine del giorno. Se l’Assemblea dovesse votarlo, al Governo non rimarrebbe altra via che sospendere l’applicazione dell’imposta.

PRESIDENTE. Tenga presente che dobbiamo occuparci della mozione d’ordine dell’onorevole Schiratti.

LA MALFA, Relatore. Mi riferisco alla mozione Schiratti. Il cambio della moneta può rientrare nella discussione non del decreto, ma dei presupposti del decreto sull’imposta. Quindi, se l’Assemblea dovesse votare questa mozione, evidentemente porrebbe il Governo nella condizione di non più applicare l’imposta straordinaria.

DE VITA. Questo è merito!

CANDELA. Adesso discutiamo una questione di procedura!

PRESIDENTE. È giusto. Tenga presente, onorevole La Malfa, che noi stiamo discutendo una questione di procedura, cioè se sia possibile porre in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Macrelli ed altri firmatari. Questo è il punto. L’onorevole Schiratti ha presentata una mozione d’ordine sostenendo che, non trattandosi di una materia relativa al disegno di legge che ora stiamo discutendo, non è possibile l’inserzione dell’ordine del giorno Macrelli nella nostra discussione. Lei, onorevole La Malfa, deve dire se è d’accordo col presentatore.

LA MALFA. Sono d’accordo: non è pertinente alla legge, ma ne è uno dei presupposti. (Rumori a sinistra).

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Sono d’accordo con la mozione d’ordine dell’onorevole Schiratti, ma desidero dichiarare che, in sede delle quattro Commissioni riunite, ho scongiurato il Governo a non rinunciare al cambio della moneta come ad esigenza morale fondamentale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la mozione d’ordine Schiratti.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché l’esito della votazione è incerto, procediamo alla votazione per divisione.

(La mozione d’ordine non è approvata).

Sull’ordine del giorno Macrelli è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Uberti, Geuna, Roselli, Vicentini, Martinelli, Mattarella, Scoca, Marconi, Biagioni, Rodinò Ugo, Chieffi, Guerrieri Emanuele, Castelli Avolio, Pallastrelli, Guerrieri Filippo, Cremaschi Carlo, Colitto.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, è ben lontana dal Governo l’intenzione di interferire nella libera manifestazione di volontà dell’Assemblea su quest’ordine del giorno. Non posso, tuttavia, non associarmi pienamente alle considerazioni dell’onorevole Relatore, il quale ha esattamente fatto presente che, a prescindere da qualsiasi considerazione sul merito del problema del cambio, isolatamente considerato, la conseguenza inevitabile di una eventuale approvazione di quest’ordine del giorno sarebbe la sospensione immediata del nostro lavoro nonché dell’applicazione dell’imposta, in quanto il disegno di legge e il decreto del 29 marzo 1947 sono notoriamente informati al criterio dell’accertamento induttivo della ricchezza mobiliare, a seguito della rinuncia al cambio della moneta.

Forse, nel Paese esistono ancora delle correnti che, in tutti i modi, cercano di ritardare e far tramontare l’applicazione di questa imposta, ed io non vorrei che inconsapevolmente si finisse per affiancare il desiderio di qualcuna di queste correnti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’estrema gravità di questo problema. (Interruzioni – Commenti).

Come dicevo, sono favorevole al cambio della moneta; ma oggi il riparlarne è un errore. Se voi deliberate che il Governo debba attuare il cambio della moneta, evidentemente, la data in cui si attua il cambio della moneta deve precedere la data in cui si denunciano il patrimonio ai fini dell’imposta patrimoniale. Siccome questa data è stata fissata per l’imposta e la data del cambio non è stata fissata, si avrebbe come conseguenza che, legando il cambio all’imposta, la data del 28 marzo non sarebbe più valida, cioè non potreste accertare la consistenza dei patrimoni alla data del 28 marzo.

Quindi, per rispettare la volontà dell’Assemblea di attuare il cambio, il Governo dovrebbe sospendere l’imposta straordinaria, stabilire la data del cambio della moneta, fare il cambio della moneta e rinviare l’accertamento dei patrimoni ai fini dell’imposta alla data fissata per il cambio della moneta; cioè l’imposta straordinaria verrebbe rinviata di almeno un anno. Dico ciò al di fuori di qualsiasi considerazione politica, e richiamo sopra questo punto di vista tecnico l’attenzione dell’Assemblea.

Il decreto sull’imposta ci è stato trasmesso dal Governo tripartito, e quando ci hanno mandato l’imposta senza il cambio della moneta, i tre partiti hanno deciso di rinunciare al cambio della moneta, per poter applicare l’imposta. (Interruzioni – Commenti). Quando la Commissione si è trovata di fronte al progetto, ha dovuto prendere atto della rinuncia che aveva fatto il Governo.

Come dicevo, legare il cambio all’imposta è un problema tecnicamente insolubile. O voi volete l’imposta subito e non potete fare il cambio, perché non è possibile, qualsiasi escogitazione voi facciate; o voi volete il cambio e dovete rimandare l’imposta. Lasciando in vigore il decreto sull’imposta e rinviando il cambio della moneta a quattro o cinque mesi, da oggi, avremo queste conseguenze. (Commenti a sinistra). In sede di imposta noi tassiamo il denaro a titolo presuntivo; poi lo accerteremo e lo tasseremo in sede di cambio. Possiamo avere di conseguenza fenomeni di doppia tassazione e fenomeni di doppia evasione. Quei ceti che vogliamo tutti colpire evaderanno due volte.

Questi sono gli aspetti tecnici del problema: l’Assemblea decida, ma è bene che tenga presenti le considerazioni che ho fatto. (Applausi al centro).

VALIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, mi pare che la questione debba vedersi sotto l’aspetto politico e tecnico. Dal punto di vista tecnico, sono valide le osservazioni dell’onorevole La Malfa, fino ad un certo punto, nel senso che quando, discutendosi l’imposta patrimoniale, si parlerà del metodo di accertare il denaro contante – che qui è stato fissato con determinati criteri, all’articolo 25 – potremo anche risolvere la questione dal punto di vista tecnico. Però, se votiamo su questa questione adesso, come mozione preliminare, evidentemente roviniamo tutta l’imposta dal punto di vista tecnico, cioè ne rendiamo impossibile l’applicazione. Questo è verissimo.

C’è poi l’aspetto politico: la responsabilità dei passati Governi non toglie, tuttavia, che la responsabilità è anche di questo Governo, perché nei passati Governi c’era l’onorevole Bertone che sosteneva il cambio della moneta. Di questo Governo egli non fa parte, e il nuovo Governo ha ancora una volta sepolto il cambio della moneta.

Non è che il cambio della moneta sia stato sepolto una sola volta dall’onorevole Corbino: ogni volta che c’è un nuovo Governo, disgraziatamente questo prende sempre posizione ostile a questa misura, alla quale io sostengo si dovrà pure arrivare, se si vuole evitare l’inflazione, altrimenti sarà proprio questa che ci costringerà al cambio della moneta, in modo drastico e radicale.

Per poter conciliare l’aspetto tecnico e l’aspetto politico della questione – l’aspetto tecnico per cui non è possibile impedire che questo progetto, sia approvato e applicato, e l’aspetto politico, per cui l’Assemblea non può associare la sua responsabilità a quella del Governo in carica (i Governi passati non ci sono più e se sono stati rovesciati ciò dipende da una situazione derivante dai loro errori) – io chiederei all’onorevole De Vita e agli altri colleghi di accontentarsi del voto che hanno ottenuto un minuto fa e di non insistere nella votazione sull’ordine del giorno.

Io, che sono favorevole al cambio della moneta, non potrei votare a favore di questo momento, quando si viene ad impedire la discussione di un disegno di legge urgentissimo e dovrei astenermi. Chiedo quindi che si rimandi la votazione in merito ad altro momento, eventualmente in sede di articolo 25. Né può dirsi che il momento psicologico sia trascorso, perché la questione di principio è aperta e ne fa fede la votazione che ha avuto luogo cinque minuti fa. La questione di principio dunque esiste, ma io ritengo che non sia questo il momento di discuterne. Chiedo, pertanto, agli onorevoli De Vita e Macrelli di voler accogliere il mio suggerimento, di rimandare cioè questa votazione.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Non è nostra intenzione di sollevare in questo momento difficoltà per la discussione della legge che è stata presentata all’Assemblea; ma, sia dal punto di vista tecnico che da quello politico, dobbiamo dire chiaramente che non condividiamo le apprensioni del Relatore onorevole La Malfa.

Noi abbiamo sostenuto e sosteniamo che si può e si deve arrivare ad ogni costo al cambio della moneta e non riteniamo che le ragioni tecniche addotte dall’onorevole Relatore possano considerarsi valide: esse sono state, infatti, affermate, ma non provate dal Relatore. Noi riteniamo che si potrebbe arrivare benissimo al cambio della moneta senza legarlo necessariamente all’articolo 25 del progetto di legge. (Commenti).

Dal punto di vista fiscale, quindi, sarebbe un elemento di più nelle mani del Governo e non è vero che politicamente non abbiamo il diritto di rivendicare quello che sempre abbiamo sostenuto, che cioè il cambio della moneta è alla base della vera giustizia sociale. (Applausi a sinistra).

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo di non aver bisogno di dichiarare quale sia la mia opinione sulla materia in esame: io sono sempre stato fautore del cambio della moneta e credo anche di poter dichiarare che il cambio della moneta mediante stampigliatura sarebbe stato eseguito entro il mese di aprile, se non fosse sopravvenuta la crisi.

Se convenga o meno di farlo in questo momento, non è questione che si debba discutere ora. Certo in questo momento non si potrebbe eseguirlo; il cambio della moneta non si può fare se non in due periodi dell’anno ben determinati, che sono a un dipresso costituiti rispettivamente da aprile-maggio e ottobre-novembre. Il cambio della moneta non si può fare d’inverno per l’impossibilità dei percorsi; non si può fare nel periodo estivo, che comporta occupazioni gravi per i lavoratori dell’agricoltura. Su questo credo che tutti gli studiosi della materia non possano non concordare.

Dichiaro altresì che non sono del tutto consenziente con i rilievi fatti, or ora dal collega onorevole La Malfa, che cioè il cambio della moneta sia inscindibilmente connesso con l’imposta patrimoniale. Questo era nel programma che fu enunciato al momento in cui venne lanciato il prestito della Ricostruzione. E si disse allora, e lo si disse ufficialmente e fu deliberato in Consiglio dei Ministri, che l’imposta patrimoniale era congiunta ai due provvedimenti del cambio della moneta e dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Ma questo non significa che il cambio della moneta non si possa fare se non congiuntamente all’imposta straordinaria sul patrimonio. La maggior parte dei Paesi che hanno fatto il cambio della moneta, l’hanno fatto in via autonoma, non come applicazione dell’imposta sul patrimonio; l’hanno fatto come censimento o come misura fiscale, incidente specificamente soltanto sulla moneta che si voleva cambiare.

LA MALFA, Relatore. Ma non hanno fatto l’imposta!

BERTONE. L’hanno fatta o prima o dopo. Tutti i Paesi hanno istituito un’imposta straordinaria sul patrimonio.

LA MALFA, Relatore. No, non tutti.

BERTONE. Non tutti, va bene, ma gran parte dei Paesi che noi conosciamo l’hanno fatta.

Ora, io non credo che sia assolutamente indispensabile collegare inscindibilmente il cambio della moneta con l’imposta straordinaria sul patrimonio. Perciò, a mio avviso, il progetto dell’imposta straordinaria sul patrimonio deve andare avanti, deve essere discusso e, secondo me, deve essere approvato. Ciò non impedisce, ripeto, che il cambio della moneta si possa fare ulteriormente e che se ne possa parlare ancora nel corso della discussione di questo progetto. Quando al n. 8° dell’articolo 6 si dice che sono oggetto dell’imposta patrimoniale, oltre alle altre attività, tutti i biglietti dello Stato italiano, della Banca d’Italia, ecc., evidentemente si apre l’adito alla discussione di quali e quanti biglietti potranno essere soggetti all’imposta patrimoniale; e quindi si potrà in quel momento discutere se si dovrà provvedere o meno al cambio della moneta; quando si discuterà l’articolo 25 della tassazione presuntiva del 5 per cento in rapporto al patrimonio denunciato, liquidato, accertato, evidentemente vi sarà motivo legittimo di discutere ancora di questa materia.

A questo aggiungo una terza ragione, che ho accennata poco fa: si è già parlato largamente del cambio della moneta in occasione della discussione generale sulle dichiarazioni del Governo. Io stesso ne ho parlato per il primo e a lungo, ricordandone anche i precedenti e avvertendo che io stesso non comprendevo come mai si fosse rinunciato troppo rapidamente a quella che era stata una misura decretata dal Consiglio dei Ministri e a suo tempo voluta, si può dire, da tutti i partiti in Parlamento. Ora, a questo ha risposto il Ministro del bilancio, dichiarando tassativamente che il Governo è contrario in questo momento al cambio della moneta. Ora, voi comprendete che in assenza del Governo, perché il Ministro delle finanze rappresenta il Dicastero delle finanze, ma non credo che si assuma la responsabilità politica di rappresentare tutto il Governo su questo punto…

Voci a sinistra. Perché non è presente il Governo?

BERTONE. Ma il Governo sa che è in discussione l’imposta patrimoniale, e non si può fare torto e colpa al Ministro del bilancio di non essere qui, non sapendo che oggi sarebbe venuta questa discussione. Ora, mi sembra ovvio – come dicevo poco fa – che questa discussione debba essere fatta dinanzi e in contradittorio con i Ministri del bilancio e del tesoro, che sono proprio i Ministri competenti specificatamente su questa materia, che involge anche una grave responsabilità politica.

Per questo mi associo a quanto ha detto testé – per altre ragioni – l’onorevole Valiani, cioè nel pregare i presentatori dell’ordine del giorno a voler attendere che questa materia possa essere discussa in altro momento.

Voci a sinistra. No! No!

BERTONE. Questa è anche l’opinione dell’onorevole Micheli: cioè, quando discuteremo l’articolo 6 e l’articolo 25 in una forma più concreta. Votare oggi l’ordine del giorno in questione sarebbe, secondo me, una sorpresa, per la quale devo dichiarare che sarei obbligato ad astenermi dal voto, non potendo assumere la responsabilità di votare in queste condizioni.

PRESIDENTE. Faccio presente che chi parla deve fare una semplice dichiarazione di voto.

ANGELINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELINI. Io ritengo che in questa materia sarà opportuno che la Commissione di finanza e tesoro si pronunci, e non soltanto il suo Presidente. Io ritengo che sia necessario che l’Assemblea conosca il parere della Commissione, perché non si tratta di un dettaglio, ma di qualcosa che sostanzialmente investe il disegno di legge in esame.

Già il 19 luglio dell’anno scorso espressi il mio parere favorevole al cambio della moneta. Penso che sia necessario che noi conosciamo esattamente il pensiero della Commissione, ove sono rappresentati tutti i Gruppi parlamentari, e su questo pensiero si deliberi più tardi.

D’altra parte, anche dal punto di vista tecnico, io sono di opinione che sia facile e possibile inserire nell’attuale legge qualche cosa che si riallacci più tardi ad un provvedimento di cambio della moneta.

PRESIDENTE. Onorevole Angelini, siamo in sede di dichiarazione di voto.

ANGELINI. Faccio a questo proposito, più che una dichiarazione di voto, una mozione d’ordine: propongo che la Presidenza rinvii l’ordine del giorno Macrelli alla Commissione finanza e tesoro perché domattina esprima il suo parere. (Commenti).

PRESIDENTE. Non è possibile, siamo in sede di dichiarazione di voto.

PORZIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Onorevoli colleghi, in questa questione volevo, prima di tutto, osservare questo: «rari nantes in gurgite vasto!». Questioni di vitale importanza, discusse davanti ad una scarsa Assemblea…

Una voce. Peggio per gli assenti!

PORZIO. Peggio per gli assenti, sì, ma è bene che tale osservazione una buona volta coraggiosamente si faccia. Non è possibile discutere problemi così importanti, che involgono tanti cospicui interessi, con scarse votazioni dalle quali infine si esce con la constatazione della mancanza del numero legale.

Poi, ho sentito parlare di responsabilità: responsabilità di vecchi Governi e responsabilità di nuovi Governi. E io mi domando: coloro che non appartenevano né ai vecchi né ai nuovi Governi hanno o no delle responsabilità? E perché le debbono affrontare e subire unicamente in ossequio a vecchi ed a nuovi Governi?

Una questione vitale, quella del cambio della moneta, che era, devo dirlo, nei propositi del mio compianto ed illustre amico onorevole Marcello Soleri, che appariva egualmente necessaria al mio amico Giovanni Bertone, è stata allegramente sepolta. Eppure è una delle questioni più importanti e più vitali!

Perché, lasciate che io… (perdonate, abuso raramente della bontà dell’Assemblea, appunto perché non mi credo meritevole di potere abusare di tale benevolenza), lasciate che io dia voce ai miei antichi ricordi, ad un’altra epoca, ad un altro dopo-guerra (meno disastroso, d’accordo); eppure allora, immediatamente dopo la patrimoniale, sostenuta dall’onorevole Nitti, modificata dall’onorevole Giolitti, vennero sei progetti di legge i quali erano destinati a risanare la finanza italiana ed a restaurarla. Ed il punto fondamentale di quelle richieste e di quei progetti di legge era un progetto che aveva un fondamento di giustizia, che giustificava gli altri, perché, signori, la questione tributaria è tecnica, ma, soprattutto, deve avere un fondamento ed un valore morale per avere efficacia politica. (Approvazioni).

E venne la famosa nominatività dei titoli, destinata ad impedire evasioni, a colpire le ricchezze occulte, a non far gravare l’onere tutto sulla proprietà immobiliare a danno del Mezzogiorno.

Voci a sinistra. Venne il fascismo.

PORZIO. Aspetti! Venne la famosa nominatività dei titoli, contro la quale si accamparono le potenze degli speculatori fino a provocare l’occupazione delle fabbriche. Perché molte volte, signori, mi duole constatarlo, il danaro è contro la Patria. (Approvazioni).

Allora anche l’onorevole Micheli faceva parte di quel Governo.

MICHELI. Sono lieto di averne fatto parte.

PORZIO. Ed è a titolo di lode che lo ricordo.

Ora, signori, è possibile discutere di un argomento così importante?

Condivido pienamente il punto di vista dell’onorevole Valiani, il punto di vista dell’onorevole Chiostergi che ha parlato poco fa. Ma vogliamo rimandare? Un’altra volta seppellire? Non so. E siccome si è parlato di responsabili, io, per la salute della mia coscienza, onorevoli colleghi, ho voluto fare questa aperta, franca, dichiarazione. Potranno così i miei colleghi giudicarmi, e giudicare il puro disinteresse che mi muove, la radicata convinzione che mi anima, il sentimento di affrontare i gravi problemi che ci assillano, senza dimenticare le disgrazie, le pene, le angosciose condizioni del Paese che aspetta che l’Assemblea si preoccupi e discuta le questioni basilari, aderenti al suo vero e vitale interesse. (Applausi).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sull’esperienza già fatta su questo problema. Per oltre un anno, cioè dalla metà del 1945 a tutto il 1946, l’imposta straordinaria era stata concepita indissolubilmente legata col cambio della moneta.

Quale è stato il risultato? Che per un anno e mezzo non si è fatto né il cambio della moneta né l’imposta straordinaria. (Interruzione dell’onorevole Rescigno).

Cerchi di comprendere!

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, non interrompa!

SCOCCIMARRO. Ora, l’aver mantenuto il cambio della moneta, come la premessa necessaria per un provvedimento d’imposta straordinaria, è stato il motivo fondamentale per il quale nel 1945, nel 1946, cioè nel momento più opportuno, non si è fatta l’imposta straordinaria. (Interruzioni – Rumori). È questo il motivo per il quale – alla fine del 1946 – quando, riaffermata la decisione del cambio della moneta sotto forma della stampigliatura, si videro risorgere tutti gli ostacoli e le difficoltà già opposte in passato, e che nuovamente avrebbero rinviato la soluzione del problema a troppo lunga distanza, fu concepita l’imposta straordinaria indipendentemente dal cambio della moneta. Non fu una scelta questa, ma una soluzione di necessità; non si poteva rinviare ulteriormente questo provvedimento; e, d’altra parte, appariva chiaro che, se la si subordinava al cambio o stampigliatura della moneta, neanche per il 1947 l’imposta straordinaria sarebbe stata attuata. Fu per questa ragione che si decise di attuare l’imposta straordinaria indipendentemente dal cambio della moneta pur senza escluderlo: l’onorevole Bertone ricorda che il cambio della moneta venne concepito a parte, inserito in tutt’altra serie di provvedimenti. Però, bisogna riconoscere che l’utilità del cambio della moneta come provvedimento che precede l’imposta straordinaria è ben maggiore che non come provvedimento che segue l’imposta straordinaria.

Dati questi chiarimenti ai colleghi che hanno presentato la proposta per il cambio della moneta, io desidero dichiarare: noi siamo favorevoli al cambio della moneta oggi, come lo eravamo ieri; noi saremo favorevoli al cambio della moneta anche come provvedimento indipendente dall’imposta straordinaria. Però, richiamo l’attenzione dei colleghi su questo fatto: se votate in questo momento una raccomandazione, un ordine del giorno, che ci impegni al cambio della moneta legato all’imposta straordinaria, le obiezioni sollevate e dal Ministro e dall’onorevole La Malfa possono diventare una realtà: perché sono state una realtà per un anno e mezzo. Molte critiche mi sono state mosse perché non si è fatta prima l’imposta straordinaria: ma non la si è fatta prima proprio per il mancato cambio della moneta. Ecco perché io direi: discutiamo pure questo problema; vediamo se si può eventualmente esaminarlo nel corso di altre questioni connesse all’imposta straordinaria, ma non subordiniamo l’imposta straordinaria al cambio della moneta, perché rischiamo di non fare né l’una né l’altro. Facciamo ora l’imposta straordinaria e, se l’Assemblea giudicherà utile esaminare anche il problema del cambio della moneta, potremo farlo in seguito. (Applausi).

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Anzitutto, faccio osservare all’onorevole La Malfa e, per altra ragione all’onorevole Angelini, che ha chiesto il rinvio di quest’ordine del giorno alla Commissione per averne il parere, che a pagina 7 e 8 della relazione la Commissione ha già dichiarato che il cambio della moneta era definitivamente messo da parte, che, cioè, la maggioranza della Commissione finanze e tesoro ha già respinto il cambio della moneta.

Questo, naturalmente, non vincola la decisione che l’Assemblea è chiamata a prendere in questa materia.

Quindi, nessun rinvio alla Commissione, perché questa ha deciso. Ma neppure nessun legame alla decisione della Commissione per l’Assemblea.

Concordo con l’onorevole Scoccimarro su gran parte delle sue osservazioni. Ma mi permetto di dire, oggi che la questione è stata sollevata, che non ci possiamo più porre l’alternativa: facciamo il cambio della moneta o l’imposta patrimoniale oppure tutte e due insieme.

Noi, in questo momento, dobbiamo decidere se il cambio della moneta è un problema morto per l’economia italiana, oppure se è problema ancora esistente. Che poi sia collegato con l’imposta straordinaria, e sia una parte da collegare con gli articoli 4 e 25, questa è altra questione. Noi dobbiamo oggi decidere se il cambio della moneta è di attualità o può ridiventare di attualità domani o dopodomani; o, se, invece, vogliamo fare il giuoco di tutti coloro i quali hanno il pieno interesse che il cambio della moneta non si faccia. Questa per me è la posizione del problema.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Ritengo indispensabile riaffermare in questo momento il principio del cambio della moneta. Io ho sostenuto questa tesi quando ero all’estero, dove ho assistito alla tecnica di attuazione di questa operazione ed ai risultati. Convintissimo di questa necessità, io, appena venuto in Italia, la ho sostenuta e la sostengo oggi, per quanto il ritardo della attuazione del cambio della moneta abbia portato gravi danni alla finanza del nostro Paese. Però, devo dire subito che in me e nei colleghi, che hanno firmato l’ordine del giorno, è vivo il desiderio di affrettare quanto più possibile l’approvazione del provvedimento sull’imposta straordinaria.

Perciò, siamo disposti ad accettare una modificazione dell’ordine del giorno da noi presentato in questo senso:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

È chiaro così che non c’è in questo nostro intervento una manovra politica dell’ultim’ora. Noi desideriamo riaffermare oggi, come nel passato, il nostro attaccamento al principio del cambio della moneta, che riteniamo indispensabile per il nostro Paese.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ringrazio l’onorevole Scoccimarro, che ha agevolato il superamento del problema che ci occupa, con una esattissima comprensione dei termini del problema medesimo.

In effetti, come diceva l’onorevole Scoccimarro, il cambio della moneta è stato per moltissimo tempo, per i due o tre anni in cui se ne è discusso, legato all’imposta straordinaria.

Con la soluzione proposta dall’onorevole Chiostergi, noi, approvando l’imposta straordinaria, facciamo noto al Paese che il Governo è tenuto dal nostro voto ad ottenere il cambio della moneta.

Mostro subito le conseguenze di questa posizione. Quando abbiamo rinunziato al cambio della moneta come presupposto dell’imposta, e lo proiettiamo nel futuro, dobbiamo tener conto che esiste nella patrimoniale un obbligo di denuncia del numerario. Voi mi direte che l’obbligo di denuncia del numerario è puramente teorico, perché nessuno lo denuncerà. Tuttavia nella legge l’obbligo c’è. Voi non potete smentire un principio affermato nella legge, anche se non ha applicazione.

Ma c’è di più: c’è la quota presuntiva. Noi abbiamo stabilito che il denaro sia presuntivamente accertato presso il contribuente. Quindi dovremmo togliere questa presunzione dal sistema dell’imposta. (Commenti a sinistra).

Chiarisco meglio il mio pensiero. Alla data del 28 marzo noi constatiamo o presuntivamente o per accertamento diretto che un Tizio ha una certa quantità di denaro. Il denaro circola continuamente, ma non è escluso che all’epoca del cambio voi tassiate quel Tizio ancora per il denaro posseduto. Possiamo cioè avere il caso di un piccolo proprietario tassato ai fini dell’imposta con quote presuntive e poi tassato all’epoca del cambio, per il denaro effettivamente posseduto.

PORZIO. È sempre il proprietario ad essere la vittima.

Una voce a sinistra. È un sofisma.

LA MALFA, Relatore. Non è sofisma. Il denaro ai fini della tassazione patrimoniale deve essere accertato nel momento stesso in cui si accerta il patrimonio. La tassazione proporzionale sul denaro si può ottenere in qualsiasi momento, ma quando l’imposta patrimoniale ha già accertato preventivamente o direttamente il denaro si ha il rischio della doppia tassazione. Può avvenire, inoltre, che colui che ha oggi denaro e sa che fra sei mesi sarà colpito dal cambio della moneta, si copra comprando bene immobili, beni reali, proprio nel momento in cui l’imposta patrimoniale porta coloro che hanno proprietà immobiliari a vendere. Quando fate il cambio della moneta troverete la moneta non presso il borsaro nero di oggi, ma la potrete trovare presso colui che non la possedeva oggi. (Commenti a sinistra).

FOGAGNOLO. Basta trovarlo.

LA MALFA, Relatore. Ad ogni modo questo è un problema di tassazione non progressiva e personale, ma di tassazione generale che voi potete risolvere in qualunque momento.

Quel che trovo pericoloso è deliberare, nel momento in cui applichiamo l’imposta, che applicheremo il cambio. Si possono determinare movimenti speculativi.

DE VITA. Sono dettagli tecnici!

LA MALFA, Relatore. Sono dettagli tecnici, ma noi stiamo trattando un tema tecnico. (Rumori). Annunciando questa notizia, create un disorientamento proprio fra i contribuenti. Ripeto, voi potete porre in qualunque momento il problema, ma legare l’imposta straordinaria al cambio della moneta in questo momento mi sembra inopportuno e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, desidererei avere il suo parere sulla modificazione dell’ordine del giorno che è in questi termini:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

LA MALFA, Relatore. Su questa modificazione non ho potuto ascoltare la Commissione. Però basandomi sui precedenti, dichiaro che dal punto di vista psicologico un’affermazione di questo genere è altrettanto grave quanto la prima.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, vorrei accostarmi a quanto ha detto l’onorevole Bertone poco fa. Egli, notoriamente tutt’altro che favorevole a coloro che hanno sostenuto la rinuncia al cambio, oggi si asterrebbe dalla votazione.

Questo significa che la questione è stata risollevata nella sede forse tecnicamente meno competente: per cui, se oggi dovessimo votare sull’ordine del giorno di cui discutiamo, probabilmente diversi onorevoli colleghi voterebbero in un determinato modo perché veramente preoccupati delle ripercussioni di questa votazione in sede di applicazione del provvedimento di legge in discussione. Ed è per permettere soprattutto a ciascuno degli onorevoli colleghi di esprimersi liberamente su questo argomento così vitale, senza preoccupazione per la maggiore o minore sollecitudine con cui l’imposta potrà essere applicata, che io ritengo di suggerire a nome del Governo la preghiera di soprassedere alla votazione dell’ordine del giorno.

