ASSEMBLEA COSTITUENTE
CLXXXIV.
SEDUTA DI LUNEDÌ 14 LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Disegno di legge (Seguito della discussione):
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14)
Presidente
Cappi
Bertone
Bubbio
Marinaro
Condorelli
La Malfa, Relatore
Pella, Ministro delle Finanze
Scoccimarro
Tosi
Fabbri
Adonnino
Piemonte
Fuschini
Dugoni
Canevari
Micheli
Perrone Capano
Bosco Lucarelli
Paris
Pallastrelli
Stampacchia
Tonello
Crispo
Presentazione di una relazione:
Uberti
Presidente
Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Pella, Ministro delle finanze
Benedetti
Presentazione di una mozione:
Presidente
Lussu
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Pella, Ministro delle finanze
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.
Continuiamo la discussione degli emendamenti all’articolo 27.
Rammento che la formulazione dell’articolo proposto dalla Commissione è la seguente:
«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi, sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati presuntivamente nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26. Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.
«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».
Al primo comma vi è un emendamento a firma dell’onorevole Cappi, così concepito:
«Al primo comma, alle parole: in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito, sostituire le altre: in detrazione dai beni».
L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.
CAPPI. Il mio emendamento è semplice: più che svolgerlo, non ho che da enunciarlo. Esso è in favore dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione. Si è parlato già molto in questa Assemblea dei sottoscrittori al prestito della ricostruzione, i quali sono rimasti danneggiati dal fatto che, mentre il governo di allora aveva dato assicurazione che il prestito sarebbe stato allacciato al cambio della moneta, tale impegno non è stato poi mantenuto.
Quello del cambio della moneta fu anche un argomento assai valido per la propaganda ed io stesso me ne servii. Se avete del denaro nascosto – si diceva infatti per indurre a sottoscrivere – tanto vale che lo investiate nei titoli del prestito, perché poi, quando verrà il cambio della moneta, esso sarà decurtato.
Il mio emendamento è inteso dunque a venire incontro ai sottoscrittori. Esso consiste nel sostituire alle parole «in detrazione dal denaro, depositi e titoli di credito», le seguenti altre: «in detrazione dai beni».
Mi spiego. Secondo il testo del progetto, i sottoscrittori al prestito della ricostruzione i quali dimostrino di essere ancora in possesso dei titoli sottoscritti possono dedurli da quella quota presuntiva di denaro e titoli di credito che è stabilita, credo, dall’articolo 25. Io vorrei pertanto che fosse possibile la detrazione dalla quota presuntiva anche di mobilio o di arredamento.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bertone, Bosco Lucarelli, Micheli, Perlingieri, Quarello, Arcangeli, Germano, Bulloni, Bubbio, Cappi.
«Al primo comma, dopo le parole: accertati presuntivamente a mente degli articoli 25 e 26, aggiungere: o nella cifra maggiore denunciata dal contribuente».
L’onorevole Bertone ha facoltà di illustrarlo.
BERTONE. Il mio emendamento è diretto più che altro a chiarire la portata dell’articolo. In questo si ammette che il sottoscrittore al prestito della ricostruzione abbia il diritto di ottenere che l’importo dei titoli sia portato in detrazione dalla quota del 5 per cento presuntiva della ricchezza mobiliare che è stata sostituita all’accertamento mediante il cambio della moneta non più avvenuto. Su questo non c’è niente da dire, se non che potrebbe darsi o che il contribuente denunci una quota di valore superiore al 5 per cento, come potrebbe darsi che la stessa Amministrazione finanziaria, in base all’articolo 25, venisse per altre vie ad accertare a carico del contribuente una quota di patrimonio mobiliare superiore al 5 per cento. Di fatti l’articolo 25, prima parte, stabilisce che «le quote fissate nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà, da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto».
Rilevo qui, per incidente, la situazione, un po’ delicata e sotto certi punti di vista paradossale, in cui verranno a trovarsi i contribuenti possessori di ricchezze mobiliari; non gioielli o mobili, ma ricchezze mobiliari rappresentate da titoli al portatore, da moneta sonante oppure da depositi bancari. Il progetto di legge stabilisce, per questi valori, una quota presuntiva del 5 per cento, ma contemporaneamente dispone l’obbligo per il contribuente di dichiarare ugualmente tutti i cespiti e stabilisce che la quota posta a carico del contribuente potrà anche risultare dall’accertamento fatto dalla finanza, che sia venuta a conoscenza di questi cespiti mobiliari.
Ora, la prima osservazione da farsi su questo punto è la seguente: è chiaro che, se per avventura il contribuente dichiari una quota di ricchezza mobiliare superiore a questo presunto 5 per cento, oppure se la finanza venga ad accertare a carico del contribuente una quota maggiore del 5 per cento, il contribuente deve aver diritto di portare in detrazione altrettanta quota di prestito della ricostruzione che sia in sue mani.
Questo mi pare evidente, ed è in questo senso e a questo proposito che ho presentato il mio emendamento, contro il quale credo non vi possano essere obiezioni serie.
PRESIDENTE. L’onorevole Bubbio ha facoltà di illustrare il seguente emendamento:
«Aggiungere, in fine, il seguente comma:
«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie potranno essere computati a favore del marito, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 3, si considerino come beni del marito quelli acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937».
BUBBIO. È ovvio il fondamento dell’emendamento da me proposto. Dato che secondo l’articolo 3 del disegno di legge si considerano facenti parte del patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937, si potrebbe porre il quesito se agli effetti dell’articolo 29 in esame il marito possa portare a detrazione, propria, nei limiti fissati dalla stessa norma, l’importo dei titoli del prestito della ricostruzione che eventualmente fossero stati sottoscritti dalla moglie.
Pare a me e ad altri colleghi, che avrebbero sottoscritto l’emendamento se lo avessi loro in tempo proposto, che tale facoltà debba essere consentita, per tre ordini di motivi:
1°) perché, per la stessa presunzione che costituisce il fondamento dell’articolo 3 relativamente agli altri beni, si deve presumere che la moglie abbia sottoscritto al prestito della ricostruzione con il denaro somministratole dal marito;
2°) perché se è obbligatorio il coacervo dei beni dei coniugi agli effetti dell’imposta, in contrapposizione deve aversi la possibilità di uguale coacervo dei titoli del prestito predetto agli effetti della detrazione, con un logico parallelismo tra attivo e passivo, tra onere e deduzione;
3°) perché occorre tenere presente equitativamente la considerazione che la moglie, la quale non poteva sapere del coacervo più tardi disposto, dall’attuale disegno di legge, verosimilmente abbia sottoscritto i titoli a nome proprio, pur trattandosi di mezzi fornitile dal marito, nella fondata fiducia di poterne poi ottenere la detrazione ai fini dell’imposta progressiva.
Comunque considerando, questo sarà un ulteriore piccolo beneficio per i sottoscrittori del prestito di cui trattasi, la cui questione rimane tuttora aperta dopo le promesse fatte, e venute purtroppo meno, del cambio della moneta.
Confido perciò che l’emendamento sarà accolto.
Con l’occasione, e per quanto ciò esuli dalla discussione, mi sia lecito di rivolgere vivissima istanza al competente Ministro perché al più presto siano consegnati ai sottoscrittori del prestito predetto i titoli definitivi; e ciò soprattutto allo scopo di agevolare l’esazione degli interessi scaduti, senza obbligare i detentori alla presentazione dei titoli provvisori alle Ricevitorie provinciali, con operazioni che risultano assai complesse anche per i competenti uffici, attesa la necessità di elencare in tutti gli estremi i titoli provvisori, di stampigliarli e di farne la restituzione; il tutto con un lavoro ingente e costoso per gli istituti e, soprattutto, gravoso per i sottoscrittori.
Mi auguro che questa semplice raccomandazione possa essere anch’essa accolta.
PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento:
«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma, ripristinando il testo ministeriale».
L’onorevole Marinaro ha facoltà di svolgerlo.
MARINARO. Onorevoli colleghi, io richiamo tutta la vostra attenzione su questo emendamento. Qui non si tratta di fare una norma fiscale più o meno buona, più o meno opportuna, ma si tratta di evitare che nel sistema e nell’economia generale della legge entri una disposizione che a me sembra profondamente ingiusta.
Siamo in tema d’imposta straordinaria sul patrimonio: siamo quindi in tema d’imposta non reale ma personale, d’imposta cioè che colpisce i cittadini nel complesso dei loro rapporti con gli altri individui, relativamente al patrimonio tassato. Si tratta quindi d’una imposta globale, che tiene conto di tutti gli elementi patrimoniali, che si trasformano in valori e costituiscono un solo tutto ai fini dell’accertamento del patrimonio tassato.
Data questa natura dell’imposta personale che noi stiamo discutendo, è evidente, onorevoli colleghi, che noi dobbiamo tener conto di questa situazione di cose, dobbiamo cioè fare in modo che l’imposta patrimoniale straordinaria sia considerata come la sintesi di tutte le attività e di tutte le passività del contribuente, come la somma algebrica intorno alla quale si deve incidere fiscalmente.
Data questa natura dell’imposta è evidente, a mio avviso, che l’emendamento proposto dalla Commissione, il quale tende a non consentire la detrazione del debito contratto ai fini della sottoscrizione al prestito, contrasta sostanzialmente con il concetto dell’imposta e con lo spirito della legge che stiamo esaminando.
Questo detto in linea generale, secondo me potrebbe essere sufficiente a consigliare la Commissione a desistere dal proposito di aggiungere alla fine del primo comma dell’articolo 27 le parole che non si riscontrano nel testo ministeriale: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo». In base a questo principio di carattere generale, l’Assemblea può trarre il convincimento sicuro che l’inciso dev’essere eliminato così come non l’aveva incluso il testo ministeriale. Qual è la situazione che si verifica nel caso in esame? La situazione è questa. Lo Stato, in un determinato momento, si è trovato nella necessità di trovare moneta per le sue esigenze di cassa, per la sua politica finanziaria; ed ha detto ai cittadini: Venitemi incontro in questo momento, liquidate, eventualmente, anche una parte del vostro patrimonio; vi prometto che il vostro patrimonio residuo sarà esente dalla istituenda imposta patrimoniale.
Questo è l’impegno che ha preso lo Stato al momento in cui è stato indetto il prestito della ricostruzione (Interruzione del deputato Fuschini).
Io facevo, dopo la seduta di sabato, un esempio, onorevole Fuschini, che mi sembrava di una evidenza lapalissiana. Io e l’onorevole Fuschini siamo due contribuenti; abbiamo entrambi due appartamenti del valore complessivo di venti milioni, dieci milioni ciascuno. L’onorevole Fuschini vuol rispondere all’appello del Governo e vuole sottoscrivere al prestito della ricostruzione. Deciso in questo senso, vende un appartamento, ricava dieci milioni e sottoscrive al prestito della ricostruzione per dieci milioni. Che cosa succede? Come deve essere tassato, agli effetti dell’imposta patrimoniale l’onorevole Fuschini? Deve essere tassato per il residuo netto, poiché questo è il carattere dell’imposta patrimoniale personale straordinaria.
La tassabilità viene fatta sul patrimonio netto, quindi l’onorevole Fuschini viene tassato per il residuo patrimonio di dieci milioni.
Io, invece, che avevo al momento dell’emissione del prestito ugualmente due appartamenti, ritengo più opportuno di non vendere un appartamento ma di sottoscrivere ugualmente al prestito per dieci milioni e contraggo un debito con un privato o con una banca, magari concedendo l’ipoteca su uno dei due appartamenti. Ho contratto un debito di dieci milioni che devo estinguere. È questa una passività che deve essere detratta dal patrimonio? Questo è il punto essenziale, su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, se non si vuol correre il rischio di creare una grave ingiustizia. Tutti e due avevamo lo stesso patrimonio lordo al momento dell’emissione del prestito, vale a dire due appartamenti del valore di dieci milioni. Dopo la sottoscrizione al prestito tutti e due che cosa abbiamo? Lo stesso patrimonio netto, poiché l’onorevole Fuschini ha un appartamento invece di due; io ne ho due, ma ho dieci milioni di debito e tutti e due abbiamo lo stesso quantitativo di titoli del prestito della ricostruzione.
Onorevoli colleghi, mi sembra di una evidenza così convincente questo ragionamento che non è possibile resistere alla sua logicità.
Io dico che voi fate ai contribuenti due trattamenti diversi; voi create due forme di contribuenti. Tutti e due, al momento della emissione del prestito, si trovavano nella medesima posizione; oggi si trovano in una posizione diversa rispetto al fisco. E ad ogni modo la legge verrebbe a contraddire un principio fondamentale nel diritto finanziario che è quello, cioè, che in materia di imposta personale straordinaria la tassazione deve essere fatta sul patrimonio netto e non sul patrimonio lordo. Quando la Commissione nella sua relazione dice: «è il debito che non viene detratto dal patrimonio lordo», questo è un gioco di parole, perché, in definitiva, ciò che non viene esentato è il debito contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.
Confido pertanto che l’Assemblea vorrà accogliere il mio ragionamento.
FUSCHINI. È un ragionamento sbagliato.
PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgere i seguenti emendamenti presentati unitamente ai colleghi Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo.
«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».
«Aggiungere al secondo comma: e, ove ne sia il caso, della persona a cui mezzo ha eseguito la sottoscrizione, che, facendo prima fede del mandato, firma l’elenco indicando, ove lo abbia eseguito o lo debba eseguire, il luogo della propria dichiarazione in ottemperanza della presente legge».
CONDORELLI. Se l’onorevole Presidente me lo permette vorrei premettere qualche considerazione su quanto ha dichiarato l’onorevole Marinaro.
PRESIDENTE. Purché sia breve.
CONDORELLI. Sarò brevissimo.
Mi pare che quanto ha sostenuto l’onorevole Marinaro sia di una evidenza lapalissiana. Evidentemente, la Commissione è caduta in un equivoco, poiché ha voluto impedire, con la sua formulazione, che qualcuno si giovasse due volte della sottoscrizione. Perché chi sottoscrive al prestito della ricostruzione, giusto la legge che stiamo esaminando, viene ad avere due vantaggi: prima di tutto che non è tassato per quello che ha sottoscritto; secondo che quello che ha sottoscritto viene diffalcato dalla percentuale, diciamo così, per numerario.
Ora, indubbiamente, questi vantaggi spettano ambedue. Ma vediamo la situazione. Consideriamo due soggetti, che abbiano ugualmente un patrimonio di cento. Uno sottoscrive venti, ma prendendo il denaro dal suo cassetto. Che cosa avviene? Egli ha venti che non è tassato, perché prestito della ricostruzione. Inoltre questo venti gioca nel senso che viene diffalcato dal suo numerario. Dunque sarà tassato su 60; pagherà l’imposta del patrimonio su 60.
Quale sarà la situazione dell’altro soggetto il quale avrà sottoscritto con denaro che ha preso in prestito? Egli avrà venti che non è tassato, perché prestito, dunque pagherà su ottanta, mentre l’altro viene a pagare sii sessanta.
