ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCXXXIV.
SEDUTA DI VENERDÌ 26 SETTEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Annunzio di una proposta di riforma del Regolamento:
Presidente
Svolgimento di mozioni:
Presidente
Nenni
Togliatti
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Interrogazione (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Annunzio di una proposta di riforma del Regolamento.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata dagli onorevoli Fuschini, Uberti, Rodinò Ugo, Scalfaro, Caronia e Avanzini una proposta di riforma dell’articolo 97 del Regolamento, del seguente tenore:
«Sostituire l’ultimo comma con il seguente:
«Nel concorso di diverse domande, quella dell’appello nominale prevale su tutte le altre; quella dello scrutinio segreto prevale sulla domanda di votazione per divisione nell’aula».
Sarà stampata e trasmessa alla Giunta del Regolamento alla cui convocazione provvederò nella prossima settimana.
Svolgimento di mozioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle seguenti mozioni:
«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo, ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.
«Nenni, Basso, Romita, Cosattini, Faralli, Giacometti, Giua, Jacometti, Lizzadri, Morandi, Nobili Tito Oro, Cacciatore, Stampacchia, Tonello, Vernocchi».
«L’Assemblea Costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.
«Togliatti, Scoccimarro, Longo, D’onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria, Laconi».
«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici. Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.
«Canevari, Saragat, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti, Cairo».
L’onorevole Nenni ha facoltà di svolgere la sua mozione.
NENNI. (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, sulle ragioni che hanno determinato il Gruppo parlamentare del Partito socialista italiano a presentare una mozione di sfiducia al Governo, di cui si inizia oggi la discussione, sono state dette cose e diverse e contradittorie, tutte poco rispondenti alle nostre vere intenzioni. Probabilmente, il Partito socialista italiano, a nome del quale parlo, è il meno complicato dei partiti di quest’Aula. Non aveva in ogni caso e non ha motivi arcani e misteriosi per presentare all’Assemblea una mozione di sfiducia nel Governo. C’era l’impegno generico del Governo di sottoporre alla Costituente l’esercizio provvisorio, ciò che avrebbe offerto l’occasione ad una discussione completa della politica del Governo e dei singoli bilanci. Ragioni (molto probabilmente indipendenti dalla volontà del Capo del Governo e dei Ministri) hanno impedito che ciò si facesse. Ci è quindi sembrato che, avendo nelle settimane trascorse, quando l’Assemblea era in vacanza, accentuato il carattere della nostra opposizione, fosse doveroso verso la Costituente e verso il Paese, offrire a noi, agli altri partiti, al Governo l’occasione di un ampio dibattito.
Abbiamo quindi presentato la nostra mozione di sfiducia per rispetto verso l’Assemblea e col sentimento che nel Paese si possono agitare tutti i problemi rimettendosi però, per la loro soluzione, alla Costituente oggi, al Parlamento domani.
C’è anche da parte nostra il desiderio di rovesciare il Governo, creando così il presupposto per la ricostituzione nel Paese e nell’Assemblea del fronte democratico e repubblicano, il solo, secondo noi, che può realizzare una distensione nei rapporti politici e di classe, distensione che auspichiamo con tutte le forze del nostro animo, come una delle condizioni della normalizzazione della vita nazionale.
Le ragioni che fecero di noi degli oppositori, potrei quasi dire, avant lettre del quarto Gabinetto De Gasperi, furono di ordine politico, di ordine sociale, ma in modo particolare di ordine nazionale. Ci pareva e ci pare che non sia ancora venuto il tempo di esporre le istituzioni democratiche al rischio di lotte molto accentuate. Ci pareva e ci pare che, finché il Governo cumula all’esecutivo il potere legislativo, esso dovesse sforzarsi di essere rappresentativo del più largo fronte democratico e repubblicano possibile. Ci pareva e ci pare che, data la gravità della situazione economica e sociale del Paese, solo possa essere efficiente un Governo i cui atti non siano sospettati di rispondere a un partito preso e di servire determinati interessi in contrasto con l’interesse delle masse popolari.
Per codesta ragione abbiamo desiderato la discussione che oggi si inizia ed alla quale porteremo il contributo delle nostre critiche e delle nostre osservazioni.
Ritengo doveroso, mentre ci accingiamo a criticare prevalentemente la politica economica, sociale, finanziaria seguita dal Governo, premettere che c’è una situazione di fatto grave in sé, allarmante in sé, indipendente dal colore o dal carattere del Governo, una situazione che, nei suoi dati generali, resterà per parecchio tempo quella che è anche se riusciremo, come me lo auguro, a rovesciare il Governo attuale.
Ci sono delle condizioni di fatto che abbiamo ereditato dalla guerra e dal fascismo, che non hanno potuto essere ancora modificate.
Ricordare queste condizioni di fatto è per noi doveroso, non soltanto nei confronti dell’attuale Governo, ma per rapporto alle istituzioni repubblicane, che non possono essere considerate responsabili di una situazione non da esse creata, ma ereditata dal fascismo.
Soltanto i danni della guerra ascendono a 4 mila miliardi e la decurtazione complessiva subita dal patrimonio prebellico si aggira sul livello del 30 per cento.
Situazioni di questo genere non possono essere corrette né in qualche settimana, né in qualche anno. Noi abbiamo lavorato nel corso di questi ultimi due anni e il popolo italiano dovrà lavorare nel corso dei dieci, quindici e forse venti anni successivi, per pagare il disastro della politica fascista e della guerra, per ritrovare le condizioni di esistenza del 1937 e del 1938.
Quanto ai dati attuali della situazione economico-finanziaria, essi risultano da una serie di indici che nel corso del dibattito saranno valutati e approfonditi dai tecnici e che io mi limiterò ad elencare.
L’indice più grave è il deficit della bilancia dei pagamenti internazionali, a colmare il quale, molto probabilmente, di qui alle prossime elezioni di primavera, occorreranno da 7 a 800 milioni di dollari, mentre nei quattro o cinque anni successivi occorrerà probabilmente un miliardo di dollari annuo.
L’altro indice della gravità della situazione è il deficit del bilancio dello Stato. Le entrate, molto probabilmente, non supereranno i 700 miliardi e le spese, che sono state previste in 1000 miliardi, supereranno probabilmente di molto il preventivo. Le risorse della Tesoreria, all’infuori di quelle ordinarie, sembrano pressoché inaridite. La circolazione è in aumento di circa 20 miliardi al mese. Sono questi 20 miliardi che, passando nel consumo, provocano l’aumento dei prezzi.