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Parlo a nome mio personale, perché non ho avuta la possibilità d’interpellare i colleghi del mio Gruppo; ma desidero parlare perché, come l’onorevole Scoccimarro certamente ricorderà, ci fu un periodo, quando ebbi l’onore di essere Sottosegretario di Stato per il tesoro, in cui il cambio della moneta si poteva fare senz’altro. E non è esatto che difficoltà tecniche abbiano impedito il cambio, perché le difficoltà tecniche, di cui si è tante volte parlato, non erano realmente insuperabili, ma costituivano ragioni apparenti per nascondere la precisa volontà che si voleva, ad ogni costo, non effettuare il cambio, della moneta.

L’obiezione del Ministro Pella deve essere presa in considerazione, ma non è tale da indurci a rimandare l’esame della questione in altra sede, perché l’onorevole Chiostergi ha chiaramente spiegato che il suo ordine del giorno ha carattere tendenziale e non influisce menomamente sulla votazione della legge sull’imposta straordinaria; solo deve indurre il Governo a dare corso, quando lo crederà opportuno, ai provvedimenti del cambio della moneta. E voglio fare un’altra osservazione: cioè che il Governo, se vorrà decidere di fare il cambio della moneta, dovrà procedere con un provvedimento «catenaccio», che si pubblica all’improvviso, senza essere preceduto da nessuna discussione al riguardo. Il nostro dovere è quello di studiare il problema, il Governo dovrà poi adottare il provvedimento nel momento in cui esso è meno aspettato dal Paese; altrimenti perderebbe qualsiasi efficacia.

Quanto all’obiezione dell’onorevole La Malfa, non mi preoccupa, perché per attuare l’imposta straordinaria (Rumori a destra) si è fissata una aliquota che va dal 6 al 12 per cento che deve ristabilire l’equilibrio turbato dalla mancata denuncia del numerario, in quanto già si presuppone che tutti si manterranno alla quota fissa dal 6 al 12, è che nessuno farà una speciale denuncia. Dice l’onorevole La Malfa che non possiamo colpire per la seconda volta le stesse somme, quando da liquide sono diventate beni immobili. Se ciò è teoricamente vero, non è praticamente esatto, perché noi non andiamo a guardare l’origine del denaro che è stato accumulato, ma vogliamo colpirlo in un momento successivo con un’altra tassa, quando si farà il cambio, nel momento in cui, giova ripeterlo, il Governo crederà opportuno di farlo. Per queste ragioni, dichiaro che voterò a favore dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Macrelli e da altri colleghi.

MARINA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Voci a sinistra. Ai voti, ai voti!

PRESIDENTE. Non posso impedire agli onorevoli colleghi, che ne facciano richiesta, di fare dichiarazione di voto.

MARINA. Esprimo un parere personale, perché non ho avuto tempo d’interpellare gli amici del mio Gruppo. Effettivamente il cambio della moneta, così prospettato con questo ordine del giorno è, per conto mio, un errore tecnico. Noi stiamo prendendo, in questo momento, provvedimenti di varia natura, intesi soprattutto a sistemare il bilancio dello Stato che, nonostante gli sforzi del Ministro delle finanze, si mantiene largamente deficitario, dati gli aumenti continui dei prezzi. Cosa avverrà se noi facciamo o proponiamo di fare il cambio della moneta? Coloro i quali detengono il danaro compreranno beni immobili e mobili, quindi… (Rumori prolungati a sinistra) si avranno di nuovo rapidi aumenti di prezzi, colle conseguenze che noi tutti conosciamo.

PRESIDENTE. Si limiti ad una dichiarazione di voto!

MARINA. Ecco perché in effetti il provvedimento che può essere preso non può essere che un provvedimento-catenaccio, come ha detto l’onorevole Persico. Per questi motivi, voterò contro l’ordine del giorno.

PRESIDENTE; Dobbiamo ora procedere alla votazione per appello nominale sull’ordine del giorno Macrelli ed altri nel testo definitivo presentato dall’onorevole Chiostergi.

Ho il dovere di accertare la presenza dei firmatari della richiesta di appello nominale.

(Procede all’appello dei firmatari).

Vi è il numero sufficiente per dar corso alla richiesta di appello nominale.

L’ordine del giorno che si pone in votazione – ripeto – è il seguente:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Si proceda alla votazione per appello nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale incomincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Magrassi.

Si faccia la chiama.

DE VITA, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei – Assennato.

Baldassari – Bardini – Barontini Anelito – Basso – Bei Adele – Bellusci – Benedetti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bitossi – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bubbio.

Cacciatore – Camangi – Canepa – Canevari – Caporali – Caprani – Carpano Maglioli – Cartìa – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colitto – Coppa Ezio – Corsi – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filippo – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Vita – D’Onofrio – Dugoni.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gervasi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grieco – Grilli.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – La Rocca – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Massini – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Mirandi – Moranino – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni.

Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Sereni – Silipo – Spallicci.

Tega – Togliatti – Tonello – Tonetti.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Balduzzi – Bassano – Biagioni.

Candela – Cappi Giuseppe – Castelli Avolio – Chieffi.

Einaudi.

Grassi.

La Malfa.

Marconi – Martinelli – Martino Gaetano – Mattarella – Merlin Umberto.

Riccio Stefano – Rodinò Ugo – Roselli.

Uberti.

Vicentini.

Si sono astenuti:

Angelini.

Bacciconi.

Conti – Cremaschi Carlo.

Fuschini.

Geuna – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo.

Pallastrelli – Pella.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo – Lussu.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli.

Pera.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito.

Saragat.

Villani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

 

Comunico che l’Assemblea non è in numero legale per deliberare. Pertanto, la seduta è tolta e l’Assemblea è convocata per domani alle ore 10 per riprendere lo svolgimento del suo ordine del giorno.

La seduta termina alle 13.

MARTEDÌ 8 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVI.

SEDUTA DI MARTEDÌ 8 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Sul processo verbale:

Schiratti                                                                                                          

Geuna                                                                                                               

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bozzi                                                                                                                 

Laconi                                                                                                               

Corbino                                                                                                            

Tonello                                                                                                            

Moro                                                                                                                

Zuccarini                                                                                                         

Colitto                                                                                                             

Piemonte                                                                                                           

Dominedò                                                                                                         

Mortati                                                                                                            

Tega                                                                                                                  

D’Aragona                                                                                                       

Longhena                                                                                                         

Bertone                                                                                                            

Maffi                                                                                                                

Morelli Renato                                                                                               

Nobile                                                                                                               

Caronia                                                                                                            

Bibolotti                                                                                                          

Micheli                                                                                                             

Di Vittorio                                                                                                       

Cifaldi                                                                                                              

Merighi                                                                                                             

Vigna                                                                                                                

Codignola                                                                                                        

Miccolis                                                                                                           

Foresi                                                                                                               

Rescigno                                                                                                           

Pignatari                                                                                                         

Perassi                                                                                                              

Cingolani                                                                                                           

Canepa                                                                                                              

Lettieri                                                                                                            

Gasparotto                                                                                                      

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Sull’ordine del giorno:

Presidente                                                                                                        

Minio                                                                                                                

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. L’onorevole Pellegrini ha fatto ieri alcune affermazioni che riguardano il Friuli. Ritengo mio dovere fare delle precisazioni in proposito. L’onorevole Pellegrini ha detto che il Friuli è in maggioranza garibaldino. Nessun dubbio che nella lotta per la resistenza i garibaldini friulani scrissero davvero delle magnifiche pagine di eroismo e di sacrificio, così come magnifiche le scrissero gli osovani. Quanto alla maggioranza è questione di intendersi ed è necessario intendersi: è questione, cioè, di sapere se per garibaldini si intendano anche quelli che passarono al nono corpo di Tito, anche quelli che indelebilmente macchiarono il movimento partigiano con l’efferato eccidio di Porzus, che da troppo tempo ormai attende di essere giudicato dal tribunale militare di Padova; è questione di sapere se ai garibaldini vanno sommati anche quelli che hanno operato e operano in contatto ed in accordo con i titini. È necessario sapere tutto ciò, perché siano ferme e precisate le responsabilità per oggi e per domani. Ha detto anche, l’onorevole Pellegrini, che il 1° giugno sono venuti ad Udine alcuni dirigenti locali della Democrazia cristiana ed alcune centinaia di fascisti. Desidero precisare che in quel giorno convennero ad Udine, non alcuni dirigenti della Democrazia cristiana ed alcune centinaia di fascisti, bensì 7000 partigiani già facenti parte delle quattro divisioni «Osoppo-Friuli». Quanto all’accusa di fascisti, anche qui è necessario intendersi una volta per sempre. Al tempo del fascismo, onorevole Pellegrini, erano definiti e chiamati antinazionali tutti coloro che le idee fasciste non condividevano.

Si vuole oggi definire fascista ognuno che non condivida l’idea comunista, il vostro modo d’essere, di concepire la vita politica e di organizzare la società? Ebbene, fatelo! Ma veda, onorevole Pellegrini, ciò è pericoloso, molto pericoloso, perché non bisogna dimenticare che in questo senso – ripeto, in questo senso – si orienta oggi la stragrande, la schiacciante maggioranza del popolo italiano (Applausi al centro e a destra – Commenti).

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Onorevoli colleghi, intendo contestare fermamente la falsa versione data ieri dall’onorevole Pellegrini sui fatti del primo giugno a Udine, in quanto testimonio particolare e responsabile particolare dello svolgimento di quella manifestazione. In occasione della concessione delle medaglie d’oro, a fianco del Ministro Gasparotto che rappresentava il Governo, e dell’amico e collega Longo, che rappresentava formazioni garibaldine, io rappresentavo le nostre formazioni.

È inutile e disonesto volersi atteggiare a vittima ed accusare gli avversari e i compagni della stessa lotta d’una concezione e di un atteggiamento di violenza che è antitetico alla nostra stessa concezione della vita politica, quando, invece, queste manifestazioni di lotta, portate sul piano politico, ispirano, nello stile e nel metodo, una parte che continuamente avversa, con questi metodi, la nostra libera e doverosa esposizione di principî e di fede.

La cerimonia ebbe svolgimento regolarissimo. Per quanto sia antipatico richiamare un fatto personale, per la troppo piccola personalità che rappresento, credo di potermi attribuire il merito di aver cercato di comporre un episodio, per il senso di responsabilità che io sentivo vivissimo, quale rappresentante di tanti partigiani. E chiedo la testimonianza onesta e leale degli onorevoli Gasparotto e Longo, al quale io rendo omaggio per l’elevatezza di pensiero, espresso nella esaltazione della resistenza. Mentre l’onorevole Longo parlava, venne a mancare la corrente; cosicché il microfono cessò di funzionare. Allora si gridò al sabotaggio. L’onorevole Longo precisò che non c’era sabotaggio e continuò a parlare con la forza dei suoi polmoni. Verso la fine del suo discorso il microfono riaccennò a funzionare; in modo che, quando io presentato dal prefetto di Udine, mi apprestai a dire la mia parola, si levò un coro di urla contro la mia persona, ritenendosi che la interruzione durante il discorso dell’onorevole Longo avesse voluto rappresentare un atto di sabotaggio. Mentre l’onorevole Longo neppure con la sua autorità e col suo prestigio di comandante riusciva a sedare il tumulto, io credetti, per un senso di lealtà cavalleresca, di rinunziare al microfono, per mettermi sullo stesso suo piano e, per quanto ne avessi pieno diritto, volli dimostrare che noi democristiani non abbiamo bisogno di ricorrere a strumenti di amplificazione per far sentire la nostra voce.

Cessata la cerimonia, si svolse perfettamente la sfilata delle formazioni nostre e di quelle garibaldine, le quali tutte destarono l’entusiasmo e l’ammirazione della popolazione udinese. Si fraternizzava, partigiani e comandanti di tutte le formazioni, quando elementi garibaldini comunisti cominciarono ad insolentire ed accusare i nostri ragazzi della formazione Osoppo. Ad un certo momento, la discussione, che poteva essere anche comprensibile in elementi giovanili, acquistò significato molto più profondo e molto più cattivo, perché era rivolta contro i nostri fratelli giuliani di Trieste, ai quali venne ostentata, quasi come un insulto, la stella rossa che per loro, e proprio perché italiani, ha voluto dire, anche sul piano politico: foibe, violenza, negazione di ogni libertà.

Si passò dunque ad atti di violenza: elementi comunisti trassero le rivoltelle e si misero a sparare all’impazzata.

Io mi sono chiesto se era mai possibile che in una cerimonia, nella quale si dovevano rievocare i nostri morti gloriosi, si dovesse arrivare da una certa parte a simili atteggiamenti

Ci si può combattere lealmente sul piano della legalità, del diritto e della giustizia e della carità cristiana.

Anche questa volta, e chiedo scusa dell’accenno che riguarda ancora la mia modesta persona, io intervenni per placare, mentre come partigiano avrei sentito di intervenire a favore dei mei fratelli offesi; ma per far sì che una giornata di pace, di fede e di ricordi non degenerasse in una lotta fratricida.

E allora io dico: è ora di finirla, basta con lo sfruttare con una intenzione demagogica anche i momenti di sosta, sacri ai morti in questa lotta politica che combattiamo nei comizi, in quest’Aula o nelle piazze…

Pensiamo in maniera diversa perché abbiamo mentalità forse opposte per la nostra stessa concezione spirituale, abitudine di vita, temperamento; troviamoci almeno uniti in un punto, in una confluenza, quella di un sacrificio che fu comune, perché la libertà che abbiamo riconquistato è il patrimonio di tutto un popolo, di qualunque colore e fede. Quindi nessuno ha il diritto di fare monopolio come mezzo politico e sbandierarlo come prezzo del suo contributo.

Credo di potere parlare serenamente agli amici di allora, anche se avversari politici, perché compimmo un dovere senza pretendere che a questo dovere così altamente sentito e pagato dai nostri fratelli con la loro vita, con la rinuncia dei beni, dovesse rispondere domani un ricatto quasi a dire al Paese: io ho fatto tanto e voi dovete riconoscerlo. Questo è quanto è degenerato anche nel non mai abbastanza deprecato fascismo: lo squadrismo, esaltazione di ciò che era stato violenza contro gli altri.

E noi invece, che abbiamo compiuto un atto che era bene e doveroso, che sentivamo tutti nobile e puro, non possiamo adeguarci a simile sistema. Questa concezione, quasi mercantile, del dovere rifugge dalla nostra coscienza.

PRESIDENTE. Onorevole Geuna, è una rettifica che lei fa al processo verbale. La prego di concludere.

GEUNA. Sì, ha ragione, onorevole Presidente; ma il processo verbale implicava anche una esposizione di un sistema del quale mi devo risentire. Concludo. Amici e colleghi, noi dobbiamo combatterci e ci combatteremo, ma con la parola, con la stampa, con la convinzione, con le idee, servendo l’idea. Ma se voi crederete di poterci soffocare con la calunnia, con la menzogna, sfasando anche i fatti con la violenza, vi sbagliate. La libertà conquistata dal sangue di tutti gli italiani noi la sapremo difendere. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Mastino Pietro.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radio-diffusioni ha proceduto stamane alla propria costituzione, nominando Presidente l’onorevole Molè, Vicepresidente l’onorevole Corsanego, Segretario l’onorevole Laconi.

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avevamo sospeso i nostri lavori nell’ultima seduta al momento in cui stavamo per affrontare l’esame delle materie contenute nel testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 proposto dalla Commissione.

Si tratta ora di esaminare, punto per punto queste materie, in relazione agli emendamenti già svolti da numerosi colleghi.

L’elenco proposto dalla Commissione comprende diciannove materie riservate alla potestà legislativa della Regione. Noi le esamineremo una per una e procederemo alle relative votazioni.

La prima materia proposta dalla Commissione è così indicata: «Ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione». Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi, Azzi hanno proposto di aggiungere:

«Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

L’onorevole Zuccarini inoltre ha proposto la seguente formulazione da inserire dopo il terzo punto delle materie indicate dalla Commissione: «Stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione e degli enti locali».

Gli onorevoli Bozzi e Nobile infine hanno proposto di sopprimere le parole: «ed enti amministrativi».

Chiedo il parere della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è riunito questa mattina ed ha esaminato gli emendamenti in questione. V’è una proposta di togliere. «enti amministrativi». È opportuno evitare equivoci. Mettendo «enti amministrativi della Regione» si potrebbero intendere anche i Comuni e le Provincie. Ora è evidente che sopra l’ordinamento di questi enti non può dettar norme la Regione. Si proporrebbe allora di mettere: «Ordinamento degli uffici e degli enti istituiti dalla Regione», cioè di quegli organi che la Regione può istituire. Questa è la proposta con cui veniamo incontro all’emendamento Bozzi-Nobile.

Quanto alla aggiunta «stato giuridico ed economico degli impiegati delle Regioni e degli enti locali», la maggioranza del Comitato non è stata favorevole, perché ha ritenuto opportuno che in questa materia le garanzie fondamentali giuridiche ed anche economiche degli impiegati siano stabilite con un criterio unico. La minoranza ha fatto osservare che non intendeva togliere le norme generali che poteva porre la legge dello Stato, ma soltanto lasciare certe facoltà di adattamento secondo le esigenze regionali. La maggioranza ha risposto che certamente le leggi dello Stato non sopprimeranno la facoltà di adattamento da parte delle Regioni; e potranno conferire alle Regioni speciali poteri; ma non conviene dare, in via generale, carattere legislativo regionale a questa materia.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi pare che l’emendamento proposto dal Comitato, pur risolvendo in parte i miei dubbi, sollevi un altro problema. Infatti, quando esso dice: «enti amministrativi istituiti dalla Regione» conferisce indirettamente alla Regione potere di creare enti con personalità giuridica, mentre oggi gli enti pubblici si creano attraverso una procedura che è statale. Io non potrei approvare una siffatta potestà conferita alle Regioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Regione può provvedere alle sue funzioni sia attraverso uffici, sia attraverso enti creati ad hoc, che possono avere una certa autonomia ma sono sempre para-regionali. Ad ogni modo, il Comitato ha esposto le sue idee, sopra una questione che non sembra estremamente importante. L’Assemblea decida come crede.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. È pur necessario venire incontro alla preoccupazione che l’onorevole Bozzi ha testé manifestata; è tanto più necessario, in quanto nella sostanza tutta la Commissione è d’accordo, e penso sia d’accordo tutta l’Assemblea. Si tratta di trovare una definizione che non si presti ad interpretazioni errate. Io credo che potrebbe essere così formulata: «enti amministrativi dipendenti dalla Regione». Probabilmente questa definizione è quella che dà luogo a minori equivoci. Comunque, se non si crede di trovare in questo istante una soluzione, si voti con la riserva di rimettere al Comitato di redazione una migliore formulazione. Sia inteso, all’atto di votare, che da questi enti amministrativi (io chiedo al Presidente della Commissione di chiarire esplicitamente il punto) sono escluse la Provincia ed i Comuni, in modo che l’equivoco resti formale. Riguardo alla modifica che ho proposto, chiedo al Presidente della Commissione che esprima il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Sul punto che Provincie e Comuni non sono fra gli enti amministrativi, il cui ordinamento può essere legislativamente regolato dalle Regioni, sono stato molto esplicito poco fa. In quanto alla parola «dipendenti» l’accetterei, perché viene incontro alla proposta dell’onorevole Bozzi che, credo, non insisterà nel suo emendamento. Potremo così votare: «ordinamento degli uffici ed enti amministrativi dipendenti dalla Regione».

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte del primo alinea: «Ordinamento degli uffici».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte del primo alinea nella formulazione proposta testé dalla commissione:

«ed enti amministrativi dipendenti dalla Regione».

(È approvata).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Perassi ed altri, sostanzialmente identico all’altro proposto dall’onorevole, Zuccarini: «Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il mio Gruppo voterà contro l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Perassi e Zuccarini. I motivi per cui voteremo contro sono evidenti. Noi possiamo ammettere che esistano differenti burocrazie nelle differenti Regioni, ma non possiamo, in alcun modo, ammettere che ciascuna di esse abbia attribuiti uno stato giuridico ed un trattamento economico diverso, a seconda delle possibilità economiche della Regione stessa. Noi verremmo ad operare, nel corpo della burocrazia italiana, una selezione a vantaggio delle Regioni più ricche, e verremmo, nelle Regioni più povere, ad avere lo scarto degli impiegati. Non possiamo ammettere una cosa di questo genere. Quindi, voteremo contro.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Laconi. Anche il mio Gruppo voterà contro.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Il mio Gruppo è contrario alla proposta degli onorevoli Perassi e Zuccarini. Noi abbiamo detto di voler sfollare un po’ la burocrazia centrale, spostando diversi funzionari dal centro alla periferia. È evidente la necessità che questi funzionari abbiano tutti lo stesso trattamento, qualunque sia la Regione nella quale verranno occupati. Inoltre, bisogna che non sia leso il loro diritto di funzionari. Sarà una cosa molto difficile, onorevoli colleghi, che dei funzionari, i quali, per esempio, risiedono qui a Roma, possano andare in qualche Regione ad esplicare il loro lavoro. Forse si sarebbe costretti a fare a questi funzionari un trattamento di preferenza.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà contro l’emendamento proposto dagli onorevoli Perassi e Zuccarini.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Desidero precisare che le ragioni dell’emendamento erano date dalla preoccupazione – che già ho illustrato – che gli impiegati degli enti locali non fossero, come avviene oggi, troppo frequentemente spostati da una Regione all’altra, ma dovessero vivere sul posto per conoscere a fondo i problemi.

Noi crediamo che il trattamento economico sarà eguale, ma non è qui la questione.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini, lei ha già svolto il suo emendamento.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Le ragioni che mi inducono a votare contro sono state già svolte dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. Dichiaro che il mio Gruppo voterà contro l’emendamento Perassi-Zuccarini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Perassi-Zuccarini, che rileggo: «Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

(Non è approvato).

Passiamo al secondo alinea: «Modificazioni delle circoscrizioni comunali e provinciali».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimerlo; ma ciò si traduce nel votare contro la proposta formulazione. Ogni proposta deve avere contenuto positivo; coloro che non intendono approvare la formulazione votano contro e possono giustificare il loro voto con una dichiarazione.

L’onorevole Costa ha proposto di aggiungere: «e delle denominazioni dei Comuni». Egli non è presente.

PIEMONTE. Faccio mia la proposta dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Sta bene. Voteremo prima il testo della Commissione e poi la proposta aggiuntiva.

Chiedo il parere della Commissione sull’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto riguarda l’aggiunta della frase: «e delle denominazioni dei Comuni» non sono d’accordo, perché allora bisognerebbe parlare anche delle provincie ed entrare in altre specificazioni. Mi pare eccessivo dare nella Costituzione particolare risalto a questo argomento.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Secondo me, bisogna guardare anche a quelli che sono i diritti dei cittadini. Quando si tratta di dare alla nuova Costituzione questo diritto di modificare la circoscrizione comunale, provinciale, ecc., bisognerebbe che almeno si tenesse presente l’opportunità che vi sia l’approvazione della popolazione. Io domando: si può cambiare la circoscrizione senza che il cittadino possa manifestare, attraverso una votazione, l’adesione a queste modificazioni? L’alinea dovrebbe, pertanto, essere soppresso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare all’onorevole Tonello che è implicito, per quanto riguarda questo articolo, che le norme generali e fondamentali debbono essere stabilite dallo Stato; quindi queste modificazioni non è che si possano fare ad arbitrio.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono del parere che si possano dare alla Regione i poteri di modificare la circoscrizione comunale, ma per le modifiche delle circoscrizioni provinciali, penso che esse debbano restare compito dello Stato. Proporrei, pertanto, che l’alinea si votasse per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene, la votazione avverrà per divisione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Dichiaro di ritirare l’emendamento dell’onorevole Costa che avevo fatto mio, riservandomi di presentare la proposta quando si tratterà della Provincia.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo per il testo della Commissione da noi giudicato preferibile.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo alinea;

«Modificazione delle circoscrizioni comunali».

(È approvata).

Pongo ai voti la seconda parte: «e provinciali».

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo al terzo alinea del testo della Commissione: «Polizia locale urbana e rurale».

Vi è a questo proposito la seguente proposta dell’onorevole Mortati, abbastanza complessa:

«Fondere i capoversi secondo, terzo e quarto dell’articolo unificato risultante dagli articoli 109, 110 e 111 del progetto, l’articolo 119 e l’articolo 124, nel seguente articolo, che dovrebbe precedere, nella collocazione finale, l’articolo 109:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le norme legislative della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum legislativo, per l’impiego del referendum su provvedimenti amministrativi, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati alla Regione».

MORTATI. Chiedo di rinviare la discussione dell’emendamento.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo alinea:

«Polizia locale urbana e rurale».

(È approvato).

Passiamo al quarto alinea: «Fiere e mercati».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero chiedere che cosa si vuole intendere per fiere nel caso contemplato dal comma in esame, perché, se trattasi di fiere di carattere nazionale, non mi pare conveniente lasciarle alla competenza della Regione. Propongo pertanto che si dica: «fiere e mercati locali».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente della Commissione di manifestare il proprio pensiero riguardo alla proposta dell’onorevole Corbino.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituente. A me pare implicitamente inteso che si tratta di fiere e di mercati locali; non è necessario aggiungerlo; se noi mettessimo qui l’attributo «locali», dovremmo aggiungerlo anche in molte altre voci dell’articolo ed in altri articoli. Non mi sembra necessario, essendovi il presupposto che quando si parla della Regione, si tratta sempre di attività che non eccedono l’interesse regionale.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, insiste nella sua proposta?

CORBINO. Insisto. Desidero che si aggiunga all’espressione «fiere e mercati» la parola «locali». (Commenti).

TEGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEGA. Dichiaro che voterò contro l’alinea, in quanto viene a menomare l’autonomia comunale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula: «Fiere e mercati».

(È approvata).

Metto in votazione raggiunta proposta dall’onorevole Corbino della parola «locali».

(Non è approvata).

Passiamo ora al quinto alinea:

«Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria e ospedaliera».

Gli onorevoli Merighi e Fornara hanno proposto di sopprimere le parole «ed assistenza sanitaria e ospedaliera».

L’onorevole Colitto, ha proposto di aggiungere le parole: «sanità ed igiene»; l’onorevole Zuccarini ha proposto di aggiungere l’espressione «igiene e sanità pubblica».

Infine l’onorevole Caronia e altri deputati hanno proposto di sostituire l’alinea col seguente: «Igiene e sanità pubblica, beneficenza pubblica ed assistenza ospedaliera».

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Vorrei un chiarimento. Noi sappiamo che gli Istituti della Previdenza sociale creano, per l’esercizio della loro funzione, degli ospedali nelle varie Regioni. Desidero pertanto conoscere se anche tali ospedali dovranno essere soggetti alla regolamentazione da parte della Regione, o se potranno invece vivere alle dipendenze degli istituti che li hanno creati.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Do all’onorevole D’Aragona l’espresso chiarimento che gli istituti di assistenza che dipendono da enti nazionali non cadono sotto la potestà legislativa della Regione. Questa è espressa dichiarazione del Comitato, per l’interpretazione dell’articolo.

Veniamo ora agli emendamenti presentati. Ve n’è uno che toglie e uno che aggiunge. Quello che toglie lascia soltanto «beneficenza pubblica», sopprimendo «assistenza sanitaria ed ospedaliera». Il Comitato mantiene il suo testo, facendo presente che gli istituti ospedalieri e di assistenza, affidati ad enti locali, ad esempio i brefotrofi ed i manicomi provinciali, rimarranno ad essi, se non del tutto, in gran parte, anche con i riordinamenti che possano introdursi mediante una regolazione nazionale di questa materia. Lasciamo dunque al riguardo una potestà legislativa secondaria alla Regione.

Per quanto riguarda l’emendamento aggiuntivo, il Comitato non è favorevole, nella sua maggioranza, ad aggiungere «sanità ed igiene» o «sanità pubblica» o qualche cosa del genere, perché qui si tratta di materie così gelose – basta accennare alle infezioni – che non si può, passando un confine regionale, mutarne i precetti e la disciplina. Questa materia deve essere affidata allo Stato. Non è escluso – ed il nostro schema lo consente – che lo Stato affidi l’esercizio di queste funzioni a medici regionali, o provinciali, ma la facoltà di emettere norme aventi valore legislativo e di dirigere i servizi deve essere attribuita e conservata allo Stato.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione del quinto alinea.

LONGHENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGHENA. Mi associo alla proposta Merighi-Fornara, perché le direzioni degli ospedali non hanno ancora definito con precisione il loro punto di vista circa la sistemazione di questi enti, e finché non sarà nota la decisione di coloro i quali sono competenti in materia, non mi sento di votare il testo della Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero solo chiedere alla Commissione un chiarimento circa il problema del recupero delle spese di spedalità, uno dei problemi più gravi che riguarda gli enti ospedalieri. Se il regolamento delle spese di spedalità viene fatto dalla Regione, può darsi che le singole Regioni si diano ciascuna un regolamento autonomo, l’uno diverso dall’altro, e quindi potrebbe verificarsi che una Regione imponesse norme che sono totalmente diverse da quelle di un’altra Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di parlare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Posso tranquillare l’onorevole Bertone, perché, in base al primo comma di questo articolo, che già abbiamo approvato, spetta allo Stato fissare i principî fondamentali, anche per questa materia, che non sarà quindi lasciata all’arbitrio illimitato della Regione.

MAFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Io voterò contro, perché vedo quanto sia pericoloso stabilire un principio che consenta alle Regioni un’interferenza in un problema come quello dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera, problema che dovrà essere oggetto di una profonda trasformazione. Basterà riferirsi soltanto al problema dell’assistenza ai tubercolotici, che dovrà essere fondamentalmente basato su un’assicurazione statale, per capire che disastro economico, amministrativo, direttivo si avrebbe se noi dovessimo affidare alle singole Regioni facoltà normative su questo argomento.

Quando pensiamo che è opinione ormai generalizzata che l’assistenza pubblica debba essere nientemeno che affidata ad un Ministero della sanità pubblica, in collegamento con tutti i Ministeri veramente attivi della vita sociale (quindi, col Ministero del lavoro, col Ministero dell’agricoltura, con il Ministero della pubblica istruzione), un Ministero efficientissimo, centralizzato, in rapporto con tutte le autonomie locali, sì, ma che abbia una unicità di indirizzo, com’è unitario il problema dell’assistenza sanitaria, che, pur con differenze minime fra Regione e Regione, interessa la vita di tutta la nazione, noi vediamo l’assurdità della proposta regionalistica in tale materia.

Siamo di fronte a problemi di una grande altezza, di una vera nobiltà sociale, e stiamo per frazionarne l’attuazione affidandola alle Regioni ed alle Provincie che, in molti casi, saranno incompetenti e, in molti altri casi, saranno espressione di interessi dominanti che spesso non risponderanno agli interessi del pubblico bene.

MICHELI. Le cricche ospedaliere!

MAFFI. Già, le cricche ospedaliere! Quindi noi dobbiamo votare contro.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Voterò contro per due motivi. Il primo si ricollega all’eccezione sollevata dall’onorevole Bertone: mi pare che la limitazione delle direttive e dei principî generali non basti a tranquillizzarci su taluni problemi dell’assistenza ospedaliera, problemi che sono e restano di carattere generale, come quelli del cosiddetto domicilio di soccorso e della ripartizione delle cosiddette spese di spedalità.

Per un secondo motivo voterò contro: perché è dinanzi ai miei occhi il quadro delle regioni meridionali. Ritengo che la regolamentazione di questa materia debba essere unitaria per il Nord e per il Sud e che attribuire l’assistenza ospedaliera alla Regione segni per il Mezzogiorno un pauroso regresso.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Questa era una delle poche voci per le quali non avevo chiesto la soppressione; ma dopo aver sentito l’opinione di colleghi che hanno competenza nella materia, dichiaro di votare per l’esclusione anche di questa voce.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Unicamente mi permetto di rilevare al collega Maffi una contradizione. Pochi giorni fa si diceva che alcuni medici incaricati di dire se c’era malaria o no, sotto il regime unitario, per far carriera negavano che esistesse, anche se c’era. Ora, nella Regione, queste cose non succederanno più.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del quinto alinea: «Beneficenza pubblica».

(È approvata).

Prima di passare alla votazione della seconda parte «ed assistenza sanitaria e ospedaliera», chiedo agli onorevoli Colitto, Zuccarini e Caronia, che hanno presentato emendamenti, se ritengano di poter fondere il testo della Commissione con le loro proposte, o se considerino le loro proposte nettamente distinte.

COLITTO. Non insisto nell’emendamento.

ZUCCARINI. Mantengo la formula: «igiene e sanità pubblica», ma come un alinea separato.

CARONIA. Accetto la formula aggiuntiva: «igiene e sanità pubblica».

PRESIDENTE. Voteremo prima il testo della Commissione, per la quale non vi sono emendamenti, e poi la proposta aggiuntiva degli onorevoli Zuccarini e Caronia.

BIBOLOTTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIBOLOTTI. Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi, e specialmente dei colleghi democristiani, su un fatto. Il Presidente del Consiglio, qualche giorno addietro, ha insediato, con una certa solennità, una Commissione che dovrebbe provvedere a fornire indicazioni al legislatore di domani per una riforma previdenziale. Tutti i voti dei convegni tecnici di studiosi, di organizzatori sindacali, di coloro che si sono occupati del problema della previdenza e assistenza, hanno prospettato un riordinamento profondo, ma su base unitaria, di questa materia. Ora, se, presi dalla passione regionalistica, noi attribuiamo queste funzioni alla Regione, rischiamo di fare un grande passo indietro su questo problema. Chiederei che i colleghi democristiani riflettessero su una decisione che è contro le stesse loro deliberazioni e contro gli impegni che hanno assunto nei loro convegni. Voglio supporre che questo problema non sia stato valutato sufficientemente. Ecco perché faccio appello a coloro che hanno responsabilità in materia perché non si commetta questo grave errore, che farebbe fare un passo indietro di trenta anni al problema dell’assistenza sociale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto all’onorevole Bibolotti quello che ho detto all’onorevole D’Aragona: la previdenza sociale, più recentemente nata ed ancora in sviluppo, si basa sopra altri criteri, ed ha un profilo a sé, diverso da quello della tradizionale assistenza ospedaliera, che è esercitata in forme ed istituti locali. Lo sviluppo della previdenza sociale potrà ridurre questo mondo antico, che resterà tuttavia sempre, almeno in parte, in vigore; e nulla vieta che sia regolato dalla legislazione regionale, sempre entro i limiti dei principî posti con leggi dello Stato. Invece per la previdenza sociale, che s’ispira a criteri essenzialmente nazionali, l’unico legislatore e regolatore sarà lo Stato.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. L’argomento, indiscutibilmente, è molto grave. Non basta affermare che la previdenza sociale è libera, al disopra degli ospedali provinciali, regionali e locali. I vecchi legislatori ricorderanno che nel 1917 è stata costituita una Commissione per introdurre in Italia l’assicurazione malattia. Ricordo che le conclusioni di quella Commissione furono che si dovesse costituire in Italia un ente nazionale il quale avrebbe dovuto assorbire tutti gli ospedali locali; perché la sanità, la prevenzione, la cura, la post-cura sono cose che non possono essere lasciate a organi locali, se si vuole sinceramente che questa funzione della sanità sia veramente una cosa seria. Oggi abbiamo – lo ha detto il collega onorevole Bibolotti – una Commissione, la quale deve studiare il riordinamento delle assicurazioni sociali e della previdenza sociale.

Tra le varie correnti di idee che si muovono nel campo della previdenza sociale, vi è anche quella – non so se avrà la prevalenza nella Commissione che ho l’onore di presiedere – la quale afferma il principio che il cittadino ha il diritto di essere assistito dalla nascita alla morte, in tutte le evenienze della sua gita. Tutto questo deve essere accentrato in un ente nazionale, il quale deve seguire il cittadino attraverso tutte le malattie.

In Italia, per esempio, abbiamo questa situazione strana: esiste una assicurazione contro la tubercolosi completamente disgiunta dalla assicurazione contro le malattie, come se la tubercolosi non fosse una malattia. Ma come è possibile svolgere un’azione efficace in tutto il Paese contro la tubercolosi, se non si dà ad un organismo di carattere nazionale il diritto di avere dei poteri sugli ospedali locali, anche se questi ospedali non dipendono direttamente da quest’organo centrale della sanità, per la difesa delle popolazioni contro la tubercolosi? Se dipendono da organi regionali, come potrà quest’organo superiore influire? Si dice, è vero, al primo comma che «la Regione emana norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», ma è molto facile superare poi nella pratica queste formule generiche e mettere quindi questi organismi in condizione di non avere la elasticità necessaria per lo svolgimento della loro azione.

Per tutte queste ragioni, dichiaro che io voterò per la soppressione della voce in esame.

MICHELI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io non voglio contrastare le parole dette dall’onorevole Bibolotti, in quanto egli ha affermato che qualcuno di noi fosse affetto da mania regionalistica.

BIBOLOTTI. No, no, ho detto passione.

MICHELI. Trattandosi di ospedali, io ho trasformato la passione in mania. Certo però ho detto mania per me, in quanto intendevo serbare l’espressione più graziosa, la passione, per lei, onorevole Bibolotti, e per coloro che sono del suo parere, poiché mi pare che lei abbia un poco di passione anti-regionalistica.

Ma, discutendosi, come ogni momento si vuol fare, fino alla virgola, mi pare che si voglia arrivare a sfrondare l’albero della Regione, in modo che l’esperimento debba fallire e si possa darne domani la colpa a noi, mentre siete voi che volete farlo fallire. (Interruzioni a sinistra).

Questo dico come preambolo. Giacché debbo aggiungere ai colleghi che si vuole equivocare sulla interpretazione di quello che effettivamente significa la parola assistenza sanitaria ed ospedaliera.

Che cosa c’entra la previdenza sociale nella questione che è detta così chiaramente in questo articolo?

MORELLI RENATO. E il tubercolosario?

MICHELI. Ne parleremo più tardi. Permetta il collega che ci arrivi attraverso tutte le altre forme di malattia. (Commenti a sinistra).

Grazie al cielo non è dei soli affetti da tubercolosi che noi in questo momento ci dobbiamo preoccupare.

Può anche darsi che i tubercolosari, i quali hanno una organizzazione già sapientemente organizzata e predisposta, non siano compresi in questa parte, ma che invece non sia necessario eliminare queste parole dell’articolo proposto, in quanto che esso nulla innova di quello che è lo stato di fatto attuale.

DI VITTORIO. Lo stato di fatto non è simpatico.

MICHELI. Se ella crede che non sia simpatico, non la voglio contraddire. Lei potrà indicare le località deficienti che la inducono a questa affermazione. Io parlo di altre località che conosco in senso contrario e quindi ella permetterà che io non accetti questa sua interruzione, perché non mi pare adatta, in questo momento.

Gli ospedali da chi dipendono ora? Dallo Stato? Niente affatto. Allo Stato ricorrono qualche volta per la integrazione dei loro bilanci, ma gli ospedali non hanno nessuna dipendenza dallo Stato. Quindi, effettivamente, o formano enti particolari, o dipendono dai comuni, qualcuno anche dalle provincie. Questo oggi; domani i rapporti con lo Stato passeranno alla Regione. Sarà una specie di amministrazione superiore. Quindi nessuna particolare modificazione che venga a turbare la situazione attuale. Solamente noi organizzeremo localmente quello che adesso dipende dall’alto; allora si avrà un maggiore controllo dei cittadini e non dovremo per ogni piccola questione venire qui ad inchinarci a queste formazioni centralistiche nelle quali, molti o pochi, medici o professori, comandano e dettano norme a tutta Italia. Questo non deve continuare. Di medici e professori ne abbiamo anche localmente, altrettanto bravi e valenti, e non è il caso che soltanto per questo si debba sminuire l’importanza di questa proposta.

Per quanto si riferisce alla osservazione dell’onorevole D’Aragona, essa è di una importanza notevole; però mi permetto di fargli osservare che egli ha detto che nel lontano 1917 si è istituita una Commissione, la quale doveva riunire tutti gli istituti assistenziali, dare ad essi un indirizzo unico, sistemare tutto. Questa Commissione, dal 1917 ad oggi, non ha concluso che poco o nulla e gli ospedali restano come erano. Raggruppiamoli; facciamo tanti reparti ospedalieri regionali e riusciremo a fare qualche cosa, che con la Commissione unica non si è mai riusciti a fare e non si farà. Le Commissioni, sapete come sono, studiano molto e concludono poco.

Noi localmente studieremo e concluderemo quello che voi nella Commissione, dal 1917 ad oggi, non siete riusciti a concludere.

Onorevole D’Aragona, io ho visto con molto piacere ed ho assistito al solenne insediamento della nuova Commissione della quale siete presidente e mi sono compiaciuto perché nessuno era più degno di voi a sedere in quel posto; permettete che vi dica: Ad multos annos, per voi e per la vostra Commissione. (Si ride).

DI VITTORIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Vorrei osservare che se vi è un principio sul quale le varie correnti che si occupano di problemi sociali sono d’accordo, è proprio quello di basare tutta la materia dell’assistenza sanitaria sulla più completa solidarietà nazionale. Noi abbiamo in Italia provincie e Regioni le quali hanno una attrezzatura sanitaria presso a poco sufficiente per i bisogni della popolazione.

Ne abbiamo altre nelle quali una vera e propria assistenza sanitaria non esiste. Se deleghiamo alla Regione l’assistenza sanitaria, rischiamo di condannare le zone più povere, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, a non uscire mai da questa inferiorità. Invece lasciando al Paese intera la responsabilità dell’assistenza sanitaria, si deve fare in modo che tutto il Paese, con tutti i suoi mezzi e le sue risorse, concorra a creare o a sviluppare l’assistenza sanitaria anche nelle Regioni più povere, dove questa non esiste. Perciò qui non si tratta della Regione o dell’anti-Regione; si tratta di un problema tecnico e di un problema sociale di grandissima importanza, che dobbiamo risolvere secondo le sue esigenze intrinseche e non secondo determinate pregiudiziali estranee al problema stesso.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Vorrei fermarmi un istante sulla necessità di guardare il problema sanitario in rapporto alla tubercolosi, perché specialmente nel Mezzogiorno, nelle città più sinistrate dalla guerra, questo problema assume un aspetto preoccupante. Dalle statistiche che ho potuto avere presso gli enti competenti, si desume che vi è un aumento di tubercolosi rispetto all’anteguerra del 40 per cento ed attualmente abbiamo che, mentre la previdenza sociale può provvedere all’assicurazione ed eventualmente alla cura semplicemente di una metà di coloro che sono affetti da quel terribile male, l’altra metà viene curata attraverso le organizzazioni provinciali o comunali, vale a dire che i tubercolotici sono assistiti per una metà dagli istituti sanitari della previdenza sociale, mentre per l’altra metà devono essere assistiti dalle provincie e dai comuni. Discende da questo la necessità di una unitarietà, di un unico indirizzo di assistenza in questa materia.

L’onorevole Di Vittorio ha accennato alla disparità delle condizioni economiche delle varie Regioni ed io mi permetto di aggiungere che vi è una sola necessità: quella che si possa finalmente affrontare e sperare di risolvere questo tremendo male che affligge gravemente l’Italia. Sono quindi decisamente contrario che alla Regione sia affidata la legislazione in materia sanitaria.

MERIGHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MERIGHI. Di fronte a certe dichiarazioni è opportuno che anche io faccia la mia dichiarazione personale di voto.

Faccio osservare al collega Micheli, di cui ammiro profondamente il giovanile entusiasmo per la giovinetta Regione, che il limitare o togliere alla Regione stessa certi attributi può significare, anziché la svalutazione, la valorizzazione sua e quindi il non farne fallire l’esperimento. Limitandone i compiti a determinate cose, per cui può essere realmente competente la Regione, c’è il caso che l’esperimento regionale risponda di più allo scopo.

Mi pare che dalla discussione avvenuta, per quanto riguarda il problema assistenziale e sanitario, appaia ancora un po’ di confusione nel pensiero di molti colleghi. Questa confusione di idee, su cui per necessaria brevità non mi soffermo, non vorrei che fosse tradotta domani nella legislazione regionale, il che potrebbe urtare contro i principî legislativi nazionali, e di conseguenza contro i regolamenti locali. Vi faccio osservare, poi, a proposito di assistenza ospedaliera, che presso l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica vi è una Commissione, la quale lavora da tempo per la riforma degli ospedali e per la riforma della legislazione sanitaria, cercando di ovviare ad inconvenienti che si sono creati, e che avete rilevato (Interruzioni e rumori a destra) e per coordinare le richieste ed i contrasti fra clinici ed ospedalieri.

Osservo inoltre che dare l’assistenza sanitaria alla Regione, può portare a profonde modifiche di quelle che sono antiche istituzioni (Interruzione a destra), ad esempio quella della condotta medica. Il nostro intervento, non vuole essere un intervento negativo od ostruzionistico: vuole essere anzi positivo, nel senso di richiamare l’Assemblea e la benevola attenzione del Presidente della Commissione alla possibilità di una sospensiva. In caso contrario voterò contro la proposta.

VIGNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGNA. Desidero avere un chiarimento. Vi sono Comuni che hanno enti ospedalieri e di assistenza di data secolare, che costituiscono il loro orgoglio ed il loro vanto. Ora io chiedo al Presidente della Commissione, quali possano essere, eventualmente, i poteri della Regione in relazione al funzionamento di questi enti ospedalieri che, come ho già detto, costituiscono vanto ed orgoglio di tanti nostri Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha tenuto presente la preoccupazione dell’onorevole Vigna. Nell’articolo 112, che segue immediatamente, è stabilito, che con leggi dello Stato possono affidarsi agli altri enti locali funzioni amministrative nelle materie la cui legislazione secondaria è affidata alla Regione. La Costituzione, dunque, permette di conservare nell’ambito della gestione dei Comuni gli istituti ospedalieri che sono una loro antica tradizione.

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, ella ha già parlato in sede di dichiarazione di voto.

MAFFI. L’onorevole Micheli ha lanciato contro di noi un’accusa e abbiamo il diritto di rispondere.

PRESIDENTE. In altra sede, non in sede di votazione.

MAFFI. È un dato di fatto che bisogna portare per chiarire il pericolo a cui si va incontro. (Rumori al centro). Onorevole Micheli, noi non siamo affetti da «michelite». (Interruzione dell’onorevole Micheli).

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, la prego di non insistere.

Pongo in votazione la seconda parte del quinto alinea nel testo della Commissione: «ed assistenza sanitaria e ospedaliera». È evidente che coloro i quali accettano l’emendamento soppressivo degli onorevoli Merighi e Fornara voteranno contro la formulazione della Commissione.

(È approvata).

 

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Zuccarini e Caronia: «Igiene e sanità pubblica», salvo poi a vedere in quale punto della elencazione bisognerà inserire l’espressione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei dichiarare, per evitare ogni equivoco, che il Comitato considera ben distinti due ordini di questioni. L’assistenza ospedaliera, in quanto questione d’ordinamento amministrativo, può essere regolata, sempre subordinatamente, dalla Regione. Non così quanto, come igiene e sanità, è questione proprio di salute pubblica, e di precetti e prescrizioni, ad esempio contro le infezioni, che deve essere regolato esclusivamente dallo Stato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Zuccarini e Caronia: «Igiene e sanità pubblica».

(Non è approvato).

Passiamo al sesto alinea così formulato: «Istruzione artigiana e tecnico-professionale».

Gli onorevoli Colitto e Marchesi hanno proposto di sopprimere l’alinea. Gli onorevoli Miccolis, Penna Ottavia, Rodi, Patrissi, Abozzi, Venditti, Castiglia, Colitto, Quintieri Quinto, Trulli hanno proposto di sopprimere l’inciso: «e tecnico-professionale». Anche gli onorevoli Nobile e Preti hanno proposto di sopprimere queste parole.

L’onorevole Perassi ha proposto di aggiungere le parole: «ed assistenza scolastica».

Gli onorevoli Caronia, Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano, De Maria, Borsellino, Codacci Pisanelli, hanno proposto di fondere l’alinea in esame con quello successivo relativo ai «musei e biblioteche di enti locali» adottando la formula: «Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

Chiedo alla Commissione di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Caronia, debbo dichiarare che la Commissione dei Settantacinque, in tutti i suoi lavori, fu unanime nel non ammettere il passaggio in blocco alla legislazione secondaria della Regione, e come conseguenza, per il successivo articolo 112, il passaggio in blocco alla gestione regionale di tutta l’amministrazione scolastica, di tutto quanto dipende dal Ministero dell’istruzione.

Basta enunciare questo punto di vista per comprendere il netto diniego di accettare l’emendamento Caronia.

Per quanto riguarda la sua prima formula: «Istruzione artigiana e tecnico-professionale», il Comitato riconosce che. facendo menzione della istruzione «tecnica», potrebbe sorgere l’equivoco che la scuola tecnica e gli istituti tecnici siano deferiti alla Regione.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Perassi, che aggiunge: «ed assistenza scolastica», il Comitato non ha difficoltà di accettarlo.

PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che non si tratta ora di riaprire la discussione, ma di fare soltanto dichiarazioni di voto.

È dunque favorevole a modificare così: «Istruzione professionale ed artigiana».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Vorrei conoscere con maggior precisione quale sia il significato dell’espressione «assistenza scolastica» proposta dall’onorevole Perassi. L’assistenza scolastica può difatti riferirsi alle casse scolastiche, alle provvidenze relative alla scuola media in generale, ma anche, ad esempio, alle borse di studio universitarie. Bisognerebbe quindi chiarire con maggiore esattezza, perché sarebbe assai pericoloso affidare alla Regione tutto l’insieme dell’assistenza scolastica, compreso, per esempio, quanto riguarda l’assistenza ai reduci o agli, ex partigiani, di competenza degli istituti superiori. Ripeto, vorrei un chiarimento al riguardo.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Oggi abbiamo in Italia, per quanto riguarda le scuole professionali, organi regionali, che sono i Consorzi, i quali dipendono direttamente dal Ministero della pubblica istruzione. Inoltre, vi è un altro organo che si chiama I.N.A. P.L.I., dipende dal Ministero del lavoro. Questi due organismi hanno il compito di vigilare, sorvegliare, indirizzare e guidare le scuole professionali. A questi si aggiunge il Provveditorato degli studi. Le scuole professionali finiscono, alla fine, per fare quello che vogliono, perché, siccome questi organismi non vanno d’accordo fra loro, le scuole professionali devono superare tutti gli inciampi che essi frappongono.

Domando – è un chiarimento che chiedo – se quando si darà il diritto alle Regioni di legiferare in materia di scuole professionali, gli organismi che sono di carattere nazionale, che pure hanno la vigilanza sulle scuole locali, che, anzi, sussidiano le scuole locali, dovranno sparire, oppure dovranno passare alle dipendenze della Regione, o continueranno la propria opera in nome dello Stato, cioè a carattere nazionale. In caso contrario noi, anziché dare sviluppo a queste scuole professionali, finiremmo per soffocarle.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Devo osservare che, nella sostanza, sono d’accordo con l’onorevole Presidente della Commissione, perché qui si tratta di mettere fuori causa gli istituti tecnici. Ma, disgraziatamente, da un certo numero di anni a questa parte, quando si parla, onorevole Ruini, di istruzione professionale, si intende anche parlare di istituti tecnici.

Devo poi osservare una cosa importantissima, cioè che noi abbiamo riconosciuto a un qualsiasi privato il diritto di istituire scuole. Nessuno vieta alla Regione di poter creare anche istituti tecnici; ma questi tipi di scuole – chiamiamoli istituti tecnici, istituti professionali, chiamiamoli come vogliamo – non devono assolutamente intaccare l’iniziativa dello Stato. Ora, questi istituti possono essere creati per iniziativa delle Regioni, come già è stato stabilito in materia generale di istruzione. Perché vogliamo insistere su questa formula che può veramente creare gravi difficoltà di interpretazione?

Noi potremmo arrivare alla conclusione che un ragioniere di Napoli ha un diploma che, forse, non è riconosciuto a Milano: badate che possiamo arrivare a questo assurdo.

Ho detto e ripeto che, nella sostanza, con il Presidente della Commissione, siamo nello stesso ordine di idee; però nella dizione proposta ci può essere equivoco.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, l’onorevole Ruini ha proposto la dizione: «Istruzione professionale e artigiana».

MICCOLIS. Ma per scuole professionali – io vivo in quell’ambiente – oggi s’intendono scuole che vanno da quelle di avviamento al lavoro fino agli istituti tecnici. (Commenti).

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Domando se nel termine «scuole artigiane e professionali» devono comprendersi o meno le scuole inferiori medie di agricoltura specializzate, perché, sé c’è un tipo di scuola che propriamente deve avere un carattere regionalistico, è indiscutibilmente quello.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Qualsiasi forma venga adottata, io dichiaro che voterò contro, anche se sono molto scettico sull’efficacia del mio e degli altri presumibili voti contrarî, a causa dell’intervento massiccio dei colleghi regionalisti che rende praticamente senza effetti la nostra opposizione.

Mi pare infatti che in proposito vi sia già un’esperienza significativa nel settore universitario. Altri potrebbe, sotto questo riguardo, parlare con maggior competenza di me degli inconvenienti che si sono manifestati sia dal punto di vista amministrativo – ricordiamo che alcune università si sono trovate persino di fronte al pericolo di dover chiudere i battenti – sia da quello più specifico dell’ordinamento degli studi. Vi è stato un tempo in cui presso alcune università i giovani potevano laurearsi in legge senza sostenere esami in discipline fondamentali, come il diritto civile.

PERASSI. Ma questo non dipende dall’autonomia: questo va imputato a una legge del Ministro Gentile.

MORELLI RENATO. Una legge che consentiva diversità di ordinamenti. Ma a parte questo, mi pare che anche da un altro punto di vista si debba richiamare l’attenzione degli amici demo-cristiani sulla necessità che l’istruzione tecnico-professionale sia regolata da leggi uniformi. Io non sono un cultore della materia, ma, per una mia personale esperienza, posso dire che un problema di particolare importanza è oggi quello di trasformare la manovalanza generica in operai specializzati, e un altro problema importante è quello di mandare all’estero lavoratori che siano istruiti tecnicamente. Mi pare perciò che sia quanto mai necessario, ora che il problema dell’emigrazione è sul tappeto come uno dei più gravi ed urgenti, che l’istruzione professionale sia regolata da leggi uniformi in tutto lo Stato.

È per queste ragioni che voterò contro.

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Mi sembra che le preoccupazioni manifestate da alcuni colleghi potrebbero essere placate se la Commissione accettasse questo lievissimo emendamento, cioè che la Regione non solo ha potestà di emanare norme per l’istruzione artigiana, ma anche per quella di avviamento professionale. Tecnicamente infatti, dal punto di vista scolastico, questa parola «professionale» ha un significato molto largo e non troppo esatto.

Questo non significa già, onorevoli colleghi, che io non approvi, quale modestissimo uomo della scuola, questi poteri che si vogliono dare alla Regione; al contrario anzi li approvo, perché, se c’è una materia in cui è opportuno che vi sia una potestà normativa svincolata dal potere centrale, è proprio quella relativa all’avviamento professionale.

Noi, infatti, lamentiamo sempre che difettiamo di mano d’opera specializzata e soprattutto tale nostra lamentela incide sui problemi del lavoro interno e dell’emigrazione. È dunque necessario che si incrementino queste scuole, che preparano appunto la mano d’opera specializzata. Qualche cosa, in verità, da questo lato si è fatto, ma è ancora troppo poco, e noi speriamo che localmente si manifesti, una maggiore sensibilità.

È in virtù di queste considerazioni che approvo toto corde la dizione proposta; anzi proporrei che si dicesse: «Istruzione professionale e di avviamento professionale».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà a favore della formulazione che ha dato su questo punto il Comitato di redazione e ciò per ragioni intuitive. Partiamo da una premessa regionalistica, e ci sembrerebbe veramente di togliere alla Regione una parte essenziale dei suoi poteri, se ad essa non dessimo la potestà di legiferare in senso integrativo – com’è nella premessa – sulla materia dell’istruzione professionale e artigiana.

Mi pare che da parte dei colleghi che hanno preso la parola su taluni dei punti che sono in discussione in questo momento, e anche, su questo del quale ora decidiamo, si sia dimenticato, che la legislazione della quale ci occupiamo è una legislazione integrativa, la quale si svolge nell’ambito dei principî generali indicati dalle leggi dello Stato. Ora, tali principî generali, che sono una cosa seria, dovrebbero dare la certezza che la legislazione regionale su queste materie avrà quel tanto di uniformità che è indispensabile per garantire l’unità del Paese in taluni aspetti essenziali della legislazione e dell’amministrazione.

D’altra parte, quando si tratta di scuole artigiane o professionali, siamo di fronte ad un tipo di istruzione il quale deve aderire in modo particolarissimo alle esigenze economiche e alla struttura sociale della Regione. Proprio se si vuole che questa attività scolastica sia utile avviamento, al lavoro, è indispensabile che essa sia aderente alle esigenze particolari della Regione, in modo da dare agli alunni di queste scuole una preparazione che non sia al di fuori dell’ambiente psicologico, sociale, economico, nel quale essi sono nati e hanno svolto la loro vita.

Per queste ragioni, guardando da un lato alle garanzie date dalle norme generali dettate dallo Stato, e guardando dall’altro alle esigenze particolari di questo tipo di istruzione, voteremo in favore di questa formula; e aggiungo che voteremo anche a favore di quell’assistenza scolastica della quale parlava l’onorevole Ruini, che è strettamente connessa alle iniziative locali, che opportunamente si svolgono nell’ambito della Regione.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, ella ha già avuto la parola una volta!

MICCOLIS. Ma qui gli argomenti spuntano come funghi…

PRESIDENTE. Non ho concesso ad altri colleghi di parlare una seconda volta; non mi metta nell’obbligo di essere scortese verso lei o scorretto verso i colleghi.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Forse interpreterò anche il pensiero dell’onorevole Miccolis in quello che sto per dire.

Io credo che dobbiamo preoccuparci di usare formulazioni che non possano generare equivoci. Ora, a me sembra che la dizione proposta di «istruzione professionale» pura e semplice, sia effettivamente produttiva di equivoci, perché allo stato attuale noi dobbiamo riferirci a quello che è oggi il significato di istruzione professionale. Oggi, in Italia, l’istruzione professionale comprende le scuole di avviamento, le scuole tecniche e gli istituti tecnici.

