Come nasce la Costituzione

SABATO 27 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxxxv.

SEDUTA DI SABATO 27 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Svolgimento di mozioni (Seguito):

Saragat

Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito dello svolgimento di mozioni.

L’onorevole Saragat ha facoltà di svolgere la seguente mozione, firmata anche dagli onorevoli Canevari, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti, Cairo:

«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici. Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

SARAGAT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho l’impressione che il problema che si dibatte in questa Assemblea, in questo momento, va al di là delle sorti del Governo. Tutti noi sentiamo oggi che maturano sul piano nazionale e sul piano internazionale degli avvenimenti ancora più gravi di quelli attuali. E tutti sentiamo che i prossimi mesi possono essere decisivi per la storia dell’Europa e pertanto per la storia del nostro Paese.

È innegabile che c’è nell’aria come una preoccupazione diffusa e c’è il desiderio, in molti, di vedere quale è la formula politica che offrirebbe maggiori garanzie al Paese per metterlo al riparo dalle possibili tempeste di domani. È chiaro quindi che da parte dei partiti politici c’è un tentativo di prendere posizione, non tanto di fronte a questo Governo, quanto di fronte a quella eventuale nuova formazione che le circostanze potrebbero suggerire di dover fare.

Noi abbiamo udito ieri il discorso di Nenni; abbiamo creduto di vedere in quel discorso il tentativo di estrarre dalla situazione presente i lineamenti di una nuova politica, ma questa preoccupazione, questa presa di posizione ci è parsa ancora più evidente nel discorso, più importante, dell’onorevole Togliatti. Il discorso dell’onorevole Togliatti non è stato, in fondo, un attacco violento contro questo Governo; si è limitato ad attaccare un settore della politica, la politica del Ministro dell’interno. L’onorevole Togliatti si è preoccupato soprattutto di confutare la tesi di coloro i quali pensano che nei prossimi mesi il partito comunista può avere una funzione eminente sui banchi dell’opposizione e forse non potrebbe averla sui banchi del Governo.

Questa impostazione dell’onorevole Togliatti prova come anche da parte comunista, anzi principalmente da parte comunista, ci si preoccupi di delineare la fisionomia di una possibile nuova formazione di Governo. Naturalmente, il Governo si difenderà, come è naturale che faccia; ma possiamo dire che, fin da ora, l’opinione pubblica è già orientata su un altro problema. L’opinione pubblica non si preoccupa tanto di sapere se questo Governo rimarrà in carica oppure sarà abbattuto, quanto di vedere se si potrà estrarre da questa Assemblea una nuova formazione politica, se da questo dibattito si potrà delineare qualche cosa che il Paese, in fondo, attende e che si ha l’impressione che risponderebbe meglio agli interessi del Paese e delle classi lavoratrici.

È quindi col proposito di portare un contributo a questo esame, che tutti gli uomini politici e tutti i partiti oggi fanno, che il nostro gruppo interviene in questo dibattito e vi interviene con una sua mozione di sfiducia.

Vedete; se noi avessimo dovuto discutere la mozione di sfiducia dell’onorevole Nenni, ci saremmo trovati in questa curiosa situazione: parafrasando una espressione dello stesso oratore in occasione di una crisi precedente, noi avremmo dovuto dire no al Governo e no alla mozione di sfiducia. No al Governo per le ragioni che spiegherò in seguito, no alla mozione di sfiducia Nenni per un dissenso reale che ci separa non tanto dalle parole degli oratori dell’estrema sinistra, quanto dalle cose che stanno nascoste dietro queste parole.

Si è notato – e ci voleva poco a notarlo – che esiste un dissenso fra le opposizioni di sinistra; si è notato che queste opposizioni vanno all’attacco del Governo in ordine sparso. Ci voleva poco, ripeto, a notarlo. L’onorevole Lombardi del Partito d’azione deplora questa situazione e crede che dipenda unicamente dalla mancanza di un programma comune. Evidentemente c’è anche questo, è chiaro; ma c’è qualche cosa di più, c’è un dissenso di carattere politico.

Noi non intendiamo qui sollevare questo dissenso per inasprire quello che già ci separa; ma unicamente perché il Paese ha diritto di sapere perché oggi l’opposizione non è unita in questa battaglia e poi perché questo esame è anche utile da un altro punto di vista. Secondo il fine che ci proponiamo, di cercare di delimitare una nuova posizione politica, è bene si sappia quali sono le forze che si possono raggruppare per una certa azione e quelle che, più principalmente, potrebbero unirsi a noi.

Perché le opposizioni di sinistra non hanno potuto mettersi d’accordo? Quando noi ascoltiamo un discorso di alto tono, come quello che ha pronunziato ieri l’onorevole Togliatti, non possiamo sottrarci ad un doppio sentimento: da un lato ad un sentimento di ripulsione e dall’altro ad un sentimento di ammirazione. Un sentimento di repulsione per un certo tono che esiste nel suo discorso e che ci ha lasciato credere che le parole non corrispondano al suo convincimento profondo; un senso di ammirazione quando sentiamo che l’oratore diventa eloquente e che parla di cose che sente veramente.

C’è stato un punto del discorso che mi ha veramente commosso: quando l’oratore ha parlato del problema dei salari, quando ci ha fatto vedere come la classe lavoratrice italiana ha fatto un passo avanti. Egli ci ha fatto vedere che questa classe lavoratrice ha inteso come il problema del salario non sia un semplice rapporto tra padrone e lavoratore, ma si inquadri in una lotta più vasta. Abbiamo udito un oratore che sente profondamente ciò che dice ed in quel punto è stato veramente eloquente. E la ragione di questa ammirazione che sentiamo per questi uomini dell’estrema sinistra deriva da questo fatto: sappiamo che dietro questi uomini c’è una parte importante della classe lavoratrice italiana: i dirigenti comunisti questo lo sanno e ne usano e qualche volta anche ne abusano, come se fossero essi soli ad avere un seguito di lavoratori. In realtà, tutti i partiti democratici sono invece partiti di lavoratori: non parlo soltanto dei socialisti. Il gruppo comunista rappresenta 105 deputati su 556 e non voglio credere che il popolo italiano sia costituito da un quinto di lavoratori e da quattro quinti di fannulloni.

Io mi sono mescolato giorni or sono alla folla imponente di cittadini convenuti in Roma, attrattivi da ideali ben lontani dal comunismo: ebbene io ho constatato che si trattava di veri, di autentici lavoratori. Ma, detto questo, debbo pur riconoscere che il nucleo più compatto della classe lavoratrice è dietro ai comunisti ed è per questo che noi li rispettiamo profondamente.

Queste sono cose che per un socialista hanno grande importanza, anche se i comunisti dimenticano qualche volta che fra i socialisti vi sono pure persone degne del loro rispetto. Noi non porteremo comunque il nostro discorso con spirito polemico contro di essi; ma si ricordino almeno questo: si ricordino che abbiamo combattuto tanti anni insieme nelle lotte contro il fascismo.

E ci limiteremo a soggiungere, ci limiteremo a domandar loro se essi veramente pensano – e forse lo pensano – che la fedeltà verso la classe lavoratrice si commisuri dal successo immediato che un determinato movimento politico, un determinato partito può riportare o meno. Se, per la verità, c’è un partito il quale proprio non dovrebbe credere a questo è precisamente il partito comunista, il quale, come è noto, alle origini aveva ben scarso seguito ed anche oggi, in alcuni Paesi, non si può dire che abbia un seguito notevole. Non è dunque, non può essere dunque per il fatto che vi siano milioni e milioni di organizzati dietro un determinato partito, che si deve pensare che quel partito abbia il monopolio della fedeltà alla classe lavoratrice.

Io credo si debba usare un altro criterio, credo cioè che si debba tener conto della difesa che un partito fa degli interessi permanenti della classe lavoratrice. (Applausi a sinistra). Quali sono questi interessi? Questi interessi sono, a mio avviso, essenzialmente tre. Il primo è costituito dalla difesa della pace, il secondo dalla difesa delle pubbliche libertà, il terzo dalla lotta economica per salvare le classi lavoratrici stesse dalla miseria.

Se noi, dunque, ci poniamo ad esaminare la condotta dei singoli partiti in rapporto a questi tre obiettivi, allora soltanto avremo un criterio veramente sicuro per valutare il loro grado di fedeltà alla classe lavoratrice. E allora vedremo come il partito, il modesto partito che io ho l’onore di rappresentare, non sia secondo a nessuno in questa fedeltà.

E se un dissenso esiste, compagni comunisti, fra voi e noi, esso è precisamente in rapporto ad una diversa valutazione intorno al modo di servire la pace, intorno al modo di servire le pubbliche libertà, di lottare concretamente contro la miseria. Ma veniamo al concreto. Se noi ci poniamo ad esaminare la politica dell’estrema sinistra – e ripeto che questo esame io mi accingo a fare unicamente in funzione dell’obiettivo che mi sono prefisso, per vedere cioè di delineare una nuova configurazione politica, una nuova azione di governo – se noi dunque, dicevo, ci poniamo ad esaminare questa politica dell’estrema sinistra, noi scopriamo facilmente quale sia il suo difetto essenziale, quello che gli impedisce di fare veramente, come essa crede, gli interessi della classe lavoratrice italiana in questo momento. Noi vediamo che la politica dell’estrema sinistra è subordinata ad un criterio fondamentale, che è questo: l’estrema sinistra pensa che tutti i problemi della vita dello Stato, oggi, devono essere subordinati al problema della conquista del potere. Questa formula è stata tradotta, in modo lapidario, dall’onorevole Nenni, quando ha detto: «Dal Governo al potere».

Ebbene, questa formula, che apparentemente si direbbe che risponda veramente agli interessi delle classi lavoratrici (che cosa di più suggestivo può esserci, per un operaio del sentirsi dire che deve andare al potere?), è quella che, a mio avviso, ha compromesso la marcia in avanti della classe lavoratrice italiana in questi ultimi tre anni. Infatti, come sono andate le cose in questi ultimi tre anni?

Noi possiamo dire questo: che tutta la storia del Governo tripartitico, in cui i partiti di estrema sinistra erano rappresentati, non è che la storia di partiti di sinistra i quali hanno lasciato il corpo per l’ombra; il corpo, cioè le riforme concrete che avrebbero potuto realizzare giorno per giorno, per il miraggio di un potere che pensavano di poter esercitare poi in modo egemonico da soli. Così è avvenuto che oggi si rischia di non avere il potere e di non avere nemmeno le riforme concrete che la classe lavoratrice avrebbe potuto realizzare in questi ultimi tre anni.

Noi, invece, più modestamente, non inalberiamo questa formula della conquista egemonica del potere, ma pensiamo di poter più concretamente servire la classe lavoratrice, proponendo ogni giorno la soluzione di un problema concreto; e pensiamo che così si potrà veramente avviare la classe lavoratrice ai fastigi del potere.

Ma oltre a questa divergenza di politica generale, altre divergenze ci separano, tanto sul piano della politica estera che su quello della politica interna. E anche qui si vedrà chi veramente serve gli interessi della classe lavoratrice.

Per quanto riguarda la politica estera, non è stato un caso, onorevoli colleghi, che in questa Assemblea, in occasione della ratifica del Trattato di pace i nostri voti si siano separati da quelli dell’estrema sinistra. Era una valutazione diversa che noi davamo agli interessi del popolo italiano. Ma non voglio approfondire questo aspetto del problema. Più grave, invece, mi pare la divergenza sorta tra noi e loro nei confronti del piano Marshall. E anche qui si tratta di vedere chi serve meglio gli interessi della classe lavoratrice italiana.

Io intendo tutte le ragioni dell’estrema sinistra e i timori, in parte giustificati, dell’estrema sinistra per un possibile controllo dell’economia americana sull’economia europea. Ma a me pare che la posizione da essi assunta non sia una posizione costruttiva e non corrisponda agli interessi del nostro Paese. Tutti sanno che il popolo italiano ha bisogno di una certa quantità di grano, di carbone, di materie prime; e tutti sanno che queste materie prime non possono venirci che dagli Stati Uniti. Eppure la posizione che l’estrema sinistra ha preso di fronte a questo problema è stata una posizione negativa, di critica totale, radicale; quando, invece, un esame un po’ più serio delle cose avrebbe potuto benissimo permettere di trovare una soluzione di compromesso.

Il piano Marshall rappresenta, per un Paese come l’America, l’alternativa di pace di un problema che avrebbe potuto anche risolversi con un’alternativa di guerra; è un tentativo di arrestare la marcia dei movimenti totalitari in Europa, aiutando l’Europa a risollevarsi sul piano economico. E mi pare che interesse dj tutti coloro che hanno veramente a cuore lo sviluppo della classe lavoratrice, la difesa della pace, sia di favorire lo sviluppo dell’economia europea, appunto per impedire il sorgere di movimenti a carattere totalitario, i quali provocherebbero fatalmente una guerra.

C’è chi pensa in realtà che non ci sia, in materia di politica estera, più nulla da fare, perché i giochi sono già fatti, e c’è chi si installa in una situazione ipotetica, per cui il mondo sarebbe già diviso in due blocchi ostili; e vi si installa, non già perché sia compiaciuto di questa situazione, ma perché pensa che veramente non ci sia altro da fare che schierarsi con l’uno o con l’altro. E allora si dice che è donchisciottesco ostinarsi a pensare, come noi pensiamo, che ci sia una terza via.

Io invece sono perfettamente convinto che questa terza via esiste; e basterà guardare con maggiore serenità i problemi internazionali per vedere che c’è sì un blocco orientale, che c’è un’America, ma c’è in mezzo un’Europa che non dipende affatto né dall’uno né dall’altra. Il che significa che esiste ancora una possibilità di creare per questo continente una fascia protettiva, una zona di pace, purché lo si voglia. Dunque non è vero che vi sia una situazione di scelta fra l’uno e l’altro blocco. C’è una terza via, che è quella che noi indichiamo al popolo italiano. Chi sta difendendo la pace? Chi indica questa terza strada, oppure chi dice che non c’è che da schierarsi o per l’uno o per l’altro?

Ora io penso che non si lavori per la difesa della pace e per la difesa delle classi lavoratrici, anche se si affermi di essere fedeli alle classi lavoratrici, quando, come ha fatto un oratore di estrema sinistra, l’onorevole Nenni, si dice alla classe lavoratrice che, se ci sarà una guerra, il nostro posto è già scelto, perché sarà una guerra fra sfruttatori e sfruttati.

Ma io penso che si inganna la classe lavoratrice dicendo queste cose, perché se una guerra ci sarà, gli sfruttati saranno da entrambi i lati! (Applausi). Sarà una guerra in cui il proletariato russo si troverà a battersi contro il proletariato inglese e americano sotto la direzione sapiente dei signori di Wall Street, dei Lord d’Inghilterra e degli enigmatici burocrati di Mosca. Questa è la situazione obiettiva! Io credo che non si difenda la pace proponendo una scelta tra i due blocchi, ma la si difende e la si serve indicando questa terza via che è una via di ricostruzione dell’Europa su basi democratiche e pacifiche.

E poi c’è il problema della politica interna. Anche qui vi sono dissensi seri che ci separano dall’estrema sinistra. Ci sono due problemi: il problema della difesa delle pubbliche libertà e il problema della ricostruzione economica.

Difesa delle pubbliche libertà: ho detto nella prima parte di questa mia breve esposizione che quando sento parlare l’onorevole Togliatti provo insieme un sentimento di ammirazione e uno di avversione. Un sentimento di avversione ho provato ieri quando ho sentito che parlava in difesa della pubblica libertà, e dirò subito perché. Certo che le critiche che egli ha mosso al Governo sono giustificate e penso che il Governo debba provvedere; ma che valore volete che abbiano le vostre giuste critiche e le vostre giuste proteste sulla libertà democratica e sulla libertà di riunione quando non c’è uno – dico uno – dei compagni del nostro Gruppo il quale non si veda ogni giorno, nei pubblici comizi, messo in condizioni, da parte dei comunisti di non potere esercitare questa pubblica libertà che è la libertà di riunione? (Applausi).

D’altro canto molti nostri compagni, i quali rivendicano quel diritto che l’onorevole Togliatti giustamente riafferma, di fare della politica nelle fabbriche, se ne trovano impediti. Eppure essi non pretendono altro che di portarvi la voce della democrazia socialista come avrebbero fatto Turati, Treves e Buozzi. No; questo non lo possono fare! (Applausi).

E quando voi esaltate – giustamente – la difesa dei sacrosanti diritti dell’opposizione, che valore posso io dare a queste vostre parole quando, il giorno stesso, io vedo nei vostri giornali l’apologia di un cappio che ha strozzato una libera voce?… (Applausi a sinistra, al centro e a destra).

Ma è tutta l’impostazione politica, che voi date, che mi pare non corrisponda agli interessi della classe lavoratrice. Voi praticate nella politica interna una curiosa tattica; voi parlate da un lato di unità, unità generica, e poi nella sostanza delle cose praticate una politica di blocco di sinistra, la quale fatalmente tende a riprodurre sul piano nazionale quella stessa divisione di blocchi che minaccia oggi il mondo sul piano internazionale.

Voi proiettate sulla situazione interna una situazione che esiste già sul piano mondiale e che noi consideriamo dannosa agli interessi della democrazia. In realtà questa vostra politica non fa che isolarvi progressivamente e, quando ieri Togliatti parlava, gli applausi erano limitati al vostro settore. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Alla politica di blocchi di sinistra, che noi respingiamo, potrà rispondere, a più o meno breve scadenza, una politica dei blocchi di destra. Ma voi pensate che questo possa giovare gli interessi della classe lavoratrice? Non lo pensate.

Voi ponete il problema della collaborazione al Governo e siete nel vostro pieno diritto, però dovete domandarvi in coscienza se non state facendo di tutto per offrire argomenti ai vostri avversari. Voi fate dell’ironia sulla posizione di un partito come il nostro che si ostina a difendere l’ultimo margine di autonomia che ancora resta nel nostro Paese. È facile fare dell’ironia. Ma noi crediamo che soltanto se questo margine di autonomia si allargherà, in modo da comprendere tutta la Nazione, si potrà salvare l’avvenire del nostro Paese.

Quando io sento dire da molti: il mio partito avrà successo, il mio partito non avrà successo, io dico che il problema è mal posto. Il giorno in cui in Europa i partiti socialisti dovessero scomparire, l’Europa sarebbe alla vigilia di un avvenimento molto ma molto grave.

Io ricordo una frase famosa che un oratore francese, Briand, un giorno disse alla Assemblea di Ginevra: «Bisogna veramente che gli uomini muoiano perché la gente si renda conto che avevano ragione?».

Noi potremmo dire: bisogna davvero che questi partiti di democrazia socialista che ancora ci sono in Europa scompaiano, perché l’Europa si renda conto di che cosa rappresentavano per la difesa della libertà, della democrazia e della pace? (Applausi).

Ed ecco perché noi, preoccupati della difesa, degli interessi permanenti della classe lavoratrice abbiamo posto come obiettivo della nostra politica un Governo a direzione socialista. Noi sappiamo che oggi non esistono ancora le condizioni obiettive per questa forma di Governo, ma noi abbiamo aggiunto nel nostro ultimo convegno, che non avremmo fatto nulla che avesse potuto turbare il processo di sviluppo verso la realizzazione di questo nostro ideale, che avremmo invece fatto di tutto per avanzare in questa direzione.

Noi vediamo con preoccupazione di fronte a noi un Governo di centro-destra, ed abbiamo l’impressione, anzi la convinzione che, se non sorge da questa Assemblea una forza profondamente democratica di sinistra, la quale sia in grado di poter modificare il corso delle cose, questo Governo sarà fatalmente trascinato, per la logica stessa degli avvenimenti, ancor più verso destra. So benissimo che l’onorevole De Gasperi risponderà riaffermando la sua fedeltà ai principî democratici, ma ci sono situazioni in cui la forza delle cose è più forte della volontà degli uomini. La logica del vostro Governo vi spinge fatalmente verso posizioni che domani potranno allontanarvi molto dallo spirito democratico del popolo italiano. La critica quindi che muoviamo a questo Governo, è una critica di carattere economico, ma anche di carattere politico. E quando noi parliamo di critica di carattere economico, non ci riferiamo particolarmente all’azione dell’onorevole Einaudi. Sarebbe di pessimo gusto rendere responsabile l’onorevole Einaudi di una situazione di cui è responsabile tutto quanto il Governo. Sono certo che il Governo non cercherà di fare dell’onorevole Einaudi un capro espiatorio, come già avvenne per l’onorevole Corbino. Del resto ci sono alcuni provvedimenti che ci fanno riconoscere che l’onorevole Einaudi ha agito da perfetto democratico. Ma è tutta l’impostazione della politica governativa sul piano economico e sociale che dobbiamo considerare come negativa dal punto di vista degli interessi permanenti del Paese. E la critica di questo Governo, se avrete pazienza di ascoltarmi, la farò nell’atto stesso in cui verrò esponendo le linee di un’azione costruttiva, quella stessa che abbiamo proposto con il discorso dell’onorevole Tremelloni di qualche mese fa e che non fu accettata; azione costruttiva che non è campata in aria, ma che è nella possibilità nostra di realizzare, solo che sorga da questa Assemblea una forza politica consapevole. E pongo senz’altro il problema, che fu trattato con sufficienza alcuni mesi fa dalla stampa italiana, ma che oggi attira l’attenzione di tutti: il problema della pianificazione.

Ma c’è voluta la spinta del piano Marshall per far vedere al mondo che qualche cosa non funziona più nel sistema liberista. Con le leggi del liberismo noi finiremo per avere tutte le fabbriche chiuse e la carestia in larghe zone del nostro Paese.

Dico subito che la posizione del nostro partito, nei confronti della politica economica che dovrebbe essere svolta in Italia per evitare l’aggravarsi della crisi attuale, non è determinata da astrattismi o finalismi, ma da una visione concreta e seria del problema.

Noi pensiamo – e su questo penso che tutti possiamo essere d’accordo – che è necessario raggiungere prima di tutto una maggiore efficienza nella produzione, una maggiore velocità negli scambi, una maggiore giustizia nella ripartizione, un maggior coordinamento nell’organizzazione dell’intero processo economico. Ma che cosa dobbiamo fare per arrivare a questi risultati? Non voglio riprendere la controversia sollevata dai sostenitori dell’economia liberistica e dai sostenitori dell’economia controllata. Però vi è un fatto positivo che nessuno potrebbe negare, ed è questo: che dopo la seconda guerra mondiale qualche cosa di nuovo si è determinato nel meccanismo dell’economia del mondo, qualche cosa di nuovo si è determinato nell’economia europea; e nessuno potrebbe negare il fatto concreto che assistiamo ad un rafforzamento quasi da per tutto dell’economia controllata, dell’economia collettiva e ad un indebolimento delle posizioni dell’economia liberistica.

Quasi tutti i Paesi d’Europa hanno un loro piano economico nazionale: lo hanno i Paesi dell’Europa orientale – ed alcuni sono notevoli, particolarmente quello cecoslovacco – lo hanno i Paesi dell’Europa occidentale, come la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda, i quali controllano degli immensi imperi coloniali, ed hanno rapporti di scambio assai più intensi del nostro con gli Stati Uniti d’America. E malgrado le difficoltà che tali piani incontrano, malgrado le reazioni di varia origine che essi incontrano nella loro applicazione, noi osserviamo che questi piani hanno dato modo ai Governi, che li hanno applicati, di potere controllare la situazione economica dei loro rispettivi Paesi. E abbiamo visto come con questi piani si siano potute stabilizzare certe aree territoriali europee. E, senza volere avanzare pronostici superficiali e prematuri, per quanto concerne il piano Marshall, possiamo affermare che esso riflette non soltanto i bisogni reali di tutta l’Europa, ma che è dal successo o meno di questo piano che dipende la possibilità o meno per l’Europa di ricostruire la sua economia.

Ma come sarà possibile, onorevoli colleghi, inserire l’economia italiana nel quadro della più vasta economia europea e mondiale, se noi perseguiamo in questo momento direttive, che sono agli antipodi di quanto avviene in tutti i Paesi dell’Europa e del mondo? Come sarà possibile fare sentire il nostro peso politico, il nostro peso economico, difendere saggiamente i nostri interessi, dedurre i più vantaggiosi risultati dalle quote a noi assegnate, se il potere pubblico non dispone della organizzazione, della documentazione e degli uomini necessari per tale compito?

La verità è che l’Italia è l’unico Paese dell’Europa occidentale ed orientale che, dopo avere partecipato alla guerra di liberazione, non ha saputo realizzare nemmeno la più modesta riforma industriale. È l’unico Paese, in cui il settore industriale nazionalizzato è rimasto nei limiti della eredità impostaci dal fascismo. Eppure, dopo la liberazione, la classe lavoratrice italiana ha acconsentito alla soppressione delle leggi fasciste sulla socializzazione, nella certezza che la nuova Italia democratica avrebbe fatto qualcosa di più importante e di più serio.

Come meravigliarsi se oggi i lavoratori sono dominati da un senso profondo di sfiducia, che incide indubbiamente sulla loro volontà produttiva?

Dopo la liberazione in Italia si era costituita una certa organizzazione, capace di avviare il Paese verso quelle formule economiche che sono oggi sostenute negli altri Paesi. Di questo non si è fatto più nulla.

Naturalmente, questo processo di smantellamento di quel poco che di economia organizzata si era potuto creare immediatamente dopo la caduta del fascismo, è stato facilitato dalle successive mutazioni del clima politico del nostro Paese e dall’assoluta carenza dei partiti di sinistra, che sono stati al Governo. Che i partiti di destra abbiano interesse di fare questo, sono d’accordo. È dovere dei partiti di sinistra di impedirlo. Sono essi che non hanno agito.

Una voce a sinistra. Lei non era al Governo?

SARAGAT. No, non ero al Governo.

Noi pensiamo, vedete, che l’attuale indirizzo deve, nel suo orientamento generale, essere decisamente capovolto. Pensiamo che non si tratta di semplici ritocchi o di mezzi termini: siamo di fronte ad un grosso problema organizzativo che si traduce però in termini politici.

Vedete intanto come la pianificazione che non fa il Governo la stanno facendo gli altri, per interessi privati. E chi è che la sta facendo? La Confederazione dell’industria.

Nessuna organizzazione padronale in Europa e forse in nessuno Stato del mondo ha attualmente una interferenza negli atti del Governo paragonabile a quella che ha da noi la massima organizzazione degli industriali. Siamo tornati, non voglio esagerare, ai tempi in cui le diverse corporazioni fasciste non facevano altro che mettere il sigillo di Stato sugli ordini che ricevevano dagli organismi da esse controllati.

Comunque, vi sono sintomi di preoccupazione in seno al Governo e ve ne diamo atto. Non possiamo infatti che compiacerci della creazione del Consiglio economico nazionale, che del resto abbiamo noi stessi propugnato attraverso la stampa clandestina. Ma è evidente che, finché la classe lavoratrice sarà tenuta ai margini e trattata come semplice merce di lavoro – come accade oggi – finché essa non sarà convinta di lavorare anche un po’ per se stessa e per il Paese e non soltanto per gli interessi di gruppi limitati di industriali, non potremo pretendere dalla classe lavoratrice quell’apporto che è assolutamente necessario per un’opera di ricostruzione economica del nostro Paese. Non è possibile che mentre la Confindustria tende al monopolio della risoluzione di tutti i problemi economici, la Confederazione generale del lavoro sia confinata in un’attività puramente sindacale che manca al suo scopo perché attraverso il controllo del meccanismo economico è molto facile agli industriali recuperare sul piano dei prezzi quello che essi hanno dovuto cedere sul piano dei salari. Questo complesso di inferiorità della Confederazione generale del lavoro di fronte alle Confederazione degli industriali deve assolutamente cessare se non vogliamo cadere nel circolo vizioso della lotta tra i prezzi ed i salari.

C’è un altro problema per cui la pianificazione si presenta come assolutamente inevitabile: quello dei prestiti esteri. In Francia le spese per la ricostruzione sono state valutate in 3000 miliardi. Ora, se noi facessimo un esame analogo in Italia, paragonata la ricchezza nostra a quella francese, verremmo a constatare – quantunque in Italia quest’esame non sia stato fatto per i servizi pubblici – che ci occorre una somma assolutamente superiore alle possibilità che abbiamo dal punto di vista delle imposte e del reddito nazionale. È certo che noi, per poter realizzare un piano di ricostruzione, abbiamo bisogno di prestiti per molti e molti milioni di dollari. Ora è chiaro che questa distribuzione del credito che ci può venire dall’estero non è possibile se non si organizza sulla base di un piano ispirato da criteri che solo un Governo veramente democratico può tracciare.

Un altro esempio. Ci troviamo in questo momento di fronte a difficoltà di carattere monetario e queste difficoltà hanno posto in primo piano il problema della restrizione dei crediti. Anche qui vediamo che il problema della pianificazione si pone come una esigenza assoluta. È noto che le disposizioni dell’onorevole Einaudi, tendenti a limitare il rapporto tra capitali in giacenza ed investimenti, contenente l’obbligo di versare al Tesoro i depositi, hanno indotto le banche a ridurre i crediti.

Io non voglio discutere il provvedimento in sé. Con questo sistema noi vediamo che si limita il volume totale del credito. Ma, che cosa avviene? Avviene che si limita il volume totale del credito ma non si disciplina, da parte del pubblico potere, il suo impiego nei singoli settori, lasciando di ciò arbitre singolarmente le banche. Ora è avvenuto che il controllo avviene per la quantità totale del credito, ma non per la qualità dei singoli crediti. Le banche, pur restando nei limiti fissati da Einaudi, possono prestare a chi vogliono, cioè a chi paga un interesse maggiore, cioè a chi specula sull’aumento dei prezzi, attraverso l’accaparramento, ed a colui che ha delle giacenze; a coloro insomma che fabbricano beni di lusso e non già invece a coloro che per la necessità delle cose si trovano in questo momento a disporre di poco denaro e a non poter pagare interessi.

In conseguenza di questo stato di cose è accaduto che la restrizione del credito ha servito a mettere in difficoltà le industrie, senza determinare nessuna liquidazione di giacenze, appunto perché coloro che avevano giacenze disponevano di grosse somme di denaro, e senza determinare nessun ribasso di prezzi, i quali sono enormemente aumentati.

È necessario, quindi, fare bensì un controllo dei crediti, ma estenderlo anche al piano qualitativo. E questo è possibile fare soltanto se si entra nel criterio di organizzare tutta quanta l’economia italiana sulla base di un piano veramente organico.

La politica antinflazionistica di Einaudi può essere difesa, e la difendiamo, ma purché essa si spinga alle sue logiche, legittime conseguenze. In difetto di ciò questa politica provoca quei danni che noi abbiamo lamentato e che lamentano tanto gli operai quanto gli industriali.

E potrei continuare sul terreno della pianificazione accennando alla perequazione dei redditi che senza l’intervento statale non è realizzabile.

Com’è possibile risolvere il problema della perequazione dei redditi in Italia, ossia la distribuzione equa dei beni, quando c’è una tale miseria in giro, quando mancano le condizioni per il funzionamento di un vero meccanismo liberistico? L’Italia abbandonata a se stessa sul piano del liberismo, di fronte alle altre potenze mondiali, sarebbe in condizione di assoluta inferiorità, e deve quindi ricorrere ad un sistema di economia pianificata. Ma nei rapporti fra classi e classi, le classi più povere, nei confronti di quelle ricche, si trovano nella situazione in cui si trova l’Italia nei confronti delle grandi potenze mondiali, per cui senza un sistema pianificatore che riesca a distribuire le ricchezze, l’equilibrio non l’otterremo mai.

Occorrono quindi delle misure decisive, un orientamento radicalmente mutato della politica del Governo. In questo senso, noi non possiamo accettare quanto è stato fatto fino ad oggi.

Gli argomenti che sono stati sollevati ieri ci lasciano piuttosto indifferenti. Non è sulla critica di dettaglio che si può esaminare l’azione di questo Governo. Si è rimproverata l’inflazione. Penso che si abbia torto, perché se ben consideriamo, in realtà, l’aumento di circolazione, dovuto a cause stagionali, non è superiore a quello avuto nel periodo corrispondente dell’anno passato.

La critica che noi muoviamo al Governo è ben più radicale: in un momento in cui tutti vanno verso un sistema di economia pianificata, il Governo, invece, tende verso una forma di liberismo che è in contraddizione con gli interessi del Paese. Questa è la critica sostanziale che facciamo a questo Governo. È un Governo questo che indipendentemente dalle sue intenzioni è portato sempre più verso destra. E noi pensiamo che il nostro dovere sia in questo momento di suscitare in quest’Assemblea una nuova forza politica la quale sia in grado di correggere questi difetti e di prospettare i lineamenti di una politica nuova.

Non vi starò a dire, onorevoli colleghi, che oggi la situazione è particolarmente grave. Questo voi lo sapete; del resto, il ruolo delle cassandre è un ruolo che in politica è perfettamente inutile.

Il problema che sta di fronte a noi in questo momento, che sta di fronte a tutti gli italiani, è un problema che trascende di gran lunga le sorti di questo Governo.

Siamo in un momento in cui tutti gli errori possono avere delle conseguenze molto gravi, ma è forse anche il momento in cui ci si offre per l’ultima volta l’occasione di rimediare agli errori del passato e di orientarci per una strada più giusta. Se ci lasceremo sfuggire questa occasione non so se potremo poi, domani, riacciuffarla o arrestare la marcia del Paese, non dico verso la catastrofe ma verso una situazione peggiore. Perché, vedete, è una illusione immaginare che quanto più la situazione si aggravi tanto maggiore diventi nel popolo la coscienza dei rimedi necessari. È precisamente il contrario che avviene. Noi possiamo risanare una certa situazione quando il male non è già troppo grave; ma quando il male fosse gravissimo non potremmo più arrestarlo.

Gli uomini non si battono se non hanno una certa speranza o una certa possibilità di successo. Avviene come dell’ammalato, che quando è in stato grave, non può più nemmeno deglutire le medicine. Se lasceremo la situazione aggravarsi, è certo che il Paese si abbandonerà alla deriva. Oggi, abbiamo la convinzione che è possibile arrestare questo processo di sbandamento e ricorrere ai rimedi, ma il problema essenziale è di aprire una prospettiva di salute al popolo italiano.

Vi è chi si diverte a tracciare quadri foschi dell’avvenire. Penso che dal punto di vista politico sia un errore. Si tratta invece di far intendere al popolo italiano che esistono ancora delle prospettive di salute e di speranza. Certo che, se ci si installa nella mentalità che il mondo è diviso in due blocchi e che non si tratta che di scegliere, il Paese sarà destinato fatalmente a dividersi esso pure in due blocchi. Noi pensiamo invece che esiste una terza via: che non è affatto vero che il mondo è condannato a dividersi in due blocchi, che non è affatto vero che l’Italia sia destinata fatalmente a lacerarsi, e che esiste infine la possibilità di un raggruppamento di forze di sinistra profondamente democratiche.

Ecco perché diciamo al popolo che la pace può essere salvata, che la democrazia si può consolidare e che la ricostruzione economica può essere accelerata. Ma per fare questo bisogna adeguare la direzione della pubblica cosa alle esigenze profonde del Paese in questo momento. Bisogna che il processo di polarizzazione al quale stiamo assistendo venga arrestato e che a questo processo succeda un processo di concentrazione di tutte le forze sinceramente democratiche, sinceramente di sinistra.

Noi lavoriamo per questo obiettivo. Non so se lo raggiungeremo o meno, ma il nostro dovere è di marciare in questa direzione e noi marceremo in questa direzione con la piena coscienza di servire gli interessi del Paese indifferenti alle ironie ed ingiurie e domani anche alla violenza. Noi sappiamo che questa è la strada giusta e sappiamo che seguendo questa strada un giorno incontreremo quelle classi lavoratrici che oggi forse non ci seguono ancora. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Onorevoli deputati, apro una breve parentesi nell’appassionata ed elevata discussione politica per riferire sulla situazione alimentare, situazione che è sostanzialmente anche al centro della discussione.

Riferisco sulla situazione alimentare per rispondere a qualche critica che è stata avanzata; ma soprattutto anche, per una necessaria chiarificazione all’Assemblea ed al Paese dei suoi termini concreti.

Non dirò cose nuove, perché per le comunicazioni del Governo, per le divulgazioni della stampa, per le molte discussioni che tutti i giorni fervono intorno al problema alimentare, più o meno questa situazione è anche nota. Però mi sforzerò di fare una sintesi dello straordinariamente poliedrico problema, soprattutto per mettere in rilievo le cause del disagio alimentare, perché per l’esperienza acquisita sia dato vedere, in rapporto a detta esperienza, quelle che possono essere le possibili soluzioni, per ristabilire una sufficiente tranquillità nel popolo che lavora e che da lunghi anni ormai sopporta le più dure sofferenze. Il carovita: senza alcun dubbio, il carovita sta in prevalente dipendenza dal fattore alimentare.

Le nostre statistiche, quelle dell’Istituto centrale di statistica, come di altri organi di studio, assegnano infatti una percentuale dell’80 per cento del costo della vita da ascriversi al fattore alimentare; percentuale che incide quindi duramente negli spostamenti del costo totale.

Io osservo che, per quanto si riferisce ai generi alimentari, l’aumento ha le sue origini molto lontane, perché sostanzialmente la marcia si inizia nel 1935, all’epoca della guerra etiopica; marcia che si è poi accelerata nel 1940, che ha assunto proporzioni allarmanti dopo il 1943, che ha segnato dal 1945 un aumento del 2.600 per cento ed è giunta, nel luglio 1947, sino a toccare il 6.200 per cento.

Ora, io ho qui dei diagrammi molto semplici da cui risulta come questo ritmo ognor crescente abbia subito delle oscillazioni nel tempo e, soprattutto, come abbia subito in questi ultimi anni degli spostamenti repentini in alto, segnando delle punte per esempio nei decorsi mesi di aprile e maggio ed anche una nel mese di luglio, per effetto dell’aggiornamento del prezzo del pane. Sostanzialmente tuttavia questo ritmo non ha subito un particolare peggioramento in questa ultima fase, in questi ultimi tre mesi cioè in cui ha operato questo Governo. (Interruzione dell’onorevole Bordon).

Lo dimostreremo con fatti concreti. Ora, è chiaro che il problema esiste; nessuno lo nega ed ha riflessi, badate, particolarmente duri in tutte le categorie della popolazione, ma soprattutto nei confronti di alcune categorie, quelle che non sono in grado di difendersi, attraverso la manovra della scala mobile: non è il caso di parlare di coloro che sono di condizione abbiente. È certo che il fattore gioca – ed è per questo che la questione è straordinariamente delicata – soprattutto in relazione alla percentuale sul costo totale. Se infatti esso gioca soltanto sull’80 per cento nel quadro medio statistico, gioca evidentemente sul cento per cento nei confronti dei ceti meno abbienti, che sono coloro i quali possono opporre una minore difesa nei confronti tra il reddito e l’aumento del costo.

Ora, a noi incombe il dovere di esaminare serenamente le possibilità di trovare un rimedio, di venire incontro a queste particolari situazioni di disagio, per assicurare o accelerare la fine del tormento.

Quali sono le cause del disagio alimentare? È noto come, prima della guerra, esistesse un pareggio del bilancio alimentare del Paese tra la produzione, col movimento importazioni ed esportazioni, in confronto ai consumi.

Aggiungo che la differenza a carico delle importazioni dava un coefficiente di fabbisogno complementare delle nostre risorse del 6-10 per cento alle importazioni stesse, quindi, una percentuale relativamente minima.

Attualmente la situazione si è spostata, tanto che nel bilancio tra produzione, importazioni, esportazioni del 1946, le importazioni pesarono – in questo bilancio – per il 25 per cento; non solo, ma nel nostro piano per il 1947-48, le nostre richieste aumentano questo spostamento fino al 30 per cento. È questa la vera, sostanziale causa del disagio alimentare, stante la difficoltà di realizzare le necessarie importazioni.

Ora, consentitemi un breve rilievo, un breve cenno a elementi di carattere strettamente tecnico. Il tenore di vita del popolo italiano ha raggiunto nel 1928 la posizione di massimo favore, con una media di consumi per abitante valutata a 2850 calorie. Questa valutazione calorica risultò ridotta, nel 1931-1940, a 2600 ed è declinata nel 1942 a 2250. Dopo il 1944 è discesa ancora.

Ora, per quanto possano valere questi indici, è evidente che esiste una diminuzione, e siamo arrivati ora ad un deficit che è veramente preoccupante e che costituisce la vera e sostanziale causa del grande disagio attuale.

ZANARDI. E quante sono le calorie adesso?

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Attualmente siamo intorno alle 2.000 calorie.

ZANARDI. Sono poche.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Comunque, analizziamo le cause di questo fenomeno. Incominciamo dai cereali. Certo che alla base del nostro sistema alimentare sta il problema dei cereali, i quali rappresentavano prima della guerra il 64 per cento della razione calorica media del popolo italiano, con spostamenti però anche notevoli, perché a nord noi avevamo un minore consumo di cereali, mentre a sud ne avevamo un maggior consumo in rapporto alle particolari condizioni alimentari e al tenor di vita delle varie regioni.

Naturalmente questa situazione è purtroppo profondamente mutata, e lo rileviamo da poche cifre. La disponibilità per abitante nel 1935-39 di cereali era di chilogrammi 210. Siamo scesi, nel biennio 1945-47, comprese naturalmente produzione ed importazione, a 141; con lieve miglioramento nel 1946-47 sino a 163. Quindi, la diminuzione che è stata segnata in questo ultimo biennio nei riguardi delle disponibilità di cereali è stata ben del 33 per cento, e, come è noto, è dovuta essenzialmente all’enorme caduta della produzione cerealicola che è passata, per il girano, dalla media 75 milioni anteguerra alla media del biennio di 51 milioni e 500.000; per il granturco, da 30 milioni a 16 milioni; per il risone, da sette e mezzo a quattro milioni e 200. Il tutto, non sufficientemente compensato dalle importazioni.

Le importazioni, specialmente attraverso il generoso e magnifico concorso dell’U.N.R.R.A., hanno di molto ridotto il pauroso vuoto, con una cifra media, realizzata nelle due annate, di 17 milioni circa, cui l’U.N.R.R.A. ha concorso con 8 milioni 350 mila in media annua, rimanendo però sempre una grande deficienza complessiva, aggravata dal fatto dell’aumento della popolazione.

Particolarmente grave si presenta poi nell’attuale annata la situazione del consumo cerealicolo. Infatti essa è caratterizzata dalle seguenti cifre:

Produzione: grano 46 milioni; cereali minori 2.800.000; mais 20 milioni; risone 5.600.000; totale: 75 milioni di quintali di cereali circa, in confronto alle disponibilità medie anteguerra che erano di oltre 116 milioni, cioè con una diminuzione del 35,7 per cento; e, se escludiamo il mais destinato all’alimentazione umana, con una diminuzione del 34 per cento, che rimane al di sotto della campagna decorsa per ben 16 milioni di quintali di grano, pari cioè al 24 per cento delle relative produzioni nazionali dell’anno scorso e del 38 per cento al di sotto di quelle dell’anteguerra. È sperabile solo un lieve miglioramento per le discrete prospettive del raccolto – ora iniziato – del mais e del risone.

Ora, questa è la causa dell’appesantimento della nostra situazione alimentare.

Sono, in sostanza, 16 milioni di quintali di grano in meno che circolano nel nostro Paese in questa annata, e di questi una parte non sono affluiti all’ammasso, e quindi abbiamo praticamente in questo momento una razione di 200 grammi di pane effettiva e di un chilo di generi da minestra mensile in confronto di 235 grammi dell’anno scorso e due chili mensili di generi da minestra. Non solo, ma anche quella corrente di grano che praticamente circolava nell’interno del Paese, negli scambi diretti fra produttore e consumatore, oppure per le innumerevoli vie della borsa nera, è straordinariamente ridotta, il che spiega la deficienza di afflusso anche in questo campo ed il fortissimo rialzo dei prezzi della borsa nera. Ora, tale deficiente produzione ha intanto prodotto questi effetti: lo ammasso del grano diede l’anno scorso 23 milioni di quintali. Per quest’anno sono previsti 12 milioni. E badate che quando noi parliamo di 12 milioni verso cui punta attualmente il Ministero dell’Agricoltura, diciamo già uno sforzo considerevole di disciplina perché se noi calcoliamo che legittimamente 36-37 milioni sono sempre rimasti presso gli agricoltori, bisogna anche riconoscere che in fondo se l’ammasso darà 12 milioni, darà nel complesso tutto quello che ci può dare.

Ma un altro fatto è derivato da questa deficienza di produzione, e pertanto deficienza di ammasso, ed è la straordinaria precarietà in cui si sono venute a trovare tutte le provincie della Repubblica.

A questo proposito è necessario fare una chiarificazione. Quando noi parliamo di 10-12 milioni di quintali di grano all’ammasso non si pensi, come purtroppo accade, che questo grano si trovi più o meno accentrato in determinati magazzini, in determinate zone e facilmente spostabile. No, la situazione è ben diversa: il grano è sparso in innumerevoli magazzini, in migliaia di località spesso anche impervie; non solo, ma noi abbiamo zone che hanno una produzione sufficiente al fabbisogno locale ed hanno anche una quota esportabile e ne abbiamo moltissime invece dove c’è deficienza, ed altre ancora che sono assolutamente sprovviste di produzione locale. Ed allora il problema della manovra diventa estremamente difficile specialmente se le quantità esportabili sono modeste come in questa annata per cui le popolazioni, che sono straordinariamente sensibili, oppongono una netta resistenza all’uscita del loro grano per l’approvvigionamento delle zone deficitarie. Noi ci siamo trovati, nei primi di luglio, in condizioni di estrema difficoltà appunto per questa resistenza opposta nelle varie provincie, derivante da uno stato d’animo psicologico contro il quale è difficile poter lottare. Comunque, alla fine di luglio, vista la difficoltà di ottenere l’applicazione dei nostri piani in riunioni che furono tenute nelle varie regioni produttrici del Paese da me insieme all’onorevole Marazza, con l’intervento energico del Ministro dell’interno e con la collaborazione dei Prefetti e di molti valorosi funzionari, è stato possibile rimuovere tutte le difficoltà; ed abbiamo così potuto assicurare l’approvvigionamento delle zone deficitarie. Ma questo stato di difficoltà negli spostamenti dalle zone approvvigionanti alle zone da approvvigionare, dalle zone di produzione alle zone di consumo, ha creato un’altra difficoltà che perdura tuttora e contro la quale abbiamo messo in opera tutti i mezzi che erano necessari. Ed è la situazione dell’industria molitoria e dell’industria della pastificazione. È da tener presente che nel nostro paese queste industrie hanno subito una falcidia enorme nella provvista della materia prima; lavoravano infatti per un consumo che si aggirava intorno agli 80 milioni di quintali di grano; adesso lavorano per un quantitativo straordinariamente più ristretto; perché anche le importazioni dall’estero molte volte sono fatte in farina; tanto che ci si riduce o ci si ridurrà ad un lavoro tra i 35 e 40 milioni, mentre lavoravano anche per l’esportazione e in quantità cospicue.

Quindi, esiste una crisi veramente grave di lavorazione.

Ed allora, di fronte a questa crisi, noi ci siamo trovati ad urtare contro la resistenza delle provincie esportatrici dove i mugnai e gli operai dell’arte bianca opposero ostacoli allo spostamento del grano, pretendendo lo spostamento della farina; hanno opposto resistenza alla spedizione anche della farina per pasta, pretendendo di fare la pasta da spedire verso le altre regioni. Anche queste difficoltà le abbiamo in parte superate.

In grave crisi, per effetto di queste resistenze, si sono venuti a trovare alcuni centri molitori importanti ed alcuni centri di pastificazione, come per esempio Napoli, Messina, Genova, cioè zone che non dispongono di un retroterra agricolo e che devono essere approvvigionate da altre zone. Però, anche questo problema è in via d’assestamento, e già abbiamo raggiunto una situazione relativamente normalizzata. A Napoli siamo riusciti a normalizzare la distribuzione del pane e della pasta, sempre nella razione di un chilo al mese. Stiamo normalizzando una delle situazioni più difficili anche per le difficoltà tecniche dell’ambiente, cioè la situazione della Calabria. Rimane una situazione sempre delicata e difficile, questa, per la richiesta degli arretrati nella distribuzione di alcuni mesi relativi alla campagna decorsa. Devo onestamente riconoscere che questa richiesta ha un suo giusto fondamento. Però le nostre disponibilità sono quelle che sono. Agiremo in rapporto a queste disponibilità, soprattutto attraverso particolari afflussi per qualche distribuzione straordinaria. Naturalmente, con questa deficienza così grave di produzione, noi abbiamo, per contro, una necessità di vistose importazioni.

Anche su questo punto devo dire che si sono fatti tutti gli sforzi per ottenere dai consessi internazionali quanto necessita al Paese. Fin dall’aprile-maggio il Comitato interministeriale della ricostruzione segnalò al Consiglio internazionale di emergenza per l’alimentazione quelle che erano, già allora, le prospettive delle nostre necessità granarie. A Parigi noi presentammo la nostra situazione alla Conferenza internazionale dei cereali: le nostre richieste furono allora precisate in ben 34 milioni di quintali, in confronto alla media dei 17 milioni delle importazioni degli anni precedenti. Queste nostre richieste hanno urtato ed urtano tuttora contro una difficilissima situazione mondiale, che va tenuta presente ogni qualvolta si esamini questa nostra situazione alimentare.

Le richieste a Parigi dei Paesi importatori erano rappresentate da 49 Nazioni per cinquecento milioni di quintali di cereali. Le disponibilità, accertate a Parigi e che ora sono diminuite, dei paesi esportatori – sostanzialmente tre – erano di 320 milioni di quintali; quindi, un deficit enorme.

Da cosa deriva questo deficit? Dall’enorme caduta della produzione in tutta l’Europa ed anche nei Paesi orientali, per quel che si riferisce al riso, dalla pratica assenza dei Paesi dell’Europa sud-orientale; noi importavamo quantitativi cospicui dal Bacino danubiano, dal quale ancora oggi non ci sono favorevoli prospettive, perché le prime avvisaglie le abbiamo avute adesso, ma per quantità modeste. Quindi, questo enorme deficit è praticamente incolmabile, anche perché alle conferenze di Parigi e di Ginevra si sono presentati alcuni popoli, come gli indiani e i cinesi, popoli che hanno necessità veramente straordinarie.

Ed allora il problema nostro qual è? Quello di fare valere, attraverso i contatti diretti, assillanti e continui al Comitato di emergenza, attraverso un’azione che è condotta con grande energia dalla nostra delegazione tecnica a Washington e dal nostro ambasciatore Tarchiani, di fare valere le nostre richieste per avere assegnazioni adeguate al nostro fabbisogno. Abbiamo contratto queste nostre richieste, scendendo da 34 a 29 milioni; ed ora, poiché marciamo ancora con razione ridotta, le richieste stesse sono scese a 27 milioni; e su questa base in questo momento ci stiamo battendo.

Però, finora, su questo quantitativo di assegnazioni assicurate non abbiamo avuto che 7 milioni e 750.000 quintali tra le assegnazioni dirette del Nord America e gli acquisti che si vanno facendo nelle poche zone dove ci sono le disponibilità.

Certo, tutte le possibilità future di un miglioramento essenziale della situazione alimentare dipendono in sostanza dalla possibilità di coprire questo deficit. Tutte le nostre attività sono ora rivolte verso questo obbiettivo, perché se le assegnazioni che ci sono state fatte dal Comitato internazionale di emergenza dovessero rimanere nelle 115.000 tonnellate mensili attuali, indubbiamente noi ci troveremmo di fronte a ben gravi difficoltà per il prossimo avvenire. Questo è bene dirlo, perché non è possibile, non è assolutamente possibile, per quanto si possa spingere (come stanno spingendo generosamente alcuni uomini che operano nell’interno del Paese), le operazioni dell’ammasso fino al massimo del reperimento (con quel controllo fatto azienda per azienda, attraverso un’azione che è straordinariamente mal vista, in condizioni veramente penose, condotta con decisione da detti uomini che sono da considerarsi assai benemeriti), non è possibile, dicevo, mai colmare questo enorme deficit qualunque possa essere il gettito delle risorse nazionali. Per questo io chiedo da questa tribuna, ai molti sollecitatori che vengono da più parti d’Italia a chiedere assegnazioni di cereali: non ci mettano in croce. Purtroppo non è possibile fare dei miglioramenti, perché nella precaria situazione in cui siamo è nostro dovere difendere le scorte con tutti i mezzi e con ogni energia. Io ho dovuto anche giorni fa, in una riunione, oppormi ad un’altra richiesta che viene ripetutamente avanzata ed affacciata: anche questa è una delle tante proposte che sembrano allettanti. Ci si chiede di abbandonare la posizione dell’ammasso e di consentire delle forme di ammasso a carattere cosiddetto integrativo contro un miglioramento di prezzo.

Ci si chiede la libertà, da parte dei pastificatori ed anche da parte dei panificatori, di andare in campagna e di prendersi il grano. Signori, anche su questo punto la nostra resistenza deve esser mantenuta al cento per cento, perché risulterebbero gravemente compromesse le operazioni dell’ammasso che sono in corso: infatti, evidentemente, nessuno più porterebbe il grano all’ammasso se sapesse che ha legalizzata la possibilità di cederlo in altre condizioni di mercato. Il rimedio diventerebbe peggiore del male, perché, evidentemente, coloro che dispongono ai grano non è che di fronte alla libertà lo farebbero affluire immediatamente sul mercato. Certo in un primo tempo potrà anche esserci un certo afflusso, ma poi, in un secondo tempo, il giuoco dell’accaparramento diventerà indubbiamente più forte, per cui le difficoltà diventeranno ancora più gravi. Non solo, ma noi andremo soprattutto anche a peggiorare la situazione relativamente tranquilla delle zone cerealicole. Quando avvenisse lo sblocco, fatalmente anche queste regioni si vedrebbero rapidamente spogliate delle ultime riserve, e noi creeremmo anche in queste una situazione di disagio, mentre oggi c’è una situazione relativamente attenuata per gli scambi diretti tra produttori e consumatori. Infine, noi svaluteremmo in pieno l’azione che stiamo facendo e la comprometteremmo rispetto agli organi internazionali, perché a Parigi tutti i rappresentanti di tutte le nazioni furono concordi nel ritenere che le nazioni importatrici dovessero fare il massimo sforzo nell’azione di reperimento, perché soltanto da questo sforzo si doveva acquistare il pieno diritto ad avere un’equa assegnazione sulle possibilità mondiali.

Tali le ragioni per cui abbiamo respinto le richieste che ogni giorno ci vengono fatte per queste concessioni. Devo dire che la posizione dei cereali io la considero quasi l’ultima trincea della resistenza, ché ove venisse infranta non c’è dubbio che noi precipiteremmo rapidamente nel caos. Dobbiamo quindi ciò evitare con ogni energia.

Veniamo agli altri settori alimentari: olii e grassi alimentari. In questo settore si profila un notevole miglioramento, soprattutto per la produzione olearia che si prospetta quest’anno, sotto ogni riguardo, veramente favorevole. Le notizie che abbiamo sono sostanzialmente buone. La direttiva è quella di procedere all’ammasso per contingente ed abbiamo già stabilito che, dal 1° di novembre la razione, per le categorie meno abbienti, sarà portata da duecento a trecento grammi. Questo in vista dell’afflusso all’ammasso ed in vista anche di possibili importazioni, che saranno soprattutto assicurate dal prossimo trattato con l’Argentina, del quale parlerà il Ministro competente.

Zucchero. Lo zucchero è un altro genere controllato al cento per cento. Purtroppo, anche qui, le avversità stagionali sono state veramente del tutto sfavorevoli, per cui ancora oggi è incerto l’esito della produzione. Si parlava, fino alla metà di agosto, di una disponibilità di due milioni e mezzo, anzi due milioni e settecentomila; poi, la cifra è scesa a due milioni e mezzo e attualmente siamo verso i due milioni e trecentomila. Il Consiglio dei Ministri, nel mese di agosto, in vista delle maggiori possibilità che erano offerte, e in vista della necessità di venire incontro decisamente ad alcune categorie, specialmente ai ragazzi e ai vecchi, decise un aumento delle razioni: portando la razione per i ragazzi fino ai nove anni da 300 a 500 grammi, per quelli fino a 18 anni a 400 grammi e per i vecchi oltre i 65 anni fino a 400 grammi. Ora, con questo abbiamo indubbiamente sacrificato l’industria, specialmente l’industria delle marmellate che per noi ha uno straordinario interesse. Però anche questo lo si è fatto a ragion veduta, perché fortunatamente sul mercato mondiale, la produzione ha pressoché raggiunto le esigenze del consumo, per cui le prospettive di importazione di zucchero sono favorevoli. E si spera, pertanto, che l’industria si possa approvvigionare e sia in grado di integrare eventuali nostre deficienze anche per la razione alimentare.

Latte alimentare: anche questo settore è straordinariamente delicato. Le nostre cure sono per assicurare l’approvvigionamento di detto prodotto essenziale specialmente per alcune categorie della popolazione.

Le operazioni di reperimento sono secondo il sistema a contingente, sistema che ha i suoi vantaggi e che ha però anche le sue deficienze. Comunque il nostro criterio attuale è di perfezionare il sistema in modo da assicurare l’afflusso con l’obbligo diretto ai produttori di consegna, in modo da ottenere quei quantitativi che sono necessari nel quadro del piano di distribuzione, secondo le esigenze delle varie città e soprattutto delle grandi città.

Certo che nel settore caseario, che pur formerà oggetto da parte mia di un rilievo in relazione a quanto è stato detto ieri dall’onorevole Nenni, devo segnalare un fenomeno che si è verificato, cioè quello del frazionamento della produzione casearia, della polverizzazione: la grande industria ha ceduto in parte le sue armi in confronto alle resistenze offerte dalle categorie interessate, le quali più o meno si sono attrezzate a produrre burro e formaggio, probabilmente in relazione alla possibilità di sfuggire meglio la disciplina. Con la disciplina del latte è legata anche la disciplina del burro, che dovrà assicurare un quantitativo di 150 mila quintali al razionamento dei grassi alimentari.

Altri prodotti: è noto come la vasta gamma dei prodotti freschi e conservati sia prevalentemente ormai lasciata al libero mercato. Una posizione di discreta efficienza è stata raggiunta dal patrimonio zootecnico su cui dirà probabilmente il Ministro dell’Agricoltura. A me basta rilevare come in sostanza ci si vada avvicinando alle posizioni dell’anteguerra. Così per gli ortofrutticoli che hanno raggiunto e superato molte delle posizioni anteguerra. Settore anche questo indubbiamente di grande interesse, di grandissimo interesse, in quanto ha giovato enormemente agli effetti del temperamento della situazione alimentare. Noi eravamo fortemente esportatori di ortaggi o frutta.

Io non sto qui a tediare l’Assemblea con le moltissime cifre di cui dispongo, ma posso assicurare che i quantitativi che vengono ora consumati salgono a cifre notevolissime: così, per gli ortaggi, mentre nell’anteguerra si esportavano due milioni seicentomila quintali, oggi se ne esportano appena seicentottantamila, mentre l’aumento della produzione è stato di circa il 10 per cento.

Così pure dicasi per la frutta fresca: noi esportavamo cinque milioni di quintali, mentre oggi l’esportazione è ridotta a due milioni di quintali. Quindi sono tutti prodotti che circolano nel consumò interno. (Interruzione a sinistra). Ora, il consumo interno di questi prodotti è arrivato al massimo, risultando aumentato dal 15 al 20 per cento. Fortunata possibilità in questo nostro Paese, che ha potuto reggere nei momenti più gravi mercé il consumo di questi prodotti; fortunata possibilità, anche perché rappresentano ancora la nostra gran speranza per l’avvenire.

Scambi con l’estero. Di questo parlerà il Ministro competente; a me basti ricordare che, a parte il problema del grano, i nostri sforzi sono rivolti ad assicurare il massimo dei prodotti all’importazione.

È inutile che io ricordi cosa è stata l’U.N.R.R.A., il mirabile concorso di questa istituzione, che ha indubbiamente giovato a sollevare le sorti della nostra alimentazione, oltre che quelle della nostra economia. Oggi all’U.N.R.R.A. si è sostituita l’A.U.S.A., altro organismo che ci sostiene: le possibilità però sono notevolmente diminuite.

Tuttavia, il movimento delle importazioni, specialmente per alcuni prodotti, presenta delle prospettive relativamente favorevoli. Per il merluzzo e il baccalà si profila la possibilità di importazione di 500 mila quintali, in confronto ai 600 mila quintali dell’anteguerra.

Anche per la carne congelata, sia per le iniziative in corso – secondo le possibilità offerte dai provvedimenti recenti del Ministro Merzagora – sia per il trattato argentino, noi calcoliamo di poter meglio integrare le nostre risorse, che potrebbero arrivare fino a 140 mila quintali.

Per tali prodotti esiste una notevole difficoltà di manovra. Certo, noi operiamo la distribuzione con criteri sufficientemente perequativi, con criteri cioè che cercano di andare incontro alle situazioni di maggiore sofferenza.

Ho tolto di mezzo le singole assegnazioni, le assegnazioni dirette, straordinariamente pericolose, perché dal centro noi non possiamo identificare nei singoli richiedenti se sono quelli che hanno più o meno diritto. Nel gioco perequativo noi non possiamo distribuire altro che in rapporto a quelle che sono le esigenze fondamentali delle singole province. Solo in provincia gli organi locali, sotto il controllo locale, sono in condizioni di poter stabilire la perequazione tra le varie categorie della popolazione, distribuendo soprattutto con il criterio della omogeneità della categoria che deve essere beneficiata. Naturalmente, rimane al centro soltanto la distribuzione ad eventuali grandi organismi a carattere nazionale.

A proposito di queste zone o categorie di maggior sofferenza, consentitemi di fare qualche precisazione. Prima di tutto, esiste una differenza enorme fra le zone cerealicole e quelle non cerealicole, dato che il problema pane è quello essenziale, come abbiamo visto.

Sono in condizioni di maggior sofferenza evidentemente quelle zone dove manca la produzione di cereali; sono in condizioni di maggior sofferenza tutte quelle zone dove esiste un minor potere d’acquisto; sono in condizioni di maggior sofferenza tutte quelle categorie e tutti quegli individui che dispongono di un minor potere d’acquisto rispetto alla composizione familiare.

Sono in condizioni di maggior sofferenza tutte le valli alpine ed appenniniche, verso le quali si rivolge tutta la nostra simpatia, per quanto sia estremamente difficile provvedere e colmare i loro bisogni. Sono in condizioni di difficoltà i grandi centri fra i quali vi sono distinzioni enormi da fare: fra i centri, cioè, dove, con i grandi complessi industriali, ci sono possibilità di acquisto che mettono in istato di difesa i centri stessi e gli altri che non dispongono che di mezzi limitati, come certe città del Mezzogiorno.

Noi conosciamo sostanzialmente queste condizioni di fatto, ed è naturale che le nostre preoccupazioni convergano in modo preminente verso la sorte dei meno abbienti. Quando diciamo meno abbienti, vogliamo soprattutto riferirci ai minorati, ai mutilati, ai disoccupati, ai pensionati, agli operai, e agli impiegati statali e parastatali le cui condizioni assumono aspetti di singolare gravità, in relazione naturalmente ai rispettivi carichi di famiglia.

Lo stato di difficoltà dei tempi normali per costoro si esaspera, come fu già accennato, nel continuo e triste peggiorare della situazione dei prezzi.

MANCINI. Alle provincie e alle regioni meno abbienti di cereali bisogna pensare.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Vengo anche a quelle. Come si superano queste difficoltà? Vediamolo obiettivamente e serenamente. E qui vengo alle due tesi sostenute o affacciate ieri dall’onorevole Nenni, che pure costituiscono oggetto delle nostre preoccupazioni: libertà o vincolo totale? Ci sarebbe veramente anche una terza tesi, che è quella sostanzialmente che trionfa, ed è la via di mezzo. È evidente infatti che chi parla di libertà si riferisce all’assurdo; nessuno di noi, in questo periodo, ha pensato di poter puntare sulla libertà, perché evidentemente è impossibile arrivare alla libera concorrenza in condizioni di tanta carenza di disponibilità di generi alimentari; non esiste concorrenza, quando da una parte c’è un detentore che detiene le merci e ne dispone come crede, mentre dall’altra parte c’è la pressione continua ed assillante del consumatore che non ha facoltà di scelta. Evidentemente, se noi accordassimo la libertà completa, daremmo un privilegio pieno, completo, a tutti coloro che dispongono di questi mezzi, di questi prodotti alimentari.

D’altra parte, e lo hanno provato anche di recente alcune nazioni (basta pensare alla Francia, che diede piena libertà al pane, e poi venne rapidamente di nuovo al tesseramento), in periodi di libertà completa, i fenomeni dell’accaparramento assumerebbero proporzioni gravissime e metterebbero praticamente il Paese in condizioni di estrema, insuperabile difficoltà. Questo io vi posso dire, anche per l’esperienza personale di un mio viaggio in Brasile (nel paese delle libertà, in un paese di grande prosperità economica), dove rimanemmo alcuni giorni senza pane nella grande città di San Paolo. Quindi, quella della libertà completa è una tesi inammissibile, specialmente per i prodotti di massa.

E in fondo anche i liberisti più convinti, più o meno riconoscono la necessità di alcune discipline.

Allettante, come fu prospettata ieri dall’onorevole Nenni, è anche la tesi vincolistica. Io passo per un vincolista, e non posso non essere sostanzialmente un vincolista, perché so perfettamente come un prodotto, se può essere veramente controllato in tutte le sue fasi, può venire convogliato al consumo ad un determinato prezzo; e si può procedere ad una perequazione del consumo soltanto se c’è questo controllo dalla produzione al consumo stesso.

Però, anche qui non bisogna farsi illusioni. Il blocco totale peggiorerebbe la situazione. Ove dovessimo arrivare al totale vincolo, al blocco totale dei prodotti, noi peggioreremmo anziché migliorare la nostra situazione alimentare. E perché? È facile rispondere quando noi esaminiamo serenamente ed obiettivamente quelle che sono le condizioni generali del nostro Paese: una produzione straordinariamente frazionata, con prodotti solo in parte di grande massa, mentre abbiamo una vasta gamma di prodotti che affluiscono al mercato anche in quantitativi relativamente considerevoli, ma che effluiscono soprattutto verso determinate zone di consumo, non si distribuiscono, cioè, totalmente su tutta la massa della popolazione. E ciò sia per le abitudini, che stanno un po’ in relazione all’ambiente, sia per le straordinariamente diverse condizioni del tenore di vita tra le varie regioni. Quindi è evidente che è estremamente difficile ridurre tutti sullo stesso piano distributivo, perché è già di per se stesso difficile, badate, il problema del pane. Noi sappiamo che il razionamento del pane è quello che ha creato in sostanza (a parte il fatto che è stato imposto dalla necessità) le maggiori difficoltà dei nostro sistema alimentare, perché le condizioni sono profondamente diverse da zona a zona, sono profondamente diverse da individuo a individuo, da famiglia a famiglia. Ci sono famiglie a cui la attuale razione è sufficiente, ci sono invece famiglie che si trovano in enormi difficoltà, soprattutto dove ci sono ragazzi di 10, 12, 15 anni, che hanno bisogno di pane.

TONELLO. Ha visto il prezzo delle carni? Lo danno ai maiali il frumento!

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Parleremo anche delle carni.

Ora, è estremamente difficile perequare queste situazioni, fra le zone dove si mangia carne e dove non si mangia carne, fra le zone dove si consuma molto latte e dove non si consuma, fra le zone dove si consuma molto pesce e dove non se ne consuma.

Ma a queste difficoltà si aggiungono quelle del reperimento, perché, quando la produzione è estremamente frazionata fra migliaia e migliaia di produttori, nelle condizioni particolari in cui si trova il nostro Paese, è estremamente difficile provvedere ad un’azione di reperimento per una gran massa di prodotti, mentre è già difficile per l’olio e per il grano. E vediamo che queste difficoltà si moltiplicano quando andiamo alla carne e agli altri innumerevoli prodotti, da quelli caseari ai fichi secchi e alle castagne.

In tempi fascisti tentarono di fare questo blocco totale, ma ormai, dagli elementi acquisiti dall’esperienza di quello che avvenne già allora – quando la gente portava, più o meno, per le molte costrizioni, ma portava sempre in quantitativi estremamente modesti – si è visto che questi vincoli dettero praticamente un frutto molto, ma molto, ridotto. Ma quello che devo mettere in rilievo dinanzi all’Assemblea è come questi blocchi parziali – che porterebbero innanzitutto come risultato un modesto quantitativo disponibile per la distribuzione – apporterebbero anche ad un minimo quoziente di distribuzione, ad un minimo quantitativo; e lo posso comprovare, con elementi che ho in mano, proprio per la carne.

Tenete presente innanzitutto che da calcoli fatti – e del resto dalle stesse proposte che erano state fatte dalla C.G.I.L., la quale mi proponeva praticamente di mettere il blocco sul 50 per cento del bestiame – tenuto conto delle enormi difficoltà di imporre questa disciplina, che significa andare presso le stalle e portar via gli animali ai contadini, e soprattutto con le difficoltà di una organizzazione che sempre si mostrò difettosa, un simile progetto è estremamente difficile tradurre in pratica.

Ma, a parte tutto, penso che in Italia noi – vincolando il 50 per cento delle disponibilità – riusciremmo sì e no ad ottenere un 50 per cento di reperimenti; ragion per cui, dalle disponibilità attuali che, come è noto, superano i tre milioni di quintali di carne, sì e no potremmo arrivare ad un milione di quintali. Per cui, come quoziente di distribuzione (perché più grave diventa il fenomeno distributivo su tutta la massa della popolazione), arriveremmo a dare sì e no 50 grammi alla settimana.

Ora, se pensate che il consumo attuale, per esempio, di Milano, è di 19 chilogrammi all’anno per persona, cioè 370 grammi alla settimana, allora è evidente che se noi adottassimo una disciplina di questo genere, mentre non porteremmo certo giovamento nelle varie regioni dove andremmo a distribuire detti modesti quozienti, metteremmo una grande città industriale come Milano ed una grande massa di cittadini in una condizione di straordinaria difficoltà.

Quindi rimettere in piedi una organizzazione di questo genere sarebbe un assurdo.

Veniamo alle castagne ed ai fichi secchi, due prodotti che nel nostro Paese acquistano una importanza rilevante. Questi prodotti si distribuiscono regolarmente quando camminano per le innumerevoli strade del commercio libero arrivando a saturare il fabbisogno degli abituali consumatori. Orbene, io ho calcolato che se dovessimo fare una distribuzione di castagne a tutti, potremmo darne solo cento grammi al mese, tenuto conto di quel che si potrebbe reperire; né si potrebbero fare distinzioni pratiche, perché quando andiamo a distribuire, non possiamo identificare i normali consumatori né fare particolari distinzioni. Mentre ingenti quantitativi, anzi la massa della produzione resterebbe praticamente paralizzata, occultata presso i produttori e gli accaparratori, affluendo a consumo solo per le vie del mercato nero a prezzi elevatissimi. D’altra parte io devo ricordare un esempio classico, anzi devo ricordare due momenti del passato. Come ricorderanno alcuni autorevoli membri dell’Assemblea che parteciparono alle giornate della liberazione di Milano, allora i decreti del C.L.N.A.I. stabilirono, in conformità agli accordi presi in periodo clandestino, la conservazione di tutte le discipline alimentari.

Il secondo fatto saliente da ricordare è quello di Milano, organizzata in tempo fascista dai repubblichini e dai tedeschi, con una distribuzione fondata prevalentemente sulle mense popolari. Chi arrivava allora a Milano trovava aboliti i liberi ristoratori, abolito il libero commercio e tutti affluivano alle mense cosiddette del popolo. Ed allora io ricordo che con quelle mense non si poteva vivere. Le avevano create per eccesso di vincolismo: avevano messo una così grande città in condizione di estrema ed assoluta sofferenza, per cui chi non trovava modo di collocarsi presso qualche famiglia, era in condizioni di non potersi praticamente sostenere, non solo, ma tale rigorosità non migliorava le condizioni generali della popolazione, perché le singole famiglie erano in condizioni di estrema precarietà per i loro rifornimenti.

D’altra parte, l’abolizione delle discipline non è stata poi praticamente decretata dai vari Governi che si sono succeduti. Si è manifestata una situazione di insofferenza generale, che era dei produttori, che era degli industriali, che era dei commercianti, ma che era anche dei consumatori, i quali premevano perché si sciogliessero gli eccessivi legami che praticamente rendevano la vita insopportabile a vasti strati della popolazione.

Quindi, ecco perché non si può andare verso queste estreme conseguenze, mentre invece, come ho precedentemente detto, bisogna conservare le discipline dei prodotti di massa: cereali, zucchero e, entro certi limiti, anche olio, grassi, ecc.

Assicurare il pane, la minestra, il condimento, il latte, venire incontro a particolari categorie attraverso i generi di importazione. Certo, così noi assicuriamo oggi solo un quantitativo modesto.

È stato sempre detto che la tessera non è sufficiente: l’importante è che la tessera rappresenti una quota parte stabile, sicura, tranquilla al 50-60 per cento (così secondo i nostri calcoli) della razione calorica media. I confronti con altre Nazioni che sono vincolate più di noi non reggono. Si tenga presente che le risorse degli altri paesi sono superiori alle nostre, per cui sono in grado – sia per i sistemi alimentari più uniformi, sia per la massa di manovra veramente più ingente di produzione od importazioni – di assicurare razioni molto più elevate delle nostre.

Dall’insufficienza della razione è sorto il problema del sistema differenziato. In linea di principio, nessuno credo si opponga a tale sistema; perché è evidente come tutti non possiamo non essere preoccupati del problema di venire incontro a quelle che sono le maggiori sofferenze: il problema più grave e più delicato.

Io l’ho sposato, il sistema del tesseramento differenziato, del resto già applicato in parte e non da ora, a sostegno di alcune categorie. Basti pensare agli innumerevoli quantitativi di generi alimentari che vanno a favore delle mense operaie, delle varie istituzioni, di tutti quegli organismi che sono stati creati per l’assistenza dei meno abbienti. Però, il problema grave del tesseramento differenziato, come fu studiato – e fu certamente, a mio avviso, una notevole iniziativa del passato Governo – e come fu attuato, non ha dato i risultati che il Governo si aspettava.

Ha rappresentato uno sforzo considerevole per venire incontro ai meno abbienti, ma la verità è che nel momento in cui si è passati all’applicazione, tutte le categorie hanno premuto per entrare in quella categoria «A» che doveva essere riservata veramente alle categorie più sofferenti. Da questo è venuto praticamente un insuccesso del sistema; e le cifre sui risultati provvisori del censimento che furono già esposte, ma che amo qui ripetere in Assemblea, sono in proposito molto chiare.

Categoria A. Sono 27.983.133 non produttori, cioè quelli da tesserare o tesserati. Anche in questa categoria ci sono 6.020.183 di produttori. Nel totale sono circa 34 milioni della categoria «A».

Sapete che la categoria «A» è costituita dalle categorie che hanno un reddito al di sotto delle 30 mila, e comunque comprende tutte le categorie operaie.

Categoria B. Produttori: 3.725.821; non produttori: 3.483.480.

In sostanza, 3.483.480 tesserati.

Categoria C. Produttori 3.459.984; non produttori: 2.090.962.

In sostanza n. 2.090.962 tesserati.

In sostanza sono 33 milioni e 561 tesserati, di cui quasi 28 milioni appartenenti alla categoria A e 2 milioni o poco più alla categoria C. Ma le stesse proposte, venute da tutte le parti, e l’esame dei ricorsi, che si sta facendo, porteranno uno spostamento ulteriore dalla categoria C verso la A; per cui avremo probabilmente un allargamento della categoria dei così detti meno abbienti.

Ed allora questi inconvenienti ci metteranno in estrema difficoltà, nel non poter fare un’efficace applicazione pratica. Peraltro, non è stata scartata la possibilità applicativa, perché, come ho già accennato, per l’olio si farà un aumento della razione di 100 grammi a favore della categoria A. È possibile farlo per l’olio, perché, oltre ai quantitativi che riusciremo ad ammassare, resteranno in circolazione quantitativi ingenti.

Per i cereali il problema è estremamente grave e difficile.

È stato proposto dalla Confederazione generale del lavoro di ridurre la razione alla categoria C di 100 grammi. È esclusa la possibilità di togliere il pane e la pasta a questa categoria; alla quale, del resto, appartengono innumerevoli famiglie, le quali, per avere un reddito di 50 mila lire, non si trovano in condizioni felicissime, specialmente se hanno un forte carico di famiglia. D’altra parte, non possiamo logicamente legalizzare il mercato nero. Il pane è necessario a tutti, anche alle famiglie più abbienti.

Ma andiamo ai calcoli. Un giornale di stamane dice che noi giochiamo sulle cifre. Facile dimostrare il contrario. Riducendo di 100 grammi la razione ai due milioni di consumatori della categoria C, otteniamo un’economia mensile di 61 mila quintali, i quali, ripartiti su 27 milioni di consumatori della categoria A – destinati forse a diventare 30 milioni – porterebbero ad un aumento di appena grammi 7,6 a persona. Di fronte a questo insensibile vantaggio, vale la pena di affrontare il tesseramento differenziato che creerebbe una condizione di particolare disagio a molte famiglie?

Ma c’è un’altra considerazione di ordine generale.

Nelle nostre discussioni quotidiane presso il Comitato di emergenza internazionale, dove i nostri rappresentanti si logorano, la discussione sulla razione è continua. Vorremmo puntare verso la normalizzazione della razione, che dovrebbe essere di 235 grammi di pane giornalieri e 2 chilogrammi di generi da minestra mensili.

Si discute all’estero di questa opportunità; ma pensate se possono acconsentire ad un ulteriore aumento, quando rappresentanti del Comitato di emergenza sono venuti nei miei uffici a domandare qual è l’effetto, qual è l’economia che otterremo attraverso l’applicazione del sistema differenziato! Niente di meno consideravano la possibilità che questa economia, derivante dalla riduzione delle razioni alla categoria C, andasse a scomputo delle assegnazioni internazionali! Evidentemente noi possiamo trovare la maniera di ripartire meglio tra di noi, ma non dobbiamo presentarci comunque di fronte a questi consessi, dove si ragiona in condizioni di assoluta freddezza, a fare delle economie che ridurrebbero la massa delle possibilità alimentari nell’interesse del Paese.

Ora, certo per il prossimo anno, si andrà verso il contingentamento anche per i cereali, di cui vi parlerà il Ministro dell’agricoltura, e mi auguro che molta parte di detto problema potrà trovare allora la sua soluzione. Certo è che io penso che non si debba abbandonare il sistema: ho trovato sempre favorevoli anche tutti gli altri membri del Governo. Non lo si deve abbandonare, bensì – come ho accennato – revisionarlo. Il problema non è facile, ma io ho già emanato disposizioni per cercare di venire incontro alle vere sofferenze che sono quelle dei minorati, invalidi, disoccupati permanenti, degli impiegati ed operai degli enti statali e parastatali, e di tutti coloro i quali, pur giovandosi del sistema della scala mobile, si trovano, con un forte carico di famiglia, sottoposti alle conseguenze del carovita. Tali disposizioni tendono anche a fare ulteriori discriminazioni nella stessa categoria A, perché a favore di dette categorie minorate si possano meglio concentrare i mezzi che possiamo avere eventualmente disponibili. Del resto, basti ricordare tutta l’assistenza fatta a molte di queste categorie, con il potenziamento dei pacchi A.V.I.S.S., con lo sviluppo dei ristoranti popolari ed altri mezzi, che hanno giovato ad alleggerire la loro situazione. Ci si accusa di eccesso di liberismo: mi si consenta di dire che per la parte alimentare questo non è avvenuto, ma sono state mantenute invece tutte le discipline così come erano e si è rafforzata adesso quella del settore del latte alimentare. Fu soltanto ridotto al 35 per cento il coefficiente a carico delle merci di importazione, e ciò per due evidenti ragioni: primo, per facilitare l’afflusso dai mercati esteri; in secondo luogo, anche, perché i gravami dei prezzi assunti da dette merci erano tali che il vincolo totale rappresentava di per se stesso un’enorme difficoltà di collocamento, mentre il vincolo parziale a prezzi relativamente equi permette veramente di utilizzare queste merci a favore di quelle categorie che meritano di essere assistite.

Il problema dei prezzi. Questo dei prezzi è certo un problema di carattere essenziale: l’onorevole Nenni lo ha accennato ieri ed io ho qui dei diagrammi dimostrativi sull’andamento del fenomeno, che terrò ben volentieri a disposizione dei membri dell’Assemblea che vorranno prenderne visione. Mi riferisco ora a quei generi a cui ha accennato l’onorevole Nenni. Certo si è avuto un notevole aumento dei prezzi del grano in borsa nera. Tale fenomeno è una dimostrazione chiara e netta dell’effetto della disciplina stringente degli uffici che si occupano del reperimento dei cereali, ed è anche l’effetto della scarsissima produzione che ha privato gli stessi produttori di quei quantitativi tanto spesso oggetto di scambio diretto con i consumatori. Comunque, sta di fatto che esiste in circolazione una massa straordinariamente ridotta di grano. Queste le cause del rialzo; in ogni modo si tratta di un genere totalmente vincolato.

Bestiame da macello. Anche questo ha subito fortissimi aumenti, ma l’apice dell’aumento è stato raggiunto in maggio; successivamente abbiamo avuto una relativa stabilità. Quindi, non è vero che con questo Governo vi sia stato un sensibile peggioramento della situazione. Certo la carne è carissima (lo sappiamo tutti), però in questi ultimi mesi ha segnato una relativa stabilità. Nell’industria dei salumi. adesso si è verificata una punta per l’effetto dell’aumento subìto dai prezzi dei suini. Fenomeno che non mi è sfuggito, ma che sta in relazione con l’altro fenomeno, molto delicato: quello della deficienza dei mangimi. Ora, anche per il vincolo che noi poniamo ad una parte della produzione suina, io ho voluto sincerarmi dei costi di produzione ed ho visto che nelle condizioni odierne il prezzo dei suini è sostanzialmente parificato al costo di produzione.

CREMASCHI OLINDO. Ci parli della libertà di macellazione dei suini da lei consentita in agosto e settembre.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Questa libertà è stata concessa nel momento della massima depressione nella produzione, che praticamente era controproducente alla nostra disciplina. Abbiamo affrontato il problema ora più decisamente, attraverso una forma di carattere forfetario che è quella che ci garantirà quantitativi considerevoli di grassi suini, mentre abbiamo dato la libertà agli allevamenti familiari, che interessano una vasta massa di contadini che hanno bisogno di carne di maiale come un mezzo integratore della loro alimentazione. (Applausi al centro).

Comunque, per tutti gli altri prodotti, a cui ha accennato l’onorevole Nenni, trattasi di prodotti, come i fagioli o le uova e il pollame, che furono disciplinati nel tempo fascista e che ebbero come unico risultato di far sparire queste merci completamente dalle grandi città. Quindi, un ritorno a quelle discipline è assolutamente impossibile.

Come arrestare allora la corsa dei prezzi, che angoscia noi tutti, e come arginare le correnti speculative che essa alimenta, effetto esse e non causa, come molti erroneamente vorrebbero far apparire, del rialzo dei prezzi? Sono d’avviso che bisogna rafforzare il sistema di controllo degli organi centrali e periferici in un’azione di difesa elastica del consumatore. Però, non dobbiamo anche qui farci eccessive illusioni perché, come nel caso dei suini, come possiamo noi costringere a consegnare i suini ad un prezzo più basso di quello che è il costo di produzione?

Una voce al centro. Anche per il grano è avvenuto questo.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Il problema del grano verrà risolto con un altro sistema. Comunque, la verità è che il nostro sistema alimentare è prevalentemente appesantito dalla deficienza dei cereali. Se riusciremo a superare questa difficoltà, non c’è dubbio che le condizioni generali saranno migliorate. I recenti provvedimenti fatti per potenziare il sistema di difesa dei prezzi credo che, ove applicati con grande energia, potranno dare certamente i loro frutti perché non è vero che il calmiere non serva. Certo il calmiere ribassista, applicato come fu applicato in taluni casi, con drastiche misure di ribasso, ha sempre avuto effetti controproducenti; ma un calmiere che rappresenti un controllo sostanziale della situazione generale del Paese e delle singole zone, non c’è dubbio che può avere il suo effetto, purché non sia regolato da leggi anti-economiche, ma sia intimamente legato con l’andamento economico del Paese. (Commenti a sinistra).

A questo punto devo anche accennare a un altro organo di difesa, molto importante, che è in questi giorni ritornato alla ribalta: gli enti di consumo.

Ora, devo ricordare che la prima iniziativa di potenziamento di questi enti risale al 1945, quando io ebbi l’occasione di studiarli insieme all’allora Ministro Molè. Furono preparati provvedimenti di importante mole. Forse le intenzioni dei proponenti (nobilissime del resto) e dei sostenitori di quel tempo sono andate anche al di là del possibile, perché nell’applicazione pratica il sistema urtò contro difficoltà di ordine finanziario che impedirono al Governo di allora di portare a compimento l’iniziativa. Fu ripresa l’anno scorso col noto decreto del settembre, decreto che si dimostrò solo in parte insufficiente, perché all’ombra di quel decreto si realizzarono notevoli iniziative. Però gli inconvenienti erano soprattutto di carattere finanziario, per cui gli organismi sorti nelle varie parti d’Italia si trovarono di fronte a notevoli difficoltà in quanto la garanzia dello Stato, prevista da quel decreto, era una garanzia insufficiente e quindi gli enti reclamarono un allargamento di queste garanzie agli effetti del loro potenziamento.

Io ho sostenuto – ed ho trovato una larga comprensione in tutti i Ministri – la necessità di venire incontro a detti organismi, che ritengo di grande importanza agli effetti di un’azione calmieratrice, purché l’organizzazione sia adeguata, come aggiungerò fra poco.

Il decreto che è in corso di emanazione provvede ad accordare la garanzia solidale da parte dello Stato, cioè quella richiesta dai banchieri.

Già il precedente decreto aveva consentito ad alcune banche di fare anticipazioni agli enti comunali per miliardi di lire. Evidentemente non è un problema semplicemente di finanziamento; è un problema anche di sufficienti garanzie.

Una voce. Di uomini soprattutto.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Ora, consentitemi di chiarire alcuni punti essenziali nei riguardi di questi organismi che sono avversati oggi dalle categorie commerciali, mentre il provvedimento è criticato anche dagli stessi rappresentanti degli enti di consumo.

La verità è che l’ente di consumo ha una sua funzione particolare e specifica, mentre si vanno allentando gradatamente le bardature statali. Mano a mano che andremo verso una normalità e verso una liberazione da molti vincoli, vi è la necessità di creare la difesa capillare del consumatore, che non può svolgersi altro che nell’ambito del comune organo adatto per assicurare la protezione del consumatore. Però la sua funzione non è quella di sostituire il commercio: il commercio ha una sua funzione che è praticamente insostituibile; la funzione dell’ente invece è quella di moderare, di smorzare le punte speculative, è quella di calmierare la produzione dei mercati con l’afflusso di merci che specialmente in momenti di emergenza possono avere una grandissima importanza.

Abbiamo esteso anche la facoltà della distribuzione dei generi razionati, perché i generi razionati oggi vengono distribuiti – da sei anni a questa parte – attraverso determinate categorie di commercianti, che hanno indubbiamente agito secondo le nostre direttive, ma secondo margini di compenso difficilmente identificabili nella linea di precisa e, comunque, di assoluta equità, in quanto è estremamente difficile, dove non c’è un sistema di concorrenza, stabilire quale è l’effettivo peso dei vantaggi da dare alle categorie intermedie. Invece, l’intervento degli enti, che non sostituiranno tutta la vasta gamma dei distributori, ma si metteranno in una condizione di relativa concorrenza, ci permetterà di controllare costi e di renderli più adeguati nell’interesse della distribuzione e del consumo.

Comunque, devo anche dire a questo proposito come questo problema degli enti di consumo sia molto legato ad una necessità assoluta. Ripeto, sono favorevole agli enti di consumo, anzi li ritengo di basilare importanza in questo momento; però, prima di tutto, non possono e non devono creare nuove ed inutili attrezzature, né devono pensare di sostituirsi alla rete di distribuzione diretta ai consumatori. La loro funzione deve rimanere prevalentemente grossista e deve associarsi intimamente al vasto movimento cooperativo, da riorganizzarsi su basi serie e, soprattutto, perfette sotto l’aspetto tecnico ed economico. (Applausi al centro).

MANCINI. Ma con tutte queste riserve non si farà niente! (Commenti).

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. E allora questi enti di consumo devono sorgere non sotto forma elefantiaca; devono svilupparsi gradatamente, perché si lega con l’organizzazione la possibilità di disporre di uomini capaci, onesti, pronti ad agire e anche a sacrificarsi per queste necessità di ordine generale. Io ricordo che questi uomini non difettano nel nostro Paese: mi basti citare un uomo, che è scomparso di recente, un generoso pugliese stabilito a Milano, il colonnello Mattia, che guidò le mense popolari ed è immaturamente scomparso dopo aver sfamato con la sua energia, con la sua attività e con la sua onestà, vaste categorie di consumatori milanesi.

Ora, il problema è soprattutto, oltre che un problema di mezzi, anche un problema di uomini. Partano quindi tutti gli enti di consumo, partano pure con mezzi limitati, ché forse la limitazione di mezzi li metterà su una linea più severa; ma si mantengano fedeli alle sagge discipline economiche.

Noi li aiuteremo; non mancherà il credito.

Io dissi di recente al rappresentante di un ente: con la garanzia solidale dello Stato, non mancheranno le possibilità, ma a condizione che l’ente operi con saggezza e si metta sulla strada della sana economia. (Commenti). E, d’altra parte, è certo che, se tutti questi enti potranno disporre di un uomo del tipo del povero colonnello Mattia, è certo che noi li vedremo largamente prosperare e svilupparsi, insieme con l’affermarsi e l’incrementarsi dell’ordinamento cooperativo.

Io vi assicuro che una delle maggiori difficoltà in questo campo deriva dal fatto che non c’è una larga rete cooperativa. Le cooperative infatti sono oggi così frazionate che riesce estremamente difficile poter provvedere alla distribuzione attraverso esse, perché è evidente che le distribuzioni diventano sempre più difficoltose quando si affidano a cooperative che sono ben lungi dal rappresentare tutta la vasta gamma delle categorie cui la merce dev’essere distribuita.

Volgendo verso la conclusione del mio discorso, sento la necessità di riaffermare che la soluzione del problema alimentare è legato a quello del grano, verso la cui soluzione tendono tutte le forze del Governo e dei valorosi rappresentanti distaccati all’estero che si battono presso i vari Governi amici.

Dopo questo che è, come ho detto, il problema preminente, abbiamo questi altri capisaldi della nostra azione di Governo: mantenere la disciplina in atto, rigida per i cereali (in attesa di passare al contingente) e per lo zucchero; per contingente negli olii, grassi, latte, prodotti d’importazione e se sarà necessario anche in altri settori; perfezionamento, nel miglior modo possibile, degli organi di controllo dei prezzi; potenziamento degli enti di consumo, con l’esercizio, fin dove è possibile, di una disciplina dei mercati.

Onorevoli deputati, sono alla fine della mia esposizione. Consentitemi però ancora una considerazione di carattere personale. Io vedevo, giorni or sono, proprio dinanzi alla porta del mio ufficio, un richiamo, un rimprovero solenne: un richiamo alla fame e un rimprovero solenne a noi, quasi fossimo noi un po’ i responsabili di questa situazione. Non mi lagnerò io, onorevoli deputati, né si lagneranno con me i numerosi funzionari che io sento il dovere qui di ricordare, così del centro, come della periferia, perché se è vero che ve ne può essere qualcuno disonesto, è anche vero però che ve ne sono moltissimi che si sono encomiabilmente sacrificati. (Applausi).

Non ci lagneremo noi già, perché sappiamo qual è la situazione di pena in cui versano i più derelitti quando lottano con le difficoltà della vita: consentitemi però che io vi dica che non conviene a nessuno di esasperare questa situazione, di fronte alle immense difficoltà in cui si dibatte il Paese. Non conviene a nessuno, perché quelli che vennero prima di noi e quelli che verranno dopo di noi si trovarono e si troveranno di fronte alle stesse difficoltà; né conviene drammatizzare le situazioni, perché questo nostro Paese dispone indubbiamente di ancora innumerevoli risorse. E poiché il problema essenziale è il problema del grano, io penso anche che, come non mancò in passato il generosissimo concorso dell’U.N.R.R.A. – concorso che, forse, il popolo italiano inconsapevolmente non ha ancora apprezzato nella sua entità veramente mirabile, ma che noi soprattutto abbiamo pesato nella quotidiana passione della distribuzione al consumo; – io penso che non verrà a mancare neanche nel prossimo avvenire la generosa solidarietà internazionale, che essa ci sosterrà in attesa che questo nostro popolo – che è soprattutto un grande popolo di contadini, di agricoltori, di imprenditori, di tecnici – compirà il miracolo della ricostruzione, restituendo al Paese la sua prosperità agricola, capace di sostenere, come fu nel passato, ripeto, il 90-95 per cento del consumo alimentare nazionale. E la ricostruzione della nostra economia agricola verrà – per la conoscenza che ho di queste categorie, capaci di compiere sforzi prodigiosi – verrà forse prima di quanto noi non pensiamo, e sarà la base essenziale per la ripresa dell’indipendenza economica del nostro Paese. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato ad una prossima seduta.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti abbiano adottato o intendano adottare per alleviare i danni arrecati dal recente nubifragio in provincia di Forlì».

«Macrelli».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Risponderò mercoledì prossimo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere il numero esatto dei feriti accolti o medicati all’ospedale di Gorizia attorno al 16 corrente e in seguito ai noti incidenti.

«Pecorari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se sia giusto che una regione come la Calabria continui ad essere trascurata come ai tempi del suo predecessore. Infatti risulta che per solo pane la provincia di Cosenza ha un arretrato di oltre 17 mila quintali di farina; mentre le altre due provincie, pur avendo un fabbisogno giornaliero superiore, hanno ciascuna un arretrato di 11 mila quintali di farina. Si fa osservare che il grano proveniente dal piroscafo Mazzini di cui nella risposta a una precedente interrogazione, non è stato sufficiente a coprirli perché si sarebbe dovuto sospendere la corresponsione delle razioni correnti. Per saldare gli arretrati bisogna corrisponderli in aggiunta alla razione giornaliera.

«Mancini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, in accoglimento degli ordini del giorno indirizzatigli dagli insegnanti elementari reduci, ex partigiani ed assimilati, non ritenga equo disporre:

  1. a) che le cattedre di insegnamento elementare attualmente vacanti siano assegnate mediante concorso per soli titoli, nella misura del 50 per cento, ai reduci ed agli ex partigiani, in analogia con quanto già applicato nel 1919 a favore degli ex combattenti della guerra 1915-18;
  2. b) che i concorsi per titoli si svolgano nell’ambito provinciale, considerando titolo di preferenza la residenza in provincia da almeno cinque anni. Nel caso in cui i posti disponibili non fossero coperti, potranno esservi ammessi reduci ed ex partigiani delle provincie viciniori, che abbiano adito ai concorsi nelle rispettive provincie e ne siano rimasti esclusi per mancanza di posti;
  3. c) che i rappresentanti della Associazione reduci e della Associazione partigiani siano chiamati a far parte delle Commissioni provinciali per la valutazione dei titoli;
  4. d) che qualora i posti disponibili risultassero inferiori al numero dei concorrenti, siano riservati posti ai reduci ed agli ex partigiani sempre nella misura del 50 per cento nei concorsi degli anni successivi sino ad esaurimento della categoria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scarpa, Fornara, Scalfaro, Jacometti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 14.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 29 settembre 1947.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

VENERDÌ 26 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXXIV.

SEDUTA DI VENERDÌ 26 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Annunzio di una proposta di riforma del Regolamento:

Presidente

Svolgimento di mozioni:

Presidente

Nenni

Togliatti

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Interrogazione (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Annunzio di una proposta di riforma del Regolamento.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata dagli onorevoli Fuschini, Uberti, Rodinò Ugo, Scalfaro, Caronia e Avanzini una proposta di riforma dell’articolo 97 del Regolamento, del seguente tenore:

«Sostituire l’ultimo comma con il seguente:

«Nel concorso di diverse domande, quella dell’appello nominale prevale su tutte le altre; quella dello scrutinio segreto prevale sulla domanda di votazione per divisione nell’aula».

Sarà stampata e trasmessa alla Giunta del Regolamento alla cui convocazione provvederò nella prossima settimana.

Svolgimento di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle seguenti mozioni:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo, ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.

«Nenni, Basso, Romita, Cosattini, Faralli, Giacometti, Giua, Jacometti, Lizzadri, Morandi, Nobili Tito Oro, Cacciatore, Stampacchia, Tonello, Vernocchi».

«L’Assemblea Costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.

«Togliatti, Scoccimarro, Longo, D’onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria, Laconi».

«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici. Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.

«Canevari, Saragat, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti, Cairo».

L’onorevole Nenni ha facoltà di svolgere la sua mozione.

NENNI. (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, sulle ragioni che hanno determinato il Gruppo parlamentare del Partito socialista italiano a presentare una mozione di sfiducia al Governo, di cui si inizia oggi la discussione, sono state dette cose e diverse e contradittorie, tutte poco rispondenti alle nostre vere intenzioni. Probabilmente, il Partito socialista italiano, a nome del quale parlo, è il meno complicato dei partiti di quest’Aula. Non aveva in ogni caso e non ha motivi arcani e misteriosi per presentare all’Assemblea una mozione di sfiducia nel Governo. C’era l’impegno generico del Governo di sottoporre alla Costituente l’esercizio provvisorio, ciò che avrebbe offerto l’occasione ad una discussione completa della politica del Governo e dei singoli bilanci. Ragioni (molto probabilmente indipendenti dalla volontà del Capo del Governo e dei Ministri) hanno impedito che ciò si facesse. Ci è quindi sembrato che, avendo nelle settimane trascorse, quando l’Assemblea era in vacanza, accentuato il carattere della nostra opposizione, fosse doveroso verso la Costituente e verso il Paese, offrire a noi, agli altri partiti, al Governo l’occasione di un ampio dibattito.

Abbiamo quindi presentato la nostra mozione di sfiducia per rispetto verso l’Assemblea e col sentimento che nel Paese si possono agitare tutti i problemi rimettendosi però, per la loro soluzione, alla Costituente oggi, al Parlamento domani.

C’è anche da parte nostra il desiderio di rovesciare il Governo, creando così il presupposto per la ricostituzione nel Paese e nell’Assemblea del fronte democratico e repubblicano, il solo, secondo noi, che può realizzare una distensione nei rapporti politici e di classe, distensione che auspichiamo con tutte le forze del nostro animo, come una delle condizioni della normalizzazione della vita nazionale.

Le ragioni che fecero di noi degli oppositori, potrei quasi dire, avant lettre del quarto Gabinetto De Gasperi, furono di ordine politico, di ordine sociale, ma in modo particolare di ordine nazionale. Ci pareva e ci pare che non sia ancora venuto il tempo di esporre le istituzioni democratiche al rischio di lotte molto accentuate. Ci pareva e ci pare che, finché il Governo cumula all’esecutivo il potere legislativo, esso dovesse sforzarsi di essere rappresentativo del più largo fronte democratico e repubblicano possibile. Ci pareva e ci pare che, data la gravità della situazione economica e sociale del Paese, solo possa essere efficiente un Governo i cui atti non siano sospettati di rispondere a un partito preso e di servire determinati interessi in contrasto con l’interesse delle masse popolari.

Per codesta ragione abbiamo desiderato la discussione che oggi si inizia ed alla quale porteremo il contributo delle nostre critiche e delle nostre osservazioni.

Ritengo doveroso, mentre ci accingiamo a criticare prevalentemente la politica economica, sociale, finanziaria seguita dal Governo, premettere che c’è una situazione di fatto grave in sé, allarmante in sé, indipendente dal colore o dal carattere del Governo, una situazione che, nei suoi dati generali, resterà per parecchio tempo quella che è anche se riusciremo, come me lo auguro, a rovesciare il Governo attuale.

Ci sono delle condizioni di fatto che abbiamo ereditato dalla guerra e dal fascismo, che non hanno potuto essere ancora modificate.

Ricordare queste condizioni di fatto è per noi doveroso, non soltanto nei confronti dell’attuale Governo, ma per rapporto alle istituzioni repubblicane, che non possono essere considerate responsabili di una situazione non da esse creata, ma ereditata dal fascismo.

Soltanto i danni della guerra ascendono a 4 mila miliardi e la decurtazione complessiva subita dal patrimonio prebellico si aggira sul livello del 30 per cento.

Situazioni di questo genere non possono essere corrette né in qualche settimana, né in qualche anno. Noi abbiamo lavorato nel corso di questi ultimi due anni e il popolo italiano dovrà lavorare nel corso dei dieci, quindici e forse venti anni successivi, per pagare il disastro della politica fascista e della guerra, per ritrovare le condizioni di esistenza del 1937 e del 1938.

Quanto ai dati attuali della situazione economico-finanziaria, essi risultano da una serie di indici che nel corso del dibattito saranno valutati e approfonditi dai tecnici e che io mi limiterò ad elencare.

L’indice più grave è il deficit della bilancia dei pagamenti internazionali, a colmare il quale, molto probabilmente, di qui alle prossime elezioni di primavera, occorreranno da 7 a 800 milioni di dollari, mentre nei quattro o cinque anni successivi occorrerà probabilmente un miliardo di dollari annuo.

L’altro indice della gravità della situazione è il deficit del bilancio dello Stato. Le entrate, molto probabilmente, non supereranno i 700 miliardi e le spese, che sono state previste in 1000 miliardi, supereranno probabilmente di molto il preventivo. Le risorse della Tesoreria, all’infuori di quelle ordinarie, sembrano pressoché inaridite. La circolazione è in aumento di circa 20 miliardi al mese. Sono questi 20 miliardi che, passando nel consumo, provocano l’aumento dei prezzi.

Altri sintomi della gravità della situazione furono analizzati dall’onorevole Einaudi nel discorso che pronunziò in questa Assemblea il 18 giugno. Allora egli si soffermò in modo particolare sulla constatazione che non si forma più risparmio; altri, e i settori della sinistra, misero in evidenza la situazione difficile e in certo senso tragica dei salariati e degli stipendiati, i quali hanno visto il potere di acquisto dei loro salari e dei loro stipendi ridursi progressivamente con la svalutazione.

Un nuovo motivo di inquietudine è rappresentato dalla contrazione delle esportazioni, dovuta ai costi eccessivi all’interno ed alla concorrenza dei mercati esteri, che aumenta col graduale ritorno alla vita normale economica e commerciale di Paesi più provati del nostro nel loro apparato produttivo.

Ci troviamo così di fronte ad un problema economico, sociale e finanziario certamente molto più grave dell’analogo problema che si pone in Inghilterra e in Francia, dove, in fondo, si tratta di meglio organizzate la produzione e la distribuzione, mentre noi siamo alle prese con i problemi fondamentali di vita e di esistenza. Il panno è troppo stretto per tagliarvi tutti i vestiti che occorrerebbero.

A giudizio di uomini che sono in grado di valutare l’attuale stato delle cose del nostro Paese, sono stati superati ormai i limiti tecnici di rottura e un immenso baratro si apre dinanzi al popolo italiano, un baratro che potrebbe essere la tomba delle nostre aspirazioni sociali (Commenti al centro e a destra), della nostra indipendenza nazionale e della vita democratica dello Stato. (Commenti).

Quali erano gli impegni assunti dal Governo di fronte a questa situazione, meno grave quattro mesi fa di quanto non lo sia attualmente? Nel discorso che pronunziò in quest’Aula, presentando il suo quarto Gabinetto, l’onorevole De Gasperi prese tre impegni. Il primo sonava esattamente così: «Il nuovo Ministero assume senz’altro la responsabilità dei provvedimenti finanziari a voi sottoposti dal cessato Governo o da esso direttamente promulgato e in modo particolare fa suo il progetto dell’imposta straordinaria patrimoniale». Questo impegno il Governo lo ha mantenuto e, col concorso dell’Assemblea, è riuscito a far varare l’imposta straordinaria patrimoniale.

L’onorevole De Gasperi assumeva un secondo impegno: «Il Governo attuale accetta questi punti già codificati – si trattava dei quattordici punti cosiddetti Morandi – e si propone di attuare gli altri sulla base delle stesse direttive che il Consiglio dei Ministri antecedente, del 4 aprile, così formulava: il Governo svolgerà l’azione più strenua per la difesa della lira, secondo queste fondamentali direttive: risanamento progressivo del bilancio; contenimento massimo degli aumenti che più direttamente incidono sul costo della vita; compressione dei consumi non essenziali e stroncamento della speculazione; disciplina razionale degli scambi, degli investimenti e del credito; potenziamento della produzione mediante un maggiore rifornimento delle materie prime essenziali».

Infine il Governo dichiarava che «la difesa della moneta è la premessa di ogni altra politica; nulla può essere costruito, nessuna società può sussistere sulle sabbie mobili della moneta instabile».

Noi avanzammo allora l’ipotesi, e la preoccupazione, che il nuovo Governo, per la sua struttura, per l’indirizzo che risultava da tale sua struttura, non fosse in grado di attuare il programma elaborato dal Consiglio dei Ministri del 4 aprile, ispirato al concetto di rafforzare le discipline vincolistiche, contro le quali in realtà erano state dirette le critiche dei settori di destra dell’Assemblea e del Paese, nelle cui mani il Governo si poneva.

Oggi possiamo prendere in esame le conseguenze della politica del Governo, i risultati della politica economico-finanziaria del Governo. Il primo fatto che salta agli occhi è che il Governo ha realizzato qualche cosa che, probabilmente, non ha precedenti nella storia: è riuscito, cioè, a combinare contemporaneamente gli effetti negativi dell’inflazione e della deflazione; per cui in questo momento manca il denaro e salgono i prezzi.

Ho sentito paragonare l’onorevole Einaudi, ad un professore di anatomia patologica, che si sarebbe messo a fare il clinico, ed ho sentito dire – mi pare con ragione – che se egli ha esattamente diagnosticato la malattia di cui soffre l’economia nazionale, ha però somministrato durante il periodo più virulento del morbo i rimedi che bisognava riservare per il periodo della convalescenza.

Ciò che appare certo è che la misura principale presa dal Governo per cercare di fronteggiare ad un tempo il pericolo dell’inflazione e l’ascesa dei prezzi, cioè la contrazione del credito, non ha dato i risultati auspicati. Né c’è motivo di esserne sorpresi, giacché un’indiscriminata contrazione del credito non poteva che servire determinati interessi di carattere speculativo.

In altri Paesi, come in Inghilterra e in Olanda, invece di andare verso l’indiscriminata contrazione del credito, si è andati verso il controllo del credito, lo Stato intervenendo perché la priorità fosse assicurata a quelle branche dell’attività industriale che lavorano e producono nell’interesse dei consumi popolari e dell’esportazione, eliminando inesorabilmente ogni possibilità di crediti per le attività di carattere speculativo.

La condanna – del resto – della politica governativa è nelle cose stesse. Abbiamo avuto, fino a qualche tempo fa, un mercato nero dei prodotti alimentari, abbiamo avuto un mercato nero della produzione destinata all’esportazione; oggi abbiamo anche un mercato nero del credito, che funziona a beneficio di tutte le attività speculative, che sono quelle che possono pagare alti tassi d’interesse.

Sarebbe però un errore dire che sia in giuoco la responsabilità personale dell’onorevole Einaudi o dei Ministri tecnici: il Ministro Del Vecchio o il Ministro Merzagora.

C’è un punto sul quale, anche dissentendo su tante altre cose, ci sentiamo vicini all’onorevole Vicepresidente del Consiglio: è quando egli assume, nei confronti di determinati interessi speculativi, la difesa del tesoro, la difesa di quei cinquantacinque miliardi che devono essere destinati ad incrementare la produzione nell’interesse collettivo e che non devono andare a privati speculatori.

Di fronte alla situazione generale del Paese sono in gioco la responsabilità collettiva del Governo e quella della Democrazia cristiana. Infatti, allorché l’onorevole De Gasperi presentò il suo Gabinetto all’Assemblea, egli fece la seguente dichiarazione, implicita nel modo con cui aveva provocato e risolta la crisi ministeriale di maggio. «Il Governo – disse De Gasperi – si fonda essenzialmente sulla responsabilità politica del partito maggiore, cioè della Democrazia cristiana».

Vediamo quindi i risultati. C’è stata una spinta all’ascesa dei prezzi con conseguenze a tutti note. Il frumento è passato al mercato libero da 12.000 lire al quintale a 18. I fagioli da 17 a 20.000 lire. I bovini da macello, nonostante la notevole contrazione del consumo, hanno subito un sensibile aumento; i suini sono passati da 525 lire al chilogrammo a 700, il pollame da 500 a 600, le uova da 24 a 36, ecc.

Il Paese è inquieto di questo fenomeno e chiede una spiegazione che finora non è stata data. Si osserva, nei consumi, un disordine caotico che aumenta di mese in mese, di settimane in settimane, si potrebbe dire di giorno in giorno… (Rumori al centro). Agli onorevoli colleghi che mi interrompono dirò che queste cose io le apprendo da mia moglie quando torna dalla spesa, cosa forse che accade anche all’onorevole De Gasperi.

C’è, dicevo, un disordine caotico dei consumi regolati in base alla sola libertà che non vogliamo, la libertà della speculazione. È possibile e lecito spendere quello che si vuole e come si vuole, come se noi fossimo il paese della ricchezza e dell’abbondanza. Né in Inghilterra, né in Svizzera, neppure in Francia, non certamente al di là del famoso sipario di acciaio succedono cose di questo genere. (Commenti – Interruzioni).

Esiste la possibilità di procurarsi qualsiasi cosa, e soprattutto le cose più lussuose e più inutili, dalle scarpe di lusso alle pellicce più lussuose, dalla «vespa», ben corazzata di lamiera che manca per tante altre produzioni essenziali, alle lussuose automobili fuori serie.

Contro questa autentica anarchia dei consumi e della produzione noi abbiamo elevato le proteste le più accorate, e le più inutili. Contro di essa eleva la sua protesta la grande massa del popolo italiano, che sa che ci sono dei sacrifici da sopportare, delle limitazioni indispensabili, ma reclama un poco di giustizia distributiva e di eguaglianza davanti ai sacrifici.

Che dire poi dello scandalo dei conti valutari, sul quale il Ministro del Commercio estero spero darà all’Assemblea le necessarie spiegazioni?

Io ho l’impressione che ci muoviamo in un nero di seppia, che impedisce di veder chiaro e che forse è la condizione necessaria per ghermire la preda senza sollevare troppo scandalo e troppo rumore. Dal punto di vista finanziario la molteplicità dei cambi costituisce una frode allo Stato. Si è attribuito ai lanieri il 75 per cento della valuta liberamente negoziata. Per l’industria navale si giunge al 90 per cento. Pochi giorni or sono il Ministro del commercio estero ha fatto conoscere le nuove concessioni fatte agli industriali della seta sotto forma di compensazioni coperte da importazioni di grassi.

Si inventa una moneta nuova per ognuno dei settori che di settimana in settimana si presentano davanti al Governo. Molti sono allarmati all’interno; l’America lo è ancora di più. Il Globo ha pubblicato il 29 agosto una nota sulla quale vorrei richiamare l’attenzione del Governo e in modo particolare del Ministro del commercio estero.

La nota dice: «La missione Lombardo aveva ottenuto dal Tesoro americano che le esportazioni italiane fossero valutate convertendo in lire i dollari al cambio medio di esportazione. Alla vigilia della partenza dell’onorevole Lombardo la promessa del Tesoro era mantenuta ed il provvedimento chiarificatore firmato dal segretario del Tesoro. Era questo uno dei successi più importanti della missione ottenuto dimostrando agli americani che il nostro non era un sistema di cambi multipli, ma un sistema di compensazione di cambi diversi, attraverso il quale si formava un cambio medio economico di esportazione.

«Ma, purtroppo, lo stesso giorno in cui uscì il provvedimento, giunse a Washington la notizia che il Governo italiano aveva abbandonato il sistema dei conti valutari 50 per cento ed aveva inaugurato un sistema complicato di cambi multipli, concedendo una disponibilità per percentuali diverse di valuta alle diverse categorie di esportatori.

«La concessione americana diventava quindi inapplicabile al sistema italiano ed il provvedimento è stato perciò immediatamente sospeso».

Ci si preoccupa molto da noi se l’articolo di un giornale dell’estrema sinistra è suscettibile di determinare reazioni psicologiche o sentimentali al di là dell’Atlantico.

Vorremmo che ci si preoccupasse anche di provvedimenti, che hanno certamente compromesso, in parte, il successo della missione Lombardo.

Contemporaneamente a tutte queste caotiche provvidenze, ai cambi multipli, agli interventi in favore di determinati settori, resta caratteristica del Governo l’assenza di un piano di valorizzazione dei prodotti agricoli ed in modo particolare dei prodotti agricoli del Mezzogiorno.

La tendenza generale è di vivere giorno per giorno, confidando misticamente non più nello «stellone» dei nostri avi, ma nella provvidenza, che ora sta di casa negli Stati Uniti.

Il disordine, la speculazione, lo sperpero caratterizzano lo stato attuale della nostra economia, mentre la miseria e la minaccia della fame investono masse sempre più vaste della popolazione operaia e impiegatizia.

Ecco, dopo un’esperienza di alcuni mesi, il risultato dell’azione economica dell’onorevole De Gasperi. Ecco il risultato del sostegno, chiesto a quello che il mio compagno Morandi ha chiamato «il quarto partito» che doveva sostituire al governo il partito o i partiti della classe operaia e che lo ha effettivamente sostituito, ma a beneficio di interessi particolari, che sono in flagrante contraddizione con l’interesse generale della Nazione.

Quanto a noi, noi continuiamo a chiedere al Governo di scegliere fra la concezione liberista e quella vincolista. Questa scelta noi la domandiamo non in nome delle nostre preferenze teoriche, ma in funzione dei concreti interessi del Paese.

È il dibattito di tutti i Paesi. Esso ha posto recentemente di fronte alla Camera dei Comuni il Primo Ministro Attlee e l’ex Primo Ministro Churchill. Esso ha avuto eco nella più recente attività di tutti i governi. In ordine di fatto esso è stato risolto a favore delle discipline vincolistiche e contro il concetto del liberismo e della libertà economica. Pochi giorni or sono il Ministro Bevin, parlando ai minatori di Southport, constatava che il trionfo delle teorie liberiste avrebbe significato in Inghilterra, come altrove, la riduzione del tenore di vita e la porta aperta alla fame. Ora, signori, da noi, le porte sono già abbastanza aperte alla fame data la situazione che abbiamo ereditata dal fascismo e dalla guerra; da noi la situazione è già di per se stessa troppo grave perché si possa esitare di fronte alla necessità di rafforzare, invece che di rallentare, la disciplina economica, la disciplina della produzione e quella dei consumi.

C’è qualcuno che trova che si possono risolvere tutti i problemi con un’estrema facilità; c’è qualcuno, che di fronte alla considerazione ovvia, che la struttura burocratica del nostro Paese è troppo pesante, trova che si potrebbero licenziare cento, duecento, trecentomila impiegati. C’è qualcuno che ha già in tasca la soluzione del problema dei costi industriali dei quali si fa risalire la responsabilità all’eccesso di mano d’opera. Buttare sul lastrico operai e impiegati sono operazioni chirurgiche che sembrano facili quando si enunciano; che sono molto difficili se si tenta di realizzarle. Sono comunque soluzioni di fronte alle quali si pone poi il problema: sussidi o piombo. E non c’è una terza via; non c’è una terza soluzione. Non si può accrescere il numero dei disoccupati se non si è in condizione di fare una larga politica di sussidi e di assistenza. Uno scrittore liberale, il Paggi, proprio in questi giorni ha scritto: «se si vuole fare una politica liberistica piena, bisogna pensare a riempire le cartucciere dei carabinieri, per mantenere l’ordine pubblico contro le folle che da essa saranno affamate». Così si è fatto molte volte nella storia: lo si è fatto nella storia del nostro Paese e lo si è fatto nella storia degli altri Paesi.

Senonché la fame ha tendenza a mordere, e non è lecito a nessuno di scherzare né con la fame né con le cartucciere piene. (Applausi a sinistra).

Noi non crediamo che possa costituire un intralcio allo sviluppo economico del Paese l’esigenza da noi posta di una disciplina razionale nei settori fondamentali della produzione e del consumo. Noi riteniamo giunto il momento (e su questo domandiamo di conoscere l’opinione del Ministro del commercio con l’estero) di unificare i cambi con la totale avocazione allo Stato della valuta. Ricordo all’attuale Ministro del commercio con l’estero, ricordo al Presidente del Consiglio, che quando fu approvata la legge Bracci del 50 per cento, fu stabilito in modo tassativo dal Ministro proponente che si trattava di un provvedimento contingente e provvisorio, destinato a mettere in condizione il Ministero del commercio con l’estero di organizzarsi per procedere poi al monopolio dei cambi, ciò che implica l’abolizione dei cambi multipli o fittizi, come gli attuali.

Riteniamo anche che ci sia nel campo della politica tributaria qualcosa da fare, molto da fare, per colpire tutti i redditi superiori al livello alimentare, quando non siano destinati a fini essenziali di produzione per il consumo interno o per l’esportazione.

Si è affacciata recentemente l’esigenza di una severa politica del lavoro. Ci si è chiesto se siamo disposti a reclamare, con lo stesso ardore con cui reclamiamo misure vincolistiche sull’attività industriale e bancaria, una ferrea disciplina del lavoro. Rispondiamo di sì, a condizione che non si lesini la necessaria contropartita. Voi avrete il diritto di reclamare una ferrea disciplina dalla classe operaia quando avrete dimostrato di riconoscerne la funzione nella nuova civiltà del lavoro. (Applausi a sinistra).

Onde torna opportuno richiamare l’impegno di tutti i partiti, l’impegno anche della Democrazia cristiana, di dare forma concreta e legale ai consigli di gestione. È un atto che la classe operaia attende con la maggiore impazienza in quanto esso segna appena un passo innanzi sul controllo operaio deciso da Giolitti nel 1920.

In verità, signori, nel nostro programma di emergenza, di socialista c’è poco o niente; è un programma socialista nella misura in cui la miseria grida giustizia sociale e ogni sforzo di giustizia sociale è socialista, è un socialismo, che dovrebbe essere comune a vasti settori dell’Assemblea Costituente.

Onorevoli colleghi, si è fatta qui e fuori di qui la critica la più viva delle esperienze di pianificazione in atto in altri Paesi. Nessuno però può negare che dall’Inghilterra alla Cecoslovacchia, alla Polonia, lo sforzo ricostruttivo si svolge secondo linee più armoniche e con una tendenza a sacrificare tutto quanto non è assolutamente indispensabile e urgente secondo il criterio della priorità degli interessi generali su quelli particolari.

Lo stesso non si può dire del nostro Paese dove assistiamo ad una dispersione di sforzi, di capitali, di ferro, di cemento, impiegati per opere di lusso che possono aspettare cinque anni, dieci anni, senza danno per la collettività, mentre sono trascurate opere indispensabili di utilità pubblica, specialmente nell’Italia meridionale e in generale nelle regioni più duramente colpite dalla guerra.

Tuttavia qualunque sia il giudizio, che si può dare in sede teorica circa i pregi e i difetti del liberismo o del vincolismo, nessuno può negare che in periodo di penuria, di crisi, quando le cose mancano, quando nessuno può compiere il miracolo di adeguare il consumo ai bisogni, la soluzione unica ed indispensabile è il rafforzamento delle discipline vincolistiche.

Il problema per noi si pone in questi termini: o l’Italia diventa un grande cantiere, in cui ci sia lavoro per tutti e in cui tutti siano ricondotti ad un tenore di vita medio, oppure andiamo, con l’autunno e l’inverno che battono alle porte, verso tempi più duri.

E qui vorrei dire, signori, una parola sulle agitazioni operaie, che hanno sollevato tanto scalpore e tanto scandalo.

Vorrei, intanto, premettere un dato, del quale non dobbiamo dimenticarci quando parliamo del contributo delle classi lavoratrici alla ricostituzione della ricchezza nazionale. Se i salari e gli stipendi avessero seguito la svalutazione e l’aumento dei prezzi, oggi si pagherebbero in Italia mille miliardi di lire di salari e di stipendi, e se ne pagano invece la metà; ciò che significa che le classi lavoratrici e impiegatizie concorrono alla ricostituzione della ricchezza nazionale con un tributo di cinquecento milioni annui. (Commenti).

Voci. Miliardi!

NENNI. Scusate, è la confusione di chi come me non è adusato ancora alle cifre astronomiche.

Si è creata la leggenda, che le agitazioni sono l’opera di sobillatori. (Commenti al centro e a destra). Io ho i capelli grigi e ricordo che 30, 35 anni fa i moderati del nostro Paese non sapevano dare altra spiegazione, di fronte ai fatti sociali. Allora era un sobillatore Malatesta, era un sobillatore Filippo Turati, era un sobillatore don Albertario. Adesso ai sobillatori si danno nomi diversi, ma la mentalità è la medesima: è la mentalità di chi crede che l’azione di qualche uomo, di qualche organizzatore possa determinare movimenti di fondo che sono la espressione della volontà collettiva di larghi strati della popolazione.

La verità è che nelle organizzazioni operaie, nelle organizzazioni politiche sono più numerosi coloro che hanno fatto i pompieri di coloro che hanno fatto i sobillatoti. Filippo Turati disse, una volta, una parola che fece scandalo, disse che egli aveva fatto il poliziotto nel 1904, all’epoca del primo sciopero generale. Oggi ci sono molti organizzatori sindacali che potrebbero dire, come Filippo Turati, che fanno i poliziotti. Non c’è bisogno di sobillatori perché una situazione grave come l’attuale determini vasti movimenti di massa, allorché il popolo non ha fiducia nel Governo e nella classe dirigente a cui sono affidati i destini della Nazione.

Lo sciopero dei braccianti ha avuto la sua giustificazione nei suoi stessi risultati: erano così ragionevoli le cose che da settimane e da mesi le organizzazioni reclamavano, che si è potuto dare loro soddisfazione. Si grida allo scandalo perché i braccianti hanno fatto lo sciopero quando si avvicinava l’epoca del raccolto del riso! Signori, volevate dunque che i braccianti incrociassero le braccia alla vigilia di Natale? (Si ride).

È in corso in questo momento una grave agitazione dei metallurgici, la quale ha dato i luogo ad una sospensione di lavoro di 48 ore. È facile fare il conto di quello che può essere stato il danno per la diminuita produzione: senonché, quando l’onorevole De Gasperi ci presenterà il conto delle giornate di lavoro perduto, noi lo pregheremo di mandarlo agli industriali (Applausi a sinistra) che sono responsabili dell’attuale situazione di tensione.

Che cosa chiedono i metallurgici? Chiedono l’orario settimanale di 40 ore per poter assorbire la mano d’opera disoccupata; chiedono che siano istituiti degli incentivi di produzione a favore di tutti i lavoratori, operai, tecnici e impiegati, allo scopo di migliorare e di aumentare la produzione.

Dovremmo, se mai, esser noi, per fedeltà a taluni dei nostri principî, a sollevare dubbi su misure che i sindacalisti di un tempo stimavano proprie ad indebolire lo spirito unitario di classe degli operai.

Oggi l’organizzazione sindacale, ponendo al di sopra degli interessi delle singole categorie gli interessi della Nazione, rinunzia a quella che fu, in altri tempi, una specie di pregiudiziale contro i cottimi e i premi di produzione e sono proprio gli industriali che si oppongono – con argomenti che io non riesco a capire, tanto mi sembrano contrari ad un tempo all’interesse della produzione e al loro proprio interesse.

Ci sono altre agitazioni, che rischiano di tornare sul tappeto. C’è l’agitazione degli statali in favore della scala mobile, agitazione che risponde ad un assoluto principio di giustizia. Il blocco degli stipendi è giustificato, nella situazione attuale, e rappresenta anch’esso un contributo che gli impiegati pagano alla ricostituzione della ricchezza nazionale. Ma il blocco degli stipendi non è giusto che se, dall’altra parte, c’è il bloccò dei prezzi. E voi non potete condannare vaste categorie, che guadagnano meno del necessario per vivere, ad assistere all’aumento dei prezzi senza avere un modo meccanico (di una meccanica a ritardamento) che permetta loro di adeguare gli stipendi al costo della vita.

Ci sono i pensionati che continuano e continueranno a dare dei dispiaceri al Ministro del tesoro. Ma non c’è bisogno di nessun sobillatore per muovere un uomo che ha servito per trenta o quarant’anni lo Stato, e oggi riceve 3-4-5 mila miserabili lire, con le quali dovrebbe far fronte al peso dell’esistenza.

Né credo si possa parlare di esagerazioni e di demagogia rispetto alle rivendicazioni presentate col manifesto del 25 agosto della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, e che noi domandiamo ancora una volta siano prese in seria considerazione. Sono cinque punti ispirati a criteri di moderazione e di pubblico interesse:

1°) applicare il tesseramento differenziale per i meno abbienti (e i conti del Ministro o dell’Alto Commissario per l’alimentazione hanno in proposito poco convinto e convincono poco);

2°) la cessione da parte degli industriali di proporzionati quantitativi di viveri, di calzature, di tessuti e di altri generi necessari, agli Enti comunali di consumo;

3°) il controllo dei costi di produzione, con la partecipazione dei consigli di gestione, delle commissioni interne, dei rappresentanti dei consumatori;

4°) la partecipazione dei lavoratori e dei consumatori alla nuova commissione centrale e a quelle provinciali per la fissazione e il controllo dei prezzi;

5°) l’anticipazione dell’entrata in vigore dell’aumento e della normalizzazione delle razioni di pane, di pasta e dei supplementi di zucchero ai giovani e ai vecchi.

Chi può parlare di demagogia? Dov’è l’esagerazione? (Commenti al centro). Cosa c’è in queste rivendicazioni che non rappresenti una reale esigenza scaturente dalle condizioni stesse della vita sociale?

Infine, le manifestazioni del 20 settembre. (Commenti al centro e a destra). Già, ci eravamo dimenticati che il 20 settembre coincidesse con la breccia di Porta Pia. (Ilarità al centro). Vi state incaricando voi di ricordarcelo e di ricordarci che esiste ancora un problema di libertà spirituale. (Applausi a sinistra).

Le manifestazioni del 20 settembre non sono state né organizzate né dirette per esercitare una pressione sull’Assemblea. (Commenti al centro e a destra).

Esse avevano uno scopo e un fine che, col vostro permesso, ci compiacciamo di considerare raggiunto!

Si trattava di portare di fronte a tutta la opinione pubblica del Paese i problemi di determinate categorie attorno ai quali certi giornali avevano fatto una campagna sistematica di travisamenti.

Non so quale sia la vostra concezione della democrazia. (Commenti al centro e a destra). Per noi la democrazia è l’obbligo di render conto a tutto il Paese di determinate campagne e di determinate agitazioni, ed è quello che i partiti che presero l’iniziativa delle manifestazioni del 20 settembre hanno fatto.

Me ne dispiace per voi, ma tutte le relazioni indicano che le manifestazioni per importanza, disciplina, ordine… (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, conserviamolo almeno qui l’ordine!

NENNI. …hanno raggiunto e forse superato i risultati di quelle del 1° maggio 1945, quando per la prima volta, dopo una lunga parentesi, i sindacati ricomparvero sulle strade dietro le loro bandiere! (Commenti).

MAFFI. (Accenna al centro). Vi rincresce!

Voci al centro. No, ci hanno fatto molto piacere!

NENNI. Ho paura che la vera natura di quello che voi siete risulti molto di più da queste vostre interruzioni che dai vostri discorsi! (Applausi a sinistra).

Onorevoli colleghi, noi non abbiamo in questo settore nessun particolare problema politico da prospettare davanti all’Assemblea. Consideriamo che in questo momento non vi sono grossi problemi politici aperti. Consideriamo liquidata la lotta fra antifascismo e fascismo, anche se, come è inevitabile, talune nostalgie e talune irritazioni cercano di farsi strada, legate ancora al passato, espressione di esigenze di difesa, non volte all’avvenire.

Consideriamo chiuso il problema istituzionale. Aveva ragione l’onorevole Nitti quando disse in questa Assemblea che se i problemi istituzionali non accalorano troppo il Paese è perché noi li abbiamo formalmente risolti nel 1946, ma essi erano già stati storicamente risolti nel 1919-22. Altrettanto arbitrario e puramente polemico (sono il primo a sapere che la polemica ha delle esigenze) consideriamo il dibattito fra democrazia e totalitarismo. Anche questo problema è risolto nel nostro Paese.

Si è parlato di un problema della pacificazione. Non ho l’impressione che oggi esista una esigenza di tale genere; ho anzi l’impressione che il giorno in cui di queste cose si potrà parlare con serenità, si riconoscerà che non solo il problema lo abbiamo affrontato noi, ma siamo andati molto lontani sulla via della definitiva soluzione.

Personalmente, quando sono arrivato all’Alto Commissariato dell’epurazione, ho visto che il problema era stato sbagliato all’inizio, che era stato impostato in un modo per cui la soluzione ci sfuggiva, perché lo avevano impostato con mentalità liberale, sulla base della ricerca della responsabilità individuale, cioè del processo alle persone, mentre in realtà l’epurazione andava fatta per categorie.

Avrei compreso chi avesse detto: «È responsabile Mussolini e basta». Ed avrei compreso un altro che avesse detto: «Sono responsabili ed epurati tutti gli iscritti al partito fascista». Tra questi due poli c’era modo di trovare un giusto termine. La sola cosa assurda era di voler mettere sotto processo epurativo un milione o più di persone. Quando mi accorsi che questa era la conseguenza di leggi che non avevamo fatto noi ma che erano state elaborate dal primo Governo di Salerno, presi su me la responsabilità di mettere fuori causa almeno tutti gli impiegati minori, dal settimo grado in giù.

Poi è venuta l’amnistia del 2 giugno, e dell’amnistia del 2 giugno credo che si possa dire tutto tranne che non fosse un vero atto di pacificazione, tanto che essa sollevò nel campo nostro le più aspre rampogne, aggravate poi dall’applicazione sovente scandalosa della legge. Non credo quindi si possa parlare dell’esistenza di una questione aperta della pacificazione. Ogni caso umano ci interessa; ma nella valutazione dei casi umani vorrei che non si dimenticasse da dove veniamo e si ricordasse che ci sono centinaia e migliaia di antifascisti che sono stati quindici, venti anni nelle carceri, senza che nessuno, o ben pochi si occupassero di loro. (Applausi a sinistra).

Non credo nemmeno (e lo dissi già nel giugno scorso) che la Repubblica sia in pericolo. Con delle nostalgie non si rovescia un regime. Bisogna interpretare delle leggi nuove di vita; ed essere portatori di un ordine nuovo, per mettere in pericolo lo Stato creato il 2 giugno 1946. Se mai c’è un pericolo repubblicano è nella discordia dei partiti repubblicani. (Applausi a sinistra).

È nella inefficienza dei governi repubblicani. È nel ritardo ad affrontare determinati problemi sociali – primo fra tutti la riforma agraria. Per ora la minaccia non viene dai resti del vecchio mondo. I soli grandi problemi di oggi sono quelli di ordine sociale.

Io credo anche che sulla politica estera non dovrebbero esserci grandi dissidi fra noi. Nel suo discorso del 18 giugno, l’onorevole Einaudi, mettendo in evidenza il bisogno che abbiamo di crediti dall’estero, ricordò molto opportunamente che il problema si era presentato, in termini analoghi, dopo il Risorgimento; e che allora fu risolto ricorrendo a crediti inglesi, francesi, belgi, in gran parte o nella totalità pagati, quando scoppiò la guerra del 1914.

I dissidi che oggi esistono sulla nostra politica estera sono un riflesso dei dissidi che esistono in quella interna. Non è messo in dubbio da nessuno che noi abbiamo bisogno del credito degli Stati Uniti, che dobbiamo sollecitare il credito degli Stati Uniti. La missione Lombardo, secondo me, ha dimostrato che si può realizzare concretamente una politica d’intesa con gli Stati Uniti senza fare una politica di umiliazione del Paese e di accattonaggio. (Applausi a sinistra – Interruzioni al centro).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. L’onorevole Lombardo, l’ho mandato io.

NENNI. Il dissenso nasce quando taluni partiti nel nostro Paese, invece di fare una politica verso l’America, una politica con l’America, vogliono che noi facciamo nostra la politica dell’America: ciò che è anche ridicolo, perché l’America non ha nessun bisogno del nostro concorso. (Commenti al centro).

Peggio ancora, il dissidio si aggrava quando tendenze conservatrici e reazionarie interne, per ottenere determinati risultati, pongono la loro attività sotto il patronato degli Stati Uniti.

Fino al 1945 si ponevano sotto il patronato dell’ex primo ministro inglese Churchill. Ad ogni istante sentivamo dire: «badate, l’Inghilterra questo non lo vuole; Churchill questo non lo permette».

Oggi tutto il contrabbando reazionario si pone sotto il patronato del Presidente Truman, senza nessuna responsabilità né del Presidente Truman né del Dipartimento di Stato né degli uomini responsabili degli Stati Uniti.

E quando si vogliono fare delle operazioni, che chiamo delle sporche operazioni di politica interna, non se ne assume la responsabilità di fronte al Paese, ma si dice: «questa è la volontà dell’America». (Applausi a sinistra – Proteste al centro).

Voci al centro. Porti degli esempi; precisi.

NENNI. Questi i fatti.

Proprio in questo campo si manifesta in pieno quella che fu chiamata dall’onorevole Orlando, cupidigia di servilità. (Rumori – Proteste al centro).

Abbiamo detto e ripetiamo di considerare utile ed indispensabile per il nostro Paese una politica con l’America, una politica verso l’America.

Abbiamo detto e ripetiamo che non avalliamo il tentativo di mettere sotto la bandiera americana le merci del contrabbando politico e reazionario interno.

Voci al centro. Quali sono questi fatti?

NENNI. Voi li conoscete meglio di me. (Commenti al centro).

Voi sapete che, quando si vogliono raggiungere certi fini di divisione tra le forze democratiche del Paese, non si dice: «Noi lo vogliamo», ma si lascia intendere che tale è la volontà degli Stati Uniti. Il che non è vero. (Proteste al centro).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Nenni, se lei cita e prova un fatto solo, io mi dimetto all’istante. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).

NENNI. Onorevole Sforza, le regalo questi applausi. Quanto al problema da me posto ella è dunque il solo degli italiani che non abbia sentito porre una certa politica di esclusione di determinati uomini e di determinati partiti dalla direzione politica del Paese, sotto il pretesto di consigli venuti dall’estero. (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra – Interruzione dell’onorevole Aldisio). Avrei del resto voglia di rallegrarmi delle reazioni che suscitano al centro le mie parole (Commenti al centro) Vuol dire che si ha vergogna di dire qui quel che si sussurra dappertutto.

Onorevole Sforza! Ella, come Ministro degli esteri, non doveva entrare in questo dibattito, avendo io premesso che non ho mai creduto, non credo, alla verità degli interventi stranieri dietro i quali si sono mascherati i moderati e i conservatori per fini di reazione sociale e politica. (Commenti al centro).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Nenni! Prendo atto del fatto che lei ha dichiarato che non ci sono mai stati questi interventi.

NENNI. Il dissenso sulla politica estera si aggrava quando si persiste in una politica unilaterale che ignora l’esistenza di tutto un vasto settore europeo e degli interessi del nostro Paese in questo settore del mondo. (Commenti al centro e a destra).

Sono stato in queste ultime settimane in Cecoslovacchia dove un Ministro – che è dei nostri – cerca con mezzi del tutto inadeguati di realizzare una costruttiva politica di scambi commerciali. Ho constatato in Polonia che ritiriamo la metà del carbone che ci è assegnato a termini del Trattato di commercio. Ho potuto, in linea generale, convincermi che nei paesi orientali, indipendentemente dalla forma di Governo, indipendentemente dai sistemi sociali in vigore, esistono immense possibilità di rafforzare, incrementare i nostri commerci ed i nostri scambi. Per cui arrivo alla conclusione che come dobbiamo fare una politica con l’America, che non può essere la politica dell’America, così dobbiamo fare una politica con l’Oriente, che non ha bisogno di essere la politica dell’Unione Sovietica perché nessuno ci chiede di sposare tartarinescamente cause non nostre.

Una voce al centro. Perché con la Spagna no?

NENNI. C’è un solo problema politico del quale dovremmo discutere in quest’Aula: chi ha l’autorità, chi ha la forza per aiutare il Paese a sortire dalla situazione attuale, per fronteggiare la crisi economica, per ridare calma spirituale e politica alle grandi masse, per creare una distensione, come dicevo all’inizio del mio discorso, nella situazione politica e sociale? Nessun partito, io credo, da solo, ha oggi questa possibilità. Non ha certamente la forza e l’autorità necessaria una coalizione di partiti dalla quale siano esclusi i rappresentanti diretti del movimento operaio, del movimento dei lavoratori. (Commenti al centro).

Non c’è argomento più specioso della contrapposizione del paese reale al paese legale. Ma dobbiamo renderci conto che la vita politica non si esaurisce entro il Palazzo di Montecitorio e nella attività dei singoli Ministeri; dobbiamo renderci conto che la vita democratica trabocca da Montecitorio verso tutto il Paese; che esiste un problema di maggioranza parlamentare, fondamentale per le istituzioni democratiche, ma esiste anche un problema di adesione delle masse alle direttive di un Governo.

Voi avete detto – ed in questo siete in errore – che noi abbiamo bisogno di tornare al Governo perché si avvicinano. le elezioni. (Commenti al centro).

Voi dimostrate in tutte le cose di essere fermi ad un passato già tramontato. Il tempo in cui le elezioni le faceva il Ministro dell’interno è tramontato per sempre.

PICCIONI. Ma ci torneremo col collegio uninominale.

NENNI. Era vero all’epoca di Depretis; era vero all’epoca di Giolitti, era vero prima del suffragio universale; era già un po’ meno vero dopo il suffragio universale; è molto meno vero oggi.