Altri sintomi della gravità della situazione furono analizzati dall’onorevole Einaudi nel discorso che pronunziò in questa Assemblea il 18 giugno. Allora egli si soffermò in modo particolare sulla constatazione che non si forma più risparmio; altri, e i settori della sinistra, misero in evidenza la situazione difficile e in certo senso tragica dei salariati e degli stipendiati, i quali hanno visto il potere di acquisto dei loro salari e dei loro stipendi ridursi progressivamente con la svalutazione.
Un nuovo motivo di inquietudine è rappresentato dalla contrazione delle esportazioni, dovuta ai costi eccessivi all’interno ed alla concorrenza dei mercati esteri, che aumenta col graduale ritorno alla vita normale economica e commerciale di Paesi più provati del nostro nel loro apparato produttivo.
Ci troviamo così di fronte ad un problema economico, sociale e finanziario certamente molto più grave dell’analogo problema che si pone in Inghilterra e in Francia, dove, in fondo, si tratta di meglio organizzate la produzione e la distribuzione, mentre noi siamo alle prese con i problemi fondamentali di vita e di esistenza. Il panno è troppo stretto per tagliarvi tutti i vestiti che occorrerebbero.
A giudizio di uomini che sono in grado di valutare l’attuale stato delle cose del nostro Paese, sono stati superati ormai i limiti tecnici di rottura e un immenso baratro si apre dinanzi al popolo italiano, un baratro che potrebbe essere la tomba delle nostre aspirazioni sociali (Commenti al centro e a destra), della nostra indipendenza nazionale e della vita democratica dello Stato. (Commenti).
Quali erano gli impegni assunti dal Governo di fronte a questa situazione, meno grave quattro mesi fa di quanto non lo sia attualmente? Nel discorso che pronunziò in quest’Aula, presentando il suo quarto Gabinetto, l’onorevole De Gasperi prese tre impegni. Il primo sonava esattamente così: «Il nuovo Ministero assume senz’altro la responsabilità dei provvedimenti finanziari a voi sottoposti dal cessato Governo o da esso direttamente promulgato e in modo particolare fa suo il progetto dell’imposta straordinaria patrimoniale». Questo impegno il Governo lo ha mantenuto e, col concorso dell’Assemblea, è riuscito a far varare l’imposta straordinaria patrimoniale.
L’onorevole De Gasperi assumeva un secondo impegno: «Il Governo attuale accetta questi punti già codificati – si trattava dei quattordici punti cosiddetti Morandi – e si propone di attuare gli altri sulla base delle stesse direttive che il Consiglio dei Ministri antecedente, del 4 aprile, così formulava: il Governo svolgerà l’azione più strenua per la difesa della lira, secondo queste fondamentali direttive: risanamento progressivo del bilancio; contenimento massimo degli aumenti che più direttamente incidono sul costo della vita; compressione dei consumi non essenziali e stroncamento della speculazione; disciplina razionale degli scambi, degli investimenti e del credito; potenziamento della produzione mediante un maggiore rifornimento delle materie prime essenziali».
Infine il Governo dichiarava che «la difesa della moneta è la premessa di ogni altra politica; nulla può essere costruito, nessuna società può sussistere sulle sabbie mobili della moneta instabile».
Noi avanzammo allora l’ipotesi, e la preoccupazione, che il nuovo Governo, per la sua struttura, per l’indirizzo che risultava da tale sua struttura, non fosse in grado di attuare il programma elaborato dal Consiglio dei Ministri del 4 aprile, ispirato al concetto di rafforzare le discipline vincolistiche, contro le quali in realtà erano state dirette le critiche dei settori di destra dell’Assemblea e del Paese, nelle cui mani il Governo si poneva.
Oggi possiamo prendere in esame le conseguenze della politica del Governo, i risultati della politica economico-finanziaria del Governo. Il primo fatto che salta agli occhi è che il Governo ha realizzato qualche cosa che, probabilmente, non ha precedenti nella storia: è riuscito, cioè, a combinare contemporaneamente gli effetti negativi dell’inflazione e della deflazione; per cui in questo momento manca il denaro e salgono i prezzi.
Ho sentito paragonare l’onorevole Einaudi, ad un professore di anatomia patologica, che si sarebbe messo a fare il clinico, ed ho sentito dire – mi pare con ragione – che se egli ha esattamente diagnosticato la malattia di cui soffre l’economia nazionale, ha però somministrato durante il periodo più virulento del morbo i rimedi che bisognava riservare per il periodo della convalescenza.
Ciò che appare certo è che la misura principale presa dal Governo per cercare di fronteggiare ad un tempo il pericolo dell’inflazione e l’ascesa dei prezzi, cioè la contrazione del credito, non ha dato i risultati auspicati. Né c’è motivo di esserne sorpresi, giacché un’indiscriminata contrazione del credito non poteva che servire determinati interessi di carattere speculativo.
In altri Paesi, come in Inghilterra e in Olanda, invece di andare verso l’indiscriminata contrazione del credito, si è andati verso il controllo del credito, lo Stato intervenendo perché la priorità fosse assicurata a quelle branche dell’attività industriale che lavorano e producono nell’interesse dei consumi popolari e dell’esportazione, eliminando inesorabilmente ogni possibilità di crediti per le attività di carattere speculativo.
La condanna – del resto – della politica governativa è nelle cose stesse. Abbiamo avuto, fino a qualche tempo fa, un mercato nero dei prodotti alimentari, abbiamo avuto un mercato nero della produzione destinata all’esportazione; oggi abbiamo anche un mercato nero del credito, che funziona a beneficio di tutte le attività speculative, che sono quelle che possono pagare alti tassi d’interesse.
Sarebbe però un errore dire che sia in giuoco la responsabilità personale dell’onorevole Einaudi o dei Ministri tecnici: il Ministro Del Vecchio o il Ministro Merzagora.
C’è un punto sul quale, anche dissentendo su tante altre cose, ci sentiamo vicini all’onorevole Vicepresidente del Consiglio: è quando egli assume, nei confronti di determinati interessi speculativi, la difesa del tesoro, la difesa di quei cinquantacinque miliardi che devono essere destinati ad incrementare la produzione nell’interesse collettivo e che non devono andare a privati speculatori.
Di fronte alla situazione generale del Paese sono in gioco la responsabilità collettiva del Governo e quella della Democrazia cristiana. Infatti, allorché l’onorevole De Gasperi presentò il suo Gabinetto all’Assemblea, egli fece la seguente dichiarazione, implicita nel modo con cui aveva provocato e risolta la crisi ministeriale di maggio. «Il Governo – disse De Gasperi – si fonda essenzialmente sulla responsabilità politica del partito maggiore, cioè della Democrazia cristiana».