Ora, se è opportuno dare alla Regione il regolamento legislativo delle scuole di avviamento e delle scuole tecniche, a me non sembra egualmente opportuno che le si dia anche la potestà normativa circa gli istituti tecnici. Perché gli istituti tecnici o dànno un titolo a sé, abilitante, o dànno anche l’accesso agli istituti superiori. Per l’uno e per l’altro carattere è bene che siano regolati da norme di indole generale che valgano per tutto il territorio dello Stato.

E la legislazione statale non è che non possa tener conto dell’adesione ai bisogni e alle condizioni locali. Il Parlamento nazionale terrà conto, nel regolare gli istituti tecnici, delle condizioni locali.

Perciò io credo che la dizione migliore sia appunto quella del collega Foresi, cioè: «istruzione di avviamento professionale e artigiana».

Quanto poi all’assistenza scolastica, occorre effettivamente chiarire: la Commissione intende riferire quest’assistenza scolastica solamente a questi istituti di avviamento professionale e artigiano o a tutte le altre scuole, come parrebbe significare la formulazione generica? Perché, se vuole riferirsi a tutte le scuole, ne verrà una confusione ed una illogicità: infatti gli altri ordini di scuole (licei classici, licei scientifici, scuole medie) hanno un ordinamento di assistenza particolare, hanno le casse scolastiche.

Ma, non credo che voglia riferirsi a questo l’assistenza scolastica di cui si parla in questo articolo; e allora per lo meno bisognerà aggiungere: «e relativa assistenza scolastica», riferendola cioè alle scuole di avviamento professionale e di istruzione artigiana.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Nell’associarmi a quanto ha detto l’onorevole Morelli Renato, dichiaro che voterò contro ogni proposta di questo genere, principalmente perché a me sembra che l’estendere i poteri dell’ente Regione sia nocivo per il Mezzogiorno d’Italia. Noi parliamo di istruzione tecnico-professionale, noi parliamo di scuole d’avviamento e non teniamo presente che nel Mezzogiorno queste scuole non esistono o, se pure, esistono in maniera rudimentale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è lo Stato, ora!

PIGNATARI. Sì, c’è lo Stato, ma se lo Stato unitario non ha potuto sanare le condizioni del Mezzogiorno d’Italia, quando il Mezzogiorno dovrà fare con le sue stesse forze si troverà nella condizione del naufrago a cui direte: non abbiamo forze per salvarvi, bisognerà che vi salviate da voi! (Applausi).

PERASSI. Chiedo di parlare per chiarire il mio emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Con l’aggiunta delle parole: «assistenza scolastica», come è proposto dall’emendamento, anzitutto il nostro pensiero va a quella forma di assistenza che si concreta nei Patronati scolastici.

Su questo punto mi pare non ci possano essere difficoltà. E, volendo precisare ancora la materia, è evidente che queste forme di assistenza scolastica, sulle quali la Regione potrà dare norme, possono riguardare le scuole che entrano nell’ambito del potere normativo della Regione. Credo però che la formula non esiga altra aggiunta.

Comunque, se l’onorevole Rescigno proponesse formalmente di delimitare la competenza normativa delle Regioni nel senso di mettere: «e relativa assistenza scolastica», riterrei necessario di aggiungere «Patronati scolastici», i quali riguardano l’assistenza nel campo dell’istruzione elementare, alla quale non si estende la funzione legislativa della Regione.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Il mio emendamento vuole estendere il potere della Regione ad ogni ordine e grado di scuole ed io l’ho formulato con riferimento al comma primo dell’articolo 9 già votato, che dà potere alla Regione di emettere norme legislative entro i limiti dei principî generali stabiliti dalla legge dello Stato. Quindi ciò non significa voler creare uno stato di cose in contrasto con l’unità dell’indirizzo statale; ma soltanto dare maggiore efficacia alle scuole affidandole al Governo alla Regione, che più è vicino al popolo e meglio ne comprende i bisogni.

Credo perciò di dover mantenere il mio emendamento e di fare con questo l’interesse della scuola. Non basta parlare di libertà della scuola. Tutti parliamo di questa libertà, ma in realtà non si fa nulla perché sia realizzata. I bisogni ed i provvedimenti per la scuola non debbono dormire sui tavoli del Ministero, ma debbono essere studiati nella stessa Regione ed ivi attuati. Con ciò non si viene a sopprimere la funzione direttiva e coordinativa del Ministero. Bisogna mettere la scuola nelle mani di chi è più vicino al popolo e più ne conosce i bisogni culturali.

Devo in breve chiarimento all’onorevole Morelli Renato a proposito della autonomia delle Università. L’Università in Italia non è stata mai autonoma, è stata sempre statale.

Vi è stata sotto Gentile una larva di autonomia, che era soltanto una larva ed è morta prima di svilupparsi. Di Università autonome possiamo segnalarne due, l’Università Bocconi e quella del Sacro Cuore, ed hanno dato buoni frutti.

Chiedo, insistendo nel mio emendamento, che alla Regione sia data la facoltà di emanare norme legislative per le scuole di ogni ordine e grado.

Naturalmente, se questo mio emendamento, come temo, verrà respinto, io voterò contro anche la formulazione della Commissione, perché non si può distinguere una scuola dall’altra, e non ha significato affidare alla Regione una scuola e non tutte le altre.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Voterò anche contro la proposta di aggiungere l’assistenza scolastica. Voi sapete che esistono i patronati scolastici. Parlo della scuola primaria. I patronati scolastici dove funzionano sono utilissimi. C’è voluta proprio la «G.I.L.» del fascismo, e dopo il fascismo quel che è venuto anche di peggio, per non far funzionare i patronati scolastici.

A Conegliano avevamo un locale per mandare i bambini durante l’estate in vacanza. Ma la «G.I.L.» ha adoperato questo locale e soltanto ora si spera di riaverlo.

Treviso aveva un villaggio nel Comelico. Passata la burrasca fascista, Treviso domandava che gli fossero restituiti i locali. Che cosa è avvenuto? È avvenuto che con un ordine del prefetto di Belluno il villaggio veniva consegnato ad una associazione religiosa. (Interruzioni – Commenti), con quale diritto poi non so. Assumerò in proposito informazioni precise e le porterò qui. Sta di fatto che questa appare come una appropriazione indebita. Quindi domando: domani la nuova istituzione vostra potrà mettere le mani sugli istituti di assistenza scolastica o anche sulle scuole che dipendono direttamente dai Comuni?

Voci. No.

TONELLO. No, quelli restano; dunque, la legislazione della Regione si limiterà, se mai, a istituti che istituirete voi, ma non a quelli che hanno una giurisdizione propria e una amministrazione attraverso il Comune e la Provincia, perché questa sarebbe una sopraffazione che non verrebbe sopportata dagli enti locali. Un po’ per volta andiamo ad assicurare alla Regione quelle che sono le specifiche funzioni dei Comuni e delle Provincie. Ora noi siamo i fautori convinti delle autonomie comunali e provinciali; e per questo votiamo contro questa intrusione che il nuovo istituto vuol creare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto una volta ancora che il Comitato non può per nulla accogliere l’emendamento dell’onorevole Caronia perché contrasta con la unanime decisione della Commissione dei Settantacinque in tutti gli stadi dei suoi lavori.

L’onorevole Piemonte ha chiesto se la scuola agraria potrà entrare nella scuola professionale. Il Comitato ritiene di sì. Ad ogni modo, siccome questa materia sarà regolata entro i principî generali stabiliti da leggi dello Stato, vi potrà essere allora una esplicita disposizione nel senso affacciato dall’onorevole Piemonte.

L’onorevole Morelli ha parlato di pericoli della autonomia; ma quando si è riferito ad inconvenienti verificatisi per l’autonomia universitaria (qui l’onorevole Caronia ha fatto una osservazione esatta) si è riferito ad inconvenienti dell’ordinamento Gentile, non ad una legge di autonomia universitaria che non è mai esistita. Sta ad ogni modo che la nostra Costituzione non lascia alcuna potestà alla Regione nel campo universitario.

Quanto alla istruzione professionale, l’onorevole Morelli, dalla necessità di accelerare e regolare questa istruzione nei riflessi della emigrazione, argomenta che la Regione non vi debba avere alcuna ingerenza. Non sembra che la conseguenza debba essere così assoluta; lo Stato può e deve sempre stabilire con legge principî e criteri, ad esempio, in vista di esigenze per l’emigrazione. Ma non conviene sottrarre agli enti locali una ingerenza in questa forma di istruzione, che – se ve n’è una – loro si addice per le tradizioni artigiane e professionali della vita locale; e solo con l’innesto diretto su essa può riuscire viva ed efficace.

Venendo alle osservazioni dell’onorevole Tonello, deve ricordare che spetta sempre allo Stato fissare, coi principî fondamentali, le norme legislative primarie, nel cui ambito dovrà rimanere la Regione. Quanto alle scuole artigiane e professionali dei Comuni e delle Provincie, ho già detto che per l’articolo 152 possono rimanere a tali enti.

L’onorevole Foresi propone la formula «scuola artigiana ed avviamento professionale». Non mi sembra fondata la preoccupazione di qualcuno che «professionale» possa indicare ogni scuola che rilasci titoli di abilitazione alle professioni, così da includere anche le università. Le scuole professionali sono una categoria a sé, il che va del resto inteso non tanto nell’ordinamento attuale, quanto in quello che potrà essere dato anche nello spirito di questa norma della Costituzione. Ad ogni modo, poiché l’Assemblea intende, anche all’ultima ora, proporre varianti di dizione, sopra cui sarebbe meglio non improvvisare, faccia l’Assemblea come crede. Se le sembra che l’emendamento Foresi possa dare un’indicazione migliore di ciò che tutti vogliamo dire, il Comitato non oppone difficoltà.

In quanto all’assistenza scolastica, l’emendamento aggiuntivo del collega Perassi, al quale il Comitato non si era manifestato sfavorevole, ha sollevato qui un dubbio, nel senso che, quando l’assistenza scolastica si riferisce ad istituti che dipendono unicamente dallo Stato, non si potrebbe dare alla Regione una potestà, sia pure secondaria, di carattere legislativo. Il dubbio è sembrato fondato ad alcuni del Comitato, che vorrebbero limitare l’inciso all’assistenza relativa alle scuole, di competenza della Regione. Ad altri non piace questa così ridotta indicazione, e non trovano nulla di male che per l’assistenza scolastica, che è a base in gran parte locale, vi sia una subordinata e stimolata attività della Regione.

Quanto ai patronati scolastici, il Comitato ritiene che non siano da introdurre siffatti particolari nella Costituzione; è meglio «assistenza scolastica», che è formula più vasta.

Del resto, di fronte a queste minutissime questioni, che sorgono in Assemblea, il Comitato non sente di irrigidirsi e farne delle questioni essenziali.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Una semplice proposta: invece di «avviamento professionale», che è una formula di tradizione troppo recente, direi «istruzione professionale di primo grado».

PRESIDENTE. Se crede, onorevole Codignola, potrà fare una proposta formale.

Voteremo per divisione la formula proposta dall’onorevole Foresi, accettata dalla Commissione.

Pertanto, pongo ai voti la prima parte: «Istruzione artigiana».

(È approvata).

Pongo ai voti la seconda parte: «e di avviamento professionale», secondo la proposta dell’onorevole Foresi accettata dalla Commissione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Faccio mia la vecchia proposta della Commissione, cioè che si aggiungano le parole: «e professionale».

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Siccome nell’accezione tecnico-giuridica scolastica l’espressione «avviamento professionale» vuole indicare un determinato tipo di scuola, io ho usato la parola «avviamento» non nel senso tecnico attuale, ma nel senso di preparazione e di formazione; si potrebbe quindi sostituire con le parole «corsi professionali». Non si tratta di un determinato tipo di scuola, ma della preparazione a una professione pratica.

LACONI. Chiedo di parlare per un’chiarimento, poiché con la nuova proposta, dell’onorevole Foresi, è evidente che si vota su qualche cosa di diverso di quello che si aveva intenzione di votare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La questione è questa: pensavo di poter accedere alla proposta fatta dall’onorevole Foresi circa le scuole di «avviamento professionale». Bisogna notare che in senso generale ogni scuola è professionale ed è di avviamento a una determinata professione. Quindi, se noi dovessimo usare un termine generico, è chiaro che non potrebbe mai aver quel significato limitativo, preciso e concreto che noi vogliamo.

Io accettavo la formulazione dell’onorevole Foresi, proprio perché ci vedevo un riferimento a un determinato tipo di scuole che oggi vengono così denominate e che, se non sono artigiane, sono però scuole che tendono a formare a determinati mestieri ed arti, distinte dalle scuole classiche e tecniche, che indirizzano alle professioni in senso generico e hanno dunque un diverso orientamento e un diverso indirizzo. Per questo insisterei perché anche l’onorevole Moro accedesse a questa formulazione, che è tale da eliminare gli equivoci a cui si presta invece la formulazione del Comitato, la quale non si riferisce a un tipo di scuole già esistenti; e pregherei l’onorevole Foresi di mantenere la sua formulazione, sulla quale dichiaro che voterò favorevolmente.

MICCOLIS. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Io ho proposto la soppressione dell’alinea. Il mio emendamento dovrebbe nella votazione avere la precedenza.

PRESIDENTE. Ho già spiegato che gli emendamenti soppressivi si traducono in pratica votando contro la formulazione positiva. Questo è l’unico modo con cui una proposta di soppressione può essere presa in considerazione.

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Moro che propone l’aggiunta delle parole «e professionale».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Perassi: «e assistenza scolastica». L’onorevole Rescigno ha proposto la formula: «e relativa assistenza scolastica». Inoltre l’onorevole Perassi ha aggiunto «e patronati scolastici».

Onorevole Rescigno, mantiene la sua proposta?

RESCIGNO. Sì.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, insiste nell’aggiunta: «e patronati scolastici»?

PERASSI. Non insisto.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo per la formula: «e assistenza scolastica» senza la parola «relativa».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula «e relativa assistenza scolastica».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la formula Perassi: «e assistenza scolastica».

(È approvata).

Passiamo al settimo alinea: «Musei e biblioteche di enti locali».

L’onorevole Nobile ha proposto la soppressione dell’alinea.

L’onorevole Caronia ha proposto la formula: «Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

TEGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEGA. Dichiaro ancora una volta che i decentratori tendono a strozzare l’autonomia dei Comuni. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia: «Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la formula della Commissione: «Musei e biblioteche di enti locali».

(È approvata).

Passiamo all’ottavo alinea: «Urbanistica».

Ricordo che gli onorevoli Nobile e Di Fausto hanno proposto di sopprimerlo.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Mi pare un argomento delicatissimo, sul quale bisogna riflettere. Io voterò contro l’alinea perché in un paese ricco di arte e di storia, come l’Italia, nego che l’urbanistica sia una materia di interesse soltanto locale. (Interruzioni al centro).

FUSCHINI. Volete insudiciare l’Italia di tutto «900»?

MORELLI RENATO. Proprio il contrario. E mi compiaccio di constatare che la Commissione, nella fusione di alcuni articoli, ha introdotto modificazioni nel testo originario a proposito della potestà legislativa di integrazione attribuita alla Regione, escludendo i musei e le belle arti. Ma devo notare che la tutela del paesaggio e l’urbanistica, nel sistema legislativo italiano, che è un sistema modello, è strettamente legata alla tutela delle antichità e belle arti. D’altra parte, in un momento in cui, anche in altri paesi d’Europa, ricollegandosi il problema urbanistico a quello della ricostruzione, si segue un orientamento unitario – in Inghilterra è stato creato un Ministero della ricostruzione che studia anche i piani urbanistici ed in Francia si è accentrata tutta questa materia – mi pare debba evitarsi che questa facoltà sia attribuita alla Regione, considerando anche lo specifico voto che è stato formulato, in questo senso, dall’Accademia dei Lincei. (Commenti al centro).

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Voterò contro l’inclusione dell’urbanistica fra le materie per le quali è devoluta una certa competenza legislativa alla Regione. Sotto l’espressione «urbanistica», in realtà, si comprende una somma di poteri e di facoltà che oggi, in gran parte, per ciò che riguarda le attività locali, sono demandati ai Comuni.

Faccio mia la preoccupazione che per altra materia ha espresso l’onorevole Tega. Per esempio, prendiamo i regolamenti edilizi comunali, che hanno una stretta connessione con la materia urbanistica, tanto che l’ultima legge urbanistica del 1942 espressamente riconferma la competenza specifica dei Comuni, in tema di regolamenti edilizi; affidando questa materia alla Regione, non potrà avvenire domani che la Regione sottragga questa potestà normativa ai Comuni? (Commenti al centro).

Connesso a questa potestà normativa, nel sistema che è stato proposto, vi è l’esercizio della funzione amministrativa. Oggi, continuando sullo stesso esempio, le licenze di costruzioni sono rilasciate dai Comuni. E questa è un’altra facoltà prevista dalla legge del 1942. Domani, potrà darsi che la Regione accentri. Questa è in sostanza una preoccupazione di carattere generale, perché mentre vogliamo smantellare l’accentramento statale, corriamo l’alea di creare un accentramento regionale, che sotto parecchi aspetti potrebbe essere peggiore del primo. Non solo, ma in materia urbanistica vi è un complesso di aspetti per i quali è necessaria una legislazione unitaria. Io richiamo, sorvolando, la vostra attenzione sulle espropriazioni per pubblica utilità. Voi sapete che la materia urbanistica comporta espropriazioni; domando: la Regione, disciplinando questa materia, sia pure con norme ristrette nell’ambito dei principî fondamentali delle leggi dello Stato, non potrà creare disparità fra Regione e Regione? Io credo che togliendo questa materia alla Regione non si sminuisca la potestà legislativa del nuovo ente.

E vorrei, per ultimo, fare una osservazione che può avere valore anche per altre materie. Se noi togliamo qualche voce alla potestà normativa della Regione, non per questo non potremmo affidare alla Regione funzioni amministrative su quelle stesse materie. Io penso che il legame che si è voluto creare, per cui le funzioni amministrative devono necessariamente esercitarsi in quelle materie sulle quali la Regione ha anche potestà normativa, non è esatto. Vi possono essere materie sulle quali la Regione non abbia potestà normativa e tuttavia abbia una certa competenza amministrativa, attuando quel decentramento amministrativo, che è nei voti di tutti.

CINGOLANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Noi dichiariamo di votare a favore dell’alinea. Siamo ancora troppo impressionati dai pugni negli occhi che abbiamo ricevuto girando per tutta Italia, vedendo a che cosa è giunto l’accentramento urbanistico. Tutte le volte che si è trattato di ampliare e di sventrare antiche città, c’è stato un cliché unico, dovuto a coloro che da Roma davano un tono ufficiale a tutta l’urbanistica. Non vogliamo che si ripeta un errore di questo genere. D’altra parte, l’attività urbanistica è compresa nella vita comunale, e noi sempre abbiamo affermato (l’onorevole Tega per due volte ha spezzato la sua generosa lancia in favore dei Comuni) che una caratteristica specifica di ogni Regione italiana è quella di avere una impronta visibile con tutto ciò che abbia rapporto con l’urbanistica.

Per questi motivi, noi voteremo a favore.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Voteremo contro l’inclusione dell’urbanistica tra le materie che riguardano la potestà legislativa della Regione.

Nell’urbanistica vi è, ad esempio, compresa la competenza in materia di piani di ricostruzione delle città, e sappiamo che dolorosamente in Italia ci sono motte città che hanno bisogno di un piano di ricostruzione, perché gli eventi bellici le hanno colpite e devastate. Oggi, i piani di ricostruzione devono essere approvati dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e poi autorizzati dal Ministro. Ciò è opportuno che seguiti a praticarsi per ovvie ragioni. Se l’onorevole Cingolani afferma di avere dei pugni negli occhi per le questioni artistiche ed urbanistiche trattate con criterio uniforme dal centro, d’altra parte io affermo, e credo di essere nel giusto, che per le città che debbono essere ricostruite va risolta anche una questione di competenza, nel senso che i piccoli interessi locali non debbono prevalere e ci deve essere un concetto di larghezza e di comprensione per cui le varie città possano finalmente avere una spinta di miglioramento. Per questa esigenza specifica è necessario vi sia una generale visione di interessi, bisogni, aspirazioni, tendenze, in modo che si possa, con criterio generale, risolvere i problemi che riguardano l’urbanistica di Reggio Calabria, come di Reggio Emilia, ecc.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione l’ottavo alinea: «Urbanistica».

(È approvato).

Passiamo al nono alinea: «Turismo ed industria alberghiera».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere la parola: «turismo».

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Aderisco alla proposta di soppressione, perché il Consiglio dei Ministri, recentemente, ha approvato uno schema di decreto con cui istituisce il Commissariato del turismo, avente anche poteri per quanto si riferisce all’industria alberghiera.

Questo schema di decreto è stato esaminato dal Congresso nazionale del turismo, riunitosi recentemente a Genova, ed il Congresso ha proposto alcuni emendamenti.

La pratica è venuta poi avanti alla Commissione parlamentare, la quale ora ha presentato, per mezzo dell’onorevole Nobile, la relazione che accoglie in gran parte gli emendamenti proposti. La pratica è ora davanti al Consiglio dei Ministri, che accoglierà in tutto o in parte gli emendamenti e che certamente confermerà il decreto. Quindi i poteri del Commissariato del turismo potrebbero trovarsi in conflitto con la facoltà della Regione; pertanto mi associo alla proposta di soppressione.

NOBILE. Desidererei conoscere il parere del Comitato di redazione.

LETTIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LETTIERI. Il turismo rappresenta per la Regione una fonte di ricchezza, e quindi si deve favorire in tutti i modi, così come l’industria alberghiera. Noi abbiamo molte Regioni ricche di risorse naturali, di ricordi storici, ecc., e il turismo potrebbe mettere in grande evidenza queste possibilità e creare una nobile gara di iniziative.

Una voce a sinistra. E i denari?

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In queste materie si devono distinguere due gruppi di attività: gruppi di attività di carattere esclusivamente locale o regionale, in cui si può anche accedere al principio dell’autonomia regionale; e gruppi di attività che hanno un carattere nettamente nazionale, come quello del turismo e dell’industria alberghiera. Non credo conveniente concedere alla Regione un potere che domani potrebbe trovarsi nel fatto – sia pure col rispetto apparente delle direttive e dei principî generali – in contrasto con l’interesse generale della Nazione.

Ecco perché io ritengo che si debbano sopprimere il turismo e l’industria alberghiera dalle materie in cui la Regione abbia potestà legislativa.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Mi associo a quello che ha detto l’onorevole Corbino e, a sostegno della sua proposta, richiamo questo precedente. Il «Consiglio della Valle» – alludo alla Valle d’Aosta – ha proposto a suo tempo al Consiglio dei Ministri un regolamento turistico, per il quale le scuole di turismo, specialmente di sci, erano esclusivamente affidate ai residenti della Valle, con esclusione dei cittadini delle altre Regioni. Il Consiglio dei Ministri ha moderato questa proposta; tuttavia ha ammesso, in termini più limitati, che, in ossequio a questo voto che era così vigorosamente sostenuto dalla Valle d’Aosta, fosse concesso che il turismo professionale fosse affidato ai residenti, ma che però anche i maestri di turismo delle altre Regioni potessero accedere alla Val d’Aosta attraverso iniziative o comitive d’occasione.

Se noi dovessimo, legiferando, stabilire che ogni Regione può costituire un turismo suo particolare, a sé stante, verremmo a portare il conflitto e la confusione turistica in tutto il campo nazionale.

Per questi motivi dichiaro che voterò contro.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Sono spiacente di dover dichiarare il mio dissenso con due illustri nostri colleghi, l’onorevole Corbino e l’onorevole Gasparotto, che cita, non mi pare opportunamente, la Valle d’Aosta.

All’onorevole Canepa avverto che non c’è nessuna contradizione con quello che potrà sorgere domani attraverso il provvedimento legislativo sul turismo, che speriamo possa venir presto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: ordinariamente occorrono quattro o cinque mesi perché la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale avvenga, inquantoché la burocrazia attraverso i suoi infiniti tentacoli non è ancora riuscita a realizzare il modo per poter pubblicare rapidamente le leggi. (Commenti).

Ora, domani, quando avremo il Commissariato del turismo a Roma, non ci sarà niente di male che a coordinarlo ci siano anche i Commissariati regionali. Li costituirete voi stessi, se crederete di poter efficacemente collegare tutte le forze che si occupano del turismo nella nostra nazione, dividerle e coordinarle in modo che possano formare un tutto unico.

Non vedo quale difficoltà o quale scompiglio porti al riguardo l’organizzazione futura della Regione: voi le create nel vostro pensiero le difficoltà, incontrando ostacoli da tutte le parti. Io non li vedo affatto; sono perfettamente fantastiche. Anche prima vi era una organizzazione nazionale del turismo; ma, praticamente, l’attività si svolgeva localmente; perché il centro serve per le grandi parate e la conseguente pubblicità, per mantenere un certo numero di posti, e per altre cose di questo genere; può servire anche per i congressi, che nemmeno sono spesso assai importanti. Ma si possono fare anche regionalmente ed ogni tanto uno generale, che tutti li riaffermi in una manifestazione più grandiosa ed imponente, portando tutte le forze che s’incardinano nel turismo a formare un tutto unico. (Commenti).

Non cerchiamo, quindi, di minimizzare a questo riguardo e di portare degli ostacoli dove non ci sono; effettivamente il turismo deve essere potenziato, ma noi crediamo che questo non possa avvenire se non nella divisione del lavoro, nella spinta che localmente ciascuno può portare a quelle che giustamente l’onorevole Lizier diceva essere delle nobilissime gare che tutte le Regioni faranno, dando alla vita nazionale tutte le loro forze e le loro attività. (Approvazioni al centro).

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Dichiaro che, per le ragioni già esposte dagli onorevoli Corbino e Gasparotto, cui noi accediamo, voteremo contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Nobile ha chiesto il parere del Comitato: ma il Comitato ha presentato a maggioranza un testo, ed è evidente che lo conserva. Posso, se credete, aggiungere i motivi di maggioranza e i motivi di minoranza. La minoranza ha sostenuto che, in materia di turismo, sono necessarie norme comuni, perché i viaggiatori non debbano essere sottoposti a criteri che mutino da Regione a Regione. La maggioranza ha accentuato, invece, che vi debbano essere norme diverse da Regione a Regione, perché ogni Regione possa aiutare lo sviluppo turistico in modo più efficace ed adatto alle condizioni locali. Sono due punti di vista che hanno ciascuno un suo fondamento; e possono conciliarsi con resistenza di norme uniformi per tutta l’Italia che garantiscano, sovratutto il trattamento del turista (che non deve, ad esempio, esser soggetto a richiesta di documenti diversi, a tassazioni non uniformi e così via) e di norme regionali che agevolino il massimo sviluppo dell’organizzazione turistica ed alberghiera locale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione per divisione il testo presentato dalla Commissione, il quale suona: «Turismo ed industria alberghiera», facendo presente che vi è al riguardo una proposta soppressiva dell’onorevole Nobile intesa a che venga tolta la parola «turismo», ed una proposta dell’onorevole Corbino soppressiva dell’intero alinea.

Pongo in votazione il testo proposto dalla Commissione limitatamente alla parola «Turismo».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’espressione «ed industria alberghiera».

(È approvata).

Passiamo al decimo alinea: «Tranvie e linee automobilistiche regionali».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere l’alinea. L’onorevole Colitto ha proposto di sostituire al termine «regionali», l’espressione «di interesse regionale».

L’onorevole Zuccarini ha proposto la formula: «Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali».

L’onorevole Caronia e altri hanno, a loro volta, proposto la formula:

«Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ed aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, faccio osservare che tutte le votazioni alle quali abbiamo proceduto finora sono state fatte con un’Assemblea che certamente non è in numero legale. Nell’Aula non sono mai stati presenti più di duecentocinquanta deputati; e in questo momento ce ne sono anche meno.

Domando se è in questo modo che dobbiamo procedere nell’esaminare una questione, la quale avrà conseguenze gravissime per tutta la Repubblica italiana. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, lei ha un modo semplicissimo per risolvere il suo dubbio: chiedere la verifica del numero legale; ma faccio presente che dal computo approssimativo fatto nel corso delle votazioni, è risultato che il numero legale c’è. Comunque, se si desidera la constatazione, è molto semplice: basta chiederla, e allora vi si può procedere.

Gli onorevoli Nobile, Venditti, Rodinò Mario, Rodi, Cifaldi, Crispo, Capua, Mazza, Condorelli, Tieri, Abozzi, Coppa, Colitto, Marina, Perugi hanno chiesto la votazione per appello nominale sull’alinea in esame.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Vorrei pregarla, signor Presidente, di mettere in votazione per divisione l’alinea: «tranvie» da una parte e «linee automobilistiche regionali» dall’altra, perché io, per esempio, mi sento disposto a votare per le tranvie, ma non per le linee automobilistiche regionali, per le ragioni che dirò in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, vi sono prima da mettere in votazione – non so se l’onorevole Nobile chiede che si voti per appello nominale anche su questi – gli emendamenti proposti dagli onorevoli Zuccarini e Caronia, dei quali ho dato lettura, e successivamente – se si giunge alla votazione del testo proposto dalla Commissione – si terrà conto e della richiesta dell’onorevole Bozzi e della domanda di appello nominale dell’onorevole Nobile, a meno che l’onorevole Nobile non chieda che l’appello nominale si faccia sin dall’inizio, cioè sulle proposte degli onorevoli Zuccarini e Caronia.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Volevo osservare questo: nel testo si parla di «tranvie regionali»; ma una tranvia extra-urbana potrebbe avere anche una lunghezza di un centinaio di chilometri. E allora, a me sembra, le stesse ragioni che inducono l’onorevole Bozzi a sostenere che le linee automobilistiche non devono essere incluse, lo consiglieranno a chiedere che non vengano incluse nemmeno le tranvie.