BUBBIO. Nessuno ha fatto dei prestiti!
CONDORELLI. Questo è proprio il caso di uno che ha contratto un prestito.
Se fate il conto, avete, indubbiamente, che quello che ha sottoscritto prendendo il denaro dal suo cassetto viene tassato su sessanta, avendo egli cento, mentre l’altro che se l’è fatto prestare, pur avendo il debito, che dovrà pagare, viene ad essere tassato su 80.
PRESIDENTE. La questione è stata posta con chiarezza. Passi ora ai suoi emendamenti.
CONDORELLI. Io dico non solo che è stata posta con chiarezza, ma che è stata risoluta con chiarezza. Se fate la giusta considerazione è così.
Il mio emendamento vuole soccorrere a una situazione che si è creata in dipendenza della interpretazione del decreto che apriva la sottoscrizione.
Quel decreto prometteva la esenzione dall’imposta sul patrimonio per i titoli del prestito della ricostruzione. Ora, la legge, molto opportunamente, prevede un secondo beneficio, cioè che quello che si è sottoscritto in titoli della ricostruzione venga diffalcato dalla quota presunta per numerario.
È avvenuto questo, che al dovere verso il Paese si sia adempiuto come si adempie in genere in tutte le sottoscrizioni di titoli al portatore: non era necessaria la presenza del sottoscrittore. Si poteva incaricare un figliolo, si poteva incaricare un fratello, si poteva incaricare il coniuge. Anzi, in rapporto al coniuge, avviene sempre così, per lo meno nei nostri Paesi meridionali, e forse anche negli altri paesi del Nord; è il marito che va a sottoscrivere. Se la moglie ha da fare una sottoscrizione, il marito si reca alla Banca per non far fare la coda alla moglie. Può capitare il caso del padre del minore che debba sottoscrivere per il figliolo, del tutore che debba sottoscrivere per il pupillo. Se questi avessero dovuto fare una sottoscrizione in nome del loro rappresentato, si sarebbero dovuti far autorizzare, ma trattandosi di sottoscrizione di titoli al portatore, non era necessario: si andava, si sottoscriveva, sicuri di garantire al proprio rappresentato o al proprio mandante il vantaggio.
L’interessante era di avere questi titoli. Ma la legge, molto opportunamente, ha assicurato un altro vantaggio: quello del diffalco di questi titoli dal numerario. Per assicurarsi questo vantaggio è però necessario dimostrare di aver sottoscritto personalmente.
Ora io domando all’Assemblea se non è il caso di accogliere il mio emendamento nel quale si chiede che quello che ha sottoscritto a mezzo di stretti congiunti o di mandatario possa, in base ad una dichiarazione, usufruire di questo vantaggio. Si fanno dei cumuli presumendo la rappresentanza da parte di altri membri della famiglia. Questa presunzione che deriva dai rapporti domestici, e che noi applichiamo largamente a danno del contribuente, una volta tanto applichiamola a suo vantaggio. Non è facile che il terzo dichiari di non esser lui il vero interessato alla sottoscrizione quando perde dei vantaggi.
A questo tende l’emendamento che io propongo, il quale calca perfettamente la realtà della nostra organizzazione domestica in cui è sempre l’elemento più fattivo il marito, il padre o, quando questi è vecchio, il figliolo, che provvede a queste operazioni di banca, quando – per la natura dell’operazione – non è necessaria la presenza del vero titolare.
Vorrei far notare anche il caso dei nostri emigranti. Ci sono stati molti emigranti che hanno incaricato la loro famiglia di fare una sottoscrizione. Di questi emigranti, ci ricordiamo quando dobbiamo tassarli, e adesso che potrebbero avere questo beneficio li dimentichiamo.
Il mio secondo emendamento, è correlativo a quello che ho illustrato perché vuole avvisare gli accorgimenti tecnici per far risaltare il mandante. Io propongo che basti una dichiarazione del mandatario perché si operi il trapasso dall’uno all’altro.
PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.
LA MALFA, Relatore. La questione relativa all’articolo 27 è molto più grave di quanto l’Assemblea non si configuri finora, a giudicare almeno dai precedenti discorsi degli onorevoli colleghi. La Commissione, quando ha esaminato la disposizione dell’articolo 27, ha dovuto esaminare anche gli effetti che, sull’applicazione dell’imposta, avrebbe avuto l’esenzione stabilita dalla legge di emissione del Prestito ai fini della imposta medesima.
La Commissione ha dovuto constatare che chi ha sottoscritto il prestito della ricostruzione, presupponendo il cambio della moneta e l’imposta, ed ha visto svalutati i suoi titoli in Borsa, ha avuto una perdita, se la consistenza del suo patrimonio toccava una certa cifra; ha avuto un enorme vantaggio se la consistenza del suo patrimonio superava una determinata cifra. Mi spiego con un esempio molto chiaro: il possessore di un patrimonio di un miliardo pagherebbe a termine della legge il cinquanta per cento di imposta, pagherebbe cioè 500 milioni; se lo stesso possessore di un miliardo avesse convertito 500 milioni in Prestito della ricostruzione, il patrimonio tassabile, ai fini dell’imposta, risulterebbe di 500 milioni e il possessore pagherebbe, di imposta, circa 165 milioni, cioè, per il semplice fatto di aver sottoscritto 500 milioni di prestito della ricostruzione, il possessore risparmierebbe, in base alla legge sulla Patrimoniale, 335 milioni. Questo è il fatto che la Commissione ha dovuto prendere in considerazione.
BUBBIO. Ma questa è l’eccezione!
LA MALFA, Relatore. Noi dobbiamo stabilire la situazione del contribuente rispetto alla imposta. Ho detto che i patrimoni piccoli sono colpiti; per il fatto di aver sottoscritto il prestito, i patrimoni grossi non solo non subiscono una perdita, ma ne hanno enorme vantaggio. La Commissione ha dovuto tener conto degli effetti della esenzione del prestito dell’imposta, tanto per i piccoli come per i grossi patrimoni.
Dichiaro che se la Commissione avesse trovato un mezzo per impedire questo effetto dell’applicazione della legge l’avrebbe adottato, perché essa trova iniquo che la semplice sottoscrizione del prestito della ricostruzione assicuri, a possessori di un patrimonio al disopra di 500 milioni, vantaggi di alcune centinaia di milioni. La Commissione tuttavia si è resa conto che non aveva nessun mezzo legale per ovviare a questo inconveniente, poiché avrebbe dovuto revocare le concessioni fatte, durante la sottoscrizione al prestito, con la legge del prestito. Aggiungo che l’esenzione del prestito, che è stata legata, nel momento dell’emissione, alla legge sulla imposta patrimoniale, ha fatto oggetto di grandi speculazioni, specialmente sul mercato di Milano. Non si tratta di speculazioni in frode della legge – la legge non si conosceva – ma in previsione di quelle che sarebbero state le aliquote progressive e vi è stata una copertura, attraverso il prestito, ai fini della imposta medesima. A noi della Commissione è risultato, ad esempio, che sul mercato di Milano si sono sottoscritti sei-otto miliardi di prestito per evadere o per sfuggire alla progressività dell’aliquota. Come si sono sottoscritti questi sei-otto miliardi? I possessori di grossi patrimoni hanno contratto un debito in banca dando in contropartita azioni in loro possesso. Così, il loro patrimonio si presenta oggi all’attivo con una parte del patrimonio in beni reali ed una parte in prestito della ricostruzione, esente dall’imposta; al passivo con il debito verso la banca.
La Commissione ha tenuto conto di quello che è stato rilevato dagli onorevoli Marinaro e Condorelli, e non si è sentita in grado di fare una distinzione fra sottoscrizione ottenuta vendendo i propri beni e sottoscrizione ottenuta contraendo un debito in banca. Naturalmente, nell’ordine dei vantaggi che il prestito della ricostruzione ha dato, il fatto di avere contratto un debito è stato un ulteriore vantaggio, perché i possessori di grossi patrimoni, contraendo il debito, si sono garantiti anche contro la svalutazione della moneta, cioè hanno conservato intero il loro patrimonio. Quindi, hanno fatto un’operazione perfetta e brillantissima dal punto di vista dei loro interessi; mentre lo Stato ha fatto un cattivissimo affare nei loro confronti.
Ma la Commissione, pur rilevandolo, non ha potuto colpire questo fatto, non potendo distinguere fra prestito sottoscritto vendendo parte del proprio patrimonio o impiegando proprie liquidità, e prestito sottoscritto accendendo un debito in banca. Ed allora, ha cercato di colpire coloro che si sono coperti con debiti in banca, non vietando l’iscrizione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini di quella quota presuntiva di cui parla l’articolo 27. L’emendamento della Commissione non si deve interpretare nel senso che non sia ammessa la detrazione del debito ai fini del calcolo del patrimonio, ma ai fini della quota presunta. Ed a questa correzione di portata assai limitata la Commissione è pervenuta con rammarico, dopo aver constatato l’impossibilità di stroncare con mezzi legali i vantaggi assicuratisi dai grossi patrimoni.
Perché la Commissione ha fatto l’emendamento ai fini della quota presuntiva? Essa ha ritenuto che l’esenzione della quota presunta in danaro volesse significare questo: presumo che tu abbia avuto una liquidità e che sottoscrivendo al prestito abbia impiegato questa liquidità; quindi, ti do modo di detrarre dalla quota presuntiva il prestito che hai sottoscritto. Ma se un tizio ha sottoscritto al prestito contraendo un debito, non ha impiegato le proprie liquidità nel prestito, ma ha impiegato le liquidità altrui. Non è quindi possibile concedergli il vantaggio di detrarre l’ammontare sottoscritto della quota presunta.
L’espressione usata dalla Commissione non è felice e può dare luogo a qualche dubbio. Comunque, il caso previsto dalla Commissione era quello che ho esposto, mentre sulla stampa è stato interpretato in maniera più estensiva. Il che indica come in definitiva ci fosse un po’ di coda di paglia in questa faccenda.
Ora, se l’emendamento della Commissione è mantenuto, è mantenuto in questo senso: colpisce, cioè, coloro che hanno contratto un debito a fronte del prestito della ricostruzione. Per costoro non vi è il diritto alla detrazione della quota presuntiva.
La Commissione sarebbe inoltre dell’idea di colpire integralmente i grossi patrimoni, che hanno già avuto molti vantaggi dal prestito della ricostruzione e quindi, limitare l’efficacia dell’applicazione dell’articolo 27 ai patrimoni non superiori ai 50 milioni.
In quanto all’emendamento Condorelli, esso sembra eccessivo alla Commissione. Si tenga anche conto del prestito della ricostruzione sottoscritto dalla moglie; però, estendere la facilitazione a qualsiasi altro congiunto fino al secondo grado o ad un rappresentante, significa ammettere che tutto il prestito della ricostruzione vada a diminuzione della quota presuntiva.
CONDORELLI. E il caso del procuratore, il quale non ha detto che agisce per procura.
LA MALFA, Relatore. Le leggi fiscali non possono essere vedute con criterio strettamente giuridico, perché altrimenti non si percepisce un soldo. Mi rammarico, ma la Commissione non può accettare l’emendamento Condorelli.
Per quanto riguarda l’emendamento Cappi, la detrazione del denaro ha, come dicevo, questo significato: presumo che tu avevi una liquidità e che, investendo nel prestito della ricostruzione, hai impiegato di questa liquidità. Ma se ammetto il prestito nella detrazione dei beni, allora il possessore di un miliardo, che abbia sottoscritto 500 milioni, non paga 500 milioni per sottoscrizione, e 500 per detrazione dai beni, e quindi praticamente non paga nulla. Questo non è possibile.
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, c’è poi l’emendamento Bertone.
LA MALFA, Relatore. Al collega Bertone, osservo che se il prestito della ricostruzione va in detrazione della quota presuntiva, va nella presunzione che io non possiedo liquidità attuale. Detraggo dalla quota presuntiva, perché presumo che tu abbia investito nel prestito. Ma se una liquidità è esistente e reale ad oggi, a quale titolo detraggo? Non posso detrarre, perché la liquidità c’è e non la posso presumere. Anche il suo emendamento non può essere quindi accolto.
L’emendamento Tosi viene superato dalla nuova proposta della Commissione, e così l’emendamento Marinaro.
PRESIDENTE. Quale è la nuova proposta della Commissione?
LA MALFA, Relatore. La Commissione proporrebbe, in prima istanza, di tornare al testo governativo e di aggiungere, come secondo comma:
«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori a 50 milioni».
Il secondo emendamento Condorelli la Commissione lo respinge, considerando implicito che, facendo il coacervo, si debba fare il coacervo di tutti i beni della moglie.
L’emendamento Bubbio può essere accettato come raccomandazione.
BUBBIO. È meglio accoglierlo ed inserirlo nel decreto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo condivide, in linea di massima, l’ordine di idee del Relatore e si associa alle sue considerazioni sui diversi emendamenti.
Se ho ben capito, sull’emendamento Bubbio la Commissione ha dato parere favorevole. È così?
LA MALFA. Relatore. Sì, come interpretazione.
BUBBIO. Tanto vale metterlo nel decreto.
PELLA, Ministro delle finanze. Se la Commissione, accettandolo a titolo di raccomandazione, ritiene di accoglierne il contenuto, il Governo preferisce che esso sia inserito nel decreto. Non vorrebbe che la potestà normativa dell’Amministrazione finanziaria, in sede di istruzioni, trasmodasse sino a dettar norme che il decreto non contiene.
LA MALFA, Relatore. La difficoltà di inserire l’emendamento consiste nel fatto che lo stesso caso può sorgere circa il patrimonio dei discendenti, quindi dovremmo fare una norma più completa.
Da questo punto di vista, è conveniente lasciare le cose come sono. La norma dovrebbe essere estesa anche al patrimonio dei discendenti cumulato al patrimonio dell’ascendente.
BUBBIO. Completatela la norma; è meglio dirle certe cose.
LA MALFA, Relatore. Non mi pare che sia rilevante…
PELLA, Ministro delle finanze. Propongo un compromesso. Accogliamo nella legge l’emendamento per quanto riguarda la moglie e lasciamo – e qui veramente può avere adito un’interpretazione per analogia – e lasciamo, dicevo, alle istruzioni di regolare la situazione per quanto riguarda i discendenti.
PRESIDENTE. Ma allora bisogna modificare l’emendamento radicalmente. Onorevole Bubbio, se lei è d’accordo sulla modificazione dell’emendamento, ne formuli un nuovo testo nel senso ora proposto e lo faccia pervenire alla Presidenza.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Vorrei far presente all’onorevole Ministro che o si indicano specificamente entrambi i casi o non se ne indica alcuno, giacché l’indicarne uno solo può significare che si intenda implicitamente escludere l’altro. Io non sono per nulla contrario che se ne faccia esplicita indicazione nella legge; vorrei però che così fosse fatto per l’un caso e per l’altro.
PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?