Vediamo quindi i risultati. C’è stata una spinta all’ascesa dei prezzi con conseguenze a tutti note. Il frumento è passato al mercato libero da 12.000 lire al quintale a 18. I fagioli da 17 a 20.000 lire. I bovini da macello, nonostante la notevole contrazione del consumo, hanno subito un sensibile aumento; i suini sono passati da 525 lire al chilogrammo a 700, il pollame da 500 a 600, le uova da 24 a 36, ecc.
Il Paese è inquieto di questo fenomeno e chiede una spiegazione che finora non è stata data. Si osserva, nei consumi, un disordine caotico che aumenta di mese in mese, di settimane in settimane, si potrebbe dire di giorno in giorno… (Rumori al centro). Agli onorevoli colleghi che mi interrompono dirò che queste cose io le apprendo da mia moglie quando torna dalla spesa, cosa forse che accade anche all’onorevole De Gasperi.
C’è, dicevo, un disordine caotico dei consumi regolati in base alla sola libertà che non vogliamo, la libertà della speculazione. È possibile e lecito spendere quello che si vuole e come si vuole, come se noi fossimo il paese della ricchezza e dell’abbondanza. Né in Inghilterra, né in Svizzera, neppure in Francia, non certamente al di là del famoso sipario di acciaio succedono cose di questo genere. (Commenti – Interruzioni).
Esiste la possibilità di procurarsi qualsiasi cosa, e soprattutto le cose più lussuose e più inutili, dalle scarpe di lusso alle pellicce più lussuose, dalla «vespa», ben corazzata di lamiera che manca per tante altre produzioni essenziali, alle lussuose automobili fuori serie.
Contro questa autentica anarchia dei consumi e della produzione noi abbiamo elevato le proteste le più accorate, e le più inutili. Contro di essa eleva la sua protesta la grande massa del popolo italiano, che sa che ci sono dei sacrifici da sopportare, delle limitazioni indispensabili, ma reclama un poco di giustizia distributiva e di eguaglianza davanti ai sacrifici.
Che dire poi dello scandalo dei conti valutari, sul quale il Ministro del Commercio estero spero darà all’Assemblea le necessarie spiegazioni?
Io ho l’impressione che ci muoviamo in un nero di seppia, che impedisce di veder chiaro e che forse è la condizione necessaria per ghermire la preda senza sollevare troppo scandalo e troppo rumore. Dal punto di vista finanziario la molteplicità dei cambi costituisce una frode allo Stato. Si è attribuito ai lanieri il 75 per cento della valuta liberamente negoziata. Per l’industria navale si giunge al 90 per cento. Pochi giorni or sono il Ministro del commercio estero ha fatto conoscere le nuove concessioni fatte agli industriali della seta sotto forma di compensazioni coperte da importazioni di grassi.
Si inventa una moneta nuova per ognuno dei settori che di settimana in settimana si presentano davanti al Governo. Molti sono allarmati all’interno; l’America lo è ancora di più. Il Globo ha pubblicato il 29 agosto una nota sulla quale vorrei richiamare l’attenzione del Governo e in modo particolare del Ministro del commercio estero.
La nota dice: «La missione Lombardo aveva ottenuto dal Tesoro americano che le esportazioni italiane fossero valutate convertendo in lire i dollari al cambio medio di esportazione. Alla vigilia della partenza dell’onorevole Lombardo la promessa del Tesoro era mantenuta ed il provvedimento chiarificatore firmato dal segretario del Tesoro. Era questo uno dei successi più importanti della missione ottenuto dimostrando agli americani che il nostro non era un sistema di cambi multipli, ma un sistema di compensazione di cambi diversi, attraverso il quale si formava un cambio medio economico di esportazione.
«Ma, purtroppo, lo stesso giorno in cui uscì il provvedimento, giunse a Washington la notizia che il Governo italiano aveva abbandonato il sistema dei conti valutari 50 per cento ed aveva inaugurato un sistema complicato di cambi multipli, concedendo una disponibilità per percentuali diverse di valuta alle diverse categorie di esportatori.
«La concessione americana diventava quindi inapplicabile al sistema italiano ed il provvedimento è stato perciò immediatamente sospeso».
Ci si preoccupa molto da noi se l’articolo di un giornale dell’estrema sinistra è suscettibile di determinare reazioni psicologiche o sentimentali al di là dell’Atlantico.
Vorremmo che ci si preoccupasse anche di provvedimenti, che hanno certamente compromesso, in parte, il successo della missione Lombardo.
Contemporaneamente a tutte queste caotiche provvidenze, ai cambi multipli, agli interventi in favore di determinati settori, resta caratteristica del Governo l’assenza di un piano di valorizzazione dei prodotti agricoli ed in modo particolare dei prodotti agricoli del Mezzogiorno.
La tendenza generale è di vivere giorno per giorno, confidando misticamente non più nello «stellone» dei nostri avi, ma nella provvidenza, che ora sta di casa negli Stati Uniti.
Il disordine, la speculazione, lo sperpero caratterizzano lo stato attuale della nostra economia, mentre la miseria e la minaccia della fame investono masse sempre più vaste della popolazione operaia e impiegatizia.
Ecco, dopo un’esperienza di alcuni mesi, il risultato dell’azione economica dell’onorevole De Gasperi. Ecco il risultato del sostegno, chiesto a quello che il mio compagno Morandi ha chiamato «il quarto partito» che doveva sostituire al governo il partito o i partiti della classe operaia e che lo ha effettivamente sostituito, ma a beneficio di interessi particolari, che sono in flagrante contraddizione con l’interesse generale della Nazione.
Quanto a noi, noi continuiamo a chiedere al Governo di scegliere fra la concezione liberista e quella vincolista. Questa scelta noi la domandiamo non in nome delle nostre preferenze teoriche, ma in funzione dei concreti interessi del Paese.
È il dibattito di tutti i Paesi. Esso ha posto recentemente di fronte alla Camera dei Comuni il Primo Ministro Attlee e l’ex Primo Ministro Churchill. Esso ha avuto eco nella più recente attività di tutti i governi. In ordine di fatto esso è stato risolto a favore delle discipline vincolistiche e contro il concetto del liberismo e della libertà economica. Pochi giorni or sono il Ministro Bevin, parlando ai minatori di Southport, constatava che il trionfo delle teorie liberiste avrebbe significato in Inghilterra, come altrove, la riduzione del tenore di vita e la porta aperta alla fame. Ora, signori, da noi, le porte sono già abbastanza aperte alla fame data la situazione che abbiamo ereditata dal fascismo e dalla guerra; da noi la situazione è già di per se stessa troppo grave perché si possa esitare di fronte alla necessità di rafforzare, invece che di rallentare, la disciplina economica, la disciplina della produzione e quella dei consumi.