Faccio osservare anche che non si può ammettere che ventidue o ventitré Regioni possano fare in questa materia altrettante differenti legislazioni. Se si trattasse di amministrazione, sarebbe altra cosa: si potrebbe anche concedere.

Quindi, mantengo la domanda di appello nominale. Ma, se l’onorevole Bozzi consente; posso anche aderire al desiderio del Presidente, che l’appello avvenga sulla proposta dell’onorevole Zuccarini o su altra proposta. Essenziale è che si verifichi se siamo o non in numero legale.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono stati presentati vari emendamenti. Quello dell’onorevole Caronia è talmente vasto, che il Comitato non può assolutamente accettarlo, perché tutte le ferrovie (non è detto se vi entrino pure quelle dello Stato) dovrebbero essere regolate da leggi regionali e, per connessione con l’articolo 112, amministrate e vigilate dalla Regione.

L’emendamento Zuccarini aggiunge altri mezzi di trasporto locale, oltre quelli che riguardano le tramvie e le linee automobilistiche. Non credo che sia necessario entrare in maggiori specificazioni; la legislazione primaria dello Stato e quella secondaria della Regione precisano questo punto.

Aggiungo che in seno al Comitato vi è stato qualche dubbio nell’esame degli emendamenti per quanto riguarda le linee automobilistiche, perché si è tenuto presente che, come dimostra lo sviluppo attuale, possono fare una seria concorrenza alle ferrovie, anche di Stato; ed è bene, si è detto, che lo Stato regoli questo argomento. Si tratta sempre, ad ogni modo di linee automobilistiche d’interesse regionale, e lo Stato potrà sempre stabilire principî generali.

Ma per le tranvie non credo, onorevole Nobile, che il dubbio esista. Io, che all’inizio della mia carriera amministrativa ho avuto uffici direttivi all’Ispettorato generale delle ferrovie secondarie e delle tranvie, non ho mai saputo che vi siano tranvie così lunghe come lei si immagina; si tratta quasi sempre di tranvie urbane o suburbane, che hanno soltanto interesse locale.

Concludo e ripeto: il Comitato respinge l’emendamento Caronia; crede inutile quello Zuccarini; non trova (nella sua maggioranza) necessario di cancellare «linee automobilistiche».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia, che la Commissione ha dichiarato di non accettare: «Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ad aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

(Non è approvato).

Passiamo ora all’emendamento dell’onorevole Zuccarini: «Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Cosa vuol dire: «Ferrovie secondarie»? Vi sono ferrovie secondarie anche gestite dall’azienda di Stato. Vuol dire «concesse all’industria privata»? Ma vi sono reti, come la Nord-Milano, molto importanti. È meglio non fare questa nuova aggiunta.

PRESIDENTE. Vi è la richiesta di appello nominale presentata dall’onorevole Nobile sull’emendamento Zuccarini. (Commenti).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non insisto nella richiesta di appello nominale, ma confermo che durante tutte le votazioni finora fatte, eravamo sempre assai meno di trecento deputati. (Commenti).

PRESIDENTE. Finché non si fa la richiesta di constatazione del numero legale, si presume che il numero legale ci sia. Ella, onorevole Nobile, non può invocare un dato di fatto che non ha cercato di far constatare. (Approvazioni). Se desidera constatarlo conservi la sua domanda.

NOBILE. Non conservo la domanda per non abusare della pazienza dei colleghi, ma confermo che non eravamo in numero legale. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Zuccarini sul quale l’onorevole Ruini ha espresso il parere della Commissione, parere in parte favorevole. La Commissione dichiara infatti di non aver nulla in contrario alla limitazione degli altri mezzi di trasporto locali, mentre non accetta la formulazione relativa alle ferrovie secondarie.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della formula della Commissione:

«Tranvie e linee automobilistiche regionali».

L’onorevole Colitto ha proposto che alla parola: «regionali», sia sostituita l’espressione: «di interesse regionale». Penso che l’emendamento si riferisca tanto alle tranvie quanto alle linee automobilistiche.

COLITTO. Perfettamente.

BOZZI. Chiedo che la votazione avvenga per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte: «tranvie», intendendosi che si aggiunge l’espressione: «di interesse regionale».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della seconda parte: «e linee automobilistiche di interesse regionale».

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Desidero fare questa dichiarazione di voto, anche per giustificare la mia richiesta di votazione per divisione. Le ragioni per cui voterò contro l’inclusione delle linee automobilistiche sono quelle che ha acutamente esposte il Presidente della Commissione, onorevole Ruini. Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea su un punto solo: nella materia delle linee automobilistiche, è necessario uno stretto, rigoroso coordinamento con tutti gli altri mezzi di trasporto, soprattutto con le ferrovie dello Stato. Se diamo alla Regione la potestà di disciplinare e di concedere linee automobilistiche, noi aggraviamo gli oneri per le ferrovie dello Stato, stabilendo delle concorrenze fra servizi automobilistici e servizi ferroviari, che possono oggi essere eliminati per l’unitarietà della disciplina statale.

D’altra parte, onorevoli colleghi, non vale ripetere il solito argomento che lo Stato può con le sue direttive imporre alla Regione di regolare la materia delle linee automobilistiche in modo che non possa incidere sul bilancio dello Stato.

Questo, se anche teoricamente è ammissibile, importerebbe una tale difficoltà di esame, una impugnativa continua della legge della Regione e un controllo così penetrante sull’attività amministrativa della Regione, che francamente questa concessione di potestà normativa e amministrativa sarebbe veramente illusoria e, quel che è peggio, fonte di incertezze e di contrasti. Io, perciò, voterò contro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula: «e linee automobilistiche d’interesse regionale».

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei ricordare che l’Assemblea, prima di sospendere i suoi lavori, dovrà completare l’esame del provvedimento che istituisce una imposta straordinaria sul patrimonio e approvare la legge sulla disciplina dell’elettorato attivo e sulla revisione delle liste elettorali per dar modo agli uffici di provvedere alla revisione stessa all’inizio del prossimo anno.

Questo ci impone di dare un contributo intenso di lavoro, evitando tutto quello che non è strettamente necessario per portarlo a buon fine. Spero che questa mia preghiera sia presa in considerazione.

Una voce. Il Trattato di pace?

PRESIDENTE. Non possiamo dir nulla. È evidente che se la Commissione dei Trattati internazionali presenterà la sua relazione, dovremo esaminare anche quella prima dell’inizio del nostro riposo estivo. Comunque non precipitiamo gli eventi: parliamo delle cose certe.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se sono al corrente degli interventi sempre più frequenti da parte delle forze di polizia nei conflitti del lavoro con minacce di arresto alle commissioni interne, come ad esempio nelle lanerie di San Martino, e del caso del prefetto di Como, il quale ha fatto intervenire la forza pubblica in un pacifico e legale conflitto di lavoro fra gli operai dello stabilimento Vergari di Contri e il signor proprietario Cattaneo, facendo piantonare dalle forze di polizia l’accesso allo stabilimento illegalmente serrato dal proprietario in risposta ad una legale sospensione del lavoro. E per sapere se tali interventi avvengono per spontanea iniziativa o dietro disposizioni del Ministero dell’interno.

«Noce Teresa, Bitossi, Roveda, Pajetta Giuliano».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Informerò i Ministri interessati di questa interrogazione affinché possano dichiarare quando intendano rispondere.

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ricordo che domani si dovrebbe discutere una interpellanza dell’onorevole Li Causi ed altri sulla situazione siciliana.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Siccome l’onorevole Li Causi non potrà essere presente, prego a nome suo di rinviare lo svolgimento dell’interpellanza.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro della difesa di avvertire i Ministri competenti affinché consentano un rinvio.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Lo farò senz’altro.

PRESIDENTE. Domani si terranno due sedute: alle 10 per il seguito della discussione sull’imposta straordinaria sul patrimonio e alle 17 per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritengano atto di giustizia, venire incontro ai piccoli proprietari danneggiati dalle forti grandinate che hanno devastato larghe zone della provincia di Alessandria, con provvidenze e facilitazioni tributarie.

«Bellato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e della marina mercantile, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi in rapporto all’arbitrario atto del sindaco di Pozzuoli, il quale emetteva una illegittima ordinanza di sospensione dei lavori di allargamento di una chiesa, prendendo a pretesto l’occupazione di pochi metri di banchina, e si ribellava apertamente ad una decisione del prefetto di Napoli.

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non creda opportuno concedere ai braccianti molinellesi, conforme al passato, tutta la razione di frumento assegnata per l’anno, lasciando a quelli che non possono rifornirsi di acquistarlo bimestralmente.

«Ciò rappresenta per questi forti lavoratori una ragione di sicurezza ed una garanzia di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Longhena».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno devolvere una parte del contributo finanziario, testé elargito al comune di Venezia, alla cooperativa edificatrice «G. Tonetti», considerando che i soci di essa sono tutti autentici lavoratori che, pur di riuscire ad avere un tetto, sono disposti a fare qualsiasi sacrificio, purché in qualche misura confortati da ragionevoli aiuti da parte del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, per conoscere quali sollecite provvidenze abbiano adottate o intendano adottare a seguito del recente nubifragio abbattutosi sull’importante centro di Sala Consilina, in provincia di Salerno, arrecando danni notevolissimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere – premesso che il regio decreto-legge 19 agosto 1943, numero 734, dichiara esenti da imposta di successione le eredità devolute in linea retta ascendente o discendente ed al coniuge superstite nelle successioni di militari morti in guerra o per causa di ferite riportate o di malattie contratte a causa della guerra, sempreché la morte abbia avuto luogo non oltre i dodici mesi dal giorno in cui la ferita fu riportata o la malattia fu contratta; considerato che la tubercolosi è nella maggior parte dei casi una malattia a decorso lento e che si è manifestata in molti soggetti dopo parecchi mesi dal rientro dai campi di concentramento portando a morte dopo i 12 mesi di cui al ricordato decreto, per cui essendo vissuti oltre 12 mesi dalla malattia contratta causa la guerra, non poterono i superstiti (genitori, figli e vedove) beneficiare della esenzione dell’imposta, il che si ravvisa ingiusto e antigiuridico – se non creda di proporre aggiunte o modificazioni alla legge citata, per modo che i superstiti possano beneficiare della esenzione della imposta di successione, anche se il militare sia deceduto dopo i 12 mesi dal giorno in cui la ferita fu riportata o la malattia fu contratta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, sulle condizioni di lavoro del suo Ministero ed in particolare se risulti al Gabinetto che innumerevoli pratiche giacciono inevase o sono risolte con grandissimi ritardi; che si è formato un larghissimo e preoccupante giudizio sulla inefficienza e sul disordine o peggio dell’organizzazione ministeriale; che le ditte private forniscono stipendi e personale loro agli uffici; che molti dipendenti lavorano per molte ore straordinarie non retribuite; che insomma dal ricevimento del pubblico, alla evasione della corrispondenza e nel complesso lavoro si notano gravi difetti interni, il cui danno ricade sull’economia nazionale, e su quei capaci e zelanti dipendenti che si contrappongono, ma restano confusi per quei funzionari evidentemente ignari di quella tecnica che si chiama «organizzazione del lavoro». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e del tesoro, per conoscere se intendano per i dipendenti dello Stato e degli enti locali estendere le indennità di famiglia anche agli zii ed avi, conviventi ed a totale carico del lavoratore, in analogia a quanto avviene per i lavoratori dipendenti da privati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere, a seguito dell’inquadramento nei ruoli dello Stato degli insegnanti di educazione fisica:

  1. a) se siano riconosciuti ai fini della pensione gli anni di servizio prestati anche alle dipendenze della G.I.L. agli insegnanti di educazione fisica passati in altre Amministrazioni statali;
  2. b) se debbano ritenersi reintegrati nel ruolo dello Stato quei professori, diplomati presso i magisteri di educazione fisica, che per un provvedimento fascista furono messi in pensione a 55 anni, ma trattenuti in servizio per incarico, in modo che gli anni di servizio tutti siano cumulati agli effetti della pensione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 7 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 7 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Nomina di una Commissione:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                   

Caprani                                                                                                            

Pella, Ministro delle finanze                                                                               

Corsi                                                                                                                 

Tupini, Ministro dei lavori pubblici                                                                      

Ciampitti                                                                                                          

Salerno                                                                                                              

Riccio Stefano                                                                                                 

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri  

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Recca                                                                                                                

Miccolis                                                                                                           

Pellegrini                                                                                                        

Mentasti                                                                                                          

Tonetti                                                                                                             

D’Onofrio                                                                                                        

Corbi                                                                                                                

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Musolino                                                                                                          

Vernocchi                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Carratelli, Cimenti e Costa.

(Sono concessi).

Nomina di una Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che a far parte della Commissione di parlamentari, istituita dal Titolo III del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 3 aprile 1947, n. 428, ed avente il compito dell’alta vigilanza per assicurare l’indipendenza politica e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni, ho chiamato, in rappresentanza di tutti i Gruppi parlamentari, gli onorevoli colleghi Badini Confalonieri, Bellavista, Bergamini, Bernini, Bozzi, Calosso, Corsanego, Giordani, Gullo Fausto, Laconi, Molè, Moro, Reale Eugenio, Schiavetti, Tieri, Uberti e Zuccarini.

La Commissione è convocata per martedì 8 corrente, alle ore 12, per procedere alla nomina del suo Presidente, di un Vicepresidente e di un Segretario.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Persico, dimissionario, ho chiamato l’onorevole Cevolotto a far parte della Commissione per i Trattati internazionali.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Adonnino, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non creda opportuno diminuire la severità delle norme emanate con ordinanza 3 maggio ultimo scorso sugli esami di maturità; laddove specialmente si escludono dagli esami orali coloro che abbiano riportato negli scritti un voto di «evidente insufficienza», mentre prima della guerra si escludevano quelli che avessero riportato un’insufficienza «molto grave»; e si estende tale norma, oltre che all’italiano, anche a tutte le materie per le quali siano richieste prove scritte; e laddove prescrive la presenza di quattro membri estranei nelle Commissioni delle scuole non governative; e ciò, tenendo conto che le norme giungono a pochi giorni dagli esami; e che gli esaminandi hanno iniziato il loro corso di studi nei tempi difficilissimi della guerra o dell’immediato dopo-guerra».

Non essendo presente l’onorevole Adonnino, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Caprani, Pajetta Gian Carlo, Montagnana Mario, al Ministro dell’interno, «sull’azione svolta dagli organi del suo Ministero contro i contadini della Bergamasca, che hanno inteso dividere i prodotti secondo le indicazioni della legge De Gasperi sulla mezzadria. In particolare gli interroganti domandano quali misure il Ministro intenda prendere per richiamare al rispetto della legge il prefetto e i comandanti dei carabinieri, che hanno fatto procedere all’arresto del segretario della Confederterra provinciale di Bergamo, diffidandolo poi a non svolgere ulteriore attività sindacale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Verso la fine di maggio, la Federterra della provincia di Bergamo istituì un Comitato di agitazione presieduto dallo stesso segretario Lazzaroni, che invitò i mezzadri a non dividere né pesare il fieno, aggiungendo che tutti gli altri prodotti andavano divisi in ragione del 60 per cento al mezzadro e del 40 per cento al proprietario.

Naturalmente, l’Associazione bergamasca agricoltori invitò gli associati alla resistenza. Da parte loro i mezzadri non si dimostrarono in gran parte disposti ad obbedire alla ingiunzione federale, cosicché, tra questi, gli agricoltori ed alcuni degli incaricati della Federterra non tardarono a verificarsi incidenti anche gravi, nei quali furono ravvisati da parte delle autorità gli estremi di veri e propri reati.

E poiché il Ministero aveva invitato, com’era suo dovere, il Prefetto a reprimere ogni atto di violenza, in più occasioni vennero operati alcuni arresti, vuoi per violenza, vuoi per appropriazione indebita qualificata, vuoi per istigazione a delinquere; e fra questi quello del Lazzaroni. La più parte degli arrestati fu però rilasciata nello stesso giorno; furono complessivamente instaurati diciannove procedimenti penali, taluno dei quali anzi già celebrato e che si è concluso con l’accertamento del reato e la condanna di diversi degli imputati. Il che dà evidentemente ragione all’operato delle autorità.

Com’è risaputo, il Ministro dell’interno ha poi attivamente concorso al recente accordo, che si confida abbia felicemente posto fine alla incresciosa vertenza mezzadrile.

PRESIDENTE. L’onorevole Caprani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPRANI. Mi dispiace, onorevole Sottosegretario di Stato all’interno, di non potermi dichiarare sodisfatto; ed è anche doveroso che io esprima con viva sincerità il mio disappunto, in quanto, se le notizie in mio possesso (notizie del resto controllate e alle quali debbo attenermi) rispondono a verità, la risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno avrebbe dovuto essere diversa.

Qual era fino a pochi giorni fa la situazione del Bergamasco in rapporto al lodo De Gasperi? Da una parte esiste un lodo De Gasperi, attualmente tramutato in legge, ed esiste pure un decreto-legge, che emana un complesso di norme, per l’attuazione di questo lodo. Sempre da una parte, esistono i contadini che esigono che questo lodo venga applicato, dall’altra parte esistono i proprietari, che hanno i loro fondi a mezzadria, e che dicono di non volere applicare il lodo. De Gasperi, al punto che l’Associazione bergamasca degli agricoltori emise in un certo momento un comunicato stampa ove si diceva ai contadini press’a poco così: «Badate bene di dividere il prodotto sulla base dell’articolo 2141 e seguenti del Codice civile, perché diversamente, se voi applicherete i criteri di cui al lodo De Gasperi, voi sarete imprigionati, processati e condannati».

Ora questo comunicato potrebbe costituire un motivo anche d’ilarità, se si vuole, perché diciamo noi: «Quale appropriazione indebita vi è se i contadini esigono l’applicazione della legge?». E diciamo pure: «Come si può emettere, sotto gli occhi del prefetto, che vigila nella Provincia, un comunicato stampa intimidatorio di questo genere?». E cosa direbbe il Ministero dell’interno se domani, per avventura, i contadini, capovolgendo i termini, trovassero dei carabinieri compiacenti che andassero sulla porta dei proprietari di fondi e dicessero: «Badate bene che se non date X ai contadini, sarete imprigionati, processati e condannati?». Insensibile sarebbe il Ministero dell’interno a questa azione, qualora i termini fossero questi? Noi non lo crediamo assolutamente.

Cosa doveva rispondere il Ministro dell’interno a dei fatti specifici? Innanzi tutto avrebbe dovuto dirmi quali provvedimenti siano stati presi o si intendano prendere nei confronti del comando dei carabinieri, e del prefetto anche, i quali hanno proceduto a fermare tre volte il segretario della Federterra per il semplice fatto che esplicava attività sindacale, in occasione di quella agitazione a tutela dei contadini. Ed una quarta volta venne pure fermato dai carabinieri e trovò in carcere un tenente dei carabinieri il quale pretese che gli si rilasciasse una dichiarazione, che diceva voluta dal prefetto, ove il segretario della Federterra, dichiarasse che era diffidato dallo sviluppare e dall’assolvere ulteriori attività sindacali. Io mi domando se questo non significhi violare pericolosamente il principio della libertà sindacale, mi domando se questo non sia nello stesso tempo scorretto ed anche qualcosa di più, perché in definitiva i sindacati ed i funzionari dei sindacati, hanno ragione di sussistere solo quando esercitino attività sindacale.

Ma vi è anche qualche cosa di più: in un paese, per nome Presezzo, sulla piazza è presente il tenente dei carabinieri, è presente pure il segretario della Federterra, sono presenti i contadini. Questi si sentono dire dal tenente dei carabinieri che se si dividono il prodotto sulla base dei criteri di cui al lodo De Gasperi, egli non ha nulla da eccepire. I contadini dividono sulla base del decreto De Gasperi, ma che cosa avviene in conclusione? Avviene che, a operazione fatta, il tenente dei carabinieri arresta tutti i contadini che hanno diviso i bozzoli sulla base del criterio De Gasperi. Ma c’è ancora qualcosa di più: i fatti di Stezzano, fatti gravi ed in un certo senso provocatorî. A Stezzano, in piena notte, i carabinieri arrestano a casaccio nove contadini, fra cui il capo lega che è stato assente a tutta l’agitazione e che, pur essendo stato assente, ha trovato modo di buscarsi sei mesi in Tribunale per un reato del tutto immaginario. Perché si era proceduto a questo arresto? È sintomatico rilevarlo: perché nove giorni prima (notisi, nove giorni prima) i contadini di Stezzano avevano dichiarato, per quello che concerne la divisione del fieno: «Noi dividiamo il fieno, sì, ma sulla base dei criteri di cui al lodo De Gasperi». Ebbene, a distanza di dieci giorni, per questo fatto, nel quale non si ebbe assolutamente violenza, si è proceduto a casaccio, ripeto, all’arresto di nove contadini e si è montato un processo.

I verbali di polizia giudiziaria alludevano a violenza privata. Era una pura e semplice invenzione, tanto che al processo, questa vescica gonfia della violenza privata, assolutamente insussistente e questo arresto arbitrario dei nove contadini, si è dovuto svuotare sino al limite dell’imperativo accusatorio, talché si degradò il reato da quello grave di violenza privata a quello di minacce; e c’è voluta, onorevole Ministro dell’interno, della buona volontà a condannare per minacce costoro.

Ora si dice: «La questione, del resto, sarà messa a tacere dall’amnistia». Ma i contadini del bergamasco, mentre protestano, affermano di non aver nessun bisogno dell’amnistia, poiché non hanno commesso nessun delitto. E c’è voluta la buona volontà e la mentalità politica di tutto un complesso di autorità, per poter procedere in un caso ove non c’è flagranza, e dove non era opportuno un mandato di cattura! C’è voluta della buona volontà per arrestare nove padri di famiglia, portarli davanti al tribunale e condannarli! C’è da pensare che se metodi energici di questo genere fossero tenuti in altre zone e per ben altri fatti, la Repubblica avrebbe anche un volto più virile e più maschio! Ma io ho detto che è responsabile anche il prefetto. Io affermo che il prefetto di Bergamo, in questa faccenda, ha dato prova, quanto meno, di insensibilità politica e di poca vigilanza.

Non poteva il prefetto, rappresentante del Ministro dell’interno in provincia di Bergamo, ammettere che per tre volte si diffidasse un funzionario sindacale dall’assolvere la sua santa missione che è la tutela dei contadini; non poteva il prefetto di Bergamo, neppure, ammettere che un tenente dei carabinieri cercasse di strappare al segretario della Federterra una dichiarazione nella quale questi affermasse che non si sarebbe occupato oltre di attività sindacale.

Quanto meno, quindi, in via amministrativa e in via disciplinare, sarà opportuno che il Ministero dell’interno richiami e il comando dei carabinieri e il prefetto, perché questi fatti hanno prodotto grande sensazione tra i contadini del Bergamasco. Qualcuno si è domandato se, per avventura, le autorità non abbiano interpretato gli ultimi avvenimenti come uno spirare nuovo di fascismo o di neofascismo.

Raccomando, quindi, che, quanto meno nelle forme amministrative, si voglia provvedere, se già non si è provveduto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Corsi, al Ministro delle finanze, «per conoscere se non creda di proporre che sia sollecitamente stabilita la facoltà dei comuni minerari di applicare una equa imposta sulla produzione mineraria che si estrae dal loro territorio; e ciò in considerazione dei gravi oneri che dallo svolgersi dell’attività industriale deriva a tali comuni, dell’esiguo apporto tributario data alla vita locale dalla stessa industria e dei rilevanti utili che questa realizza».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. L’esclusione dall’applicazione del particolare diritto a favore dei comuni, previsto dal secondo comma dell’articolo 41 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62, per i prodotti minerari, è stata deliberatamente disposta con l’articolo 10 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177, su espressa richiesta del competente Ministero dell’industria e commercio, col cui concerto questo ultimo decreto venne emanato.

Il detto dicastero prospettò la necessità di non gravare con tributi l’attività mineraria, sulla quale, nell’attuale momento, lo Stato deve poter fare ogni assegnamento per la ripresa dell’economia del Paese; e fece, altresì, presente che le aziende concessionarie verrebbero ostacolate nello svolgimento della loro attività da imposizioni, che rendono difficile la loro situazione finanziaria, non florida neanche in tempi normali; tanto che alcuni settori hanno avuto bisogno di richiedere l’intervento da parte dello Stato.

Tali considerazioni furono riconosciute fondate sia dalla Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, che dal Consiglio dei Ministri.

Tuttavia, in relazione al desiderio dell’onorevole interrogante ed alle richieste presentate nello stesso tempo da altri comuni, il Ministero delle finanze si riserva di riproporre sollecitamente la questione all’esame del Ministero dell’industria.

PRESIDENTE. L’onorevole Corsi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CORSI. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua cortese risposta; ma rilevo che la necessità di includere tra i tributi di cui all’articolo 10 del decreto 8 marzo 1945 quello a favore dei comuni sulla produzione mineraria, che si estrae dal loro territorio, è manifestamente giustificata da vari motivi.

Si tratta, intanto, di un’antica esigenza, sulla quale convennero alcuni industriali minerari, i quali legittimamente domandavano, soltanto, che dall’applicazione del tributo l’industria non venisse inceppata.

Il problema è connesso alla critica condizione dei comuni minerari ed alla stessa possibilità di vita di quelle amministrazioni. In sostanza, sono comuni sprovvisti di patrimonio, dove non esiste un’apprezzabile attività rurale e dove si svolge quasi esclusivamente l’industria estrattiva. A causa di essa i comuni sopportano notevoli oneri, dato il carattere nomade della popolazione operaia, fra comune e comune, e il peso rilevante di tutti i servizi, da quelli anagrafici a quelli per l’assistenza sanitaria ed ospedalieri come di ogni altro servizio municipale. D’altra parte, l’industria contribuisce in maniera assolutamente irrilevante alla vita di tali comuni. A suo carico è possibile soltanto l’applicazione di quella imposta che fu istituita dal nostro collega onorevole Nitti dopo l’altra guerra, sugli stabilimenti di eccezionale importanza. Ma deve rilevarsi che di fronte ad una attività produttiva che oggi apporta a singole società un profitto di centinaia di milioni, i comuni maggiori delle zone minerarie (parlo della Sardegna) riescono ad ottenere, nei casi migliori, un apporto che non supera le 300 o 400 mila lire. Se si considera, inoltre, che la produzione totale di quell’industria è valutata attualmente, mentre il piombo ha il prezzo di 200 lire il chilo, sui 17 miliardi, l’onorevole Ministro vedrà quanto sia inadeguato il contributo finanziario delle società minerarie. È il caso di rilevare che questi comuni sono sprovvisti di ospedali; e che varie frazioni di essi, create unicamente da queste attività industriali, mancano di cimiteri, di fognature ed hanno una condizione di vita individuale e collettiva assolutamente primitiva. Né il comune ha i mezzi necessari per tali opere indispensabili ad un minimo di vita civile. Non parliamo dei patronati scolastici, dell’assistenza a favore dei bambini. È uno stato di miseria veramente umiliante.

Ora, io non comprendo con quali criteri il Ministero dell’industria, che fino a ieri era retto da un mio compagno socialista, abbia potuto prospettare al Ministero delle finanze l’inopportunità di questo tributo a favore di comuni operai, dove l’azione dell’ente pubblico deve rivolgersi, prevalentemente, alla tutela dei diritti della popolazione più povera. Comunque, con questa pretesa del Ministero dell’industria, verrebbe a crearsi una sperequazione ingiustificata fra comuni marittimi e comuni agricoli da una parte e comuni industriali dall’altra, perché i primi due hanno la facoltà di applicare il diritto speciale di cui all’articolo 10 di questo decreto e all’articolo 41 del decreto precedente, mentre i comuni minerari non avrebbero e non hanno di fatto questa possibilità: posizione assolutamente ingiusta.

Occorre dire, peraltro, che la Commissione per la finanza locale aveva dato il suo assenso favorevole alla imposizione e che nessuna ragione né logica, né di giustizia, né di opportunità, in rapporto agli utili cospicui dei quali parlavo, giustifica il rilievo del Ministero dell’industria.

Io voglio pertanto confidare che l’onorevole Ministro delle finanze vorrà concludere sollecitamente gli studi annunziati e che essi porteranno una decisione favorevole alla istituzione di questo tributo.

Ricordo che, recentemente, alcune difficoltà di applicazione sorsero limitatamente all’industria carbonifera, la quale si svolge in un solo comune, mentre quella metallifera si estende a molti paesi dove il peso a carico dell’industria sarebbe veramente lieve.

Ripeto che le condizioni generali, quelle sanitarie e dei servizi pubblici di queste zone, dove infierisce paurosamente la tubercolosi e dove da parte dei comuni è necessaria una intensa azione, richiedono che gli enti locali abbiano possibilità finanziarie che non possono essere tratte diversamente, dato lo stato veramente miserrimo della popolazione, la quale è prevalentemente, se non totalmente, operaia.