LA MALFA. Relatore. Insisterei perché l’emendamento venisse considerato come raccomandazione, anche perché soltanto in tal modo sarà possibile studiarlo e vederne l’estensione. In caso contrario, invece, saremmo forse costretti a sospendere l’approvazione dell’articolo. Mi pare insomma che accettare, così di punto in bianco, una cosa di questo genere, soprattutto quando l’applicazione potrebbe essere anche più estensiva, non sia prudente.
PRESIDENTE. Invito il Governo a manifestare il proprio punto di vista.
PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo preferirebbe l’inserzione dell’emendamento in calce all’articolo e pertanto prega l’onorevole Bubbio di completarlo facendo riferimento anche ai discendenti.
PRESIDENTE. Nell’attesa che l’onorevole Bubbio completi l’emendamento, poiché si tratta di un’aggiunta finale, sulla quale potrà deliberarsi più tardi, esauriamo l’esame degli emendamenti proposti al primo comma dell’articolo.
Vi è anzitutto l’emendamento proposto per il primo comma dagli onorevoli Condorelli, Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Perrone Capano e Caroleo, non accettato dalla Commissione e neppure dal Governo:
«Al primo comma, dopo le parole: aver sottoscritto, aggiungere: direttamente o a mezzo del coniuge, di congiunto entro il secondo grado, di rappresentante, ancorché questi non abbia all’atto della sottoscrizione dichiarato di agire in rappresentanza».
L’onorevole Condorelli, vi insiste?
CONDORELLI. Vi insisto.
PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.
(Non è approvato).
Sempre al secondo comma, vi è poi l’emendamento dell’onorevole Cappi, anche questo non accettato né dalla Commissione né dal Governo.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.
CAPPI. Ritiro l’emendamento. Avevo però chiesto di parlare per esprimere una opinione sull’altra parte dell’articolo che riguarda i debiti fatti per sottoscrivere al prestito. Vorrei richiamare l’attenzione della Commissione e del Ministro sulla facile possibilità di frodi a questo riguardo. Mi pare strano che vi siano stati dei forti capitalisti che abbiano fatto un debito pagando dal 7 all’8 per cento di interesse, per sottoscrivere un prestito al 3,50 per cento. (Approvazioni a sinistra).
A difesa del fisco mi parrebbero opportune due cautele: anzitutto, che il fisco potesse, in deroga al rispetto del segreto bancario, accertare – anche con ispezioni sui registri delle Banche – la realtà dei debiti che si affermano contratti; in secondo luogo, che anche per la detrazione di questi debiti sia necessario che al 28 marzo i titoli del prestito fossero ancora posseduti, perché mi consta che una delle facili manovre era questa: si contraeva un debito realmente, poi, dopo due o tre giorni, si vendevano i titoli e si riaveva il denaro. E, in questo caso, sarebbe ingiusto ammettere in detrazione il debito.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Cappi mi fornisce la possibilità, anticipando in parte quello che sarà meglio sviluppato successivamente, di rassicurare l’Assemblea in ordine alle prove che l’Amministrazione richiederà per la documentazione dei debiti da ammettere in detrazione.
È esatto che forse si indulgeva troppo nel passato a richiedere, come documento sufficiente per tale dimostrazione, la dichiarazione del saldo del debito ad una determinata epoca. Ma vedremo meglio, esaminando i successivi articoli, che si parla di una più ampia documentazione e che è nelle intenzioni dell’Amministrazione finanziaria di chiedere estratti-conti per un determinato periodo di tempo; cosicché le operazioni di contemporaneo addebito ed accredito risulteranno evidenti dall’esame di un estratto-conto dei tre o sei mesi anteriori e di qualche mese successivo. Tale esame permetterà di individuare quelle passività fittizie che l’onorevole Cappi giustamente intende colpire.
Quest’accertamento può essere opportunamente ammesso, senza compromettere la questione del segreto bancario.
PRESIDENTE. Procediamo ora all’esame dell’emendamento dell’onorevole Bertone ed altri sul primo comma. Onorevole Bertone, lo mantiene?
BERTONE. Potrei ritirare il mio emendamento se la Commissione e il Ministro consentissero a togliere la parola «presuntivamente», dopo «accertati».
PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?
LA MALFA, Relatore. Ripeto al collega Bertone l’argomentazione che avevo già fatta: si presume una quota di denaro, e si presume che chi abbia sottoscritto al prestito non abbia più quella quota di denaro. Ma se ce l’ha, a che titolo gli diamo l’esenzione? Se mi risulta che il contribuente detiene il denaro, non posso presumere che l’abbia investito nel prestito della ricostruzione.
PRESIDENTE. Dunque la Commissione è contraria a questo emendamento?
LA MALFA, Relatore. Sarebbe una contraddizione in termini.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere.
PELLA, Ministro delle finanze. Mi pare che la richiesta dell’onorevole Bertone sia – mi si consenta – abbastanza innocente perché gli articoli 25 e 26 riposano entrambi sul sistema presuntivo.
Ora, quando si chiede di evitare l’avverbio «presuntivamente» e di lasciare: «accertato nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26», non si tende – a mio avviso – che a togliere una parola probabilmente pleonastica.
Ma se ciò può servire all’onorevole Bertone per placare determinate perplessità, potrei aderire all’abolizione dell’avverbio «presuntivamente».
PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Bertone ha rinunciato al suo emendamento principale, proponendo però l’eliminazione dell’avverbio «presuntivamente», pongo ai voti tale proposta, accettata dal Governo e non accettata dalla Commissione.
(È approvata).
Passiamo all’emendamento Tosi, già svolto nella precedente seduta:
«Sopprimere l’ultimo periodo del primo comma:
«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».
TOSI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Marinaro, mantiene il suo emendamento?
MARINARO. Vi rinuncio.
PRESIDENTE. Si dovrebbe tornare, allora, al testo ministeriale, cui la Commissione proporrebbe l’aggiunta di un secondo comma così formulato:
«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 50 milioni».
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra necessario chiarire la portata dell’articolo 25, per giudicare sull’opportunità di questo nuovo emendamento.
L’articolo 25 – non ancora discusso – dice che si calcola presuntivamente un tanto per cento in conto del denaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore.
Ora se, parlando di titoli di credito al portatore, si vuole alludere soltanto ai titoli di credito assoggettabili all’imposta e non già a quelli esenti, allora l’articolo 27 ha veramente una portata di agevolazione a favore dei portatori del prestito, perché in tale ipotesi, effettivamente, si dedurrebbe da una massa tassabile un determinato ammontare pari al valore dei titoli 3,50 per cento, oltre ad avere concesso l’esenzione a questi ultimi. Ma se si volesse dare all’articolo 25 – e qui è un peccato che l’Assemblea non abbia ancora manifestato il suo pensiero – una portata di accertamento globale induttivo di titoli al portatore esenti e non esenti, la detrazione prevista dall’articolo 27 è una detrazione sotto un certo profilo pleonastica perché se – a cagion di esempio – col 5 per cento si accertano a nome del contribuente 10 milioni di denaro e di titoli e se in questi 10 milioni vi sono due milioni di prestito della ricostruzione 3 e mezzo per cento, questi due milioni vanno già imputati in detrazione, in forza della legge di emissione del prestito, senza bisogno di particolare disposizione. E se questa fosse l’interpretazione dell’articolo 27, l’emendamento limitativo, che ci si propone oggi, dei 50 milioni, purtroppo rappresenterebbe una violazione dell’esenzione. Per questo prego l’Assemblea di considerare come, votando l’emendamento della limitazione dei 50 milioni, indirettamente si venga a dare una interpretazione all’articolo 25. Questa è l’osservazione che volevo fare prima di passare alla votazione.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Per quanto riguarda l’articolo 25, mi pare che le dichiarazioni del Ministro precisino un punto: la quota presuntiva di titoli, denaro, depositi, da computare nel patrimonio è soggetta all’imposta; e poiché i titoli del prestito della ricostruzione non sono soggetti all’imposta è chiaro che non sono compresi nella quota presuntiva.
Desidero richiamare l’attenzione sul voto che ha dato l’Assemblea: quando noi consentiamo la detrazione dalla quota presuntiva dell’importo sottoscritto al prestito, in definitiva noi presupponiamo il caso di chi avendo denaro liquido lo ha impiegato nella sottoscrizione al prestito; ed ora con l’attribuzione della quota presuntiva soggetta a imposta, se non si consente la detrazione, di fatto per lui si annullerebbe il beneficio concesso ai sottoscrittori del prestito. Se il possesso di liquido effettivamente esiste, significa che non è stato impiegato nella sottoscrizione, ed allora non è giustificata la deduzione dell’importo sottoscritto. Ma se il possesso di denaro liquido presunto di fatto non esiste, perché impiegato nella sottoscrizione al prestito, allora è pienamente giustificata la deduzione.
È chiaro che nel primo caso si concede un beneficio che supera i limiti delle concessioni previste nella legge del prestito.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. L’onorevole Scoccimarro ha fatto delle considerazioni esattissime, che non avrebbero bisogno di ulteriori aggiunte se venissero considerate nel quadro esclusivo dell’imposta straordinaria sul patrimonio, indipendentemente da qualsiasi considerazione di altri settori. Però qui siamo nel campo di agevolazioni particolari accordate in sede empirica, in dipendenza della rinunzia al cambio della moneta. Tale è la genesi di questa ulteriore detrazione.
Quando si è emesso il prestito della ricostruzione del 3,50 per cento, si sono fatte molte promesse, fra cui due: una di carattere positivo (esonero dall’imposta); l’altra, di carattere negativo (bastonata a chi non sottoscrive al prestito data mediante il cambio della moneta). Siccome questa bastonata non ci fu, si cerca di colpire ugualmente la ricchezza del portatore con altri mezzi. Ad ogni modo, sarebbe opportuno accordare questa prima agevolazione, in aggiunta ad altra contemplata nel disegno di legge a favore di chi ha sottoscritto al prestito 3,50 per cento. È certamente un’agevolazione empirica: ma è appunto in questo senso che io prego l’onorevole Scoccimarro di considerarla.
PRESIDENTE. La Commissione insiste nell’aggiunta proposta?
LA MALFA, Relatore. Come ho già detto, la Commissione torna al testo governativo senza l’aggiunta già proposta dalla Commissione medesima.
Propone inoltre di aggiungere al primo comma un secondo, in cui si dica: «La detrazione del denaro, depositi, ecc., si applica soltanto per patrimoni non superiori ai 50 milioni».
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Osservo che c’è un contrasto netto fra quello che dice la Commissione e quelle che sono state le giuste ragioni portate dal Governo a favore dei sottoscrittori al prestito.
Se lo scopo dell’agevolazione del Governo è quello di detrarre l’importo impiegato nella sottoscrizione del prestito della ricostruzione, non c’è ragione di porre il limite ai 50 milioni, perché questa gente che ha sottoscritto ha diritto a quei vantaggi empirici, come li ha chiamati il Ministro.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Mi pare di aver detto che per i possessori di patrimoni al disopra di una certa cifra l’esenzione dall’imposta del prestito è già un vantaggio maggiore di qualsiasi altro vantaggio. Quindi è inutile che aggiungiamo un vantaggio, perché ho dimostrato che colui che possiede un miliardo e sottoscrive 500 milioni, risparmia 325 milioni di imposta.
Ora siccome i piccoli patrimoni sono colpiti, abbiamo stabilito un limite perché questi piccoli patrimoni abbiano un vantaggio e gli altri patrimoni non lo abbiano.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Fabbri. Ne ha facoltà
FABBRI. Francamente, o io non ho capito, o qui stiamo violando le condizioni del prestito. In una parte c’è stato l’emendamento Bertone il quale facendo togliere il «presuntivamente» ha creato una confusione dell’altro mondo, perché se un tale dice di avere dei titoli nel suo patrimonio in eccedenza alla quota presunta, perché mai, avendoli, non gli dovrebbero essere considerati anche se ha sottoscritto al prestito in larga misura? Sarebbe una seconda esenzione che non capisco. Nella legge tributaria c’è una presunzione di una disponibilità liquida. La legge del prestito diceva che quella parte di liquido presunto che sarebbe stata impiegata nel prestito non sarebbe stata conseguentemente considerata nel patrimonio. Quindi, se io ho una presunzione di un milione di liquido e dimostro di aver preso 900.000 lire di prestito, io non posso essere tassato che per cento mila lire, perché con le altre 900.000 lire ho comprato il prestito. Se però, dopo aver goduta la esenzione dalle 900.000 lire, spese pel prestito, dichiaro di avere anche altro denaro, questo altro denaro deve essere tassato. Quindi non ho capito perché si è tolto il «presuntivamente».
Adesso vi è dalla stessa fonte un secondo emendamento ed è di fare la detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere il prestito soltanto per coloro che hanno meno di cinquanta milioni. Ma l’eventuale possessore anche di dieci miliardi, al quale è stato garantito che se sottoscriveva il prestito era per il corrispondente importo esente dall’imposta… (Rumori).
LA MALFA, Relatore. Chiarisco. Effettivamente nel votare la soppressione dell’avverbio «presuntivamente», noi abbiamo spostato la base dell’articolo 27.
FABBRI. Ma poi si è insistito nel dire che vi sarà detrazione…
LA MALFA, Relatore. Precisamente. Per rimediare a questa che è stata una conseguenza, la Commissione ha apportato un emendamento al primo comma, che suona così: «Aggiungere, dopo «a mente degli articoli 25 e 26», le parole: «nei limiti della quota presuntiva». Così si chiarisce un dubbio dell’onorevole Bertone.
Per quel che riguarda il secondo comma, non è che noi non ammettiamo più le agevolazioni fatte in materia di prestito. A giudizio della Commissione il prestito è sempre esente. Ma il secondo comma, stabilendo che: «La detrazione si ammette per patrimoni non superiori a cinquanta milioni», afferma implicitamente che siccome al di là dei cinquanta milioni o dei cento milioni, come volete – ma la Commissione è per la prima soluzione – il vantaggio dato dall’esenzione del prestito è sufficiente, il contribuente non ha più diritto ad altri vantaggi. Non c’è quindi nessuna contradizione ed il testo proposto dalla Commissione mette in chiaro tutte le questioni poste dall’Assemblea.
ADONN1NO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ADONNINO. Ritengo, onorevoli colleghi, che quanto all’avverbio «presuntivamente» dell’articolo in esame sia perfettamente esatto il testo primitivo della Commissione. Se noi presumiamo che quei denari ci siano, è inutile venire a dire che i denari furono impiegati nel prestito. Io lascerei: «presuntivamente», né mi pare che migliori le cose la nuova formula ora proposta dalla Commissione; «nei limiti della quota presuntiva». A me pare che la situazione resti sempre la stessa. Cosa significa questa dizione? Significa che il denaro non c’è, ma presumiamo che ci sia. Se invece il denaro è dichiarato esistente dal contribuente, è assurdo che diciamo che con questo denaro sarebbe stato contratto il prestito, perché con questo denaro il prestito non è stato contratto, tanto vero che il contribuente lo dichiara ancora esistente. Siamo nelle strette di una logica a cui non si può sfuggire: o il denaro c’è, e non dobbiamo detrarre nulla perché con questo denaro non si è contratto il prestito, tanto vero che il denaro ancora esiste; o il denaro non c’è, ed allora possiamo presumerlo soltanto, e possiamo detrarre il prestito. Dunque si deve trattare soltanto di «accertamento presuntivo» e mai «dichiarato».