C’è qualcuno che trova che si possono risolvere tutti i problemi con un’estrema facilità; c’è qualcuno, che di fronte alla considerazione ovvia, che la struttura burocratica del nostro Paese è troppo pesante, trova che si potrebbero licenziare cento, duecento, trecentomila impiegati. C’è qualcuno che ha già in tasca la soluzione del problema dei costi industriali dei quali si fa risalire la responsabilità all’eccesso di mano d’opera. Buttare sul lastrico operai e impiegati sono operazioni chirurgiche che sembrano facili quando si enunciano; che sono molto difficili se si tenta di realizzarle. Sono comunque soluzioni di fronte alle quali si pone poi il problema: sussidi o piombo. E non c’è una terza via; non c’è una terza soluzione. Non si può accrescere il numero dei disoccupati se non si è in condizione di fare una larga politica di sussidi e di assistenza. Uno scrittore liberale, il Paggi, proprio in questi giorni ha scritto: «se si vuole fare una politica liberistica piena, bisogna pensare a riempire le cartucciere dei carabinieri, per mantenere l’ordine pubblico contro le folle che da essa saranno affamate». Così si è fatto molte volte nella storia: lo si è fatto nella storia del nostro Paese e lo si è fatto nella storia degli altri Paesi.
Senonché la fame ha tendenza a mordere, e non è lecito a nessuno di scherzare né con la fame né con le cartucciere piene. (Applausi a sinistra).
Noi non crediamo che possa costituire un intralcio allo sviluppo economico del Paese l’esigenza da noi posta di una disciplina razionale nei settori fondamentali della produzione e del consumo. Noi riteniamo giunto il momento (e su questo domandiamo di conoscere l’opinione del Ministro del commercio con l’estero) di unificare i cambi con la totale avocazione allo Stato della valuta. Ricordo all’attuale Ministro del commercio con l’estero, ricordo al Presidente del Consiglio, che quando fu approvata la legge Bracci del 50 per cento, fu stabilito in modo tassativo dal Ministro proponente che si trattava di un provvedimento contingente e provvisorio, destinato a mettere in condizione il Ministero del commercio con l’estero di organizzarsi per procedere poi al monopolio dei cambi, ciò che implica l’abolizione dei cambi multipli o fittizi, come gli attuali.
Riteniamo anche che ci sia nel campo della politica tributaria qualcosa da fare, molto da fare, per colpire tutti i redditi superiori al livello alimentare, quando non siano destinati a fini essenziali di produzione per il consumo interno o per l’esportazione.
Si è affacciata recentemente l’esigenza di una severa politica del lavoro. Ci si è chiesto se siamo disposti a reclamare, con lo stesso ardore con cui reclamiamo misure vincolistiche sull’attività industriale e bancaria, una ferrea disciplina del lavoro. Rispondiamo di sì, a condizione che non si lesini la necessaria contropartita. Voi avrete il diritto di reclamare una ferrea disciplina dalla classe operaia quando avrete dimostrato di riconoscerne la funzione nella nuova civiltà del lavoro. (Applausi a sinistra).
Onde torna opportuno richiamare l’impegno di tutti i partiti, l’impegno anche della Democrazia cristiana, di dare forma concreta e legale ai consigli di gestione. È un atto che la classe operaia attende con la maggiore impazienza in quanto esso segna appena un passo innanzi sul controllo operaio deciso da Giolitti nel 1920.
In verità, signori, nel nostro programma di emergenza, di socialista c’è poco o niente; è un programma socialista nella misura in cui la miseria grida giustizia sociale e ogni sforzo di giustizia sociale è socialista, è un socialismo, che dovrebbe essere comune a vasti settori dell’Assemblea Costituente.
Onorevoli colleghi, si è fatta qui e fuori di qui la critica la più viva delle esperienze di pianificazione in atto in altri Paesi. Nessuno però può negare che dall’Inghilterra alla Cecoslovacchia, alla Polonia, lo sforzo ricostruttivo si svolge secondo linee più armoniche e con una tendenza a sacrificare tutto quanto non è assolutamente indispensabile e urgente secondo il criterio della priorità degli interessi generali su quelli particolari.
Lo stesso non si può dire del nostro Paese dove assistiamo ad una dispersione di sforzi, di capitali, di ferro, di cemento, impiegati per opere di lusso che possono aspettare cinque anni, dieci anni, senza danno per la collettività, mentre sono trascurate opere indispensabili di utilità pubblica, specialmente nell’Italia meridionale e in generale nelle regioni più duramente colpite dalla guerra.
Tuttavia qualunque sia il giudizio, che si può dare in sede teorica circa i pregi e i difetti del liberismo o del vincolismo, nessuno può negare che in periodo di penuria, di crisi, quando le cose mancano, quando nessuno può compiere il miracolo di adeguare il consumo ai bisogni, la soluzione unica ed indispensabile è il rafforzamento delle discipline vincolistiche.
Il problema per noi si pone in questi termini: o l’Italia diventa un grande cantiere, in cui ci sia lavoro per tutti e in cui tutti siano ricondotti ad un tenore di vita medio, oppure andiamo, con l’autunno e l’inverno che battono alle porte, verso tempi più duri.
E qui vorrei dire, signori, una parola sulle agitazioni operaie, che hanno sollevato tanto scalpore e tanto scandalo.
Vorrei, intanto, premettere un dato, del quale non dobbiamo dimenticarci quando parliamo del contributo delle classi lavoratrici alla ricostituzione della ricchezza nazionale. Se i salari e gli stipendi avessero seguito la svalutazione e l’aumento dei prezzi, oggi si pagherebbero in Italia mille miliardi di lire di salari e di stipendi, e se ne pagano invece la metà; ciò che significa che le classi lavoratrici e impiegatizie concorrono alla ricostituzione della ricchezza nazionale con un tributo di cinquecento milioni annui. (Commenti).
Voci. Miliardi!
NENNI. Scusate, è la confusione di chi come me non è adusato ancora alle cifre astronomiche.
Si è creata la leggenda, che le agitazioni sono l’opera di sobillatori. (Commenti al centro e a destra). Io ho i capelli grigi e ricordo che 30, 35 anni fa i moderati del nostro Paese non sapevano dare altra spiegazione, di fronte ai fatti sociali. Allora era un sobillatore Malatesta, era un sobillatore Filippo Turati, era un sobillatore don Albertario. Adesso ai sobillatori si danno nomi diversi, ma la mentalità è la medesima: è la mentalità di chi crede che l’azione di qualche uomo, di qualche organizzatore possa determinare movimenti di fondo che sono la espressione della volontà collettiva di larghi strati della popolazione.