Raccomando pertanto, con la maggiore premura, all’onorevole Ministro Pella questo problema che ha carattere di manifesta urgenza, mentre la modificazione portata alle precedenti saggie disposizioni non trova nessuna giustificazione nelle condizioni attuali dell’industria e dei comuni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Camposarcuno, Colitto e Ciampitti, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se rispondono a verità le voci, che hanno vivamente allarmato le popolazioni del Molise, secondo le quali si starebbero predisponendo provvedimenti per distrarre le acque del Biferno dal Molise per l’approvvigionamento idrico di Napoli e di alcuni comuni della Campania. Sarebbe sommamente nociva agli interessi della regione molisana la sottrazione dell’unica risorsa idrica rimastale. Infatti: a) rimarrebbero inattive le numerose centrali elettriche ivi esistenti, sviluppanti non meno di 12.000 HP di forza; b) sarebbe impossibile irrigare i terreni delle pianure di Boiano e di Larino e quelli di collina; c) sarebbero peggiorate le condizioni sanitarie, già gravi, dell’intero bacino del Biferno, attualmente infettato dalla malaria; d) nel Molise non rimarrebbe alcuna risorsa idrica. La sottrazione delle acque del Biferno non è necessaria per soddisfare i bisogni della città di Napoli, in quanto, a tale scopo, possono essere sfruttate più razionalmente le acque del Volturno, altro fiume molisano purtroppo sottratto, nel 1904, alla Regione a favore della città di Napoli».

Degli onorevoli interroganti è presente l’onorevole Ciampitti.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se dovessi entrare nel merito della interrogazione, dovrei dire che le ragioni, da loro, addotte a sostegno della conservazione delle acquo del Biferno alla Regione Molisana sono tutto fondate e sono quindi da me completamente condivise.

Senonché, l’allarme da essi dato, per le notizie che ho potuto assumere al mio Ministero, è completamente esagerato: ha un certo senso di ansietà di patria, ma nulla che giustifichi, quanto a provvedimenti adottati, o quanto a provvedimenti da adottare, l’allarme stesso. Quindi assicuro gli onorevoli interroganti che ho segnalato all’ufficio competente questa loro interrogazione ed ho pregato di metterla agli atti, perché il giorno in cui si dovesse, per qualsiasi motivo, prendere in esame la questione da loro sollevata, si tenga presente, non solo l’insieme delle considerazioni addotte a sostegno della loro interrogazione, ma anche l’apporto del mio pensiero personale, che è di perfetta solidarietà col loro pensiero.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dire se sia soddisfatto.

CIAMPITTI. Ringrazio l’onorevole Ministro dei lavori pubblici, anche a nome dei colleghi Camposarcuno e Colitto, per la risposta data alla nostra interrogazione; risposta che verrà a calmare l’ansia e la trepidazione delle popolazioni della Regione Molisana che, dopo aver sofferto, nel 1904, la sottrazione delle acque del Volturno, sfruttate per altre Regioni d’Italia, vedevano minacciata anche la sottrazione delle acque del Biferno, assolutamente indispensabili per il Molise, non solo per scopo di approvvigionamento idrico, ma anche per l’industria e per l’irrigazione delle piane di Boiano e di Larino.

Ringrazio il Ministro dei lavori pubblici, confidando che egli, col suo vivo senso di comprensione, voterà evitare, per il Molise, questa nuova iattura, dato che questa Provincia è stata duramente provata dalle vicende della guerra.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Salerno e Leone Giovanni, ai Ministri dei lavori pubblici, della marina mercantile e dei trasporti, «per sapere quali pronti, energici e concreti provvedimenti intendano adottare per diminuire il gravissimo disagio in cui versa il porto di Napoli, a causa: a) degli enormi danni riportati nelle attrezzature, nelle banchine e nelle calate, e dei quali è assai lontana la riparazione; b) della conseguente deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile condizione per l’Ente autonomo del porto di Napoli; c) della mancanza di ogni servizio igienico sanitario per le numerose maestranze, costrette a lavori pesanti e pericolosi; d) della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo; e) e, in genere, a causa della dimenticanza, da parte del Governo, degli interessi che riguardano il lavoro e la ricchezza connessi con il porto di Napoli.

L’interrogazione seguente tratta di argomento analogo:

Riccio Stefano, al Governo, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per la ricostruzione e la riattrezzatura del porto di Napoli».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere congiuntamente alle due interrogazioni.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Già l’onorevole Porzio l’altro giorno, intervenendo nella discussione generale, che fra l’altro toccava questo problema, ebbe a interessare il Governo a che la questione del porto di Napoli fosse oggetto di più approfondita attenzione da parte del mio Ministero.

Le interrogazioni degli onorevoli Salerno, Leone Giovanni e Riccio Stefano, si aggiungono dunque, alle esortazioni già fatte in precedenza dall’onorevole Porzio.

Potrei dividere le interrogazioni in due parti principali, prima di incominciare a discutere i singoli dettagli. La prima parte riguarda una specie di lamento per il passato; la seconda parte una istanza per l’avvenire. Per quanto riguarda il passato, potrei subito dire che la cosa non mi riguarda, e non rispondere quindi agli onorevoli interroganti. Senonché, c’è una continuità nell’azione di governo ed io ho inteso il dovere di esaminare quello che effettivamente è stato fatto per il porto di Napoli dai miei predecessori. Devo dire, stando alle notizie che ho avuto e di cui renderò conto all’Assemblea, che effettivamente le lagnanze degli onorevoli interroganti non sono completamente fondate, perché mentre essi dicono che i lavori per il porto di Napoli attendono ancora una lontana riparazione, dalle cifre che fornirò all’Assemblea si potrà ricavare invece che questi lavori sono in uno stato di avanzata esecuzione. Comunque, onorevoli colleghi, se per caso il dissenso che c’è fra queste vostre affermazioni e quelle che io vi farò non potrà essere subito sufficientemente chiarito, assicuro l’Assemblea che mi adopererò perché la verità venga meglio ristabilita e quello che gli onorevoli colleghi domandano venga sodisfatto, nei limiti naturalmente delle mie disponibilità.

Sottopongo pertanto all’attenzione dell’Assemblea i dati del passato.

Come i colleghi ricorderanno, l’importo complessivo dei danni subiti dal porto di Napoli fu stabilito, fin dalla fine del 1945, in un miliardo e mezzo, e con provvedimento legislativo del 26 marzo 1946 questa somma, nella quale si compendia l’ammontare dei danni sofferti dal porto a causa della guerra, fu dal Governo del tempo erogata e distribuita in quattro esercizi: 1945-46, 1946-47, 1947-48 e 1948-49.

Vediamo come sono state spese finora queste somme. A causa, naturalmente, dei notevoli aumenti di prezzo della mano d’opera e dei materiali, questo importo di un miliardo e mezzo oggi non è più sufficiente. Ma questo formerà oggetto di revisione di prezzi, in sede competente, quando potrà essere fatta. Ora, dobbiamo limitarci unicamente a vedere se e come questa somma è stata spesa. Nel giugno scorso, la situazione dei lavori di ricostruzione del porto (devo leggere perché si tratta di cifre) era la seguente: lavori ultimati 228 milioni, di cui per riparazione di dighe e banchine 88 milioni e 300 mila, per la ricostruzione di edifici in servizio dell’attività portuale 70 milioni, per impianti meccanici di carico e scarico 60 milioni, per lavori varî 10 milioni. In tutto 228 milioni interamente spesi.

Lavori in corso di esecuzione: per banchine e calate 394.700.000, per edifici 129 milioni, per impianti meccanici 748 milioni; lavori in corso di appalto 333 milioni di cui per banchine e calate 211 milioni, per edifici 70 milioni, per lavori varî 52 milioni. Progetti in corso di studio 227 milioni. Calcolando, onorevoli colleghi, la spesa sostenuta per i lavori eseguiti: 228.300.000 e quella impegnata per i lavori in corso: 1.344.800.000, si raggiunge la somma di 1.573.100.000 che, come vedete, è superiore al miliardo e mezzo a suo tempo stanziato. Però, all’eccedenza dei 73 milioni ed alla spesa occorrente per i lavori da appaltare, cioè 333 milioni (compresi i 73 milioni) posso assicurare che potremo far fronte destinando a queste opere le somme relative ad altri impegni messi a carico di altre autorizzazioni, che per il momento non possono essere eseguite.

Quando io ho assunto la direzione del mio Ministero, e prima ancora che mi pervenisse l’interrogazione degli onorevoli colleghi, mi sono occupato della particolare situazione del porto di Napoli, specialmente in rapporto ai 227 milioni che dobbiamo spendere in relazione ai lavori che sono in corso di studio ed ho potuto disporre la immediata istruttoria per l’impegno di maggiori spese di 165 milioni occorrenti alla fornitura di 18 gru e 90 milioni per 4 elevatori e trasportatori di carbone, per i quali si attende ora il parere del Consiglio di Stato, avendo già il Consiglio Superiore dei lavori pubblici emesso il suo parere favorevole.

Ho disposto inoltre, in data 2 corrente, dopo l’interrogazione, che si inviasse al Consiglio Superiore dei lavori pubblici il progetto di riparazione delle banchine «Cesare e Console» per 29 milioni ed altri lavori per minore entità. Ho altresì disposto l’appalto dei lavori di ricostruzione della banchina Duchessa d’Aosta per 51 milioni. Inoltre devo far presente all’Assemblea che, per quanto attiene al porto di Napoli, sono stati anche eseguiti alcuni lavori per il nuovo allacciamento a doppio binario fra gli impianti dello Sperone ed il porto di Napoli, nonché la parte tra i Granili e la Stazione di porto di Massa.

Definiti ora alcuni accordi con il Municipio di Napoli ed altri enti locali sarà presentata la proposta per la deviazione di Reggia dei Portici per sopra-passare del raccordo ferroviario anzidetto.

Ma l’interrogazione degli onorevoli colleghi non riguarda soltanto questi aspetti della questione. Rilevo, infatti, che al numero b) si accenna alla deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile situazione per l’Ente autonomo del porto di Napoli. Questa maggiore efficienza del porto di Napoli, ai fini della canalizzazione del traffico verso il porto medesimo, dovrà essere soprattutto agganciata al fatto delle gru, che in parte sono state fornite e in parte lo saranno. Ma, per questo, è in modo particolare competente il mio collega della Marina mercantile, il quale, assente oggi per ragioni di governo dall’Assemblea, mi ha pregato di annunciare all’Assemblea che egli ne farà oggetto di particolare attenzione e che giovedì prossimo si recherà personalmente a Napoli per constatare la situazione e poter riferire all’Assemblea stessa circa i risultati dei suoi accertamenti.

Si parla altresì dagli onorevoli interroganti della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo. Il rilievo è effettivamente esatto, ma non riguarda soltanto il porto di Napoli, bensì tutti i porti italiani. Il problema è in relazione soprattutto a questioni di ordine valutario di specifica competenza dei Ministri del commercio estero, del tesoro e dell’industria e commercio, ai quali non mancherò di segnalare questo aspetto della questione per gli eventuali opportuni tempestivi provvedimenti.

Si parla, altresì, nell’interrogazione, della mancanza di ogni servizio igienico sanitario per le numerose maestranze costrette a lavori pesanti e pericolosi.

Devo dire agli onorevoli interroganti che per quanto attiene a questo aspetto del problema, la ragione del ritardo non dipende tanto dal mio Ministero, quanto dall’Ente autonomo del porto di Napoli, il quale in passato sosteneva queste spese a totale suo carico. Ora non le può sostenere, e quindi ci deve pensare il Ministero dei lavori pubblici; però aspettiamo ancora delle proposte al riguardo, specie per quanto attiene alla Casa dei pescatori per le merci nere, che io ho sollecitato ieri stesso.

Credo che, dopo quello che ho detto per quanto attiene sia alle mie disposizioni che ai miei propositi per l’avvenire, la mia risposta possa essere di completa sodisfazione degli onorevoli interroganti. Comunque, se avessero eventualmente qualche cosa da segnalare circa il medo come sono stati spesi questi denari, o circa l’efficienza dei lavori in corso, o circa il modo come sono condotti i lavori, qualora non rispondessero alle notizie che ho attinte al mio Ministero, mi tengo a disposizione degli onorevoli colleghi, per collaborare con loro al fine di accelerare e potenziare lavori in corso o di prossima attuazione. Io penso, e con me il Governo pensa, che valorizzare il porto di Napoli non significa soltanto fare opera napoletana e regionale, ma opera squisitamente italiana e nazionale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALERNO. Sono sinceramente dolente di non potermi dichiarare sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro dei lavori pubblici. E questo mio rincrescimento deriva soprattutto dalla prova che egli ha dato del suo interesse e del suo amore, nonché delle buone intenzioni che nutre per la città di Napoli.

Ma io devo dire una cosa, alla quale probabilmente si assocerebbero molti colleghi napoletani, compreso il mio e nostro maestro Giovanni Porzio, come altri napoletani, anche non deputati.

Noi abbiamo una dura esperienza. Le promesse e le buone intenzioni ci hanno tenuti su; i bilanci – o per lo meno i preventivi di bilancio – quadrano, ma io vorrei dire al Ministro dei lavori pubblici che il porto di Napoli non quadra, perché, nonostante quelle cifre che egli ha annunciate, non c’è una gru, nel porto di Napoli, che sia attualmente in funzione. Prendo impegno formale di dimostrarlo e prego il Ministro dei lavori pubblici d’informarsi. Non esiste una sola gru stabile, fissa, perché il lavoro di trasporto, il lavoro di imbarco e sbarco è fatto con pochissime gru a cingoli lasciate dagli americani, che sono dispendiose, lentissime e impegnano una enorme mano d’opera, mentre delle trentadue gru che aveva il porto di Napoli e dei quattro elevatori meccanici non uno è più in funzione.

Confermo e preciso che sono stati appaltati alcuni lavori per la costruzione delle gru; alcune delle quali sono là per essere finalmente costruite, ma la maggior parte di esse non si trova ancora nemmeno in cantiere: nel porto di Napoli, dopo due anni che è stato liberato dalle truppe alleate, non esiste una sola gru stabile: e non avere gru – me lo può benissimo insegnare l’onorevole Ministro dei lavori pubblici – significa praticamente non potere eseguire il lavoro di carico e scarico.

Ora, sa l’onorevole Ministro dei lavori pubblici perché non si costruiscono e non si riescono a costruire le gru che sul preventivo di bilancio sono perfettamente segnate? (Dico che sono perfettamente segnate, perché non metto certo in dubbio le cifre). La ragione è molto semplice: perché non vi è assegnazione del materiale ferroso, perché le materie prime non sono inviate e perché le ditte appaltatrici cui era stata commessa quest’opera da parte del Ministro Romita, il tanto solerte Ministro dei lavori pubblici che esplicò un’opera veramente egregia nell’interesse del porto di Napoli, non possono eseguire i lavori ad esse affidati, appunto perché le assegnazioni della materia prima non vengono fatte. È così che i lavori, molto spesso, non possono neppure avere inizio.

Comprenderà dunque l’onorevole Ministro dei lavori pubblici in quale stato si trovi il porto di Napoli; egli sa molto bene che senza assegnazione di materiale non si può costruire. Le banchine sono state in gran parte ricostruite, ma – mi consenta – non già nella misura che risulta presso il suo ufficio (perché anch’io ho dei dati i quali hanno questo particolare carattere, che provengono veramente dal luogo dove i fatti si svolgono e precisamente dall’Ente autonomo del porto), bensì soltanto nella misura – parlo dei lavori ultimati – del 16 per cento per le banchine e dell’8 per cento per quanto riguarda le attrezzature meccaniche.

La responsabilità, onorevole Ministro, non è personalmente sua. Io non lo nego, perché noi qui, più che cercare delle responsabilità vogliamo mettere a punto alcuni problemi che riteniamo essenziali non solamente per questa o quella città, per questa o quella regione, ma per tutto il territorio nazionale, per la Nazione stessa. Senza banchine, come si fa infatti a trasportare la merce?

Ma v’è un terzo inconveniente cui ella ha fatto cenno e che io non posso non sottolineare: quello dei numerosi relitti delle 160 unità affondate nel porto di Napoli, alcune delle quali considerevoli come tonnellaggio. Di esse sono state recuperate e rimosse 60 carcasse, ma le altre ingombrano ancora le calate ed i moli. Avviene così che i piroscafi non possono ormeggiarsi e le banchine sono là a sbadigliare al bel sole di Napoli, ma ben lungi dall’essere idonee allo scopo per il quale sono state costruite. Segnalo quindi all’onorevole Ministro dei lavori pubblici la necessità di sgomberare, di rimuovere questi relitti. Alcuni di essi, ripeto, sono già rimossi; ma è evidente che bisogna rimuovere anche gli altri, per due ragioni: perché agevolano l’approdo e perché costituiscono anche un materiale utilissimo. Ed invero, sia detto a conclusione di questa magra rassegna, io mi auguro soprattutto di raggiungere questa finalità: di aver fatto sentire, dopo quella autorevolissima dell’onorevole Porzio, anche la voce di altri amici e colleghi, che hanno messo in evidenza uno dei problemi più impellenti: quello del porto di Napoli.

Bisogna che questi tre fatti – banchine, gru, relitti – siano tenuti in grande considerazione, perché diversamente il problema del porto di Napoli non potrà essere risolto. Eppoi, sa il Ministro dei lavori pubblici, sa l’Assemblea perché tutto, questo è avvenuto? È avvenuto per causa della guerra. Certo, tutti i porti d’Italia e tutte le città d’Italia hanno contribuito col loro sacrificio e col loro eroismo alla guerra di liberazione; ma il porto di Napoli è quello che ha pagato più di tutti, e non soltanto in conseguenza dei bombardamenti e dei danni diretti, i quali hanno provocato il 50 per cento soltanto di distruzioni, ma perché le esigenze della guerra hanno fatto sì che, dopo che le gru erano state fatte saltare in aria dai tedeschi, sono venute le truppe alleate che le hanno buttate a mare o addirittura interrate e rese inservibili. Questa è la verità.

Mi dispiace che non sia presente l’onorevole Romita, col quale non poche volte, quand’era titolare del dicastero dei lavori pubblici, abbiamo visitato insieme il porto di Napoli. Il danno subito dalle gru e dalle attrezzature, lo abbiamo visto, è del cento per cento, ossia è un danno integrale, come integrale è il danno subito dalle banchine, perché anche queste sono tutte buttate all’aria.

Ed a tutto questo si aggiunga un altro fatto: che per due anni, dal 1943 al 1945, il porto di Napoli è stato il grande pernio attorno al quale si è mossa la immane macchina della guerra, che ha portato anche alla liberazione dell’Italia. È ovvio che il porto di Napoli, avendo e dovendo avere questa funzione militare, ha perduto ogni altra funzione; è stato disertato completamente da qualsiasi attività che avesse un carattere mercantile e di traffici civili. Quindi il danno del porto di Napoli è un po’ il grande tributo che Napoli ha pagato all’Italia. Noi chiediamo che l’Italia, attraverso il Governo, consideri questo tributo e ripaghi questo danno, non facendo di Napoli una città privilegiata, ma rimettendola nelle condizioni in cui essa si trovava.

In quanto alla questione della Casa del portuale, mi permetto di significare all’onorevole Ministro dei lavori pubblici come la mancanza di qualsiasi servizio igienico-sanitario faccia sì che quella moltitudine di scaricanti che sostituisce le gru (perché anche questo costituisce un titolo di onore: non abbiamo gru, ma il carbone si scarica; si scarica senza elevatori, ma a schiena di operai, quegli operai che fino a quando non c’erano le gru – cioè fino al 1910 – hanno primeggiato nel mondo per l’imbarco e lo sbarco del carbone, «sicché i transatlantici venivano a bunkerare il carbone a Napoli, in quanto vi trovavano le maestranze meglio addestrate e più idonee a questo lavoro), questa moltitudine di lavoratori, dicevo, non abbia come lavarsi, non abbia come prendere, senza imbrattarlo, un pezzo di pane. La Casa del portuale, si è detto, non è dello Stato, non è un ente pubblico; deve considerarsi come proprietà privata, non è una organizzazione a carattere pubblico, a carattere demaniale. Ma in un caso come questo, mi pare, non si deve andare per il sottile; vi è di mezzo una questione umana, sociale: non è possibile che un grande porto come quello di Napoli non abbia un fabbricato dove possa essere tutelata l’igiene e la salute di migliaia e migliaia di lavoratori.

PRESIDENTE. Onorevole Salerno, la prego di concludere.

SALERNO. Ho finito. È vero che la questione del prezzo della nafta è uguale per tutti i porti d’Italia, e non ho parlato nella mia interrogazione di altri porti d’Italia: ho parlato di altri porti del Mediterraneo. Perché questa è un’altra questione inesplicabile, la quale non riguarderebbe veramente il suo dicastero, onorevole Tupini, ma altro dicastero, ed io ho rivolto l’interrogazione anche ad un altro rappresentante del Governo. Questo interessa Napoli, ma interessa anche Genova, per esempio. Non comprendo perché la nafta debba costare 91 scellini a Napoli o a Genova e debba costarne molto di meno in altri porti, come ad Orano.

Mi diceva ieri un armatore che i suoi piroscafi italiani deve mandarli in Africa, in Egitto, per far comprare la nafta, perché in Italia la nafta costa di più. E non è questione di cambio, perché la valuta è quella che è. Io potrei comprendere che per avere uno scellino occorra pagare più biglietti da cento o da mille, ma il prezzo della nafta dovrebbe essere uguale ed esso invece è uno dei fenomeni più misteriosi che avvengono nel panorama economico italiano.

Sarebbe bene che il Ministero esaminasse questa questione e fissasse con le altre compagnie il prezzo defila nafta, rendendolo uguale a quello che viene praticato in altri porti.

E concludo come ha concluso il Ministro dei lavori pubblici. Sì, perché valorizzare e potenziare il porto di Napoli significa valorizzare e potenziare l’economia del Mezzogiorno d’Italia. Il porto di Napoli è estuario ed affluente della vita economica italiana. Però potenziamolo davvero, perché i napoletani attendono ed hanno atteso da molto tempo!

Che sia il Ministro Tupini veramente quello che realizzerà i nostri voti, ce lo auguriamo. Qui veramente non si dovrebbe fare questione di persona, ma di realizzazioni, perché là dove c’è un’opera buona e che giova ai lavoratori e alla collettività, questa è un’opera meritoria, e se il Ministro Tupini riuscirà a farla saremo con lui. Però tenga conto di quello che in una breve interrogazione non si poteva dire; cioè che il porto di Napoli è veramente il cuore del Mezzogiorno! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Riccio Stefano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO STEFANO. Io mi dichiaro sodisfatto di quanto ha detto oggi il Ministro dei lavori pubblici, ma non posso dichiararmi sodisfatto di quanto fino a questo momento ha fatto il Ministero dei lavori pubblici.

Il Ministro dei lavori pubblici ci ha letto delle cifre in rapporto al porto di Napoli. Se egli avesse lette altre cifre per le spese sostenute in altri porti, come ad esempio per il porto di Genova, noi avremmo potuto constatare come quella giustizia, di cui ha parlato sempre il maestro onorevole Giovanni Porzio ed a cui oggi si è riferito l’onorevole Salerno, sia stata ancora una volta tradita.

Il nostro porto non ha soltanto subìto i disastri della guerra, ma (come ben diceva l’onorevole Salerno) è stato danneggiato anche dopo. Si ebbe, invero, quell’uso prolungato da parte degli Alleati che impedì l’immediato inizio della ricostruzione. Oggi che questa possibilità c’è, occorre intensificare i lavori. Ed invece, sì, certo, qualche opera è stata eseguita, ma i lavori, vanno avanti con lentezza ed incertezza.

Il Ministro Tupini ci invita a presentare i documenti. Noi lo invitiamo soltanto ad una cosa. Venga a fare una visita alle banchine del porto di Napoli ed avrà la dimostrazione completa di quanto abbiamo affermato. Può darsi che egli avrà ad inciampare in qualche mucchio di macerie o di altri residuati e si renderà conto effettivamente dello stato dei lavori. La nostra lamentela è espressione di un bisogno di giustizia, che noi avvertiamo. Noi crediamo di dovere avere giustizia; noi chiediamo che finalmente questo nostro porto debba essere ricostruito! Noi questo chiediamo, e niente altro.

Insisto soprattutto sulla Casa del portuale. Se questa Casa è stata distrutta per eventi bellici, non c’è discussione da fare: il Genio civile deve e può ricostruirla. È una necessità assoluta, come diceva l’onorevole Salerno.

Non voglio aggiungere parola. Nutro la speranza, anzi – se il Ministro mi permette – ho la certezza che finalmente giustizia sarà fatta. Occorre anche la revisione dei prezzi, perché indubbiamente la omissione ritarda la esecuzione dei lavori. Credo di poter concludere, affermando che questa Assemblea unanime fa voti perché i lavori siano portati a compimento al più presto ed il porto, riavuta la sua attrezzatura, abbia a riprendere il suo intenso ritmo di vita. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di replicare l’onorevole Ministro dei lavori pubblici. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Mi onoro di annunciare all’Assemblea che ho già deciso di recarmi a Napoli il giorno 21 di questo mese (Approvazioni) per constatare di persona lo stato dei lavori e dare nell’ambito delle mie possibilità le necessarie disposizioni, capaci di sodisfare non solo gli onorevoli interroganti, ma l’Italia meridionale ed il Paese. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni che, essendo di argomento analogo, possono essere svolte congiuntamente. La prima è quella dell’onorevole Recca ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per sapere quali provvedimenti hanno preso o intendano prendere per venire incontro agli impellenti e improrogabili bisogni della industre popolazione di San Paolo Civitate, in provincia di Foggia, composta di piccoli viticoltori, olivicoltori e braccianti, dopo lo spaventoso nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno ultimo, mai visto simile, che ha provocato danni per oltre due miliardi alla campagna e la miseria più nera a quei piccoli coltivatori diretti, che non potranno più raccogliere per altri diversi anni, ed ha aggravato la disoccupazione esistente».

La seconda è quella dell’onorevole Miccolis al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste «per conoscere se sono informati che il giorno 23 giugno una grandinata di eccezionale violenza si è abbattuta sulle campagne di San Paolo Civitate, distruggendo prodotti valutabili per un paio di miliardi; quali provvedimenti urgenti intendano adottare per sollevare dalla miseria e dalla disoccupazione provocate dal Ministro, per prevenire ed evitare possibili agitazioni».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Devo informare gli onorevoli colleghi, che, oltre le loro interrogazioni, nessuna segnalazione era pervenuta al mio Ministero circa i danni arrecati al Comune di San Paolo Civitate dal nubifragio del 23 giugno 1946. Dato, peraltro, che i provvedimenti che si invocano riguardano unicamente i bisogni della popolazione agricola, nessun intervento può essere esplicato dal Ministro dei lavori pubblici inquantoché la competenza – se danni di natura agricola ci sono – è del Ministero dell’agricoltura.

Il Ministero dei lavori pubblici, invece, in simili circostanze ha soltanto l’obbligo di adottare quelle provvidenze di pronto soccorso indispensabili per assicurare la pubblica incolumità mediante puntellamenti, demolizioni di muri pericolanti, costruzione di ricoveri provvisori, del che non vi deve essere stato bisogno nel comune di San Paolo Cavitate, inquantoché questi soccorsi non sono stati nemmeno sollecitati.

Comunque, io non ho mancato di richiamare l’attenzione del Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Bari, affinché esamini – dato quello che affermano gli onorevoli interroganti – se vi sia la possibilità di alleviare con l’attuazione di qualche lavoro di indubbia utilità, suscettibile di dare impiego a mano d’opera rimasta disoccupata a ragione di questo nubifragio, lo stato di disoccupazione che si è venuto ad aggravare nel suddetto comune. Assicuro pertanto gli onorevoli interroganti che, se provvedimenti del genere mi saranno richiesti, non mancherò, nei limiti delle mie possibilità, di adottarli.

PRESIDENTE. Ha facoltà, di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A nome del Ministro dell’agricoltura, aggiungo che manca ogni possibilità di intervenire a favore dei danneggiati, in quanto nello stato di previsione della spesa del Ministero non sono stanziati fondi per sovvenire a danni prodotti da vicende meteorologiche. Comunque, il Ministero ha invitato d’urgenza il Provveditore regionale alle opere pubbliche e l’ispettore agrario compartimentale a fare proposte per quegli eventuali interventi di riparazione dei danni causati ad opere pubbliche o private di bonifica, che potrebbero in un certo modo contribuire ad alleviare la disoccupazione segnalata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sottosegretario di Stato per il tesoro.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In relazione alla richiesta dell’onorevole interrogante, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per venire incontro ai bisogni della popolazione di San Paolo Civitate, danneggiata dal nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno 1947, si osserva, per quanto rientra nella competenza del Ministero delle finanze, che, in base all’articolo 47 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572, che approva il testo unico delle leggi sul nuovo catasto dei terreni, nei casi in cui per parziali infortuni non contemplati nella formazione degli estimi venissero a mancare i due terzi almeno del prodotto ordinario del fondo, l’Amministrazione può concedere una moderazione dell’imposta erariale dell’anno sui terreni, nonché dell’imposta sui redditi agricoli, dietro presentazione, da parte dei possessori danneggiati, alla competente Intendenza di finanza, entro i 30 giorni dall’accaduto infortunio, di apposita domanda con l’indicazione, per ciascuna, particella catastale, della quantità e qualità dei frutti perduti e dell’ammontare del loro valore.