Per quanto riguarda poi l’altro punto, vale a dire l’emendamento Tosi, mi pare che la formula nuova della Commissione faccia un giudizio salomonico, cioè l’accetta per metà, per i patrimoni fino a 50 milioni. È esatta o no la logica dell’onorevole Tosi? È esatta, perché il debito fatto…
TOSI. Ma l’emendamento è ritirato ormai!
ADONNINO. Per me la proposta Tosi era esattissima, ma se è ritirata, allora va modificata la proposta della Commissione nel senso di non ammettere la detrazione in nessun caso e non solo per i capitali fino a 50 milioni.
BERTONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Voglio chiarire che, se io avevo fatto la proposta di ritirare il mio emendamento, accettando di sopprimere la parola «presuntivamente», è stato perché questo invito mi era stato rivolto da un membro autorevole della Commissione che credevo parlasse a nome della Commissione stessa. Poiché è stato rilevato, come ha fatto giustamente osservare l’onorevole Fabbri, che togliere questa parola può portare ad inconvenienti e a confusioni, io aderisco alla nuova formula dell’onorevole La Malfa. Lungi da me il voler fare delle confusioni.
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Desidero fare una proposta concreta. Per non ridurre quasi a nulla i vantaggi concessi a favore dei sottoscrittori del prestito, cui ha accennato il Ministro, propongo, in linea conciliativa, che la limitazione della detrazione sia portata dai capitali di 50 milioni fino a 100 milioni. (Approvazioni).
MARINARO. Mi associo alla proposta e ritiro il mio emendamento.
LA MALFA, Relatore. Vorrei leggere il testo dell’articolo 27 proposto dalla Commissione:
«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva».
Questo è il primo comma.
Il secondo comma suonerebbe così:
«La detrazione si applica soltanto ai patrimoni non superiori ai 100 milioni», secondo l’emendamento Cappi, che noi accettiamo.
Mi pare che non c’entri più la questione del debito, perché la Commissione ha ritirato l’emendamento proposto a suo tempo.
Ora, stiamo considerando la detrazione del prestito dalla quota presuntiva.
MARINARO. Con questo, resta inteso che la Commissione ha abbandonato il primitivo emendamento relativo alla detrazione del debito.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministra delle finanze. Mi si consenta di affermare che l’avverbio «presuntivamente», a mio avviso, era superfluo e che quindi è indifferente sia lasciato o ritirato. Quando nell’articolo 27 parliamo di depositi, titoli di credito, ecc., accertati a mente degli articoli 25 e 26, ci riferiamo a due articoli che regolano soltanto gli accertamenti presuntivi. Non vi è nulla, in questi due articoli, che significhi dichiarazione analitica o accertamento analitico. La portata dei due articoli si inquadra nettamente ed esclusivamente nel sistema presuntivo.
BERTONE. L’articolo 25, secondo comma, parla degli accertamenti analitici.
PELLA, Ministro delle finanze. Va bene, ma è un riferimento all’obbligo generale. Ad ogni modo, la questione è superata.
Vorrei, però, pregare l’onorevole La Malfa di riflettere sulla portata dell’emendamento della Commissione, così come è stato formulato. Quando parliamo di patrimoni non superiori ai 50 milioni, evidentemente ci riferiamo ad un patrimonio accertato in sede fiscale. Ora, io faccio un caso limite, attraverso cui potrebbe sfuggire qualche grossissima cifra. Caso limite di chi aveva un pacchetto azionario di 500 milioni ed ha acceso un debito di 460 milioni. Vi sono 460 milioni di titoli che entrano nel gioco. Ora, 500 milioni di titoli meno 460 di debito, danno come differenza 40 milioni. In questo caso si sarebbe avuto il beneficio della detrazione del debito dei 460 milioni; inoltre, si avrebbe ancora il beneficio dell’ulteriore detrazione nei limiti della quota presuntiva.
Ora, il Governo non può essere tenuto ad usare agevolazioni nei confronti di coloro che hanno maliziosamente acceso dei debiti per sottoscrivere al prestito, perché il suo scopo era di chiamare a contributo la ricchezza liquida, che era in possesso dei sottoscrittori.
Il gravare sull’apparato bancario e sulla circolazione, certamente non rientrava nelle intenzioni del Governo.
Se una interpretazione letterale di coordinate disposizioni di legge non risulta sufficiente per respingere la detrazione di questi debiti, cerchiamo almeno di adottare delle formule che non significhino creare ulteriori vantaggi. In concreto, io vorrei suggerire che il proposto emendamento venisse trasformato in questo ordine di idee: qualunque sia il limite di cifre, oltre il quale non c’è più l’agevolazione, tale limite sia determinato, solo a questo scopo specifico, tenendo conto anche dell’ammontare dei titoli, perché solo così si riesce ad evitare che si concedano agevolazioni anche a chi ha posto in essere qualche grosso indebitamento a scopo di evasione.
PRESIDENTE. Faccio presente all’Assemblea che è necessario giungere ad una soluzione. Prospetto l’opportunità che la Commissione, insieme con i proponenti degli emendamenti, si riunisca e cerchi di pervenire ad un accordo, sia pure relativo.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. La difficoltà in cui si trova la Commissione è notevole. Da sabato ad oggi sono stati presentati emendamenti che allargano la base del problema, e la Commissione deve trovare una soluzione seduta stante. Ciò presenta notevoli difficoltà.
Detto questo, credo di poter chiarire all’onorevole Ministro delle finanze che questa preoccupazione dei debiti l’ha avuta anche la Commissione. Ma ad un certo punto l’ha superata mettendosi da un punto di vista più generale, cioè queste speculazioni, che si sono risolte nel contrarre un debito per sottoscrivere al Prestito, riguardano i grossi patrimoni. Se noi stabiliamo il limite di 50 o 100 milioni, noi in un certo senso mettiamo fuori causa queste speculazioni, perché per queste speculazioni non applichiamo più la detrazione.
Per i piccoli patrimoni, che hanno bisogno di questo vantaggio perché hanno avuto una perdita secca sottoscrivendo al prestito, manteniamo l’agevolazione.
Credo che, votando il testo della Commissione, non si commettano errori e si stabilisca una perequazione tra le varie posizioni.
Pregherei, quindi, di mettere in votazione il testo così come è stato presentato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Piemonte. Ne ha facoltà.
PIEMONTE. Io sono sorpreso dalla facilità con cui si passa da 50 a 100 milioni. E sono anche sorpreso dal fatto che fra la proposta della Commissione e quella che ha esposto il Ministro delle finanze c’è una profonda differenza.
Propongo che si sospenda la seduta per qualche minuto, in modo che il Governo e la Commissione possano mettersi d’accordo.
FUSCHINI. Concordo con l’onorevole Piemonte.
LA MALFA, Relatore. Ma siamo già d’accordo.
PRESIDENTE. Mi pare che si sia giunti ad un punto in cui si possa passare alla votazione.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Mi dispiace, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, di dover interloquire così spesso, ma ritengo che la questione sia veramente importante e credo che possa essere risolta ponendola nei termini seguenti. Quello che può turbare la bontà del limite – a parte la considerazione della elevatezza della cifra – è l’introduzione dell’elemento pericoloso dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.
Io vorrei pregare che, magari, si elevi la cifra, ma che ai fini di questo limite, non si ammettano in detrazione i debiti contratti per la sottoscrizione del prestito.
TOSI. È ingiusto, ed è contrario all’articolo 22!
PELLA, Ministro delle finanze. Prego quanti sono fautori della detrazione del debito di tener ben presente che qui siamo su un campo accessorio.
Agli effetti del bonifico sulla quota presunta del danaro, depositi e titoli di credito al portatore, insisto di non detrarre i debiti contratti per sottoscrivere il prestito.
Soltanto per questa via si arriva ad eliminare l’inconveniente cui ho accennato.
Naturalmente il Governo si rimette a quello che decide l’Assemblea; ma desidero che resti traccia, nel verbale della seduta, che il Governo si è fatto carico di questa situazione.
PRESIDENTE. Dovrei allora mettere in votazione il testo proposto dalla Commissione.
PIEMONTE. Vi è la mia proposta di sospensione.
PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, lei fa una proposta formale?
PIEMONTE. Sì.
PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la proposta dell’onorevole Piemonte di sospendere la seduta per qualche minuto, onde giungere alla compilazione di un testo concordato.
(È approvata).
(La seduta, sospesa alle 18.45, è ripresa alle 19.10).
Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.
LA MALFA, Relatore. A nome dei colleghi della Commissione, insisto sul testo proposto dalla Commissione stessa, che, a nostro giudizio, è quello che risolve meglio la questione.
Il Governo può accettarlo o chiedere la sospensiva.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Per la controversia che stiamo dibattendo esistono due ordini di questioni; una relativa alla detraibilità dei debiti accessi appositamente per sottoscrivere al prestito; l’altra relativa ai limiti della detraibilità dalla quota presunta, cioè relativa alle agevolazioni da dare ai sottoscrittori al prestito.
Se ho ben compreso, l’ultima proposta della Commissione implicitamente significa ammettere in detrazione i debiti accessi per la sottoscrizione al prestito.
È questo che veramente rende perplesso il Governo. Quando ci si dice che in sostanza tutto ciò rientra nel sistema di tassazione del patrimonio netto, vorrei rilevare che appunto in questo momento noi stiamo redigendo la legge che deve regolare questa imposta e quindi non vi è nulla di prefissato che ci impedisca di esaminare la questione alla luce della giustizia e – vorrei aggiungere – anche alla luce della morale.
Non è la prima volta che in sede tributaria determinate detrazioni sono subordinate a che la contropartita attiva sia assoggettata al tributo. È vero che questo concetto trova applicazione nel campo delle imposte reali, mentre qui ci troviamo in sede di imposta personale, ma non è chi non veda come ragioni di giustizia richiederebbero che, se detrazione vi è per un debito acceso allo scopo di acquisire un determinato cespite, quel cespite sia pure acquisito all’imposta.
Qui ci troviamo invece davanti a debiti che sono stati accesi per acquisire un cespite che è sottratto all’imposta.
Né si venga a dire che con questo noi violiamo la legge di emissione del prestito. Protesto nella forma più vibrata e – vorrei aggiungere – nella forma più solenne contro affermazioni di questo genere. Lo Stato in questo momento, qualunque sia la soluzione che sarà adottata dall’Assemblea in ordine alla detraibilità dei debiti, non viola alcun impegno. E questo desidero che l’Assemblea senta e, con l’Assemblea, lo senta anche il Paese.
Il decreto di emissione del prestito conteneva un impegno; quello di esentare il titolo dall’imposta. Questo impegno è solennemente mantenuto!
Ora, in ordine alle determinazioni che l’Assemblea dovrà prendere per decidere sulla detraibilità o meno dei debiti, mi si consenta di ricordare la fisionomia assunta dalle sottoscrizioni al prestito. Le statistiche ci hanno detto che larghissime affluenze si sono avute da parte di piccoli sottoscrittori – quelli che non avevano un interesse fiscale alla sottoscrizione – mentre invece sappiamo che molte grosse sottoscrizioni sono state effettuate proprio calcolando l’onere dell’imposta a cui ci si poteva sottrarre. Ed è su questa situazione di fatto, che non può non influire sull’atteggiamento che dovremo tenere nel decidere sulla detrazione o meno, che io desidero richiamare in questo momento l’attenzione degli onorevoli colleghi, pur senza cercare di influenzare la loro decisione.
Il Governo preferirebbe che questa questione così delicata non venisse decisa con una votazione di maggioranza, che probabilmente sarebbe votazione di stretta maggioranza.
Non dispero che, assieme alla onorevole Commissione, si possa trovare la via soddisfacente per tutti. Qualche passo in avanti è stato fatto nel breve intervallo di sospensione della seduta; probabilmente prima della prossima seduta la soluzione si troverà.
Per questo mi associo alla richiesta di sospensione della discussione di questo articolo formulata dal Relatore.
PRESIDENTE. Siamo dunque di fronte ad una proposta di sospensiva di questo articolo 27.
BERTONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Desidero manifestare ben chiaramente il mio pensiero, perché quando la Commissione e il Governo avessero concordato la proposta da portare all’Assemblea, forse sarebbe difficile ritornare sulla questione.
Voglio parlare brevissimamente soltanto sul punto della detrazione dei debiti contratti per sottoscrivere al prestito.
Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità di questa questione, che ho avuto occasione di sentire nel momento in cui nasceva, quando cioè, nella mia qualità di Ministro del tesoro, mi recai nelle più grandi città d’Italia a far propaganda per il prestito. Fui allora avvertito, da persone di altissima responsabilità, nelle città più importanti per la finanza, per il commercio e per l’industria, che si stava organizzando su larghissima scala l’evasione dall’imposta sul patrimonio mediante la creazione di riporti fittizi, di anticipazioni fittizie e di mutui fittizi presso istituti di credito. (Approvazioni a sinistra).
Dunque questo addebito non poteva certamente riferirsi né ai piccoli né ai medi risparmiatori, che hanno fatto onore alle loro tradizioni come risulta dalle cifre statistiche che abbiamo sentito, in questa Assemblea, esporre dal Ministro del bilancio in risposta ad una precisa domanda. Questi appunti e questi addebiti vanno invece riferiti alle grandi classi abbienti, use alle grandi operazioni finanziarie, sulle quali è difficile poter gettare lo sguardo a fondo, perché nessuna indagine anche fiscale riesce a penetrare nel fondo di queste operazioni.
Orbene, io mi chiedo se si possa ammettere, se si ragiona con il buon senso e seguendo la rettitudine e la moralità, che vi sia stato qualcuno che abbia contratto debiti presso una banca od un istituto di credito qualsiasi, debiti correnti ad un interesse che non può essere stato inferiore al 7 o all’8 per cento, per investire somme in un titolo che gli rendeva il 3,50 per cento. (Commenti).
MARINARO. Ma c’era il vantaggio del prestito!
BERTONE. Domando se sia ammissibile che si sia contratto un debito che doveva essere pagato in quattro o sei mesi al massimo per ricevere un titolo che sarà pagabile fra trent’anni; se sia ammissibile che si sia contratto un debito da pagarsi al cento per cento per ricevere un titolo che nei corsi di borsa avrebbe perduto parte del suo valore nominale.
Può essere avvenuto che operazioni di tal genere siano state fatte. Io, personalmente, manifesto la mia opinione che queste operazioni non possono essere che fittizie, perché una persona di buon senso, si sarebbe regolata in tutt’altro modo, non certo ricorrendo a prestiti fatti sotto forma di riporti o di anticipazioni o di mutui bancari.