GIANNINI. Questo l’ho detto io.

NENNI. Se noi obbedissimo alla logica dei nostri interessi di partito dovremmo formulare un solo voto: che il Governo così come è ci porti fino alle elezioni dell’aprile. (Commenti al centro).

Ma siccome il movimento operaio e socialista ha altre preoccupazioni, siccome ci sentiamo responsabili di fronte al Paese delle istituzioni democratiche che abbiamo concorso a fondare; siccome la distinzione governo-opposizione, in un’ora come l’attuale, quando la fondazione del nuovo Stato è recente e quando siamo alle prese con problemi tanto gravi, è molto più superficiale di quanto non sembri, così abbiamo sostenuto nel giugno scorso, così sosteniamo oggi la necessità di ricreare nel Paese il fronte di tutte le forze democratiche e repubblicane, al quale solo riconosciamo l’autorità morale e politica per ottenere la subordinazione di tutte le classi agli interessi superiori della Nazione.

Signori, penso che sarebbe una grande sciagura se la voce della parte del Paese che noi rappresentiamo, che vuole collaborare alla ricostruzione economica della Nazione così come ha collaborato alla liberazione nazionale del Paese, come ha collaborato alla fondazione del nuovo Stato democratico, penso che sarebbe una grande sciagura se la voce di questa parte del Paese non trovasse all’Assemblea Costituente la eco che merita. Signori del centro, assumete le vostre responsabilità; noi abbiamo assunte le nostre. (Vivi applausi a sinistra – Moltissime congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18.25).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti, per svolgere la mozione da lui presentata.

TOGLIATTI. Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi! Spero questa volta di intrattenere l’Assemblea per breve periodo di tempo. La mozione di sfiducia al Governo che il Gruppo parlamentare comunista mi ha incaricato di presentare, chiedendo all’Assemblea di votarla, è stata formulata da noi sulla base di una interpellanza che io, quale primo firmatario, ed alcuni altri colleghi del mio Gruppo, avevamo presentato pochi giorni prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari.

Essa è stata trasformata da noi in mozione di sfiducia, prima di tutto per la gravità dei fatti che l’avevamo provocata, in secondo luogo perché ci sembrava che, svolgendosi in questa Assemblea un dibattito sulla fiducia al Governo, aperto dai colleghi e compagni socialisti, era giusto che le nostre critiche per la politica interna, e quindi per la politica generale del Governo, venissero riversate in questo dibattito. E ciò tanto più perché da più parti era stata avanzata la suspicione che il fatto che noi non presentassimo una mozione di sfiducia all’Assemblea nel momento in cui un partito a noi alleato presentava una sua mozione di sfiducia, volesse significare, non solo un raffreddamento dei legami con questo partito, ma una nostra intenzione di trasportare la lotta politica contro il Governo da questa Assemblea, che è la sua sede naturale, esclusivamente sulle piazze. Anche per questo motivo, cioè per dissipare questa suspicione, abbiamo voluto trasformare la nostra interpellanza in mozione, chiedendo, a nome del nostro Gruppo, che l’Assemblea esprima la sfiducia al Governo per la sua politica interna e per la sua politica generale. La mia mozione quindi concerne in parte il Ministro dell’interno, che non vedo presente a quei banchi e che, con la sua assenza, non credo abbia voluto sottolineare una sua mancanza di riguardo, non dico per la mia persona, ma per questa Assemblea…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. É dovuto andare in Sicilia.

TOGLIATTI. …e per il resto concerne tutto il Governo.

Motivo dell’interpellanza presentata da noi nel mese di luglio era stata una serie di atti compiuti da autorità di polizia e prefettizie, nei quali avevamo rilevato false interpretazioni e non ammissibili applicazioni di determinati testi di legge, false interpretazioni e non ammissibili applicazioni le quali portavano a una effettiva, concreta, reale limitazione di quelle libertà democratiche per riconquistare le quali noi e la grande maggioranza dei colleghi di quest’Aula abbiamo combattuto, riportando una vittoria che è gloria comune di tutti noi.

Potrà forse però sembrare ad alcuni dei colleghi che i fatti che io citerò all’inizio della mia esposizione non abbiano un peso tale da giustificare un atto così importante e così solenne come una mozione di sfiducia. Ma la realtà non è questa; la realtà non è questa, perché in questi atti abbiamo rilevato una tendenza, la quale poi si è sviluppata, e ha dato via via i suoi frutti nel corso dell’attività governativa. Questa tendenza si è del resto manifestata immediatamente dopo la costituzione di questo Governo e può essere quindi considerata come una delle caratteristiche della sua fisionomia, della sua personalità.

Incomincio dunque da questi atti. Si tratta essenzialmente di una limitazione delle fondamentali libertà democratiche, consistente nel vietare pubblicamente le critiche e l’attacco al Governo e ai membri di esso. Concretamente, si tratta di «ordini severi» – così dicevano i rappresentanti del Governo nelle provincie, ai cittadini che si presentavano a chiedere chiarimenti, – di «ordini severi» impartiti dal Ministro dell’interno per impedire l’affissione di determinati manifesti di propaganda di partito, nei quali venivano esposti, in quella forma concisa, incisiva e drammatica che si usa nei manifesti – e a cui del resto sapete fare ricorso anche voi – gli stessi giudizi che di questo Governo avevamo dato qui, davanti a voi, quando si svolse il dibattito generale sulla sua composizione e sul suo programma.

Il Governo attuale veniva quindi definito come Governo della discordia, ripetendo una definizione data da me stesso e come Governo che favorisce le forze della speculazione, ripetendo in questo caso una definizione che, credo, venne data allora dal collega Scoccimarro.

In un altro di questi manifesti venivano accusati e investiti della loro responsabilità determinati membri del Governo, personalmente, rappresentandoli con la loro effige, nella loro persona, coi loro detti e coi loro fatti, ricordando naturalmente anche, per alcuni di loro, quei fatti che si riferivano ad attività da loro esplicate, nell’ambito di determinate organizzazioni fasciste. Il richiamo di questi fatti in sé, non credo dovrebbe offendere, poiché si tratta di cose vere e non è quindi offensivo il ricordarle.

Questo, però, secondo il Ministro dell’interno, non doveva avvenire. Ordini severi, ripeto, vennero dati a tutte le autorità di tutta la Repubblica, di non permettere l’affissione di questi manifesti; vennero mobilitate le forze di polizia, motorizzate con «jeep», mitragliatrici, ecc., non soltanto per impedire l’affissione, – e di qui una serie di incidenti, – ma per lacerare persino i manifesti già affissi servendosi di soldati delle forze di polizia adibiti a questa poco eroica funzione.

In tutto questo noi ravvisiamo, ripeto, la violazione di una fondamentale libertà democratica: quella della critica e dell’attacco al Governo (Commenti al centro), la quale deve essere garantita a tutti i partiti e a tutti i cittadini; la quale noi abbiamo voluto garantire quando abbiamo scritto quegli articoli della Costituzione che tutti insieme qui abbiamo elaborato e approvato.

Si è citato – e chiedo scusa all’Assemblea se devo all’inizio intrattenermi in dettaglio di questi aspetti della questione – un articolo del Codice penale, il quale, a detta del Ministro degli interni, giustifica questa violazione della libertà democratica e la relativa repressione; articolo che poi ha le sue code nella legge di pubblica sicurezza e nel relativo regolamento.

Ma vedete la strana dizione di questo articolo – che è l’articolo 290 – il quale dice esattamente così: «Chiunque pubblicamente vilipende la Corona, il Governo del re, il gran consiglio del fascismo, ecc.» (Ilarità a sinistra) è sottoposto a determinate sanzioni.

Onorevole Scelba, onorevole De Gasperi, ci troviamo forse qui di fronte ad un lapsus ideologico, di tipo freudiano (Commenti al centro). A me non risulta che il Governo che ella presiede, onorevole De Gasperi, sia il Governo del re. (Commenti al centro).

Si tratta del secondo o terzo Governo della Repubblica.

UBERTI. E il Governo della Repubblica si può vilipendere?

TOGLIATTI. Mi lascino parlare, onorevoli colleghi! Il Governo della Repubblica è un Governo il quale deve rispettare quelle libertà che la Repubblica ha voluto che fossero restaurate e sancite, e che considera, come la propria sostanza, l’essenza propria. Altrimenti non è un Governo repubblicano. (Commenti al centro).

Lo so, l’onorevole Presidente del Consiglio e il suo Ministro dell’interno possono dire che questo articolo esiste ancora, come esiste la legge di pubblica sicurezza col suo regolamento.

L’argomento si ritorce contro di voi. Perché? Per due motivi. Perché prima di tutto voi la legge di pubblica sicurezza dovete oggi applicarla tenendo conto che essa è e rimane una legge fascista nella quale trovate ad ogni passo disposizioni che a nessuno di voi passerebbe per il capo di applicare, il che vuol dire che queste leggi devono essere applicate, in armonia con la nostra nuova Costituzione, tenendo conto che non avete avuto ancora il tempo di cambiarle, ma che dovete cambiarle e che bisogna cambiarle. In questo modo abbiamo proceduto, onorevoli colleghi, in tutti i Governi, anche prima della proclamazione della Repubblica, quando si trattava di leggi di questo genere.

Ma voi avete anche un’altra responsabilità. So che esisteva un progetto Romita di riforma della legge di pubblica sicurezza, che da voi è stato messo a dormire. Perché? Forse perché vi serve di più la vecchia legge fascista? Forse perché vi fa più comodo? Qui vi è dunque una duplice vostra diretta responsabilità! (Interruzione dell’onorevole Benedettini).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego.

TOGLIATTI. Si dice: voi non potete vilipendere il Governo. Ma si tratta di vedere che cosa vuol dire vilipendere e come la interpretazione di questo concetto fatta dai funzionari di polizia sia compatibile col rispetto della libertà democratica.

Eccovi un esempio di ciò che viene considerato come vilipendio. In uno dei manifesti incriminati si dice: «De Gasperi si allea, contro gli interessi e contro la volontà degli stessi lavoratori democristiani, in Sicilia, coi grandi agrari».

Io trovo qui un giudizio politico. Voi direte che è falso, io dico che è vero, altri potranno contrastarne o limitarne la validità. Ma dov’è il vilipendio?

Questa espressione è considerata invece dalla questura, che ne vieta l’affissione, come una «insinuazione che può turbare l’ordine pubblico». Quello che qui manca è proprio l’insinuazione. Quello che noi vogliamo dire, soprattutto quando si tratta di giudizi così chiari, lo diciamo in tutte lettere.

Lascio stare poi tutte le azioni che hanno accompagnato il divieto dei nostri manifesti, gli arresti, le minacce di arresto perfino ai tipografi, cosa che nemmeno il regolamento di polizia fascista permette. È vero, i fascisti lo facevano ed evidentemente ritiene di poter continuare a farlo un questore ex fascista, per forza d’abitudine, o per «ordini severi» ricevuti dal Ministro dell’interno.

Un tipografo è persino stato chiamato, a Roma, a dar conto di quello che era stato stampato nella sua tipografia, mentre non esiste, né nella nostra legislazione penale e nemmeno nel regolamento di polizia, una norma che imponga delle autorizzazioni per la stampa. Si chiedono autorizzazioni, se mai, per rendere pubblico il testo stampato.

Tutto questo vuol dire che ci troviamo di fronte a una serie di atti i quali iniziavano una minacciosa offensiva contro elementari libertà democratiche.

Naturalmente vi è stata una resistenza e del nostro partito, e, credo, di tutti i partiti di questa sinistra, che in tutte le località (e sono state quasi tutte le provincie d’Italia) dove gli arbitrari atti della polizia furono compiuti, si unirono per protestare, richiesero che la libertà democratica fosse rispettata e, in qualche caso, riuscirono anche a imporre la loro volontà.

Questi atti furono però seguiti da una serie di altre manifestazioni dello stesso genere. Così si venne all’offensiva contro i giornali murali. E qui parlo d’una cosa che può essere considerata di piccolo rilievo; ma io non la considero così! In un paese, in cui i giornali escono a due sole facciate, in un paese dove noi stessi abbiamo abituato il popolo, durante la lotta contro la tirannide fascista e contro l’invasore straniero, ad apprezzare il valore del documento elaborato dal piccolo gruppo che protesta, che combatte, che si sforza di trovar tutti i modi per diffondere le proprie idee e manifestare il proprio pensiero e la propria volontà sino a quello di affiggerlo sui muri, per sollecitare il consenso altrui, la offensiva contro i giornali murali è inammissibile e pericolosa. (Commenti al centro).

Io ritengo che i giornali murali siano una delle manifestazioni di attività democratica più interessanti e originali di questo primo periodo della rinascita di un regime democratico in Italia dopo la tirannide fascista.

Il signor Ministro dell’interno ha trovato che per questi giornali murali, che sono giornali anche se si affiggono al muro, è necessario introdurre ciò che non abbiano voluto introdurre nella Costituzione riguardo alla stampa in generale: la censura e il sequestro preventivo ad opera della polizia. E per giornali murali e manifesti, oggi bisogna andare a discutere con il questore per sapere se le frasi in essi contenute non sono dalla polizia considerate offensive per qualche membro del Governò o per il Governo in generale. Questo non è più, o signori, un regime di libertà. Ma noi ce la siamo conquistata la libertà. Volete ora ritogliercela? Perché? Chi ve ne dà il diritto?

Per i comizi di fabbrica è la stessa cosa. Se ne discusse qui per l’aspetto sindacale ed io non voglio ripetere quella discussione. Pongo invece la questione politica. Come partito democratico e popolare, ci siamo conquistato il diritto di parlare, e di parlare di politica, anche nelle fabbriche. Sissignori. Gli operai italiani si sono conquistati, con la loro lotta, questo diritto e non se lo lasceranno strappare. (Applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).

Una voce dal centro. Nelle fabbriche si lavora. (Proteste a sinistra).

TOGLIATTI. Dall’attività politica che si è svolta nelle fabbriche sono sorti alcuni dei movimenti che sono stati all’inizio della nostra lotta di liberazione contro il fascismo e a cui dobbiamo il primo scuotimento della tirannide fascista. (Commenti al centro). È in questo modo, è attraverso questi movimenti che la classe operaia si è conquistata il diritto di fare della politica nelle fabbriche, il diritto per gli operai di riunirsi nelle fabbriche e discutere di tutte le questioni che interessano i lavoratori e la Nazione.

Se mai, la questione sarà da dibattersi fra i padroni e gli operai; lo Stato non c’entra. Il Ministro di polizia, pardon, il Ministro dell’interno non ha qui niente da dire; se mai, ripeto, sono i padroni che possono discutere di questo diritto, dato che sono loro i proprietari delle fabbriche. Finora però non mi risulta che l’abbiano fatto, come non mi risulta che i comizi politici nelle fabbriche abbiano dato luogo a conflitti nelle fabbriche stesse.

Ci troviamo qui di fronte ad un altro tentativo che va nella stessa linea di restringere le libertà democratiche, di limitarle, di negarle a una parte del popolo e precisamente a quella che è in opposizione al Governo. Ad ogni modo sia ben chiaro che alla libertà di fare comizi anche politici nelle fabbriche i nostri operai e noi stessi non rinunceremo mai e poi mai. (Applausi a sinistra).

Vorrei ora dire alcune parole circa un’altra attività molto sospetta sviluppata dal Ministro dell’interno nei confronti delle amministrazioni comunali rette da partiti diversi dal suo, attività che si è esplicata soprattutto in quelle provincie emiliane dove le amministrazioni comunali, tenute a schiacciante maggioranza dal partito socialista e da noi, hanno dato esempio meraviglioso di attività costruttiva e di disciplina nell’opera di ricostruzione, tanto nella campagna quanto nelle città. Questi meriti non valgono nulla però agli occhi del Ministro dell’interno. Queste amministrazioni comunali devono essere particolarmente bersagliate, e vengono bersagliate con misure illegali, che sono vere e proprie trasgressioni di legge. Io non voglio nemmeno discutere se quei determinati sindaci della provincia di Bologna, che sono stati accusati di aver trasgredito a determinate norme della legge sugli ammassi, fossero colpevoli. So che non lo erano. Discuto però la legittimità delle misure che li hanno colpiti, perché esiste una legge dello Stato secondo la quale prima di colpire un sindaco con qualsiasi misura per un atto da lui compiuto nell’esercizio delle sue funzioni è necessario che la sospensione della garanzia amministrativa venga chiesta dal Ministro dell’interno al Ministro Guardasigilli, il quale a sua volta deve sollecitare il parere del Consiglio di Stato, e se decide in senso contrario a questo parere deve porre la questione al Consiglio dei Ministri. Nulla di questo vien fatto quando si tratta di un sindaco socialista o comunista. Basta un telegramma del Ministro dell’interno ed egli è sospeso, o minacciato di arresto, o arrestato per atti della sua amministrazione che ha compiuto in quanto sindaco. Oltre a tutto poi, vi abbiamo ampiamente dimostrato e nella stampa e in pubblici comizi – e voi non avete potuto smentirlo, nonostante i vostri calunniosi manifesti sull’argomento – che questi atti erano, nella maggior parte dei casi, atti compiuti, anche se formalmente facendo eccezione a qualche articolo di legge, per ovviare a situazioni gravi, in modo tale che hanno recato vantaggio alla causa della legge sugli ammassi e del popolo e non l’hanno in nessun modo danneggiata. (Commenti).

Se non siete convinti e volete gli esempi, ve li daremo. Siamo in cento e più che possiamo intervenire in questo dibattito e lo faremo nonostante le vostre interruzioni. Anche in questo campo risulta una pericolosa tendenza alla violazione delle leggi democratiche e delle istituzioni democratiche, e anche in questo campo queste violazioni sono fatte per sopprimere i diritti di quella parte politica che è contro il Governo. Voi non avete ancora capito, signori del Governo democristiano, che le libertà democratiche ci sono anche per l’opposizione, anzi particolarmente per l’opposizione.

E vengo ad una serie di fatti, i più gravi forse, quelli avvenuti nel Goriziano nei giorni scorsi. Il passaggio all’amministrazione italiana ha significato in questa provincia lo scatenamento di una offensiva di tipico stampo fascista contro quelle popolazioni. (Interruzioni al centro).

Voci al centro Non è vero!

TOGLIATTI. Qui ci sono i fatti. Nella città di Gorizia, nello spazio di tre giorni, 47 abitazioni, locali pubblici, laboratori di artigiani, ecc., sono stati assaliti, devastati, saccheggiati.

Una voce. Pochi! (Vivissimi rumori – Proteste all’estrema sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero sapere se l’intenzione è di dare a questa discussione un tono ordinato, oppure se essa sarà un seguito di tumulti.

Constato che, purtroppo, sono sempre gli stessi pochi colleghi che suscitano gli episodi rumorosi e desidero – senza richiamarli per nome – invitarli molto cortesemente a saper contenere i loro interventi.

Onorevole Togliatti, la prego, continui.

TOGLIATTI. Il Centro diffusione della stampa slovena è stato devastato e il materiale incendiato. Per quattro volte è stata assalita la Federazione comunista di Gorizia, con tentativi di incendio, che recavano danni rilevanti. Sono state assalite e distrutte le sedi del Partito comunista italiano di Gradisca, Staranzano, Ronchi; danneggiata quella di Monfalcone; distrutte le sedi dell’Unione donne italiane, del Fronte della gioventù, dell’Associazione partigiani giuliani, del Circolo di cultura di Gradisca; a Gorizia, Monfalcone, Ronchi, Vermegliano, San Pier d’Isonzo, venivano lanciate bombe e fatte esplodere cariche di tritolo contro abitazioni di antifascisti, italiani e sloveni; a Villesse, durante una festa popolare, da un camion trasportante fascisti in camicia nera, venivano lanciate bombe, che distruggevano luoghi di ritrovo e ferivano tre persone, tra cui una ragazza diciottenne gravemente; a Gradisca veniva aggredito da un gruppo di ex fascisti un ex carabiniere ed un ex mastro della posta; a Selz tutta la popolazione fuggiva dal villaggio sui monti per scampare alle aggressioni fasciste.

BETTIOL. Non ci sono i monti. (Proteste a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. C’era la polizia italiana?

TOGLIATTI. Cera la polizia italiana.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio del Ministri. In che giorno ciò è avvenuto? (Interruzioni dell’onorevole Pratolongo).

PRESIDENTE. Onorevole Pratolongo, la prego, taccia.

TOGLIATTI. Onorevole Presidente, voglia perdonare all’onorevole Pratolongo, che porta ancora sul suo corpo le tracce di quelle violenze fasciste. (Applausi a sinistra).

Particolare abominevole: venivano aggrediti gli ammalati sloveni dell’ospedale di Gorizia.

BETTIOL. Questo non è vero. (Vivi applausi prolungati al centro).

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi!… (Rumori al centro e a destra).

PRESIDENTE. A un certo momento devo pensare che non sono più degli impulsi irrefrenabili che provocano le interruzioni. Facciano silenzio, per favore!

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, non mi sarei deciso a portare alla tribuna di questa Assemblea questi fatti se un’attenta ricerca ed un’accurata inchiesta che ho fatta fare non mi avessero convinto della verità di tutte le informazioni che ho qui recato. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Polizia privata?

TOGLIATTI. No, controllo parlamentare!

Ho sentito dire da qualcuno di voi che queste notizie non sono vere; ma forse malauguratamente quello che voi pensate nel fondo dell’animo vostro l’ha detto quello di voi che poco prima ha detto che questi atti di violenza e di barbarie «sono pochi». Perché vive ancora, in alcuni di voi, forse in molti, spero non in tutti…

Una voce a sinistra. In molti!

TOGLIATTI. …lo stato d’animo con il quale i fascisti ressero nel passato quelle provincie gettando i germi di quella che è stata la rovina del nostro Paese. (Vivi commenti al centro).

Io domando all’onorevole Sforza cosa pensa di questi fatti, egli che ha sempre affermato di essere uno strenuo fautore di una politica di amicizia con tutti i popoli che confinano con noi. Voglia il cielo che le conseguenze di questa politica in questo modo da voi iniziata non ricadano ancora una volta sulla nostra Patria! (Commenti).

Ma perché succedono questi fatti? Questi fatti si inquadrano in uno stato d’animo ed in una politica generali; non per nulla a capo della polizia in uno dei maggiori centri della Venezia Giulia è stato mandato un ufficiale che fu capo di una delle formazioni fasciste che operavano in quella Regione. Vi è quindi una logica in questa pazzia: vi è una logica che non è democratica, ma anti democratica. Nel tempo stesso, infatti, in cui avvengono gli atti e i fatti che vi denunzio e che significano una deliberata volontà del Ministro dell’interno di limitare le libertà democratiche di coloro che sono in opposizione al Governo, che cosa fa questo Governo nei confronti delle numerose organizzazioni fasciste e neofasciste che vediamo pullulare e che sappiamo pullulare da tutte le parti? Conosce il Governo l’esistenza di queste organizzazioni con i loro bizzarri appellativi: le R.A.A.M. la Lupa, l’A.I.L., la S.A.M., il M.A.C.R.I. e via dicendo? Conosce il Governo che queste organizzazioni sono costituite su una base di cospirazione e su una base militare e armata per preparare la lotta contro la democrazia? Conosce il Governo queste cose?

Quel Governo che è così sollecito tutore della correttezza di espressioni, quando si tratta di attacchi al Governo stesso e ai suoi membri, conosce i termini che vengono usati nei manifesti che vengono affissi per le strade dalle organizzazioni fasciste? Lo sa il Governo che il giorno stesso in cui veniva vietata l’affissione di nostri manifesti che lo accusavano di essere un Governo di discordia nazionale, come siamo convinti che sia, venivano liberamente affissi in Roma, in occasione della visita di non so quale signora straniera alla nostra capitale, manifesti in cui veniva esaltata la guerra fascista? Quei manifesti sono stati stracciati? Ne sono stati cercati i responsabili? È stato ammonito il tipografo che li ha stampati? No, perché tutto va bene per il Ministro dell’interno di questo Governo quando si esalta il fascismo. Conosce il Ministro dell’interno i termini, ad esempio, di un manifesto, uno fra i molti, che insulta una nostra compagna e collega chiamandola «sporca, schifosa, che sbava con le nari dilatate e lo sguardo vitreo, come sotto l’azione di un afrodisiaco di basso prezzo?».

Né io parlo a difesa di questa nostra collega, che non ne ha bisogno; ma qui veramente siamo di fronte al vilipendio di un rappresentante del popolo, e quindi dell’Assemblea stessa di cui ella fa parte.

Non voglio avanzare l’ipotesi che documenti simili vengano fabbricati da militanti nel partito stesso del Ministro dell’interno; ma perché la sua polizia non si accorge di queste cose? Perché la legge sulla difesa della Repubblica, la quale era stata promessa e poi presentata dal precedente Governo De Gasperi, e che questo quarto Governo De Gasperi assumendo il potere non dichiarò a questa Assemblea di voler ritirare, perché quella legge non è stata ancora varata? Perché non ne sollecita il Governo l’approvazione? Perché non l’approva d’urgenza, com’è nel suo diritto, per far fronte a casi così gravi, come quelli che ho denunciato per quello che riguarda le provincie della Venezia Giulia; o il recente attentato alla sede del Partito comunista in Milano?

Di tutto questo non si parla più, mentre il fuoco viene concentrato in un’altra direzione: il bersaglio siamo noi, il bersaglio è l’opposizione, e nell’opposizione – non nascondiamolo – il bersaglio preferito è precisamente il Partito comunista.

L’onorevole Ministro dell’interno ha persino avuto il coraggio, alla vigilia della manifestazione del 20 settembre, cioè di una grande manifestazione legale, pacifica, di massa, come si fanno in tutti i paesi, ad iniziativa del nostro partito e del Partito socialista, e alla quale avevano aderito numerosi altri partiti, come quello repubblicano, quello democratico del lavoro, quello d’azione, ha avuto il coraggio, in un’intervista lanciata due giorni prima di questa manifestazione, di concentrare il fuoco contro di noi e sentite in qual modo. «Sono ben pochi in Italia – dice il Ministro in questa intervista – coloro i quali credono che il Partito comunista italiano abbia scartato dal suo programma la conquista violenta del potere e l’istaurazione di una dittatura totalitaria di tipo fascista». Dunque amici (Rivolto ai banchi comunisti), i fascisti siamo noi. (Ilarità a sinistra). «La minaccia, quindi – prosegue l’intervista – di un tentativo violento, allorché circostanze favorevoli si presentassero, è sempre potenziale in tutti i paesi in cui il Partito comunista raggruppa forze cospicue di militanti».

Che le forze le quali si raggruppano attorno al nostro partito siano cospicue, è verissimo: e più lo saranno domani. (Commenti). Ma come si permette il Ministro dell’interno di fare una dichiarazione simile a proposito della nostra posizione politica? Potrei ancora tollerare una dichiarazione simile da parte di un giornalista irresponsabile, ma non da parte del Ministro dell’interno, nel momento ch’egli parla come responsabile dell’ordine pubblico, due giorni avanti una grande manifestazione di massa, legittima, democratica e che egli sa che si manterrà nell’ambito della democrazia. Come si permette il signor Ministro di parlare in questo modo, di accusare un partito come il nostro di volere instaurare una dittatura fascista? (Proteste al centro).

Signori democristiani, vi ho sentito parecchie volte strillare che non bisogna fare il processo alle vostre intenzioni, e sono sicuro che ripetereste questa protesta con alte strida se qualcuno dicesse, per esempio, che il vostro acceso regionalismo è un modo come un altro di fare a pezzi l’Italia, per rifare a ritroso quel processo unitario che culminò proprio il 20 settembre 1870. (Applausi a sinistra).

Voi non avete il diritto di fare il processo alle intenzioni, e un Ministro dell’interno deve giudicare ogni partito, a seconda di quello che dice e fa. Egli sa quello che il nostro partito dice, egli sa quello che il nostro partito ha fatto e fa ogni giorno per mantenere e rafforzare la democrazia, perché se non lo sa vuol dire ch’egli vien meno al suo compito. Questo non è il modo come si può esprimere un Ministro dell’interno, serio, democratico, repubblicano. Questo, se mai, è il modo di esprimersi di chi voglia, insultando e calunniando, provocare disordine e turbamenti dell’ordine pubblico; esso è nella linea di quel ridicolo allarme che venne lanciato non appena costituito il quarto Governo De Gasperi, come se in quella notte stessa noi avessimo dovuto fare l’insurrezione, e persino i telefoni di casa nostra vennero tagliati ad opera del Ministero dell’interno, mentre noi tranquillamente dormivamo.

DE GASPERI, Presidente dei Consiglio dei Ministri. Ho dormito anch’io tranquillamente.

TOGLIATTI. No, non si eludono questi problemi con uno scherzo. Si tratta di cose molto gravi. Si tratta di tutta una ispirazione di politica interna di carattere provocatorio, che mina la unità delle forze democratiche e semina discordia. Ma da quale parte viene questa ispirazione? Credo venga da lontano. Di là dai fiumi! Di là dagli oceani!

Un giornale cosiddetto indipendente ci ha sollazzato mostrandoci a viso aperto una delle fonti di questa ispirazione. Un grande giornalista americano (bocca della verità, quindi, per l’onorevole De Gasperi e per il conte Sforza) ha rivelato niente meno che i piani della «vasta» insurrezione che si preparava nell’Emilia. (Evidentemente dove volete che si prepari se non in Emilia una insurrezione?!). E si preparava proprio per il 20 settembre, in occasione dell’inizio della evacuazione delle truppe americane dall’Italia. I piani del movimento insurrezionale naturalmente sono descritti con molta precisione; si afferma niente meno che l’esercito degli Stati Uniti ha scoperto depositi di armi e munizioni presso i comunisti. Ma chi si è accorto di questo? Dove sono queste armi? Nessuno le ha viste. Viene quindi una «armata clandestina» pronta a occupare l’Italia settentrionale appena l’armata americana l’avesse abbandonata. Agenti americani travestiti – continua il racconto – hanno partecipato a comizi comunisti (ma perché mai travestiti? Non potevano venirci al naturale? Tutti, anche senza travestimento, possono partecipare ai nostri comizi!) (Commenti) venendo a conoscenza dei nomi dei capi, tra cui l’onorevole Dozza, sindaco di Bologna, e naturalmente Luigi Longo, vicecomandante dell’Associazione nazionale partigiani, e Ilio Barontini, e poi un ignoto Cucco. A questo punto viene svelato il piano militare della insurrezione per intiero, e quindi il piano tenebroso della notte di San Bartolomeo, nella quale gli esponenti anticomunisti e i capi non favorevoli verrebbero eliminati da gruppi specializzati dei nostri gappisti. Per finire, c’è un maresciallo e un alto ufficiale russo, seguiti da un pacifico cittadino bolognese che si chiama Bottonelli, e il tutto si chiude con un nome pittoresco, che forse suggerirà alla fantasia dell’onorevole Micheli l’immagine del pasto con le lasagne al forno e il vino di Lambrusco consumati sotto la pergola di un paese della nostra Romagna, il nome pittoresco, ripeto, di un non meglio precisato Memmo Gottardi. (Ilarità a sinistra).

Onorevoli signori, mi rincresce di ripetere delle cose che ho già affermato fuori di qui. Se non lo volete io non dirò più, anche se lo penso, che sono dei cretini coloro che scrivono cose simili o che le pubblicano. Dico però che cretini sono coloro che credono a queste cose; ma non vorrei che nel novero di questi ci fosse il Ministro dell’interno o l’onorevole Presidente del Consiglio!… (Ilarità – Applausi a sinistra).

Ho citato questa pittoresca intervista non soltanto a scopo di divertimento mio e vostro anche, spero; ma per dimostrare che ci troviamo di fronte a una deviazione fondamentale del modo di concepire la nostra situazione interna che può essere proprio solo di provocatori. Ma si arriva a questo punto di insania, quando si incomincia a fare il processo alle intenzioni, a voler per forza respingere dalla famiglia democratica un grande partito come il nostro, che ha il merito di tanto aver fatto nella lotta per la democrazia. Quando si vuole per forza arrivare a mettere al bando questo partito e le forze che lo seguono, ecco dove si arriva: si incomincia da un discorso come quello della Basilica di Massenzio e si arriva a queste insanie e stupidità.

Ma a questo punto vorrei allargare un po’ l’orizzonte del mio intervento e venire al problema centrale di questo dibattito. (Commenti al centro).

Credo, del resto, di essermi strettamente mantenuto fino ad ora nei limiti della mia precedente interpellanza e attuale mozione.(Commenti al centro).

Sulla base delle osservazioni e critiche che ho fatto e sulla base di altre osservazioni e critiche che facciamo all’attività del Governo in altri campi, noi riteniamo che bene farebbe l’Assemblea Costituente a negare la sua fiducia a questo Governo.

Questo Governo può governare l’Italia? Questa è la domanda alla quale tutti assieme dobbiamo sforzarci di dare una giusta risposta. Ma che cosa vuol dire governare un paese, onorevoli colleghi? Governare un paese vuol dire dare soddisfazione alle esigenze fondamentali della vita della Nazione. Oggi noi abbiamo alcune esigenze fondamentali, e io cercherò di ridurle a poche, alle essenziali.

Mi pare che una prima esigenza fondamentale, che tutti sentiamo, e che è di carattere economico e finanziario, è che siano evitati al nostro Paese il disastro della inflazione e del crollo della moneta.

A proposito dei problemi concreti connessi con questo, altri deputati del nostro Gruppo avranno modo di esprimere la nostra opinione. Mi limito per ora a constatare come questa esigenza sia ancora da soddisfare. Sia per quanto riguarda la massa del circolante, sia per quanto riguarda l’altezza dei prezzi, voi non siete stati in grado di mettere un freno all’inflazione, di arrestare quel processo di caduta della nostra moneta che avevate detto di voler arrestare. Diceste che formavate un Governo come questo, anzi, che correvate il rischio di un Governo come questo, perché ciò era condizione necessaria per arrestare quel processo. Avete invece fatto il contrario; avete ottenuto un risultato opposto a quello che vi proponevate, e soprattutto noi, rappresentanti delle classi disagiate, dei lavoratori del campo, dell’officina e dell’ufficio, abbiamo ragione di essere ogni giorno più preoccupati nel veder andare avanti, ancora con una certa lentezza, è vero, ma con un ritmo continuo, il processo di svalutazione della moneta. Dove andremo a finire per questa strada?

Seconda esigenza fondamentale è quella di alleviare l’indigenza del nostro popolo, e in primo luogo quella dei lavoratori. So che voi ci parlerete di misure che avete preso, per lo più sotto la pressione di determinati movimenti di categorie impiegatizie. Confrontate però queste misure con il valore della moneta quando voi avete preso il potere e oggi, e datemi poi una risposta oggettiva circa l’efficacia di ciò che avete fatto. La risposta la dà tutti i giorni la donna che va a fare la spesa e conclude che non ce la fa più, che ogni giorno si sta peggio di prima, che di questo passo non si può più andare avanti.

Non vedo dunque che fino a questo punto il Governo abbia soddisfatto nemmeno a questa esigenza fondamentale del popolo italiano; né credo che esso sia in grado di soddisfarvi sino a che durerà nell’attuale composizione.

Non voglio addentrarmi, onorevoli colleghi, nell’esame di problemi tecnici. Ritorno quindi subito sul terreno politico per affermare che su questo terreno esigenza fondamentale della nostra vita nazionale è che sia mantenuta l’unità della Nazione e in prima linea delle masse lavoratrici e di tutte quelle altre forze che possono esplicare un’iniziativa nel campo della produzione. Senza questa unità, impossibile od oltremodo penosa diventa la nostra ricostruzione. Questa unità è condizione necessaria affinché in tutti sia presente una eguale coscienza dei sacrifici che per la ricostruzione tutti debbono fare.

Sì, sacrifici se ne debbono fare: lo sappiamo tutti e il compagno Nenni ce lo ha testé dimostrato; ma solo la unità che noi auspichiamo permetterà alla Nazione di affrontarli e sopportarli. L’unità che noi auspichiamo deve essere base di tutta la vita nazionale, e la realizzazione di essa è esigenza fondamentale per tutti.

Ebbene, soddisfa il vostro Governo a questa esigenza? No, nemmeno questa esigenza soddisfa e perciò io affermo che esso può, forse, restare al potere, ma non può governare.

Governare infatti non può voler significare semplicemente rimanere a quel posto: governare non può nemmeno voler dire distribuire qualche vantaggio a questo o a quello dei propri clienti: governare vuol dire dare soddisfazione a quelle esigenze fondamentali che ho indicato. Ebbene, voi non siete in grado di farlo; voi non lo avete fatto finora e non siete in grado di farlo per il futuro.

Per la sua origine, per la sua composizione, per la sua natura e attività, questo Governo non può portare ad altro che a un peggioramento e a una acutizzazione continua della situazione del nostro Paese.

Ne abbiamo, del resto, già avuto la prova, come si è visto a proposito degli scioperi. Il numero degli scioperi, è vero, è aumentato negli ultimi tempi. Non posso oggi ripetere quello che dissi in questa Assemblea più di un anno fa, quando affermai che il nostro Paese è quello in cui meno si scioperava. Ma la causa principale, quella anzi su cui proprio noi dobbiamo maggiormente concentrare la nostra attenzione, la causa primissima di tutti questi scioperi, sta precisamente nella composizione del Governo.

È inutile che voi mi diciate che qui il politico si confonde con l’economico. Ma senza dubbio: ciò avviene in modo inesorabile; voi stessi continuamente lo affermate e nessuno lo può negare.

È bastato che si costituisse questo Governo di una sola parte, questo Governo che esclude i rappresentanti del movimento operaio socialista nelle sue differenti varietà, e tutti i rappresentanti dei partiti più avanzatamene democratici e repubblicani, è bastato questo perché nelle classi padronali si facesse sentire un irrigidimento particolarmente pericoloso e quasi una tendenza a provocare e aggravare i conflitti del lavoro. Di qui una serie di piccoli scioperi, che sono forse quelli che hanno dato più noia localmente, i quali erano tutti o quasi tutti provocati dal fatto che il padrone pensava tornato il momento in cui comandava lui e lui solo in modo assoluto, senza tener conto della volontà dei lavoratori, e quindi si attribuiva il potere di licenziare quegli operai che sembrava a lui, unicamente perché militanti del sindacato o di un partito politico a lui avverso. Di qui una serie di scioperi, di carattere non solo economico, ma economico-politico, tutti chiusi, però, con la vittoria dei lavoratori. I padroni si erano sbagliati; avevano creduto che bastasse costituire un Governo di parte, escludendo i rappresentanti dei partiti di sinistra e del movimento operaio socialista, perché le forze delle classi lavoratrici, scoraggiate, subissero la legge del più forte. No, non è così! I più forti sono e continuano a essere i lavoratori e le loro organizzazioni. Tutte le campagne che sono state fatte dalla vostra stampa, dalla stampa «indipendente», liberale e di tutti i colori, fascista e semifascista, per proclamare che oramai noi comunisti eravamo finiti, che il movimento sindacale era irrimediabilmente minato dalla secessione di una delle parti che lo compongono, tutte queste chiacchiere hanno dato alla testa di determinati gruppi di industriali e di agrari, li hanno incitati alla tracotanza, li hanno spinti a provocare gli scioperi. Ma la risposta è stata dappertutto univoca: la classe operaia non è battuta, la classe operaia non si lascia battere! (Vivi applausi a sinistra).

Non vi è nessuno spirito di sconfitta, oggi, nella classe operaia e nelle fondamentali categorie lavoratrici. Al contrario; la classe operaia in questo dopoguerra ha compreso molto bene la via per la quale la conducono i suoi partiti: via di realizzazioni graduali vittoriose, via che evita di cadere nel tranello della provocazione o poliziesca o padronale, e che mantiene compatte le forze del lavoro per le battaglie che devono essere combattute l’una dopo l’altra, per creare nel nostro Paese un vero, stabile regime di democrazia e avviare la soluzione delle più gravi questioni sociali. (Applausi a sinistra).

È certo che il pericoloso stato d’animo, che si è diffuso da alcuni mesi nella classe padronale, è stato da voi inconsapevolmente o consapevolmente creato quando avete formato il Governo. A questo stato d’animo è dovuta anche l’intransigenza di determinate categorie padronali all’inizio di grandi agitazioni, come quelle dei braccianti e dei metallurgici; agitazioni che hanno però anche un altro carattere, sul quale mi soffermerò. Voi stessi l’avete detto, e i colleghi socialisti e anche noi l’abbiamo detto e ripetuto, che l’aumento salariale puro e semplice non basta più a risolvere il problema del disagio dei lavoratori, oggi. Questa è una verità che sta entrando nella convinzione delle grandi masse. Badate, però, che questo non significa che la lotta del lavoro è terminata; al contrario: significa che l’operaio, il bracciante, il contadino, l’impiegato incomincia a comprendere, ben più di quanto non avesse compreso finora, che per lottare contro l’indigenza bisogna affrontare e risolvere problemi più vasti di quello del puro e semplice livello salariale. È per questo che già nelle rivendicazioni dello sciopero dei braccianti voi vedete affiorare i problemi della riforma agraria, come li vedete affiorare nelle agitazioni dei contadini del Sud; così come i problemi della riforma industriale affioreranno domani nella lotta dei metallurgici e in tutte le prossime lotte del lavoro.

Voi avete detto, però, che questi problemi sono rinviati e non se ne deve parlare più. Io non lo credo. Anzi, profondo errore è il vostro! Questi problemi non possono essere rinviati. È la vita stessa che ce li pone davanti, nel momento in cui nella lotta fra il prezzo e il salario, cioè nella lotta puramente economica e salariale, non si vede più via di uscita. In questo momento occorre, se si vuole andare avanti, passare ad altre misure, necessarie per pianificare, per controllare, per limitare i poteri dei monopoli, per lottare efficacemente contro la speculazione. Ecco i prossimi temi della lotta economica e sindacale che inevitabilmente diventa lotta politica, per la legge stessa delle cose.

Il vostro testardo rifiuto a porvi per questo cammino non fa che render sempre più acuta la situazione.

L’esistenza di questo Governo, la sua composizione, la sua struttura, postulano dunque nel campo economico una accentuazione dei conflitti sociali.

I lavoratori hanno offerto la loro collaborazione, hanno offerto tutto quello che potevano offrire, hanno offerto e dato quello che io chiamai altra volta in questa Assemblea un contratto assurdo, un patto di lavoro che fissa un massimo di salario anziché un minimo, e ciò nell’interesse della società nazionale e della ricostruzione!

Ma non crediate che il problema della collaborazione si limiti alle trattative fra gli industriali e i rappresentanti del movimento operaio. No, il problema della collaborazione è un vasto problema generale politico, è un problema sociale. Una politica di collaborazione allo scopo della ricostruzione del Paese, quella che io chiamo una politica di unità, deve prima di tutto avere la sua espressione al vertice, nel Governo del Paese, il quale deve comprendere i rappresentanti di tutti i partiti delle classi lavoratrici, altrimenti è inevitabile l’acutizzazione delle lotte economiche e di tutti i conflitti che ne derivano. L’appello alla lotta discende inevitabile da quella determinata composizione del Governo. L’inasprimento dei conflitti sociali diventa una conseguenza a cui non si può sfuggire.

Lo stesso avviene nel campo politico. Vi è oggi senza dubbio un’accentuazione della lotta politica nel nostro Paese, con una certa polarizzazione all’estrema destra di gruppi fascisti i quali cercano di seminare la confusione e di approfittare del disordine; e vi sono senza dubbio, in seno alle classi capitalistiche, uomini e gruppi i quali pensano che, attraverso l’accumularsi delle difficoltà, e quindi l’aumento della confusione e del disordine, possa crearsi una situazione in cui una altra volta essi possano ricorrere al fascismo come al loro salvatore.

Lascio da parte le accuse e le calunnie che si lanciano contro di noi, anche se esse pure contribuiscono all’accentuazione della lotta politica. Quanta gente ha paura! E che paura, per esempio, quei liberali! Un comunista parla e dice che chiama il popolo alla lotta contro questo Governo. Ed ecco il liberale prendere in mano il dizionario dei sinonimi. Lotta? che cosa vuol dire lotta? Togliatti ha detto che vuole combattere! E dove sono le armi? E che cosa vorrà fare quest’uomo?

Ma guardate come Churchill tratta il Governo laburista, le invettive che egli scaglia contro di esso, vedrete sino a qual punto si può sviluppare la lotta politica in regime di democrazia.

Una voce al centro. Anche con la uccisione di Petkov!

TOGLIATTI. Onorevole collega, perché mi fa questo nome? Perché mi induce a dire che io sono convinto che se ci fosse stato nel 1920, nel 1921, nel 1922, un tribunale in Italia che avesse messo al muro Mussolini, l’Italia potrebbe essere oggi un grande paese? (Vivi applausi a sinistra). Se Petkov fosse poi un altro Mussolini o meno, è cosa, questa, che riguarda il popolo bulgaro e che esso solo ha il diritto di giudicare. (Commenti).

Sotto a tutte le paure che vengono diffuse ad arte, c’è sempre il medesimo problema: il problema del nostro partito. Occorre affrontare con sincerità e chiarezza il problema del nostro partito, del Partito comunista. So benissimo che la composizione di questo Governo forse sarebbe stata diversa se non ci fosse stato questo problema del nostro partito, della sua politica, del suo sviluppo, delle sue posizioni sempre più forti nel Paese.

Onorevole De Gasperi, una volta ella diceva che bisogna adeguarsi agli Stati Uniti (lei, onorevole Sforza, se ne è dimenticato), alla loro mentalità, ai loro costumi. Ella dovrebbe invece cominciare ad adeguarsi alla realtà del nostro Paese, che è l’Italia, e prima di tutto abituarsi a considerare che il Partito comunista italiano è il Partito comunista italiano, che noi siamo figli della storia del nostro Paese (Commenti al centro), che usciamo dalla storia del movimento operaio e socialista italiano e dalla nostra lotta di liberazione! (Interruzioni al centro). Qui sono le radici della nostra forza e del nostro prestigio. Non serve quindi a nulla il credere di poter risolvere questo problema applicando le leggi o i costumi dell’Ohio o del Missouri!

Guardate come si schiera la classe operaia italiana nei suoi sindacati, nelle sue organizzazioni originarie, primitive: il 60 per cento dei voti è comunista, più dell’80 per cento è per comunisti e socialisti alleati; se prendete poi le categorie strettamente operaie, salite per il nostro partito a percentuali che superano il 70 per cento. Tutto questo vuol dire che non potete più separare il Partito comunista dalla classe operaia, e quando fate questa politica di sospetti, di insinuazioni, di calunnie e di provocazioni contro il Partito comunista è contro la classe operaia che la fate. Quando volete mettere al bando noi, è la classe operaia che volete mettere al bando. Ma anche se uscite dalla considerazione esclusiva delle forze operaie, il quadro non è molto diverso. Vedete che cosa avviene nei più grandi comuni, di cui nemmeno uno è amministrato dalla Democrazia cristiana. Genova, Milano, Torino, Livorno, Bologna: chi li amministra? Li amministrano il Partito comunista e il Partito socialista uniti assieme. Tenete conto infine che in Italia l’unità della classe operaia è qualche cosa contro cui non si può andare, perché anche essa deriva dalla storia d’Italia e dalle tradizioni migliori del nostro movimento operaio. Voi vorreste spezzarle, queste tradizioni, ma non ci riuscirete.

Rimane il fatto che elemento essenziale di tutta la nostra situazione, della instabilità di essa, del disagio crescente che esiste nel Paese, della acutezza dei rapporti economici e dei rapporti sociali e quindi dei contrasti politici, è la questione dei rapporti con il nostro partito, e cioè con la parte più avanzata, più compatta, decisa e combattiva della classe operaia e delle classi lavoratrici. Con nuovo spirito dovete affrontare e risolvere questo problema e non con lo spirito con cui l’avete affrontato e risolto fino ad ora, se volete fare il bene del Paese, dandogli un Governo che lo sappia e possa governare. La situazione governativa attuale deve essere modificata, corretta, poiché, ripeto, con un Governo come questo le esigenze fondamentali della Nazione non possono essere sodisfatte. Occorre ritornare a una formula di Governo unitaria, la quale non escluda quei partiti che sono più legati alla classe operaia, e in particolare a quella larghissima parte di essa che è espressione del movimento operaio socialista nelle sue diverse correnti. Questo vorrei dire non soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai colleghi democristiani, ma a tutti i partiti, anche ai partiti di sinistra, ai socialisti laburisti e ai repubblicani. Contraddire a questa formula unitaria vuoi dire preparare al nostro Paese giorni più duri ancora degli attuali.

Onorevole Saragat, ella sen viene come Amore nel sonetto di Guido Cavalcanti, «tenendo tre saette in una mano», con l’una volendo colpire il ceto possidente, con l’altra l’inconcludente politica demo-cristiana, ma rivolgendo la punta della terza, forse la più acuminata e avvelenata, contro il nostro partito. Questa politica è sbagliata perché non può portare a nessun risultato a favore né della democrazia, né del socialismo, ma solo a loro danno.

SARAGAT. Mi pare viceversa.

TOGLIATTI. È sbagliata questa politica, onorevole Saragat! Non si introducono misure socialiste, non si introduce in nessuna misura quel tanto di socialismo che può essere introdotto oggi nella nostra vita sociale e che è necessario introdurvi per la soluzione di fondamentali problemi economici e sociali, fino a che si mantiene questa punta avvelenata contro il partito più strettamente legato alla classe operaia. Non so se ciò sia possibile in altri paesi: in Italia, no. Noi l’abbiamo capito da tempo; per questo abbiamo proposto alla Nazione italiana qualche cosa di profondamente nuovo, che nessuno di voi forse si aspettava, proponendo la nostra collaborazione, sul terreno democratico e parlamentare, alla ricostruzione politica, economica e sociale. Abbiamo così proposto qualche cosa di profondamente nuovo, una nuova via che riteniamo necessaria, anzi, forse la sola possibile per un Paese uscito dalla tragedia fascista e minacciato da altri mali e altre tragedie, minacciato dalla disunione, dall’indigenza dei lavoratori, e dalle tempeste che si addensano all’orizzonte internazionale.

Abbiamo sentito e sentiamo che è nostro dovere preparare questa soluzione all’Italia e al popolo italiano, e rimaniamo su questo terreno: sul terreno di una fattiva collaborazione di tutte le forze che si richiamano alle classi popolari lavoratrici, di tutte le forze democratiche e repubblicane. Sappiamo tutti però che collaborazione fattiva significa non escludere da nessuna delle attività direttive della vita della nazione il nostro partito, poiché non si può mettere al bando con nessun artificio questa grande forza di operai e di lavoratori.

Quale sarà la via per la quale la classe operaia affermerà le proprie rivendicazioni e i propri ideali e darà il suo contributo attivo alla ricostruzione del Paese, se voi direte: «No; siccome voi, operai italiani, seguite in così gran numero il Partito comunista, che è il vostro partito, per voi c’è il bando, l’esclusione dalla direzione politica del Paese», quali possono essere le conseguenze di simile posizione, lo lascio dire a voi.

E vengo alla fine. L’obiettivo di questa discussione, aperta su iniziativa del Partito socialista, alla quale noi ci siamo associati, è di cambiare questo Governo, dopo aver reso ancora una volta evidente al Paese che esso non è costruito e non lavora in modo tale da poter sodisfare le esigenze fondamentali della vita nazionale. Ci hanno chiesto: «Ma volete davvero rovesciare il Governo?». Ma certamente, sì; altrimenti non vorremmo dibattiti, non parleremmo sulle piazze, non agiteremmo il Paese. Non crediate però che per noi, come partito, l’obiettivo di rientrare nel Governo possa essere, ripeto come partito, una così grande attrattiva. L’ho già detto altra volta: l’opposizione tonifica i partiti della classe operaia; li rende più forti. (Approvazioni).

Quando siamo stati al Governo, come Ministri abbiamo fatto il nostro dovere, nell’interesse del Paese. Ma, e anche questo ve l’ho detto già altre volte, noi non abbiamo fretta. Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! (Commenti al centro e a destra). Senza dubbio! Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali; nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini.

E lo proclamiamo apertamente. Non abbiamo nulla da nascondere. Questo è il nostro programma.

Ma oggi esistono problemi nazionali che urgono. La democrazia e la Repubblica devono essere ancora rafforzate. (Commenti al centro). Vi sono minacce gravi Che incombono sulla nostra vita nazionale. Il nostro dovere è dunque di continuare a porre al Paese con urgenza il problema della necessità dell’unità di tutte le forze lavoratrici, di tutte le forze repubblicane e democratiche, come base della più larga unità della Nazione nell’opera di ricostruzione che deve essere fatta.

Riusciremo noi ad abbattere questo Governo nel corso di questa discussione? Non lo so; non dipende da noi, dipende dalle altre forze, che sono qui rappresentate e schierate.

Ma se noi parliamo all’Assemblea e al Governo, nello stesso tempo parliamo al Paese, perché sappiamo che domani il Paese sarà chiamato a dire la sua parola; verrà consultato in nuove elezioni, in quella che è l’istanza suprema nella democrazia. Ebbene, noi vogliamo che il Paese sappia sempre meglio qual è l’obiettivo che noi ci proponiamo, che cosa oggi vogliamo fare. Vogliamo che il Paese sappia che domani, dando a noi il maggior numero dei propri voti, voterà per un partito il quale, qualunque sia la sua forza in questa Assemblea, continuerà a fare una politica di unità o di collaborazione di tutte le forze democratiche e repubblicane.

Signori, soltanto in questa politica noi vediamo la salvezza del nostro Paese. Voi questa politica non la state facendo e non la potete fare. Voi non siete dunque il Governo di cui oggi ha bisogno l’Italia. (Vivissimi prolungati applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Riservo naturalmente al Ministro dell’interno, assente per ragioni d’ufficio, di rispondere alle singole lagnanze ed alle accuse particolari che l’onorevole Togliatti ha presentato.

Mi interessa solo di stabilire che, se ho bene inteso l’elenco dei fatti deplorevoli avvenuti alla frontiera, si tratta di fatti, di incidenti avvenuti il giorno 14 ed il 15 settembre, uno solo il 16. In ogni caso, per la grande maggioranza, per la quasi totalità, sono avvenuti prima che la polizia italiana assumesse la responsabilità dell’ordine pubblico.

Ho già dichiarato a una delegazione slava di Gorizia che il Governo italiano intende difendere i diritti dei cittadini a qualunque gruppo etnico essi appartengano e che là dove noi saremo presenti faremo ogni sforzo per mantenere l’ordine. L’esempio si è avuto già il giorno 16, quando a Gorizia avvenne un serio incidente causato da una squadra di elementi contro un negozio nel centro della città: intervennero, non la polizia che era ancora lontana, ma i soldati del centoquattordicesimo reggimento fanteria che stroncarono senz’altro il brutto incidente. Vorrei che questa parola venisse accolta con soddisfazione su tutti i banchi e che servisse non soltanto a calmare l’irrequietudine degli elementi slavi al di qua del confine, ma anche come prova di buona volontà da parte nostra affinché i nostri fratelli, rimasti al di là del confine, vengano trattati con lo stesso rispetto. (Vivissimi applausi al centro). Per il resto, come ho già detto, cioè per ogni singolo fatto di ordine pubblico qui denunciato, risponderà il Ministro dell’interno, mentre per la linea politica generale mi riservo di rispondere a conclusione di questo dibattito. Ma di una cosa sono altamente stupefatto: l’onorevole Togliatti si è lagnato di una rigidissima censura, di una politica repressiva contro i manifesti. Sono altamente stupefatto per questo, perché se il Ministro dell’interno ha fatto veramente una tale politica repressiva contro manifesti antigovernativi, mi domando perché io personalmente fino sulla soglia della mia casa devo essere dileggiato e vilipeso in manifesti anonimi, persino, dico, sulla soglia della mia casa, e mi domando perché su tutte le piazze d’Italia io debba essere impiccato in effigie, e messo alla forca. (Vivissimi, prolungati applausi al centro).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione delle mozioni è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, sulla ingiusta espulsione dal territorio nazionale del cittadino svizzero Wipf dottor Renato, già residente da oltre undici anni a Sondrio, nato in Italia, nonostante che il Wipf abbia combattuto nelle formazioni partigiane per la liberazione dell’Italia e malgrado il danno che un tale precedente potrebbe arrecare ai lavoratori italiani emigrati all’estero».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi riservo di far conoscere lunedì prossimo quando il Governo potrà rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritiene opportuno ammettere ai concorsi per insegnanti, riservati ai reduci, anche i profughi della Venezia Giulia, Dalmazia e delle terre d’Oltremare.

«Questa disposizione agevolerebbe detti profughi per una loro definitiva sistemazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se di fronte al malcontento ed alle agitazioni dei liberi professionisti, e specialmente del ceto forense, preso di mira da eccessivi accertamenti dell’imposta generale sull’entrata, non creda urgente dare precise istruzioni agli uffici periferici affinché venga temperata l’asprezza del gravame stesso e delle relative penalità, cercandosi di evitare pericolose ed arbitrarie sproporzioni tra gli accertamenti di ricchezza mobile e quelli dell’imposta suddetta. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertini, Filippini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere quali siano i motivi che ancora ostano alla definizione ed al sovvenzionamento, da parte dello Stato, del piano di ricostruzione della città di Rimini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Spallicci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quando riterrà di poter concedere agli assuntori ferroviari gli stessi benefici economici ed assistenziali concessi al personale di ruolo e non di ruolo delle ferrovie dello Stato. Gli assuntori sono stati esclusi recentemente dal beneficio dell’assistenza sanitaria dell’Ente nazionale previdenza assistenza agli statali (ENPAS) e non è stata loro liquidata l’anticipazione recentemente concessa a tutti gli statali. L’interrogante chiede inoltre quando verrà emanato il provvedimento preannunziato allo studio in una risposta data il 20 febbraio 1947 ad una sua precedente interrogazione e cioè l’adeguamento del trattamento economico degli assuntori a quello del personale ferroviario di grado assimilabile.

«L’interrogante domanda inoltre se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno inquadrare fra il personale di ruolo gli assuntori. Detta categoria infatti, istituita dal fascismo, rappresenta un’economia per l’Amministrazione a prezzo però dello sfruttamento del prestatore d’opera. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi si indugi ancora a provvedere alla riparazione delle ingiustizie determinate dalla esclusione di funzionari non iscritti al partito fascista da concorsi e promozioni.

«Per conoscere, in particolare, per quali motivi (anche in considerazione del limitatissimo numero degli interessati) non sia stato esteso il diritto a partecipare al concorso per volontario di cancelleria, bandito di recente per reduci e patrioti, a quei funzionari che possono documentare di essere stati esclusi da precedenti concorsi per mancanza del requisito della tessera fascista. In proposito si segnala all’onorevole Ministro l’opportunità di estendere la facoltà di partecipare al predetto concorso alla segnalata, ristrettissima categoria di danneggiati dal fascismo. (Si tratta in sostanza, di due o tre persone). (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Leone Giovanni, Salerno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.55.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11:

Seguito dello svolgimento delle mozioni degli onorevoli Nenni, Togliatti e Canevari.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Avanzini

Martino Gaetano

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Laconi

Piccioni

Lami Starnuti

Lussu

Fuschini

Dominedò

Perassi

Fabbri

Rubilli

Lucifero

Votazione segreta:

Presidente

Piccioni

Molinelli

Targetti

Togliatti

Lucifero

Molè

Lussu

Scoccimarro

Selvaggi

Gullo Fausto

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Scoccimarro

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Basso

Interpellanza con richiesta di svolgimento urgente (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Benedetti per il reato di cui all’articolo 595 del Codice penale.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte

della prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Nilde Iotti in sostituzione dell’onorevole Pietro Secchia, dimissionario;

della seconda Commissione permanente l’onorevole Felice Platone in sostituzione dell’onorevole Giorgio Amendola, dimissionario;

della quarta Commissione permanente l’onorevole Giacomo Ferrari in sostituzione dell’onorevole Cesare Massini, dimissionario.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 55 del progetto di Costituzione.

Ieri sera avevo accennato all’opportunità o meno di attendere, per l’esame degli emendamenti i quali propongono certe norme particolari per la formazione del primo Senato della Repubblica fino a che non giungeremo all’esame di tutte le norme transitorie; ma alcuni colleghi hanno fatto presente il desiderio di poterli senz’altro svolgere, perché può essere che ciò che essi direbbero in argomento abbia un riflesso sulle decisioni relative alla formazione permanente del Senato della Repubblica. Do perciò la parola ai presentatori dei due ultimi emendamenti, salvo a decidere il momento nel quale saranno posti in votazione.

Il primo emendamento porta la firma degli onorevoli Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Arcaini, Castelli Avolio, Adonnino. Sarà svolto dall’onorevole Avanzini ed è del seguente tenore:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo dello Stato: i deputati all’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina».

L’onorevole Avanzini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

AVANZINI. Onorevoli colleghi, l’emendamento da noi presentato riguarda non la costituzione permanente ma unicamente la prima elezione del Senato.

Per questa prima elezione del Senato noi proponiamo che siano nominati senatori di diritto, con decreto del Capo dello Stato, i deputati all’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente. Quindi, si potrà obiettare, ancora una volta, nomina dall’alto. Ieri, l’onorevole Alberti ha combattuto questa obiezione con sicura efficacia e sarebbe da parte mia di pessimo gusto ripetere le sue ragioni.

D’altro canto, questa obiezione non ha ragione d’essere, di fronte all’emendamento che noi proponiamo. Infatti questo emendamento non consente una scelta affidata alla libera volontà del Capo dello Stato. Gli eligendi sono individuati in una norma obiettiva, definitivamente limitata. Non si tratta di scegliere gli eligendi, ma solo di esaminare se abbiano i requisiti per essere eletti, requisiti precisati dalla norma. Infatti, nell’emendamento si propone che entrino a far parte del primo Senato i deputati all’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea. Non è il caso che mi soffermi ad illustrare questo punto dell’emendamento, in quanto esso si riferisce a nomi che sono presenti nel nostro spirito e al nostro ricordo: nomi meritevolissimi di far parte del nuovo consesso. Ma l’emendamento consente anche di varcare la soglia del Senato a quei deputati all’Assemblea Costituente che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.

Faccio notare che condizione imprescindibile di eleggibilità, in virtù di questo emendamento, è l’avvenuta elezione in seno all’Assemblea Costituente, e ciò per ovvie ragioni: innanzi tutto per evitare che la soglia del Parlamento possa essere varcata da chi, vantando un numero superiore a tre legislature, quale fascista abbia partecipato a passate legislature del regime. È una preoccupazione di cui non sembra abbia tenuto conto l’emendamento dell’onorevole Nitti.

C’è di più: l’elezione alla Costituente, evidentemente sta a significare una consacrazione, significa il riconoscimento di una dignità mantenuta pura attraverso la sofferenza; e, a mio modestissimo avviso, significa anche che l’avvenuta elezione all’Assemblea Costituente è l’espressione della volontà popolare. Questo emendamento, in definitiva, rispetta in pieno il principio democratico dell’elezione. Infatti questi uomini, entrando nel primo Senato, continueranno ad essere, in fondo, i rappresentanti della volontà popolare. Ma soprattutto sembra che l’emendamento si imponga per una ragione di opportunità e di tecnica parlamentare. Non vi è dubbio che il primo Senato – il nuovo Senato – sarà un’Assemblea nuova, quanto meno composta di gente nuova.

È una impressione che domani potrà anche essere smentita, ma io penso, per esempio, che pochi dei membri di quest’Assemblea pensino oggi con preferenza al Senato piuttosto che alla prossima Camera dei deputati. Forse noi siamo un po’ servi del passato, ma è certo che questa prima Camera dei deputati appare più rigogliosa, più fresca, più feconda, un’arena di ardente battaglia dove di getto si foggia la vita politica italiana con una perenne ansia verso un domani migliore. E allora, fuori di qui andremo a cercare i membri di questo primo Senato? Ma dove trovarli, quando il ventennio ha disperso e cancellato tante vite, tanta saggezza e tante esperienze? Ecco quindi la necessità che nel primo Senato almeno entri un nerbo di uomini esperti, di uomini provati, attraverso dura ed amara esperienza, provati alla vita politica, perché questo nerbo di uomini crei attorno a sé la necessaria organizzazione della nuova Assemblea.

Ecco perché noi pensiamo che questo emendamento potrebbe trovare il favore dell’Assemblea. Non ci mosse in proposito alcuno spirito di parte, perché entreranno nel Senato uomini di diversi partiti, avvicinati da nuovi compiti. Sono stati alieni da ogni spirito di parte i diversi firmatari, i quali avrebbero meglio di me illustrato questo emendamento, ma tutti insieme vi ripetono un’aspirazione sola con voce alta e fervida: che il primo Senato, il nuovo Senato possa rispondere alle esigenze della rinnovata vita politica italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Martino Gaetano, Morelli Renato, Villabruna, Cifaldi, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Mazza, Rodinò Mario hanno presentato la proposta del seguente articolo 55-bis:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati Senatori con decreto del Capo dello Stato:

  1. a) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’aula, purché non eletti nella cosiddetta lista nazionale;
  2. b) i deputati all’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
  3. c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925».

L’onorevole Martino Gaetano ha di svolgerla.

MARTINO GAETANO. Dopo quanto ha detto l’onorevole Avanzini, potrei anche rinunziare a svolgere il mio emendamento, tanto sono evidenti le ragioni che lo hanno ispirato.

Si vuole da molti che nel primo Senato della Repubblica italiana non manchino vecchi parlamentari, i quali rappresentino quasi una garanzia, per noi, di un efficace funzionamento democratico di questa Assemblea legislativa. E se questo è lo scopo, io penso che non bisogna tanto guardare al numero delle legislature di questi ex parlamentari, quanto, invece, all’attività politica da essi svolta nel passato. In altri termini, ad un criterio quantitativo di valutazione occorre, a parer mio, sostituire un criterio qualitativo.

Per quanto si faccia per cercare di dimenticarlo, è certo che pesa ancora e peserà, io penso, per lungo tempo nella vita politica italiana il ricordo del recente passato. Noi crediamo che una garanzia di efficace funzionamento democratico di quella Assemblea potrà essere offerta soltanto da quegli ex parlamentari che mostrarono, nei tempi più oscuri della dittatura, di volere difendere la democrazia, di volere salvare la libertà.

Che vale il numero delle legislature? Forse questo numero aggiunge qualcosa all’attività politica che in un determinato momento questi uomini svolsero? O forse, la mancanza di questo numero è fattore di svalutazione di quella attività politica?

Sono questi gli uomini che noi vorremmo vedere entrare di diritto nel primo Senato della Repubblica italiana; i provati nemici della dittatura, gli amici provati della libertà. E questi sono, come dice il mio emendamento: primo, coloro che furono estromessi da quest’Aula nella seduta del 26 novembre 1926 col voto di una maggioranza di Assemblea (pensate: questi erano i soli deputati, in quel tempo, che possiamo considerare davvero liberamente eletti dal popolo italiano, perché gli altri, quelli che costituivano la maggioranza, non erano espressione vera della libera scelta del popolo italiano, essendo qui pervenuti attraverso un artificio elettorale, per mezzo della cosiddetta lista nazionale); secondo, gli oppositori nell’Aula: nell’Aula di Montecitorio ed in quella di Palazzo Madama. Si è cercato di fare una valutazione storica dell’attività politica di questi uomini. Credo che questo sia prematuro. La storia dirà più tardi se l’azione che essi svolsero sia stata opportuna od inopportuna, se possiamo considerare un errore, o non dobbiamo considerarla tale, la tattica che essi seguirono in quel determinato momento politico. Ma è certo, a mio parere, che qualunque sia la valutazione che la storia farà della loro attività politica, questa attività politica resterà sempre come una delle pagine più nobili scritte da una parte del popolo italiano nei tempi più oscuri della dittatura fascista. Così come, qualunque sia questa valutazione della tattica parlamentare seguita da questi uomini, nulla potrà impedire che nel cuore degli italiani resti perenne la commossa riconoscenza per uno di costoro che, se fosse vivo, noi vorremmo vedere entrare per primo nel nuovo Senato italiano: Giovanni Amendola. (Applausi).

PRESIDENTE. Con ciò tutti gli emendamenti sono stati svolti. Abbiamo ora dinanzi a noi due ordini del giorno, i quali pongono il problema del modo di elezione del Senato della Repubblica. Uno, già stampato nel fascicolo degli emendamenti, e che porta le firme degli onorevoli Lami Starnuti, Binni, Morini, Rossi Paolo, Treves, Longhena, Bennani, Canevari, Bocconi, Caporali, Villani, Zanardi, Momigliano, Filippini, è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei componenti il Senato della Repubblica debba avvenire a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e per circoscrizioni regionali».

L’altro ordine del giorno, che mi è stato presentato adesso, porta le firme degli onorevoli Nitti, Rubilli, Persico, Laconi, Gullo Fausto, Quintieri Quinto, Nasi, Bozzi, Grieco, Togliatti, Cifaldi, Reale Vito, Vigna, Molè, Perrone Capano, Basile, Russo Perez, Dugoni e Colitto. Esso è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, con il sistema del collegio uninominale».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, noi abbiamo esaurito rapidamente il tema della Camera dei deputati. Entriamo negli articoli concernenti il Senato. Sono tre. Uno è già stato discusso e debbo rispondere in ordine agli emendamenti presentati: è l’articolo 55, il più denso forse di tutta la Costituzione; ma questi sono ormai argomenti concreti, a differenza degli altri più generali ed astratti della prima parte della Costituzione stessa. Credo pertanto che potremo cavarcela relativamente in poco tempo, sebbene gli emendamenti rappresentino una tale selva ed un tale groviglio che occorre proprio la bussola per potersi orientare.

Seguirò questo metodo: enuncerò prima il testo originario del progetto, accennando alle ragioni che hanno indotto la Commissione dei settantacinque a proporlo; poi esaminerò gli emendamenti nell’ordine che si discostano dal testo ed esprimerò infine l’avviso del Comitato in merito ad essi.

Il primo comma dell’articolo 55 dice: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale». È prevalso qui il criterio che costituì a suo tempo la maggioranza anche nelle questioni decise sulla Regione, cioè che si dovesse, una volta istituito tale Ente, collegare ad esso la struttura della seconda Camera. Il comma potrebbe apparire un’affermazione generale e più che altro teorica, ma alla sua approvazione o meno, in via definitiva, si collega se sarà o no ammessa una rappresentanza dei Consigli regionali nel Senato. È una questione che va messa logicamente per prima: si tratta di vedere se il Senato dovrà avere o no composizione mista, per la fonte elettorale. Dovrà quindi essere votata per prima. Dalla sua soluzione dipende l’atteggiamento sugli altri emendamenti.

L’onorevole Russo Perez propone di dire «a base territoriale, attribuendo a ciascuna Regione». Evidentemente l’emendamento ha un valore più che altro formale, letterario e non è il caso di insistervi.

L’onorevole Lami Starnuti propone di mettere invece «circoscrizioni regionali». Il Comitato nota che mettendo «circoscrizioni regionali» si legherebbero un po’ troppo le mani, perché le circoscrizioni dovrebbero essere dell’intera Regione; mentre il problema da decidere qui è sostanzialmente un altro, e si concreta se vi debba essere o no una rappresentanza diretta dell’ente Regione.

Hanno proposto di sopprimere il primo comma – e qui la questione diventa di principio – gli emendamenti dell’onorevole Nitti, dell’onorevole Preti, e dell’onorevole Laconi. Bisognerà, ripeto, votare dapprincipio su tale punto, per stabilire quale è l’atteggiamento dell’Assemblea, se intende dare una aliquota di rappresentanza anche ai Consigli regionali o no.

Passiamo al secondo comma. Qui gli emendamenti fioccano più numerosi, e si profilano questioni complesse che sono congiunte tra loro; e cercherò di coordinare e di farne convergere la soluzione, anche se gli emendamenti sono distinti e converrà cominciare coll’esaminarli ad uno ad uno. Desidero, nella mia breve esposizione, di essere fedele fino allo scrupolo.

Il testo del progetto basava su tre punti. Il primo era il quoziente; un senatore ogni 200 mila abitanti o frazione superiore a 100 mila abitanti. Secondo punto: maggiorazione, per ogni Regione, di un numero fisso di cinque. Terzo punto: in ogni caso un limite, nel senso che il numero dei senatori non doveva superare quello dei deputati della Regione. Ecco il trittico al quale si riduce il disposto del comma che avete sotto gli occhi.

Le ragioni cui si ispirarono le norme erano queste: adottare per il Senato, in confronto alla Camera, un numero complessivo più ristretto, ma non troppo. Contemperare, con l’aggiunta di un numero fisso per ogni regione, il principio della proporzionalità agli abitanti della Regione con una certa considerazione della funzione che ha ciascuna Regione, qualunque sia l’entità della sua popolazione. Terzo: evitare, per ragioni evidenti di equilibrio, che i deputati d’una Regione siano meno che i suoi senatori. È opportuno, prima di addentrarci nell’esame di questi punti, evitare un equivoco. Leggendo frettolosamente l’articolo, taluni hanno interpretato la disposizione nel senso che i cinque senatori da aggiungersi come numero fisso per ogni Regione, siano da eleggere dai Consigli regionali; gli altri col metodo più generale di suffragio. Non è così; almeno per il testo quale è in origine (altra può essere la conseguenza in via di modifica); secondo il progetto, i cinque si sommano al numero di senatori determinato in rapporto al quoziente per abitanti; poi si divide la cifra complessiva per tre; ed un terzo ne eleggono i Consigli regionali, il resto il popolo in una data forma di suffragio. Tale la disposizione, su cui convergono gli emendamenti, molteplici e vari.

Emendamenti sul quoziente: mentre il progetto propone un senatore per 200.000 abitanti o frazione superiore alla metà (mi permetterete, per esser breve, di tacere in seguito su eguali riferimenti alla metà che vi sono nelle controproposte), l’onorevole Targetti propone 150 mila, Preti e Lami Starnuti, con due emendamenti, 120 mila.

Quale sarebbe, con tali quozienti, il numero dei senatori?

È bene anche qui un chiarimento; abbiate pazienza; ma debbo darvi tutti gli elementi di comprensione. Un articolo successivo, il 57, dispone che il numero dei deputati e dei senatori deve, ad ogni elezione, commisurarsi ai dati dell’ultimo censimento. Qual è l’ultimo censimento che abbiamo? È il censimento del 1936, cioè di dodici anni fa, il quale dà per tutta la popolazione italiana, compresa la Venezia Giulia, una cifra di 42.990.000, ossia di circa 43 milioni. Senza nuovi censimenti si sono fatti aggiornamenti, calcolando per ogni comune i nati e i morti. Si hanno aggiornamenti che si possono dire definitivi a tutto il 1942; la popolazione, sempre compresa la Venezia Giulia, era salita a 45 milioni e mezzo. Dopo il 1942 non si hanno più aggiornamenti definitivi; ma solo provvisori, a calcolo, perché è mancato il rilievo diretto comune per comune. Così pel 1946 si ha una cifra sempre, all’incirca, di 45 milioni e mezzo, ma non vi sono compresi i fratelli della Venezia Giulia, che un trattato ingiusto ha strappati alla loro madre.

Aggiungo che sono in corso altri aggiornamenti, che saranno definitivi per la fine dell’anno in corso 1947; ma diverranno noti due o tre mesi dopo.

Decideremo, a proposito dell’articolo 57, se per la prima elezione dovremo ricorrere ai dati dell’ultimo censimento o agli aggiornamenti. Nel primo caso avremmo – grosso modo – con un quoziente di 200 mila, non molto più di 200 senatori; nel secondo caso si salirebbe verso i 250. Inutile dire che per le successive legislature, con l’incremento della popolazione il numero dei senatori aumenterà. Tenendo presente che – secondo il testo – vi sarà una quota addiettiva, col numero fisso di 5 per ogni regione, si arriva in complesso per la prima elezione ad un Senato attorno ai 300 membri; che è numero ragguardevole, ma non eccessivo.

Vi è una tendenza a diminuire il quoziente, e cioè ad aumentare i senatori. Si dice che, come si è modificato il progetto per i deputati, facendo discendere il quoziente ad 80.000, si potrebbe fare altrettanto per i senatori, stabilendo il quoziente a 160.000, e cioè al doppio che pei deputati. La proposta potrebbe essere presa in considerazione, se non vi fosse il numero fisso addiettivo.

Veniamo ora appunto al tema di questo numero fisso, che secondo il progetto sarebbe di 5 per Regione. Propongono di sopprimerlo gli emendamenti Lami Starnuti, Preti, Laconi ed anche l’emendamento Caronia; l’emendamento Nitti lo conserva riducendolo a 3 (con che, antiregionalista reciso, l’onorevole Nitti dà qualche peso al concetto di Regione). L’onorevole Mortati propone che, stabilendo il principio, si lasci la cifra indecisa finché non si sarà deciso tutto ciò che concerne l’ordinamento regionale, cioè praticamente, poiché abbiamo rinviato tale tema, sino alla fine della Costituzione. Io non sono favorevole ai continui rinvii che sono pericolosi perché ci troveremo in fondo davanti a un salsicciotto di residui, che non sapremo come cucinare. Del resto il numero delle Regioni non si sposterà mai di tanto da influire sul nostro giudizio sul complesso numerico del Senato.

Veniamo alle questioni di sostanza. Il Comitato ha cercato non senza fatica la migliore decisione, prospettandosi diverse ipotesi e fermandosi successivamente su varie soluzioni. In un primo momento si era pensato di sopprimere il numero fisso addiettivo per ogni Regione e di adottare, sempre per ogni Regione, il sistema del numero minimo. Vale a dire, ogni Regione non avrebbe dovuto avere meno di cinque senatori. La modificazione basava sulla considerazione che, se il motivo era di avvantaggiare le Regioni più piccole, il risultato si otteneva meglio e più efficacemente col numero minimo per esse che coll’aggiungere un numero fisso a tutte le regioni grosse e piccole. Il collega Laconi ha dimostrato che il vantaggio sarebbe, più che per le piccole, per le regioni di grandezza media.

L’inconveniente sarebbe però evitato se, pur conservando il numero fisso, si adottasse un’altra soluzione complessiva, su cui ha finito per fermarsi il Comitato. La soluzione è di stabilire che, oltre al numero di senatori determinato dal quoziente, dall’eleggersi con un dato sistema di suffragio dal popolo, ogni Regione avrebbe un numero fisso di tre senatori, che sarebbe eletto dal Consiglio regionale. La soluzione ha avuto il consenso di tutti i membri del Comitato; ma per alcuni di essi con dichiarazione esplicita che avrebbero votato contro il primo comma dell’articolo, non ammettendo l’aliquota da eleggersi dai Consigli regionali; e – soltanto ove questa fosse approvata – accetterebbero la soluzione concordata.

È una soluzione che corrisponde alla proposta dell’onorevole Nitti per un numero fisso di 3, e la combina con un’altra proposta dell’onorevole Zuccarini, di dare ai Consigli regionali l’elezione soltanto del numero fisso.

Quali sarebbero i vantaggi? Innanzi tutto una grande semplificazione, perché non si dovrebbero fare dei coacervi e delle redistribuzioni di numeri nel reparto fra i senatori da eleggersi dai Consigli regionali e quelli da eleggersi in altro modo. La soluzione sodisfa i regionalisti più accesi, in quanto riconosce in pieno il principio che le Regioni debbono avere una certa rappresentanza, in connessione al principio del loro ordinamento autonomo. D’altra parte non si avrebbe che una quota relativamente lieve – in complesso meno di sessanta senatori di fronte agli altri (duecentocinquanta o più) eletti con l’altro metodo. I senatori nominati dai Consigli regionali porterebbero più direttamente l’espressione in seno al Senato dei voti delle Regioni, affinché il Senato possa adempiere ad un compito di coordinamento.

Con la soluzione concordata il quoziente dei collegi elettorali per la rimanente e maggiore aliquota resterebbe sempre lo stesso, mentre col riparto stabilito originariamente nel progetto verrebbe a variare. Resterebbe, è vero, qualche disparità nel numero complessivo di senatori attribuito ad ogni Regione; ma sarebbe una conseguenza inevitabile della rappresentanza data direttamente alle Regioni; e costituirebbe in ogni modo la minore disparità possibile di fronte agli altri congegni di numero fisso o di numero minimo. Si obietta (e l’obiezione vale anche per gli altri congegni) che, dando in più 3 senatori ad ogni Regione, si stimolano le richieste alla formazione di nuove e minuscole Regioni. Ma a ciò osta la disposizione che sta nella Costituzione secondo cui è fatto divieto di costituire nuove Regioni che abbiano un numero di abitanti inferiore ai 500.000; cifra che alcuni propongono di elevare e di raddoppiare.

La soluzione dunque è, per ogni aspetto, sodisfacente: ed ha l’unanimità. Ma, come ho detto, subordinata. Se cade il criterio della rappresentanza speciale ai Consigli regionali, la forma progettata vien meno.

Veniamo ora alla clausola del «limitatore» sostenuta così vivacemente dall’onorevole Russo Perez: il numero dei senatori non potrà, per ogni Regione, superare quello dei deputati. Hanno proposto la soppressione gli onorevoli Lami Starnuti, Targetti, Nitti. L’onorevole Colitto corregge la forma; egli è un po’ il Basilio Puoti della nostra Costituzione. Quanto alla sostanza, anche il Comitato inclina alla soppressione, perché, se la disposizione è astrattamente logica ed ineccepibile, in realtà, nelle applicazioni pratiche, il caso che si vuol evitare, di più senatori che deputati non si presenta per nessuna Regione, neppure per la più piccola, la Basilicata, che avrebbe 7 deputati, e soltanto 6 senatori. Ed allora perché mettere nel testo un inutile precetto?

Io mi preoccupo (non sempre vi riesco, ma la colpa non è mia) di rendere la Costituzione italiana più che sia possibile snella e semplice. Se l’accordo tien fermo (il che dipende dall’approvazione anzitutto del comma primo: «Il Senato è eletto a base regionale») il secondo comma sarebbe formulato così: «A ciascuna Regione è attribuito oltre ad un numero fisso di tre senatori, un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a 100 mila. La Valle d’Aosta ha un solo senatore». Il contenuto del comma va messo in rapporto con quello del comma successivo, per cui i 3 (e non di più) sono eletti dal Consiglio regionale.

Procediamo ora nell’esame dell’articolo. Il terzo comma entra nelle questioni più gravi ed importanti: si tratta di scegliere fra i sistemi che si dividono gli animi vostri e verranno fra loro a battaglia: proporzionale pura, collegio uninominale, suffragio indiretto.

Ma prima bisogna decidere se l’elezione del Senato sarà tutta con uno di questi sistemi, o, come è nel progetto, verrà invece ripartita, dandone una quota minore ai Consigli regionali. Il testo iniziale del progetto indicava un terzo. Alcuni emendamenti vorrebbero sopprimere ogni aliquota (e cioè respingere la più diretta rappresentanza regionale che è implicita nel primo comma dell’articolo). Sono gli emendamenti degli onorevoli Lami Starnuti, Targetti, Preti, Laconi, Nitti. Anche l’onorevole Russo Perez sopprimerebbe questa quota per darla al Capo dello Stato. Un emendamento Perassi, fedele invece alla rappresentanza diretta regionale, proponeva dapprima (abbiate pazienza se debbo seguire la stratificazione degli emendamenti che si sono succeduti e man mano superati), di tenere l’aliquota nel terzo (solo in subordine la riduceva ad un quarto), aggiungendo un minimo di 3 per i senatori da eleggersi dal Consiglio regionale. Con che veniva incontro alla soluzione, che poi fu in fine, adottata e che vi ho esposta.

Il Comitato, cioè, conclude che all’elezione dei Consigli regionali sia lasciata solo la quota fissa di tre, ottenendo così i vantaggi di semplificazione che abbiamo visto.

Ed eccoci alla questione più viva: il sistema da seguire per la maggiore aliquota riservata al corpo elettorale. Il testo del progetto stabilisce che l’elezione abbia luogo a suffragio universale e diretto. Non altro. Sarebbe escluso il suffragio indiretto, ma aperta la possibilità alle varie forme del diretto, che si distinguono soprattutto in proporzionale o collegio uninominale.

L’onorevole Lami Starnuti propone nel suo emendamento la proporzionale: ma ha dichiarato poi di limitarsi, per tale riguardo, ad una affermazione con ordine del giorno (una specie di voto impegnativo, che l’Assemblea ha altre volte adottato). Con siffatto rinvio, il testo rimarrebbe pressappoco come è nello schema del progetto.

L’obiezione che si fa principalmente alla proporzionale pel Senato (a prescindere dalle antipatie degli antiproporzionalisti di principio) è che la proporzionale per tutti due i rami del Parlamento farebbe del Senato un doppione e non risponderebbe alle esigenze di una differenziazione che sembra logicamente indispensabile con il principio bicamerale.

Oltre alla proporzionale, sono in lizza i due sistemi del collegio uninominale, proposto negli emendamenti Laconi, Nitti, Rubilli, e del suffragio indiretto, proposto dall’onorevole Perassi. Quest’ultimo è il cosiddetto sistema dei grandi elettori, o elettori a doppio grado. L’emendamento Perassi dice che i senatori saranno eletti da delegati eletti a lor volta fra gli elettori iscritti nella circoscrizione.

Il Comitato è diviso. Sul profilo tecnico è prevalso il politico; ed i partiti hanno preso posizione. Per mio conto mi limito ad osservare: qualunque delle due soluzioni prevalga, si avrà una differenziazione dei due rami del Parlamento, con un sistema diverso, per ciascuno di essi, del metodo di selezione, ma ricorrendo pur sempre al suffragio universale. Per tale riguardo sia l’uno che l’altro sistema sarebbero preferibili alla proporzionale.

E l’uno e l’altro avrebbero, sia pure in grado e forma diversa, comuni vantaggi. Il primo sarebbe di aprire la via ad una maggiore considerazione dell’elemento e del valore personale. Sia nel collegio più ristretto, che facilita più immediati contatti, sia nel seno di un numero relativamente esiguo di elettori di secondo grado, si baderebbe alla personalità dei candidati più che nell’anonimo e complesso fluttuare delle masse elettorali. È presumibile che i senatori avrebbero una certa statura.

Secondo vantaggio: con l’uno e con l’altro sistema si avrebbe la spinta al raggrupparsi dei partiti in concentrazioni od alleanze, e ciò sarebbe un avviamento a quell’avvicendarsi di due o tre formazioni politiche, che è stata la linea classica del sistema parlamentare, dove è nato, ed appare una condizione del suo normale svolgimento. Ai partiti, come sono in questi momenti, può o meno piacere l’immediato riflesso dei blocchi; ma la tendenza, in sé, non può essere condannata.

Naturalmente v’è contrasti e polemica fra i due sistemi. Contro il collegio uninominale vi è una ripugnanza invincibile dei più decisi proporzionalisti, che vedono contradittoria ed assurda la coesistenza della proporzionale e del collegio uninominale, sia pure in due diverse Camere. Contro il suffragio indiretto vi è l’obiezione che è pericoloso mettere le elezioni in mano ai pochi grandi elettori, fra i quali si farebbe strada la camarilla e la corruzione. È la tesi su cui ha molto insistito l’onorevole Nitti.

Non ho altro da dire; vi ho esposto obiettivamente gli argomenti adducibili hinc inde. Come Relatore, il mio compito è di semplificare e chiarificare, localizzando e precisando le tendenze. Per conto mio sono pel collegio uninominale, e subordinatamente per il suffragio indiretto; non sono per la proporzionale.

Abbiamo visto così la prima parte dell’ultimo comma, così denso di questioni. Resta nell’ultima parte la questione dell’età per l’esercizio del diritto di voto. È previsto nel progetto che l’elettore per il Senato abbia 25 anni. L’onorevole Conti propone di scendere a 21 anni; al qual fine basterebbe cancellare l’indicazione dei 25 anni; perché si tornerebbe allora alla norma generale per ogni elezione che l’articolo della Costituzione fissa alla maggiore età. Comunque, il Comitato mantiene l’età a 25 anni, per quel concetto inerente al nome stesso di Senato, che questo corpo debba avere, per ogni riflesso, qualcosa di più qualificato come età. Debbo aggiungere che, se si arrivasse ad adottare il suffragio indiretto, allora (come è nell’emendamento Zuccarini) gli elettori di primo grado potrebbero essere tutti quanti gli aventi una maggiore età; ma i delegati dovrebbero avere 25 anni.

Avrei finito, se non vi fosse un’appendice di emendamenti, che concernono un numero di senatori designati – al di fuori del sistema elettorale – per diritto o per scelta del Capo dello Stato. Una combinazione del criterio elettivo con designazioni di questo genere non è sconosciuto ad altre Costituzioni.

Vi sono due ordini di emendamenti. Uno è per norme permanenti; l’altro per norme transitorie. Con disposizione permanente l’onorevole Russo Perez propone di lasciare al Capo dello Stato di nominare, a libera scelta, il terzo dei senatori. L’onorevole Rubilli riduce al quarto. Non è detto se tali elezioni siano a vita o per una sola legislatura. L’onorevole Alberti propone di dare al Capo dello Stato l’elezione a vita di cinque cittadini illustri.

Vi sono poi, nelle proposte, i senatori di diritto. Gli onorevoli Nitti ed Alberti pongono come tali gli ex Presidenti della Repubblica e del Consiglio dei Ministri; naturalmente a vita. L’onorevole Alberti mette, pei soli Presidenti del Consiglio, la condizione che abbiano, anche interrottamente, ricoperto la carica per un anno. È tutta una casistica – perdonate – su cui debbo richiamare la vostra attenzione. L’onorevole Nitti aggiunge come senatori di diritto le alte cariche dello Stato (primo presidente della Cassazione, presidente del Consiglio di Stato, presidente della Corte dei conti) i cui titolari sarebbero senatori finché durasse la loro carica. Inoltre sei professori eletti dal Consiglio superiore dell’istruzione e qui non si capisce per quanto tempo.

Vi sono poi le proposte d’ordine transitorio. Quella dell’onorevole Leone, Avanzini ed altri suggerisce di fare entrare di diritto (ma con possibilità di rinuncia) nel primo Senato alcuni elementi dei precedenti Parlamenti. Condizione, per tutti, dovrebbe essere di aver fatto parte della Costituente; così che si eliminerebbero i possibili residuati del tempo fascista. Oltre a detta condizione, sarebbero titoli per diventar senatori l’esser stati Presidenti di un Consiglio dei Ministri o di un’Assemblea, senatori o deputati per almeno tre legislature, compresa la Costituente. L’onorevole Nitti porta le legislature a cinque, ma ha detto nel suo intervento che si riserva di riesaminare e fissare altrimenti il numero.

Nel Comitato si sono manifestate diverse opinioni. Per quanto riguarda le norme permanenti è prevalsa l’idea che la qualità di senatore di diritto ed a vita sia da riserbarsi ai soli ex Presidenti della Repubblica, che per il posto da essi occupato non possono discendere, alla fine del loro mandato, nell’agone elettorale. Altro è degli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri, pei quali vi sono state riserve, appunto perché possono, e ad essi si addice, chiedere il suffragio degli elettori; ed alcuno ha fatto presenti le conseguenze che si avrebbero per i Presidenti del Consiglio prima della liberazione di Roma. Non è sembrata ammissibile l’entrata in Senato, per diritto, di nessun altro elemento né come carica dello Stato, né come designazione d’un Consiglio superiore.

In quanto alla norma transitoria avete sentito qui esporre con tanta vivezza argomenti a favore, che sono, fra gli altri, di serbare al primo Senato repubblicano elementi sicuri e provetti, che altrimenti, per la loro età, non affronterebbero il disagio della lotta elettorale; la nomina, una volta tanto, per una sola legislatura, riempirebbe in parte il vano lasciato, per la prima immediata elezione del Senato, dalla non partecipazione della quota di senatori attribuita ai Consigli regionali, che non sarebbero a tempo costituiti.

La obiezione che con nomine di siffatto genere, a base non elettiva, si spezzerebbe la linea strutturale del Senato, è superata o almeno attenuata dal fatto che tali nomine avverrebbero per una sola volta, in via di assoluta eccezione. Si tratta di vedere se, dato il carattere transitorio di tale norma, la decisione su di essa sia da prendersi ora o da rinviarsi al momento in cui la Costituente formulerà le disposizioni transitorie della Costituzione.

Ho finito. Vi ho annoiato, ma era necessario esporvi un quadro completo di tutte le proposte. Dovevo – il che corrisponde ai mio temperamento – essere chiaro e semplificatore. Ma gli emendamenti sono così numerosi, e le soluzioni così complicate ed aggrovigliate che ho fatto un grande sforzo per sistemarle e per darne la ragione. In base alla via che vi ho tracciato, voi, scegliendo nel senso che vorrete, potete in breve giungere a conclusione sul tema più discusso e tormentato della Costituzione. Se ciò avverrà ogni mio sforzo sarà compensato. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, occorre dare inizio alle votazioni sopra questa materia, tanto complessa ed importante. Vi sono due ordini del giorno, e gli ordini del giorno devono essere votati prima degli emendamenti sia per una ragione di regolamento, sia perché l’esito della votazione degli ordini del giorno può influire sull’ordine di votazione degli emendamenti e forse anche dettare la presentazione di emendamenti agli emendamenti.

Ritengo dunque che si debba passare senz’altro alla votazione di questi ordini del giorno; e intanto di uno di essi. Come loro avranno presente, i due ordini del giorno propongono rispettivamente all’Assemblea l’uno la costituzione del Senato sulla base del suffragio universale e con il sistema proporzionale, l’altro con il sistema uninominale. Sostiene il sistema uninominale l’ordine del giorno di cui l’onorevole Nitti è il primo firmatario; propone il proporzionale l’ordine del giorno che porta per prima la firma dell’onorevole Lami Starnuti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche ammesso che gli ordini del giorno debbano avere la precedenza, vorrei pregare i presentatori di considerare se non sia opportuno seguire l’ordine logico, cioè esaminare le questioni secondo la traccia del testo. Vi è prima da stabilire se la composizione del Senato debba essere unica, o lasciata in parte ai Consigli regionali. Vengono poi le altre questioni. Quando saremo arrivati al punto di definire il sistema da seguire per il grosso dei Senatori, affronteremo i due ordini del giorno contrapposti. Quanto ho detto, più che una preghiera, è un rilievo di logica formale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi duole di non poter accogliere la proposta dell’onorevole Ruini. A nome dei presentatori del secondo ordine del giorno, di cui il Presidente ha dato lettura, sono costretto a dichiarare che riteniamo che la votazione del nostro ordine del giorno e, penso, di quello dell’onorevole Lami Starnuti – in quanto delinea la figura del Senato – sia pregiudiziale alla votazione di tutto l’articolo.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Faccio osservare che se si segue questo ordine di votazione rimane pregiudicata preventivamente un’altra posizione che è quella contenuta nell’emendamento Perassi, poiché si verrebbe a contrapporre il sistema uninominale col sistema del suffragio universale diretto sia pure con la rappresentanza proporzionale. Ma c’è un terzo sistema che attraverso la discussione ha raccolto vasti consensi ed è quello, appunto, proposto dall’onorevole Perassi che contempla l’elezione di secondo grado.

Ora, si porrebbe una parte notevole della Camera in questa curiosa situazione, di respingere sia l’ordine del giorno che prevede il collegio uninominale sia l’altro che prevede la proporzionale con il suffragio universale diretto: mentre si può e si deve combinare il sistema proposto dall’onorevole Perassi con quello della proporzionale col suffragio universale diretto.

Mi pare che debba essere tenuta presente questa anomalia che si verificherebbe nel tipo della votazione che è stata proposta. Se occorre, presento un ordine del giorno in questo senso. Se non si segue più l’ordine logico degli emendamenti, ma la procedura della presentazione istantanea degli ordini del giorno, evidentemente siamo tutti liberi di presentare ordini del giorno al posto degli emendamenti. Ma fin qui si è seguito il concetto che gli emendamenti rispetto al testo avessero la precedenza, mentre gli ordini del giorno erano previsti soltanto per la conclusione della discussione generale.

PRESIDENTE. Gli ordini del giorno hanno sempre la precedenza nella votazione.

PICCIONI. Ma dopo la discussione generale: non articolo per articolo.

PRESIDENTE. Un ordine del giorno può essere presentato in qualunque momento, salvo che, a seconda del momento, esso dà o no certi diritti ai presentatori, ad esempio quello di svolgerlo.

In secondo luogo l’ordine del giorno deve essere sottoscritto da un numero di firme, variabile in rapporto al momento in cui esso è presentato.

Ma in ogni caso, se un ordine del giorno è presentato quando ancora non si è passati alla votazione degli emendamenti, esso deve essere votato prima di questi.

D’altra parte, devo confessare che non ho ben compreso le obiezioni dell’onorevole Piccioni.

Così mi pare che una elezione di secondo grado potrebbe essere possibile anche se si adottasse, per ipotesi, il sistema uninominale.

Per richiamare un esempio noto, l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America, che si costituiscono in quella occasione in un unico grande collegio, è un’elezione di secondo grado a collegio uninominale.

Perciò non calza la pregiudiziale di carattere logico posta dall’onorevole Piccioni.

Comunque, se egli presenta un terzo ordine del giorno, esso sarà posto in votazione, naturalmente se e quando gli altri ordini del giorno già presentati non abbiano ottenuto la maggioranza.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Sono d’accordo con l’onorevole Laconi, sulla precedenza nella votazione degli ordini del giorno sugli emendamenti.

Comprendo le obiezioni dell’onorevole Piccioni, ma non mi paiono decisive.

L’ordine del giorno dell’onorevole Nitti ed il mio hanno una prima parte in comune, nella quale è affermato che l’elezione dei senatori deve avvenire a suffragio universale e diretto.

PICCIONI. Dicendosi «diretto» si esclude l’elezione di secondo grado.

LAMI STARNUTI. Dico questo appositamente per marcare che la prima parte dei due ordini del giorno esclude la elezione a suffragio universale indiretto, esclude cioè le proposte dell’onorevole Perassi.

Poiché io domando fin d’ora che la votazione dell’ordine del giorno avvenga per divisione, l’Assemblea si dividerà anch’essa sulla prima parte di uno dei nostri ordini del giorno.

Coloro che sono per la elezione a suffragio universale diretto voteranno la prima parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti o del nostro.

Coloro che sono favorevoli alla proposta dell’onorevole Perassi voteranno contro.

Così la votazione non solo si semplificherà, ma avrà il suo naturale procedimento logico.

Per questo, associandomi alle osservazioni dell’onorevole Laconi, insisto perché i nostri ordini del giorno abbiano la precedenza nella votazione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Per la chiarezza della votazione, io credo indispensabile – non entro in merito – che il collega onorevole Perassi presenti l’emendamento sotto forma di ordine del giorno, perché io non aderisco all’opinione espressa dall’onorevole Presidente, che la questione del collegio uninominale possa comprendere anche quella del suffragio universale indiretto contenuto nell’emendamento Perassi. Mi pare invece il contrario.

Comunque, è bene che l’Assemblea abbia di fronte a sé i tre schemi.

L’onorevole Lami Starnuti ha ragione per la prima parte, ma non per la seconda.

Sarebbe opportuno che l’onorevole Perassi, ripeto, trasformasse il suo emendamento in ordine del giorno.

PRESIDENTE. Mi sembra che, se ci si pone su questo terreno, di trasformare in ordine del giorno ogni emendamento, ci ritroveremo alla fine allo stesso punto di prima e cioè con tante proposte, che, avendo mutato di forma, restano uguali per il contenuto e la sostanza. Tanto vale dunque sottoporre intanto alla sorte del voto gli ordini del giorno già presentati. Se fossero poi tutti respinti, si potrebbe anche accogliere la suggestione dell’onorevole Lussu, salvo che a quel punto non si reputi più opportuno votare sulla base degli emendamenti. Quali questioni si allineano nel progetto della Commissione?

Prima questione: se i collegi nei quali debbono esser fatte le elezioni per la parte elettiva del Senato debbano essere di un solo tipo o di più tipi. Il progetto offre infatti due tipi di collegio. Mi pare che invece nell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti ed in quello dell’onorevole Lami Starnuti la questione è, quanto meno implicitamente, risolta diversamente perché vi si parla di un solo modo di elezioni. Essi escludono cioè che vi possa essere dall’una parte un collegio costituito dai consigli comunali o dai consigli regionali, e dall’altra un secondo collegio costituito da elettori che votino o in forma diretta o in forma indiretta.

La seconda questione è appunto quella del suffragio diretto o indiretto. Ma in ambedue gli ordini del giorno si parla di suffragio diretto; e pertanto anche la seconda questione potrà trovare soluzione attraverso la votazione degli ordini del giorno già presentati.

Infine vi è la questione del sistema elettorale. Orbene nell’uno degli ordini del giorno si parla di collegio uninominale; nell’altro del sistema proporzionale. Le tre questioni sono così poste nei due documenti che abbiamo sott’occhi. Sarebbe sufficiente anche uno solo di essi per dare alla Assemblea la possibilità di decidere. Due forse ci offrono maggiori possibilità; ma un terzo sarebbe sicuramente superfluo. Comunque ne parleremo quando sarà deciso il destino dei due già presentati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che nell’ordine del giorno Nitti non è esplicitamente esclusa la rappresentanza delle Regioni, per mezzo del loro Consiglio. L’esclusione potrebbe ritenersi implicita. Vi sono alcuni che, ammessa quella rappresentanza speciale, sarebbero pel collegio uninominale. Come dovrebbero votare? Tutto consiglia di tornare all’ordine logico della votazione, punto per punto secondo lo schema del progetto. Se no avremo confusioni e possibili contrasti.

PRESIDENTE. I presentatori degli ordini del giorno hanno nulla da rispondere?

LACONI. Non abbiamo nulla da rispondere. Sono stati presentati degli ordini del giorno così come sono. L’onorevole Ruini, e gli altri, possono rendersi conto di quello che vogliono dire.

PRESIDENTE. Vorrei essere meno semplicista. Sono io, ora, a porre una questione: se i loro ordini del giorno, o meglio, uno dei due fosse approvato, significherebbe ciò che tutto l’articolo 55 nel suo testo attuale cadrà?

LACONI. È evidente che qualsiasi altra disposizione cade nella misura in cui contrasta con l’ordine del giorno approvato. (Commenti).

PRESIDENTE. Dovremo però poi discutere – io prevedo – per definire questa misura! È questa la ragione per la quale amerei vedere inserito in questi ordini del giorno anche solo un avverbio di quantità.

Per quello Nitti si potrebbe dire: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei componenti del Senato della Repubblica debba avvenire, per tutti i senatori, a suffragio universale»; per quello Laconi si potrebbe dire: «L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sia completamente eletto col suffragio universale». In questa maniera, la misura è stabilita e non vi potranno poi essere discussioni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Signor Presidente, mi duole, ma il fatto è che l’ordine del giorno è in se stesso perfetto, e cioè dice quel che vuol dire e tace quel che vuol tacere. A forza di volergli far dire quello che non vuol dire, è chiaro che le questioni si confondono. Noi ci siamo voluti riferire integralmente al sistema di elezione, ma non abbiamo voluto pregiudicare, in quest’ordine del giorno, un’eventuale altra designazione di senatori, che venisse fatta per altra via, per esempio per diritto. Io penso che ciò risulti chiaro dal riferimento che vi è nell’ordine del giorno al sistema di elezione e che quindi non vi sia ragione di ulteriori chiarimenti.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Signor Presidente, io mi rivolgo specialmente a lei perché ritengo che in questo momento non si possano presentare ordini del giorno, perché gli ordini del giorno si possono presentare solo durante la discussione generale. E ciò per disposizione tassativa del Regolamento che all’articolo 87 così dice:

«Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.

«Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale.

«L’ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza su tutti gli altri ordini del giorno».

Ora, la discussione generale l’abbiamo già chiusa ed abbiamo anche esaminati tutti gli ordini del giorno che sono stati presentati durante tale discussione. Mi pare, quindi, che non possiamo permettere presentazione di altri ordini del giorno in questo momento, in sede vera e propria di emendamenti. Abbiamo fatto uno strappo ieri per affermare una semplice cosa che non abbiamo voluto mettere in un articolo che si riferisce alla Camera dei Deputati, abbiamo cioè consentito, con deliberazione unanime della Camera, all’onorevole Giolitti di trasformare un suo emendamento in ordine del giorno. Questa è stata una cosa eccezionale. Noi dobbiamo riaffermare il principio sancito nell’articolo 87 del Regolamento, che cioè in sede di discussione di emendamenti non si possono presentare ordini del giorno, se non col consenso unanime dell’Assemblea.

Per questo ritengo che gli ordini del giorno presentati sia dall’onorevole Nitti, come dall’onorevole Laconi vanno considerati sotto il punto di vista con cui fu considerato l’ordine del giorno Giolitti; ma non possono anticipare una votazione, altrimenti devieremmo da quella che è la norma consuetudinaria e regolamentare per discutere tutto l’articolo creando una confusione dalla quale non sapremmo più liberarci.

Per questa ragione prego l’onorevole Presidente di esaminare la questione in base all’articolo 87 del Regolamento.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Ieri, nello svolgimento del mio emendamento ricordai che la Assemblea nella seduta precedente, in materia di elezione dei deputati, aveva, con una chiarissima decisione, deliberato che la Costituzione non dovesse contenere riferimento ai sistemi elettorali, per consentire alla esperienza di suggerire le eventuali modificazioni senza costringere il Parlamento italiano ad addivenire alla revisione della Carta costituzionale. Osservai che la deliberazione dell’Assemblea circa l’elezione dei deputati doveva ritenersi valida anche per la elezione dei senatori. Di conseguenza dichiarai che trasformavo in ordine del giorno l’emendamento da me presentato. Su tutto questo l’accordo della Camera dovrebbe esistere e avrebbe dovuto esistere in anticipazione. Quando ieri feci questa dichiarazione, la Camera, direi, consentì col suo silenzio. (Commenti al centro). Il silenzio non dice niente in Assemblee come questa? (Commenti al centro).

L’ordine del giorno che io ho presentato essendo la trasformazione pura e semplice dell’emendamento proposto sull’articolo 55 del progetto, deve necessariamente avere la precedenza.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo che l’onorevole Fuschini se si riferisce all’articolo 87 del Regolamento, voglia anche lui far dire al Regolamento quello che il Regolamento non dice, cioè l’onorevole Fuschini vorrebbe che il Regolamento vietasse la presentazione di ordini del giorno durante la discussione di emendamenti. In realtà il Regolamento non dice questo.

Il Regolamento dice unicamente che ordini del giorno i quali modifichino o determinino il concetto informatore della legge o diano istruzioni alle Commissioni, possono essere messi in votazione secondo una determinata procedura. A me non risulta che il Regolamento stabilisca che non possano essere presentati ordini del giorno durante la discussione. ( Interruzione dell’onorevole Fuschini).

Dicevo, il Regolamento non pone un qualsiasi divieto o una qualsiasi limitazione alla presentazione degli ordini del giorno (Commenti al centro), stabilisce soltanto una procedura… (Commenti al centro) …per determinati ordini del giorno, i quali investano tutto il contenuto della legge, lo modifichino, o diano delle istruzioni alle Commissioni. Non vedo alcun’altra disposizione che possa interessare.

PRESIDENTE. Mi pare che l’articolo invocato dall’onorevole Fuschini non fosse 1’87…

FUSCHINI. Sì.

PRESIDENTE. Allora, a questo proposito ha già risposto l’onorevole Laconi. Però l’articolo 77 dice in maniera molto precisa che si possono presentare ordini del giorno anche dopo chiusa la discussione generale, il che significa che possono essere anche messi in votazione. L’articolo 77, infatti, si esprime così:

«La presentazione di un ordine del giorno relativo all’argomento in discussione non dà diritto a discorrere dopo dichiarata chiusa la discussione.

«Però, anche dopo dichiarata la chiusura, il proponente di un ordine del giorno potrà svolgerlo per un tempo non eccedente i venti minuti, quando si sia iscritto prima della chiusura».

Tutto questo mi pare dica chiaramente che si possono presentare ordini del giorno anche dopo dichiarata chiusa la discussione senza la condizione che non sia incominciato l’esame degli emendamenti. Questo per prima cosa.

In secondo luogo, onorevole Fuschini, vi è l’articolo 92 che dice:

«A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

Dunque, se un ordine del giorno costituisce emendamento, può essere presentato; se può essere presentato, potrà – credo – essere votato.

Ma aggiungo una considerazione di carattere generale. Noi abbiamo adottato per l’esame del progetto di Costituzione un sistema previsto dal Regolamento, secondo il quale, la discussione non avviene per articoli, ma per titoli e magari anche per più titoli riuniti. Ora non penso che così decidendo l’Assemblea abbia inteso rinunciare a tutte le facoltà conseguenti al metodo normale di discussione. Noi abbiamo infatti deciso di discutere per titoli, per dare un andamento più rapido ai nostri lavori e non per impedire ai membri dell’Assemblea di valersi di tutte le facoltà che il Regolamento loro consente.

Ma il Regolamento consente che su ogni articolo si presentino ordini del giorno; facendo la discussione per titoli, non ci siamo spogliati di questo diritto. E infine, onorevoli colleghi, non trascuriamo i precedenti. Da un sommario dei lavori del Parlamento italiano della tornata del 2 agosto 1921 si può ricavare un precedente. Dice questo testo:

«Chiusa la discussione generale si passa alla discussione degli articoli sul nuovo testo presentato ed è approvato dalla Camera un ordine del giorno Celesia ed altri, accettato dal Governo,» ecc.

Cioè, pur avendo chiusa la discussione generale ed essendo passati all’esame degli articoli, un ordine del giorno è stato presentato, accettato dal Governo e votato.

Non mi sembra, quindi, che se in questo momento noi poniamo in votazione ordini del giorno presentati dopo chiusa la discussione generale – allorché si erano già svolti gli emendamenti – veniamo meno alle norme del Regolamento.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, mi consenta due rilievi, estremamente brevi. Vorrei distinguere. Se gli ordini del giorno sono stati presentati prima della chiusura della discussione generale, cioè durante la medesima, lo spirito del Regolamento interviene in questo senso: che, chiusa la discussione generale, evidentemente essa non si debba rinnovare, là dove si passi all’esame dei singoli articoli e degli emendamenti relativi, mediante una votazione sugli ordini del giorno stessi. E, in questo senso, mi pare perentoria la disposizione del secondo comma dell’articolo 87, che mi permetto di sottolineare non già con l’intenzione di sottovalutare quanto ella ha detto, onorevole Presidente, bensì per tentare di cogliere lo spirito della norma: che cioè, chiusa la discussione generale, questa non può rinnovarsi sotto forma di ordine del giorno.

Quindi gli ordini del giorno presentati durante la discussione debbono essere votati alla fine della medesima, prima della chiusura.

Secondo rilievo: ma è concepibile che un ordine del giorno sopravvenga a discussione chiusa? Mi permetto di rispondere, seguendo in questo il Presidente, che ciò può avvenire, ma ad una condizione sola: alla condizione cioè che non sia violato lo spirito del Regolamento, già posto in evidenza, e che pertanto tale ordine del giorno non abbia la precedenza sugli altri emendamenti se non assumendo veste e sostanza di un emendamento specifico.

Soltanto così un ordine del giorno potrà avere la precedenza, il che conferma la tesi di partenza per cui, chiusa la discussione generale, non si vota e non si delibera se non in relazione a singoli emendamenti.

Questo dal punto di vista del rigore formale, in sede di interpretazione del Regolamento. Ché se poi, per avventura, dovessimo scendere nel merito della valutazione dei singoli ordini del giorno presentati all’Assemblea, allora evidentemente, dopo il criterio della logica formale, dovrebbe operare un criterio di logica sostanziale, venendosi così a graduare gli ordini del giorno in ragione del loro significato intrinseco. In questa ipotesi subordinata, io mi riserverei di dimostrare che il vero ordine del giorno che dovrebbe allora avere la precedenza sarebbe proprio quello che imposta organicamente e pregiudizialmente la Camera Alta su base regionale. Il che è confermato dalla circostanza che l’altro ordine del giorno, appunto perché di carattere secondario, risulta così frammentario che dovrebbe essere votato esclusivamente per divisione. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Dominedò, che io le osservi che questo ordine del giorno, di cui lei parla, che porrebbe come pregiudiziale la base regionale del Senato, allo stato dei fatti non esiste. Sino a questo momento il ragionamento mio e di tutti i colleghi si è svolto intorno a quello che c’è, intorno a quello che è noto.

Ché se lei poi vorrà presentare un ordine del giorno sull’argomento, le dirò che in tal modo non farà che confermare il contenuto del testo della Commissione, che già propone la base regionale. Ma la precedenza spetta, lei lo sa, all’ordine del giorno che si discosta maggiormente dal testo e cioè dalla base regionale. E pertanto il suo ordine del giorno dovrebbe comunque essere votato dopo e subordinatamente all’esito delle votazioni che precederanno.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi permetta, signor Presidente. Ho seguito attentamente la sua risposta, la quale concerne, se mai, la seconda parte del mio intervento, ma lascia del tutto scoperto, se non vado errato, quanto ho detto nella prima parte delle mie considerazioni, sulle quali mi permetto di richiedere la sua parola. Come motivo subordinato, e soltanto subordinato, io ho prospettato il motivo di logica sostanziale. E nel merito la precedenza che ella conferirebbe agli altri ordini del giorno, in quanto più allontanantisi dal testo, costituisce criterio applicabile agli emendamenti piuttosto che agli ordini del giorno. Ma con riserva di tornare sul tema, resto ancora in attesa di ricevere risposta alla prima parte del mio intervento.

PRESIDENTE. La risposta alla prima parte delle sue obiezioni, onorevole Dominedò, è l’articolo 92 del Regolamento, il quale dice:

«A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

Il che significa che un ordine del giorno, se ammesso, costituisce emendamento, e perciò si valuta alla stregua degli emendamenti. E allora l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti deve avere la precedenza, poiché rappresenta l’emendamento più drastico all’articolo 55, in quanto mira a sopprimerne senz’altro il primo e secondo comma oltre che a modificarne il terzo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Non voglio tediare l’Assemblea… (Commenti).

PRESIDENTE. Per favore, onorevoli colleghi, facciano silenzio.

DOMINEDÒ. Perdonate. Non vorrei insistere eccessivamente dopo le sue cortesi parole, signor Presidente. Ma, visto che ella stessa pone questi ordini del giorno sul piano degli emendamenti, proprio come mi ero permesso di prospettare a termini dell’articolo 92 del Regolamento, domando allora per quale ragione, in conformità della mia tesi, questo ordine del giorno equivalente ad un emendamento non debba essere inserito in ordine di votazione là dove lo richiede la materia specifica, e cioè al secondo periodo del secondo comma e al terzo comma dell’articolo 55 del progetto di Costituzione, cui si riferisce l’emendamento stesso.

PRESIDENTE. Mi perviene questa comunicazione:

«I sottoscritti dichiarano di trasformare in ordine del giorno l’emendamento Perassi. Uberti, Piccioni, Valenti, Recca, Gronchi, Chatrian, Andreotti, Coccia, Mannini, Angelini, Baracco, Castelli Avolio, Carignani, Bacciconi».

Poiché fra i sottoscrittori non c’è l’onorevole Perassi, chiedo allo stesso se sia d’accordo.

PERASSI. Sì, perfettamente.

PRESIDENTE. Abbiamo quindi tre ordini del giorno.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. L’avere assistito alla lunga discussione relativa all’ordine della votazione e la contemporanea presenza di emendamenti e di vari ordini del giorno che dei primi non hanno la forma ma spesso il contenuto, mi ha dato l’impressione di un problema difficilmente solubile, se restiamo esattamente sul terreno in cui la questione è stata posta, e cioè della rigida applicazione del Regolamento.

E allora, data la caratteristica tutt’affatto particolare di questa discussione, che si sostanzia nella creazione ex novo della Carta costituzionale, e nella fattispecie dell’istituto del Senato, io mi domando se un modo di soluzione rapido, semplice e sodisfacente per tutti non potrebbe essere costituito dall’adozione da parte della Presidenza della Camera di un metodo semplificativo che consentisse alla Presidenza stessa di porre all’Assemblea i quesiti singoli e successivi nella loro schematicità, in modo che l’Assemblea, di fronte a ciascun quesito, semplice, unitario, non involgente le altre questioni implicite o esplicite contenute nei vari ordini del giorno, potesse rispondere «sì» e «no».

Procedendo con questo metodo e logicamente, sulla base evidentemente del testo del progetto di Costituzione, io credo che, data l’elasticità mentale della nostra presidenza della quale io ho avuto, con i miei colleghi, ottima esperienza durante tutti i lavori preparatori formativi del testo di progetto in discussione, noi potremmo praticamente arrivare a capo delle varie soluzioni, senza che potesse accadere che vi fossero delle sorprese e che una maggioranza della Camera, pronunciandosi in un modo, temesse poi di avere implicitamente pregiudicata l’una o l’altra soluzione non chiaramente indicata nel testo dell’ordine del giorno o eventualmente nel testo di un emendamento. Noi dovremmo procedere secondo me – e in questo senso io faccio una proposta formale – con l’adozione di un metodo onde fosse consentito alla Presidenza di porre i singoli quesiti. Per esempio, vediamo il primo quesito cui penso: il numero dei rappresentanti al Senato in rapporto della popolazione deve essere alterato, o non alterato dalla esistenza della Regione? Con la risposta a questo primo quesito si risolve nettamente secondo me la questione della cosiddetta base regionale. E una volta che sia deciso che la proporzione numerica non deve essere alterata, evidentemente viene soppressa la questione dei cinque senatori e dei tre senatori e l’altra del cosiddetto «limitatore» dell’onorevole Lussu relativamente alla Regione, ad esempio, del Molise, che ha una popolazione la quale potrebbe forse comportare al massimo il numero di due senatori, mentre con la soluzione dei 5 o dei 3, il criterio proporzionale viene ad essere alterato.

Avute le soluzioni una dopo l’altra, in forma schematica e unitaria, dopo il quesito che mi sono permesso di esporre in via di esempio ne potrebbe venire un altro: i senatori devono essere tutti indistintamente eletti, o vi possono essere dei senatori di diritto? Altra soluzione utile, dopo la quale viene logicamente una successione di quesiti per sapere quali debbano essere i senatori di diritto. E allora si parlerà del Presidente della Repubblica al cessar della carica, degli ex Presidenti del Consiglio, ecc. Con questo sistema, e data la mentalità del nostro Presidente dell’Assemblea, io credo che non si verificherebbe nessuna sorpresa, e che in poco tempo arriveremmo ad esaurire la materia dell’articolo, rimanendo senz’altro da farsi successivamente, dal punto di vista esclusivamente della pura forma, la redazione dell’articolo stesso in rapporto alle singole votazioni. In questo senso io faccio una proposta precisa; altrimenti ho il dubbio che non usciremo rapidamente dall’impaccio.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Signor Presidente, io credo che a quest’ora, se non avessimo perduto troppo tempo a sofisticare fra ordini del giorno, emendamenti, articoli di Regolamento più o meno contrastanti, avremmo di già risolto le due questioni fondamentali che riguardano la costituzione del Senato e dalle quali credo che dobbiamo cominciare; venendo poi, man mano, alle altre questioni o di dettaglio o di minore importanza.

Per la costituzione del Senato vi sono due questioni fondamentali: primo, suffragio diretto o suffragio indiretto; secondo, collegio uninominale o altro metodo di elezione.

Queste sono le due questioni fondamentali che avremmo di già risolto. Quindi pregherei la Presidenza di cominciare a mettere in votazione queste due questioni fondamentalissime con cui ci saremo sbarazzati in gran parte di tutta quanta la materia che riguarda la formazione della seconda Camera. Semplifichiamo, risolviamo e non perdiamo tempo; si capisce però con le forme regolamentari, mettendo in votazione gli ordini del giorno che alle dette due questioni si riferiscono.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se la proposta dell’onorevole Rubilli fosse tale, da accontentare tutta l’Assemblea, sulla base di questo schema così semplice, saremmo disposti ad aderire. La proposta dell’onorevole Fabbri ci porterebbe in un dedalo di questioni, sulle quali mal si orienterebbe chi non ha nozione precisa del coordinamento delle questioni.

Se la proposta dell’onorevole Rubilli non fosse accettata dalla Presidenza in questa sua semplicità o non trovasse l’assenso dell’Assemblea, saremmo disposti ad accettare che l’ordine del giorno Perassi venisse messo in votazione per primo.

PRESIDENTE. La proposta Fabbri della quale quella dell’onorevole Rubilli è chiarimento e, in parte, limitazione, non credo possa portare, se accolta ed applicata, alle confusioni temute dall’onorevole Laconi.

Se entriamo in questo criterio, di votare dei quesiti, vi è in questi una successione logica.

Il primo è se il Senato debba essere costituito solo per elezione oppure anche attraverso a nomine da parte del Presidente della Repubblica e con posti di diritto per cariche coperte.

Voci. No, no.

PRESIDENTE. Sì; questa è la prima questione: carattere elettivo o meno del Senato.

Voci. Non è così.

PRESIDENTE. La seconda questione è la seguente: accettato dall’Assemblea il principio che tutti i Senatori debbano essere eletti, dovranno esistere o no, secondo la proposta della Commissione, due settori elettorali – l’uno costituito dall’Assemblea regionale e l’altro o dai Consigli comunali o dai delegati di secondo grado oppure dagli elettori di base?

Terzo quesito: se per quel settore elettivo, diverso dal Consiglio regionale, dovrà valere il suffragio universale o quello limitato (per esempio, con la proposta di fissare a 25 anni l’età per l’elettorato attivo si viene a limitare il suffragio).

E successivamente: suffragio diretto o indiretto? Ed infine: collegio uninominale o sistema proporzionale?

Questi sono i vari elementi della questione. (Interruzioni dell’onorevole Rubilli e dell’onorevole Gasparotto).

Onorevole Rubilli e onorevole Gasparotto, occorre pur rispondere in qualche maniera a questi quesiti! Con nessuna abilità si potrà eluderli.

Comunque, vi sono due proposte: quella degli onorevoli Fabbri e Rubilli, di procedere alla votazione per quesiti; e quella transazionale dell’onorevole Laconi, di iniziare la votazione degli ordini del giorno da quello dell’onorevole Perassi; domando se qualcuno presenta altra proposta a questo proposito.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Più che avere qualcosa da proporre o da domandare, devo dire che ho sentito con un certo stupore la proposta dell’onorevole Fabbri e quella dell’onorevole Rubilli; perché – va bene – modifichiamo il Regolamento; si può essere d’accordo a modificare il Regolamento; ma non possiamo improvvisare in piena discussione d’una legge una procedura nuova.

Questa procedura dei quesiti andrà bene in Corte d’assise, dove questi si propongono ai giurati, che rispondono sì o no; qui non siamo dei giurati; siamo uomini che esaminiamo i problemi nei loro vari aspetti. L’accettare un determinato criterio per l’elezione dei senatori non vuol dire avere l’articolo; noi dobbiamo decidere sull’articolo.

Quindi, mi pare che questa proposta, oltre ad essere completamente extra-regolamentare, non risolverebbe il nostro problema. Dopo la votazione sul quesito che l’elettorato spetta agli elettori dell’età di 25 anni, dobbiamo discutere sul modo col quale faremo quel tale articolo, che stabilisce questa norma, perché a seconda del modo come l’articolo sarà stato steso potrà avere un’applicazione od un’altra, un significato od un altro. Prego l’Assemblea, quindi, di rifarsi alla normale prassi seguita finora, cioè di discutere e votare secondo quanto stabilisce il Regolamento e di non improvvisare un’esperienza nuova che, tra l’altro, la mortificherebbe, perché dover rispondere sì e no come dei ragazzini a scuola su delle questioni così importanti e lasciare poi non so a chi la responsabilità della redazione del testo, non mi sembra degno di un’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Volendo accettare il suo tono scherzoso, le faccio presente che molte volte allora lei è stato come un ragazzino a scuola, perché molte volte ha dovuto dire sì e no, partecipando alle normali votazioni.

LUCIFERO. Ma su di un testo, non su dei quesiti!

PRESIDENTE. Comprendo la sua considerazione, ma mi ero limitato a sottolineare il modo scherzoso col quale l’aveva esposta.

LUCIFERO. Sì, era un modo scherzoso!

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Laconi e mi pare anche l’onorevole Piccioni, che sono stati i due contendenti iniziali di questo torneo, concordano che venga posto in votazione per primo l’ordine del giorno dell’onorevole Perassi, passiamo a questa votazione.

Do lettura del testo dell’ordine del giorno Perassi sul quale avverrà la votazione:

«L’Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Su questo ordine del giorno è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Avanzini, Cappi, Marzarotto, Recca, Leone Giovanni, Clerici, Bovetti, Firrao, Monterisi, De Caro Gerardo, Belotti, Bertone, Martinelli, Lizier, Ferreri e lo scrutinio segreto da parte degli onorevoli De Filpo, La Rocca, Martino Gaetano, Tonello, Mariani Francesco, Giua, Maffi, Ricci, Fantuzzi, Musolino, Chiarini, Bolognesi, Lombardi Carlo, Pastore Raffaele, Jacometti, Scotti, Faralli, Saccenti, Grazia, Fornara. A norma di Regolamento prevale quest’ultima richiesta.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io chiederei, data la complicazione strana che porta con sé il sistema dello scrutinio segreto – e soltanto per questo motivo – che la Presidenza avesse la bontà di dare lettura dei firmatari dell’ordine del giorno posto in votazione, che può servire come orientamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Piccioni ha chiesto che venga data lettura del nome di tutti i firmatari dell’ordine del giorno Perassi. Hanno firmato gli onorevoli: Uberti, Chatrian, Gronchi, Piccioni, Valenti, Coccia, Andreotti, Angelini, Manzini, Baracco, Sullo, Castelli Avolio, Carignani.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei che su quest’ordine del giorno la votazione avvenisse per divisione. La prima votazione si riferirebbe alla parte dell’ordine del giorno relativa all’elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali, la seconda si riferirebbe alla parte concernente l’elezione del resto dei senatori di ciascuna Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che la votazione avvenga sulla prima parte dell’ordine del giorno che prevede l’elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali, riservando ad una seconda votazione ciò che si riferisce all’elezione di secondo grado da parte di tutti gli elettori dei Comuni compresi nell’ambito regionale.

La proposta può essere accolta immediatamente ponendo due coppie di urne e votando contemporaneamente per la prima e la seconda parte dell’ordine del giorno. I colleghi facciano dunque attenzione. Essi dovranno dare due voti: il primo si riferisce alla proposta che tre senatori per ogni Regione siano eletti dai rispettivi Consigli regionali; il secondo alla proposta che il resto dei senatori spettante a ogni singola Regione venga eletto «da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge». Vorrei essere sicuro che tutti avessero compreso quello che voteranno.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Coloro che hanno chiesto lo scrutinio segreto mantengono la domanda per tutte e due le votazioni o no?

PRESIDENTE. Poiché non hanno detto nulla in contrario, si presume di sì.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto e per divisione delle due parti dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi di cui do nuovamente lettura:

«L’Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

La prima parte comprende le parole iniziali: «L’Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale»; la seconda va dalle parole «e per il resto» sino alla fine.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente CONTI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Esporrò i risultati di questa votazione segreta non con una semplice enunciazione di cifre. Ciò dimostra che non ho tutti i torti quando, prima di ogni votazione, prego i colleghi di fare attenzione a quello che dico e a quello che fanno. In questa votazione, evidentemente, alcuni colleghi o non hanno ben compreso o hanno male operato nel corso della votazione.

La situazione è la seguente, che nella prima coppia di urne, in cui si è votato sulla prima parte dell’emendamento Perassi, sono risultate più palle che non votanti registrati. (Ilarità). Onorevoli colleghi, se per ipotesi giungeremo all’annullamento di questa votazione con la necessità conseguente di restare qui altre due ore per ripeterla, credo che allora più nessuno avrà voglia di ridere.

Nella prima coppia di urne vi erano dunque dieci palle di più, che sono state tuttavia recuperate nella seconda coppia di urne. A quale risultato hanno condotto questi strani trasferimenti di palline dall’una all’altra coppia di urne? A questo risultato, che nella prima votazione si è avuta, fatto il computo delle palline bianche e palline nere, una differenza di 25 voti tra la maggioranza e la minoranza.

Dirò che la cifra di maggioranza è stata stabilita in 205 voti, dati i 408 votanti registrati. Il risultato nella prima coppia di urne è stato di 195 palline bianche e di 220 palline nere nell’urna bianca, con una differenza, che ho già indicato, di 25; mentre nell’urna nera si sono avute 198 palline nere e 213 palline bianche, con una differenza di 15. Per la seconda coppia di urne, la differenza sarebbe stata rispettivamente di 39 e di 49. Precisamente, nell’urna bianca 181 palline bianche e 220 nere; nell’urna nera, 178 palline nere e 227 palline bianche.

Che cosa ci dicono queste cifre? Che la differenza accertata fra maggioranza e minoranza è stata in tutte le urne superiore a quelle dieci unità che si sono così stranamente spostate dall’una all’altra di queste.

Ora, è evidente che ci sono state delle irregolarità in questa votazione, e particolarmente si è manifestata quella irregolarità che il Regolamento cita come la maggiore che possa verificarsi e che può dar luogo alla misura più radicale dell’annullamento della votazione.

Tuttavia, egregi colleghi, l’annullamento sta nella facoltà discrezionale del Presidente, al quale spetta di apprezzare le circostanze.

Orbene, secondo il mio criterio, la sola circostanza da apprezzare è questa: se il numero dei voti irregolarmente imbucato nelle urne sia superiore a quello che sarebbe necessario per modificare il risultato obiettivo dato dal confronto dei voti delle singole urne.

C’è da rammaricarsi dell’irregolarità; e c’è da rammaricarsi anche che i deputai non abbiano ancora imparato, dopo oltre quindici mesi di Assemblea Costituente, a votare. Ma è evidente che, nel caso concreto, le dieci palline normali non hanno la capacità, quand’anche le si computasse, di spostare la maggioranza, a raggiungere la quale entra in gioco una differenza superiore a 10: nel caso minore la cifra è infatti di 15, nel caso maggiore, di 49.

Sono queste le considerazioni che mi suggeriscono, o meglio che mi suggerirebbero, di dichiarare valida la votazione nonostante l’irregolarità che ho reso nota.

Penso che i membri dell’Assemblea concordino con queste mie considerazioni; tuttavia dichiaro che se una tale conclusione dovesse portare al rischio che da parte anche di pochi colleghi si sollevasse poi una eccezione sulla validità della votazione, la votazione dovrà essere ripetuta.

Personalmente ritengo che non ci sia possibilità di sollevare eccezioni, proprio per il potere convincente delle cifre: 10 è meno di 15, e immensamente meno di 49. Ma prego i colleghi, i quali avessero anche il più lontano dubbio sopra la regolarità della conclusione, di dirlo immediatamente, perché il dubbio di uno vale sulla bilancia più della certezza dei quattrocento.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Sono spiacente di dover incomodare oltre il previsto l’Assemblea, ma mi pare che non si possa fare a meno di rilevare l’irregolarità della votazione. Il disposto dell’ultima parte dell’articolo 106 del Regolamento è al riguardo molto chiaro e molto esplicito. Dalla votazione è risultato che nella prima coppia di urne non c’è corrispondenza tra i votanti e i voti effettivamente raccolti dalle urne; nella seconda coppia di urne si verifica la stessa cosa in misura ancora maggiore. (Commenti). Sì, in misura maggiore; ce ne sono di più. (Proteste a destra).

I termini della questione, se sonò bene informato e se ho ben capito quello che ha detto il Presidente dianzi, sono questi: le palline della prima votazione e della seconda non corrispondono al numero dei votanti. È esatto o non è esatto questo?

Voci. Non è esatto.

PICCIONI. Quindi c’è una grave anomalia, perché non si è riscontrata la corrispondenza fra il numero dei votanti e il numero dei voti. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, per favore. Onorevole Piccioni, la prego di proseguire.

PICCIONI. Questo si è verificato nella prima coppia di urne come nella seconda coppia di urne.

Ora si dice: ma la differenza è tale che non può influire sul conteggio finale e sulla maggioranza prevista in rapporto al numero dei votanti.

Io faccio osservare che è sintomo e indicazione di una – mi limiterei a dire – confusione, quanto meno, della volontà dei votanti; e in questa confusione della volontà dei votanti si può evidentemente intravedere una non perfetta chiarificazione della impostazione delle votazioni, anche nei confronti di quelli che per avventura avessero votato praticamente in maniera esatta.

Il     sospetto è quindi lecito e legittimo; e poiché la differenza non è tale che possa vincere in radice un dubbio di questo genere, e poiché il Regolamento prescrive – per la serietà delle votazioni – che quando si rilevano delle irregolarità di questo genere, bisogna ripetere la votazione, io chiedo all’Assemblea, per la serietà delle sue deliberazioni, (Commenti) di ripetere senza altro la votazione.

Non è un problema di secondaria importanza; è uno dei fondamentali problemi che affronta la Costituente, quello della formazione del Senato. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di fare silenzio!

Onorevole Piccioni, prosegua.

PICCIONI. Mi pare di non chiedere nulla di eccezionale.

Rispondo alla precisazione fatta testé dallo stesso onorevole Presidente, quando ha detto che, se la ratifica di una votazione di questo genere non avesse incontrato i consensi unanimi dell’Assemblea, egli si sarebbe sentito in dovere di fare ripetere la votazione. È quello che chiedo a nome mio e del mio Gruppo.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Mi richiamo alla perfetta buona fede che è certamente in ciascuno di noi. Basta meditare semplicemente sulle cifre aritmetiche di questa votazione per giudicare del suo risultato. Ci sono stati 408 votanti i quali hanno avuto quattro palline ciascuno, cioè 1632 palline. Ebbene, noi abbiamo trovato nelle urne 1632 palline. Questo è un primo dato, e non si può quindi parlare di una alterazione fraudolenta della votazione. (Proteste al centro).

PRESIDENTE. Nessuno ha fatto un cenno in questo senso. Non dica delle cose superflue.

MOLINELLI. Nella prima votazione sono risultate in totale complessivamente 826 palline, il che significa 10 palline in più delle 816 che avrebbero dovuto risultare. Nella seconda lo spostamento è di 806 e cioè 10 in meno, sarebbe dunque di cinque voti. Ora, se il risultato tanto della prima, quanto della seconda votazione dipendesse da questi cinque voti e cioè se l’attribuirli all’una piuttosto che all’altra parte ne spostasse l’esito, io comprenderei il caso di coscienza di coloro che dicono che si deve ripetere la votazione, ma questi cinque voti in nessun caso possono modificarlo, essendo risultate rispettivamente differenze di 15 e di 39 voti. Non mi pare quindi che sia il caso di insistere per ripetere una votazione che, a parte il lieve squilibrio che si verifica assai spesso in questi casi (Voci: no, no), non può essere contestata. C’è sempre qualcuno che per errore o per distrazione mette una pallina in un’urna piuttosto che in un’altra (Rumori al centro). Proprio poco fa, un collega mi ha confessato francamente di aver messo tutte e quattro le palline nelle prime due urne. Concludo, quindi, che secondo me, è inutile ripetere la votazione, non solo, ma che sarebbe anche dannoso il farlo perché istituirebbe il principio che si possa impedire una votazione segreta ogni volta che una parte ne abbia interesse. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARDETTI. Onorevoli colleghi. Io ho domandato la parola unicamente per fare un invito all’onorevole Piccioni perché, nella sua serenità, voglia considerare un lato solo della questione e, se lo considererà serenamente, dovrà convenire egli per primo della erroneità della sua richiesta, che dopo le dichiarazioni del nostro egregio Presidente, porterebbe a rinnovare la votazione.

Onorevole Piccioni, il punto della questione è uno solo: se fosse vero che per riconoscere irregolare una votazione e quindi riconoscere la necessità di ripeterla, bastasse il fatto materiale qui avvenuto, anche quando questo fatto non alterasse il risultato della votazione, vorrebbe dire lasciare all’arbitrio di chiunque di rendere preventivamente irregolari tutte le votazioni (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

Onorevoli colleghi. Io preferirei che a questi rumori incomposti venissero sostituite, a confutazione di queste mie elementari osservazioni, delle osservazioni anche più elementari, ma che avessero la sostanza di osservazioni e non fossero soltanto dei rumori. Onorevoli colleghi, voi non avete certo bisogno di nessun incitamento né da parte nostra né da parte di altri.

Pensate però che insistere in questo artificio palese e innegabile, non potrebbe essere che l’indice di una incapacità a rassegnarsi all’esito contrario di una votazione. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, desidero dire soltanto due parole per una breve dichiarazione. Sono d’accordo con i colleghi che hanno dimostrato che l’errore constatato nella disposizione delle palline nell’urna non infirma il risultato della votazione, e che quindi è uno sbaglio ripetere la votazione.

Desidero soltanto fare osservare una cosa: se noi ripetiamo questa votazione per un errore che non infirma il risultato della votazione anche qualora tutte le palline mal poste vengano spostate completamente a favore della parte perdente, se accettiamo questo principio, desidero fare osservare alla parte democristiana, che è più numerosa della nostra, che il risultato vero sarà che avremo introdotto un nuovo metodo, non del tutto leale certamente, di ostruzionismo, ricorrendo al quale si potrà con lieve sforzo e in qualsiasi caso rendere invalida e far ripetere qualsiasi votazione.

Noi siamo oggi in questa Assemblea partito di minoranza; desidero soltanto aggiungere che se questo precedente viene costituito, ce ne ricorderemo e non esiteremo a ricorrere a questo metodo anche noi. (Vivi applausi a sinistra – Proteste al centro – Commenti).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io non sento nessuna necessità di rispondere agli argomenti – direi, eccessivi – che ha adoperato il collega onorevole Targetti con ritorsioni dello stesso genere e sullo stesso piano; e neppure di raccogliere la previsione un poco minacciosa fatta or ora dall’onorevole Togliatti, perché mi sento sicuro e tranquillo di avere dalla mia parte la disposizione precisa del Regolamento.

E poiché la norma che regge le nostre discussioni e le nostre votazioni è esclusivamente quella del Regolamento, la cui interpretazione è affidata al Presidente e, in secondo grado, all’Assemblea, e poiché il Presidente stesso ha avuto lo scrupolo di rilevare che, a tenore di quanto dispone la norma regolamentare, se fosse stata sollevata da qualche parte una qualche eccezione di irregolarità, egli si sarebbe tenuto in dovere di fare ripetere la votazione, mi pare che il problema – tenuti presenti questi precedenti – si ponga in termini del tutto espliciti e chiari, tali da non poter essere confusi da speculazioni di parte o di chicchessia.