La verità è che nelle organizzazioni operaie, nelle organizzazioni politiche sono più numerosi coloro che hanno fatto i pompieri di coloro che hanno fatto i sobillatoti. Filippo Turati disse, una volta, una parola che fece scandalo, disse che egli aveva fatto il poliziotto nel 1904, all’epoca del primo sciopero generale. Oggi ci sono molti organizzatori sindacali che potrebbero dire, come Filippo Turati, che fanno i poliziotti. Non c’è bisogno di sobillatori perché una situazione grave come l’attuale determini vasti movimenti di massa, allorché il popolo non ha fiducia nel Governo e nella classe dirigente a cui sono affidati i destini della Nazione.
Lo sciopero dei braccianti ha avuto la sua giustificazione nei suoi stessi risultati: erano così ragionevoli le cose che da settimane e da mesi le organizzazioni reclamavano, che si è potuto dare loro soddisfazione. Si grida allo scandalo perché i braccianti hanno fatto lo sciopero quando si avvicinava l’epoca del raccolto del riso! Signori, volevate dunque che i braccianti incrociassero le braccia alla vigilia di Natale? (Si ride).
È in corso in questo momento una grave agitazione dei metallurgici, la quale ha dato i luogo ad una sospensione di lavoro di 48 ore. È facile fare il conto di quello che può essere stato il danno per la diminuita produzione: senonché, quando l’onorevole De Gasperi ci presenterà il conto delle giornate di lavoro perduto, noi lo pregheremo di mandarlo agli industriali (Applausi a sinistra) che sono responsabili dell’attuale situazione di tensione.
Che cosa chiedono i metallurgici? Chiedono l’orario settimanale di 40 ore per poter assorbire la mano d’opera disoccupata; chiedono che siano istituiti degli incentivi di produzione a favore di tutti i lavoratori, operai, tecnici e impiegati, allo scopo di migliorare e di aumentare la produzione.
Dovremmo, se mai, esser noi, per fedeltà a taluni dei nostri principî, a sollevare dubbi su misure che i sindacalisti di un tempo stimavano proprie ad indebolire lo spirito unitario di classe degli operai.
Oggi l’organizzazione sindacale, ponendo al di sopra degli interessi delle singole categorie gli interessi della Nazione, rinunzia a quella che fu, in altri tempi, una specie di pregiudiziale contro i cottimi e i premi di produzione e sono proprio gli industriali che si oppongono – con argomenti che io non riesco a capire, tanto mi sembrano contrari ad un tempo all’interesse della produzione e al loro proprio interesse.
Ci sono altre agitazioni, che rischiano di tornare sul tappeto. C’è l’agitazione degli statali in favore della scala mobile, agitazione che risponde ad un assoluto principio di giustizia. Il blocco degli stipendi è giustificato, nella situazione attuale, e rappresenta anch’esso un contributo che gli impiegati pagano alla ricostituzione della ricchezza nazionale. Ma il blocco degli stipendi non è giusto che se, dall’altra parte, c’è il bloccò dei prezzi. E voi non potete condannare vaste categorie, che guadagnano meno del necessario per vivere, ad assistere all’aumento dei prezzi senza avere un modo meccanico (di una meccanica a ritardamento) che permetta loro di adeguare gli stipendi al costo della vita.
Ci sono i pensionati che continuano e continueranno a dare dei dispiaceri al Ministro del tesoro. Ma non c’è bisogno di nessun sobillatore per muovere un uomo che ha servito per trenta o quarant’anni lo Stato, e oggi riceve 3-4-5 mila miserabili lire, con le quali dovrebbe far fronte al peso dell’esistenza.
Né credo si possa parlare di esagerazioni e di demagogia rispetto alle rivendicazioni presentate col manifesto del 25 agosto della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, e che noi domandiamo ancora una volta siano prese in seria considerazione. Sono cinque punti ispirati a criteri di moderazione e di pubblico interesse:
1°) applicare il tesseramento differenziale per i meno abbienti (e i conti del Ministro o dell’Alto Commissario per l’alimentazione hanno in proposito poco convinto e convincono poco);
2°) la cessione da parte degli industriali di proporzionati quantitativi di viveri, di calzature, di tessuti e di altri generi necessari, agli Enti comunali di consumo;
3°) il controllo dei costi di produzione, con la partecipazione dei consigli di gestione, delle commissioni interne, dei rappresentanti dei consumatori;
4°) la partecipazione dei lavoratori e dei consumatori alla nuova commissione centrale e a quelle provinciali per la fissazione e il controllo dei prezzi;
5°) l’anticipazione dell’entrata in vigore dell’aumento e della normalizzazione delle razioni di pane, di pasta e dei supplementi di zucchero ai giovani e ai vecchi.
Chi può parlare di demagogia? Dov’è l’esagerazione? (Commenti al centro). Cosa c’è in queste rivendicazioni che non rappresenti una reale esigenza scaturente dalle condizioni stesse della vita sociale?
Infine, le manifestazioni del 20 settembre. (Commenti al centro e a destra). Già, ci eravamo dimenticati che il 20 settembre coincidesse con la breccia di Porta Pia. (Ilarità al centro). Vi state incaricando voi di ricordarcelo e di ricordarci che esiste ancora un problema di libertà spirituale. (Applausi a sinistra).
Le manifestazioni del 20 settembre non sono state né organizzate né dirette per esercitare una pressione sull’Assemblea. (Commenti al centro e a destra).
Esse avevano uno scopo e un fine che, col vostro permesso, ci compiacciamo di considerare raggiunto!
Si trattava di portare di fronte a tutta la opinione pubblica del Paese i problemi di determinate categorie attorno ai quali certi giornali avevano fatto una campagna sistematica di travisamenti.
Non so quale sia la vostra concezione della democrazia. (Commenti al centro e a destra). Per noi la democrazia è l’obbligo di render conto a tutto il Paese di determinate campagne e di determinate agitazioni, ed è quello che i partiti che presero l’iniziativa delle manifestazioni del 20 settembre hanno fatto.
Me ne dispiace per voi, ma tutte le relazioni indicano che le manifestazioni per importanza, disciplina, ordine… (Rumori al centro).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, conserviamolo almeno qui l’ordine!
NENNI. …hanno raggiunto e forse superato i risultati di quelle del 1° maggio 1945, quando per la prima volta, dopo una lunga parentesi, i sindacati ricomparvero sulle strade dietro le loro bandiere! (Commenti).
MAFFI. (Accenna al centro). Vi rincresce!
Voci al centro. No, ci hanno fatto molto piacere!
NENNI. Ho paura che la vera natura di quello che voi siete risulti molto di più da queste vostre interruzioni che dai vostri discorsi! (Applausi a sinistra).