Poiché nell’articolo 22 sta scritto che tutti i debiti contratti esistenti all’epoca del 28 marzo 1947 possono essere detratti, se non si esclude il debito che fu contratto per sottoscrivere al prestito della ricostruzione, noi veniamo a inferire una ferita sanguinosa al fianco di questo prestito. A questa manovra dichiaro assolutamente di non prestarmi. (Vivi applausi).
Perciò, se la Commissione rinuncia all’emendamento, lo faccio mio; domando, cioè, che sia posto in votazione il testo integrale inizialmente proposto dalla Commissione per l’articolo 27, salvo la parte riguardante la detrazione circa la quota presuntiva, al cui proposito vi è una nuova proposta dell’onorevole La Malfa sulla quale non ho nulla da dire. Ma ciò che intendo precisare è la posizione che credo necessario assumere circa i debiti contratti per sottoscrivere al prestito della ricostruzione.
PRESIDENTE. Pongo innanzitutto ai voti la proposta di sospensiva.
(Non è approvata).
Comunico all’Assemblea il seguente emendamento fatto pervenire ora alla Presidenza dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro:
«Aggiungere alla fine del primo periodo dell’articolo 27: Se il Prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo quando esso superi i 50 milioni».
Pongo ora in votazione la formulazione del comma, proposta dalla Commissione, che aggiunge alla fine del testo ministeriale le parole: «nei limiti della quota presuntiva».
(È approvata).
Passiamo ora all’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.
DUGONI. Chiedo che l’emendamento sia votato per divisione.
PRESIDENTE. D’accordo. Si voterà prima fino alle parole «patrimonio lordo» e successivamente la proposizione finale «quando esso superi i 50 milioni».
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Sono estremamente sensibile alle considerazioni di ordine morale dell’onorevole Bertone, le quali, in sostanza, si riducono alla supposizione di debiti fittizi per sottoscrivere al prestito.
Ora, in realtà, da che mondo è mondo, nessuno ha mai potuto sostenere che in occasione di imposte sul patrimonio o di qualsiasi altra imposta, a questo riferentesi le passività, che sono sempre deducibili, possano essere passività fittizie.
Fiscalmente, giuridicamente e secondo anche il senso comune, una passività per essere deducibile deve avere certe determinate caratteristiche di verità e di dimostrabilità. Ma una volta che questa dimostrazione sia stata data e, nel caso particolare, sia stato garantito che chi sottoscriveva era, per la parte del patrimonio impiegata nella sottoscrizione, esente dall’imposta è, secondo me, una cosa abbastanza analoga alla truffa quella di sostenere che dalla entità di un patrimonio non si deducono le passività fatte per sottoscrivere e tutte le passività in genere, qualunque sia il motivo per cui le passività sono state contratte. E quando dal banco del Governo sento sostenere questo sofisma e questo gioco di parole, che il Governo mantiene il suo impegno, perché tiene ferme le esenzioni dall’imposta relativamente al titolo, ma non ammette la detrazione del debito acceso per avere il denaro che abbia servito per acquistare il titolo, si tratta di un volgare gioco di parole.
Mi dispiace di usare una espressione così grave, ma è un gioco di parole il quale è estremamente pregiudizievole per il credito dello Stato.
Se non si ammette la detrazione del debito contratto per sottoscrivere e si colpisce il patrimonio senza la detrazione di questa cifra, in realtà si colpisce obiettivamente il titolo, che per legge è stato dichiarato esente e quindi si viene meno all’impegno solennemente contratto, il che torna a grave pregiudizio del credito dello Stato.
Può darsi benissimo che non sia stato nell’intendimento del Governo, come si è espresso l’onorevole Pella, che suggerendo di sottoscrivere non si sia suggerito di far anche debiti per sottoscrivere. Ma non era neanche nell’intendimento dei sottoscrittori che avendo sottoscritto e pagato una determinata cifra hanno constatato dopo poche settimane la caduta di questo titolo a 72-73 lire, di fare una perdita secca di quella entità.
Personalmente la cosa non mi interessa né punto, né poco, ma dal punto di vista del credito dello Stato la trovo straordinariamente grave e soprattutto trovo grave che dal banco del Governo si facciano dei giochetti di parole e si dica che non si ammette la detrazione, ma si mantiene la esenzione del titolo. Questo non è serio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Devo evidentemente respingere l’apprezzamento dell’onorevole collega. Non vado oltre quei limiti che sono sufficienti per difendere le intenzioni del Governo e per difenderne la lealtà, ma sino a quei limiti, e non oltre, la mia protesta non può che essere vibrata. Quando noi affermiamo la esenzione del titolo del 3 1/2 per cento, noi rispettiamo in pieno quello che è l’impegno del decreto di emissione. Tutto il resto è discussione sul principio se l’imposta straordinaria sul patrimonio debba colpire quel patrimonio che risulta dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi e passivi o soltanto quel patrimonio residuante dalla somma algebrica di tutti gli elementi attivi soggetti dell’imposta e di tutti gli elementi passivi che hanno concorso a formare i cespiti tassabili.
Ricordiamoci bene che la detrazione di cui parliamo è la detrazione che non ha il corrispettivo in un cespite tassabile. Devo anche qui – mi perdoni l’onorevole collega – deplorare che amore di tesi, sia pure con la più innocente delle intenzioni, porti ad affermazioni che non possono che essere troppo gravi. Poiché si pone in discussione la lealtà dello Stato nell’adempiere ai propri impegni, impegni che invece sono osservati scrupolosamente, mi permetta l’Assemblea di respingere nel modo più vibrato simili affermazioni. (Applausi al centro).
Voci. Basta! Basta!
LA MALFA, Relatore. Non credo che basti, e noi abbiamo il dovere di stabilire a questo punto le responsabilità rispettive. La prima responsabilità delle condizioni in cui è stato emesso il prestito risale al Ministro Bertone e non può essere colmata da nessun’altra supposizione. Mi è d’uopo dire ciò per lealtà verso il Paese e verso l’Assemblea. Il Ministro Bertone ed i suoi consulenti non hanno calcolato tutte le condizioni alle quali hanno emesso il prestito.
BERTONE. Dite «il Governo», non «il Ministro Bertone».
LA MALFA, Relatore. Affermo appunto una responsabilità del Governo, del Ministro Bertone, del Governatore e del Direttore della Banca d’Italia, e la stabilisco pubblicamente, perché quando sono stato interpellato sul prestito, ho dichiarato che non si può emettere un prestito concedendo agevolazioni su due provvedimenti – cambio della moneta ed imposta – che non sono stati concretamente emanati. Nessun Governo può emettere un prestito dichiarando di favorirlo circa l’imposta patrimoniale e il cambio, senza aver detto ai possibili sottoscrittori che cosa sarà l’imposta e che cosa sarà il cambio.
Si tratta di una svista tecnica fondamentale. Conseguenza: se un sottoscrittore, fa i suoi conti e calcolando la progressività delle aliquote, maschera il suo patrimonio attraverso il debito, era dovere del Governo di prevedere il caso e dire: «Nella emissione del prestito, al di là di un limite patrimoniale, non consento l’esenzione del prestito della ricostruzione»; e il Governo doveva sapere di aver a che fare non soltanto con i piccoli risparmiatori, ma anche con coloro che hanno un grosso patrimonio e vogliono fare attentamente i loro calcoli.
FABBRI. E lo doveva dire prima!
LA MALFA, Relatore. Giusto: e lo doveva dire prima. È avvenuto quello che la Commissione ha accertato. Fatti i calcoli su aliquote che erano state più o meno pubblicate, i grandi possessori di patrimonio si sono coperti per mascherare il loro patrimonio. Il Governo in quel momento non ha detto a nessuno quali erano le condizioni ed ha permesso questa speculazione e direi che l’ha, in quel momento, legalizzata. (Interruzione dell’onorevole Bertone). La Commissione ha dovuto esaminare il problema ed ha rilevato che, attraverso l’emissione del prestito, è stato consentito, a possessori di grandi patrimoni, un risparmio che, come dicevo prima, per i patrimoni di un miliardo, si aggira sui 325 milioni di imposta. La Commissione ha dovuto decidere se c’era uno strumento legale per evitare questa speculazione che – badate bene – non è relativa soltanto a coloro che hanno fatto debiti in banca per sottoscrivere il prestito, ma riguarda anche chi ha venduto azioni (se io avevo un patrimonio di un miliardo e vendevo 500 milioni di azioni, guadagnavo 325 milioni di imposta, come colui che ha contratto un debito).
L’Assemblea si trova oggi a dover approvare una disposizione che stronchi a posteriori il movimento speculativo di allora che era legalmente consentito dalle condizioni di emissione del prestito.
FABBRI. Bravo!
LA MALFA, Relatore. Noi, se mai, dobbiamo fissare la responsabilità governativa per avere reso possibile il fatto. Ma non possiamo distruggere un fatto legalmente consentito.
BERTONE. Chiedo di parlare, per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Debbo rispondere al collega, onorevole La Malfa; ed in verità non comprendo questo suo tono polemico, sia contro il Ministro del tesoro, che contro il Governo e contro coloro che hanno lanciato il prestito. Le osservazioni potevano farsi allora e si sono fatte in tutti i campi, da tutte le persone competenti, ed il Governo ha tenuto conto di tutto quello di cui si doveva tener conto.
Si dice: allora il Governo non ha detto che si potessero fare dei debiti per contrarre il prestito. Chi può mai pensare che il Governo dovesse dire una cosa simile? Il Governo lancia un prestito: chi vuole sottoscriverlo, lo sottoscrive nel modo che egli crede, vendendo, utilizzando i suoi risparmi, contraendo debiti. (Approvazioni). Questa non è cosa di cui si deve occupare il Governo. Ma ciò che mi meraviglia, soprattutto, è che io ho creduto di prendere le difese delle conclusioni a cui era giunta la Commissione; perciò non comprendo l’accento polemico del collega ed amico La Malfa. Ho fatto mio ciò che aveva concluso la Commissione. Non avevo proposto nessun emendamento in proposito. Quando ho sentito dire le parole della Commissione: «Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo» salvo la variante portata dall’onorevole Dugoni e dall’onorevole Scoccimarro, quando ho sentito il Governo dichiarare, per bocca del Ministro Pella, che accettava tutte le nuove formulazioni proposte dalla Commissione, mi sono eretto a difesa di una conclusione specifica adottata dalla Commissione ed accettata dal Governo. Adesso che io difendo la Commissione, la Commissione, in persona del suo Presidente, accusa me! (Commenti). La Commissione ha rinunciato al suo punto di vista, e può avere i suoi legittimi motivi per rinunciare, ma ciò non toglie che coloro i quali sostengono il punto di vista, in un primo tempo espresso dalla Commissione, abbiano anche ragione in questo loro atteggiamento.
Quindi, io credo che il Relatore ed il Governo non dovrebbero essere malcontenti che vi sia qualcuno nell’Assemblea che difende ciò che esse hanno studiato, elaborato e deciso. Se, in un successivo momento, possono aver mutato opinione, la discussione è sempre preziosa ed utile in questo campo.
Ripeto che sostenendo ciò che ho sostenuto ho creduto di far mio il voto e la decisione cui era pervenuta la Commissione. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
CONDORELLI. Ritengo che dovrebbe avere la precedenza l’emendamento soppressivo.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, lei è proprio sulla linea che è già stata tracciata.
Mettendo in votazione l’emendamento soppressivo, si mette in votazione lo stesso testo. Se l’Assemblea respinge l’emendamento soppressivo, si intende approvato il testo.
Dovrò porre pertanto in votazione per divisione, l’emendamento Dugoni e Scoccimarro, che, nella sua prima parte, è del seguente tenore:
«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione del patrimonio lordo».
BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Dichiaro a nome del Gruppo della Democrazia cristiana che noi voteremo a favore del testo della Commissione.
DUGONI. Ma il testo della Commissione non c’è più!
BERTONE. Se la Commissione non mantiene il suo testo, lo faccio mio.
PRESIDENTE. Ricordo all’Assemblea che la Commissione è tornata al testo governativo, rinunciando al suo emendamento, che viene ripreso nella prima parte dell’emendamento proposto dagli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.
BERTONE. Preciso allora che il Gruppo della Democrazia cristiana voterà a favore della prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro e contro la seconda.
MARINARO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINARO. Dopo tutto quello che è stato detto in proposito, io mi limito a far presente all’Assemblea che la prima parte dell’emendamento Dugoni-Scoccimarro è in pieno, assoluto ed inconcepibile contrasto con l’articolo 22, che l’Assemblea ha già approvato, il quale stabilisce che tutti i debiti a carico del contribuente – di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza – sono esclusi dalla tassazione. Pertanto voterò contro.
CANEVARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANEVARI. Dichiaro a nome del mio Gruppo che noi voteremo a favore della prima parte e contro la seconda parte dell’emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro.
(È approvata).
Si dovrà ora passare alla votazione sulla seconda parte dell’emendamento; «quando esso superi i 50 milioni».
DUGONI. Ritiro la seconda parte dell’emendamento. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Gli altri emendamenti si intendono assorbiti. Segue il comma proposto dalla Commissione:
«Ai fini della disposizioni contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero».
Su questa seconda parte dell’articolo 27 sono stati presentati due emendamenti dagli onorevoli Condorelli ed altri.
CONDORELLI. Si possono intendere ritirati.
PRESIDENTE. Pongo allora ai voti il comma proposto dalla Commissione.
(È approvato).
Segue l’emendamento dell’onorevole Bubbio, che il proponente ha così definitivamente formulato:
«I titoli del prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».
La Commissione ed il Governo dichiarano di accettare tale formulazione.
La pongo ai voti.
(È approvata).
L’articolo 27, dopo gli emendamenti approvati, si intende approvato nel seguente testo:
«Il contribuente che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della ricostruzione 3,50 per cento e di essere ancora in possesso dei relativi titoli alla data del 28 marzo 1947, ha il diritto di ottenere che l’importo dei titoli stessi sia, al prezzo di emissione, portato in detrazione dal danaro, depositi e titoli di credito al portatore, accertati nel suo patrimonio a mente degli articoli 25 e 26, nei limiti della quota presuntiva.
«Se il prestito è stato sottoscritto contraendo un debito, questo non è ammesso in detrazione dal patrimonio lordo.
«Ai fini della disposizione contenuta nel comma precedente, il contribuente deve presentare l’elenco dei titoli, con l’indicazione del taglio e del numero.
«I titoli del Prestito della ricostruzione sottoscritti dalla moglie o dai discendenti potranno essere computati a favore del marito o degli ascendenti nei casi di coacervo obbligatorio, di cui all’articolo 3».
Passiamo allora all’articolo 28.
Voci. Rinviamo a domani!
PRESIDENTE. Prego i colleghi di tener presente che, se sospendiamo il nostro lavoro, il disegno di legge non potrà essere approvato entro la settimana, perché saremo distratti da tanto altro lavoro.
PELLA, Ministro delle finanze. Non so se la proposta avrà successo. Cosa ne penserebbero la Presidenza e gli onorevoli colleghi, se si facesse per questa imposta qualche seduta serale? (Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Micheli. Ne ha facoltà.