Aggiungo che, se i colleghi sostengono la reale efficienza conclusiva della votazione e sostengono quindi di avere la maggioranza da parte loro, mi pare si darebbe uno spettacolo più dignitoso all’Assemblea ed al Paese, se ci si sacrificasse a ripetere la votazione anziché perdere un’ora su contestazioni di questo genere. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

DUGONI. Sappiate perdere.

PICCIONI. Questa conseguenza, cui oggi noi siamo arrivati a conclusione della votazione, è il risultato di un metodo, di cui – mi sia consentito dirlo – l’Assemblea ha abusato: il metodo dello scrutinio segreto. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, vorrei far presente che stiamo discutendo di una questione molto definita, di carattere tecnico. Non si allarghi troppo in una schermaglia di sapore politico.

PICCIONI. Riferendomi a coloro che si richiamano alla tradizione in altri campi, devo dire che la tradizione parlamentare italiana era quella di restringere l’applicazione dello scrutinio segreto a casi perfettamente delimitati. (Interruzioni – Rumori).

Una voce a sinistra. L’avete chiesto voi. (Proteste al centro).

DUGONI. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Leggete il Vangelo. (Commenti).

PICCIONI. Oggi lo scrutinio segreto si adotta per ogni questione, che non ha nulla a dire con quelle preventivamente previste dalla prassi parlamentare, con la speranza, ritengo, di confondere un po’ le idee e di suggestionare in qualche modo la libera manifestazione del voto.

L’appello nominale, non c’è dubbio, in modo particolare per queste supreme decisioni, che dovrebbero valere per la vita costituzionale e politica, per lunghi decenni, del nuovo Stato democratico, dovrebbe rispondere più direttamente alla responsabilità personale, che ciascuno di noi deve assumere di fronte al Paese. (Applausi al centro – Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, non vada fuori dell’argomento!

PICCIONI. Concludo, facendo rilevare l’ultima parte dell’articolo 106 del Regolamento il quale dice: «quando però si verificassero irregolarità, e segnatamente se il numero dei voti risultasse superiore in qualche urna al numero dei votanti, il Presidente, apprezzate le circostanze, potrà annullare la votazione e disporre che sia tosto rifatta».

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Piccioni! Lei ci sta leggendo un articolo che abbiamo tutti sotto gli occhi!

PICCIONI. Ora mi pare che questa irregolarità prevista dal Regolamento è stata riscontrata nelle due coppie di urne. Ma il problema non va posto neppure in correlazione tra le due coppie di urne, perché sono due votazioni distinte e la votazione va considerata coppia per coppia, indipendentemente da quello che può essere il collegamento puramente occasionale e materiale della contestualità delle due votazioni. (Approvazioni al centro – Rumori a sinistra). Se in altre parole si fosse eseguita una sola votazione ci si sarebbe riferiti a quella irregolarità senza porla in riscontro con l’altra votazione. (Approvazioni al centro – Rumori a sinistra). Siccome si sono eseguite due votazioni, si vuol fare il controllo dell’una attraverso l’altra (Vivi rumori a sinistra), la qual cosa è assolutamente arbitraria. Perciò insisto… (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Ma concluda, la prego!

PICCIONI. Ma perché dovrei concludere così in fretta? C’è forse un limite di tempo stabilito dal Regolamento? Mi dica per quali ragioni sono tenuto a concludere con così estrema rapidità! (Applausi al centro – Rumori a sinistra). Se avete la maggioranza, perché avete tanta paura? (Interruzione dell’onorevole Malagugini).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, lei mi ha posta una domanda, abbia la cortesia di attendere la risposta. Poiché lei ritiene di potermi interpellare direttamente, le dirò che lei dovrebbe finalmente concludere:

1°) perché ha già presa la parola in precedenza; e in una discussione di questo genere è sufficiente che ogni collega parli una volta sola;

2°) perché, se si parla cionondimeno una seconda volta, occorre farlo, non dico con rapidità (sono dieci minuti che lei ha la parola: ho l’orologio sotto gli occhi) ma almeno senza troppo diffondersi. (Approvazioni a sinistra).

PICCIONI. Mi pare di non aver mai dato esempio personale di aver abusato del diritto di parola. Ci sono altri che hanno abusato di questo diritto, eppure non sono stati così immediatamente richiamati all’osservanza di non so quale norma regolamentare. (Approvazioni al centro – Rumori a sinistra).

In ogni modo concludo riaffermando e rilevando l’irregolarità formale delle due votazioni e chiedendo la ripetizione di entrambe le votazioni secondo quanto dispone il Regolamento e secondo quanto aveva detto ed impostato nella sua prima dichiarazione il Presidente dell’Assemblea. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, io non voglio soffermarmi su discussioni che escono da questo argomento, né su certe strane forme di fare allusione a coloro che hanno la maggioranza da parte loro, usate da chi è abituato ad averla sempre da parte sua, ed in quei casi sa molto bene servirsene. Ma visto che si è parlato da parte dell’onorevole Piccioni di contestazioni cavillose, io vorrei, non ripetendo il suo termine, dire: dove sono queste contestazioni? Il Regolamento parla molto chiaro e dice che il Presidente, «apprezzate le circostanze, potrà annullare», non «dovrà» annullare la votazione. E le circostanze non possono essere che una circostanza sola: quella cioè che le irregolarità riscontrate siano tali da poter modificare l’esito della votazione. (Applausi a sinistra e a destra – Interruzione dell’onorevole Piccioni – Commenti).

Onorevole Piccioni, io non l’ho interrotta. Quando lei, riferendosi a coloro che non condividevano la sua olimpica opinione, si è servito del termine… (Interruzioni – Proteste al centro). E quando lei si permette di essere di diversa opinione di quella schiacciante maggioranza che lei non ammette… (Rumori al centro).

Contestazione cavillosa – adesso lo dico io – è il volere sostenere che si possa annullare sempre la votazione; perché se noi ammettiamo tale prassi, onorevole Piccioni, io non so chi sarà il primo a servirsene, quando saprà di essere in minoranza, mettendo due palle in un’urna sbagliata per aspettare che i telefoni funzionino, perché li abbiamo visti funzionare molte volte. (Applausi a sinistra – Proteste al centro). E per la seconda parte: nelle due votazioni (questa era una votazione per divisione ed è stata fatta in un solo tempo) le palline c’erano tutte. Ci sono stati degli errori tecnici da parte di chi ha votato, ma non c’è stato nessun inganno, nessun imbroglio, né nessuna cifra può mutare le cose.

Onorevole Piccioni, io preferirei che la votazione si rifacesse, perché sono convinto che ora, soprattutto dopo il suo intervento, la nostra maggioranza sarebbe ancora maggiore. (Applausi a sinistra e a destra – Commenti al centro).

PICCIONI. Questo si verificherebbe per il suo intervento?

LUCIFERO. No, per i suoi!

MOLÈ. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io pongo il problema in maniera tale da evitare una inutile continuazione di questa discussione. Abbiamo sentito le varie opinioni, ma il Presidente, il quale in questo caso ha il diritto di valersi delle sue facoltà discretive, ha posto il problema in questi termini: io ritengo (e la sua opinione è la più autorevole, secondo me, la più esatta, anzi la sola esatta) che non ci sia irregolarità tale da annullare la votazione; ma se nell’Assemblea sorgessero voci per chiedere che fosse rifatta la votazione, io aderirei.

E allora che cosa dobbiamo fare? Invece di perdere ancora del tempo inutile in questa discussione (che tuttavia non è stata inutile fino ad ora, perché ci ha potuto far vedere a quali pericoli possono portare certi eccessi formalistici), se non vogliamo continuare una discussione inutile, diciamo al Presidente: si avvalga della sua facoltà discretiva. Dica: ritengo valida la votazione, e la questione è chiusa. Oppure, ritengo che sia opportuno che si rifaccia. E rifaremo la votazione.

Ecco quello che volevo dire.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. È nella tradizione parlamentare italiana che si possano muovere, sia pure nei termini della correttezza e della deferenza, delle critiche allo stesso onorevole Presidente dell’Assemblea. Di questa tradizione io mi permetto valermi per dire che il nostro onorevole Presidente oggi ha commesso un errore: il Regolamento gli dava il pieno diritto di apprezzare, secondo il suo esclusivo giudizio, l’esito della votazione. Non lo ha fatto ed ha creduto invece (e qui sta il suo errore) di fare appello all’opinione di noi qui presenti. Da qui l’intervento del collega onorevole Piccioni.

Se questo non fosse avvenuto, e l’onorevole Presidente si fosse avvalso del suo potere discrezionale e avesse dichiarato valida la votazione, neppure l’onorevole Piccioni, ne sono sicuro, avrebbe mosso un rilievo.

Io parlo poiché la mozione presentata dal collega Molè è in ritardo e, una volta manifestatasi l’opinione del collega Piccioni a nome del suo Gruppo, evidentemente il nostro Presidente non può più fare quello che aveva diritto di fare. Mi rivolgo, quindi, al collega onorevole Piccioni, facendo affidamento sulla sua buona coscienza. (Commenti).

Io per questa votazione ho una posizione particolare. Ecco perché mi sono permesso di parlare. Per ragioni note, e che non voglio ripetere, ero avverso alla seconda Camera, avverso al tipo di seconda Camera a collegio uninominale, avverso al tipo a suffragio universale e ho dovuto votare per disperazione l’emendamento Perassi, sostenuto dai colleghi democristiani.

Mi trovo quindi nella stessa identica situazione dei colleghi della Democrazia cristiana. Tuttavia, in coscienza, devo affermare che sarebbe ingiusto ed anche grave se noi oggi ripetessimo la votazione. Bisogna accettarla così come è avvenuta, perché è stato dimostrato che la votazione così come è avvenuta è chiara; non c’è nessuno spostamento.

E allora mi rivolgo al collega onorevole Piccioni e metto alla prova, anzi a dura prova, il suo spirito di comprensione (Commenti): con l’insistere, egli dimostrerebbe di possedere uno spirito fazioso. Io credo che se insistesse, non cadrebbe certamente in peccato mortale, ma in peccato veniale sì. (Si ride).

Io faccio, pertanto, appello allo spirito cristiano del collega onorevole Piccioni. (Commenti al centro).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io desidero essere molto breve. Quale interesse ci induce a discutere così a lungo su un problema di questo genere? Semplicemente il fatto di non creare un precedente, perché, se non fosse questo, avremmo già fatto una seconda o una terza votazione e risolto ogni controversia.

C’è però un altro problema. L’onorevole Piccioni ha detto che la norma precisa del Regolamento gli dà il diritto di chiedere la ripetizione della votazione.

Io mi permetto di contestarlo. Quando il Regolamento dice che in qualche urna si trovi un numero di palline superiore al numero dei votanti, prevede che qualche collega

in buona o in mala fede – invece di servirsi di due palline – si sia servito di tre o di quattro palline, prevede, cioè, che il numero delle palline di cui ci si è serviti nella votazione superi il numero dei votanti.

Ora, la norma del Regolamento presuppone l’ipotesi normale di una votazione con due urne, per cui è chiaro che se al conteggio si trova un numero di palline che superi il numero dei votanti, c’è qualcuno che ne ha usata qualcuna in più. Ma quando la votazione avviene contemporaneamente in due coppie di urne, l’affermazione del Regolamento deve valere non per una sola, ma per tutte e due le coppie di urne.

Ora, per tutte e due le coppie di urne la somma delle palline è uguale al numero dei votanti, perciò l’obbiezione dell’onorevole Piccioni non è giustificata e non interpreta giustamente lo spirito del Regolamento.

Come terza questione, e concludo, mi permettano i colleghi democristiani di non recare offesa alla loro intelligenza dubitando che anch’essi sono tutti convinti della validità del voto. Non posso concepire che ci sia un solo collega che, di fronte alle cifre, non sia convinto che nel voto c’è stata una maggioranza ed una minoranza chiaramente determinate e che tale rimangono indipendentemente dallo spostamento delle palline.

Questa è la sostanza. Per quanto riguarda il problema di forma, la tesi che io ho esposto per la interpretazione del Regolamento svuota di ogni valore la questione sollevata dall’onorevole Piccioni, per cui il voto dato dall’Assemblea non può essere contestato e rimane interamente valido. (Applausi a sinistra).

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. (Commenti). Egregi colleghi, non si sollevano questioni di questo genere senza con ciò stesso impegnarsi di portarle a termine.

SELVAGGI. Onorevoli colleghi, io non voglio entrare nel merito di questa dottissima disquisizione; mi limiterò ad esaminarla sotto l’aspetto pratico. Qualora venisse accettato il principio esposto dall’onorevole Piccioni, noi dovremmo considerare nulla questa votazione. Ma allora, come è stato già osservato, si creerebbe un precedente estremamente pericoloso, che cioè, in qualunque votazione, basterebbe da parte di chiunque mettere una pallina in un posto non esatto per ottenere l’annullamento della votazione stessa.

Io dico allora: non mettiamo neppure in discussione questo principio tanto pericoloso per il seguito dei lavori dell’Assemblea, ma domandiamo semplicemente se riteniamo valida o no questa votazione, il che possiamo fare con una semplice alzata di mano. Se in tal modo la votazione sarà annullata, noi la rifaremo, ma non si verrà ad infirmare il principio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, alcune osservazioni conclusive. Desidero innanzi tutto anch’io sottolineare che nessun obbligo vi è di annullare una votazione quando si siano verificate irregolarità del genere di quelle constatate questa sera: c’è semplicemente al riguardo una facoltà, il che evidentemente è ben diverso.

In secondo luogo, non si è mai dato – l’onorevole Piccioni stesso ha parlato di una prassi – nella storia della Camera italiana, nonostante che irregolarità di questo genere sì siano verificate, che si sia avuto l’annullamento di una votazione. Non è mai avvenuto: questa è la prassi fino ad oggi. Da essa ci si può anche dipartire, ma per intanto, chi si richiama a lei, sappia che fino ad oggi essa non registra alcun annullamento di una votazione.

Comunque, il disposto dell’articolo 106, mette in rilievo il caso di una votazione in cui il numero dei voti risultasse superiore a quello dei votanti. Ma, come bene ha osservato l’onorevole Piccioni, nel caso in questione noi abbiamo avuto una duplice votazione e, mentre in una si è verificata quell’anormalità, nell’altra si è verificato il caso inverso. Ne deriva che l’annullamento potrebbe dichiararsi solo per la prima votazione. Ma se la seconda votazione viene assunta come valida, come non ritenere valida anche la prima, che le è coordinata, nei dati e nelle irregolarità?

Mettere in causa soltanto la prima significherebbe violentare l’ordinamento logico delle cose.

C’è stata una richiesta molto amichevole dell’onorevole Lussu, fatta con il suo solito tono, sereno ed arguto, e rivolta all’onorevole Piccioni. D’altronde la votazione che abbiamo fatto ha tale importanza che occorre sia per il popolo italiano scevra da ogni più lontana ombra. Sta all’onorevole Piccioni ed ai suoi colleghi di Gruppo sciogliere la loro riserva o impegnarsi a chiedere esplicitamente una nuova votazione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è detto che sarebbe pericoloso rifare la votazione, per le conseguenze che ne verrebbero fuori e che io non starò qui ad illustrare ulteriormente. Ma, in realtà, le paventate conseguenze sono la ragione stessa della norma del Regolamento, la quale deferisce appunto al Presidente – e al Presidente soltanto – la decisione della questione. Essa è pienamente giustificata da ciò, che il Regolamento ha previsto che la votazione possa risultare irregolare o per malizia o per distrazione dei votanti, ed ha ritenuto opportuno deferire al Presidente, ed esclusivamente a lui, il potere di decidere. Ecco perché è in questo momento ch’io chiedo di parlare; nel momento in cui il Presidente ritiene di far dipendere la sua decisione da quella dell’onorevole Piccioni o del Gruppo democratico cristiano.

Io protesto, mi consenta, signor Presidente, contro questo invito che ella fa: il Presidente ha il potere, ma non lo può delegare a nessuno; è lui, e lui soltanto, che se ne può e deve avvalere.

Noi affermiamo ciò per garanzia dell’Assemblea. Sarebbe ingiustificabile che in questo momento il Presidente dovesse abdicare al suo potere. A ragion veduta il Regolamento affida a lui, e a lui soltanto, questo potere, proprio per toglierlo all’Assemblea. Non è l’Assemblea che deve decidere; se decidesse l’Assemblea, verrebbero lesi gravemente i diritti della minoranza, non solo, ma anche i diritti della maggioranza, perché potrebbe accadere quello che l’onorevole Togliatti poco fa ha detto: che domani un gruppo di minoranza potrebbe senz’altro rendere vano il voto della maggioranza.

Signor Presidente, ella, ed ella soltanto, deve decidere. La discussione che si è fatta non si doveva fare. Mi lasci dire: lei non doveva consentire che si facesse questa discussione. (Commenti). E questo perché, ripeto, la norma è dettata per garantire i diritti dell’Assemblea; ed io, come facente parte dell’Assemblea stessa, non intendo rinunziare affatto ai diritti che mi assicura il Regolamento.

Signor Presidente, decida lei, indipendentemente dalle proteste dell’onorevole Tizio o dell’onorevole Caio.

Io ciò chiedo, perché intendo che siano garantiti i diritti miei e i diritti dell’Assemblea. (Vivi applausi a sinistra – Commenti).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Rispondendo all’invito cortese di qualche collega e dell’onorevole Presidente dell’Assemblea, io devo fare una semplicissima precisazione: io ho esposto le osservazioni e le proteste che credevo emergessero dalla votazione, così come si è svolta. Le conclusioni – e in questo sono d’accordo con l’onorevole Gullo e con l’onorevole Molè – spettano, a tenore dell’articolo 106 del Regolamento, all’onorevole Presidente dell’Assemblea, il quale, apprezzate le circostanze, dirà e stabilirà se si debba far luogo o meno alla ripetizione della votazione.

Per conto nostro, dichiaro che saremo ossequenti a quella che sarà la decisione del Presidente. (Applausi al centro e a destra).

Risultati della votazione segreta.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, avendo apprezzato le circostanze in relazione alle irregolarità che si sono manifestate nella votazione testé indetta e conclusa, ritengo che il risultato constatato dagli onorevoli Segretari sia valido e pertanto comunico i risultati della votazione a scrutinio segreto.

Sulla prima parte dell’ordine del giorno Perassi il risultato è il seguente:

Presenti e votanti          408

Maggioranza                205

Voti favorevoli            198

Voti contrari                213

(L’Assemblea non approva).

Sulla seconda parte dell’ordine del giorno Perassi il risultato è il seguente:

Presenti e votanti          408

Maggioranza                205

Voti favorevoli            181

Voti contrari                220

(L’Assemblea non approva — Applausi a sinistra – Commenti al centro).

Hanno preso parte alle votazioni:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertela – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Caldera – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese – Cosattini – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzei – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti– Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinoti – Preti – Priolo – Pucci.

Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vanoni – Varvaro – Vemocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Campilli – Canepa – Carboni Angelo – Carmagnola – Codignola – Costa.

Gullo Rocco.

Jacini.

La Malfa – Mastino Pietro – Montemartini.

Parri – Pellizzari.

Tremelloni.

Vischioni.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione del progetto di Costituzione è rinviato ad altra seduta.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei fare una proposta concreta. Poiché mi pare che prima di iniziare il dibattito sulle mozioni di sfiducia al Governo sia bene ultimare le votazioni che riguardano il problema del Senato, ed essendo anche opportuno che quella discussione non venga interrotta domani per essere ripresa poi martedì, io propongo che la discussione sulla politica generale del Governo venga iniziata e condotta senza soluzione di continuità e pertanto che l’inizio del dibattito sia stabilito per martedì (Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Naturalmente occorre prendere un atteggiamento conforme all’eventuale maggioranza dell’Assemblea. Dirò però che, dopo le agitazioni dei passati giorni e dopo che sono state presentate le mozioni, data la necessità urgente di risolvere il problema del carovita e di risolvere tutti i problemi economici ad esso connessi, io credo che sia doveroso, per coloro che hanno fatto appello all’Assemblea per ottenere un voto di sfiducia a questo Governo, non ritardare e non trascinare per le lunghe la relativa discussione. Mi pare serio, di fronte al Paese, che, se si è formata nell’Assemblea una maggioranza contraria a questo Governo e idonea a creare una nuova situazione, se questa maggioranza effettivamente esiste, essa deve rivelarsi al più presto; e deve rivelarsi con proposte concrete e con suggerimenti che è possibile fare solo nel corso di un pubblico dibattito.

Quindi, a nome del Governo, dichiaro che desidero che le mozioni vengano trattate al più presto possibile. Per il resto naturalmente mi rimetto all’Assemblea. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. La mia richiesta era determinata dal fatto che all’ordine del giorno dell’Assemblea la discussione sulla mozione di sfiducia era fissata solo per domani e poi era rinviata a martedì, mentre noi riteniamo opportuno evitare una troppo lunga interruzione nella discussione. L’onorevole Presidente del Consiglio ha voluto invece mettere la mia richiesta in una luce politica che non corrisponde ai nostri propositi (Commenti al centro), come se noi volessimo rinviare, procrastinare, ritardare. Io devo ricordare ai colleghi che questa discussione noi l’avremmo incominciata anche prima. Dopo le parole dell’onorevole Presidente del Consiglio, io domando che la discussione s’inizi domani e si continui senza interruzioni. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, a proposito del suo riferimento all’ordine del giorno, devo ricordarle che non vi è nessun ordine del giorno prestabilito. L’ordine del giorno viene stabilito la sera per il giorno successivo; quindi quanto è stato detto o accennato in conversari fuori dell’Aula non impegna l’Assemblea.

BASSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSO. Come firmatario della mozione Nenni, desidero osservare che siamo contrari a qualunque rinvio. Abbiamo sollecitato la discussione, e fu il Presidente del Consiglio che chiese di differirla fino a domani.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Lei è male informato.

BASSO. Noi non abbiamo ragione di differire la discussione ed insistiamo perché si inizi domani.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente altra mozione:

«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici.

«Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.

«Canevari, Saragat, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti, Cairo».

Ritengo che questa mozione possa essere unita alle altre due già presentate e che la discussione relativa sia posta all’ordine del giorno della seduta pomeridiana di domani.

(Così rimane stabilito).

Interpellanza con richiesta di svolgimento urgente.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Ministro dell’interno, sulle misure che intende prendere per stroncare le organizzazioni clandestine fasciste, che in provincia di Milano hanno ripetutamente compiuto crimini ed atti di provocazione e sulla politica che il Governo intende seguire nei confronti delle organizzazioni legali, che servono a mascherare l’attività neofascista e della stampa che fa opera di incitamento al delitto.

«L’attentato di questa notte alla sede della Federazione comunista milanese è una nuova prova della inesplicabile carenza delle forze di polizia e al tempo stesso della urgenza di provvedere.

«Pajetta Gian Carlo, Alberganti, Scotti Francesco, Cavallotti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Farò sapere nella prossima settimana quando il Governo può rispondere.

PAJETTA GIAN CARLO. Lei rinvia ogni risposta alle interrogazioni che si riferiscono alla lotta contro il fascismo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ritengo che, essendovi una discussione generale sulla politica del Governo, questa sia la sede più opportuna per trattare anche di ciò.

PAJETTA GIAN CARLO. Siccome i fascisti di Milano non aspettano, spero che anche il Governo non aspetti.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno prorogare il termine per le denunce dell’imposta progressiva patrimoniale, che scadrebbe il 30 corrente, cioè tra cinque giorni, e ciò perché la legge è stata pubblicata soltanto il 4 corrente mese ed anche perché si attende il testo unico, annunciato dall’articolo 77 della nuova legge.

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se è proprio necessario, per completare la strada di congiunzione del comune di Modolo (provincia di Nuoro) con quello di Magomadas, attraversare l’abitato con conseguente distruzione di abitazioni o se non piuttosto tale soluzione sia stata suggerita da non encomiabili riguardi verso grossi proprietari terrieri; e in ogni caso se sia ammissibile abbattere caseggiati prima di aver apprestato altri congrui locali nei quali ricoverare le famiglie colpite, che altrimenti andrebbero ad aumentare l’immenso esercito italiano dei senza tetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».,

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intenda prendere (in attesa che siano portati a compimento gli studi e i progetti per la comunicazione direttissima Bergamo-Milano) per migliorare le condizioni disastrose del servizio ferroviario fra le due industri città. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Gasparotto, Belotti, Vicentini, Cremaschi Carlo, Vigorelli, Zerbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga equo ed urgente fissare un punteggio di valutazione del servizio di reggenza prestato – dai direttori didattici per i posti di ispettore e dai maestri elementari per i posti di direttore – per effetto degli incarichi loro affidati dagli Alleati nel periodo di emergenza, e dai provveditori agli studi a norma del regio decreto-legge 4 giugno 1944, n. 158, punteggio da valere agli effetti dello scrutinio di promozione al grado superiore per i direttori ed agli effetti del concorso a posti di direttore per i maestri.

«Ciò in analogia a quanto è stato sancito per i provveditori agli studi reggenti, i quali già se ne avvalgono in sede di espletamento del concorso bandito con decreto ministeriale 30 maggio 1947 (Gazzetta Ufficiale 18 giugno 1947, n. 136).

«Il provvedimento richiesto riveste carattere d’urgenza, nell’interesse della scuola, essendo prossimi lo scrutinio di promozione per i direttori ed il concorso direttivo per i maestri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se e quali provvidenze ritenga opportuno di disporre per affrettare le pratiche di pensione che, da oltre due anni, si accumulano inevase nei Distretti militari, essendone causa precipua il lento funzionamento delle Commissioni mediche ospedaliere, le quali sono in numero troppo esiguo e con personale, pur con tutto le zelo, insufficiente ed inadeguato.

«L’interrogante chiede se non sembri opportuno che venga istituita un’apposita Commissione medica presso ogni Distretto militare, almeno fino a quando non risultino esaurite le pratiche di pensione che ad esso fanno capo.

«Presso la Commissione medica ospedaliera di Verona, dalla quale dipendono parecchie Provincie del Veneto, attendono da tempo il loro turno oltre seimila pratiche, il cui esame – col ritmo attuale – richiederà un periodo non breve di anni; più che sufficienti perché non ne godano la conclusione specialmente i numerosi reduci tubercolotici, i quali con voce accorata sollecitano la visita di controllo. Si richiedono, perciò, provvedimenti ispirati a senso di giustizia e di umanità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marzarotto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Svolgimento delle mozioni degli onorevoli Nenni, Togliatti e Canevari.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

La Rocca

Rossi Paolo

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Martino Gaetano

Cappa, Ministro della marina mercantile

Sansone

Di Gloria

Codacci Pisanelli

Vernocchi

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Moscatelli

La seduta comincia alle 11.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Costa.

(È concesso).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella degli onorevoli La Rocca e Lombardi Riccardo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se non ritenga che la Corte suprema di cassazione a sezioni unite, con la sentenza 9 giugno-9 luglio 1947 sulla decadenza dalla carica dei senatori, non abbia, da un lato, invaso il campo del potere legislativo e non si sia attribuito, dall’altro, un potere di controllo costituzionale che ad essa Corte non compete in alcun modo, in quanto non le è riconosciuto da alcuna legge».

Sullo stesso argomento v’è anche la seguente interrogazione, degli onorevoli Rossi Paolo, Bennani, Carboni Angelo, Canevari, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se il Governo, di fronte alla sentenza 9 giugno-9 luglio 1947 della Corte di cassazione a sezioni unite, con la quale vengono annullate senza rinvio le ordinanze di decadenza dei senatori fascisti, non creda di dover fornire pubbliche precisazioni circa gli effetti delle pronuncia, i cui motivi e la cui ispirazione, se sono giurisdizionalmente insindacabili, non sfuggono alla libera critica politica e morale».

Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere a entrambe.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che sia necessario brevissimamente, senza entrare in quella che è – diciamo così – la critica o l’approvazione di un giudicato di un altro consesso sovrano, il quale potrà essere più o meno esatto, come possono essere più o meno esatte tutte le decisioni e deliberazioni collegiali (in quanto è l’influenza del numero, del quorum, che ne stabilisce la decisione e, quindi, non sono mai forme del tutto definitive, ma modificabili), precisare il punto della controversia e la decisione presa dalla Cassazione per rispondere agli onorevoli interroganti.

La Cassazione a sezioni unite in via civile fu investita di trentadue ricorsi di senatori contro la decisione dell’Alta Corte di giustizia. Vi furono molte eccezioni di inammissibilità di questi ricorsi prospettate dall’Avvocatura erariale, nella difesa dello Stato e nell’interesse supremo della legge; e fra queste, ad esempio, una, che riguardava la durata, il termine ormai passato delle pronunzie, delle pubblicazioni di queste ordinanze, che venne superato da parte della Cassazione, malgrado l’articolo 327 del Codice di procedura civile (il quale dice che, qualsiasi sia il difetto della notifica, un anno dopo la pubblicazione della decisione diventa una preclusione per ogni possibilità di gravame in Cassazione); un’altra, anche più grave, costituita dall’articolo 9 del decreto legislativo luogotenenziale 13 settembre 1944, nel quale era detto che contro le pronunzie, le ordinanze dell’Alta Corte di giustizia non era ammessa nessuna forma di gravame o di opposizione.

Queste erano due eccezioni gravissime, ma che, con suo insindacabile giudizio, la Cassazione ha superato. Ritengo inutile leggere le motivazioni. La Cassazione è entrata nel merito dei ricorsi stessi, i quali si fondavano su tre ordini di motivazione; motivazioni, però, che erano tutte riflessi d’un solo motivo, ossia difetto assoluto di giurisdizione. Molti dei colleghi sono giuristi e si rendono conto della gravità di tale situazione, ossia del difetto assoluto di giurisdizione. Per la nostra legge processuale attuale, per l’articolo 362 del Codice di procedura civile, che ha riportato quelle che erano le norme della legge del 1877 sui conflitti di giurisdizione e di attribuzione, la Cassazione, a sezioni unite, ebbe questa alta funzione di giudice delle competenze e delle attribuzioni, in modo che effettivamente, per qualunque giudizio, anche di giudici speciali, essa può intervenire per esaminare se il giudice si è mantenuto nei confini del suo potere giurisdizionale o se non abbia sconfinato o vi sia un vero e proprio difetto di giurisdizione. Questa è la portata dell’articolo 372, che ha riportato nel Codice di procedura civile la vecchia disposizione della legge del 1877.

La Cassazione ha esercitato largamente questa funzione, di essere a capo di tutte le giurisdizioni, sia normali che speciali; e quindi essa ha ritenuto di essere competente a giudicare anche dei ricorsi contro le sentenze dell’Alta Corte di giustizia.

Qui non voglio fare delle critiche su quello che sia stato il giudizio. Certamente c’è questa situazione: che l’Alta Corte di giustizia, come la stessa sentenza dice, non faceva che sostituire quell’Alta Corte di giustizia, che doveva giudicare dei senatori, come foro speciale.

Ricordo che, anche quando vigeva la legge del 1877 sui conflitti di attribuzione, abbiamo avuto il caso Nasi: la sentenza dell’Alta Corte di giustizia fu impugnata dalla Cassazione, la quale, malgrado l’esistenza della legge del 1877, non poteva essa giudicare dell’Alta Corte di giustizia, in quanto che quest’ultima era foro speciale di carattere giurisdizionale, ed anche politico, poiché assommava speciali caratteristiche: il giudizio si riversava non soltanto sulle figure di reato ipotizzate nella legge scritta, ma anche su quelle forme di reato politico, che noi costituzionalisti consideriamo al di fuori e al di sopra del diritto penale.

Ecco la ragione, per la quale l’Alta Corte di giustizia è stata sempre ritenuta al di fuori e al di sopra della possibilità di conflitto e di attribuzione di competenza.

La Cassazione ha ritenuto che questa giurisdizione speciale, che non era Alta Corte di giustizia, ma giurisdizione chiamata per l’epurazione di molti casi, compresi i senatori, rientrasse nelle sue attribuzioni; ed avendo stabilito questo principio di massima, ha esaminato i tre motivi che si prospettavano.

Uno dei motivi era che la legge del 1944 – sia quella precedente, che quella del 13 settembre successiva, che la completava nell’organo – fosse incostituzionale, perché avrebbe violato le disposizioni statutarie riguardanti l’istituto del Senato e, quindi, le prerogative dei senatori.

Su questo punto – e rispondo all’onorevole La Rocca – la sentenza ha dichiarato infondato il motivo, perché ha ritenuto che la legge del 1944, che era una derivazione della legge fondamentale del 25 giugno 1944, n. 151 (la famosa legge che attribuiva i poteri legislativi e i loro limiti e stabiliva quel che si sarebbe dovuto fare per la convocazione dei comizi elettorali e per la Costituente, allo scopo di creare il nuovo ordinamento costituzionale), legge che creò l’Alta Corte di giustizia e deferì ad essa il giudizio del senatore, non fosse incostituzionale. In fondo, da questo punto di vista, all’onorevole La Rocca, il quale dice che la Corte di Cassazione si è attribuito un potere di controllo costituzionale che non le compete, dovrei dire che la Corte di Cassazione non ha accettato questo punto di vista ed ha ritenuto, anzi, infondato il motivo del ricorso. La Cassazione ha invece ritenuto fondati gli altri due motivi, sotto il profilo del difetto assoluto di giurisdizione. Il primo motivo è che l’Alta Corte di giustizia avrebbe formulato delle ipotesi di reato e di penalità e di condotta dei senatori non previsti dalla legge del 1944. Non voglio entrare nel merito, ma debbo dire che questa fu la tesi, cioè che avesse l’Alta Corte di giustizia giudicato su ipotesi non previste dalla legge. Spetta ai giuristi il considerare se questo difetto di giurisdizione è una violazione di legge.

Il secondo motivo è che vi sarebbe stato un difetto di motivo in fatto e in diritto, anche questo ipotizzato come difetto assoluto di giurisdizione. Questo si potrebbe prestare a delle critiche, perché il difetto di motivazione non è un difetto di giurisdizione, ma è anzi il contrario, perché se il giudice riconosce che vi è difetto di motivazione, vuol dire che egli era competente a giudicare. Per questi due motivi, avendo ritenuto fondato il ricorso nel senso di un difetto assoluto di giurisdizione, la Corte di Cassazione ha annullato le ordinanze che condannavano questi due senatori. La cosa più grave è però che non c’è più un giudice di rinvio, perché l’Alta Corte di giustizia, che doveva giudicare di questa condotta politica dei senatori, è stata dichiarata incompetente. Non si tratta di reati, perché si esclude la figura del reato, in quanto il reato avrebbe avuto altre ipotesi e altre giurisdizioni: si tratta, invece, della condotta politica dei senatori. Questa condotta non avrebbe più il suo giudice e la sua giurisdizione. Queste le conseguenze pratiche e politiche a cui accenna l’onorevole Paolo Rossi. Mi pare di aver già detto, in occasione della discussione della legge elettorale, che il Governo ha studiato ed ha pronto, tanto che lo presenterà all’Assemblea, un disegno di legge in cui si dichiara soppresso il Senato e quindi si completa la legge 25 giugno 1946, la quale aveva detto che i senatori cessavano dalle loro funzioni. Questa legge era stata interpretata nel senso che i senatori cessavano dalle funzioni politiche, ma che conservavano le funzioni giurisdizionali. Ora, bisogna dire che il Senato è soppresso completamente: l’organo è decaduto, e decaduti sono i senatori da tutti i loro diritti e dalle loro prerogative. Con questo disegno di legge mi pare che si chiuda la questione, perché l’Assemblea è bene che tenga presente che ci sono i ricorsi di ben 183 senatori: quindi, se la Cassazione non modifica la sua sentenza, noi potremmo trovare a Palazzo Madama un altro Senato, proprio nel momento in cui stiamo discutendo della formazione del nuovo Senato della Repubblica. Il Governo non poteva fare più di questo, mantenendo quella che doveva essere nella divisione delle funzioni dello Stato, l’insindacabilità e la sovranità degli organi giurisdizionali, ma, d’altra parte, provvedendo con quei rimedi, a cui certamente dal punto di vista politico dobbiamo ottemperare, in modo da mettere una pietra sepolcrale sul passato, edificando il nuovo Senato della Repubblica italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole La Rocca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LA ROCCA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non sono in alcun modo sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Ministro della giustizia; e prego il Governo e l’Assemblea di seguirmi, per una questione quanto mai delicata e, a mio modo di vedere, non lieve, che dev’essere risoluta in una maniera chiara e netta, una volta per sempre.

Si tratta di stabilire se la Corte di cassazione è soltanto un organo giurisdizionale, tenuto ad osservare la legge, che vale per tutti, e perciò anche per il Supremo Collegio, o, se, da organo giurisdizionale può diventare, con un colpo di testa, essa stessa fonte di diritto e invadere il campo del potere legislativo.

Ed ecco i fatti.

PRESIDENTE. Le raccomando di osservare il tempo accordato per le interrogazioni. Desidererei che tutte le interrogazioni all’ordine del giorno si potessero svolgere.

LA ROCCA. Il legislatore, subito dopo la liberazione di Roma, si trovò di fronte al problema delle sanzioni contro i delitti fascisti, e vi provvide col decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, nel quale si preoccupò della composizione delle Camere legislative e, in particolare, del Senato, ancora in vita, disponendo, all’articolo 8, che l’Alta Corte di giustizia, senza pregiudizio delle altre sanzioni, decidesse sulla decadenza di quei membri che, con i loro voti e atti, contribuirono al mantenimento del regime fascista e a rendere possibile la guerra. Con successivo decreto legislativo (13 settembre 1944, n. 198) furono dettate le norme per regolare i procedimenti di decadenza, alla stregua di criteri particolari, che non hanno nulla di comune con i principî generali del Codice di procedura penale, a cui il Supremo Collegio ha voluto richiamarsi nella sua sentenza 9 giugno-9 luglio 1947, zoppa e perciò claudicante. Si richiedeva, infatti: 1°) una previa richiesta dell’Alto Commissario per le sanzioni; 2°) la notifica di tale richiesta agli interessati; 3°) la facoltà d’indagini e di udire i prevenuti; 4°) l’ordinanza in camera di Consiglio, per la dichiarazione di decadenza; 5°) il divieto di ogni mezzo d’impugnazione contro le vertenze e gli altri provvedimenti dell’Alta Corte. Si trattava, volutamente, di un procedimento semplice e rapido, spoglio di qualsiasi pesantezza e formalità: senza pubblici dibattiti, né contestazioni, né motivazioni, né ricorsi, né appelli, che avrebbero prolungato all’infinito l’attività dell’Alta Corte, intralciando o impedendo l’opera di risanamento politico che si voleva ottenere.

I senatori che, ritenendosi lesi nei loro diritti politici dalle ordinanze dell’Alta Corte, avevano già tentato di far valere le loro ragioni dinanzi alla Corte Suprema, e impararono dalla decisione del gennaio 1946 delle sezioni unite penali che le ordinanze dell’Alta Corte avevano una fisonomia diversa da quella delle sentenze, che si trattava non di reazioni di giustizia, ma di provvedimenti diretti alla difesa dello Stato, di misure preventive nella sfera costituzionale, per scopi decisamente politici, volte a salvaguardare l’ufficio – e, nel caso concreto, un ramo del Parlamento – dalla presenza o dalla partecipazione di persone non idonee o nocive o indegne, si attaccarono all’uncino di altri cavilli e produssero ricorso avanti le sezioni unite civili del Supremo Collegio, a difendere la loro situazione giuridica personale, non solo per la decadenza dalla carica con la perdita di garanzie di carattere costituzionale, ma per gli effetti e le incisioni sulla capacità civile.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’ho già detto.

LA ROCCA. Si badi bene; i ricorrenti allegarono e denunziarono, essenzialmente, il difetto assoluto di giurisdizione dell’Alta Corte, derivato dalla premessa che le disposizioni di cui agli articoli 2, 8 e 42 del decreto legislativo 18 settembre 1944, mancavano di forza di legge, per avere il Governo, con l’emanazione di tali norme, superato i limiti dell’investitura legislativa, alla stregua del decreto legislativo 24 giugno 1944, n. 151 (con cui, appunto si attribuiva al Governo, in via straordinaria e transitoria, una competenza legislativa), modificando la composizione del Senato, le condizioni del suo funzionamento e sopprimendo le garanzie statutarie e le prerogative dei senatori.

Il Supremo Collegio, per aver modo di intervenire in un campo che gli è vietato, ha affermato il principio, che, in caso di gravami, con i quali si denunzia il difetto assoluto di competenza e di giurisdizione, non è ammissibile né concepibile la sottrazione della pronunzia al controllo della Corte di Cassazione, cioè della Corte regolatrice delle competenze e delle giurisdizioni.

Il Supremo Collegio, torcendo, in concreto, il diritto formale e quello sostanziale e facendo, come spesso accade nelle aule giudiziarie, della casistica disseccata un ponte per giungere alle soglie della dialettica, ha adoperato un criterio di grandissima larghezza nell’interpretare le norme sui termini a ricorrere, spaccando i capelli in quattro sulla comunicazione e sulla notificazione, per consentire a tutti i senatori, dichiarati decaduti, di rifugiarsi quando vogliono, nel mantello della misericordia del Supremo Collegio; ha insistito con una lunga disquisizione sulla mancanza di motivazione delle ordinanze, motivazione non richiesta e non necessaria per provvedimenti che miravano, con un giudizio politico, non sindacabile, ad eliminare dal Senato persone incompatibili; e, in ultima analisi, si è servito di tutti questi appigli formali, per creare, con nebbie di procedura, sotto la specie della irregolarità di notifica e del difetto di motivazione, un paravento per l’accoglimento del motivo principale e fondamentale sul vizio di incostituzionalità della legge e, quindi, delle norme sull’Alta Corte e sulla decadenza dei senatori.

E qui la faccenda diventa seria, perché si assiste, ancora una volta, all’arbitrio e all’ardimento con cui il Supremo Collegio inclina a trascendere i limiti della sua funzione istituzionale.

È vecchia la controversia sull’ammissibilità di un sindacato in sede giurisdizionale sull’assunzione da parte del Governo del potere di emanare norme aventi piena efficacia di legge. Ma essa è stata risolta e definita proprio con una legge che attribuisce, in dati casi e su determinate materie, la facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche.

Del resto, la dottrina è concorde al riguardo; e basterà ricordare, per tutti, il pensiero di un grande maestro, di Mortara, il quale ha sempre sostenuto che la funzione giurisdizionale non ha alcuna legittima ingerenza nei rapporti politici tra il Parlamento e il Gabinetto; ed ha affermato, quindi, l’incompetenza dell’autorità giudiziaria a negare la costituzionalità dell’esercizio della straordinaria funzione legislativa assunta dal Governo.

Questa è la direttiva a cui si sono informate in Italia la giurisprudenza e la dottrina: direttiva tradotta infine in una disposizione di legge. Come può dunque la Magistratura considerarsi oggi investita di un potere che prima riteneva interdetto e che, di fatto, le è negato? Non certo per la circostanza, che, sciolta la Camera con il decreto legge del 2 agosto 1943, n. 705, doveva considerarsi trasferita al potere giudiziario quella funzione, caratteristicamente ed esclusivamente politica, di controllo sul potere esecutivo, nell’esercizio della potestà legislativa, come su ogni sua attività di Governo.

Ma la Corte di cassazione, cedendo alle suggestioni dei ricorrenti, ha compiuto un tipico eccesso di potere, una vera invasione nella sfera di attribuzioni, che è propria del legislativo.

L’articolo 4 del decreto-legge n. 151 – sul cui carattere costituzionale non è possibile sollevare dubbi – riconosce al Consiglio dei Ministri la piena facoltà di deliberare, senza limitazione di materia, i provvedimenti che hanno forza di legge, finché non sarà costituito il nuovo Parlamento.

Su quale base può poggiare una questione di incostituzionalità di una legge emanata dagli organi che, in una fase transitoria della vita italiana, sono chiamati a formarla: cioè, il Consiglio dei Ministri e il Capo dello Stato?

Ripeto e insisto. L’articolo 9 del decreto n. 198 escludeva contro le sentenze e gli altri provvedimenti dell’Alta Corte qualsiasi mezzo d’impugnazione. Il Supremo Collegio ha creduto, invece, di poter intervenire, proclamando l’esistenza di un eccesso di potere giudiziario e di un assoluto difetto di giurisdizione.

È incredibile – e preoccupa ed allarma – la baldanza con cui il Supremo Collegio intende i limiti e il contenuto delle sue facoltà.

Il legislatore vieta, in taluni casi, ogni ricorso e, perciò, anche il sindacato della Corte di cassazione; ma la Corte non osserva la legge e si ritiene egualmente investita.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Le ho già spiegato…

LA ROCCA. Lei non ha spiegato niente. E vorrei che ella, onorevole Ministro, si rendesse conto che, di questo passo, un giorno o l’altro la Cassazione scuoterà, con una sentenza, il suo seggio ministeriale e contesterà la legittimità delle sedute di quest’Assemblea. In altri termini, tutto può essere messo in discussione e in gioco.

La Corte di cassazione ha violato e seguita impunemente a violare la legge. Lo ha fatto in tema di giudizi e sentenze per delitti fascisti; lo ha fatto in tema di decisioni del Consiglio di Stato, decisioni che pure sono escluse dal riscontro di legittimità della Corte di cassazione.

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca, concluda.

LA ROCCA. Concludo. Lo ha fatto a proposito delle ordinanze dell’Alta Corte: cioè, in un caso in cui la questione, per la lettera e lo spirito del decreto, non poteva dar luogo a dubbi di sorta. Al tempo fascista, si disse che conveniva resistere alla dittatura. Oggi, la dittatura è crollata; e il problema si pone nettamente in questi termini: quando la legge esclude rimedi giurisdizionali, questa legge deve avere, o no, valore anche per la Corte Suprema, o questa è autorizzata a mettersi al disopra degli altri poteri dello Stato e diventare arbitra della norma di condotta della Nazione? Né accade parlare di tutela dei diritti dei cittadini.

Non si comprende come, nello Stato moderno, possano esistere diritti, se il legislatore non li concede o esplicitamente li nega.

Sorge, inoltre, il quesito, se il legislatore sia libero o no di creare giurisdizioni speciali, per motivi di alto valore sociale, o per superiori interessi nazionali…

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca, concluda.

LA ROCCA. …o con procedimenti speciali, più snellii e meno formalistici, senza che la Corte di Cassazione si levi a giudice degli atti del Governo, invadendo il terreno del potere legislativo. Questa è la questione. Non mette conto dilungarsi in commenti, che, di necessità, dovrebbero essere molto amari e molto aspri.

È ancora viva l’eco per lo sgarbo usato, in una circostanza solenne, da un alto rappresentante della Corte nei riguardi dell’attuale Capo dello Stato che, oltre ad essere un servitore devoto del Paese, rappresenta il fiore e il vertice dell’avvocatura in Italia, a cui, se non altro, la Corte Suprema dovrebbe un minimo di rispetto.

Adesso, con una sentenza, contorta e claudicante, si è inteso di vibrare un colpo all’opera dell’Alta Corte e di minare una legislazione volta a tutelare la democrazia antifascista. Potrebbe non apparire infondato il sospetto che il Supremo Collegio si proponga di compiere un’opera di talpa alla base del regime repubblicano.

Questo non può essere in alcun modo sopportato.

Riconosciamo che il Supremo Collegio…

PRESIDENTE. Non è ammissibile quello che lei sta facendo, onorevole La Rocca! La invito a concludere.

LA ROCCA. …è investito di ampi poteri per il rispetto della legge e per il controllo delle giurisdizioni. Ma ci auguriamo che esso, sull’esempio della Corte federale americana, che pure è fornita di potestà quanto mai estese, s’inspiri, nell’esercizio delle sue funzioni, a quel senso di moderazione e di autocontrollo, che deve trovarsi alla base dei rapporti tra legislazione e giurisdizione e dei rapporti fra le varie giurisdizioni.

In caso contrario, tutto l’ordinamento giuridico è sconvolto e la Corte di cassazione minaccia di diventare, a poco a poco, uno Stato nello Stato. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Devo dire ai colleghi che quando si tratta di questioni di grande importanza, come quelle svolte dall’onorevole La Rocca, è bene presentare interpellanze, non interrogazioni, perché l’interrogazione importa solo la possibilità di fare osservazioni sulla risposta del Ministro. Si deve, poi, tener conto del diritto di tutti i colleghi a svolgere le loro interrogazioni. Chi parla più di cinque minuti sottrae ai colleghi il tempo necessario per esercitare il proprio diritto. Lo dico perché questa è la regola.

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROSSI PAOLO. Io prenderò per me l’ammonizione l’atta dall’onorevole Presidente…

PRESIDENTE. …è il Regolamento, è il buoncostume parlamentare.

ROSSI PAOLO. …e parlerò brevissimamente per dire che non sono d’accordo con l’onorevole La Rocca in un punto soltanto: quando egli dice che questa attitudine della Cassazione ad intervenire là dove non dovrebbe intervenire non è nuova.

Caro La Rocca, è nuova; è nuova perché son passati ventitré anni durante i quali la Corte di cassazione non ha mai avuto il coraggio (Applausi a sinistra) una volta sola di giudicare il ricorso di un infelice condannato da una magistratura speciale. Ne abbiamo avute magistrature speciali di tutti i generi, e ne abbiamo avute anche da ultimo di quelle atroci, con atroci sentenze, nel periodo repubblichino, e la Corte di cassazione, che è presa in questo momento da questa smania di legittimità, non ha mai trovato in sé l’energia necessaria per fare un gesto che assomigliasse lontanamente a quello testé compiuto! Adesso, ad onore della Repubblica, è facile compiere un gesto siffatto, mentre allora, a disdoro di quel Governo, si incontravano delle ostilità che non erano soltanto verbali e si correva il rischio della destituzione. La Corte Suprema (per la quale ho il massimo rispetto come istituto) non ha dato una prova di coraggio né adesso né allora: il coraggio troppo facile, non è una forma di coraggio rispettabile!

Detto questo, onorevole Ministro della giustizia, posso dichiararmi sodisfatto della sua risposta.

Ma, se Ella mi consente, vorrei, giacché siamo in tema di domande, dirle: ella non è contento della nostra interrogazione? Non le ha fatto piacere, onorevole Ministro della giustizia, che le sia stata offerta l’occasione di esprimere una libera critica contro la sentenza della Corte di cassazione e, soprattutto, di dichiarare solennemente ciò che il Paese aspettava, che quella sentenza non costituisce una minaccia contro l’ordine repubblicano e che il Governo ha pronto nel suo cassetto un provvedimento che taglia nettamente la questione e dichiara il Senato decaduto da tutte le sue funzioni?

Lasceremo aperta la «buvette» (nemmeno quella, dice un collega!), ma escluderemo la possibilità dell’Alta Corte costituzionale, sopprimeremo la possibilità teorica dell’auto-convocazione di un organo morto.

E adesso mi pare inutile abusare del tempo e varcare i cinque minuti per riprendere una critica specifica della sentenza della Cassazione. Dopo quello che il collega La Rocca ha detto così bene e con tanto impeto, mi pare che si potrebbe aggiungere una sola osservazione, che è questa: se è vero (e la Corte di cassazione l’ha riconosciuto per implicito) che si trattava di una decisione, di un’ordinanza, di una sentenza (chiamiamola come volete) non impugnabile, l’annullamento di tale decisione per insufficienza di motivazione è una contraddizione in termini, perché le sentenze che non sono impugnabili basta che siano sommariamente motivate. Occorre che il giudice svolga ampiamente i motivi, quando la sentenza è per sua natura soggetta al controllo di un secondo giudice. Ma quando questo controllo non è né previsto né possibile, perché è esclusa l’impugnazione, è evidente che bastano dei motivi puramente sommari. Io ho letto quella sentenza: è una sentenza faziosa; è una sentenza pretestuosa ed è bene che il rappresentante del Governo, che il Ministro della giustizia abbia potuto esprimere una parola di critica. È bene che nel Parlamento una censura si sia levata. Decida liberamente e irrevocabilmente la Cassazione, ma sui motivi, sull’opportunità morale, sul valore politico, sul valore dottrinale, sul valore scientifico di una sentenza decidono le Assemblee, decidono i popoli.

Tante volte la Corte di cassazione ha fatto delle cattive sentenze; questa volta ne ha fatto una pessima. Ed era diritto nostro, diritto dei giuristi, diritto degli uomini politici, diritto della storia dire che quella sentenza, che non si può impugnare, è una cattiva azione, e spero che la cattiva azione sia rapidamente paralizzata dall’annunziato provvedimento di legge.

E nel dichiararmi ancora una volta sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro, dirò che la mia soddisfazione sarà attuale e completa, invece che essere una speranza di soddisfazione, quando questo decreto, che per ora viene annunziato, sarà stampato e distribuito alla Camera in maniera che questa lo possa immediatamente approvare.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non reputi opportuno revocare la disposizione in base alla quale è fatto obbligo alle amministrazioni universitarie di versare al Tesoro, a partire dal prossimo anno accademico, l’importo della sopratassa speciale di iscrizione, incamerata negli anni passati dalle stesse università in virtù dell’articolo 30 del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238: disposizione che aggrava ulteriormente le già gravi condizioni finanziarie degli istituti di cultura superiore».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole Martino sa che la sopratassa speciale è stata istituita con decreto legislativo 21 giugno 1938 e legge successiva 16 marzo 1942.

Io mi permetto richiamare l’attenzione dell’onorevole interrogante sopra la finalità di questa sopratassa annuale di iscrizione. La finalità è in maniera chiara precisata nella legge, cioè si tratta di creare un fondo che permetta di venire incontro alle particolari necessità di certi determinati bilanci universitari, e, quindi, integrare i bilanci delle università che sono particolarmente deficitarie. Di questa disposizione hanno naturalmente beneficiato le università minori ed in certo senso ne hanno sopportato il peso le università maggiori. Cito solamente un caso, cioè quello dell’università di Messina. L’università di Messina nel 1940-1941 ha incassato come sopratassa speciale annua di iscrizione 350 mila lire ed ha avuto dal Ministero 450 mila lire. Così nell’anno scolastico 1941-42 l’incasso dell’università di Messina è stato di 742 mila lire, mentre il Ministero aveva assegnato alla stessa università un milione e 700 mila lire. Quindi un milione di più di quello che è stato il provento della tassa straordinaria. Perciò mi pare che soprattutto bisogna tener presente queste finalità. Non è che la tassa venga incamerata nel bilancio del Ministero della pubblica istruzione o del tesoro, ma viene incassata al fine di essere messa a disposizione delle università che hanno particolari necessità. In un certo senso è una specie di cassa di compensazione con la quale le università maggiori, che dovrebbero essere quelle che dovrebbero lamentarsi, vengono in aiuto alle università minori più bisognose. Ora, nel 1945, con decreto-legge 5 aprile, si consentì alle università di incamerare questa sopratassa; e ciò fu stabilito per esigenze di carattere bellico, essendo impossibile agli organi centrali di prelevare la tassa stessa. Però la legge del 1945 stabilì pure che la legge del 1938 dovesse valere fino ad un anno successivo al termine della guerra. Quindi col prossimo anno si dovrebbe ritornare alla normalità, cioè alla devoluzione allo Stato dell’incasso della tassa stessa.

L’onorevole interrogante è di opinione che sia più opportuno – egli dice – lasciare la tassa al bilancio universitario, perché se noi applicassimo la legge del 1938 – conclude la sua interrogazione – si avrebbe un aggravio ulteriore delle gravi condizioni finanziarie degli istituti di cultura superiore. Io dico sinceramente che questo aggravio, di fatto, non c’è, perché ciò che deriva al bilancio della pubblica istruzione da questa sopratassa viene restituito alle università stesse proporzionalmente ai rapporti specifici delle singole università. Quindi, per questa ragione, salvo che la risposta dell’onorevole interrogante non metta in rilievo altri aspetti da me non conosciuti né conosciuti dagli uffici, non si vede la necessità di revocare la disposizione del 1938; e quindi si vede la necessità di restare alla legge del 1945 che prevede ad un anno dalla fine della guerra il ritorno alla normalità. Comunque, se si dovessero introdurre modificazioni, l’onorevole interrogante sa che è necessario sentire il parere del Tesoro, non essendo esclusivamente competente il Ministero della pubblica istruzione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Le precisazioni del Ministro sono sostanzialmente esatte. C’è solo una piccola inesattezza, che io mi permetto di rilevare, ed è questa: lo scopo della sopratassa speciale di iscrizione istituita nel 1938 non era soltanto quello di costituire un fondo per integrare i bilanci delle università meno abbienti, ma anche quello di fornire i mezzi al Comitato centrale per le opere universitarie affinché venissero sovvenzionate le opere culturali, politiche e sportive dei gruppi universitari fascisti (G.U.F.). Questi gruppi universitari fascisti oggi non esistono più: esistono attività sportive degli universitari esercitate dai cosiddetti C.U.S. (Centri universitari sportivi); ma queste attività sportive sono ora finanziate mediante una speciale tassa, istituita ad iniziativa del Ministro Gonella (200 lire annue pagate da tutti gli universitari). Orbene, se lo scopo dovesse restare esclusivamente quello di distribuire alle università, in misura diversa a seconda delle loro deficienze di bilancio, questa sopratassa speciale d’iscrizione che tutte le università incassano, io non vedo come oggi si potrebbe sostenere che il mantenimento di questo provvedimento sia, nelle attuali condizioni, opportuno. Una volta, solo alcune università erano deficitarie, solo alcune avevano un bilancio che doveva essere integrato dallo Stato: oggi lo sono tutte. Oggi le grandi università sono più povere delle piccole: pretende forse l’onorevole Ministro che le piccole università contribuiscano ad integrare i bilanci delle grandi? Ripeto: oggi tutte le università si trovano in condizioni di bilancio assolutamente deplorevoli. Ed il perché è evidente: il costo della vita è aumentato in media 47 volte; le tasse sono aumentate 4 volte, rispetto all’anteguerra. Non c’è bilancio universitario che possa reggere in queste condizioni. L’onorevole Ministro, rispondendo in altre occasioni a interrogazioni e ed interpellanze su questa materia, ha più volte insistito sull’opera che il Governo ha inteso svolgere finora ed intende svolgere nell’avvenire, per venire incontro agli istituti di cultura superiore; ed ha particolarmente sottolineato il fatto che si è quintuplicato il contributo dello Stato alle università: provvedimento importante, il quale crea aggravio al bilancio dello Stato. Orbene, poiché l’onorevole Ministro ha voluto citare l’università di Messina, come esempio, ad essa anch’io mi riferirò e dirò che la quintuplicazione del contributo dello Stato ha portato la cifra di 700.000 lire, quale era prima della guerra, a 3 milioni e mezzo per quella università, mentre il versamento allo Stato di questa sopratassa speciale di iscrizione rappresenterebbe oggi 12 milioni di lire. È così che voi volete aiutare le nostre università? Da un lato quintuplicate il contributo e ci date 3 milioni e mezzo all’anno, dall’altro pretendete un versamento di 12 milioni di lire?

Dice l’onorevole Ministro: ci sono due esempi – due soli però, onorevole Ministro! – negli anni passati, nei quali l’università di Messina ebbe più di quello che versò. Io non intendo fare qui la questione specifica dell’università di Messina. Se pure il Ministro mi avesse nella sua risposta garantito, con una promessa formale, che l’università di Messina riceverà a suo tempo dal Ministero più di quello che verserà, io manterrei lo stesso il mio punto di vista: perché è questione di ordine generale. Oggi tutte le università, lo ripeto, sono in condizioni disastrose; ed il disastro è aggravato dal fatto paradossale che esse ancora devono fare da banchieri allo Stato. Le università ricevono i rimborsi con velocità incomparabilmente minore delle spese, cosicché per esempio una non grande università, come quella di Messina, è creditrice dello Stato per 46 milioni di lire.

Io prego l’onorevole Ministro di voler riconsiderare la cosa. Se lo scopo del suo provvedimento è quello di ridistribuire queste somme alle università, ebbene in tal caso si lasci alle università stesse il provento della sopratassa speciale di iscrizione che incassano, almeno fino a quando tutte le università avranno bisogno, indistintamente, di essere aiutate.

Credo che altri scopi non possano esserci. Non è concepibile che il Ministro si proponga di finanziare le opere culturali, politiche o sportive dei comitati permanenti universitari o di altri centri studenteschi.

Spero che l’onorevole Ministro vorrà riflettere sulla questione ed adottare un provvedimento, che sia accolto dalle università con soddisfazione. Frattanto, in attesa dell’ulteriore decisione del Ministro, onestamente io devo dichiarare che la sua risposta non mi ha sodisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, ai Ministri della marina mercantile e dell’interno, «per conoscere quali motivi hanno indotto a consentire la cessione di cinque metri della banchina di Pozzuoli (larga in quel punto solo 10 metri) al parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie, per l’ampliamento della detta chiesa, quando non è stato ancora possibile l’ampliamento delle banchine di quel porto così importante per il traffico del medio e piccolo tonnellaggio. Per conoscere, altresì, per quali ragioni il prefetto di Napoli – a seguito dell’ordinanza del comune di Pozzuoli, che ingiungeva al parroco di sospendere i lavori – invitava il sindaco a revocare l’ordinanza stessa, ed al rifiuto di quest’ultimo impediva che gli fosse data esecuzione coattiva, consentendo così la continuazione della costruzione, mentre nella popolazione di Pozzuoli cresce la disoccupazione per la poca attività del porto, dovuta alla sua scarsa ricettività».

L’onorevole Ministro della marina mercantile ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Con domanda 22 gennaio 1946 il parroco della Chiesa di S. Maria delle Grazie chiese di acquistare un suolo demaniale marittimo della superficie di metri quadrati 83,20, situato sulla banchina del porto di Pozzuoli, per ampliare l’abside della chiesa gravemente danneggiata per eventi di guerra e costruire un fabbricato da adibire ad opere di assistenza e di culto.

L’Ufficio circondariale marittimo di Pozzuoli e la Capitaneria di Napoli espressero parere favorevole all’accoglimento della richiesta, nella considerazione che la vendita del suolo – già del resto sottratto ai normali usi del traffico perché a ridosso di fabbricati cittadini – data la sua ubicazione e limitata estensione, non poteva apportare alcun pregiudizio agli interessi marittimi e commerciali del porto. Parere favorevole espressero nel corso dell’istruttoria anche l’ufficio del Genio civile di Napoli e il Comando in capo del dipartimento marittimo di Napoli.

In considerazione dell’esito favorevole dell’istruttoria venne consentito l’inizio dei lavori ai primi del marzo 1947.

Con ordinanza 24 marzo 1947 il sindaco del comune di Pozzuoli sospese l’esecuzione dei lavori di cui trattasi.

La Capitaneria di Napoli comunicava al sindaco che, trattandosi di concessione di demanio marittimo, non era possibile riconoscere efficacia ad un ordine dell’autorità municipale.

L’Avvocatura distrettuale dello Stato, investita della questione, con lettera diretta alla Prefettura di Napoli contestava la legittimità dell’ordinanza, faceva riserva di chiedere il risarcimento dei danni ed avvertiva il municipio di Pozzuoli che, stante l’arbitrarietà dell’ordinanza, veniva disposto per l’ulteriore corso dei lavori perché il Genio civile – a cui cura i lavori stessi venivano eseguiti – aveva rilevato che la loro sospensione avrebbe provocato gravi danni.

Ciò malgrado, il 20 maggio ultimo scorso il sindaco di Pozzuoli inviava sul posto il capo dei vigili urbani, con una decina di uomini, con l’ordine di far sospendere i lavori. Il comandante del porto di Pozzuoli, avvertito dal fatto, si metteva in comunicazione telefonica col sindaco e fattagli rilevare l’arbitrarietà dell’ordine dato, lo invitava a revocare l’ordine stesso. Essendosi il sindaco rifiutato di aderire all’invito ricevuto, il comandante del porto di Pozzuoli, intimava ai vigili municipali di allontanarsi dalla banchina.

Essendosi i vigili allontanati, i lavori potevano essere ripresi.

Il giorno 31 maggio si presentava alla Capitaneria di Napoli un funzionario di quella Prefettura per avere chiarimenti circa la questione. Avute le informazioni del caso assicurava che si sarebbe recato a Pozzuoli per definire la vertenza facendo comprendere a quel sindaco l’arbitrarietà del suo operato. Questo nel fatto.

Nel merito della questione si conferma che, in base alla istruttoria esperita dall’Autorità marittima, deve ritenersi escluso che dalla vendita del suolo e conseguente costruzione su di esso di opere murarie, possa derivare alcun danno al traffico del porto di Pozzuoli. Per quanto attiene, infine, all’accenno sulla disoccupazione del centro di Pozzuoli, occorre tener presente che la scarsa attività di quel porto non dipende da insufficienza della banchina, ma da mancanza di traffici e che i lavori di costruzione progettati dal parroco di Santa Maria delle Grazie possono assorbire mano d’opera per un certo periodo di tempo.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SANSONE. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io non sono sodisfatto, non per ripetere una frase di rito, ma per la sostanza delle cose. Il fatto l’ha precisato l’onorevole Ministro. Emerge da esso che il Ministero della marina mercantile, anziché preoccuparsi di ricostruire e di rendere più ricettivo e comunque di ampliare il porto di Pozzuoli e di aiutare i sei o settemila disoccupati che non trovano lavoro, ha pensato di ridurre la banchina, larga in quel punto solo dieci metri, a cinque metri, per ampliare la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Questa, la sostanza. Che ci sia stata un’indagine e si sia eseguita un’istruttoria è altro argomento.

È certo però che il Ministero della marina mercantile, anziché occuparsi e preoccuparsi dell’efficienza del porto, l’ha trascurata, preoccupandosi solo ed invece dell’ampliamento della chiesa danneggiata dalle incursioni aeree avvenute su Napoli e dintorni.

Il sindaco venuto a conoscenza dell’inizio dei lavori ebbe a provocare un’ordinanza di sospensione dei lavori stessi fondata su due elementi: il primo del danno che ne ricavava e ne ha ricavato la sua città…

Una voce al centro. Ma che danno!

SANSONE. C’è il danno. La banchina è di dieci metri e se da dieci metri se ne tolgono cinque, vi è un danno effettivo. Qui non vi è un problema di fazione o un problema antireligioso, ma vi è un problema di danno effettivo al porto. Ed è su questo punto che il Ministro non mi ha risposto.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Le ho detto che gli uffici tecnici sono di parere contrario al suo, perché trovano che la disoccupazione è in relazione alla mancanza di movimento del porto.

SANSONE. Le dico che il movimento non c’è perché la banchina non è ricettiva.

Comunque, dicevo, che a questa prima colpa del Ministero della marina mercantile se ne aggiunge una seconda, perché quando il sindaco di Pozzuoli, interpretando la necessità della sua città, ha fatto un’ordinanza di sospensione dei lavori, fondata su due motivi: il primo perché non aveva avuto conoscenza dei lavori stessi, il secondo perché non vi era la licenza comunale edilizia necessaria per l’inizio della costruzione, si è visto intralciata la sua opera proprio da quell’organo di tutela che è la Prefettura, in quanto essendosi rivolto al commissario di pubblica sicurezza perché fosse data esecuzione all’ordinanza di sospensione dei lavori, il commissario ebbe a rifiutarsi affermando che il Questore gli aveva telefonato di non occuparsi di questa faccenda. Quindi, il sindaco non ha avuto l’ausilio della pubblica sicurezza per poter far sospendere i lavori, ed i lavori sono continuati e continuano tuttora. Così si verifica l’assurdo di un Ministero della marina mercantile che si preoccupa dell’ampliamento di una chiesa anziché dell’ampliamento del porto, e di un Ministero dell’interno che si preoccupa di dare tutela non al sindaco di una città, ma ad un parroco che deve ampliare la sua chiesa.

Ecco i motivi sostanziali per i quali non posso essere assolutamente sodisfatto ed elevo formale protesta in nome della città di Pozzuoli.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Gloria, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere in base a quale criterio saranno formate le commissioni esaminatrici dei candidati al concorso di cui al supplemento n. 1 della Gazzetta Ufficiale n. 158, del 14 luglio 1947».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. I criteri di formazione delle Commissioni esaminatrici dei concorsi per le scuole medie non sono determinati dal Ministro, ma sono fissati da una serie di disposizioni legislative. Cito il decreto 9 dicembre 1936, n. 2480, il decreto 5 luglio 1934, n. 1185, il decreto 26 gennaio 1933, n. 153, il decreto 26 maggio 1942, n. 739. In queste disposizioni di legge si trovano i criteri relativi alla formazione delle Commissioni esaminatrici dei concorsi per le scuole medie.

In poche parole, i criteri sono i seguenti: vi è una nomina di cosiddetti commissari di maggioranza, cioè degli universitari, e questa nomina è fatta dal Ministro su designazione della Giunta del Consiglio Superiore. Questa designazione è stata già chiesta dal Ministero al Consiglio Superiore, e ritengo che la Giunta, riunendosi fra breve tempo, sarà in grado di designare al Ministro i nomi degli universitari che possono entrare nella Commissioni giudicatrici per i concorsi delle scuole medie.

Poi ci sono i cosiddetti Commissari di minoranza, cioè professori dell’ordine medio. Anche questi sono di nomina ministeriale, ma su designazione del Collegio degli ispettori centrali, cioè degli ispettori tecnici della scuola classica e tecnica. Anche questa designazione è stata chiesta, in data 25 luglio, all’organo competente.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Gloria ha presentato una seconda interrogazione al Ministro della pubblica istruzione «per conoscere i motivi in base ai quali sono stati introdotti nel bando di concorso di cui al supplemento n. 1 della Gazzetta Ufficiale n. 158, del 14 luglio 1947, i paragrafi 4 e 6 (comma d) ed il paragrafo 9 (comma 6°) evidentemente lesivi del buon diritto di ogni cittadino partecipante al concorso suindicato».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Comincio dal paragrafo 4. Non so se l’onorevole interrogante la lettera d) riferisca al paragrafo 6 o anche al paragrafo 4.

Comunque illustrerò il paragrafo 4 e le ragioni che hanno indotto il Ministero ad introdurre questo paragrafo nel bando di concorso.

Debbo fare una premessa: non vi è una parola nel paragrafo 4 che non sia citata da precedenti disposizioni di legge. Quindi da parte del Ministero nella formulazione dell’articolo 4 non c’è stata nessuna aggiunta, altro che delle ripetizioni di leggi attualmente vigenti, come posso senz’altro illustrare.

Questo paragrafo 4 dice che sono ammessi ai concorsi di esame determinate categorie di candidati. Però fissa una duplice limitazione. Questi candidati possono solo ottenere l’abilitazione o l’idoneità, cioè non possono partecipare al concorso di cattedra nelle scuole medie. Inoltre, questi candidati quando hanno ottenuto l’abilitazione o l’idoneità possono insegnare esclusivamente in scuole dipendenti dall’autorità ecclesiastica e quindi non in pubbliche scuole statali. Quindi, la duplice limitazione che è posta nel primo capoverso del paragrafo 4.

Chi sono coloro che possono trovarsi in queste condizioni?

La lettera a) fissa che possono concorrere a questa abilitazione coloro che sono in possesso di un titolo di studio avente pieno valore di abilitazione, cioè si tratta di lauree anteriori alla introduzione nella nostra legislazione dell’esame di abilitazione. Come l’onorevole interrogante sa, queste lauree in ogni caso (anche per gli altri bandi) vengono considerate lauree abilitanti, in quanto, non esistendo in quella epoca l’abilitazione, non poteva il candidato presentarsi alla abilitazione stessa. Dunque costoro che hanno queste lauree abilitanti possono presentarsi al fine di ottenere una abilitazione che possa raggiungere quei sette decimi che sono richiesti dall’articolo 30 della legge 19 gennaio 1942 che è espressamente citato in questo paragrafo.

Che cosa dice questo articolo 30 della legge 19 gennaio 1942? L’articolo 30 afferma che le scuole non statali per essere sedi di esame devono avere almeno la metà di insegnanti abilitati con sette decimi. È una garanzia che lo Stato richiede alle scuole non statali perché possano essere sedi di esame.

Ora, perché queste scuole possano avere insegnanti abilitati con almeno sette decimi, la lettera a) del paragrafo 4 permette agli abilitati con meno di sette decimi di sostenere un esame di abilitazione per ottenere l’idoneità, cioè l’abilitazione con sette decimi.

Faccio presente che tutto il paragrafo a) non è che la citazione integrale dell’articolo 30 della legge 19 gennaio 1942. Non è cambiata una virgola, cioè noi abbiamo riprodotto una disposizione vigente.

I paragrafi b) e c) si riferiscono all’articolo 40 del concordato: anche questi non sono che due paragrafi i quali riportano rispettivamente l’articolo 31 della legge 19 gennaio 1942, cioè si è inclusa nel bando di concorso una disposizione la quale è disposizione di legge vigente.

Anche in questo, da parte dei compilatori del bando, nessuna novità è stata introdotta.

Non so se citando la lettera d) l’onorevole interrogante si riferisca anche a questa lettera d). Penso che la questione possa sembrare apparentemente grave, per quanto riguarda la lettera d).

Anche qui devo fare la consueta premessa: si tratta della ripetizione letterale dell’articolo 38 della legge 19 gennaio 1942. Cioè, si ammette che coloro i quali per cinque anni hanno insegnato in scuole private – in cinque anni, però, che siano anteriori al 19 gennaio 1942, non successivi al 1942 – possono essere ammessi all’abilitazione. Naturalmente, anche qui, vi è una duplice limitazione, cioè vi è la limitazione relativa al tipo di scuole in cui questi possono insegnare (cioè possono insegnare esclusivamente in scuole dipendenti dall’autorità ecclesiastica) e vi è, poi, la limitazione rispetto alla materia, cioè possono essere abilitati solamente in quella disciplina che hanno insegnato per cinque anni, anteriormente al 19 gennaio 1942.

Io ho visto nei giornali varie obiezioni a proposito di questo articolo. Non so se l’onorevole interrogante tende a farsi interprete di queste obiezioni che sono già state prospettate dalla stampa stessa.

A questo proposito, dovrei rapidamente fare alcune precisazioni relative a questo articolo che ho riassunto. Intanto, questo articolo è nel bando dei reduci, perché evidentemente ci possono essere ecclesiastici che si trovino in quelle condizioni previste dal bando per i reduci, cioè che siano stati combattenti, reduci, partigiani o che, comunque, abbiano dovuto sospendere gli esami per cause dovute alla guerra; dunque è inserito in questo bando.

 Si può fare l’obiezione – ed è quella che è apparsa nella stampa –: l’articolo 38 (che sembra quello maggiormente controverso) appare nella legge del 1942 in un capitolo intitolato «Disposizioni finali e transitorie». Essendo nel titolo delle disposizioni transitorie, si può ritenere che la norma abbia una applicazione puramente transitoria, e questa mi sembra la questione più sottile relativa a questa materia.

Io dico che il capitolo parla di disposizioni finali e transitorie, il che significa che nel capitolo ci sono disposizioni finali – cioè quelle che non si possono raggruppare in altri capitoli – e disposizioni transitorie. Che vi siano disposizioni di questo duplice tipo è evidente: basta considerare l’articolo 38 e l’articolo 39, che viene immediatamente dopo. Infatti, l’articolo 39 dice:

«Nei cinque anni successivi all’entrata in vigore della presente legge ecc.»; quindi, riguarda la sede degli esami. Questa norma, quindi, si applica esclusivamente nei cinque anni successivi all’entrata in vigore della legge.

Ma l’articolo 38, che appartiene evidentemente alle norme finali, non contiene alcun accenno ad un limite di tempo nel quale può essere applicata la norma. Vi è, sì, un limite di cinque anni interno alla norma stessa; ma questo non è il limite di efficacia della norma, bensì una condizione che è posta a chi intenda partecipare al concorso. Chi intende partecipare al concorso deve avere il requisito dell’insegnamento per cinque anni, anteriormente al 19 gennaio 1942. Quindi, è un requisito che si chiede al soggetto partecipante al concorso; ma non è un limite di efficacia della norma stessa. Io non so se mi inganno, comunque l’onorevole interrogante potrà fare le sue contestazioni.

In ogni modo, se fosse una norma transitoria applicabile una tantum – come ho visto scritto in qualche pubblicazione – questa norma avrebbe dovuto essere applicata una volta sola; mentre, di fatto, è stata applicata due volte, in due differenti bandi di concorso, cioè nel bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 1942, n. 54, suppletivo al bando generale del 1941, ove appare l’articolo 38 tradotto in termini di bando. Inoltre, nel bando del gennaio 1943, appare ugualmente l’articolo 38. Vuol dire quindi che i precedenti legislatori hanno dato costantemente questa interpretazione; non si tratta quindi di una norma transitoria che dovesse essere applicata una tantum, ma di una norma destinata a continuare ad aver vigore sino a che dura la legge che la contiene. C’è poi una questione di carattere morale, ed è quella che riguarda il privilegio a favore di determinati concorrenti. L’interrogante stesso, anzi, se non erro, dice che tale privilegio lede i diritti dei cittadini: «evidentemente lesivi del buon diritto di ogni cittadino». Io non so: questo è un tema che può essere discusso. Ma a me importa precisare che io non sono andato oltre il mio dovere, in quanto ho inserito una norma che non poteva non essere inserita perché, se non lo fosse stata, gli interessati avrebbero potuto ricorrere per lesione di un loro buon diritto.

Comunque, qui bisogna tener presente che è lo Stato che esige qualche cosa; ed è precisamente l’esigenza di una garanzia: la garanzia cioè che gli insegnanti di queste scuole private son tenuti a fornire allo Stato sottoponendosi a quel determinato controllo. Comunque il bando è integralmente riprodotto, sotto questo riguardo, da quello del 19 gennaio 1943.

La seconda interrogazione dell’onorevole Di Gloria è quella che riguarda il paragrafo 6 nel quale, fra gli altri documenti che vengono richiesti al concorrente, figura anche il certificato di buona condotta morale e civile: non più politica, grazie a Dio. Orbene, esso non è che l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 3, del decreto sullo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato. Esso infatti reca: «Per ottenere la nomina ad impiegato civile dello Stato è necessario soddisfare alle seguenti condizioni: aver tenuto sempre regolare condotta civile e morale – e qui diceva anche politica – da valutarsi a giudizio insindacabile dell’Amministrazione». E questa è una legge: se ne potrà proporre la modifica o l’abrogazione, ma, finché ciò non si sarà creduto di fare, è vigente e si deve applicare.

D’altronde io vedo che anche i miei colleghi che bandiscono concorsi per le loro amministrazioni adoperano esattamente le stesse parole. Questo dunque per quanto riguarda la buona condotta civile e morale.

Vi è infine l’ultima obiezione sollevata dall’onorevole Di Gloria. Essa è quella sulla quale soprattutto ha insistito la stampa. Si tratta dell’esclusione dal concorso su giudizio insindacabile del Ministro. Ma anche qui si tratta di una disposizione di legge che risale al 1908, mentre a me si attribuisce la paternità, e che deriva dall’articolo 1 del decreto-legge del 1923. Infatti, l’ultimo paragrafo dell’articolo 1 dice: «Il Ministro, con decreto non motivato e insindacabile, può negare l’ammissione al concorso». Nei bandi di concorso gli Uffici non fanno che tradurre ciò che è consuetudine, ciò che corrisponde, poi, ai termini della legge vigente. Quindi non so come io possa essere accusato della paternità di una cosa che non solo è resa obbligatoria dalla legge in vigore, ma d’altra parte è largamente diffusa in tutti i bandi di concorso.

Mi limiterò a citare qui il concorso del Ministero dell’industria e commercio – Ministro Morandi – (siccome si è fatta larga pubblicità sulla stampa circa i metodi fascisti che ancora sarebbero in vigore nell’amministrazione della pubblica istruzione, sento qui il dovere di fare anche delle citazioni, anche se queste, purtroppo, sono delle citazioni ovvie) – Gazzetta ufficiale 1947; in cui si dice: «Il Ministro dell’industria e del commercio, con decreto non motivato e insindacabile, può negare l’ammissione al concorso».

Concorso bandito dal Ministro Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale, articolo 5 – pure nel 1947 –: «L’ammissione potrà essere negata con decreto ministeriale non motivato e insindacabile».

Concorso bandito dal Ministro Gasparotto – 1947 –: «L’ammissione potrà essere negata con decreto ministeriale non motivato e insindacabile».

Concorso bandito dal Ministro di grazia e giustizia, Togliatti, il quale all’articolo 6 dice: «Il Ministro può negare, con provvedimento non motivato e insindacabile, l’ammissione al concorso». Qui andiamo anche oltre, perché nella formula usata dal bando del Ministero della pubblica istruzione, si può escludere per demerito un candidato; qui, addirittura, si arriva a negare l’ammissione al concorso stesso.

Concorso bandito dal Ministero delle finanze, Ministro Scoccimarro, articolo 3: «Il Ministro delibera sull’ammissione dei singoli aspiranti al concorso». Anche qui, nessuna garanzia specifica è resa esplicita.

Così il concorso del Ministro Cattani; così l’ultimo concorso del Ministro Del Vecchio, di alcuni giorni fa: «L’ammissione potrà inoltre essere negata con decreto ministeriale non motivato e insindacabile».

Si tratta, quindi, di una cosa talmente ovvia che mi sembra inutile insistere ulteriormente su di essa.

Però qualcuno ha detto: perché non si fa cenno alla possibilità del ricorso al Consiglio di Stato, cui si faceva cenno dalla legislazione fascista (con quanta sincerità e con quanto senso di rispetto della legge, ognuno può facilmente comprendere!)?

Questo non è detto per una ragione molto semplice; non solo nei bandi del Ministero della pubblica istruzione, ma anche in tutti gli altri bandi che ho citato, di Ministri appartenenti a tutti i partiti, non si è mai fatto cenno alla possibilità del ricorso al Consiglio di Stato per una ragione molto ovvia: e cioè che il ricorso, vale a dire la possibilità di ricorrere, è sottintesa. Tanto è vero che c’è il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato del 1924, il quale dice che l’interessato può sempre impugnare un provvedimento per vizio di legalità, violazione di potere, incompetenza, ecc., poiché è evidente che l’insindacabilità di un atto non esclude l’impugnabilità dell’atto stesso.

D’altra parte abbiamo discusso per quasi un anno con la Corte dei conti sugli aspetti formali di un così complicato bando di concorso, e la stessa Corte dei conti avrebbe certamente fatto presente se si fosse ricorso a leggi che non sono vigenti o se vi fossero state delle infrazioni, delle irregolarità o delle imprecisioni in queste norme finali.

Quindi, dico sinceramente, a meno che l’onorevole interrogante me lo dimostri con argomenti, che io forse non ho potuto prendere in considerazione, che non so quali siano quelle lesioni del buon diritto di ogni cittadino che egli crede di vedere nel bando del concorso.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Gloria ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GLORIA. Prima di tutto ringrazio l’onorevole Ministro per le spiegazioni alquanto diffuse che ha voluto dare alla mia interrogazione. Devo però dichiarare la mia insoddisfazione per quanto egli ha detto.

È naturale che l’onorevole Ministro citi tutte quelle leggi cui si è ispirato per poter giustificare certe clausole e certe disposizioni che sono state introdotte nel bando di concorso e per suffragare anche il criterio in base al quale saranno formate le commissioni esaminatrici dei concorrenti a cattedre nelle scuole medie. Ma se anche l’onorevole Ministro si ritiene giustificato, io ho tutto il diritto, per lo meno, di fargli una raccomandazione, e cioè questa: che delle commissioni esaminatrici vengano a far parte uomini che seguono notoriamente i più svariati indirizzi filosofici, perché solo in tal modo si potranno dare ai concorrenti serie garanzie circa la valutazione dei loro meriti e delle loro insufficienze. Se domani i concorrenti si dovessero trovare dinanzi a commissioni esaminatrici composte da uomini di un solo colore e che seguono un solo indirizzo filosofico, è ovvio che potrebbe nascere in essi la presunzione di una certa ingiustizia compiuta a loro danno.

Mi permetto quindi di insistere su questa raccomandazione.

D’altra parte non ritengo una giustificazione plausibile quella di riferirsi a determinate leggi, specialmente a quelle fasciste (Interruzione dell’onorevole Tonello), perché penso che il Consiglio dei Ministri, ed anche il Ministro della pubblica istruzione, abbia la facoltà di modificare, sia pure con norme transitorie od eccezionali, tutto ciò che reputa lesivo dei principî democratici. È possibile infatti, a parte il dire che la facoltà del ricorso è sottintesa, è possibile infatti che il Ministro domani, utinam falsus vates sim, possa motu proprio escludere dal concorso anche tutti quegli individui i quali, a norma del concorso stesso, avevano tutto il diritto di parteciparvi.

Che egli poi non ritenga una lesione del buon diritto dei cittadini la facoltà concessa agli ecclesiastici ed ai religiosi, sprovvisti di laurea, di partecipare a questi concorsi, mentre tale possibilità è negata ai laici, qualunque corso di studi questi ultimi abbiano compiuto, mi sembra veramente inammissibile.

Afferma l’onorevole Ministro che questi religiosi, una volta conseguita l’abilitazione, non hanno la possibilità di insegnare nelle scuole laiche. Ma si può domani, con una disposizione complementare, autorizzare sempre questi ecclesiastici ad insegnare nelle scuole statali, mentre la possibilità di conseguire l’abilitazione all’insegnamento e di insegnare poi nelle scuole è tassativamente negata a tutti i laici, quale che sia il corso di studi da essi compiuto, se sprovvisti di laurea.

Dire che per questi ecclesiastici si richiede l’abilitazione al solo fine di dare maggiore decoro e consistenza alle scuole religiose, significa soltanto spostare i termini della questione controversa senza volerla risolvere in modo giusto.

Nei riguardi del comma d) del paragrafo VI e del comma 6° del paragrafo IX non trovo giustificante la spiegazione dell’onorevole Ministro, in quanto che mi sembra che un’amministrazione democratica non possa e non debba concedersi il potere di assumere informazioni nei riguardi dei concorrenti in modo insindacabile e con tutti i mezzi, e di riservarsi poi la possibilità di escludere dal concorso, anche dopo l’inizio delle prove o l’espletamento del concorso stesso, il candidato che non risultasse degno di parteciparvi.

Io domando: con quali mezzi l’Amministrazione richiederà queste informazioni? Non sono sufficienti le informazioni dei carabinieri e del sindaco? Evidentemente sarà necessario interrogare qualche altra ben nota persona! II certificato penale non sarà pure sufficiente?

Ma il più bello viene adesso. Il comma 6° del paragrafo IX dice testualmente: «Anche fuori dei casi previsti nei precedenti commi il Ministro può negare l’ammissione al concorso con decreto non motivato e insindacabile».

Tali parole non hanno bisogno di commenti!

Il Ministro ci dice: ma hanno fatto così anche Togliatti, Morandi e tutti gli altri Ministri quando si è dato luogo ad altri concorsi. In fondo non si fa che ispirarci a leggi ancora vigenti!».

Io credo che sarebbe molto più opportuno da parte di ogni Ministro, che vive nell’odierno clima democratico, di correggere, via via che se ne presenta l’occasione, tutte le disposizioni che sono chiaramente lesive del buon diritto del cittadino. Ora, il vederle accettate quelle disposizioni, così come sono, potrebbe corroborare il legittimo sospetto di coloro che affermano che nulla oggi è cambiato, rispetto al passato prossimo, tranne qualche elemento di pura forma governativa.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Guardi, però, che è del 1908; non è dall’epoca del fascismo che esiste questo principio.

DI GLORIA. Ma è una disposizione fortemente antidemocratica, e perciò il Consiglio dei Ministri o il Ministro interessato avrebbe potuto farsi parte diligente per modificare questo principio che urta in modo così evidente la nostra sensibilità politica.

Comunque, ringrazio l’onorevole Ministro per la spiegazione che ha voluto concederci e lo prego di fare di tutto perché almeno le nostre scuole di Stato, mi si perdoni la scherzosa iperbole, non diventino dei seminari.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Codacci Pisanelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per restituire il dovuto prestigio all’Istituto orientale di Napoli, riportandolo alla sua missione di custode, diffusore e incrementatore del patrimonio di cultura e civiltà, merito degli orientalisti italiani».

L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole Codacci Pisanelli certamente conosce la complicata storia dell’Istituto orientale, che risale al 1727 e che aveva la finalità di educare i giovani cinesi i quali venivano a contatto con la civiltà europea e dovevano poi farsi banditori della civiltà europea nell’Estremo Oriente.

Ora, tenendo presenti sia l’origine storica sia l’orientamento che l’Istituto orientale ha avuto negli anni anteriori alla guerra, si deve considerare, per venire immediatamente sull’argomento posto dall’onorevole interrogante, che l’attuale consistenza numerica della popolazione scolastica dell’Istituto orientale di Napoli è tale da farci pensare che sia particolarmente urgente un radicale riordinamento dell’Istituto stesso in base ad una chiara visione delle finalità che l’Istituto deve avere. Ed in particolare è da vedere se per raggiungere tale scopo, occorrerà una riforma istituzionale, che riconduca l’Istituto alle sue tradizioni unicamente orientalistiche, poiché l’Istituto orientale di Napoli praticamente al giorno d’oggi è soprattutto un istituto occidentale, per il fatto che invece di insegnarsi in esso le lingue orientali, l’insegnamento fu da prima semplicemente limitato ad alcune lingue occidentali e poi questo insegnamento è venuto sempre più aumentando fino ad assorbire tutta l’attività della scuola stessa.

Il Ministero della pubblica istruzione si è già interessato della questione, che è stata portata all’esame del Consiglio Superiore. Una volta conosciuto il parere dell’Alto consesso potranno essere messi allo studio i singoli provvedimenti da attuare. Nel frattempo il Ministero, al solo scopo di venire in possesso degli elementi per l’esame della situazione, ha sottoposto la questione ad un’apposita commissione nella quale figurano anche, oltre gli insegnanti universitari, un funzionario amministrativo e vari professori. La relazione predisposta da tale commissione contiene fra l’altro le seguenti proposte.

Questa è la parte positiva e costruttiva, poiché sulla critica facilmente potremmo spaziare in recriminazioni che lascerebbero il tempo che trovano. La parte costruttiva proposta dalla Commissione è:

1°) inclusione di un esame di ammissione ai corsi di laurea dell’Istituto, analogo a quello previsto dalle vigenti disposizioni per l’accesso ai corsi di laurea delle facoltà di magistero. Attraverso l’esame di ammissione si intende restringere la possibilità di inflazione studentesca dell’Istituto orientale. Con ciò si potrebbe raggiungere il duplice scopo di fronteggiare il preoccupante fenomeno della pletora di studenti e migliorare dal punto di vista qualitativo la preparazione e le attitudini della massa degli studenti stessi. A tal riguardo l’esame, se informato a criteri di serietà, potrebbe dare sicuro affidamento;

2°) aumentare al numero massimo possibile i lettori stranieri appartenenti ai Paesi le cui lingue vengono insegnate nell’Istituto. Si è notata una progressiva diminuzione di insegnanti stranieri di quelle lingue che vengono insegnate nell’Istituto; mentre l’esperienza di questi insegnanti stranieri è stata una esperienza veramente positiva;

3°) aumento delle cattedre di ruolo. Presentemente sono in organico solo sette posti, assolutamente inadeguati per la vastità dei compiti di questo Istituto universitario e per il numero della popolazione stessa;

4°) mantenimento della sospensione delle nuove iscrizioni al corso di laurea in scienze coloniali, che fu istituito per far fronte a esigenze che oggi risultano, per lo meno, sensibilmente ridotte.

A tal proposito è da tener presente che, su conforme avviso della Presidenza del Consiglio, è stata messa allo studio delle varie amministrazioni – e in alcune è già stata risolta in senso affermativo – l’ammissione ai varî impieghi statali dei portatori di questo titolo di laurea (scienze coloniali). Ciò appunto perché i laureati in scienze coloniali – se non fosse positiva la nostra proposta – non potrebbero trovare assorbimento in altre attività analoghe, perché non si vede un’analogia diretta in altri impieghi con questi particolari studi coloniali.

Con la soppressione dell’iscrizione a questo scopo, si potrebbe arrivare alla graduale soppressione del corso stesso.

Per quanto attiene l’aspetto finanziario della questione, la predetta commissione non ha fatto pervenire le sue conclusioni. Una volta a conoscenza di queste, sarà possibile esaminare se e quale maggior contributo potrà essere dato al bilancio dell’Istituto, naturalmente con l’assenso del Ministero del tesoro, in aggiunta al contributo annuo in atto, la cui misura, tenuto conto della quintuplicazione sancita da un provvedimento legislativo di recente applicazione, è di lire 750.000.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODACCI PISANELLI. Ringrazio l’onorevole Ministro per l’esauriente risposta e per la dimostrazione dell’interessamento che egli ha per l’Istituto orientale di Napoli, dalle belle tradizioni e dal bel patrimonio!

Purtroppo, oggi, l’Istituto lascia a desiderare quanto a serietà di studi e a rigore di amministrazione. D’altra parte, come lo stesso onorevole Ministro ha osservato, esso si sta trasformando da istituto orientale in istituto occidentale!

Quanto alla serietà degli studi, si è potuto constatare, specialmente nel periodo bellico, allorché gli studenti dell’Istituto orientale erano ammessi a sostenere esami in altre università, come la loro preparazione fosse inadeguata e insufficienti i testi ad essi consigliati per lo studio delle varie discipline.

Come altro indice della poca serietà degli studi ricorderò l’episodio di un candidato alla laurea, ammesso a sostenere tale esame con deliberazione della Facoltà, benché non avesse sostenuto gli esami del quarto anno. Discusse una tesi di amarico. I membri della Commissione furono scelti in modo che nessuno di essi conoscesse l’amarico. Il relatore dichiarò di non conoscere tale lingua. Il candidato conseguì la laurea con pieni voti e la lode e con la pubblicazione della tesi, che fu pubblicata effettivamente con discredito dell’Istituto.

Aggiungerò, tuttavia, che si trattava del periodo bellico.

Ho accennato anche a scarso rigore nella amministrazione. L’Istituto è fornito di un patrimonio non indifferente, specie se paragonato ad altri istituti, con possibilità, quindi, di intensa attività. Qualche dubbio sorge, però, sulla economica gestione dei fondi.

Per esempio, negli anni trascorsi si è ricorso al «comando» anche per insegnamenti per i quali non sarebbe stato necessario. Faccio presente che, dal punto di vista amministrativo, il comando implica un onere notevole per l’Istituto: affidando l’insegnamento di una disciplina per incarico si spendevano in quel periodo dalle diciotto alle venti mila lire annue; viceversa, il comando veniva a costare dalle 200 alle 250 mila lire. Notevole, perciò, l’aumento dell’onere per il bilancio dell’Istituto.

Vi sono stati «comandi» relativi al tedesco, all’inglese ed all’italiano, mentre nella Facoltà di lettere dell’Università di Napoli vi sono professori insigni, cui l’incarico avrebbe potuto essere conferito con perfetta tranquillità, così come si era già fatto in passato.

Il richiamo di uno fra i sintomi di poco rigore amministrativo conferma l’opportunità dell’azione svolta dal Ministero, nominando una commissione incaricata di occuparsi in particolare dell’Istituto orientale di Napoli.

Preoccupa, finalmente, il fatto che esso sta perdendo il suo carattere originario, che è bene riprenda: quello di diffusione della cultura italiana in Oriente e di propulsione degli studi orientali. L’Istituto va perdendo il suo carattere orientale perché si dà speciale importanza allo studio dell’inglese, del tedesco e del francese, tutte lingue occidentali. Vi è, sì, la tesi di coloro, i quali sostengono che, siccome la missione dell’Italia verso l’Oriente sarebbe praticamente finita, è molto meglio profittare dell’Istituto orientale per servirsene allo scopo di dare opportuna preparazione ai nostri emigranti. È cosa, senza dubbio, importante dare una preparazione agli italiani che devono recarsi all’estero. Ben pochi, però, dei destinati all’emigrazione avranno la possibilità di passare attraverso un Istituto universitario! Se alla preparazione degli emigranti vorremmo provvedere, dovremmo farlo con altri mezzi. Non possiamo distruggere l’ottimo strumento di cui disponiamo per diffondere la nostra civiltà in Oriente e per assimilarne la cultura, agevolando quegli scambi e quei traffici sempre riusciti particolarmente fecondi.

Tengo soprattutto a fare presente quale ascendente goda ancora oggi l’Italia nei Paesi orientali. Sono continue le affermazioni di stima e di devozione verso il nostro Paese. Abbiamo avuto un esempio veramente toccante, come quello dei Karamanli in Libia, i quali hanno voluto dimostrare la loro fedeltà all’Italia, anche a costo della vita di un membro dell’illustre famiglia, recentemente sacrificata per questo ideale.

 Sono frequenti le richieste di coloro che desiderano vedere e conoscere gli istituti annessi all’Istituto orientale di Napoli, come quello, assai rinomato, di turcologia, ma purtroppo oggi praticamente non esistono. Concludo affermando che è molto importante tenere conto dell’Istituto orientale partenopeo dal punto di vista della nostra politica estera. E la deliberazione della Commissione ministeriale relativa all’aumento del numero di lettori stranieri è senza dubbio da incoraggiare.

Purtroppo, questo numero si è andato assottigliando perché essi sono stati osteggiati dai nostri stessi connazionali. Così per quanto riguarda una professoressa tigrina di nascita, ma fiera della cittadinanza italiana conquistata da suo padre. La professoressa, compiuti gli studi in Italia, ha insegnato nell’Istituto orientale di Napoli, ma recentemente, dato l’inadeguato trattamento usatole, è stata costretta ad accettare l’invito del Governo Abissino di recarsi a insegnare ad Addis Abeba, dove fa onore alla cultura orientalistica italiana. Un altro docente straniero, che ci lega la Libia, ha dimostrato nella maniera più efficace il suo attaccamento all’Italia, anche a costo di sacrificare tutti i propri beni, benché il trattamento a lui riservato non sia stato dei più convenienti.

Termino ringraziando l’onorevole Ministro e dicendo che mi compiaccio dei lavori della Commissione da lui nominata. Mi auguro che essa provveda soprattutto per quanto riguarda la parte amministrativa e mi auguro soprattutto che nel Consiglio di Facoltà dell’Istituto orientale di Napoli vengano inclusi, come nel passato, un rappresentante del Ministero degli esteri ad un rappresentante del Ministero dell’Africa italiana; con questa intesa mi dichiaro soddisfatto, convinto dell’importanza che il Ministro annette all’Istituto Orientale di Napoli per continuare a diffondere verso oriente quella cultura e quella civiltà che l’Italia vi irradia, ricambiata da irradiazioni non meno feconde, fin dai tempi gloriosi di Amalfi, di Genova, di Venezia, di Pisa!

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Vernocchi, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi di quei dipendenti dell’Università di Perugia (siano essi professori, aiuti, assistenti, ecc.), i quali, in base alle risultanze delle inchieste tecnico-sanitarie, amministrativa ed universitaria, a suo tempo disposte dalle superiori autorità e già concluse, risultino gravemente compromessi nelle malversazioni compiute a danno dell’Amministrazione degli Ospedali riuniti e Policlinico della su nominata città».

Il Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Il Ministero della pubblica istruzione non ha mancato di disporre indagini sulle accuse mosse al personale universitario di Perugia circa malversazioni che si sarebbero compiute a danno dell’amministrazione ospedaliera e del Policlinico di Perugia.

Tali indagini sono tuttora in corso e pertanto il Ministero non è ancora in grado di riferire se e quali provvedimenti siano da adottare a carico del predetto personale.

D’altra parte il Ministero della pubblica istruzione non ha mancato d’interessare quello dell’interno perché facesse conoscere l’esito delle indagini da esso disposte; ma sinora non ha avuta alcuna comunicazione in merito.

In base ad apposita convenzione, che deve essere rinnovata, l’ospedale di Perugia, che è un ente morale sotto la tutela del prefetto e del Ministero dell’interno, ha messo a disposizione dell’università le sue cliniche.

L’anno scorso fu nominato presidente dell’ospedale il professor Lucio Severi, membro della Facoltà di medicina.

Sorsero contrasti non pochi tra alcuni membri della Facoltà di medicina e l’amministrazione dell’ospedale. Vi furono accuse di ogni genere degli uni contro gli altri.

Il Ministro dell’interno, l’Alto Commissario per la sanità e il Ministro dell’istruzione disposero indagini e accertamenti in proposito, a mezzo di ispettori che si recarono sul luogo.

Le accuse contro i clinici e contro l’amministrazione dell’ospedale furono portate anche in pubblico e se ne occuparono i giornali.

Gli accertamenti e le indagini da esperire erano complessi.

Di recente ii Ministero dell’interno ha disposto lo scioglimento dell’amministrazione dell’ospedale e la nomina di un commissario nella persona di un prefetto a disposizione.

Intanto vi sono due procedimenti giudiziari in corso, uno che riguarda l’amministrazione dell’ospedale per mancata denunzia di grano all’ammasso ed altra, sorta in seguito a querela per diffamazione del professor Dominici, titolare della cattedra di clinica medica, contro un giornalista locale a proposito di accuse di malversazioni e di profitti illeciti del Centro dei datori di sangue, presieduto dallo stesso Dominici. Questo Centro, a norma di legge, dipende dall’Alto Commissario per la sanità e dalla prefettura.

Qualche giorno fa la stessa prefettura ha posto alla direzione del Centro di datori di sangue il direttore sanitario dell’ospedale, riconoscendo non legittima a norma di legge la nomina già fatta a presidente di quel Centro del professor Dominici.

Un ispettore generale del Ministero dell’istruzione è stato incaricato di completare le indagini e gli accertamenti del caso per ciò che riguarda l’attività dei professori e assistenti universitari.

Tra breve, conosciute le ultime e definitive risultanze dell’inchiesta disposta, si potrà dirimere ogni questione e si potranno adottare i provvedimenti necessari e non si mancherà, se del caso, di procedere contro coloro che risulteranno responsabili.

Occorre, tuttavia, per logiche ragioni, aspettare che siano definiti i due procedimenti penali, di cui ho già fatto cenno, prima di adottare gli altri necessari provvedimenti amministrativi.

Per la definizione della vertenza non si mancherà di procedere d’accordo con il Ministero dell’interno e con l’Alto Commissariato per la sanità, che sono anch’essi direttamente interessati alla vertenza e il cui ausilio, ad ogni modo, è indispensabile per assicurare, con il rinnovamento della convenzione, i servizi sanitari di Perugia e l’attività stessa della Facoltà di medicina e chirurgia.

PRESIDENTE. L’onorevole Vernocchi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VERNOCCHI. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua risposta, pur non potendomi dichiarare sodisfatto.

L’inchiesta che è stata disposta dal suo Ministero ha già avuto qualche conclusione; tanto è vero che io conosco queste conclusioni. Ma vi è un’altra inchiesta, ed è quella disposta dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità, che è arrivata a conclusione. Quindi, l’onorevole Ministro, dato che, nella mia interrogazione, mi riferivo particolarmente a tutte le inchieste, anche a quella amministrativa, avrebbe potuto prendere visione dei risultati delle altre due inchieste amministrative e tecnico-sanitarie ed avrebbe constatato come emergano dati positivi di responsabilità nei confronti di alcuni clinici che hanno rapporto con gli ospedali di Perugia.

Non vorrei annoiare l’Assemblea, ma devo dichiarare che il mio temperamento è un po’ originale; quando io ho la convinzione di difendere una causa giusta, vado fino in fondo, a costo di qualunque cosa, a costo anche di annoiarvi, onorevoli colleghi. Perché le ragioni per le quali ho presentato quasi sullo stesso argomento una prima interrogazione al Ministro dell’interno che ho già svolta, una seconda al Ministro della pubblica istruzione che sto svolgendo in questo momento, ed una terza ancora al Ministro dell’interno che dovrò svolgere in avvenire, più complessa e più completa perché tende a stabilire le cause che hanno determinato lo scioglimento dell’amministrazione dell’Ospedale di Perugia, sono di ordine morale.

Onorevole Ministro, io posso capire che, quando si giudica una questione che è determinata dall’elemento politico e dall’interesse di parte, ci si possa trovare contrari; ma quando non vi è elemento politico, quando non vi è interesse di parte, ma vi è solo un elemento di natura morale, noi, a qualsiasi partito apparteniamo, dobbiamo essere concordi nella valutazione e nel giudizio.

Orbene, che cosa è accaduto? È accaduto che un’inchiesta del suo Ministero ed un’altra dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità stabiliscono, in modo preciso, delle responsabilità di ordine morale a carico di alcuni clinici. Responsabilità di ordine morale che si riferiscono a speculazioni nella vendita di prodotti farmaceutici di grande necessità, assegnati dall’Alto Commissariato per la sanità, a disordine amministrativo, ad abusi nelle prestazioni, a falsi nell’affermare il diritto di procedere alla fabbricazione di autovaccini per una pretesa concessione ad personam che invece è proibita dalla legge, ad irregolarità che riguardano il Centro datori di sangue e il centro antidiabetico. Questo risulta con la indicazione di nomi e cognomi e con precisazione di fatti dalla relazione tecnico-sanitaria che è in mie mani.

Non faccio nomi perché non voglio dare a questo mio intervento sapore di significato scandalistico.

Ma pensate che uno di questi clinici è rappresentato in una maniera così grave da far pensare seriamente alla necessità di un immediato intervento dell’autorità da cui dipende. Si dice di lui che non vive coi proventi della professione, che conduce una vita dispendiosa superiore alle sue possibilità, che ha il vizio di giocare d’azzardo e, permettetemi di dirlo con un eufemismo, di correggere la fortuna quando gli è avversa. (Commenti).

Quando vi sono elementi di questo genere a carico di clinici che dipendono dal vostro Ministero, voi avete il dovere di intervenire ed anche il dovere di eliminare questo mal costume che a tempo si è manifestato negli ospedali di Perugia, e non per colpa degli amministratori, i quali, a cominciare dal presidente professore Severi, sono uomini di integrità morale ineccepibile. La mancata consegna del grano all’ammasso, cui avete accennato, onorevole Ministro, è una accusa puerile, determinata dalla campagna scandalistica iniziata per ragioni che oramai l’Assemblea conosce e che verrà subito chiarita.

Ed insieme al professore Severi vi sono altri cittadini probi sui quali neanche un sospetto può essere elevato. Vi è stata una campagna scatenata contro costoro, ma da chi? Proprio e particolarmente da quei tali medici che non volevano controlli di alcuna specie, che volevano invece perpetuare ancora il disordine e gli abusi e vi è stata una campagna che è associata, come ho dimostrato nella precedente mia interrogazione, a quella famosa vendita delle due grandi tenute che si allacciano, nella tradizione, a San Francesco e che sono di proprietà dell’ospedale.

Ecco quel che c’è sotto. Onorevole Ministro, io vi prego – nelle indagini che farete – di tener conto di quello che ho detto, perché la questione va posta in questi termini precisi: o la relazione di inchiesta è veritiera, le risultanze sono giuste e basate su fatti e vi sono quindi dei colpevoli, ed allora occorre punire, o non è veritiera, e allora si puniscano coloro che hanno fatto l’inchiesta, che non hanno visto il giusto od hanno interpretato il giusto come il non giusto.

Ecco perché io vi prego di associarvi a noi in questa opera che tentiamo svolgere per elevare il costume morale del nostro Paese. Credo che ci siano molti motivi nella nostra vita politica che dividono oggi i nostri partiti, ma deve esservi un punto su cui tutti noi dobbiamo concordare, e devono concordare tutti i partiti dell’Assemblea, ed è il risanamento morale del nostro popolo. Dovunque vi è una dimostrazione di disonestà, dobbiamo intervenire; e dovete intervenire voi particolarmente che siete al Governo e che avete la responsabilità dell’onestà e della rettitudine della burocrazia che da voi dipende. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Moscatelli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della difesa e del tesoro, «per sapere se abbiano sentore del vivissimo sdegno col quale i combattenti della guerra 1915-18 hanno accolto le disposizioni riguardanti il pagamento della polizza ad essi rilasciata al momento del loro congedo e che, avendo anche potuto costituire in quei tempi lontani un dono dignitoso, si è trasformato oggi, per la svalutazione della moneta, in una elemosina umiliante che gli interessati da ogni parte dichiarano di respingere con indignazione; e se non ritengano doveroso e urgente sospendere provvisoriamente il corso legale della disposizione emanata, per disporre una congrua rivalutazione dell’ammontare del premio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Ritengo opportuno esporre anzitutto gli elementi della situazione di fatto.

Per i combattenti della guerra 1915-18 furono emesse n. 3.101.461 polizze da lire 1000 ciascuna, in 5 gruppi, a favore di militari di truppa e sottufficiali per un complesso di lire tre miliardi, 101 milioni, 461 mila; n. 49 mila polizze di lire 5000, in due gruppi, a favore di ufficiali per un complesso di lire 245 milioni. Numero 1500 polizze da lire 1500 a favore di ufficiali invalidi e mutilati durante il periodo 1915-18, per un complesso di 2.250.000 lire.

L’ammontare complessivo delle polizze ascendeva a lire tre miliardi trecentoquarantotto milioni settecentoundicimila.

Per effetto dell’ammortamento anticipato e di quello ordinario, fino al 31 agosto 1947 sono state tolte dalla circolazione polizze per complessive lire 727 milioni 661 mila. Sono state, poi, donate all’Erario polizze per complessive lire 25 milioni 139 mila. L’ammontare delle polizze attualmente in circolazione è di 2 miliardi 595 milioni 911 mila lire.

Al Ministero del tesoro è finora pervenuta una sola proposta di rivalutazione delle polizze, da parte di un titolare umbro, il quale ha chiesto che, in conseguenza della svalutazione della lira, l’importo di ciascuna polizza sia moltiplicato per il coefficiente 30. L’accoglimento di siffatta proposta importerebbe, ovviamente, l’aumento dell’onere dello Stato da lire 2 miliardi 595 milioni 911 mila, a lire 77 miliardi 877 milioni 330 mila.

Questa conseguenza, di per sé grave, assume una portata di gravità ancora maggiore ove si consideri che la svalutazione monetaria, la quale influisce a rendere minimo il valore delle polizze concesse ai combattenti della prima guerra mondiale, agisce anche in tutti gli altri settori in cui esistono titoli di credito vincolati al loro valore legale, con l’impossibilità per i loro titolari di chiederne il ragguaglio col valore corrente della lira. Tra questi sono, in prima linea, i possessori di titoli di Stato, specie quelli di emissione di antica data.

La questione, per la generalità dei casi che involgerebbe e per le ripercussioni che non mancherebbe di suscitare in altri settori, non può attualmente trovare la su prospettata soluzione, cioè la moltiplicazione del valore nominale della polizza per trenta o per altro simile coefficiente, e ciò in special modo per l’impossibilità da parte dell’erario di sostenere l’aggravio notevolissimo che ad esso ne deriverebbe.

Assicuro peraltro gli onorevoli interroganti che la questione stessa non è archiviata, ma forma oggetto di studio per una soluzione compatibile – e quanto più possibile sollecita – con la capacità finanziaria dello Stato.

PRESIDENTE. L’onorevole Moscatelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MOSCATELLI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per il tesoro, soprattutto per le sue ultime parole, per la dichiarazione che la pratica relativa alle polizze non è archiviata, ma è anzi allo studio, allo scopo di cercare di andare incontro alle giuste richieste dei combattenti della guerra del 1915-18. Però, io lo ringrazierei ancora di più, e potrei anche dichiararmi sodisfatto, se egli, in conseguenza di questa sua dichiarazione, sospendesse ora la liquidazione delle polizze; perché è inutile dire che il problema delle polizze non è archiviato, è allo studio, mentre nello stesso tempo si autorizza la liquidazione delle polizze stesse. Occorre sospendere fin da ora questa liquidazione e tranquillizzare così una numerosa categoria di benemeriti della Patria.

È vero che, se andiamo sul piano tecnico, il Governo può avere ragione dato che, sotto il profilo tecnico, la burocrazia riesce sempre a dimostrare di aver ragione; ma il problema delle polizze dei combattenti della guerra 1915-18 non è solamente un problema tecnico: è soprattutto un problema morale; e lo è particolarmente in questo momento, perché è soprattutto merito dei combattenti di allora se noi oggi abbiamo i titoli che legittimano la nostra richiesta di revisione del Trattato di pace. Essi combatterono per cacciare l’invasore al di là dei confini della Patria. Verso di essi si deve andare con provvedimenti che non suonino irrisione. Parliamoci chiaro: dare loro mille lire, significa dare tre pacchetti di sigarette. Passando, giorni sono, dinanzi alla vetrina di un negozio, ho visto una cintura, che non era di cuoio, la quale costava ben 900 lire. Ebbene, o signori, liquidando oggi le polizze secondo il valore nominale di 30 anni fa, noi daremmo ai combattenti della guerra 1915-18 una cintura, nemmeno buona, per tirarsela fino in fondo.

So bene che ci sono tanti problemi, ma questo è saliente sul piano morale. Io non ho cifre mie da poter contrapporre a quelle dell’onorevole Sottosegretario e pertanto non posso contestare le sue; ma certamente non è esatta la cifra di 77 miliardi. Non è esatta prima di tutto perché molti degli interessati hanno perduto le loro polizze, il che evidentemente si risolve in un beneficio per lo Stato. Non è esatta, in secondo luogo, perché moltissime altre di queste polizze sono state riscattate dagli interessati e sono ora nelle mani delle banche, alle quali è consigliabile che non sia dato nulla, perché, in fin dei conti, esse hanno già realizzato il loro guadagno.

Se quindi noi togliamo le polizze che si sono disperse e in pari tempo ci asteniamo dal rimborsare quelle che si trovano attualmente nelle mani degli istituti di credito, rimborsando soltanto quelle che sono tuttora in possesso dei loro legittimi proprietari, questa cifra di 77 miliardi risulterà evidentemente di molto ridotta.

È inoltre da notarsi che i combattenti hanno chiesto, in fondo, molto meno; essi hanno chiesto precisamente, a mezzo delle loro associazioni, qualcosa che è certamente di assai minor rilievo. Mi stupisco perciò che l’onorevole Sottosegretario dichiari di avere ricevuto una sola richiesta pervenutagli da un singolo interessato mentre le associazioni combattentistiche hanno espresso la loro giusta indignazione per questo provvedimento, che irride ai loro sacrifici, con centinaia di ordini del giorno votati nelle loro assemblee generali.

Se vi sono difficoltà di natura tecnica, cerchiamo di superarle. Se non è possibile, per motivi tecnici di carattere generale, rivalutare le polizze, si potrà almeno stabilire un premio di rivalutazione limitatamente coloro i quali sono in possesso ancora oggi della polizza. Per non creare poi un precedente ingiusto nei confronti di coloro che sono deceduti, si potrebbe, almeno dal 1940, liquidare le polizze agli eredi con l’aggiunta dello stesso premio di rivalutazione.

Le dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario non mi hanno sodisfatto. Mi conforta tuttavia il pensiero che egli stesso riconosca che la pratica non deve essere archiviata; soprattutto mi auguro che si provveda a sospendere – esigenza veramente fondamentale richiesta da tutti i combattenti – il provvedimento, in attesa che lo studio venga portato a termine, altrimenti sarebbe inutile farlo.

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle altre interrogazioni all’ordine del giorno è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 24 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 24 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nitti

Lami Starnuti

Preti

Carpano Maglioli

Laconi

Condorelli

Colitto

Mortati

Lussu

Nobili Tito Oro

Perassi

Zuccarini

Rubilli

Caronia

Conti

Alberti

Votazione segreta sul disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali:

Presidente

Chiusura della votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Valiani

Pella, Ministro delle finanze

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Dugoni

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Bonomi Paolo

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Morini

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Carboni Angelo.

(È concesso).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso le seguenti domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

contro i deputati Patrissi e Treves per il reato di cui agli articoli 394 e 396 del Codice penale;

contro il deputato Motolese per il reato di cui all’articolo 559 del Codice penale.

Saranno inviate alla Commissione competente.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che nella seduta di ieri sono stati votati il primo comma dell’articolo 52, e gli articoli 53 e 54. Passiamo ora all’esame dell’articolo 55. Se ne dia lettura.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«La Camera dei senatori è eletta a base regionale.

«A ciascuna Regione è attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. La Valle d’Aosta ha un solo senatore. Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera.

«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Nitti.

«Sostituire gli articoli 55 e 56 col seguente:

«Il Senato è eletto sulla base di un senatore per 200 mila abitanti.

«Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo senatore ciascuna.

«A ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di tre senatori.

«Sono elettori i cittadini che hanno compiuto 25 anni e sono eleggibili quelli che hanno compiuto 40 anni.

«Del Senato fan parte, salvo la loro rinunzia, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri!

«Alla costituzione del Senato entrano a farne parte gli ex deputati che hanno appartenuto alla Camera dei deputati per cinque legislature, senza che però questo fatto costituisca alcun precedente per l’avvenire.

«Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e 6 professori di Università designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione.

«I senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni».

Questo emendamento, però, riguarda anche l’articolo 56. L’onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo nel suo complesso o, se lo ritenga più opportuno, trattando la sola parte che si riferisce all’articolo 55.

NITTI. Se l’Assemblea mi consente, desidero dire le ragioni in generale delle proposte che ho l’onore di presentare all’Assemblea. Mia idea è che il Senato deve essere efficiente e deve essere espressione nazionale, cui partecipino tutti gli elettori. Deve essere il più che possibile selezionato, ma nello stesso tempo si deve evitare ogni cosa che costituisca privilegi inutili e, quindi, io son contrario a ogni idea di ridurre il Senato ad un’Assemblea. Le fonti della sovranità devono essere le stesse: il popolo intero, tutti devono essere elettori se si trovano nelle condizioni generali richieste. Quindi, nessun privilegio.

Bisogna, quindi, prima di tutto, fissare l’idea del Senato. Il Senato e la Camera dei deputati sono due cose diverse, come sono nei Paesi dove il Senato ha funzionato, come negli Stati Uniti d’America, come era in Francia. Non è che la Camera e Senato devono essere soggetti alle stesse disposizioni. Il Senato non cade mai, il Senato non finisce; la Camera dei deputati può essere sciolta; il Senato, in nessun Paese, può essere sciolto. Perciò l’America ha trovato la maniera semplice di tenere la consultazione popolare sempre in movimento, in modo che si possa sapere ciò che il popolo pensa. In America dunque la Camera dei deputati dura due anni; il Senato dura sei anni; il Presidente della Repubblica dura quattro anni. Non è che queste istituzioni devono essere sincrone; possono e devono essere del tutto diverse, durare diversamente. Il Senato in America è una grande Assemblea, che regola, essendo poco numerosa, soprattutto la politica estera. La Camera dei deputati in America dura due anni, di modo che la Nazione sappia sempre ciò che il popolo vuole perché è consultato a brevi intervalli e ciò mette in condizioni di comprendere i mutamenti delle correnti popolari. Il Senato dura sei anni ed il Presidente della Repubblica dura quattro anni. Noi pretendiamo di fare queste istituzioni sincrone, cioè il Senato e la Camera dei deputati durano allo stesso modo cinque anni.

Il Senato può essere sciolto come la Camera dei deputati. In nessun Paese serio, dove esiste un Senato, il Senato può essere sciolto. Così è in America, così è stato sempre in Francia dopo la costituzione del 1875. Il Presidente della Repubblica dura quattro anni in America; durava sette anni in Francia. Periodo troppo lungo in Francia. In ogni modo, dunque, queste tre basi della vita costituzionale hanno una funzione e durata diverse. Prima di tutto bisogna raffigurare queste tre basi della vita nazionale e considerarle nella loro stessa essenza, di tal guisa che ci spieghiamo la distinzione. Noi pretendiamo l’uniformità. L’uniformità non ci può essere, perché l’uniformità soffoca.

In America il Senato dura sei anni ed è rinnovabile per un terzo ogni due anni; in Francia è durato finora nove anni (troppo lunga durata) rinnovabile per un terzo ogni tre anni.

Quindi prendiamo, come esempio da considerare, i tipi di Costituzione più interessanti per la loro serietà e durata e non già quei Paesi in cui vi sono o vi sono state Costituzioni durate solo qualche anno o che non hanno più di qualche anno e che hanno solo incerta esistenza. Ed allora la prima questione che viene è il numero dei senatori.

Io credo – e non vi nascondo il mio dispiacere nel considerare la decisione adottata riguardo alla Camera dei deputati – che più si aumentano le Assemblee di numero e più si rendono disordinate e inefficaci. Non è possibile che un’Assemblea numerosa di 600-700 membri sia efficiente, se non ha soprattutto una tradizione lunga e rispettata. E però fui molto dolente quando la Camera adottò quella decisione dannosissima di aumentare il numero dei suoi componenti. Più aumenta il numero e maggiori sono le probabilità di disordine è di incompetenza. Per il Senato sarebbe ancora più grande errore essere in grande numero. Il Senato deve essere una Assemblea che – siccome ha una durata più lunga – deve avere la maggiore solidità.

Bisogna però che le fonti delle elezioni siano le stesse; ma che le elezioni si presentino in forma più appropriata secondo che si tratti dell’una o dell’altra Assemblea. La prima cosa, dunque, è il numero dei rappresentanti: un rappresentante al più per ogni 200 mila abitanti. Su questo non vi può essere difficoltà grave, tanto più che si ammettono nel Senato elettivo, altri, sia pure poco numerosi, che non risultano da elezioni.

Ma la cosa essenziale è la forma di elezione. Noi abbiamo già adottato la proporzionale. Non vi scandalizzate: i fatti mi daranno ragione. Voi vedrete i risultati disastrosi tra qualche anno – forse solo fra un anno – di questa aberrazione della Costituzione che è la proporzionale, non solo per lo Stato ma per gli enti locali, e nella pratica perfino per il Governo. Voi stessi vi pentirete di molte cose. Noi abbiamo difficoltà a far funzionare tutte le Assemblee elette con la proporzionale: fra poco moltissime saranno in paralisi.

Ma ora siamo ad un fatto nuovo: quale deve essere la formula che dobbiamo adottare per il Senato? La proporzionale è una cosa che, a quelli stessi che l’hanno voluta estendere, dà ora un’intima tristezza. Quando si parla serenamente si vedono tutti i pericoli: tra poco non funzionerà la maggior parte delle amministrazioni municipali italiane e fra poco lo sconvolgimento sarà generale. Attendete e constaterete il disordine dovunque.

Ora, per verità, ovunque, nei paesi vincitori e nei paesi seri, esiste il collegio uninominale. Si tratti dell’Inghilterra, dell’America, della Russia, è dovunque il collegio uninominale. Tutto è fatto sulla base di un solo nome, si vota un solo nome, il collegio uninominale è garanzia di serietà e di durata. Questo esiste dovunque fra i paesi vincitori e pare che sia il triste privilegio nostro di concederci un lusso che i vincitori non si sono ancora concessi e forse non si concederanno mai.

Vogliamo eleggere il Senato con la proporzionale? Io credo che questo sarebbe uno spaventoso errore, tanto più data la natura dell’istituzione e dato il fatto che la durata deve essere lunga, perché non può esistere un Senato breve. Un Senato deve durare tanto che possa approfondirsi nel costume politico, vivere nel fondo della vita del Paese. Senati di durata breve non ne esistono. «Senato» già vuol dire durata. I senatori erano in origine i discendenti dei fondatori della città. Ciò non spiega l’aberrazione e l’assurdo di questo progetto di Costituzione, di mettere una disposizione per cui i candidati senatori devono essere nati o dimoranti nel Paese; errore cui è necessità rinunziare, perché questa servitù della gleba politica non può riguardare una nazione moderna. Chi aspira al Senato deve essere candidato dovunque crede. Nella stessa America, dove sono 48 Stati che hanno legislazioni diverse, codici diversi, bisogni, territori enormi – di cui qualcuno, come il Texas, è tanto più grande dell’Italia – nella stessa America il Senato, pure regolato da leggi ferree, è costituito in tal modo che si può essere candidati in qualunque Paese del territorio nazionale.

Si aggiunga che l’Italia è un Paese talmente piccolo di estensione, in proporzione ai grandi Paesi moderni, e i mezzi di locomozione e di scambio e di viaggio sono talmente progrediti che si può andare da una estremità all’altra del territorio nello stesso giorno, per cui inserire una norma di carattere così antiquato sarebbe assurdo. Con quale sistema fare le elezioni? Credo che noi dobbiamo, per il Senato, andare al collegio uninominale; dobbiamo andare al collegio uninominale che prevale ovunque nel regolare la vita dei popoli civili. Il Senato non può essere eletto che con il collegio uninominale.

L’uniformità delle due Camere non è necessaria ed è dannosa. Infatti, in tutti i Paesi dove esiste il sistema del bicameralismo, le due Camere rispondono ciascuna a una propria funzione. Anche in America. Io vi parlo dell’America molto spesso: non lo faccio per feticismo, né per simpatia politica soltanto, ma perché la Costituzione americana ha ispirato tutte le altre migliori. L’America sola ci ha dato questo tipo di civiltà che noi chiamiamo democrazia. Vi erano state in passato piccole democrazie sul tipo dei Cantoni svizzeri, sul tipo delle città anseatiche, sul tipo delle piccole repubbliche italiane dei medioevo. Ma queste non erano ancora la vera democrazia; la democrazia è un prodotto dell’America.

Tutti i grandi fatti sociali nascono prima nella vita e poi si trasformano in legge. Non è che gli studiosi inventino nuove società: sono spontanee trasformazioni o innovazioni che si producono. Faust aveva ben ragione di dire: in principio era l’azione.

La democrazia americana è nata dai profughi, è nata dai perseguitati della religione e della politica che fuggivano le persecuzioni del re d’Inghilterra e le persecuzioni della chiesa ufficiale. Che cosa dovevano fare allora questi perseguitati per vivere insieme in un nuovo territorio? Dovevano darsi la loro legge. Le istituzioni politiche non nascono ex novo; nascono dalla realtà dei fatti. E nasce prima la cosa e poi la legge che la regola.

I perseguitati che andarono nella Virginia crearono poi il primo statuto: era il modo per vivere insieme. Questa è la grande origine delle democrazie moderne.

Non è dunque per preferenza politica che io parlo sempre dell’America, ma ne parlo perché la Costituzione concepita in senso veramente democratico è nata in America.

Ora, in America, cioè nella realtà, voi trovate le cose che sembrano più inverosimili: trovate il Senato che dura in carica sei anni e che ha immensi poteri, in cui tutti gli Stati hanno solo due rappresentanti per ciascuno, siano essi piccoli Stati, come il Vermont, che hanno una popolazione la quale si aggira intorno ai 300 mila abitanti, sia lo Stato di New York che si avvia ai 20 milioni di abitanti.

Ora, l’America ha sempre concepito che il Governo centrale e il Presidente della Repubblica, il quale assomma in sé tutti i poteri efficienti e che ha anche il potere esecutivo, si trovino in condizioni di essere a contatto del Senato e della vita pubblica. Vi sono disposizioni che a noi sembrano inspiegabili, eppure sono risultate pratiche e utili. Il Senato è presieduto dal Vicepresidente della Repubblica, che non ha diritto di voto e non è senatore.

Noi vogliamo dovunque l’architettura della uniformità. Come ci rassegneremmo a una aspirazione simile?

Non dobbiamo meravigliarci se avremo due sistemi elettorali differenti: uno per la Camera e l’altro per il Senato. Si vedranno tutte e due le forme elettorali. E poi in avvenire, come è inevitabile, si tornerà in tutto al collegio uninominale. Introduciamo ora per il Senato il collegio uninominale senza nessuna difficoltà, dividendo il territorio nazionale in tante circoscrizioni di 200.000 abitanti. La nomina di un senatore è facile, perché non richiede nessuna complicazione. Non vi sono liste; vi sono candidati. Cadrà così anche l’accusa che si è fatta finora (e che è la profonda verità) che la Camera dei deputati – quale l’abbiamo avuto nella nostra Costituente – è fatta da partiti di massa che non concedono a individui di attitudini elevate di affermare la loro personalità. Se noi abbiamo, agli effetti della elezione del Senato, il territorio diviso in circoscrizioni di 200.000 abitanti, ogni individuo che ne ha le attitudini può essere candidato, senza che occorrano i mezzi poderosi come per le grandi liste delle grandi circoscrizioni. Anche un individuo isolato può arrivare al Senato; non vi è persona notevole che, almeno nel suo paese o dove esercita la sua attività, non possa essere candidato. Noi, dunque, col collegio uninominale del Senato potremo dare la possibilità ad ogni grande personalità di manifestarsi; e ogni individuo potrà aspirare alla vita legislativa, senza per questo aver bisogno di sottomettere la sua attività intellettuale all’inevitabile dominio di un grande partito, cui deve appartenere se vuol fare della politica.

Ora, nella forma nella quale era stato concepito il Senato, si ammetteva che ogni Regione potesse disporre di cinque senatori: io credo che questo numero fisso si possa ridurre, senza alcun inconveniente, a 3.

Ma chi devono essere gli elettori? Ritengo che tutti coloro che abbiano i requisiti richiesti per l’elettorato politico della Camera dei deputati devono essere elettori del Senato, con una sola differenza: cioè che, mentre per la Camera dei deputati le condizioni per l’elezione sono, fra l’altro, di ventun anni di età e di venticinque per l’eleggibilità, per il Senato devono cambiare, nel senso che l’età per l’elettorato attivo venga fissata a 25 anni e per l’elettorato passivo a 40 anni, come in altri Paesi dove l’età minima per i senatori è di 40 anni. All’impulso che vi può essere nella prima Camera legislativa – che in America dura solo due anni – deve corrispondere la gravità, la serietà e anche la continuità del Senato. Dunque, io vorrei che tutti potessero essere candidati. Senza limitazioni territoriali e senza alcun sistema di elezioni a doppio grado, che ci condurrebbero alla confusione e alla corruzione.

Vi sono poi alcune obiezioni. Non vi saranno, dunque, si dice, manifestazioni del pensiero, dell’arte, non vi saranno senatori, i quali sfuggano inevitabilmente alla pressione di una selezione attraverso il partito o attraverso l’organizzazione?

Io mi sono permesso di proporre che del Senato debbano e possano far parte coloro i quali hanno di fronte al pubblico il privilegio di rappresentare la cultura, mediante l’elezione – fatta dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione – di sei senatori, che vengano dagli studi e dalle ricerche. Ed ho parlato di sei senatori, nel pensiero che le facoltà universitarie essenziali possano ognuna avere (se ne hanno) le attitudini, e siano in condizioni di averne la fiducia, affinché vi possano essere sei senatori che vengano dagli studi.

La Costituzione del Senato non può essere fatta che in una forma libera, senza privilegi.

Ho sentito che qui si parla di elezioni in secondo grado.

Per il Senato, alcuni vogliono non l’elezione in primo grado, ma in secondo grado, come esiste negli Stati Uniti e come esisteva in Francia.

Ciò negli Stati Uniti non era cosa difficile, perché nel Senato degli Stati Uniti – essendovi due senatori per ognuno dei 48 Stati della Federazione – l’elezione non poteva essere fatta in forma diretta. Si capisce che in un Paese di estensioni così enormi, dove le intese erano difficili, si dovevano adottare delle forme che consentissero la scelta senza pregiudicare i cittadini nelle loro manifestazioni politiche. L’elezione in secondo grado era una necessità e non ha dato cattivi risultati.

In Francia l’elezione di secondo grado ha dato risultati non apprezzabili, almeno in alcuni dipartimenti. Rare volte vi è stata tanta corruzione come nella nomina dei rappresentanti di coloro che dovevano eleggere i senatori.

Sono rimasti celebri alcuni scandali, come lo scandalo Coty in Corsica, come di altri candidati nello stesso dipartimento. Si compravano ad alti prezzi gli elettori per l’elezione di secondo grado. Ogni persona che voleva diventare senatore, siccome ogni senatore era eletto in fondo dai comuni (cioè un certo numero per ogni comune), si preoccupava soprattutto di fare la scelta degli individui sicuri. E allora non vi era prezzo. Coty non si chiamava Coty, ma soltanto Spoturno. Era italiano di origine. Francesco Spoturno, ma con nome di Coty era conosciuto in tutto il mondo: François Coty. Voi tutti forse non lo conoscete, ma le signore a cui avete l’onore di rendere omaggio vi diranno che lo conoscono certamente. Egli ha creato la profumeria di lusso e di grandi spese. Prima, anche la profumeria d’Orsay non fabbricava in grandi quantità le bottiglie di profumo al di là dei cento franchi; Coty l’ha portata assai in alto, a prezzi fino allora ignoti. Ad un certo momento è stato uno degli uomini più potenti di Francia: ha comprato quanto poteva per miliardi, ha avuto insieme quella forza formidabile della stampa, quando si manifesta nelle più opposte correnti. Coty ha posseduto insieme il Figaro e l’Ami du Peuple e tutti gli altri giornali che erano aderenti a quei movimenti. Ha speso centinaia di milioni, ed in quei tempi i milioni valevano veramente qualche cosa, ed ha potuto, attraverso la stampa, avere una enorme influenza sull’opinione pubblica. Quando egli voleva essere deputato o senatore, nessuna spesa era eccessiva. Egli volle essere senatore della Corsica e non badò a spese. Si pagavano gli elettori a quei tempi, coloro che dovevano eleggere il senatore (in Corsica era abitudine il pagamento in natura) due cavalli o quattro buoi, o cinquanta o centomila lire per un voto solo. Dopo Coty, gli stessi sistemi sono stati applicati in Corsica e in qualche altro dipartimento. Quando si va alle elezioni con questi criteri, in paesi non ricchi, non vi è nessuna sorpresa dei risultati che si ottengono.

Io desidero quindi che non vi siano elezioni a doppio grado, dato che il nostro Paese non ha ancora una struttura politica, dopo tante vicende, che assicuri contro le cattive influenze e contro la corruzione. Credo quindi che si debba escludere ad ogni modo l’elezione a doppio grado. Del resto non vedo proposte da nessuna parte in questo senso.

Come dunque dovrebbe essere composto il Senato? Il senatore deve essere eletto in ogni circoscrizione a collegio uninominale di almeno 200 mila abitanti.

Siamo così abituati a parlare di uniformità e a concepire l’assurdo che tutti i voti devono essere rappresentati, che non pochi dicono: vi sono tanti voti che si perdono, ed allora riuniamo i resti e facciamo un polpettone e da tutti questi resti facciamo senatori, come ora i deputati che non si sa da chi sono nominati. Io ho avuto l’onore di essere eletto in tre circoscrizioni, benché non appartenga a nessun partito di massa. Faccio ora parte della lista nazionale. Io mi domando spesso chi rappresento. Quando tanti anni fa ero deputato e rappresentavo un collegio, sapevo chi mi eleggeva. Adesso invece non so niente. Non so chi mi fa stare qui dentro, nel senso che io ho abbandonati i miei elettori e credo che essi mi abbandoneranno.

Il Senato deve rappresentare la continuità e deve avere lunga durata. Il Senato che sia eletto sulla base del collegio uninominale è una necessità politica. Si dice che vi sono ingiustizie, ma è naturale che vi siano ingiustizie. Quando voi vedete i collegi inglesi o americani e notate la differenza di voti tra coloro che sono eletti e coloro che non sono eletti, e notate che coloro che sono eletti hanno avuto qualche volta meno voti di coloro che non sono eletti, vi sembra che ciò sia una grande ingiustizia. Ma l’ingiustizia apparente si compensa, perché in un collegio è a danno di un partito mentre in un altro collegio è a danno di un altro collegio di avverso partito e quindi si stabilisce quel compenso delle ingiustizie che si trasforma in giustizia, perché tutti quanti hanno gli stessi vantaggi e gli stessi danni. Quindi credo che l’idea del collegio uninominale è non solo una necessità, ma una convenienza per tutti e non vedo perché non possa essere adottata senza resistenza.

Nel progetto era già preveduto che un certo numero di Senatori dovesse essere attribuito a ciascuno dei collegi elettorali; naturalmente a ciascuna delle circoscrizioni che avrebbero avuto la forma attuale richiesta dalla proporzionale. Ora, siccome la proporzionale non verrebbe a funzionare, si possono attribuire tre collegi senza nessuna difficoltà a tutto l’insieme della circoscrizione; e si può stabilire che il voto per questi tre nuovi rappresentanti sia dato poi a tutta la Regione sempre con votazione per un sol nome, cioè con il collegio uninominale. Comunque, ho cercato di semplificare la cosa come meglio potevo. Vi è un fatto nuovo che già vedevo annunziato dovunque ed è: cosa ne è di coloro che formano il Senato? Chi forma il Senato? Prima di tutto i senatori eletti. Ma vi è un fatto nuovo nella coscienza generale di cui bisogna tener conto: che vi devono essere anche dei senatori non eletti. Senatori non eletti con votazione, ma che sono nella generale coscienza. Il Senato ha avuto una lunga fase in cui non ha funzionato, mentre la Camera dei deputati è stata per molti anni attiva. Ora è naturale che quelli che furono deputati onorevolmente, prima del fascismo, che stettero in Parlamento prima di quella lunga crisi costituzionale che fu il fascismo, possano venire in certo numero là dentro a rappresentare non solo la tradizione ma il buon nome del Parlamento. È giusto che deputati, i quali servirono lungamente il loro Paese e poi furono messi fuori, e si trovarono in condizioni di essere isolati dalla vita pubblica, possano venir là dentro in un certo numero; possano venire nella prima nostra legislatura del Senato, a riprodurre ancora il sistema libero. E sono uomini di ogni partito. Ve ne sono qui dentro che erano dei partiti più avanzati e che anche all’estrema sinistra avevano notevole rappresentanza e notevole partecipazione. Ora ciò può bene essere ammesso. Noi discuteremo dopo il dettaglio; ma ammettiamo il principio che essi possano rappresentare il Parlamento libero per la prima legislatura. Ora, per la prima legislatura del Senato come e in quale misura occorre che questo fatto avvenga?

I deputati che hanno appartenuto alla Camera per un certo numero di legislature – compresa naturalmente la Costituente attuale, questa che io considero la prima espressione di Camera perché eletta a suffragio universale – e anche, quindi, coloro che qua dentro fanno parte dell’Assemblea Costituente devono poter unire le legislature che noi crediamo necessarie per formare il numero di legislature atto per entrare nel Senato. Noi dobbiamo tener conto anche della Costituente come di un’Assemblea politica, ma non della Consulta che fu solamente Camera consultiva e non venne da elezioni, ma da scelta e che quindi non può esser considerata come Camera legislativa.