Onorevoli colleghi, noi non abbiamo in questo settore nessun particolare problema politico da prospettare davanti all’Assemblea. Consideriamo che in questo momento non vi sono grossi problemi politici aperti. Consideriamo liquidata la lotta fra antifascismo e fascismo, anche se, come è inevitabile, talune nostalgie e talune irritazioni cercano di farsi strada, legate ancora al passato, espressione di esigenze di difesa, non volte all’avvenire.
Consideriamo chiuso il problema istituzionale. Aveva ragione l’onorevole Nitti quando disse in questa Assemblea che se i problemi istituzionali non accalorano troppo il Paese è perché noi li abbiamo formalmente risolti nel 1946, ma essi erano già stati storicamente risolti nel 1919-22. Altrettanto arbitrario e puramente polemico (sono il primo a sapere che la polemica ha delle esigenze) consideriamo il dibattito fra democrazia e totalitarismo. Anche questo problema è risolto nel nostro Paese.
Si è parlato di un problema della pacificazione. Non ho l’impressione che oggi esista una esigenza di tale genere; ho anzi l’impressione che il giorno in cui di queste cose si potrà parlare con serenità, si riconoscerà che non solo il problema lo abbiamo affrontato noi, ma siamo andati molto lontani sulla via della definitiva soluzione.
Personalmente, quando sono arrivato all’Alto Commissariato dell’epurazione, ho visto che il problema era stato sbagliato all’inizio, che era stato impostato in un modo per cui la soluzione ci sfuggiva, perché lo avevano impostato con mentalità liberale, sulla base della ricerca della responsabilità individuale, cioè del processo alle persone, mentre in realtà l’epurazione andava fatta per categorie.
Avrei compreso chi avesse detto: «È responsabile Mussolini e basta». Ed avrei compreso un altro che avesse detto: «Sono responsabili ed epurati tutti gli iscritti al partito fascista». Tra questi due poli c’era modo di trovare un giusto termine. La sola cosa assurda era di voler mettere sotto processo epurativo un milione o più di persone. Quando mi accorsi che questa era la conseguenza di leggi che non avevamo fatto noi ma che erano state elaborate dal primo Governo di Salerno, presi su me la responsabilità di mettere fuori causa almeno tutti gli impiegati minori, dal settimo grado in giù.
Poi è venuta l’amnistia del 2 giugno, e dell’amnistia del 2 giugno credo che si possa dire tutto tranne che non fosse un vero atto di pacificazione, tanto che essa sollevò nel campo nostro le più aspre rampogne, aggravate poi dall’applicazione sovente scandalosa della legge. Non credo quindi si possa parlare dell’esistenza di una questione aperta della pacificazione. Ogni caso umano ci interessa; ma nella valutazione dei casi umani vorrei che non si dimenticasse da dove veniamo e si ricordasse che ci sono centinaia e migliaia di antifascisti che sono stati quindici, venti anni nelle carceri, senza che nessuno, o ben pochi si occupassero di loro. (Applausi a sinistra).
Non credo nemmeno (e lo dissi già nel giugno scorso) che la Repubblica sia in pericolo. Con delle nostalgie non si rovescia un regime. Bisogna interpretare delle leggi nuove di vita; ed essere portatori di un ordine nuovo, per mettere in pericolo lo Stato creato il 2 giugno 1946. Se mai c’è un pericolo repubblicano è nella discordia dei partiti repubblicani. (Applausi a sinistra).
È nella inefficienza dei governi repubblicani. È nel ritardo ad affrontare determinati problemi sociali – primo fra tutti la riforma agraria. Per ora la minaccia non viene dai resti del vecchio mondo. I soli grandi problemi di oggi sono quelli di ordine sociale.
Io credo anche che sulla politica estera non dovrebbero esserci grandi dissidi fra noi. Nel suo discorso del 18 giugno, l’onorevole Einaudi, mettendo in evidenza il bisogno che abbiamo di crediti dall’estero, ricordò molto opportunamente che il problema si era presentato, in termini analoghi, dopo il Risorgimento; e che allora fu risolto ricorrendo a crediti inglesi, francesi, belgi, in gran parte o nella totalità pagati, quando scoppiò la guerra del 1914.
I dissidi che oggi esistono sulla nostra politica estera sono un riflesso dei dissidi che esistono in quella interna. Non è messo in dubbio da nessuno che noi abbiamo bisogno del credito degli Stati Uniti, che dobbiamo sollecitare il credito degli Stati Uniti. La missione Lombardo, secondo me, ha dimostrato che si può realizzare concretamente una politica d’intesa con gli Stati Uniti senza fare una politica di umiliazione del Paese e di accattonaggio. (Applausi a sinistra – Interruzioni al centro).
SFORZA, Ministro degli affari esteri. L’onorevole Lombardo, l’ho mandato io.
NENNI. Il dissenso nasce quando taluni partiti nel nostro Paese, invece di fare una politica verso l’America, una politica con l’America, vogliono che noi facciamo nostra la politica dell’America: ciò che è anche ridicolo, perché l’America non ha nessun bisogno del nostro concorso. (Commenti al centro).
Peggio ancora, il dissidio si aggrava quando tendenze conservatrici e reazionarie interne, per ottenere determinati risultati, pongono la loro attività sotto il patronato degli Stati Uniti.
Fino al 1945 si ponevano sotto il patronato dell’ex primo ministro inglese Churchill. Ad ogni istante sentivamo dire: «badate, l’Inghilterra questo non lo vuole; Churchill questo non lo permette».
Oggi tutto il contrabbando reazionario si pone sotto il patronato del Presidente Truman, senza nessuna responsabilità né del Presidente Truman né del Dipartimento di Stato né degli uomini responsabili degli Stati Uniti.
E quando si vogliono fare delle operazioni, che chiamo delle sporche operazioni di politica interna, non se ne assume la responsabilità di fronte al Paese, ma si dice: «questa è la volontà dell’America». (Applausi a sinistra – Proteste al centro).
Voci al centro. Porti degli esempi; precisi.
NENNI. Questi i fatti.
Proprio in questo campo si manifesta in pieno quella che fu chiamata dall’onorevole Orlando, cupidigia di servilità. (Rumori – Proteste al centro).
Abbiamo detto e ripetiamo di considerare utile ed indispensabile per il nostro Paese una politica con l’America, una politica verso l’America.
Abbiamo detto e ripetiamo che non avalliamo il tentativo di mettere sotto la bandiera americana le merci del contrabbando politico e reazionario interno.
Voci al centro. Quali sono questi fatti?
NENNI. Voi li conoscete meglio di me. (Commenti al centro).