MICHELI. Io credo che si possano anticipare le sedute di qualche ora, ma non fare sedute notturne. Bisogna tener presente che il giorno in cui si fa una seduta notturna non è possibile fare tre sedute consecutive.
Vi è poi un’altra ragione: bisogna tener presente il personale di segreteria che assiste alle sedute, gli stenografi, i resocontisti, il personale dell’Aula: come è possibile che tutta questa brava gente resista, salvo casi eccezionali, per tre sedute continuative?
Bisognerebbe attuare un turno e, come è noto, non abbiamo sufficiente personale per farlo. Noi soli, quando siamo stanchi di ascoltare o quando abbiamo fatto il nostro discorso o la nostra interruzione, usciamo fuori e ci possiamo riposare o distrarre.
Il Presidente comprenderà le altre ragioni che sconsigliano le sedute notturne, salvo casi straordinari, ed io più oltre non mi dilungo.
PRESIDENTE. Lei, dunque, è contrario, onorevole Micheli.
MICHELI. Senza dubbio.
PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze propone una seduta notturna alle ore 21, dopo la sospensione di un’ora?
PELLA, Ministro delle finanze. No, non per oggi.
PRESIDENTE. Ma l’andamento delle sedute future non dipende da una eventuale nostra decisione odierna. La proposta di una seduta notturna si porrà al momento opportuno.
BUBBIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BUBBIO. Desideravo riprendere la giusta proposta già fatta da altri colleghi di invitare la Commissione a convocare i presentatori di emendamenti, per portare qui un lavoro già finito od almeno abbozzato.
PELLA, Ministro delle finanze. Mi ero permesso di presentare la proposta relativa alle sedute serali, non per suggerire all’Assemblea di tenere tre sedute al giorno, ma per tenerne ugualmente due. Accade infatti che la mattinata è spesso impegnata per il lavoro delle Commissioni e risulta anche molto utile per la Commissione di finanza ai fini dell’esame dei diversi emendamenti. Essa inoltre potrebbe anche servire alla persona che vi parla, perché francamente non si sa più come mandare avanti il lavoro ministeriale. Anche per questo, cioè per venire incontro alle necessità del Ministero, vi prego di impegnare il Ministro nelle ore serali.
PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la questione non è in discussione adesso, ma lo sarà nella prossima seduta. Aggiungo che si potrà rimanere d’accordo, come è stato già fatto presente, perché la Commissione si convochi, insieme con il Ministro e con i presentatori di emendamenti, per presentarsi alla prossima seduta con un testo già stabilito.
Passiamo dunque all’esame dell’articolo 28.
Ricordo che la Commissione ha proposto la soppressione dell’articolo 28 del progetto ministeriale, così formulato:
«Dal patrimonio netto è ammesso in detrazione l’importo di un ventesimo per ogni figlio, con il massimo di lire 300.000. Per i figli premorti, la detrazione è ammessa a condizione che esistano eredi chiamati a succedere per rappresentanza».
Non essendovi osservazioni, la soppressione si intende approvata.
Si passa all’articolo successivo, che, nel testo della Commissione, diviene il 28. Se ne dia lettura.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Sono soggetti all’imposta i contribuenti il cui patrimonio imponibile, al lordo della detrazione stabilita nel comma successivo, raggiunga il valore di lire 3.000.000.
«Dal patrimonio imponibile si detrae la somma di lire 2.000.000.
«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa un’ulteriore detrazione pari a un ventesimo, con un massimo di lire 250.000 per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni. La detrazione stessa non sì applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire.
«L’ammontare della detrazione è calcolato sul patrimonio di ciascun figlio ai fini dell’imposta straordinaria».
PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.
Vi sono innanzi tutto i tre seguenti:
«Al primo comma, alle parole: valore di lire 3.000.000, sostituire le altre: valore di lire 5.000.000».
Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.
«Al secondo comma, alle parole: si detrae la somma di lire 2.000.000, sostituire le altre: si detrae la somma di lire 3.000.000».
Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano.
«Aggiungere in fine le parole seguenti: Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico le aliquote suddette vengono ridotte alla metà».
Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano».
L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli contemporaneamente.
PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, ho presentato, insieme con altri colleghi, tre emendamenti all’articolo 28 e vorrei in breve svolgerli contemporaneamente, anche perché il primo e il secondo si integrano a vicenda.
Gli emendamenti in oggetto si chiariscono e si raccomandano da se stessi; ragion per cui avrò bisogno di brevi osservazioni per illustrarli. Con il primo si propone che il minimo imponibile fissato dal progetto e accettato dalla Commissione, in lire 3 milioni, sia elevato a 5 milioni.
Noi parliamo di milioni; e, adoperando questa locuzione, crediamo immediatamente, con la memoria al passato, di alludere a cifre, a sostanze vistose. Ma dobbiamo purtroppo un po’ smobilitare la nostra mente e soprattutto confinare in soffitta il ricordo di ciò che i milioni valevano in passato. Riconoscere, come la legge fa, un minimo imponibile di soli tre milioni, significa colpire in maniera drastica e crudele la piccola proprietà, la piccola proprietà immobiliare; con conseguenze particolarmente gravi nel Mezzogiorno, dove vi sono zone nelle quali la proprietà immobiliare risulta letteralmente polverizzata; la piccola proprietà che costituisce la garanzia e tutto il fine della vita di tanti impiegati, operai, coltivatori diretti, dei rappresentanti, in genere, di quel ceto medio, di cui sempre si tesse l’elogio, ma che poi, viceversa, con questa legge si tenderebbe a colpire. Tre milioni, oggi, pur tenendosi presente un coefficiente molto relativo, corrispondono, sì e no, ad un centinaio di migliaia di lire anteguerra; forse anche a qualche cosa di meno, e di notevolmente meno. Si tratta, quindi, in sostanza, della casetta, del piccolo appartamento, molte volte comperato con danaro prebellico o con danaro avente altro valore, stentatamente, anno per anno, da soggetti che non dispongono di liquido, di altre risorse, e che oggi, vedendosi colpita la casa, o dovrebbero venderla, dandola in pasto ai borsa-neristi o a coloro che comunque con la speculazione hanno profittato delle contingenze eccezionali nelle quali abbiamo vissuto, oppure dovrebbero ricomprarsela con nuovi e drammatici sacrifici.
È doveroso, quindi, elevare questo minimo imponibile. Si tratta, ripeto, mantenendosi nei limiti dei tre milioni, del podere, del fondicello del coltivatore diretto, il quale ugualmente, come l’impiegato, come il risparmiatore che avesse comperato la sua casa, il suo appartamento, si troverebbe di fronte al tragico bivio o di vendere o di trovare, attraverso lo strozzinaggio, il modo come ricomprarsi il fondo, pagando somme molto elevate, ciò che egli ha invece pagato col sudore della sua. fronte, attraverso un lungo sacrificio di anni.
Il secondo emendamento è la conseguenza del primo. Elevandosi il minimo imponibile, è giusto che si elevi ugualmente la misura della detrazione consentita dalla legge.
L’ultimo emendamento: «Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico, le aliquote suddette vengono ridotte alla metà», costituisce esattamente l’applicazione del principio che è stato fissato e approvato con l’ultima parte dell’articolo 10 della legge, articolo che abbiamo precedentemente discusso. Il principio fissato con l’ultima parte del richiamato articolo 10 è che bisognerà procedere, in sede di valutazione degli immobili urbani, ad una discriminazione fra immobili urbani soggetti a regime vincolistico e immobili urbani non soggetti a regime vincolistico.
Ora sembra a me che aver fissato questo principio sia men che nulla, se poi non lo concretiamo con un precetto preciso il quale valga a chiarire ed a mettere in sicura efficienza la bontà del principio stesso.
Che cosa significa discriminazione? Significa lasciare agli organi del fisco la possibilità di valutare ad libitum la differenza, e quindi diversamente, ma non in modo specifico, l’immobile soggetto a regime vincolistico.
Il nostro emendamento precisa che per il patrimonio in prevalenza costituito da immobili soggetti al regime vincolistico la discriminazione debba attuarsi nel senso che le aliquote relative a quei patrimoni debbono essere ridotte alla metà. Ciò è doveroso e giusto ed io confido che l’Assemblea, dandosene conto, lo disponga.
PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo camma, alle parole: il valore di lire 3.000.000, sostituire le parole: il valore di lire 5.000.000».
L’onorevole Rescigno non è presente, si intende quindi che abbia rinunciato a svolgerlo.
PERRONE CAPANO. È esattamente quello che ho svolto io.
PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire al primo comma la cifra: 3.000.000, con la cifra: 5.000.000, ed al secondo comma la cifra: 2.000.000, con la cifra: 3.000.000».
L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
BOSCO LUCARELLI. L’emendamento mio è identico a quello svolto dall’onorevole Perrone Capano: si propone la difesa della piccola e della media proprietà; ed anche l’aumento della cifra di detrazione del patrimonio imponibile mira alla difesa della piccola proprietà perché un milione in meno o in più non influisce molto su un grande patrimonio, ma su un piccolo patrimonio influisce moltissimo.
Dichiaro in ogni caso di parlare a nome mio personale.
PRESIDENTE. L’onorevole Paris ha presentato, insieme con gli onorevoli Piemonte, Preziosi, Tonello, Ghislandi, Corsi, Gullo Rocco, Segala, Preti, Grilli, Caporali, Canevari e Bocconi, il seguente emendamento:
«Sostituire il terzo e. quarto comma con i seguenti:
«Dal cumulo dei cespiti che costituiscono un patrimonio familiare, al netto ciascuno della detrazione fissa di 2.000.000, è ammessa una ulteriore detrazione pari a un ventesimo per ogni congiunto dei contribuenti fino al secondo grado in linea diretta ascendente, discendente e laterale, purché alla data del 28 marzo 1947 convivessero con la famiglia e per coloro che alla stessa data avevano compiuto i 21 anni e prestassero inoltre la loro opera nella gestione del patrimonio. La detrazione non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione dei 2.000.000, superi gli 8.000.000.
«L’ammontare della detrazione è suddiviso proporzionalmente tra i patrimoni dei singoli contribuenti».
L’onorevole Paris ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
PARIS. È naturale che, dopo approvato l’articolo 10, non si concepisce più quest’imposta patrimoniale pura, perché nell’articolo 10 si tien conto, per la tassazione dei fabbricati, di quelli soggetti a regime vincolistico e di quelli non soggetti a tale regime. Del resto, per l’articolo 7, le collezioni artistiche sono esentate perché non danno nessun reddito.
Quindi l’imposta sul patrimonio è connessa con la capacità redditizia di questo patrimonio.
Vi sono ancora in Italia – ed in modo particolare in Alto Adige – delle famiglie patriarcali. Vige colà ancora la legge del «maso» chiuso, che è un patrimonio concepito come una unità inscindibile. Ma su questo patrimonio, anzi, del suo reddito, vivono insieme due, tre, quattro famiglie. Ora nella economia generale, o meglio nel processo dell’eredità, questi «masi» verrebbero suddivisi e quindi non sarebbero soggetti all’imposta sul patrimonio.
Però siccome il reddito è limitato e molti sono gli elementi che costituiscono le famiglie che vivono di questo reddito, è giusto tenerne il debito conto. Non è soltanto il figlio maggiore che eredita, in caso di morte del padre, ma anche i fratelli vivono di quel reddito: ecco perché ho esteso l’esenzione anche ai congiunti laterali.
Oltre che in Alto Adige, anche nelle altre parti d’Italia vi sono famiglie di artigiani e di contadini i quali lavorano insieme e gestiscono tutti insieme il patrimonio. Questo è il concetto che mi ha indotto a presentare l’emendamento. Non è giusto che un patrimonio che dia un determinato reddito sia tassato come un altro, se il reddito del primo è goduto soltanto da una o due persone, mentre nel secondo caso può trattarsi anche di una quindicina di persone.
Il testo della Commissione prevede l’esenzione, ma soltanto per i figli. Ora siccome questi patrimoni formano una unità inscindibile perché non è possibile, specie nei paesi di vallate lontane da centri industriali, dove i figli non possono andare a lavorare, dividere il patrimonio, e solo così i patrimoni si sono mantenuti saldi, io credo che essi, attraverso questa legge, debbano essere favoriti perché su quei patrimoni vivono famiglie numerose. Si tratta, dunque, anche di una misura di giustizia fiscale, anche di un provvedimento che mira a favorire, ad alleggerire dall’imposta queste famiglie numerose.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.
LA MALFA, Relatore. Per stabilire l’equità o meno del punto di partenza della progressiva, secondo me bisogna guardare innanzi tutto all’imposta patrimoniale proporzionale.
L’imposta proporzionale parte col 4 per cento, prendendo a base un minimo imponibile di lire 100.000. Cioè, colui che possiede più di 100 mila lire paga il 4 per cento.
Ora, se vogliamo stabilire, direi, una curva di equità di questa imposta, dobbiamo avere come punto di partenza il 4 per cento. E come vedete le considerazioni, da molti punti di vista fondate del collega Perrone Capano, perdono di importanza. Se il possessore di un patrimonio minimo di 100 mila-150 mila lire paga il 4 per cento, non c’è nessuna ragione che il possessore di un patrimonio di 3 milioni paghi meno del 6 per cento. Perché? Perché se voi calcolate che c’è un abbattimento alla base di due milioni, la progressiva al 6 per cento su un patrimonio di tre milioni sopporta un peso del 2 per cento; più 4 di proporzionale. Chi possiede 3 milioni paga il 6 per cento.
Avete questo andamento dell’imposta. Da 100 mila lire fino a 3 milioni, il 4 per cento; da 3 milioni, il 6 per cento. Quando si discusse, in sede di Commissione, dei rapporti fra le due imposte, io vi confesso che proponevo l’abbassamento di 3 milioni, parendomi più equo. Se io parto dal 4 per cento per i piccolissimi patrimoni non devo aspettare i 3 milioni per arrivare al 6 per cento. Mi pareva perciò che dovessimo andare più in giù dei 3 milioni: e ciò dal punto di vista della giustizia fiscale. Ma c’è un’altra ragione: i tre milioni in Italia si considerano patrimonio irrisorio. Io dico che in Italia, invece, 3 milioni rappresentano, anche con la moneta svalutata, un discreto patrimonio.
PALLASTRELLI. Neanche mezzo ettaro di terreno!
LA MALFA, Relatore. Prego il collega Pallastrelli di dirmi cosa rappresentano 100 mila lire tassate col 4 per cento.
PALLASTRELLI. Le dico una cosa soltanto: che in questo modo, mentre volete difendere la piccola proprietà, la distruggete.
Una voce. Benissimo!
LA MALFA, Relatore. Allora io capirei che la proposta fosse questa: esentare dall’imposta tutti patrimoni fino a 3 milioni. Ma è illogico che io mantenga la proporzionale del 4 per cento fino a 3 milioni. (Interruzioni – Commenti).
Questa storia della piccola proprietà conviene a tutti. Prego di mettersi dal punto di vista non soltanto della piccola proprietà, ma anche delle necessità dello Stato. (Interruzioni – Commenti).