Avremo, dunque, una Camera di senatori, cioè una Camera composta di senatori e che si chiamerà solamente «Senato» e non Camera del Senato e ancor meno Camera del Senato della Repubblica.

Sarebbero denominazioni stravaganti, come se si indicasse nella Costituzione la Camera dei deputati della Repubblica, quasi potesse essere Camera dei deputati di un altro Paese o di un altro regime.

Basta dire semplicemente Camera dei deputati e Senato. Queste due Camere, elette col suffragio in forma diversa, dovranno essere la base della Costituzione.

Durata: negli Stati Uniti il Senato dura sei anni, ed è rinnovabile per un terzo ogni due anni; in Francia durava 9 anni, periodò troppo lungo, che deprimeva spesso la serietà dell’azione. Ma bisogna ricordare che il Senato di Francia ha salvato il Paese molte volte dalla dittatura, a cominciare dalla dittatura militare di Boulanger e da tutte le altre che furono concepite e si tentò di realizzare. Fu solo la resistenza del Senato, il cui Presidente osò affrontare personalmente il minaccioso generale, a salvare la dignità del Parlamento. Il Senato ha salvato per molto tempo la Francia dai tentativi fascistizzanti e fascisti di Tardieu e di Laval, i quali, in forma diretta o indiretta, sognavano il fascismo in Francia.

Questa istituzione è stata più giovanile della stessa Camera dei deputati nei momenti più critici per la Francia. Mentre io non ammiro tutta l’azione politica della Repubblica francese degli ultimi anni, devo dire che il Senato, nonostante tutto, si è comportato assai spesso meglio della Camera dei deputati. Questa Assemblea di vecchi è stata, in molte occasioni, più giovanile che la Camera dei deputati. Spero che noi faremo un’Assemblea anche migliore, perché vi entreranno forze diverse, a cominciare dai vecchi parlamentari fino a quelli che verranno eletti per suffragio, col collegio uninominale; sistema col quale ciascun candidato viene conosciuto e valutato dai suoi elettori e finisce col conoscerli e coll’interessarsi di loro; la reciproca simpatia prelude sempre alla reciproca fedeltà.

Ora, io vorrei che nel primo Senato non mancassero uomini di esperienza e vi fossero i rappresentanti delle tre grandi magistrature dello Stato: uno per ogni grande magistratura, la Suprema Corte di cassazione di Roma, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti. Suppongo che tutti abbiamo la dottrina necessaria in un’Assemblea politica, ma non tutti abbiamo la pratica. La presenza nella nuova Assemblea del Senato di un certo numero di uomini sperimentati, quali i rappresentanti delle tre grandi magistrature, è a vantaggio di tutti. Si dice che essi, non essendo eletti, possano costituire pericolo o disordine. Quale disordine? Quale pericolo? Credete che si diventi Presidente di cassazione a 50 o a 40 anni? Non credete che uomini di così lunga esperienza portino piuttosto elementi di equilibrio? Dunque, questa modifica mi pare necessaria: ammettere i deputati che hanno avuto un certo numero di legislature.

In quale proporzione? Io ho indicato la proporzione che mi è parsa necessaria ed utile. Vi prego soltanto di non esagerare.

Ieri si dovette discutere il numero dei deputati di questa Assemblea e la fiera dichiarazione dell’onorevole Conti, a cui mi sarei volentieri unito, proponeva un deputato per centocinquantamila abitanti. Io avevo proposto un termine medio nella soluzione, centomila abitanti per ogni deputato. Si tornò con la votazione a ottantamila e se ci fosse stata una proposta di cinquanta mila o non più di quarantamila, io credo che sarebbe stata accolta. (Commenti), tanto fu l’entusiasmo che notai tra alcuni colleghi (che pure parevano e che dovevano essere contrari) per questa assicurazione sulla vita data agli onorevoli membri di questa Assemblea.

CONTI. Anche i discepoli si sono ribellati! Ne ha anche uno vicino.

NITTI. Ora accetterete, io spero, questa indicazione, di ammettere nella nostra Assemblea un certo numero di ex deputati che rispondano per la loro condotta, per il loro passato, alle condizioni di stima che deve avere ogni grande Assemblea alla sua costituzione.

In quanto al numero, vi prego di essere moderati, perché più allargherete il numero, più renderete la cosa difficile, se non impossibile.

Io debbo limitarmi a queste brevissime dichiarazioni e delucidazioni, nella speranza che ne ternate conto. Se vi saranno obiezioni io sarò lieto di rispondere. Non mi muove nessuna idea di parte, nessuna d’interesse di ceto o di classe, nessun movimento che possa essere dichiarato al servizio di una parte o dell’altra della Camera. Perciò attendo le vostre osservazioni. (Applausi).

Ricordo, comunque, di aver proposto di sostituire gli articoli 55 e 56 con il seguente:

«Il Senato è eletto sulla base di un Senatore per 200 mila abitanti.

«Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo Senatore ciascuna.

«A ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di tre Senatori.

«Sono elettori i cittadini che hanno compiuto 25 anni e sono eleggibili quelli che hanno compiuto 40 anni.

«Del Senato fan parte, salvo la loro rinunzia, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri.

«Alla costituzione del Senato entrano a farne parte gli ex Deputati che hanno appartenuto alla Camera dei Deputati per cinque legislature, senza che però questo fatto costituisca alcun precedente per l’avvenire.

«Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e 6 professori di Università designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione.

«I Senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni». (Applausi).

Votazione segreta sul disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

PRESIDENTE. Secondo le decisioni prese stamane dall’Assemblea, pongo in votazione a scrutinio segreto il disegno di legge sulle norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Avverto che le urne restano aperte e si proseguirà nella discussione dell’ordine del giorno.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

All’articolo 55 gli onorevoli Lami Starnuti, Rossi Paolo, Carboni Angelo, Di Giovanni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei Senatori è eletta, per circoscrizioni regionali, a suffragio universale diretto con sistema proporzionale in ragione di un senatore ogni 120.000 abitanti o frazione superiore a 60.000».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, noi dobbiamo insistere nelle proposte contenute nell’emendamento da noi presentato all’articolo 55 del progetto di Costituzione; ma poiché ieri, a proposito della Camera dei deputati, l’Assemblea Costituente deliberò che il sistema elettorale di formazione della Camera non dovesse essere contenuto nella Costituzione della Repubblica italiana, pensiamo che lo stesso ordine di idee debba valere per la formazione del Senato.

Modifico in questo senso l’emendamento da noi proposto, riservandomi però di trasferire, proprio come si è fatto ieri, in un ordine del giorno quelle che sono le affermazioni e le proposte di portata puramente elettorale. Corretto, il nostro emendamento verrebbe a suonare così:

«La Camera dei Senatori è eletta a suffragio universale diretto in ragione di un senatore per ogni 120.000 abitanti o frazione superiore ai 60.000 abitanti».

Nell’ordine del giorno noi trasferiremo il concetto della circoscrizione regionale e l’affermazione che il Senato della Repubblica deve essere eletto col sistema proporzionale, eletto nella sua interezza, senza quelle particolari porzioni (e mi libero dalle questioni minute) che il progetto di Costituzione assegna ai Consigli regionali. Se è vero (e lo diceva testé l’onorevole Nitti) che la fonte della rappresentanza politica deve essere unica, non si vede perché una quota-parte dei senatori dovrebbe essere eletta dai Consigli regionali.

Il nostro emendamento non è molto dissimile dall’emendamento dei compagni dell’altro Gruppo socialista, per quanto essi rinviino alla legge elettorale il sistema di formazione; rinvio che però appare inopportuno al punto in cui siamo arrivati.

Il problema della formazione del Senato è stato il problema il quale ha assillato di più la Commissione per la Costituzione, per le questioni d’ordine politico che la formazione del Senato portava con sé e per le difficoltà d’ordine tecnico insite in molti degli espedienti che erano stati suggeriti alla Commissione.

Oggi, l’onorevole Nitti, con l’autorità che a lui deriva dal suo passato, dalla sua dottrina e dalla sua esperienza politica, si è fatto paladino della elezione dei senatori a collegio uninominale, tesi che troverà consensi in altri settori della Camera, anche in settori molto distanti dal suo, ma che non ci ha persuasi, non perché noi disconosciamo gli elementi di bontà che sono insiti nel sistema del collegio uninominale, non perché noi crediamo in modo assoluto alla perfezione del sistema proporzionale, ma perché, nella realtà politica italiana attuale e davanti alla decisione di ieri, secondo la quale la Camera dei deputati dovrà formarsi col sistema proporzionale, noi riteniamo inopportuno e, sotto certi aspetti, pericoloso, introdurre questo differente sistema per la formazione della seconda Camera.

Il sistema del collegio uninominale viene sostenuto perché, si dichiara, è necessario differenziare la seconda Camera dalla prima, concetto che da un punto di vista astratto potrebbe tessere anche accolto, ma che dobbiamo respingere quando lo esaminiamo sotto il punto di vista della concretezza.

Il sistema del collegio uninominale è un sistema di maggioranza, che potrebbe diventare un sistema di minoranza se venisse attuato – di questo non è stata fatta parola né nelle proposte scritte, né dall’onorevole Nitti nel suo discorso – se venisse attuato senza il correttivo del ballottaggio. Noi affideremmo in tal modo l’elezione dei senatori non alla maggioranza di un determinato collegio elettorale, ma al gruppo politico di minoranza più forte e noi andremmo a creare una seconda Camera che potrebbe rappresentare la minoranza del Paese, in contrasto, forse stridente, con la prima Camera.

Chi ricorda i risultati elettorali del nostro vecchio sistema a collegio uninominale sa che in pochissimi collegi l’elezione a primo scrutinio dava risultati positivi. Anche nelle elezioni del 1909 e del 1913, che sono le ultime elezioni italiane (Commenti) a collegio uninominale, i ballottaggi hanno superato di molto il numero delle elezioni in primo scrutinio…

Voce al centro. No, no.

LAMI STARNUTI. Ad ogni modo, sono stati così numerosi i ballottaggi, da porre il problema così come io lo ponevo poc’anzi, e cioè che il collegio uninominale, se non è corretto dal ballottaggio, può creare una Camera in rappresentanza di forze politiche agguerrite e numerose ma costituenti la minoranza del Paese.

Se così è, la formazione del Senato a collegio uninominale potrebbe portare inevitabilmente ad un conflitto permanente tra la prima Camera e la seconda Camera, che nessun uomo politico può augurarsi e che nessun uomo politico può contribuire a creare, anche perché i rimedi per il componimento dei conflitti non sono né facili né sicuri, e noi vedremo quando discuteremo l’articolo 70 del progetto di Costituzione, la disparità delle idee fra i vari settori della Camera su questo problema che pure è un problema fondamentale. Per questo, pur riconoscendo, dicevo, che il collegio uninominale ha anche i suoi pregi, noi non possiamo aderire all’emendamento dell’onorevole Nitti né all’emendamento dell’onorevole Laconi.

Data la distribuzione delle forze dell’Assemblea, dato lo schieramento dei partiti rispetto a questo problema, credo che il collegio uninominale non sarà accolto. E allora l’Assemblea si troverà necessariamente costretta ad adottare il sistema proporzionale e si troverà di fronte a due proposte diverse dello stesso sistema proporzionale. Alla nostra proposta infatti di proporzionale a suffragio diretto, si contrappone la proposta dell’amico onorevole Perassi, per un sistema proporzionale di secondo grado, in cui la nomina effettiva dei senatori sia fatta non più dal corpo elettorale nella sua spontaneità e nella sua sincerità, ma da un collegio più o meno ristretto…

UBERTI. Filtrato.

LAMI STARNUTI. Ristretto, anche se filtrato: ad un collegio dunque più o meno ristretto, il quale in definitiva creerà il Senato.

Ora, l’onorevole Nitti ha già fatto presente all’Assemblea Costituente quali sono i pericoli di affidare ad un ristretto gruppo di elettori una nomina tanto importante come quella del Senato della Repubblica.

Quando vi sono in gioco interessi politici così notevoli e così cospicui, un ristretto collegio di elettori può subire tutte le influenze e tutte le tentazioni e può dare di conseguenza all’elezione una fisionomia non rispondente ai sentimenti e al pensiero del Paese.

Se l’Assemblea Costituente – questo voglio dire a conclusione – se l’Assemblea Costituente non accoglierà, come io ritengo, la proposta dell’onorevole Nitti per il collegio uninominale, se l’Assemblea Costituente si troverà costretta a decidere che anche la seconda Camera sia eletta con il sistema della proporzionale, io penso e spero che tra il sistema di secondo grado, proposto dall’onorevole Perassi, e il nostro sistema a suffragio universale diretto, preferirà questo secondo metodo di votazione, per la maggiore spontaneità, per la maggiore sincerità e – consentite ch’io lo dica – per la maggiore onestà di esso. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti, Ruggiero e Persico hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei Senatori è eletta, con sistema proporzionale, dalla Camera dei Deputati in ragione di 1 senatore ogni 120.000 abitanti».

L’onorevole Preti da facoltà di svolgerlo.

PRETI. Ho presentato questo emendamento d’accordo con l’onorevole Lami Starnuti, all’emendamento del quale il mio è subordinato. È sembrato al nostro Gruppo che nella democrazia parlamentare moderna – che è assai diversa da quella ottocentesca – sia fuor di strada chi va a cercare nel Senato una specie di correttivo della Camera dei deputati, cioè un correttivo del suffragio universale abbinato al sistema proporzionale, nell’illusione di poter dare, per questa via, stabilità ai regimi politici. Esista pure il Senato, visto che tanta parte dell’Assemblea lo ritiene necessario. Esso, peraltro, non deve alterare l’equilibrio politico della Camera dei deputati. Anche il Senato deve esprimere il più genuinamente possibile la volontà popolare.

Io temo d’altronde che i «filtri», che tanto piacciono all’onorevole Uberti, in particolare il «filtro» del collegio dei grandi elettori, di cui alla proposta dell’onorevole Perassi, finiscano in pratica per generare proprio le complicazioni alle quali ha accennato l’onorevole Lami Starnuti. D’altra parte, questi «filtri», in fondo, non modificano quello che è il dato fondamentale, cioè che anche il Senato risulti espressione del suffragio universale abbinato al sistema proporzionale. Perché dunque insistere su di essi?

Ho espresso in sede di discussione generale le ragioni che mi fanno ritenere più democratica di ogni altra la elezione del Senato da parte della Camera. Il mio Gruppo è pure di questo avviso. Ma subordiniamo questa proposta, che non facilmente sarebbe accolta in quanto apparentemente troppo radicale, a quella dell’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Magliai, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei senatori è eletta a base regionale, con suffragio universale e diretto.

«A ciascuna Regione è attribuito un senatore per 150.000 abitanti o per frazione superiore a 75.000. La Valle d’Aosta ha un solo senatore».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi, prima di tutto il nostro emendamento deve essere così modificato:

«La Camera dei senatori è eletta con suffragio universale e diretto in ragione di un senatore per 150.000 abitanti o per frazione superiore a 75.000. La Valle d’Aosta ha un solo senatore».

Corretto così, il nostro emendamento, come bene osservava il collega onorevole Lami Starnuti, di poco si differenzia dal suo; e perciò io non ripeterò quello che già è stato detto bene, nel senso che noi riteniamo che a fondamento di ogni formazione di assemblea legislativa deve sempre concorrere il sistema del suffragio universale diretto, perché noi pensiamo che le elezioni di secondo grado presentino pericoli di deviazioni attraverso interferenze, che allontanano l’eletto dalla volontà diretta degli elettori.

E su questo punto io credo non sia più il caso di spendere una sola parola per sostenere l’opportunità e la necessità che anche la Camera dei senatori sia eletta a suffragio universale diretto. Noi abbiamo eliminato quanto è indicato nel progetto, e cioè che a ciascuna Regione sia attribuito un numero fisso di 5 senatori; e ciò per impedire sproporzioni, nel senso che Regioni con piccolo numero di abitanti vengano ad avere una rappresentanza uguale ad altre con una popolazione maggiore e territorio più vasto. Pare a noi che fissare il numero dei rappresentanti in rapporto agli abitanti sia un criterio preciso, nel senso che consente di formare un collegio legislativo di proporzioni razionali.

Abbiamo fissato il numero di 150 mila abitanti (un numero che si differenzia di poco dal numero dell’emendamento Lami Starnuti), appunto perché pensiamo che il Senato debba essere meno numeroso della Camera dei Deputati; assegnando un senatore per ogni 150 mila abitanti, noi avremmo un Senato composto di circa 300 unità.

Non crediamo, in conformità a quanto già si è accennato ieri, che si debba e si possa inserire nella Costituzione una norma per il sistema elettorale, né che sia opportuno parlare di proporzionale, di circoscrizione regionale o di collegio uninominale. Questo problema formerà tema della legge sull’elettorato passivo, perché noi pensiamo che la Costituzione debba avere una durata, direi, indefinita contenendo direttive di principio e si debba rinviare i particolari alle leggi, le quali possono subire tutte le modifiche imposte dal mutare dei bisogni e delle necessità. Perciò, poiché modalità relative alle elezioni sono certamente costrette a mutamenti assai più frequenti che non la Costituzione, queste modalità devono essere fissate da leggi speciali e non dalla Carta costituzionale.

Noi abbiamo fiducia che il nostro emendamento possa trovare accoglimento da parte della Camera per la chiarezza e l’opportunità dei concetti in esso presentati e cioè: il Senato della Repubblica deve essere eletto a suffragio universale diretto in ragione di un senatore per 150 mila abitanti

Per quanto riguarda il sistema elettorale, proporzionale o collegio uninominale, questo problema, come già ho accennato, formerà oggetto della legge elettorale; su questi due temi il nostro Gruppo si riserva di esprimere il suo pensiero tempestivamente.

Riteniamo, solo, che sia inopportuno inserire una norma che rifletta il sistema elettorale nella Costituzione, perché – ripeto – la Costituzione è legge fondamentale e durevole mentre le norme elettorali sono mutevoli e devono conformarsi alle esigenze del tempo in conformità delle circostanze anche momentanee e degli uomini e delle cose.

Per quanto sopra esposto abbiamo fiducia che la Camera possa aderire al nostro emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Laconi, Grieco e Gullo Fausto hanno presentato un emendamento, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei senatori è eletta a suffragio universale, diretto e segreto, secondo il sistema uninominale, in ragione di un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila».

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. Il nostro gruppo parlamentare non è stato fra quelli che hanno sostenuto la necessità di una seconda Camera. Non abbiamo assunto questa posizione in quanto non crediamo che la creazione di una seconda Camera risponda ad una esigenza funzionale ed organica del regime democratico di tipo parlamentare.

Respingiamo infatti due delle motivazioni principali che vengono addotte a questo proposito; e cioè respingiamo la tesi secondo cui un’Assemblea politica non costituirebbe una rappresentanza integrale del Paese, e respingiamo anche la tesi secondo la quale l’Assemblea politica, per sua natura avventata e irriflessiva, avrebbe necessità di un secondo organo che le faccia da freno e da correttivo.

Se abbiamo acceduto alla proposta di creazione di una seconda Camera, l’abbiamo fatto perché abbiamo riconosciuto che esiste un motivo, secondario, ma che è accolto dalla pubblica opinione e largamente condiviso da questa Assemblea. Questo motivo secondario consiste nell’esigenza che la legge trovi, attraverso il vaglio di una seconda Camera, una sua maggiore elaborazione e un maggiore suo perfezionamento.

A questa stregua mi pare evidente che noi sul problema del come debba essere organizzata questa seconda Camera non abbiamo una posizione di principio. Esaminiamo serenamente tutte le proposte che vengono presentate e ci studiamo di scegliere fra esse quella che meglio si inquadri nella tradizione italiana e meglio risponda all’esigenza di una maggiore elaborazione della legge.

Le proposte che sono state presentate, almeno le principali, si muovevano originariamente su due linee: la linea della rappresentanza di interessi, che è stata ieri eliminata attraverso un voto contrario della Assemblea, e la linea della rappresentanza a carattere territoriale, che ha trovato in parte un accoglimento nel progetto di Costituzione e che è variamente echeggiata in diverse proposte che vengono poste in discussione attraverso gli emendamenti.

Ieri l’Assemblea ha respinto la prima di queste proposte e penso che abbia concorso in questo voto anche la considerazione che io ho avuto l’onore di fare ieri e cioè che la proposta dell’onorevole Piccioni presupponeva tutta una Costituzione diversa da quella che invece noi siamo andati elaborando.

Io penso che queste medesime considerazioni valgano anche per tutte le proposte che delineano una formazione della seconda Camera su base territoriale. Le proposte di una rappresentanza su base regionale, o comunque su base locale, conferiscono in sostanza alle Regioni, in quanto tali, un loro diritto di partecipazione alla direzione politica del Paese e muovono quindi da una concezione dello Stato che non è quella che ha trovato accoglimento nel titolo delle autonomie regionali. Le Regioni non sono state da noi configurate come organi di potere politico. Noi non abbiamo creato uno Stato federale per cui oggi debba discenderne naturalmente una rappresentanza delle Regioni nella seconda Camera. Noi abbiamo creato la Regione come ente puramente autonomo ed incluso nell’unità politica dello Stato.

Si dirà che nel progetto attuale si è ricorso ad un compromesso, contemperando la rappresentanza regionale con altre forme di rappresentanza, ma io penso che proprio da questo compromesso scaturiscano i maggiori pericoli. Se noi ci trovassimo in uno Stato federale e dinanzi ad unità territoriali storicamente determinate ed organiche, che hanno una tradizione storica, probabilmente nell’accogliere anche integralmente il principio della rappresentanza regionale nella formazione della seconda Camera non ci sarebbero dei pericoli; ma qui in Italia, dove nascono delle Regioni con tutt’altra configurazione, io penso che corriamo un grande pericolo a concedere una rappresentanza fissa alle Regioni, corriamo cioè il pericolo di dare la stura domani a tutta una serie di movimenti regionalistici i quali altro scopo non avrebbero se non quello di conquistare a determinate Regioni o talvolta anche a determinati gruppi politici prevalenti in quelle Regioni le rappresentanze senatoriali. Io vorrei che questo punto che è stato così scarsamente toccato da questa discussione, e mi pare sia ancora largamente accettato in questa Assemblea, venisse sottoposto ad una discussione particolareggiata.

Io vorrei far notare ai colleghi che questo premio concesso gratuitamente ad ogni Regione, è un incentivo alla creazione di nuove Regioni, incentivo che può essere favorito anche dal fatto che in determinate zone di certe Regioni possono prevalere determinati gruppi politici interessati ad ottenere questo premio.

È ben noto che in ogni Regione esistono particolari zone in cui un partito è in prevalenza. Chi potrà escludere che questo partito si faccia promotore della costituzione di una Regione la quale domani avrà, per il fatto che si costituisce, il premio gratuito di cinque senatori? Noi verremmo a trovarci inermi di fronte a questo pericolo: quello di vedere da un lato la Regione trasformata in un semplice strumento di competizione politica, e dall’altro lato di veder trasformato il Senato in una Camera che rappresenti unicamente, e nel modo più ristretto, degli interessi locali di piccoli gruppi configurati territorialmente e politicamente.

A nostro avviso il Senato deve rappresentare la nazione in modo indiscriminato. Abbiamo ieri escluso che vi fosse una rappresentanza di gruppi sociali in quanto tali. Io penso che dobbiamo escludere che vi sia una rappresentanza di gruppi territorialmente configurati in quanto tali. La sovranità appartiene al popolo nella forma più indiscriminata. Non possiamo ammettere che nel quadro dello Stato unitario italiano vi siano enti di qualsiasi natura, sia sociale che territoriale, i quali detengano un determinato diritto per il fatto che esistono, e in nome della loro esistenza e della loro costituzione. Rappresentanza, quindi, indiscriminata. Ma è evidente che se vogliamo che questa rappresentanza indiscriminata, risponda a quelle esigenze – che sono state riconosciute anche da noi, e credo dalla maggioranza della Camera – di una maggiore elaborazione della legge; se vogliamo che la seconda Camera risponda a queste esigenze, è evidente che dovremmo avere una rappresentanza opportunamente selezionata.

Ci è stata presentata tutta una serie di proposte. Si è presentata la proposta della scelta dall’alto; si è presentata la proposta dei membri di diritto. Si sono presentate proposte di elezioni indirette e proposte di elezioni a suffragio universale. Quale scegliere tra queste?

La corrente che io rappresento ed il mio Gruppo parlamentare sono nettamente contrari alla prima di queste soluzioni, e cioè ad una qualsiasi investitura dei senatori dall’alto. Mi sembra che non sia necessario soffermarci su questo punto: contrasta con qualsiasi esigenza della democrazia qualsiasi forma di designazione che affidi la scelta dei senatori a persone o organi, che possono essere i più qualificati del mondo, ma che non rappresentano in questa funzione, in alcun modo, la totalità del Paese.

Per quanto riguarda i membri di diritto, la questione si pone altrimenti. È evidente che vi sono uomini che per il fatto di essersi trovati a capo dello Stato o di una formazione governativa vengono a rappresentare direi, quasi un periodo della storia. Le proposte che si muovono in questo senso possono dar luogo ad una discussione e possono esser prese in considerazione.

Per quanto riguarda le proposte di elezione indiretta, che sono state formulate da diversi colleghi, io stesso sono stato il presentatore di un ordine del giorno in questo senso durante i lavori della Commissione dei Settantacinque, o, se non erro, della seconda Sottocommissione. Questo ordine del giorno rappresentava un’opinione che aveva qualche seguito nel mio Gruppo. Noi non siamo quindi contrari per principio ad una soluzione di questo genere.

Solo, nessuno di noi può esserne contento. Se domani il Paese fosse chiamato ad eleggere la seconda Camera secondo questo sistema, rimarrebbe in ciascuno di noi un senso di insoddisfazione perché ciascuno sentirebbe che è una soluzione provvisoria, adottata allo scopo di eludere il problema. Non v’è alcuna ragione, che gli elettori debbano eleggere delle persone unicamente allo scopo che queste, riunite, eleggano i loro rappresentanti. Nessuno in Italia potrebbe comprendere un tale sistema in questo momento. È vero che in Francia esso è stato adottato, ma è anche vero che in Francia perdura la sensazione che questo sistema sia stato un rimedio dell’ultim’ora.

Una voce al centro. Chi lo dice?

LACONI. La soluzione alla quale penso si debba giungere è la soluzione più semplice…

PICCIONI. …e la più vecchia.

LACONI. Se l’onorevole Piccioni mi ha fatto l’onore di ascoltarmi fin dalle prime mosse del mio intervento, ha avuto modo di notare che io son partito determinatamente dalla tradizione. Io penso che questa tradizione italiana si continua oggi in qualche modo. In larghi strati della popolazione italiana vi è una diffusa simpatia per il collegio uninominale, che merita di essere presa in considerazione. Se l’onorevole Piccioni guarda a certi strati del popolo italiano, che seguono anche il suo partito, avrà modo di avvertire questa esigenza, largamente sentita.

Io parlavo però delle soluzioni che si muovono entro il suffragio universale e che sono evidentemente due: quella che mantiene anche per la seconda Camera il sistema della rappresentanza proporzionale e quella che, invece, innova attraverso l’introduzione del collegio uninominale. Io penso che questa soluzione, la quale ha il pregio di differenziare la seconda Camera dalla prima e, contemporaneamente, di rispondere all’esigenza funzionale – cioè, l’esigenza di creare una seconda Camera capace di dare una maggiore elaborazione ed un maggiore perfezionamento alla norma – penso che questa soluzione sia la più accettabile, anche perché verso di essa si dirigono le simpatie di taluni strati del popolo italiano e di correnti politiche tradizionali che hanno il loro peso.

Dal 1848 al 1913, con una breve interruzione, l’Italia ha avuto il collegio uninominale. Penso che sia stato un decisivo passo in avanti della democrazia italiana l’atto con cui a questo sistema elettorale è stato sostituito il sistema della proporzionale.

Non condivido quindi il pensiero dell’onorevole Nitti su questo punto.

NITTI. Sono stato io a introdurre quel sistema.

LACONI. Penso che sia stato il progresso a introdurre quel sistema di formazione della prima Camera. Ma penso anche che il dar luogo al sistema che più si lega alle tradizioni del passato, nella formazione della seconda Camera, sia cosa saggia e meritevole di trovare accoglimento nella nostra Assemblea.

Con questo intento ho presentato l’emendamento in discussione. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: La Camera dei senatori, le altre: Il Senato della Repubblica».

Dopo l’approvazione dell’articolo 52, lo si deve ritenere assorbito; salvo a tenerne conto in sede di coordinamento.

L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo e secondo comma, sostituire alle parole: La Camera dei senatori è eletta a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito, le parole: La Camera dei Senatori è eletta a base territoriale, attribuendo a ciascuna Regione».

CONDORELLI. In assenza dell’onorevole Russo Perez, faccio mio il suo emendamento pur rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«A ciascuna Regione è attribuito un senatore per 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000».

Non essendo presente l’onorevole Caronia, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: che manda all’altra Camera, e, al terzo comma, le parole: e diretto».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. L’articolo 55 del progetto di Costituzione stabilisce che nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati. A mio avviso non occorre aggiungere altro perché il pensiero del legislatore traluce più che chiaro da queste parole. Perciò io ho proposto la soppressione delle parole che si leggono nel progetto: «che manda all’altra Camera». Penso che tali parole trovansi nel testo perché in una prima edizione di esso anche i senatori erano qualificati deputati e si distinguevano i senatori dai deputati chiamandosi questi deputati alla prima e gli altri deputati alla seconda Camera. Esattamente, quindi, la seconda Sottocommissione aveva proposto questo testo: «Nessuna Regione può eleggere un numero di deputati alla seconda Camera superiore al numero che essa manda alla prima Camera». Ma è evidente l’inutilità di queste ultime parole ora che i componenti la seconda Camera sono nel progetto qualificati senatori e non più deputati.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati, Fuschini, Ferrarese, De Palma, Sullo, Dominedò, Carignani, Bubbio, Balduzzi, Salizzoni e Viale, hanno proposto di sopprimere al secondo comma l’ultimo periodo:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera».

L’onorevole Mortati ha anche proposto di sospendere la determinazione del numero fisso di senatori fino a quando non sia stabilito il numero delle Regioni.

Ha facoltà di svolgere gli emendamenti.

MORTATI. A illustrazione del primo emendamento devo richiamare il concetto che il numero fisso stabilito dal secondo comma dell’articolo 55 ha una ragion d’essere in quanto il Senato sia costituito in funzione dell’ordinamento regionale. Sull’esigenza di questo collegamento non insisto, avendone ampiamente trattato pochi giorni fa, in occasione del mio intervento in qualità di relatore. È errata l’opinione secondo cui l’attribuzione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione, indipendentemente della sua popolazione, importi l’affermazione di un principio federalistico. Essa ha invece la funzione di attenuare, sia pure in limiti molto ristretti, la sproporzione di rappresentanza regionale, che si verifica in Italia, tenuto conto dell’enorme differenza di peso demografico fra alcune Regioni ed altre. Ciò premesso è ora di esaminare questo punto, se cioè si possa in questo momento procedere alla determinazione della entità di questa aliquota fissa da assegnare ad ogni complesso regionale. Sostengo con questo emendamento che la Camera debba limitarsi ad affermare il principio della assegnazione del numero fisso, rinviando ad un secondo momento la fissazione del numero complessivo. Questo rinvio è reso necessario in base a due considerazioni.

Anzitutto dal fatto che determinare il numero fisso in un modo od in un altro porta a modificare l’entità numerica complessiva del Senato. Evidentemente il numero dei componenti di un organo costituzionale è un elemento che influisce sulla natura che questo viene a rivestire e sul suo funzionamento, sicché assume una evidente rilevanza costituzionale. Quindi mi pare che non possiamo determinare questo numero fisso fin quando non sapremo quante saranno le Regioni.

È, in secondo luogo, necessario attendere di sapere come sarà regolata la formazione di nuove Regioni. L’onorevole Laconi adduceva, poco fa, un’obiezione a questo punto, cioè l’allettamento che la determinazione di un numero fisso di senatori può esercitare nel senso di incitare singoli gruppi di popolazione a richiedere la costituzione di Regioni autonome al solo scopo di aumentare il numero dei rappresentanti di queste al Senato. Ad evitare un siffatto, possibile inconveniente, sarebbe bene attendere che siano conosciute le modalità per la formazione delle nuove Regioni, in quanto se fra tali modalità vi sia quella (già proposta) che consiste nel richiedere un numero cospicuo di abitanti (di un milione e mezzo o due milioni) perché possa essere consentita la formazione di una nuova Regione, il pericolo rappresentato dall’onorevole Laconi viene ad essere evitato. Analogamente si deve affermare, l’opportunità di sospendere la determinazione di questo punto fino quando non saranno approvate le altre condizioni per la formazione di nuove Regioni. Secondo la proposta del progetto, non basterebbe a tale scopo la semplice volontà delle popolazioni interessate, ma occorrerebbe quella dello Stato, emessa con legge costituzionale: ciò che evidentemente varrebbe ad eliminare le formazioni artificiose, di cui si è parlato. Pare quindi che la proposta fatta di sospendere la determinazione del numero fisso, pur affermando il principio, trovi un valido fondamento nelle considerazioni che ho esposte.

Per quanto riguarda l’altro emendamento di soppressione dell’inciso dell’articolo 55, che preclude la possibilità per le Regioni di avere un numero di senatori maggiore del numero dei deputati ad esse assegnati, osservo che tale inciso, che fu approvato in Sottocommissione a debole maggioranza, non trova alcuna giustificazione ed anzi contrasta con quella esigenza che ha portato a dare base regionale al Senato. Ed è causa di sorpresa constatare che sia stato proprio l’onorevole Lussu, cioè un convinto regionalista, a farsi sostenitore della disposizione criticata.

Se il numero fisso tende a meglio determinare il carattere regionalistico della composizione della seconda Camera, cioè a consentire di dare anche alle piccole Regioni una rappresentanza tale da riflettere in modo quanto più possibile adeguato la loro composizione economico-sociale, non si comprende come debba influire nel senso di limitare la esplicazione del principio, la considerazione del numero dei deputati assegnati alla stessa Regione. Il fatto che le piccole Regioni possano avere più senatori che deputati trova la sua giustificazione nella funzione specifica attribuita al Senato di rafforzare la voce delle Regioni, ed in particolare delle minori, in seno agli organi centrali dello Stato. Anche questa mia proposta mi pare che rimanga così giustificata.

LUSSU. Onorevole Presidente, vorrei pregarla di darmi modo di parlare sulle questioni prospettate dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, presenti un emendamento anche solo di poche parole e le do la facoltà di parlare.

LUSSU. Non posso presentare emendamenti perché il testo è mio e quindi se non lo difende l’onorevole Ruini – e non mi pare che egli parta con entusiasmo alla difesa di questo emendamento – chi lo difenderà mai?

PRESIDENTE. Io non ho la possibilità di darle la parola se lei non ne crea le condizioni. Intanto, non sappiamo ancora che cosa dirà l’onorevole Ruini. E poi, lei ha sempre la possibilità di parlare per dichiarazione di voto.

Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro, che è del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per metà a suffragio universale, per l’altra metà, in parti eguali, dal Consiglio regionale e dai Consigli comunali di ciascuna circoscrizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Questo emendamento, onorevoli colleghi, non è contrapposto, ma subordinato all’emendamento già svolto per il nostro Gruppo dal collega Carpano, con il quale l’elezione dei senatori viene per intero rivendicata al suffragio universale, come unica, legittima espressione della sovranità popolare. Io confido che questo principio raccoglierà i più larghi consensi dell’Assemblea, e pertanto questo mio emendamento deve considerarsi proposto solo in contemplazione della eventualità che, rigettate tutte le altre proposte concorrenti, l’Assemblea sia chiamata a pronunciarsi sul testo del progetto di Costituzione, che la elezione dei senatori solo in parte riserva al suffragio universale segreto e diretto e per il resto attribuisce al Consiglio regionale della circoscrizione.

L’Assemblea ha già compresala portata che va attribuita alla intrusione della Regione nella consultazione elettorale, il risalto che per essa la Regione stessa verrebbe ad acquistare, unico fra gli enti locali, anche nell’ordinamento politico della Repubblica, le caratteristiche che deriverebbero al Senato medesimo dal fatto che la Regione possa presentarsi nel firmamento parlamentare, e specialmente nella progettata Assemblea Nazionale, nella figura di suo grande elettore. Ecco perché, di ciò preoccupato, nella prudente previsione della ipotesi anzidetta, ho proposto che alla duplice forma di elezione se ne aggiunga, come correttivo, una terza: nel senso che la elezione di una parte dei senatori sia riservata anche ai Consigli comunali della circoscrizione. I senatori di ciascuna Regione dovrebbero, a tenore dell’emendamento, essere eletti per metà a suffragio popolare diretto, col sistema che stabiliremo con la legge speciale, l’altra metà in parti eguali dai Consigli comunali e dal Consiglio regionale della circoscrizione. Il rapporto nella ripartizione non ha carattere essenziale e può formare oggetto di facile accordo.

L’idea non è originale: essa ha avuto già una notevole manifestazione in sede di Commissione per iniziativa di parecchi colleghi e ha avuta testé un’eco autorevole anche in questa Assemblea.

Quale è la giustificazione di questa mia formale proposta, che credo di aver giustamente chiamata «correttiva»? Voi avete udito or ora, attraverso la convincente parola del collega Laconi, alcune delle principali critiche che si rivolgono al progetto di Costituzione nella parte riflettente il Parlamento, per il ruolo che vi si attribuisce alla Regione; e risuonano ancora ai vostri orecchi quelle che una parte notevole dell’Assemblea ha portato contro l’ordinamento amministrativo nel suo caposaldo.

Quelle critiche interpretavano il pensiero del Paese; lo ha dimostrato la risonanza che hanno trovata nell’anima popolare, nei consensi dei cittadini di ogni ceto, dalle personalità dell’alta coltura al più modesto manuale. L’audace riforma trasvalicava i limiti logici e politici delle reclamate autonomie locali pienamente realizzabili attraverso gli enti locali di già esistenti; essa erra immatura e assolutamente carente di quel requisito etico che consiste nel riconoscimento della sua necessità e della sua maturità da parte della coscienza popolare; e fu comunque «avventata», in quanto i suoi sostenitori non vollero riconoscere nemmeno la necessità prudenziale di attendere, a regolamentarla, il risultato degli esperimenti delle autonomie regionali speciali già deliberate dal Governo e ormai quasi tutte in corso. E tutto il Paese la teme come una minaccia alla unità nazionale, come l’affermazione – per lo meno – di una tendenza federalistica destinata soltanto a dar soddisfazione al tradizionale spirito antiunitario del guelfismo; vero fenomeno di panico, quanto meno determinato dalla immeritata sciagura del Paese, dalla mancata reazione al timore del peggio, dalla preoccupazione egoistica di sovrapporre l’interesse del proprio ambiente locale e quello dello Stato.

Orbene tutte queste critiche, tutte queste preoccupazioni si riaffacciano oggi al nostro spirito, e si riaffacceranno nel Paese: perché il progetto della Commissione, nella parte relativa alla seconda Camera (che noi ritenevamo assolutamente superflua e alla quale finimmo per non opporci solo per spirito di concordia e per desiderio di raccogliere i più larghi consensi attorno all’attesa Costituzione), non fa che colorire il proposito di attribuire alla Regione anche una funzione politica, iniziando il tentativo d’infeudare ad essa, quale «grande elettore», il Senato della Repubblica. La Regione dovrebbe, in altri termini, sostituire, almeno in parte, il potere regio nella partecipazione alla costituzione del Senato; e gli accorgimenti completivi sarebbero affidati all’avvenire.

Considerate l’obbligo imposto dall’articolo 56 di trarre i senatori dall’ambito della Regione, limitandone la eleggibilità agli elettori che in essa siano nati o abbiano residenza: chi non vi legge il proposito di staccare sempre più i nuovi ordinamenti dall’indirizzo unitario di quelli precedenti, di fare della Regione un campo sempre più lontano dalla rimanente parte della nazione, uno staterello nello Stato, coll’affidare ad essa la nomina dei rappresentanti obbligatoriamente locali al progettato Senato, che sorgerebbe subito in funzione embrionale di federazione delle Regioni. Voi avete udite testé le critiche rivolte dal collega Laconi alla proposta di assegnare ad ogni Regione, indipendentemente dal numero di senatori che possano spettarle in base al numero degli abitanti, un numero fisso di cinque senatori, indistintamente per le Regioni grandi e per le piccole; e quelle critiche io non ripeto. Mi limito a concludere che il proposito di dar risalto alla Regione a scapito dello Stato, di sostituire allo spirito unitario del nostro Risorgimento la preoccupazione regionalista, particolarista e – perché no? – a poco a poco separatista, è ormai anche troppo colorito: i senatori dovrebbero rappresentare, territorialmente, non più l’intiera Nazione, ma la propria Regione, dovrebbero difendere non più gl’interessi generali dello Stato e del Paese, ma quelli particolaristici della Regione; così come ieri si tentava di attribuire al Senato, funzionalmente, non più la rappresentanza dei supremi interessi di tutto il Paese, ma quella d’interessi particolari di gruppi e di categorie, nostalgico rimpianto del crollato corporativismo.

Come evitare che a tanto si arrivi, quando, respinto ogni altro emendamento, che abbia diritto a precedenza, si rendesse necessario votare sul testo del progetto, di questa parte del progetto? Come disperdere queste avvisaglie, questi germi di federalismo avanzante, come impedire che il Senato sorga in funzione di incipiente federazione delle Regioni? Non si sorrida e non si protesti: è un principio, ma questo è: e a certi principî bisogna reagire. Poniamo comunque che si tratti soltanto di un timore ingiusto, in altri termini di un semplice sospetto; nessuno potrà contestare che come sospetto sia giustificato. E a mettere le nostre coscienze in pace, io penso che nella ipotesi che si pervenga alla ibrida forma di elezioni presa in esame, gioverebbe attribuire anche ai comuni il diritto di eleggere un numero di senatori pari a quello che eleggerebbe il Consiglio regionale. Questa introduzione del Comune nella vita politica italiana, mediante la sua partecipazione alla nomina di rappresentanti al Senato della Repubblica, avrebbe indiscutibilmente un’alta risonanza: anzitutto dimostrerebbe che lo Stato considera alla stessa stregua gli enti locali minori e più periferici e quelli maggiori; attenuerebbe il sospetto delle particolari finalità che si attribuiscono alla Regione; accrescerebbe l’autorità del Senato per la più capillare diffusione dei consensi dai quali derivano le nomine dei suoi membri; accrescerebbe in pari tempo l’autorità di costoro, in quanto ripeterebbero la elezione non da quelle oligarchie che inevitabilmente si formeranno in seno ai Consigli regionali, ma dalla maggioranza di tutti i Comuni, compresi i più lontani dal capoluogo regionale, con una investitura che per larghezza di base e per espressione di consensi non diversificherebbe troppo da quella del suffragio popolare diretto. E avrebbe risalto maggiore la stessa funzione dei senatori; il loro contatto coi Comuni e con le popolazioni gioverebbe a stringere vincoli di simpatia e di collaborazione, che mentre conferirebbero maggiore lustro alla dignità senatoria, si risolverebbero in un’assistenza più assidua agli enti locali, specie nei loro rapporti con l’amministrazione centrale, e in un più costante interessamento per le necessità delle popolazioni. Il Senato ne acquisterebbe in popolarità; i Comuni e i bisogni delle popolazioni sarebbero meno ignorati; le popolazioni stesse sentirebbero maggiormente la presenza dello Stato.

Si sono levate obiezioni per il preteso scompenso che si verificherebbe fra piccoli e grandi Comuni nella influenza sul risultato delle elezioni. Ma la preoccupazione è ingiustificata, perché i grandi Comuni, che del resto godono normalmente di una più assidua assistenza di parlamentari, hanno un numero di consiglieri molto attenuato in proporzione di quello dei Comuni minori. Comunque, qual’ora si volesse raggiungere una condizione di proporzionalità, in rapporto alle popolazioni anche in questa forma di elezione, non mancano i sistemi più rispondenti a tal fine, e potrà essere compito della legge elettorale stabilire quello che si riterrà più rispondente.

Si è obiettato pure che questa triplice forma di elezione crea un sistema troppo eclettico: ma l’eclettismo è la già constatata conseguenza delle numerose correnti di pensiero che operano in questa Assemblea; è la situazione che ha eliminato ogni residuo pregiudizio contro il compromesso parlamentare e che lo ha esaltato come strumento necessario del sistema elettorale proporzionale che impedisce il formarsi di maggioranze decisive. Anche il collega Gullo, nello svolgimento del suo ordine del giorno, si è ieri l’altro occupato di questo fenomeno in forma appassionata; e ha constatato che questa nostra opera deve, per necessità, svolgersi sul terreno del compromesso; e troppo spesso occorre negoziare concessioni contro concessioni. Purtroppo – egli ha concluso – in questa negoziazione coloro che perdono siamo sempre noi.

Una critica del genere partì proprio all’inizio della discussione generale, anche dall’onorevole Calamandrei; chi non ricorda quel suo caustico discorso pieno di garbato sarcasmo fiorentino? Dopo aver lamentato, fra l’altro, che il testo del progetto sentisse troppo della diversità di stile e di terminologia, egli avvertì che in esso v’era ben altro di peggio: esso rivelava di frequente un lavoro di mosaico, talvolta ben dissimulato, talvolta troppo appariscente, di pensieri politici diversi. Il Presidente della Commissione, dopo avere assicurato che nella ulteriore elaborazione si sarebbe certamente ottenuta, presso a poco, la stesura «monostile» vagheggiata dal preopinante, saggiamente rispose che l’incolpato mosaico di pensieri politici diversi non era un difetto, ma costituiva proprio il pregio principale di questa Costituzione. Per questo difetto e per questo pregio la Costituzione italiana, da patto fra principe e popolo che prima era, diventava patto fra le varie correnti di pensiero del popolo stesso. Questa era veramente la caratteristica più bella per la funzione di «contratto sociale» che questa Carta costituzionale avrebbe potuto, nelle presenti contingenze, acquistare. Disgraziatamente, non tutti i partiti hanno sentito il dovere di uniformarsi a questa necessità, e bene spesso, quando ad essi ha fatto comodo, noi ci siamo trovati di fronte a votazioni che non potranno non diminuire l’autorità della Carta costituzionale di fronte al popolo.

Non si dimentichi che le questioni fondamentali sono state votate con venti, dieci, e anche con due soli voti di maggioranza; e rifletta ognuno che lo stesso pericolo incombe sulla votazione finale.

Oggi, in occasione dello svolgimento di questo emendamento, nel momento più critico, più delicato della formazione di questa Costituzione, giacché si tratta proprio della parte nucleare di essa, noi dobbiamo sentire una responsabilità maggiore. Dobbiamo ricordare la rievocazione che il Presidente della Commissione, nella sua Relazione scritta, ha fatto di quel simpatico amico della Roma del primo Ottocento e dell’Italia tutta che fu Henry Beyle, alias Stendhal, che vi è definito «spirito lucido» (e sarebbe il caso di aggiungere «illuminato»): egli diceva, ricorda la Relazione, che avvicinandosi ad una Costituzione, provava un vero senso religioso. Per tale senso religioso, che diventa paura religiosa in noi che a quest’opera attendiamo in momenti così calamitosi per il nostro Paese e per l’intiera umanità, io mi permetto – e non so se la sede sia opportuna, e se l’onorevole Presidente me lo consentirà – di rivolgere una calda preghiera al Presidente della Commissione perché, prima che si vada in votazione, faccia quello sforzo che da una parte dell’Assemblea era stato invocato ieri: convochi i presentatori degli ordini del giorno e degli emendamenti e cerchi di trovare un accordo fra loro, in modo che quelle qualsiansi soluzioni, quelle qualsiansi formule che saranno concordate, poste in votazione, abbiano a riportare una maggioranza tale da conquistare una imponente autorità di fronte al popolo, tanto imponente da restituirgli la fiducia nell’opera nostra, anche per tutta la parte di lavoro in precedenza compiuta.

Io mi auguro che in tal modo noi possiamo dare tutto il pregio che intensamente desideriamo a questa Costituzione, che oltre a completare l’ordine democratico, repubblicano che è stato raggiunto, è destinata a consolidare nello sforzo per la rinascita e nel trionfo della ricostruzione raggiunta, la durevole pace sociale dell’Italia nostra. (Applausi a sinistra).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per un terzo (in via subordinata: per un quarto), col minimo di tre, dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nei comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento da me proposto riguarda il terzo comma dell’articolo che stiamo esaminando; non entro quindi in merito ai primi due commi, partendo dal presupposto che essi così come sono, o con qualche ritocco, restino.

Il terzo comma ha per oggetto di regolare in che modo si procede all’elezione dei senatori assegnati a ciascuna Regione. L’emendamento che ho proposto si allontana dal testo della Commissione in tre punti di diversa importanza.

Il primo punto concerne l’elezione dei senatori da parte del Consiglio regionale. Nel testo proposto dalla Commissione si dice: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale». In primo luogo, dal punto di vista formale, è opportuno dire «dal Consiglio regionale» e non «dai membri», perché l’elezione è fatta dall’organo collegiale come tale.

Per quanto concerne il numero dei senatori la cui elezione sarebbe assegnata al Consiglio regionale, nel mio emendamento si mantiene il terzo, ma con un piccolo correttivo, cioè con un minimo di tre. A me pare che questo correttivo sia opportuno, anche per la considerazione che, se un Consiglio regionale è chiamato a fare l’elezione di almeno tre senatori, è possibile applicare il voto limitato, assicurando così una certa rappresentanza delle minoranze.

Il secondo punto è di carattere esclusivamente formale: in luogo di dire, cioè, «gli altri due terzi», nel testo da me proposto è detto: «il resto». La ragione di tale modificazione è semplice ed è che non sempre il numero totale assegnato a ciascuna regione è divisibile per tre. Conseguentemente, quella che sarà la quota da eleggersi diversamente potrà, in concreto, risultare maggiore o minore di due terzi. Dal punto di vista tecnico è quindi preferibile dire «il resto».

Il terzo punto è quello che presenta maggiore importanza dal punto di vista pratico e politico. Esso riguarda il modo con cui dovrebbe procedersi all’elezione del maggior numero di senatori assegnati a ciascuna Regione. Come è stato già rilevato, nell’emendamento proposto si accoglie l’idea dell’elezione di secondo grado, idea che, come giustamente ricordava l’onorevole Laconi, è stata diverse volte e sotto diverse forme prospettata in seno alla seconda Sottocommissione.

Io non voglio, onorevoli colleghi, entrare in discussioni teoriche sulla preferibilità dell’elezione diretta, rispetto a quella di secondo grado. Mi limito a constatare che, contro l’elezione di secondo grado sono state portate, così in sede di Sottocommissione, come qui in Assemblea, delle critiche che mi sembrano nettamente contrastanti.

Vi fu infatti, da un lato, qualche membro della Commissione il quale osservò che, in fondo, le elezioni di secondo grado sono – per usare l’espressione da esso adoperata – una farsa. Perché? Perché gli elettori di secondo grado si possono paragonare a macchine automatiche che non fanno se non eseguire quella che è stata la designazione di primo grado. Certo, questa critica riassunta nell’espressione molto drastica da me ora ricordata si può fino ad un certo punto ritenere fondata, quando si pensa all’elezione di secondo grado che ha per oggetto la designazione di una persona: esempio tipico l’elezione di secondo grado del Presidente degli Stati Uniti d’America. È evidente infatti che il giorno stesso in cui si chiudono le elezioni di primo grado, si sa già qual è la persona del Presidente che sarà eletto, cosicché l’elezione effettiva del Presidente si riduce in realtà ad un’operazione quasi meccanica.

Ma qui non siamo di fronte all’elezione di uno; qui siamo di fronte all’elezione di un numero variabile, ma sempre abbastanza elevato di persone. Conseguentemente, quell’inconveniente dell’elezione puramente meccanica, qui non c’è. In realtà i «grandi elettori» hanno la possibilità di fare una scelta, e quindi, di far giocare anche elementi personali.

Da parte dell’onorevole Nitti è stata fatta un’altra osservazione, ed egli ha ritenuto anche di appoggiarla a qualche esempio storico. Ma anche qui, mi pare che lo stesso onorevole Nitti sia caduto in qualche contradizione. Egli, in particolare, si è riferito all’esperienza del Senato francese, il quale in realtà, dal 1875 in poi, era una seconda Camera eletta col sistema delle elezioni di secondo grado. E l’onorevole Nitti ha ricordato che ci sono stati dei casi in cui qualche senatore, molto ben provvisto, è riuscito ad esplicare, con mezzi molto persuasivi, una particolare influenza sul gruppo dei «grandi elettori».

Io non contesto l’esattezza storica di questa osservazione per qualche caso; però mi limito a constatare che lo stesso onorevole Nitti, nello stesso suo discorso, ad un certo punto rilevava l’importanza che il Senato francese ebbe nella vita della Terza Repubblica, e giustamente ricordò che in certi momenti fu il Senato francese che difese la Repubblica contro qualche atteggiamento di partiti o di uomini indirizzati su altre vie. Quindi, anche qui mi pare vi sia un po’ di contradizione.

In conclusione, con una semplice osservazione di buonsenso, io constato che le critiche opposte al sistema sono nettamente contrastanti; e, quindi, si può dire in un certo senso che si elidono.

Ciò premesso, e senza insistere ancora su concetti generici, vengo rapidamente a spiegare il meccanismo della elezione quale è proposto nel mio emendamento. In esso si dice che il resto dei senatori assegnati a ciascuna Regione è eletto «da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nei comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ciò che caratterizza questo emendamento per quanto riguarda la parte tecnica è che esso lascia un notevole margine alla legge elettorale, limitandosi a fissare i principî fondamentali; e sotto questo punto di vista è correlativo al sistema che è stato seguito per la Camera dei deputati. L’articolo già adottato, limitandosi a dire che la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, rinvia alla legge elettorale politica tutti gli altri problemi tecnici e politici relativi all’elezione dei deputati. Così per il Senato della Repubblica la Costituzione, secondo l’emendamento proposto, si limiterebbe ad indicare il criterio sopra enunciato al quale la legge elettorale dovrebbe informarsi. La legge elettorale determinerà le circoscrizioni di primo grado (le quali potranno essere, mettiamo, mandamentali o circondariali). Ogni elettore del suffragio universale nell’eleggere i cosiddetti «grandi elettori», dovrà sceglierli fra coloro che sono iscritti nelle liste elettorali della circoscrizione. La legge determinerà una certa proporzione, cioè quanti saranno i «grandi elettori», rispetto alla massa degli abitanti: se 1 per 1.000, 1 per 2.000, od 1 per 500. La questione è rimessa alla legge. Il gruppo dei «grandi elettori» così eletti, viene ad essere, in sostanza, una riproduzione ridotta del corpo elettorale di primo grado. Poi la legge dovrà fare un’altra precisazione tecnica: cioè, dovrà stabilire qual è il collegio elettorale chiamato a fare l’elezione vera e propria dei senatori, raccogliendo gli elettori usciti dal suffragio universale in un collegio che sarà necessariamente più ampio di quello in cui è avvenuta l’elezione in primo grado; per esempio, un collegio provinciale. È questo collegio elettorale che dovrà compiere l’elezione.

È evidente che questo meccanismo è tale da permettere l’applicazione della rappresentanza proporzionale, sia nell’elezione di primo grado, sia nell’elezione definitiva. Quindi, esso va incontro ad una esigenza che – in quanto sia sentita – può esser soddisfatta dalla legge.

D’altra parte esso è un sistema che in larga misura tiene conto di quello che è considerato un carattere a favore del sistema uninominale, cioè il maggiore apprezzamento dei valori individuali. I grandi elettori, per quanto siano in numero abbastanza cospicuo, potranno esercitare una notevole libertà di scelta nelle persone che in concreto saranno elette.

Mi pare dunque che il sistema sia tale da andare incontro alle diverse esigenze; e, sotto questo punto di vista, credo che potrebbe essere una soluzione che ci permetta di uscire da questi contrastanti punti di vista.

È con questo spirito, è soprattutto con questa idea di trovare una formula che vada incontro a queste diverse e contrapposte concezioni, che noi abbiamo proposto questo emendamento.

Mi si permetta di aggiungere una breve osservazione. Sarà svolto ora un emendamento dell’onorevole Zuccarini, nel quale vi è una idea che non c’è nel mio, ed alla quale – per quanto mi concerne – non ho difficoltà ad aderire. La proposta dell’onorevole Zuccarini è di introdurre una limitazione nella libertà di scelta dei grandi elettori, stabilendo che il suffragio universale dovrà cadere non soltanto sugli iscritti nella circoscrizione, ma sugli iscritti aventi una certa età, cioè un’età superiore ai 25 anni.

È un’idea interessante che potrebbe essere aggiunta alle altre che sono indicate qui e all’insieme delle altre che servono a differenziare – in quanto opportuno e in quanto necessario – la formazione del Senato dalla formazione della Camera dei deputati.

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali:

Presenti e votanti          373

Maggioranza                187

Voti favorevoli            342

Voti contrari                 31

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assenato – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Ilio – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon –Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Burato.

Caccuri – Caiati – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Germano – Gervasi – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lozza – Luisetti.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazza – Mazzoni – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Varvaro – Venditti – Vemocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Campilli – Canepa – Carboni Angelo – Carmagnola – Codignola.

Geuna – Gullo Rocco.

Jacini.

La Malfa.

Mastino Pietro – Montemartini.

Parri – Pellizzari – Pignatari.

Tremelloni.

Vischioni.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Zuccarini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti, per la quota fissa attribuita a ciascuna Regione, dal Consiglio regionale, e, per il resto, da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori che abbiano superato i 25 anni di età, iscritti nei Comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

ZUCCARINI. Il mio emendamento porta appena due modificazioni all’emendamento presentato dall’onorevole Perassi, che è stato abbondantemente illustrato.

Io tengo ad accentuare il carattere di questi due nostri emendamenti, i quali si preoccupano soprattutto di conservare al Senato quel carattere col quale esso fu inserito nella Costituzione. Il Senato deve rappresentare per noi un correttivo degli interessi locali e regionali alla legislazione ordinaria della prima Camera. Non si comprenderebbe il Senato, se il Senato non avesse una propria caratteristica, e questa caratteristica gli è data proprio dalla forma della sua composizione. Non è vero che la Regione, dal momento che l’abbiamo costituita, non rappresenti nulla nella vita nazionale; anzi noi l’abbiamo costituita perché essa rappresenti un organismo chiamato a risolvere per suo conto i suoi particolari problemi e a portare nella seconda Assemblea la voce di questi interessi particolari perché si armonizzino con gli interessi generali. Quindi è necessario, secondo noi, nella composizione della seconda Camera, cioè del Senato, di accentuare il carattere regionale e locale della sua composizione. Ciò può essere ottenuto (come nella discussione della Commissione dei Settantacinque fu deciso) a mezzo di una rappresentanza diretta del Consiglio regionale, il quale per se stesso, prendendo delle deliberazioni, facendo una legislazione propria nell’ambito regionale, ha tutto l’interesse ad avere una voce sua nella legislazione nazionale. Non si capirebbe l’ente Regione se l’ente Regione non potesse far pesare anche il proprio particolare punto di vista nella legislazione generale, ciò che è possibile attraverso il Senato. Ecco perché fu pensato di assegnare un numero fisso di senatori ad ogni Regione. Non per incoraggiare la tendenza verso la creazione di nuove Regioni. Non credo che per avere un senatore di più o di meno si costituiranno nuove Regioni. Se fu stabilito il numero fisso, fu fatto con criterio equilibratore. Noi non dimenticammo e non dimentichiamo il contrasto che si è sempre verificato nella vita nazionale fra Nord e Sud, fra Regioni ricche e regioni povere, fra Regioni meglio trattate dalla legislazione generale e dallo Stato e Regioni peggio trattate. Volevamo superare tale contrasto. E, l’avere stabilito un numero fisso, serve appunto ad equilibrare il peso fra il Mezzogiorno e il sud d’Italia, delle Regioni meridionali, e le Regioni del Settentrione. Si è voluto dare insomma un maggior peso alle Regioni che hanno maggiori bisogni e maggiori diritti da rivendicare. Che poi questo numero fisso sia di cinque o di tre, ciò è perfettamente indifferente ed è in relazione a questo numero fisso che io ho proposto il mio emendamento. Non credo invece che all’Assemblea regionale debba spettare addirittura la nomina di un terzo o di una quarta parte od anche della metà dei propri rappresentanti in Senato.

Nella Commissione dei Settantacinque si pensò di fare eleggere il resto dei senatori ad una rappresentanza dei Comuni. Senonché di fronte a questa proposta si trovarono una infinità di difficoltà di attuazione pratica. Si osserva che c’erano Comuni di 100 mila-200 mila ed anche di oltre un milione e due milioni di abitanti e Comuni con poche centinaia o migliaia di abitanti; e allora si pensò che dare ai consiglieri comunali di una grande città un peso, che in base al numero dei consiglieri sarebbe soverchiato da un piccolo numero di piccoli Comuni che hanno un minimo di 15 consiglieri, creasse una ingiustificata sproporzione. I Comuni piccoli avrebbero finito col determinare essi l’elezione dei senatori. Come si poteva ovviare a tale inconveniente? C’è un modo solo ed è quello proposto dall’onorevole Perassi e sostenuto anche da me. Esso, non è affatto complicato; è semplicissimo. Si tratta di una elezione di secondo grado che può svolgersi normalmente e senza nessuna difficoltà. Invece di essere i consiglieri comunali a votare per il Comune, sarebbe nominato per ciascun Comune un numero di elettori di secondo grado in proporzione degli abitanti; e in tal modo la città grande non peserà diversamente dal piccolo Comune, cioè ogni gruppo di cittadini si troverà ad avere lo stesso peso nelle elezioni dei senatori. È in questo senso che è fatta la nostra proposta, che non è affatto complicata nella sua attuazione. Può essere infatti attuata con una grande semplicità ed anche con una procedura molto precisa e chiara che non lascia dubbi. Male è stato, secondo me, il non averla proposta in sede di Commissione dei Settantacinque; ma riproponendola qui oggi crediamo di avere semplificato in questo senso il problema. E badate, che la elezione che parte dagli enti locali, anche con l’elezione così come l’abbiamo proposta, non è vero che non abbia il suo peso e non contribuisca alla caratterizzazione della seconda Assemblea. Solo per il fatto che l’elezione avviene in rappresentanza di interessi locali, solo per il fatto che gli elettori saranno rappresentanti dei Comuni, si sentiranno investiti della rappresentanza di quei particolari interessi per quello che di essi rientra nella generale vita della Nazione.

C’è una seconda modificazione introdotta dal mio emendamento, e cioè che gli elettori di primo grado per la nomina dei senatori abbiano compiuto almeno 25 anni di età. Perché questo? Perché io penso che sia pure esso un modo per differenziare e migliorare ancora la seconda Assemblea, la quale, avendo un compito – e non credo di dover insistere su questo – di revisione, di miglioramento e di perfezionamento delle leggi che possono partire anche affrettatamente dalla prima Camera è necessario che, pure essendo meno numerosa, abbia una maggiore capacità e competenza. Gli amici democristiani hanno cercato il miglioramento del corpo rappresentativo attraverso la rappresentanza degli interessi: problema molto difficile da risolvere. Invece, con la differenza dell’età, noi avremo già una selezione negli elettori: avremo intanto elettori che, avendo alcuni anni di più, sono evidentemente più posati e più capaci. Con la elezione di secondo grado, avremo poi una seconda selezione fatta dagli elettori stessi. Non si tratterebbe più di una massa elettorale indifferenziata, anche se i partiti partecipano con gli stessi diritti e gli stessi risultati alla votazione. Evidentemente, nel formare la lista dei candidati i partiti si preoccuperanno di scegliere i loro migliori e si sarà ottenuto un corpo elettorale più selezionato e più capace. Ciò può dare una maggiore garanzia che a comporre il Senato saranno nominate persone all’altezza del loro compito.

Con questo intento ho proposto il mio emendamento e lo raccomando all’approvazione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Rubilli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per un quarto con nomina del Presidente della Repubblica e per tre quarti con elezioni a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età, col sistema del collegio uninominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUBILLI. Il mio emendamento consta di due parti.

Per la prima parte insisto nel ritenere che per lo meno una esigua frazione dei membri del Senato sia da nominare dal Presidente della Repubblica; non sto a ripetere le ragioni già esposte in sede di discussione generale, esigenze di giustizia, da una parte, e di utilità, dall’altra, per potere usufruire anche del contributo che uomini preclari, ma estranei ai partiti ed alla competizione elettorale, possono dare alla formazione delle leggi. Tengo a chiarire, però, che io non intendo che questa nomina debba essere a vita, ma che vada limitata alla legislatura del Senato, salvo riconferma. Aggiungo che questo criterio non inficia in alcun modo il concetto fondamentale che le Assemblee legislative debbano essere espressione della volontà popolare: sia perché sarebbe molto limitato il numero dei senatori a nomina presidenziale, sia perché non si tratta più di nomina regia, ma di nomina da parte del Presidente della Repubblica, che di per se stesso e per le sue origini rappresenta la più alta espressione del popolo intero; si avrebbe così quasi una forma di suffragio indiretto.

Altri due emendamenti, a questo riguardo, collimano col mio: quello dell’onorevole Russo Perez e quello dell’onorevole Nitti.

Ora io mantengo l’emendamento nei limiti nei quali l’ho segnato. Non credo che si possa eccedere nella frazione che dovrebbe entrare per nomina presidenziale, come vorrebbe il collega Russo Perez con il suo emendamento, portandola ad un terzo. Sarebbe troppo. Io mi accontenterei di un quarto e sarei disposto a ridurre ancora, purché non si precluda a persone, che per i loro meriti e la loro utilità possono contribuire alla tutela degli interessi nazionali, un ingresso per via di nomina da parte del Presidente della Repubblica; mi accontenterei persino di un quinto, purché vi sia comunque questa frazione riserbata a coloro che non vogliono o non possono correre l’alea elettorale, pur meritando di far parte dell’Assemblea legislativa. Insomma sui limiti potrà meglio deliberarsi con criteri di maggiore o minore opportunità, ma un’affermazione del concetto espresso nel mio emendamento mi pare assolutamente indispensabile.

Tanto meno posso condividere l’idea dell’onorevole Nitti, il quale giunge a riduzioni eccessive ed inaccettabili, perché secondo lui dovrebbero entrare nel Senato, e di diritto, soltanto 9 persone: 9 persone disperse nel Senato. Tre giureconsulti (i capi delle grandi Magistrature) e sei professori (letterati o scienziati) nominati dal Consiglio superiore della pubblica istruzione. Ora, una simile proposta eliminerebbe ogni collaborazione utile ed efficace. Nove persone, di diversa origine, di diversa mentalità ed attitudine politica non potrebbero nemmeno formare un piccolo gruppo. Quest’idea servirebbe solo a portare scompiglio nella classe dei professori. (Commenti). Già sono in perenne lotta tra loro: sono tali e tante le reciproche gelosie che non ce n’è uno che parli bene dell’altro. (Rumori). Immaginate cosa avverrà, se noi stabiliremo questa gara tra i professori universitari, ed in quale imbarazzo metteremmo il Consiglio dell’istruzione. Mi pare che non si dovrebbe tener conto né degli eccessi in più – che vengono da una parte – né di quelli in meno, che vengono dall’altra parte. Tra un quarto ed un quinto dei componenti si potrebbe decidere meglio ed utilmente sulla opportunità di immettere nel Senato persone che meritano e la cui opera può essere veramente efficace.

Nel caso in cui il mio emendamento non passasse così come è redatto, cioè sotto forma di norma permanente, io sarei disposto a ridurlo ancora e verrei – come si dice nel gergo giudiziario – ad una subordinata: per lo meno, direi, ammettiamolo per la prima costituzione del Senato. Veniamo da un ventennio in cui ogni libertà, ogni senso di democrazia ed ogni attività politica sono stati completamente soffocati. Almeno per questa prima formazione di una nuova Assembla politica e legislativa facciamo in modo che possano entrare, come guide, delle forze pratiche ed esperte che valgano a dare veramente un indirizzo serio ed utile al funzionamento del Senato.

Si può dire del resto che il mio concetto venga anche avvalorato da parecchie parti. Non soltanto gli emendamenti da me presentati sono in discussione, ma anche altri emendamenti (sui quali l’Assemblea deciderà come crede, e sui quali mi astengo, per delicatezza, di dire anche una parola soltanto) si occupano di questo argomento, e vorrebbero almeno mandare al Senato dei vecchi parlamentari coi quali si potrebbe raggiungere lo stesso scopo. Insomma, c’è una corrente che sotto una forma o sotto l’altra, perlomeno per la prima costituzione del Senato, vuole immettere nell’Assemblea forze vive ed efficaci, che possono veramente essere utilizzate in una compagine nuova che non si sa come possa essere configurata. Perciò anche se non volete accettare la mia proposta come norma permanente per la costituzione del Senato, vi prego di accettarla per lo meno in linea transitoria per la prima volta in cui si costituisce la seconda Camera, salvo a vedere meglio se debba essere mantenuta in seguito.

Per quello che riguarda poi la seconda parte dell’emendamento, in relazione al collegio uninominale…

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, ha già parlato tanto a lungo sul collegio uninominale!

RUBILLI. Signor Presidente, non è che voglia parlarne ancora, ma desidero avere la semplice soddisfazione di togliermi una curiosità…

PRESIDENTE. Se è legittima.

RUBILLI. Sì, una legittima curiosità. Su questo concetto del collegio uninominale io conosco benissimo quale è il pensiero del Partito democratico cristiano, che rispetto ampiamente e doverosamente, pur non condividendolo. Abbiamo sentito oggi quale è il pensiero autorevole dell’onorevole Nitti; poi abbiamo sentito quello dell’onorevole Laconi in rappresentanza del Gruppo comunista; ma non sono riuscito ancora a capire bene il pensiero del Partito socialista.

Una voce. È riservato!

RUBILLI. Finora hanno sviato; fino a questo momento non hanno voluto affrontare la questione.

NOBILI TITO ORO. Si è detto che spetta alla legge speciale.

RUBILLI. Ho sentito due oratori: Nobili Tito Oro e Carpano. Per quello che riguarda Nobili Tito Oro, egli non si è pronunciato per niente. Dal suo ordine del giorno, come è redatto, mi pare di dedurre che egli propenda per il collegio uninominale, perché quando dice che la metà soltanto dei senatori sarebbe eletta a suffragio universale diretto, come può mai a questa metà, che si prevede presso a poco sulle trecento persone in tutta l’Italia, applicare la proporzionale?

Quindi se non l’ha detto esplicitamente, in sostanza non si può dire sul serio che egli voglia affidarsi ad un metodo proporzionale. Il collega Carpano ha detto che bisognava riservare questo argomento alla legge elettorale, ed ha detto cosa giustissima. Amico mio, lo avrei detto pure io. Anzi ho di già detto nella discussione generale sul progetto che la legge costituzionale si è voluta occupare di troppe cose e pensa ora perfino di includere ed assorbire la legge elettorale. Ma che ci possiamo fare se così si vuole? Io ho osservato persino che la Costituzione è diventata quasi un’enciclopedia giuridica! Giustamente, ripeto, diceva Carpano che bisognava rinviare questo argomento alla legge elettorale politica e che in quella sede si doveva stabilire quali metodi elettorali fossero da applicare sia per la Camera dei deputati, sia per il Senato. Intanto, la proporzionale è passata quasi inosservata, in cinque minuti, senza discussione. L’Assemblea ha adottato la proporzionale per la Camera dei deputati, assumendoci così una non lieve responsabilità, senza nemmeno approfondire l’argomento. Purtroppo è così, caro Carpano. Noi abbiamo ragione, ma non siamo l’Assemblea. L’Assemblea è sovrana, come qui si ripete sempre, ma non credo che essere sovrana significhi che può fare quello che vuole. Intanto quasi senza che nessuno se ne accorgesse, nella seduta di ieri, immediatamente dopo una votazione a scrutinio segreto, quando di solito si verifica un certo sbandamento, una certa confusione, in quest’Aula si approvò per alzata e seduta un ordine del giorno per la proporzionale nella elezione alla Camera dei deputati.

Ora, se si è stabilito il metodo elettorale per la Camera dei deputati, bisogna farlo pure per il Senato. Non se ne può fare a meno. Si doveva prima stabilire il rinvio alla legge elettorale, come io ho sostenuto sempre; ma giacché si è seguito un sistema diverso, non possiamo fare a meno di ammetterlo anche per il Senato.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, c’è a questo proposito un ordine del giorno che impegnerà i colleghi socialisti a votare.

RUBILLI. Ma sino a questo momento non si sono affatto espressi in modo chiaro e preciso, mentre occorre che ognuno si pronunci su di una questione che senza dubbio è di non lieve importanza. Nulla di serio ho mai sentito contro il collegio uninominale, di cui non voglio ora ricordare tutte le benemerenze (è argomento questo del quale ci siamo occupati altre volte). Ora ho sentito fare una sola obiezione: se abbiamo stabilito, si dice, per la Camera dei deputati la proporzionale, come possiamo non stabilirla anche per il Senato? Come si potrebbe giustificare la difformità?

Appunto per questo anzi vogliamo il collegio uninominale; appunto perché avete stabilito la proporzionale per i deputati, vogliamo il collegio uninominale pel Senato, perché occorre che il Senato non sia un doppione, non sia una riproduzione precisa e fedele della Camera dei deputati, ma da questa si diversifichi, per essere efficiente, altrimenti, come è stato riconosciuto da ogni parte, sarebbe una istituzione onerosa e senza utilità di sorta. Quindi la vostra obiezione, o colleghi, si riduce ad un argomento a favore, e se non vi fossero altre ragioni, appunto per quello che voi opponete, noi insistiamo nel collegio uninominale ed aspettiamo che il terzo dei partiti forti, dei partiti di massa, nella sua duplice forma, si pronunzi tra qualche giorno sulla scelta della proporzionale o del collegio uninominale per l’elezione del Senato. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti dai membri del Consiglio regionale con il sistema maggioritario».

Ha facoltà di svolgerlo.

CARONIA. Mi duole che in mia assenza sia stato dichiarato decaduto il mio primo emendamento, con cui proponevo che ad ogni Regione fosse assegnato un senatore per 200.000 abitanti, perché questo secondo è in rapporto col primo.

Partendo da quanto ha proposto la Commissione, che il Senato è eletto a base regionale, ritengo che sia logico dare una parte notevole, nella scelta dei senatori, alle Assemblee regionali.

Mi si obietta che le Assemblee regionali sono costituite da un numero molto limitato e che affidare la elezione dei senatori a un numero ristretto di elettori sarebbe cosa assurda e darebbe eccessivi poteri a tali Assemblee. Ma qui è questione di numero. In sostanza, secondo quanto propone l’onorevole Perassi, viene affidata per delega ad un numero limitato di elettori la scelta dei senatori. E non è preferibile che questa delega sia data ai componenti le Assemblee regionali, che sono in fondo l’espressione della totalità degli elettori, essendo stati eletti a suffragio universale? Bisogna piuttosto, secondo quanto ho espresso nel primo emendamento, ridurre quanto più è possibile il numero dei senatori, escludendo anche l’assegnazione di un numero fisso di senatori per ogni Regione e lasciando, con l’assegnazione di un senatore per ogni 200.000 abitanti, la rappresentanza proporzionale. Questo anche per prevenire l’obiezione che si potrebbe avanzare da chi si preoccupa del fatto che dare un numero fisso di senatori alle singole Regioni possa portare queste al rango di sovranità, come avviene nelle Nazioni federali. La proporzionalità dei rappresentanti al Senato da parte delle Regioni è più consona al nostro concetto di Stato unitario a struttura regionale. Mantengo pertanto la mia proposta di assegnare un senatore per ogni 200.000 abitanti, senza il di più di un numero fisso e di affidare alle Assemblee regionali la elezione dei senatori assegnati alle singole Regioni. Verrebbe così semplificato il procedimento elettorale e nello stesso tempo meglio differenziato il carattere del Senato.

Dichiaro infine che ove i miei emendamenti dovessero essere respinti, aderirò all’emendamento Perassi che più ai miei si avvicina.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Russo Perez, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto, sostituire le parole: I senatori sono per un terzo nominati a vita per libera scelta del Capo dello Stato e per due terzi eletti col sistema del collegio uninominale».

CONDORELLI. In assenza dell’onorevole Russo Perez faccio mio l’emendamento e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Conti, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: il venticinquesimo anno di età, sostituire le altre: il ventunesimo anno di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

CONTI. Lo mantengo, ma rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Alberti, del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«Cinque senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario, hanno illustrata la Patria».

Ha facoltà di svolgerlo.

ALBERTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione generale sui temi che ora stiamo trattando, insigne per valenti oratori di ogni parte dell’Assemblea, ha avuto però – soprattutto a causa dell’ecatombe degli iscritti – una andatura piuttosto spedita che, su qualche punto, è stata persino un po’ troppo succinta.

Ora qui, in sede di emendamenti, non è certo il caso di interrompere questo ritmo, che è opportunamente veloce. Soltanto, vorrei dire al Signor Presidente che io, avendo presentato – e la Commissione me lo perdoni! – quattro emendamenti, vorrei, col consenso del Signor Presidente, rubare qualche minuto sul tempo regolamentare per i primi, promettendo di restituire questi minuti, e con larghi interessi, nel trattamento degli altri due.

Il concetto che ispira l’emendamento che io vado trattando è un concetto che non ha trovato né favore né aperta ostilità fra la maggior parte degli oratori, sia in sede di Commissione che di Assemblea; soltanto da parte dei colleghi della sinistra estrema è venuta qualche critica vivace. Oggi stesso l’onorevole Laconi ha avuto accenti quasi sdegnosi contro questa investitura dall’alto, che offenderebbe gravemente la sovranità popolare, che farebbe parte anch’essa dell’armamentario di equilibri, di contrappesi, di freni, che sono ritenuti ormai muffe e rottami del passato.

A proposito di sovranità popolare, viene in mente la frase celebre: «la sovranità popolare non ammette confine che l’arresti, ragione che la costringa, forza che le si sovrapponga». Chi, onorevoli colleghi, non si inchina alla sovranità popolare? Chi non la saluta come una grande conquista umana? Si può polemizzare fra sacerdoti, ma tutti venerano la dea. Dea veramente; poiché il popolo, il popolo in tutti i suoi ordini che ascende nel lavoro, armato di diritti, di esperienze e, via via, sempre più anche di sapere, non è solo il protagonista ma è la realtà viva della storia.

Però, onorevoli colleghi, neanche la sovranità popolare è un assoluto: l’assoluto non esiste in natura; non esiste – vi direbbe il mio amico Clerici che è uno squisito cultore d’arte, oltre ad essere, come ne avete avuto conferma pochi giorni fa, un politico ed un giurista di alto valore – non esiste, dicevo, neanche in arte, l’assoluto: il senso del limite è anzi uno dei suoi attributi essenziali.

Non esiste in politica; non è esistito nemmeno nelle monarchie assolute, perché è stato giustamente osservato che anche le monarchie assolute trovavano la loro limitazione nella nobiltà feudale di provincia o di corte, nel papato e nelle chiese nazionali, o nelle città libere, o nei corpi autonomi: limitazioni di carattere ora feudale, giurisdizionale, ora popolare, secondo i tempi.

Ma, onorevoli colleghi, qui non si tratta di limitazione bensì di integrazione. La parola integrazione è affiorata in questi ultimi giorni sulle labbra di molti colleghi che hanno parlato su questi temi. L’onorevole Clerici, parlando della rappresentanza degli interessi che egli, con molti altri, ed io fra essi, avrebbe auspicato, ha avuto una frase felice; ha detto: si tratta di fotografare la nazione sotto un altro profilo.

Io avrei aggiunto una parola sola; avrei detto: come si fa con le persone a cui si vuol bene. E noi tutti vogliamo bene al Paese. Anche qui, onorevoli colleghi, si tratta di fotografare – di scorcio – il Paese nelle più alte manifestazioni della cultura e dell’arte. Si è detto, a proposito di questo emendamento, nello stesso modo come ci si era opposti a Clerici e agli altri che patrocinavano la rappresentanza degli interessi, si è detto: sono nascoste manovre di carattere conservatore. A me anzi si è detto in anticipo: si vuole spingere anche così il Senato a destra. È una vera profanazione: lo ha detto, se con queste precise parole, con questo concetto, l’onorevole Laconi. Ma perché siano manovre conservatrici non si è detto. Si è però insistito su questo concetto, che il criterio unico, il metodo unico, l’unico strumento della vita politica debba essere la volontà della maggioranza espressa dal popolo indiscriminatamente nel suffragio universale.

Ora, da quando i greci hanno fornito, perfezionandolo, allo svolgimento della vita politica, questo strumento della volontà, della maggioranza, il mondo non ne ha trovato – e probabilmente non ne troverà mai più – uno migliore. Ma, badate bene, onorevoli colleghi; si tratta di un concetto empirico. Prima di essere vero in politica, questo concetto era vero nello scontro delle forze fisiche: nella legge della foresta, come ora si dice. Ora, la democrazia (ossia la civiltà) deve tendere a conquistare, attraverso il trionfo del numero, il trionfo della razionalità.

La maggioranza e la razionalità molte volte concordano e si identificano. E guai se non fosse così. Ma sarebbe un po’ temerario ritenere che si identifichino sempre. Se questo fosse vero, onorevoli colleghi, non sarebbe vera la sentenza che voi, onorevoli colleghi dell’estrema, certamente non ripudiate: sono le minoranze quelle che anticipano i tempi e fanno la storia.

Nella Commissione, quando si è trattato – sempre fugacemente tutte le volte che è venuto in discussione questo tema – della possibilità dell’investitura dall’alto, ossia della nomina da parte del Capo dello Stato, è risuonata una parola energica, intensiva, quasi spietata: «mostruosità».

Perdonatemi, illustre e amato Presidente, la breve battuta polemica. Honor et onus, direbbe anche in questo caso – e giustamente – il mio amico Cappi. Ma si tratta anche qui di una specie di deificazione, come è stato detto. Una volta si deificava la ragion di Stato, che poi, nella maggior parte dei casi, era soltanto l’interesse delle case regnanti; più tardi – in tempi, purtroppo, a noi vicini – si è deificato lo Stato, considerato ed elevato non solo a «primo» politico, ma a «primo» etico insieme. Ed ora… Ma badate bene, onorevoli colleghi, con questa proposta noi riteniamo, però, di muoverci nell’ambito della più ortodossa democrazia.

In Commissione si è detto: «L’opinione di quanti pensano che, in sostanza, la stessa designazione dall’alto potrebbe in certa guisa considerarsi come un’elezione di forma indiretta, non è accettabile, perché la designazione del Capo dello Stato sorge da un’elezione di secondo grado, e coloro che da lui fossero designati come membri della seconda Camera, trarrebbero la propria investitura da una elezione di terzo grado. E a questo punto, parlare ancora di volontà e di scelta popolare sarebbe puro artifizio, perché il tramite tra gli pseudo-eletti e la volontà degli elettori di primo grado sarebbe del tutto evanescente».

Perfettamente accettabile questa osservazione, se noi considerassimo il mandato che il Presidente riceve dal popolo attraverso l’Assemblea (Assemblea Nazionale, il cui parto si preannunzia piuttosto difficile, ma che almeno in questo, penso, avrà vita: nella designazione e la nomina del Capo dello Stato) soltanto come un mandato di rappresentanza, nel senso che ogni gesto del Capo dello Stato non debba compiersi se non in relazione esatta, e vorrei dire matematica, con un impulso elettorale. Invece esso è anche un mandato di fiducia.

L’onorevole Tosato, in sede di Commissione, aveva osservato che, con l’elezione, il popolo compie un atto di fiducia verso la Camera. Questo stesso atto di fiducia, attraverso l’Assemblea, compie il popolo anche nei riguardi del Presidente.

Pochi giorni or sono l’onorevole Nitti ha parlato (su un’interruzione, se non sbaglio, dell’onorevole Lussu) con commossa riverenza del ricordo di Roma. Ebbene, lasciate, amici, ch’io ricordi a me stesso che la grandezza di Roma è consistita soprattutto in questo: nel pieno e perfetto congiungimento del principio democratico, onde aveva libera espansione la volontà della massa, e la fiducia – d’onde il prestigio di autorità – delle magistrature elette.

A proposito dei poteri che il progetto di Costituzione vorrebbe conferire al Presidente, alcuni dicono che sono eccessivi, altri che sono scarsi; il mio caro amico La Rocca ne è addirittura sgomento; e quando parla del potere che il progetto vorrebbe affidare al Presidente, di sciogliere le Assemblee, adopera una parola veemente, dice che è un potere «tremendo»!

Ebbene, onorevoli colleghi, se a questo modestissimo gregario è consentito esprimere il suo parere, io vorrei che la funzione del Presidente fosse quanto più è possibile spoliticizzata (scusate la barbara parola); vorrei che il Presidente della Repubblica fosse soprattutto una grande forza morale. Si dice una grande forza morale: ed ecco che subito si aderge davanti ai nostri occhi l’alta figura di Enrico De Nicola! – grande forza morale che non contraddice alla sua funzione politica, se è vero – come indubbiamente è vero – che la politica è (o dovrebbe essere) la morale nella vita pubblica.

Questa grande forza morale dovrebbe essere quella che non soltanto fa da moderatrice, ma quella che impersona e simboleggia la nazione in tutte le sue manifestazioni più alte. Ecco perciò che a questa grande forza morale dovrebbe essere commessa la scelta dei cinque rappresentanti della Nazione nel campo della cultura, dell’arte e della scienza. La scelta sarebbe fatta con criteri morali, nel senso più alto della parola; l’altezza del costume nell’intelletto e nel sentimento.

Ma – incalzano – nell’Assemblea questi sommi, non servono a niente. C’è stato Manzoni, c’è stato Verdi, c’è stato Marconi. Raramente hanno varcato la soglia dell’Assemblea.

Ebbene, quando parliamo di Manzoni – questa sovrana grandezza morale e intellettuale che non si finirebbe mai di ammirare – bisogna tener conto, nei riguardi della sua partecipazione ai lavori dell’Assemblea legislativa, che notoriamente egli era affetto da una non grave balbuzie, che certamente non è qualità che sospinga a prendere parte alle discussioni di un’Assemblea.

Comunque, per essere completamente sinceri, occorre anche dire che questa sovrana grandezza ha avuto, come tutte le cose umane – anche le migliori – qualche sua menda. Il dire che Manzoni abbia partecipato nella misura in cui avrebbe potuto alle vicende della resurrezione nazionale sarebbe irriverente verso questo grande morto. Qualcuno di voi tra i meno giovani ricorderà l’invettiva di Cavallotti: «Ma quando i fati italici – penso ed i giorni bui – e le inutili folgori – che stetter chiuse in lui – penso che a tal silenzio – Dio non l’avea sortito!», con quel che segue.

Verdi: qui abbiamo sentito da qualcuno che Verdi non aveva mai varcato le soglie del Senato se non per prestare giuramento. L’onorevole Rubilli ha evocato invece giorni fa non so se la storia o la leggenda di un Verdi che si dilettava di costellare di note musicali sui resoconti parlamentari le polemiche fra i senatori.

MICHELI. Nella Camera dei deputati.

ALBERTI. La ringrazio della correzione. Ad ogni modo, nella vecchiezza Verdi era più che mai rapito nelle sue melodie e soprattutto turbato dai suoi dolori.

Ma di Marconi, per esempio, i suoi colleghi di Assemblea mi hanno detto che la sua frequenza alle sedute del Senato era piuttosto notevole.

Comunque sia, onorevoli colleghi, queste sono contingenze. La ragione pratica – perché c’è la ragione pratica – che mi ha spinto o che mi ha suggerito la proposta di questo emendamento è un’altra: assicurare ai sommi, ai geni tutelari della Patria (consentitemi la fugacissima scorribanda nel linguaggio retorico) una tribuna che essi non hanno, che non hanno più. Occorre un angolo luminoso in cui si possa collocarli e dove le moltitudini possano sempre vederli…

Una voce a destra. Ci sono le accademie…

ALBERTI. Quali accademie? Quella dei Lincei? È certamente un’accolta di illustri personaggi, ma non è una tribuna dalla quale si possa parlare al Paese nelle ore solenni della Patria. Questa ragione pratica non mi pare vada ad urtare con i principî. Il principio, si dice, non deve essere mai infirmato. Siamo d’accordo. Ma quando la pratica può contemperarsi con il principio, ossia quando effettivamente non lo compromette, mi pare che anche la pratica possa essere accettata. Si è fatto altrove? Non so e non voglio sapere. So che un giorno l’onorevole Porzio, in seduta di Commissione, con bella fierezza, ha detto: abbiamo titoli storici sufficienti per fare una Costituzione italiana senza modellarci su Costituzioni straniere.

Vi dicevo che il contemperare la pratica con il principio effettivamente non compromette niente. Perché? perché sarebbero non più di cinque i personaggi illustri che il Presidente dovrebbe nominare. Cinque, perché? Cinque, perché l’esperienza, mi dicono, dimostra che in media una generazione non dà più di cinque geni. Non facciamo commenti sfavorevoli a questa che stiamo attraversando… (Si ride). Speriamo nella prossima.

La seconda ragione è questa: cinque, perché nessuno possa sospettare che qui vogliamo foggiare uno strumento per dare dei passaporti falsi a genî e a fame di princisbecco. Ad ogni modo, questi cinque non potranno mai in nessun modo spostare il centro di gravità di una situazione politica al Senato. Capisco che è stato detto che anche lo spostamento di un atomo ha la sua influenza sul corso degli astri; ma qui vaghiamo nell’inafferrabile, mentre noi dobbiamo invece trattare cose concrete.

Anche a questo punto si dice che l’alta cultura ha delle tendenze conservatrici.

Onorevoli colleghi; non è vero – e basta a dimostrarlo questa Assemblea, nella quale le celebrità scientifiche, letterarie ed artistiche sono distribuite equanimemente su tutti i banchi – non è vero… ma se fosse vero, onorevoli colleghi, se fosse vero che l’alta cultura ha delle tendenze conservatrici, quale tema di meditazione per tutti noi, e specialmente per voi, colleghi ed amici della estrema sinistra! (Applausi al centro).

Noi, dunque, vorremmo che nel Senato fosse costituito un piccolo limbo dei saggi e dei sapienti: un piccolo limbo (senza che con questo il mio pensiero corra al cono infernale, il che sarebbe gratuita irriverenza verso l’Assemblea nascitura).

Ma anche il Senato sarà un’Assemblea come tutte le Assemblee, e, se non vedrà scatenarsi fra i suoi banchi la «bufera infernale», qualche volta potrà accadere che si determini anche nel suo seno qualche ritmo incomposto.

Ad ogni modo, giova sempre a tutti gli istituti avere l’assistenza della sapienza e della saggezza. Certo, le parole del presidente del tribunale rivoluzionario che, al Lavoisier, il padre della chimica moderna condannato a morte nel 1794 e invocante una breve proroga all’esecuzione della sentenza per aver modo di portare a compimento certi suoi esperimenti, rispondeva: «la Republique n’a pas besoin de savants», non sono certo parole che possano trovare eco, non dico qua dentro, ma in tutta la vita moderna. Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, un’ultima considerazione ed ho finito.

È stato detto che la democrazia non deve essere il raduno dei mediocri, ma l’aspirazione di ognuno di noi verso l’alto; deve essere il terreno adatto per il fiorire delle individualità. È certo però che nel corso della sua evoluzione non sempre la democrazia – e in tutti i luoghi – ha tenuto fede a questo superbo programma. Qualche critico arcigno ha potuto dire che la democrazia è sembrata qualche volta l’incoraggiamento alla mediocrità. Ebbene, noi domandiamo che anche da questi banchi e con questo modestissimo provvedimento, noi smentiamo questa che è una oltraggiosa leggenda. Noi chiediamo modestamente che da parte di questa Assemblea la votazione – siccome spero che essa sarà favorevole all’emendamento – significhi omaggio al genio dell’Italia. Scusate se insisto su questa nota che è stata toccata e modulata da tanti, e così bene, qua dentro. Vi insisto perché essa ci canta nel cuore, perché è il canto della nostra speranza. Il nostro genio, il genio italiano, è il solo patrimonio che nessun trattato iniquo può depredarci o comprimere. Veramente il suo primato invitto sovrasta e risplende sui lutti e sulle rovine. Per questo, onorevoli colleghi, noi domandiamo che voi dichiariate che l’alta cultura, i sommi geni della Patria, saranno ospiti del nostro Senato; perché anche di là essi ricorderanno al mondo immemore quello che siamo stati e faranno presente al mondo ingiusto quello che ancora, malgrado tutto, saremo. (Vivi applausi al centro – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Alberti ha proposto anche il seguente articolo 55-bis, aggiuntivo:

«Sono senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti della Repubblica.

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative, i quali abbiano coperto la carica almeno per un anno anche se non continuativamente.

«A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato».

Ha facoltà di svolgere la sua proposta.

ALBERTI. Con l’emendamento, che ho testé finito di illustrare, proponevo che si immettesse nel Senato un piccolo numero di personaggi insigni, i quali preferiscono gli ameni paesi della letteratura e dell’arte o gli austeri panorami della scienza agli scoscesi e tribolati sentieri della politica.

Con quest’altro emendamento, dovrei dire, all’opposto: vi propongo di includere i personaggi più cospicui della politica.

Intanto, per disarmare le diffidenze, devo farvi riflettere che si tratta anche qui di un numero esiguo di persone, per legge di natura e per necessità di cose.

Devo anche fare una premessa. Io ho posto la firma ad un altro emendamento, che segue immediatamente questo, col quale si propone un provvedimento eccezionale, che sistemi la posizione di alcune persone insigni, facenti parte di questa Assemblea, in questo eccezionale momento. Tale emendamento ha avuto già sostanzialmente l’appoggio dell’onorevole Nitti e di altri.

Mi soffermo soltanto sul mio emendamento, che riguarda il tempo futuro.

Propongo che a fare parte del Senato siano chiamati, di diritto, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative, i quali abbiano tenuto l’ufficio almeno per un anno, anche se non continuativamente.

Per quel che riguarda il Presidente della Repubblica, mi pare che occorra breve discorso. Si tratta di collocare nel Senato personaggi, i quali non solo hanno simboleggiato, ma hanno sintetizzato dei periodi politici. Ora, il Presidente della Repubblica mi pare che sia veramente il tipico rappresentante riassuntivo di questa sintesi.

Sul Presidente della Repubblica, l’altro giorno l’onorevole Condorelli – in un discorso notevole, come sempre, e, come sempre, meritevole della maggiore meditazione – si esprimeva in termini che ci hanno un po’ sconcertato. Egli negava al Presidente, al Presidente anonimo si capisce, non dirò il prestigio, ma il prestigio sufficiente a rappresentare una forza unificatrice nel paese. Voglio rispondergli con le bellissime parole contenute a questo proposito nella prima relazione dell’onorevole Ruini: «Egli (il Presidente) rappresenta ed impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica». Quella forza morale a cui facevo riferimento poc’anzi.

Ma anche per i Presidenti del Consiglio ed i Presidenti dell’Assemblea, gli eletti degli eletti, questi ultimi, si può dire che sintetizzano periodi politici e che qualche volta sintetizzano un periodo storico. Viene alle labbra il nome di Giovanni Giolitti. Noi non possiamo dimenticare che i consoli a Roma davano il nome all’anno. Si dice: lasciamo stare la storia di Roma; non c’è nulla in comune tra l’antica storia romana e noi. Potrà essere vero; anzi… è vero soltanto in una qualche misura. Onorevoli colleghi, penso per esempio che la storia di Roma, dopo Canne, potrebbe essere utilmente riletta e rimeditata dagli italiani dopo la loro catastrofe. Ma – si obbietta dall’estrema sinistra e da qualche amico, in private conversazioni – volete ricominciare secondo la moda dello Statuto albertino a popolare anche il Senato di «ex»? Ebbene, giacché la parola mi ha portato a Roma antica, non posso non ricordare che il Senato di Roma – il più alto consesso politico che la storia abbia mai avuto, «il consesso dei re», come diceva il Ministro di Pirro – era un consesso di «ex:» ex consoli, che erano poi i ministri degli interni è degli esteri, ex questori, ecc.: era veramente una «élite». Parola questa un po’ sospettata in questi tempi, eppure, attraverso l’esperienza dei secoli, una parola che ha ed avrà sempre una grande risonanza nella storia e nella scienza politica. Si tratta proprio di costituire anche nel Senato una piccola «élite» di uomini illustri per prestigio di autorità e per preziosa esperienza. Guardate che saranno uomini di ogni fede. Sono già uomini di molte fedi, se ci guardiamo intorno, quelli che potrebbero fruire di questa disposizione, attualmente. Potranno essere di tutte le fedi in avvenire. Accettate queste parole, amici dell’estrema sinistra, come una possibilità, come una previsione o come un augurio, come meglio vi piace.

Noi diciamo che non soltanto dovrebbe essere conferito questo seggio in Senato a questi personaggi, in omaggio alla loro autorità, che in fondo è un concetto tutt’altro che incompatibile con la democrazia, ma anche perché essi dovrebbero andare là dentro a rappresentare la continuità della vita nazionale, quella continuità della vita nazionale, che nei decenni si chiama continuità, e che nei secoli diventa la tradizione.

Un grande rappresentante della idea democratica ha scritto: «La sovranità popolare si estrinseca attraverso una serie di singoli atti che riguardano il momento attuale, mentre la vita della Nazione e dello Stato si svolge indefinitivamente nel tempo. Un grande albero, si è detto, che profonda le sue radici nel passato e protende i rami nell’avvenire. Al di sopra del principio della sovranità popolare sta quello ancora più vasto e più armonico della solidarietà, il quale stringe insieme le generazioni che furono a quelle che sono ed a quelle che saranno».

Si tratta, vi dicevo, di uomini di ogni fede, e la loro assunzione a quel seggio non può certo rappresentare offesa alla democrazia, in quanto che proprio nella pratica della democrazia hanno operato e nella pratica della democrazia sono diventati eminenti. Dunque, la sovranità popolare non contrasta con questo senso della solidarietà fra generazioni ma soltanto si assomma. È qualcosa che non si aggiunge alla sovranità popolare, e qualcosa di cui bisogna tener conto perché è un «dato» della vita, e della storia da cui non si può prescindere. Onorevoli colleghi, quando la storia deve subire, contro la sua legge, delle fratture troppo violente, se ne vendica.

Voi certo condividete con me il pensiero che Robespierre non prevedeva certamente Napoleone, e molto meno Luigi XVIII e Carlo X. Ecco la ragione per la quale noi siamo per l’evoluzione!

«La vita incomincia domani» è il titolo di un romanzo che ha avuto una qualche fortuna, ma non è la legge della storia. Se voi guardate gli avvenimenti storici per trasparenza, avrete delle impressioni curiose. Ricordo di aver letto un giorno, proprio in Salvemini, che è un uomo non certo sospetto, che Diderot e Voltaire erano dei conservatori in tutto, tranne che in religione. E questo passo mi ritornava alla mente un giorno in cui Nenni, con molta franchezza e da par suo, rivendicava l’origine illuminista della dottrina socialista.

Con questo, onorevoli colleghi, io non voglio certo negare la legge della storia, la quale procede in una sola direzione (è un articolo di fede, e guai se non fosse così), in quella direzione che è sintetizzata nella formula mirabile: «Diffondere sempre più il benessere sul maggior numero dei consociati». Ciò vuol dire che qualche volta, quando la storia vede violata troppo bruscamente la sua legge, il suo pendolo incomincia a fare dei sobbalzi che sono veramente strani. Ecco, vi dicevo, la ragione per la quale siamo per l’evoluzione.

PRESIDENTE. Onorevole Alberti, forse è giunto il momento di fare il calcolo del tempo dal quale ha preso la parola.

ALBERTI. Ho svolto due emendamenti. Avrei quaranta minuti a disposizione.

PRESIDENTE. Lei moltiplica per due i suoi diritti. Due emendamenti significano venti minuti e lei ha parlato più di quaranta minuti.

ALBERTI. Ho finito, onorevole Presidente, e mi scusi.

Noi vorremmo che questi personaggi illustri entrassero nel Senato anche per rappresentarvi il passato prossimo, il passato prossimo di questi tempi vertiginosi e di tempi a venire, che spero siano meno burrascosi di questi. Gli illustri colleghi che sono in quest’Assemblea, e che fruirebbero di questa disposizione, ci mostrano che con la rettitudine, con il sapere e con l’ingegno sanno anche abbracciare il presente e presentire l’avvenire.

Ho finito, onorevole signori. Soltanto vi facevo osservare che la limitazione di un anno almeno all’esercizio della potestà è una necessità a cui non si può venir meno.

Certo, se un Presidente dell’Assemblea legislativa appena eletto se ne va o lo mandano via, se un Presidente del Consiglio è nominato dal Presidente della Repubblica e si presenta all’Assemblea e non riesce ad avere la fiducia, vengono a mancare e agli uni e agli altri tutti gli attribuiti che sono venuto elencando.

Per questa ragione è bene che si dica: è necessario che abbiano coperto la carica almeno per un anno.

Ed ho finito davvero e domando scusa. Nelle mie previsioni sono stato un cattivo calcolatore. Lo sono stato anche in tante cose della mia vita. Soltanto vorrei che l’Assemblea mi desse almeno atto di questo: che non sono venuto meno ai canoni della democrazia, di quella democrazia che secondo uno dei suoi più illustri commentatori, che del resto ha rubato la frase all’Apostolo, è «l’atmosfera» nella quale ormai noi viviamo e ci moviamo, quella democrazia che anche per questo modesto gregario è e resterà il credo fondamentale ed insostituibile della sua fede politica.

PRESIDENTE. Vi sarebbero ancora due emendamenti, dei quali uno, già stampato nel fascicolo, è stato presentato dall’onorevole Giovanni Leone, mentre il secondo mi è stato consegnato in questo momento dall’onorevole Martino Gaetano. Ambedue gli emendamenti si riferiscono a norme valide soltanto per la prima elezione del Senato. Mi pare pertanto che debbano essere considerati e decisi non in questa sede, ma in sede delle disposizioni transitorie. D’altra parte se immettessimo queste norme nell’articolo 55, che dovrebbe comprendere eventualmente anche la materia dell’articolo 55-bis, lo appesantiremmo troppo. E pertanto ritengo che per il momento possiamo accantonare gli emendamenti in questione salvo a riprenderli dopo deciso l’articolo 55; a meno che i membri dell’Assemblea non ritengano che essi costituiscano norme di carattere transitorio, ché allora dovremmo esaminarli quando esamineremo tutte le norme di tale carattere.

Il seguito della discussione sopra il progetto di Costituzione è rinviato a domani, per udire l’avviso del Presidente del Comitato di redazione sopra gli emendamenti e successivamente per procedere alle relative votazioni.

È stato presentato il seguente ordine del giorno, a firma degli onorevoli Lami Starnuti, Binni, Morini, Rossi Paolo, Treves, Longhena, Bennani, Canevari, Bocconi, Caporali, Villani, Zanardi, Momigliano e Filippini:

«L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei componenti il Senato della Repubblica debba avvenire a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e per circoscrizioni regionali».

Quest’ordine del giorno è stato già di fatto largamente svolto nel corso della discussione e pertanto ritengo che non abbia più bisogno di particolare trattazione.

Potrà essere posto in votazione prima che si passi alla votazione degli emendamenti sull’articolo 55.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia, il Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze risponderanno a tre interrogazioni che sono state presentate con carattere di urgenza.

La prima è quella degli onorevoli Valiani, Pacciardi, Magrini, Treves, Lombardi Riccardo e Facchinetti, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere il motivo per il quale – dopo che il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riconosciuto il diritto del quotidiano Corriere Lombardo di Milano, edizione del mattino, di cambiare la propria testata in quella di Corriere di Milano – il prefetto di Milano rifiuta di autorizzare il cambiamento medesimo e procede al sequestro del giornale».

Ha facoltà di rispondere il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Agli inizi di settembre il prefetto di Milano comunicava alla Presidenza del Consiglio l’avvenuto cambiamento di proprietà del quotidiano milanese Il Corriere Lombardo, dando insieme notizia della richiesta di cambiamento di direzione responsabile in favore del dottor Filippo Sacchi per il quale si chiedeva il dovuto benestare. La comunicazione indicava inoltre la volontà dei nuovi proprietari di mutare la testata da Il Corriere Lombardo, edizione del mattino, in Corriere di Milano.

Il benestare per il dottor Sacchi veniva senz’altro comunicato a Milano, mentre per quanto si atteneva al cambiamento di testata la Presidenza del Consiglio si limitava a dichiarare che il titolo Corriere di Milano risultava libero e che ai sensi della legge vigente l’autorizzazione al cambiamento di testata rientra nella specifica competenza dell’autorità prefettizia, alla quale spettava ogni decisione.

Il 21 settembre un telegramma del direttore e dell’amministratore del Corriere Lombardo avvertiva la Presidenza del diniego opposto dal prefetto di Milano al mutamento di testata motivato dalla confusione che sarebbe derivata con altri giornali locali. La Presidenza del Consiglio chiedeva al prefetto di Milano una relazione sui fatti ed apprendeva così che, essendo stato stampato il giornale col nuovo titolo nonostante il diniego prefettizio, si era ricorsi al sequestro del quotidiano ai sensi dell’articolo 5 del decreto 14 gennaio 1944. Il sequestro veniva ripetuto al mattino del 23 settembre.

Va notato che situazioni del genere non sorgerebbero probabilmente se si avesse una disciplina meno transitoria in materia di stampa. Ritenendo pertanto difficile, e forse anche inopportuno, che si discuta in questo scorcio di Costituente l’intero testo di legge da tempo presentato dal Governo all’Assemblea, saranno sottoposti nei prossimi giorni pochi articoli di stralcio, i quali regolino in maniera incontrovertibile la registrazione delle testate e le minime procedure necessarie per l’edizione dei giornali. Allo stato attuale la materia è retta dal regio decreto-legge n. 13 del 14 gennaio 1944 che contempla l’obbligo della richiesta di autorizzazione, per poter pubblicare giornali od altri scritti periodici, da farsi al prefetto della provincia in cui il foglio si debba pubblicare. Tra le indicazioni richieste vi è «il nome e la località della pubblicazione».

Le disposizioni del detto decreto venivano prorogate al 31 luglio 1946 e successivamente a dopo l’approvazione della legge sulla stampa.

Circolari ministeriali davano ai prefetti istruzioni esplicative, mentre si creava in un primo momento una apposita Commissione presso il Sottosegretariato per la stampa e le informazioni la quale restava in vita sino a che non veniva trasferito alle Unioni editori giornali il compito di assegnazione della carta.

Alcune delle disposizioni contenute nelle circolari dei miei predecessori sono pertanto superate, altre hanno un valore puramente interno, altre ancora sono andate in disuso. In queste condizioni non è facile pretendere dai prefetti una immediata conoscenza di tutte le norme esistenti.

In punto di fatto il prefetto di Milano, di fronte alla opposizione di due aziende editoriali, le quali si sentivano danneggiate dal mutamento di testata del Corriere Lombardo, ha ritenuto di dover negare il mutamento stesso.

Presa visione degli atti ho ritenuto peraltro che l’indagine sulla eventuale illecita concorrenza esuli dai compiti deferiti all’autorità amministrativa e debba quindi nel caso essere portata all’esame del Magistrato. Ho pertanto invitato il prefetto di Milano a rivedere il provvedimento preso, lasciando appunto all’autorità giudiziaria l’eventuale esame delle conseguenze di carattere privato derivanti dal cambiamento di testata.

Ritengo, quindi, che a quest’ora sia venuta a mancare la causa del sequestro e che l’incidente possa considerarsi chiuso.

Concordo con quei colleghi che pensano che debba essere in materia evitata ogni possibile interferenza degli organi amministrativi, all’infuori della stretta tutela di quel minimo di disciplina formale che non intacca la sostanza di quello che giustamente è considerato l’aspetto più delicato delle libertà civili e politiche.

PRESIDENTE. L’onorevole Valiani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VALIANI. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Evidentemente il pensiero di tutta l’Assemblea è quello di tutelare la libertà di stampa. Vorrei soltanto osservare che, a parte la questione specifica – oggetto della mia interrogazione –, in cui si trattava veramente del reclamo di un’azienda concorrente, di una sola, perché la seconda azienda che fece il reclamo è un periodico di pubblicità che esce soltanto il mercoledì e il sabato e non può avere quindi alcun interesse di fronte a un quotidiano politico, a parte, dicevo, questa questione, in linea generale, i prefetti, a mio giudizio, dovrebbero considerare come cadute in disuso tutte le disposizioni restrittive della libertà di stampa, a meno che non si tratti di patenti casi di turbamento dell’ordine pubblico.

Il prefetto è caduto in errore valutando la competenza sua rispetto ad una questione di concorrenza commerciale. È deplorevole il fatto stesso che un giornale politico, per poter mutare testata, per poter comunque iniziare o sviluppare la pubblicazione, debba dipendere dal Governo: il che genera confusione, genera incertezza, genera malessere.

Non è assolutamente ammissibile che un giornale si debba trovare nella situazione in cui si è trovato, con la venuta disposizione, il Corriere Lombardo, oggi Corriere di Milano, di dover cioè affrontare il sequestro affinché la Presidenza del Consiglio esamini la situazione e intervenga: ed erano due mesi che aveva chiesto il cambiamento della testata e non otteneva risposta, e poi il Sottosegretario alla Presidenza comunicava al prefetto che la testata era libera, il che dovrebbe equivalere ad una autorizzazione, ma di fatto non equivale, in quanto resta il giudizio discrezionale del prefetto, il quale ci pensa su ancora un’altra settimana; poi, un giorno, comunica il sequestro, contro il quale non è possibile il ricorso se non attraverso procedure complicate al Consiglio di Stato.

Questa situazione di incertezza dei giornali è già qualche cosa che può costituire un attentato alla libertà di stampa o che, quanto meno, può mettere in difficoltà la libertà di espressione politica dei giornali medesimi. Io vorrei perciò prendere in parola l’onorevole Andreotti quando dice che esistono delle disposizioni cadute in disuso. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che questo decreto del gennaio 1944 è stato promulgato quando ancora vigeva lo stato di guerra, in una situazione quindi del tutto speciale. Non è ammissibile che i giornali debbono avere paura di questo decreto quando svolgono semplicemente un’azione politica ed un’operazione commerciale.

Con questa constatazione, cioè con questa interpretazione estensiva delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario, io prendo atto della sua risposta.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Dugoni, ai Ministri delle finanze, del tesoro e della difesa, «per conoscere quali azioni abbiano intrapreso per determinare e riassorbire gli illeciti profitti realizzati da persone ed enti sia in occasione del decreto del commissario ministeriale Liguori del 14 settembre 1943, sia per finanziamenti, crediti ed assegnazioni di materie prime disposti posteriormente a tale data dal governo di Salò e risoltisi in definitiva in un incremento patrimoniale privato non guadagnato».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo agli onorevoli colleghi che mi consentano di far precedere una premessa che servirà ad illustrare i termini esatti del problema, principalmente in relazione a recenti e non troppo recenti polemiche giornalistiche sopra questo argomento. La materia del pagamento delle materie prime che dallo Stato sono trapassate a singole ditte private, la materia del recupero di eventuali finanziamenti che lo Stato possa aver fatto ad aziende private, evidentemente non è di competenza del Ministero delle finanze. Ed è su questo punto che interloquirà il collega della difesa e che potrà interloquire il collega del tesoro.

La materia del Ministero delle finanze è un’altra, ed è questa: l’Amministrazione finanziaria, nei mesi scorsi, si è preoccupata di quel che poteva essere il risultato economico dopo il pagamento di queste materie prime, fatto naturalmente a prezzo legale, perché lo Stato non può vendere in borsa nera; le quali materie prime possono essere state utilizzate o possono essere state immagazzinate e non ancora utilizzate, dando luogo ad un profitto più o meno lecito. Questa è la seconda parte del problema, di cui si è fatto carico il Ministero delle finanze. Perciò, ogni qual volta si parla di pagamento di materie prime e di rimborso di finanziamenti, non è il mio dicastero che è in discussione. Il mio dicastero rivendica il merito di aver visto l’aspetto successivo del problema, cioè il lucro che poteva ancora restare agli industriali, ed anche eventualmente ad altri intermediari, nonostante l’avvenuto pagamento delle materie prime o nonostante l’avvenuto rimborso dei finanziamenti.

Ed è in questo secondo, successivo ordine di idee, nell’ordine logico delle cose, che deve essere inserito l’esame del decreto del 28 aprile 1947, n. 330. La genesi di questo decreto non si trova soltanto nel desiderio di intervenire con lo strumento finanziario in questo lucro anormale, se non illecito, ma si trova anche nella considerazione di ciò che era avvenuto in altri settori. E poiché si è parlato in particolare di settori tessili, voglio proprio dire che uno dei punti di partenza per l’emanazione di questo decreto è stato un altro fenomeno, di cui non si è parlato, ma del quale voglio parlare qui, ed è l’importazione di materie prime – materie prime tessili, anche – fatta attraverso a licenze di importazione con Paesi coi quali vi sono rapporti di clearing, importazione effettuata con dollari a prezzo legale, quindi potenzialmente con dei margini di utili che certamente dovevano richiamare l’attenzione dello Stato.

Il terzo fenomeno che ha richiamato l’attenzione del Ministero delle finanze è stato quello dell’utile, più o meno normale, derivante ai detentori di manufatti, di prodotti e di merci a prezzi bloccati, ogni qual volta, con successivo provvedimento legislativo, vi fosse uno spostamento di prezzo legale.

Da questo triplice ordine di fenomeni trae la genesi il decreto del 28 aprile, n. 330.

Quando l’Amministrazione finanziaria ha esaminato questo problema, ha dovuto arrivare prima ad una serie di conclusioni negative. Premesso che si sentiva la necessità e, vorrei dire, l’imperativo morale, di arrivare con lo strumento finanziario a colpire questo margine eccezionale di utile, si osservò che: 1°) non era strumento efficace la legislazione sui profitti di guerra, in quanto essa contempla i profitti fino al 31 dicembre 1945, mentre invece le importazioni a cui ho fatto cenno avevano avuto luogo essenzialmente nel 1946; 2°) non era sufficiente, evidentemente, l’ordinaria imposta di ricchezza mobile, per la tenuità della sua aliquota; 3°) non era efficace lo stesso articolo 18 del decreto del 1946 sugli utili di contingenza, in quanto la formulazione di tale articolo non permetteva di accogliere i tre fenomeni a cui ho accennato.

E allora si rese necessario – e molti protestarono contro una pretesa retroattività della legge – ampliare l’articolo 18 in modo da colpire tutte e tre queste fonti di utile.

Questa la genesi del decreto del quale non rivendicherei nessuna partecipazione personale, essendo allora nelle funzioni di semplice Sottosegretario, se attraverso a polemiche non si fosse sfiorata la mia persona.

Ed è per questo che desidero chiedere il permesso di rivendicare il merito personale di aver messo in cantiere tale decreto, che pur porta la firma dell’eminente amico che allora reggeva il Ministero delle finanze.

Orbene: così stando le cose, che cosa ha fatto l’Amministrazione finanziaria per attuare efficacemente il contenuto del decreto?

Esaminiamo alcuni dati per i diversi settori industriali della vita economica e cominciano dal settore di cui si è parlato di più. Il problema era già stato impostato in attesa che trovasse una sua sistemazione definitiva. La ricerca dei dati a futuro effetto era già cominciata da parecchio tempo. Fin dal 31 maggio 1946, onorevole collega, con nota n. 872, l’Associazione laniera comunicò al Ministero l’elenco delle consistenze dei tessuti civili presso le ditte dell’Alta Italia e presso quelle del Pratese, e altro elenco di consistenze di manufatti lanieri e di materie prime. A cura del Ministero le notizie furono trasmesse ai competenti Ispettorati compartimentali delle imposte per l’inoltro ai singoli uffici distrettuali che se ne devono avvalere per compiere gli accertamenti dei profitti avocabili.

Sempre a cura all’Amministrazione finanziaria centrale la guardia di finanza di Biella ha provveduto a raccogliere presso l’Ufficio militare laniero i dati relativi alle giacenze di lana possedute dalle ditte assegnatane alla data dell’8 settembre 1943.

Ancora nel settore laniero, il Ministero del commercio con l’estero, su richiesta del Ministero delle finanze, ha completato e trasmesso un elenco di tutte le licenze di importazione in clearing di lana dal Belgio, ai fini del decreto più volte richiamato.

Accennerò più avanti che è stata felice possibilità del Ministero, che ho l’onore di rappresentare, di poter acquisire molti fascicoli del R.U.K., soprattutto relativi ai rapporti esistenti per forniture ai tedeschi in ordine specialmente alle cosiddette esportazioni Roges.

Per il settore dei prodotti siderurgici, con nota 8 novembre 1946, il Ministero comunicava agli Ispettorati compartimentali le notizie attinte presso il Ministero dell’industria e commercio circa le giacenze di prodotti siderurgici presso i magazzini Volano, passati al libero commercio dalla data dell’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945.

Con altra nota 15 febbraio 1947 furono richiesti al Ministero industria e commercio i nominativi degli assegnatari di prodotti a prezzo bloccato, ottenendo la risposta che tali nominativi potevano essere facilmente rilevati presso le Sottocommissioni per l’industria, che avevano l’ordine di dare la massima pubblicità alle assegnazioni. I competenti Ispettorati compartimentali fecero iniziare subito lo spoglio presso le singole Sottocommissioni le quali, dopo qualche resistenza che non è sempre stato molto facile superare, hanno comunicato all’Amministrazione finanziaria tutti i dati relativi. Una particolare resistenza è stata opposta dall’Unione controlli formaggi, di Milano, ed allora il Nucleo speciale della polizia tributaria di Milano ha dovuto far provvedere al sequestro dei documenti.

Con successiva nota 16 marzo 1947 fu richiesto all’Alto Commissariato dell’alimentazione l’elenco delle ditte incaricate del reperimento dell’olio all’ammasso, al fine di controllare se tutti i quantitativi siano stati consegnati alla Sepral.

Io dovrei ancora leggere un lungo elenco di notizie al riguardo. Temo di abusare della cortesia sua, onorevole Dugoni, e di quella degli onorevoli colleghi, continuando in questa elencazione. Desidero però dirle che tutti questi elementi sono a completa sua disposizione (come sono a completa disposizione degli onorevoli colleghi) presso la Direzione generale della finanza straordinaria.

Orbene, a seguito della raccolta di tali elementi, si pone in atto la procedura di accertamento dell’utile eccezionale. È bene chiarire le idee su questo punto.

Può essere suggestiva l’idea di fare un prelievo immediato, uniforme su tutti, in omaggio alla celerità della riscossione. Se così fosse stato fatto (e la tentazione in qualche momento veramente si ebbe) non si sarebbero serviti gli interessi dello Stato. Occorre premettere che tutte le Ditte interessate, in ordine alla dimensione dell’utile conseguito, non si trovano nella stessa condizione. Vi può essere la ditta che ha tenuto le materie prime in magazzino e le ha ancora oggi; vi può essere la ditta che ha utilizzato le materie prime pagate ad un prezzo legale per venderle in borsa nera sul mercato interno; vi può essere la ditta che ha utilizzato le materie prime pagate al prezzo legale per venderle sul mercato interno a prezzo legale, ma in periodo successivo, quando il prezzo legale aveva subito uno slittamento in avanti; vi può essere la ditta che può avere adoperato queste materie prime per fornitura allo Stato dopo la liberazione o per l’esportazione. Sono tutte posizioni diverse di utili che devono essere fotografate nella loro realtà.

Se avessimo adottato un metro unico per tutti, saremmo arrivati fatalmente ad adoperare il metro più piccolo, in quanto non avremmo potuto imporre il margine di utile conseguito dalle ditte che hanno maggiormente lucrato a carico delle ditte che hanno lucrato meno. Quindi si è dovuto far ricorso al sistema normale di accertamento proprio dei tributi mobiliari. Si è detto (non lo ricorda l’onorevole Dugoni, ma devo ricordarlo io nel desiderio di illustrare tutto il problema) che una associazione che mi era un tempo vicina, ma colla quale dal 23 di ottobre 1946 non ho più rapporti (e chiunque osasse insinuare qualche cosa di diverso, dopo la recisa affermazione che faccio in questo momento, non potrebbe che essere un calunniatore in malafede), avrebbe scritto in data 20 maggio 1946 una lettera al Ministero delle finanze per definire con la più blanda procedura amministrativa tutto il settore degli utili avocabili. Onorevoli colleghi, se anche tutto ciò fosse avvenuto, sarebbe perfettamente nella prassi dell’Amministrazione finanziaria la quale desidera avere degli scambi d’idee collettivi per enunciare dei criteri di massima da servire come base per la notifica degli accertamenti. Sarebbe il sistema della legge fondamentale in materia del 1936. In ogni caso potrei riferirmi a un precedente veramente notevole dell’onorevole mio predecessore (e voi sapete quanto io intenda riaffermare la cordialità che mi lega oggi nel ricordo, ma che mi legava allora nei rapporti di subordinato); avrei un precedente nell’opera dell’onorevole Scoccimarro che, nell’estate del 1946, per quanto riguardava il gruppo dei filandieri di seta, ritenne opportuno delegare l’Ispettorato compartimentale di Milano trattandosi di aziende prevalentemente nella sua circoscrizione a definire a forfait tutta l’avocazione degli utili sulle forniture tedesche dei filandieri serici. Quel forfait venne definito: purtroppo non fu facile incassare la somma. Dovemmo ancora recentemente intervenire, e fortunatamente finiremo per incassare qualche cosa di più. Fece molto bene l’onorevole mio predecessore; e se si vuol far presto a definire certe imposte arretrate, bisogna avere il coraggio di affrontare organicamente settore per settore. Ma la Direzione generale della finanza straordinaria, del cui operato io mi assumo tutta la responsabilità, quando ricevette la lettera del 20 maggio 1947 di tale Associazione si limitò a trasmetterla all’Ispettorato compartimentale di Torino con nota 26 giugno 1947.

Onorevole Dugoni, non era ancora cominciata la polemica a quella data. All’ispettore compartimentale di Torino fu dato il puro incarico di esaminare la questione in via preliminare insieme ad altri ispettori interessati. Con lettera 8 agosto 1947 l’ispettore compartimentale di Torino ha comunicato agli interessati di non avere in linea di massima nulla in contrario ad una riunione per uno scambio d’idee, tenendo presente che la riunione stessa avrebbe avuto per scopo soltanto una disamina delle condizioni generali di assunzione ed esecuzione dei vari tipi di forniture senza addivenire ad accordi su coefficienti che, per essere livellatori di situazioni di fatto spesso disparate, costituirebbero motivo di contrasto con la delegazione provinciale dell’avocazione.

Ebbene, questo significa che anche se la Direzione generale della finanza straordinaria avesse trattato questa materia sarebbe stata nella scia del precedente notevole a cui ho accennato. Non l’ha trattato; ed evidentemente lo tratterà difficilmente in avvenire, anche se per avventura l’interesse dell’Amministrazione finanziaria fosse nel senso di trattarla. Poiché di una cosa mi preoccupo, onorevoli colleghi: non tanto della responsabilità che si assume personalmente il Ministro, né di quanto può essere detto contro il Ministro; ma d’una cosa mi preoccupo: che, purtroppo, alcuni settori degli uffici della finanza straordinaria minacciano di non funzionare più, perché i funzionari addetti chiedono di essere trasferiti ad altri servizi, per il grado troppo elevato di incandescenza cui è arrivata l’atmosfera ambientale per questa materia.

Ed io vorrei, onorevoli colleghi, richiamare il vostro senso di responsabilità al riguardo.

Aggiungo che la suddetta richiesta non riguardava la materia di cui trattiamo; riguardava invece la materia delle forniture tedesche, che non hanno niente a che vedere col decreto 28 aprile 1947.

È vero che il sottoscritto segue in questa materia dell’accertamento e della definizione dei criteri amministrativi più blandi dei precedenti ed in ogni caso di quelli che sarebbe opportuno seguire?

Non ritengo che lo si possa affermare, poiché, mentre fino a qualche tempo fa tutta la materia della avocazione dei profitti di speculazione non andava davanti alle Commissioni provinciali della avocazione dei profitti di regime, è stato proprio iniziativa dell’Amministrazione finanziaria, in quest’ultimo periodo di gestione, di emanare un decreto, con cui si stabilisce che il giudizio di secondo grado nelle contestazioni degli utili di contingenza non è più di competenza delle Commissioni provinciali ordinarie, ma delle Commissioni provinciali per la avocazione dei profitti di regime.

Quindi, se qualcosa si è cambiato, è nel senso di rendere più rigorosa la procedura e di inalveare nelle Commissioni provinciali della avocazione dei profitti di regime anche la materia degli utili di contingenza.

Forse l’onorevole guardasigilli, qui presente, il quale giustamente si chiede se tutto questo sistema delle Magistrature speciali abbia o non abbia ancora ragione di essere, non sarà nello stato d’animo di approvare tale modifica e potrei anche sentire le sue osservazioni al riguardo.

Ma, agli effetti della discussione che stiamo facendo, mi si permetta di sottolineare questo fatto: che il contenzioso amministrativo è stato da me reso più rigoroso e non già attenuato. (Approvazioni al centro).

Onorevoli colleghi, non desidero tediarvi oltre, ma mi si consenta, prima di chiudere, di segnalare veramente alla vostra attenzione e al vostro grato animo tutto il lavoro che viene svolto dagli uffici centrali e periferici della finanza straordinaria in questo particolare settore e tutto il lavoro che viene fatto dai nuclei di polizia tributaria investigativa, i quali stanno dando una collaborazione, che va oltre la conoscenza superficiale che può averne la grossa opinione pubblica.

A detti funzionari io desidero pubblicamente, in questo momento, dinanzi a voi e quindi dinanzi al Paese, esprimere la mia gratitudine veramente sincera. Essi hanno servito fedelmente lo Stato ed è giusto che, in mancanza di quelle soddisfazioni materiali, che oggi non possiamo dar loro, diamo loro quella soddisfazione più alta nel campo morale, di riconoscenza, che viene manifestata dinanzi a così eletta Assemblea. (Applausi al centro).

Onorevole Dugoni, io so che ella è persona di grande lealtà, che sta al disopra delle passioni politiche; ella sa, quindi, distinguere il giusto dall’ingiusto, il vero dall’errore.

Ella ha visto (e d’altra parte la materia del pagamento delle materie prime e del recupero dei finanziamenti non è contemplata nella sua interrogazione) quale sia il limitato settore di competenza del Ministero delle finanze: la tassazione dell’utile che la ditta può ancora avere dopo l’effettuato pagamento. Spero che ella vorrà riconoscere, per quanto riguarda tale settore, che l’Amministrazione finanziaria ha compiuto tutto il suo dovere. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere per la parte che lo concerne.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Rispondo all’interrogante circa il suo quesito sull’azione intrapresa dal Ministero della difesa nella materia della sua interrogazione.

Non risulta un decreto del commissario ministeriale Liguori del 14 settembre 1943; risulta invece emanata la determinazione del commissario per la produzione bellica 3 ottobre 1943, n. 752, nella quale sono richiamate tre ordinanze: quella n. 3 del 14 settembre 1943; quella n. 6 del 16 settembre stesso anno e quella n. 7 del 17 settembre, pure stesso anno, del Comando della città aperta di Roma, nonché le istruzioni per l’applicazione di questa determinazione. Vennero con tale determinazione disciplinati i finanziamenti alle ditte fornitrici e la cessione delle materie prime. I finanziamenti furono effettuati, per talune commesse, in forma di acconti, fino all’ammontare dei cinque decimi dell’importo dei semilavorati allestiti a tutto l’8 settembre 1943 e rimasti in consegna fiduciaria alle ditte. Di tali acconti si effettuano il conguaglio ed il recupero in sede di liquidazione definitiva dei contratti, in base alle vigenti disposizioni.

Per le materie prime assegnate o cedute a prezzo di listino, ad evitare che le ditte traessero indebito profitto dalla loro utilizzazione a prezzi di libero mercato, è stato provveduto, fino all’entrata in vigore del decreto del Capo provvisorio dello Stato 28 aprile 1947, n. 330, ad addebiti ai prezzi correnti sul mercato all’epoca in cui le materie prime sono grate impiegate dalle ditte. Ora, con l’entrata in vigore del precitato decreto, la materia è stata devoluta alla Finanza straordinaria.

Per quanto concerne i finanziamenti e le concessioni di materie prime disposte dal governo di Salò, si è provveduto e si provvede tuttora, in armonia con le disposizioni contenute nel decreto 5 ottobre 1944 ed in conformità al parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato, appositamente interpellata, nei casi che a mano a mano vengono alla luce a seguito di minuziosi e difficoltosi accertamenti (eseguiti a cura degli enti periferici):

1°) ad annullare tutte le vendite, le cessioni di materie prime o di altri beni dello Stato disposte dagli organi dello pseudo governo di Salò;

2°) a ricuperare le somme pagate dagli organi del predetto governo in anticipo od in acconto di forniture non eseguite;

3°) a rivalutare i lavori o le forniture eseguite nel periodo di occupazione allo scopo di far fare le opportune segnalazioni alla Finanza straordinaria, qualora il compenso pattuito e corrisposto risultasse manifestamente eccessivo in relazione alle opere prestate ed alle condizioni di mercato dell’epoca;

4°) a chiedere la consegna dei manufatti pagati dal predetto governo, e comunque ancora in possesso delle ditte fornitrici.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DUGONI. Devo ringraziale il Ministro Pella ed il Sottosegretario Chatrian per la cortesia che hanno posto nelle loro risposte. Devo anche dire che mi dispiace che un tema di questa importanza, e soprattutto di questo valore morale, sia ristretto in fine di seduta, con la partecipazione di un modesto parlamentare quale io sono e senza fruttuosi ed ampi dibattiti che potrebbero veramente portare un contributo nell’opera del Governo ed una chiarificazione in questa materia per la quale io stimo, malgrado la buona volontà degli onorevoli Ministri, che ci si debba ancora mettere sulla buona strada: e basta a provarlo il fatto che il Ministro e il Sottosegretario che hanno parlato prima di me non hanno potuto citare un esempio, un caso, un soldo, una lira, una cifra, un dato da cui risultasse che qualcosa era entrato nelle casse dello Stato a seguito di quest’opera che pure sembra così avanzata e così ampia.

L’Assemblea mi darà atto che effettivamente non è stato citato un solo dato, una sola cifra. Vi confesso, onorevole Pella e onorevole Chatrian, che mi sarebbe stato più gradito sentirmi dire che a seguito di questo decreto, a seguito dell’opera prestata dai vari uffici e dalla Ragioneria generale dello Stato, avessimo recuperato una somma X di lire italiane, cosa che per adesso voi non avete saputo dire.

Ora, io invito l’Assemblea a riflettere sul piccolo dettaglio che la liberazione data dal 25 aprile 1945, e cioè che sono passati già due anni e mezzo dalla liberazione, e che la determinazione (che io erroneamente ho indicato come del 14 settembre – e chiedo scusa all’onorevole Chatrian – mentre si tratta del 3 ottobre 1943, n. 752, firmata dai commissari Liguori e Cambi) ha quattro anni di vita. Sono fatti che si allontanano ogni giorno di più e per i quali, come ha osservato l’onorevole Pella, diventa sempre più difficile andare a vedere che cosa è successo. Gli uffici e il personale addetto ai Centri di distribuzione e di raccolta di materie prime scompaiono, muoiono, non ci sono più, ed i documenti sono scomparsi.

Il Ministro Pella diceva una cosa sulla quale io verserei volentieri una lacrima. Si tratta dei documenti del famoso Rustung Kommand.

PELLA, Ministro delle finanze. Ci sono.

DUGONI. Ci sono. E lì c’è tutta la storia delle espoliazioni da parte dei grandi industriali italiani, espoliazioni a danno di tutti ed a loro profitto. Espoliazioni a danno della Nazione, a danno degli invasori, a danno dei liberatori, a danno di tutti, e sempre naturalmente a danno delle classi lavoratrici, a danno di chiunque, purché vi fosse il profitto degli industriali. L’archivio del Rustung Kommand è una tomba. Una tomba che nessuno riesce a scoprire.

Voi accennavate, onorevole Ministro, all’incidente dell’UCOF, Ufficio controllo formaggi, che si rifiutò di consegnare documenti allo Stato per cui fu d’uopo inviare la polizia tributaria per sequestrare una parte degli archivi. Voi lo avete citato; ed io lo conoscevo. Ma esistono anche altri uffici che si rifiutano di consegnare documenti di questo genere. Ebbene, io vi domando allora se noi abbiamo ragione o torto di protestare.

Onorevole Pella, io la ringrazio di avermi ritenuto al di sopra della polemica che c’è stata e della polemica che ci può essere. È stata riportata una circolare della Laniera che è ufficiale. Potremo portare fotografie con le firme. Certamente la Laniera millanta un credito. Però dovete riconoscere che per chi è fuori le cose sono strane. Ecco il testo:

«Oggetto: Avocazione dei profitti di regime.

«Facciamo seguito alle nostre precedenti comunicazioni per avvisare gli interessati che la procedura da noi proposta, per trattare collettivamente e nazionalmente con l’Amministrazione finanziaria la determinazione delle percentuali di profitti e per le varie spese di forniture fatte dal tedesco invasore, ecc. ecc., sarà quasi certamente accolta dalla Direzione generale, ecc. ecc.».

Ora voi mi avete dimostrato che non è vero (Interruzione dell’onorevole Saggin); ma il millantato credito c’è. Io sto spiegando come sono andate le cose e credo di fare ogni sforzo possibile per elevarmi al di sopra di queste questioni; però ci sono dei documenti i quali lasciano o vogliono lasciar credere, in mala fede (Interruzione dell’onorevole Saggin), che questi contatti sono esistiti.

Ora, dico, onorevole Pella, io le rendo atto, sono perfettamente d’accordo con lei che la questione sua personale è fuori. Noi abbiamo appreso con piacere che il giorno in cui lei ha assunto responsabilità di Governo ha lasciato tutte le sue cariche dando un esempio veramente nobile di come ci si deve accingere a governare il Paese. Ed io le do personalmente atto di questo ben conoscendo i dettagli. Però c’è gente che forse dietro le vostre spalle dice delle parole che ricadono su di voi senza che lo sappiate.

Voi capite, onorevole Ministro, che abbiamo diritto di chiedere a quei signori una maggiore serietà ed una maggiore comprensione di quelli che sono i loro doveri verso una persona che è stata veramente qualcosa e qualcuno nei loro confronti come siete stato voi.

Voi avete diritto di pretendere da coloro vicino ai quali siete stato fino a ieri di non abusare della vostra amicizia per farvi del male, perché una circolare come quella citata è un danno che ricade sulla vostra persona (Commenti e proteste al centro), ripeto, ingiustamente, ma questo può accadere e può trarre in inganno coloro che non conoscono come io conosco la situazione dell’onorevole Pella.

Venendo alla determinazione ministeriale del 3 ottobre, è certo che il Ministero della difesa doveva da tempo prendere una diversa posizione. È chiaramente stabilito che la ditta fornitrice è tenuta a rimborsare l’amministrazione interessata delle materie prime o semilavorate da questa fornite, ecc. ecc. Ora, è un pezzo che io mi occupo di questa questione.

Mi permetto di ricordare all’Assemblea che il 17 settembre 1946, cioè oltre un anno fa, presentai una mozione in cui invitai il Governo a promuovere una inchiesta parlamentare diretta a stabilire l’ammontare, le modalità, la destinazione e l’uso dei sussidi, sovvenzioni, concorsi a fondo perduto a qualsiasi titolo, a favore di privati, di enti pubblici, ecc.

E questo proprio perché vi sono clamorosi esempi di spoliazione dello Stato. Uno degli esempi tipici è quello di un’azienda la quale ebbe dallo Stato 180 milioni per attrezzare uno stabilimento industriale.

Con questi 180 milioni comperò un certo numero di macchine utensili, che furono ammortizzate nel corso di 18 mesi di forniture fatte allo Stato. Conseguentemente, alla fine dei 18 mesi, la ditta poteva portare in bilancio le proprie macchine utensili a una lira ciascuna. L’azienda in questione era bombardata ad una data x e la ditta otteneva un anticipo di 300 milioni per ricostruire il proprio stabilimento.

Questo è uno dei casi tipici di spoliazione dello Stato: lo Stato ha pagato 180 milioni per la prima serie di macchine; 180 milioni attraverso le forniture, una seconda volta, e 300 milioni perché lo stabilimento venisse rifatto, una terza volta. In totale 660 milioni.

Ma vi è di più. Vi è una azienda che si era impegnata a fabbricare un mitra – onorevole Chatrian, voi dovete sapere di che cosa si tratta. Ebbene, questa ditta ebbe un anticipo dallo Stato di circa 75 milioni per attrezzare lo stabilimento, se non erro, in provincia di Cremona, ma non sono molto certo del luogo. Questa ditta incassò i 75 milioni dallo Stato e non fabbricò mai una sola arma da fornire all’esercito!

Una voce al centro. In che anno?

DUGONI. Nel 1941 o nel 1942. (Commenti).

Una voce a sinistra. Esiste sempre la ditta, però.

DUGONI. Se voi non capite, la colpa non è mia: non sto dicendo che ciò sia da attribuire all’attuale Governo, sto dicendo che vi sono somme da recuperare per conto dello Stato e che spetta ai Ministri attuali di recuperare queste somme. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, dando forma dell’interrogazione alla sua richiesta di informazioni nei confronti dei Ministri, lei stessa ha delimitato il suo tempo di parola. Forse era più opportuna una interpellanza. Ma ora siamo in sede di interrogazione e non possiamo oltrepassare il tempo concesso dalle norme di Regolamento, anche se la questione dibattuta è tanto importante.

DUGONI. Lei ha ragione, onorevole Presidente. Mi limiterò a dire che un dibattito come l’attuale non è sufficiente per esaurire questa materia.