Voi sapete che, quando si vogliono raggiungere certi fini di divisione tra le forze democratiche del Paese, non si dice: «Noi lo vogliamo», ma si lascia intendere che tale è la volontà degli Stati Uniti. Il che non è vero. (Proteste al centro).
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Nenni, se lei cita e prova un fatto solo, io mi dimetto all’istante. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).
NENNI. Onorevole Sforza, le regalo questi applausi. Quanto al problema da me posto ella è dunque il solo degli italiani che non abbia sentito porre una certa politica di esclusione di determinati uomini e di determinati partiti dalla direzione politica del Paese, sotto il pretesto di consigli venuti dall’estero. (Applausi a sinistra – Rumori al centro e a destra – Interruzione dell’onorevole Aldisio). Avrei del resto voglia di rallegrarmi delle reazioni che suscitano al centro le mie parole (Commenti al centro)… Vuol dire che si ha vergogna di dire qui quel che si sussurra dappertutto.
Onorevole Sforza! Ella, come Ministro degli esteri, non doveva entrare in questo dibattito, avendo io premesso che non ho mai creduto, non credo, alla verità degli interventi stranieri dietro i quali si sono mascherati i moderati e i conservatori per fini di reazione sociale e politica. (Commenti al centro).
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Nenni! Prendo atto del fatto che lei ha dichiarato che non ci sono mai stati questi interventi.
NENNI. Il dissenso sulla politica estera si aggrava quando si persiste in una politica unilaterale che ignora l’esistenza di tutto un vasto settore europeo e degli interessi del nostro Paese in questo settore del mondo. (Commenti al centro e a destra).
Sono stato in queste ultime settimane in Cecoslovacchia dove un Ministro – che è dei nostri – cerca con mezzi del tutto inadeguati di realizzare una costruttiva politica di scambi commerciali. Ho constatato in Polonia che ritiriamo la metà del carbone che ci è assegnato a termini del Trattato di commercio. Ho potuto, in linea generale, convincermi che nei paesi orientali, indipendentemente dalla forma di Governo, indipendentemente dai sistemi sociali in vigore, esistono immense possibilità di rafforzare, incrementare i nostri commerci ed i nostri scambi. Per cui arrivo alla conclusione che come dobbiamo fare una politica con l’America, che non può essere la politica dell’America, così dobbiamo fare una politica con l’Oriente, che non ha bisogno di essere la politica dell’Unione Sovietica perché nessuno ci chiede di sposare tartarinescamente cause non nostre.
Una voce al centro. Perché con la Spagna no?
NENNI. C’è un solo problema politico del quale dovremmo discutere in quest’Aula: chi ha l’autorità, chi ha la forza per aiutare il Paese a sortire dalla situazione attuale, per fronteggiare la crisi economica, per ridare calma spirituale e politica alle grandi masse, per creare una distensione, come dicevo all’inizio del mio discorso, nella situazione politica e sociale? Nessun partito, io credo, da solo, ha oggi questa possibilità. Non ha certamente la forza e l’autorità necessaria una coalizione di partiti dalla quale siano esclusi i rappresentanti diretti del movimento operaio, del movimento dei lavoratori. (Commenti al centro).
Non c’è argomento più specioso della contrapposizione del paese reale al paese legale. Ma dobbiamo renderci conto che la vita politica non si esaurisce entro il Palazzo di Montecitorio e nella attività dei singoli Ministeri; dobbiamo renderci conto che la vita democratica trabocca da Montecitorio verso tutto il Paese; che esiste un problema di maggioranza parlamentare, fondamentale per le istituzioni democratiche, ma esiste anche un problema di adesione delle masse alle direttive di un Governo.
Voi avete detto – ed in questo siete in errore – che noi abbiamo bisogno di tornare al Governo perché si avvicinano. le elezioni. (Commenti al centro).
Voi dimostrate in tutte le cose di essere fermi ad un passato già tramontato. Il tempo in cui le elezioni le faceva il Ministro dell’interno è tramontato per sempre.
PICCIONI. Ma ci torneremo col collegio uninominale.
NENNI. Era vero all’epoca di Depretis; era vero all’epoca di Giolitti, era vero prima del suffragio universale; era già un po’ meno vero dopo il suffragio universale; è molto meno vero oggi.
GIANNINI. Questo l’ho detto io.
NENNI. Se noi obbedissimo alla logica dei nostri interessi di partito dovremmo formulare un solo voto: che il Governo così come è ci porti fino alle elezioni dell’aprile. (Commenti al centro).
Ma siccome il movimento operaio e socialista ha altre preoccupazioni, siccome ci sentiamo responsabili di fronte al Paese delle istituzioni democratiche che abbiamo concorso a fondare; siccome la distinzione governo-opposizione, in un’ora come l’attuale, quando la fondazione del nuovo Stato è recente e quando siamo alle prese con problemi tanto gravi, è molto più superficiale di quanto non sembri, così abbiamo sostenuto nel giugno scorso, così sosteniamo oggi la necessità di ricreare nel Paese il fronte di tutte le forze democratiche e repubblicane, al quale solo riconosciamo l’autorità morale e politica per ottenere la subordinazione di tutte le classi agli interessi superiori della Nazione.
Signori, penso che sarebbe una grande sciagura se la voce della parte del Paese che noi rappresentiamo, che vuole collaborare alla ricostruzione economica della Nazione così come ha collaborato alla liberazione nazionale del Paese, come ha collaborato alla fondazione del nuovo Stato democratico, penso che sarebbe una grande sciagura se la voce di questa parte del Paese non trovasse all’Assemblea Costituente la eco che merita. Signori del centro, assumete le vostre responsabilità; noi abbiamo assunte le nostre. (Vivi applausi a sinistra – Moltissime congratulazioni).
(La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18.25).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti, per svolgere la mozione da lui presentata.
TOGLIATTI. Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi! Spero questa volta di intrattenere l’Assemblea per breve periodo di tempo. La mozione di sfiducia al Governo che il Gruppo parlamentare comunista mi ha incaricato di presentare, chiedendo all’Assemblea di votarla, è stata formulata da noi sulla base di una interpellanza che io, quale primo firmatario, ed alcuni altri colleghi del mio Gruppo, avevamo presentato pochi giorni prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari.