BOSCO LUCARELLI. Lo Stato rimette 20 miliardi all’anno su l’I.R.I.!
LA MALFA, Relatore. Quindi dico che è sembrato più equo a me ed alla Commissione mettere in relazione le due imposte: del 6 per cento su 3 milioni rispetto al 4 per cento al di sotto dei 3 milioni. Non credo che i colleghi che discuteranno la proporzionale vorranno discuterla fino a distruggerla. Ma c’è un’altra ragione ed è questa: noi possiamo applicare un concetto di giustizia tributaria e tassare fortemente i grossi patrimoni, come la Commissione ha fatto alzando le aliquote del Governo e portandole per i grossi patrimoni, fino al 60 per cento. Però è mio dovere dichiarare che la massa del gettito dell’imposta è data in Italia dai piccoli e medi patrimoni. Non esiste nessuna imposta in Italia che non si percepisca sui piccoli e medi redditi. (Commenti). Se voi, onorevoli colleghi, volete percepire le imposte tassando i grossi patrimoni, non avrete un sistema fiscale degno di questo nome, ma un aborto. L’economia italiana è fondata sulla piccola e media proprietà e questa proprietà deve contribuire a pagare le imposte. Se volete applicare una giusta legge fiscale, dovete tassare fortemente i grossi patrimoni, ma non potete esentare i piccoli e medi patrimoni senza annullare il significato tributario di qualsiasi legge.
C’è un’altra ragione ed è data dalla precedente legge del 1920-22, la quale tassava col 4 per cento i patrimoni a partire da 50 mila lire e 50 mila lire di allora sono il 60° dei 3 milioni attuali. Ora, io non credo che la svalutazione monetaria dal 1920-22 sia tale che noi dobbiamo applicare un coefficiente di 60, cioè che per trovare la corrispondenza fra la tassazione del 1920-22 e quella attuale possiamo moltiplicare per 60.
Ritengo, cioè, che questo coefficiente di tassazione sia molto alto. Ecco perché propendevo per l’abbassamento del minimo imponibile dal punto di vista del gettito fiscale. L’imposta del 1920-22 dava il minimo imponibile vicino a 50 mila e non vicino ai grossi patrimoni.
Questo è detto chiaramente nella relazione. La massima parte del gettito dell’imposta del 1920-22 fu data dai piccoli e medi patrimoni, vicini al minimo imponibile. Man mano che alziamo il minimo imponibile annulliamo l’imposta. Possiamo prendere tutto quello che volete ai miliardari, ma senza la tassazione sulla diffusa proprietà annulliamo l’imposta.
Ora, onorevoli colleghi, qui bisogna una buona volta che noi ci decidiamo. Vogliamo una patrimoniale che tassi i contribuenti al fine della difesa della lira? Sì, o no? Se vogliamo che il contribuente sia tassato ai fini della difesa della lira, bisogna che grossi, grandi, piccoli e medi proprietari facciano sacrifici tributari. Se noi non vogliamo questo, allora cancelliamo l’imposta patrimoniale.
Chiedo ai colleghi: con quali provvedimenti essi intendono risanare la moneta?
CRISPO. Non creando una massa di straccioni e di pezzenti!
LA MALFA, Relatore. Trovo che nessun collega abbia risposto al mio quesito. Sento commenti, ma nessuna risposta.
Quando gli onorevoli colleghi e la stampa criticano il controllo del credito, dicono che la patrimoniale tartassa i piccoli e medi, io dico: un Governo che vuol difendere la lira che cosa deve fare?
Ora, guardate, se voi alzate il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, quasi certamente la metà dell’imposta salta. Siccome la Commissione di finanza non può prescindere dal punto di vista fiscale e dal punto di vista antinflazionistico del provvedimento, non può assumersi la responsabilità di esentare la massa dei patrimoni che costituiscono ancora la ricchezza italiana. Ripeto: se andate in campagna voi non mi potete dire che il patrimonio di tre milioni sia per gli italiani una inezia. C’è in Italia una massa di gente che non ha né uno, né due, né tre milioni di patrimonio. Per questa ragione la Commissione respinge tutti gli emendamenti che spostano la base dell’imponibile dell’imposta.
PRESIDENTE. C’è ancora un ultimo emendamento degli onorevoli Crispo, Perrone Capano ed altri, sul quale prego il Relatore di dire il suo pensiero.
LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda il regime vincolistico, la Commissione ha tenuto presente la situazione dei fabbricati in tema di valutazione. Facendo una concessione in quella sede, la Commissione non può farla in sede di aliquota. Si farebbero due concessioni ai proprietari di fabbricati a regime vincolistico: si abbasserebbe una volta la valutazione ed un’altra l’aliquota. È molto più ragionevole che si tenga conto del regime vincolistico in sede di valutazione e che le aliquote si applichino come per tutti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Stampacchia. Ne ha facoltà.
STAMPACCHIA. Il discorso dell’onorevole La Malfa mi dà la sensazione che egli si sia affezionato assai alla posizione di Presidente di questa Commissione fiscale. Egli invero molto candidamente ha confessato che in Italia questa imposta sarà pagata dalle piccole e medie proprietà e non dalle maggiori. (Commenti – Proteste al centro).
Spiego: egli ha detto che, in fondo, i grandi patrimoni – dato il limitato loro numero – non potrebbero fronteggiare le necessità per cui l’imposta viene creata, onde dovranno le proprietà piccole e medie, assai numerose, far fronte a tali necessità. (Rumori).
L’onorevole La Malfa ha ricordato, ad avvalorare la sua tesi, che ciò si verificò pure con la legge del 1922. In proposito, è da osservare che la legge del 1922 sorgeva e si realizzava in condizioni molto diverse dalle presenti.
Infatti l’onorevole La Malfa, e naturalmente la Commissione, solidale col Presidente, dimentica che l’imposta di cui discutiamo faceva parte di un complesso di altri provvedimenti fiscali – ora abbandonati – coi quali si doveva raggiungere il risanamento economico del paese. Fu avulsa da quel complesso, per cui è a codesta imposta patrimoniale che oggi si affida essenzialmente il compito di quel risanamento. E la legge vien presentata ora in termini e clausole di tal natura che si finisce per colpire soprattutto il Mezzogiorno, ove la piccola e media proprietà è diffusissima. (Commenti).
Questa è la verità, se pur dispiaccia sentirla. Ciò si verifica, strano a dirsi, nel momento in cui tutti – uomini e partiti – si dichiarano paladini della piccola e media proprietà e tutti svisceratamente amici del Mezzogiorno, di cui vogliono sollevare le sorti. Fondamento adunque di giustizia ha l’emendamento che vuol portare da tre a cinque milioni il valore dei patrimoni soggetti ad imposta, e da due a tre milioni la detrazione, non tassabile, da farsi su detti patrimoni.
Ai valori attuali, ben minuscolo patrimonio deve considerarsi quello che raggiunga soltanto tre milioni di lire. Un collega, che ha interrotto poco fa il precedente oratore, ha detto che i tre milioni rappresentano mezzo ettaro di terreno. Io non so se ciò sia esatto: so però che da noi, nel Salento, con tre milioni di lire non molto al di là di quanto ha precisato il collega può andarsi. Non è dunque ammissibile che si possa colpire tanto duramente la piccola proprietà inferendo ancora al Mezzogiorno una nuova atroce tortura nel tempo stesso in cui i valori mobiliari, di cui abbonda il Settentrione, godono ogni favore. A tal riguardo voglio ricordare che vi è un emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, col quale si vuole che le società in collettiva vengano esonerate dall’imposta sino al valore di cinque milioni. Dal Governo…
PRESIDENTE. Tale emendamento non è stato presentato su questo articolo.
STAMPACCHIA. Dal Governo, dicevo – e l’onorevole Lombardi me lo ricorda in questo momento – è stato fatto osservare che le predette società, per la legislazione in vigore, sono esonerate del tutto onde quello del progetto in discussione costituirebbe un tentativo di farle rientrare nella legge comune, per cui si è stati costretti ad adottare nei loro confronti, nella legge in discussione, un criterio indulgente di tassazione. Questo non persuade. Per quanto attiene al prestito – di cui si è discusso discutendo il precedente articolo – si è poi creduto giustamente, di poter fare qualche innovazione a quanto annunziato al momento dell’emissione, però scalfendo in misura assai modesta l’esonero dalla tassazione.
PELLA, Ministro delle finanze. Integralmente esente: qui il Governo è irriducibile.
STAMPACCHIA. Ora – checché dica il Ministro – quando si ammette la possibilità giuridica di tassare le società predette, non si comprende poi l’indulgenza nel colpirle, o si capisce anche troppo, essendo ormai chiaro come verso i beni e patrimoni mobiliari il legislatore è di una inverosimile benignità. E invece si colpisce senza pietà alcuna il piccolo e medio proprietario di beni immobili: il proprietario della casetta o del piccolo podere. Anche questa volta il Mezzogiorno deve accollarsi gran parte delle nuove gravezze fiscali; ad essere giusti però, non soltanto il piccolo e medio proprietario del Mezzogiorno, ma in genere la piccola e media proprietà di ogni regione d’Italia. Da Bologna, dalla Confederazione lavoratori della terra, viene infatti rivolto al Gruppo parlamentare del Partito socialista italiano un appello, di cui sono autorizzato a farmi eco. In esso, per quanto attiene all’Emilia, non sono diverse le doglianze di cui ho detto innanzi in rapporto alle condizioni della piccola e media proprietà delle province meridionali. Egli è perciò che non soltanto per mio conto personale, ma pure di compagni meridionali e non meridionali, dichiaro di votare per l’emendamento proposto.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Farò brevemente osservare, a proposito dell’emendamento che tende a portare il minimo imponibile da 3 a 5 milioni, che un patrimonio il quale sia costituito da beni immobili e raggiunga il valore di tre milioni, secondo la legge e secondo gli emendamenti proposti dalla Commissione, paga 60.000 lire rateate in 6 anni. Ora la piccola proprietà, per quanto piccola essa sia, può, a nostro giudizio, sopportare un carico che è stato ridotto al minimo possibile ed è stato rateato in modo da facilitare il pagamento per quei piccoli patrimoni che sono meno liquidi e che si trovano quindi in maggior difficoltà. (Approvazioni a sinistra). Faccio osservare che l’argomento portato dal Presidente della Commissione, circa la necessità di correlazione tra l’imposta patrimoniale progressiva e l’imposta patrimoniale proporzionale ha un leggero difetto, che è stato rilevato dall’onorevole Perrone Capano: noi non abbiamo ancora approvato la parte della legge riguardante l’imposta proporzionale e vi sono forti pressioni da parte dell’opinione pubblica, perché venga modificato il sistema dell’imposta proporzionale.
Ora, a nostro giudizio, l’imposta patrimoniale che colpisce i piccoli patrimoni di 100 mila lire, e che li colpisce con una imposta del 4 per cento, da pagarsi in 10 bimestralità, è vero che è una imposta che deve essere riveduta proprio per salvaguardare la piccola proprietà, la quale, onorevoli colleghi, sarà salvaguardata soprattutto se noi salveremo la lira.
Questo è il concetto dal quale dobbiamo partire. Per salvare la lira noi dobbiamo fare due cose: permettere che le imposte siano pagate con regolarità (e quindi non mettere imposte eccessive), e nello stesso tempo pesare, in modo più efficace, sui grandi patrimoni. Questo ci siamo promessi di fare con la legge che abbiamo sottoposto alla vostra approvazione. Noi chiediamo però di rendere alla piccola proprietà, in questo momento, la vita più facile. Manterremo questo nostro proposito, modificando e votando a favore di modifiche dell’imposta proporzionale. Per l’imposta progressiva noi crediamo che essa debba essere votata nelle grandi linee, come risulta dal testo della Commissione.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Desidero fare una breve dichiarazione che potrà servire anche a scopo di chiarimento. Così come è nelle sue due parti, quella progressiva e quella proporzionale, la legge è nel suo complesso eccessivamente gravosa per le piccole proprietà. Però, il punto dove essa deve essere corretta non è questo, ma quello che riguarda l’imposta proporzionale. In quell’occasione presenterò un emendamento per mitigare il peso che graverebbe sulla piccola proprietà.
TONELLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TONELLO. Rappresento la voce di tanti piccoli proprietari del Veneto, e vi so dire che l’imposta che voi imponete ai piccoli proprietari non è logica. Vi è gente che possiede due o tre campi e che è costretta, per poter vivere, ad andare a lavorare perché altrimenti il pane non basta per tutte le bocche della famiglia. Questa povera gente ha uno strumento meschino. Da noi, con tre milioni non si acquistano nemmeno due ettari di terreno. (Commenti). Non dovete perseguitare questa povera gente, perché non avrà la possibilità di pagare.
Io esprimo l’avviso che si debba tassare il meno possibile e che si tenga conto delle condizioni in cui vive questa gente. Ci sono dei padri che, morendo, hanno lasciato eredità indivise.
Orbene, costoro vivono in queste piccole comunità familiari e perciò figura che vi sia un solo titolare, mentre in realtà sono tre o quattro famiglie che vivono unite. Voi dovete tenere conto di questo perché altrimenti andrete ad affamare di più la povera gente.
Noi vediamo che anche questa gente, che pure possiede qualche cosa, vive di stenti e di fame, specie in quelle zone dove il raccolto è scarso, dove non basta il pane e dove si deve andare a cercare altri lavori supplementari per tirare avanti l’azienda agricola. Come possono pagare questi disgraziati?
È un problema che va quindi meditato.
PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERRONE CAPANO. Vorrei fare osservare che i due argomenti addotti dal Relatore sono privi di consistenza. Il primo si riferisce a quanto è stato stabilito in ordine all’imposta proporzionale; ma l’imposta proporzionale è regolata dagli ultimi articoli della legge che stiamo esaminando e di conseguenza non è stata ancora oggetto della nostra convalida o meno.
Ci riserbiamo in quella sede di dimostrare come gli argomenti addotti dall’onorevole La Malfa non siano accoglibili, giacché anche la proporzionale deve essere riveduta in relazione alle condizioni della piccola proprietà. Quando poi l’onorevole La Malfa ha detto che tutte le imposte patrimoniali in Italia sono state in molta parte fronteggiate e pagate dalle piccole sostanze, dalla piccola proprietà, ha finito per porre il dito su quella piaga che si sta ormai da tempo mettendo a nudo sulla stampa e nelle libere discussioni che riguardano l’imposta patrimoniale. Ha messo in rilievo – in sostanza – la crudeltà e l’ingiustizia profonda di questo balzello, il quale dovrebbe essere pagato – secondo quanto dice il Presidente della Commissione – dalla piccola proprietà, cioè dai coltivatori diretti e dai proprietari delle case normalmente abitate dalla famiglia del proprietario, stroncando, insomma, il ceto medio. Così dicendo l’onorevole La Malfa ha parlato per noi, non contro di noi.
LA MALFA, Relatore. Non ho detto questo. E troppo facile rispondere così!