Comunque, per chiudere, tengo a precisare la mia personale stima nei confronti del Ministro delle finanze, nella convinzione che egli abbia fatto tutto quanto era nelle sue possibilità personali perché si provvedesse al recupero di questi crediti dello Stato. Ma, d’altra parte, siamo a conoscenza che non vi è stata una delimitazione della materia di competenza del Ministro delle finanze, del Ministro del tesoro – che mi spiace di non vedere al banco del Governo, perché anch’egli era interrogato e doveva precisare alcuni dati – e del Ministro della difesa.

L’onorevole Chatrian ha affermato che le materie prime sono addebitate al prezzo della giornata in cui sono state adoperate, mentre l’onorevole Pella dice che vuole recuperare una differenza. Non so dove possa recuperarla, se è esatta l’affermazione dell’onorevole Chatrian, secondo la quale le materie prime sono state addebitate al prezzo della giornata, se non vi è nessun profitto straordinario…

PELLA, Ministro delle finanze. Sì, c’è.

DUGONI. Quindi, vedete che il dibattito meriterebbe veramente una maggiore ampiezza. In ogni caso, io invito il Governo ad agire con estrema severità e soprattutto – ecco il concetto che voglio mettere alla fine del mio discorso – con una maggiore meccanicità. Cioè io sono convinto che tutta questa serie di questioni individuali, soggettive, ditta per ditta, volta per volta, favoriscono la frode fiscale e favoriscono le evasioni a danno dello Stato. Se noi avessimo un metro, sarà summum jus con quello che segue, ma almeno avremmo una specie di letto di Procuste nel quale adattare a forza le dimensioni dei profittatori. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bonomi Paolo Galati, Storchi, Camangi, Stella, Quarello, Bellato, Del Curto, Giacchero, Pastore Giulio, Monticelli, Carbonari, Ferrari, Burato e Caiati:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri dell’agricoltura e foreste e di grazia e giustizia, per sapere se, in considerazione della mancata registrazione da parte della Corte dei conti, per dichiarata incostituzionalità, del decreto relativo allo sdoppiamento del prezzo dei cereali soggetti a vincolo di ammasso, agli effetti del pagamento dei canoni di affitto e delle richieste dei proprietari terrieri, richieste che mirano ad ottenere l’integrale pagamento dei canoni di affitto non solo per l’annata agraria 1946-47, ma anche per quelle precedenti; non ritengano opportuno – onde ovviare alla grave agitazione che già si va delineando tra gli affittuari di tutte le provincie italiane – elaborare un provvedimento legislativo da sottoporre, con urgenza, all’approvazione dell’Assemblea Costituente per regolare e definire con rapidità la delicata materia».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Risponderò brevissimamente, anche a nome del mio collega Ministro dell’agricoltura che non è presente, per fornire all’onorevole interrogante chiarimenti che, ne sono sicuro, lo indurranno a darmi atto che le sue preoccupazioni restano pienamente dissipate.

Il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato recante modificazioni ed aggiunte al provvedimento in materia di affitto di fondi rustici non ha formato oggetto, da parte della Corte dei conti, di alcun rilievo sotto l’aspetto della sua costituzionalità. Per dar corso alla normale procedura, sono stati soltanto richiesti, perché necessari, alcuni adempimenti di carattere meramente formale che sono in via di definizione. Subito dopo si provvederà alla pubblicazione.

Penso quindi che l’onorevole interrogante rimarrà sodisfatto e che le sue preoccupazioni, che sono anche le preoccupazioni del Governo, perché si possa portare rapidamente una pacificazione nel campo agrario in questa materia dei canoni in natura, verranno presto dissipate.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BONOMI PAOLO. Prendo atto con piacere delle assicurazioni fornitemi dall’onorevole Ministro di grazia e giustizia: la Corte dei conti provvederà a giorni, con urgenza, a registrare il provvedimento. Mi permetta però l’onorevole Ministro di far qui presente una mia gravissima preoccupazione. È vero che il decreto verrà registrato e senza la clausola «con riserva»; ma io non posso dimenticare ciò che è avvenuto per il decreto nello scorso anno. Io non posso dimenticare ciò che è avvenuto per il primo decreto Gullo che, fino dal 1944, ha recato nella materia degli affitti questo principio dello sdoppiamento del prezzo del grano.

Noi ci siamo trovati lo scorso anno di fronte ad una dichiarazione precisa della Corte di cassazione la quale ha definito incostituzionali questi decreti determinando una situazione veramente grave. I proprietari terrieri stanno iniziando la presentazione di domande all’autorità giudiziaria per ottenere il rimborso di quanto non percepito in più non solo nel 1946, come ad esempio ho potuto appurare presso il tribunale di Novara, ma anche nel 1943 e nel 1942, perché proprio in questo anno, attraverso un’azione sindacale, era stato stabilito un certo sdoppiamento del prezzo dei cereali agli effetti del pagamento degli affitti. La situazione è grave.

Prendo atto delle assicurazioni datemi dall’onorevole Ministro, ma chiedo al Ministro, chiedo al Governo, se non ritenga, non solo opportuno, ma necessario ed urgente, intervenire in questa materia, per poter por fine a questa situazione; situazione che fa guadagnare soltanto agli avvocati (Commenti) e a nessun altro, e che, non dimentichiamolo, danneggia non solo l’affittuario e in special modo il piccolo affittuario, ma tutta l’agricoltura. Si era accettato il principio dello sdoppiamento del prezzo del grano per venire incontro alle maggiori spese di produzione, che non gravano sul proprietario, ma che gravano esclusivamente sul conduttore e sul Coltivatore del fondo. Ebbene, se noi oggi non riportiamo la tranquillità nelle campagne, non ne vanno di mezzo soltanto gli interessi dei piccoli e medi affittuari, ma vanno di mezzo – ed è questo che ci preoccupa di più – gli interessi della produzione. Pensate: stiamo oggi entrando nella grande battaglia per il nuovo sistema di ammasso del grano, cioè vogliamo aumentare sempre di più la superficie coltivata a grano; ebbene, credo di poter dire che, se non riportiamo la tranquillità in questa materia di affitti, forse quei provvedimenti che con tanta saggezza il Consiglio dei Ministri ha emanato ultimamente per gli ammassi a contingente non daranno i risultati sperati.

Quindi, per queste ragioni, ripeto ancora la mia preghiera, a nome di tutti gli affittuari d’Italia, di porre la parola «fine» a questa situazione, perché così facendo si andrà incontro agli interessi della categoria, ma anche – quel che più conta – verso una maggiore superficie coltivata a grano, ciò che significa assicurare il pane al popolo italiano. (Applausi).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con richiesta di risposta urgente. La prima è la seguente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, per sapere se non si ritenga opportuno emanare finalmente la legge organica sul risarcimento dei danni di guerra, vivamente attesa da tutti i sinistrati di guerra e troppe volte oramai inutilmente annunciata.

«Tanto si chiede nella convinzione che un organico testo di legge che coordini e aggiorni le numerosissime e spesso contradittorie disposizioni sul risarcimento di danni di guerra alle varie categorie di beni possa costituire valido strumento alla ricostruzione del Paese.

«Cavallari».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. L’altro ieri è stato risposto ad altra interrogazione su questo argomento. Bisogna aver pazienza.

PRESIDENTE. Un’altra interrogazione è la seguente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni del ritardo a presentare all’Assemblea Costituente il progetto di legge, più volte richiesto e promesso, per la sistemazione dei beni sottratti dal partito nazionale fascista;

per sapere, inoltre, se non credano emettere, frattanto, in via d’urgenza, i provvedimenti necessari per evitare che atti in corso provochino dolorosi incidenti.

«Macrelli, Chiostergi, Spallicci, Pacciardi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Interesserò i Ministri interrogati perché facciano sapere quando intendano rispondere.

PRESIDENTE. Infine, è stata presentata la seguente altra interrogazione:

«Al Ministro del tesoro, per conoscere se non ritiene urgente procedere alla riorganizzazione del Servizio pensioni di guerra e infortunati civili, riunendo le varie sezioni – oggi disseminate in quattro edifici, lontani l’uno dall’altro – in un unico edificio, in modo da poter coordinare le varie branche ed attività ed iniziare un sollecito lavoro di espletamento delle 600.000 e più pratiche che attendono la definizione, ponendo così fine alla paralisi del delicatissimo settore.

«Morini»

MORINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORINI. Sullo stesso argomento sarà svolta, nella seduta antimeridiana di domani, un’altra interrogazione; chiedo perciò che sia a questa abbinata la mia.

PRESIDENTE. Il Governo consente?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Consento.

PRESIDENTE. Così sarà fatto.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere perché non si è provveduto e non si provvede a far riparare la strada militare Premeno-Colle-Trarego sopra Intra.

«Questa strada, che fu costruita per ragioni strategiche su ordine dello Stato Maggiore durante la guerra 1915-18 lungo il confine svizzero, vale attualmente molti miliardi, e fu iscritta alla quinta classe con decreto 15 novembre 1923, n. 2406. Con convenzione 23 maggio 1942 l’Ufficio fortificazioni del Corpo d’armata di Torino si è impegnato alla sua manutenzione dietro versamento di lire 20.000 (ventimila) annue da parte dei Comuni consorziati.

«Dopo la convenzione invece furono sospesi i lavori di manutenzione, licenziati i cantonieri e la strada, intatta solo nelle opere principali, è diventata un vero torrente.

«L’interrogante chiede all’onorevole Ministro che sia inviata sul posto, con la massima urgenza, una squadra di zappatori del Genio militare, oppure che venga elargita una somma aggirantesi su 1.800.000-2.000.000 (due milioni) ai Comuni consorziati perché provvedano alla riparazione di detta strada che è – attualmente – di notevole importanza turistica, sotto il controllo e la direzione del Genio militare di Torino. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zappelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non sia possibile migliorare i trasporti di viaggiatori sulla linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli, e più particolarmente se non sia possibile:

  1. a) istituire qualche treno più celere degli attuali;
  2. b) ridurre il disagio del viaggio in carro bestiame, specialmente grave nella prossima stagione invernale, con una maggiore dotazione di vetture viaggiatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno affrettare il ripristino della linea ferroviaria Sora-Avezzano, vivamente reclamata dalle popolazioni interessate, attualmente costrette a servirsi di mezzi di trasporto eccessivamente costosi ed inadeguati ai bisogni degli scambi agricoli e commerciali fra due regioni economicamente complementari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per sapere:

1°) perché fino ad ora non è stato esteso al personale aggregato delle carceri il decreto del Capo provvisorio dello Stato 25 ottobre 1946, n. 263;

2°) quando al personale aggregato delle carceri sarà accordato l’aumento del trenta per cento e l’esenzione dalla ricchezza mobile, che, in base ai recenti provvedimenti, sono stati ammessi per tutti gli impiegati dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castelli Avolio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per conoscere se non si ritenga opportuno, giusto ed urgente disporre che gli impiegati dello Stato di prima nomina percepiscano puntualmente lo stipendio fin dalla scadenza del primo mese di servizio e non dopo tre o quattro mesi, come di solito avviene, nell’erroneo presupposto che un qualsiasi funzionario abbia la possibilità di vivere sulle spese, anticipando diverse diecine di migliaia di lire per vitto ed alloggio.

«Si dovrebbe anzi trovare il modo di concedere ai nuovi assunti qualche congruo acconto, che li ponesse in grado di raggiungere senza enorme sacrifizio la propria sede e di far fronte alle spese più urgenti per la sistemazione nella nuova residenza.

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per conoscere se non sembri necessario ed urgente disporre, nelle attuali condizioni di disagio di tutti i funzionari dello Stato, che, in caso di trasferimento da un gruppo all’altro della stessa o di diversa Amministrazione, o in caso di trasferimento da sede a sede, gli impiegati continuino a percepire ininterrottamente e puntualmente, alla scadenza di ogni mese, lo stipendio, nella misura già goduta, salvo successivo conguaglio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Interrogazioni.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 24 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxxx.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 24 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

Indice

Disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali (Seguito della discussione):

Presidente

UBerti, Relatore

Scelba, Ministro dell’interno

Fabbri

Bordon

Perassi

Nobili Tito Oro

Chiostergi

Laconi

Priolo

Ruini

Colitto

Dugoni

Cifaldi

Sicignano

Crispo

Lucifero

La seduta comincia alle 11.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo Verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali. (16).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Come gli onorevoli colleghi ricordano, l’Assemblea deliberò la sospensione della continuazione dell’esame dell’articolo 47 fino a che non fosse stato preso in esame il terzo comma della prima disposizione transitoria della Costituzione. Dobbiamo passare agli articoli successivi; ma, poiché gli articoli 48, 49 e 50 sono collegati fra loro e quindi tutti in qualche modo legati all’articolo 47, di cui è sospesa la discussione, è necessario passare senz’altro all’articolo 51.

Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Art. 51.

«I profughi delle zone di confine della Venezia Giulia e della Dalmazia ed i rimpatriati dalle Colonie italiane d’Africa sono iscritti nelle liste elettorali del comune di temporanea dimora, anche in difetto della dichiarazione di avvenuta cancellazione dalle liste del comune di provenienza».

UBERTI, Relatore. Non vi sono emendamenti; il testo è stato concordato fra la Commissione e il Governo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 51.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 52. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Art. 52.

«Non possono essere compresi nelle liste elettorali, o se vi sono stati inclusi devono essere cancellati seguendo la procedura di cui all’articolo 24, i militari morti in guerra per i quali le competenti autorità abbiano comunicato il decesso, ancorché non sia pervenuto al comune di residenza il regolare atto di morte.

«Conservano, invece, l’iscrizione nelle liste i militari dispersi in guerra fino a che non ne venga dichiarata la morte a norma delle disposizioni vigenti. Apposita annotazione deve essere fatta nelle liste generali, in quelle sezionali e nello schedario elettorale ed i loro nominativi devono essere ripartiti, per ordine alfabetico, nelle liste di sezione ed iscritti nei fogli susseguenti di cui al secondo comma dell’articolo 28, dopo gli elettori emigrati all’estero».

PRESIDENTE. Al secondo comma di questo articolo, il Governo ha presentato il seguente emendamento, accettato dalla Commissione:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Conservano, invece, l’iscrizione nelle liste i militari dispersi in guerra fino a che non ne venga dichiarata la morte a norma delle disposizioni vigenti. Apposita annotazione deve essere fatta nelle liste generali, in quelle nazionali e nello schedario elettorale. Detti elettori sono ripartiti, per ordine alfabetico, nelle liste di sezione».

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Viene tolta dall’articolo 52 l’ultima frase: «nelle liste di sezione ed iscritti nei fogli susseguenti di cui al secondo comma dell’articolo 28, dopo gli elettori emigrati all’estero», in quanto si è ritenuto sufficiente l’annotazione di disperso in guerra nelle liste generali, in quelle sezionali e nello schedario elettorale. Aggiungere nuove liste successive è una complicazione inutile.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 52 del quale è stata data lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 52-bis che costituisce un nuovo articolo proposto dal Governo. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Art. 52-bis.

«Per la prima revisione annuale, i comuni sono tenuti a cancellare dalle proprie liste gli elettori che risultino iscritti anche nelle liste di altro comune dove abbiano di fatto trasferito la residenza.

«Indipendentemente dalle risultanze anagrafiche, può inoltre essere disposta la cancellazione degli elettori che, nelle ultime elezioni svolte nel comune, siano risultati irreperibili. La irreperibilità è comprovata dalla dichiarazione del messo comunale apposta sul certificato elettorale non potuto recapitare e dall’omesso ritiro del certificato stesso da parte dell’elettore, oltreché dall’esito negativo, risultante da un’attestazione ufficiale degli accertamenti compiuti al domicilio dell’elettore indicato nel registro di popolazione e delle verifiche eseguite negli atti del servizio annonario.

«Alle cancellazioni si procede con le modalità e nei termini stabiliti dagli articoli 13 e seguenti: l’affissione all’albo pretorio del comune, da effettuarsi nel periodo dal 1° al 15 gennaio, dell’elenco degli elettori cancellati ai termini dei commi precedenti, tiene luogo della notifica prescritta dall’articolo 17, secondo comma».

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione, mentre è favorevole al primo comma che stabilisce di cancellare dalle liste gli elettori che risultano iscritti in altri comuni, è contraria alla cancellazione – secondo i due ultimi commi preposti dal Governo – di coloro ai quali non sono stati consegnati i certificati elettorali e che sono stati pertanto dichiarati irreperibili, perché la irreperibilità risultante dal semplice asserto di un messo comunale, è, secondo noi, un pericolo veramente grave. Sappiamo che cosa è avvenuto durante le ultime elezioni amministrative e politiche, in cui molti certificati elettorali non sono stati recapitati e consegnati agli elettori.

Può esser benissimo che ci siano degli elettori che siano stati iscritti per errore e che dovranno essere cancellati in sede di revisione, ma la cancellazione, solamente per il fatto che non sia stato reperito il titolare del certificato elettorale, ci sembra eccessiva e può dare adito a cancellazioni ingiuste, per cui l’elettore dovrebbe fare poi le pratiche per la reiscrizione.

Pregherei quindi il Governo di non insistere sopra i due ultimi commi.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo non insiste.

PRESIDENTE. Il nuovo articolo 52-bis risulta pertanto così formulato:

«Per la prima revisione annuale, i Comuni sono tenuti a cancellare dalle proprie liste gli elettori che risultino iscritti anche nelle liste di altro Comune dove abbiano di fatto trasferito la residenza».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si passa all’articolo 53, che nel testo originale era così formulato:

«Per la prima attuazione della presente legge, nei Comuni la cui amministrazione non sia stata ricostituita su basi elettive entro il termine previsto dall’articolo 12, le funzioni della Commissione di cui allo stesso articolo sono esercitate dalla Giunta municipale nominata ai termini del decreto legislativo luogotenenziale 4 aprile 1944, n. 111.

«Se, nel corso della revisione, abbiano luogo le elezioni, il Consiglio comunale procede alla costituzione della Commissione ai sensi dell’articolo 12.

«Nei Comuni retti da commissario prefettizio, le funzioni della Commissione elettorale comunale sono esercitate dal predetto commissario fino alla convocazione del Consiglio comunale».

Il Governo ha proposto di sostituire quest’articolo con l’articolo, accettato dalla Commissione, di cui si dà lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Art. 53.

«Per la prima attuazione della presente legge, nei comuni la cui Amministrazione non sia stata ricostituita su basi elettive entro il termine previsto dall’articolo 12, le funzioni della Commissione elettorale comunale sono esercitate dalla Giunta municipale nominata ai termini del decreto legislativo luogotenenziale 4 aprile 1944, n. 111.

«Se, nel corso della revisione, abbiano luogo le elezioni, il Consiglio comunale procede, entro un mese dall’insediamento, alla costituzione della Commissione ai sensi dell’articolo 12.

«Nei comuni retti da Amministrazione straordinaria, le funzioni della Commissione elettorale comunale sono esercitate dal commissario fino alla convocazione del Consiglio comunale. Questo procede alla costituzione della Commissione entro il termine di cui al comma precedente».

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore crede di dare ragione dell’accettazione da parte della Commissione?

UBERTI, Relatore. L’articolo 53, come è stato presentato nell’ultima forma dal Governo, rappresenta una migliore formulazione, per cui la Commissione l’ha accettato; e soprattutto l’ha accettato per una precisazione che ha fatto, in quanto è stabilito che il Consiglio comunale nuovamente eletto deve nominare la Commissione elettorale entro un mese, e ciò perché non ci sia ritardo, intralcio nell’espletamento delle operazioni per la formazione delle nuove liste.

È naturale che, dove non c’è il Consiglio comunale perché è stato sciolto, il commissario è tenuto ugualmente a nominare la Commissione comunale entro un mese.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 53 nel nuovo testo proposto dal Governo.

(È approvato).

Passiamo adesso all’articolo 53-bis. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per la prima revisione annuale delle liste, i termini stabiliti dalla presente legge sono anticipati di trenta giorni».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto la seguente nuova formulazione:

«Fino a quando non saranno ricostituiti i Consigli provinciali, le attribuzioni demandate a detti consessi dagli articoli 19 e 19-bis della presente legge saranno esercitate dalle Deputazioni provinciali».

Qual è il pensiero della Commissione?

UBERTI, Relatore. La Commissione rinuncia al suo testo, perché si era stabilito di anticipare la revisione delle liste di trenta giorni, in modo che invece di iniziare le operazioni il primo ottobre fossero iniziate il primo settembre, ma questa era l’ipotesi fatta quando eravamo in luglio; ormai siamo al 24 settembre ed è fuor di luogo fare questa anticipazione. Il Governo propone di sostituire il precedente articolo con un altro riguardante la situazione delle Amministrazioni provinciali. Non essendovi i Consigli provinciali è evidente che devono essere le Deputazioni provinciali a sostituirne le funzioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 53-bis nel testo governativo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 53-ter, proposto dal Governo. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le Commissioni elettorali mandamentali e le Sottocommissioni costituite a termini del decreto ministeriale 24 ottobre 1944 e del decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1945, n. 201, restano in carica fino al 31 dicembre 1947.

«Entro tale data saranno costituite dai Primi Presidenti di Corte d’appello, ai sensi degli articoli 19 e 19-bis, le nuove Commissioni elettorali mandamentali ed eventuali Sottocommissioni per il periodo dal 1° gennaio 1948 al 30 settembre 1949».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Sull’articolo 53-ter la Commissione non sarebbe d’accordo col Governo perché ritiene che questa norma, come norma transitoria per questa prima revisione delle liste elettorali, non può essere accettata, per il fatto che la nuova nomina della Commissione comunale avverrebbe al 31 dicembre mentre sono in corso i lavori della revisione della lista elettorale. Cambiare i cavalli durante il guado è una cosa non opportuna, per cui la Commissione vorrebbe proporre al Governo di accettare, invece della data del 31 dicembre 1947, quella del 30 giugno 1948.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi pare che prorogare fino al 30 giugno non serva, perché dovremmo fare la lista elettorale in tempo molto anteriore. Non agevolerebbe il campito delle Commissioni.

UBERTI, Relatore. Allora bisognerebbe farlo subito, entro il 31 ottobre, per non modificare la Commissione durante lo svolgimento dei lavori. Altrimenti una Commissione inizierebbe i lavori, un’altra, cambiata totalmente o parzialmente, dovrebbe continuare i lavori della precedente e potrebbe anche non approvare i lavori fatti dalla Commissione precedente.

La revisione delle liste va fino al 30 aprile. O si fa il 31 ottobre o il 1° ottobre, in modo che subito il Consiglio comunale nomini la nuova Commissione comunale, oppure bisogna fissare la nomina a dopo fatta la revisione delle liste.

PRESIDENTE, La Commissione propone di modificare la data del 31 dicembre?

UBERTI, Relatore. Sì, oppure bisognerebbe fare la revisione al primo ottobre o entro 15 giorni dall’entrata in vigore della legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. È estremamente difficile che si possa fare per il 1° ottobre.

UBERTI, Relatore. Allora lasciamo il 30 giugno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 53-ter con la modificazione accettata dal Governo:

«Le Commissioni elettorali mandamentali e le Sottocommissioni costituite a termini del decreto ministeriale 24 ottobre 1944 e del decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1945, n. 201, restano in carica fino al 30 giugno 1948.

«Entro tale data saranno costituite dai primi presidenti di Corte d’appello, ai sensi degli articoli 19 e 19-bis, le nuove Commissioni elettorali mandamentali ed eventuali Sottocommissioni per il periodo dal 1° gennaio 1948 al 30 settembre 1949».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 54. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le spese per la revisione annuale delle liste elettorali sono a carico dei comuni, ad eccezione di quelle per la prima revisione che sono assunte dallo Stato.

«Il Ministro per le finanze e per il tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, all’iscrizione degli stanziamenti occorrenti nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto un nuovo testo; se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le spese per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali sono a carico dei comuni, ad eccezione di quelle per la prima revisione che sono assunte a carico dello Stato.

«Le spese per il funzionamento delle Commissioni elettorali mandamentali e delle eventuali Sottocommissioni gravano sul bilancio dei comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario e sono ripartite tra i comuni medesimi in base alla rispettiva popolazione elettorale. Il riparto è reso esecutorio dal prefetto».

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Mi sembra che con questa norma si favoriscano i comuni in quanto non solo la revisione ma anche la tenuta è a carico dello Stato. Era difficile poter distinguere fra la revisione e la tenuta per questo primo anno. Questa naturalmente è norma transitoria.

Solo vorrei chiedere al Governo una spiegazione relativamente alle spese delle Commissioni mandamentali. Il riparto fra i comuni è reso esecutivo dal prefetto. Ma da chi sono anticipate le spese? Dal comune capoluogo del mandamento oppure dalla Prefettura?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il prefetto le ripartisce fra i vari comuni.

UBERTI, Relatore. Le spese, quando si iniziano, sono ancora da ripartire. Chi le anticipa?

SCELBA, Ministro dell’interno. Le anticipa lo Stato.

UBERTI, Relatore. Questa dichiarazione è molto importante.

PRESIDENTE. Con questa dichiarazione del Governo, la Commissione accetta il nuovo testo dell’articolo 54.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 54-bis proposto dal Governo. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle variazioni da introdurre in bilancio in dipendenza delle disposizioni della presente legge».

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

UBERTI, Relatore. Accettiamo.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 55. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 18 febbraio 1946, n. 32, cessano di avere vigore.

«Sono altresì abrogate le disposizioni contrarie o comunque incompatibili con la presente legge».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto di sostituirlo col seguente:

«Sono abrogate le disposizioni contrarie o comunque incompatibili con la presente legge».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta la soppressione del comma aggiunto: «Le disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 18 febbraio 1946, n. 32, cessano di avere vigore», perché giustamente ritiene che non sia necessaria questa disposizione in quanto implicita.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 55 nel testo del Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 56. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto di sostituirlo col seguente:

«La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Questa proposta differisce da quella del progetto, per il ritardo subito dalla discussione di questo disegno di legge.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Sono così esauriti tutti gli articoli. Devo ricordare all’Assemblea come, in occasione della discussione dell’articolo 11, fu sollevata la questione dei cittadini italiani all’estero, e si rimase d’accordo, siccome questa questione di ripresenta anche negli articoli 18, 23 e 25, di rimandare a questo momento la decisione in merito. Ora l’Assemblea è chiamata a decidere. In seguito a questa decisione si procederà al coordinamento di questi articoli 11, 18, 23, 25.

L’onorevole Uberti ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Circa la questione sollevata dall’onorevole Fabbri – di sostituire alle parole «emigrati all’estero» le parole «residenti all’estero», per comprendervi anche i figli degli emigrati all’estero – si è controllato che ciò non dà adito a inconvenienti e pertanto può essere accettata.

L’onorevole Fabbri osservava che era necessaria la dichiarazione della data di emigrazione. Ma questa norma nella legge non vi è. Occorre solamente che il cittadino residente all’estero faccia la domanda al suo Comune, attraverso il Consolato.

Qualche collega non vede la necessità del tramite del Consolato; ma non è possibile farne a meno perché bisogna accertare sia l’autenticità della domanda, sia che si tratta di cittadini italiani; occorre sempre un certificato di cittadinanza italiana, il quale non può essere rilasciato che dal Consolato.

Quindi, veniamo incontro al desiderio dell’onorevole Fabbri, sostituendo alle parole «emigrati all’estero» le parole «cittadini residenti all’estero».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. He ha facoltà.

FABBRI. Qualcosa è; ma io mi preoccupavo specialmente del collegamento, cioè a quale Comune si dovrebbe indirizzare chi fosse nato all’estero. Siccome per indicare questo Comune si parlava della data di emigrazione, osservavo che per il nato all’estero non c’è data di emigrazione. Allora bisogna mettere «Comune di origine della famiglia»; altrimenti, resta una lacuna.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di rispondere.

UBERTI, Relatore. Non è necessaria questa dichiarazione in quanto discende logicamente dalla legge; per cui se ne parlerà nelle circolari esplicative.

Stabilito il diritto del cittadino residente all’estero, è evidente che esso si incanalerà verso il Comune ove risiedeva precedentemente o il genitore dell’emigrato o l’emigrato stesso.

Niente dovrebbe vietare, però, che un cittadino nato a Verona si iscrivesse a Milano, ove potrebbe avere parentele o interessi. Quindi, dettare la disposizione che il cittadino debba presentarsi nel Comune di origine dell’emigrato o del genitore, mi sembra che sia non solo non necessario, ma anzi limitativo.

PRESIDENTE. Allora, la proposta dell’onorevole Uberti è questa: sostituire negli articoli, in cui ricorrono le parole «emigrati all’estero», le parole «residenti all’estero».

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Io direi di sostituire alla parola «residenza» la parola «dimora»; perché «residenza» ha carattere troppo restrittivo; c’è una differenza giuridica tra dimora e residenza. Direi, pertanto, di attenersi alla semplice dimora di fatto.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi pare che converrebbe aggiungere qualche maggiore precisazione e non limitarsi a sostituire nell’articolo 11, la parola «emigrati», con la parola «residenti»; perché, una volta fatta questa sostituzione, è evidente che la prima parte dell’articolo 11 viene ad avere una portata più larga, in quanto comprende non soltanto i cittadini che ad un certo momento si sono trasferiti all’estero, ma anche i cittadini nati e residenti all’estero. Ora, nel secondo comma come si congegna l’iscrizione nelle liste elettorali? La domanda dell’interessato, da inoltrare per tramite della competente autorità consolare, – dice l’articolo 11 – deve pervenire, entro il 15 novembre, al sindaco del comune di nascita o del comune nelle cui liste il richiedente risultava iscritto all’atto della partenza. È evidente che questa formula è stata stesa in relazione alla prima dizione del testo. Se ora allarghiamo il testo nel senso indicato, cioè sostituendo «residente all’estero» ad «emigrati» bisogna portare anche qualche allargamento nel secondo comma, cioè prevedere che la domanda di iscrizione possa farsi non soltanto al comune di nascita, perché può anche darsi il caso di un cittadino nato all’estero, ma in altri comuni, e principalmente, per esempio: al comune di nascita del padre o dell’avo. Solo con questa integrazione sarebbe risolto interamente il problema, che è stato sollevato, di rendere possibile agli italiani residenti all’estero l’iscrizione nelle liste elettorali.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. L’aggiunta proposta dall’onorevole Perassi specifica meglio, ma è limitativa. Dopo le parole: «comune di nascita», invece che solo «del cittadino», si può aggiungere: «del cittadino, del padre o dell’avo». Chiedo al Governo se abbia da proporre una formula.

SCELBA, Ministro dell’interno. Nessuna formula. Propongo un articolo aggiuntivo in cui si dica che «le norme della presente legge si applicano ai cittadini nati o residenti all’estero», ed in sede di coordinamento preciseremo che le norme riguardanti l’iscrizione nel comune di origine si applicano a tutti i cittadini. In altre parole, basta una norma di carattere generale in cui diciamo che le disposizioni della presente legge si applicano anche ai cittadini residenti e nati all’estero. Così si risolve implicitamente anche il problema per quanto riguarda i comuni di origine, ecc.

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Le norme della presente legge si applicano ai cittadini residenti all’estero o nati all’estero».

UBERTI, Relatore. Anche i nati all’estero sono residenti all’estero. Io direi: «emigrati o nati all’estero».

FABBRI. Non vedo come si potrebbero coordinare gli articoli.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, per coordinare gli articoli nei quali figura la dizione emigrati all’estero sarà necessario che prima l’Assemblea proceda a stabilire un principio. In questo momento l’Assemblea stabilisce questo principio. Si vedrà poi di coordinare gli articoli 11, 18, 23, 25 con il principio stesso.

La proposta del Governo può esser messa in votazione con l’intesa che ad essa siano coordinate tutte le norme che abbiano attinenza con la questione dei cittadini all’estero.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Insisto sulla modifica da me proposta, perché non intendo che si debba ridurre questo limite solo alla residenza. Sappiamo cosa è il domicilio, la residenza e la dimora. Mettiamo «dimora» anziché: «residenza». Sappiamo bene qual è la differenza giuridica.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi sembra che non possiamo accettare la proposta della dimora perché la dimora, è un fatto temporaneo e transitorio, mentre la residenza è il centro dei propri affari ed ha carattere permanente. Non possiamo creare una disposizione per gente che per soli sei mesi se ne va all’estero. Questa procedura speciale, se la volessimo applicare anche per i dimoranti all’estero, aggraverebbe il notevole lavoro delle Commissioni. La residenza è qualcosa di più, ha un carattere più stabile che non sia la semplice dimora. Accettare la dimora significherebbe complicare la compilazione delle liste elettorali. Non posso accettare questa modifica.

PRESIDENTE. Insiste l’onorevole Bordon?

BORDON. Non insisto.

PRESIDENTE. Allora, possiamo mettere in votazione l’articolo 56 aggiuntivo proposto dal Governo:

«Le norme della presente legge si applicano ai cittadini residenti o nati all’estero».

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Si tratta di estendere l’elettorato ai cittadini italiani residenti all’estero: io non comprendo la funzione dell’aggiunta «o nati all’estero». I nati all’estero sono già compresi nella disposizione, in quanto risiedano ancora all’estero, come residenti all’estero. Se invece non risiedano più all’estero, la circostanza di esservi nati non viene ad influire menomamente sulla funzione di questa disposizione, che si preoccupa solo dei cittadini non residenti nel territorio della Repubblica. Quindi, pare che, a raggiungere le finalità dell’articolo 56 aggiuntivo, basti dire che: «Le norme della presente legge si applicano ai cittadini residenti all’estero».

SCELBA, Ministro dell’interno. Se è inteso così, siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Il Governo accetta di sopprimere «o nati all’estero». Pongo quindi in votazione la seguente formulazione:

«Le norme della presente legge si applicano ai cittadini residenti all’estero».

(È approvata).

Resta, pertanto, inteso che, in conseguenza dell’approvazione di questa norma, gli articoli 11, 18, 23 e 25 verranno coordinati con la norma stessa. Non vi è possibilità di dubbio.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, la legge che è stata sottoposta all’Assemblea Costituente ha un valore fondamentale tecnico. In questa legge poi, è stata inserita la disposizione dell’articolo 47, che voi tutti conoscete, e che ha dato luogo ad un notevole dibattito. L’Assemblea ha ritenuto di stralciare, di rimandare per lo meno la votazione sull’articolo 47 a dopo che sarà stato stabilito, in via transitoria, la limitazione al diritto elettorale per determinate categorie. Per quanto l’Assemblea abbia deciso che questa disposizione deve essere trattata rapidamente, noi non possiamo essere certi che la decisione in materia sarà attuata in uno spazio brevissimo di tempo. Peraltro noi abbiamo bisogno dello strumento tecnico per procedere rapidamente – e siamo già in notevole ritardo – alla formazione delle liste elettorali. Ogni giorno che noi perdiamo in questo campo, compromette la possibilità di una rapida consultazione elettorale e di poter fare nella prossima primavera le elezioni se non iniziamo immediatamente il lavoro della formazione delle liste elettorali.

Ora, dato che la disposizione dell’articolo 47 non è connaturata alla legge, ma vi è stata inserita, e poteva essere anche non messa proprio nella legge come tale, io proporrei all’Assemblea di approvare la legge in tutti i suoi articoli, che riguardano l’organizzazione tecnica delle liste elettorali, impegnandosi il Governo a riproporre le disposizioni degli articoli 47 e 48, che riguardano il diritto elettorale, in sede di legge elettorale ed a seconda della deliberazione che l’Assemblea Costituente prenderà in ordine alla limitazione del diritto elettorale.

Con questo non si pregiudica minimamente il diritto dell’Assemblea di decidere circa le limitazioni del diritto elettorale, ma si mette in condizione il Governo di potere approntare, il più rapidamente possibile, le liste elettorali, senza di che non potrei dare nessuna assicurazione alla Camera che le elezioni si possano fare nel tempo più breve, auspicato da tutti, se l’Assemblea concluderà i suoi lavori il 31 dicembre.

Quindi le elezioni nella prossima primavera saranno impossibili.

Il Governo prende impegno di riproporre le disposizioni degli articoli 47 e 48, con riferimento alle decisioni che l’Assemblea prenderà in sede di legge sull’elettorato passivo, stralciandoli da questa legge nella quale hanno un valore d’incidenza occasionale ma non essenziale.

PRESIDENTE. La situazione è la seguente: nella passata seduta l’Assemblea deliberò la sospensiva della discussione ed approvazione dell’articolo 47 ponendo come termine alla sospensiva l’approvazione del terzo comma della prima disposizione transitoria della Costituzione.

L’onorevole Scelba propone oggi all’Assemblea di entrare in un altro ordine di idee, cioè di togliere dal progetto di legge in esame gli articoli 47, 48, e rimandare gli articoli stessi alla legge che verrà presentata all’Assemblea relativamente all’elettorato passivo.

RUINI. Salvo poi a trasferirli.

PRESIDENTE. Mi pare che sia chiaro. L’onorevole Scelba propone di togliere (non si tratta di stralciare) dal disegno di legge in discussione gli articoli 47, 48, impegnandosi il Governo a ripresentare questi articoli nella legge relativa all’elettorato passivo.

Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Io non sarei d’accordo col Ministro se si trattasse di rimandare l’articolo 47 alla legge dell’elettorato passivo, perché si tratterebbe di introdurre una norma riguardante l’elettorato attivo nella legge sull’elettorato passivo. D’altra parte le liste elettorali vanno subito in allestimento. Vi è tutto un giuoco di termini collegati. Non sarebbe possibile domani utilizzare per i casi previsti dall’articolo 47 tutti quei termini che la legge ha stabilito.

Si potrebbe accettare la proposta del Ministro – perché è evidente che tutti abbiamo interesse a che il lavoro delle liste elettorali sia immediatamente iniziato; siamo già al 24 settembre, la legge ormai non potrà essere più pubblicata prima dei primi di ottobre, cioè al di là del periodo utile, necessario per iniziare il lavoro di revisione – ma sarebbe anche possibile procedere diversamente cioè stralciare gli articoli 47, 48, 49, 50, non ancora approvati, per farne una leggina a parte da esaminarsi non appena deciso il comma terzo dell’articolo primo del titolo riguardante le disposizioni transitorie della Costituzione. Così, anche se questa legge potrà essere approvata solamente fra dieci giorni le disposizioni relative alla revisione delle liste potranno senz’altro entrare in vigore. Pertanto prego il Ministro di non rinviare questi quattro articoli alla legge sull’elettorato passivo, la quale potrà venire in discussione anche in dicembre, ma di fare una leggina a parte ed intanto mandare avanti quanto già approvato per poter iniziare il lavoro di revisione.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Volevo dire quello che l’onorevole Uberti ha detto in questo momento, cioè che non è necessario rinviare i tre articoli alla legge sull’elettorato passivo, appunto perché riguardano l’elettorato attivo e che è perciò indispensabile, se non si intende fare la discussione immediata dell’articolo 47, che già in gran parte è stato approvato, di farla subito dopo con una legge speciale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che la questione non è all’ordine del giorno e quindi non può essere discussa. Noi abbiamo fatto questa seduta col preciso impegno che si sarebbero discussi gli altri articoli della legge elettorale e non il 47, in quanto la Camera ha accettato la richiesta dei qualunquisti che chiedevano che la discussione fosse rimandata.

Mi stupisco che venga ora riproposta una questione che, per comune convenzione, non è all’ordine del giorno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io dichiaro anzitutto di essere d’accordo con gli onorevoli Uberti e Chiostergi circa l’opportunità di inserire in una leggina speciale questi tre articoli. Dicevo di inserirli nella legge riguardante l’elettorato passivo, perché quella ci dava immediatamente una possibilità di discussione, in quanto siamo d’accordo che la legge sull’elettorato passivo dovrà essere discussa subito dopo l’approvazione di questa legge. E quindi si poteva mettere la materia dell’articolo 47 in quella legge, nella quale avremmo potuto dire che non sono eleggibili tutti coloro che non sono elettori.

Comunque, la questione non ha importanza. Per me è importante soltanto questo, che le disposizioni tecniche riguardanti la predisposizione delle liste elettorali siano al più presto approvate.

Accetto quindi la proposta degli onorevoli Uberti e Chiostergi, prendendo impegno di presentare una leggina contenente i tre articoli, subito dopo approvata la disposizione transitoria della Costituzione.

Per quanto riguarda l’osservazione preliminare dell’onorevole Laconi, io non sono molto competente in materia di Regolamento, e quindi non so se la sua osservazione abbia un qualche fondamento dal punto di vista regolamentare. Però, vorrei fare un’osservazione: abbiamo preso l’impegno di discutere la materia che riguarda gli articoli 47 e seguenti subito dopo l’approvazione della disposizione transitoria. Io non propongo nulla di diverso che discutere questa questione subito dopo l’approvazione della disposizione transitoria. Si tratta soltanto di vedere se queste norme degli articoli dal 47 al 50 devono essere discusse o se possono essere trasferite in una legge particolare.

Nella sostanza, non vedo nulla di contraddittorio e non violiamo nessun diritto della Assemblea. Quindi insisto, non perché c’è un problema politico di Governo; ma richiamo l’attenzione della Camera sulla necessità obiettiva che ha il Governo di organizzare al più presto il lavoro delle liste elettorali.

Quindi, non trovando nulla di contraddittorio, insisterei per l’accoglimento della proposta Uberti e Chiostergi.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. La situazione è questa: per aderire alla richiesta dei qualunquisti, si è stabilito di discutere la norma transitoria subito dopo la fine del loro congresso. Mi pare che potremmo aderire alla tesi del Ministro dell’interno in questo senso, allo scopo di affrettare effettivamente la legge e consentire di fare le elezioni al più presto. L’articolo 47 potrebbe far parte di una leggina; però ci sono già dei commi approvati. La questione è questa: cosa si fa di quei commi approvati?

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Mi sembra che l’osservazione dell’onorevole Laconi non incida sulla decisione che dobbiamo prendere, perché la questione del rinvio di qualche giorno, affinché i colleghi qualunquisti possano partecipare al loro congresso, rimane ferma in ogni caso.

La questione è un’altra: noi eravamo investiti della discussione di una legge sull’elettorato attivo. A un dato punto abbiamo detto: sospendiamo perché vogliamo che l’Assemblea decida prima sopra una norma transitoria del progetto costituzionale. Siamo poi ritornati sulla nostra deliberazione e abbiamo detto: intanto continuiamo sul resto, tranne per gli articoli 47-50. Non è contraddittorio, ma complementare; e nulla vieta che ora noi decidiamo di dar corso a ciò che è già stato approvato della legge e manteniamo immutata la nostra precedente decisione per la successiva discussione degli articoli rimasti sospesi.

Qui però la proposta del Ministro va rettificata: nel senso che non si deve aspettare, per discutere tali articoli, la presentazione da parte del Governo del disegno di legge sull’elettorato passivo. Gli articoli 47-50, stralciati dalla legge sull’elettorato attivo, dovrebbero sempre tornare ad essa. Ma – ciò che più importa – non occorre nessun nuovo atto, nessun nuovo disegno di legge, né d’iniziativa ministeriale, né d’iniziativa parlamentare, perché la discussione di quegli articoli riprenda al punto in cui è stata lasciata.

Propongo quindi in primo luogo che si approvi immediatamente come legge ciò che è stato approvato come singola disposizione dall’Assemblea; in secondo luogo che si attenda che appena approvata dall’Assemblea la norma transitoria della Costituzione, l’Assemblea riprenda immediatamente la discussione degli articoli sospesi.

Mi pare non vi sia alcuna difficoltà.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la prego di dare un chiarimento che forse potrà riuscire utile all’Assemblea. Quando, secondo la sua proposta, l’Assemblea avesse approvato il comma terzo dell’articolo primo delle «Disposizioni transitorie» della Costituzione e successivamente tornasse a discutere intorno all’articolo 47 e prendesse una decisione in merito, questo articolo 47 dove verrebbe collocato?

RUINI. Sarebbe solo formalmente una legge a parte da inserire poi in quella che ora licenzieremmo, dell’elettorato attivo.

PRESIDENTE. Lei allora aderisce alla proposta dell’onorevole Uberti, che se ne faccia una leggina a sé.

RUINI. Sì, ma io desidero, onorevole Presidente, insistere su questo punto che ritengo politicamente importante: non si deve aspettare che il Governo presenti un altro disegno di legge: bisogna riprendere una discussione sospesa, per fare solo formalmente una leggina a sé, che rientrerà poi in quella che ora variamo.

PRIOLO. E che resti fermo che si tratta di un completamento dell’articolo 47.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io non sono d’accordo con l’onorevole Laconi quando afferma che oggi non potremmo occuparci della proposta fatta dall’onorevole Scelba, non essendo la stessa all’ordine del giorno. Non sono d’accordo, perché all’ordine del giorno sono «le norme per la disciplina dell’elettorato attivo», ed è evidente che di tali norme ci stiamo occupando. E ce ne stiamo occupando, proprio tenendo conto della deliberazione presa in precedenza dall’Assemblea, secondo la quale delle disposizioni degli articoli 47 e 48 ci saremmo dovuti occupare a parte.

Circa, poi, il merito, a me pare che la proposta dell’onorevole Ministro debba essere accolta, perché è una proposta molto opportuna. Se veramente, infatti, noi vogliamo effettuare le elezioni in primavera, bisognerà che teniamo presente quanto l’onorevole Ministro ha detto. La discussione intorno all’articolo 47 sarà fatta a parte, così come è stato deciso. Sembra anche a me giusto quello che ha detto l’onorevole Uberti: non è il caso di inserire queste norme nella legge sull’elettorato passivo. Esse potranno formare oggetto di una legge speciale, sia di iniziativa del Governo (Commenti), sia di iniziativa dell’Assemblea.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Secondo la mia modesta opinione, noi siamo di fronte ad una parte dell’articolo 47 che è già stata votata dalla Assemblea. Questo è il punto che impedisce di accettare e la dilazione chiesta dal Ministro Scelba e la creazione di una «leggina» speciale, di cui parla l’onorevole Uberti. L’Assemblea si è impegnata ed ha iniziato la discussione dell’articolo 47 e ne ha votato una parte. Come possiamo noi adesso annullare quello che l’Assemblea ha già votato? L’Assemblea può solo proseguire nella discussione degli ulteriori commi dell’articolo 47.

Mi pare che sia assolutamente impossibile, dal punto di vista procedurale, prescindere da questo scoglio fondamentale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Non ho che da associarmi a quanto ha detto l’onorevole Dugoni. Noi non possiamo stralciare dalla legge un articolo già parzialmente votato e approvato per farne una legge a sé; siamo già entrati in questa materia e dobbiamo forzatamente esaurire l’argomento. Può darsi che in un secondo momento, dopo che avremo approvata tutta la legge, compreso l’articolo 47, ravvisiamo l’opportunità di dividere in due parti la legge. (Commenti). Ma sono convinto che non la ravviseremo, in quanto l’utilità non esiste. Comunque, dal punto di vista procedurale, noi potremmo farlo soltanto dopo aver esaurita la discussione e la votazione dell’articolo 47.

Vorrei poi far notare che noi stiamo facendo tutta questa discussione, in sostanza, per evitare un rinvio di quarantotto ore. Non ritengo che il Ministro vorrà farci credere che questo rinvio di 48 ore sia per lui cosa di grande momento. Se si vuole trovare un altro espediente per rimettere in discussione l’articolo 47, oltre a quello già trovato attraverso l’approvazione preventiva della norma transitoria della Costituzione, lo si dica in modo esplicito. Ma non credo che sia necessario trovare un nuovo espediente quando se ne è efficacemente impiegato uno.

Sono quindi contrario alla nuova procedura proposta.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Non si tratta, secondo la mia proposta, di fare una «leggina» speciale, nel senso che venga presentato un nuovo disegno di legge. Si tratta, semplicemente, di trovare la forma per poter senza altro licenziare questa legge e poter subito applicare gli articoli approvati.

LACONI. E l’articolo 47?

UBERTI, Relatore. Gli articoli 47, 48, 49, 50 sono quattro articoli che costituirebbero poi gli articoli 1, 2, 3 e 4 di questa nuova «leggina», e quello che è già stato approvato dalla Camera, se ha la sua sanzione nella legge costituzionale, è evidente che rimane in piedi. Così nulla viene alterato: questa è semplicemente la formula pratica, la ragione formale per poter licenziare questi articoli già approvati e poter iniziare col 1° ottobre la revisione delle liste elettorali. Pensate che la procedura di revisione si estenderà dal 1° ottobre a tutto il 30 aprile. Tutti i giorni di ritardo nell’inizio rappresentano altrettanti giorni di meno del mese di maggio per indire le elezioni generali politiche.

Questo è il fatto politico, di cui – a mio avviso – dobbiamo tener conto.

Non c’è, in questo, alcuna questione sostanziale. Si tratta di una questione puramente formale: cioè di trovare il modo di poter varare queste disposizioni, di poter applicare senz’altro questi articoli già approvati. La nuova «leggina», da inserire poi nella legge attuale, non sarebbe altro che la traduzione degli attuali articoli 47, 48, 49 e 50. Quindi, nessuna questione di sostanza, ma una pura questione di forma, per rendere possibile l’immediato inizio delle operazioni di revisione.

PRESIDENTE. Prima di dare lai parola ad altri oratori, mi permetto dare questo elemento di fatto all’Assemblea. Per quanto concerne il più breve tempo nel quale si possa procedere all’approvazione del terzo comma della prima disposizione transitoria e alla conseguente discussione dell’articolo 47, credo che la seduta antimeridiana di sabato sia la prima che si possa destinare a questo scopo; non quella di venerdì, che è stata dedicata all’inizio della discussione della mozione Nenni.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Dirò che non mi paiono convincenti le ragioni addotte dall’onorevole Uberti. Noi ci troviamo in questa situazione: che dobbiamo votare una legge nella sua interezza, dalla quale verrebbe esclusa la concessione dell’elettorato attivo. Questo non può essere accettato. Una legge deve essere organica in tutte le sue parti e non è possibile licenziare un testo legislativo di cui manchi una parte molto importante. Dobbiamo affrontare decisamente questo problema che già in parte abbiamo affrontato votando una parte della esclusione dall’elettorato attivo, di cui all’articolo 47. Credo che possiamo rinviare di uno o due giorni, ma dobbiamo risolvere questo problema senz’altro. Procrastinarlo potrebbe avere un cattivo significato politico, perché potrebbe dare – non dico la prova – ma la sensazione che si voglia sfuggire a questo problema. Quindi sarei d’avviso di rinviare di uno o due giorni questa discussione per potere integrare in ogni sua parte la legge che riguarda l’elettorato,

PRESIDENTE. Chiedo al Ministro dell’interno se, con questo chiarimento, insiste.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi permetto di insistere sulla richiesta. Qui non si tratta di quarantott’ore, caro onorevole Laconi. Fra quarantott’ore potrebbe essere iniziata la discussione sulla materia delle Disposizioni transitorie riguardante il diritto elettorale, ma non è detto che la discussione sarà esaurita in una mattinata o in diversi giorni (questo nessuno di noi può saperlo), mentre l’approvazione di questa legge, con carattere di immediatezza, risulta dalle stesse disposizioni consacrate nella legge, perché deve entrare in vigore il primo ottobre, ed è pacifico che, se ne procrastiniamo l’approvazione, gli uffici competenti non potranno iniziare i lavori in tempo utile. Un espediente per rinviare il problema trattato dall’articolo 47 non c’è, né abbiamo alcuna ragione per crearlo.

Accetto le osservazioni dell’onorevole Ruini, che forse non sono state colte nel loro preciso significato giuridico e politico. Non si tratta di presentare una nuova legge. L’Assemblea è già investita di questa legge. Vi sono alcuni articoli che vengono stralciati e saranno discussi e decisi, senza che ciò abbia alcuna conseguenza sulle disposizioni già approvate. Quindi, non si tratta di creare un nuovo disegno di legge, che dovrà andare dinanzi alla Commissione e ci farebbe perdere ancora tempo e potrebbe legittimare il sospetto dell’onorevole Laconi che si voglia rinviare la discussione dell’articolo 47 per perdere tempo. L’Assemblea, che è investita del problema, dovrà solo discutere e approvare le note disposizioni che, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, diverranno parte integrante della legge già approvata.

Il fatto che questi quattro articoli assumano il contenuto formale di una disposizione di legge, non toglie che l’Assemblea ne sia già investita. Il Governo non ne fa una questione politica; richiamo pertanto l’attenzione dell’Assemblea sulla delicatezza della questione e dichiaro formalmente che ogni giorno che si perde nell’approvazione di questa legge, significa rinviare la consultazione elettorale. Se questa legge non avrà vigore dal prossimo primo ottobre, noi non potremo fare le elezioni neppure a maggio dell’anno venturo. D’altronde non c’è una responsabilità del Governo in ciò, perché il Governo ha presentato il disegno di legge due mesi prima che l’Assemblea prendesse le sue vacanze. Se oggi l’Assemblea vuole ulteriormente rinviare l’approvazione della legge, la responsabilità politica ricade esclusivamente su di essa.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Ricordo che l’Assemblea ha già deliberato di occuparsi del problema dopo la chiusura del congresso qualunquista, per cui ritengo che non si debba oggi adottare una decisione in assenza di molti colleghi. Chiedo che, per lo meno, si differisca di 24 ore questa discussione. (Commenti).

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Vorrei cercare di chiarire ciò che dovrebbe essere già chiaro. É necessario dar corso subito alla parte già approvata del disegno di legge, perché se non fossa promulgato entro settembre – lo ha dichiarato il Ministro – le nuove elezioni dovrebbero essere notevolmente ritardate. Di fronte a tale affermazione del Governo, l’Assemblea non può assumersi la responsabilità di provocare il ritardo. Se attendessimo per varare la prima parte dell’attuale disegno di legge che fosse prima discusso ed approvato il capoverso ultimo della prima delle Disposizioni transitorie della Costituzione; e poi che fosse discusso ed approvato ciò che resta dell’articolo 47 e seguenti; e poi che tutta la legge fosse promulgata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale; si potrebbe andar oltre la fine del mese, e provocare il ritardo denunciato dal Governo. L’Assemblea non può assumersi tale responsabilità. Deve quindi dar corso subito alla parte approvata di questo disegno di legge.

L’Assemblea ha però, nel tempo stesso, il diritto che sia rispettata la volontà da essa manifestata di riprendere immediatamente, appena possibile, l’esame degli articoli da 47 a 50. E ciò è perfettamente possibile, dal punto di vista giuridico e delle tradizioni parlamentari. Bisogna considerare come bipartito – l’Assemblea può sempre farlo – il disegno di legge che le è stato presentato. Approvata definitivamente una parte, non c’è, ripeto, nessun bisogno di attendere o di promuovere un altro disegno di legge, un’altra relazione di Commissione e così via. Il disegno di legge c’è; il Governo presentandoli ed il Capo del Governo, approvandone la presentazione, hanno sottoposto all’Assemblea temi ed articoli su cui essa deve decidere. L’Assemblea è, già, senz’altro, investita dell’esame degli articoli di cui essa medesima ha sospeso la discussione. Non ha altro da fare che riprendere, quando vuole, la discussione. Ha già deliberato, e resta fermo, che, appena definita, la questione della disposizione costituzionale (che potrebbe essere affrontata sabato mattina), riprenderà subito (se è possibile, sabato stesso) l’esame degli articoli da 47 a 50. Non mi pare che vi può essere difficoltà né giuridica né politica al riguardo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Io dissento dall’opinione autorevole or ora espressa dall’onorevole Ruini. Non riesco a intendere come si possa considerare, soprattutto dal punto di vista giuridico, «bipartita» questa parte delle disposizioni.

RUINI. È stato fatto tante volte.

CRISPO. Approveremmo il testo che contiene determinate disposizioni, lasciandone fuori altre. Sicché le altre non possono ritenersi evidentemente comprese nel testo, né mi sembra che dal punto di vista della procedura relativa alla formazione delle leggi possa adottarsi l’espediente che è stato proposto. Mi sembra invece che occorrerebbe di nuovo, ex integro, proporre, nei modi costituzionali, quelle disposizioni che oggi sarebbero praticamente estromesse dal testo sottoposto alla nostra approvazione. Quindi io aderisco all’opinione di coloro che chiedono un brevissimo rinvio, sia pure di ventiquattro ore, perché il testo possa essere discusso e approvato nella sua integrità.

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole Ruini si può così sintetizzare: l’Assemblea ritiene la legge in discussione come bipartita; una parte di questa legge riguarda esclusivamente la privazione temporanea del diritto elettorale di alcuni cittadini; si passa nella seduta pomeridiana alla votazione a scrutinio segreto della legge che abbiamo discusso, eccettuati gli articoli 47, 48, 49 e 50. Sabato mattina (l’Assemblea m’insegna che non si può stabilire ora l’ordine del giorno di sabato; ma un’intesa si può sempre prendere) si dovrebbe portare in discussione il terzo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione. Esaurita questa discussione, si dovrebbe riprendere quella sugli articoli da 47 a 50, intendendosi che a conclusione di essa resterebbe approvata la seconda parte della legge sull’elettorato attivo, relativamente agli articoli sulla eventuale sospensione dell’esercizio del diritto elettorale per alcune categorie di elettori.

Mi sembra che la proposta dell’onorevole Ruini sia questa.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi pare che ci siamo un po’ fuorviati. Ho seguito questa discussione con molta attenzione. Riprendiamo da quello che ha detto il Ministro.

Che cosa ha detto il Ministro? Che ha dei termini; che deve organizzare dei servizi e cominciare a far funzionare degli uffici; che deve nominare delle Commissioni; che questo termine è il primo ottobre; che ha bisogno che la legge sia promulgata prima del primo ottobre, perché non si tratta dell’approvazione della legge ma della conseguente promulgazione della legge – della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale – che autorizzi il Governo a cominciare a darle esecuzione.

Tutto il problema è qui; noi ci troviamo di fronte ad una richiesta di rinvio di alcuni argomenti e di alcune norme già approvate. Se l’Assemblea con lo scrutinio segreto approva la legge senza alcuni articoli, la procedura si chiude, la legge viene firmata dal Capo dello Stato e promulgata; il Governo può cominciare a darle esecuzione.

Nessuno ci impedisce, immediatamente dopo, con altra legge, anche d’iniziativa parlamentare, di approvare articoli aggiuntivi ed integrativi della legge precedente. Ma, intendiamoci bene, sono articoli integrativi di quella legge, e li voteremo dopo.

Quello che oggi preme al Ministro ed a noi è che la legge, in quella parte già approvata e che contiene le norme per preparare le elezioni, venga promulgata e messa in esecuzione tempestivamente, perché le elezioni non debbano subire rinvii.

Quindi, mi pare che la soluzione da accogliersi sia quella indicata dall’onorevole Ministro e, più chiaramente ancora, dal Relatore onorevole Uberti. Non avverrà lo sdoppiamento, cui accennava l’onorevole Cifaldi. Con l’integrazione, mediante altra legge, otterremo un complesso organico.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Ruini.

(Dopo prova è controprova, è approvata).

Se l’Assemblea consente, la votazione a scrutinio segreto di questo disegno di legge, relativamente alla parte già discussa e approvata, sarà fatta nella seduta pomeridiana.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 12.20.

MARTEDÌ 23 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXIX.

SEDUTA DI MARTEDÌ 23 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Rubilli

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Macrelli

Condorelli

Piccioni

Giolitti

Laconi

Lussu

Targetti

Fuschini

Nitti

Colitto

Bozzi

Conti

Morelli Renato

Cevolotto

Togliatti

Fabbri

Uberti

Carboni Angelo

Nasi

Caporali

Corbi

Gullo Fausto

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Uberti

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Codignola, Pignatari e Mastino Pietro.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Poiché, chiusa la discussione generale, sono stati svolti gli ordini del giorno e l’onorevole Relatore ha esposto le sue considerazioni al riguardo, dobbiamo ora occuparci della loro votazione. Erano stati presentati dagli onorevoli Rubilli, Macrelli, Condorelli, Piccioni e Moro, Fuschini, Giolitti, Gullo Fausto e Corbi. Non mi resta ora che domandare a ciascuno dei presentatori se mantenga il proprio.

Onorevole Rubilli, lo mantiene?

RUBILLI. Sì, mantengo l’ordine del giorno per la prima parte; per la seconda parte lo trasformo in un emendamento (per ciò che si riferisce al collegio uninominale), chiedendo che venga unito agli analoghi emendamenti che sono stati presentati rispettivamente dall’onorevole Nitti, dall’onorevole Laconi, ed altri.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Rubilli. Questo significa che lei mantiene il suo ordine del giorno per ciò che si riferisce alla proposta che un quarto dei membri del Senato venga costituito con nomina del Presidente della Repubblica?

RUBILLI. Si, onorevole Presidente, questo lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti, in realtà, non ha presentato un ordine del giorno, ma un emendamento agli articoli 55 e 56. Allora, onorevole Rubilli, lei non lega la seconda parte del suo ordine del giorno ad un ordine del giorno Nitti; ma bensì aderirà agli emendamenti Nitti quando, esaminando gli articoli 55 e 56, l’onorevole Nitti svilupperà i suoi emendamenti.

RUBILLI. Solo dichiaro che per questa parte trasformo il mio ordine del giorno in un emendamento, che mi riservo di precisare. Ma insomma, a parte la forma, mantengo completamente i concetti esposti nel mio ordine del giorno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Rubilli di considerare se, anche per la parte che egli intende mantenere, non sia più opportuno rinunciare alla forma dell’ordine del giorno e farne un emendamento. Questo problema, trattato così, in forma di «considerato», non consente all’Assemblea di pronunciarsi con quella precisione che sarebbe opportuna e che è invece possibile su di un emendamento. La questione del numero dei senatori, la cui nomina sia o no da riservare al Capo dello Stato, potrà essere trattata quando si parlerà della composizione del Senato. Non c’è, secondo me, onorevole Rubilli, una ragione per adottare un criterio differente per la prima e la seconda parte del suo ordine del giorno. La pregherei dunque di ritirare per ora l’ordine del giorno, e presentare un emendamento anche per questa parte. Vi sono a riguardo parecchi altri emendamenti, e lei ne potrebbe presentare un altro nella forma che meglio le sembrerà opportuna.

RUBILLI. Aderisco pienamente alla proposta dell’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione, perché la trovo opportuna. Quindi anche per la prima parte del mio ordine del giorno, mi riserbo di presentare un emendamento, che sarà discusso al momento opportuno e sempre sull’articolo 55.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La ringrazio.

PRESIDENTE. Onorevole Macrelli, Ella mantiene il suo ordine del giorno?

MACRELLI. Il mio ordine del giorno contiene diverse proposte, che sono già nel progetto di Costituzione presentato dalla Commissione. Per esempio, nella prima parte, quando si parla della seconda Camera eletta su basi regionali, non si fa che ripetere quanto è detto nel primo comma dell’articolo 55. Per quello che riguarda il n. 1 del mio ordine del giorno, si ripete quanto è contenuto nel secondo comma dello stesso articolo; e altrettanto per il n. 2, che si riferisce al terzo comma dell’articolo 55.

La materia nuova, dirò così, del mio ordine del giorno fa parte invece dei n. 3, 4 e 5. Per quello che riguarda il n. 3, ossia l’attribuzione al Presidente della Repubblica della nomina di un ristretto numero di senatori, se ne potrebbe parlare al momento in cui discuteremo la composizione del Senato. Per il n. 4, ricordo che c’è già un emendamento presentato dall’onorevole De Vita, che è identico alla mia proposta. Il n. 5 si riferisce alla soppressione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È già stata proposta da altri.

MACRELLI. …delle categorie contenute nell’ultima parte dell’articolo 56. Quindi si ripeterà tutta quanta la discussione quando dovremo esaminare l’articolo 56.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, per intanto, non porrò in votazione il suo ordine del giorno.

Lei, onorevole Condorelli, mantiene il suo ordine del giorno?

CONDORELLI. Il mio ordine del giorno non contiene che dei principî generali i quali daranno luogo a degli emendamenti che mi riservo di presentare, e pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, ella mantiene il suo ordine del giorno?

PICCIONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini non è presente e il suo ordine del giorno si intende decaduto.

Onorevole Giolitti, ella mantiene il suo ordine del giorno?

GIOLITTI. Lo ritiro, in quanto è già tradotto nell’emendamento all’articolo 55 presentato dagli onorevoli Laconi e Grieco.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto non è presente e si intende decaduto l’ordine del giorno da lui presentato.

Anche l’onorevole Corbi non è presente e il suo ordine del giorno si intende decaduto.

Resta, quindi, da porre in votazione l’ordine del giorno degli onorevoli Piccioni, e Moro, che è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che l’esistenza di una seconda Camera accanto a quella eletta a suffragio universale indifferenziato risponde alla necessità di integrare la rappresentanza politica, in modo che essa rispecchi la realtà sociale nelle sue varie articolazioni e tutti gli interessi politicamente rilevanti ed assicuri inoltre al lavoro legislativo, divenuto sempre più tecnicamente qualificato, il concorso di speciali competenze,

ritiene

che queste finalità si raggiungono, chiamando a partecipare alla seconda Camera i gruppi, nei quali spontaneamente si ordinano le attività sociali;

che tale rappresentanza deve essere realizzata – secondo un criterio di ripartizione a base territoriale regionale – con metodo democratico, mediante elezioni a doppio grado alle quali concorrano tutti gli appartenenti alle categorie sociali e in modo da promuovere la coordinazione degli interessi dei gruppi con l’interesse generale;

che la ripartizione dei seggi deve obbedire di massima al criterio della proporzione con l’entità numerica delle categorie ed insieme a quello della maggiore responsabilità del lavoro qualificato».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei avanzare una riserva pregiudiziale alla votazione di questo ordine del giorno. Vorrei far notare ai presentatori e all’Assemblea le difficoltà in cui noi verremmo a trovarci, qualora quest’ordine del giorno venisse votato e approvato.

Questo ordine del giorno prevede la costituzione di una seconda Camera su basi completamente diverse, non dico dal progetto di seconda Camera che è previsto nel Progetto dei Settantacinque, bensì anche su basi completamente diverse da quelle che noi abbiamo previsto per l’ordinamento generale dello Stato italiano.

L’onorevole Piccioni – credo molto giustamente – nel discorso in cui ha illustrato questo ordine del giorno ha rilevato che l’attuazione di una Camera di questo tipo verrebbe a presupporre tutto un ordinamento, all’interno dello Stato, di determinate categorie ed un censimento dei cittadini al fine di poterne determinare l’appartenenza alle categorie stesse.

Io direi che una simile formazione della seconda Camera presuppone qualche cosa di più, presuppone tutta una Costituzione diversa da quella che noi abbiamo delineato nei Titoli già approvati.

D’altra parte, l’ordine del giorno è estremamente vago. Comprenderei che l’onorevole Piccioni e l’onorevole Moro sottoponessero all’attenzione dell’Assemblea un progetto concreto, particolareggiato, che ci consentisse di valutare la portata reale della proposta e di votare con cognizione di causa; ma quando si propone semplicemente all’Assemblea di stabilire che la seconda Camera verrà costituita in base al criterio delle categorie e secondo la proporzione delle categorie, ma insieme tenendo conto della maggiore responsabilità del lavoro qualificato, io penso che si dica troppo poco, perché l’Assemblea sia in grado di prendere posizione. Nell’ambito di queste proposte si può dare una serie di soluzioni concrete tra le quali qualcuna accettabile, altre discutibili, altre ancora da respingere. L’Assemblea non può votare se non conosce a cosa darebbe luogo la votazione di questo ordine del giorno.

Chiedo, quindi, alla lealtà dei presentatori di questo ordine del giorno o che lo ritirino e si contentino di presentare un emendamento che concreti e precisi la proposta, o che dettaglino maggiormente la proposta, in modo che la Camera possa votare sapendo quel che vota; allo stato attuale, se questo ordine del giorno dovesse essere approvato, noi ci troveremmo dinanzi a un’affermazione vuota di contenuto, che impegnerebbe la Camera in un lavoro estenuante per riuscire a concretare e a realizzare queste formule in qualche cosa di coerente ed in qualche modo efficiente.

Questo semplicemente volevo dire. Comprendo perfettamente che, se gli onorevoli Piccioni e Moro mantengono il loro ordine del giorno, esso deve essere necessariamente votato. È nel loro diritto; però penso che sia dovere mio e di tutti coloro che condividono le mie preoccupazioni, pregare gli onorevoli Piccioni e Moro di ritirare essi stessi l’ordine del giorno, tenendo conto delle difficoltà che presenta questa votazione, e di presentare invece delle proposte dettagliate e concrete che consentano alla Camera di valutare il loro intendimento.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Avevo già esplicitamente indicato, nel mio breve discorso illustrativo dell’ordine del giorno, che noi intendevamo proporre all’Assemblea Costituente un’affermazione di principio in ordine alla Costituzione della seconda Camera, principio che si sarebbe dovuto identificare, a nostro avviso, nella cosiddetta rappresentanza degli interessi, specificando – perché non rimanesse il principio in una formulazione assolutamente astratta – che intendevamo gli interessi come rappresentati dalle categorie entro le quali si articola in modo particolare la struttura sociale in uno Stato moderno, specificando altresì che intendevamo concretare tale rappresentanza nell’ambito regionale, perché le varie categorie non venissero intese nel loro aspetto nazionale, ma venissero anch’esse rese aderenti alle caratteristiche peculiari delle singole Regioni. Aggiungevamo che doveva essere salvaguardato in pieno il carattere democratico, cioè elettivo, della rappresentanza delle categorie in ciascuna Regione, attraverso una forma di elezione di secondo grado. Aggiungevamo, infine, come altro criterio caratterizzatore di questo sistema di costituzione della seconda Camera, che bisognava tener presente un criterio di proporzionalità con l’entità numerica delle singole categorie ed insieme con le responsabilità diverse del lavoro qualificato. Però immediatamente, io dissi che, nella condizione in cui si trova oggi la struttura sociale italiana, non era possibile pensare ad una attuazione immediata di un piano di costituzione della seconda Camera così com’era previsto nel mio ordine del giorno, in quanto che bisognava, prima di tutto, sperimentare il modo di realizzazione anche di taluni principî di carattere sociale già fissati nella Carta costituzionale, e bisognava precisare meglio, in un periodo di tempo sufficiente, quella che è la varia articolazione delle principali categorie produttive, rappresentanti degli interessi politicamente rilevanti del Paese. Per fare questo, io dissi, è necessario prevedere una disposizione transitoria che si riferisca alla Costituzione della seconda Camera, immediatamente in applicazione della nuova Carta costituzionale, rinviando a dopo – cioè ad una seconda fase, quando saranno rinnovate le prossime Camere legislative – l’applicazione del principio da noi formulato nell’ordine del giorno. Quindi non c’è contradizione tra la formulazione di principio e la sua possibile realizzazione pratica. Ritengo che nello spazio di quattro o cinque anni – durata della prossima legislatura – evidentemente l’assetto, l’ordinamento economico-sociale del Paese verrà a configurarsi in maniera più chiara e concreta, in modo tale che le future Camere possano avere la possibilità di dettare le norme di applicazione e di esecuzione del principio della rappresentanza degli interessi nella seconda Camera.

Per queste considerazioni mantengo l’ordine del giorno, e mi pare che nulla si opponga a che nella Carta costituzionale, pur rinviandone l’applicazione a un secondo momento, venga fissato il principio da noi propugnato. (Applausi al centro).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io sento – e credo che con me lo sentiranno altri colleghi – un imbarazzo di ordine diverso da quello esposto dal collega onorevole Laconi, ed è questo: che, se si votasse adesso quest’ordine del giorno, verrebbe ad essere immediatamente affrontata la questione della seconda Camera.

Se, infatti, questo ordine del giorno passasse, noi saremmo obbligati alla seconda Camera ed anche nel modo in cui è detto in questo ordine del giorno, mentre in questa Aula non sono parecchi, ma molti, quei colleghi che o sono contrari in linea di principio alla seconda Camera oppure sono favorevoli alla seconda Camera, ma non nel modo che in questo ordine del giorno è previsto.

E allora può accadere questo inconveniente, che parecchi colleghi che vogliono la seconda Camera, ma hanno il dubbio che in altra sede non possa prevalere, possano votare quest’ordine del giorno che sarebbe contro il loro principio politico, diversamente concepito, sulla seconda Camera. Inoltre esso impedirebbe anche una presa di posizione dei colleghi presenti rispetto alla seconda Camera. Per questo ordine di considerazioni credo che, nell’interesse del chiarimento del problema e della votazione, sarebbe opportuno – e credo che la cosa sarà possibile – che il collega onorevole Piccioni rinunciasse alla votazione in questa sede del suo ordine del giorno e lo presentasse in veste di emendamento quando voteremo l’articolo 52 sulla prima e sulla seconda Camera. In altre parole, quell’articolo 52, quando noi saremo chiamati a votarlo, lo voteremo certamente per divisione.

La prima parte è la Camera dei deputati; la seconda parte è o il «Senato» o la «Camera dei senatori» o la «seconda Camera».

Se sarà accettata la seconda Camera, alla seconda votazione, fatta per divisione, potrà essere presentato l’emendamento Piccioni, che comprende quest’ordine del giorno; se, invece la seconda Camera non sarà approvata, evidentemente non si potrà fare luogo al suo inserimento. Oppure potranno essere presentati in quel momento, nella eventualità che l’ordine del giorno presentato come emendamento Piccioni venga respinto, altri emendamenti, che contemplino una diversa organizzazione della seconda Camera.

LACONI. Chiedo di parlare per domandare un chiarimento all’onorevole Piccioni.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi pare che l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Piccioni non esprima chiaramente il pensiero che egli ha formulato in questo momento.

PICCIONI. Perfettamente, per la disposizione transitoria, siamo d’accordo.

LACONI. Cioè, dovrebbe figurare in un determinato punto della Costituzione l’affermazione che le Camere future dovranno esaminare la costituzione della seconda Camera secondo questi criteri. Però figurerebbe nella Costituzione anche una disposizione transitoria per la costituzione del primo Senato, che verrà eletto.

PICCIONI. In Francia è avvenuto così.

LACONI. Soltanto questo chiarimento desideravo.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, la cosa mi sembra molto semplice. Il progetto di Costituzione porta già un articolo transitorio, il quale, prevedendo che al momento della prima elezione del Senato non potranno essere già costituiti gli strumenti amministrativi e tecnici necessari allo scopo secondo le proposte del progetto, detta una norma di carattere provvisorio, per una volta tanto. È evidente che alla seconda elezione dovrà poi entrare in funzione il metodo stabilito nel testo costituzionale. L’onorevole Piccioni ripropone la stessa sistematica, applicandola ad una diversa concezione della seconda Camera. Naturalmente l’onorevole Piccioni, dovrà proporre un nuovo testo di norma transitoria che si adegui al modo diverso col quale egli concepisce la formazione del permanente Senato.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. A me sembra che dalla esposizione dell’onorevole Piccioni, messa in relazione anche alla illustrazione che nelle passate sedute egli fece del suo ordine del giorno, con quella chiarezza che è una sua dote particolare, la questione appaia ben chiara. La richiesta dell’onorevole Laconi credo che possa ritenersi sodisfatta dall’indicazione del modo col quale l’onorevole Piccioni ha detto che avrebbe inteso procedere.

È però chiaro – su questo vorrei richiamare, se fosse necessario, l’attenzione dell’Assemblea – che, quando l’Assemblea avesse approvato l’ordine del giorno Piccioni, eppoi venisse a determinare la Costituzione a indicare le caratteristiche del Senato della Repubblica italiana, queste caratteristiche, questa formazione, questa costituzione dovrebbero corrispondere esattamente ai concetti espressi dall’onorevole Piccioni.

Poiché l’onorevole Piccioni riconosce la impossibilità di una immediata applicazione di questa norma, egli per il primo ritiene che una norma transitoria dovrà provvedere alla prima formazione del Senato. Ma, se anche questa norma transitoria, con la quale si provvederà alla formazione del primo Senato della Repubblica italiana, fosse di nostro pieno gradimento, non per questo cesserebbe la nostra assoluta contrarietà nei riguardi dell’ordine del giorno Piccioni, che ci vincolerebbe in modo assoluto per l’avvenire. Ci vincolerebbe in modo che soltanto con una revisione della Costituzione, attraverso tutte le norme cui saranno sottoposte tali revisioni, ci si potrebbe – me lo permetta l’onorevole Piccioni – liberare da questa forma di Senato che non corrisponde in nessun modo alle nostre convinzioni in materia.

Come i colleghi ricordano per aver partecipato ai lavori della Commissione o per aver letto gli atti della Commissione stessa, la proposta dell’onorevole Piccioni si richiama alla tesi che egli aveva sostenuto nei lavori preparatori della Costituzione. Se ben ricordo – e qui faccio una citazione un po’ memoria – la sua tesi si ricollegava (l’eccellentissimo nostro Presidente, che con tanta insuperabile valentia ha presieduto i lavori della seconda Sottocommissione, lo ricorderà meglio di me) e si richiamava ad una proposta specifica fatta dall’onorevole Mortati, la quale non ebbe fortuna. I concetti informatori della proposta dell’onorevole Mortati e dell’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni combaciano quasi interamente.

E come noi fummo recisamente contrari, durante l’elaborazione del progetto, a questa forma di Senato, la nostra opposizione resta piena oggi, per le stesse ragioni. L’opinione nostra sulla formazione della seconda Camera – mi sembra inutile far perdere tempo all’Assemblea trattenendola a lungo su questo punto – può essere così sintetizzata: che la seconda Camera giacché ci deve essere, rappresenti non meno della prima un’espressione piena, diretta, pura e genuina della volontà popolare. Questa è la nostra precisa esigenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Così si entra nel merito della discussione!

TARGETTI. Ora, il Senato che l’onorevole Piccioni vorrebbe che venisse istituito nella Repubblica italiana, sarebbe un Senato eletto anzitutto a base regionale e qui comincia il male, perché non vediamo le ragioni per cui questa elezione del Senato debba essere fatta a base regionale. Ma quel che è peggio si tratta di una elezione a doppio grado…

PRESIDENTE. La prego, onorevole Targetti, di non entrare nel merito della discussione.

TARGETTI. Ma sono queste le ragioni del nostro voto contrario. Dovuto più che altro al fatto che, secondo l’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, il Senato sarebbe la rappresentanza non equamente distribuita di gruppi, di categorie d’interessi che, secondo noi, sono già rappresentati e fatti valere nell’elezione a suffragio diretto dei deputati e dei senatori. Vorrei chiedere all’onorevole Piccioni e ad altri colleghi che l’hanno applaudito cosa rappresentano i deputati o i senatori eletti dal suffragio diretto della massa popolare, se non determinati interessi, perché è evidente che interessi e principî sono alla base di tutti i partiti. Per questo siamo decisamente contrari a questa forma di Senato.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Se, com’è desiderio di tutti quanti poi, dobbiamo prendere delle decisioni veramente consapevoli, mi pare che sia proprio prematuro decidere sull’ordine del giorno Piccioni in questo momento. (Interruzione al centro). Potete anche essere contrari, onorevoli colleghi, ma è pure indispensabile che io spieghi il mio concetto. Io ho di già dimostrato la mia recisa ostilità al sistema di classi e categorie; ma in ogni modo, a prescindere da quella che è stata la mia opinione personale e quella del Gruppo a cui appartengo, io credo che potremo per lo meno essere d’accordo in questo, che per il momento non è possibile impegnarsi in soluzioni così gravi, con tanta fretta. Non sappiamo ancora con certezza se sorgerà la seconda Camera, cioè il Senato. Non sappiamo ancora come sarà formata nel caso che sorga, e come dovrà funzionare. Vogliamo proprio, in questo momento in cui a stento stiamo elucubrando come dev’essere formato per la prima volta il Senato, pensare come dovrà essere formato in avvenire fra cinque anni? Mi pare che non abbiamo elementi per poter deliberare con coscienza ora, su questioni di un’importanza assai notevole, e forse non sarà inopportuno vedere prima come funzioni il nuovo Senato, raccogliendone il parere che darà senza dubbio un altro elemento autorevole per stabilire quale potrà essere per l’avvenire, ed in via definitiva, la migliore costituzione della seconda Camera.

Quindi, pur non volendo per ora una soluzione nel merito, su cui amo però di ripetere la mia ostilità, dico che per lo meno la proposta inoltrata dal Partito democristiano non può non essere rinviata a momento più opportuno. Per ora pensiamo alla prima costituzione del Senato, e, comunque sia, da ora non dimentichiamo che occorre sempre costituire un’Assemblea politica con persone che non si facciano guidare da interessi di classi o di categorie, ma che si informino soltanto a criteri di carattere generale e nazionale nella formazione delle leggi.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi, consentitemi una dichiarazione che si riferisce al mio ordine del giorno, che è stato dichiarato decaduto in mia assenza per un impedimento che mi ha fatto giungere in ritardo alla seduta.

Io avrei dichiarato, se fossi stato presente, di essere disposto a ritirare il mio ordine del giorno associandomi per la prima parte a quello dell’onorevole Piccioni, perché l’unica differenza che v’è fra il mio ed il suo, relativamente a questa parte, è che il mio ordine del giorno prevede una rappresentanza, oltreché degli interessi di categoria, anche degli interessi territoriali.

Però amo dichiarare che la seconda parte del mio ordine del giorno, che si riferisce alla costituzione dell’Assemblea Nazionale in un organo separato e distinto dalle due Camere, ed alla prevalenza della prima Camera sulla seconda, io l’avrei ritirata, ma avrei anche dichiarato, come dichiaro in questo momento, di riservarmi di presentare su questi due argomenti degli emendamenti a tempo opportuno.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io non intendo minimamente polemizzare con i vari colleghi che fanno delle dichiarazioni di voto, naturalmente contrarie, perché tutte le opinioni sono rispettabili e gli atteggiamenti sono conseguenti alle singole opinioni. Mi limito soltanto a rispondere a due esortazioni a ritirare l’ordine del giorno: a quella dell’onorevole Laconi, ho risposto precedentemente; la seconda, quella dell’onorevole Lussu, si vorrebbe basare sul fatto che la votazione del mio ordine del giorno implicherebbe, se positiva, una votazione definitiva sull’ammissione o meno della seconda Camera. Ora, a me pare che al punto in cui è arrivata la discussione, e visto il progetto presentato dalla Commissione stessa, nel quale progetto nel primo articolo (art. 52) è prevista appunto la formazione della seconda Camera, senza che da parte di nessuno dei settori dell’Assemblea si sia levata una voce concreta, seguita da una formulazione di emendamento, contro la seconda Camera, mi pare che questo basti per ritenere che ormai è pacifico e acquisito da parte dell’Assemblea che si debba arrivare alla creazione della seconda Camera. D’altra parte, faccio osservare all’onorevole Lussu che sarebbe una questione di ritardo di pochi minuti soltanto, perché evidentemente, non essendovi altri ordini del giorno a seguito della discussione generale, e dovendosi quindi passare immediatamente all’esame dell’articolo 52, ed avendo egli riconosciuto che proprio in quella sede io dovrei chiedere la votazione dell’ordine del giorno, è chiaro che la sua richiesta si ridurrebbe ad una perdita di tempo, perché all’approvazione dell’articolo 52 saremo chiamati immediatamente.

Quindi, per queste considerazioni, io insisto sul mio ordine del giorno.

Dirò infine all’onorevole Rubilli che quando si parla di precipitazioni, di soluzioni nuove, di impostazione di tesi non sufficientemente maturate, e questo si teme sia ricorso con eccessiva frequenza nelle discussioni duella Costituente, mi pare che si voglia suggestionare un po’ la libertà di iniziativa, di atteggiamento, di proposizione di tesi diverse, anche innovatrici su quelli che sono i vecchi schemi costituzionali. Questo è il nostro compito ed anche il nostro dovere. Le tesi possono essere innovatrici o meno, maturate o no: il giudizio sulla loro maturazione e sulla loro aderenza alle necessità costituzionali e politiche del Paese lo dà l’Assemblea col suo voto.

Quindi mi pare che non ci sia ragione per indurci, anche sotto questo profilo, a ritirare l’emendamento.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Piccioni ha dichiarato di conservare il suo ordine del giorno, passiamo alla sua votazione.

È stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Codacci Pisanelli, Bosco Lucarelli, Valenti, Restagno, Cremaschi Carlo, Mattarella, Pat, Siles, Restivo, Tessitori, Zerbi, Giacchèro, Vicentini, Di Fausto.

Pongo dunque in votazione, per appello nominale, l’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il nostro Gruppo voterà contro l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Piccioni e voterà contro per i seguenti motivi. L’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni contiene sostanzialmente due cose: la prima è una affermazione di principio, di un principio che deve ispirare l’Assemblea legislativa di domani; contiene poi una norma secondo la quale l’Assemblea legislativa di domani dovrà muoversi all’interno di questi principî scegliendo essa la più appropriata soluzione.

Se esaminiamo queste proposte, notiamo in sostanza, che il principio che viene affermato, e che deve orientare l’Assemblea legislativa di domani nella definizione della seconda Camera, è sostanzialmente questo: che i gruppi sociali devono essere investiti del potere politico in quanto tali, cioè non in quanto aggregati di cittadini, bensì in quanto gruppi sociali. Sta poi all’Assemblea legislativa di domani realizzare questo principio, tenendo conto di due criteri che sono stati stabiliti dall’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, cioè da un lato il criterio della proporzionalità e dall’altro il criterio della maggiore responsabilità del lavoro qualificato.

Vorrei far notare alla Camera che questi due criteri entro i quali si deve muovere l’Assemblea legislativa di domani sono due criteri differenti, e che portano a conseguenze praticamente opposte. Entro questi due criteri l’Assemblea legislativa di domani può concretare una serie infinita di progetti di seconda Camera che si muovono su direttrici assolutamente opposte. L’Assemblea legislativa di domani potrebbe realizzare una seconda Camera muovendosi tanto sulla linea del corporativismo fascista, quanto sulla linea della dittatura del proletariato, a seconda che scegliesse, come suo criterio prevalente, o quello della maggiore responsabilità del lavoro qualificato, che darebbe luogo ad una rappresentanza paritetica di categorie di tipo fascista, o quello della proporzionalità numerica, che darebbe luogo ad una seconda Camera in cui prevarrebbero, in modo schiacciante, le classi lavoratrici.

Ora, concedendo una latitudine simile all’attività legislativa dell’Assemblea di domani, siamo noi sicuri di servire minimamente gli interessi del nostro Paese e della democrazia? Io credo che non sia questo l’ufficio di noi costituenti. Se siamo stati eletti per dare una Costituzione al nostro Paese, ciò significa che dobbiamo delineare gli istituti fondamentali dello Stato, secondo un indirizzo generale unitario che è per noi quello del regime democratico di tipo parlamentare.

Ora, l’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni si allontana da questo principio e consente soluzioni che escono al di fuori dei criteri che ci hanno finora ispirato nel nostro lavoro costituzionale.

Per questo, pur sapendo che tanto la nostra parte politica quanto altre parti politiche, avendo la maggioranza nella Camera, potrebbero domani giovarsi sensibilmente di questa norma, pur sapendo questo, noi votiamo contro, in quanto riteniamo che sia compito nostro creare istituti che si muovano sul terreno della democrazia parlamentare, e predisporre norme che orientino in questo senso l’Assemblea legislativa di domani.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione, per appello nominale, dell’ordine del giorno a firma degli onorevoli Piccioni e Moro:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che l’esistenza di una seconda Camera accanto a quella eletta a suffragio universale indifferenziato risponde alla necessità di integrare la rappresentanza politica, in modo che essa rispecchi la realtà sociale nelle sue varie articolazioni e tutti gli interessi politicamente rilevanti ed assicuri inoltre al lavoro legislativo, divenuto sempre più tecnicamente qualificato, il concorso di speciali competenze,

ritiene

che queste finalità si raggiungono, chiamando a partecipare alla seconda Camera i gruppi, nei quali spontaneamente si ordinano le attività sociali;

che tale rappresentanza deve essere realizzata – secondo un criterio di ripartizione a base territoriale regionale – con metodo democratico, mediante elezioni a doppio grado alle quali concorrano tutti gli appartenenti alle categorie sociali e in modo da promuovere la coordinazione degli interessi dei gruppi con l’interesse generale;

che la ripartizione dei seggi deve obbedire di massima al criterio della proporzione con l’entità numerica delle categorie ed insieme a quello della maggiore responsabilità del lavoro qualificato».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Patricolo.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bruni – Brusasca – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corsanego – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Federici Maria – Ferrarese – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Galati – Garlato – Germano – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Marconi – Martinelli – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Mortati – Motolese – Murdaca – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Perlingieri – Piccioni – Pignedoli – Ponti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Recca – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Roselli.

Saggin – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Segni – Siles – Spataro – Stella – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Viale – Vicentini – Vilardi.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Ayroldi – Azzi.

Baldassari – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bergamini – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Bordon – Bozzi – Bucci.

Cacciatore – Calamandrei – Calosso – Camangi – Canevari – Cannizzo – Capua – Carboni Angelo – Caroleo – Carpano Maglioli – Cartìa – Castiglia – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiarini – Chiostergi – Cianca – Cifaldi – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbi – Corsi – Corsini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Filpo – Della Seta – De Michelis Paolo – De Vita – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Gorreri – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Mazzoni – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Molè – Molinelli – Momigliano – Morandi – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Novella.

Paratore – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piemonte – Pieri Gino – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Preti – Priolo – Pucci.

Quintieri Quinto.

Ravagnan – Reale Vito – Ricci Giuseppe – Rodinò Mario – Rognoni – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo  – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sansone – Santi  – Sapienza – Saragat – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci  – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega  – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Treves – Trulli.

Valiani – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villabruna – Villani.

Zanardi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Benedettini.

Ruini.

Sono in congedo:

Arata.

Campilli – Canepa – Carmagnola – Codignola.

Geuna – Gullo Rocco.

Jacini.

La Gravinese Nicola – La Malfa.

Marazza – Mastino Pietro – Montemartini.

Paolucci – Parri – Pellizzari – Pignatari.

Tremelloni.

Vischioni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                  383

Votanti                   381

Maggioranza           191

Hanno risposto      166

Hanno risposto no   213

Astenuti                   2

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame del Titolo I – Il Parlamento, Sezione I – Le Camere.

Articolo 52:

«Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e della Camera dei senatori.

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione».

A proposito di questo articolo vi è una proposta degli onorevoli Mortati, Tosato, Andreotti ed altri, del seguente tenore:

«Si propone la soppressione di ogni deliberazione sull’ultimo comma dell’articolo 52, fino a quando non saranno deliberate le disposizioni relative alla formazione del Senato e al Capo dello Stato».

Il secondo comma dell’articolo 52 è quello che prevede la riunione delle due Camere in Assemblea Nazionale. Su di esso sono stati presentati emendamenti. Se fosse accolta la proposta Mortati limiteremmo però, per ora, l’esame dell’articolo 52 al primo comma.

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Stamane il Comitato di redazione, avendo esaminato la proposta che è stata testé letta, ha deliberato a maggioranza di accoglierla e di rinviare la decisione sull’Assemblea Nazionale a dopo che si saranno, caso per caso, esaminate le attribuzioni da darsi a quest’Assemblea, in modo che sia possibile un giudizio d’insieme, per decidere su questo istituto.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Vorrei che si parlasse di Senato, non di Camera dei senatori.

PRESIDENTE. Attenda, per questo, onorevole Nitti, a quando discuteremo gli emendamenti, presentati sull’argomento. Per ora si tratta dell’Assemblea Nazionale, e precisamente se dobbiamo deciderne in sede di articolo 52 o se si debba invece rinviare la decisione a dopo che si sia esaminato nel suo complesso il sistema di formazione delle due Camere.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Mortati, che il Comitato di redazione ha accettato.

(È approvata).

Pertanto, esamineremo ora solamente il primo comma dell’articolo 52. Su di esso sono stati presentati vari emendamenti. Uno è dell’onorevole Colitto:

«Al primo comma, alle parole: si compone, sostituire le parole: è formato».

L’onorevole Colitto intende svolgere il suo emendamento?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dall’onorevole De Vita:

«Al primo comma sostituire alle parole: della Camera dei senatori, le altre: del Senato della Repubblica».

L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MACRELLI. Non credo di aver bisogno di spiegare le ragioni del mio emendamento, ragioni che del resto ho già esposto quando ebbi occasione di parlare giorni fa in via generale sul Titolo primo, cioè io propongo che alle parole «della Camera dei senatori» si sostituisca le parole «del Senato della Repubblica». Io ho già fatto mie le osservazioni che fece in proposito l’onorevole Nitti, in quanto sembra strano e vorrei dire assurdo che proprio noi parliamo di Camera dei senatori nella nostra situazione attuale. Quindi io insisto perché la modifica avvenga in questo senso.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Macrelli sul secondo comma resta in sospeso fino a che questo comma sarà preso in esame. Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accoglie la proposta dell’onorevole Macrelli.

LUSSU. Chiedo che si voti per divisione, cioè prima la formula: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati»; poi la formula: «e del Senato della Repubblica».

PRESIDENTE. Secondo la richiesta dell’onorevole Lussu il primo comma dell’articolo 52 verrà posto in votazione per divisione, dapprima nella sua prima parte: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati» e successivamente nella seconda «e del Senato della Repubblica».

Pongo in votazione la prima parte: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati».

(È approvata).

Passiamo alla seconda parte.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io voterò contro la seconda parte e dichiaro che se in questo senso eventualmente non votasse la maggioranza dell’Assemblea io presenterei un emendamento per la costituzione di una Consulta, che sostituisse il Senato della Repubblica.

PRESIDENTE. Se il testo non fosse approvato nella forma nella quale lo porrò in votazione, ognuno potrà presentare emendamenti o nuove formulazioni. Ma lei, che ha già un’idea in proposito, potrebbe presentare un emendamento prima che io ponga in votazione la formula accettata dalla Commissione.

LUSSU. Il mio emendamento sarebbe subordinato.

PRESIDENTE. No, è primordiale. D’altra parte, venendo, se mai, il suo emendamento proposto in sede di discussione, dovrà portare dieci firme.

LUSSU. Il collega Gullo ha fatto decadere il suo ordine del giorno, ed io non ho presentato nessun emendamento, in quanto avrei votato questo ordine del giorno.

PRESIDENTE. In verità sono già passate due ore dal momento in cui l’onorevole Gullo ha rinunciato al suo ordine del giorno.

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io sono d’accordo con l’emendamento Macrelli. Mi permetterei suggerire di togliere però la parola «della Repubblica» perché qui facciamo la Costituzione della Repubblica italiana e se mettiamo «Senato della Repubblica» sembra che la Camera dei Deputati non sia della Repubblica.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Insisto sulla mia formulazione. Nel progetto di Costituzione purtroppo non si parla molto spesso di Repubblica. (Commenti). È bene che una volta tanto l’Assemblea dica che il Senato è della Repubblica.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, lei ha sentito la risposta dell’onorevole Macrelli. Suppongo che voglia proporre di votare per divisione questa seconda parte.

BOZZI. Sì, per divisione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione delle parole: «e del Senato».

Tengano presente che successivamente porrò in votazione le parole «della Repubblica», proposte dall’onorevole Macrelli.

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «della Repubblica».

(Sono approvate).

Il primo comma dell’articolo 52 resta allora del seguente tenore:

«Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica». (Applausi a sinistra).

Resta inteso che il secondo comma verrà esaminato in successione di tempo.

Passiamo all’articolo 53 che è del seguente tenore:

«La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila».

Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Il primo, degli onorevoli Giolitti, Grieco, La Rocca, è del seguente tenore:

«Dopo le parole: universale e diretto, inserire: e segreto, secondo il sistema proporzionale».

L’onorevole Giolitti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

GIOLITTI. Il motivo del nostro emendamento è questo: che a nostro avviso il sistema di elezione ha una grande rilevanza per quella che è la fisionomia della rappresentanza popolare. Pensiamo anzi che questo particolare del sistema di elezione, nel caso specifico del sistema proporzionale, abbia un rilievo costituzionale anche maggiore che non altre norme che sono state inserite nel progetto di Costituzione, come la data di convocazione delle Camere e la durata delle Camere stesse; perché, indubbiamente, il sistema di elezione ha una influenza grandissima sulla fisionomia della rappresentanza. Abbiamo proposto il sistema proporzionale come quello che riteniamo più idoneo e adeguato allo sviluppo della democrazia moderna.

Non è il caso che io ricordi quale significato, anche rivoluzionario, abbia avuto l’introduzione del sistema proporzionale, e come sia quello che meglio consenta di esprimere nell’Assemblea legislativa la reale influenza che i partiti hanno nel Paese. E infine voglio ancora ricordare la garanzia che il sistema proporzionale costituisce per i diritti delle minoranze, in particolare per il loro diritto ad essere adeguatamente rappresentate nel Parlamento e ad avere quell’influenza che corrisponde al loro peso e alla loro entità nella vita politica del Paese.

Per questi motivi presentiamo l’emendamento aggiuntivo all’articolo 53.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato un emendamento all’articolo 53, con cui propone di sostituire alla parola «ottantamila» l’altra «centocinquantamila».

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CONTI. Ho avuto occasione, giorni fa, di dimostrare che le Assemblee numerose non possono compiere un lavoro legislativo utile, devono necessariamente compiere un cattivo lavoro, possono essere funeste.

Nell’esame di questo problema si deve tener conto anche del fatto che noi avremo un Senato della Repubblica – mi dispiace per l’onorevole Bozzi – elettivo. Bisogna tener conto dei dati che risultano per queste due elezioni. Se mantenessimo la norma del progetto – un deputato per ogni ottantamila abitanti – evidentemente avremmo una Camera molto più numerosa dell’attuale, la quale è già troppo numerosa; bisogna ridurre il numero. Io ho proposto centocinquantamila in confronto di ottantamila abitanti. Sono disposto a portare la mia proposta a centoventicinquemila, ma non al disotto.

È necessario che l’Assemblea si renda conto della grandissima importanza di questa votazione.

Aggiungo che non chiederò l’appello nominale, perché ho fiducia che ogni deputato sentirà il dovere di votare per un numero che non sia quello proposto nel progetto. Si dovrà tener conto del contegno dei deputati in questa materia. (Commenti). Denunzieremo al Paese coloro i quali voteranno per un numero impossibile.

Confido che l’Assemblea accoglierà l’emendamento da me proposto.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti propone che la cifra di ottantamila sia elevata a centomila abitanti.

L’onorevole Nitti desidera illustrare la sua proposta?

NITTI. No, è sufficiente averne dato notizia.

PRESIDENTE. Il Presidente della Commissione per la Costituzione ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulle proposte di emendamento all’articolo 53.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Circa la proposta dell’onorevole Giolitti, d’inserire nella Costituzione che la Camera dei Deputati deve essere eletta col sistema proporzionale, debbo ricordare che la seconda Sottocommissione votò un ordine del giorno impegnativo in tal senso, ma ritenne, quasi concorde, che per ragioni tecniche non fosse opportuno inserire nella Costituzione il principio della proporzionale, rinviandolo alla legge elettorale.

Il Comitato di redazione non può che confermare questo criterio.

Ad ogni modo, dalla proposta dell’onorevole Giolitti andrebbero tolte le parole «e segreto» perché all’articolo 45, già approvato, è stabilito che la votazione deve essere segreta in tutti i casi.

Veniamo alla questione del rapporto tra il numero dei deputati ed abitanti.

In origine, la seconda Sottocommissione aveva votato il rapporto tra un deputato e 100.000 o frazione superiore a 50.000 abitanti. In Commissione plenaria si abbassò la cifra ad 80.000 e 40.000. Abbiamo ora la proposta dell’onorevole Nitti di ripristinare il numero di 100.000 e 50.000 e la proposta dell’onorevole Conti di salire a 150.000 e 75.000. Il Comitato ha ritenuto, a maggioranza, questa mattina, che sarebbe opportuno tornare alla cifra iniziale di 100 e 50 mila.

Debbo qui, onorevoli colleghi, mettere questo tema in relazione con l’articolo 59 del nostro progetto. Esso dice che il numero dei deputati e dei senatori sarà commisurato ai risultati dell’ultimo censimento.

L’ultimo censimento a tutt’oggi è quello del 1936, nel quale la popolazione ammontava a 42.990.000. Possiamo dire, popolazione complessiva di 42.900.000 abitanti; cioè, in cifra tonda, di quasi 43 milioni, nei quali sono naturalmente compresi anche i fratelli della Venezia Giulia, di poi strappati all’Italia. Un censimento, dunque, di 12 anni fa. L’Istituto centrale di statistica ha aggiornato queste cifre, tenendo conto dei morti e dei nati, Comune per Comune, ed ha determinato a fine del 1942 una cifra di 45.500.000 abitanti, compresa sempre la Venezia Giulia. Per gli anni successivi non si hanno aggiornamenti definitivi perché sono mancati i rilievi esatti, Comune per Comune. Si sono fatti soltanto calcoli provvisori che dànno per la fine del 1946 una cifra complessiva di 45.600.000, esclusa la Venezia Giulia. Tali le cifre di cui disponiamo. Aggiungo che sono in corso rilievi che consentirnno aggiornamenti definitivi, riguardo la popolazione alla fine del 1947. Decideremo, in occasione dell’articolo 59, a quale cifra sarà bene attenerci per la costituzione del primo Parlamento.

Intanto, sono compiti molto all’ingrosso, anzi piuttosto ordini di grandezza che cifre; possiamo prendere a base, per vedere quale sarà il numero dei deputati, una cifra almeno di 45-46 milioni di abitanti. Se prendiamo il quoziente 100 mila, saranno più di 450 deputati; se prendiamo invece 150 mila, discenderanno a più di 300; se ci atterremo ad un quoziente di 80.000, andremo a più di 570. Non tengo conto, in nessun caso, degli aumenti che vi possono essere per le frazioni superiori alla metà del quoziente-base, giacché si deve tener conto che vanno perdute le frazioni inferiori alla metà. Ma insomma non è inesatto dire che per le tre ipotesi abbiamo: verso 600 deputati con un quoziente di 80.000; verso 500 con un quoziente di 100 mila; di poco più che 300 con un quoziente di 150.000. Il Comitato preferisce stare al quoziente intermedio di 100.000.

Debbo far notare che le cifre addotte sono un punto di partenza, un minimo, che andrà ad ingrossarsi nelle successive legislature con gli incrementi demografici.

CONTI. Ritiro il numero di 150.000 e lo riduco a 120.000. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Permetterà l’onorevole Conti che non entriamo in un giuoco di ribasso o rialzo delle cifre. Io debbo riferire che il Comitato proponendo 100.000 ha creduto di attenersi a cifra giusta.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’articolo 53.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Dichiaro che voterò contro gli emendamenti Nitti e Conti perché, a prescindere dall’esempio di altre democrazie europee, è certo che l’aumento del numero favorisce i partiti di massa e danneggia i partiti meno numerosi; favorisce i grossi agglomerati urbani e danneggia le popolazioni rurali.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io voterò per il numero di 100 mila, facendo presente all’Assemblea (questo non per l’interesse dei piccoli partiti, ma del sistema elettorale) che se noi facciamo le elezioni con il sistema proporzionale e riduciamo, come è nel proposito di molti, l’estensione di collegi, diminuendo il numero dei deputati, la proporzionale non funziona più. Faccio presente questo inconveniente. Noi ci troveremo con collegi che avranno cinque o sei deputati soltanto, ed in questo caso la proporzionale non raggiungerà lo scopo di dare una rappresentanza a tutte le correnti politiche.

Per queste ragioni, voterò per il numero di 100 mila.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, nonostante i fulmini che ci ha minacciato l’onorevole Conti, il nostro Gruppo parlamentare voterà per la cifra più bassa. E questo per due motivi. In primo luogo perché una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore; in secondo luogo perché l’eletto, distaccandosi dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti.

Avremo una Camera che oscillerà intorno ai 550 deputati. Mi pare che sia poco male.

Per queste ragioni noi voteremo per la cifra più bassa.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io voterò contro l’inserzione della parola «proporzionale», non tanto perché creda ad una soluzione diversa di questa questione, ma perché ritengo che metterla per la Camera obbligherebbe necessariamente a precisare il sistema anche per il Senato. Ora, non mi pare che allo stato attuale delle cose sia abbastanza matura, da parte della Costituente, la decisione relativa agli eventuali diversi sistemi. Ritengo che sarebbe utile che le due Camere avessero ciascuna una base di suffragio universale e che un criterio differenziale potrebbe proprio essere costituito dal sistema di elezione, proporzionale per l’una uninominale per l’altra. Ma se noi stabiliamo senz’altro il metodo relativamente alla Camera dei deputati, credo che sia indispensabile stabilirlo anche per il Senato, e mi pare che non sia matura la decisione in questo momento.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Uberti. Noi avremo da fare cinque o sei votazioni ed è bene che le relative dichiarazioni di voto non si intreccino e non si confondano. Prego perciò gli onorevoli colleghi di sentire dapprima su cosa si vota e di fare poi dichiarazioni di voto pertinenti.

Ora, noi dobbiamo in questo momento votare la prima parte dell’articolo 53, per la quale non sono stati proposti emendamenti:

«La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto».

La pongo in votazione.

(É approvata).

Vi è adesso l’emendamento proposto dagli onorevoli Giolitti, Grieco e La Rocca, del seguente tenore:

«Dopo le parole: universale e diretto, inserire: e segreto, secondo il sistema proporzionale».

A proposito dell’inciso «e segreto» il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ha fatto presente che in un articolo precedente già votato è stabilito in forma generale che, qualunque forma di votazione venga adottata in qualunque organo della Repubblica, essa deve avvenire in modo segreto. La proposta dell’onorevole Giolitti costituirebbe dunque una ripetizione. Se l’onorevole Giolitti lo consente, possiamo evitare questa superfluità.

GIOLITTI. Sì, acconsento.

PRESIDENTE. Allora resta da votare la seconda parte dell’emendamento Giolitti:

«secondo il sistema proporzionale».

L’onorevole Fabbri ha già fatto sull’argomento la sua dichiarazione di voto.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A nome del mio Gruppo dichiaro che noi desideriamo che il problema del sistema elettorale con la rappresentanza proporzionale sia posto non soltanto per una Camera, bensì per entrambe le Camere.

Nella Commissione dei 75 si è deliberato un ordine del giorno impegnativo circa il sistema da seguire nella legge elettorale, e cioè di attuare il sistema della proporzionale, pur senza includerlo nella Costituzione, per lasciar libero il Parlamento, nella eventualità che questo si rendesse opportuno per una qualche situazione particolare, di modificare il sistema elettorale senza modificare la Costituzione. Ad ogni modo, siccome siamo favorevoli al sistema proporzionale per tutte le elezioni, non possiamo votare contro l’ordine del giorno Giolitti, che pertanto voteremo; però desideriamo che lo stesso sistema sia seguito per la seconda Camera.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. L’onorevole Uberti impropriamente ha parlato di un ordine del giorno generico dell’onorevole Giolitti perché, se si trattasse di un simile ordine del giorno generico, il nostro atteggiamento potrebbe essere diverso da quello che sarà verso la sua proposta che tende a stabilire, in sede di Costituzione, il sistema elettorale.

Come l’onorevole Uberti ha ricordato, nei lavori di elaborazione del testo della Costituzione, venne presentata questa questione; ma mi sembra che si fosse tutti d’accordo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo.

TARGETTI. …proporzionalisti e non proporzionalisti, della opportunità di escludere qualsiasi accenno al sistema elettorale, ritenendo che questa non fosse materia di Costituzione. Quindi il nostro Gruppo voterà contro questa specificazione.

GIOLITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOLITTI. Consento a trasformare l’emendamento in ordine del giorno.

PRESIDENTE. Allora, in attesa che l’onorevole Giolitti rediga l’ordine del giorno, passiamo alla votazione dell’emendamento successivo, che si riferisce al numero di abitanti richiesto per l’elezione di un deputato. Faccio presente che il progetto a questo proposito propone 80.000 abitanti; l’onorevole Nitti ne propone 100.000 o frazione superiore a 50.000; l’onorevole Conti 120.000. Quindi tre cifre. Voteremo per prima quella dell’onorevole Conti che si allontana di più dalla proposta della Commissione.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Per le ragioni chiaramente espresse sia dall’onorevole Morelli Renato, che dall’onorevole Togliatti, le quali si completano e si integrano, noi dichiariamo che voteremo per la cifra più bassa.

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. A nome del mio Gruppo, conformemente alle dichiarazioni che furono fatte dai nostri rappresentanti in sede di seconda Sottocommissione e condividendo completamente il pensiero espresso dall’onorevole Togliatti, voteremo per la cifra più bassa di ottantamila.

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi dichiariamo di votare contro l’emendamento dell’onorevole Conti, intendendo votare in favore della proposta che porta a centomila il numero degli elettori per ciascun deputato.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LIBERTI. Il problema del numero dipende da due esigenze, una quella di un’Assemblea che non sia eccessivamente numerosa, che non sia pletorica, per rendere meno arduo il compito legislativo della Camera, e l’altra che la rappresentanza popolare sia la più adeguata possibile.

Riteniamo pertanto che la formula media di un deputato ogni centomila abitanti sia la migliore, in quanto concilia le due esigenze, e perciò voteremo per questa formula.

NASI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NASI. A nome del Gruppo demolaburista dichiaro di essere favorevole al numero più basso, che è quello di ottantamila.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Conti, del seguente tenore:

«Alle parole: ottantamila abitanti, sostituire: centoventimila abitanti».

(Non è approvata).

Passiamo alla proposta dell’onorevole Nitti, che indica in centomila il numero richiesto.

L’onorevole Ruini ha dichiarato di accettare questa proposta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Volevo ricordare che il numero di centomila è stato accettato, in sede di Comitato, da tutti, anche dai rappresentanti del partito comunista…

LACONI. Non è esatto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sopra questo emendamento viene richiesta la votazione per scrutinio segreto dall’onorevole Morelli Renato.

A norma dell’articolo 97 del Regolamento chiedo se sia appoggiata.

(È appoggiata).

Votazione segreta

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione segreta sull’emendamento Nitti.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’emendamento dell’onorevole Nitti:

Presenti e votanti     362

Maggioranza           182

Voti favorevoli        133

Voti contrari           229

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli –Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Galati – Garlato – Gasparotto – Germano – Gervasi – Ghidini – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolate Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini  – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Martinelli – Martino Gaetano – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Mezzadra – Micheli – Molè – Molinelli – Momigliano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni  – Piemonte – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressanotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saccenti – Saggin – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Trulli – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Campilli – Canepa – Carmagnola – Codignola.

Geuna – Gullo Rocco.

Jacini.

La Gravinese Nicola – La Malfa.

Marazza – Mastino Pietro – Montemartini.

Paolucci – Parri – Pellizzari – Pignatari.

Tremelloni.

Vischioni.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla seconda parte dell’articolo 53:

«in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila».

La pongo in votazione.

(È approvata).

L’articolo 53 risulta, così, approvato nel suo complesso.

Comunico che l’onorevole Giolitti, sciogliendo la sua riserva, ha fatto pervenire il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della Camera dei deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 54. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che hanno compiuto i venticinque anni di età al momento delle elezioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Il primo è quello degli onorevoli Montemartini, Chiaramello e Caporali, del seguente tenore:

«Alle parole: gli elettori, sostituire l’altra: i cittadini».

L’onorevole Caporali ha facoltà di svolgerlo.

CAPORALI. Rinuncio all’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue un emendamento dell’onorevole Perassi, del seguente tenore:

«Alle parole: tutti gli elettori, sostituire le seguenti: i cittadini aventi i requisiti per essere elettori, che».

Non essendo presente l’onorevole Perassi s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento degli onorevoli Corbi, Pajetta Gian Carlo e Mattei Teresa, del seguente tenore:

«Sopprimere le parole: che hanno compiuto i venticinque anni di età al momento delle elezioni».

L’onorevole Corbi ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Desidero osservare che la condizione prevista dall’articolo 54 per l’eleggibilità a deputato importa una grave limitazione a danno di una grande categoria di cittadini: quelli che vanno dai 21 ai 25 anni non compiuti; e mi sembra che ciò contrasti con i principî altrove affermati in questa stessa Carta costituzionale. Infatti, mentre si riconoscono a questa così numerosa categoria di cittadini tutti i doveri e tutti i diritti (in sostanza questi cittadini sarebbero buoni per fare la guerra, potrebbero e possono ricoprire importanti posti e nell’esercito e nell’Amministrazione dello Stato e sono tenuti al rispetto di tutte le leggi così come gli altri di maggiore età) non si vuol concedere ad essa di poter rappresentare la Nazione nel Parlamento.

Credo perciò che questa limitazione non abbia ragion d’essere. Avrebbe, sì, forse, una giustificazione qualora le nomine venissero dall’alto; poiché ciò non è, tale restrizione non ha fondati motivi. Saranno le stesse centinaia di migliaia di elettori a giudicare se, a prescindere dall’età (21, 22, 23 anni), i candidati abbiano i requisiti necessari, requisiti che soprattutto devono ritrovarsi nella fiducia che essi godono presso gli elettori. Pertanto insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Alle parole: al momento delle elezioni, sostituire le parole: entro il giorno delle elezioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Insisto nel mio emendamento, che peraltro è di pura forma. A me sembra che la dizione «entro il giorno delle elezioni» sia più precisa di quella del progetto «al momento delle elezioni».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Rescigno, del seguente tenore:

«Aggiungere in fine le parole: salvo le eccezioni stabilite dalla legge».

Non essendo presente l’onorevole Rescigno, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il pensiero della Commissione sui vari emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accetta l’emendamento dell’onorevole Colitto. Sull’emendamento dell’onorevole Corbi il Comitato si pronuncia in senso non favorevole, tenendo conto che una differenza per il minimo di età fra elettori ed eleggibili è criterio ormai consueto ed accettato per quasi tutti i Parlamenti e in quasi tutte le Costituzioni. Il criterio dell’età non ha valore assoluto, come ha esposto l’onorevole Corbi; è vero che tutti a 21 anni possono entrare negli uffici. Ma ai posti direttivi arrivano ad un’età maggiore. Si può chiedere qualcosa più della minima età a chi diventa deputato.

D’altra parte, venticinque anni è un’età piuttosto bassa; prima il limite era a trenta anni.

Il Comitato, a maggioranza, non ha accettato l’emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Corbi di dichiarare se insiste nel suo emendamento.

CORBI. Insisto.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Colitto è stato accettato dalla Commissione.

Non essendo presenti gli onorevoli Perassi e Rescigno, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Passiamo ora alle votazioni.

L’onorevole Corbi propone di sopprimere tutta la seconda parte, dalle parole «che hanno compiuto» sino alla fine.

Si deve votare per divisione. Votando la prima parte «Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori» non ci si impegna nei confronti della proposta Corbi; d’altra parte, è pacifico che anche chi vuol votare la seconda parte, deve per intanto votare la prima parte. Sarà soltanto in sede di voto della seconda parte che si constaterà se l’emendamento Corbi verrà accolto o respinto.

Pongo, pertanto, in votazione la prima parte dell’articolo 54:

«Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori».

(È approvata).

Devo ora porre in votazione la seconda parte, includendovi l’emendamento Colitto accettato dalla Commissione:

«che hanno compiuto i venticinque anni di età entro il giorno delle elezioni».

Coloro che approvano questa seconda parte respingono implicitamente l’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Corbi.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Io chiederei che si mettesse prima in votazione la proposta dell’onorevole Corbi, nel senso che gli eleggibili debbono avere soltanto la maggiore età.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi non ha proposto questo; l’emendamento Corbi è semplicemente soppressivo; se egli proporrà un’altra formula, la metterò in votazione.

GULLO FAUSTO. Noi, che siamo favorevoli ai 21 anni, siamo costretti a votare contro il limite dei venticinque anni. Ma voteranno contro anche coloro che sono favorevoli al limite di trent’anni.

PRESIDENTE. Nessuno ha fatto quest’ultima proposta.

GULLO FAUSTO. L’onorevole Corbi ha formulato la proposta che basti avere ventuno anni per essere eleggibile; chiedo che sia posta ai voti.

PRESIDENTE. Ella sa, onorevole Gullo, che le proposte soppressive si affermano votando contro le proposte positive. È pacifico che coloro che negano il limite dei venticinque anni, dato che non c’è una proposta di altro genere, accettano quella dell’onorevole Corbi.

GULLO. FAUSTO. Ma alcuni sono favorevoli al limite di trenta anni!

PRESIDENTE. Ripeto che nessuno, onorevole Gullo, ha fatto questa proposta.

GULLO FAUSTO. Eppure so che ci sono colleghi che la pensano così.

PRESIDENTE. Noi non siamo tenuti a conoscere il pensiero recondito dei colleghi.

Pongo ai voti la seconda parte dell’articolo 54, di cui do nuovamente lettura: «che hanno compiuto i venticinque anni di età entro il giorno delle elezioni».

(È approvata).

L’articolo 54 rimane pertanto approvato nella seguente formulazione:

«Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che hanno compiuto i venticinque anni di età entro il giorno delle elezioni».

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Valiani, Pacciardi, Magrini, Treves, Lombardi Riccardo e Facchinetti hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere il motivo per il quale – dopo che il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riconosciuto il diritto del quotidiano Corriere Lombardo di Milano, edizione del mattino, di cambiare la propria testata in quella di Corriere di Milano – il prefetto di Milano rifiuta di autorizzare il cambiamento medesimo e procede al sequestro del giornale».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Risponderò al termine della seduta pomeridiana di domani.

PRESIDENTE. È stata presentata anche la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri dell’agricoltura e foreste e di grazia e giustizia, per sapere se, in considerazione della mancata registrazione da parte della Corte dei conti, per dichiarata incostituzionalità, del decreto relativo allo sdoppiamento del prezzo dei cereali soggetti a vincolo di ammasso, agli effetti del pagamento dei canoni di affitto e delle richieste dei proprietari terrieri, richieste che mirano ad ottenere l’integrale pagamento dei canoni di affitto non solo per l’annata agraria 1946-47, ma anche per quelle precedenti; non ritengano opportuno – onde ovviare alla grave agitazione che già si va delineando tra gli affittuari di tutte le provincie italiane – elaborare un provvedimento legislativo da sottoporre, con urgenza, all’approvazione dell’Assemblea Costituente per regolare e definire con rapidità la delicata materia.

«Bonomi Paolo, Galati, Storchi, Camangi, Stella, Quarello, Bellato, Del Curto, Giacchero, Pastore Giulio, Monticelli, Carbonari, Ferrari, Burato, Caiati».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Risponderò al termine della seduta di domani.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro degli affari esteri, per sapere quando si provvederà al ripristino dell’Ispettorato di emigrazione di Messina, per il quale vivissima è da tempo l’attesa della città, nonché delle altre provincie siciliane e calabresi interessate. Detto Ispettorato venne creato nel 1906 e poi soppresso nel 1929 (in virtù della politica antiemigratoria instaurata dal fascismo) e ne fu praticamente decisa la reintegrazione nel 1945, quando vennero istituiti gli Uffici di frontiera di Domodossola, Tarvisio e Chiasso.

«L’importanza del provvedimento è grande anche a fini sociali, per la tutela degli emigranti della Sicilia orientale e della Calabria, cui verrebbero evitati notevoli disagi e non lieve dispendio. Il ritardo nell’emanazione del provvedimento non si giustifica: non può essere giustificato da motivi finanziari, dato che il Comune e la Camera di commercio di Messina hanno dichiarato di voler contribuire all’onere delle spese di impianto, fornendo altresì i locali per gli uffici. A riprova della inopportunità del provvedimento soppressivo attuato nel 1929 dal Governo fascista può ricordarsi che in molte occasioni, dopo la soppressione, il personale dell’Ispettorato di Palermo dovette trasferirsi a Messina per le operazioni preliminari di visita definitiva degli emigranti, i quali si imbarcavano tuttavia nel porto di Messina.

«Martino Gaetano».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere la situazione attuale del Monte pensione dei maestri elementari, e i provvedimenti adottati per adeguare le pensioni degli insegnanti elementari a quelle dei pensionati dello Stato.

«Canevari».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della difesa e al Ministro del tesoro, per sapere se abbiano sentore del vivissimo sdegno col quale i combattenti della guerra 1915-18 hanno accolto le disposizioni riguardanti il pagamento della polizza ad essi rilasciata al momento del loro congedo e che, avendo anche potuto costituire in quei tempi lontani un dono dignitoso, si è trasformata oggi, per la svalutazione della moneta, in una elemosina umiliante che gli interessati da ogni parte dichiarano di respingere con indignazione;

e se non ritengano doveroso e urgente sospendere provvisoriamente il corso legale della disposizione emanata, per disporre una congrua rivalutazione dell’ammontare del premio.

«Moscatelli, Secchia, Leone Francesco, Barontini».

Interesserò i Ministri interrogati, stante la loro assenza, perché facciano sapere quando intendano rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea

PRESIDENTE. All’ordine del giorno della seduta antimeridiana di domani porremo il seguito della discussione del disegno di legge sull’elettorato attivo. Onorevoli colleghi, l’Assemblea ha giorni fa deciso la sospensiva sull’articolo 47 di questo disegno di legge, in attesa della votazione sul terzo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione. Ciò non può impedirci di andare avanti con gli articoli successivi, tanto più che ancora una volta il Ministro dell’interno ha fatto presente la grande urgenza della legge elettorale. Esamineremo dunque domani mattina i rimanenti articoli del disegno di legge.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Dobbiamo concludere sull’articolo 55 relativo alla formazione del Senato, la cui importanza è manifesta. È opportuno che i Gruppi concretino definitivamente il rispettivo atteggiamento e possibilmente si mettano d’accordo su tale articolo. Noi speravamo che la mattinata di domani fosse esente da sedute in modo da poter tentare un accordo.

Propongo pertanto di non tenere seduta domattina, anche perché gli articoli seguenti all’articolo 47 della legge elettorale possono essere approvati in pochi minuti.

PRESIDENTE. Domani mattina all’ordine del giorno vi sarà non soltanto il disegno di legge sull’elettorato attivo ma anche il seguito della discussione sul progetto di Costituzione. Lei, onorevole Uberti, parla dell’articolo 55, che è uno dei più complicati del progetto. Ma le discussioni che si potrebbero fare in un piccolo comitato per cercare l’accordo si rifarebbero un’altra volta in Assemblea. Ed allora, facciamole senz’altro in Assemblea.

Gli emendamenti a tale articolo non sono poi molti.

UBERTI. Sicuramente ne saranno presentati altri.

PRESIDENTE. Li svolgeremo in Assemblea e sarà meglio, perché ciascuno sentirà tutti gli argomenti. Le discussioni che si fanno in un piccolo comitato praticamente non riescono mai a convincere gli assenti.

Pertanto, se non vi sono altre osservazioni, nella seduta antimeridiana di domani, alle 11, proseguirà la discussione del disegno di legge sull’elettorato attivo e quindi del progetto di Costituzione; al quale ultimo sarà dedicata anche la seduta pomeridiana.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritenga necessario prolungare fino a Lecce il rapido Roma-Foggia in partenza rispettivamente da Roma alle ore 11.30 e da Foggia alle ore 10.30. Tale prolungamento già si effettua nel percorso Foggia-Bari con automotrici.

«Attualmente il servizio sulla linea Roma-Lecce è espletato da due soli treni, che hanno delle vetture assolutamente disagevoli (spesso vetture di terza classe in servizio di prima) e straordinariamente affollate. Ciò è tanto più rimarchevole, quando si tenga conto dell’attuale costo dei trasporti. Qualora per ragioni tecniche fosse assolutamente impossibile disporre ciò, si cerchi di far coincidere coi treni in oggetto l’orario delle automotrici della Sud-Est in servizio tra Bari e Lecce.

«De Maria, Codacci Pisanelli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere come intenda conciliare il mantenimento nella motivazione della medaglia d’oro concessa alla memoria del capitano di fregata Vittorio Meneghini (Gazzetta Ufficiale 31 maggio 1947) di un’espressione ambigua relativa a pretesi diritti dell’Italia su le isole dell’Egeo con la necessità di eliminare qualsiasi dubbio o sospetto su la sincerità della politica estera della Repubblica italiana.

«Schiavetti, Lussu, Cianca, Magrini, Nasi, Cevolotto, Zuccarini, Lami Starnuti, Costa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni per cui non ha inteso estendere, analogamente a quanto disposto per gli incarichi e le supplenze nelle scuole medie ed elementari, anche ai reduci aspiranti all’incarico annuale di direttore didattico il beneficio del conferimento riservato del 50 per cento dei posti disponibili.

«Non sembrando sufficiente il motivo che l’incarico è conferibile a insegnanti di ruolo già in servizio, l’interrogante confida che l’onorevole Ministro vorrà tempestivamente provvedere a che i reduci non siano privati di questo beneficio.

«Sullo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se intendano una buona volta intervenire e porre fine allo stato di disordine amministrativo della Sepral di Avellino a carico della quale non passa mese senza che la stampa elevi critiche aspre e giustificate su scandali a ripetizione che si verificano.

«Sullo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno provvedere, con decreto legislativo, alla riforma della composizione della Giunta provinciale amministrativa in sede di tutela, in conformità del pensiero espresso da alcuni deputati e condiviso dalla Commissione parlamentare durante la discussione avanti all’Assemblea Costituente del disegno di legge recante modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, nel senso cioè di dare la prevalenza – in ossequio ad un elementare principio di libertà democratica – agli elementi elettivi in confronto di quelli governativi, come era nella legge prefascista. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carboni Angelo, Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non sia il caso di mantenere in servizio e passare a ruolo, senza concorso, quegli ufficiali sanitari che hanno, in qualità di interini, compiuto un decennio di servizio ininterrotto. Uniformandosi ad analogo provvedimento adottato dal Ministero della pubblica istruzione per alcuni insegnanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ayroldi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere con quali provvedimenti il Governo intende venire incontro, nel più breve termine, alle non più dilazionabili esigenze alimentari e alla fiduciosa attesa dei ciechi civili, che hanno presentato in forma motivata e concreta un progetto per un assegno di assistenza continuativa. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Calosso, Momigliano, Sapienza, Bianchi Bianca, Bocconi, Corsi, Lami Starnuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intende ufficialmente confermare, venendo incontro alle legittime richieste dei concorrenti, quanto ufficiosamente la Direzione generale delle scuole elementari ha avuto modo di chiarire in merito ai concorsi magistrali, che cioè, nel caso che risultino vincitori di concorso in una determinata provincia insegnanti di ruolo, questi non graveranno sul numero dei posti messi a concorso nella provincia, privandone così gli aspiranti non di ruolo, ma troveranno la loro sistemazione in posti in soprannumero rispetto al bando. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sullo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se intenda far affrettare e concludere i lavori che la Commissione per il riordinamento degli Uffici del registro va compiendo da molti mesi senza che si giunga ad alcun risultato concreto in sede di applicazione, rimanendosi fermi sul terreno degli studi preliminari. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Gortani, Quintieri Adolfo».

«I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri del commercio con l’estero e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano di revocare l’ordine col quale è stata subordinata l’esportazione del sughero di macinazione al rilascio di un permesso speciale.

«L’onorevole Ministro del commercio con l’estero ha dato assicurazione che le singole richieste di permessi saranno esaminate con la massima benevolenza. Tale dichiarazione però non tranquillizza le categorie interessate (produttori e commercianti), le quali ritengono che l’andamento dei prezzi nazionali ed internazionali e l’abbondanza del prodotto nella corrente annata garantiscono abbondantemente il fabbisogno nazionale e pertanto rendono inutile il controllo che ostacolerebbe il normale andamento delle relative operazioni di scambi.

«Mannironi, Mastino Gesumino, Carboni Enrico, Murgia, Chieffi, Lussu».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure la interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora, i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali. (16).

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxxvIIi.

SEDUTA DI LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

In memoria di Fiorello La Guardia:

Gasparotto

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Laconi

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Salerno

Mazza

Schiratti

Corbellini, Ministro dei trasporti

Veroni

Mastino Pietro

Numeroso

Presidente

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Martino Gaetano

Fiore

Stampacchia

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Caso

Cappi

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Giacchero

Interpellanze (Svolgimento):

Silipo

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Nobile

Cingolani, Ministro della difesa

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sui lavori dell’assemblea:

Russo Perez

Vernocchi

Laconi

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Arata, Carmagnola, Pellizzari.

(Sono concessi).

In memoria di Fiorello La Guardia.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Invito l’Assemblea a rivolgere un pensiero di rimpianto e di omaggio alla memoria di Fiorello La Guardia, spentosi l’altro ieri a New York, portando nel cuore l’impronta dei suoi due grandi amori: l’antica patria d’origine, l’Italia, la sua nuova patria di elezione, gli Stati Uniti.

La romantica vita di quest’uomo, figliuolo della Puglia, che si inizia nella più dura miseria e culmina nei fastigi del più alto potere nella città più possente del mondo, è degna di insegnamento e anche di ammonimento per coloro che ancora disconoscono ì valori morali che racchiude in sé questa povera Italia. Perché, dal nulla, da padre ramingo ed esule dalla patria che gli negava il pane, l’italiano Fiorello La Guardia ha saputo battere vie nuove ed arrivare a superba altezza.

Di lui ricordiamo il compagno d’armi della prima guerra europea; di lui ricordo, soprattutto, che quando, dopo la sventura di Caporetto, l’Italia, fino allora divisa, si trovò unita e concorde nel pensiero e nella volontà della rivincita, la voce dell’America suonò consolante ed incitatrice per bocca di Fiorello La Guardia, del quale è ancora memoria di un appassionato discorso al Teatro della Scala a Milano.

Poi, quando, durante l’ultimo e più sanguinoso conflitto, durava in Italia ancora la guerra civile – e fu il delitto maggiore del fascismo – venne dall’America attraverso le onde della radio la prima parola amica, essa era la voce di Fiorello La Guardia. Perciò un gruppo di deputati italiani, profughi ed ospiti nella Svizzera (fra essi vedo presente qualcuno, l’onorevole Targetti, l’onorevole Momigliano, l’onorevole Maffi) gli dirigevano questo saluto:

«Amici vostri, memori della nobile opera da voi spiegata in Italia in altra ora e costantemente mantenuta oltre Oceano, sicuri interpreti unanime pensiero del popolo italiano, vi esprimono la loro profonda riconoscenza per la nuova affermazione di incoraggiante solidarietà, augurando che il generoso appello accolga consensi presso il Vostro grande Paese».

Fiorello La Guardia, passando sopra a tutti i protocolli, malgrado l’ufficio che teneva, ha risposto immediatamente così:

«Amici, pazienza e coraggio. Apprezzo vostro gentile omaggio. L’America è profondamente interessata nell’avvenire dell’Italia. Ho la assoluta certezza che le condizioni miglioreranno molto presto». E il presagio fu tradotto in realtà. Otto mesi dopo l’Italia era libera. Ma, ove non bastasse a costituire titolo di riconoscenza verso di lui quello che ha fatto Fiorello La Guardia per l’Italia, basterà por mente a quello che ha fatto quando, già martoriato dal male che lo ha tratto alla tomba, ha diretto l’U.N.R.R.A., quella meravigliosa e generosa istituzione che ha sfamato tanti vecchi, tanti bimbi, tanti infermi, sparsi per le vie del mondo.

Perciò noi non ricordiamo soltanto in lui il fedele amico del nostro Paese, ma ricordiamo anche uno dei cavalieri dell’umanità, destinati ad aprire la via dell’universale solidarietà a tutti gli uomini che soffrono e che sperano. (Vivissimi, generali applausi).

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Il Governo si associa alle nobili parole dell’onorevole Gasparotto. L’Italia ha perduto in Fiorello La Guardia un amico leale e sincero; la democrazia un’incomparabile campione, l’umanità un forte assertore, generoso e leale, dei valori umani e cristiani della vita. (Vivissimi, generali applausi).

PRESIDENTE. Io credo di interpretare il sentimento e il pensiero dell’Assemblea associandomi alle nobili parole dell’onorevole Gasparotto e del rappresentante del Governo alla memoria di Fiorello La Guardia. Fiorello La Guardia non può essere dimenticato dagli italiani. Essi ricordano la sua solidarietà viva ed ardente durante la nostra lotta di liberazione e la lotta per la conquista delle istituzioni repubblicane d’Italia. Lo ricordano per tutte le virtù dell’uomo pubblico, che ha dato anche un mirabile esempio nello sviluppo dell’opera sua a favore della sua città.

Lo ricordiamo noi, onorevoli colleghi, che avemmo il privilegio di ospitarlo nel nostro palazzo; e lo udimmo rivolgerci delle forti e generose parole di incoraggiamento per la lotta che avremmo ancora dovuto sostenere nel nostro Paese, per i sacrifici che avremmo dovuti ancora affrontare. Egli ci incoraggiò, ci confortò e ci ha, credo, accompagnati col pensiero sino all’ultimo istante di sua vita, perché egli amava veramente l’Italia.

Vada alla memoria di Fiorello La Guardia il nostro commosso pensiero. (Vivissimi generali applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. La prima è dell’onorevole Laconi, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, «per sapere: 1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna; 2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a far cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate; 3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge il luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa, dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere per la parte che lo concerne.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il bacino del Tirso, costruito in seguito alla legge Cocco Ortu e regolato dal disciplinare 18 marzo 1914, aveva come scopo preminente la produzione di energia elettrica per usi industriali e civili e quello di irrigazione della piana di Campidano di Oristano.

Il compito di regolatore delle piene del Tirso era un compito secondario, che si univa agli altri due, non nel senso che il bacino fosse concepito come regolatore totale delle piene del Tirso, ma che fosse concepito anche allo scopo di diminuirne la portata e l’intensità, giacché il corso irregolare di quel fiume faceva sì che, per la sua natura torrentizia, piene massime di oltre 3 mila metri cubi al secondo fossero registrate negli anni di massima piovosità; piene che era impossibile contenere anche con un bacino della capacità di 400 milioni di metri cubi, quale è il bacino del Tirso, piene che, però, attraverso la diga del Tirso stesso venivano ridotte ad un massimo di 700-800 metri cubi al secondo.

Costruito il bacino, le opere di irrigazione nella bassa valle del Tirso trovarono una viva opposizione da parte dei grandi proprietari del comprensorio; viva opposizione che si è sempre ripetuta, e si è ripetuta anche quest’anno, adducendo gli stessi elementi e gli stessi motivi – secondo noi, non esatti – che sono contenuti nell’interrogazione dell’onorevole Laconi.

Le acque del Tirso, opportunamente regolate, possono essere sufficienti ad irrigare non solo gli 8 mila ettari del comprensorio di Arborea, ma anche i 16 mila e più ettari del basso Campidano di Oristano.

Se al bacino si attribuissero esclusivamente o prevalentemente funzioni di regolatore di piene, è certo, dati i diagrammi del deflusso del fiume, che l’irrigazione non potrebbe essere praticata. Si aggiunga che, se anche il bacino del Tirso fosse utilizzato come regolatore delle piene, esso non potrebbe mai impedire le inondazioni del Tirso nelle massime piene che si verificano precisamente in anni di piovosità eccezionale, come è stato l’anno decorso. In 24 anni si sono potuti misurare completamente i deflussi del Tirso, e si è visto che essi oscillano da 200 milioni di metri cubi annui, negli anni di minima piovosità, ad oltre un miliardo e cento milioni di metri cubi negli anni di massima piovosità. E questi stessi diagrammi dimostrano come, in questi anni di massima piovosità, che si ripetono con ciclo quasi decennale, le funzioni di trattenuta delle piene del bacino del Tirso non potrebbero essere in nessun modo adempiute, in quanto il deflusso invernale supera quasi tre volte la capacità del bacino stesso.

Si aggiunga inoltre che a valle della diga del Tirso, un affluente del Tirso, il Fiumineddu, il quale non è trattenuto da bacini e riversa le sue acque in piena nella piana di Oristano, provoca anch’esso delle esondazioni frequenti, le quali si confondono con le esondazioni del bacino del Tirso.

Questa situazione non è passata inosservata certamente né al Governo attuale né ai Governi precedenti; essa è stata, anzi, oggetto di lunghi studi, e si è ritenuto che la soluzione dovesse essere la seguente: arginare tutto il corso del Tirso a valle della diga, per proteggere i terreni del Campidano di Oristano dalle inondazioni del Tirso stesso, e utilizzare completamente le acque del Tirso per l’irrigazione del fertilissimo comprensorio del basso Campidano, che permetterebbe di decuplicare la produzione di quei 16.000 ettari di terreno che oggi sono quasi esclusivamente adibiti a pascolo.

Se noi invece adottassimo la tesi di alcuni grossi proprietari della valle del Tirso, del Consorzio della destra del Tirso e dell’onorevole Laconi, dovremmo negli anni di scarsa piovosità condannare questi terreni alla mancanza di irrigazione. Dato infatti l’andamento alterno delle stagioni, per cui a stagioni di media o massima piovosità seguono anni di scarsa piovosità, se si vuol praticare l’irrigazione è necessario conservare nel bacino del Tirso un determinato quantitativo di acqua che serva a compensare nell’anno successivo ad anno di piovosità normale i minori probabili afflussi di pioggia.

Noi dobbiamo regolare l’irrigazione non secondo il decorso annuale della piovosità, ma secondo un decorso almeno biennale, in modo da essere sicuri che nel biennio possiamo disporre annualmente di 300 milioni di metri cubi circa per la necessaria irrigazione dei due comprensori, trattenendo quindi sempre nel bacino un determinato quantitativo di acqua perché anche negli anni di minima piovosità di soli 200 milioni di metri cubi, noi possiamo sopperire con le acque dell’annata precedente ai bisogni dell’irrigazione.

Per utilizzare quindi il bacino del Tirso come opera regolatrice, al massimo, delle piene, noi dovremmo tenere per quanto è possibile permanentemente vuoto al massimo il bacino stesso, mentre noi abbiamo bisogno di trattenere da un anno all’altro nel bacino stesso un centinaio di milioni di metri cubi per poter assicurare questa irrigazione, che si sta estendendo e che è intenzione del Ministero di completare al più presto possibile.

Per salvaguardare i terreni a valle del bacino, che devono essere veramente salvaguardati in quanto si intende trasformarli dalla cultura estensiva attuale a cultura fortemente intensiva, quali sono le culture irrigue, è necessaria la costruzione di argini, i quali sono stati interrotti dalla guerra, in parte distrutti dalle opere di guerra, in parte perché ne è stata sospesa l’esecuzione, la quale è stata ora ripresa e che, completata, porrà completamente in salvo i terreni irrigui dalle possibili inondazioni del Tirso.