I danni provenienti da infortuni atmosferici, come la grandine, la siccità, le gelate e simili, vengono tenuti presenti nella formazione delle tariffe d’estimo e perciò, di regola, non possono dar luogo alla moderazione d’imposta di cui al citato articolo 47 del testo unico 8 ottobre 1931, n. 1572.

Comunque, il Ministero ha interessato già l’intendenza di finanza di Foggia, affinché riferisca, sentito l’Ufficio tecnico erariale, circa l’entità dei danni arrecati dalla grandinata del giugno scorso in comune di San Paolo Civitate; ed in base a informazioni che saranno fornite, si vedrà subito quali agevolazioni tributarie potranno eventualmente essere adottate a favore dei danneggiati.

Per quanto riguarda il Ministero del tesoro, si comunica che l’intervento del Tesoro, in casi del genere prospettati dall’onorevole interrogante, si attua attraverso i Ministeri particolarmente chiamati, per ragione di rispettiva competenza tecnica, ad occuparsi dei vari settori amministrativi, quali lavori pubblici, agricoltura, ecc., in base agli stanziamenti ordinari o straordinari dei loro bilanci.

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RECCA. Solo stamattina è stato segnalata al Ministero dell’interno, dove mi sono recato, la grave sciagura che ha colpito la cittadina di San Paolo Civitate. Si tratta di danni per oltre 2 miliardi. Non si è vista mai una grandinata simile. Sono sicuro che il Governo verrà incontro ai bisogni di questa sciagurata popolazione. Sono sicuro di questo e mi permetto di fare delle raccomandazioni, giacché il Ministro Tupini dice di non essere competente al riguardo, proprio ai tre Ministri ai quali ho rivolto l’interrogazione. Raccomando infatti al Ministro Tupini una assegnazione diretta per i lavori pubblici di San Paolo Civitate, e di segnalare all’ispettorato di Bari, a cui sono stati assegnati 360 milioni per opere pubbliche, che quella cittadina ha più bisogno delle altre. Dico questo perché ho sempre creduto all’accentramento di Bari. Quella cittadina deve essere aiutata, perché la disoccupazione del bracciantato si farà sentire ancora di più, non potendosi più parlare d’imponibile di mano d’opera in quella contrada. E questo si capisce. Non può essere più imposta la mano d’opera agli agricoltori, perché questi, non solo non hanno raccolto quest’anno, ma non raccoglieranno per altri diversi anni, tanto è stato grave il disastro. Al Ministro delle finanze, poi, raccomando di segnalare all’intendenza di finanza di Foggia la necessità di dare sollecito corso all’istruttoria della pratica, che ho fatta presentare, per la eliminazione e riduzione dell’imposta fondiaria; raccomando di dare poi disposizione per l’esenzione di tutti i sinistrati dall’imposta straordinaria sul patrimonio.

Al Ministro dell’agricoltura, infine, raccomando di aiutare, in qualsiasi modo, quei piccoli agricoltori e coltivatori diretti, provati da tanta disgrazia.

PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MICCOLIS. Mi duole di non potermi assolutamente dichiarare sodisfatto. Io non mi sono rivolto al Ministro dei lavori pubblici, perché sapevo benissimo che l’argomento in discussione non riguarda la sua competenza. Però, la risposta dell’onorevole Tupini non mi è piaciuta, per quanto non sia stata data a me.

È facile telegrafare al Provveditore per le opere pubbliche, perché provveda lui in queste occasioni; siamo perfettissimamente d’accordo. Ma questo significa far sottrarre qualche cosa, per San Paolo in Civitate, da quei pochi milioni mandati per opere pubbliche a tutta la regione.

TUPINI. Ministro dei lavori pubblici. In via provvisoria.

MICCOLIS. Io mi sono rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste: a questo perché si informasse esattamente sull’entità del danno; al Capo del Governo, perché interessasse tutti i Ministeri competenti, per andare incontro a quella popolazione così gravemente colpita.

Come ha già detto il collega onorevole Recca, si tratta di una grandinata di carattere eccezionalissimo, che esce dall’ordinario, richiamato dall’onorevole Petrilli quando ha detto che nelle previsioni di finanza è tenuto conto delle grandinate e delle gelate. In questo caso si tratta come di terremoto. Occorre l’intervento diretto del Governo, cioè da parte del Ministero del tesoro e del Ministero delle finanze, perché non è assolutamente concepibile che un piccolo agricoltore (siamo in una zona di piccoli coltivatori), dopo aver visto distrutti, alla vigilia del raccolto, i prodotti dei suoi campi, possa provvedere al pagamento delle imposte ordinarie e dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Come potrà questo disgraziato rimettere in funzione la sua macchina e fronteggiare i danni? Perché, come ha detto l’onorevole Recca, non si tratta di un danno contingente e semplice, ma di un danno che si proietta nel futuro. Quando un vigneto o un oliveto (perché siamo in zona coltivata a vigneti o oliveti), è battuto così violentemente dalla grandine, sono necessari immediati procedimenti di irrorazione, di zappatura, perché la pianta, che ha subito attacchi violenti, ha bisogno di essere aiutata, ha bisogno di ossigeno, come l’ammalato. Ciò per non compromettere la produzione per gli anni futuri.

Pertanto, mi permetto invitare il Governo, ad emettere i provvedimenti eccezionali richiesti dalla eccezionalità del caso.

Onorevole Tupini, il Provveditore delle opere pubbliche non ha niente a che fare con questa faccenda, perché non si tratta di togliere ad uno per dare ad un altro.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Non toglieremo niente a nessuno; si tratta di un provvedimento provvisorio; poi provvederemo in concreto.

MICCOLIS. Allora, saremo d’accordo e potrò dirmi sodisfatto.

PRESIDENTE. L’onorevole Pellegrini ha presentato la seguente interrogazione al Ministro dell’interno. «a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero, sempre a Venezia, nella mattinata di domenica, 29 giugno».

Sullo stesso argomento è stata presentata la seguente interrogazione dagli onorevoli Mentasti, Ponti, Lizier, Bastianetto, al Ministro dell’interno: «per conoscere – in relazione ai deplorevoli episodi di intolleranza accaduti a Venezia il 29 giugno – quali provvidenze il Governo intenda adottare perché la libertà di parola nelle pubbliche manifestazioni sia a tutti garantita e così pure tutelata la sicurezza dei partecipanti contro ogni atto di faziosità e di violenza».

Infine l’onorevole Tonetti ha presentato una interrogazione urgente così formulata:

«Al Ministro dell’interno, sugli incidenti che si sono verificati a Venezia domenica 29 giugno ultimo scorso in occasione del comizio indetto dall’onorevole De Gasperi e sugli arresti arbitrari ed indiscriminati che ne sono seguiti».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, ha facoltà di rispondere alle tre interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Evidentemente le forze di polizia che hanno presidiato nella domenica 29 giugno la piazza San Marco di Venezia non erano state messe a disposizione della Democrazia cristiana. Ai sensi dell’articolo 20 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza esse erano, invece, state poste a disposizione del prefetto della Provincia, il quale ben sapeva quanto si andava qua e là organizzando da parte di partiti estremi per disturbare le riunioni della gioventù democristiana delle Tre Venezie, indetta per quel giorno, e in particolare per impedire il discorso annunziato dell’onorevole De Gasperi, come si è appreso da una circolare, che leggo, diramata della sezione di Mira del Partito comunista italiano:

«Si avvertono tutti i compagni che domenica 29 c.m. avrà luogo in piazza San Marco di Venezia l’annunziato discorso di De Gasperi. La federazione e la sezione comunista lanciano la parola d’ordine: tutti i compagni in piazza San Marco per controbattere De Gasperi. Ci sarà il contradittorio tenuto da Scoccimarro per i comunisti e da Basso per i socialisti. I compagni in bicicletta dovranno trovarsi alle ore 4.30 del mattino a Mira per la partenza».

MAZZA. È scritto «compagni» o «camerati»? (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. I camerati sono nel vostro settore.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. La circolare conclude; dicendo: «Non si devono portare bandiere, non si deve provocare, né accettare provocazioni mantenendosi sempre agli ordini del Partito».

Una voce a sinistra. La data, la data.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato all’interno. È senza data. Evidentemente la circolare è precedente al 29 giugno.

Il Prefetto, informato di quanto si andava qua e là organizzando, nel senso cui ho accennato, aveva richiesto le forze di polizia per mantenere l’ordine, come era suo dovere.

Che tale richiesta non fosse ingiustificata lo hanno dimostrato gli avvenimenti che seguirono.

Infatti, fin dalle ore 7 (il discorso di De Gasperi era fissato per le ore 11) notevoli gruppi di elementi dichiaratamente estremisti, muniti di fischietti ed armati di bastoni anche ferrati, cominciarono ad affluire nella piazza, tentando di occuparne la parte più vicina alla finestra da cui doveva parlare il Presidente del Consiglio.

Una voce a sinistra. Anche ferrati! Quanti ne avete sequestrati?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ne abbiamo anche sequestrati!

Una voce a sinistra. Quanti?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato all’interno. Tali gruppi tentavano, dunque, di occupare – su queste informazioni può testimoniare anche qualche membro di questa Assemblea – la parte della piazza più vicina, come ho già detto, alla finestra da cui doveva parlare il Presidente De Gasperi. Le forze di polizia avevano però provveduto a mantenere libera la parte della piazza destinata ai congressisti, e tale tentativo è, conseguentemente, fallito. (Rumori a sinistra). Quando però l’onorevole De Gasperi si presentò alla finestra e cominciò a parlare, scoppiò la più rumorosa delle gazzarre. Contemporaneamente il cordone della polizia veniva aggredito con violenza e si cercava di romperlo. Ad un certo momento, anzi, esso era costretto ad arretrare. Non entro in particolari: dovrei accennare all’episodio della bomba fumogena.

In questo momento 23 individui, che nella fase precedente erano stati arrestati come i più violenti, venivano liberati dalla folla. Essi però erano stati identificati e poterono, in parte, essere ricatturati o, comunque, denunciati a piede libero.

Il comportamento delle autorità in questa occasione è stato, evidentemente, determinato dalle circostanze e non merita quindi di essere riprovato. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Pellegrini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PELLEGRINI. Non posso assolutamente dichiararmi sodisfatto per due motivi (Rumori al centro e a destra): il primo, perché la risposta è venuta ad otto giorni di distanza dai fatti incresciosi, quando è stato possibile utilizzare, in maniera abusiva, i mezzi dello Stato, per dare una versione falsa e faziosa degli avvenimenti. (Rumori al centro).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Queste sono insinuazioni che ledono, ingiustamente, l’autorità di funzionari che, in questa occasione come in altre, hanno dimostrato imparzialità e dignità! (Approvazioni).

PELLEGRINI. Secondo: perché i fatti, così come sono enunciati nella versione, dell’onorevole Sottosegretario, non rispondono a verità… (Rumori al centro e a destra).

CAIATI. Ha il componimento fatto!

PELLEGRINI. …e questa versione, comunque, non smentisce e non giustifica l’occupazione della piazza da parte della polizia in assetto di guerra.

Una voce. Cinque ore prima sono andati.

PELLEGRINI. Cinque ore prima, appunto.

C’è ancora un altro fatto: per attraversare i cordoni della polizia bisognava mostrare la tessera del Partito democratico cristiano. (Proteste al centro). Questo è un fatto non smentito dall’onorevole Sottosegretario di Stato, fatto che acquista un particolare significato, se si tiene presente una curiosa riunione avvenuta nella Prefettura di Venezia, per iniziativa del signor Prefetto, tre giorni prima dell’arrivo dell’onorevole De Gasperi. Il giovedì il signor Prefetto di Venezia ha convocato nel suo ufficio i rappresentanti dei Partiti di sinistra, il Sindaco e i rappresentanti della Camera del lavoro per significare loro che se nella giornata di domenica fossero avvenuti incidenti, c’era pericolo di crisi nel Comune, c’era pericolo di crisi nella Camera del lavoro. (Commenti – Interruzioni al centro).

È senza dubbio un dovere del Prefetto, come rappresentante del Governo, di pensare tempestivamente all’ordine pubblico, ma è dovere del Prefetto di tener conto che l’ordine pubblico si conserva solamente a condizione che si discuta con tutti i partiti, non solo coi partiti di sinistra presunti o pretesi rei.

L’occupazione militare della piazza San Marco, la riunione in Prefettura dei soli rappresentanti dei Partiti di sinistra per consentire il piccolo ricatto, come ha rilevato l’onorevole Roveda (Commenti al centro), dànno luce particolare agli elementi spirituali e materiali dell’incresciosa giornata di domenica 29 giugno. (Interruzioni – Commenti al centro).

Ma vi sono stati degli incidenti, vi sono state delle manifestazioni, ed allora si è andata a scomodare la vieta retorica delle squadre rosse; c’è stato il Questore, il quale otto giorni prima, ha segnalato l’accaparramento dei fischietti nei negozi di Venezia; si è andati anche a scomodare certa stampa fascista. (Interruzioni al centro).

Bastava che l’onorevole Sottosegretario avesse narrato i fatti come si sono svolti. Non era necessario che i comunisti e i socialisti convocassero il popolo in piazza San Marco, non era necessario che diramassero delle circolari. (Commenti al centro). A questo ha pensato la Democrazia cristiana. La popolazione è andata in piazza, e non è colpa dei comunisti né dei socialisti se essa ha manifestato opinioni diverse da quelle della Democrazia cristiana. (Proteste e interruzioni al centro). Diecine di migliaia di persone sono andate in piazza San Marco e non erano squadre rosse. (Commenti al centro). Era la popolazione più sana di Venezia, era il popolo di Cannareggio, di Dorsoduro, di San Marco, erano gli arsenalotti che il Presidente del Consiglio ha offeso nel suo discorso alla radio. Era il popolo sano di Venezia. (Applausi a sinistra – Proteste al centro).

Gli incidenti incominciano alle sette e mezzo del mattino, ed incominciano attraverso una carica violenta della «Celere» contro un gruppo di quindici popolani, rei di attraversare la piazza San Marco con dei cartelli su cui era scritto: «Abbasso il Governo che aumenta il prezzo del pane». (Commenti al centro). È un delitto scrivere su di un cartello che il Governo fa male ad aumentare il prezzo del pane? È un’offesa alla democrazia portare un cartello in cui si dice che il prezzo del pane deve essere mantenuto nei giusti limiti? (Interruzioni al centro).

È da quel momento che gli incidenti cominciano e si sviluppano nel corso della mattinata; si sviluppano quando alla testa del corteo dei democristiani, che provenivano dalla stazione, marciavano due monarchici, notoriamente conosciuti, con cartelli inneggianti alla monarchia, e si sono iniziati e sviluppati proprio quando la «Celere» ha cominciato a lanciare bombe lacrimogene, perché questi sistemi ottengono sempre l’effetto contrario. (Interruzioni – Commenti al centro).

La «Celere», dicevo, ha generato i più gravi incidenti, incidenti che sono essi stessi significativi nelle conseguenze che ebbero per definire il carattere della manifestazione popolare.

Un solo giovane democristiano è tra i contusi; gli altri appartengono alla parte che manifestava contro; un solo giovane c’è ed è stato contuso dalla «Celere», perché cercava di assalire quel gruppo di 23 arrestati che la «Celere» portava in guardina. Si è parlato anche di mazze ferrate, ma non si è trattato di mazze ferrate, perché non è avvenuto nessun sequestro di armi del genere, tanto è vero che il Questore di Venezia, interpellato dall’onorevole Ravagnan, non è stato in grado, sino a questo momento, di portare nessuna prova concreta circa l’esistenza di queste mazze ferrate. Quindi questa è una menzogna! (Commenti – Proteste al centro).

Bisogna dire brevemente qualche altra cosa per caratterizzare il clima nel quale incubarono e si svolsero i fatti di Venezia; non dovrebbe essere un mistero per il Governo la grave situazione in cui si trova il Veneto dal punto di vista dell’ordine pubblico; dovrebbero essere a conoscenza del Governo i dolorosi incidenti di Udine del 1° giugno 1947, il giorno che doveva essere consacrato all’eroismo del Movimento partigiano; perché il Friuli è in maggioranza garibaldino.

GEUNA. Non è vero!

PELLEGRINI. Sono venuti alcuni dirigenti locali della Democrazia cristiana a Udine in quell’occasione, e sono venuti anche alcune centinaia di fascisti, i quali si diedero alla caccia spicciola dei partigiani garibaldini.

GEUNA. Non è vero!

PELLEGRINI. È vero, perché ero presente anche io. I partigiani garibaldini furono assaliti da questi scatenati, e nessuno può mettere in dubbio questa mia affermazione. Non è un mistero per vari colleghi della provincia di Venezia, che le masse popolari della provincia di Venezia, nel Sandonatese e in altre località, sono aggredite la sera da democristiani che, nella realtà, sono fascisti. (Vivaci proteste al centro). Sì, dànno la caccia ai comunisti! (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Pellegrini! Stia all’argomento, la prego!

CALATI. C’erano anche loro che fischiavano a Venezia! (Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Non ripetiamo un episodio del genere di quello di Venezia!

PELLEGRINI. E l’onorevole Mentasti, in un settimanale che fu già di proprietà del conte Volpi di Misurata, la settimana che ha preceduto la venuta dell’onorevole De Gasperi, ha scritto con la penna del suo direttore – che non può dimenticare di essere un gazzettiere del fascismo – degli articoli permeati di basso spirito anticomunista. (Vive proteste al centro).

Una voce al centro. Questo è un comizio!

CAIATI. Non dovrebbe parlare! Stava fischiando anche lui a Venezia! (Rumori a sinistra – Proteste al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio! Onorevole Pellegrini, la prego nuovamente di tenersi all’argomento!

PELLEGRINI. Ed è caratteristico, dal punto di vista dello spirito e dell’orientamento che hanno preparato la giornata del 29 giugno a Venezia, descrivere le canzoni dei democristiani. (Vive proteste al centro).

MICCOLIS. Ora parlerà anche di Cremona! (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Pellegrini, la prego di restare all’argomento della sua interrogazione!

Le faccio osservare; che è già trascorso il tempo a sua disposizione.

PELLEGRINI. È per queste ragioni che, a nome dei lavoratori di Venezia, devo dichiararmi non sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Mentasti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MENTASTI. Poiché ho la parola, desidera replicare, anche a nome degli amici deputati democristiani di Venezia, all’interrogante onorevole Pellegrini, poiché…

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, lei ha la parola per replicare all’onorevole Sottosegretario.

MENTASTI. …immaginavo di dover ricondurre i dati di fatto alla loro veridicità: ecco quello che tenterò di fare, dopo la distorsione avversaria.

In primo luogo, il fatto provocatorio è esistito dal primo momento in cui si è saputo che l’onorevole De Gasperi sarebbe venuto a Venezia. Dal primo momento la voce per Venezia era corsa che i signori comunisti e i signori socialisti fusionisti… (Rumori al centro).

Una voce a sinistra. Signore è lei. (Rumori a sinistra).

MENTASTI. Dai mezzi che dimostrate di possedere, non si può che chiamarvi signori.

Mazzi di manifesti, auto… (Rumori a sinistra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

MENTASTI. Devo dunque dire che i fatti si sono svolti in questa precisa guisa: i socialcomunisti, fino dal primo momento, hanno cercato di fare in modo che la manifestazione degenerasse nella gazzarra che poi si è manifestata. Noi abbiamo cercato di fare invece precisamente il contrario. Noi abbiamo saputo dell’iniziativa del prefetto, il quale aveva invitato nel suo ufficio i Partiti di estrema, perché il prefetto sapeva di questa loro intenzione di fare in modo che il Presidente del Consiglio non potesse parlare. (Rumori a sinistra). Non poteva, il prefetto, invitare i democristiani per pregarli di non fischiare il loro capo.

Era venuta fuori anche una loro giustificazione che avevano cercato di far circolare per la città: si sarebbero agitati nei confronti dell’onorevole De Gasperi, unicamente perché egli era il rappresentante della reazione.

RUSSO PEREZ. In agguato!

MENTASTI. Ora, egregi signori, e dai mezzi che avete a disposizione, posso ben chiamarvi tali… (Proteste – Rumori a sinistra – Ilarità al centro e a destra).

Continuando debbo dire che la riprova del fatto che anche i capi di quei due movimenti sono corresponsabili della gazzarra è data dal fatto che essi, nella riunione in Prefettura, hanno detto: Egregio signor prefetto, noi prendiamo nota di queste sue buone intenzioni; ma come mai lei viene a dirci che in regime di democrazia non si può fischiare, non si può assembrare gente perché una manifestazione avversaria non possa riuscire?

PELLEGRINI. Non è vero!

MENTASTI. Quando avrò finito di parlare, allora venitemi a dire che ho mentito ed io vi risponderò come sarà necessario.

PELLEGRINI. Perché non viene a Venezia? (Rumori).

MENTASTI. Sempre, quando e dove volete; e se questa è una minaccia, essa non può se non ritorcersi contro di voi. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

Chi vi parla in questo momento ha avuto numerosi contradittori, durante il periodo elettorale: non li ha temuti e non li teme nemmeno ora.

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, svolga l’argomento, la prego.

MENTASTI. L’argomento è che questi signori non vogliono la tranquillità del Paese. (Rumori a sinistra – Applausi al centro e a destra).

Resta, comunque, dimostrato che questi signori volevano effettivamente la gazzarra e l’hanno condotta nella maniera che ha detto l’onorevole Marazza. È vero che al mattino prestissimo – alle quattro e mezzo – hanno incominciato a far affluire la gente per disturbare; è vero che, in effetti, nella piazza San Marco c’erano quattro o cinquecento fischiatori, che fischiavano con fischietti metallici, assordando quindi tutti e impedendo completamente l’audizione del discorso del Presidente del Consiglio a vasta parte dell’uditorio. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Una voce al centro. Questa è democrazia! (Commenti a sinistra).

MENTASTI. La realtà, purtroppo, è questa. Non è per questo che durante tutto il periodo clandestino siamo stati insieme a combattere, a rischiare, come abbiamo rischiato; non è per questo! È per veder rinascere la libertà nel Paese che noi abbiamo combattuto insieme. (Commenti a sinistra). E allora, permettete almeno che io possa continuare. Vorrei domandare a voi, egregi signori, se, per esempio, invece di essere il Presidente De Gasperi, amato da tutto quanto il Veneto, riconosciuto come un grande galantuomo (Applausi al centro), perché egli ha sempre dato l’esempio di correttezza, di onestà e di coraggio; vorrei vedere se invece di quel Presidente ne fosse venuto un altro, per esempio un Presidente di una delle grandi Repubbliche russe, voi che cosa avreste fatto? (Commenti – Interruzioni a sinistra). Avreste permesso che anche un solo interruttore…

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, stia all’argomento della sua interrogazione!

MENTASTI. Sono in argomento. Perché, quando non si permette di parlare nella città civilissima di Venezia, nella città che ospita in questo momento forestieri di tutto il mondo, che vengono di nuovo a godere del nostro sole e delle nostre bellezze d’arte, ed allora la città diventa internazionale, ho bene il diritto di dire che se fosse venuto il loro capo ideale, nemmeno uno dei disturbatori si sarebbe salvato, e meglio, nessuno dei disturbatori avrebbe mai pensato di adoperare i fischietti e di far venire la gente alle quattro e mezzo del mattino per fischiare il Presidente del Consiglio. Queste sono verità; e noi abbiamo diritto di ritenere che voi non volete usare il sistema democratico. Fate a meno di chiamarlo progressivo. Tutte le volte che voi aggiungete un aggettivo a questa determinata, santa parola «democrazia», voi ne cambiate i connotati, e con i vostri fatti smentite… (Commenti e proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego!

TONELLO. Quando potete, voi fate lo stesso! (Proteste al centro).

MENTASTI. Quello che mi permetterà il Presidente credo sarà ancora di rispondere…

PRESIDENTE. Le ho permesso di dire tutto quello che lei ha voluto. Ne prenda atto.

MENTASTI. A lei sì, gliene do atto. Volevo dire ancora questo. Si è parlato del nostro sistema di condurre le cose e si è fatto cenno anche ad un giornale di Venezia, il Gazzettino. (Interruzione dell’onorevole Tonello – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Per favore facciano silenzio! Onorevole Mentasti, prosegua.

MENTASTI. È vero, dunque, che il Gazzettino ha compiuto e compie tuttora un gesto che gradirei fosse sempre ricordato e soprattutto applicato, le quante volte ne avessimo altrettanto bisogno, dai signori comunisti. Per esempio, la Società editrice San Marco stampa nella sua tipografia il giornale comunista. Nonostante le vere ed effettive difficoltà e nonostante che da ultimo siano state portate via dagli americani delle loro «linotypes», la Società continua a stampare il giornale comunista, il quale ogni giorno, a nostro avviso, altera la realtà e la verità, infanga tutto quello che è sacro per noi. (Commenti e interruzioni a sinistra). Alcuni amici sono venuti a chiederci: Ma non dobbiamo avere un poco di resipiscenza, non dobbiamo tentare di far sì che non avvengano cose di questo genere (cose di questo genere a Venezia in fondo non si sono mai viste, non si sono mai viste offese così gravi alla verità e alla libertà); non si deve impedire tutto questo?

Nemmeno per sogno, ho risposto; noi abbiamo un dovere, che è questo: dimostrare coi fatti la nostra democrazia. Che dicano quel che vogliono dire. Risponderemo quello che crederemo di rispondere.

Ed io mi riporto a questo significato effettivo della democrazia per dire a voi, socialcomunisti: Non è con questi sistemi che si può riparare all’eventuale errore di essere andati fuori dal Governo! (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego di stare all’argomento! Non siamo in sede di discussione sulle comunicazioni del Governo.

MENTASTI. Il nostro pensiero preciso è questo: Il Paese ha bisogno di tranquillità per potersi rimettere a posto, ha bisogno effettivo di risolvere i suoi problemi concreti che vanno dall’alimentazione a tutte le cose veramente concrete. Questi sono i problemi che bisogna portare avanti, e per portarli avanti il Paese ha bisogno di calma e del concorso di tutti, tutti, qui, soprattutto all’interno, per non continuare agitazioni permanenti, che fan perdere ore ed ore alle fabbriche, alle macchine che ci sono restate, e soprattutto le paghe agli operai. (Commenti e interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego per l’ultima volta di stare all’argomento!

MENTASTI. E per arrivare a questo, secondo noi, è indispensabile che vi sia realmente quella concordia che c’è stata finora nei partiti repubblicani, e questa non può essere cementata di nuovo se non dalla lealtà, dalla sincerità, e non dai doppi giuochi e dalle facinorose parole! (Applausi al centro – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Tonetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TONETTI. Non posso limitarmi a dichiarare con la formula sacramentale di non essere sodisfatto della risposta del Ministro degli interni, ma deploro energicamente che nella sua versione degli incidenti di Venezia si senta l’eco della vergognosa speculazione politica (Interruzioni al centro) che è stata organizzata falsando i fatti ed imbastendo un inammissibile processo alle intenzioni per capovolgere la situazione. (Commenti al centro).

La verità deve essere stabilita in base ai fatti. (Commenti). Primo: si è detto ed è stato anche scritto che si trattava di un convegno al quale potevano partecipare i tesserati della democrazia cristiana, e precisamente convegno della gioventù cattolica. Non è mai avvenuto che alcun partito politico si sia servito delle strade e delle piazze pubbliche per riunioni interne di partito. (Interruzioni al centro). Nelle piazze pubbliche si tengono comizi politici, ai quali tutta la popolazione può partecipare.

Una voce al centro. Sono solo i comunisti i padroni delle strade!

MENTASTI. Ci vuole una bella disinvoltura!

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, lei ha parlato per dieci minuti; lasci parlare il suo collega.

TONETTI. Secondo: la popolazione di Venezia è stata invitata con vistosi e numerosi manifesti che annunciavano l’ora precisa in cui l’onorevole De Gasperi avrebbe parlato in Piazza San Marco. Quando la popolazione è andata in piazza le si è inibito l’ingresso, (Rumori – Interruzioni) mediante eccezionali, ridicole e provocatorie misure di ordine pubblico affidate ad alcune centinaia di agenti, in assetto di guerra con gli elmetti (Rumori), una parte dei quali (e precisamente la «Celere) era stata fatta venire da Padova.

Le migliaia di persone che erano in Piazza San Marco possono testimoniare ciò. Terzo: nessun atto di violenza è stato iniziato da parte della popolazione contro gli agenti di pubblica sicurezza…

Una voce al centro. Dalla popolazione no, ma dagli attivisti!

TONETTI. E non si è tentato di rompere i cordoni. Ciò malgrado, ad un certo momento, indubbiamente secondo un piano preordinato (Commenti), gli agenti di pubblica sicurezza, con sfollagente e poco dopo con bombe lacrimogene, hanno caricato la folla che si limitava a manifestare con fischi il suo dissenso e la sua indignazione…

Una voce al centro. Per che cosa?

TONETTI. …per l’inusitato e provocatorio spiegamento di forze armate. (Interruzioni dell’onorevole Ponti).