PERRONE CAPANO. Lei ha detto che queste imposte sono, in generale, pagate dalla piccola proprietà, non che non sono pagate anche dalle grandi proprietà; questo non lo poteva dire. Ma lei ha detto che la massima parte dei patrimoni soggetti all’imposta sono i piccoli patrimoni…
SCOCA. E questa è la verità!
DUGONI. Lei vuole cambiare le statistiche, onorevole Perrone Capano? (Commenti).
PERRONE CAPANO. Io, infatti, riconosco esatto il rilievo del Presidente della Commissione; ma dico che, in quel rilievo, è esattamente la dimostrazione della bontà del nostro assunto. Non si può far pagare la rivalutazione della lira dai piccoli patrimoni, dai coltivatori diretti, da coloro che hanno tanto poco quanto basta per la vita quotidiana. Di conseguenza, mi pare che sia profondamente giusto operare questa modificazione del minimo imponibile, a tutela dei diritti della piccola proprietà ed elevare in favore di tutti la misura della detrazione automatica.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.
CRISPO. Ho chiesto di parlare, perché redattore dei due emendamenti che hanno dato luogo alla discussione attuale, sono più di ogni altro in grado di chiarirne lo spirito e il concetto.
Consentitemi, intanto, una dichiarazione personale. Io sono contro questa legge, perché ritengo che essa costituisca un mal congegnato sistema di norme, inteso a perturbare profondamente l’economia del Paese, senza che possa avere alcuna influenza sul processo di risanamento della lira, del quale tanto si va parlando in quest’aula.
Mi riservo di sviluppare questo concetto quando saremo chiamati a dare il voto per la convalida, della quale, per altro, non riesco a rendermi conto, perché una delle due: o il decreto fu emesso nell’ambito della potestà legislativa delegata al Governo e non c’è bisogno dell’intervento dell’Assemblea, o il Governo ritenne che la materia fosse tecnicamente e politicamente così importante da essere demandata alla deliberazione dell’Assemblea, tanto da richiedere la discussione delle Commissioni, ed in tal caso avremmo noi dovuto deliberare e non essere chiamati ad approvare il fatto compiuto.
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, parli sull’emendamento.
CRISPO. Il concetto dell’emendamento è questo: aumentare il minimo imponibile a 5 milioni significa impedire che un patrimonio di 3 milioni sia gravato, nello stesso tempo, e dell’imposta patrimoniale straordinaria e dell’imposta progressiva; aggravio tanto più notevole per la proprietà edilizia, soggetta a regime vincolistico, in quanto essa fu già assoggettata al prezzo politico della casa, pagando così già un’imposta del 16 per cento. Ed è davvero odioso che a danno del Mezzogiorno d’Italia, cui si levano sempre inni in quest’Aula, oggi ci si irrigidisca e si voglia colpire, soprattutto, la piccola proprietà. (Applausi – Commenti).
Per questa ragione sostengo il mio emendamento.
BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOSCO LUCARELLI. Ho presentato anche io un emendamento in questo senso; ma, se un termine medio potesse rappresentare l’avvicinamento delle due tesi, proporrei di stabilire il limite dei patrimoni non tassabili a 4 milioni, nella speranza che questa mia proposta possa trovare consenzienti anche i presentatori dell’altro emendamento.
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Parlo a titolo personale per dichiarazione di voto; ma, se ne avessi l’autorità, vorrei richiamare l’Assemblea a un senso di responsabilità cui già l’hanno richiamata altri oratori di vari partiti. Se noi non vogliamo rendere impossibile la vita dello Stato, badiamo bene a quello che facciamo. (Approvazioni).
L’onorevole Pallastrelli, quando ha detto che tre milioni rappresentano il valore di mezzo ettaro, ha detto una cosa assolutamente contraria alla verità: io sono della Lombardia, dove i terreni sono fertili, e posso assicurarvi che in Lombardia, dove i terreni hanno un valore molto elevato, con tre milioni non si compera mezzo ettaro, ma si comperano sei o sette ettari. (Approvazioni – Commenti). Questa è la verità.
All’altra osservazione dell’onorevole Perrone Capano, quella cioè secondo cui la massima parte delle imposte sono pagate dalla piccola e dalla media proprietà, rispondo che ciò non dipende dal fiscalismo, ma dalla costituzione del patrimonio nazionale. Se noi andiamo all’assurdo, onorevole Perrone Capano, in un Paese in cui tutta la proprietà fosse piccola o media, nessuno dovrebbe pagare.
Quanto poi alla preoccupazione dell’onorevole Tonello circa la questione dei patrimoni indivisi, mi permetto di ricordarvi che la questione è regolata dall’articolo 4 della legge. La tassazione avviene dunque a norma del Codice civile e nel caso da lui fatto, del patrimonio lasciato da un padre di dieci figli, i figli pagano per un decimo del patrimonio, anche se non formalmente diviso.
Per queste considerazioni io, personalmente, dichiaro di votare contro l’emendamento.
PRESIDENTE. Dovrei ora invitare il rappresentante del Governo a pronunciarsi su questa questione. Faccio però osservare all’onorevole Ministro e all’Assemblea che c’è una richiesta di appello nominale. (Commenti).
DUGONI. È giusto: bisogna che ciascuno assuma le proprie responsabilità. (Rumori).
PRESIDENTE. Ora, se procediamo alla votazione per appello nominale, difficilmente si raggiungerà il numero legale. Propongo pertanto che le dichiarazioni dell’onorevole Ministro e la votazione siano rinviate alla prossima seduta.
(Così rimane stabilito).
Presentazione di una relazione.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: «Norme sull’elettorato attivo e sulla revisione annuale delle liste elettorali».
PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.
Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro della difesa, per sapere se risponde a verità che la base navale di Messina sarà trasferita prossimamente ad Augusta; e per conoscere se, nell’ipotesi affermativa, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno revocare tale provvedimento che accrescerebbe la disoccupazione nella città di Messina, già così duramente provata dalla guerra, giustificando tra l’altro gravi agitazioni, che già si preparano, suscettibili di turbare l’ordine pubblico.
«Martino Gaetano».
«Al Ministro della difesa, per conoscere se intende revocare i provvedimenti predisposti dallo Stato Maggiore della marina relativi al trasferimento della base navale di Messina ad Augusta.
«Fiore».
«Al Ministro degli affari esteri, per sapere se corrisponde a verità quanto è stato pubblicato dalla stampa brasiliana di San Paulo circa i bandi di vendita dei beni italiani congelati in Brasile e, in caso positivo, per conoscere quale è l’azione del Governo italiano a tutela dei nostri connazionali allarmati da dette notizie.
«Giacchèro».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che ritardano l’istituzione dell’ente coordinatore per i servizi dei danni di guerra (Alto Commissariato o Sottosegretariato), di cui alle ultime dichiarazioni del Governo, e per attuare ordine e disciplina giuridica in materia che riguarda milioni di famiglie, le quali è bene che sappiano quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da scartare.
«Caso, Bastianetto, Titomanlio Vittoria, De Maria, Riccio, Mazza, Lizier».
«Ai Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se, in considerazione della particolare crisi economica che attraversa il nostro Paese e per premiare le benemerenze di guerra e di pace contratte dai vigili del fuoco, non ritengano di rimandare il licenziamento di mille unità, per lo meno fino al 31 dicembre 1947, onde dare tempo di altrimenti occupare i licenziandi.
«L’interrogante, che si occupa del problema da circa otto mesi, auspica il proposto decentramento del servizio antincendio, specie nei capoluoghi di zone boschive, che ogni anno, per incendi spontanei, colposi o dolosi, sono sottoposte ad ingenti perdite proprio perché non vi è la tempestività dell’intervento del servizio contro gli incendi.
«L’interrogante, pur preoccupato dell’ingente onere finanziario per lo Stato, pensa che vi si possa far fronte con l’aumentare il contributo capitario dei comuni e delle società di assicurazione, per potenziare così un servizio civile e sociale che, in nome del progresso, si rende ogni giorno di più indilazionabile.
«Caso».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere le disposizioni che intenda impartire al fine di reprimere i giuochi d’azzardo.
«Benedetti».
«Al Ministro delle finanze, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947.
«Canevari».
Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.
PELLA, Ministro delle finanze. Alle interrogazioni che riguardano il Ministro delle finanze potrei rispondere anche subito. Per le altre interrogazioni interesserò i Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.
PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.
BENEDETTI. Insisto affinché la mia interrogazione sui giuochi d’azzardo venga posta in discussione prima della chiusura dei lavori parlamentari.
L’anno scorso, esattamente il 17 luglio, presentai la stessa interrogazione. Oggi mi trovo a ripeterla.
Prego il Presidente di raccomandare al Governo d’impegnarsi a rispondere su questo mio argomento che è gravissimo e coinvolge il senso di moralità che noi tutti dobbiamo sentire più che ogni altro. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Farò presente al Ministro dell’interno la sua richiesta.
Comunico inoltre che sono state presentate anche le seguenti interpellanze con richiesta di discussione urgente:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali criteri il Governo segua per far cessare in Sicilia le violenze organizzate che si sono manifestate in questi ultimi tempi; e, in seguito agli ultimi risultati delle indagini per il delitto di Pian delle Ginestre, attentati alle sedi comuniste, al Mattino di Sicilia, caso Miraglia (che si desiderano conoscere), quali provvedimenti siano stati e saranno presi.
«Russo Perez».
«Al Ministro dell’interno, sullo stato dell’ordine pubblico in Sicilia.
«Mattarella».
Queste interpellanze saranno discusse, insieme con quella dell’onorevole Li Causi, anch’essa sulla situazione in Sicilia, nella seduta antimeridiana di domani.
Presentazione di una mozione.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata alla Presidenza dell’Assemblea la seguente mozione:
«L’Assemblea Costituente,
considerato:
che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte Regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica,
che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia,
che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto,
che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta Regionale sarda presentato al Governo,
che, se si seguitasse il regolare andamento della discussione sulla Costituzione, l’Assemblea Costituente non potrebbe esaminare lo Statuto sardo neppure in settembre, per cui le elezioni regionali in Sardegna non potrebbero aver luogo entro l’anno, mettendo così l’isola in uno stato ingiusto di disparità rispetto alla Sicilia,
delibera:
che per lo Statuto sardo sia adottata la stessa procedura usata per lo Statuto siciliano; e pertanto l’Assemblea Costituente autorizza il Governo all’approvazione immediata dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, sì da rendere possibile in Sardegna la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno, riservandosi, come per lo Statuto siciliano, per la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente il diritto di un maggiore esame per coordinare lo Statuto con la nuova Costituzione della Repubblica.
«Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni, Binni, Fiorentino Giosuè, Schiavetti, Tosato, Fuschini».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.
LUSSU. Ritengo che si potrà parlare di questa mozione domani mattina, quando sarà presente il Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Domani si terranno due sedute; alle 10, per lo svolgimento di interpellanze ed il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale, ed alle 17 per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
Ne ha facoltà.
PELLA, Ministra delle finanze. Forse è necessario che domani il Governo si riunisca con la Commissione, perché la discussione di oggi sull’imposta patrimoniale ha dimostrato l’utilità di una migliore intesa.
PRESIDENTE. Credo che si possa venire ad una transazione: durante lo svolgimento delle interpellanze, la Commissione si riunirà con il Governo, in modo che si possa essere pronti poi per il seguito della discussione.
(Così rimane stabilito).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali urgenti provvedimenti intenda adottare in favore delle migliaia di connazionali civili e militari e delle loro famiglie, reduci dalla prigionia e dai campi di internamento, che da mesi in Eritrea attendono l’aiuto del Governo per rimpatriare in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rodinò Mario».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se sarà provveduto, per il prossimo inverno, da parte dello Stato ad una adeguata assegnazione di carbone o di altro combustibile per il riscaldamento delle aule scolastiche e se non si ritenga opportuno anticipare a settembre l’inizio delle lezioni onde potere nei mesi più freddi (dicembre-gennaio) sospendere le lezioni senza danno per lo svolgimento dei programmi scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lami Starnuti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi degli ufficiali dell’esercito che ottennero, durante la ultima guerra, proposte di promozione per merito di guerra approvate dal Ministero, alle quali non seguì il decreto di promozione soltanto perché tali ufficiali vennero fatti nel frattempo prigionieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Abozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non voglia provvedere, affinché tutti i direttori di conservatori musicali (tanto di prima quanto di seconda classe) possano fruire della stessa carriera, grado gerarchico e stipendio dei professori universitari, cioè dal grado sesto al grado quarto:
«È noto che i direttori di conservatori musicali sono nominati per chiara fama, mentre ciò raramente avviene per i professori universitari; inoltre l’attività artistica dei direttori di conservatori ha sempre risonanza internazionale, mentre (pur senza sminuire l’attività culturale e scientifica dei docenti universitari) non sempre ciò si verifica per i professori citati.
«L’interrogante ritiene che, pur mantenendo la distinzione tra conservatori di prima e di seconda classe, sia logico e necessario che il Ministero provveda con sollecitudine in merito a quanto esposto, che graverà sul bilancio per un maggiore onere che s’aggirerà sulle cinquecentomila lire annue.
«L’interrogante è certo che l’onorevole Ministro troverà ingiusto e soprattutto non pari alla risonanza, che un direttore di conservatorio sia equiparato come grado e stipendio a un preside di liceo o d’istituto (grado sesto per i conservatori di seconda classe) o un provveditore agli studi o ispettore di prima categoria (grado quinto per i conservatori di prima classe. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Chiaramello».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali non ancora è stata estesa ai privati la legge 4 dicembre 1946, n. 671 (relativa alla sospensione del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici nei riguardi dei comuni, provincie, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti ecclesiastici beneficiarî) per la evidente lesiva sproporzione fra il valore della moneta e quello delle derrate agricole, dichiarando inoltre estinti i procedimenti di affrancazione in corso di giudizio e di appello.
«Sarà scongiurata così l’ulteriore spogliazione di direttari, quasi sempre piccoli proprietari e sinistrati di guerra.
«In linea subordinata si chiede l’adeguamento dei canoni stessi al valore attuale della lira. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Fausto».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere quali ragioni si oppongono a che i direttori degli educandati e dei convitti nazionali possano fruire dei «fondi a disposizione» per provvedere direttamente al pagamento del personale fuori ruolo, incaricato o supplente, come accade in tutti gli altri istituti e scuole. La mancanza di tale possibilità determina lunghe e penose quanto ingiustificabili more nella corresponsione degli stipendi a istitutori e professori non di ruolo, i quali debbono spesso attendere circa un anno prima di poter percepire anche una minima parte delle loro spettanze; con evidente gravissimo disagio economico e morale e aperta violazione di ogni giustizia remunerativa. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Franceschini, Rapelli, Quarello Gioacchino, Lizier, Foresi, Zaccagnini».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno trasmesse ai Ministri competenti.
La seduta termina alle 21.5.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
- – Svolgimento di interpellanze.
- – Seguito della discussione sul disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Alle ore 17:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.