Vi sono state anche delle obiezioni contro questa sistemazione, ed è bene che queste obiezioni siano completamente superate da un esame spassionato, perciò nel luglio scorso, dopo la precedente mia visita personale nel territorio, effettuata in aprile, si è proceduto, d’accordo col Ministero dei lavori pubblici, alla nomina di una Commissione che dia l’ultima e definitiva parola sulle decisioni adottate dal Ministero dell’agricoltura. Il problema è ormai più agricolo che di lavori pubblici. Noi intendiamo spingere al massimo l’irrigazione in un territorio desolato come quello della Sardegna.

Ci pare che lo scopo migliore a cui la bassa valle del Tirso potrà essere destinata sia quello di rendere produttivi i fertili territori della bassa valle del Tirso e contrastare le inondazioni nella bassa valle del Tirso, per cui si può trovare rimedio nel proseguimento dell’arginatura, lavoro che richiederà ancora qualche anno, ma che è, secondo noi, indispensabile. Si son fatte obiezioni non tecniche, perché ritengo che le obiezioni tecniche siano infondate; si è trovata avversione nel misoneismo di alcune persone, ma ritengo che il pronunciato della Commissione, che è composta dagli ingegneri Giandotti e Malacarne, tecnici e idraulici noti in tutta Italia, e dal professor Passerini, agronomo di grande valore, ritengo, ripeto, che toglierà di mezzo tutte le obiezioni che infondatamente sono state rivolte all’operato del Ministero.

Questa ritengo che sia la soluzione da adottare per l’interesse della Sardegna, superando quelli che possono essere i piccoli interessi locali che potessero essere lesi. Questa soluzione credo debba adottarsi al più presto, ed io ho già disposto dei finanziamenti destinati ad eseguire quelle opere di arginatura che in ogni caso sono indispensabili; perché, come ho detto, nelle annate di grande piovosità il bacino del Tirso non è capace di trattenere tutta l’acqua del Tirso stesso, in quanto esso ne può trattenere appena un terzo e gli altri due terzi sarebbero sufficienti, nei momenti di massima piena, per provocare quelle inondazioni che si lamentano.

Occorre quindi difendere i terreni con un mezzo che sia diverso da quello del bacino, con un mezzo che non può essere costituito altro che dall’arginatura del corso del Tirso, ed anche del corso dei suoi affluenti, le cui piene, se pure di minore importanza, sono più numerose ed egualmente dannose.

Questo, per la soluzione che noi prospettiamo. In quanto al passato ed alle accuse che si sono mosse da varie parti, e si muovono anche con questa interrogazione, al comportamento della società ed alla mancata applicazione dell’articolo 30 del disciplinare della concessione del 17 marzo 1914, devo rispondere che l’applicazione di questo articolo non è possibile. Il disciplinare stesso contempla infatti la decadenza della concessione quando, durante il periodo dell’esercizio, non venisse sufficientemente curata la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’opera, per modo da correre pericolo cose e persone, oppure quando l’esercizio del serbatoio e servizi attinenti all’agricoltura e all’industria dovesse risultare così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti di pubblico interesse.

Il Ministero dei lavori pubblici, concessionario, ed al quale spetta fare osservare la concessione, ha giustamente osservato che il funzionamento della diga avviene sotto il controllo del Genio civile, il quale nessun rilievo ha presentato in proposito, e soggiunge che le inondazioni lamentate nel decorso anno sono dovute esclusivamente all’annata con andamento intensamente piovoso, torrentizio, eccezionale in modo che il bacino non è causa di queste inondazioni stesse, che sono prodotte invece dal naturale svolgimento della stagione. Ritengo perciò che senza voler prevedere quali possono essere i risultati dei lavori della Commissione nominata, che ha già iniziato lo studio della questione, Commissione sulla quale non vogliamo influire in nessun modo, la soluzione della questione si debba trovare nelle linee che ho già indicate, cioè arginare i fiumi le cui inondazioni provocano notevoli danni, i quali oggi sono contenuti in limiti modesti in quanto il terreno rivierasco è a coltura estensiva, ma che sarebbero ingentissimi, e che è necessario evitare, quando il terreno stesso fosse adattato a coltura intensiva; estendere con la massima intensità, contemporaneamente, le opere di irrigazione perché è certo che il beneficio che si ricava dall’utilizzazione delle acque del Tirso a scopo irriguo è incredibilmente più grande di quello che si potrebbe ricavare da qualsiasi altra utilizzazione. Non vi è confronto fra il benefìcio che può arrecare la diga del Tirso come regolatrice di piene e il benefìcio che le stesse acque possono arrecare utilizzandosi come irrigazione. Perciò fra le due soluzioni, nell’interesse generale collettivo, io ritengo che lo Stato debba perseguire l’opera già iniziata, in quanto, proseguendo quest’opera, si otterrà per la Sardegna un benefìcio grandissimo e, contemporaneamente, proseguendo gli argini si eviteranno i danni che si sono lamentati. Ritengo che questa sia la soluzione migliore da adottare; ma ad ogni modo, prima di proseguire in questa strada, il Ministero attende le decisioni della Commissione che non si faranno aspettare ancora a lungo perché il lavoro della Commissione stessa è stato già iniziato.

PRESIDENTE. Il Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare per la parte di sua competenza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. C’è un terzo punto dell’interrogazione dell’onorevole Laconi che può riguardare direttamente il Ministero dei lavori pubblici, là dove si domanda «come mai il Governo non ha ritenuto finora opportuno applicare l’articolo 30 del disciplinare del 17 marzo 1914 dichiarando la decadenza della concessione stessa, dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso e irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse».

Da quanto ha detto il collega onorevole Segni si può facilmente desumere come, di quanto avviene nel funzionamento del serbatoio, non si debba imputare in modo particolare la responsabilità completa alla Società concessionaria, la quale, per quanto riguarda gli uffici del Ministero – poiché gli organi periferici competenti non hanno fatto segnalazioni gravi a questo riguardo – ha rispettato le norme del disciplinare stesso. D’altra parte, devo ricordare all’onorevole Laconi quale è la dicitura precisa della clausola che riguarda l’eventuale decadenza della concessione, che bisogna tener presente in tutti i suoi termini per vedere se concorrono elementi per addivenire a quello che egli domanda nella sua interrogazione, e cioè: «la decadenza può essere decretata quando durante il periodo di esercizio non venisse sufficientemente curata la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere, per modo da far correre pericolo alle cose ed alle persone e da far prevedere che, rinviando la scadenza della concessione, dovesse essere restituita allo Stato con un forte deprezzamento»: circostanze queste che, secondo i dati a nostra disposizione, non si sarebbero verificate. Il successivo paragrafo 4 prevede anche la decadenza quando l’esercizio del serbatoio e dei servizi attinenti alla agricoltura, all’industria e ad usi civici dovesse risultare così difettoso da richiamare provvedimenti di pubblico interesse. Per quel che riguarda la competenza del mio Ministero devo dire all’onorevole Laconi che il funzionamento avviene sotto il controllo del Genio civile il quale non ha lamentato nulla di grave che possa dar luogo al provvedimento sollecitato dall’onorevole Laconi.

D’altra parte, le doglianze dell’onorevole Laconi, se fondate, non dovranno rimanere insoddisfatte; ed io stesso, non appena ho preso visione della sua interrogazione, mi sono dato cura di richiedere agli uffici competenti della Sardegna dati ed elementi che mi consentano di meglio approfondire la questione e di portare a disposizione dell’onorevole Laconi e di chiunque vi abbia interesse quei risultati che potranno derivare da queste indagini.

Comunque, noi attendiamo che la Commissione, di cui parlava testé l’onorevole Segni, ci dia le sue risultanze, le sue conclusioni, perché, in armonia con le medesime, si possano adottare quei provvedimenti che meglio rispondano agli scopi che hanno determinato l’interrogazione dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

LACONI. Io mi rendo conto del fatto che gli scopi che il Ministro dei lavori pubblici e il Ministro dell’agricoltura hanno attribuito alla creazione del bacino del Tirso non solo ricorrono fra quelli contemplati nel disciplinare del 1914 e nella legge del 1913, ma sono anche in se stessi apprezzabili e rispondono ad esigenze che ciascuno di noi è portato a riconoscere come giuste; però sta di fatto che l’articolo 1 del disciplinare stabilisce che la diga di sbarramento principale doveva essere costruita non soltanto in modo da rendere il serbatoio di trattenuta capace della quantità di acqua necessaria agli usi industriali ed all’irrigazione, ma anche in modo da rappresentare un argine tale da servire come raccolta delle acque del Tirso. Evidentemente, nel disciplinare e nella legge tra gli scopi, sia pure non tra i principali, che ci si proponeva con la creazione della diga, era contemplato anche quello di impedire o limitare le inondazioni.

Ora se andiamo a vedere cosa è accaduto in realtà, da quando la diga è stata creata, constatiamo che non solo il bacino non ha esercitato questa funzione, ma la situazione si è aggravata subito dopo la costituzione del bacino, almeno per quanto riguarda questo, che avrebbe dovuto essere uno degli scopi, sia pure secondari, della costruzione della diga.

Prima della costruzione, le inondazioni del Tirso erano di breve durata, 24-36 ore. Dopo la costruzione del bacino, siamo giunti ad avere nel 1934 fino a 27 giorni di inondazione; il che dimostra che almeno uno degli scopi, per cui il bacino è stato creato, non è stato in nessun modo raggiunto.

Io prendo atto delle dichiarazioni del Ministro dell’agricoltura, per quanto riguarda i provvedimenti che egli ha inteso di prendere per la costruzione delle arginature.

Ho però qualche dubbio su questa soluzione, in quanto è anche a conoscenza del Ministro dell’agricoltura che in Sardegna, soprattutto negli ambienti tecnici, si avanzano serie riserve sulla efficienza di queste opere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Dubbi interessati.

LACONI. Lo credo. Ma sta di fatto che ci sono interessi diversi e contrapposti, come il Ministro dell’agricoltura sa bene. In genere, chiunque parli di queste cose rispecchia uno degli interessi.

UBERTI. Allora lei rispecchia degli interessi.

LACONI. Non lo nego; ed all’inizio di questa mia risposta precisavo che di fatto vi sono scopi diversi, egualmente perseguiti attraverso la costruzione del bacino, e tutti apprezzabili.

Il fatto è che il bacino non può rispondere a tutti questi scopi e non possiamo chiudere gli occhi dinanzi ad una situazione così grave, come quella verificatasi quest’anno.

A me spiace che il Ministro dell’agricoltura sia andato soltanto in luglio.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Sono andato in luglio, in aprile e in dicembre.

LACONI. Ricordo che quando ella visitò il Campidano di Oristano in aprile, vi era il diffuso desiderio tra quelle popolazioni, che ella visitasse le zone colpite, desiderio che non ebbe soddisfazione. Io stesso, che invece visitai quelle zone in quel periodo, ebbi modo di rilevare uno dei difetti fondamentali delle arginature. I terreni del cosiddetto «bennaxi» sono così sabbiosi, che permettono penetrazioni, ben oltre gli argini. Ho visto io stesso oltre l’argine l’acqua riaffiorare.

Questo è uno dei motivi, che rendono problematica la soluzione; ve ne sono anche altri, i quali portano a pensare che la questione sia di difficile soluzione e che la proposta del Ministro dell’agricoltura non sia tale da sodisfare le esigenze degli agricoltori della zona.

Spero, comunque, che la Commissione nominata sia in grado di trovare la soluzione che risponda agli interessi di tutti.

L’onorevole Ministro non ha precisato come questa Commissione sia composta.

SEGNI. L’ho detto; lo ripeterò.

LACONI. Per quanto riguarda la decadenza eventuale dalla concessione, io non credo che le obiezioni portate dal Ministro dell’agricoltura e dal Ministro dei lavori pubblici siano persuasive, in quanto tutto dipende dalla interpretazione che si dà al disciplinare, e se si ammette che uno degli scopi per i quali il bacino fu costruito era quello di regolare le piene del Tirso, mi pare evidente che, non essendo stato questo scopo raggiunto ed occorrendo per raggiungerlo l’intervento dello Stato, resta dimostrato, almeno sotto questo aspetto, che il funzionamento di queste opere non è stato quello che ci si proponeva nel momento in cui esse furono costruite.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Ho già detto, e mi duole che l’onorevole Laconi non abbia sentito, che la Commissione è composta da Giandotti e Malacarne, idraulici di grande valore, e dal professore Passerini, agrario di provato valore.

In quanto alla questione di merito, essa secondo me si deve risolvere indiscutibilmente nel senso che ho detto, perché se anche fosse esatto, e non ci fossero altri modi di riparare ai danni che avvengono nel «bennaxi» di Oristano e riguardanti un migliaio di ettari sempre lasciati a pascolo ed appartenenti a alcuni grossi proprietari di Oristano, cioè anche se dovessero essere sacrificati, mi pare che varrebbe la pena che essi fossero sacrificati per salvare la restante zona della pianura. Tuttavia affermo che questo sacrificio non vi sarà, tanto più che questo fenomeno, verificatosi quest’anno, si verifica solo negli anni di massima piena, ogni 12-13 anni. È un fenomeno che possiamo studiare e per il quale possiamo trovare soluzioni, anziché sacrificare la restante zona della pianura. Ci potranno essere dei drenaggi e gli idrovori occorrenti, ma ritengo che sia assolutamente da non seguire la strada per la quale, a causa di una piccola zona soggetta non alle esondazioni, ma ad asserite infiltrazioni attraverso la diga, si debba invece sacrificare la restante zona, che, come ho constatato nelle mie visite, non è soggetta ad infiltrazioni, ma è protetta dalle dighe stesse, irrigabile e destinata ad una profonda trasformazione tecnica e sociale che desideriamo vivamente sia realizzata al più presto possibile.

Non voglio precorrere il giudizio dei tecnici ai quali ci siamo affidati. Dopo questo giudizio, che certamente non tarderà molto, intendiamo proseguire la strada che i tecnici stessi ci consiglieranno.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Salerno, Persico, Ruggiero Carlo, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere quali provvedimenti di urgenza intenda adottare per far fronte alla grave e allarmante disoccupazione di Napoli e della regione campana».

Sullo stesso argomento, l’onorevole Mazza ha presentato la seguente interrogazione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per combattere il tragico problema della disoccupazione nella provincia di Napoli».

L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere a entrambe le interrogazioni.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Anzitutto, circa l’affermazione che nella regione campana ed a Napoli si manifesterebbe particolarmente grave il fenomeno della disoccupazione, posso assicurare gli onorevoli interroganti che il fenomeno stesso, per quanto riguarda ad esempio l’intera regione campana (esclusa la provincia di Napoli) non si presenta in condizioni più gravi di come si presenta nell’intero territorio della Repubblica. La cosa non si può affermare invece se includiamo – come la geografia impone di includere – nella regione campana anche la provincia di Napoli; e naturalmente la gravità aumenta se prendiamo in considerazione esclusivamente il territorio della provincia di Napoli. Sono in grado di fornire dei dati a questo proposito.

Rapportato all’intera popolazione italiana, il numero dei disoccupati iscritti nelle liste degli uffici di collocamento, esso si può ragguagliare a circa il cinque per cento. Debbo però aggiungere, come dimostrerò, che dette liste sono piuttosto pletoriche. Ora lo stesso rapporto per l’intera regione campana è del 6 per cento. Per la sola provincia di Napoli si va dal 7 all’8 per cento. Naturalmente, debbo anche avvertire, come ho richiamato poc’anzi, che questi rapporti sono poco attendibili, soprattutto perché le liste dei disoccupati iscritti negli uffici di collocamento sono pletoriche. E ciò, per quanto riguarda Napoli, posso dimostrare immediatamente. Fin dal mio arrivo al Ministero mi sono preoccupato, forse perché vecchio studioso di statistica, di arrivare a qualche dato più attendibile di quelli correnti sui giornali o nei bollettini ufficiali, ed ho predisposto una revisione delle liste dei disoccupati. Ora, la revisione fatta per Napoli ha portato a questi risultati: i 91 mila iscritti nelle liste di disoccupazione al 31 luglio, al 10 settembre sono ridotti a 41 mila, ed una ulteriore verifica di questi 41 mila ha portato, per le cifre finora verificate, ad una ulteriore riduzione del 5 per cento. Si noti che non si tratta di un fenomeno particolare a Napoli o alla provincia di Napoli. Revisioni del genere, compiute nelle maggiori città italiane, ed anche nelle provincie agricole, hanno portato a risultati comparabili a quelli ottenuti per la provincia e la città di Napoli.

Occorre tener presenti questi dati per non essere indotti dalle cifre pubblicate dai giornali o anche nei bollettini ufficiali a manifestare delle preoccupazioni che, in base a queste cifre, diverrebbero ingiustamente gravissime.

Ad ogni modo, debbo aggiungere che esaminando l’andamento delle cifre e dei dati relativi alla disoccupazione per la provincia di Napoli e per la Campania, negli ultimi mesi si notano dei sintomi notevoli di diminuzione. Per i marittimi si nota già, fin dal mese di maggio, una notevole diminuzione del 20 %, sicché oggi la cifra dei marittimi disoccupati nella provincia di Napoli raggiunge forse appena le 9.000 unità. Per quanto riguarda l’agricoltura, non raggiungiamo le 6.000 unità; mentre, ripeto, notevole e grave è il fenomeno per quanto riguarda soprattutto le industrie.

Ora, di fronte a questa situazione che cosa ha fatto il Governo e che cosa si propone di fare? Questa è la sostanza dell’interrogazione rivolta dall’onorevole Salerno e da altri onorevoli colleghi. Per quanto riguarda il tentativo di aumentare l’occupazione nel territorio stesso della provincia di Napoli, il Governo ha preso una serie di provvedimenti nei mesi scorsi ed ha continuato a prenderli in questi ultimi mesi. Ad esempio, ha esteso alla provincia di Napoli l’integrazione dallo zero alle quarant’ore per i pastai e per i navalmeccanici e quindi ha provveduto a 126.000 integrazioni per oltre duecento milioni di lire. In più, ha preso accordi con l’«Ansaldo» di Pozzuoli e l’«Ilva» di Bagnoli per l’assunzione di nuovi contingenti di reduci. Ha promosso, altresì, su richiesta dei partigiani e dei reduci, ispezioni presso le varie ditte ed uffici pubblici per eliminare gli occupati che non ne avevano bisogno e sostituirli invece con i disoccupati che avevano urgente bisogno di guadagnare.

Anche per quanto riguarda Napoli si è perseguito l’indirizzo già in vigore nelle altre provincie italiane, quello cioè di tentare di qualificare o di riqualificare la mano d’opera, che non può essere assorbita in un determinato settore, per avviarla in un altro settore. Così, ad esempio, proprio nella provincia di Napoli si sono svolti 32 corsi per oltre 6.000 operai che cercavano un altro titolo di qualificazione professionale più favorevole alla loro occupazione.

In materia di lavori pubblici, posso assicurare che i lavori messi in atto fino al mese di luglio hanno consentito in Napoli l’occupazione media giornaliera di 20,661 unità.

I lavori ferroviari hanno consentito di assorbire, e tuttora assorbono, cinquemila unità. Inoltre l’Amministrazione ferroviaria ha ordinato alle varie officine e stabilimenti di Napoli e provincia 2450 carri ferroviari, di cui finora sono stati consegnati soltanto 157 carri ferroviari. Il che consente di dire che le ordinazioni dell’Amministrazione ferroviaria garantiranno anche per i prossimi mesi un notevole assorbimento di mano d’opera.

Per quanto riguarda poi le erogazioni del già Ministero dell’assistenza post-bellica ed oggi del Ministero del lavoro agli enti e cooperative che provvedono all’avviamento al lavoro di disoccupati e reduci, posso dire che dal marzo al 15 settembre tali erogazioni sono ascese a sette milioni di lire. Queste le provvidenze che finora sono state prese.

Per quanto riguarda il prossimo futuro sono in corso di appalto 130 opere pubbliche per oltre due miliardi di importo. E questi lavori predisposti dal Ministero dei lavori pubblici occuperanno 1500 operai, di cui 1000 nella sola Napoli. Inoltre, sempre a cura dell’Amministrazione dei lavori pubblici, sono state predisposte costruzioni, che verranno presto iniziate, di case popolari per oltre un miliardo, con impiego per interi dodici mesi di 1400 operai.

L’Amministrazione ferroviaria ha disposto altresì il prossimo inizio della costruzione di fabbricati per i servizi accessori della stazione di Napoli per un importo di 107 milioni.

In base al recente decreto sulla massima occupazione in agricoltura, si è potuto calcolare da esperti del Ministero del lavoro, che altre 6000 unità entreranno ad essere occupate nei prossimi mesi.

Infine, interrogato il Ministero dell’agricoltura, si è potuto accertare che esso ha predisposto una serie di bonifiche per tutta la Campania per un importo di alcuni miliardi di lire; ed altresì ha già predisposto un piano per il finanziamento di opere di trasformazioni fondiarie, in base alla legge del luglio 1946 per 250 milioni.

Nel settore della marina mercantile si è adottato il criterio di dirottare il massimo numero di piroscafi al porto di Napoli. Sicché nell’ultimo periodo sono affluiti a Napoli cinque piroscafi di carbone e cinque di cereali con possibilità di impiego, di cui si è avuto un benefico, effetto nei riguardi della disoccupazione dei marittimi.

Sempre a cura del Ministero del lavoro è già stata disposta l’apertura di due nuovi piccoli stabilimenti per le lavorazioni assistenziali. L’apertura sarebbe già avvenuta, ove l’U.N.R.R.A. avesse predisposto la concessione dei tessili necessari. Ma sono in condizione di potere affermare che l’apertura è prossima.

Per andare incontro alla disoccupazione nel settore auto-filo-tramviario in Napoli, su richiesta della stessa azienda, il Ministero del lavoro ha predisposto il finanziamento di un corso per 300 allievi della durata di 4 mesi.

Questo per quanto riguarda l’occupazione all’interno.

Naturalmente esiste un’altra possibilità, sebbene più scarsa, dell’avvio di lavoratori disoccupati in territorio straniero.

A questo proposito, per quanto riguarda le provincie campane, sono espatriati in questi ultimi mesi per la Francia 597 unità; per il Belgio 541; per Cecoslovacchia 115; per la Svezia 25; per la Svizzera 136; per l’Argentina 25.

Sono in partenza 245 per la Francia e 400 per l’Argentina. Sicché un totale di altre 640 unità. Però debbo notare una cosa: che la popolazione disoccupata delle provincie campane non dimostra particolare disposizione ad approfittare di queste possibilità, tanto è vero che non tutti i posti che sono stati messi a disposizione dall’ufficio del lavoro sono stati occupati. Ad esempio, faccio il caso della Svizzera: il Ministero del lavoro ha messo a disposizione per la provincia di Napoli e per Napoli 205 posti per emigranti in Svizzera; questi 205 posti, in qualsiasi altra provincia d’Italia sarebbero andati, per così dire, a ruba; a Napoli solo 163 disoccupati ne hanno profittato.

La Svezia ha offerto all’Italia il mercato migliore in fatto di occupazione di mano d’opera per i paesi stranieri. Ebbene, dei 90 posti messi a disposizione per la Svezia, i disoccupati napoletani hanno approfittato soltanto per 25 posti. Quando si dice che i disoccupati napoletani nel settore dell’industria sono 55 mila, si resta un po’ perplessi e ci si domanda quale possa essere lo stato psicologico che si oppone a che usufruiscano di questa valvola, per quanto piccola essa sia, di sfogo della disoccupazione.

Lo stesso ragionamento si può fare per la Cecoslovacchia, dove di 229 posti messi a disposizione ne sono stati usufruiti solo di 115.

Comunque, tenendo conto di un fatto, che la popolazione napoletana dimostra una forte propensione e simpatia all’emigrazione in Argentina (mi sono pervenute per questo oltre 12 mila domande) ho disposto che il prossimo contingente di emigrazione per l’Argentina di 400 unità in partenza nei primi di ottobre, sia interamente dedicato alla provincia di Napoli.

Naturalmente questo non potrà essere continuato, almeno fino a quando l’emigrazione verso l’Argentina cessi di avvenire con quello stillicidio in cui avviene attualmente, per diventare un’emigrazione vasta, capace di assorbire la totalità degli aspiranti.

Per quanto riguarda il settore dell’assistenza ai disoccupati, devo far presente che è stato predisposto un accordo speciale per l’integrazione a benefìcio dei pastai e dei lavoratori dell’arte bianca in genere, il quale accordo riguarda ed interessa 8.820 operai, la quasi totalità dei disoccupati in questo settore.

D’altra parte, devo anche far presente che dal 15 settembre è entrato in vigore il decreto che predispone l’aumento del sussidio di disoccupazione da 50 a 200 lire, oltre l’indennità di caropane, e l’indennità quadruplicata per i figli e per i famigliari a carico. Questi sono i dati che sono in grado di mettere a disposizione dell’onorevole interrogante. Devo, per completare, informare che a cura del Ministero del lavoro da due mesi un’apposita Commissione di esperti e studiosi sta predisponendo un piano per la massima occupazione e specialmente invernale. Non credo oggi di fare anticipazioni specifiche per quanto riguarda Napoli, però il rapporto stesso considererà alcuni lavori cui ho già accennato, parlando delle opere predisposte dal Ministero dei lavori pubblici e dal Ministero dell’agricoltura per un importo complessivo che si fa ascendere a 5/6 miliardi, da iniziarsi nel prossimo inverno a favore dei disoccupati di Napoli e della sua provincia.

PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALERNO. Io non posso davvero dichiararmi sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro del lavoro, di cui apprezzo le ottime intenzioni, ma i cui dati sono, per lo meno, in conflitto con i dati provenienti dagli stessi uffici che si occupano di questa materia

La mia interrogazione non è frutto né di fantasia, né del desiderio di provocare un qualsiasi dibattito a vuoto, ma è il prodotto di sollecitazioni che vengono da uffici i quali studiano proprio questa desolata materia della disoccupazione. Ho qui, in data 9 settembre, un ordine del giorno della Commissione di collocamento di Napoli presieduta da un rappresentante dell’ufficio regionale del lavoro, il quale incomincia con queste parole: «Premesso che la situazione della disoccupazione nella città e nella provincia di Napoli diventa ogni giorno più grave e insostenibile, che in questi giorni, nella sola città capoluogo, ben 43.000 disoccupati si sono presentati, pur essendo in un periodo di lavori stagionali… ecc.». È bene a conoscenza dell’onorevole Ministro che tali lavori stagionali normalmente assorbono molta mano d’opera e fanno scendere al minimo il livello della disoccupazione, onde reputo superfluo proseguire nella lettura. Da queste parole, onorevoli colleghi, comprenderete quanta ragione io abbia di essere veramente allarmato della situazione di Napoli.

Ma l’onorevole Ministro del lavoro non ignora altresì che la Prefettura di quella città – Prefettura il cui titolare, con nostro rammarico, è scomparso proprio ieri, ed era un uomo che del problema della disoccupazione si era sempre occupato in modo veramente efficace e consapevole – la Prefettura di Napoli, dicevo, in data 15 agosto, sollecitava tutti i Ministeri perché avessero preso in considerazione il problema della disoccupazione, che se è veramente il problema più drammatico per tutte le regioni che hanno sofferto la guerra, è però un problema che non si può non definire pauroso per la provincia di Napoli, nonostante le auree cifre di cui l’onorevole Ministro ci ha gratificati.

Ebbene, la stessa Prefettura faceva rilevare che, mentre in data 31 dicembre la disoccupazione aveva raggiunto il livello di 135 mila unità, al 31 luglio tale cifra era salita a ben 185 mila unità, aveva registrato cioè ben 50 mila unità di aumento. Se pertanto siamo tutti d’accordo nel ritenere che si debbano reclamare provvedimenti per ovviare a questa situazione, che è certamente grave in tutta l’Italia, non è difficile riconoscere come la situazione abbia assunto, per quello che riguarda Napoli e Provincia, il carattere di un vero e proprio fenomeno preoccupante.

Infine, alla mia precedente obiezione, che cioè le cifre presentate dall’onorevole Ministro siano state in precedenza un po’ ritoccate, mi permetto di aggiungere quello che è il frutto della mia modesta esperienza: creda l’onorevole Ministro che i nostri uffici sono assaliti ogni giorno da una vera massa di disoccupati che si accontenterebbero di accettare qualsiasi lavoro pur di risolvere l’angoscioso problema.

È perciò che io sono rimasto alquanto stupito quando l’onorevole Ministro ha osservato che i napoletani non desiderano di emigrare: ma Napoli è stata sempre la fonte dell’emigrazione! E ben se ne comprende la ragione: la ragione è che ivi le condizioni sono sempre state pessime, peggiori comunque che nelle altre parti d’Italia. Si tratta, onorevoli colleghi, di cause remote; e fra esse primeggia la scarsezza delle nostre industrie le quali non hanno evidentemente la possibilità di assorbire la mano d’opera nella misura che sarebbe adeguata al bisogno. Industrie poi che, non bastando la abituale scarsezza, sono state anche decimate per effetto dello sfacelo che è seguito alla guerra, cosicché quella poca mano d’opera che veniva precedentemente occupata, si trova oggi anch’essa sul lastrico.

Io non metto in dubbio, onorevole Fanfani, che i dati da lei addotti le siano stati effettivamente riferiti: ma mi permetto di opporre ad essi i dati che anche a me sono stati presentati. Potrà confermarle il suo collega dei lavori pubblici, il quale si mostra anch’egli sollecito del problema, sebbene qui ci vogliano fatti e non più parole, potrà confermarle, dicevo, che un miliardo e dispari è stato investito in opere pubbliche, il cui espletamento, però, volge alla fine, sicché si potrebbe andare avanti al massimo per altri tre o quattro mesi. Lei mi fa cenno di no, onorevole Fanfani; me lo auguro; non desidero altro che si realizzi quello che lei dice, ma purtroppo oggi, per quanto mi si informa, le prospettive future sono poco rosee, perché siamo al termine dei lavori in corso e dopo ci sarebbero piccole, modeste costruzioni, le quali, anche se si possono considerare tali da assorbire una certa mano d’opera, non sono, però, sufficienti ad assorbire tutta l’enorme massa di disoccupati che si trova in Napoli e nella provincia di Napoli.

Io vorrei pregare in ogni caso il Governo di considerare con un senso di maggiore organicità questo problema napoletano, e dirò anche della Regione campana, perché non è esatto che la disoccupazione esista solamente a Napoli. Io potrei presentare il «dossier» che mi ha fornito il sindaco di Capua – che non è più la città degli ozî, almeno degli ozî comodi di una volta, ma forse è la città degli ozî… forzati – dove vi era un cosiddetto «pirotecnico», un’importante fabbrica di cartucce, la più grande fabbrica della zona, che oggi purtroppo non produce più. Se lei leggesse, onorevole Ministro, quali sono le condizioni delle maestranze di Capua, che non è provincia di Napoli, ma è Campania, si accorgerebbe che anche nella provincia di Caserta vi è una grande quantità di mano d’opera che invoca pane e lavoro.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Salerno!

SALERNO. Concludo, signor Presidente, invocando che i lavori pubblici siano intensificati e che le imprese private siano messe in condizioni di lavorare. Vi è una legge, cosiddetta del «sesto», e mi pare del febbraio 1947, secondo la quale un sesto dei lavori commissionati per conto dello Stato dovrebbe essere affidato alle imprese e alle industrie del Mezzogiorno. Ma purtroppo questo decreto è rimasto per aria. La Camera di commerciò di Napoli ha pregato, ha sollecitato che a questo decreto si aggiungesse un regolamento, che rendesse veramente applicabile la disposizione, ma il regolamento non è venuto e la norma è rimasta quasi lettera morta. Il sesto non è attribuito. Vi sono infine tante industrie, tante imprese private, come quella per la trasformazioni delle terme di Castellammare di Stabia o per la trasformazione del Matese, che hanno bisogno di incoraggiamenti da parte dello Stato, e lo Stato non può sottrarsi al dovere di intervenire.

Il Governo, consapevole della situazione di grave disagio in cui si trova Napoli e la provincia, checché dicano le belle cifre, faccia il possibile perché la mano d’opera venga assorbita.

Ancora una preghiera, ed ho finito. Vi è un decreto che stabilisce l’assunzione obbligatoria dei reduci, dei combattenti. Come ella sa, onorevole Ministro Fanfani, la quantità maggiore di disoccupati è costituita proprio da reduci, partigiani, ex-prigionieri. Si era stabilito di far assumere una certa percentuale, un’aliquota di questi reduci; però si è fissata una sanzione che è irrisoria, perché, se non sbaglio, si tratta di 2.000 lire. E allora si comprenderà che tanti imprenditori, che tanti datori di lavoro in genere, preferiranno pagare duemila lire di penalità, anziché assumere questi disoccupati. Le associazioni combattentistiche hanno fatto, credo, anche a lei, onorevole Ministro, delle pressioni, perché si elevi almeno la penalità, in modo che la sanzione sia una sanzione seria, che imponga veramente al datore di lavoro questo compito sociale. Si raccolga, e subito, tale suggerimento!

In fondo, non esigo certo che un problema di questa imponenza si risolva con una interrogazione; non posso reclamare dal Governo provvedimenti istantanei, ma il mio scopo è di mettere a punto l’angoscioso argomento della disoccupazione, che esiste ed è grave, in modo da sganciarlo anche da qualsiasi speculazione politica, e farne un problema di umanità, di giustizia e di lavoro, quale esso veramente è. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. Onorevole Presidente, non voglio correre il pericolo di annoiare i colleghi presenti, e poiché l’onorevole Salerno ha esposto la situazione di Napoli, io mi permetterò di fare soltanto delle osservazioni, di ordine pratico, soprattutto approfittando del fatto che i banchi del Governo sono stranamente affollati, e quindi ho il piacere di vedere il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro dell’agricoltura. Parlerò a nuora, perché suocera intenda.

Per Napoli, a parte il fatto che la legge del sesto non viene quasi mai rispettata, posso anzi dire che quando viene rispettata succede un altro fenomeno. Il Ministro Corbellini oscilla con la testa per dirmi che per i trasporti viene rispettata. Sì, viene rispettata, però succede quest’altro fatto: che le nostre industrie non riescono ad avere le materie prime necessarie per approntare i lavori richiesti. Quindi, come ha detto l’onorevole Fanfani, noi dobbiamo approntare duemila vagoni ferroviari, ne abbiamo preparati duecentocinquanta e non abbiamo materie prime.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. In settembre ci saranno.

MAZZA. Speriamo nel prossimo settembre! In genere la salute rifiorisce sempre in settembre!

Ma c’è anche un’altra osservazione che riguarda un po’ l’impostazione che in genere noi meridionali diamo al problema. E questo problema, specialmente noi di Napoli, lo poniamo come un problema di giustizia, come un problema di remunerazione dei danni che Napoli ha subito e delle nostre sofferenze.

Io credo invece che il Governo debba porsi questo problema come un problema di saggia amministrazione, perché è impossibile che il Governo dimentichi che ci sono delle zone dove la produzione deve essere intensificata e degli stabilimenti da far lavorare per poter dare lavoro agli operai.

Il collega Salerno chiedeva in nome di tutte le sofferenze di Napoli. Io dico invece che è dovere del Governo di amministrare saggiamente e di dare ugualmente lavoro a tutte le provincie. Per esempio, succede questo fenomeno: che al Nord sono stati pagati almeno per il 50 per cento i danni subiti, mentre da noi questo non è successo (Commenti).

Una voce. Hanno dato degli acconti.

MAZZA. Non solo hanno dato degli acconti, ma si è verificato il fatto che industriali del Nord, prima della liberazione, si son fatti pagare i danni di guerra. È vero o no? Io lo domando a voi.

Una voce. In parte sì. Saranno stati tredici miliardi.

MAZZA. Saranno tredici miliardi, non so, ma per Napoli si è verificato che i nostri industriali attendono ancora il pagamento delle commesse effettuate prima del 1943. Aspettano ancora!

I provvedimenti che il Ministro dell’agricoltura ha promesso e che il Ministro Fanfani ha garantito, per esempio, non sono ancora praticamente attuati. Credo che bisognerà aspettare l’altro settembre, non questo, per vedere iniziare la bonifica campana.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. No, si sta lavorando, in Campania e in altre Regioni. Proprio l’altro ieri ho assegnato al Sele circa 400 milioni.

PRESIDENTE. Ad ogni modo, non divaghiamo, onorevole Mazza, perché vi sono ancora altre interrogazioni da svolgere.

MAZZA. Ho finito. Ho soltanto un’altra richiesta da fare al Ministro Fanfani. Vorrei chiedergli di rivolgere al Ministro delle finanze questa preghiera: se è possibile, per stimolare l’iniziativa privata, per stimolare la costruzione di case (perché noi siamo senza case), di fare come si è fatto per la città di Roma: cioè, dare l’esenzione dal pagamento dei tributi sui fabbricati per i prossimi 25 anni, onde spingere la gente a costruire, per dar lavoro ai manovali e case ai senzatetto, perché a Napoli, nella galleria Vittoria, sebbene un solo inquilino, ma c’è ancora un inquilino.

Ho fatto queste osservazioni così come sono venute. Non ho nessuna speranza che esse saranno ascoltate, ma chiedo scusa al Presidente e all’Assemblea e spero nel prossimo settembre! (Applausi).

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vorrei assicurare l’onorevole Salerno che i suoi dati sono meno esatti dei miei, e la ragione la dico subito: egli li ha attinti ad un ordine del giorno, mentre io li ho attinti invece a registri ed elenchi dei singoli uffici del lavoro. Se l’onorevole interrogante avesse attinto i suoi dati alla mia stessa fonte avrebbe potuto constatare la loro esattezza. Aggiungo che se l’onorevole Salerno crede ai dati relativi alla disoccupazione attinti all’Ufficio del lavoro, deve altrettanto credere, per non cadere in contradizioni, ai dati relativi all’emigrazione. Ora, i dati relativi all’emigrazione dicono che una parte dei disoccupati napoletani non intende andare in Svizzera, in Svezia, ecc.

SALERNO. Temo che non si faccia una sufficiente pubblicità. Gli operai vogliono emigrare.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli: Franceschini, Lizier, Ferrarese, Baracco, Ponti, Carbonari, Fantoni, Valmarana, Schiratti, Rapelli, Alberti, Rumor, Giacchero, Cappelletti, Uberti, Micheli, Sartor, Tessitori, Del Curto, Giordani, Guerrieri Filippo, Dominedò, Moro, Firrao, Valenti, Stella, Bastianetto, Monticelli, Tosato, Balduzzi, Cappugi, Fabriani, Bellato, Burato, Marzarotto, Cremaschi Carlo, Biagioni, Gortani, ai Ministri dell’agricoltura e foreste, dell’industria e commercio e del commercio estero, «per conoscere se e come intendano fronteggiare il gravissimo pericolo che incombe sulla cultura e sull’industria della seta. Il prezzo dei bozzoli è infatti sceso quest’anno, sul mercato interno, a un terzo o poco più di quello dell’anno scorso, e cioè ad una quota del tutto inadeguata e tale da rendere prevedibile con quasi assoluta certezza l’abbandono della coltura del baco da seta e la sostituzione dei gelsi nelle campagne. La cessazione della bachicoltura in Italia – che dopo il Giappone è stato ed è tuttora il paese più intensamente sericolo – oltre che troncare un nobile ramo dell’esportazione nazionale che, se aiutato, potrebbe ancora riprendersi e rifiorire, sarebbe di irreparabile danno a grandi masse di lavoratori (contadini e donne filandiere soprattutto specie nelle regioni maggiormente produttrici, quali il Veneto e la Lombardia). È, pertanto, necessario che il Governo si preoccupi con tutta urgenza di tale problema che interessa al vivo la stessa vita economica e sociale di numerose province».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. La questione del disagio dei produttori di bozzoli non è certo sfuggita al Ministero, ma la soluzione è tutt’altro che facile. Voglio ricordare come i bozzoli fossero soggetti ad ammasso obbligatorio, il che portava anche in sé una certa garanzia di prezzo; ma nel 1946 l’ammasso obbligatorio fu abolito su richiesta degli stessi produttori e subentrò ad esso una specie di ammasso volontario con certe garanzie di credito, che è stato praticato anche nella corrente campagna.

Questo sistema era di pieno gradimento ai produttori né ad esso può attribuirsi il tracollo dei prezzi, che è dovuto esclusivamente ad un fattore sul quale noi non possiamo in modo assoluto influire, cioè al tracollo dei prezzi internazionali della seta, che scesero da 23 dollari al chilo ad 8 dollari, il che spiega come i prezzi all’interno, dalle 430-450 lire nei mesi di agosto e settembre ed anche ottobre dell’anno scorso, discendessero poi a prezzi molto inferiori e si mantengano ora poco superiori alle 200 lire.

Come risolvere questa tragica situazione, tragica perché interessa centinaia di migliaia di famiglie che traggono dall’allevamento del baco le fonti della loro sussistenza?

I suggerimenti che ci sono stati dati dagli interessati sono di vario ordine, ma quelli attuati finora sono stati, nel campo degli scambi internazionali, diretti a migliorare il regime degli scambi stessi. Invece di ricorrere all’esportazione di valuta il Ministero del commercio estero ha disposto in via eccezionale delle compensazioni, le quali tendono a migliorare il prezzo dei bozzoli italiani. Senonché queste misure sono state in pari tempo annullate da una nuova discesa dei prezzi del mercato internazionale, in modo che la misura stessa è stata semplicemente sufficiente a mantenere i prezzi al livello precedente, impedendo un ulteriore tracollo.

Preoccupato di questa situazione, io ho convocato nella settimana scorsa una riunione di tecnici presso il mio Ministero, e ne ho raccolto le proposte. Queste proposte sono ora all’esame del Ministero del bilancio perché esse importano una esposizione – una garanzia, per lo meno – quindi un pericolo per il bilancio dello Stato. Attendo di conoscere con maggiore precisione i voti del Congresso di Treviso e quelli del successivo Congresso di Milano perché, esaminati questi voti, possa scegliersi una via. Finora da tutti gli studi compiuti ed i suggerimenti ricevuti, l’unica via suggerita è purtroppo quella di un premio o di una sovvenzione da parte del Tesoro dello Stato, sia essa in una forma particolare di cambio o in una forma di ammasso con garanzia del prezzo da parte dello Stato.

Questa formula importa delle conseguenze certamente gravi, ma che ancora non possiamo determinare. Essa, come dico, è allo studio; ma oltre il nostro interessamento, richiede l’esame di una complessa situazione finanziaria nazionale ed anche d’una situazione del mercato internazionale che non si può in questo momento definire. Assicuro però che tutto il Governo, compresi il Presidente del Consiglio che è stato investito della questione, il Ministro del tesoro, del bilancio e il Ministro dell’agricoltura, s’interessa di questa grave questione e farà tutti gli sforzi possibili per risolverla a favore delle popolazioni interessate, specialmente di quella veneta.

PRESIDENTE. Uno degli onorevoli interroganti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SCHIRATTI. Sono senz’altro persuaso che il Governo è compreso della gravità del problema sotto il profilo economico, che coinvolge una entità di prodotti da esportare per circa 16 miliardi, e sotto il profilo della natura del male che affligge questo settore della nostra produzione. Ma, dalla risposta che ha dato il Ministro dell’agricoltura, mi è parso che egli ritenga che l’attuale sia in prevalenza un male ciclico del campo della sericoltura. Se così fosse, sono perfettamente persuaso che i mezzi già approntati e quelli che egli dice essere allo studio potrebbero essere sufficienti a superare il malanno. Senonché, c’è un secondo aspetto e temo che sia quello vero: che il malanno di cui si soffre nel campo della bachicoltura sia un malanno di senilità. Il problema non credo si possa curare con dei calmanti, il cui effetto può essere immediato, ma limitato nel tempo, ma deve essere studiato se vi può essere un rimedio radicale se cioè il male della senilità, che può forse essere quello che affligge questo campo, sia guaribile con qualche cura Voronoff o altro.

Io sono persuaso che bisogna che approfondiamo un po’ l’indagine, onorevole Ministro, e che l’approfondiamo sia in rapporto all’interno che in rapporto all’esterno; approfondendola, verranno dei suggerimenti che mi permetterei di dare modestamente al Governo. Le condizioni esterne sono in definitiva dipendenti, condizionate e determinate da un mercato di produzione e da un mercato di smercio: Giappone, mercato di produzione; Stati Uniti, mercato di smercio.

Ora, noi, le vicende, le situazioni, gli atteggiamenti dell’uno e dell’altro mercato – quello di produzione, in nostra concorrenza, e quello di consumo – o non li conosciamo, oppure li conosciamo troppo in ritardo. E già il ritardo, influisce in maniera nefasta e grave sul nostro mercato e sull’atteggiamento dei nostri produttori e dei nostri industriali.

Penso che questi due mercati vadano sorvegliati in forma costante e permanente, non da rappresentanti di categorie o di interessi, ma da rappresentanti ufficiali.

Vede, onorevole Ministro: oggi che siamo in crisi, tutte le categorie interessate al ciclo bozzolo-seta sono unite, soprattutto nel premere sul Governo. Ma lei mi insegna che, nei tempi d’oro, queste categorie non erano altrettanto unite, anzi erano in forte contrasto. Ora, io ho un grande timore che, se questa osservazione tecnica sui due mercati viene fatta direttamente dalle categorie, del frutto di questa osservazione ne approfittino in prevalenza, i ceti più abili e più avveduti, cioè i ceti industriali, a detrimento dei ceti meno organizzati, quali sono quelli dei produttori.

Per questa ragione, se non dico un’eresia dal punto di vista della tecnica burocratica dello Stato, mi permetto di suggerire che questa osservazione venga fatta in forma ufficiale, con elementi addetti alle rispettive ambasciate.

C’è un problema di spesa; il Tesoro insorgerà; ma io sono dell’opinione che quanto si spende in questi osservatori, sarebbe compensato abbondantemente dal giovamento che ne avremmo.

Circa le condizioni interne, penso che si debba avere il coraggio, anche qui, di dire ai nostri interessati una parola franca; cioè, dire ai produttori che è giunto il momento, in cui bisogna abbandonare il bozzolo giallo per il bozzolo bianco; e bisogna fare questa propaganda; il giallo rende di più ed il contadino vi è più attaccato; il bianco rende di meno, ma trova molto più facile collocamento sul mercato internazionale. I coltivatori devono essere indirizzati verso questa via, per tentare di superare la crisi.

Per quanto riguarda gli industriali, mi pare che siamo in arretrato di 50 anni. Le nostre filande, se è vero quello che si dice, non sono all’altezza di concorrere con quelle giapponesi. Bisogna che gli industriali modernizzino i loro impianti, se vogliono essere in condizione di affrontare la concorrenza. Questo comporta impiego di capitali. Ma questi industriali della filatura, che hanno guadagnato in misura ingente negli anni scorsi, non dovrebbero avere riluttanza ad impiegare parte di quei guadagni nell’attrezzamento nuovo delle filande, per salvare se stessi e i produttori.

Per indirizzare tutta l’attività interna e quella esterna su questo binario, penso di suggerire al Ministero dell’agricoltura la costituzione permanente, in seno al Ministero stesso, di un Consiglio del ciclo bozzolo-seta, il quale possa validamente e tecnicamente fare quanto sia necessario sul campo interno e su quello esterno, per tentare di salvare tutto il ciclo da questa crisi, che può essere male di senilità.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Veroni, ai Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, «per sapere se sia eventualmente esatto che l’Azienda nazionale autonoma della strada – accampando infondate esigenze del traffico– si oppone, con gravissimo danno dei numerosi comuni interessati, al ripristino della linea tramviaria Albano-Velletri, reclamata insistentemente dalle popolazioni dei Castelli Romani così duramente provate dalla guerra».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Fin dal giugno ultimo scorso, per quell’amore che porto ai Castelli Romani come l’onorevole Veroni sa, mi recai sul posto, al ponte di Ariccia, per constatare di persona lo stato dei lavori e per vedere quanto fosse fondata l’opinione di coloro che precisamente facevano capo alla direzione dell’A.N.A.S., secondo la quale sarebbe stato opportuno che al momento in cui si fosse riaperto quel ponte al traffico, non vi si facesse in pari tempo scorrere la vecchia tramvia. Effettivamente quella considerazione ha un suo opportuno fondamento ed è in armonia con le necessità generali del traffico nelle pubbliche strade, che mal sopportano l’ingombro di linee tramviarie, come è facile a tutti noi di costatare.

Ecco perché i competenti, cioè i tecnici, si orientano verso una soluzione che dia sede propria alle tramvie e possibilmente sostituisca queste ultime con le filovie. Ma questo appartiene al campo degli studi e degli orientamenti, mentre qui si tratta di provvedere con una certa tempestività alle esigenze attuali del traffico su quel tratto di strada che comprende il ponte di Ariccia e le comunicazioni tramviarie tra Ariccia e Velletri. Ecco perché mi recai io stesso nel posto dove, tra l’altro costatai che il nuovo ponte aveva realizzato taluni miglioramenti su quello distrutto, grazie anche a un leggero allargamento ai due lati di esso. E allora, pur apprezzando il valore dei nuovi studi e dei nuovi orientamenti, sollecitai opportune intese col collega dei trasporti e potei dare le necessarie disposizioni perché, contemporaneamente all’apertura al traffico del nuovo ponte, anche la linea tramviaria fosse in grado di funzionare. Il che potrà avvenire entro il prossimo dicembre o – al più tardi – in gennaio.

Ringrazio, pertanto, l’onorevole Veroni per avere richiamato l’attenzione pubblica su questo argomento, e avermi offerto l’occasione di fugare ogni preoccupazione al riguardo. Possiamo, dunque, concludere che, al momento in cui il ponte sarà riaperto al traffico, anche la tramvia potrà riprendere il suo normale corso per collegare nuovamente tra di loro Albano, Ariccia, Genzano e Velletri, per tanto tempo a causa della guerra disgiunte.

Debbo però a questo punto informare l’onorevole Veroni e l’Assemblea che in località «Catena» di Genzano si è addivenuti alla rettifica di un punto della strada. Questa rettifica consiste, tra l’altro, in un elevato di terra da 0 a 15 metri e questo elevato richiederà qualche mese in più per consolidarsi e consentire che nel momento stesso in cui la tramvia rientrerà in funzione possa venire utilizzato. Ma questa circostanza non offrirà alcun motivo di ritardo all’esercizio della tramvia, essendo già intervenuti accordi tra il mio Ministero e la società concessionaria, nel senso di utilizzare nel frattempo il vecchio tracciato e corrispondere così pienamente alle legittime aspettative delle popolazioni interessate.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere per la parte di sua competenza.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Non ho nulla da aggiungere, solo posso dire che nel sistema filo-tramviario, che sarà collegato anche ai servizi extraurbani della capitale, noi dovremo fare un completo rinnovamento ed un completo studio, anche in relazione con la metropolitana, perché questi servizi siano più rapidi e più confortevoli in modo che si possa direttamente congiungere il centro di Roma con i suoi Castelli. Questo è un problema a lunga scadenza, che non si connette con quello attuale, ma che potrà essere studiato nel complesso del sistema dei servizi urbani ed extra urbani della capitale.

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VERONI. Sono lieto di aver determinato, particolarmente dal Ministro dei lavori pubblici, le autorevoli dichiarazioni testé fatte in questa pubblica Assemblea, poiché, come l’onorevole Ministro sa, recentemente si era diffusa la voce – ed essa rispondeva alla verità obiettiva – che non si intendesse ripristinare il tratto della nostra tramvia da Albano a Velletri, e ciò, perché, secondo l’Azienda della strada, il suo esercizio avrebbe ostacolato il traffico: in sua sostituzione di pensava ad istituire un servizio con filobus sul tratto Albano-Velletri, per il cui funzionamento tecnici autorevoli hanno previsto una spesa di moltissimi milioni e un tempo non inferiore a tre anni.

Le dichiarazioni dell’onorevole Tupini confortano le popolazioni dei Castelli romani, che recentemente in un adunanza di Sindaci, tenutasi a Genzano, elevarono alte le loro proteste per le difficoltà frapposte dall’Azienda autonoma della strada, contraria al ripristino della tramvia che è il mezzo tradizionalmente più comodo e più economico.

Siamo, perciò, sodisfatti delle dichiarazioni degli onorevoli Ministri dei L.L.P.P. e dei trasporti che ci hanno solennemente data l’assicurazione formale della riattivazione del servizio tramviario entro l’anno. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Giua, Murgia, Mannironi, Corsi, al Ministro dei trasporti, «per sapere se intenda prendere urgenti provvedimenti per ottenere che molti Comuni della Sardegna, ora completamente isolati, siano allacciati alle linee pubbliche automobilistiche».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. L’interrogazione è molto generica e, quindi, io non posso che rispondere genericamente, rimandando eventualmente a casi particolari risposte specifiche su singole comunicazioni. È fuori di dubbio che i paesi che non sono collegati coi capoluoghi, o che non hanno collegamenti diretti con le ferrovie, debbano essere serviti da servizi automobilistici.

La legge che stabilisce la concessione di questi servizi è una legge molto artificiosa, di cui tutti noi tecnici abbiamo notato le lacune. Essa è la legge del settembre 1939. Abbiamo già nominato una commissione per modificarla e per snellirla, sull’esempio di tutte le leggi che esistono negli altri Paesi del mondo che usano servizi di linee automobilistiche.

Comunque, anche per la Sardegna e con la vigente legge, noi non possiamo fare che delle concessioni, dietro domande dirette di società concessionarie che chiedano di effettuare questi servizi. Ora, se ci sono dei Comuni della Sardegna che possano trovare delle società esercenti che, nell’ambito delle leggi attuali, possano avere queste concessioni, noi siamo ben disposti a favorirle il massimo possibile. Posso dire, a titolo di esempio, che il 1° luglio 1946 avevamo 80 linee concesse nell’Isola, e che in quest’anno sono aumentate di 20, più altre sei per servizio operai che sono i servizi caratteristici che portano nei grandi centri di Sassari e di Cagliari.

Dopo questa interrogazione, ho dato subito disposizioni agli uffici competenti perché esaminino ancora le eventuali domande e sollecitino al riguardo i Compartimenti della motorizzazione della Sardegna, per vedere se ci possono essere altre comunicazioni che si possono attivare per migliorare i servizi di comunicazione fra i centri minori e i centri maggiori. Se vi saranno casi specifici saranno esaminati man mano che mi verranno segnalati.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MASTINO PIETRO. L’interrogazione che io presentai, e che adesso discuterò, è stata dall’onorevole Ministro definita generica, così come io potrei definire eccessivamente teorica e generica la sua risposta. Ma la genericità della interrogazione non ha impedito al signor Ministro di rispondere a quella che è veramente la sostanza della interrogazione stessa: vi sono dei Comuni completamente isolati, vale a dire privi di qualunque possibilità di mezzi di comunicazione o trasporto con altri Comuni, soprattutto non allacciati con le attuali linee automobilistiche pubbliche.

Il Ministro ha detto: «quando venissero indicati casi precisi, specifici, potrei intervenire».

A mio avviso l’intervento del Ministro dovrebbe essere diretto ad eliminare tutti gli inconvenienti di codesto genere; dovrebbe cioè essere diretto, con una disposizione generale, a far sì che i Comuni attualmente isolati cessino di esserlo.

Per quello che ne so io, attualmente si verifica questo: che lo Stato ha revocato, già da anni, i sussidi statali; allo stesso tempo ha bloccato le tariffe, di modo che le società che gestiscono linee automobilistiche esercitano solo quelle linee in cui le ragioni di traffico e del movimento dei viaggiatori consentono o consigliano l’esercizio, perché vantaggioso, cioè redditizio. Gli altri Comuni, quelli che mi permetterei di qualificare e definire «nullatenenti», sono Comuni che rimangono completamente isolati.

È nei raffronti di questi Comuni che dovrebbe intervenire lo Stato, dopo avere studiato la forma dell’intervento: o con sussidio statale o con un relativo, modico sblocco delle tariffe. Sarà il Governo a giudicare la via da seguire. Ma non si può rispondere ad una lamentela, relativa a una esigenza la più elementare: «provvederemo, caso mai».

Ho detto «esigenza la più elementare» perché, mentre si parla spesso qui dentro di miglioramento di servizi, di raddoppiamento, di arricchimento dei servizi stessi (mi pare che poc’anzi anche l’interrogazione del collega Veroni fosse diretta ad alcunché del genere) io sto parlando non di miglioramento, ma di servizi da istituire, da stabilire. Il Ministro ha chiesta l’indicazione di casi specifici.

Non ho creduto di fare dei nomi, che avrebbero avuta l’apparenza di nomi ostrogoti. Per esempio chi vuole andare a Lodè deve partire da Nuoro e fermarsi a Siniscola in quanto da Siniscola a Lodè i 16 chilometri di distanza debbono essere percorsi o col cavallo di San Francesco oppure con altro mezzo di fortuna. Chi debba andare ad Austis ed a Teti ha la possibilità di usufruire della linea automobilistica solo fino a Sorgono.

L’esemplificazione non aggiungerà però nulla alla affermazione della necessità di immediato intervento del Governo diretto ad eliminare un inconveniente che costituisce uno sconcio, se si considera che la situazione attuale è peggiore di quella di un tempo, perché un tempo le linee automobilistiche, anche per quei determinati paesi, esistevano e funzionavano, ed abbiamo fatto un passo indietro, che non si può nemmeno spiegare od attribuire a ragioni di guerra.

Quindi parmi che quella interrogazione, che apparentemente sembrava generica, generica non fosse e voglio sperare che la saggezza del Signor Ministro, dopo i chiarimenti che ho fornito, sappia trovare la via per un intervento e provvedimenti immediati.

È troppo evidente che oggi non mi posso dichiarare sodisfatto.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Volevo dire all’onorevole interrogante che è precisamente la deficienza della legge che rende possibile il permanere di questi inconvenienti. Ed ho accennato che una apposita Commissione sta studiando i provvedimenti opportuni, che dovranno essere statuiti con legge.

MASTINO PIETRO. E questa Commissione quando dovrà fare le sue proposte?

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Io spero di poter fare il più presto possibile, in maniera che si possa provvedere alla disciplina dei trasporti automobilistici con il sistema della concessione, come è per le linee secondarie.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Numeroso e De Michele, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per l’approvazione ed il finanziamento del progetto di captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno, che dovranno finalmente fornire di acqua potabile i comuni delle provincie di Caserta e di Campobasso e costituire altresì l’indispensabile acquedotto sussidiario per la città di Napoli. Si tratta di un’opera di grande importanza ed urgenza, soprattutto di carattere igienico e sanitario, che interessa circa due milioni di abitanti della Campania e che non può ulteriormente procrastinarsi».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Questa interrogazione degli onorevoli Numeroso e De Michele segue a poca distanza di tempo quella del 7 luglio degli onorevoli Camposarcuno, Colitto e Ciampitti. In quella interrogazione gli onorevoli interroganti esprimevano la preoccupazione che le acque del Biferno avessero potuto essere sottratte alle popolazioni proprietarie della sorgente e destinate unicamente alla città di Napoli.

Assicurai allora gli onorevoli interroganti che quella preoccupazione era completamente infondata. Successivamente, dietro mia sollecitazione, il Consiglio Superiore dei lavori pubblici prese in esame la questione con l’intento di utilizzare, non solo le sorgenti del Biferno e del Torano, ma anche quelle del Trigno a favore delle popolazioni del Molise, della provincia di Caserta e della città di Napoli proporzionatamente ai loro rispettivi bisogni.

Le conclusioni del Consiglio Superiore dei lavori pubblici consentono quindi un’equa soluzione del problema e prevedono all’uopo la formulazione di apposito progetto.

Sussistono ancora negli ambienti interessati delle ricordate provincie timori e opinioni contrastanti circa le modalità del progetto stesso e, al fine di arrivare a deliberazioni concordi, ho disposto di convocare presso di me i rappresentanti delle autorità amministrative e politiche competenti per territorio.

Questa riunione e le altre che si renderanno necessarie ed utili avverranno al più presto.

Debbo però fin d’ora avvertire che l’opera sarà di notevole grandezza e comporterà qualche miliardo di spesa.

Esiste già in bilancio una certa somma, assai piccola in confronto di quella totale, la quale potrebbe essere subito utilizzata per i primi lavori di captazione delle sorgenti non appena il progetto sarà stato approvato nei suoi elementi tecnici.

Non c’è infatti bisogno che tutta l’opera sia finanziata subito. L’essenziale è che i lavori iniziali non siano fine a se stessi e offrano in pari tempo la suscettibilità di agganciamento all’ulteriore sviluppo dell’opera. In tale senso mi riprometto di dare opportune disposizioni al momento giusto. A meno che non si preferisca inserire quest’opera nel complesso dei lavori per il Mezzogiorno d’Italia cui l’apposito Centro Economico volge le sue speciali cure mediante la preparazione di un programma generale, che sarà pronto quanto prima. Ma io penso che sia più opportuno tenere isolato questo problema ed avviarlo senz’altro a concreta soluzione. Se – come mi auguro – i relativi lavori potranno essere presto iniziati ciò costituirà un buon auspicio per il loro proseguimento e un impegno sicuro per il compimento secondo il desiderio degli onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

NUMEROSO. Ringrazio l’onorevole Ministro delle assicurazioni date. Vorrei però fargli notare che il problema della captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno per fornire finalmente di acqua potabile i Comuni delle Province di Caserta e di Campobasso non è cosa nuova ed è problema che va risolto con la maggior possibile sollecitudine. Se pertanto l’onorevole Ministro crede di far risolvere questo problema al Comitato del Mezzogiorno…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. No, no: si tratta di un semplice accenno che ho fatto.

NUMEROSO. Debbo farle notare, onorevole Ministro, che ci sono Comuni della Provincia di Caserta che utilizzano per acqua potabile quella del Volturno, senza alcuna garanzia di carattere igienico. Sono Comuni, come ognuno ben comprende, che vivono quindi, dal punto di vista igienico, e nei riguardi dell’approvvigionamento dell’acqua potabile, in condizioni veramente disastrose, tanto che noi ci meravigliamo che non si siano ancora verificate delle epidemie. Ed è un problema non di oggi, ma di decenni.

Circa poi la spesa, noi sapevamo benissimo di quale entità essa fosse. Io personalmente so, per averlo sentito proprio oggi affermare da un eminente tecnico che si occupa di questi problemi, che la relazione è stata presentata all’onorevole Ministro.

Noi, pertanto, insistiamo perché soprattutto venga fatta una legge speciale; ci rendiamo ben conto dell’importanza, della vastità di essa e della mole della spesa occorrente.

Occorre una legge speciale. Non è necessario, signor Ministro, che l’opera venga fatta in uno o due anni. Io sono convinto che la spesa potrebbe essere ratizzata in diversi esercizi; occorre, però, stabilire l’esecuzione di quest’opera con una legge speciale. Soltanto così, finalmente, le provincie di Caserta, Napoli, e anche di Campobasso, potranno vedere realizzate queste antiche aspirazioni delle loro popolazioni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Perugi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere: 1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso; ) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire».

D’accordo col Presidente del Consiglio dei Ministri, lo svolgimento di questa interrogazione è stato rinviato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Vinciguerra, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1913 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (Enel) e poscia con decreto del famigerato gerarca Ricci liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nei ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole, attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito».

Non essendo presente l’onorevole Vinciguerra, s’intende decaduta l’interrogazione.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Ministro della difesa, «per sapere se risponde a verità che la base navale di Messina sarà trasferita prossimamente ad Augusta; e per conoscere se, nella ipotesi affermativa, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno revocare tale provvedimento che accrescerebbe la disoccupazione nella città di Messina, già così duramente provata dalla guerra, giustificando tra l’altro gravi agitazioni, che già si preparano, suscettibili di turbare l’ordine pubblico».

Sullo stesso argomento ha presentato la seguente interrogazione l’onorevole Fiore, al Ministro della difesa, «per conoscere se intende revocare i provvedimenti predisposti dallo Stato Maggiore della marina relativi al trasferimento della base navale di Messina ad Augusta».

Ha facoltà di rispondere l’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. A seguito della situazione creatasi col Trattato di pace e per l’assoluta necessità di ridurre le spese dell’amministrazione della Marina militare, lo Stato Maggiore della marina è costretto a contrarre tutti i servizi periferici, sopprimendo quelli non strettamente indispensabili alla nuova organizzazione.

Ogni allarme relativo al trasferimento della base navale da Messina ad Augusta, è, però, prematuro, essendo tuttora in corso di studi presso gli organi competenti, allo scopo di definire questa organizzazione, che riveste delicata e particolare importanza ai fini della difesa del Paese.

Qualunque sia la decisione finale, essa sarà attuata solo dopo accurato esame, e tenendo anche nel dovuto conto la situazione degli arsenalotti e della città di Messina.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Io non so, signor Presidente, se debbo dichiararmi sodisfatto o meno della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. (Commenti). Il Ministro poc’anzi, in un colloquio privato, mi aveva dato assicurazioni più precise. Comunque, io nutro fiducia (Commenti – Ilarità) che il Governo non vorrà prendere un provvedimento del genere, il quale implicherebbe il licenziamento di migliaia di operai, che non possono, nella città di Messina – distrutta due volte in un terzo di secolo – trovare altra via per il sostentamento delle proprie famiglie.

PRESIDENTE. L’onorevole Fiore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FIORE. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato, per parecchie ragioni.

Qui non si tratta solo della questione della base navale, cioè non bisogna riferirsi al Trattato di pace e, quindi, all’obbligo che ci si fa di lasciare in Sicilia una sola base navale, ma al trasferimento della base navale e dell’arsenale. Ora, l’arsenale è un complesso di carattere industriale che è legato a tutto lo sviluppo della città e del porto di Messina, e soprattutto allo sviluppo del bacino di carenaggio. Ora, togliere a Messina l’arsenale significa ancora una volta, per la terza volta, distruggere la città. L’arsenale e la Direzione di artiglieria costituiscono gli unici complessi seri industriali che noi abbiamo nella nostra città. La nostra città, che per disoccupazione credo non sia inferiore a Napoli né alle altre città del Meridione. All’atto, sono 3 mila operai; quindi, 3 mila famiglie che vivono del lavoro dell’Arsenale.

Soprattutto però è necessario che il Ministro e il Ministero si preoccupino dell’efficienza dell’Arsenale, cioè si dia a questo Arsenale del lavoro, perché non vorremmo che a un determinato momento ci si venisse a dire: non abbiamo sufficiente lavoro per questo Arsenale e, quindi, dobbiamo ridurre il personale e licenziare operai. Perché il trasferimento dell’Arsenale e della base navale di Messina ad Augusta comporterebbe in fondo il licenziamento di 2500 operai, dato che l’Arsenale, trasportato ad Augusta potrebbe occupare solamente 500 operai.

Quindi vorremmo che il Ministero si preoccupasse di questa situazione e soprattutto si preoccupasse di guardare la situazione dell’Arsenale in funzione dello sviluppo del porto di Messina, considerasse la necessità dell’allargamento del bacino di carenaggio, e distinguesse quindi le due cose: trasferimento della base navale e trasferimento dell’Arsenale.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Stampacchia, al Ministro della difesa, «per sapere se non ritenga rispondente ai fini di giustizia estendere agli «sminatori marini» l’aumento di lire 300 sull’indennità «pericolo mine» recentemente concesso agli sminatori terrestri.

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario alla difesa. La questione prospettata dall’onorevole Stampacchia nella sua interrogazione circa l’opportunità di estendere agli sminatori marini l’aumento sull’indennità pericolo mine, recentemente concesse agli sminatori terrestri, è già stata sollevata dall’Amministrazione della marina militare presso il Ministero del tesoro, cui è stato sottoposto fin dal 24 giugno ultimo scorso uno schema di decreto. Con questo schema, si tende ad elevare, da lire 100 a lire 230 l’indennità giornaliera prevista nel 1° e 3° comma dell’articolo 1 del decreto ministeriale 24 maggio 1946, che concerne le indennità ed i premi da corrispondere al personale della Marina militare impiegato nelle operazioni di dragaggio, disattivazione e distruzione delle mine marine o di altri ordigni esplosivi in mare.

Ciò allo scopo di eliminare la diversità di trattamento attualmente esistente tra il personale dell’esercito addetto al rastrellamento di proiettili e bombe, che percepisce una indennità di rischio giornaliero pari a lire 230 in media, elevabile a 300 lire nelle giornate nelle quali vengono recuperate mine e il personale della marina, assegnato ai gruppi di dragaggio o impiegato per l’assistenza tecnica e sanitaria, ed il palombaro, al quale, giusta il citato decreto ministeriale 24 maggio 1946, viene corrisposta, in aggiunta alle normali competenze, una indennità pericolo mine di lire 100 giornaliere.

Nello schema di provvedimento in parola, non è stata prevista la possibilità di aumentare l’indennità di lire 230 a lire 300 nei giorni in cui vengono ricuperate mine, come avviene per il personale dell’esercito, poiché l’articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce già uno speciale trattamento con la corresponsione di appositi premi, a favore del personale della marina, per ogni mina marina od altro ordigno esplosivo dragato, disattivato o fatto brillare.

Il 24 luglio ultimo scorso, è stato nuovamente sollecitato il Ministero del tesoro per la necessaria adesione.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

STAMPACCHIA. Presentata l’interrogazione lo scorso maggio, chiudendosi, per le ferie la Costituente, richiesi a fine luglio risposta scritta, che gentilmente il Ministro onorevole Cingolani mi favorì ai primi dello scorso agosto, se non sbaglio. Non pensavo perciò che l’interrogazione fosse portata alla discussione orale.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Un eccesso di zelo verso l’onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. Sono stato quindi sorpreso, entrando nell’Aula, di trovare la mia interrogazione riportata nell’ordine del giorno.

Ora, allo stato delle cose osservo che la questione non ha fatto un passo avanti dal mese di agosto.

Sin d’allora, infatti, si disse che il provvedimento era in corso. Adesso mi pare che ancora è in corso e non so quanto tempo rimarrà in corso. In fondo, dalla comunicazione che ha fatto il Sottosegretario, apparirebbe che il provvedimento non è completo, in quanto che, richiamandosi ad una disposizione di legge, si vorrebbe mantenere una disparità fra gli sminatori dell’esercito e gli sminatori della marina. Gli sminatori – io dicevo e osservavo – sia che appartengano all’Esercito, sia alla Marina, sia lavorino a mare, sia che lavorino a terra, per la ricerca delle mine, fanno lo stesso lavoro, si espongono allo stesso pericolo e quindi credo che questo lavoro e questo pericolo debbano essere egualmente compensati.

È inutile dire se mi dichiaro sodisfatto o no: io raccomando che il provvedimento sia sollecitato, perché ormai questi sminatori, i quali tutti i giorni vanno incontro a pericoli e molto spesso a gravi infortuni, non abbiano ancora ad aspettare le provvidenze invocate.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Caso, Bastianetto, Titomanlio Vittoria, De Maria, Riccio, Mazza, Lizier, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni che ritardano l’istituzione dell’ente coordinatore per i servizi dei danni di guerra (Alto Commissariato o Sottosegretariato), di cui alle ultime dichiarazioni del Governo, e per attuare ordine e disciplina giuridica in materia che riguarda milioni di famiglie, le quali è bene che sappiano quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da scartare».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da un punto di vista sostanziale la risposta non può essere sodisfacente per l’interrogante, in quanto non è stato ricostituito il Sottosegretariato o costituito un Alto Commissariato o un altro organo per i danni di guerra. Quindi in qualche modo il Governo è in difetto, ma, in realtà, non si vuole costituire semplicemente un organo perché per risolvere il problema dei danni di guerra non basta nominare un Sottosegretario o un Alto Commissario, occorre studiare sul piano del bilancio le possibilità per risarcire questi danni ed occorre più che altro iniziare un’azione organica sia per il risarcimento dei danni alle cose sia per il risarcimento dei danni alle persone. In questo senso si sta svolgendo un’attività preparatoria da parte del Governo, per vedere in che modo si può far fronte a questo enorme onere che pesa sullo Stato per i danni di guerra. Per i danni alle persone, per le pensioni, si sta studiando il modo di poter accelerarne la liquidazione essendovi ancora in sospeso circa 300.000 pratiche. Qualche cosa è stata fatta; sono stati costituiti altri uffici, un po’ di personale esuberante in altre amministrazioni è stato trasferito in quella delle Pensioni e si sta ora vedendo se si possono trovare, pur lasciando inalterata quella procedura che esiste oggi e che rappresenta una certa garanzia, delle misure per agevolare lo svolgimento delle liquidazioni e forse si sono trovati due accorgimenti pratici che permetteranno, una volta adottati, di vedere accelerare effettivamente la liquidazione delle pensioni.

Non chiedo all’onorevole Caso ed agli altri interroganti di dirsi sodisfatti, perché allo stato attuale non lo possono essere. Chiedo loro soltanto di aspettare, per dichiararsi sodisfatti, l’emanazione di questi provvedimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario e mi dichiaro sodisfatto di non essere ancora sodisfatto; mi auguro che vi sia da attendere poco e che si pensi alla coordinazione integrale dei servizi per i danni di guerra che sono troppo sparpagliati e suddivisi.

PRESIDENTE. L’onorevole Rivera ha presentato le seguenti interrogazioni:

ai Ministri dell’agricoltura e foreste e della difesa (aeronautica), «per sapere se intendano intervenire urgentemente ed efficacemente per combattere la diffusione della lyda, che sta distruggendo i boschi di pini, faticosamente impiantati nell’Appennino centrale nell’ultimo cinquantennio»;

al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere se e quando intenda di provvedere all’assegnazione di terre da coltivare alla popolazione del comune di Campotosto (Aquila), messa alla disperazione ed alla fame da circa sei anni, per perdita del proprio territorio coltivato, a causa della istituzione di un lago artificiale».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intendono decadute.

L’onorevole Canevari ha presentato la seguente Interrogazione, al Ministro delle finanze, «per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947».

La interrogazione dell’onorevole Canevari è rinviata d’accordo con il Ministro delle finanze.

L’onorevole Borsellino ha presentato le seguenti interrogazioni:

ai Ministri dei lavori pubblici e della marina mercantile, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere per la messa in efficienza con massima urgenza dei piccoli porti in Sicilia – e particolarmente dei piccoli porti pescherecci – che sviluppano una grande attività economico-commerciale»;

al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vivono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e della mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia. E per sapere – inoltre – se non intenda provvedere con la costruzione d’urgenza di qualche sanatorio o con l’adattare altri edifici in condizioni di contingenza».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intendono decadute le sue interrogazioni.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per la seconda interrogazione dell’onorevole Borsellino, quella riguardante l’assistenza ai tubercolotici della provincia di Agrigento, la risposta era positiva, cioè sono stati stanziati più di cento milioni per la costruzione di un sanatorio provinciale. Pur essendo decaduta l’interrogazione, invierò quindi la risposta scritta all’interrogante.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bulloni e Cappi, al Ministro dei trasporti, «per conoscere quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare per andare tempestivamente incontro, attraverso facilitazioni nei trasporti ferroviari, ai bisogni dell’Alta Italia circa l’approvvigionamento della legna da ardere, specie a quello delle provincie, dei comuni, degli enti ospedalieri e di ricovero e degli enti comunali di consumo, in vista dei contratti di acquisto dagli stessi stipulati nelle regioni centro-meridionali, stante la grave scarsità di legna nell’Alta Italia, dove, in previsione del consumo invernale, i prezzi della legna sono già fin d’ora divenuti proibitivi per il bilancio familiare delle classi meno abbienti».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Come l’onorevole interrogante saprà, il problema del trasporto della legna dall’Italia meridionale all’Italia settentrionale per i bisogni invernali, che si è iniziato fin dalla primavera passata, ha dato luogo a molti inconvenienti, anzi, posso dire, a vere e proprie speculazioni che bisognava stroncare in maniera rapida ed energica. Allora, in questa estate, fu data disposizione che la legna da ardere, in carri singoli o in tradotta, fosse spedita solo a determinati enti che dessero assicurazione che non si facessero speculazioni; e perché l’amministrazione ferroviaria potesse garantirsi di questo fatto, fu stabilito che gli enti dovessero avere il benestare delle singole prefetture per la fornitura di legna soltanto ad enti ospedalieri, a comuni, ad enti comunali di consumo, a mense o industrie che se ne servissero anche per le loro maestranze.

Questo vincolo ha moralizzato indubbiamente la cosa e quindi si son potuti concedere i carri con ritmo consentito dalle disponibilità, e con una regolarità che non credo abbia dato luogo a rimostranze. Purtroppo la deficienza di carri esiste; abbiamo dovuto in questi ultimi tempi, alla vigilia della stagione invernale, intensificare il movimento di queste tradotte, che servono non soltanto per la legna, ma anche per le ligniti. La primavera scorsa avevamo stabilito il divieto di trasportare legna dalla Calabria al Nord, in considerazione della grande distanza, che avrebbe impegnato molti carri e richiesta una spesa reale di energia per il trasporto molto prossima al valore intrinseco dell’energia calorifica contenuta nella legna. Successivamente, però, data anche la penuria della legna nel Nord, questo vincolo è stato tolto, ma non per carri isolati, ma soltanto per treni completi di 30 carri, i quali potessero raggiungere in poco tempo la destinazione.

La situazione dei trasporti ferroviari di merci è la seguente: mancano circa 30 mila carri per ricostituire il parco ante-guerra; ed i carri circolano con ritmo molto più lento di quello normale: il ciclo del carro, anziché essere di sei giorni, è di dieci; quindi la quantità di carri offerta al carico è di 9.100, anziché di 15 mila, di cui abbiamo bisogno.

Compatibilmente con queste esigenze, conoscendo l’importanza del trasporto della legna per i prossimi bisogni invernali, l’Amministrazione delle ferrovie fa di tutto perché queste domande, opportunamente istruite e con l’approvazione dei prefetti, siano esaudite secondo la data di presentazione.

Ho ragione di ritenere che, entro due o tre mesi, le richieste pervenute a tutt’oggi saranno pressoché esaurite, quindi entro un periodo conciliabile con le necessità della più rigida stagione invernale.

Assicuro che l’amministrazione delle Ferrovie dello Stato, anche in questo campo, cerca di fare il possibile per intensificare al massimo il trasporto delle merci, compatibilmente con la disponibilità dei mezzi, che è ben lungi dall’essere normale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi, che è uno dei firmatari della interrogazione, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPPI. Devo dare atto del buon volere dimostrato dal Ministero dei trasporti in materia. Mi compiaccio per la decisione di dare assolutamente la preferenza alle tradotte per enti pubblici e per i comuni, perché prima i negozianti riuscivano molte volte ad avere la precedenza nel modo che tutti immaginate.

La nostra interrogazione era stata provocata da circostanze, che, con piacere l’ho appreso, sono state superate. La stampa politica un mese fa pubblicava che da Salerno in su erano tassativamente proibiti i trasporti, in tal modo il Comune di Cremona non avrebbe potuto effettuare il trasporto di legna per i suoi bisogni. Poiché sento che questa disposizione è stata revocata per tradotte complete, mi devo dichiarare sodisfatto.

(La seduta sospesa alle 18.25, è ripresa alle 18.35).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Giacchero, al Ministro degli affari esteri, «per sapere se corrisponde a verità quanto è stato pubblicato dalla stampa brasiliana di San Paulo circa i bandi di vendita dei beni italiani congelati in Brasile e, in caso positivo, per conoscere quale è l’azione del Governo italiano a tutela dei nostri connazionali allarmati da dette notizie».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo brasiliano ha posto sotto sequestro taluni beni italiani in Brasile allo scopo di assicurare il risarcimento di danni subiti dai suoi cittadini per cause di guerra.

Da parte nostra si è insistentemente richiesta la liberazione di tali beni, richiesta giustificata dai vincoli di cobelligeranza e di amicizia tra l’Italia ed il Brasile, dalla conclusione di una pace – le cui condizioni il Brasile intendeva anzi rendere migliori come dimostrò nella sua nobilissima azione alla Conferenza di Parigi – e dal comune intento di riprendere in pieno le concrete e feconde relazioni fra i due Paesi, ciò che evidentemente richiede la eliminazione di ogni residuo di quei provvedimenti di guerra, che non possono non costituire un intralcio agli auspicati sviluppi delle reciproche relazioni in ogni settore. Tutto questo appare tanto più necessario e urgente dopo che sono decorsi circa quattro anni dalla cobelligeranza dell’Italia e circa tre dalla ripresa delle relazioni diplomatiche fra i due Stati, e mentre sempre più si sente universalmente la necessità di assicurare, colla stessa cooperazione dell’Italia, l’ordine internazionale e il progresso delle civili nazioni.

Il Governo italiano non può accettare la tesi brasiliana che, basandosi sulla solidarietà dell’Italia con gli altri Paesi dell’asse, tende in definitiva a far ricadere su di noi la responsabilità per danni determinati da sottomarini tedeschi. Tuttavia, per dimostrare la propria buona volontà, il Governo italiano nel richiedere la liberazione dei beni italiani, si è dichiarato disposto a rimettersi al giudizio di una Commissione paritetica o di altro organo arbitrale, cui sia commesso il compito di accertare che i danni in parola siano stati realmente causati dall’azione di forze navali italiane. In tal caso, il Governo italiano assumerebbe l’impegno di indennizzare gli effettivi danni, purché accertati dal predetto organo come causati da azioni belliche italiane.

Posso assicurare l’onorevole interrogante che non si mancherà da parte nostra di insistere, come sta tenacemente facendo il nostro ambasciatore Martini per ottenere una conveniente tutela degli interessi italiani, nel quadro di quella intima amicizia e cordialità di rapporti tra Italia e Brasile che il Governo intende vieppiù sviluppare e rafforzare.

È d’altronde chiaro che accordando tutta la riconoscenza italiana a quei Paesi che hanno rinunciato all’applicazione del disgraziato articolo 79 del Trattato di Pace, l’Italia non potrà non tener conto di ciò nei futuri accordi commerciali per quanto concerne l’acquisto di merci, o nei futuri accordi emigratori

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GIACCHERO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le assicurazioni e informazioni che mi giungono tranquillizzanti. Le informazioni che erano state precedentemente date e per le quali vi erano anche documenti presentati al Ministero degli esteri nel giugno e nel luglio scorsi dai cittadini interessati della provincia di Asti, erano piuttosto allarmanti.

Le assicurazioni dell’onorevole Sottosegretario, nel loro complesso, ottimistiche, si accordano ad altre notizie che si riferivano all’atteggiamento di esponenti della stampa di San Paulo e di deputati, atteggiamento particolarmente favorevole all’Italia, anche se l’atteggiamento ufficiale del Governo brasiliano non lo è altrettanto.

Comunque, il fatto che il Governo italiano si assuma l’impegno, sotto condizione di un accertamento da parte della commissione paritetica e dietro interessamento dell’Ambasciatore, di risarcire i danni al Brasile e quindi di ottenere lo sblocco dei beni che sono direttamente di proprietà degli italiani, contribuisce a rassicurare gli italiani stessi che hanno nella Repubblica Sud-Americana i loro interessi.

Io penso, in pieno accordo con quanto ha detto l’onorevole Sottosegretario, che è necessario contribuire ad una intesa fra i due popoli che devono lavorare insieme; ed in seguito anche alle richieste che vengono fatte di mano d’opera dal Brasile, penso che sarà non difficile ottenere una vera ed effettiva collaborazione. Se noi abbiamo bisogno di quest’atto di giustizia, non diciamo di generosità, dal Brasile, da parte nostra potremo contribuire, con la nostra emigrazione e col nostro lavoro, a rendere un aiuto prezioso all’amico Paese latino. (Approvazioni).

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Svolgimento di interpellanze. La prima è quella degli onorevoli Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini, Sardiello, Priolo, Caroleo e Mazzei, ai Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, «per conoscere i motivi per i quali nulla di sostanzialmente concreto sia stato fatto a favore di coloro che sono rimasti senza tetto in seguito al terremoto dell’11 maggio scorso in Calabria. Gli interpellanti segnalano la necessità urgente di trovare e di applicare provvedimenti, a sollievo di tante miserie, che non consentono ulteriori dilazioni».

L’onorevole Silipo ha facoltà di svolgerla.

SILIPO. Onorevoli colleghi, il 17 giugno, il Ministro dei lavori pubblici, rispondendo ad una mia interrogazione sui provvedimenti che il Governo intendeva adottare a favore dei Comuni colpiti dall’ultimo terremoto del 10-11 maggio in Calabria, dichiarava che era allo studio uno schema di decreto legislativo, contro il quale, però, si era pronunziato il Ministro del tesoro, che adduceva lo specioso pretesto della cronica mancanza dei fondi.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Specioso lo dice lei!

SILIPO. Sì, lo dico io e lo dimostrerò.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Io volevo affermare che non ero stato io a dirlo.

SILIPO. Si diffondeva quindi, sui soccorsi di urgenza, apprestati ai Comuni, soccorsi dei quali noi ancora una volta ringraziamo, e concludeva il suo dire affermando che bisognava agire con rapidità e costruire ricoveri stabili, in vista della necessità della sostituzione delle tende, che erano state mandate dal Governo in un primo momento e che non avrebbero potuto essere più utilizzate col cessare della stagione estiva.

Questo, il 17 giugno. Rispondendo, prendevo atto delle comunicazioni dell’onorevole Ministro, pur facendo le mie riserve ed ammonendolo nello stesso tempo a sveltire, quanto più fosse stato possibile, l’apparato burocratico, che noi della periferia sappiamo bene quanto sia pesante e grave. Si badi che io presentai la mia interrogazione nel giugno, ad oltre un mese di distanza dal terremoto, perché ritenni che fosse bene lasciar passare un certo periodo di tempo, per dare al Governo la possibilità di prendere provvedimenti concreti, che non fossero soltanto quelli di urgenza immediata e che, come tali, non potevano non avere carattere transitorio.

Ebbene, siamo oggi al 22 settembre. Io allora dissi che alla distanza di un mese avrei pregato il Ministro di mettermi al corrente dello stato dei lavori promessi. Siamo, oggi, quasi alla fine di settembre: non un mese è passato, ma più di tre. Bene, la preghiera che dovevo rivolgerle molto tempo fa, gliela rivolgo ora: che cosa è stato fatto onorevole Ministro, fino a questi ultimi giorni per lenire le sofferenze di chi 1’11 maggio paventò la morte ed oggi la desidera? Se permette, fisserò io alcuni dati. Sono stato parecchie volte sul luogo del disastro; ho visitato tutti i Comuni più duramente colpiti, anche recentissimamente (ultimi di agosto, primi di settembre). Debbo, purtroppo, dire con amarezza che molto poco è stato fatto e che quel poco che è stato fatto, non è stato fatto nemmeno bene. Non è questa una frase ad effetto. Io ho la documentazione fotografica di quanto affermo e che è stata presa nei primi di settembre. Ad Isca, a Badolato, a Sant’Andrea, in parecchi altri comuni le strade sono ancora ingombre di macerie, e questo chi sa per quali misteriosi motivi. Una volta viene l’ordine di iniziare lo sgombero; poi quest’ordine viene revocato, quindi impartito di nuovo! Il fatto si è che anche oggi molte strade (se strade si possono chiamare quei viottoli larghi spesso 60-70 centimetri che si inerpicano lungo i dorsi della montagna) sono ancora piene di macerie, impraticabili, specialmente quando piove. A rendere ancora maggiormente precarie le condizioni ambientali contribuisce il fatto molto più grave, che non è stata completata o del tutto iniziata la demolizione di buona parte degli edifici pericolanti, per alcuni dei quali anzi s’è revocato l’ordine di demolizione (forse per essere compiacenti verso interessi privati), e questo voler mantenere in piedi quello che è destinato a crollare rappresenta un pericolo serio anche per gli altri edifici non danneggiati, ma vicini, che restano così sotto una specie di spada di Damocle. Se lei fosse venuto in Calabria (anzi aveva promesso che sarebbe venuto…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ci Verrò.

SILIPO. …poi, non so per quali motivi, non lo ha fatto), si sarebbe reso conto che quello che sto dicendo è la verità nuda e cruda, senza fronzoli retorici.

Macerie, ripeto, edifici che avrebbero dovuto essere abbattuti e che non lo sono stati ancora, costruzioni e riparazioni di case ancora in massima parte sulla carta. Certo, noi non ci attendiamo miracoli, non pretendiamo l’impossibile; ma credo che sia logico che noi ci attendessimo qualche cosa di concreto. Invece?

Fino al 16 settembre, data in cui ho presentato la mia interpellanza, ancora quello schema di decreto legislativo che deve regolare gli aiuti da dare ai Comuni terremotati, era ancora all’esame, nonostante la necessità, di agire presto, necessità riconosciuta dallo stesso Ministro!

In tre mesi nemmeno uno schema di decreto legislativo s’è riusciti a fare approvare al Consiglio dei Ministri!

E sì che, in materia di terremoti, la legislazione italiana non era ai primi passi, non mancava d’un passato tragico; aveva anzi un’esperienza, della quale avrebbe potuto e dovuto servirsi.

Non si è tenuto conto di tutto questo e si è lasciato scorrere il tempo nell’inazione, rinviando la pratica per… accertamenti, per… pareri, per… approvazioni, da un ufficio all’altro, così come se si fosse trattato d’una comune pratica burocratica…

Quando – questa è la verità – non si è in contatto diretto con le sofferenze e con i lutti, questi non si comprendono; quando si è lontani, non si comprende che cosa significhi terremoto e quali conseguenze apporti! Ma noi di Calabria – questa terra che con una espressione magari infelice, ma molto eloquente, viene chiamata «terra ballerina» – noi di Calabria lo sappiamo e le sappiamo. Quante volte abbiamo sentito tremare il pavimento della nostra casa! Quante volte nei primi attimi, nella vaga, ma vana speranza che quel fremito fosse prodotto dal passaggio di una vettura vicina o lontana, abbiamo sollevato gli occhi al lampadario e, vedendolo ondeggiare e sobbalzare, non abbiamo potuto avere più dubbi sulla causa di quel fremito! Quante volte abbiamo avvertito dei disturbi circolatori e la parola orrenda «terremoto» c’è morta sulle labbra!

Ebbene, con tutta questa esperienza, quando dopo 4 mesi sentiamo dire che lo schema di decreto legislativo è ancora allo studio, onorevoli colleghi, non sarà strano se ci sembra che si tratti di una beffa! E una beffa ancor più sanguinosa ci pare, quando sentiamo dire che per i comuni disastrati di Calabria non ci sono fondi! Beffa ancora più grave, uomini del Governo, ancora più grave!

Che colpa abbiamo noi se lo Stato vuol trovare il denaro nelle tasche di chi non l’ha? (Lo dimostra in una maniera molto eloquente la legge sulla patrimoniale!). E dire che basterebbe soltanto parte della rendita di un anno di un ricco proprietario a riparare i danni del terremoto dell’11 maggio in Calabria. Là ci sono vastissimi oliveti che appartengono ad una sola persona, la quale guadagna miliardi con l’olio, vendendolo al mercato bianco e al mercato nero! (Interruzione dell’onorevole Russo Perez). Stia tranquillo, onorevole Russo Perez, è la verità: basterebbe parte di una simile rendita! Certo non possiamo sperare che questi baroni della terra, cuore bugiardo e, magari, volto di santo, facciano spontaneamente una cosa simile; ma se lo Stato cercasse il denaro nelle loro tasche, uscirebbero i soldi necessari per rimediare in parte, anzi del tutto, ai danni prodotti dal terremoto. Con questo vantaggio: il denaro prodotto col sudore del popolo resterebbe – una volta tanto – sul posto – diciamo così – di produzione e allevierebbe il tormento del popolo.

Inoltre, quando sentiamo dire che 150 miliardi vengono stanziati per la revisione dei prezzi…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. È falso!

SILIPO. Io l’ho letto…

Una voce al centro. Sull’Unità!

SILIPO. Anche su altra stampa!

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. È un’invenzione gratuita!

SILIPO. Non credo, pur volendo augurarmi che sia così. Del resto, non mi si deve fraintendere: nessuno vuole negare che ci debba essere una revisione dei prezzi. Soltanto non riesco a capirla molto bene in determinati casi, quando, per esempio, assistiamo allo spettacolo di edifici, che crollano prima di essere terminati, come è avvenuto a Milano per i locali della «Rinascente» e a Foggia per alcune case per i senza tetto. (Per imprenditori simili, che antepongono il guadagno alla vita umana, vi dovrebbe essere non revisione di prezzi, ma ergastolo). Ecco il mio pensiero: se si trovano miliardi d’assegnare sollecitamente per la revisione dei prezzi, si dovrebbe pur trovare il denaro, che non è molto, per dare una casa a chi l’ha perduta ed un po’ di lavoro a chi è disoccupato.

Ed a proposito di case che crollano non appena costruite, nei nostri Comuni s’è manifestata una certa preoccupazione: se dovessero crollare – si pensa – anche i nostri ricoveri stabili? Tra terremoto ed imprenditori siffatti c’è poco da stare tranquilli!

Ma torniamo all’argomento.

Abbiamo visto la sorte del famoso schema legislativo, almeno sino al 16 settembre. Vediamo ora l’opera del Ministero attraverso i suoi organi diretti.

Che cosa è stata fatta dal Genio civile e dal Provveditorato alle Opere pubbliche della Calabria? Lo dirò subito: il Ministero, invece di tener conto della mia raccomandazione di ridurre al minimo le pratiche burocratiche, le ha aggravate: vengono prima stabiliti degli accertamenti, viene poi inviato da Roma un funzionario per esercitare un controllo sugli accertamenti stessi; vengono, in un terzo tempo, disposti ulteriori accertamenti!

Intanto il tempo passa; famiglie e famiglie continuano a rimanere sotto le tende ed altre ancora, che non hanno avuto la fortuna di averne, vivono in locali umidi e infetti peggio delle bestie. Il mio dubbio è questo: vi saranno state forse delle interferenze, affinché i primi accertamenti venissero annullati e se ne facessero altri addomesticati? Mi rivolgo e, onorevole Ministro, le rivolgo questa domanda, perché non riesco a trovare dei motivi plausibili che abbiamo potuto indurre il Ministero competente a mettere in dubbio e ad annullare l’opera del Genio civile. Continuiamo. Questo ispettore viene in Calabria e distrugge tutta l’opera del Genio civile. Perché? Perché i primi accertamenti erano stati fatti male o perché egli doveva tenere una definita linea di condotta, indipendentemente da quello che era lo stato reale delle cose? Dal modo come s’è comportato appare chiaro che questo signor ispettore o è un ignorante, o è in malafede. Infatti ha avuto il coraggio, la spudoratezza, di dichiarare, in Isca, abitabile un edificio il quale è crollato due giorni dopo la sua dichiarazione d’abitabilità! (Fortunatamente gli abitanti di quella casa non prestarono fede alla parola del suo ispettore, onorevole Ministro, che altrimenti sarebbero morti di certo in conseguenza di questa specie di terremoto ministeriale!).

Io stesso ho voluto visitare una casa dichiarata abitabile: quella del medico condotto del medesimo Comune su citato: bisogna camminare bene attenti rasente alle pareti e badando di non fare dei passi verso il centro delle stanze. Una casa simile è stata dichiarata abitabile!

E non solo io giudico così l’operato del suo ispettore.

Se, onorevole Ministro, ella desidera anche ascoltare la parola di altri, io gliela posso far udire.

RUSSO PEREZ. Ma noi crediamo alla sua parola, onorevole collega: non occorre.

SILIPO. Ma a me piace ugualmente diffondermi in particolari, perché ogni dubbio scompaia. Ecco quello che mi scrive un sindaco: «Detto ispettore vorrebbe demolire l’opera del Genio civile perché la legge fosse formulata con larga applicazione». Ed ecco il pensiero di un altro: «L’ispettore, per favorire forse amici suoi personali, si vestì di carattere dittatoriale ed emise ordine di demolizione di alcune case, curando subito di revocarlo; riconobbe che effettivamente oltre un centinaio e mezzo di famiglie erano state private dell’alloggio, ma ritornando a Catanzaro», ecc.

Così ha agito il suo ispettore, che, ripeto, o è un ignorante o è in malafede. Nell’un caso e nell’altro non deve godere la fiducia dell’onorevole Ministro. È in ballo la vita umana e dà questi giudizi? Il suo contegno è tale da giustificare i nostri sospetti, anche perché fa una specie di doppio giuoco: quando è sul luogo del disastro, dichiara: «Questa casa è inabitabile; non può andare, deve essere distrutta»; quando va a Catanzaro, agisce proprio in senso opposto! E continuiamo.

Sono venuti, dopo gli accertamenti di questo ispettore, nuovi accertamenti; è passata tutta l’estate, onorevole Ministro; siamo alle porte dell’inverno, e nessun provvedimento sostanziale è stato preso ancora. In conclusione: molte delle case che erano state dichiarate inabitabili in un primo periodo, furono dichiarate abitabili in un secondo tempo. Circa 1’80 per cento degli altri edifici colpiti furono dichiarati inabitabili, ma riparabili… Ben poca cosa fu dichiarata di estrema urgenza! Tutto questo perché?

Noi temiamo, per una dolorosa, amara, lunga esperienza, che ci siano state delle interferenze da parte di elementi molto potenti; noi temiamo, cioè, che per salvare e difendere gli interessi di qualche grosso, molto grosso proprietario, si voglia mantenere artatamente uno stato di disagio per dei motivi di speculazione, di esosa speculazione.

Su di un giornale, che certo non si può dire che sia un giornale di sinistra, da Isca si scrive: «Stavamo già male e troppo agglomerati prima del nefasto terremoto dell’11 maggio; ma oggi stiamo del tutto pigiati, sia pure all’aperto!». Badolato si agita: se ne parla sulla stampa e se ne parla bene: sul Giornale d’Italia, nonché sul Giornale della Sera. Mi vorrà concedere, onorevole Ministro, che non sono giornali che abbiano delle tenerezze per noi della sinistra. Se scrivono così, vuol dire che le cose vanno proprio male.

RUSSO PEREZ. Onorevole Silipo, crede che faccia ricostruire le case, parlando un’ora invece di cinque minuti?

SILIPO. Io parlo così, perché ognuno assuma la propria responsabilità; io cerco appunto di stabilire le singole responsabilità.

Sto delucidando all’Assemblea e non all’onorevole Russo Perez uno stato di cose intollerabile. Ognuno assuma la propria responsabilità.

Il Governo farà quello che crederà di fare, l’onorevole Russo Perez potrà fare o pensare quello che crederà; ma penso che di fronte ad un problema simile non ci sono parole sufficienti ad esprimerne tutta la gravità.

RUSSO PEREZ. Ecco: il silenzio è più espressivo.

SILIPO. Si parla e si ottiene poco; se si tacesse, si otterrebbe quello che s’è ottenuto durante l’estate!

Questa – dicevo – l’opera svolta (se opera si può chiamare) dal Governo in 4 mesi.

Parliamoci chiaro: lo stato dei nostri paesi è tale che non ci si può illudere di risolverlo con l’erogazione di alcune centinaia di milioni! Io non vengo qui a fare della storia, ma tutti sappiamo che i luoghi, in cui sono costruiti i nostri paesi (luoghi scelti nel Medio Evo per ragioni di opportunità, per sfuggire alle incursioni barbariche), sono tutti luoghi destinati ad essere abbandonati, in massima parte, e non c’è potenza umana che tenga. Sono costruiti su colline franose, su rocce in disfacimento. Si visitino Sant’Andrea, Badolato, Isca. Sono constatazioni le mie! Per mantenere Badolato, bisognerebbe fare dei muraglioni di sostegno per l’importo di oltre 150 milioni. Ad Isca non molto tempo fa ci fu la frana di Valloscura, che minacciò di travolgere tutto l’abitato. I nostri paesi, in breve, sono costituiti da case addossate le une sulle altre, mal costruite, mal tenute, aderenti al dorso delle colline, formanti una specie di cumulo informe di catapecchie.

Si capisce che in queste condizioni ambientali, i danni, prodotti dal terremoto, sono stati molto più gravi di quelli che sarebbero stati, se il paese si fosse trovato in un ambiente migliore.

E d’altra parte, è notorio come sia fatale che, prima o poi, questi piccoli paesi di montagna finiscano col ridursi, in proporzione, di oltre la metà. Vi saranno solamente dei boscaioli ad abitarli; ma il paese vero e proprio andrà al mare, perché la vita ritorna al mare. E in questo caso, conviene – dico io – al Governo far costruire e riparare nello stesso luogo delle case che, se non cadono oggi, cadranno domani? Se la regione è terremotata, cioè soggetta a terremoti, le case devono essere costruite secondo sistemi antisismici e queste case non potranno costruirsi che su strade ampie, non già ai lati di quei viottoli, di cui precedentemente ho fatto cenno. Si facciano sorgere dunque delle belle frazioni in pianura, se non si vuol perdere tempo, denaro e vite umane.

E mi avvio a concludere.

Da tutto quanto precede si deduce che è stato fatto poco e che questo poco, che è stato fatto, è stato fatto male. Ad Isca, per esempio, si stanno costruendo – mi pare – due lotti di ricoveri stabili in una zona malarica, mentre sarebbe bastato e basterebbe che si spostasse l’ubicazione di essi di tre o quattrocento metri per sistemarli in una zona salubre. Ora, chi vuole, onorevole Ministro, che vada ad abitare in questi ricoveri? Le rane li abiteranno, perché, se per sfuggire al terremoto, bisogna andare a prendere la malaria, non sapendo quale delle due cose sia preferibile, ognuno, potendo, rimarrà dove si trova, memore dell’incidit in Scyllam qui vult vitare Charybdim. Ma perché si deve agire così? Dovremmo forse spiegarlo che è per mantenere integra la proprietà terriera di qualche persona? (Approvazioni a sinistra – Commenti a destra).

RUSSO PEREZ. Mi faccia scrivere la sentenza di fucilazione.

SILIPO. Qui si parla di gente che soffre e muore. Non faccia dell’ironia.

RUSSO PEREZ. Ma chi glielo ha detto che è ironia? Io trovo che l’argomento è serissimo. Mi permettevo solo di pensare che si potrebbe esporlo più brevemente.

SILIPO. Lei parla di fucilazione e poi dice che non fa dell’ironia. Siccome l’ho spiegato il 17 giugno brevemente e non fui capito, lo espongo adesso in maniera più completa nella speranza che questa volta mi si capisca.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Prenda comunque atto che il Governo l’ascolta con molta attenzione.

SILIPO. Mi voglio augurare che all’attenzione del Governo seguano i fatti.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. I fatti glieli dirò poi io.

SILIPO. Sarò molto felice di sentirli.

Dunque, dicevo: siamo alle porte dell’inverno, molti sindaci minacciano già di dimettersi perché non sanno come fare. Che cosa accadrà? Non ci si culli nella vana speranza che nulla succederà, perché, quando le tende saranno inservibili e la gente non saprà dove andare a sbattere la testa, sarà pure costretta a muoversi, e non so se questo potrà fare piacere al Ministro dell’interno. E non parlo delle ripercussioni politiche che l’inazione del Governo non mancherebbe di determinare ad opera degli interessati.

Io prima di finire, affinché non si dica che mi limito a criticare e a non proporre nulla di concreto, mi permetto di esporre al Governo il mio pensiero e quello degli interessati in fatto di provvedimenti.

Scrivevo – e non ho motivo di modificare il mio pensiero da quello che ho scritto nel mese di luglio – che sono necessari dei provvedimenti che devono essere di duplice natura: alcuni devono riflettere l’opera da spiegarsi dai Comuni e dal Governo per la sistemazione, mediante un piano regolatore ed amplificatore dei paesi terremotati; altri devono mirare a fissare una serie di agevolazioni tributarie e di aiuti finanziari atti a stimolare l’attività privata. Io attendo dal Ministro che qualche cosa mi dica in proposito.

È certo che la sola esenzione dalle tasse non sia sufficiente e, riguardo a questa, così mi scrive il sindaco del Comune di Squillace: «Comunque sono del parere che tale provvedimento non risolva il problema». D’altra parte è desiderio unanime dei sindaci e delle popolazioni che ci sia un contributo statale dell’80 per cento, come è stato fatto coi decreti legislativi per i terremoti del 1905 e del 1908; che questo contributo dell’80 per cento sia almeno dato ai più bisognosi, a quelli che non hanno nemmeno quel 20 per cento con cui iniziare i lavori, e magari sia ridotto, se non soppresso del tutto, a chi può costruire con quel denaro che ha messo insieme sfruttando il lavoro degli altri. Invece dell’80 per cento pare che il governo voglia dare soltanto il 50 per cento, a tutti indistintamente; io invece propongo che si elevi il contributo statale a chi nulla ha e lo si riduca o si sopprima a chi ha troppo. Una specie di contributo differenziato.

Inoltre, siccome v’è della gente che aveva soltanto la casa, che il terremoto ha distrutto, e null’altro, per questa sarebbe umano che la ricostruzione fosse fatta a totale carico dello Stato.

Questo chiedo a favore di quelle infelici popolazioni, tra le quali dominano i mali della miseria, dal tracoma alla tubercolosi, dall’analfabetismo alla superstizione; questo chiedo a favore di chi ha sempre dato alla patria tutto, lavoro e vita, senza mai ottenere in contraccambio un sollievo, anche modesto, ai propri mali; questo io chiedo in nome della giustizia sociale.

Non intendiamo che si provveda tout court, ma bisogna pure incominciare a fare e bisogna incominciare a far presto, prima che sia troppo tardi. Non ho altro da dire. (Approvazioni – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere all’onorevole interpellante.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevoli colleghi, devo ricordare i precedenti ai quali si è riferito l’onorevole Silipo. In data 17 giugno, cioè a undici giorni dal mio insediamento nel Ministero dei lavori pubblici, l’onorevole Silipo ed altri colleghi m’interpellarono su quello che il Governo aveva fatto e intendeva di fare in ordine al terremoto dell’11 maggio precedente. Assicurai l’Assemblea che avrei fatto tre cose. Primo: mi sarei accertato dello stato dei danni prodotti dal terremoto; secondo: avrei sollecitato tutti quei provvedimenti di urgenza che avessero potuto consentire un graduale ricovero della gente rimasta senza tetto o male alloggiata; terzo: avrei promosso un provvedimento legislativo apposito con il quale si potesse, mediante una congrua somma da stanziare in bilancio, affrontare quella situazione.

GULLO FAUSTO. Di queste tre cose non è stata fatta nessuna.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. A tre mesi di distanza, onorevoli colleghi, posso dare una precisa relazione della mia opera personale in ordine a quello che si è fatto. Anche se l’onorevole Gullo dice che non si è fatto niente, dimostrerò che si è fatto molto.

GULLO FAUSTO. Non negli uffici, ma nelle località.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Io sfiderei – lo dico naturalmente in termini pacifici – chiunque si trovasse al mio posto o in quegli organi periferici ai quali gli onorevoli interruttori si riferiscono, a fare di più e meglio di quello che si è fatto.

Io disposi l’immediata partenza, per i luoghi del terremoto, di un ispettore del Ministero. L’onorevole Gullo, che è stato Ministro della giustizia e dell’agricoltura, sa benissimo che quando accadono dei fatti che interessano un singolo Ministero la prima cosa che fa il Ministro è di accertarsi attraverso un suo funzionario. Ed è precisamente quello che ho fatto io! Il mio funzionario si è recato subito sul posto. Chi mi conosce sa che io disdegno gli indugi e che preferisco la rapidità dell’azione. Un riconoscimento simile avrei dovuto attendermelo anche dall’onorevole Silipo.

SILIPO. Io attendo la risposta.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Comunque, l’ispettore ha accertato che le famiglie rimaste senza alloggio ammontavano a 627 in tutta la zona terremotata.

SILIPO. Lo dice lui.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se l’onorevole Silipo mi può documentare, ex adverso, che l’accertamento dell’ispettore del Ministero non è esatto, io terrò conto delle sue conclusioni, le metterò a raffronto con quelle dei miei uffici e ne trarrò le necessarie conseguenze.

Comunque di queste 627 famiglie, io posso annunciare all’Assemblea che ben 170 hanno trovato finora un alloggio stabile.

SILIPO. Dove?

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevole Silipo, io l’ho ascoltato con attenzione religiosa; voglia ricambiarmi con eguale moneta.

SILIPO. Anche lei mi ha interrotto, mentre svolgevo l’interpellanza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Per dirle che l’ascoltavo (Ilarità).

Le rimanenti 457 famiglie sono finora alloggiate in modo precario.

Ho insistito perché si accelerasse la costruzione di nuove case; e mentre svolgevo quest’opera, non trascuravo l’altra, lenta, difficile e dura, che chiunque abbia esperienza di Governo, come l’onorevole Gullo, può confermare, e cioè di persuadere il collega del Tesoro a stanziare in bilancio una congrua somma per le provvidenze necessarie a favore delle vittime del terremoto.

GULLO FAUSTO. Non dimentichi che c’è un terremoto per lo mezzo.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Nel contempo disponevo che 100 milioni venissero accantonati ed anticipati (somma da rifarmi poi su quello che il Tesoro avrebbe definitivamente dato), perché si desse senz’altro inizio alla costruzione di un certo numero di alloggi, che ora sono in una fase di avanzata costruzione; cioè 150, di cui, per la provincia di Catanzaro, 32 nel Comune di Isca ed 8 per ciascuno dei Comuni di Badolato, Chiaravalle, Sant’Andrea, Santa Caterina, Squillace, Catanica ed altri, e 20 per la Provincia di Reggio Calabria, che è stata meno danneggiata. Intanto le trattative col Tesoro si sviluppavano favorevolmente e nell’ultima riunione del Consiglio dei Ministri è stata approvata la legge che destina la somma di un miliardo e mezzo a favore delle popolazioni colpite. Il disegno di legge è ora all’esame della competente Commissione dell’Assemblea.

L’onorevole Silipo ricorda che, secondo le prime previsioni del mio ufficio, i danni si calcolavano a 900 milioni. Secondo l’onorevole Silipo ammontavano ad un miliardo: una differenza, quindi, di cento milioni. Gli accertamenti successivi fatti dal mio Ministero hanno constatato un fabbisogno minimo di un miliardo e 500 milioni, che è precisamente la somma stanziata in bilancio.

A me pare che, giunti a questo punto, onorevole Silipo, si possa onestamente riconoscere che tutti gli affidamenti e le assicurazioni da me date, tutte, ripeto, nessuna esclusa, sono state mantenute, e che anche i miei uffici hanno fatto tutto quello che umanamente era possibile di fare, e ciò non nel termine di quattro mesi, ma nel termine di tre mesi, perché, se non erro, dal 17 giugno al 22 settembre decorrono tre mesi e non quattro; se mai, il quarto mese, che in questo caso è il primo, non appartiene alla mia amministrazione ma a quella del mio predecessore.

Sono dunque tre mesi. Io domando: in tre mesi cosa poteva fare di più il Governo? Senza dire, onorevole Silipo, che per facilitare e per accelerare la costruzione degli alloggi per i senza tetto si dispose l’utilizzazione immediata di ben 80 milioni al fine di una sollecita liquidazione degli acconti e quindi di un maggior acceleramento dei lavori in corso. Se poi, onorevole Silipo, quest’opera di acceleramento non ha dato i risultati da tutti noi voluti, le cause sono di duplice ordine: 1°) quella cui velatamente ha accennato l’onorevole Silipo, cioè di un contrasto sorto fra coloro che vogliono rimanere aggrappati dove sono e coloro che vogliono prendere occasione (non dico pretesto) della disgrazia avvenuta per spostare altrove l’abitato. Questi sono contrasti che dovunque si accendono: sono di una importanza e di una gravità tale che dovunque, onorevoli colleghi, portano necessariamente ad un ritardo dei lavori. Io lo vedo e lo constato anche per quanto attiene alla ricostruzione delle zone distrutte o danneggiate dalla guerra: si accendono sempre simili contrasti. E quando l’onorevole Silipo accenna che i contrasti, che producono i ritardi, possono essere stati determinati da interferenze di interessi, che egli teme – questa è la parola usata dall’onorevole Silipo – abbiano avuto giuoco nella specie, io invito l’onorevole Silipo a voler trasformare se può il timore in certezza e fornirmi dei dati certi che mi consentano di individuare ogni eventuale interferenza obliqua o disonesta, di adottare gli opportuni provvedimenti e prendere le necessarie esemplari sanzioni. (Applausi al centro).

Per continuare, onorevoli colleghi, e in attesa che la legge diventi operante, sono stati predisposti i progetti per altri 400 alloggi i cui lavori saranno iniziati al più presto.

Onorevoli colleghi! Non mi pare che questo sia argomento sul quale sia lecito fare speculazioni di parte. Per quel che attiene alla mia personale responsabilità, ho la coscienza tranquilla, perché so di aver fatto tutto ciò che è umanamente possibile di fare per andare incontro alle esigenze di quelle sventurate popolazioni.

L’onorevole Silipo ha accennato a deficienze della legge. La Commissione competente la sta esaminando. Se si vogliono suggerire proposte ed innovazioni il Governo è a completa disposizione dell’Assemblea. L’importante è che si riconosca che l’impegno da me assunto tre mesi fa è stato portato a compimento. Ora non rimane che proseguire con volontà e tenacia su la via intrapresa per ridonare tranquillità e sicurezza alle famiglie colpite con pieno esaudimento dei loro desideri che sono soprattutto i desideri miei, del Governo e anche dell’onorevole interrogante.

Per quanto poi riguarda, onorevole Silipo, la lentezza degli organi burocratici, io lo apprendo per la prima volta da lei. I giornali possono averne parlato, ma non è soltanto su un articolo di giornale che il Governo ed il Ministro possano basarsi per determinare la propria azione. I giornali, se mai, forniscono l’occasione e lo stimolo per eventuali accertamenti che vengono solitamente affidati a degli ispettori.

SILIPO. Che non siano quelli.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Che siano quelli che sono. Se hanno fatto male…

SILIPO. Le ho dato elementi.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Spero che non ci sia bisogno di mandarne più alcuno e che gli organi locali, da me energicamente richiamati a fare con la maggiore intensità possibile il proprio dovere, siano in grado di farlo, sì da consentire a me ed a voi di poter guardare con una certa soddisfazione al lavoro compiuto.

Per conto mio, confermo ancora una volta che tutti gli impegni assunti sono stati mantenuti, e si manca di generosità se non sono riconosciuti ed anzi negati.

L’onorevole Silipo, nel corso dello svolgimento della sua interpellanza, mi ha offerto l’occasione di dare un chiarimento in ordine ad una certa sua affermazione, che non ha nulla a che vedere con l’attuale dibattito, ma che mi riguarda personalmente. L’onorevole Silipo ha, cioè, affermato che la pretesa indolenza del Governo nei confronti del terremoto calabrese contrasta con altrettanta sollecitudine nei riguardi degli appaltatori delle opere pubbliche, a favore dei quali sarebbero stati stanziati ben 150 miliardi! Ringrazio l’onorevole Silipo per avermi fornito l’opportunità di smentire solennemente dinanzi all’Assemblea una simile affermazione che non esito a dichiarare falsa e calunniosa. A favore delle revisioni degli appalti figurano in bilancio per l’anno corrente solo 15 miliardi e questi 15 miliardi non li ho fatti stanziare io, bensì il mio predecessore. Vi si è aggiunto uno zero e se ne è attribuita a me la paternità con evidenti finalità di calunnia politica. Sta in fatto che io mi sono limitato a distribuire la somma dei 15 miliardi da me trovata in bilancio tra i vari Provveditorati delle opere pubbliche secondo le segnalazioni fatte al mio Ministero dai rispettivi titolari. Del resto i bilanci, come qualsiasi provvedimento di spesa, sono pubblici. Chiunque ne può prendere visione e sono a disposizione dell’Assemblea. La verità, dunque, è quella affermata da me e non teme smentita, mentre gratuita e falsa è ogni contraria affermazione. (Applausi al centro).

Chiusa questa parentesi, mi onoro di concludere pregando l’onorevole Silipo d’informare il Governo e l’Assemblea su tutto quanto riguarda i lavori in corso nei territori colpiti dal terremoto, tanto più se contrastano con le mie informazioni.

Qui si tratta di lavorare insieme indipendentemente dal colore politico del Governo e al solo fine di portare un concreto e sollecito giovamento alle popolazioni colpite contribuendo ad un’opera altamente umana e civile. (Applausi).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole interpellante a dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Una chiarificazione anzitutto, perché il Ministro ha fatto delle allusioni di carattere politico. Egli deve riconoscere che la mia interpellanza è stata firmata da uomini di tutti i settori. Anzi tengo a dichiarare che anche l’onorevole Lucifero mi ha detto proprio oggi di aderire in pieno alla mia interpellanza, che non ha firmato, perché assente. Quindi nessuna speculazione politica. Sono perfettamente d’accordo con lei, onorevole Ministro.

In quanto al progetto legislativo, prendo atto con letizia della sua comunicazione e la ringrazio, sebbene debba dire che questo provvedimento venga un po’ in ritardo, a distanza di tre mesi e dopo la presentazione della mia interpellanza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. La data è antica. Le relative pratiche sono tutte a sua disposizione.

SILIPO. Quale data? Certo, non quella dell’approvazione, giacché, come lei stesso ha detto, il progetto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri soltanto venerdì, 18 settembre. Comunque mi dichiaro sodisfatto.

Riguardo al contenuto di questo provvedimento legislativo, non posso dire nulla perché non ne ho preso visione e, quindi, non posso dire se risponda alle esigenze da me esposte. Non appena l’avrò letto e studiato, farò una mia relazione a lei personalmente, appunto per quel desiderio di collaborazione che deve animare tutti in simili frangenti.

Riguardo all’opera dei suoi ispettori, mi sembra d’essere stato abbastanza chiaro.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ormai l’opera degli ispettori è finita.

SILIPO. Ma la loro relazione resta, e questo è il guaio più grande. Se vuole un’altra prova dell’opera inconsulta di costoro, eccola: il Comune di Chiaravalle mi scrive: «In questo Comune le famiglie senza tetto sono 32 e per esse il Genio civile ha predisposto un solo lotto di case popolari per appena otto famiglie».

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Per ora otto famiglie, ma gli altri 400 alloggi finiranno per compensare ad usura la deficienza fra otto e trentadue.

SILIPO. Voglio dire che mentre il Genio civile ha giudicato sufficiente per Chiaravalle un ricovero per otto famiglie, il numero effettivo delle famiglie senza tetto è ivi di trentadue.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevole Silipo, se mi consente, quando ho parlato di 8 alloggi non ho parlato di otto alloggi definitivi. Ho detto che questi rappresentano, di fronte ai 170 già sistemati, altri 150 alloggi per altrettante famiglie.

Ho detto anche che c’è un progetto per un complesso di altri 400 alloggi che verranno, adesso che abbiamo lo stanziamento, a sodisfare ad usura tutte le esigenze, comprese quelle del sindaco di Chiaravalle.

SILIPO. Lei parla del numero complessivo degli alloggi, per tutti i paesi terremotati, e, se entriamo in questo argomento, debbo dichiarare che il numero da lei citato non mi sembra sufficiente. Comunque, mi voglio augurare che si facciano, perché siamo già alla fine di settembre. Riguardo al miliardo e mezzo stanziati, le dico con franchezza che vi sono delle espressioni parlamentari delle quali diffido. Tra queste v’è quella di «stanziamento». Invece dell’espressione «stanziamento» preferirei che si parlasse di «assegnazione».

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ma quando è avvenuto lo stanziamento ne consegue l’assegnazione.

SILIPO. Stanziamento è una cosa, assegnazione è un’altra. (Commenti al centro).

Si stanziano i milioni che si vogliono, ma poi si dice: quando ci saranno i soldi si procederà ai lavori. Invece, quando si tratta d’assegnazione, s’intende che la somma è già pronta, quindi… Mi permetta, infine, onorevole Ministro, di dirle che alcuni sindaci si sono lamentati del suo modo d’agire, perché, avendo rivolto a lei personalmente parecchi telegrammi, lei, non so perché, non si è benignato di rispondere…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ma ho provveduto.

SILIPO. Una risposta si poteva pure dare. In ogni modo, quello di cui la prego caldamente è di non tenere in nessun conto gli accertamenti degli ispettori ministeriali, contro cui si sono levate voci di protesta da tutte le parti, ed io ho citato dei fatti positivi.

Mi voglio augurare di non dover intervenire ancora una volta in una materia così dolorosa.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza dell’onorevole Nobile, al Ministro della difesa, «sulla situazione venutasi a creare con la riammissione in servizio permanente effettivo degli ufficiali che furono sottosegretari di Stato per l’aeronautica con la repubblica fascista: e sulle gravi sperequazioni createsi con l’applicazione della legge sullo sfollamento».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerla.

NOBILE. Onorevoli colleghi! Nella prima parte dell’interpellanza sono incorso in una inesattezza che mi è grato rettificare: ho dato per avvenuto ciò che allo stato attuale delle cose è soltanto una minaccia. Una minaccia, però, che, secondo informazioni attinte al Ministero della difesa, sussiste realmente, tant’è vero che si sta preparando un apposito provvedimento legislativo per stornarla. Per quanto mi risulta, gli ex sottosegretari di Stato per l’Aeronautica della repubblica di Salò non sono stati ancora ufficialmente riammessi nei ruoli; ma la riammissione, a quanto pare, è l’inevitabile conseguenza giuridica dell’esito dei procedimenti giudiziari cui essi furono sottoposti.

Sta di fatto che taluno di quei sottosegretari, condannato dalla Corte di assise speciale, è stato recentemente amnistiato, mentre tal altro è stato assolto.

Ora, secondo il parere espressomi negli uffici dell’Aeronautica, amnistia ed assoluzione porterebbero necessariamente ed implicitamente alla revoca della cancellazione dai quadri. Una tale revoca – fosse pure soltanto temporanea – costituirebbe invero uno scandalo intollerabile, perché né l’amnistia, né l’assoluzione potranno mai distruggere il fatto che questi ufficiali occuparono alte cariche nella repubblica fascista e che, in conseguenza, organizzarono e diressero la lotta contro le nostre truppe regolari e contro i nostri partigiani.

Ma è sulla seconda parte dell’interpellanza che voglio particolarmente intrattenermi. L’argomento è grave e meriterebbe una discussione assai ampia, che tentai già altra volta di provocare in questa Assemblea con una interpellanza che per varie circostanze non fu poi discussa. Essa si riferisce all’ormai famigerato decreto legislativo del 14 maggio 1946, che regola lo sfollamento dei quadri delle Forze armate.

Non vi è oggi alcuno, io ritengo, il quale non riconosca che quel decreto fu uno sproposito solenne, un provvedimento affrettato e male studiato, sia per l’impostazione generale che per quella particolare. Con esso infatti si voleva, da un lato, favorire l’esodo volontario degli ufficiali, e questo era cosa lodevole; dall’altro, si volevano colpire, eliminandoli dai quadri, quegli ufficiali che, pur essendo stati discriminati, avessero riportato sanzioni disciplinari dopo la data dell’8 settembre 1943.

Già il fatto solo di avere accomunato in un solo provvedimento queste due così differenti categorie di ufficiali e con il medesimo trattamento economico costituisce, a mio avviso, un primo madornale errore. Si consideri, poi, che il trattamento economico fatto agli ufficiali che, per essersi comportati male all’atto e dopo dell’armistizio, furono collocati di autorità in posizione ausiliaria, in esecuzione del succitato decreto, è veramente un trattamento privilegiato in confronto di quello fatto ad ufficiali che, avendo sempre compiuto il proprio dovere ed essendo rimasti sempre fedeli alle legittime istituzioni della Patria durante il periodo nazi-fascista, furono, antecedentemente all’emanazione del decreto stesso, collocati in pensione per aver raggiunto i limiti di età.

Infatti il comma c) dell’articolo 5 del decreto stabilisce che all’ufficiale collocato nella riserva o in ausiliaria spettano, per i primi due anni, gli assegni completi, che percepiva al momento dello sfollamento e, per gli anni successivi, gli assegni stessi ridotti di un quinto.

Ad aggravare la cosa, il limite di età è stato notevolmente prolungato. Così, ad esempio, per un tenente colonnello pilota, per il quale il limite di età normale era di 48 anni, il limite stesso viene portato a 56, prolungato cioè, di ben 8 anni. Per fare un caso concreto, un tenente colonnello ammogliato senza prole, dell’età di 46 anni, se viene collocato oggi in posizione ausiliaria in base a quel decreto, continuerà a percepire per due anni lire 38.725 mensili lorde fino al 48° anno di età, mentre, per i successivi 11 anni, cioè fino al 59° anno, percepirà, come ho già detto, i quattro quinti di quegli assegni, cioè lire 30.980 al mese.

In totale, nello spazio di 13 anni, l’ufficiale predetto, punito per il suo comportamento dopo l’8 settembre 1943, avrà ricevuto ben lire 5.018.760 al lordo. Si confronti con questo il trattamento fatto all’ufficiale di pari grado che non riportò alcuna sanzione disciplinare per il suo comportamento dopo l’armistizio, che non demeritò in alcun modo ma che anzi, per aver fatto il suo dovere, sopportò disagi e corse rischi insieme con la sua famiglia. Questo degno ufficiale, supposto che avesse raggiunto il limite di età qualche mese prima della data di emanazione del decreto, e che contasse 40 anni di servizio utili per la pensione, sarebbe stato collocato in pensione col trattamento normale di quiescenza, cioè con 185.400 lire lorde all’anno. Pur tenendo conto degli aumenti apportati successivamente a tutte le pensioni, egli, nel medesimo periodo di tempo di tredici anni, avrà percepito 2.552.616 lire; cioè quasi esattamente la metà della somma percepita dall’ufficiale eliminato dal servizio per essersi compromesso dopo l’8 settembre 1943!

L’iniquità, direi anzi l’assurdità, di tale sperequazione salta agli occhi; e non occorre aggiungere alcuna parola di commento.

La fretta con cui fu emanato quel decreto legislativo, così pieno di spropositi, non si può in alcun modo giustificare. In materia così grave si imponeva la più grande prudenza. D’altronde, la riduzione impostaci dal cosiddetto trattato di pace era ancora di là da venire; tanto è vero che nemmeno oggi, ad un anno e mezzo di distanza dal decreto, è cosa decisa. Né si può dire che la fretta fosse giustificata dall’urgenza di alleggerire i bilanci delle Forze armate. In realtà, per le ragioni che ora ho dette, l’applicazione del decreto, all’atto pratico, si è risolta in un aggravio notevole per lo Stato. Sarebbe stato assai meno oneroso per il bilancio statale corrispondere agli ufficiali da sfollarsi i pieni assegni, come se fossero in servizio, fino al raggiungimento dei limiti normali di età; e una volta poi raggiunti questi limiti, collocarli in pensione col trattamento normale di quiescenza.

È bensì vero che il maggior onere all’erario dello Stato, derivante dall’applicazione del decreto, risulta oggi attenuato, in qualche caso anche eliminato; ma ciò si deve soltanto ad una malaugurata circostanza, certamente non prevista da chi compilò il decreto; voglio dire la svalutazione della lira; svalutazione la quale ha imposto, come si sa, successivamente all’emanazione del decreto, un aumento generale degli stipendi. Questo aumento, però, ha portato ad un’altra grave sperequazione, di cui parlerò di qui a poco. Per ora voglio far notare che, secondo l’articolo 2 del decreto, si dovevano «di massima» – così dice testualmente il decreto – collocare nella riserva o in posizione ausiliaria anzitutto gli ufficiali che, pur essendo stati discriminati, avessero riportato sanzioni disciplinari per il loro comportamento dopo l’8 settembre. Questa espressione «di massima», inserita nell’articolo 2 del decreto, fu quanto mai infelice, prestandosi, come è ovvio, ad ogni sorta di interpretazioni. E, in effetti, tra i primi ufficiali superiori sfollati dell’aeronautica se ne trovano parecchi che non solo non hanno riportato alcuna sanzione disciplinare per il loro comportamento dopo l’8 settembre, ma anzi hanno benemeritato. Citerò per tutti il caso di un colonnello, che non conosco personalmente, ma di cui ho avuto occasione di occuparmi: il colonnello pilota Cesare Scaetta. Questo ufficiale, che in tempo di pace aveva compiuto ben 1.400 voli, era certo considerato tra i migliori piloti da bombardamento, dal momento che era stato classificato con 20/20. È vero che non aveva partecipato alla guerra d’Africa né a quella di Spagna e nemmeno a quella dell’«asse», ma per contro si era arruolato volontario a 17 anni fra gli alpini ed aveva passato un anno in trincea. Durante il periodo fascista era stato oggetto di persecuzioni. Nel 1926 un suo fratello antifascista militante lasciò l’Italia per rifugiarsi in Francia, dove morì 15 anni dopo. Dal momento della fuga all’estero del fratello, cominciarono per lo Scaetta le persecuzioni: subì perquisizioni domiciliari, trasferimenti, umiliazioni di ogni sorta. La sua carriera fu ostacolata da prima ed infine stroncata. Caduto il fascismo, fu riammesso in servizio. Il suo comportamento dopo l’armistizio fu ineccepibile. Restò per otto mesi alla macchia per sottrarsi agli ordini emanati dalle autorità nazi-fasciste. Niente, dunque, adesioni larvate né doppio giuoco. Per il suo caso era comminata la pena di morte. Dovette abbandonare la famiglia e vivere segregato, col timore continuo che la moglie ed i figli potessero essere da un momento all’altro trascinati in campo di concentramento. Con la liberazione di Roma riprese servizio e fu assegnato ad una Commissione di epurazione, dove compì regolarmente il suo dovere.

Orbene, un tale ufficiale, con siffatti onorevoli precedenti, fu uno dei primi ad essere sfollato, il 21 dicembre 1946, con due giorni di preavviso, come non si farebbe neppure con una serva. Unico motivo ufficiosamente addotto: mancanza di reparti.

Mentre così si mandavano a casa ufficiali che pur avevano un chiaro passato di antifascismo, altri invece erano trattenuti in servizio, e spesso anche promossi, che nel passato si erano gloriati di essere squadristi o antemarcia o che avevano fatto sfoggio di distintivi di sciarpa littorio o di volontariato nella guerra di Spagna o che perfino avevano aderito alla repubblica di Salò, con o senza il solito comodo doppio giuoco.

Come vedete, onorevoli colleghi, gravi errori furono commessi nella prima applicazione di questo infelice decreto, ma altri più gravi stanno per commettersi ora, conseguenza questi, non già di errato giudizio o di parzialità delle Commissioni preposte alla scelta degli ufficiali da eliminare, ma esclusivamente delle disposizioni stesse del decreto.

Si noti infatti che – secondo l’articolo 8 – nessun ufficiale poteva essere sfollato fin tanto che si trovava sotto processo di epurazione. In conseguenza, gli ufficiali più gravemente compromessi dopo l’armistizio figurano tuttora in servizio. Essi, che avrebbero dovuto essere eliminati per primi, saranno eliminati per ultimi.

Si dirà che si tratta di un ritardo senza alcuna conseguenza. No, le conseguenze vi sono, e non soltanto di carattere morale ma anche, e soprattutto, di carattere economico.

Si consideri il comma c) dell’articolo 5, il quale prescrive che lo stipendio e l’indennità militare dell’ufficiale collocato in ausiliaria o nella riserva saranno i medesimi di quelli che egli godeva quando era in servizio. Segue da ciò che un colonnello antifascista (come nel caso che ho citato) sfollato prima del dicembre 1946 continua oggi a percepire (a parte il carovita), fra stipendio e indennità militare, lire 10427 mensili lorde, le stesse, cioè, che percepiva al momento in cui lasciò il servizio; mentre un colonnello con benemerenze fasciste, che venga sfollato oggi in base a quel decreto, percepirà, fra stipendio e indennità militare, lire 23.304, giungendosi così alla paradossale conseguenza, certamente non voluta dal legislatore, che ufficiali che avrebbero dovuto essere puniti risulteranno invece premiati con 12.877 lire in più al mese. Né il vantaggio si limita soltanto a questo, perché per il fatto stesso di essere sfollati con un anno e più di ritardo essi avranno goduto per un periodo più lungo dell’intero stipendio e degli assegni.

Voi vedete, onorevoli colleghi, a quali immorali conseguenze porti nella pratica applicazione questo decreto legislativo del 14 maggio 1946. Bisogna convenire che esso fu emanato troppo precipitosamente ed anche più precipitosamente applicato. Si deve ora avere il coraggio di riconoscere francamente l’errore commesso e ripararlo. Meglio sarebbe abrogarlo e farne uno nuovo, in base a criteri più semplici e più razionali, ma, ove non si creda opportuna una tal cosa, si dovrebbe per lo meno fissare per legge una unica data di collocamento nella posizione ausiliaria o nella riserva per tutti gli ufficiali sfollati.

Se mai una distinzione volesse farsi, essa dovrebbe essere nel senso che gli ufficiali che si compromisero dopo l’8 settembre 1943 s’intendono collocati in posizione ausiliaria con quella stessa data, mentre per tutti gli altri si dovrebbe fissare una data unica, ad esempio, il 1° ottobre 1947.

La riduzione dei quadri impostaci dal cosiddetto trattato di pace ed anche dalle nostre condizioni economiche è un’operazione assai dolorosa. Essa è cominciata dagli ufficiali superiori e generali, ma dovrà purtroppo seguitare con gli ufficiali inferiori.

Speriamo che per questi almeno non si ripetano gli errori commessi per quelli. Si rifletta che si tratta in gran parte di ufficiali che per anni hanno servito fedelmente e con onore il Paese. Essi si vedono stroncare una carriera sulla quale avevano fatto assegnamento e spesso saranno obbligati ad una vita di grandi ristrettezze. Sulla necessità di misere così gravi, nessuno oggi discute, dal momento che sono dettate da considerazioni di ordine superiore; ma misure di questo genere, per essere tollerate con equanimità, richiedono che siano eseguite con giustizia. Giustizia finora non vi è stata, perché, nella sua prima applicazione, la legge sullo sfollamento dei quadri ha favorito precisamente quegli ufficiali che avrebbero dovuto essere puniti. Io spero che il Governo provveda.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Onorevoli colleghi, ed in particolar modo onorevole Umberto Nobile, noi seguitiamo il nostro cordiale dialogo che dura, mi pare, su questa materia, dal nostro ingresso in quest’Aula. Ed anzitutto vorrei pregarla, in via pregiudiziale, di una cosa, che è questa: ha riconosciuto la inconsistenza dei suoi timori per la prima parte della sua interpellanza e l’ha riconosciuta perché, essendosi recato al Ministero con quella libertà che hanno tutti i deputati di recarsi nei vari uffici e trattare anche personalmente dei problemi che stanno loro a cuore, ha avuto una smentita a quanto era soltanto un suo timore, ma ha avuto aggravato anche il timore per l’avvenire. Se oltre che andare negli uffici fosse venuto anche direttamente da me, avrei non soltanto smentito quella che era una falsa notizia che le avevano dato, ma la avrei anche rassicurata per l’avvenire. C’è un vecchio proverbio che dice: non fasciamoci la testa prima di averla rotta. C’è anche la storia di quella mamma di Franceschino che piangeva per la morte di Franceschino prima che fosse nato. Andiamo alla realtà; e la realtà è questa, ed è bene che l’Assemblea la sappia nell’interesse di tutti. La carica di Sottosegretario per l’aeronautica presso la repubblica fascista fu ricoperta dal tenente colonnello Ernesto Botto, dal generale di brigata aerea Enrico Tessari, dal generale di brigata aerea Ruggero Bonomi, dal tenente colonnello Manlio Molfese: i primi tre ufficiali effettivi, il quarto ufficiale di complemento. Tutti e quattro furono cancellati dai ruoli perché nel loro comportamento furono ravvisati gli estremi della collaborazione con il nemico. Nessuno di essi è stato finora riammesso in servizio. Quanto a ciò che potrà verificarsi in prosieguo di tempo è da tener presente – e questo è ormai noto a tutti – che la quarta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 3 luglio 1946, ha affermato il principio che, qualora in sede penale gli interessati non vengano condannati per collaborazionismo, la cancellazione dai ruoli non può restare operante, in quanto il fatto generatore di collaborazione è unico, e se cade per un effetto deve cadere anche per l’altro. Ora, mentre per il generale Bonomi il provvedimento penale è tuttora in corso, per il generale Tessari e per il tenente colonnello Molfese si è estinto per amnistia. Il tenente colonnello Botto non fu denunciato perché a suo carico non risultarono elementi di colpevolezza dato anche il brevissimo periodo in cui ricoprì la carica; si acquistò anzi benemerenze partigiane dopo cessata la carica. Nei confronti del Botto e del Tessari si dovrebbe procedere alla revoca della cancellazione dai ruoli e altrettanto per il Bonomi, qualora il provvedimento penale ancora in corso si concludesse senza condanna. La posizione del Molfese non desta preoccupazione, perché ufficiale di complemento. Quale funzionario civile dell’aeronautica, egli riveste il grado di ispettore generale. È stato da tempo collocato a riposo, e il provvedimento è irrevocabile. Le preoccupazioni che l’interpellante ha circa la situazione che si verrà a creare con la riammissione pura e semplice dei summenzionati ufficiali non mancarono di essere tempestivamente avvertite dalle autorità responsabili, e, per risolvere le varie questioni connesse alla revoca della cancellazione dai ruoli che dovrà disporsi per effetto della sentenza del Consiglio di Stato, fu posto allo studio un apposito provvedimento legislativo ora in corso di diramazione per l’esame al Consiglio dei Ministri. (Ricordate la drastica risposta data dal collega onorevole Sforza qualche seduta fa).

Con esso si dispone che le cancellazioni dai ruoli rimangano ferme nei casi di condanna ancorché seguita da amnistia, dalla cosiddetta amnistia impropria; mentre sono senz’altro revocate nei casi di assoluzione con formula piena. In tutti gli altri casi, tra i quali rientrano quelli degli ex sottosegretari, la posizione degli interessati sarà riesaminata dalla Commissione la quale, nel termine di sei mesi, proporrà al Ministro la definitiva conferma della cancellazione. Nelle more di tale provvedimento non si fa luogo alla corresponsione di competenze arretrate. In tal modo si darà all’amministrazione la possibilità di eliminare il passato rigore lasciandole peraltro la facoltà di mantenere le cancellazioni in quei casi in cui la riammissione in servizio potrebbe riuscire dannosa alla compagine militare.