Gli incidenti e le colluttazioni successive sono state la naturale conseguenza e la logica reazione della popolazione alle violenze che la forza pubblica aveva avuto ordine di esercitare contro i pacifici cittadini. (Interruzioni – Rumori al centro).

A scopo di riversare le responsabilità degli incidenti sui partiti di sinistra, si è anche detto che casi di intolleranza e di violenza si sarebbero verificati anche se non ci fosse stato lo spiegamento arbitrario è grottesco delle forze armate. Nulla di più falso e di più assurdo: falso il giudizio, assurdo il processo alle intenzioni, che sono, del resto, smentiti dal fatto che un rappresentante del partito comunista ed un rappresentante del partito socialista avevano chiesto il contradittorio all’onorevole De Gasperi (Interruzioni – Rumori al centro), ciò che presupponeva un ordinato dibattito. I fatti, nella loro successione cronologica noti a migliaia e migliaia di persone che si trovavano in Piazza San Marco, non possono essere mutati da cavilli gesuitici. Ed i fatti dimostrano che un membro di un partito qualunque, nella fattispecie l’onorevole De Gasperi, in occasione di un suo comizio, avvalendosi del fatto che è Presidente del Consiglio, ha messo al suo servizio personale ed al servizio del suo partito le Forze armate di polizia le quali non possono avere altro compito che quello di garantire la libertà di tutti… (Rumori al centro).

MENTASTI. Sfruttatela, che vi è riuscita la montatura.

TONETTI. …che non hanno altro compito che quello di garantire imparzialmente a tutti i cittadini di qualunque fede politica o religiosa, il rispetto e la tutela delle leggi vigenti. Perciò, io accuso il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno di avere violato le leggi della democrazia, per avere impedito a liberi cittadini di accedere ad un comizio e di manifestare i loro sentimenti. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Bonomi Paolo).

È stato impedito ai liberi cittadini di accedere a un comizio e di manifestare i loro sentimenti di approvazione o di disapprovazione. Poco importa. Accuso il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno di abuso di autorità per avere ordinato alla forza pubblica di esercitare violenze contro i cittadini, violando così le libertà democratiche di pensiero, di parola e di opinione.

Ravviso nella condotta del Signor Presidente del Consiglio una pericolosa tendenza ad identificare la sua persona e il suo partito con lo Stato. (Applausi a sinistra – Interruzioni al centro).

Protesto energicamente contro gli arresti indiscriminati ed arbitrari effettuati il giorno successivo al comizio. Fra gli altri è stato arrestato un cittadino che, conforme alle numerose testimonianze scritte che abbiamo, è venuto in Piazza San Marco alle 12,30, quando era finito il comizio. Quei cittadini sono tuttora in carcere a disposizione, si dice, del comandante della «Celere» di Padova, signor Brighenti, il quale ha dato spettacolo del suo alto senso del dovere inerente ad un funzionario di Pubblica sicurezza urlando in Piazza San Marco e poi in Questura: «Questi comunisti voglio sbudellarli tutti!». (Interruzioni al centro).

Probabilmente quel fascistoide farebbe carriera, se questo Governo durasse. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

PRESIDENTE. La prego di concludere.

TONETTI. Ho finito. È certo che con questi sistemi di violenza e di sopraffazione (Interruzioni al centro) che assumono forme diverse dalla Sicilia all’Alta Italia… (Interruzione dell’onorevole Bonomi Paolo).

TEGA. Bonomi fascista, Bonomi fascista!

TONETTI. …e che il Governo sembra tollerare, si fomenta la guerra civile (Rumori al centro) con la conseguente estrema e completa rovina della Nazione. Questa è la verità. Il resto è ignobile speculazione politica. (Applausi a sinistra – Commenti.

Una voce al centro. Bravo, signor conte!

VERNOCCHI. È stato sempre antifascista. Vorrei sapere da quanti anni lo è l’interruttore.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di replicare.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. Non entro, evidentemente, nella polemica. Vi sono state però delle affermazioni di fatto che non posso lasciare senza rettifica.

Anzitutto debbo protestare per l’accusa di speculazione politica che si è voluto rivolgere al Ministro dell’interno. Il Ministro dell’interno ha tardato deliberatamente a rispondere a questa interrogazione, perché ha voluto assumere le informazioni più dettagliate e più spassionate, perché ha voluto, nella propria coscienza di cittadino e di Ministro, essere sicuro che quello che avrebbe detto all’Assemblea sarebbe stata la verità e soltanto la verità. (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra). E di questa verità, che io, personalmente, ho voluto accertare, senza risparmiare comunicazioni, conversazioni ed inchieste, mi rendo personalmente garante (Approvazioni al centro – Interruzioni degli onorevoli Roveda e Musolino – Commenti – Rumori).

Una voce a sinistra. Con chi ha parlato?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ho parlato con persone ed autorità.

Una voce a sinistra. Col questore?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non ho trascurato di controllare io stesso le relazioni dettagliate e documentate pervenutemi dalla polizia e dalla prefettura e da altre autorità locali interpellate, non escluse alcune a voi molto più amiche di quello che forse si ritiene lo siano a noi.

Non voglio fare polemiche; voglio rispondere soltanto ad alcune affermazioni particolarmente ingiuste. Voglio dire che la polizia, la quale è accusata di aver colpito ingiustamente, ha avuto 30 dei suoi agenti, 3 dei suoi ufficiali e 7 dei suoi carabinieri feriti; e questi agenti, ufficiali e carabinieri certamente non sono stati feriti che da coloro i quali li hanno aggrediti. (Applausi al centro).

Si è detto che si è fatto il processo alle intenzioni.

Una voce. Certo, certo!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ho letto una circolare; è un documento. (Interruzioni – Rumori prolungati a sinistra). Quelle sono le intenzioni. E se io non avessi conosciuta la circolare, basterebbero i cartelloni, coi quali si marciava nella piazza; basterebbero i bastoni ferrati, di cui vi siete serviti. (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Li ho visti io. (Interruzioni a sinistra).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Si trattava, non già di mazze ferrate del tipo che abbiamo conosciuto nell’altra guerra – per carità! – si trattava di paletti di segnalazioni stradali; ciò non toglie che fossero dei bastoni ferrati. Non si capisce perché questi pacifici cittadini si recassero alla dimostrazione, portando dei paletti di segnalazione. (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Devo anche chiarire, a chi forse ha voluto deliberatamente tacerlo, che non era vero che alla piazza non si potesse accedere. Soltanto una parte della piazza era stata protetta.

D’ONOFRIO. Era la vostra? (Commenti – Rumori).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non era la nostra, come non era la vostra!

FEDELI ARMANDO. Caccia riservata, dunque!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Noi in quel momento non eravamo né di qua, né di là. Volevamo vigilare ed impedire i conflitti. Questa è la verità, (Rumori a sinistra), ma voi, mentre parlate di protezione data all’onorevole De Gasperi, dimostrate d’ignorare la protezione che abbiamo organizzato per l’onorevole Togliatti ieri, quando doveva parlare a Torino. (Rumori prolungati – Interruzioni a sinistra). Amici, anche nel calore delle mie parole, non dovete riscontrare nulla di meno che sereno. Io difendo onestamente, sinceramente e lealmente, da questo banco, quello che so essere stato un proposito onesto e sincero del Ministero dell’interno. Dovete darmene atto. Voi dovete sapere che, come si difendono uomini di una parte, con lo stesso coraggio e con la stessa sincerità, si difendono o si vogliono difendere uomini di tutte le parti.

Onorevoli colleghi, io voglio concludere rettificando un altro dato che avete portato all’Assemblea. Avete detto che sono stati arrestati non so quanti dei dimostranti, ma debbo dirvi che i trattenuti sono solamente quattro e che essi sono stati denunciati all’Autorità giudiziaria e che il giudizio è imminente, ed io mi auguro che essi potranno dimostrare la loro innocenza; ma non posso accedere alla dichiarazione fatta dall’onorevole Tonetti, cioè che l’alibi di uno degli arrestati sarebbe agli atti. Se fosse agli atti, mi sentirei di rispondere che quell’individuo non sarebbe più in carcere. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli D’Onofrio, Minio, Gallico Spano Nadia, al Ministro dell’interno, «per sapere come sia possibile e tollerabile che in Italia nel mese di giugno 1947, a due anni dalla liberazione, possa avvenire che si tragga in arresto un cittadino, professore di università e commissario di un grande ente previdenziale, in base a un ordine emanato nel febbraio 1944 dal famigerato Caruso, ordine motivato dall’attività antifascista dell’arrestato; e se non ritenga assolutamente necessario che tanta audacia o tanta inettitudine di funzionari di polizia riceva immediata e severa sanzione, ad ammonimento di ogni altro che avesse vaghezza di seguirne l’esempio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole interrogante mi vorrà scusare se nel rispondere alla sua interrogazione forse non userò il calore che ho usato nelle interrogazioni precedenti. L’incidente che forma oggetto dell’interrogazione, sebbene dovuto ad un errore materiale, è altamente increscioso e deplorevole. E non esito a dichiararlo, anche perché precise disposizioni il Ministero aveva da gran tempo dato in ordine alle segnalazioni di polizia del periodo repubblichino. È in corso un rigoroso accertamento delle responsabilità per i provvedimenti che immancabilmente seguiranno.

Devo tuttavia chiarire che non si tratta di arresto, ma di un semplice invito a presentarsi in ufficio per dare informazioni e che tale invito venne, disgraziatamente, determinato dal concorso fortuito di un’altra malaugurata circostanza. Comunque, lo stesso interessato ebbe ad esprimere ai funzionari di polizia, che pur lo avevano disturbato e lo avevano interrogato, il proprio ringraziamento per il trattamento usatogli, appena chiarito l’errore.

PRESIDENTE. L’onorevole D’Onofrio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

D’ONOFRIO. Prendo atto delle informazioni date dall’onorevole Sottosegretario di Stato. E prendo atto anche dell’impegno assunto dal Ministero dell’interno di appurare le responsabilità del fatto da me denunciato. Devo tuttavia sottolineare che non è vero che si è trattato soltanto di un invito, ma di un vero e proprio fermo. Successivamente al primo invito di recarsi in Questura, due agenti sono tornati dal professore Crisafulli e lo hanno invitato perentoriamente a recarsi in Questura. Qui, gli è stato spiegato che il suo fermo derivava da una circolare-fonogramma del febbraio 1944, emessa da Caruso, appunto perché il professore Crisafulli era ricercato per la sua attività clandestina.

Devo dire che il professore Crisafulli a quel tempo era redattore dell’Avanti! clandestino. Vorrei pregare l’onorevole Sottosegretario di tener presente che il caso in questione non è il solo. Chi parla, per esempio, è stato arrestato a Palermo nel gennaio del 1945, su un mandato di cattura emesso nel 1936, e, pur essendo Consultore nazionale, risultò essere sottoposto, per lo meno presso il giudice di vigilanza, a libertà vigilata. Altri casi lamentati stanno a dimostrare che non si tratta soltanto e sempre di sbagli materiali, di archivi ancora non rinnovati, perché questi fatti sono troppo frequenti, e accadono sempre ad elementi, vedi caso, dei Partiti di sinistra. Vorrei che questi casi non fossero dovuti ad una particolare mentalità, ad una particolare psicologia che si crea allorché nei giornali, nelle piazze e con i discorsi ed articoli si parla del trionfo della reazione. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Mazza, al Ministro della marina mercantile, «per conoscere come si intenda venire incontro alle giuste necessità dei marittimi disoccupati, spesso domiciliati in centri marittimi di piccola entità, nei quali rappresentano un’altissima percentuale della popolazione valida con la creazione di tragiche situazioni locali (Torre del Greco, Camogli, Vico Equense, ecc.). Si domanda altresì l’istituzione di un turno nazionale di imbarco per la perequazione di particolari situazioni di privilegio per il Nord e di disagio per il Sud e la concessione di un sussidio continuativo e sodisfacente ai marittimi disoccupati, data la loro impossibilità di procacciarsi lavoro per il blocco dei licenziamenti, la condizione delle industrie e la loro unica attitudine ai lavori marittimi».

Il Ministro della marina mercantile, onorevole Cappa, ha fatto sapere che darà una risposta a questa interrogazione in una successiva seduta, essendosi dovuto assentare.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Corbi, al Ministro dell’interno, «per conoscere i motivi che lo hanno indotto ad ordinare l’immediata revoca del decreto n. 13911 del 30 aprile 1947 del prefetto di Aquila, con il quale, d’accordo con la Camera confederale del lavoro, venivano disciplinati, per il territorio della provincia, l’assunzione del personale e l’impiego della mano d’opera disoccupata mediante turni di lavoro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Con decisione del 28 marzo 1947, il Consiglio di Stato, pronunciandosi sulla impugnativa di legittimità di un decreto prefettizio disciplinante il collocamento della mano d’opera ai sensi dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale, ne disponeva la sospensione. Il Ministero dell’interno, con questo precedente, ha naturalmente disposto a sua volta la sospensione degli altri provvedimenti presi a norma della stessa disposizione di legge, di memoria abbastanza infamata per poterla qui rivendicare, e comunque giustificata soltanto in caso di particolare urgenza. Le disposizioni furono, ad ogni modo, di carattere generale e intese ad evitare le conseguenze di eventuali immancabili e ulteriori declaratorie di nullità.

Fu preferito, per questo motivo, che i prefetti revocassero direttamente i provvedimenti già emessi, raccomandando loro però vivamente che si agisse in questo campo, per la realizzazione delle stesse finalità perseguite dai decreti, con un’opera attiva e diligente, intesa a favorire accordi diretti fra le categorie.

Il Ministero dell’interno è inoltre intervenuto da tempo presso quello del lavoro per disciplinare legislativamente questa materia. Il problema, che è rimasto lungamente insoluto, è stato ripreso dal Ministro attuale con particolare interessamento, e posso assicurare l’onorevole interrogante che si crede di avere, entro breve tempo, disposizioni legislative in merito, tali che possano pienamente sodisfare alle esigenze prospettate dalla sua interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CORBI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le preziose informazioni date. Ma mi permetto osservare che l’ordine di revoca, pervenuto al Prefetto di Aquila, è forse il solo che si possa citare per la materia e mi consta che numerosissimi decreti analoghi – per necessità di cose emessi in altre provincie d’Italia – a Torino, Milano e in altre città settentrionali, dove le organizzazioni sindacali sono più forti, non sono stati revocati o, quando lo sono stati, lo sono stati dopo aver consultato le organizzazioni sindacali e dopo aver dato un avvio sicuro o una risoluzione definitiva al grave problema della disoccupazione.

Da un anno tutte le organizzazioni sindacali della provincia facevano pressioni presso la Camera confederale del lavoro, perché il prefetto ponesse fine ad un sistema, che non solo offendeva la dignità dei lavoratori stessi, ma si prestava ad attività poco oneste e non tollerabili. I datori di lavoro non volevano riconoscere i sindacati, non volevano – a volte – riconoscere la funzione degli uffici del lavoro e pretendevano fare assunzioni dirette, con due scopi; prima di tutto perché così potevano più facilmente eludere le tariffe salariali e in secondo luogo perché trovavano una maniera acconcia ed efficace per umiliare le associazioni sindacali stesse e rompere l’unità dei lavoratori.

Un altro motivo che spingeva i lavoratori a richiedere l’emanazione di questo decreto stava nel fatto che i funzionari dell’ufficio del lavoro, non tutti – è vero – ma molti funzionari dell’ufficio del lavoro erano divenuti arbitri in materia di lavoro e procedevano mossi da criteri di parte e spesso anche spinti da tornaconto personale; sì che questi abusi, ormai divenuti abituali, avevano portato i lavoratori di Avezzano e di Sulmona ad invadere gli uffici del lavoro, a portare tutti i registri al Commissario di pubblica sicurezza e a chiedere l’intervento del Prefetto.

E si ebbero dimostrazioni contro gli uffici del lavoro, contro ingerenze che si esercitavano da parte di gente che non aveva nessuna qualifica specifica. Non si sa, ad esempio, a quale titolo il parroco Don Agostino del Sacro Cuore sia, praticamente, il collocatore di Avezzano. Fatto si è che in provincia di Aquila si lavorava o no, secondo che si era inscritti alla Camera del lavoro, secondo che si era o no iscritti al Partito socialista o comunista o a qualche altro partito che fosse o non fosse nelle simpatie di alcuni dirigenti locali e provinciali.

Inoltre, questo provvedimento era giustificato al fatto che l’eccessiva disoccupazione consigliava di avvicendare gli operai nei cantieri; e sono stati gli stessi operai a richiedere i turni di lavoro. Questo decreto poneva fine ad un urto grave che accadeva fra paese e paese; si dava un avvio ordinato alla mano d’opera, e la comprensione delle masse lavoratrici lasciava sperare che tante difficoltà sarebbero state risolte.

Se non che, ad un certo determinato momento, giunge fulmineo l’ordine Scelba, senza che si sia prima voluto sentire e conoscere la situazione del posto, perché è certo che, se il Prefetto di Aquila ha preso un provvedimento del genere, l’ha preso dopo lunghissimi mesi di trattative e pressioni; e certo non l’ha preso per leggerezza, ma perché consigliato dalla sua esperienza e dal suo contatto continuo con le necessità che esistono nella nostra provincia. Invece, il Ministro, di punto in bianco, applica una disposizione di alcuni mesi prima, ordina la revoca immediata del decreto in un momento in cui la disoccupazione minaccia di aggravarsi, perché la deficienza del ferro e di altre materie prime non consente di utilizzare gli stanziamenti già predisposti. Così si creano i malcontenti, così si accrescono gli urti.

DI VITTORIO. Ed è così che si crea il disordine per iniziativa del Ministero dell’interno.

CORBI. Io non credo che sia interesse del Ministro dell’interno riaprire una questione così incresciosa; non credo che sia nell’interesse della tranquillità e dell’ordine pubblico agire con tanta leggerezza, quando si tratta di affrontare un problema del genere; mentre invece si rinviano tante disposizioni che veramente avrebbero carattere di urgenza.

Alla revoca di questo decreto erano interessati i datori di lavoro e i dirigenti di qualche partito. Ebbene, io credo, per queste considerazioni, che la risposta fornitami dall’onorevole Sottosegretario non possa sodisfare; essa può soltanto sodisfare i datori di lavoro, può sodisfare gente poco onesta – e ci tengo a ripeterlo ed a sottolinearlo – può sodisfare i funzionari dell’ufficio del lavoro; ma non può sodisfare i lavoratori e i disoccupati della provincia dell’Aquila. Per questo non può sodisfare neppure l’interrogante. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Bubbio, al Ministro delle finanze e del tesoro, «per conoscere quale sia stato nell’ultimo decennio il numero delle vedove munite di pensione civile o militare che siano passate a nuove nozze, con conseguente perdita della pensione, ed in quale proporzione al totale; se, in relazione allo scarso numero delle vedove rimaritate ed alla sussistenza di un crescente numero di convivenze more uxorio, non si ravvisi la opportunità morale e sociale di abolire la norma relativa alla perdita della pensione in caso di nuove nozze, o quanto meno di conservare l’assegno per almeno la metà, essendo assolutamente inadeguata ed inoperante nel caso delle vedove di guerra la concessione di tre sole annualità».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Guerrieri Emanuele, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere le ragioni per le quali in Sicilia, ai contadini della provincia di Ragusa, recatisi secondo un’antichissima consuetudine nell’interno dell’isola per esercitarvi, con durissimi sacrifici, la spigolatura, viene fatto obbligo di ammassare il grano raccolto, contrariamente a quanto negli anni passati si è sempre fatto. L’interrogante chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per impedire il fatto lamentato, che suscita vivo malcontento fra gli spigolatori, altera il loro tradizionale approvvigionamento e li porta ad abbandonare una attività che, mentre costituisce una delle principali loro risorse, è stata sempre oltremodo benefica, conseguendosi per essa il recupero di cospicui quantitativi di grano, che altrimenti andrebbero perduti».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Sono così esaurite le interrogazioni all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non creda di comunicare i risultati dell’inchiesta eseguita a carico degli uffici del Genio civile di Cagliari, relativa all’abusiva assegnazione di alloggi ricostruiti; per conoscere, altresì, se e quali adeguati provvedimenti sono stati adottati a carico dei funzionari responsabili e come sia stata possibile la lunga e larga frode senza che gli organi dirigenti e centrali intervenissero.

«Corsi».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali – nonostante le insistenti preghiere e gli impegni assunti dai vari Ministeri – non ancora si è provveduto:

  1. a) ad appaltare l’acquedotto di Agerola;
  2. b) a completare il finanziamento dell’acquedotto della penisola Sorrentina, in modo da poterne accelerare l’esecuzione;
  3. c) a completare il finanziamento dell’acquedotto del Nolano e a dare inizio ai lavori.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per i comuni turistici della provincia di Napoli, per la esecuzione delle opere indispensabili.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dell’industria e commercio, per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio per la soluzione dei problemi connessi con la crisi dell’energia elettrica nell’Alta Italia e se non ravvisi l’opportunità della costituzione di un commissariato permanente per l’Alta Italia, con sede in Milano, che abbia autorità e mezzi e possa applicare sanzioni per imporre e ottenere la disciplina della revisione della produzione e il consumo, il cui maggiore e più importante compito dovrebbe essere la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia fra le società distributrici, e con l’urgenza reclamata dal fine di permettere alle industrie, di prepararsi alla nuova disciplina dell’uso dell’energia elettrica, talché queste possano preparare trasformazione di impianti termoelettrici in impianti a combustibile e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino, perché non si ripeta nel prossimo inverno il danno incalcolabile causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nella fornitura di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno imposto, altresì, alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro.

«Bulloni».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a queste interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. Sta bene.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Presentai nel maggio scorso un’interrogazione con carattere d’urgenza relativa all’arresto di un sindaco. Pregherei il Sottosegretario di Stato per l’interno di volermi dire quando potrà rispondermi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Comunicherò in una delle prossime sedute quando il Governo potrà rispondere.

VERNOCCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERNOCCHI. Il 1° luglio presentai una interrogazione al Ministro dell’interno riguardante l’inchiesta condotta sull’amministrazione dell’ospedale di Perugia. Desidererei che fosse posta all’ordine del giorno della prossima seduta di lunedì.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non ho niente in contrario. Desidererei, però, prendere conoscenza dell’interrogazione. Alla prossima seduta dichiarerò anche per questa interrogazione, quando potrò rispondere.

PRESIDENTE. Poiché domani si riunisce la Commissione dei Trattati, su richiesta dei membri della Commissione stessa, non terremo seduta al mattino, ma soltanto nel pomeriggio alle ore 17, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se e quali provvedimenti intendano adottare a favore delle popolazioni agricole piemontesi per i danni da queste subiti a causa delle recenti grandinate che in talune zone, particolarmente colpite, hanno distrutto sino all’80 per cento del raccolto, come in alcuni comuni dell’Agro Alessandrino e in quello di Leinì (provincia di Torino).

«De Michelis, Giua».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se ha esaminato, e in tal caso come intende risolvere, il problema di fronte al quale si trovano le Amministrazioni comunali nella applicazione dell’imposta di famiglia.

«Le Amministrazioni stesse, infatti, pure avendo a disposizione tutti i mezzi per procedere ad accertamenti dei redditi molto vicini alla realtà e, per fare ciò nell’interesse delle finanze comunali, sono indotte invece ad accertare i redditi stessi in cifre notevolmente inferiori alla realtà per evitare che degli accertamenti stessi, ove esatti, si serva poi il fisco applicando agli stessi le aliquote erariali, che, sproporzionatamente elevate, determinerebbero una tassazione assolutamente insostenibile per i contribuenti.

«Tale stato di cose si risolve, d’altra parte, non soltanto in un danno per le finanze locali, ma anche per quelle dello Stato che attraverso la integrazione dei bilanci è costretto ad esborsi sempre maggiori.

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere:

1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna;

2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a far cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate;

3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge 11 luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere;

  1. a) i motivi per i quali agli agenti sottoposti a giudizi di epurazione e riammessi in servizio per sopraggiunta revoca delle punizioni ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 136, non sia stata ancora comunicata la regolarizzazione al grado VII, necessaria per porre in condizione i richiedenti di concorrere alla promozione al grado VI;
  2. b) le ragioni del diverso trattamento, a differenza di altre Amministrazioni statali (tesoro, finanze, lavori pubblici, ecc.), usato nei confronti del personale rientrato in servizio anche prima del novembre 1945, dopo esaurito il procedimento di epurazione, non concedendo gli assegni e premi speciali (pasquali, congiuntura, ecc.) già corrisposti a tutti gli epurati in identiche condizioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:

1°) perché siano tuttora mantenute in vigore le disposizioni del decreto luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 378, che autorizzava il Ministro della guerra a sospendere, in tutto o in parte, per esigenze di guerra, la formazione dei quadri di avanzamento e le promozioni degli ufficiali, malgrado che le esigenze di guerra siano cessate da qualche anno;

2°) le cause della disparità di trattamento tra ufficiali dell’esercito e quelli della marina ed aeronautica, per i quali ultimi le promozioni sono state riprese da tempo;

3°) le relazioni esistenti fra ritardato sfollamento dei quadri (che rientra esclusivamente nei compiti del Ministro) e mancate promozioni (che colpiscono moralmente e materialmente una grossa aliquota di ufficiali meritevoli). Il ritardato sfollamento pare costituisca la ragione del veto opposto dal Ministero del tesoro alle promozioni;

4°) se abbia preso in esame il giustificato senso di sfiducia che le ritardate promozioni hanno provocato in una sensibile aliquota di ufficiali che, raggiunti i limiti di età per effetto dell’illegale provvedimento adottato, sono collocati nella riserva mentre avrebbero potuto e dovuto conseguire in passato la promozione alla quale avevano pieno diritto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perugi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intendano adottare per mettere gli Istituti autonomi delle case popolari in condizioni di pagare le loro passività, affinché possano raggiungere l’equilibrio dei bilanci nei futuri esercizi.

«Ciò in considerazione del grande aumento di spese cui debbono far fronte per l’aumento dei prezzi, stipendi, salari, ecc., e del blocco delle pigioni, nonché della impossibilità in cui si sono venuti a trovare di poter attuare i provvedimenti del decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1945, n. 677, circostanze queste che hanno posto i suddetti Istituti in una situazione finanziaria allarmante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Angelucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno disporre che agli agricoltori che conferiscono venga assegnato il 60 o 70 per cento della crusca ricavata dal grano conferito; ciò che costituirebbe un incentivo più forte di qualsiasi disposizione di legge per indurre i contadini (specie delle zone a mezzadria) a portare il grano all’ammasso. I risultati della stagione pessima e il timore di dovere acquistare mangimi per i suini lattonzoli e per i vitelli da latte ai soliti prezzi altissimi praticati dai Consorzi, possono infatti indurre i contadini a considerare la convenienza di non conferire una parte del loro grano per usarlo come mangime. La sicurezza che si darebbe loro di avere la crusca allo stesso prezzo del grano conferito, li spingerebbe invece a conferire tutto il grano non necessario al loro consumo diretto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda sistemare la posizione dei trenta direttori didattici che, su trecento presenti agli esami scritti del concorso a ispettore scolastico del 1941, superarono brillantemente le tre prove, scritte non coronate dagli esami orali in seguito alla pubblicazione del decreto 6 gennaio 1942, n. 27, concernente le promozioni per merito comparativo e per titoli, in violazione della precisa norma del decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, che prescrive la prova d’esame per la promozione dal grado X al IX del personale statale del gruppo B. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Balduzzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga opportuno ed urgente intervenire presso le Amministrazioni provinciali, tenute per legge all’assistenza dei folli poveri, perché provvedano a ricoverare detta categoria di infermi in ospedali psichiatrici, tenuti da enti pubblici, anziché in case private di cura.

«Le eventuali ragioni di carattere economico che si possono in proposito addurre da parte delle Amministrazioni provinciali sono a danno degli ammalati poveri, in quanto le case private di cura, aventi fini speculativi, non sempre dànno pieno affidamento, mentre gli ospedali psichiatrici, non aventi alcuna finalità di speculazione, posseggono attrezzature e personale specializzati particolarmente adatti all’assistenza ed alla cura di tali infermi.

«L’invio di folli poveri da parte delle Amministrazioni provinciali alle case private di cura, anziché agli ospedali psichiatrici, mette questi ultimi, aventi spesso notevoli tradizioni assistenziali e scientifiche, in difficili condizioni di funzionamento o addirittura di vita con gravi conseguenze anche per il personale dipendente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non intenda applicare alle strade costruite per ragioni militari dagli eserciti alleati durante l’ultima guerra, le disposizioni stabilite per le strade ex militari costruite nella guerra 1915-18 dal decreto luogotenenziale 8 giugno 1919, n. 925, e dai regi decreti-legge 19 luglio 1924, n. 1437, e 14 novembre 1929, n. 2107.

«Molte strade recentemente costruite per ragioni militari, specie nella Campania, rispondono ad effettive esigenze di traffico, soprattutto agricolo, e si impone la urgente necessità, da parte degli organi periferici del Ministero dei lavori pubblici, di provvedere alla presa in consegna ed alla manutenzione e sistemazione di dette strade, nonché all’espropriazione degli immobili occupati, salvo i provvedimenti definitivi circa la loro classificazione ed eventuale attribuzione ad altri enti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.