E veniamo allo sfollamento. Vorrei pregare l’onorevole Nobile ed eventuali altri interpellanti di essere più dettagliati nella esposizione del loro pensiero, perché io ho inteso, leggendo l’interpellanza dell’onorevole Nobile, che parlasse soprattutto di sperequazioni di carattere economico per le varie categorie di sfollati. Comunque, rispondo a questa parte. Le sperequazioni createsi con l’applicazione della legge sullo sfollamento derivano dal fatto che l’assegno integratore può essere variato unicamente in relazione al variare del carovita, e non anche al variare degli stipendi base. Conseguentemente coloro che furono sfollati con la prima aliquota, sotto la data del 31 dicembre, hanno avuto bloccato il trattamento di sfollamento, mentre coloro che vengono sfollati ora beneficiano di un successivo aumento di stipendio; la differenza è sensibile e la sperequazione è ancora più grave, per il fatto che con la prima aliquota non si poterono sfollare gli ufficiali sottoposti ad epurazione, perché l’articolo 8 della legge lo vietava.

Prendendo il caso di un tenente colonnello, si hanno assegni di lire 13.580 mensili nella prima ipotesi, e di 20.875 nella seconda ipotesi.

Allorquando fu concordato col Ministero del tesoro il trattamento di sfollamento, fu dall’Amministrazione militare accettata la norma suddetta, perché si partiva dal presupposto, allora, nei primi del 1946, sicuro (era Ministro, mi pare, l’onorevole Cevolotto), che l’adeguamento delle competenze degli statali al costo della vita sarebbe stato disposto soltanto sul caro-vita e non sullo stipendio base. Ora che tale principio è stato abbandonato, ci adoperiamo per modificare la legge nel senso di rendere l’assegno integratore variabile col variare dello stipendio base, oltre che del caro-vita. Vogliamo stabilire un’unica data per tutti, quella dell’ultima aliquota.

Per tutto il resto cui ha accennato l’onorevole Nobile, do una breve risposta, attingendo un po’ alla memoria dei tanti colloqui avuti con lui in quest’Aula; precisamente, per quanto riguarda lo spirito con cui è stato fatto lo sfollamento, mi riallaccio al mio discorso sulle comunicazioni del Governo, sullo svolgimento dell’ordine del giorno del mio successore onorevole Gasparotto. Non so se era presente l’onorevole Nobile; comunque, secondo la consuetudine che abbiamo, di lasciare qualcosa dei nostri discorsi, io ho fatto stampare quel discorso; credo di averlo mandato anche all’onorevole Nobile.

NOBILE. No.

CINGOLANI. Ministro della difesa. Mi dispiace; glielo manderò.

In quel discorso io ho affrontato in pieno la questione; ho polemizzato su quanto l’onorevole Nobile aveva affermato, circa il numero dei generali e le qualità di squadrista, di sciarpa littorio e di aderente alla repubblica di Salò; dimostrando che lo sfollamento era avvenuto con serenità di giudizio, ma anche con eccezionale dolore. Perché, dover mandare via 14 mila persone dall’Amministrazione quando si dispone di un corpo di ufficiali e di sott’ufficiali di primo ordine (all’infuori dei repubblichini e delle sciarpe littorio e squadristi), gente dotata di capacità di comando, di resistenza fisica, di virtù morale, di tradizioni e di rettitudine, è un taglio dolorosissimo, che costa all’Amministrazione più di quello che non pesi sulla vita futura di questi valorosi ufficiali. Io non mi pentirò di applicare una legge, che non ho fatta io, purché questi ufficiali e sottufficiali abbiano per un paio di anni la possibilità di orientarsi, per potere reimpiegare le proprie capacità tecniche in Italia o all’estero.

Ma non gettiamo un’accusa, che si può riferire soltanto ad una minoranza, su una massa valorosa e generosa, di alto spirito civico oltre che morale. II generale Nobile ha citato il caso del colonnello Scaetta. Lo esaminerò; sono contento che i colleghi mi aiutino in quest’opera.

NOBILE. Non ho fatto nessuna accusa generica. Ho riferito il caso specifico di un ufficiale.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Sul caso specifico mi riservo di dare delucidazioni, quando avrò preso visione del fascicolo personale.

Ma ella ha fatto accuse generiche, riferendosi a ufficiali repubblichini, sciarpa littorio e squadristi. Io affermo che le informazioni da lei assunte non sono esatte.

Si son dovuti persino escludere e sfollare ufficiali i quali si presentarono alle autorità repubblichine per dichiarare che non volevano prestare servizio, ed ufficiali che entrarono in ospedali, per sottoporsi ad operazioni di cui non avevano bisogno, pur di non servire la repubblica di Salò. Ebbene se costoro sono stati colpiti non mi si venga poi a dire che abbiamo mantenuto in servizio dei repubblichini! Se siamo caduti in qualcuno di questi errori, da colleghi a colleghi, ditecelo: noi lo riconosceremo e giustizia sarà fatta!

VERNOCCHI. È stata fatta l’epurazione a rovescio!

CINGOLANI, Ministro della difesa. Ma lei è avvocato! L’autorità di Stato, allora impersonata dal colonnello Botto e dal generale Tessari, non fu riconosciuta da molti ufficiali dell’aeronautica, i quali per non riconoscere quella autorità si sono fatti ammazzare, come è accaduto a due generali fucilati alle Fosse Ardeatine. Dovendo noi tagliare così dolorosamente nel corpo della nostra ufficialità, dobbiamo tener conto degli ufficiali che si presentarono alle autorità repubblichine e di coloro i quali hanno rifiutato di far questo, magari lasciando le loro famiglie in miseria. È naturale che se dobbiamo scegliere, scegliamo questi e non quegli altri. Veramente mi pare di non avere altro da aggiungere. Credo, onorevole Nobile, che l’accenno fatto alle condizioni economiche degli ufficiali delle nuove Forze armate della Repubblica Italiana tocchi non soltanto lei, ma tutti noi. Dobbiamo affrontare questo problema e si deve farla finita con i luoghi comuni di un anticlericalismo di maniera ormai superato. Se l’esercito ci deve essere, esso deve essere saldo, onesto, retto, valido difensore della Repubblica e genuina espressione delle virtù del nostro popolo. Siamo noi che lo dobbiamo tenere e lo dobbiamo pagare e dargli il pane sufficiente a garantirgli la serenità di spirito. Ebbene, onorevole Nobile, tutto questo è aderente al pensiero di tutti i colleghi dell’Assemblea. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

NOBILE. Sono pienamente sodisfatto della risposta che il Ministro ha dato alla prima parte della mia interpellanza.

Per quanto riguarda la seconda parte, debbo fare qualche osservazione.

Il Ministro non ha detto come intende eliminare la grave sperequazione di cui son vittime gli ufficiali collocati in pensione nella prima metà del 1946, avanti che il decreto sullo sfollamento entrasse in vigore. Ho dimostrato che questi pensionati godono di un trattamento economico corrispondente alla metà di quello di cui usufruiscono gli ufficiali fascisti. Ciò è talmente iniquo che si deve trovar modo di rimediarvi. Da questo lato non posso dirmi sodisfatto. Un provvedimento che sani la situazione si impone. Bisogna tener presente che gli ufficiali collocati in pensione prima dell’emanazione del decreto non avevano alcuna pecca; è assurdo ed iniquo che essi abbiano un trattamento inferiore a quello degli ufficiali mandati via per aver riportato sanzioni disciplinari per il loro comportamento dopo l’armistizio. Lo stesso Ministro ha avuto una volta a pronunciare queste parole: «È addirittura inconcepibile, paradossale la situazione degli sfollati, se si confronta con la situazione di molti ufficiali che, sebbene incriminati, si trovano tuttora in servizio permanente effettivo». Con questa sua dichiarazione, il Ministro ha già dato ragione ai gravi rilievi da me fatti.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Qui non si tratta di valutazione politica, ma di capacità tecnica. Penso che ci volevano due leggi, non una.

NOBILE. Ciò conferma quanto ho obiettato. I primi ad essere eliminati sono stati gli ufficiali non fascisti. È un fatto che bisogna riconoscere. Non metto in dubbio che le Commissioni giudicatrici non abbiano agito correttamente; ma ritengo che esse abbiano preso in considerazione soprattutto i meriti tecnici e militari, mentre il decreto voleva che fossero sfollati principalmente gli ufficiali che si erano compromessi dopo l’armistizio. Qui sta l’errore commesso.

In quanto alla affermazione del Ministro, non esser vero che siano stati trattenuti in servizio ufficiali insigniti di distinzioni fasciste, posso smentirla in pieno. Ho qui davanti a me dei documenti ufficiali che dimostrano l’esattezza delle mie affermazioni. Potrei leggere una lista di ufficiali in servizio che furono squadristi o ebbero altre benemerenze consimili; ma mi astengo dal farlo, perché non mi piace portare in pubblico nomi di distinti ufficiali che, se commisero l’errore di militare nel partito fascista, sono peraltro persone stimabili. Del resto non invoco provvedimenti contro di essi, ma provvedimenti a favore degli ufficiali che il loro errore non commisero. Creda pure l’onorevole Ministro che se citassi fatti e nomi egli e l’Assemblea resterebbero convinti della fondatezza delle mie affermazioni.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Segnali a me questi nomi.

NOBILE. Lo potrei anche fare, sebbene potrei dire al Ministro di ricercarli da se stesso.

L’essenziale è la questione di principio. Non si può ammettere che vi siano gravi sperequazioni come quelle da me denunciate. Esse vanno eliminate, ed io spero che i provvedimenti che il Ministro ha promesso siano tali da eliminarle.

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle altre due interpellanze all’ordine del giorno è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per restituire il dovuto prestigio all’Istituto Orientale di Napoli, riportandolo alla sua missione di custode, diffusore e incrementatore del patrimonio di cultura e civiltà, merito degli orientalisti italiani.

«Codacci Pisanelli».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere quali criteri intenda seguire nella assegnazione dell’ultimo lotto di Liberty e delle navi restituite al Governo italiano dagli Stati Uniti d’America ed in particolare se non creda, per stimolare le iniziative locali anche nel campo dell’armamento marittimo, destinare una forte percentuale di tali navi alle regioni meridionali ed isolane.

«Volpe, Borsellino».

Interesserò i Ministri competenti perché facciano sapere quando intendano rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevole Presidente, suppongo che Ella sappia che il Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque è impegnato nel suo secondo Congresso Nazionale, il quale avrà termine il giorno 25. Ci sono due questioni di grande rilievo da trattare in questa Assemblea Costituente: quella che concerne la discussione anticipata sull’ultimo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione e le mozioni Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo. Noi, riferendoci ai precedenti parlamentari, abbiamo chiesto al Presidente Terracini di voler postergare queste discussioni a dopo il giorno 25 corrente. Egli ci ha risposto, cortesemente, che non può assumersi un potere che appartiene all’Assemblea. Praticamente ha rimesso all’Assemblea la soluzione del problema, mentre egli, da parte sua, si è soltanto impegnato a consentire che, in nostra assenza, non si passi a votazione su alcuno dei due temi a cui ho accennato. Ora, evidentemente, una votazione non è un puro fatto meccanico: la mano può sempre votare, ma la coscienza deve votare dopo aver seguito tutta la discussione.

Quindi, noi chiediamo che l’Assemblea voglia procrastinare la trattazione dei due argomenti a dopo il giorno 25. Nel frattempo, si potrebbe continuare la discussione sul progetto di Costituzione.

VERNOCCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERNOCCHI. Per quanto riguarda la mozione presentata dal Partito socialista, dico subito che aderisco, per un atto di cortesia. Domani potremmo avere bisogno anche noi di un medesimo atto.

RUSSO PEREZ. Ringrazio per questo atto così cavalleresco.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che è una esigenza della vita democratica del Paese che i partiti vivano e tengano le loro consultazioni democratiche, anche il Partito comunista aderisce alla proposta di rinvio.

RUSSO PEREZ. Potessimo essere così d’accordo in tutte le deliberazioni!

CINGOLANI, Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il Governo non si oppone all’accoglimento della richiesta dell’onorevole Russo Perez.

PRESIDENTE. Aderisco anch’io, plaudendo per tanta concordia!

Se non vi sono osservazioni, rimane dunque inteso che sono rinviate a dopo il 25 corrente tanto la discussione sull’ultimo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione che quella sulle mozioni Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo; e che domani alle 16 l’Assemblea proseguirà la discussione dei primi tre Titoli della seconda Parte del progetto di Costituzione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per conoscere se, in omaggio ai principî di solidarietà umana e di giustizia, non ritenga di dover provvedere al mantenimento dei ciechi civili, mediante concessione di pensioni a carico dello Stato, e alla loro assistenza, attraverso la valorizzazione dell’Ente nazionale di lavoro per ciechi e la costruzione di case di riposo; e se non creda di porre in studio provvedimenti per i quali sia possibile il collocamento dei ciechi presso Amministrazioni dello Stato e aziende private.

De Vita.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare a favore degli agricoltori della provincia di Trapani danneggiati dalle recenti avversità atmosferiche.

De Vita.

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda di dare opportune istruzioni ai Commissari regionali per gli «usi civici» di restringere la loro azione agli atti di pura amministrazione ordinaria, posto che la materia – per deliberazione dell’Assemblea Costituente – sarà in breve di dominio legislativo dell’ente Regione.

«Un tale provvedimento appare tanto più necessario in quanto da parte di codesti organi esecutivi si insiste nell’applicazione della legge fascista sul riordinamento degli usi civici del 16 giugno 1927, n. 1766, la quale, nelle zone montane dell’Alta Italia e in particolare nel Friuli, non avrebbe altro esito che quello di determinare grave disordine e sconvolgimento dell’economia locale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Piemonte, Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali difficoltà hanno impedito la sollecita ricostruzione del Ponte Bivio di Sestu-Piscina Matzeu (Cagliari) sulla strada nazionale Cagliari-Sassari, crollato in seguito all’alluvione dell’autunno scorso. Nessun lavoro di ricostruzione di tale ponte è stato iniziato sì che, con le piogge invernali, quel tratto di strada, uno dei più importanti dell’Isola, non sarà praticabile. E per conoscere se non ritenga necessario impartire disposizioni affinché i lavori di ricostruzione siano immediatamente iniziati e condotti a termine. E se non ritenga, nello stesso tempo, opportuno prendere delle sanzioni contro funzionari eventualmente responsabili di tanta negligenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lussu».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se sia esatta la notizia pubblicata dal giornale Il Tempo nel numero di giovedì 11 settembre che per le nipoti di Giuseppe Garibaldi, figlie di Teresita e del generale Stefano Canzio, vi sia una pensione tuttora limitata a lire 287 al mese. Nell’ipotesi affermativa, giacché si riconosce senza dubbio l’opportunità di un assegno, la suddetta somma, di già improntata nelle sue lontane origini a criteri di eccessiva parsimonia, ai tempi d’oggi appare assolutamente derisoria, ed è proprio umiliante non solo per chi la riceve, ma anche per chi la dà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 20 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXVII.

SEDUTA DI SABATO 20 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Per la ricorrenza del XX Settembre:

Tonello

Russo Perez

Congedi:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Riccio Stefano

Caso

Laconi

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Schiavetti

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Di Fausto

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Colitto

Cappa, Ministro della marina mercantile

Pella, Ministro delle finanze

Zuccarini

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Persico

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Stella

Interrogazioni e interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Sull’ordine del giorno:

Presidente

Interrogazione (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Per la ricorrenza del XX Settembre.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Oggi nella mia anima turbinano tutti i ricordi della lontana giovinezza. XX settembre! Giorno sacro alla Patria italiana, giorno sacro a quanti ancora credono nella santa libertà e nel libero pensiero. Nel 1870 la monarchia di Savoia sorse sulle ceneri del potere temporale; e si sperò, dagli italiani migliori di quel tempo, che sorgesse un’aurora di pace, di giustizia e di libertà per il nostro Paese, percosso da tanti secoli di schiavitù e di persecuzioni interne e straniere.

Quante delusioni vennero dopo! Ma il significato del XX settembre rimase e rimane sempre, per quanti sforzi oggi si facciano perché quella data sia dimenticata ed umiliata.

Noi lo ricordiamo ancora il XX settembre, noi insegneremo alle future generazioni di non dimenticarsi mai di questa data, poiché in essa culminano ancora tante aspirazioni umane incompiute. Non odio di parte mi spinge a questa evocazione, ma sentimento vivo di uomo libero. L’umanità troppo pianse, troppo sofferse, troppe tirannidi sopportò in Italia e nel mondo per colpa di un potere maledetto che stendeva i suoi tentacoli sull’Europa e sul mondo. Oggi quel potere è rientrato nei suoi confini; oggi c’è una netta separazione fra quello che è il potere spirituale e quello che è il potere temporale. È bene che questa divisione permanga sempre; e che, in nome del XX settembre, il nostro Paese sia un Paese libero e supremamente laico. (Applausi a sinistra).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. L’onorevole che ha parlato or ora ha parlato di «un potere maledetto». Pare che parlasse della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Che Dio lo perdoni, se è così! (Approvazioni a destra – Rumori – Commenti a sinistra).

TONELLO. Ho parlato del potere temporale.

LUSSU. L’Italia è cattolica, ma non vuole essere clericale.

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Franceschini, Marazza e Vischioni.

(Sono concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

L’onorevole Riccio Stefano ha presentato due interrogazioni al Ministro dei lavori pubblici, che, trattando la stessa materia, potranno essere svolte congiuntamente:

«per conoscere le ragioni per le quali – nonostante le insistenti preghiere e gli impegni assunti dai vari Ministri – non ancora si è provveduto: a) ad appaltare l’acquedotto di Agerola; b) a completare il finanziamento dell’acquedotto della Penisola sorrentina, in modo da poterne accelerare l’esecuzione; c) a completare il finanziamento dell’acquedotto del Nolano e a dare inizio ai lavori»;

«per conoscere quali provvedimenti particolari intenda prendere per i comuni turistici della provincia di Napoli, per la esecuzione delle opere indispensabili».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Le due interrogazioni interferiscono fra di loro, perché entrambe si preoccupano, almeno in parte, dei problemi accennati in ciascuna di esse. Per quanto riguarda, ad ogni modo, la prima, ritengo che l’onorevole interrogante non sia al corrente della situazione, se domanda cosa abbia fatto il Ministero per gli acquedotti di Agerola, della penisola Sorrentina e del Nolano, nonostante le insistenti preghiere e gli impegni assunti dai vari Ministri.

Per l’acquedotto del comune di Agerola, l’interrogante saprà quali sono state le vicende, attraverso cui sono passati i vari progetti e le loro rispettive istruttorie, che finalmente sono state messe a punto, talché si è potuto far luogo alla licitazione privata per l’appalto dei lavori in parola.

Da tre mesi – ecco perché dicevo che l’onorevole interrogante non deve essere sufficientemente informato – l’appalto è stato perfezionato, i lavori sono stati iniziati e si stanno eseguendo regolarmente, almeno per il primo lotto, che riguarda rimpianto delle vasche di raccolta.

Circa l’acquedotto della penisola Sorrentina, il relativo progetto è stato suddiviso in più lotti, dei quali i primi due sono stati già aggiudicati, ed il Ministero dispose a suo tempo per l’immediato inizio dei lavori. Questi – e qui la ragione della mia osservazione pregiudiziale – sono in pieno sviluppo e, secondo le informazioni pervenutemi, procedono con discreta alacrità. Seguirà a suo tempo, secondo un concetto razionale, che è postulato anche dalle disponibilità finanziarie, l’appalto degli altri lotti, in termini tali che, appena eseguiti i primi, non ci sia soluzione di continuità per il proseguimento e l’ultimazione dei lavori stessi. Quanto all’acquedotto del Nolano, questo è veramente ancora nella fase istruttoria. Però tutte le difficoltà – e di ordine tecnico e di ordine legale, che hanno ritardato la licitazione, l’appalto e quindi l’inizio dei lavori – sono state ormai superate. Ora il progetto è tornato al Provveditorato di Napoli, perché senz’altro appalti i primi lotti, e disponga l’inizio immediato dei lavori. Questo per quanto riguarda la prima interrogazione.

La seconda interrogazione è legata alla prima, in quanto prevede lo sviluppo turistico della penisola Sorrentina, nel cui territorio sono compresi anche l’acquedotto di Agerola e quello del Nolano. Per questa prima parte ho già risposto e credo che queste siano veramente due opere che, insieme con le altre, confluiscano a quel fine per cui gli onorevoli interroganti hanno formulato le loro interrogazioni.

Faccio comunque osservare, in linea preliminare, che il problema del turismo non è di competenza diretta del mio Ministero, al quale spetta soltanto di predisporre e di eseguire quelle opere che sono destinate a mettere in valore tutte quelle zone che hanno una speciale importanza turistica. I due acquedotti, di cui ha formato oggetto la precedente interrogazione, sono precisamente diretti a questo scopo. Ma io sono in grado di aggiungere che anche il progetto di fare una strada turistica che colleghi Sorrento con Amalfi è in istato di avanzata istruttoria. Infatti, è attualmente all’esame del Consiglio Superiore dei lavori e subito dopo sarà mandato al Consiglio di Stato per il definitivo parere. Non appena questo sarà stato dato si disporrà il finanziamento e l’appalto di un primo lotto della strada. Io seguo la pratica con molto interesse e mi riprometto di dare quanto prima una più concreta risposta agli onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO STEFANO. Voglio ringraziare il Ministro Tupini per i chiarimenti dati. È da osservare però che l’interrogazione fu presentata il 23 giugno e che dopo di allora molti fatti si sono verificati. Do atto al Ministro dell’inizio dei lavori dell’acquedotto di Agerola, che ormai si può considerare opera compiuta. Non così, però, può dirsi per l’acquedotto del Nolano e per quello sorrentino. Siamo soltanto ai primi passi. È vero che è stato approvato il progetto dell’acquedotto sorrentino e che è stato anche approvato, e vi è financo il parere del Consiglio di Stato, il progetto dell’acquedotto del Nolano, ma è altrettanto vero che i finanziamenti si sono avuti solo in piccola parte. Tutte le mie insistenze presso il Genio civile ed il Provveditorato alle opere pubbliche hanno avuto questa risposta: provveda il Ministero al finanziamento! Erano stati dati 110 milioni per l’acquedotto sorrentino. Di questi 110 milioni, 35 sono stati spesi per l’acquedotto di Agerola: ne restano soltanto 75. Con 75 milioni l’acquedotto non può essere fatto. Per l’acquedotto di Lettere vi è un impegno generico; per quello di Gragnano non si ha neppure il progetto.

Per l’acquedotto del Nolano sono stati dati soltanto 40 milioni, mentre ne sono necessari molti di più. Giacché la mia provincia ha sete, pure avendo l’acqua su ogni collina, è veramente urgente che queste opere vengano subito completate. Chiedo al Ministro di voler dare i finanziamenti necessari e disporre la immediata esecuzione di tutto questo complesso di acquedotti, che sono fondamentali per la vita della nostra provincia. Sarebbe inutile parlare di turismo, della bellezza di Sorrento e di Capri, quando in questi due centri non vi è acqua da bere, non vi sono fognature. Che si è fatto per Capri? Da tanti anni è posto il problema dell’acqua in quella isola. Eppure è un dovere dello Stato risolverlo. Non molto occorrerebbe; ma è necessario che il Ministero si renda conto della urgenza e della inderogabilità della risoluzione. È tempo – crediamo – che queste richieste siano esaudite.

Quanto alla seconda interrogazione, indubbiamente connessa con la prima, voglio fare una modestissima osservazione: siamo a tre anni dalla fine della guerra e Capri non ha avuto un’opera. Gli alleati, che andavano a riposare a Capri, hanno tutto distrutto. Le vie sono tutte rovinate; e non una strada è stata rifatta. E tante opere nuove urgono. Ad Anacapri solo ultimamente è stato fatto qualche lavoro ed è stato assunto impegno per una strada nuova. Ma diventerà poi realtà? Così anche per Sorrento. Do atto al Ministro che nella sua graditissima visita dette ordine di eseguire una via turistica; però, sebbene egli avesse detto (io lo ricordo perché ero presente) che entro otto giorni il progetto andava approvato, adesso, a distanza di due mesi e mezzo, siamo allo stesso punto di prima. Vorrei che egli, gentile come sempre, intervenisse ancora una volta per l’esecuzione dell’opera. Per la viabilità molto è da farsi ancora nella penisola Sorrentina, nelle isole di Capri e di Ischia. Il Provveditorato ed il Ministero devono comprendere che la vita della nostra provincia è legata allo sviluppo turistico.

E non è una questione locale, ma è una questione che possiamo e dobbiamo portare sul piano nazionale, perché, se una corrente turistica di stranieri si sviluppa, vantaggi ne verranno allo Stato per l’immissione di moneta pregiata. Ringrazio, comunque, il Ministro Tupini per quanto ha fatto. Egli però, perdoni la mia insistenza, mi lasci nutrire la fiducia che, con la sua tenacia, tutte queste opere saranno portate ad esecuzione completa. Avrà la riconoscenza mia e delle popolazioni tutte della mia provincia.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Per quanto riguarda Capri, essa non è oggetto di questa interrogazione ed io mi riservo di riesaminare la questione. Devo dire soltanto all’onorevole interrogante che non è esatto quello che egli ha affermato circa i lavori dell’acquedotto del Nolano, perché un primo lotto è stato iniziato.

RICCIO STEFANO. Onorevole Ministro, è inesatta la sua notizia.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Allora, se è inesatta la mia informazione, controlleremo nell’interesse comune, perché se le notizie che mi si dànno non sono esatte, bisognerà che non mi limiti soltanto a prendere atto delle inesattezze, ma a prendere anche qualche provvedimento.

Però, avrei preferito che l’onorevole Riccio, che mi pare mi abbia accompagnato in quelle visite molto affrettate e rapide, e che ebbero anche una conclusione costruttiva relativamente alla strada da Amalfi a Sorrento, e per la quale gli organi tecnici rappresentati dal Provveditorato del Genio civile mi consentivano di poter affermare che entro otto giorni i lavori sarebbero stati comunque iniziati, avrei preferito che l’onorevole Riccio (io non posso essere onnipresente, io raccomando sempre a coloro che mi accompagnano di prendere nota di quello che si dice) si fosse fatto sollecito dopo otto, dieci giorni.

RICCIO STEFANO. Sono stato ogni settimana al Provveditorato!

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Non ad informare me, però, che quanto si era disposto sul luogo non aveva avuto esecuzione. Io certamente avrei potuto tempestivamente provvedere. Comunque, ne prendo nota, mi informerò e provvederò in conseguenza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione al Ministro dei lavori pubblici degli onorevoli Caso, Numeroso, Titomanlio Vittoria, De Michele, «per conoscere le ragioni che, a quattro anni dalla battaglia del Volturno, fanno ritardare la ricostruzione dei ponti sul fiume omonimo, sacro alla Patria e utile all’economia nazionale al pari degli altri fiumi italiani; e per invitarlo, a nome delle popolazioni interessate, a quell’intervento decisivo che superi ogni intralcio burocratico e mostri effettivamente che la giustizia distributiva per il Mezzogiorno d’Italia non è puro artificio retorico. I ponti sul Volturno da costruire o ricostruire sono quattro: quello della Scafa di Vairano Patenora, il ponte Margherita presso Dragoni, il ponte di Annibale, il ponte alla Scafa di Caiazzo (provincia di Caserta); e tutti e quattro sono di tale riconosciuta importanza che il farne senza costituisce attualmente l’ostacolo maggiore per la ripresa del traffico di una zona che è il passaggio obbligato fra il Molise, il Lazio, le Puglie, Napoli e Roma.

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Anche qui mi sembra di poter affermare – a meno che l’onorevole Caso non abbia notizie più recenti di quelle che mi fornisce l’ufficio – che, per quanto attiene ad uno dei ponti, l’interrogazione è tardiva e intempestiva, perché il primo non solo è stato ricostruito, ma mi dicono che è in piena efficienza anche per opere d’arte e per tutto ciò che riguarda parapetti e rifiniture.

CASO. Non fa parte della interrogazione.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Quello della Scafa di Vairano Patenora.

CASO. No, quello ricostruito è un altro.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Lo dirà nella replica. Comunque esamineremo insieme come stanno effettivamente le cose. Debbo dire però che – secondo le informazioni dei miei uffici – il ponte di Raviscanina, che è il più vicino alla località di Vairano Patenora, menzionato nella interrogazione, è stato ricostruito ed anche le opere di rifiniture sono state ultimate.

Se vi sono delle disparità fra le notizie che mi fornisce il mio ufficio e quelle dell’onorevole Caso, sarà mio dovere di rettificare.

Circa il ponte Margherita, il relativo progetto ha dovuto subire, come tutti i progetti, la sua fase istruttoria e vi sono state apportate alcune modifiche. Ora l’ultima variante che è stata suggerita dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha avuto la necessaria approvazione e posso assicurare che i lavori, almeno per un primo lotto, saranno prossimamente iniziati, secondo mie precise disposizioni.

Per quanto attiene agli ultimi due ponti, l’onorevole Caso e gli altri colleghi interroganti conoscono la situazione; è una questione vecchia, anteriore alla guerra, di cui la guerra ha impedito la soluzione. Si tratta di una questione esistente fra l’amministrazione provinciale di Caserta e l’A.N.A.S., secondo la quale un tronco stradale, sul quale dovrebbe costruirsi il quarto dei ponti ai quali accenna l’onorevole interrogante, dovrebbe formare oggetto di una permuta col tronco stradale sul quale dovrebbe costruirsi il terzo ponte.

Io ho sollecitato la ripresa delle trattative tra i due enti posso assicurare che la permuta avverrà fra breve. Si aspetta soltanto che l’Amministrazione provinciale di Caserta dica la sua ultima parola e approvi il progetto.

Dopo di che, avvenuta la permuta, l’A.N.A.S. procederà alla costruzione del quarto ponte e mediante opportuni accordi con l’amministrazione provinciale, per ciò che attiene alle rispettive competenze, si potrà dare anche inizio alla ricostruzione del terzo ponte definitivo, in sostituzione di quello provvisorio di ferro attualmente esistente e che, per il momento, risponde abbastanza bene alle esigenze del traffico. Mi auguro che queste mie assicurazioni valgano a far dichiarare sodisfatto l’onorevole interrogante.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CASO. Ringrazio l’onorevole Ministro e do un chiarimento per il quinto ponte del Volturno, che è l’unico costruito lungo il suo corso, cioè il ponte di Raviscanina, che non ha niente a che vedere con quelli citati nella mia interrogazione.

Il     ponte Margherita presso Dragoni è l’unico ponte che è stato appaltato, onorevole Ministro, nel febbraio 1945 e doveva essere ricostruito nel dicembre dello stesso anno, mentre sono trascorsi due anni per una controversia fra la ditta appaltatrice Del Vecchio e lo Stato.

Il ponte di ferro, al posto di quello in fabbrica, è un ponte che è costato allo Stato sei milioni e non è stato quindi, un regalo degli Alleati. Siccome la ditta Del Vecchio, appaltatrice dei lavori, è venuta meno all’appalto e d’inverno, spesso, il traffico veniva interrotto per la piena del fiume (si traghettava con delle zattere antidiluviane), il Ministero dei lavori pubblici venne incontro alle nostre richieste e fece costruire il ponte in ferro che, come ho già detto, è costato sei milioni. Per quanto riguarda poi, il ponte della Scafa di Vairano Patenora debbo segnalare la sua importanza, giacché allaccia numerosi paesi della zona occidentale del Matese con lo Scalo di Vairano sulla linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli.

TUPINI. Ministro dei lavori pubblici. Di nuova costruzione?

GASO. Di nuova costruzione. Nella sua risposta vi è dunque un equivoco…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Chiarito, chiarito.

CASO. In sostanza mi dichiaro sodisfatto e sono ben lieto che il Ministro sia in grado di venire incontro al più presto ai bisogni della zona del Medio Volturno e dell’Alifano, tanto più che egli conosce già la nostra provincia di Terra di Lavoro.

Tengo a richiamare inoltre l’attenzione del Governo sulla necessità dell’immediata ricostruzione degli altri ponti e cioè di quello di Annibale presso Capua oltre che del ponte Margherita, che entrambi, non solo servono al traffico comune, ma sono destinati, fra le opere più importanti, ad affrettare la già decisa ricostruzione della ferrovia secondaria per Piedimonte d’Alife dando passaggio, sullo stesso piano stradale, al binario della ferrovia suddetta.

Sono molto sodisfatto delle assicurazioni che ella mi dà per la costruzione del ponte alla Scafa di Caiazzo e sono grato a lei e all’Amministrazione provinciale di Terra di Lavoro che ha accettato e facilitato la permuta stradale, permettendo così, quasi con la stessa spesa, di costruire due ponti sul Volturno, anziché nello stesso posto (Triflisco), in due località, poco distanti fra loro, ma favorevoli ad un maggior smaltimento del traffico che verrà smistato per Capua e Santa Maria Capua Vetere attraverso il ponte di Annibale e dal Molise e dall’Alifano per Caserta e Napoli attraverso il più breve percorso del nuovo ponte da costruire alla Scafa di Caiazzo.

Mi associo all’onorevole Riccio per quanto egli ha rilevato intorno alla lentezza con cui vengono eseguiti gli ordini del Ministero. Posso dire che per qualunque lavoro pubblico che riguardi specialmente la provincia di Caserta ho l’impressione che gli organi tecnici facciano l’impossibile per svalutare l’opera e le buone disposizioni del Governo centrale. I funzionari che vengono mandati da Roma sono dovunque accolti con gesti di fastidio e di sopportazione. (Approvazioni).

PERSICO. Mi associo.

CASO. Io mi sono recato giorni or sono dall’ingegnere Capo del Genio civile di Caserta per sottoporgli la necessità di costruire una strada molto importante. Egli, pur avendomi data la precedenza, ha fatto comprendere che in quel momento non aveva tempo per discutere con me. Profitto dell’occasione per elevare qui la mia protesta.(Approvazioni).

Per quanto riguarda l’attività, la diligenza, la buona volontà ed il grande spirito di abnegazione dell’onorevole Ministro Tupini gliene rendo atto pubblicamente: egli è stato uno dei primi che sia venuto nella zona del Volturno, ma non credo che abbia ricavato una grande soddisfazione quando ha potuto constatare che molte opere risultavano soltanto teoricamente eseguite. San Pietro Infine (96 per cento di distruzioni belliche), Mignano (92 per cento), Teano, Pignataro, Roccadevandro, ecc. insegnino!

Cito un fatto tanto per dare un esempio: nell’acquedotto di San Gregorio d’Alife, appaltato, costruito, collaudato, l’acqua della sorgente non va più nei tubi e si disperde al disotto della piattaforma di cemento che invece dovrebbe raccoglierla.

Una voce a sinistra. Inverosimile!

CASO. E non c’è verso di poter ottenere un rimedio nonostante le numerose insistenze. E così anche per il ponte presso Alvignano divenuto pericolante dopo essere stato ricostruito e per varie opere di riparazioni alle Chiese della mia Provincia.

Per il resto, come ho già detto, mi dichiaro sodisfatto e mi auguro che l’onorevole Ministro Tupini possa intervenire e risolvere una situazione incresciosa. I funzionari degli Uffici tecnici che fanno il loro dovere devono essere largamente premiati; i negligenti puniti.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevole Caso, l’incidente che mi ha ora segnalato è molto grave ed io le domando perché non me lo ha segnalato prima.

CASO. È stato segnalato dal sindaco di San Gregorio d’Alife e da me in una lettera recente, che però riguardava anche altri inconvenienti relativi alla ricostruzione di Teano.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Comunque tutti i deputati che corrispondono con il Ministro sanno con quanto interesse e con quanta obiettività io mi tenga a disposizione dell’Assemblea per poter provvedere a rimuovere gli inconvenienti che mi vengono segnalati. Mi interesserò naturalmente della cosa, al fine di porre riparo a quanto è accaduto e soprattutto perché si dia una volta tanto l’esempio che i denari della Nazione non debbono essere sperperati. (Approvazioni).

Voci a destra. Sarebbe ora!

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la prego di rispondere anche alla protesta intorno al comportamento dei funzionari: glielo dico in nome dell’Assemblea.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Io ho preso contatto con molti provveditori…

PERSICO. Parliamo piuttosto del ponte da costruirsi dove ora è la Scafa di Caiazzo, che è più urgente.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Una cosa alla volta.

CASO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASO. Vorrei profittare delle parole del Ministro per confermare che i fatti lamentati dànno luogo a questa osservazione: i deputati nelle Provincie sono considerati come un incomodo da una gran parte degli organismi burocratici, mentre invece, lo grido forte, essi sono gli unici collaboratori diretti del Governo (Applausi). Gli onorevoli Ministri che sono oggi numerosi sul banco del Governo, facciano delle circolari in proposito per esigere il massimo riguardo per i rappresentanti del popolo.

PRESIDENTE. È il Governo che collabora con l’Assemblea, onorevole Caso.

CASO. Gli organi periferici cercano di svalutare. Potrei citare altri esempi. Andrò presto dall’onorevole Ministro dei trasporti per denunciargli conclusioni prese alla mia presenza, in tema di servizi automobilistici, presso l’Ispettorato ferroviario di Napoli e dopo due giorni dalla comunicazione smentite in pieno, molto probabilmente per dimostrare la scarsa ingerenza ed autorità dei deputati all’Assemblea Costituente, perché l’autorità medesima possa assolutamente spettare agli organi burocratici. E questo è un errore di valutazione ed un danno grave per quella opera di collaborazione che si deve svolgere soprattutto nel campo politico. Io dico questo anche per invitare gli altri onorevoli Ministri a stare in allarme, a stare guardinghi, perché è indubitato che vi è questa tendenza in giro: la tendenza a svalutare la loro opera che invece è ardua, nobile e faticosa. (Applausi).

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ho preso contatto con molti Provveditori e con molti Ingegneri Capi del Genio Civile, perché, quando posso, la domenica la dedico a visitare le varie regioni al fine di condurre di persona i necessari accertamenti ed esercitare un’opera costante di stimolo e di sollecitazione. L’impressione che ricevo dagli incontri coi miei funzionari periferici, provveditori e ingegneri del Genio Civile, è dovunque rassicurante, in quanto essi dichiarano di dar subito mano all’esecuzione delle opere che qua e là vengono d’intesa con loro disposte.

Ma ora, dinanzi alle segnalazioni dell’onorevole Caso, che fino a prova contraria devo ritenere attendibili, sono assai spiacente di dovermi ricredere. Sarebbe il caso di pensare alla maschera e il volto. La maschera per il Ministro e il volto per gli altri (Commenti). Se tutto ciò fosse vero ne soffrirebbe il prestigio dell’Amministrazione e io non consentirò che questo avvenga. Noi siamo tutti interessati, Governo e deputati, perché quello che si dice e si dispone, quello che attiene cioè al regolare andamento della nostra Amministrazione abbia il dovuto seguito e la normale esecuzione per il bene esclusivo del Paese, cui dedichiamo l’opera nostra. Assicuro pertanto l’onorevole Caso e l’onorevole Presidente dell’Assemblea che porterò la mia personale attenzione sui fatti denunziati e non esiterò a prendere i necessari provvedimenti al fine di garantire una pronta, onesta e adeguata esecuzione dei lavori disposti. L’onorevole Caso conosce un precedente al riguardo. Mi trovavo tempo fa in visita nella provincia di Avellino. Fui allora informato che a Monteforte – se non erro – era stata riparata una strada e che i lavori di riparazione erano stati condotti così male da far pensare con nostalgia alla vecchia strada. Mi recai immediatamente sul posto, percorsi a piedi la strada per circa un chilometro, constatai purtroppo fondate le doglianze della popolazione e disposi che la strada stessa venisse rifatta a carico dell’impresa inadempiente senza pregiudizio di eventuali più gravi sanzioni (Approvazioni). Non è assolutamente tollerabile che i danari dello Stato e cioè del popolo vengano sperperati. (Applausi).

PRESIDENTE. Passiamo alla interrogazione dell’onorevole Laconi, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste per sapere: «1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna; 2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a far cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate; 3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge il luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse».

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Vorrei pregare di rimandarla. La sua interrogazione, onorevole Laconi, per quanto porti la data del 18 luglio, è stata a me segnalata soltanto ieri sera, qui è mancato quindi il tempo di esaminare i dati forniti dai miei uffici. D’altra parte l’interrogazione investe anche la competenza del Ministro dell’agricoltura, col quale intendo prendere i necessari accordi e desidero perciò pregare l’onorevole Laconi di acconsentire al richiesto rinvio anche alla prossima seduta dell’Assemblea. Solo in tal caso sarò in grado di dargli una risposta per mia parte sodisfacente anche se non mi illudo circa l’eventuale soddisfazione dell’onorevole interrogante.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi è d’accordo?

LACONI. Sì.

PRESIDENTE. Domando al Ministro se è disposto a rispondere lunedì.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Sì.

PRESIDENTE. Allora l’interrogazione dell’onorevole Laconi sarà posta all’ordine del giorno di lunedì.

Passiamo all’interrogazione degli onorevoli Schiavetti, Cianca e Lussu, al Ministro della difesa, «per sapere se non ritenga opportuno di modificare la motivazione della medaglia d’oro al valor militare alla memoria del capitano di fregata Vittorio Meneghini, là dove essa dice che quell’ufficiale col suo eroico contegno a Lero fra l’8 settembre e il 17 novembre 1943 «riconfermava in tal modo sublime i diritti della Patria su quelle terre lontane».

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Gli onorevoli interroganti, nel riportare nel testo dell’interrogazione al Ministro della difesa la motivazione della medaglia d’oro al valore militare conferita «alla memoria» del capitano di fregata Vittorio Meneghini, non hanno completato la frase citata: «i diritti della Patria su quelle terre lontane» con le seguenti parole, che la completano: «così strenuamente contese al tedesco invasore».

Ecco il testo integrale della motivazione:

«Motivazione della medaglia d’oro al valor militare alla «memoria» del capitano di fregata Vittorio Meneghini fu Fausto e Girolami Teresa, nato a Foligno (Perugia) l’11 giugno 1900.

«Ufficiale superiore, comandante in guerra di sommergibile, secondo di incrociatore, e finalmente comandante di cacciatorpediniere, affondata la propria unità, assumeva volontariamente il comando di una zona della difesa costiera di piazzaforte marittima d’oltremare violentemente attaccata da forze aeree, navali e terrestri, dopo aver dato ripetute prove di bravura e valore.

«Nel lungo assedio subito, controbatteva molto efficacemente la soverchiante offesa aerea, prima da bordo e successivamente con le batterie della zona affidatagli e rinforzata con i naufraghi del suo equipaggio e le armi recuperate dal cacciatorpediniere.

«Quando già l’intera piazzaforte era caduta, resisteva ancora nella sua zona e cessava il fuoco solo dopo avere avuto conferma dell’ordine generale che rendeva ogni ulteriore lotta inutile spargimento di sangue.

«Caduto in mano ad un nemico ingeneroso e feroce, suggellava con il sangue una vita tutta dedita all’adempimento del dovere e riconfermava in tal modo sublime i diritti della Patria su quelle terre lontane, così strenuamente contese al tedesco invasore.

«Esempio alle future generazioni marinare di alte virtù militari e di comando.

«Lero, 8 settembre 1943-17 novembre 1943».

Il comandante Meneghini, in conseguenza dell’incarico di occupazione armata del territorio affidatogli, aveva il compito di difendere la Bandiera nazionale, nel suo significato e nei suoi diritti contingenti, contro chiunque il Governo nazionale avesse riconosciuto nemico.

Per i precedenti costantemente attuati in materia di motivazioni al valor militare e per le ragioni suesposte, il Ministero della difesa non ritiene di modificare la motivazione in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCHIAVETTI. Devo dire che non mi ritengo in nessun modo sodisfatto della risposta del Governo. A mio modo di vedere sarebbe bastato un minimo di buona volontà e di comprensione perché potessimo andare tutti d’accordo nel deplorare l’inciso contenuto in questa motivazione al valore. È inutile dire che noi abbiamo il massimo rispetto e la massima gratitudine verso questo valoroso ufficiale della marina che ha perduto la vita per compiere il proprio dovere. Non si tratta assolutamente di questo, ed il Governo avrebbe potuto meglio apprezzare l’intenzione che mi ha mosso se avesse tenuto conto del fatto che il mio appunto è rivolto al Governo precedente e non a questo, perché la data della motivazione è quella del 27 maggio 1947. Qui si tratta di un’altra cosa. Si tratta di vedere se è lecito di insinuare in una motivazione al valore un’affermazione che può creare delle difficoltà alla politica internazionale del Governo. Quando il Sottosegretario alla difesa mi viene a dire che l’affermazione dei diritti della Patria su quelle terre lontane, ossia sulle isole dell’Egeo, può essere delucidata dalla frase seguente: «contese strenuamente al tedesco invasore», dimostra la buona volontà di non voler capire che cosa significa questo inciso. Significa una riaffermazione del diritto dell’Italia sulle isole dell’Egeo…

Voci a destra. Meno male che l’ha capito!

SCHIAVETTI. Il Dodecaneso è stato un pezzo forte della propaganda nazionalistica degli ultimi decenni. Ora io mi voglio richiamare soprattutto ai testi ufficiali. C’è la relazione recentissima del Ministro degli esteri per il trattato di pace, là dove si prende in esame l’articolo 14 che concerne le riparazioni territoriali, e si parla della volontà di riparazione del Governo italiano verso i torti che abbiamo nei riguardi della Grecia. (Rumori a destra).

Ora mi sembra che un’affermazione di questo genere contenuta in una motivazione che è firmata dal Presidente della Repubblica in persona, sia sommamente scorretta; ed è scorretta innanzi tutto perché nuoce alla politica generale del Governo e perché insinua il sospetto che facciamo una politica poco sincera, cosa che è di gran nocumento all’opera di ricostruzione internazionale. (Commenti).

Licenze poetiche di questo genere, qualora siano captate dalla propaganda straniera…

RUSSO PEREZ. È lei che le sta captando.

SCHIAVETTI. …possono nuocere moltissimo alla politica del nostro Governo. Qui si tratta di una infedeltà alla nazione, compiuta da un membro della commissione che ha il compito di redigere le motivazioni al valore. Richiamo l’attenzione del Governo su questo atto che non esito a definire di sabotaggio contro la politica democratica della nuova Italia, atti simili ad altri atti che alcuni impiegati si permettono di compiere nell’oscurità dei loro gabinetti. Bisogna che il Governo sia vigile e dia alla Nazione la prova provata che la nostra politica estera è una politica sincera e che noi vogliamo tener fede sinceramente ai doveri che abbiamo assunto verso la società internazionale.

RUSSO PEREZ. Le abbiamo regalate quelle isole.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha presentato la seguente interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di impedire il continuo esodo di capi bovini dalla Sicilia, che minaccia già seriamente l’esistenza del patrimonio zootecnico dell’Isola».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, la sua interrogazione s’intende decaduta.

L’onorevole Valiani ha presentato la seguente interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere i motivi per i quali – a due anni dalla fine delle ostilità – non si pagano ancora le pensioni alle vedove dei caduti della guerra partigiana».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, la sua interrogazione s’intende decaduta.

L’onorevole Di Giovanni ha presentato la seguente interrogazione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «sulla urgente necessità che sia istituita in Siracusa una Sezione dell’ispettorato del lavoro, con competenza anche sulla vicina provincia di Ragusa, per esercitare con visite frequenti una continua azione ispettiva, ai fini dell’osservanza delle norme legislative in materia di assistenza e previdenza sociale, sulle ditte interessate ed impedirne le evasioni, col danno dei lavoratori. L’interrogante richiama in proposito l’attenzione del Ministro sulle recenti deliberazioni ed istanze della Camera confederale del lavoro di Siracusa e dei rappresentanti degli Uffici provinciali di assistenza e previdenza e del lavoro».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, la sua interrogazione s’intende decaduta.

L’onorevole Di Fausto ha presentato la seguente interrogazione al Governo, «per sapere se corrisponde a verità la notizia secondo la quale sul colle della Farnesina, dominante, in vista di San Pietro, fra Monte Mario e Ponte Milvio, in uno dei luoghi più suggestivi di Roma e del mondo, entro la cinta urbana, colle destinato infatti a parco pubblico nel piano regolatore vigente, sarebbe stata concessa una immensa zona di terreno (circa 35 mila metri quadrati) da destinare a cimitero di guerra francese, nel quale sarebbero naturalmente accolte anche salme di mussulmani di colore. E, nel caso affermativo, per sapere che cosa il Governo intenda fare per rimuovere la intollerabile concessione che, rilevando la assoluta insensibilità delle autorità responsabili, suona insulto – sotto troppi aspetti – alla cocente immeritata sventura della Nazione, e suona comunque soprattutto insulto alle altissime tradizioni civili e cristiane di Roma, alle quali deve pur rendere omaggio la Francia, che, con noi, trae, da quelle, comune nobiltà di origine».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La concessione al Governo francese di un’area per la costruzione di un cimitero di guerra fu data, dopo dei passi ufficiosi fatti presso il Comune di Roma e conclusi con un voto affermativo di tutta la Giunta comunale del Comitato di liberazione nazionale che allora era in carica, con un decreto del Presidente del Consiglio Bonomi nel maggio 1945. Dopo quel momento furono fatte alcune riserve da parte di uffici del Ministero degli esteri; ma naturalmente il Governo, dato che era impegnato con un atto formale, non crede di poter ritirare questo atto né di poter fare seri passi diplomatici con la Francia per poter rivedere la cosa.

Comunque, se sul piano urbanistico ed artistico la cosa può essere discussa e valutata in modo diverso – e di questo ne ha particolare diritto l’onorevole Di Fausto nella sua competenza – sembrano non accoglibili, anzi sconvenienti, alcune espressioni contenute nella interrogazione in cui si parla di un insulto alle tradizioni civili e cristiane di Roma, che sarebbe stato operato con la concessione di questa area per un cimitero di guerra nel quale, afferma scandalizzato l’onorevole interrogante, sarebbero accolte salme di mussulmani. Penso che sia proprio la grande tradizione universale di Roma a consentire di non scandalizzarci di questa concessione, anche se si vuol prescindere dal valore storico che essa ha come frutto di una collaborazione italo-francese nella lotta di liberazione.

PERSICO. Bisognerebbe fare una permuta, dando un altro terreno.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. Alla inverosimile concessione – oggetto della mia interrogazione – si rimedia solamente con la revoca (d’intesa col Governo francese) della concessione stessa.

Non entrerò – per ovvie ragioni – nel delicato campo politico, limitandomi a precisare le ragioni di ordine generale che confortano la mia richiesta.

La concessione è contraria: 1°) alle disposizioni del piano regolatore (zona a parco pubblico); 2°) alle disposizioni di polizia mortuaria e al regolamento d’igiene (niente cimitero entro la cinta urbana); 3°) alle disposizioni sulla tutela del paesaggio. Siamo infatti in pieno nel tipico e classico paesaggio laziale.

Sono responsabili di questa infrazione: la Commissione comunale urbanistica, l’Ufficio d’igiene, la Commissione edilizia, la Sovrintendenza ai monumenti, il Sindaco di Roma, che non hanno difeso, come si doveva, le supreme ragioni di Roma.

Tutto questo sul terreno legale, regolamentare.

Ma vi è qualcosa di più alto e più grande: c’è insomma la maestà di Roma, alla quale il pensiero universale si è sempre inchinato, compreso quello francese. Nella letteratura romantica e nella moderna è tutto un inno alla «majesté de Rome». Dinanzi a questa maestà non si transige. È la storia del mondo che si riassume nel nome e nel volto di Roma. E Monte Mario è parte viva, integrante del suo mitico complesso! Monte Mario sta a Roma così come l’Olimpo sta ad Atene; verso di esso convergono visuali e miraggi di bellezza; sulle sue verdi pendici s’incastona quella gemma del Rinascimento, «Villa Madama», disegnata da Raffaello per gli ozî medicei e realizzata da Pierin Del Vaga e Giovanni da Udine. Opera singolare che porta in sé gli schemi di quella che sarà la casa moderna; opera pervasa dalla suggestione di tutte le realizzazioni d’arte rimaste incompiute; opera che porta visibili ancora oggi i segni di quella violenza, che, abbattutasi improvvisa sull’Italia, arrestò e spense, nell’ora del suo più alto fulgore, la vita e il mondo del Rinascimento. Nelle sale mirabili bivaccarono le sozze soldataglie mercenarie. I fuochi sinistri dei Lanzachenecchi non si spengono ancora nelle nostre anime, conturbate dagli echi della guerra recente. Monte Mario nel proposito e nell’auspicio nostro dovrebbe, nella sua alta platea, dominante il fiume della nostra storia, accogliere quel centro internazionale del pensiero, di cui il mondo abbisogna, per affermare l’umana solidarietà, e che solo in Roma può trovare il clima e le ragioni della sua esistenza.

Ho voluto tracciare sommariamente questo profilo storico estetico del colle per chiedermi con voi, onorevoli colleghi, se era proprio questo il luogo da destinare a cimitero militare di guerra, per accogliervi soldati non caduti in Roma, ma qui importati dalle lontane plaghe delle loro gesta, contrariamente ad ogni consuetudine e norma. Americani ed inglesi riposano infatti nelle zone dove caddero.

Dell’altra grande guerra noi abbiamo portato in Roma un solo caduto: l’ignoto! Si tratta di un simbolo.

Ed allora, che cosa vuol significare questa presa di posizione così eloquente, quando si pensi che in pari numero ai caduti francesi dovranno qui giacere quelle truppe di colore, di cui non voglio ricordare le gesta e l’oltraggio.

LACONI. Questo non le fa onore. Perché dice queste cose? Sono morti, non sono vivi.

DI FAUSTO. O noi dobbiamo – contro ogni nostro desiderio – interpretare alla lettera la dichiarazione del Ministro del lavoro francese Mr. Croizat a proposito di emigrazione – dichiarazione apparsa sul Populaire qualche tempo fa, e riportata da giornali italiani:

«Non essendovi più negri né prigionieri tedeschi, ci si accontenti degli italiani e si faccia buon viso a cattivo giuoco».

Ignoro le origini del Sig. Croizat; comunque questo linguaggio è indegno di un europeo, ossia di un uomo civile!

Il senso latino della misura – che noi italiani non dobbiamo perdere specialmente nelle ore più gravi – mi impone di non andare oltre e di tornare al tema, nel quale, per criteri analoghi, ricadono gli altri cimiteri di guerra francesi in Italia – come quello di Siena, per esempio – per il quale è stata rifiutata una assai adatta area demaniale, e si è prescelto, col consueto criterio di evidenza e di preminenza, un sito a cultura intensiva, che noi dovremo pagare ad alto prezzo. Non si comprende poi perché i cimiteri francesi non ricadano nel provvedimento legislativo che disciplina gli altri cimiteri di guerra alleati.

E a che cosa fa cenno la relativa relazione al Consiglio dei Ministri ora distribuita alle Commissioni legislative, e nella quale si dice, riferendosi ai cimiteri francesi: «sono in corso trattative in via diplomatica, in relazione a pretese avanzate dal Governo francese sui campi cimiteriali, che vanno al di là del semplice diritto di uso»? È inaudito! Ma ho inteso ripetere con insistenza che si parla addirittura di diritto di sovranità. Ma dove si vuole arrivare? Si vuole proprio di un tema di pietà fare uno spunto di provocazione? Vale – a questo punto – richiamarsi alla discrezione che deve circondare questi luoghi lontano e fuori dei grandi centri politici, sempre pronti ad accendersi e facili a mutare di indirizzo! Sarebbe deplorevole veramente che in determinate imprevedibili situazioni la folla portasse la sua incontenibile reazione in questi luoghi del silenzio. (Commenti – Interruzioni a sinistra). Deplorevole per tutti e più specialmente per il Paese che questi luoghi ospita e che deve tutelare ad ogni costo, quando ha consentito alla loro creazione. (Commenti a sinistra). Qui entra in giuoco la sensibilità nella scelta. Comunque la zona va restituita alla sua naturale funzione di bellezza e di storia ed alla sua legittima destinazione riparando al triplice errore: politico, storico ed estetico, invitando la Francia alla scelta di una più idonea zona di terreno. Pertanto la interrogazione non si esaurisce con la risposta odierna, ma dovrà il Governo, appena possibile, dirci il suo pensiero sulla proposta che io avanzo formalmente, di invitare il Governo francese al riesame della questione. Dovrà comunque questa Assemblea essere rassicurata sulla portata effettiva delle pretese avanzate dallo stesso Governo francese. Mi riservo poi di trasformare, se necessario, l’interrogazione in interpellanza, e se occorre, in mozione, che sia ferma enunciazione della volontà del Paese su così delicata questione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bettiol e Lazzati, ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se non ritengano urgente provvedere di concerto a che siano banditi senz’altro ritardo i concorsi a posti di assistente universitario di ruolo».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende decaduta la loro interrogazione.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Colitto, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere quando provvederà a disporre lo sblocco della rimanenza dell’olio di oliva nella provincia di Campobasso in conformità degli impegni assunti nel novembre scorso, essendo stata non solo raggiunta, ma largamente superata, in detta provincia, la quota stabilita per il contingentamento, ponendosi termine con lo sblocco allo stato di gravissimo disagio nel quale, per le incertezze governative, trovasi la tanto laboriosa disciplinata popolazione molisana».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. La questione è stata risolta con un decreto ministeriale del maggio. Mi pare quindi inutile far perdere tempo alla Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COLITTO. Ringrazio l’onorevole Ministro di quel che ha detto. Sapevo anch’io della pubblicazione del decreto; ma esso è stato pubblicato posteriormente alla mia interrogazione. Oggi questa, perciò, non ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Gotelli Angela e Guerrieri Filippo, ai Ministri dei trasporti e della marina mercantile, «per sapere se non ritengano doveroso riparare a una grave ingiustizia che si è creata ai danni del porto di La Spezia, col decreto del Capo provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 372 – Gazzetta Ufficiale n. 120 – riesumando il decreto-legge n. 1266, del 24 luglio 1938, in base al quale si concedeva la riduzione del 50 per cento sulle tariffe ferroviarie delle merci da e per la zona industriale apuana per distanze superiori ai 50 chilometri (con esclusione perciò del porto di La Spezia, distante da Apuania 35 chilometri). Tale esclusione, che parve anche allora ingiusta e fu attribuita a protezionismo di gerarchi per il porto di Livorno, era però in quei tempi tollerabile, poiché la vita economica di La Spezia aveva altri alimenti che la guerra ha poi spaventosamente colpito. Quindi gli interroganti, ben lontani dal desiderare che siano soppresse le facilitazioni ripristinate a favore della zona industriale apuana, chiedono solo che tali facilitazioni non costituiscano un ingiusto danno per il porto di La Spezia, e che quindi anche per le merci da e per il porto di La Spezia dirette o provenienti dalla zona industriale apuana venga applicata la stessa riduzione del 50 per cento, anche se tale porto dista da Apuania meno di 50 chilometri».

Poiché gli onorevoli interroganti non sono presenti, l’interrogazione s’intende decaduta.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Terranova, al Ministro della marina mercantile «per conoscere se non ritenga di dovere ripristinare le linee di navigazione con l’Egitto e la Libia, con scalo nei porti siciliani, tenuto conto che essi si trovano sulle rotte che dai porti dell’Italia settentrionale, centrale e meridionale conducono ai suaccennati Paesi d’oltremare. In particolare l’interrogante chiede che sia considerato, qualora si addivenga al ripristino delle suddette linee, come uno degli scali principali, il porto di Siracusa, che per tradizione, posizione geografica e attrezzatura ha rappresentato nel passato e rappresenterà nell’avvenire il porto capo-linea delle comunicazioni fra l’Italia e i Paesi del nord Africa. La richiesta riattivazione di linee risponde anche alle esigenze dell’intensificata produzione agricola siciliana, che, come nel passato, trova nei Paesi d’oltremare il suo naturale sbocco e un largo mercato di consumo».

Poiché l’onorevole interrogante non è presente, l’interrogazione s’intende decaduta.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Faralli e Barbareschi, al Ministro della marina mercantile, «per conoscere il suo pensiero circa quanto è affiorato nel recente Convegno nazionale delle commissioni interne delle compagnie marittime di linea, raggruppate nella FINMARE, a proposito delle trattative inerenti a possibili cessioni da parte dell’I.R.I. all’armamento libero. Tale eventualità rappresenterebbe un grave attentato alla integrità di un organismo di preminente interesse nazionale, che risponde alle esigenze pratiche, morali e alla struttura economica del nostro Paese».

L’onorevole Ministro della marina mercantile ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ho risposto per iscritto a questa interrogazione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Marinaro al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni che hanno indotto il Governo a nominare Vicedirettore generale della Banca d’Italia il dottor Paride Formentini, estraneo all’Amministrazione della Banca stessa, interrompendo così una lunga tradizione, in base alla quale almeno uno dei tre alti dirigenti dell’Istituto veniva scelto fra il personale superiore del medesimo, e umiliando ingiustamente il folto gruppo di detto personale».

Poiché l’onorevole interrogante non è presente l’interrogazione si considera decaduta.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Zuccarini, al Ministro delle finanze, «per sapere se e quando vorrà provvedere ad emanare norme tassative e precise intese a consentire che i beni immobili di proprietà dei comuni o di altri enti locali che, in seguito a pressioni e ad imposizioni ben note, vennero donati o ceduti al cessato partito fascista e ad organizzazioni da questo dipendenti, ritornino agli enti proprietari senza gravami e oneri di sorta».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il problema riguardante l’emanazione di norme legislative intese a consentire il ritorno ai Comuni, o ad altri enti locali, di beni immobili, non liberamente donati o ceduti al cessato partito fascista o alle organizzazioni dallo stesso dipendenti, forma da tempo oggetto di studio da parte del Ministero delle finanze e degli altri Dicasteri interessati. Trattasi di problema di vasta portata sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista pratico, la cui soluzione deve essere perciò esaminata con profonda ponderazione.

È da tener presente che molti di tali beni, già di pertinenza del partito fascista e delle organizzazioni fasciste, sono attualmente adibiti a sede di uffici governativi e spesso in essi sono stati eseguiti, con ingenti spese, lavori di restauro e di adattamento. In molti casi si è trattato di trasferimento del solo terreno sul quale poi vennero costruiti fabbricati di valore di gran lunga maggiore di quelli delle rispettive aree, talvolta con mutui di cui lo Stato ha dovuto ora assumersi l’onere.

Ad ogni modo, posso assicurare che è in corso di preparazione l’apposito provvedimento legislativo che mira a disciplinare la materia, specialmente per i casi di devoluzione dei beni immobili di società cooperative, associazioni ed enti similari soppressi per ragioni politiche.

PRESIDENTE. L’onorevole Zuccarini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ZUCCARINI. Io debbo dichiarare che sono sodisfatto così così della risposta, cioè non completamente sodisfatto. Intanto, noto che vi sono in corso delle richieste di acquisto, da parte di Comuni, di edifici che già appartenevano al partito fascista che li aveva costruiti per le sue case ed istituti, per essere trasformati in locali scolastici. Potrei citare uno di questi casi per il quale io mi sono interessato presso il Ministero delle finanze, ricevendone risposta negativa.

Ed è solamente dopo di ciò che mi sono deciso a presentare questa interrogazione.

Di che cosa si tratta? Il fatto si è ripetuto in moltissimi Comuni d’Italia. Il partito fascista, in alcuni casi, là dove si trattava di istituzioni e di associazioni, ha addirittura prelevata la proprietà degli altri, senza indennità; in altri casi premendo sui Comuni, sulle amministrazioni elettive se ancora esistevano, poi facendo quello che voleva quando l’amministrazione elettiva non c’era più, si è fatto cedere per i propri edifici il terreno in modo pressoché gratuito. Oggi, quei Comuni che chiedono l’acquisto di quei fabbricati, che cosa reclamano dal Governo? Di riavere i terreni allo stesso titolo gratuito o semigratuito al quale hanno dovuto cederli. È una cosa molto semplice. Uno dei Comuni per i quali mi sono interessato chiedeva appunto di riavere il terreno sul quale l’edificio «casa del fascio» era stato costruito, e che esso intendeva ora adibire ad edificio scolastico; che gli fosse valutato allo stesso valore per il quale esso l’aveva dovuto cedere. Era una richiesta giusta e naturale; invece l’Amministrazione finanziaria insiste per avere il valore attuale di quei terreni, che è di centinaia di volte superiore al misero prezzo che il Comune percepì per la sua cessione. È logico questo? È possibile che, e ciò anche indipendentemente da un provvedimento in corso, per il quale secondo il Ministro, occorrono ancora altri studi, l’Amministrazione finanziaria pretenda un prezzo che l’Amministrazione stessa deve riconoscere esagerato? Qui siamo nel caso di amministrazione pubblica. Lo Stato è dei cittadini come lo è il Comune, e i Comuni oggi, tutti lo sappiamo, versano in condizioni quanto mai difficili. È opportuno che l’Amministrazione finanziaria insista, come lo potrebbe fare un privato e solo perché ha bisogno di fare denaro, a fissare e a pretendere il prezzo corrispondente al valore attuale di un terreno da un Comune che l’ha dovuto invece cedere a poche migliaia di lire? Questo è il problema e bisogna che in questo senso l’Amministrazione finanziaria se lo ponga.

I provvedimenti di cui il Ministro ci ha parlato, non richiedono del resto larghi studi: si tratta di restituire, di ristabilire la legalità. E ciò non solamente per le Amministrazioni comunali, ma anche per quelle istituzioni politiche e cooperative che si sono viste spogliate dal fascismo dei loro edifici e delle loro legittime proprietà. Le proprietà liquide non si potranno recuperare, ma le proprietà immobiliari sì.

C’è attualmente un caso di questo genere che agita in modo assai impressionante la popolazione di un piccolo paese della provincia di Ancona. Mi riferisco alla Casa dei repubblicani della frazione di Torrette di Ancona. Quella casa fu costruita pietra per pietra dai nostri amici col sacrificio di giornate di lavoro. Quella casa venne requisita dal fascismo, venne ceduta a terzi per settemila lire; oggi quei nostri amici, quegli stessi che l’hanno costruita, reclamano la restituzione di quell’edificio per lo meno allo stesso miserabile valore per il quale esso venne tolto loro durante il fascismo. Si rispondo picche. Si richiedono addirittura due milioni per settemila lire. Ma, a parte questo, si minaccia di sfrattare i repubblicani dalla loro proprietà nella quale erano stati già riammessi per un decreto prefettizio; si minaccia addirittura di sfrattare con la forza questi nostri amici da un edificio che è il loro. E per consentire che possano rimanervi si pretendono addirittura oggi due milioni. E ciò in via di transazione!

Ora bisogna che il Governo su questa materia emani al più presto i provvedimenti che il Ministro promette ma che intanto restano sempre allo studio. È passato già troppo tempo. Bisogna che queste questioni, là dove sorgono, vengano prontamente esaminate e risolte con criteri di equità e di giustizia. Mi riferisco, con ciò, anche alla domanda del Comune di Iesi, che in modo concreto chiede di riavere l’area su cui sorgeva la casa del fascio al valore per cui dovette cederla mentre è disposto ad acquistare l’edificio vero e proprio al suo prezzo venale. E chiedo che per l’area non si richieda altra somma che quella che il Comune ebbe a suo tempo. Come pure richiedo (è una domanda che già rivolsi al Ministro dell’interno) che si intervenga nella incresciosa questione (è una digressione, ma entra a proposito) della casa repubblicana delle Torrette, e che intanto si provveda, almeno, a prorogare i termini di sfratto (c’è infatti un decreto di sfratto) fino a che non venga quella legge che il Ministro ci dice che è in corso di studio. Se si lasciano le cose allo stato in cui sono si determineranno gravissimi incidenti.

Avevo chiesto al Ministro, avevo chiesto al Prefetto e ne avevo avuto assicurazioni, che per lo meno si concedesse una proroga agli atti esecutivi di sfratto in attesa del decreto legislativo. Ora, invece, sono stato informato proprio in data di ieri che il Prefetto ha accordato ai nostri amici appena altri 10 giorni di tempo.

E in dieci giorni di tempo non credo che il Governo emanerà la legge sanatrice di questa situazione assolutamente intollerabile. Bisogna quindi (e qui mi rivolgo non al Ministro delle finanze, ma al Ministro dell’interno) che si intervenga subito per evitare che, prima che le questioni vengano sanate con provvedimenti legislativi, avvengano incidenti che potranno avere gravi ripercussioni.

Per la questione poi che ha dato luogo alla mia interrogazione, prego il Ministro perché, in attesa dei provvedimenti che verranno, quando verranno, dia intanto istruzioni all’Amministrazione finanziaria, perché per la casa del fascio di Iesi – sempre per la parte che si riferisce al prezzo del terreno – il Comune sia autorizzato a versare una somma, sia pure ragguagliata, uguale a quella che ha incassato al momento in cui dovette cedere il terreno.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Persico, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non intenda emanare opportune disposizioni perché l’articolo 283 del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena 18 giugno 1931, n. 787, venga opportunamente modificato, o almeno interpretato cum grano salis, onde impedire la possibilità del ripetersi di casi che – come quello del pazzo omicida Bruno Strolighi – offendono la morale e mettono in serio pericolo la tranquillità pubblica e privata».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ringrazio l’onorevole Persico, esimio avvocato penalista e cultore di scienze criminali, per aver portato nell’Assemblea le considerazioni sull’articolo 283 del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena del 1931, in occasione del caso Strolighi, del quale non so se tutti i colleghi residenti nelle diverse parti d’Italia hanno conosciuto le ripercussioni che ha avuto sulla stampa romana durante il periodo estivo.

Per quanto riguarda i principî generali cui si riferisce la interrogazione, è noto a voi tutti che il nostro sistema penale si basa sul principio della responsabilità e su quello della pericolosità. E, in relazione a questi principî, viene stabilito il sistema delle pene, per quello che si riferisce alla responsabilità dei reati, e il sistema delle misure preventive e di sicurezza, per quello che riguarda la pericolosità.

Su questo indirizzo, che ha cercato di associare e di distinguere quelli che sono stati i postulati di tutta la scienza criminale al riguardo, si è avviato il nostro sistema penale, in modo che, mentre la responsabilità del reato porta la pena – che ha carattere prevalentemente punitivo e, in forma secondaria, correttivo – invece, per la pericolosità, il sistema si inverte e, anzi, segue esclusivamente il concetto della cura di coloro i quali sono stati colpiti da questa situazione di pericolosità sociale. Questo indirizzo e questa sistemazione del nostro ordinamento penale porta a queste conseguenze, fra le altre: che mentre il sistema delle pene è un sistema continuativo, senza interruzioni – per quanto qualcuno voglia stabilire che anche in questo campo bisognerebbe entrare in un indirizzo più curativo, e quindi intervenire con la possibilità di interruzioni – invece nel sistema delle misure di sicurezza detentive è penetrato ed è stabilito nel nostro ordinamento il principio dell’interruzione attraverso forme di licenze che sono disciplinate nel nostro sistema dagli articoli 278 e 283.

Circa l’opportunità di tale principio voi avete visto anche durante quella polemica che c’è stato l’intervento di un cappellano militare, il quale ha detto quale beneficio porta in questi internati la possibilità dell’esercizio di questa misura che è un premio per la loro condotta, un premio per la possibilità di mostrarsi già curato; d’altra parte c’è tutta un’attività di tanti e tanti scienziati che hanno cooperato perché fosse introdotto questo istituto nel nostro sistema penitenziario.

Due sono i tipi di licenze che si possono accordare. L’uno è quello previsto dall’articolo 278, e si tratta di una vera e propria licenza di ricompensa, come nello stesso articolo è denominata. Essa viene concessa quando il detenuto abbia mostrato, per la propria condotta e per le condizioni psichiche e sanitarie, di essere in condizioni di non pericolosità nei riguardi dei terzi.

V’è poi una seconda forma di licenza che è quella prevista dall’articolo 283, la quale è fondata su motivi gravi e speciali, personali o di famiglia, ma anche questa non viene concessa se non quando il giudice della sorveglianza, che è colui che disciplina e mantiene le garanzie sociali nei confronti di questi internati – si tratta normalmente di uno psichiatra – assicuri che l’individuo non è pericoloso.

Ora, in questo quadro generale, l’amministrazione della giustizia assicura che in tutta l’applicazione dell’esercizio di questa misura, non si è mai dato luogo ad alcun inconveniente.

E veniamo ora al caso Strolighi. Il caso Strolighi rientra in queste disposizioni generali. Il giudice di sorveglianza del manicomio criminale di Montelupo Fiorentino ritenne, sotto la sua responsabilità, dopo aver avuto anche il parere del direttore di quel manicomio, che è uno dei più rinomati psichiatri, il professor Quadrino, che lo Strolighi non fosse in condizioni di pericolosità. Pertanto, poiché correva la circostanza che la madre dello Strolighi era moribonda, egli concesse allo stesso una licenza di quindici giorni. Questo fatto destò un allarme non lieve nella pubblica opinione, perché indubbiamente il delitto che lo sciagurato aveva commesso era gravissimo: egli aveva ucciso una bambina di cinque anni. Poiché però era stato ritenuto che egli in quel momento non fosse «compos sui» fu condannato a dieci anni di custodia in un manicomio criminale.

D’altra parte, onorevoli colleghi, durante i cinque anni già dal medesimo scontati, egli aveva tenuto buona condotta, né è da pensare che durante il periodo in cui l’internato fruisce di una licenza egli possa considerarsi completamente libero: esso è sempre, al contrario, accompagnato dal foglio di via e deve fornire le necessarie informazioni alla pubblica sicurezza. La licenza quindi è sempre revocabile.

È perciò che io, non appena mi resi conto che la stampa aveva dato un grande rilievo a questo fatto e che tale licenza aveva suscitato nell’opinione pubblica una non favorevole impressione, feci immediatamente quello che ritenni essere il mio dovere: telegrafai cioè al procuratore generale di Firenze, consigliandogli di revocare la licenza in base all’ultimo comma dell’articolo 283.

Ma ebbi per risposta dal procuratore generale che, interrogato il giudice di sorveglianza e non risultando che durante la parte di licenza di cui il detenuto aveva già fruito egli avesse dato motivi di lagnanza o di sospetto di pericolosità, non si riteneva vi fossero gli estremi per procedere alla revoca della licenza.

Che cosa è accaduto invece allo Strolighi durante la sua licenza? È accaduto che sulla sua psiche ha influito questa eccessiva campagna di stampa. Questo l’ha portato al tentativo di suicidio, sotto l’incubo di dover tornare nel manicomio, che riteneva un luogo eccessivamente grave per lui. Lo Strolighi, dopo questo tentativo di suicidio fu internato in un ospedale, sotto sorveglianza; ed ho avuto assicurazioni che ora è in condizioni di viaggiare e che rientrerà al Manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Questo è il fatto.

Deduzioni dal fatto. Possiamo per questo episodio, che poi non ha presentato alcuna pericolosità sociale, venire a modificare le norme che hanno formato l’indirizzo ormai del sistema penale nostro? È una questione che non possiamo risolvere in un’interrogazione. Penso che sia stato interessante, e mi ha fatto piacere, di poter portare all’Assemblea i chiarimenti su questo fatto, di cui in questo periodo l’opinione pubblica si è molto interessata; ad ogni modo, siccome c’è una Commissione, nominata dal mio predecessore, per studiare la riforma carceraria, questa potrebbe essere una questione da mettere sul tappeto: cioè se questo articolo 283, non per tutti coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza detentiva, ma limitatamente a coloro che si trovano nei manicomi criminali, sia o no da conservare. In questi limiti si potrebbe esaminare la questione.

D’altra parte, come Ministro responsabile ho diramato una circolare, perché tutti i giudici di sorveglianza siano molto accorti e cauti nel dare le licenze in base all’articolo 283. Non ho altro da aggiungere al riguardo, e spero che l’onorevole. Persico sia rimasto sodisfatto delle mie dichiarazioni. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERSICO. Onorevoli colleghi, ringrazio vivamente il Ministro di grazia e giustizia per la sua ampia, esauriente e chiara risposta. Però ritengo doveroso intrattenere per pochi minuti i colleghi sulla gravità del fatto e sulle conseguenze che dobbiamo trarne.

Nessuno più di me è difensore della teoria dell’emenda, della correzione e della cura di quelli che noi chiamiamo «delinquenti» e che io ritengo siano soltanto o dei malati o degli antisociali. Io, anzi, credo che anche il Codice penale debba essere profondamente modificato e che non si debba più parlare di pene, ma di ospedali di criminalità, dove questi malati, o dalla nascita, o diventati tali in condizioni speciali di ambiente e sociali, devono essere curati, riadattati, se possibile, alla vita sociale.

Però il fatto dello Strolighi richiama la nostra attenzione per le sue peculiarità. Si tratta di un individuo che da bambino cominciò ad avere parecchi processi per furto e da giovinetto, un giorno, si fece condurre in tassì ad Ostia, con la scusa di trovare una parente malata – pare che questi parenti malati siano la sua specialità – e al ritorno, non sapendo come pagare l’autista, gli sparò un colpo di rivoltella alle spalle, che fortunatamente non lo uccise, ma lo ferì gravemente. Fu ritenuto delinquente per tendenza dalla Corte d’Assise la quale lo condannò a dieci anni di detenzione nella Colonia penale agricola di Asinara. Dopo quattro anni fu liberato.

Tornato a Roma, sposò una donna, egli dice, contro la sua volontà; ed ora ha scritto anche un memoriale (che un giornale di Roma ha fatto male a pubblicare) in cui minaccia di uccidere la moglie e l’amante della moglie. Un giorno allontana la moglie di casa, dicendole di andare a comperare del vino. (Pare che non ce ne fosse bisogno, perché il vino c’era in casa). In casa si trovava una nipotina, di cinque anni; un amore di bimba, che giocava. Egli la piglia, le avvolge il collo con un asciugamano, la strozza, e ancora viva la chiude in una cassa; si siede sulla cassa fino a che ha la certezza che sia morta. E quando viene la moglie, la minaccia, dicendole: «Ecco la bambina, l’ho uccisa. Se mi denunci, uccido anche te». Portato il processo in istruttoria, fu mandato al Manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove adesso si trova, per la perizia. Io ho voluto leggere tutto il processo. La perizia concluse ritenendo non imputabile lo Strologhi, ma socialmente pericoloso perché affetto da schizofrenia (si ritenne uno schizofrenico, ma pare che sia stata una diagnosi poco esatta, perché voi sapete che lo schizofrenico è un demente precoce).

La schizofrenia è una demenza precoce che finisce con l’idiozia e la schizofrenia determina sempre la condotta più strana e bizzarra ed è favorevole terreno a reati di sangue.

È stato allora rinchiuso senza processo come non imputabile a Montelupo Fiorentino. Da lì è evaso quando gli alleati passarono per la zona. Venne a Roma: ciò con turbamento enorme nella famiglia della bambina uccisa, perché in essa vi sono altri due bambini, e si temeva che potessero venire uccisi. Fu ripreso e riportato in manicomio. Viene ora il giudice di sorveglianza e gli dà una licenza, in base all’articolo 283; dà una licenza a questo pazzo pericoloso che ha una forma di infermità mentale, la schizofrenia, che costituisce il terreno adatto ai più gravi reati di sangue. E lo si manda dove? Nel suo ambiente, dove ci sono tutti i parenti di quella nipotina uccisa, col pretesto della malattia della madre, dico pretesto, perché pare che la madre non sia stata mai gravemente malata e certo non è morta! Fu visto passeggiare per il Corso Umberto dal padre della bambina uccisa. Se questo padre lo avesse ucciso, che cosa avremmo fatto noi? Lo avremmo condannato? Evidentemente no.

Quindi è evidente che l’articolo 283 non può essere applicato in questo senso latissimo. Del resto, il Ministro Rocco, nella sua relazione al re, si esprime così: «Si comprende perciò, di leggieri, che la disposizione è applicabile soprattutto agli internati nelle colonie agricole, nelle case di lavoro e nei riformatori, ma non è escluso che si verifichino casi eccezionali nei quali possa applicarsi anche agli internati nei manicomi e nelle case di cura e di custodia. Data la brevità ed il carattere della licenza, non mi è sembrato opportuno sottoporre l’internato in tale periodo di tempo a libertà vigilata». Il pazzo rimane dunque perfettamente libero! Allora io dico: stiamo a vedere quello che farà la Commissione per la riforma delle nostre leggi penitenziarie. Ma pregherei che, da parte del Ministro, si facesse una circolare perché i giudici di sorveglianza siano più cauti nel dare queste licenze, onde evitare che domani possiamo trovarci in tram o per via a fianco di un pazzo criminale, schizofrenico, che estragga un coltello e ce lo pianti in cuore, solamente perché la sua schizofrenia lo porta a compiere atti simili.

I colleghi medici presenti sanno meglio di me cosa è la schizofrenia e non potranno dolersi se ne parlo io, quantunque profano di medicina.

Quindi, ringrazio il Ministro di quello che ha dichiarato e lo prego di voler affrettare i lavori di questa Commissione di riforma, anche perché, nella futura legislazione penale, è molto importante che il trattamento dei detenuti sia profondamente riveduto e modificato. (Applausi).

BERTONE. Chi ha mandato il certificato attestante che la madre era malata? La cosa è molto delicata e grave. Se si è dimesso questo malato in condizioni così spaventose, dev’essere arrivato al manicomio un certificato attestante la malattia della madre. Se il certificato è falso chi l’ha mandato?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. C’è un certificato.

BERTONE. È un certificato falso. E allora chi l’ha mandato?

PRESIDENTE. Passiamo all’interrogazione dell’onorevole Colitto, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri delle finanze e del tesoro, «per sapere se non ritengano indilazionabile ormai – a due anni dalla fine della guerra – di affrontare e risolvere il problema del risarcimento danni di guerra e della ricostruzione nazionale, tenendo presenti le proposte contenute nella Relazione predisposta per iniziativa del Comitato studi danni di guerra di Genova e distribuita ai membri della Camera, e cioè: che sia sancito il principio per cui chiunque sia stato danneggiato dalla guerra ha diritto al risarcimento da parte dello Stato, in base ad un concetto mutualistico accettato anche dalle Carte costituzionali straniere, come quella francese; che pertanto vengano immediatamente ricostituite le Commissioni provinciali di accertamento e liquidazione danni guerra; che si provveda a pagare subito, in contanti, i danni più lievi; venendo così incontro al più presto ai più bisognosi; che per i danni più gravi si provveda mediante il rilascio di fedi di credito scontabili ed ammortizzabili da parte dello Stato; che il recupero dei fondi occorrenti per tali pagamenti venga fatto mediante imposta o meno, per un numero di anni da determinarsi; e che a tale scopo venga costituito un fondo autonomo dal bilancio ordinario in modo che si esaurisca con l’assolvimento del suo compito speciale, senza interferenze con l’ordinaria contabilità».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Ho l’onore di rispondere non per conto delle Finanze, ma per conto del Ministro del tesoro, impossibilitato ad intervenire questa mattina. In ordine all’interrogazione dell’onorevole Colitto, faccio presente che è intendimento del Governo di affrontare in modo organico il problema del risarcimento dei danni sofferti dai privati, persone fisiche e giuridiche, a causa degli eventi bellici, come risulta dalle dichiarazioni fatte all’Assemblea Costituente dallo stesso Presidente del Consiglio onorevole De Gasperi, che alla necessità di addivenire ad una soluzione dell’importante problema ha fatto esplicito accenno.

Quanto alle linee del disegno di legge, che dovrà raccogliere e coordinare in una specie di testo unico le molte norme sinora emanate in materia, a richiesta di vari Ministeri, non è possibile assicurare che esse saranno conformi alle proposte contenute nella relazione predisposta per iniziativa del Comitato studi danni di guerra di Genova, anche perché di tali proposte, più o meno pregevoli, ad iniziativa di enti, associazioni, esperti della materia, studiosi, ne sono pervenute e ne pervengono tuttora in gran copia.

Di tutte queste proposte il Ministero del tesoro terrà debito conto nella compilazione del disegno di legge che, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, sarà sottoposto all’Assemblea Costituente, alla quale spetta fissare le linee definitive.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COLITTO. Sono purtroppo dolente di dover dichiarare che la risposta dell’onorevole Ministro non mi ha sodisfatto. Io vivevo nell’attesa di una parola che, almeno dopo quattro anni, durante i quali si sono formulati voti, si sono inviati memoriali, si sono redatti progetti, alleviasse un po’ le pene di milioni di italiani; ma con stupore e con dolore ho dovuto constatare che quella parola neppure oggi è stata pronunciata e che siamo sempre, purtroppo, pressoché al punto di partenza. Il che non è davvero confortante, anzi – oso dire – è esasperante.

Mi rendo conto dell’impossibilità, nella quale nel giugno 1944 il Governo si trovò, di continuare ad applicare la legge del 1940; ma non comprendo come mai da quell’epoca tutti i Governi si siano completamente disinteressati della materia. Venne sospesa l’applicazione di quella legge; ma non si provvide a sostituirla con un’altra. Nel novembre del 1944 il Governo si decise a concedere il famoso sblocco degli acconti per i danni ai mobili di abitazioni ed oggetti di vestiario, che,secondo le intenzioni del compianto Ministro Soleri formalmente espresse nelle circolari del 18 novembre 1944 e del 12 gennaio 1945, avrebbe dovuto recare un soccorso immediato ai danneggiati, che avevano perduto le cose più strettamente indispensabili alla vita. Ma tutti sanno che tale provvedimento ha mancato – si può dire, completamente – ai suoi pur modesti scopi, come ebbe a riconoscere lo stesso Sottosegretario per i danni di guerra onorevole Braschi, quando affermò che il sistema degli acconti era riuscito soltanto ad «esasperare» i danneggiati. Il numero, infatti, delle liquidazioni di acconto, effettuate durante tre lunghissimi anni di attesa, non sembra abbia raggiunto il 40 per cento delle domande presentate, senza dire che l’importo di ciascun acconto è stato così esiguo da non superare il livello medio delle 15 mila lire, sulla cui capacità di acquisto, ai fini della ricostruzione dei beni indispensabili alla vita, è del tutto inutile che io mi soffermi.

È altresì noto che nessun provvedimento è stato mai preso per la concessione di acconti sull’importo dei danni recati dalle operazioni belliche ai mobili commerciali ed industriali, fra i quali gli stessi attrezzi di lavoro degli artigiani e dei professionisti.

E, quanto al risarcimento dei danni ai beni immobili, nessuno ignora che per gli stabilimenti industriali lo Stato si è sempre trincerato dietro il paravento di dati astronomici riguardanti i relativi oneri; e per i fabbricati urbani e precisamente per la ricostruzione degli immobili urbani popolari, i provvedimenti presi sono stati assolutamente inadeguati.

Le disposizioni successivamente emanate, che vanno sotto il nome di «leggi per i senza tetto», non hanno avuto l’effetto desiderato di incrementare effettivamente le ricostruzioni. Nel campo dell’agricoltura e degli altri settori facenti capo ad amministrazioni diverse da quella finanziaria – come per il caso dei danni in Africa – anche se i mezzi sono stati limitatissimi, si è riscontrata una certa maggiore sensibilità ed aderenza a taluni specifici bisogni dei danneggiati. Ciò ha concorso, però, a frazionare gli sforzi, le disposizioni e le iniziative, dando luogo ad una regolamentazione del danno di guerra sporadica e disordinata.

Che cosa intende ora fare il Governo per venire efficacemente incontro ai bisogni dei danneggiati di guerra?

Occorre evidentemente una legge ed un organo che sia insieme propulsore e coordinatore, come quello che esiste in Francia, in Inghilterra ed in altre Nazioni. Ora, quanto alla legge, si dice che sia stato preparato un progetto; ma nessuno è riuscito ancora a levarlo dagli archivi ministeriali per portarlo alla luce della pubblica discussione e, quanto all’organo, lo si è soppresso, allorché, invece, andava potenziato.

Io mi permetto di esortare ancora una volta il Governo ad affrontare il problema ed a risolverlo.

Non esagero, se affermo che trattasi per il Governo dell’adempimento di un imprescindibile dovere.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Numeroso, De Michele e Caso al Ministro della difesa, «per conoscere quale fondamento abbiano le notizie secondo cui l’Accademia dell’aeronautica non sarebbe trasferita per il prossimo anno scolastico nella sua antica sede di Caserta e ciò in contrasto con le esplicite assicurazioni fatte anche recentemente dall’onorevole Ministro a una rappresentanza del personale. Il Comitato della predetta Accademia, ora a Nisida, avrebbe fatto ritirare in questi giorni dalla sede di Caserta macchinari di officina e materiali vari per installarli a Nisida con spese e lavoro completamente inutili, tenuto conto del trasferimento a Caserta per il prossimo anno scolastico».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Allo scopo di garantire l’assoluta obiettività nella determinazione da adottare circa il trasferimento dell’Accademia aeronautica, l’ex Ministro della difesa onorevole Gasparotto nominò una Commissione, composta degli onorevoli Gustavo Colonnetti, Concetto Marchesi e Ottavio Condorelli e dei generali Vittorio Giovine, Domenico Ludovico e Bruno Borghetti. La suddetta Commissione, alla quale peraltro era stato raccomandato di sentire le autorità e gli enti delle provincie interessate al problema, ha ultimato i suoi lavori e presentato le sue conclusioni, favorevoli, a maggioranza di voti, al ritorno dell’Accademia aeronautica a Caserta.

Sono state date quindi immediatamente disposizioni, perché venisse attuato il trasferimento dell’Accademia.

È, peraltro, necessario procedere prima ad alcuni lavori di ripristino e di adattamento dei locali; e, quindi, la data del trasferimento rimane unicamente subordinata al tempo necessario per ultimare tali lavori, che saranno condotti con la massima possibile sollecitudine.

Quanto alla seconda parte dell’interrogazione, il Comando dell’Accademia ha telegraficamente assicurato che nessun materiale è stato trasportato dai locali di Caserta a Nisida o altrove e che le disposizioni al riguardo, impartite dal Ministro della difesa, vengono scrupolosamente osservate.

PRESIDENTE. L’onorevole Caso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa delle assicurazioni datemi. Debbo dichiararmi invero solo parzialmente sodisfatto. Non vedo la necessità di subordinare l’eventuale rinvio dell’anno scolastico alla esecuzione dei lavori, che sono di scarsa importanza. Data la vastità degli ambienti dell’ex Palazzo reale di Caserta e considerata la scarsa entità dei lavori da eseguirsi, sono sicuro che l’onorevole Ministro della difesa vorrà fare in modo che si inizi l’anno scolastico dell’Accademia aeronautica a Caserta e si appaltino celermente i lavori, la cui esecuzione potrebbe anche proseguire ad attività scolastica iniziata. La provincia di Caserta è grata al Ministro per avere ridato alla città capoluogo la sua Accademia e desidera ora di vederla viva e vitale per custodirla come un privilegio e come sua gloria.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno.

Svolgimento di interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Stella ha presentato la seguente interrogazione urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano opportuno concedere la libertà provvisoria ai contadini arrestati per inadempienza agli ammassi; e ciò al fine di poter effettuare le semine autunnali».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Posso rispondere subito.

Nel decreto che regola l’ammasso del grano per la corrente campagna sono già largamente previsti i casi in cui può esser concessa la libertà provvisoria.. Essa può essere concessa in tutti quei casi in cui l’entità dell’infrazione può far ritenere che il quantitativo sottratto sia destinato soltanto allo scopo di alimentazione della famiglia.

In questa disposizione possono rientrare, evidentemente, numerosissimi casi; ed è rimesso al potere discrezionale dell’Autorità giudiziaria di interpretare la norma con quella larghezza che la può rendere adatta alle varie circostanze.

Per i casi più gravi di evasione, cioè di evasori che, in un momento alimentare così difficile per la Nazione, vogliono destinare il grano al mercato nero, sottraendosi al loro dovere per puro scopo speculativo, ritengo che non si possa concedere il beneficio della libertà provvisoria. Mi pare quindi che le misure vigenti siano sufficienti per consentire una relativa clemenza verso tutti coloro i quali hanno contravvenuto nei casi di minore importanza. Per gli altri casi non si può usare la stessa larghezza, che si tradurrebbe in un incoraggiamento a future evasioni, ciò che noi in questo momento non possiamo e non dobbiamo assolutamente consentire di fronte alla deficienza del raccolto nazionale e di quello internazionale e di fronte alle gravi difficoltà alimentari che il Paese dovrà superare nei prossimi mesi.

PRESIDENTE. L’onorevole Stella ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

STELLA. Io non intendo difendere coloro che hanno tentato di fare delle speculazioni; mi preoccupo di quelli che sono gli interessi collettivi. Ci sono aziende di una discreta importanza che non hanno uomini per fare la semina.

SILIPO. Chi lo dice? Non sono tutti in prigione.

STELLA. Io ritengo che nell’interesse della collettività (ripeto che non intendo difendere coloro che hanno cercato di fare borsanera) si debba concedere la libertà provvisoria perché le semine possano essere effettuate.

SILIPO. A tutti dovrebbe essere concessa?

UBERTI. Non a tutti! Si esaminerà caso per caso.

STELLA. Logicamente, se in qualche azienda vi saranno coloro che possono accudire alla semina, non si darà luogo a libertà provvisoria.

Costoro che sono stati inadempienti, secondo le nuove disposizioni per l’anno venturo, saranno i premiati in quanto, avendo quest’anno nascosto i loro prodotti, figureranno di avere ottenuto una superproduzione, solo perché hanno conferito all’ammasso quel tanto che i Comitati di agricoltura hanno stabilito di conferire.

SILIPO. Ed alimentano il mercato nero!

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Escludo che gli evasori siano premiati dalle nuove norme di ammasso per contingente: lo escludo in modo tassativo. L’ammasso per contingente non va a premiare gli evasori all’ammasso dell’anno in corso, o dei precedenti. Il sistema è congegnato in modo da evitare questo inconveniente gravissimo.

In quanto alle contravvenzioni alle norme sull’ammasso attuale, ripeto che le misure penali sono state così attenuate che non credo che le preoccupazioni dell’onorevole Stella possano avere ragion d’essere. Si potrà trattare di qualche caso isolato, da risolvere non con una misura generale ma individualmente. Io prego l’onorevole Stella di segnalarmi questi casi individuali per vedere se possiamo venire incontro alle giustificate esigenze di singole aziende.

Annunzio di interrogazioni e di una interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune altre interrogazioni ed una interpellanza con richiesta di urgenza. La prima interrogazione è quella dell’onorevole Mazza, al Ministro del tesoro:

«Per conoscere i motivi dell’ostinazione con la quale si escludono, dai decreti di equiparazione del carovita dei comuni viciniori di Napoli, quelli della penisola Sorrentina, compresi in un raggio di 25 chilometri e legati al centro da molteplici mezzi di trasporto marittimi e terrestri».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Interesserò il Ministro competente perché faccia sapere quando intenda rispondere.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Gloria ha presentato la seguente interrogazione:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere in base a quale criterio saranno formate le commissioni esaminatrici dei candidati al concorso di cui al supplemento n. 1 della Gazzetta Ufficiale n. 158, del 14 luglio 1947».

Lo stesso onorevole Di Gloria ha presentato la seguente interpellanza al Ministro della pubblica istruzione:

«Per conoscere i motivi in base ai quali sono stati introdotti nel bando di concorso di cui al supplemento n. 1 della Gazzetta Ufficiale n. 158, del 14 luglio 1947, i paragrafi 4 e 6 (comma d)) ed il paragrafo 9 (comma 6°) evidentemente lesivi del buon diritto di ogni cittadino partecipante al concorso suindicato».

Il Ministro della pubblica istruzione mi ha fatto sapere di essere pronto a rispondere, sia all’interrogazione, che all’interpellanza, in una delle sedute successive a quella di lunedì prossimo.

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Lunedi vi sarà seduta alle ore 16 con interrogazioni e interpellanze all’ordine del giorno.

Verranno svolte interpellanze presentate dagli onorevoli Silipo, Nobile, Cremaschi Olindo e Gavina; e interrogazioni degli onorevoli Laconi, Salerno, Mazza, Veroni, Mastino Pietro, Numeroso, Perugi, Vinciguerra, Franceschini, Martino Gaetano, Fiore, Giacchero, Caso, Canevari, Stampacchia, Rivera, Borsellino e Bulloni. Questi colleghi sono dunque avvertiti che lunedì loro interpellanze e interrogazioni saranno all’ordine del giorno.

Interrogazione.

PRESIDENTE. Si dia lettura di una interrogazione pervenuta alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere, in conformità ad altre precedenti interrogazioni presentate al riguardo, quando verranno iniziati i lavori di ricostruzione del tronco terminale Triflisco-Piedimonte d’Alife, distrutto dalla guerra, della ferrovia Napoli-Piedimonte.

«Ciò anche per ristabilire la verità di fronte alle varie voci messe in circolazione tra le laboriose popolazioni dell’Alifano, che hanno il massimo interesse a veder risorgere al più presto la ferrovia, che è per loro condizione essenziale di vita e di sviluppo economico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

PRESIDENTE: L’interrogazione testé letta sarà trasmessa al Ministro competente per la risposta scritta.

La seduta termina alle 11.55.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 22 settembre 7947.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Svolgimento di interpellanze.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 19 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxxvi.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 19 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Conti, Relatore

Tosato, Relatore

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Sull’ordine dei lavori:

Presidente

Monticelli

Lussu

Russo Perez

La Rocca

Interpellanza e interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Cingolani, Ministro della difesa

Sui lavori delle Commissioni permanenti per l’esame dei disegni di legge:

Presidente

Mastino Pietro

Sull’ordine del giorno:

Presidente

Mastino Pietro

Cingolani, Ministro della difesa

Tonetti

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Quintieri Adolfo.

(È concesso).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Donati, in sostituzione del compianto onorevole Bassano.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore Conti.

CONTI. Relatore. Onorevoli colleghi. Io sono molto affezionato all’amico onorevole Tosato; sono un suo ammiratore e soffrirei nel vederlo costretto a rivolgere la parola all’Assemblea, e cioè ai pochi Deputati presenti, mentre gli altri hanno preso evidentemente congedo. Perciò tollererete che io dica due parole che potrei considerare introduttive della relazione del collega Tosato, introduttive anche perché ritengo di poter dire, se Tosato me lo consente, che sono in gran parte d’accordo con lui nella tesi che sosterrà intorno alla struttura del potere esecutivo.

Ma io vi dirò altre cose che non sono proprio quelle che si attendono dai Relatori, cioè esposizioni di vedute e discussione delle opinioni degli altri.

Se noi dovessimo metterci a discutere tutto quello che si è detto qui dentro, tutte le teorie che sono state esposte, tutti i pareri, tutte le opinioni, tutte le particolarità che si sono dette intorno ad ogni istituto ed a ogni situazione politica che potrà derivare dalla nostra Costituzione, evidentemente correremmo dietro ad una quantità di cose anche inutili.

Vi voglio fare alcune confessioni. Mi permetterete di farle come repubblicano storico, cioè come uno dei custodi della Sacra Falange. Io vi dico che dal testo costituzionale non mi aspetto affatto la fondazione della Repubblica. Per me la Repubblica non c’è ancora; lo dissi un giorno interrompendo l’onorevole Nitti: la Repubblica non esiste. È caduta la monarchia; ed io vi dico che per me, repubblicano di convinzioni antiche, è la caduta della monarchia che soprattutto ha un significato profondo, una importanza storica grandiosa. So benissimo che moltissimi non sentono come me il valore di questo avvenimento. I repubblicani di oggi, cioè coloro che hanno accettato la Repubblica a fatto compiuto (ed io mi compiaccio grandemente di questo fatto, ormai molto diffuso nella vita del nostro Paese), i nuovi repubblicani non danno la stessa importanza che io do al fatto della caduta della monarchia.

Non si capiva e non si sentiva da molti che cosa rappresentasse la monarchia in Italia e che cosa rappresentino le monarchie, anche le poche monarchie residuate in Europa. Sono un grave ostacolo al progresso.

Una voce. La Svezia?

CONTI. Compresa la Svezia. I popoli liberi sono liberi quando non hanno nessuno di fronte che condivida la sovranità: questo è il punto. (Vedete che non ho sbagliato a dire che i nuovi repubblicani sono repubblicani convinti fino ad un certo punto).

Il fatto dunque della caduta della monarchia ha, per me, più importanza della fondazione della Repubblica in virtù di un testo costituzionale. Io do pochissima importanza a tutti gli articoli che sono stati scritti, a tutti gli articoli che sono stati approvati ed a quelli che saranno approvati. Do pochissima importanza a tutti gli articoli che sono stati approvati. Tutta la prima parte della nostra Costituzione è una novella, un capitolo di romanzo. Io accetto tutto, perché non mi par vero che ci sia un punto di partenza per poter camminare avanti; ma la prima parte della Costituzione non ha nessuna importanza perché è tutta una raccolta di affermazioni di principio: è stato detto e ripetuto da molti qua dentro, molto autorevolmente, che essa è tutta una serie di affermazioni campate in aria. Non serviranno gran che.

Formulo perciò l’augurio che l’Assemblea, quando avrà compiuto il lavoro principale con l’approvazione di tutto il testo, quando si concentrerà un po’ in se stessa, e rivolgerà l’occhio sul complesso dell’opera, torni a discutere una proposta che fu fatta in un primo tempo, mi pare, dall’onorevole Calamandrei: di rivedere tutto e di considerare con molta serietà e attenzione se non sia il caso di trasferire in un ben fatto preambolo una quantità di formulazioni che sono in altrettanti articoli della nostra Costituzione.

L’onorevole Nitti diceva l’altro giorno, giustamente, che dopo molto divagare, siamo finalmente arrivati ad esaminare la parte del progetto che si riferisce alla Costituzione della Repubblica. Io vi ripeto quanto ho detto prima: anche a questa parte do pochissima importanza.

Che volete! Credete proprio che con gli articoli della Costituzione, sarà davvero costituito il Parlamento? Credete fatto il Parlamento perché abbiamo scritto quegli articoli? Io non lo credo assolutamente. Perciò ho sentito con molto scetticismo tutto quanto è stato detto intorno al funzionamento della futura Camera e del futuro Senato. Articolo A, articolo B, articolo C: con l’articolo A si provvede a determinata funzione, col B ad altra funzione, col C ad altra funzione ancora! Si provvederà a tutto e non si provvederà a niente; perché chi provvederà all’utile funzionamento di questo ente rappresentativo, del Parlamento, saranno i deputati. E se i deputati non saranno uomini preparati alla loro funzione ed uomini di grande coscienza e consapevolezza, essi non saranno diversi da quelli che sono stati in Italia nel passato e – permettetemi di dirlo – anche nel presente. Dobbiamo confessare tranquillamente i nostri difetti. Se non ci sarà mutamento di costumi, se l’educazione politica non sarà diversa da quella che abbiamo avuto e che è diffusa nel Paese, è da ritenere che, comunque organizzato, il Parlamento funzionerà poco, funzionerà male: raramente funzionerà bene.

Vedo avanti a me l’onorevole Rubilli, che ha celebrato i Parlamenti del passato. Non capisco come Rubilli, che è uomo di tanta serietà e consapevolezza, voglia farsi propagandista di questa leggenda; perché di leggenda si tratta!

Oh! la Camera dei deputati del passato! Oh! la Camera pre-fascista! No, onorevole Rubilli, basta con queste esclamazioni… non ne parliamo affatto della Camera del passato: essa ha avuto tutti i difetti dell’Assemblea attuale. Il parlamentarismo invase il Parlamento. Il Paese ha sempre avuto risultanze negative, in modo assoluto negative. Ho avuto occasione di dirlo altre volte; tengo moltissimo a fare di nuovo questa affermazione, perché è affermazione che ci deve guidare ad essere migliori nell’avvenire.

Credo – e qui mi piace di contrastare con la tenacia di alcuni colleghi, con l’ostinata avversione di alcuni colleghi (ne ho due di fronte, coi quali mi trovo spesso in conflitto, simpaticissimo; l’amico Targetti e l’onorevole Nitti) – credo che l’Assemblea abbia provveduto a salvare il sistema rappresentativo con l’istituzione della Regione. È questo veramente l’unico provvedimento utile per portare il Parlamento su altra via. Con la organizzazione delle Regioni si è giunti probabilmente ad un avviamento del sistema rappresentativo, ad un avviamento nuovo. Se metteremo della buona volontà, se non si svilupperanno ostruzionismi, noi raggiungeremo, anzitutto, con la istituzione delle Regioni una certa deflazione legislativa. Ed allora molti inconvenienti del sistema passato potranno essere eliminati. Il Parlamento è istituito per far leggi, ma meno ne farà e tanto meglio sarà per il Paese.

Ma non basta l’avere creato la Regione. È necessario che noi andiamo coraggiosamente verso un provvedimento che può essere doloroso per molti, almeno a prima vista, ma che deve essere adottato se qui seggono deputati che vogliono servire il Paese più pensosi del suo destino che non della propria sorte elettorale. Se non si ritorna qui, non cade il mondo: bisogna invece provvedere ad organizzare la prossima Camera dei deputati in modo serio. Mi riferisco ad una necessità, a quella della riduzione del numero dei deputati.

Non è possibile pensare a una Camera legislativa composta di sei o settecento deputati; sarebbe un errore anche pensare che essa debba essere composta di cinquecento deputati; per me sarebbe un errore comporla di quattrocento deputati. Bisogna ridurre il numero e vi dico subito che voterò a quattro mani l’emendamento per il quale si propone, in via transitoria, che una parte degli eletti di questa Assemblea, deputati di non so quante legislature, passino di diritto al primo Senato. Ecco qua sessanta o settanta nemici della riduzione del numero, che io spero di eliminare con l’approvazione di un siffatto emendamento. (Commenti). Molti potranno andare al Senato: porteranno nel nuovo consesso la loro esperienza tecnica. Dico agli altri: facciamoci coraggio, provvediamo seriamente agli interessi del Paese e riduciamo il numero dei deputati. Le Assemblee numerose sono Assemblee dannose al Paese.

Ieri, avendo l’intenzione di dire qualcosa, volli trascrivere per leggerlo a voi il parere di un nostro grande scienziato. Non sono un seguace gretto delle sue dottrine, ma della sua genialità non si può discutere: parlo di Cesare Lombroso. Ieri rileggevo questi suoi pensieri sulle Assemblee, questi due pensieri che mi sembra debbano esser tenuti presenti dall’Assemblea Costituente che deve deliberare sul numero: «una folla anche la meno eterogenea, anche la più eletta, quando deve deliberare dà una risultante che non è la somma, ma più spesso la sottrazione del pensiero dei più». Onorevoli colleghi, su questo pensiero si deve meditare.

Ecco un altro pensiero: «è un’osservazione volgare, passata in vecchio proverbio, che più sono i deliberanti, meno giusta e meno savia è la deliberazione che ne risulta, perché tutto quel sotto strato di pregiudizi, di vizi che si domano a furia di coltura dell’individuo, pullula e si fonde in triste veleno nelle Assemblee. È quanto accenna il proverbio: senatores boni viri, senatus mala bestia: cosicché il merito, nei consigli, è in ragione inversa del numero dei consiglieri». Evidentemente siamo di fronte a pensieri che devono costringere alla meditazione. Bisogna ridurre il numero dei deputati. Avremo così una Assemblea più snella e, se vogliamo davvero, come è nei voti, la costituzione di uno Stato in cui tutti gli organi rappresentativi abbiano vigore ed una grande autorità, dobbiamo tendere a fare della Camera dei deputati un’Assemblea nella quale la dignità, la cultura, se possibile, la sapienza siano immediatamente riconosciute dal Paese il giorno successivo alle elezioni. Non si deve dire: quanta gente che non vale nulla! Si deve riconoscere l’esistenza di un’Assemblea legislativa composta di uomini degni della loro funzione.

Questa è la mia opinione su questo punto, onorevoli colleghi.

È inutile che io mi fermi a dirvi la mia opinione intorno al funzionamento della Camera, se non ammettete che la Camera non funzionerà se sarà numerosissima; e se credete che riuscirà a funzionare per ben congegnati articoli della Costituzione. Ridotto il numero credo che potrà funzionare, se il regolamento della futura Camera non sarà più il regolamento attuale. Esso dovrà essere un altro che stabilisca modi semplici di lavoro per mezzo di Commissioni e di altri dispositivi atti a compiere l’opera legislativa. Se no, non cesserà mai la condizione di impotenza della Camera, denunciata dai nostri colleghi. Avete udito l’onorevole Clerici l’altro giorno. Lo avete udito richiamare fatti parlamentari del periodo leggendario del caro amico onorevole Rubilli. Io ho qui il resoconto stenografico perché desidero che i colleghi tornino a meditare le cose gravi dette dal collega Clerici: «Nella 23a legislatura su 820 decreti legislativi mandati dal Governo per la convalida, ne furono convalidati dal Parlamento appena 9». Desidero richiamare l’attenzione dei colleghi su queste cose dette dall’onorevole Clerici, anche perché possono essere sfuggite a molti. Per la foga oratoria del nostro collega possono essere state afferrate meno bene le sue parole dette tanto bene. Il collega Clerici così continuò: «Nella 24a legislatura, che va dal 1913 al 1919, furono approvati 396 disegni di legge sui 1181 che il Governo aveva trasmesso all’Assemblea. Nella 25a, che era Camera rinnovata e popolare con 200 deputati della sinistra e 100 del partito popolare, furono approvali solo 166 progetti di legge su 1139 presentati. Nella 26a che andò dal giugno al dicembre 1921, 106 su 1185».

Ed il Tittoni, nel suo noto saggio pubblicato dall’editore Zanichelli, dice che «se nel 1922 si ripensò di riparare all’inconveniente istituendo delle sedute mattutine accanto a quelle pomeridiane, si poté constatare allora che le sedute mattutine erano disertate e che i deputati presenti nell’aula non superarono mai il centinaio». Onorevoli colleghi, proprio come oggi! E vi posso fare anch’io testimonianza sull’assenteismo dei deputati dell’antica Camera. Discutendosi qui, nelle sedute antimeridiane, nel 1922 il progetto di legge sul latifondo siciliano (era allora Ministro dell’agricoltura l’onorevole Bertini, se non erro) venivamo alle sedute mattutine e ci trovavamo in sette, dieci, dodici presenti. Erano le stesse sedute che vediamo con occhio disperato la mattina quando entriamo qui dentro. Ed avevamo allora la Presidenza, niente di meno, che di Enrico De Nicola, di un uomo di cui si sentiva l’autorità ed il prestigio da lontano, e per il quale c’era una venerazione da parte di tutti noi. Non bastava neanche il grande prestigio di Enrico De Nicola a richiamare i deputati al compimento del loro dovere.

«La malattia è incurabile» direbbe un nostro grande pensatore, Giuseppe Ferrari, che, occupandosi di certi problemi italiani, diceva che in Italia vi sono malattie incurabili che neppure la provvidenza riuscirebbe a guarire!

Orbene, io dicevo prima che avremo una certa deflazione legislativa, col funzionamento delle Assemblee regionali, che l’avremo, se si potrà provvedere al funzionamento della Camera e del Senato con regolamentazione opportuna. Ma è certo che, se non mutano i costumi politici, se la Camera ed il Senato saranno sempre un’arena nella quale saranno portate mozioni a getto continuo per la politica del Governo, un giorno contro il governo rosso che non piace ai neri, l’altro giorno contro il governo nero che non piace ai rossi, se non si penserà che a questa ginnastica, che è, scusate, anche ridicola, in certi momenti, il Paese non provvederà ai propri interessi, ma andrà alla deriva, sempre, in ogni fase della sua vita. Ed è inutile che ci siano recriminazioni da destra e da sinistra, perché questa malattia è un’altra malattia incurabile, direbbe ancora una volta Giuseppe Ferrari.

Governo: su questa parte l’onorevole Tosato farà una relazione mirabile, chiara, limpida. Sosterrà idee che io condivido in gran parte, anzi quasi totalmente, dopo aver discusso con lui largamente in Commissione. Noi ci incontrammo nel concepire il sistema che egli esporrà. Si tratta di trovare il modo di far funzionare il Governo stabilmente, cioè con una certa continuità. Nessuno può governare, se non è tranquillo per un certo periodo e per l’attuazione di un certo programma.

Questo il punto di vista dal quale si parte. Problema quanto mai difficile in Italia. Non ne parliamo. Anche per un’altra ragione. Io ero convinto prima della caduta del fascismo, durante il periodo fascista, e lo sostenevo nelle discussioni con amici con i quali si parlava dell’avvenire, ero convinto, dicevo, della necessità della stabilità assoluta del Governo. Mi pareva che fosse un problema da risolversi nel modo più drastico. Il Governo deve essere fisso, deve scadere a termine, tre anni!

Tre anni di Governo; sarà quel che sarà, dicevo con convinzione. Ma si cambia opinione, si deve cambiare, quando si ragiona freddamente, serenamente su certi problemi. Un giorno esponevo questa mia veduta ad un mio amico magistrato, consigliere di Cassazione, cospiratore coraggioso nel periodo fascista. Io gli dicevo: stabilità, stabilità! Bisogna assolutamente riuscire a conquistare questa certezza.

Ah, esclamò quel Consigliere: In Italia! In Italia!

Capii subito! E posso dire che cambiai subito opinione. È vero, siamo in Italia, paese di camorristi!

Questa amara riflessione feci allora. Arriverò, oggi, a questa stessa conclusione in maniera più delicata, andrò più moderatamente alla stessa conclusione. Per i deputati pare non vi sia altra possibilità di sviluppo della propria personalità che diventando Ministri. Tutti vogliono essere Ministri e Sottosegretari. Conquistata una poltrona di un Ministero, si va a fare il padrone, si raccoglie tutta la cricca delle amicizie, e si distribuiscono favori, posti, prebende, si fa tutto quello che un galantuomo non fa.

In un Paese come il nostro nel quale c’è questa tendenza, quest’altra malattia inguaribile, affermare che la stabilità del Governo sia una cosa buona è affermare una cosa alquanto pericolosa.

RUSSO PEREZ. Allora conviene abolire i Ministeri.

CONTI, Relatore. Mi sono convinto che bisogna andare ad una soluzione intermedia. Cercare, sì, la stabilità dei Governi, ma circondare questa conquista di una quantità di cautele, di molte cautele. Stabilità, ma anche possibilità di rovesciare il Governo il quale si dimostri o incapace o portato ad agire con criteri che non sono di purezza e di onestà politica.

Ed allora il concetto che abbiamo meditato molto per la costituzione del Governo e che l’onorevole Tosato ha trasferito nella relazione in modo geniale e limpido è questo: si costituisca un Governo nel quale il Gabinetto abbia una funzione minore, e in certo senso subordinata; ci sia chi assuma la responsabilità di fronte al Parlamento della direzione del Governo. Ed ecco la figura del Primo Ministro come è presentata nel testo costituzionale.

Questo tipo di costituzione del Governo può forse dare risultati; ma non si può garantire niente. Siamo sempre al richiamo della necessità di nuovi costumi nel nostro Paese. Dalla soluzione proposta nel testo costituzionale, dalla nuova educazione politica del Paese, avremo risultati e li avremo anche se uomini vecchi (udite il giovane che sono io!), vecchi come voi siete, uomini cresciuti, educati in un ambiente che vi ha fatto quelli che siete, avete assorbito una quantità di pregiudizi che devono essere combattuti e revocati.

Scusatemi, ma io vi posso parlare così, da repubblicano diverso da voi per origine politica. Voi siete cresciuti alla scuola dei costituzionalisti, dei piccoli e grandi maestri del diritto costituzionale delle nostre Università, che hanno avuto dello Stato, del diritto costituzionale, del Governo, un concetto che non è democratico. Come i vostri maestri, voi siete costituzionalisti nel senso monarchico della parola! Ora dovete essere repubblicani: ed io auguro che siate, a un certo momento, i migliori repubblicani. Dovete sforzarvi di intendere che, se avete pensato monarchicamente, ora è venuto il momento di pensare repubblicanamente. Per pensare repubblicanamente, bisogna accettare due principî fondamentali: il primo è che un regime repubblicano deve essere fondato sulla libertà, in modo assoluto, e irrevocabilmente. La Costituzione, dunque, a questo deve provvedere: a stabilire tutte le garanzie della libertà. Per il secondo principio si deve considerare la democrazia non come si considera da molti, e anche da uno dei più illustri rappresentanti di partiti politici qua dentro, e di parte sinistra, essere la democrazia il regime retto da democratici, cioè da uomini i quali pensano al bene del popolo.

La democrazia, per noi repubblicani, non è questa; la democrazia non è il regime degli uomini democratici, la democrazia è il regime nel quale il popolo sviluppa se stesso, esprime una sua volontà e la fa valere nei modi legali.

Ed allora, per quella garanzia della libertà e per la fondazione della democrazia non si devono scrivere formule e articoli che provvedano a questa o a quell’esigenza dell’andamento parlamentare; no, bisogna creare istituzioni.

Ed ecco perché (ripeto quello che dicevo prima), l’istituzione della Regione è un passo avanti sulla via della democrazia. Ecco perché bisogna fondare anche il nuovo Comune nel nostro Paese. Il Comune e la Regione sono le due istituzioni le quali assicurano la libertà e creano la democrazia, che garantiscono la libertà, creano la vita democratica, l’andamento democratico nel nostro Paese.

La mentalità vostra (scusatemi se vi parlo con tanta confidenza; so che in ognuno di voi c’è tanta bontà da permettermi di parlare così) è ancora lontana da questa concezione. In voi è il pregiudizio giacobino; voi siete ottantanovisti tutti quanti, voi della sinistra, voi della destra. L’ottantanove è la matrice tremenda che ha fatto del nostro Paese un Paese di violenti, di declamatori, di retori.

RUSSO PEREZ. Grazie.

CONTI, Relatore. No, ci mancherebbe, altro! Non parlo solo di voi, parlo anche del Paese. (Commenti a destra). E non vi meravigliate del mio modo di sentire, in contrasto con idee correnti. Per coprirmi con una grande autorità potrei invocare Mazzini. Io non sono mazziniano, sono repubblicano; ma se io, comunque, invocassi Mazzini, potrei invitarvi a leggere le pagine di Mazzini sulla Rivoluzione francese; dico anzi che potrei invitarvi a rileggerle, perché presumo che tutti quanti abbiate letto Mazzini. Potreste dunque, rileggere, che la Rivoluzione francese non ha già aperto un ciclo storico, ma lo ha concluso.

Ora, dicevo, per questa mentalità tutto è, in Italia, Stato, tutto è Governo, tutto è Parlamento, tutto è legge, tutto è fucina di leggi. Ebbene, questa non è mentalità repubblicana; è mentalità monarchica. Quando, dunque, si parla della Repubblica, in Italia bisogna andare cauti, bisogna andare piano. Noi, in Italia, la Repubblica ancora non l’abbiamo; noi in Italia la Repubblica l’avremo fra parecchio tempo, la avremo, quando sarà raggiunta, finalmente, l’autonomia dei Comuni: autonomia che deve significare, soprattutto, possibilità finanziaria, cioè autonomia finanziaria. Bisogna, in altri termini, pensare al Comune rinnovato, soprattutto per la possibilità di provvedere ai suoi bisogni. Allora, dunque, avremo veramente la Repubblica quando il Comune sarà divenuto autonomo nel più ampio e concreto senso della parola, quando la Regione (sulla quale ogni tenace avversario si diletta, anche oggi che è creata, di gettare un podi discredito) funzionerà come deve. Le Regioni non dovranno commettere errori d’interpretazione dei loro compiti e del loro funzionamento. Non c’è dubbio, ad esempio, che i siciliani hanno detto qualche sciocchezza…

RUSSO PEREZ. L’avete detta voi.

CONTI, Relatore. Non noi! Hanno detto qualche sciocchezza i siciliani e qualcuna l’hanno indubbiamente fatta, quella, ad esempio, di essersi costituiti in Assemblea secondo il sistema parlamentare, tanto che il Governo siciliano ha posto le sue brave questioni di fiducia. Quel Governo cioè si è atteggiato come un Governo qualunque (non parlo di un Governo dell’onorevole Giannini) (Ilarità a destra), come un Governo qualunque, del passato parlamentarismo monarchico.

Le Regioni non debbono commettere tali errori. Perché non li commettano, bisogna che le Regioni siano accostate dagli uomini che sentono il bisogno di un ordinamento serio nel nostro Paese; bisogna anche che siano represse certe tendenze che possono riuscire dannosissime, mentre bisogna che ne siano sviluppate altre pregevolissime. E non bisogna preoccuparsi di cose che non possono avere alcun riflesso nella vita politica del Paese, che non hanno alcuna sostanziale importanza. Quando sento parlare di lotte fra, poniamo, Catanzaro e Reggio, perché ambedue si contendono il titolo di capitale, confesso che non posso se non mettermi a ridere. Non è questo, del resto, che un fenomeno naturalissimo: è propriamente il desiderio del prestigio della propria città, del proprio campanile, del proprio santissimo campanile. Non dobbiamo davvero lamentare che gli italiani abbiano tanto affetto per le loro città, per i loro paesi, per quelle che Carlo Cattaneo chiamava «le patrie singolari».

Per carità dunque, onorevoli antiregionalisti, non allarmatevi per le sciocchezze e gli errori possibili e per queste naturali manifestazioni dell’umanità degli uomini, e invece cercate di costituire buone amministrazioni, di farle funzionare! Allora, lo vedrete, la democrazia in Italia sorgerà davvero. Comuni e Regioni; ecco le istituzioni della democrazia. E non si appunti più l’occhio sullo Stato, e del Governo non si abbia più il vecchio concetto paternalista.

Queste osservazioni e non altre sul capitolo del progetto dedicato al Governo. Io vi ripeto, agli articoli do ben poca importanza; spero soltanto che da un’impostazione diversa della vita costituzionale e rappresentativa del Paese derivino i risultati che noi tutti quanti auspichiamo per il benessere della Nazione. Non vi dovrei dire altro. Ma a proposito delle crisi ministeriali, che sarebbero proprie di questo tempo, secondo critici acerbi della democrazia, e secondo il collega onorevole Rubilli e altri laudatores temporis acti, mi cade sott’occhio un appunto interessante.

Allora, nei tempi leggendari, tutto bene, è vero, Rubilli? Oh che gioia, allora: che uomini allora! Nessuno scandalo allora! Ah! caro Rubilli, il Paese nostro è stato il paese degli scandali.

RUBILLI. Questa roba c’è sempre, non manca mai.

CONTI, Relatore. Gl’italiani ignorano la storia e la cronaca del loro Paese. Questa è un’altra lacuna nella cultura degli uomini politici italiani. Si conosce benissimo la storia della Russia – tutti hanno letto i tanti volumi che si sono scritti sulla storia russa…

GIANNINI. Io non li ho letti.

CONTI, Relatore. Si conosce la storia dell’Assiria, della Babilonia, dell’India antica, della Cina; si sono fatte e si fanno ricerche sulla civiltà americana precolombiana; si scoprono tante cose; ci dilettiamo moltissimo. Ci sono due fenomeni in Italia, interessantissimi: gli Italiani non conoscono la storia del loro Paese, quella recente specialmente; perché la storia di Cesare Augusto e di tutti quegli altri personaggi, che sono stati tutti quanti monumentati, naturalmente la conoscono perfettamente tanti. Non si conosce la storia, specialmente la contemporanea; non si conosce la geografia dell’Italia; sicché i legislatori che qui fanno le leggi per tutta l’Italia, non sanno che non si può legiferare nello stesso modo per la Basilicata e per il Piemonte, perché sono regioni ben diverse. Ma questa è una parentesi.

Dicevo, dunque, che nel tempo passato si sono avuti in Italia fenomeni, che oggi si riproducono in piccola parte. Scandali si sono avuti in Italia dal 1860 in poi, sempre; e oggi non ce li sogniamo neanche; non esistono. Oggi è tanto viva, poi, la censura pubblica, per cui, alla più piccola mossa di camorristi, di imbroglioni, c’è subito la frusta del giornalismo nostro, che a torto o a ragione, fa saltare i sospettati. Abbiamo visto cose di importanza relativa, per le quali si è fatto un chiasso indiavolato. Nel passato, invece, si è sempre provveduto a coprire le magagne (Interruzione a destra)sì, caro Bellavista – a coprirle in ogni modo: magagne di Governi, e degli uomini politici.

GIANNINI. In quale passato?

CONTI, Relatore. Mi riferisco dal 1860 a sempre.

GIANNINI. No, fino al 1922…

CONTI, Relatore. Caro Giannini, tu potrai insegnarmi come si fa una commedia, come si legge un libro di storia, no.

GIANNINI. Lo scandalo della Banca Romana?

CONTI, Relatore. Ti posso affliggere settimane intere a darti elementi per tutto il periodo cui ho accennato.

GIANNINI. La Banca Romana…

CONTI, Relatore. No, per carità, non mi far inquietare (Ilarità), se non vuoi che ti rovesci addosso una quantità di fatti…

Proprio ieri ho ricevuto dal figlio di Giovanni Bovio un profilo pubblicato nell’Eloquenza di non so quanti mesi fa.

In quel profilo leggevo un capitoletto che si riferisce a due processi nei quali Bovio indossò la toga: uno contro i socialisti, l’altro contro Alberto Mario, il girondino della Repubblica, il più aristocratico dei democratici, la finezza fatta giornalismo, la bellezza artistica concretata in ogni manifestazione, nel gesto, e perfino nel vestire: egli era elegantissimo. Ebbene, processato dinanzi alla Corte d’assise di Roma, investito fieramente dai magistrati (ai magistrati io voglio molto bene, ma essi sono stati sempre, nel nostro Paese, reazionari, e hanno sempre servito ciecamente la monarchia), Alberto Mario fu condannato, malgrado la difesa di Giovanni Bovio. E non la interminabile sfilza delle aggressioni alle pubbliche libertà, e gli stati d’assedio e tutte le persecuzioni di avversari della monarchia.

Una voce a destra. Era per illuderci.

CONTI, Relatore. Come illudervi? Non ricordate Crispi? E prima di lui la destra dominatrice dal 1860 al 1876? E non debbono ricordarsi le violenze e la corruzione della sinistra, che aveva voluto abbattere la destra perché liberticida? E perché non dire che la sinistra ne fece più della destra che, se non altro, diede prova di competenza e probità, mentre la sinistra non ebbe né competenza né probità! (Applausi a destra). Bene. Siete contenti?

Voci a sinistra. Parli da questa parte.

CONTI, Relatore. Parlavo a loro, perché ne hanno bisogno. Adesso torno a voi.

Ma non voglio intrattenervi troppo, onorevoli colleghi.

Questa digressione v’è stata, perché volevo confutare ancora una volta l’amico Rubilli, quello dei tempi leggendari, dei tempi nei quali non avveniva mai nessuna crisi ministeriale, non accadeva mai niente, e tutti erano buoni e tutto andava tanto a gonfie vele.

Bene, da un libro di Nitti, che è sempre una grande guida alla ricerca di fatti (leggeteli i libri di Nitti, il quale, per il suo desiderio, che direi naturale, di dire sempre con chiarezza e il proprio pensiero intorno agli uomini e alle cose, ha scritto tanto); da un libro di Nitti – dicevo – ho tratto indicazioni statistiche sul tempo… leggendario. Anche allora crisi ministeriali, e con quei grandi uomini: quelli «che non rinascono più», disse l’altro giorno l’amico Rubilli. (Notate, colleghi, che allora, nei tempi leggendari, si diceva che non erano rinati quelli che c’erano stati prima! E non vi meravigliate: queste sono buaggini che diciamo per nostra consolazione! Gli uomini sono animali uomini: questa è la nostra dottrina sociologica per la quale noi non pensiamo agli angeli né a miracoli, e per la quale non pensiamo che la Repubblica raddrizzi le gambe ai cani. La Repubblica è possibilità per tutti di vivere liberamente e di costruire una nuova vita e costumi nuovi).

GIANNINI. Chissà come saremo rimpianti noi fra cento anni!

CONTI, Relatore. Guardate, dunque, questa indicazione statistica: Giolitti… (ho detto Giolitti: il nome di un uomo che non rinasce più, secondo Rubilli; il nome di un uomo, dico io, sul quale credo sia onesto rettificare molti giudizi. Di Giolitti si deve oggi parlare con serenità e concludere che fu un uomo di alte intenzioni liberali, io direi un illuso in tempi di monarchia, perché Giolitti si illudeva e illudeva che con la monarchia gli italiani potessero conquistare la libertà e la democrazia. Oggi Giolitti sarebbe repubblicano come noi). Chiudiamo quest’altra parentesi. Giolitti, dunque, cadde il 16 marzo 1905. Dal 16 marzo 1905 al 27 maggio 1906, appena un anno, sei ministeri!…

RUBILLI. Appunto perché non c’era lui!

CONTI, Relatore. No, ecco l’avvocato che incespica e cade. Giolitti è caduto il 16 marzo 1905. Tittoni, interim, cioè un alter ego di Giolitti, messo al posto suo, cade il 16 aprile 1905. Dopo Tittoni, altro uomo di fiducia di Giolitti: Fortis. Salì al potere il 28 marzo e cadde il 22 dicembre. Riebbe l’incarico il 24 dicembre e si resse fino all’8 febbraio 1906. I proconsoli giolittiani si esaurirono. Succede Sonnino, fino al 27 maggio 1906: uno dei due ministeri, durati cento giorni, di Sonnino. Giolitti di nuovo il 27 maggio 1906. Avete visto quanti Ministeri in quattordici mesi! Non c’è, dunque, da preoccuparsi e da fare gran chiasso per le crisi di questo tempo, annunziate con enormi titoloni sui giornali. Siamo alla quarta caduta e alla quarta ripresa del Governo di De Gasperi? Nessuna meraviglia: questo è il prodotto del sistema parlamentare, quello di una volta e quello attuale. Speriamo che non continui così, che si cambino i costumi. Speriamo che la riduzione del numero dei deputati, che la formazione del Governo secondo le linee tracciate nel progetto costituzionale siano nell’avvenire la base di procedimenti parlamentari migliori di quelli del passato.

Mi dovrei ora occupare del Capo dello Stato, ma non me ne occupo. (Segni di approvazione dell’onorevole Giannini).

No, no, Giannini, questo gesto col quale sembra che tu voglia dire che si tratta di un problema di nessuna importanza, non è un gesto che mi piace. Il problema ha una grande importanza. La Repubblica in Italia significa che non abbiamo più la monarchia e che è finito l’ultimo residuo feudale. Mi dispiace molto per l’amico carissimo Condorelli che ieri l’altro mi ha fatto gonfiare di gioia nel sentirgli ripetere i soliti luoghi comuni sulla monarchia e sulla Repubblica. Ma insomma, che non ci sia più il re, che non ci sia più la dinastia, che non ci sia più questo potere stabile che viene dalla legge, come diceva Condorelli, o dal diritto divino, la liberazione da questo peso enorme che era sul nostro Paese, è di una importanza colossale, onorevole Giannini. Con la dinastia è caduta tutta la costellazione delle forze retrograde che intorno alla dinastia erano concentrate. Noi non abbiamo più la dinastia che era, poi, in Italia una dinastia militaresca e che era in Italia molto inferiore alle altre che l’Italia ha conosciuto.

Tra i Savoia e i Borboni, lo dico anche all’onorevole Mazza per consolazione di lui napoletano, tra i Savoia e i Borboni, si deve riconoscere la superiorità dei Borboni. La revisione storica degli ultimi anni ha portato a questa conclusione.

Si può con certezza affermare che fra le due dinastie non c’è differenza seria. All’amico Bellavista offrirò la lettura di studi di Napoleone Colajanni. Uno di essi è intitolato: Dai Borboni ai Sabaudi. In esso Napoleone Colajanni dimostra quello che erano i Borboni ed i Sabaudi.

BELLAVISTA. Napoleone Colajanni era laudatore del tempo presente.

CONTI Relatore. Ora, io dicevo che la prima conquista fatta dall’Italia è questa: si è sbarazzata della dinastia.

RUSSO PEREZ. Se ha detto che la Repubblica ancora non c’è!

CONTI Relatore. Se le dicessi che è un sofista, che mi direbbe? (Ilarità).

GIANNINI. Questo è un partito agnostico; non ci compromettere! (Si ride).

CONTI Relatore. Bisogna buttare a mare l’agnosticismo: lo dico a tutti. Mi auguro che la destra sia la destra repubblicana conservatrice e che la sinistra sia la sinistra repubblicana progressiva come vuole il «migliore», il nostro Togliatti. Bisogna che vi decidiate: la Repubblica non può essere più insidiata dai nemici del passato. Bisogna essere franchi. O mangiatevela viva, se vi riesce, o accettatela e servitela con convinzione, perché la Repubblica rappresenta anche per voi – per voi prima di tutti – la libertà. Mai l’Italia è vissuta come in questo momento nella più assoluta libertà, e nella tranquillità. Sicuro: non potete negarlo. Le lotte sociali si svolgono in ogni parte, movimenti si hanno dappertutto, ma tutto avviene nella massima libertà e con il presidio di tutti i diritti dei cittadini.

Dicevo, dunque, che, della parte del progetto che riguarda il Presidente, non mi occupo. Richiamo solo un pensiero dell’onorevole Nitti a questo proposito. L’onorevole Nitti ha detto che noi pensiamo alla fastosità e ad altri accessori della funzione presidenziale. Dico anch’io che noi dobbiamo mirare ad una grande semplicità nell’organizzazione anche dei supremi poteri dello Stato, ma aggiungo che noi dobbiamo anche provvedere a circondare di grande prestigio colui che è chiamato a rappresentare l’unità del Paese, a rappresentare l’Italia di fronte all’estero. L’onorevole Nitti diceva: «si parla di Quirinale» come residenza del Presidente. Sì. Bisogna andare al Quirinale; il Presidente della Repubblica deve risiedere al Quirinale; il Presidente della Repubblica deve essere oggetto dell’omaggio di tutti gli italiani, se è un galantuomo.

Oggi abbiamo la fortuna di avere alla Presidenza l’uomo che abbiamo; di avere impersonata in un uomo la quintessenza della sapienza, della serenità, della lealtà e della decisione a servire il Paese. Speriamo che nell’avvenire il problema sia sempre risoluto nello stesso modo. Io non so se ci riusciremo sempre, se avremo sempre un Presidente della statura di Enrico de Nicola. Ma certo, in avvenire, il problema non sarà di difficile soluzione, anche se non avremo uomini perfetti.

Si è discusso tanto, onorevoli colleghi, di Repubblica presidenziale, di Repubblica direttoriale. No! io sono convinto che per l’Italia il sistema migliore è quello che è stato predisposto dal testo costituzionale. Io credo che noi faremo bene ad approvarlo. Non credo che per il Titolo che riguarda il Capo dello Stato debbano farsi modificazioni; io non ne farei nessuna. Abbiamo tanto meditato intorno a questo problema. Ricordo le discussioni che feci con l’amico onorevole Perassi, cinque, sei, sette anni or sono. Ci siamo convinti da allora che il sistema presidenziale per l’Italia non è assolutamente accettabile. Siamo favorevoli al sistema che in Francia non diede cattivi risultati. In fondo si tratta di un potere che, in certi momenti e per certe funzioni, si afferma come e quanto è necessario, ma di un potere che per tutto il resto è au dessus de la mêlée, è fuori della mischia ed è di natura arbitrale al di sopra di tutto e di tutti.

GIANNINI. Allora, il Capo dello Stato non deve essere eletto dal popolo?

CONTI, Relatore. L’elezione popolare può turbare in Italia l’andamento della vita politica, perché il popolo italiano non è portato, per suo temperamento, a decisioni che richiedono una certa valutazione diretta, specifica di elementi, che possono sfuggire alla collettività.

Voi discutete tanto sulla elezione dei deputati; dite: rappresentanza proporzionale, perché il popolo non può giudicare i singoli candidati; dite: sistema uninominale, perché v’è forse possibilità di giudizio intorno a un uomo, solo perché lo consentirebbe la limitata estensione del collegio elettorale; come potrebbe raggiungersi una seria valutazione e un giusto giudizio mettendo in discussione un uomo fra 45 milioni di italiani?

Contentiamoci della elezione di secondo grado. Restando fermi al sistema previsto dal progetto di Costituzione credo che provvederemo bene per l’avvenire del nostro Paese.

GIANNINI. Spero ci permetterete di parlare contro questa tesi.

CONTI Relatore. Naturalmente e si potrà discutere di allargare il collegio degli elettori, oltre alla Camera ed al Senato; si potrà pensare all’intervento di altri corpi legislativi ed amministrativi, come i Consigli regionali ed i Consigli comunali, ma queste sono questioni di non grande importanza.

Ora finisco. Non vi parlerò del Senato: se ne è tanto parlato. Vi dico che sono convinto della necessità della seconda Camera. Una sola Camera può trasformarsi in una oligarchia. E noi vogliamo democrazia: e democrazia è molteplicità di consigli e di assemblee. La libertà, diceva Cattaneo, è pianta di molte radici.

Nel complesso, onorevoli colleghi, questo testo costituzionale può andare. Non ci mettiamo in testa grandi cose, cose straordinarie. Facciamo il nostro dovere con coscienza. Se correggeremo la prima parte del testo della Costituzione, se riusciremo a persuaderci che un preambolo potrà renderla più agile, più arieggiata, più luminosa, se riusciamo a persuaderci che con questo provvedimento il testo definitivo potrà essere reso migliore, credo che l’Assemblea provvederà magnificamente al proprio compito.

Si dirà dalla gente che i deputati sono stati negligenti, che questa Costituzione è stata fatta a pezzi e bocconi. Sarà doloroso udire critiche severe o non giuste, ma se il Paese si troverà di fronte ad un testo costituzionale armonico, positivo, liberato da piccoli errori e deficienze, che nella fretta o per passione di parte sono stati inseriti, noi avremo fatto opera buona e opera utile al nostro Paese. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore onorevole Tosato.

TOSATO, Relatore. Onorevoli colleghi, l’onorevole Conti vi ha già detto, ed anche troppo benevolmente – e gliene sono molto grato – di cosa mi occuperò. Vi parlerò in qualità di Relatore sui Titoli secondo e terzo della Parte seconda del progetto di Costituzione: vale a dire di quella parte della Costituzione che si riferisce al Presidente della Repubblica ed al Governo.

Molte osservazioni sono state fatte alle norme del progetto relative a questi gravi e difficili argomenti. Mi permetterò di non occuparmi dei rilievi di carattere particolare, perché ritengo che su questi problemi sia particolarmente importante, e sia un’esigenza essenziale, che noi non perdiamo di vista l’unità del sistema e le linee principali dell’edificio che intendiamo costruire.

Questa seconda parte della Costituzione ha una funzione, come tutti voi sapete, essenzialmente strumentale: si tratta di apprestare gli strumenti destinati ad attuare e a salvaguardare quei principî che tanto solennemente sono stati affermati nella prima parte della Costituzione, già approvata. Ora è evidente l’assoluta necessità che i vari momenti ed elementi che compongono lo strumento complesso destinato a questa funzione siano perfettamente aggiustati fra loro: è necessario che si incontrino e non si scontrino. È per questo che ritengo essenziale che siano ben presenti all’Assemblea il tipo di edificio e le ragioni delle singole parti, così come sono costruite, per poter dare un giudizio finale e deliberare su questa parte del progetto, che è come il cuore di tutta la Costituzione.

Affrontiamo subito l’argomento relativo al Presidente della Repubblica. Durante la discussione generale in Assemblea si sono manifestate a questo proposito due tendenze, se non assolutamente opposte, certo notevolmente contrastanti. Da una parte si è detto: in sostanza la figura del Presidente della Repubblica, quale emerge dal testo del progetto, è una figura scialba, evanescente, inconsistente; voi ci date con questo progetto un Capo dello Stato privo di mordente e privo di forza, senza poteri effettivi; un Capo di Stato che sta al vertice dell’edificio, ma che è privo di poteri effettivi e che non avrà un peso sostanziale nella direzione politica e nel Governo della Nazione. È necessario – si è detto – un Presidente che rappresenti veramente qualcosa nell’organizzazione costituzionale dello Stato; un Presidente che, almeno nei momenti decisivi della vita della Nazione, possa far sentire la sua voce; i poteri che voi gli avete dati sono troppo scarsi; ma indipendentemente dai poteri – ed è questo, se non erro, l’argomento fondamentale – anche ammesso che i poteri siano sufficienti (e mi pare che qualcuno si sia anche dichiarato pronto a diminuirli), ciò che è assolutamente e strettamente indispensabile è che il Presidente della Repubblica sia posto effettivamente nella condizione di esercitarli. Ora – si soggiunge – siccome avete stabilito che il Presidente venga eletto dalle Camere riunite in Assemblea Nazionale, voi venite in tal modo a dar vita a una figura di Presidente che è originariamente debole, che non può rappresentare alcuna parte effettiva nella vita dello Stato. Perché il Presidente, si dice, possa effettivamente valere e far sentire la sua parola decisiva nella vita politica dello Stato, occorre abbandonare il sistema dell’elezione indiretta e passare all’elezione diretta da parte del popolo.

Così una delle due correnti che si sono manifestate nell’Assemblea.

Contro di essa si è manifestata un’altra corrente, la quale, in definitiva, ci rimprovera di aver sbozzato un Presidente troppo forte. Troppi poteri avete dato al Presidente si dice. E l’attenzione degli onorevoli colleghi è stata richiamata soprattutto sui poteri di nomina dei Ministri e di scioglimento delle Camere legislative; non solo, ma anche sul potere di deferire al popolo la decisione su eventuali contrasti frale due Camere. Da parte dei rappresentanti di questa tendenza, si osserva: una repubblica parlamentare non consente assolutamente un Presidente forte; nella repubblica parlamentare il Presidente neve essere necessariamente debole. In sostanza, si afferma, accontentiamoci di un Presidente decorativo, di un personaggio che abbia un significato puramente simbolico, di un Capo dello Stato che non sia, secondo una recente frase di Herriot più che «Le Président de la figuration nationale». E a questo scopo, è evidente, occorre che il Presidente sia eletto dalla Camera, per esserne prigioniero.

Ora, di fronte a queste due correnti bisogna che ci parliamo con molta franchezza. Fra chi vuole un Presidente forte e chi vuole un Presidente debole, a mio avviso è necessario anzitutto che noi ci intendiamo sul significato da dare alle parole «Presidente forte». Che cosa intendiamo per «Presidente forte»? Forse un Capo dello Stato che sia anche Capo del Governo? Che possa essere fonte autonoma di decisioni politiche in determinati settori ed in determinati momenti della vita della Nazione? S’intende, in altre parole, un Presidente di tipo americano? In questo caso sì, evidentemente, il Presidente deve essere eletto direttamente dal popolo, perché solo l’elezione diretta consente un Presidente di questo tipo; ma in questo caso bisogna anche accettare tutte le conseguenze, e cioè arrivare ad una forma di Governo presidenziale.

Nella Commissione dei Settantacinque, e in particolar modo nella seconda Sottocommissione, si è discusso, ad un certo momento, di tale questione, si è esaminata cioè l’opportunità o meno di adottare la forma di Governo presidenziale invece che quella parlamentare.

Ricordo però che in seno alla seconda Sottocommissione la quasi totalità dei Commissari si pronunciò decisamente per la forma di Governo parlamentare. Soltanto, mi pare, l’onorevole Calamandrei manifestò un avviso contrario, ed il sottoscritto a questo proposito manifestò la sua grande perplessità.

Quali sono, in sostanza, le ragioni in base alle quali la Commissione non ha ritenuto di adottare la forma di Governo presidenziale? Qui si è parlato di pericolo di cesarismo. Non credo che questa sia una ragione molto sostanziosa, perché i pericoli di cesarismo ci sono sia con la forma di Governo presidenziale che con quella di Governo parlamentare. La ragione fondamentale è, a mio avviso, che il Governo presidenziale per sua natura esige che nella vita dello Stato si affermino soltanto due partiti, in modo che il Presidente, che non è soltanto Capo dello Stato ma anche Capo del Governo, completamente indipendente dalle Camere, abbia però la certezza di essere d’accordo col partito dominante nelle Camere. Ciò è necessario per l’attuazione, in sede legislativa, della politica del Presidente.

Esistono in Italia le condizioni per creare una forma di Governo presidenziale? Se teniamo presente il fatto della notevole molteplicità dei partiti, vediamo che creeremmo a priori una figura di Presidente che sarebbe rappresentativa non di una grande corrente politica ma semplicemente di un compromesso fra alcuni partiti, un Presidente poi che sistematicamente non potrebbe mai poggiare su una maggioranza sicura presso le Camere legislative in modo da poter realizzare una certa uniformità di indirizzo fra il potere legislativo ed il potere esecutivo, ed in modo soprattutto che la politica del Capo dello Stato possa trovare applicazione in seno alle Assemblee legislative. Questa, se non erro, è la ragione fondamentale per cui in Italia non sembra attuabile la forma di Governo presidenziale.

Qualcuno mi dirà: ma, in fondo, anche per la forma di Governo parlamentare la condizione ideale è l’esistenza di pochi partiti. Esatto. Però nel Governo presidenziale la molteplicità dei partiti, e quindi possibilità di contrasto fra il Capo dello Stato e le diverse maggioranze esistenti nelle Camere, diventa ancora più grave, perché una delle caratteristiche di questo Governo presidenziale è che il Capo dello Stato duri in carica per un tempo determinato. Ora, questo fatto può determinare conflitti molto gravi, conflitti che non sorgono, normalmente, negli Stati Uniti di America, ma che possono sorgere, data soprattutto la diversa mentalità, in Italia.

Queste sono le ragioni, a mio avviso, fondamentali che hanno indotto la Commissione a scartare la forma presidenziale e ad adottare invece la forma di Governo parlamentare.

Ed allora, dato che questa forma di Governo parlamentare risponde al voto quasi unanime della Commissione dei settantacinque, dato che, se non erro, non si è manifestata in Assemblea, nella discussione generale, nessuna voce precisa che abbia perorato una forma di Governo diversa da quella parlamentare, mi domando: che cosa si può intendere, in un Governo parlamentare, per «Presidente forte»? Non si può intendere evidentemente che questo: un Presidente che, pur non avendo un peso autonomo nella vita dello Stato, rappresenti però (come direbbe l’onorevole Ruini) uno dei piloni fondamentali della struttura costituzionale dello Stato, vale a dire un elemento il quale concorra con le Camere alla formazione delle leggi e alle decisioni politiche più gravi. Si avrebbe così, da un lato il Capo dello Stato, dall’altro le Assemblee legislative, e in mezzo il Governo con funzione essenziale di tramite fra il Capo dello Stato e le Camere.

Ora, questa è una concezione del Governo parlamentare. Indubbiamente una concezione del Governo parlamentare che corrisponde alle prime attuazioni storiche del Governo parlamentare negli Stati monarchici, e che è stata accolta anche nel 1919 in Germania, nella Costituzione di Weimar. Ed è evidente che se si vuol dare, nel Governo parlamentare, al Presidente una funzione sostanziale, ne consegue che il Capo dello Stato non può avere un’origine puramente parlamentare. Da questa difficoltà non si esce.

Di fronte a questa concezione, legata a determinate situazioni storiche e politiche, si afferma l’altra che si è manifestata in questa Assemblea, concezione che considera il Governo parlamentare come un Governo nel quale si afferma e si deve attuare esclusivamente la volontà delle Camere e in cui il Capo dello Stato non ha che una funzione del tutto secondaria. Il che esclude l’elezione diretta.

Ora, di fronte a queste due concezioni, a quale concezione si è ispirato il testo del progetto?

Non si è ispirato alla prima concezione e non si è ispirato nemmeno alla seconda. Non si è ispirato alla prima concezione, perché si ritiene che in una forma di Governo repubblicano, con un Capo dello Stato rappresentativo, l’attribuzione di un potere effettivo al Capo dello Stato, eletto a questo scopo dal popolo, darebbe luogo a continui conflitti fra il Presidente e le Camere e metterebbe praticamente il Governo nella impossibilità di governare.

D’altra parte, noi non abbiamo nemmeno seguito l’altra concezione, la concezione prettamente parlamentare, che in verità più che definirsi un Governo parlamentare dovrebbe definirsi come Governo di Assemblea, quella concezione in base alla quale i Ministri rappresentano – tutto sommato – il comitato esecutivo dell’Assemblea legislativa e in cui il Capo dello Stato ha una funzione puramente dichiarativa e rappresentativa, senza alcuna possibilità di intervenire menomamente nelle cose dello Stato.

Noi abbiamo seguito un’altra concezione del Governo parlamentare, che, in Italia, sembra l’unica possibile. Io non ritengo che, specialmente in Italia, sia possibile istituire né la prima né la seconda forma di Governo parlamentare. Nella forma di Governo parlamentare, il Capo dello Stato ha, indubbiamente, una sua funzione: questa funzione non è soltanto rappresentativa, né importa la possibilità di partecipare effettivamente ad atti di Governo dello Stato, facendo sentire direttamente, ma decisamente, la sua voce. Ha, tuttavia, una funzione essenziale, quella di essere il grande regolatore del gioco costituzionale, di avere questa funzione neutra, di assicurare che tutti gli organi costituzionali dello Stato e, in particolare, il Governo e le Camere, funzionino secondo il piano costituzionale.

Non è una funzione irrilevante, ma essenziale, che corrisponde a tutta la struttura vera e propria del Governo parlamentare.

In fondo, il Governo parlamentare si costruisce in questo modo: alla base sta il popolo, dal popolo derivano direttamente i corpi rappresentativi e, mediatamente, deriva il Governo. L’una e l’altra Camera e il Governo rappresentano ugualmente il popolo. Possono sorgere conflitti fra il Governo e le Camere, fra le Camere e il popolo, fra il Governo e il popolo: chi mantiene il regolare funzionamento di questo sistema in uniformità alla volontà popolare? Ecco la funzione essenziale del Capo dello Stato.

Ora, nel nostro progetto abbiamo cercato di dare alla figura del Capo dello Stato un ordinamento che sia corrispondente a questa sua funzione e, per questo, non si è ritenuto opportuno che il Capo dello Stato sia eletto direttamente dal popolo.

Non si può prescindere, a mio avviso, da questa considerazione: in regime repubblicano, con un Presidente elettivo, eletto cioè direttamente dal popolo col voto di milioni e milioni di cittadini, questo Presidente non si limiterà ad essere un organo che tuteli l’ordinato e corretto funzionamento degli organi costituzionali secondo la Costituzione, ma vorrà intervenire effettivamente e decisamente – la natura stessa delle cose lo porta – nella vita dello Stato, far sentire la sua voce, far valere e imporre la sua volontà. Per questo non è stata accolta la tesi di far eleggere il Presidente direttamente dal popolo.

D’altra parte, anche la soluzione accolta nel progetto, debbo confessarlo, presenta pure degli inconvenienti. Presenta degli inconvenienti nel senso che vi spiegherò. Secondo il progetto, il Presidente della Repubblica sarà eletto da un collegio speciale, costituito dalle due Camere riunite in Assemblea Nazionale, con la partecipazione di due rappresentanti per ogni Regione.

Noi siamo partiti – compilando tale norma – da questo punto di vista, che un Presidente eletto direttamente dal popolo è pericoloso per le ragioni che ho dette, ma che, d’altra parte, un Presidente eletto esclusivamente dalle Camere sarà inesorabilmente dipendente dalle Camere stesse e quindi incapace di rendere i servigi che deve rendere, di adempiere cioè a quella sua essenziale funzione di supremo equilibratore.

Abbiamo così formato un collegio speciale, costituendo un corpo elettorale allargato, rispetto alle due Camere. La prima nostra idea sarebbe stata anzi di allargare ulteriormente questo collegio, includendovi delle categorie qualificate; ma la Commissione non ha creduto di accettare questo criterio di ulteriore allargamento.

D’altra parte, sempre per rafforzare i poteri e il prestigio del Presidente, noi abbiamo stabilito che la sua durata in carica sia di sette anni, sia cioè superiore a quella delle Assemblee.

Ma, soprattutto, noi abbiamo preso una altra disposizione: e cioè che il Presidente è eletto bensì dall’Assemblea Nazionale, ma si esige, in seno ad essa, la maggioranza dei due terzi. Ci è sembrato che questo requisito della maggioranza di due terzi possa dare veramente la garanzia che venga eletto un Presidente il quale risponda ai requisiti essenziali, il quale abbia cioè la capacità di esercitare quella funzione neutra, imparziale, che occorre abbia il Presidente della Repubblica.

Siamo riusciti in questo intento? Evidentemente no. No, perché non basta stabilire che il Presidente sia eletto a maggioranza qualificata di due terzi. Infatti, se al primo scrutinio non si ottengono i due terzi, si procede a un secondo scrutinio; se poi anche a questo scrutinio non si ottenesse la maggioranza di due terzi, si procederà a un terzo scrutinio: e, se anche a questo terzo scrutinio la maggioranza di due terzi non si dovesse ottenere, è prescritto allora che ci si dovrà rimettere al volere della maggioranza assoluta.

Ora, a mio avviso questo rappresenta effettivamente un grave inconveniente, rappresenta una grave lacuna del progetto. Noi ci siamo preoccupati di non avere un Presidente che rappresenti esclusivamente la maggioranza, perché, in questo caso, noi avremmo evidentemente un Presidente il quale non potrebbe svolgere la sua funzione in quanto sarebbe completamente collegato alla maggioranza che lo ha eletto e da essa dipendente.

Ebbene, onorevoli colleghi, che cosa si può escogitare per risolvere questo problema? Mi permetto di presentarvi non dico un suggerimento, ma un’idea che mi è venuta: io penso che, nell’ipotesi in cui il candidato alla Presidenza della Repubblica, dopo il terzo scrutinio non abbia raccolto i 2/3 previsti dal primo comma dell’articolo 79 del progetto, in questo caso – e in questo caso soltanto – si debba ricorrere all’elezione diretta. Perché in questa ipotesi? Perché io ritengo che in questo caso, la ipotesi e la possibilità di un’elezione diretta del Presidente da parte del popolo, nel caso che non si ottengano i due terzi, indurrà anzitutto le Camere ad ottenere più facilmente la maggioranza richiesta dei due terzi. Ritengo poi che si introduca in tal modo un elemento di «souplesse» nella Costituzione, che è sempre bene abbia una certa fluidità, una certa possibilità di adattamento a situazioni nuove che possono formarsi.

D’altra parte, qui si tratta di fare una scelta: è necessario un Capo dello Stato che svolga determinate funzioni e non sia un Capo dello Stato puramente simbolico, un Capo dello Stato, e non un capo del Parlamento. Orbene, si domanda: nel caso che il Presidente non raccolga il largo suffragio dei due terzi dell’Assemblea Nazionale, e quindi, almeno in parte, non ottenga anche il voto della minoranza, in tal caso è preferibile un Presidente di maggioranza dell’Assemblea nazionale o un Presidente di maggioranza del popolo?

Una voce a destra. Del popolo.

TOSATO, Relatore. Questo è il problema che voi dovete decidere.

E passiamo all’ordinamento del Governo. Il progetto, secondo il voto quasi unanime della Commissione dei Settantacinque, accoglie e regola la forma di Governo parlamentare. Tuttavia, debbo pur ricordare che, se la Commissione dei Settantacinque ha adottato unanimemente, si può dire, la forma di Governo parlamentane, non l’ha adottata proprio con entusiasmo; anzi, si è resa ben conto dei gravi, dei gravissimi inconvenienti che la forma di Governo parlamentare presenta in Italia. Se ha scelto la forma di Governo parlamentare, l’ha scelta quindi come il male minore. Difatti la Commissione, quando ha deciso di informare il Governo dello Stato al tipo parlamentare, ha approvato un ordine del giorno dell’onorevole Perassi, secondo il quale si adottava bensì la forma di Governo parlamentare, purché tuttavia si trovassero degli accorgimenti tali da poter ovviare almeno ai più gravi inconvenienti che tale forma di Governo presenta in Italia.

Ora, quali sono gli strumenti, gli accorgimenti, i dispositivi proposti, per ovviare appunto ai più gravi inconvenienti della forma di Governo parlamentare? Anzitutto, si è cercato di dare una struttura precisa al Governo.

L’onorevole Gullo, ieri, ha manifestato delle grandi perplessità e dei gravi dubbi per quanto riguarda i rapporti fra il Primo Ministro, Presidente del Consiglio e i Ministri; e si è domandato: «Ma, in fondo, da questo progetto non si capisce bene se abbiamo una forma di Governo del Primo Ministro, sia pure con la collaborazione dei Ministri, oppure una forma di Governo di Gabinetto, in cui chi governa non è propriamente il Primo Ministro, ma il collegio dei Ministri». Ora, se noi leggiamo attentamente il progetto, vediamo che da esso risulta consacrata, senza possibilità di dubbi, la forma di Governo parlamentare secondo il tipo di Gabinetto, cioè di Governo collegiale. Tuttavia il progetto non ha adottato una forma di Governo di Gabinetto puro e semplice, perché, pur stabilendo che il Governo è costituito da più Ministri, i quali deliberano in collegio, ha tuttavia cercato di assicurare al Capo di questo collegio, Primo Ministro, Presidente del Consiglio, una posizione che sia corrispondente alla sua funzione, con i mezzi e i poteri necessari al fine di assicurare l’esecuzione della volontà del Gabinetto e di mantenere l’unità di indirizzo politico dai vari ministeri.

Quindi, non mi pare che vi possano essere dei dubbi relativamente a questa parte del progetto, sull’ordinamento e la struttura interna del Gabinetto. Infatti, l’articolo 74 dice precisamente: «Il Governo è costituito dal Primo Ministro Presidente del Consiglio e dai Ministri».

Dunque, il Governo è costituito ugualmente dal primo Ministro e dai Ministri.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

TOSATO, Relatore. E l’articolo 89 reca: «Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile».

S’intende, però, dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile in quanto i principî e le linee fondamentali di questa politica siano già deliberati anzitutto dal Consiglio dei Ministri.

E infatti si dice: «I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri».

Ora, i Ministri non sarebbero responsabili collegialmente se la politica generale del Governo non fosse deliberata dal Consiglio dei Ministri.

Quale potere speciale si attribuisce al Capo del Governo? Quello di poter fare eseguire la politica deliberata dal Governo e mantenere l’unità di indirizzo della politica deliberata dal Consiglio dei Ministri stesso.

Il progetto, in secondo luogo, ha cercato di regolare i voti di fiducia. A questo proposito si è stabilito che le mozioni di sfiducia non possono essere discusse se non dopo un certo termine dalla loro presentazione; e si è anche stabilito che il voto di sfiducia deve raggiungere una certa maggioranza.

Ma queste sono disposizioni di carattere particolare, che non toccano ancora la linea essenziale del progetto.

L’elemento nuovo del progetto è quello riguardante l’intervento dell’Assemblea Nazionale. Su questo punto bisognerà spiegarsi.

Questa Assemblea Nazionale è stata considerata – mi pare – dalla quasi totalità degli oratori che si sono susseguiti nella discussione generale, con un certo sospetto, con una certa diffidenza.

Qualcuno ha detto che è una mostruosità; qualche altro ha detto che è un elemento tale da trasformare radicalmente il volto della Costituzione che noi stiamo deliberando, perché porterà inevitabilmente ad un Governo totalitario e dittatoriale. L’onorevole Orlando, precisamente, mi pare abbia sostenuto questa tesi.

Qualche altro ha detto che l’Assemblea Nazionale comunque, anche se limitata come vedremo, porterà conseguenze che potranno essere gravissime.

L’onorevole Nitti, nel suo discorso – come sempre molto interessante – ha notato che questo progetto di Costituzione presenta, fra gli altri difetti, quello di essere sovrabbondante, esuberante, di avere istituiti troppi organi. Ma come – ha osservato – voi avete istituito una Camera dei Deputati, avete istituito un Senato, volete istituire anche una terza Camera, l’Assemblea Nazionale, oltre a tutti gli altri corpi – i cosiddetti «camerini» – che volete istituire accanto ai corpi principali!

Ora, è esatto, l’Assemblea Nazionale appare, secondo il progetto, come una terza Camera. È un organo distinto, senza dubbio, che non si confonde né con la Camera dei Deputati né col Senato.

Questo, però, dal punto di vista formale; perché, dal punto di vista sostanziale, questa Assemblea Nazionale è formata dai membri della Camera dei Deputati e dai membri del Senato. Sono i membri della Camera dei Deputati e del Senato che si riuniscono in questa Assemblea.

È vero, è una terza Assemblea, perché nell’Assemblea Nazionale non è la volontà della Camera dei Deputati più la volontà della Camera del Senato che si incrociano; è la volontà di un organo nuovo che non si confonde né con la Camera dei Deputati né col Senato.

NITTI. Che non è niente!

TOSATO, Relatore. Badate bene che, secondo il progetto, l’Assemblea Nazionale non rappresenta nemmeno una fusione delle due Camere, benché essa riunisca i membri delle due Camere. Quindi, la riunione dei due rami del Parlamento nell’Assemblea Nazionale non porterebbe mai all’impossibilità, da parte del Presidente della Repubblica, di uno scioglimento delle Camere, perché le Camere sono riunite in Assemblea Nazionale.

Questo avverrebbe se si trattasse di fusione. La questione non è irrilevante. In Francia si è discusso se il Presidente potesse sciogliere le Camere quando sono riunite in Assemblea Nazionale e la dottrina francese ritiene che pur essendo questa una terza Assemblea il Presidente conserva il potere di scioglierla. Ciò appunto perché l’Assemblea Nazionale non sorge dalla fusione delle due Camere.

Ma quello che voglio sottolineare è che questa terza Assemblea, in definitiva, non deve spaventare sotto l’aspetto della sovrabbondanza perché, se formalmente è una Assemblea a sé stante, sostanzialmente essa non risulta che dalla riunione dei deputati e dei senatori.

Osservazione molto grave è stata quella fatta dall’onorevole Orlando ed alla quale, in parte, si è associato l’onorevole Fuschini. A questa Assemblea Nazionale – si dice – voi attribuite troppi poteri. Se voi considerate i singoli poteri attribuiti all’Assemblea Nazionale, voi vi accorgerete che, in definitiva, l’Assemblea Nazionale rappresenta la chiave di volta di tutto il sistema costituzionale.

Ora, francamente, io non posso concordare in questa osservazione. Consideriamo pure tutti questi poteri dell’Assemblea Nazionale. L’Assemblea Nazionale elegge il Presidente della Repubblica con il concorso dei rappresentanti delle Regioni, fa alcuni atti di nomina dei membri della Corte costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura, delibera la guerra e la mobilitazione generale, delibera l’amnistia e l’indulto, accorda o nega in determinate condizioni la fiducia al Governo. Ora, prescindiamo un momento dalla questione della fiducia al Governo e consideriamo le prime attribuzioni delle quali, del resto, si può discutere. Anche se qualcuna di esse venisse sottratta all’Assemblea Nazionale, essa conserverebbe la sua struttura e la sua fisionomia. Ritenete che con queste sue attribuzioni si ponga come organo sovrano? Lo nego nel modo più reciso perché queste attribuzioni dell’Assemblea Nazionale sono attribuzioni tassativamente indicate. Non si dica: ma l’Assemblea Nazionale potrà abusare sempre di queste attribuzioni. Perché allora non può abusare delle sue attribuzioni la Camera dei Deputati o non può abusare il Senato, o non può abusare il Governo o il Capo dello Stato? Queste mi sembrano veramente obiezioni inconsistenti.

Ma, soprattutto, non è una Assemblea sovrana per la considerazione che questa Assemblea non esercita mai, per nessuna ragione, il potere legislativo e su questo punto, richiamo in modo particolare la vostra attenzione. Sia in materia legislativa ordinaria sia per la materia costituzionale, in caso di revisione costituzionale, mai interviene l’Assemblea Nazionale: è previsto sempre e soltanto l’intervento delle Assemblee legislative agenti separatamente e indipendentemente l’una dall’altra.

Ora, se questa Assemblea Nazionale non ha mai nessun potere legislativo, né ordinario né costituente, come si può ritenere che essa rappresenti veramente la chiave di volta di tutto il sistema costituzionale, l’organo sovrano che potrà sconvolgerlo completamente?

Non mi pare assolutamente possibile.

Ed allora passo ad esaminare direttamente quello che è veramente il punto centrale della questione. L’Assemblea Nazionale preoccupa soprattutto perché, secondo il progetto, ad essa è conferito il potere di accordare o di negare la fiducia al Governo.

Indubbiamente, l’Assemblea Nazionale, con questa attribuzione rappresenta una profonda innovazione rispetto alla tradizione.

Devo osservare anzitutto, a questo proposito, che il testo del progetto, per verità, si scosta notevolmente da quella che era stata la proposta originaria. La proposta originaria era questa: svincolare completamente il Governo, per le questioni di fiducia, dalle singole Camere separatamente agenti; deferire qualsiasi questione di controllo politico sul Governo e, in particolare, la questione di sfiducia o fiducia al Governo all’Assemblea Nazionale. Questa è stata l’idea originaria. La Commissione dei Settantacinque, pur accogliendo in parte questa idea, non ha ritenuto conveniente adottarla in pieno, ed è perciò che – pur avendo accolto il principio che il Governo, una volta nominato dal Presidente della Repubblica, debba presentarsi non alle singole Camere separate ma all’Assemblea nazionale – ha accolto d’altra parte il principio che le singole Camere possano esprimere, sia pure a determinate condizioni, la sfiducia al Governo, salva la possibilità al Governo di ricorrere quasi in appello all’Assemblea Nazionale. Se posso esprimere un parere personale, dico che con questa modificazione, il sistema proposto viene a perdere in gran parte i vantaggi che esso poteva e può offrire. Soprattutto per una ragione d’ordine pratico; perché un Governo, che in un certo momento sia stato messo in minoranza da una delle Camere, non ricorrerà mai all’Assemblea nazionale. Quindi, se fosse accolta l’idea dell’Assemblea nazionale e se, d’altra parte, si volesse conservare e restare fermi al punto che le Camere possano esprimere la sfiducia al Governo al quale pertanto la fiducia è stata accordata, secondo me non bisogna lasciare al Governo la facoltà di ricorrere all’Assemblea nazionale; ma se mai concedere questo potere al Presidente della Repubblica quasi a provocare, a costringere il Governo stesso a presentarsi all’Assemblea nazionale, specie quando la situazione politica non è sufficientemente chiarita, e ciò anche nell’interesse del Capo dello Stato perché questi possa avere maggiori elementi a disposizione per la scelta eventuale del nuovo Capo del Governo.

Comunque, a parte questa questione di ordine particolare, la questione si pone nei termini seguenti: è conveniente o non è conveniente questa innovazione del progetto? È conveniente abbandonare il principio tradizionale secondo il quale il Governo è responsabile di fronte alle Camere separatamente, o è più opportuno passare al sistema nuovo di svincolare, per quanto riguarda la questione di fiducia, il Governo dalle Camere, per renderlo responsabile soltanto di fronte alle due Camere riunite in Assemblea Nazionale? Questo è il problema.

Ora, a mio avviso, prima che l’Assemblea possa pronunciarsi su questo punto, sulla convenienza o meno di adottare questa soluzione innovativa, bisogna tener presente quelli che sono i presupposti di questa soluzione e le premesse che lo condizionano. E la premessa fondamentale è questa, che la nuova Costituzione, per quanto riguarda il Parlamento, si ispiri al principio bicamerale. Noi siamo partiti da questa premessa, quella di un Parlamento bicamerale e quindi formato da due Camere differenziate tra loro ed in posizione di parità e di uguaglianza. In regime repubblicano democratico non è possibile, secondo me, ammettere un bicameralismo con una seconda Camera che sia perfettamente uguale alla prima, perché la seconda Camera evidentemente non avrebbe ragion d’essere. Nel sistema bicamerale in regime repubblicano occorre, evidentemente, che la seconda Camera abbia qualche elemento di differenziazione rispetto alla prima. Questo elemento di differenziazione sarà dato dalla rappresentanza d’interessi o dalla rappresentanza delle Regioni o dalla rappresentanza dei Comuni o dalla rappresentanza del popolo preso in una particolare età e quindi in una particolare maturità; quello che volete. Comunque un elemento di differenziazione ci deve essere.

E qui devo ricollegarmi ad una osservazione, sotto certi aspetti acuta, ma che non mi sembra fondata, dell’onorevole Condorelli.

Egli fece questa osservazione: «voi mettete insieme ciò che non è possibile mettere insieme: per poter riunire le due Camere, almeno agli effetti di questa funzione, in Assemblea Nazionale, occorre che esse abbiano omogeneità tra di loro; se partite (come si deve partire secondo noi) dalla esistenza di due Camere differenziate fra di loro, non potete riunirle in unica Assemblea Nazionale, perché non si può riunire l’eterogeneo».

Io sono stato guidato da ragionamento opposto. Cioè: se dovessimo arrivare alla deliberazione di accogliere il Parlamento bicamerale, ma, sia pure per disperazione, si arrivasse ad accogliere un Senato perfettamente identico alla Camera, non vedrei mai la possibilità di riunirli, perché l’unica giustificazione di questa seconda Camera eguale alla prima non potrebbe essere che questa: che l’una e l’altra sono destinate ad agire separatamente. Se voi invece partite, come noi siamo partiti, dalla premessa di un Parlamento bicamerale, ma, tuttavia, riuscite a creare due Camere differenziate, allora si ha non solo l’opportunità ma, direi quasi, la necessità di riunirle, nei momenti difficili dello Stato, appunto perché queste due Camere, costruite in modo differenziato, sono precisamente destinate in certi momenti a confluire in Assemblea di rappresentanza unitaria di tutto il popolo.

E noi siamo partiti anche, evidentemente, dalla esigenza della parità delle due Camere.

Io capisco che non si possa ammettere la parità delle due Camere, quando una seconda Camera non ha base democratica, né diretta, né indiretta; d’accordo. Ma se istituiamo due Camere a base democratica e non le mettiamo in situazione di parità, quale costruzione facciamo?

A questo proposito ricordo di aver letto nei discorsi di Stalin una osservazione veramente acuta. Si discusse anche nella Commissione per la Costituzione sovietica del 1936 circa l’opportunità o meno di adottare il sistema bicamerale e di porre o meno le due Camere (Soviet dell’Unione e Soviet delle nazionalità) in situazione di parità fra di loro. Una corrente sostenne che le due Camere non potevano essere poste in condizioni di parità, ma che doveva essercene una destinata ad avere la prevalenza. Stalin si oppose a questa tendenza, precisamente perché diceva: se voi ponete queste due Camere in posizione di differente forza, non di parità, non diminuite i conflitti, ma li aumentate; ciò che elimina il conflitto fra le due Camere è la posizione di parità e l’uguale base democratica; se date ad una di esse posizione diversa da quella dell’altra, indubbiamente, solo per questo fatto, avrete conflitti continui.

Mi pare che questa sia osservazione molto esatta che cada precisamente nel caso nostro.

Comunque, le premesse da cui siamo partiti nel pensare all’Assemblea nazionale, sono precisamente queste: un Parlamento bicamerale con due Camere differenziate ed in posizione di eguaglianza. Il ragionamento che abbiamo fatto è molto semplice: noi istituiamo un Governo parlamentare, siamo tutti consci dei gravissimi inconvenienti dei Governo parlamentare in Italia, derivanti dalla pluralità dei partiti, dalla necessità dei Governi di coalizione, dalla mancanza di omogeneità e quindi dalla intrinseca, permanente instabilità dei Governi. Ed allora possiamo permetterci il lusso di rendere il Governo responsabile di fronte all’una e all’altra Camera? Cioè, di avere la possibilità di crisi continue di Governo per eventuale disaccordo tra l’una e l’altra Camera?

Mi pare che la soluzione proposta dal progetto, di rendere responsabile il Governo esclusivamente di fronte all’Assemblea Nazionale (si intende, miracolismi non se ne possono attendere) abbia almeno il vantaggio di escludere delle fonti di crisi, che non hanno ragion d’essere, perché, in definitiva, questa Assemblea nazionale rappresenta il corpo unitario ed integrale di tutta la Nazione, nei suoi organi rappresentativi. Questa è stata la ragione fondamentale, ripeto, che ci ha portato all’Assemblea Nazionale.

Non ci siamo illusi minimamente di risolvere in radice il problema della instabilità dei Governi, perché il male è molto più profondo e non si può correggere con dispositivi costituzionali. Non si può correggere forse nemmeno modificando il sistema elettorale. Abbiamo cercato di togliere una fonte inutile di crisi e crediamo che almeno da questo punto di vista tutti debbano convenire che questo vantaggio c’è. Senonché, ci è stato osservato: voi, con questo sistema di rendere responsabile il Governo esclusivamente di fronte all’Assemblea Nazionale, negate quello che volete affermare e uccidete il bicameralismo, proprio quando volete imperniare la Costituzione dello Stato su due Camere indipendenti tra di loro. Ora, veramente a me sembra che questa obiezione non sia molto consistente, perché non riesco a concepire, come esigenza del principio bicamerale, quello che avveniva ed avviene in certi Stati nei quali il Governo è responsabile di fronte alle due Camere indipendentemente e separatamente. Perché il sistema bicamerale – è un’osservazione contrastata dall’onorevole Fabbri – non importa affatto un sistema a tipo collegiale, come il consolato romano. Nel sistema bicamerale le due Camere sono bensì indipendenti e debbono agire quindi separatamente, ma sempre in vista di effetti unici finali. Ora, guardate come funziona il principio bicamerale per quanto riguarda la fiducia al Governo. Si può verificare questa ipotesi: un Governo, approvato da una Camera, e, successivamente, dall’altra Camera, ad un certo momento cade esclusivamente per volontà di una delle due Camere. Domando: è bicameralismo questo? Secondo il sistema bicamerale, per determinare questo effetto, per modificare la situazione preesistente, dovrebbe essere necessario ancora l’accordo fra la prima e la seconda Camera. A me sembra sia così.

Vi è un altro argomento per sostenere che non si lede il sistema bicamerale. Tutti certamente ricordiamo che secondo il vecchio Statuto del regno in certi casi si doveva, dalle Camere, procedere alla nomina del reggente. La dottrina si domandava: in questo caso, la nomina del reggente da parte delle Camere deve avvenire da parte delle due Camere separatamente ed indipendentemente agenti, o da parte delle due Camere riunite? I fautori del sistema bicamerale ritenevano che le due Camere dovessero agire separatamente, ma l’onorevole Orlando manifestò autorevolmente e – a mio avviso – fondatamente, la tesi contraria in base alla considerazione che l’atto di nomina è un atto che, di sua natura, non può e non deve essere compiuto che da un unico organo collegiale.

Ora io domando: l’approvazione, la fiducia al Governo, cosa è? Il Governo è formalmente nominato dal Capo dello Stato, ma soltanto formalmente, perché chi investe realmente il Governo della sua funzione è l’atto di fiducia che è la vera nomina da parte delle Camere. Se si tratta in definitiva di un atto di nomina da parte delle Camere è più conveniente avere due Camere o un’unica Assemblea Nazionale? Anche questo mi sembra sia un argomento il quale dimostra che effettivamente non siamo di fronte ad una esigenza…

FABBRI. Il Governo deve camminare con due gambe. Se resta con una gamba sola, cade.

TOSATO, Relatore. Io dico che questa innovazione non lede, per lo meno, il principio bicamerale.

CONTI, Relatore. Questa è zoologia; non costituzionalismo!

TOSATO, Relatore. Comunque a me pare che la soluzione proposta presenti un indubbio vantaggio, perché si evitano inutili motivi di crisi e con questo sistema non si urta – a mio modesto avviso – contro il principio del bicameralismo.

La soluzione che abbiamo proposta ha poi altri utili aspetti non trascurabili.

Innanzitutto, a me pare che non si possa prescindere dalla considerazione che indubbiamente l’Assemblea Nazionale avrà una maggiore solennità delle singole Camere e che quindi quando si tratterà di questioni di Governo, di fiducia o di sfiducia, gli stessi membri dell’Assemblea Nazionale saranno ricondotti ad un più alto senso di responsabilità. Non solo. L’Assemblea Nazionale, a mio avviso, permetterà un chiarimento più immediato e più diretto della situazione politica, e quindi permetterà anche al Capo dello Stato di prendere direttamente e più fondatamente decisioni politiche in ordine alla formazione del Governo.

Ma, a mio avviso, vi è poi un’altra ragione, alla quale io personalmente darei molta importanza, ed è che attraverso questo sistema dell’Assemblea Nazionale, come organo della fiducia al Governo, noi risolviamo il problema della divisione dei poteri nel Governo parlamentare. Chi ha a cuore la libertà, e il progresso nella libertà, non può non avere a cuore l’attuazione della divisione dei poteri. Il principio della divisione dei poteri non si oppone al principio della sovranità popolare. Si oppone soltanto alla dittatura, al totalitarismo. Orbene: tutti sanno che il Governo parlamentare tende alla confusione dei poteri. Con questo sistema dell’Assemblea Nazionale si arriva a saldare il principio della divisione dei poteri anche nel Governo parlamentare. Perché? Perché per le questioni di Governo sarebbe competente un’Assemblea, completamente distinta e indipendente dalle due Assemblee. Mentre l’attività legislativa verrebbe esercitata dalle due Assemblee separatamente e indipendentemente agenti, invece, per le questioni di Governo, si avrebbe la possibilità di una Assemblea diversa, la quale sarà competente a decidere soltanto di questioni di carattere fondamentale, di suprema direzione politica. Con quale beneficio per il normale svolgimento dell’attività legislativa svincolata così dalle continue pressioni e dalle questioni di vita o di morte dei Governi, con quale beneficio per la stabilità dei Governi stessi, sottratti così al quotidiano assalto alla diligenza, è evidente. Il Governo parlamentare si è tradotto in Italia in un confusionismo di poteri, che è deleterio per fattività legislativa e per l’efficienza dei Governi. Bisogna porvi riparo. Se non si vuole che il potere legislativo sfugga inesorabilmente alle Camere, se non si vuole che il Governo parlamentare si traduca e degeneri in Governo di Assemblea, in un comitato esecutivo delle Camere, con le conseguenze che ne derivano, occorre ristabilire, per quanto è possibile, la divisione dei poteri. E da questo punto di vista, l’innovazione introdotta nel progetto relativa ai nuovi compili dell’Assemblea Nazionale, potrebbe essere un rimedio eccellente.

Ad ogni modo, questi sono i criteri fondamentali che ispirano il progetto e le disposizioni in esso contenute. Io ho cercato di esporvi la materia nel modo più semplice, nel modo più chiaro: vi ho parlato con franchezza, e, credo, anche con obiettività. Personalmente, io ritengo che le soluzioni proposte possano essere prese in attenta considerazione. Prenda ora l’Assemblea Costituente la sua responsabilità. (Vivi applausi – Congratulazioni).

(La seduta, sospesa alle 18.10, è ripresa alle 18.20).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Parlo come relatore dei relatori. Ho detto altra volta che il mio compito è di notaio. Debbo chiarire le tendenze, localizzare i dissensi, esporne le ragioni, da una parte e dall’altra, obbiettivamente. E dirò quando mi avvenga di esprimere una mia opinione personale.

Dopo molte analisi sottili e profonde, si sente il bisogno di semplificare, e di inquadrare insieme tutti i problemi. Sarò un annunciatore di problemi. Cercherò di farli vedere sinteticamente come in un panorama.

Non svolgerò teorie e dottrine. Un solo e rapido accenno, alle posizioni iniziali, per comprendere gli atteggiamenti e le soluzioni che ne discendono nei problemi concreti.

Si presuppone il tipo dello Stato; se ne è discusso in Commissione; si è riconosciuto da tutti; ed anche qui nell’Aula abbiamo sentito, da Clerici a La Rocca, che il nostro deve essere uno Stato parlamentare. Ma cosa è «Stato parlamentare»? Con la consueta finezza – poiché vi sarà il referendum e lo scioglimento delle Camere – Mortati propone di dire «semiparlamentare».

La formula, pur facendo sempre capo al Parlamento si presta ad aver contenuto e figure diverse. Bisogna andare alla sostanza delle cose, e vedere cos’era storicamente il regime parlamentare nel quale abbiamo vissuto, e come è nato in antitesi al regime assoluto, ed anche a quello «costituzionale», dove ancor prevaleva il potere del Re. Per mettervi sotto gli occhi un’immagine drastica – di cui mi varrò come motivo fondamentale del mio discorso – lo Stato parlamentare era un edificio a due piloni. Vi era il pilone della monarchia tradizionale che, per quanto si richiamasse anche alla «volontà della Nazione», si basava sulla grazia divina e sul diritto ereditario. Dall’altra parte avevamo il pilone del Parlamento, che usciva dall’elezione e dalla volontà popolare. Fra i due piloni si lanciava un arco di ponte, che era il Gabinetto ministeriale. Regime parlamentare e regime di gabinetto – come ci insegnò Orlando, il nostro Maestro – coincidevano storicamente, fra loro.

Che cosa è avvenuto? Uno di questi piloni, il regio, è crollato. Quali conseguenze dobbiamo trarne? Che cosa dobbiamo fare? Si pongono così, realisticamente, i problemi.

Vi sono ora due tendenze estremiste, che si sono affermate qui, nella discussione, non tanto in proposte pratiche, quanto in aspirazioni ed idee-limite, che affiorano ogni tanto. La corrente estremista di sinistra trovò qualche espressione, durante la discussione generale del progetto di costituzione, nei discorsi di Nenni e Togliatti, ed in una lucida esposizione di Laconi; è stata ripresa testé, più accentuatamente, in un brillante intervento di La Rocca. Ecco quale è questa concezione.

Badate; è una cosa molto seria, non solo per le forze che ispira e convoglia, ma anche per la sua impostazione di pensiero; che si riallaccia, del resto, ad alcune definizioni della democrazia di Kelsen, e non dispiace a spiriti riflessivi come Salvatorelli. Ma è, nella sua essenza, e nella sua rigorosa consequenzialità, concezione estrema e di punta, a sinistra.

Si presenta nell’aspetto di un sillogismo. Vi è una sovranità unica, e ne è depositario il popolo. Vi è una delegazione unica di sovranità, ed è fatta al Parlamento. Dunque: ogni potere – anche l’esecutivo, lo ha sottolineato La Rocca – s’incentra nel Parlamento; e tutti gli altri organi – nessuno eccettuato – il Capo dello Stato, il Governo, la Magistratura, sono «commessi» – dico la parola meditatamente, perché è stata scritta, commessi revocabili ad un nutum per volontà del Parlamento.

È il modo più spinto e più pieno di concepire lo Stato parlamentare; e non è evidentemente la forma ottocentesca che ne ebbe il nome. I suoi sostenitori idealizzano ed esaltano un tipo di Stato che non è soltanto il più democratico, il vero democratico, perché tutto proviene unitariamente dal popolo; ma – si è scritto – assicura la maggior stabilità al Governo investito dal Parlamento; né – ogni potere risiedendo nel Parlamento – è possibile una dittatura personale.

Tali argomenti han suscitato confutazioni e dinieghi. Si è osservato che se il Parlamento ha illimitatamente tutti i poteri, anche questa è dittatura, sia pure collettiva. Anche questo è totalitarismo. E come parlare di stabilità di governi revocabili ad nutum? E come ignorare che, in clima di dittatura, lo sbocco storico più facile è a quella delle persone? La concezione di sinistra, continua la critica, porta ad un Governo di Assemblea o di Convenzione, demolitore, tumultuoso, instabilissimo; quando non sia – anche ciò avviene – parvenza e maschera, in una plumblea fissità, ad un dittatore velato. Proudhon riassume così: il Governo d’assemblea ha tutti i difetti della dittatura, senza averne il pregio della responsabilità individuale.

Fonte prima dell’attuale concezione di sinistra è Rousseau con la sovranità popolare. Un colosso, Rousseau, nella storia del pensiero e dell’azione, come Marx. I nostri estremisti, per quanto concerne gli istituti politici, rinnegano Marx per Rousseau. E deviano anche da questi, che nega ogni facoltà di delegazione della sovranità ad altri che non sia il popolo; e vogliono un vero trasferimento di sovranità nel Parlamento, con un atto vero di delegazione. Tutti i poteri al Parlamento; non vi siamo ancora arrivati, ha detto La Rocca, ma vogliamo che il Parlamento abbia anche il potere esecutivo. Che è perfettamente un assurdo ed un’impossibilità assoluta, nel Parlamento attuale, come lo era nella «landesgemeinde» cara a Rousseau.

Ed ecco, per contrapposto, all’estrema destra l’altra concezione. Basata sulla tenace nostalgia del pilone, che è caduto. La sua ombra agisce ancora. Si vorrebbe tornare, in definitiva, all’antico edificio, quale era. Posizione impenitentemente conservatrice, il cui spirito aleggia anche nei discorsi di uomini di primissimo ordine, come Orlando e Nitti. Ha detto Nitti, esplicitamente, che la monarchia non risorgerà mai più; ha espressa una fede che è anche la mia (ma è necessaria maggior vigilanza che egli non creda). Questi uomini eminentissimi non chieggono la rinascita della monarchia; ma pensano come se non vedessero che il famoso pilone non c’è più, e che è necessario rifare l’edificio su basi in parte nuove. Bisogna essere cauti, non far salti nel buio, stare nel terreno saldo, utilizzare i materiali esistenti; ma insomma non aver paura di attenersi alle esigenze nuove; non essere conservatori, come lo sono Orlando e Nitti.

È venuto un enfant terrible, un uomo di forte ingegno, un «loico», Condorelli; e – denunziati gli inconvenienti ed i mali dell’odierno momento – ha dichiarato che nessun avvedimento d’altro genere può eliminarli, se non si ristabilisce tale e quale il filone del Re. Potrei osservargli che i mali e gli inconvenienti esistevano (egli stesso in altre parti del suo discorso l’ha detto) quando vi era la monarchia, e che questa non ha evitato quanto è avvenuto. Mi basta dargli atto della sua consequenzialità.

Io prendo netta posizione contro l’uno e l’altro estremismo: ne sono egualmente distante; e dissento da Nenni e Togliatti, come da Orlando e Nitti. Credo di essere sopra una via giusta, di equilibrio e di necessità, che è la via seguita dal progetto di costituzione; e può essa sola servire alla causa della democrazia ed al bene del Paese (Approvazioni).

Che cosa bisogna fare? Ristabilire in altra forma, democraticamente, il pilone crollato; ed allargare le fondamenta della casa, rinsaldandole ed affondandole sempre più nella sovranità popolare. Far capo al Parlamento, che è l’espressione preminente, ma non la sola, della sovranità popolare. Il sovrano non è il Parlamento; è il popolo che ha due emanazioni essenziali della sua sovranità: l’elezione dell’organo parlamentare ed il referendum. Nella nuova costituzione bisogna far posto, così, anche al referendum. E cogliere tutte le altre possibili emanazioni della sovranità popolare, stabilendo l’equilibrio fra gli organi dello Stato nell’orbita inderogabile della sovranità popolare.

Non disturbiamo, a questo riguardo, la venerabile teoria della divisione dei poteri, contro la quale si sono condotte, qui dentro, crociate; ed Ambrosini con la sua mirabile penetrazione, disturbando Aristotile e Montesquieu, ha messo il dito sul punto che, quando un organo ha tutti i poteri, è spinto dalla natura delle cose ad abusarne. La vecchia teoria è in gran parte superata (tant’è che noi non l’abbiamo seguita per la denominazione dei titoli nel nostro progetto); ma quanto bene ha fatto per la libertà e per la creazione dello Stato moderno! Né dobbiamo vergognarci, come d’un relitto democratico, dell’esigenza di equilibrio, di freni e di contrappesi, di cheks and balances che viene pure dalla più bella costituzione del mondo, la americana. Noi vogliamo ricordare e subordinare tutti gli organi dello Stato alla sovranità popolare. Vi sono, oltre il Parlamento, altri organi che emanano, per elezione diretta, o almeno indiretta, dalla volontà popolare; come il Capo dello Stato. Altri ancora non provengono da elezione, ma da concorsi; tipica è la magistratura; e deve essere autonoma; ma esercita anch’essa il suo potere in nome del popolo; e non può sottrarsi alla sua sovranità, racchiudendosi come in un mandarinato (ecco perché nel nostro progetto mettiamo nel Consiglio superiore della magistratura la rappresentanza del Parlamento).

Anche il Governo, che non può vivere senza la fiducia del Parlamento, deve avere – lo ha ammesso Gullo – una sua autonomia; l’amministrazione è la struttura e la continuità dello Stato; e non può essere sconvolta e revocata capricciosamente, ad nutum, né dal Governo né dal Parlamento. Il popolo è la forza che avvolge e muove tutto lo Stato; il solo organo originario, anche se non configurato e fissato formalmente come gli altri che ne derivano; è il popolo che deve sempre avere la prima e l’ultima parola. Noi siamo già entrati in una fase dello Stato che si potrebbe chiamare «popolare», più ancora che «parlamentare».

Nella gerarchia degli organi, subordinati tutti al popolo, prevale necessariamente il Parlamento, che è di immediata designazione del popolo, ha la funzione legislativa; ma non vogliamo abbandonarci alla ossessione allucinata ed unilaterale di una sovranità ed onnipotenza del Parlamento; né condannare tutti gli altri organi come ritardatari. Esistono esigenze di riflessione e di meditazione. Una frase della mia relazione è citata e ripetuta: «bisogna in certi casi pensarci su». L’edificio costituzionale deve essere armonico ed equilibrato; il Parlamento ne è il centro; ma non il Solo ed il Tutto. I colleghi d’estrema, che inclinano ad un Governo d’Assemblea, che possa con un colpo di testa modificare tutto, pensino al pericolo del boomerang; la loro teoria potrebbe essere attuata contro di loro e contro la democrazia. Le conquiste democratiche e sociali bisogna guadagnarle e consolidarle pezzo per pezzo nel tessuto dello Stato, che va penetrato e ravvivato dal sano spirito della democrazia e del lavoro, e va difeso con trincee efficaci contro le demolizioni e le sovversioni anti-democratiche e reazionarie. Questa è la visione che deve ispirare la nostra Costituzione.

Entriamo ora nel concreto e nel particolare dei problemi da risolvere.

I più importanti sono tre; composizione del Senato, elezione del Capo dello Stato, posizione del Primo Ministro nel Governo. Li tratterò nell’ordine logico ed al loro posto in connessione agli altri argomenti.

Le correnti e gli atteggiamenti generali che abbiamo visto si riflettono nella questione se vi devono essere due Camere od una Camera sola. Gli estremisti di sinistra, che partono dalla unicità della delegazione di sovranità popolare ad un solo organo debbono essere, nella loro logica, monocameralisti; aspirazione che si è sentita in più d’un intervento. Ma non si è formulata in alcuna proposta d’emendamento. Vi sono, in realtà, varie gradazioni: 1°) monocameralismo, in senso assoluto; 2°) vi sia pure una seconda Camera, ma soltanto con funzioni consultive (si noti che, se è contenuta in questi caratteri, alcuni comunisti e socialisti han dichiarato che accetterebbero, per la seconda Camera, il sistema della rappresentanza organica); 3°) si può ammettere una seconda Camera, vera e propria, purché sempre a base elettiva, ma con minori funzioni o con prevalenza, in certi casi ed in certe materie, della prima. L’esigenza limitatrice è stata formulata da La Rocca, nei termini che anche la seconda Camera deve provenire dalla volontà popolare; ed i suoi modi di formazione non debbono alterare i risultati che il suffragio universale, indiscriminato, imprime all’altra Camera.

Due Camere dunque; questo si può considerare acquisito.

Sorge, sulla soglia degli altri temi, se sia ammissibile o no l’Assemblea Nazionale, come riunione delle due Camere. Sono stati contro: Orlando nella discussione generale, ed in questa Nitti, riecheggiato da Codacci Pisanelli e da Fuschini. «Con l’Assemblea Nazionale, ha esclamato Codacci Pisanelli, il monocameralismo, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra». E Fuschini denuncia il «tricameralismo». Interessanti cose ha dette l’onorevole Nitti; il Comitato lo ringrazia di non aver fatto soltanto una critica erosiva, ma costruttiva; ed io sono lieto della dichiarazione a me fatta, che le differenze tra il nostro progetto e le sue proposte non sono poi grandi.

Egli però non ha interpretato esattamente il mio pensiero dicendo che nella relazione ho parlato di una nuova Camera, di una terza Camera. No; ho rilevato che si tratta di un «nuovo istituto».

NITTI. È la stessa cosa, onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No; ed è del resto istituto nuovo per l’Italia, non per altri paesi, dove già esiste, e sta in molte Costituzioni – anche qui l’onorevole Nitti non è esatto – per l’elezione del Capo dello Stato, e per altri compiti, che vanno dalla revisione costituzionale, al componimento dei dissensi fra le due Camere. Non è nel nostro progetto un organo permanente; non basta che abbia un regolamento; né ha un presidente proprio; è un istituto, una procedura, piuttosto che un organo a sé del Parlamento.

Posto che non vi è più differenza sostanziale fra una prima Camera eletta dal popolo ed una seconda del re – posto che tutte due, pur in forme diverse, emanano dalla designazione popolare – nulla si oppone a che si possano raccogliere insieme, in determinati casi, con risparmio di tempo, con risparmio di conflitti, per raggiungere una sintesi che si può ottenere meglio in questa forma che con adunanze separate. Non vedo cosa vi sia di strano e di mostruoso, onorevoli colleghi. Potete anche votar contro. Il Comitato ha creduto, né vi sono state vere divergenze, di proporre un istituto che non esisteva nel vecchio edificio, e che afferma il carattere nuovo e comune dei due rami del Parlamento che, in certi momenti essenziali della vita del Paese, deliberano unitamente.

Ho pensato molto; e non sono riuscito a capire perché Orlando vede nell’Assemblea Nazionale un pericolo di totalitarismo. È, caso mai, un baluardo contro il totalitarismo di una Camera sola.

Le funzioni assegnate dal progetto all’Assemblea Nazionale sono, oltre la elezione del Capo dello Stato, altri atti attinenti ad organi importanti dello Stato, quali – attraverso il voto di fiducia o sfiducia – la formazione del Governo e, con la designazione di loro membri, quella del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte suprema di garanzia costituzionale. Infine: la dichiarazione di guerra e di mobilitazione generale; e l’amnistia e l’indulto. Da notare che sono in complesso nomine ed atti che non rientrano nella funzione legislativa vera e propria: Tosato lo ha sottolineato.

L’elenco potrà essere riveduto. Fuschini, il critico dell’Assemblea Nazionale, cancella altri casi, ma aggiunge la concessione dei pieni poteri per la guerra. Qualcuno pensa a riunioni comuni anche nei disaccordi fra le due Camere. Non credo che vi possa essere, su questo argomento, occasione a battaglie vivaci. Ma basta aver mostrato che questo istituto – qualunque ne sia la sorte – non rientra nel «museo degli orrori» a cui si è voluto, per alcuni aspetti, assomigliare il progetto.

Parliamo ora delle due Camere, distintamente.

Pochi dibattiti vi saranno per la prima. Si è rinviata alla legge elettorale il sistema da seguire nell’elezione. Finirà col restare la proporzionale: che – dato il fatto storico della determinazione nella vita pubblica dei partiti di massa – è logica ed inevitabile; e sono del resto i piccoli partiti che hanno interesse ad avere così una rappresentanza, se non altro nella lista nazionale. Mentre l’onorevole Nitti si pente di aver varata la proporzionale nell’altro dopoguerra, io ritengo che, se non vi fosse stata, nell’alta Italia non sarebbero riesciti che socialisti e comunisti, salvo pochi democristiani, e si sarebbe scavato un solco di differenziazione fra Nord e Sud. Ad ogni modo savio è stato il rinvio; in sede di legge elettorale si sceglieranno forme e modi diversi, possibili nella proporzionale.

L’onorevole Nitti ha sollevata una questione sul numero dei membri del Parlamento, secondo il progetto. Troppi, ha detto; in nessun altro paese sono tanti quanti voi proponete! Non è così; ho a disposizione dell’onorevole Nitti un quadro, dal quale risulta che se i parlamentari, i politicians, sono in minor numero negli Stati Uniti (e qualcuno se ne lagna, per il carattere «professionale ed oligarchico» che ne deriva), sono di più in Francia, in Inghilterra ed altrove. L’onorevole Nitti troverà resistenza nei piccoli partiti, come il suo, se vorrà ridurre il numero. Siamo ad ogni modo d’accordo: non troppi; nel suo vivido discorso l’amico Conti ne ha detto le ragioni.

Quanti? La seconda Sottocommissione proponeva un deputato ogni 100 mila abitanti o frazione superiore a 50 mila; sarebbero da 450 a 500 deputati. In Commissione plenaria la cifra fu diminuita ad 80 mila e 40 mila abitanti; diverrebbero da 550 a 600 deputati. Un emendamento vuole risalir su, a 120 mila e 60 mila; si scenderebbe, in correlazione, a 350-400 deputati. Si noti che questi risultati valgono per la prima Assemblea; aumenteranno in seguito, i deputati, secondo i futuri censimenti, nella prolifica Italia.

A voi la scelta; forse la cifra intermedia è la buona.

Passiamo alla seconda Camera; che presenta le maggiori difficoltà; ed a dir vero non vi è soltanto indecisione in parecchi partiti, ma anche nei singoli cervelli sulla soluzione da adottare.

Liberiamo il terreno dalle questioni minori. Il nome. La seconda Sottocommissione l’aveva lasciato in bianco, per la riluttanza a cogliere anche nel solo nome l’eredità del Senato regio e fascista. Riuscii, in adunanza dei Settantacinque, a far passare «Camera dei senatori»; di più non sarebbe stato possibile; e non era designazione «mostruosa» (quanti mostri vede la fantasia di Nitti!); perché fa risaltare, meglio di Senato, l’origine elettiva; e poi – perdonatemi – non mi piace la prosopopea dei nomi collegati, come accentua Nitti, alla grandezza antica; mi viene qualche volte voglia di ripetere: «chi ci libererà dai greci e da romani?»; ed egli stesso, l’onorevole Nitti, ci ha insegnato che il Senato di Roma era così diverso da questo nostro, che veniamo a formare. Comunque sia, non credo che noi costituenti ci tireremo per un nome i capelli. Sia pure: «Senato della Repubblica».

Numero dei senatori. Ricordiamoci: non troppi. Il progetto ne assegna uno per 200.000 o frazione superiore a 100.000. Sarebbero 250 senatori; e con l’aggiunta di 5 per ogni Regione si arriverebbe verso i 300. È opinione abbastanza diffusa, io riferisco, che 500 deputati e 300 senatori (meno che nell’ex Regno) sono una cifra attendibile.

Età. Il progetto propone che pel Senato – chiamiamolo pure così – l’elettorato attivo sia portato a 25 anni, ed il passivo a 35. Il collega Preti protesta perché si tagliano e si lasciano fuori dei diritti elettorali categorie di cittadini. Ma bisogna pure che se il nome di Senato o Camera dei senatori, deve aver qualche senso, bisogna – anche senza arrivare ai vecchioni – mettere una certa differenza di età. Tant’è che, per gli eleggibili, emendamenti portano il limite a 40 anni. Per conto mio, malgrado l’eco fascista degli sguaiati e funesti canti di giovinezza, sono per andar incontro ai giovani; e non dico con Croce che il loro diritto è di diventare vecchi. Sono la forza a cui affidiamo il nuovo Stato. Ma non mi sembra che sia offesa ed eresia chiedere, per una seconda Camera, un modesto livello di maturità e d’esperienza più alto.

Condizione per diventare senatori: essere nati o domiciliati nella Regione dove saranno eletti. La condizione si era ispirata all’impronta regionale che si vuol dare, in qualche modo, ai senatori; ma ha sollevato dubbi ed opposizioni, non sembrando logico né giusto escludere dall’eleggibilità chi, senza esservi nato o senza avervi domicilio, ha vincoli con una Regione, ed è ritenuto degno di rappresentarla.

Categorie nelle quali debbono essere scelti i senatori. Trovate nel progetto un elenco, piuttosto eterogeneo, che taluno ha battezzato per «bazar». Quante fatiche, ahimè, richiese l’arrivarvi! Fu, in origine, nella seconda Sottocommissione, uno sforzo di adattare la tesi della rappresentanza organica alle critiche che le erano rivolte; si pensi di lasciare le categorie professionali, e di andare al collegio unico. Avvenne quella che Condorelli chiamerebbe «eterogenesi dei fini»; ossia si raggiunsero, per strada, diversi effetti. Le categorie perdettero l’impronta originaria; e diventarono il… bazar di svariata natura; così che – se una qualificazione potrebbe essere opportuna per la nomina a senatori – la scelta delle categorie non sembra a molti felice. Fioccano le critiche: si dice da sinistra che i ceti operai troverebbero sbarrata la via; e che per certi casi – i consiglieri comunali e provinciali – non sarà possibile, con la parentesi fascista, mettere assieme il quadriennio richiesto. Si vuole d’altra parte includere anche i decorati al valore della guerra 1914-18; non soltanto di quella 1943-46; che in ogni modo, si dice, dovrebbero passare alle disposizioni transitorie. Questioni tutte, più o meno piccole, che deciderete a loro luogo, se non prevarrà la proposta di Preti e di altri di togliere via, senz’altro, il «bazar».

Vi sono, sempre per la seconda Camera, due altre questioni pregiudiziali, prima di affrontare la più vera e maggiore. L’una è se una quota di senatori, il terzo, come dice il progetto, sia riservato alla elezione da parte dei Consigli regionali. Si oppongono gli antiregionalisti, che non si adattano al fatto compiuto dell’ente Regione, già entrato nel testo costituzionale; e motivano la loro particolare opposizione a questo punto col rilievo che la composizione del Senato diverrebbe un «fritto misto», e si determinerebbe una sperequazione per la non egualmente proporzionale rappresentanza assegnata alle Regioni. Sia lecito a tale riguardo rinviare alla discussione dell’apposito articolo; non mancano d’altra parte emendamenti che sopprimerebbero i 5 senatori attribuiti ad ogni Regione in più della quota proporzionale che le spetta in base alla sua popolazione.

Prescindendo per ora da ciò, sta di fatto – rispondono i sostenitori della rappresentazione regionale – che introdotta la figura delle Regioni nell’ordinamento italiano, non si può non tenerne conto anche per la composizione del Senato. Senza arrivare a dire con l’onorevole Condorelli che il sistema regionale da noi adottato è un sistema federale.

CONDORELLI. Ho detto «cripto»…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …E sia, ma federalista non è; ed anche il semplice Stato regionale, come lo ha chiamato Ambrosini, può giustificare questa modesta partecipazione degli organi costituiti nella Regione alla formazione di un ramo del Parlamento, che potrà così funzionare più efficacemente da coordinatore e mediatore fra gli interessi dei nuovissimi enti, da cui l’amico Conti tanto attende per il rinnovamento anche spirituale dell’Italia.

Tolta la quota pei Consigli regionali, restano i due terzi al sistema più generale di designazione. Ma si prospetta un’altra assegnazione di quota speciale. Si chiede da più parti che un nucleo di senatori sia sottratto al sistema normale di elezioni; e si fa sfilare una serie di soluzioni diverse, risalendo a criteri che si seguono in diversi paesi. Ecco la gamma di ipotesi. Vi è l’elezione d’una parte del Senato dalla Camera dei deputati; vi è una forma parziale di cooptazione esercitata dallo stesso Senato; vi è l’entrata di diritto nel Senato di chi riveste certe cariche od ha dati requisiti; vi è la nomina riservata al Capo dello Stato di un certo numero di Senatori. Questi senatori extra possono essere vitalizi, o designati per una sola legislatura, salvo riconferma.

Siffatta casistica si riflette in emendamenti presentati od annunciati: che contemplano una quota di senatori di diritto (Preziosi); lasciati alla libera scelta del Capo dello Stato (Russo Perez); nominati dal Capo dello Stato fra date categorie (Rubilli, Di Gloria, Macrelli). Prevale il criterio di aprir le porte del Senato ad uomini che hanno rivestito alte cariche (Presidenza della Repubblica, delle Camere, del Consiglio, più volte Ministri) o sono stati deputati per più legislature; né si sottoporrebbero più alle dure fatiche d’una campagna elettorale, mentre gioverebbe al Paese che la loro competenza ed esperienza non mancasse nel Parlamento.

Riferisco i motivi addotti a favore di questo nucleo di senatori extra. Altri motivi si adducono in contrario: che ammettendo un’eccezione, più o meno larga, si snatura la sostanza elettiva del Senato; si pongono in essere stridenti disparità di membri vitalizi e di membri temporanei di una stessa Camera; si fa – io riferisco – un «pasticcio», per mere considerazioni personali.

Da fedele notaio, avverto che, per attenuare le obbiezioni, si fa avanti la proposta (di Persico e di altri) di una norma transitoria, che ammetterebbe l’immissione d’un gruppo di senatori di diritto – per anzianità politica e parlamentare – soltanto per il primo Senato da formarsi dopo la Costituzione, quando, d’altra parte, non si potrà ancora addivenire alle designazioni dei Consigli regionali.

Basta con le minori questioni che pur daranno luogo a dibattito, ed io dovevo incanalarlo.

Per il Senato – detratte le quote accennate – vi è l’esigenza che il modo di nomina sia l’elezione; se no verrebbe meno il lineamento del nuovo Stato democratico. E, posta la ragione che giustifica l’esistenza di una seconda Camera, vi è pur l’esigenza che non sia un doppione assoluto dell’altra; se no, si farebbe più presto a sommare gli eletti ed a metterli dentro una sola aula. Altr’è che la differenza sia radicale o attenuata; anche in quest’ultimo caso può giovare un separato e successivo esame degli atti legislativi. Ma doppione non sia!

All’elezione si offrono, come vie maestre, due metodi: il suffragio diretto e l’indiretto. Dopo una non breve oscillazione di idee, la Commissione dei Settantacinque, de guerre lasse, finì con l’accettare il sistema del suffragio universale diretto, con le sole differenze dalla prima Camera dell’età diversa per gli elettori e per eleggibili, e con la qualificazione (il cosiddetto bazar) delle categorie alle quali si deve appartenere per diventare senatori. Non dirò tuttavia che molti – forse i più – siano rimasti definitivamente persuasi. Rampollano i dubbi e la ricerca di altre soluzioni.

Fu respinta invece, in seno ai Settantacinque, la proposta Perassi di ricorrere ad una elezione di secondo grado, da parte di grandi elettori designati a suffragio universale. Si obbiettò che questo più lungo processo era inutile, e preferibile l’elezione diretta. Al che si potrebbe rispondere che piena identità non vi è, e che una riunione d’elettori di primo grado può prestarsi, meglio che una votazione immediata e definitiva di massa, a concordare una buona scelta. Sarebbe un vantaggio…

RUSSO PEREZ. Vantaggio delle camarille…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …Fino ad un certo punto; ma io accenno al vantaggio che vi potrebbe essere in accordi che temperassero il più acceso partitismo del suffragio diretto.

Ad ogni modo i due metodi, puri e nudi, del suffragio diretto o indiretto si prestano a più complesse determinazioni. Ed han dato luogo, di fatti, a nuovi congegni, che tengon ora il campo delle proposte, e si esprimono nei tre più dibattuti sistemi della rappresentanza organica, dell’elezione da parte dei Consigli comunali, del collegio uninominale.

La rappresentanza organica – sostenuta dai democratici cristiani, e non da essi soltanto, almeno in passato – è la rappresentanza degli interessi; non meramente professionali ed economici, ma anche culturali e spirituali; non si traduce nel professionismo puro od in un rigido classismo; implica un concetto più largo di rappresentanza, che Piccioni molto abilmente ha richiamato da un ordine del giorno Einaudi nella seconda Sottocommissione, delle «forze vive» del Paese. Accanto alla rappresentanza, che si addice alla prima Camera, dell’individuo come tale, «dell’uomo tutt’intero» (come io scrivevo tanti anni fa), sta una rappresentanza che non è tanto di gruppi quanto di uomini, degli uomini stessi sorpresi da una doppia fotografia della realtà, che è sempre una sola; ma qui l’uomo appunto è colto concretamente, organicamente, nelle particolari forme di sua attività.

Questo è il concetto base della rappresentanza organica; che trova un fierissimo handicap nei ricordi dell’ordinamento corporativo, e desta i «residuati» di una ripugnanza profonda contro il fascismo; del quale la rappresentanza d’interessi (come tante altre cose) non è pensiero originale; anzi è un’idea che esso ha carpita da correnti anteriori di movimento etico-sociale, sovrattutto e non solo, di impronta cattolica; e le ha deformate ed esagerate nel suo grottesco corporativismo.

Si spiega così come contro l’attuale proposta della rappresentanza organica nella formazione del Senato si leva l’opposizione quasi generale degli altri settori dell’Assemblea; ed i socialisti e comunisti sono i primi ad accentuare un reciso diniego. Affermano che un tale genere di rappresentanza (o pseudo rappresentanza) ferisce l’idea in sé del suffragio universale, che deve essere indiscriminato; ed intacca sul principio che abbiamo scritto nella nostra Costituzione, nel senso che il voto deve essere «personale ed eguale». La rappresentanza di interessi, si afferma, è antiegualitaria ed antidemocratica; è l’espressione naturale delle tendenze retrive, e l’antitesi dello sforzo che è in atto di rinnovazione sociale. La condanna non potrebbe essere più aspra; quale la ho sentita in quest’Aula da Preti, da La Rocca, da altri.

Ai quali han ribattuto Ambrosini, Clerici, Mortati; e specialmente Piccioni ha messo in luce che, anche nella rappresentanza degli interessi, l’elezione viene dal popolo; e che il suffragio universale non deve essere soltanto indistinto; bisogna captare altre fonti e forme rappresentative della vita economica. Una rappresentanza d’interessi non trattiene; spinge a riforme sociali; e posta a base del Senato, concorre, dice Piccioni, a garantire meglio l’equilibrio e l’integrazione dei poteri, e assicurare maggior competenza tecnica e maturità d’esperienza, a mantenere una più ferma stabilità di Governi.

Per verità, a prescindere dalle ragioni hinc inde dedotte, comprendo la diffidenza e le ostilità dei liberali – sebbene anche Ruffini abbia accolta l’idea della rappresentanza organica nel Senato; la comprendo meglio di quella dei socialisti, che in passato ebbero diverso atteggiamento. Poiché mi sono occupato di questi problemi nel 1906 – quarant’anni fa, onorevoli colleghi – e poiché non rinnego il mio pensiero d’allora – desidero ricordare che anche in seno ai democratici ed ai socialisti (fin da allora parlavo di «democrazia del lavoro») si pensava alla rappresentanza di interessi come ad uno sbocco del movimento in cammino. E quando nel 1919, sottosegretario del lavoro, impostai la questione della riforma di quel Consiglio nazionale, risposero le organizzazioni operaie e la loro Confederazione generale, spingendosi, nel sostenere la rappresentanza organica, al di là dei cancelli del Consiglio nazionale del lavoro; e chiedendo che il Senato regio fosse sostituito da una seconda Camera sulle basi delle forze vive e dei veri interessi del Paese. Vedo su quei banchi l’onorevole D’Aragona: pensa ancora come una volta?

In sostanza l’«abisso» e la inconciliabile antitesi, che si è denunciata, non esiste; tant’è vero che socialisti e comunisti continuano a propugnare, per il Consiglio nazionale del lavoro, un sistema di rappresentanza d’interessi, che i democratici cristiani vogliono introdurre anche nel Senato. La differenza ha certamente una sua portata; ma dove è l’«abisso»?

Per la riforma del Senato nel senso indicato vi è un argomento, sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione. Nel suo veramente largo e notevole discorso l’onorevole Clerici ha notato che si deve cercar di vincere il discredito e l’indifferenza che ormai circonda il Parlamento. Vorrei esprimere l’argomento in forma più netta; e rilevare che – se il Parlamento appare «vuoto di contenuto» ad un osservatore come Mario Ferrara – è perché i problemi più vitali e profondi della nazione si trattano e si risolvono al di fuori. Sono le Confederazioni economiche, e soprattutto quella del lavoro, che conducono e decidono le questioni più gravi, fuori di qui. Se fosse possibile inserire nel Senato tali forze, con una loro rappresentanza diretta, tutto il Parlamento acquisterebbe maggior contenuto e prestigio.

La difficoltà sta nella realizzazione; ed anche Piccioni lo riconosce; ma crede che, ammesso il principio, non sarà impossibile tracciare uno schema abbastanza concreto. Avrei preferito che questo fosse abbozzato prima, per far accettare il principio. L’ordine del giorno Piccioni accenna una formula che all’atto pratico non sarebbe facile attuare e potrebbe dar luogo a controversie ed a soluzioni diverse, specialmente per quanto concerne il riferimento al criterio del numero, temperato dalla qualificazione del lavoro.

Non è facile neppure la enucleazione e la determinazione dei grandi rami della rappresentanza d’interessi. Fu tentata più volte; applicata in certo modo anche alla Consulta; studiata durante i lavori della nostra Commissione da Tosato e da Mortati. Siamo d’accordo; anch’io ho fatto i miei saggi: potrebbero essere sei grandi categorie: agricoltura, industria, commercio, cultura, professioni libere, pubblici impiegati. La maggior difficoltà è nella «dosatura» e nella assegnazione dei posti fra le categorie; e più ancora, all’interno di esse, dove s’affaccia la «classe», fra imprenditori ed operai.

Temo che la riforma non sia matura. I democratici cristiani vorrebbero affermare il principio nella Costituzione, e rinviarne l’attivazione a quando sarà convenientemente preparata. Alcuni si accontenterebbero, ad esperimento graduale, di una «quota» di senatori eletti in rappresentanza d’interessi. Ho l’impressione che non calcolino sul successo della loro proposta; che forse non manca di preoccuparli per i possibili risultati di siffatte elezioni nei riguardi del loro partito.

È da ritenere che ripiegheranno, in subordinato, sul sistema di far eleggere il grosso dei senatori dai consiglieri comunali. Sistema, essi dicono, che offre una categoria non improvvisata di elettori di primo grado, ed un punto solido di riferimento ad interessi concreti; completando in certo modo il criterio della rappresentanza di un terzo agli enti regionali. Obbiezioni contrapposte; anzitutto un dilemma; o si dà lo stesso numero di rappresentanti ad ogni Comune, quale si sia la sua popolazione, ed allora due Rocca Cannuccia soverchiano Roma; o si assegnano al Comune voti in proporzione dei suoi abitanti, ed allora perché questo «inutile giro?». I sostenitori dell’elezione da parte dei Comuni sfuggono al dilemma, proponendo di stabilire alcune – ad esempio quattro – classi di Comuni con diverso numero di voti; con che, rispondono gli altri, i Comuni rurali prevarrebbero sempre sugli urbani; e ciò può gradire ad alcuni, per una «maggior stabilità del Paese», non ad altri che vi scorgono una ingiusta sperequazione. È stato pure osservato che, col dare questo compito ai consiglieri dei Comuni, si porta ancor più nelle elezioni di queste amministrazioni locali uno stampo politico, che è meno vivo, finora, nei Comuni minuscoli.

Mi pare di essere stato obbiettivo nel riassumere le opposte ragioni. Lo sarò anche pel collegio uninominale; che sarebbe una proposta di specificazione del sistema, adottato nel progetto, di suffragio diretto ed universale.

Sono pel collegio uninominale, almeno nel Senato, coloro che ne hanno la nostalgia anche per la Camera dei deputati, e pensano potersi resistere meglio col suo mezzo all’ondata dei partiti di massa (Rubilli, Russo Perez). È notevole che, d’altro lato, ai liberali ed ai qualunquisti vadano incontro i comunisti, che abbandonano la loro rigida tesi di una assoluta uniformità nel suffragio, e, mantenendo ferma la proporzionale nella prima Camera, scoprono i vantaggi del collegio uninominale, se applicato soltanto al Senato. Consistono questi vantaggi in ciò che, evitando il doppione fra le due Camere, si adoperano forme diverse di selezione per la scelta dei rappresentanti del popolo; e – mentre la proporzionale conserva la sua efficacia nel campo della prima Camera e consente l’affermazione dei partiti, anche i più piccoli, con ogni loro caratteristica – dà per altro campo, con l’elezione del Senato, modo, non solo di tener presente il valore personale dei candidati, ma di adempiere un compito altrettanto necessario che quello della proporzionale, cioè delineare, con la spinta alle concentrazioni ed alle alleanze, l’avvicinamento alla determinazione di due o tre grandi correnti, tra cui conviene che, come avviene nei paesi più adusati alla vita politica, si avvicendi il potere. A quest’ultimo effetto conviene che si ricorra al ballottaggio.

Tale è il ragionamento dei sostenitori del collegio uninominale, che pensano di utilizzare ed armonizzare vantaggiosamente due sistemi diversi, con una specie di divisione del lavoro nelle due Camere. Le obiezioni sono vive; e manifestano meraviglia che un sistema, giudicato ormai anacronistico e superato per l’elezione dei deputati, diventi efficace e desiderabile per l’elezione dei senatori. La coesistenza dei due sistemi appare contradittoria ed inammissibile; e si afferma che non è fondata la speranza degli attesi vantaggi. Né deve nascondersi che la prospettiva di render necessari i blocchi agisce, coi possibili riflessi immediati, sull’atteggiamento che prendono, ora, i partiti dell’Assemblea nella questione sollevata.

Vari partiti non si sono ancora decisi; e qualcuno affaccia il desiderio che, conservando nella Costituzione la norma generica, quale è nel progetto, pel suffragio universale diretto, si rinvii ad una legge elettorale, come si fa per la proporzionale nella prima Camera, la possibilità di introdurre per la seconda il collegio uninominale.

Mi sembra di aver così esaurito i temi concernenti il Senato. Una parola sui rapporti fra le due Camere. Alla tesi che – lo vedemmo – vorrebbe una Camera sola con poteri di deliberazione, si oppone l’altra che tiene ad una piena ed assoluta parità, che si afferma conseguenza logica del principio bicamerale.

Il collega Tosato ha sostenuto con vigore tale posizione; ed ha invocato perfino Stalin che, in sede di dichiarazioni per la sua Costituzione, fu molto… ortodosso: ad esempio quando respingeva dal testo costituzionale le aspirazioni avveniristiche, contro i metodi di Weimar; e si capisce, infatti non ne aveva bisogno di fronte ad una già conquistata realtà; ed anche la bicameralità piena senza eccezioni è difesa da Stalin, sul che forse influisce anche la struttura federale della Russia sovietica.

Chi non vuole la parità perfetta osserva che essa non esiste ormai, più spesso per norma costituzionale, ed in ogni caso dì fatto, in alcun altro paese. Anche in Italia vi era la precedenza della prima Camera in materia finanziaria. E chi non ricorda la più vasta riforma Lloyd George del 1911? È vero, si obbietta, ma si trattava allora d’una seconda Camera denomina regia; oggi si trovano tutt’e due sopra uno stesso piano che le istituisce su base di elezioni; ed anche questo è vero ma – riferisco le controbbiezioni – più Costituzioni attuali non mantengono egual peso a Camere tutte due elettive.

Se si intacca il criterio rigido della parità, bisogna precisare in che cosa consista la differenza di attribuzioni e di efficacia. Ritornerà poi probabilmente in Assemblea il problema dei conflitti fra i due rami del Parlamento. L’onorevole Terracini aveva proposto, in seduta dei Settantacinque, di adottare un sistema, concretamente formulato, che ammetteva il riesame nei dissensi sopra il testo d’una legge; ed in determinati casi stabiliva la prevalenza della prima sull’altra Camera. Il congegno (al quale io personalmente inclinavo) venne respinto; e si ritornò ad una originaria proposta per la quale, nel disaccordo fra i due rami del Parlamento sopra una legge si prevede la – facoltativa ma più macchinosa – potestà del Capo dello Stato di indire il referendum popolare. L’onorevole Fuschini risolleva ora la questione, riproponendo la prevalenza della prima Camera, ma non escludendo neppure il possibile ricorso alla via del referendum.

Veniamo ora ad un capo del Titolo primo, meno vistoso, tecnico più che politico, di vivo ed attuale interesse: la formazione delle leggi. Si profilano problemi, che un giurista direbbe «eleganti» e che hanno ad un tempo importanza pratica altissima, perché implicano la possibilità del funzionamento parlamentare, e della vita stessa dello Stato.

Sono tre problemi. Il primo concerne il lavoro interno delle Camere. Il rilievo da me fatto più volte – e sembrò a taluno sconvenienza ed eresia – che il Parlamento è oggi incapace di legiferare, è riecheggiato in bocca di quasi tutti gli oratori. D’accordo tutti nel rilevare che, non per manchevolezza di uomini, ma per l’inevitabile processo di amplificazione dei compiti dello Stato e pel numero smisurato che ne deriva delle norme legislative, non si riesce a farle esaminare ed approvare dalle due Camere. Hanno svolto questo punto specialmente gli onorevoli Preti e Condorelli; e l’onorevole Clerici, rincalzato dall’onorevole Conti, ha esposto con dati statistici impressionanti la «disfunzione» legislativa che si riscontra nel Parlamento.

Si cerca il rimedio nel metodo di lavoro; e si propone che – mentre il progetto di Costituzione all’articolo 69 prevede l’istituzione eccezionale, volta per volta, di speciali commissioni per l’esame, non per l’approvazione finale, d’un disegno di legge – si adotti invece, in via permanente e regolare, il sistema della divisione d’ogni Camera in Commissioni cui sarebbe deferito in sostanza l’ordinario compito legislativo, come si faceva con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Non basta, lo ripeto, la mala eredità del fascismo a far respingere un congegno, se è buono. Non si può ora entrare in dettagli sulle norme da stabilire sia pei casi obbligatori, in cui discussione e decisione dovrebbero riservarsi a tutta la Camera, sia per la facoltà di richiamare all’approvazione finale di questa i disegni di legge presentati dal Governo (ciò che è previsto nella legge che regola i lavori di quest’Assemblea Costituente). Tutto ciò sarà da vedere a suo tempo. Si suggerisce, intanto, di aprir la via ad opportune soluzioni, e di introdurre nella Costituzione una formula intermedia fra quella restrittiva dell’attuale progetto e l’altra troppo assoluta e rigida della sistematica abdicazione da parte dell’intera Camera nelle mani delle Commissioni. Si può, evitando correttamente di caricare troppo il testo costituzionale, rinviare al Regolamento delle Camere i casi e le forme in cui esame ed approvazione dei disegni di legge siano delegate a Commissioni anche permanenti.

Non si creda tuttavia che, col funzionamento delle Commissioni, si possa integralmente risolvere le difficoltà del sopra lavoro legislativo. Non sono da escludere altre vie. Ed ecco il secondo problema: oltre a migliorare il lavoro interno, resta la possibilità della delega ad organi esterni. Con una felice formula Terracini, l’articolo 74 del progetto dice che l’esercizio della funzione legislativa può essere delegato al Governo previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. È stato osservato, durante l’odierna discussione, che bisognerebbe forse chiarire la possibilità di una delega più larga di poteri durante la guerra.

Vi sono ormai altre vie di delega della funzione legislativa, oltre che al Governo. Abbiamo, nel titolo sulla Regione, riconosciuto, come vera e propria facoltà costituzionale, una legislazione, diciamo così, di secondo grado, nei limiti dei principî stabiliti da leggi dello Stato, al nuovo Ente regionale. Nell’articolo, accolto in massima, pel Consiglio nazionale del lavoro, si parla di possibili deleghe e norme di valore legislativo. Siamo in cammino verso una deflazione o decentramento legislativo, che richiede avvedimento e cautele, per non intaccare la sovranità dello Stato e la sua posizione suprema nella formazione delle leggi; ma è un portato inevitabile dello sviluppo avvenuto nello Stato stesso.

Il terzo problema è dei provvedimenti d’urgenza e dei decreti-legge. Il progetto ne tace. «Voluta lacuna» dice Codacci Pisanelli; e logicamente Condorelli interpreta come negata facoltà al Governo di emettere atti di tal genere. Così si è voluto anche dalla Costituente francese. Ma no, si obbietta; col divieto (tanto più nella forma del silenzio) non si sbarrano le porte ai decreti-legge; anzi se ne determina l’arbitrio e l’abuso. Meglio, dice Crispo, porre dei limiti; e Preti parla di «esagerata fobia» dei decreti-legge.

Che fare dunque? Il Comitato dei 18 per la redazione della Costituzione inclina, sia pure senza deliberazione formale, ad ammettere in casi di assoluta necessità il decreto-legge, con le limitazioni più rigorose, ma più pratiche, che siano possibili. Come prestabilire quei casi? In via di indicazione od in via di esclusione? L’onorevole Mortati li restringerebbe alla guerra ed ai decreti catenaccio; pel rimanente, egli dice, il Governo emanerà misure eccezionali, quando siano indispensabili; ed il Parlamento concederà, all’inglese, «bill di indennità». Si ricadrebbe così, in paesi meno educati politicamente, alle tolleranze ed alle sfrenatezze del passato. Meglio cercare di prevedere e limitare i casi della legislazione d’urgenza, e di precisare i modi di rapido intervento per la ratifica parlamentare. Al qual riguardo si potrebbe riprendere una proposta, caduta in Commissione, per una Giunta permanente mista di membri delle due Camere (o dei due Uffici riuniti di Presidenza) che si dovrebbe tempestivamente pronunciare sui divisati atti d’urgenza. Se non si accetta ciò, sarà da stabilire il termine – ad dies – in cui le Camere potranno, con gli attuali mezzi di comunicazione, essere immediatamente convocate.

Spero di avervi messo sotto gli occhi gli aspetti molteplici della fatica di Sisifo, che è ora la formazione delle leggi. Mi permetto di aggiungere che proprio qui, in questa discussione di cui si dice tanto male, vengono messi a fuoco temi che si impongono ormai al futuro ordinamento legislativo ed alla meditazione scientifica. Parlandone testé con uno dei più alti giuristi italiani, Ugo Forti, questi ne è restato impressionato, e mi ha detto che ne avrebbe fatto oggetto di una prolusione all’Ateneo napoletano. È il tema della molteplicità e della gerarchia delle norme legislative.

Non è una boutade quanto ho affermato più volte nell’Aula: che ormai fra legge e regolamenti non vi è più chiara distinzione. Un tempo le leggi le faceva solo il Parlamento, ed i regolamenti solo il Governo; e sembrava che tutto andasse a posto. Oggi la funzione legislativa si estende ad altri organi, sia pure subordinatamente; e si hanno nuove specificazioni nel campo delle leggi. È tutta una scala: sta in alto la Costituzione; potrebbero sopra un secondo scalino stare le cosiddette leggi di valore costituzionale (di cui discuteremo a suo tempo l’ammissibilità o no); segue la grande categoria delle leggi ordinarie; alle quali succedono le leggi delegate; e poi i decreti-legge; né alcune norme di regolamento, ad esempio dei cosiddetti regolamenti indipendenti, mancano di efficacia legislativa. Sarà da esaminare pur la questione dei regolamenti in generale, per cui taluno rievoca l’articolo 6 dello Statuto albertino. Un novum della nostra Costituzione sarà il tipo di legge regionale, e di legge delegata ad altri organi. Non posso essere, in questo rapido excursus, scientificamente rigoroso. Non spetta al testo costituzionale definire quesiti e formulazioni di carattere dottrinale. Ma dovremo tener presente uno schema, e considerare i riflessi che si possono avere per i controlli e le recisioni di alcune delle accennate categorie di norme legislative. È della scienza il compito di elaborare tutta la materia; noi le diamo la spinta e l’impulso.

Rapidi accenni, ora, al referendum, che entra nella Costituzione democratica della Repubblica italiana. È, accanto all’elezione del Parlamento, la seconda emanazione fondamentale della volontà popolare. Espressione piena di democrazia; sua guarentigia; democrazia diretta; così è esaltato il referendum. Non sono mancate tuttavia riserve e dubbi, da parte di rappresentanti della estrema sinistra, che dovrebbero essere ideologicamente fedeli alla esplicazione integrale di sovranità del popolo, ma si preoccupano di sminuire, col sottoporla a referendum, la potestà continuativa e preminente, per non dire totalitaria, che vagheggiano nel Parlamento. Il referendum va bene, dice Preti; ma le norme del progetto bisogna semplificarle. Non facciamo del referendum, aggiunge Corbi, uno strumento ingombrante e ritardatore, facciamone un uso sobrio ed intelligente. Di Gloria ammonisce che può diventar pericoloso, per l’inesperienza politica del popolo.

Al referendum non si può rinunciare. È una delle conquiste della nostra Costituzione. Ne rivedremo, se occorre, le norme d’applicazione. Il progetto, oltre alla facoltà cui può ricorrere il Capo dello Stato nei contrasti fra le due Camere per una legge, prevede due forme di referendum: una sospensiva, quasi di temporaneo veto, per l’entrata in vigore d’una legge, appena approvata, ed un’altra di abrogazione di leggi già in vigore da due anni. La prima forma ha sollevato dubbi, anche nell’onorevole Grassi, che ha nella sua giovinezza studiato ed esaltato il referendum. Rimando agli emendamenti discussioni più minute.

Poco tempo mi rimane per parlare del Capo dello Stato; che pur meriterebbe, nella sua figura, un discorso più ampio.

La Commissione ha respinto la forma del governo presidenziale di tipo americano, dove il Capo dello Stato è il Capo del Governo, ossia di tutto il potere esecutivo. Forma che ha fatto buona prova al Nord, pessima al Sud America. E non sembra possa essere oggetto di importazione in Europa, dove si è storicamente sviluppato il sistema di Governo parlamentare o di gabinetto; e prescindendo da ogni altra considerazione può anche essere necessario modificarlo ed integrarlo; ma sarebbe imperdonabile imprudenza sradicarlo ed abbandonarlo, nel procedere alla ricostruzione del nuovo Stato repubblicano. Tanto più, d’altro lato, non è possibile trapiantare da noi il tipo direttoriale o di praesidium, che è in sostanza una spersonalizzazione della presidenza, e non ha da noi le condizioni ed i presupposti che lo consentono altrove.

Il Capo dello Stato non deve essere, dunque, Capo del Governo; ma ciò non esclude a priori che possa essere eletto, direttamente, dal popolo. Non ho nascosto il mio pensiero personale al riguardo. So di avere con me, per l’elezione popolare, parlamentari di primo piano, Orlando, De Gasperi, Saragat; ma siamo in definitiva esigua minoranza; e ci vorrebbe un miracolo, se questa soluzione dovesse prevalere.

L’onorevole Tosato ha detto che l’elezione presidenziale da parte del popolo non è possibile da noi, perché i partiti sono troppo divisi, e non vi è l’avvicendamento di due soli, che dà al Presidente americano, per l’esercizio dei suoi poteri, salde basi nel partito vincitore. Certamente da noi le cose sono diverse, ma è proprio la discrasia, la polverizzazione, l’oscillante incertezza dei partiti – ed il fatto che il più degli italiani son fuori partito – a rendere opportuno il ricorso all’elezione popolare, perché il Capo dello Stato abbia l’autorità ed il prestigio, nell’instabilità dei Governi e nella mutevolezza dei partiti, di rappresentare qualcosa di più solido e più alto. L’immagine del pilone caduto, da cui mi sono mosso ed è motivo ricorrente del mio discorso, induce all’elezione popolare, per sostituire, in quanto è democraticamente e repubblicanamente ammissibile, quel vecchio pilone.

La formidabile obbiezione, che prevarrà qui, è il pericolo del cesarismo, del bonapartismo, dell’hitlerismo. Consento con Tosato che questo pericolo non è legato proprio all’elezione presidenziale, anziché da parte delle Camere. Sono fenomeni di ben più ampia base; terremoti che travolgono ogni anteriore ordinamento costituzionale; ed il voto del popolo è un post, non un prius. Ma insomma lo spettro della dittatura e la possibilità che si possa aprire il varco con l’elezione del popolo, spaventano i più; né chi pur ammette dittatura di Parlamento vuol contrapporle la forza autonoma di un Capo dello Stato. Se io pensassi che il cesarismo fosse sensibilmente favorito dall’elezione di popolo non sosterrei questa, in modo alcuno. Ma penso che il pericolo non è tanto aggravato, in confronto all’elezione di Parlamento, da contrappesare i vantaggi di autorità e di consolidamento del Capo dello Stato, che vengono dalla più ampia e diretta designazione. Mi sono quindi concesso – perdonate – un pur inutile gesto.

Il progetto stabilisce, per la nomina appunto del Presidente della Repubblica, un voto qualificato delle Camere riunite in Assemblea Nazionale, con l’aggiunta di due delegati di ciascun Consiglio regionale; piccolo numero di aggregati – meno di 50 – che non peserà sulla scelta da parte dell’Assemblea; e che ha soltanto un valore simbolico; alterando – e ciò non mi piace – la linearità del metodo e dell’istituto. Si è accennato alla convenienza di collegi misti più larghi; e vi sono in altre Costituzioni. A me sembra più logico adottare l’uno o l’altro sistema – elezione dal popolo tutto o dalla sola Assemblea Nazionale – senza ibride contaminazioni.

Importante come, e più, della nomina del Presidente della Repubblica, è il contenuto e l’estensione dei suoi poteri. Il progetto elenca all’articolo 83 alcuni compiti fondamentali; ma altri ve ne sono, menzionati a loro luogo, ed hanno anche maggiore rilievo: la nomina (e revoca) del Governo; la facoltà del ricorso al referendum nei conflitti legislativi fra le due Camere; e – ultima ma più forte di tutte – la facoltà di sciogliere il Parlamento.

Per quanto concerne l’elenco dell’articolo 83, Condorelli contesta che il Presidente della Repubblica possa rappresentare l’unità dello Stato. Conosco la sua nostalgia monarchica, ma chiedo al suo ingegno giuridico e filosofico perché mai il popolo non possa affidare elettivamente (anche in secondo grado, pel tramite del Parlamento) ad una persona il diritto ed il dovere di rappresentare lo Stato.

Secondo il progetto, il Presidente della Repubblica promulga, non sanziona le leggi. L’istituto della sanzione si comprendeva meglio quando il re era considerato come il terzo ramo del Parlamento. È meno ammissibile ora; e del resto – se si crede di concedere al Capo dello Stato, nel caso di suo dissenso con le Camere sopra una legge, la facoltà di chiederne il riesame, ed eventualmente di ricorrere al referendum – facoltà che gli è riconosciuta in caso di dissenso legislativo fra le due Camere – ciò si potrebbe fare, anche attenendoci al solo compito della promulgazione.

Il Presidente, per l’articolo 83, nomina i funzionari dello Stato, non in tutti i gradi, ma in quelli indicati dalla legge: chiara espressione che vince la preoccupazione dell’onorevole Nitti, che vorrebbe limitare tale intervento ai gradi più alti.

Da parti diverse, e con non eguali intenti, Orlando, Condorelli, La Rocca non vedono di buon occhio che il Capo dello Stato abbia il comando dell’esercito, ma ciò inerisce alla sua stessa funzione; avviene in tanti altri paesi; ed è garanzia che tale funzione non spetti ad un generale, ma al grande moderatore dello Stato. Sugli altri punti dell’articolo 83 nessun contrario rilievo.

È stato osservato, fuori di qui, che in complesso il Presidente della Repubblica italiana avrebbe meno poteri che in Francia, dove può convocare e presiedere il Consiglio dei Ministri, rivolgere messaggi alle Camere e chiedere il riesame delle leggi. Non sono per mio conto favorevole al primo punto, perché le funzioni di Capo dello Stato e di Capo del Governo vanno ben distinte; mentre mi sembra che nulla vieti, anche nel silenzio della Costituzione, l’invio di messaggi al Parlamento. Abbiamo già posta la possibilità di concedere al Presidente della Repubblica una potestà sospensiva, per far riesaminare le leggi.

L’affermazione della minor ampiezza di poteri nella nostra di fronte alla Costituzione francese risulta poi definitivamente inesatta, quando si tenga conto che in Francia il Capo dello Stato non ha la facoltà di sciogliere le Camere; disposizione di tale importanza che, mi pare d’averlo accennato, induce Mortati a dire il nostro tipo di Repubblica semiparlamentare.

Il Presidente della Repubblica italiana non sarà un fantoccio, come teme Orlando, in uno degli impeti appassionati della sua superba giovinezza mentale. Codacci Pisanelli dice che ha poche funzioni, e bisogna aggiungerne altre; La Rocca che ne ha troppe, e bisogna toglierne. Nella mia relazione scritta al progetto ho, insistendo sulla figura del Capo dello Stato, cercato di metterla in luce; e non voglio ripetermi. La sua è una magistratura di persuasione, di equilibrio. Egli è il grande moderatore e regolatore dei poteri dello Stato. Il capo spirituale, più che il capo materiale, della vita comune. È un ruolo altissimo; certamente il più alto; né occorrono a ciò personalità piuttosto mediocri, come insiste l’onorevole Nitti; ed anche l’onorevole Clerici, che ha voluto citare il cardinale Bentivoglio al riguardo dei papi. No; l’esempio attuale, pel Capo della Chiesa e per quello dello Stato, smentisce l’asserto che non stiano bene a tal posto uomini di elevatissima statura e di eccezionale capacità. Le funzioni di Capo dello Stato sono diverse da quelle di Capo del Governo; e possono richiedere speciali attitudini; è opportuno che il Presidente della Repubblica sia, per temperamento e per abito, un po’ al di su della mischia; ma non fantoccio; no; né come carica né come persona.

Poche parole mi restano per il Governo; che deve essere – non sono mancate pur qui voci in tal senso – un Governo forte. Non già nel senso consacrato dal fascismo di una priorità dell’esecutivo sul legislativo, che riaffiora oggi in qualche aspirazione di costituzionalisti, specialmente francesi. No; senza arrivare alla dittatura del Parlamento tutto, la democrazia esige una prevalenza del Parlamento nel quadro di uno Stato di diritto. Ma ciò non vuol dire debolezza e precarietà di Governi; e l’esecutivo deve avere – lo riconosce almeno teoricamente anche l’onorevole Gullo – una sua autonomia. L’esecutivo deve essere fondato sulle leggi, che pongono il limite della sua attività; ma nella vita dello Stato, come in quella dei singoli, l’azione e l’iniziativa hanno il loro giuoco ed il loro campo. Un Governo, che sia ombra vana e commesso puro e semplice del Parlamento, non potrebbe dirigere e guidare, come gli spetta, la cosa pubblica.

A simili fini mira il progetto; e ferma due punti, che sono contestati. Si vuol col primo evitare la eccessiva instabilità dei Governi (la Francia ne ebbe un centinaio in cinquanta anni). Soltanto Fuschini non terne il malanno di una così estrema mutevolezza; e dice che, in fondo, non vi era coi grandi parlamentari del passato; che torneranno anch’essi; ed allora tutto andrà bene. (Purtroppo, però, Giolitti nella sua ultima prova non riuscì affatto; ciò che mostra come influisca l’ambiente). Uno sforzo di affidare anche a nuovi istituti una maggiore durevolezza di gabinetto non sembra trascurabile. Il progetto di Costituzione dà vita all’istituto della fiducia e della sfiducia da parte dell’Assemblea Nazionale. Appena formato, un Governo deve a questa chiedere la fiducia; ed ha diritto di appellarsi all’Assemblea contro il voto di sfiducia di una sola Camera.

Rubilli e Fuschini impugnano la efficacia di questo congegno; e fanno rilievi meritevoli di attenzione: come riuscirà un Governo a tenersi in sella se, pur avendo racimolato una maggioranza di stretta misura nell’Assemblea Nazionale, una delle due Camere continuerà a votargli contro ed a rendergli impossibile la vita? Per camminare – ha esclamato in una sua caustica interruzione Fabbri – bisogna avere due gambe, non una sola. L’istituto è stato difeso da Tosato, che ha riconosciuto la necessità di abiti e metodi nuovi negli atteggiamenti di fronte ai Governi. La questione è riaperta; ed anche se si dovesse abbandonare l’espediente del progetto, bisognerebbe ricorrere a qualcosa d’altro, almeno per evitar le sorprese ed i cambiamenti bruschi.

A critiche ha pur dato luogo un altro punto del progetto, che introduce la figura del Primo Ministro; né vi è da scandalizzarsi, perché è ormai cosa realizzata, di fatto, dovunque, in ogni Stato a regime parlamentare e di gabinetto; e non si è che tradotto il fatto in un articolo, del resto prudente e misurato, di Costituzione. L’onorevole La Rocca protesta; ed è arrivato persino a contestare il potere di coordinamento dell’attività dei Ministri. Senza coordinamento come potrebbe funzionare un Gabinetto? Gullo trova contradittorio ed insostenibile quanto dice l’articolo 89 sulla responsabilità del Primo Ministro per la politica generale del Governo e per la responsabilità collegiale dei Ministri per gli atti del Consiglio. Non so vedere l’illogicità; è necessario che dell’indirizzo politico risponda più specialmente un Capo; ma se i Ministri rimangono nel Governo, e prendono insieme certe deliberazioni, è giusto che assumano anch’essi la loro responsabilità. Anziché assurda, la formulazione mi appare piuttosto felice.

Il Gabinetto deve avere chi lo dirige; se no sarebbe il caos. E – ripetiamolo ancora una volta – il Governo non può essere «il Comitato della maggioranza», come disse Kelsen, senza rendersi conto delle conseguenze che ne avrebbero tratte La Rocca ed altri. Il Governo deve avere una maggioranza; ma è l’esecutivo non di un solo partito, bensì di tutto il popolo e dello Stato. Onorevoli colleghi che mi seguite con tanta attenzione, e forse vi ho stancati…

Voci. No, no.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …siamo alla fine. Agli ultimi tratti di questa parte della Costituzione. Dopo che del Governo, il progetto parla dell’amministrazione, che è non staccata ma distinta dal Governo, ha problemi e funzioni proprie; e forse, a mio avviso personale, meriterebbe qualche disposizione più ampia. Abbiamo creduto di fare cosa buona, facendo nel progetto menzione degli organi ausiliari del Governo, e possono in certo senso esserlo anche del Parlamento; organi ausiliari che, senza essere strettamente costituzionali, hanno importanza tale da trovar posto nella Costituzione. Ci pareva opportuno inquadrare e dare un moderato risalto a questi «corpi», che l’hanno nella realtà, e non sempre nell’opinione.

Non abbiamo avuto fortuna. Nitti ha trovato che il Consiglio economico nazionale è una mostruosità. Gullo ha sparato a palle infuocate contro il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.

Il Consiglio economico previsto nel progetto esiste in quasi tutti i paesi; ed in molte Costituzioni. La Costituente italiana ha inoltre votato, in via di massima, di istituire un Consiglio nazionale del lavoro, salvo coordinarlo ed unificarlo col Consiglio economico. Ne parleremo all’articolo 92; e sono convinto che in definitiva anche Nitti non farà una inutile opposizione a ciò che è richiesto dallo spirito dei tempi e dal movimento operaio.

Ringrazio Gullo di avermi messo fuori di causa, pel Consiglio di Stato, dicendo troppo cortesemente che, se io fossi eterno, non sorgerebbe il pericolo. Posso così parlare fuori del caso personale, con piena obbiettività. Conosco il valore e la coltura di Gullo; ma – poiché non posso attribuirgli il partito preso di screditare e sconvolgere, negli organi cui è affidata la regolarità amministrativa, i fondamenti dello Stato – debbo altamente meravigliarmi che, per cattiva informazione o per incomprensione, nessuna delle sue affermazioni abbia il menomo fondamento.

La sua tesi-base è che Consiglio di Stato e Corte dei Conti non sono organi costituzionali. Via dunque dalla Costituzione! Preoccupazione un po’ strana per un comunista, quando Di Vittorio ha proposto il Consiglio del lavoro, ed altri comunisti volevano far entrare nel progetto tanta roba. Via da una Costituzione, dove ha avuto cittadinanza l’artigianato…

Una voce. Ed il paesaggio!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …sì, anche il paesaggio! Senza arrivare a queste deformazioni, ripeto: «organo costituzionale» è un concetto scientifico, che elaborerà la dottrina; noi costituenti possiamo mettere nella Costituzione ciò che ci sembra necessario ed opportuno.

L’onorevole Gullo ha detto che di Consiglio di Stato e di Corte dei Conti non si parla nella Costituzione inglese (si è dimenticato che non c’è una Costituzione inglese) né in nessuna altra. Ho qui a sua disposizione un elenco per dimostrare inesatta la sua affermazione. L’inconveniente di cui Gullo si lamenta è che, messi nella Costituzione questi istituti, non si potrà modificarli che per revisione costituzionale. Per vero, il profilo fermato nel testo è così generale ed elastico che consente svolgimenti ben larghi alla legge ordinaria. Se si volesse distruggere gli istituti e toglierne i controlli essenziali (ad esempio con un colpo di mano d’un Governo e d’una maggioranza corrotta) è bene ed è democratico che si segua la più meditata e cauta via della revisione costituzionale. Non lo dimentichi l’onorevole Gullo: questi istituti sono sorti come presidio di libertà.

Ma egli non si limita all’eccezione di extracostituzionalità; considera Consiglio di Stato e Corte dei Conti come congegni ingombranti, ritardatari, antidemocratici; il che parrebbe rispondere alla concezione comunista che il Parlamento è tutto, e non sono ammessi freni e contrappesi; lo prego però di tener presente – altra informazione che gli è mancata – come i suoi compagni francesi, per negare la seconda Camera, hanno invocato e dato rilievo ai corpi ausiliari e consultivi, fra cui questi due.

L’onorevole Gullo vede specialmente nel Consiglio di Stato un pericolo pubblico, un covo di invadenza, all’agguato per un più lauto «pranzo»; si intende di competenza; ma che brutta frase, onorevole Gullo, per servitori dello Stato, fra i più degni e più alti di grado, che con la loro paga faticano a metter insieme il pranzo e la cena! L’onorevole Gullo si vale, per le sue accuse, di un documento che fa onore al Consiglio di Stato; una relazione che Gullo, come Guardasigilli, ha chiesto alla magistratura ordinaria – quella straordinaria del Consiglio di Stato ha creduto doveroso di redigere, per un opportuno contributo alla riforma dello Stato. Due incriminazioni. La prima è che il Consiglio di Stato vuole usurpare la competenza legislativa, rubandola al Parlamento. Sapete quale è la grave colpa? Il Consiglio di Stato si è offerto di collaborare alla preparazione delle leggi. Tutti si lagnano dello scarso tecnicismo e delle improvvisazioni – non coordinate – dei disegni di legge. Nell’Inghilterra il Parlamento stesso chiede aiuti; vi è nell’aula di Westminster un banco di funzionari-legali, che danno forma e precisione alle disposizioni deliberate. Da noi la legge sul Consiglio di Stato prevede già che il Governo possa chiedere il parere del Consiglio sui disegni di legge. La relazione incriminata suggerisce che si esamini l’opportunità di ciò che del resto è avvenuto già di fatto – anche recentemente – quando Governi, di cui faceva parte l’onorevole Gullo, han chiesto al Consiglio di Stato di predisporre qualche disegno di legge. Che delitto è che, invece dell’opera di un burocrate di Ministero, si affidi in dati casi tale compito ad un Corpo di più larga ed esperta competenza di tecnica legislativa! Badate bene; il Consiglio di Stato ha sottolineato che il Governo deve essere pienamente libero di dargli o no siffatti incarichi. Si è permesso soltanto – quale delitto! – di rilevare che, come è già obbligatorio sentire il parere del Consiglio sui regolamenti, lo sia anche per i decreti legislativi ed i decreti-legge; l’estensione potrà essere o no accettata, ma è evidentemente rivolta a tutelare le libertà ed i diritti dei cittadini.

Secondo titolo di accusa; nel dannato documento il Consiglio di Stato… denuncia la Corte dei Conti e vuole, per certi compiti, sostituirsi ad essa. Quanta fantasia ha l’onorevole Gullo! Il Consiglio di Stato nel brano incriminato osserva che il controllo di legittimità che spetta alla Corte dei conti sugli atti amministrativi non può, attraverso l’eccesso di potere, esercitarsi sul merito dei provvedimenti; se no si avrebbe un’efficacia rallentatrice. Tutto qui; l’onorevole Gullo non ha capito che il rilievo difende appunto l’attività del Governo, ed in tal senso si rivolge… contro lo stesso Consiglio di Stato.

Il quale – altra accusa di Gullo – non vuole assorbire le funzioni della futura Corte di garanzie costituzionali: tant’è che nella relazione ne invoca la istituzione! Ma basta ormai con rilievi così insostenibili! Una cosa soltanto voglio ricordare a Gullo, che la formulazione che non gli piace: «organo di consulenza giuridico-amministrativa e di giustizia nell’amministrazione» è bellissima, e risale allo Spaventa; ed ebbe l’adesione entusiasta dell’estrema sinistra, perché tendeva ad arginare abusi di parte opposta; perché era rivendicazione e difesa delle minoranze e dei diritti dei cittadini. Se la giustizia nell’amministrazione debba implicare una competenza giurisdizionale del Consiglio di Stato, è tesi cui hanno aderito nella Commissione i comunisti; ed è accolta nel progetto; ne parleremo a suo luogo. Qui voglio dichiarare – ed interpreto il senso della Costituzione – che sono necessari i controlli, per assicurare la legalità e la convenienza degli atti dell’Amministrazione; che tale compito non può essere esercitato dal Parlamento, quando non basta neppure a legiferare; né può essere affidato ad un organo in mano del Governo, senza garanzie di autonomia ed indipendenza, che deve avere il Consiglio di Stato. L’onorevole Terracini accennò nella Commissione che i suoi membri potrebbero essere nominati dal Parlamento. No; perché l’autonomia ed indipendenza devono esservi anche di fronte al parlamentarismo; ma fu proposto che alla scelta dei consiglieri di Stato dovessero assentire gli Uffici di Presidenza delle due Camere. Si va incontro a giuste esigenze. Si resisterà, con tutte le forze del nuovo Stato repubblicano, alle tendenze che volessero, con lo scardinare i congegni amministrativi, aprire la via al disordine ed allo sfacelo.

Ho finito. Mettiamoci ora tutti, di buona volontà, a discutere in dettaglio e concretare gli articoli di questi tre Titoli del progetto. Non vi nascondo anch’io un senso di tristezza pel modo in cui si sono riaperti i nostri lavori, proprio su quella parte che tutti chiamano la «vera» Costituzione. Si è passato da un eccesso all’altro; da una pioggia di minuti dibattiti e di interventi copiosi da parte dei costituenti a segni di assenteismo e disinteresse nell’Aula, nei partiti, nella stampa, nell’opinione. Le cose probabilmente muteranno quando si presenterà, sugli emendamenti, qualche aspetto gladiatorio e pettegolo di contrasto fra partiti. Intanto anche questi non si sono svegliati, e non hanno dato formulazioni precise alle loro tendenze. Il Comitato fa appello alla responsabilità dei capi Gruppo, di tutti i membri dell’Assemblea, dei rappresentanti della stampa. Ciò che importa è che si ravvivi nel Paese la coscienza dell’importanza che ha la formazione d’una Carta costituzionale: più importanza d’una scaramuccia personale e di una tattica di crisi. Occorre un interesse non superficiale, ma serio e profondo; come vi è stato in Francia, durante i lavori di quella Costituente. Mi auguro che il disinteresse attuale, da noi, sia dovuto ad un’eclissi temporanea, dopo il fascismo, e non ad una più radicale mancanza di educazione politica.

Noi dobbiamo ancora far molto; la mia stessa esposizione vi avrà dato l’impressione del numero e della gravità dei problemi che ci resta da risolvere; ho voluto inquadrarli nel loro insieme, perché possano essere affrontati più rapidamente; e – se vorremo – potremo perfettamente concludere in tempo, entro l’anno, i nostri lavori.

Capiterà, più ancora della prima parte, che si verificheranno in questa incroci ed incontri svariati e talvolta impensati fra partiti. Io invoco, una volta ancora, la concordia sostanziale al di sopra dei necessari dissensi. Gullo ha parlato di «compromessi deteriori», come se i suoi ne fossero sempre privi. Ripeto una volta ancora che il compromesso è indispensabile e «sacro», lo ha dichiarato un puro, Gandhi; perché fare vuol dire adattarsi; ed è lo spirito totalitario, non il liberale che nega il compromesso. Se non volete usare la parola «compromesso», ricorrete a quella che mi suggerisce l’amico Perassi; e viene da Cattaneo, il quale diceva che ogni legge è una «transazione» fra interessi ed idee diversi. Dobbiamo salvare le idealità essenziali, ed irriducibili, che sono in ciascuno di noi la ragione stessa del nostro pensiero e la nostra dignità di vita; ma ciò è possibile – e l’ho detto più volte – quando si verifichi un incontro fra le posizioni fondamentali dello spirito, che muovono le varie correnti e partiti. La Costituzione, e con essa la Repubblica, sarà poi una cosa salda se fra gli «immortali principî» dei vecchi democratici, i diritti sacri e naturali dei cristiani, le rivendicazioni dei partiti di lavoro, si riscontrerà la coincidenza di alcune idealità trascendenti e comuni; che non elimineranno le lotte; consentiranno la convivenza e la collaborazione. Un critico ha scritto che nella nostra Costituzione si sentono echi del «Credo» e della «Marsigliese»; non vi è un abisso fra il «Sermone della montagna» e la «Dichiarazione dei diritti dell’uomo», ed io vorrei, se il critico lo consente, aggiungere anche un’eco del «Canto dei lavoratori», perché neppure il «Manifesto dei comunisti» contrasta con le altre due altissime manifestazioni. È bensì necessario che non sia un centone, ma una sintesi, la transazione di Cattaneo che scende alle comuni fondamenta del pensiero e della azione.

La nostra Costituzione non pretende di esprimere la sintesi nuova; è tutt’altro che perfetta; è piena di difetti; anch’io ne ho rilevati e non sono sempre riuscito dove desideravo. Ma sarebbe ora di smettere l’abitudine italiana di dir male di noi stessi; di gridare, ciascuno di noi, che questa Costituzione è un orrore. Di Costituzioni belle al mondo non ce ne sono molte; l’inglese non è scritta; l’americana e la svizzera non sono imitabili da noi, la nuova francese (quella del 1875, non era una Costituzione, ma un coacervo di cinque leggi) è notevole; ma non è un capolavoro; non è dopo tutto superiore a questa che stiamo fabbricando. Mentre noi diciamo male di noi stessi, si alzano voci di studiosi stranieri che considerano con maggior attenzione il nostro lavoro; e trovano che, malgrado le sue pecche, è una cosa seria, non indegna del popolo italiano. Ho avuto molte amarezze, ma – lo ripeto ancora – sarei lieto di chiudere la mia vita politica dirigendo i lavori della Costituzione italiana. (Vivissimi, generali applausi – Moltissime congratulazioni).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale sopra i primi tre Titoli della seconda parte del progetto di Costituzione, e rinvio ad altra seduta la votazione degli ordini del giorno e l’esame degli articoli.

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Monticelli e Moro hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, considerata la urgenza di procedere alla approvazione del terzo comma del primo articolo delle Disposizioni transitorie, decide di sottoporne la discussione e la votazione alla prima seduta in materia costituzionale».

L’onorevole Monticelli ha facoltà di svolgerlo.

MONTICELLI. Stamane, in sede di dichiarazione di voto, a nome del Gruppo democratico cristiano, il collega onorevole Moro ha precisato che da parte nostra non vi era nessuna difficoltà perché si procedesse, al più presto possibile, alla discussione e votazione del terzo comma dell’articolo 1 delle Disposizioni transitorie del progetto di Costituzione, che riguarda le limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto del voto. Conseguentemente a questa richiesta del collega Moro, è stato presentato dall’onorevole Moro e da me un ordine del giorno che l’onorevole Presidente ha letto.

Ragioni di ordine di lavori non hanno consentito che questa sera si potesse subito discutere quest’ordine del giorno. Torniamo a pregare, quindi, l’onorevole Presidente che voglia fissare al più presto la discussione e votazione di questo comma, a dimostrazione che da parte nostra non soltanto non si è cercato in alcun modo, col voto di stamani, di dilazionare la votazione dell’articolo 47, ma che la votazione di stamani ha avuto un preciso e chiaro significato giuridico, al quale ci vogliamo esclusivamente riportare.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io debbo dichiarare che non potrei in alcun modo, per quanto mi riguarda personalmente, aderire alla richiesta dei colleghi di cui testé l’onorevole Presidente ci ha letto l’ordine del giorno.

Stamani abbiamo assistito, con una certa sorpresa, alla presa di posizione dell’onorevole Moro con una proposta sospensiva, la quale suonava stridente contrasto con quella assunta in modo molto chiaro e dal Relatore della Commissione e dallo stesso rappresentante del. Governo. Comunque possa essere giudicata quella presa di posizione della Democrazia cristiana (personalmente io non la giudico bene), io non credo che dopo quella posizione noi si sia in qualsiasi modo impegnati a portare alla prossima discussione di questa Assemblea la discussione dell’articolo 1 delle norme transitorie, prima di tutto perché la sospensione di quello che discutevamo stamani ha sorpreso parecchi degli stessi colleghi di quel Gruppo, in secondo luogo perché noi non siamo affatto impegnati da quella norma transitoria. Io credo – me lo auguro come democratico, e credo che con me se lo augurino tutti i democratici in quest’Aula, perché se non siamo una grande assemblea storica, tuttavia questa Assemblea è nella sua immensa maggioranza ancora antifascista, per la democrazia e per la libertà d’Italia – io credo che noi, prima che questa nostra Carta costituzionale sia definitiva, cioè prima del 31 dicembre, possiamo darci, e attraverso l’opera legislativa di questa Assemblea, e attraverso l’opera esecutiva del Governo (che io mi auguro non sia sempre lo stesso), alcune realizzazioni democratiche che realmente garantiscano la democrazia. Ed allora potremmo anche votare la norma transitoria e partire da un criterio di maggiore larghezza; ma è innanzi tutto doveroso che questa Assemblea compia alcuni atti che siano perfettamente chiari nella volontà di realizzazione democratica del Paese. (Commenti).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Da parte nostra non c’è nessuna difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Moro. Anzi ricordo che sono stato io il primo a ricordare, con una mia parentesi, la possibilità di stralciare l’articolo primo delle Disposizioni transitorie, e discuterlo con precedenza assoluta su tutte le altre norme, che ancora debbono essere discusse e approvate.

Chiedo soltanto all’onorevole Moro se non abbia difficoltà a sostituire una parola. Mi pare che il suo ordine del giorno dica: «Considerata l’urgenza di procedere alla approvazione»; direi invece: «di procedere alla discussione». (Commenti).

MORO. Accettiamo la proposta dell’onorevole Russo Perez

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è forse opportuno richiamare concisamente la questione, perché può essere che qualcuno dei presenti non l’abbia immediatamente alla mente. Stamane, dovendosi discutere il seguito dell’articolo 47 del progetto di legge sull’elettorato attivo, l’onorevole Russo Perez ha presentato una richiesta di sospensiva nei confronti degli ultimi paragrafi dell’articolo stesso, richiamandosi alla disposizione dell’articolo 45 del testo costituzionale già approvato dall’Assemblea, e (tuttavia non ancora definitivo, perché il progetto di Costituzione nel suo complesso non è stato approvato ancora) a tenore del quale: «Sono elettori tutti i cittadini di ambo i sessi che abbiano raggiunto la maggiore età».

Intorno a questa proposta dell’onorevole Russo Perez si è svolta una discussione piuttosto lunga, la quale si è conclusa con una votazione che ha approvata la sospensiva.

Gli onorevoli Moro e Monticelli, facendo una dichiarazione di voto in proposito, avevano dichiarato che il Gruppo democratico cristiano avrebbe votato la sospensiva con l’intesa che nella prima seduta riservata alla Costituzione venisse posto in discussione la norma transitoria. È appunto in esecuzione di questo impegno che l’onorevole Moro e l’onorevole Monticelli hanno presentato stasera questa proposta. Io desidero soltanto fare presente che, in assenza di una votazione della norma transitoria, l’esame del progetto di legge sull’elettorato attivo sarebbe arrestato e, pertanto, non potrebbe essere completato nelle decisioni. Ciò potrebbe portare a gravi conseguenze ed inconvenienti in ordine al lavoro preparatorio delle future elezioni.

Questa è la situazione di fatto.

Si è adesso aggiunta la proposta degli onorevoli Moro e Monticelli. Se nessuno chiede la parola, pongo in votazione questa proposta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ho chiesto la parola per chiarire che l’Assemblea non si deve ritenere legata… (Commenti)

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, l’Assemblea è impegnata ad una votazione.

LUSSU. Però io credo che la sospensiva si debba interpretare come sospensiva per oggi. Finito oggi si riprende la discussione. (Commenti).

PRESIDENTE. All’obiezione sollevata dall’onorevole Lussu posso rispondere ricordando il testo della proposta di sospensiva presentata stamane dall’onorevole Russo Perez. Mi sembra del resto che anche la semplice lettura del resoconto sommario chiarisca come la interpretazione dell’onorevole Lussu non sia accettabile. Dice il resoconto sommario:

«Ritiene – l’onorevole Russo Perez – che si debba sospendere la discussione sull’emendamento Schiavetti, per riprenderla quando si tratterà dell’articolo primo delle norme transitorie, ecc.».

Quindi, non si è trattato di sospendere per la seduta di stamane, ma di sospendere fino a quando non si sia deciso in merito alla norma transitoria. A ciò si è impegnata l’Assemblea quando ha votato la sospensiva.

Se i colleghi ritengono che si debba rapidamente sciogliere la condizione sospensiva per continuare la discussione del progetto di legge sull’elettorato, occorre porre al più presto all’ordine del giorno il terzo comma dell’articolo 1 delle norme transitorie; se dovessero ritenere, invece, che si possa attendere, allora non porremo all’ordine del giorno l’esame della norma transitoria, ma attenderemo, per esaminarla, la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente.

UBERTI, Relatore. È impossibile!

PRESIDENTE. Faccio presente che ciò significherebbe procrastinare l’entrata in applicazione della legge sull’elettorato, con tutte le conseguenze che ne derivano.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Mi pare che questa questione non possa essere risolta stasera, data l’assenza di gran parte dell’Assemblea… (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca, lei fa una proposta formale di sospensiva sulla decisione in merito alla proposta Moro Monticelli?

LA ROCCA. Io credo che sarebbe meglio rinviare a martedì la decisione di questa questione (Commenti al centro). Ma, comunque, non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Possiamo allora passare senz’altro alla votazione della proposta degli onorevoli Moro e Monticelli, la cui approvazione ci porrebbe l’obbligo di mettere all’ordine del giorno della prima seduta dedicata al seguito della discussione sul progetto di Costituzione il terzo comma della prima norma transitoria del progetto stesso. Così chiarita la questione, pongo in votazione la proposta degli onorevoli Moro e Monticelli.

(È approvata).

Resta allora inteso che nella prima seduta dedicata all’esame dei problemi costituzionali discuteremo sul terzo comma della prima norma transitoria, aprendo così una breve parentesi nella discussione sui primi tre titoli della seconda parte del progetto di Costituzione. Ciò avverrà probabilmente nella seduta di martedì mattina; ma l’ordine del giorno della seduta di martedì verrà stabilito in quella di lunedì.

RUSSO PEREZ. E domani mattina?

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, lei sa che, di solito, la mattina non si procede all’esame dei problemi costituzionali: lei mi chiederà allora: e perché martedì prossimo invece sì?

Perché nella seduta pomeridiana dello stesso martedì avrà inizio, come lei sa, la discussione intorno alla mozione di sfiducia al Governo e allora l’esame del progetto di Costituzione verrà trasportato alle sedute antimeridiane. E poi il sabato, lei lo sa, ha sempre una mattinata di lavori, dirò, approssimativi.

Interpellanza e interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza con richiesta di urgenza:

«Al Ministro della difesa, sulla situazione venutasi a creare con la riammissione in servizio permanente effettivo degli ufficiali che furono Sottosegretari di Stato per l’aeronautica con la repubblica fascista; e sulle gravi sperequazioni createsi con l’applicazione della legge sullo sfollamento.

«Nobile».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Risponderò nella seduta di lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Sono inoltre pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, sulle misure disciplinari che egli intende prendere nei confronti degli ufficiali e funzionari della polizia celere e della pubblica sicurezza, che hanno tollerato senza intervenire il canto di inni fascisti da parte di gruppi faziosi in Roma, i giorni 17 e 18 settembre, rispettivamente in Piazza Ungheria e al Foro Traiano.

«Pajetta Giuliano, Lussu, Giua, Pressinotti, D’Onofrio, Minio, Barontini Ilio, Zanardi, Macrelli, Gasparotto, Vernocchi».

«Al Ministro dei trasporti, per sapere se intenda prendere urgenti provvedimenti per ottenere che molti Comuni della Sardegna, ora completamente isolati, siano allacciati alle linee pubbliche automobilistiche.

«Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Giua, Murgia, Mannironi, Corsi».

«Al Ministro della marina mercantile, per sapere quale criterio intenda seguire nella assegnazione del terzo lotto disponibile delle navi Liberty; ed in particolare se non ritenga almeno questa volta, dopo aver sodisfatto largamente le esigenze degli armatori del Nord, di dovere assegnare una delle navi alla Sardegna, che ha estremo bisogno di mezzi adeguati per le esigenze sempre crescenti del traffico marittimo.

«Mannironi, Mastino Pietro, Lussu, Mastino Gesumino, Carboni Enrico, Chieffi, Murgia».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Interesserò i Ministri competenti affinché facciano conoscere quando intendano rispondere.

Sui lavori delle Commissioni permanenti per l’esame dei disegni di legge.

PRESIDENTE. Adesso vorrei rivolgere una preghiera ai membri dell’Assemblea. Stamane la terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge non ha potuto tenere seduta, e neanche ieri, per la mancanza del numero legale. Ora, bisogna che gli onorevoli colleghi tengano presente che vi è una disposizione, votata dall’Assemblea stessa, a tenore della quale i progetti di legge avviati dal Governo alle Commissioni permanenti devono essere esaminati entro un determinato termine, scaduto il quale il Governo è autorizzato a darvi corso anche senza avviso.

Se le sedute delle Commissioni permanenti vanno deserte, si annulla quella forma di controllo che l’Assemblea ha ritenuto di dover esercitare sul Governo, decidendolo con una disposizione che ha costituito, in fondo, una modificazione della stessa legge istitutiva dell’Assemblea. Sarebbe opportuno che, essendoci attribuiti questo diritto, al diritto dessimo corso e lo esercitassimo, e cioè sarebbe bene che nelle Commissioni permanenti non si verificasse troppo frequentemente l’assenza del numero legale con l’impossibilità conseguente di tenere sedute regolari.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Sono membro della terza Commissione e tengo a spiegare all’onorevole nostro Presidente ed agli onorevoli colleghi che la nostra Commissione non si è potuta riunire non per mancanza del numero legale, in quanto il numero non importava, ma per l’assenza del Ministro, il quale aveva chiesto di essere personalmente sentito, dovendosi discutere la riforma dei consorzi agrari – legge fondamentale gravissima – per la quale era necessario avere dal Ministro schiarimenti e precisazioni; e il Ministro stesso aveva riconosciuto questa necessità. Il Ministro, d’altra parte, era pienamente giustificato nella sua assenza, in quanto era impegnato, come tutti sanno, nel tentativo di conciliazione della vertenza dei braccianti con gli agrari del Nord d’Italia.

Ritengo, quindi, di poter affermare che la terza Commissione è pienamente giustificata se non ha potuto tenere le sue sedute.

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, stabiliamo l’ordine del giorno per la seduta di domani. Domani è sabato, quindi si terrà una sola seduta, quella mattutina, che sarà completamente dedicata allo svolgimento di interrogazioni.

Avevamo detto di dedicare quaranta minuti di ogni seduta mattutina alle interrogazioni; nel corso di questa settimana ciò non è stato possibile; cerchiamo quindi di recuperare il tempo mancato dedicando alle interrogazioni tutta la seduta di domani mattina.

Elencherò le interrogazioni che saranno poste all’ordine del giorno. Eventualmente, se vi sono dei colleghi presenti che desiderano che le interrogazioni da essi presentate vengano poste all’ordine del giorno della seduta di domattina, lo dicano.

Vi sono anzitutto due interrogazioni dell’onorevole Riccio Stefano al Ministro dei lavori pubblici; un’interrogazione dell’onorevole Gaetano Martino al Presidente del Consiglio; un’interrogazione dell’onorevole Schiavetti e di altri al Ministro della difesa; un’interrogazione dell’onorevole Valiani al Presidente del Consiglio dei Ministri; un’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni al Ministro del lavoro; un’interrogazione dell’onorevole Di Fausto al Governo in generale; un’interrogazione dell’onorevole Bettiol al Ministro della pubblica istruzione; un’interrogazione dell’onorevole Colitto al Ministro dell’agricoltura; dell’onorevole Gotelli Angela al Ministro dei trasporti; dell’onorevole Terranova al Ministro della marina mercantile; dell’onorevole Marinaro al Presidente del Consiglio dei Ministri; dell’onorevole Colitto al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri delle finanze e tesoro; un’interrogazione dell’onorevole Zuccarini al Ministro delle finanze; dell’onorevole Persico al Ministro di grazia e giustizia; dell’onorevole Laconi al Presidente del Consiglio dei Ministri; dell’onorevole Faralli al Ministro della marina mercantile; dell’onorevole Caroleo al Ministro dei trasporti; dell’onorevole Caso al Ministro dei lavori pubblici; dell’onorevole Numeroso al Ministro della difesa.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Se il Presidente crede che ci sia possibilità di porre in questo ordine del giorno qualche altra interrogazione, chiederei di poter discutere domani quella che ho presentato stasera con carattere di urgenza, relativa ai Comuni della Sardegna non allacciati con nessun mezzo e completamente isolati.

PRESIDENTE. Bisogna che il Governo accetti la richiesta di urgenza. Prego il Governo di esprimersi in proposito.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Non posso in questo sostituirmi al collega che dovrebbe rispondere. Credo che se il Presidente parteciperà al Ministro il desiderio dell’interrogante, il Ministro certamente farà conoscere il suo avviso.

PRESIDENTE. Procurerò di far pervenire in serata al Ministro dei trasporti la richiesta dell’onorevole interrogante.

TONETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONETTI. Il Ministro dell’interno aveva detto di essere pronto a rispondere ad una mia interrogazione urgente. Vorrei che fosse fissata la data della risposta del Governo.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario onorevole Marazza, che è pronto a dare la risposta, ha fatto sapere che partirà questa sera e che fino a giovedì prossimo non sarà di ritorno.

Si potrà decidere in merito alla sua interrogazione dopo il ritorno del Sottosegretario di Stato per l’interno.

La seduta di domani, riservata alle interrogazioni, è fissata per le 10.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri della pubblica istruzione e degli affari esteri, per sapere quali misure intenda prendere il Governo per impedire che il celebre Collegio di Spagna a Bologna, istituzione antichissima autonoma per studenti spagnoli, che si rechino a studiare nell’Università di Bologna, non divenga un centro di propaganda franchista in contrasto con le direttive di politica estera del Governo italiano, e con evidente pericolo per l’ordine pubblico. E se non ritenga invece di favorire a che esso possa accogliere, per quanto può riguardare il Governo italiano, studenti universitari repubblicani spagnoli profughi dalla Spagna.

«Dozza, Zanardi, Tega, Grazia, Bernini, Colombi Arturo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della marina mercantile, per sapere quali provvedimenti – d’accordo col Ministro degli affari esteri e col Ministro dei trasporti, ognuno entro i limiti delle proprie attribuzioni e competenze – intenda con ogni urgenza prendere allo scopo di restituire dignità, importanza e specialmente lavoro a quel porto di Brindisi, il quale, dopo aver rappresentato un anello principale nella catena dei traffici e delle comunicazioni internazionali, oggi – senza nulla aver perduto dei suoi pregi naturali, della sua importanza geografica, della sua attrezzatura, della sua efficienza ricettiva e della capacità tecnica delle proprie maestranze, attualmente inerti – si è visto, con comprensibile mortificazione e danno, escluso dalla partecipazione al, sia pur modesto, bottino di traffici e comunicazioni, al quale hanno invece partecipato gli altri porti prevalentemente, ed al solito, settentrionali.

«In maniera particolare sarebbe sperabile che al troppo negletto porto di Brindisi attracchino, in modo periodico, piroscafi di grano e di carbone.

«Lagravinese Pasquale, Rodi, La Gravinese Nicola, Ayroldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per combattere il tragico problema della disoccupazione nella provincia di Napoli.

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno estendere ai contadini dell’Italia meridionale l’amnistia già concessa a quelli del Centro-Nord per i fatti avvenuti in occasione dell’occupazione e della concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate.

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per sapere se non ritengano opportuno dare disposizioni agli Ispettorati provinciali dell’agricoltura e ai Comitati provinciali prezzi, affinché venga controllato se la misura dell’aumento, apportato di propria iniziativa dai privati venditori di acqua di irrigazione, è equo e fondato.

«I prezzi ora praticati dai proprietari di cavi in provincia di Pavia sono, in taluni casi, anche di sessanta volte superiori ai prezzi dell’anteguerra; soprattutto è riprovevole il fatto che a tali aumenti si giunga talvolta con richieste perentorie nei confronti specialmente dei coltivatori diretti, ai quali si minaccia la sospensione della fornitura, qualora la richiesta patronale fosse ricusata o discussa.

«Il prefetto della provincia di Pavia, nella primavera del 1946, emise un decreto con il quale il prezzo dell’acqua irrigua era fissato a sei volte il prezzo del 1936, creando peraltro una Commissione conciliatrice per i casi discutibili; ma tale misura, e specie la seconda, non ebbe poi pratico seguito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferreri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non sia possibile consentire ai laureati, che abbiano superato il 26° anno di età e che aspirino a partecipare ai corsi allievi ufficiali dell’esercito, di ritardare la presentazione alle armi fino a quando non saranno riaperti i corsi suddetti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvidenze siano allo studio per assicurare la necessaria assistenza continuativa alla infelice categoria dei ciechi, ravvisandosi inadeguata la legislazione esistente per soccorrerli, inadeguata anche per garantire una occupazione redditizia ai rieducati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, al fine di un maggior incremento di produzione granaria per la prossima annata, di provvedere immediatamente:

  1. a) perché ai coltivatori non autosufficienti e agli autosufficienti con quintali 1,80 sia consentito di prelevare il seme senza cambio;
  2. b) per quanto riguarda la provincia di Alessandria, di elevare a 52.000 quintali il contingente di grano da esonerare per seme. Ciò per due ragioni: la prima, per avere grano da seme sufficiente da distribuire anche alle categorie sopramenzionate; la seconda, per un atto di giustizia verso coloro che hanno coltivato e conservato il grano in spiga fino a stagione avanzata per portarlo a una maggiore maturazione e che, pur avendo la dichiarazione di idoneità, si vedono esclusi per la ridotta quantità dal contingente stabilito.

«Da notarsi che senza loro colpa sono privati perfino del diritto del premio di sollecito conferimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali ragioni impediscono che siano appaltati i lavori della strada Trignina (77) in provincia di Campobasso, per la quale sono stati stanziati i fondi necessari sin dal maggio scorso.

«Il ritardo, assolutamente ingiustificato, è stato già di grave danno perché, col giungere dell’inverno, sarà impossibile, a causa del maltempo, eseguire i lavori.

«La Trignina (n. 77) è strada di importanza vitale per la zona dell’Alto Molise, ottenendosi con essa, dopo oltre 60 anni di attesa, la possibilità di comunicazioni dirette con gli Abruzzi.

«L’esecuzione dei lavori è, adunque, di particolare urgenza ed ogni indugio è quanto mai dannoso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camposarcuno».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se risponde a verità quanto è stato dichiarato al giornale Il Globo del 21 agosto 1947, n. 195, dal sindaco di Napoli, e cioè che sarebbero state superate presso il Ministero dei lavori pubblici le difficoltà sorte da parte di Enti della provincia di Campobasso in merito alla distrazione delle acque del fiume Biferno, che dovrebbero alimentare, con quelle del Torano, l’acquedotto sussidiario di Napoli.

«In merito all’importante argomento fu presentata una interrogazione alla quale il Ministro dette risposta il 7 luglio scorso, assicurando che le ragioni addotte dagli interroganti contro l’eventuale distrazione delle acque del Biferno dal Molise erano fondate e da lui condivise.

«Non trovano, adunque, logica spiegazione le affermazioni del sindaco di Napoli riportate dal giornale indicato.

«Si ricorda ancora una volta quanto è stato già segnalato insistentemente al Ministro e cioè che l’acquedotto sussidiario di Napoli può essere alimentato senza distrarre le acque del Biferno, ma utilizzando razionalmente le acque del Volturno, altro fiume molisano, già sfruttato a favore di Napoli.

«Le acque del Biferno – unica residua risorsa idrica della Regione – non devono essere tolte, neanche parzialmente, al Molise, ove oltre ottanta comuni sono sprovvisti di acqua, ove sono pianure da irrigare, centrali elettriche da alimentare, zone malariche da bonificare. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Camposarcuno, Ciampitti, Colitto, Morelli Renato».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Interrogazioni.