Essa è stata trasformata da noi in mozione di sfiducia, prima di tutto per la gravità dei fatti che l’avevamo provocata, in secondo luogo perché ci sembrava che, svolgendosi in questa Assemblea un dibattito sulla fiducia al Governo, aperto dai colleghi e compagni socialisti, era giusto che le nostre critiche per la politica interna, e quindi per la politica generale del Governo, venissero riversate in questo dibattito. E ciò tanto più perché da più parti era stata avanzata la suspicione che il fatto che noi non presentassimo una mozione di sfiducia all’Assemblea nel momento in cui un partito a noi alleato presentava una sua mozione di sfiducia, volesse significare, non solo un raffreddamento dei legami con questo partito, ma una nostra intenzione di trasportare la lotta politica contro il Governo da questa Assemblea, che è la sua sede naturale, esclusivamente sulle piazze. Anche per questo motivo, cioè per dissipare questa suspicione, abbiamo voluto trasformare la nostra interpellanza in mozione, chiedendo, a nome del nostro Gruppo, che l’Assemblea esprima la sfiducia al Governo per la sua politica interna e per la sua politica generale. La mia mozione quindi concerne in parte il Ministro dell’interno, che non vedo presente a quei banchi e che, con la sua assenza, non credo abbia voluto sottolineare una sua mancanza di riguardo, non dico per la mia persona, ma per questa Assemblea…
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. É dovuto andare in Sicilia.
TOGLIATTI. …e per il resto concerne tutto il Governo.
Motivo dell’interpellanza presentata da noi nel mese di luglio era stata una serie di atti compiuti da autorità di polizia e prefettizie, nei quali avevamo rilevato false interpretazioni e non ammissibili applicazioni di determinati testi di legge, false interpretazioni e non ammissibili applicazioni le quali portavano a una effettiva, concreta, reale limitazione di quelle libertà democratiche per riconquistare le quali noi e la grande maggioranza dei colleghi di quest’Aula abbiamo combattuto, riportando una vittoria che è gloria comune di tutti noi.
Potrà forse però sembrare ad alcuni dei colleghi che i fatti che io citerò all’inizio della mia esposizione non abbiano un peso tale da giustificare un atto così importante e così solenne come una mozione di sfiducia. Ma la realtà non è questa; la realtà non è questa, perché in questi atti abbiamo rilevato una tendenza, la quale poi si è sviluppata, e ha dato via via i suoi frutti nel corso dell’attività governativa. Questa tendenza si è del resto manifestata immediatamente dopo la costituzione di questo Governo e può essere quindi considerata come una delle caratteristiche della sua fisionomia, della sua personalità.
Incomincio dunque da questi atti. Si tratta essenzialmente di una limitazione delle fondamentali libertà democratiche, consistente nel vietare pubblicamente le critiche e l’attacco al Governo e ai membri di esso. Concretamente, si tratta di «ordini severi» – così dicevano i rappresentanti del Governo nelle provincie, ai cittadini che si presentavano a chiedere chiarimenti, – di «ordini severi» impartiti dal Ministro dell’interno per impedire l’affissione di determinati manifesti di propaganda di partito, nei quali venivano esposti, in quella forma concisa, incisiva e drammatica che si usa nei manifesti – e a cui del resto sapete fare ricorso anche voi – gli stessi giudizi che di questo Governo avevamo dato qui, davanti a voi, quando si svolse il dibattito generale sulla sua composizione e sul suo programma.
Il Governo attuale veniva quindi definito come Governo della discordia, ripetendo una definizione data da me stesso e come Governo che favorisce le forze della speculazione, ripetendo in questo caso una definizione che, credo, venne data allora dal collega Scoccimarro.
In un altro di questi manifesti venivano accusati e investiti della loro responsabilità determinati membri del Governo, personalmente, rappresentandoli con la loro effige, nella loro persona, coi loro detti e coi loro fatti, ricordando naturalmente anche, per alcuni di loro, quei fatti che si riferivano ad attività da loro esplicate, nell’ambito di determinate organizzazioni fasciste. Il richiamo di questi fatti in sé, non credo dovrebbe offendere, poiché si tratta di cose vere e non è quindi offensivo il ricordarle.
Questo, però, secondo il Ministro dell’interno, non doveva avvenire. Ordini severi, ripeto, vennero dati a tutte le autorità di tutta la Repubblica, di non permettere l’affissione di questi manifesti; vennero mobilitate le forze di polizia, motorizzate con «jeep», mitragliatrici, ecc., non soltanto per impedire l’affissione, – e di qui una serie di incidenti, – ma per lacerare persino i manifesti già affissi servendosi di soldati delle forze di polizia adibiti a questa poco eroica funzione.
In tutto questo noi ravvisiamo, ripeto, la violazione di una fondamentale libertà democratica: quella della critica e dell’attacco al Governo (Commenti al centro), la quale deve essere garantita a tutti i partiti e a tutti i cittadini; la quale noi abbiamo voluto garantire quando abbiamo scritto quegli articoli della Costituzione che tutti insieme qui abbiamo elaborato e approvato.
Si è citato – e chiedo scusa all’Assemblea se devo all’inizio intrattenermi in dettaglio di questi aspetti della questione – un articolo del Codice penale, il quale, a detta del Ministro degli interni, giustifica questa violazione della libertà democratica e la relativa repressione; articolo che poi ha le sue code nella legge di pubblica sicurezza e nel relativo regolamento.
Ma vedete la strana dizione di questo articolo – che è l’articolo 290 – il quale dice esattamente così: «Chiunque pubblicamente vilipende la Corona, il Governo del re, il gran consiglio del fascismo, ecc.» (Ilarità a sinistra) è sottoposto a determinate sanzioni.
Onorevole Scelba, onorevole De Gasperi, ci troviamo forse qui di fronte ad un lapsus ideologico, di tipo freudiano (Commenti al centro). A me non risulta che il Governo che ella presiede, onorevole De Gasperi, sia il Governo del re. (Commenti al centro).
Si tratta del secondo o terzo Governo della Repubblica.
UBERTI. E il Governo della Repubblica si può vilipendere?
TOGLIATTI. Mi lascino parlare, onorevoli colleghi! Il Governo della Repubblica è un Governo il quale deve rispettare quelle libertà che la Repubblica ha voluto che fossero restaurate e sancite, e che considera, come la propria sostanza, l’essenza propria. Altrimenti non è un Governo repubblicano. (Commenti al centro).
Lo so, l’onorevole Presidente del Consiglio e il suo Ministro dell’interno possono dire che questo articolo esiste ancora, come esiste la legge di pubblica sicurezza col suo regolamento.
L’argomento si ritorce contro di voi. Perché? Per due motivi. Perché prima di tutto voi la legge di pubblica sicurezza dovete oggi applicarla tenendo conto che essa è e rimane una legge fascista nella quale trovate ad ogni passo disposizioni che a nessuno di voi passerebbe per il capo di applicare, il che vuol dire che queste leggi devono essere applicate, in armonia con la nostra nuova Costituzione, tenendo conto che non avete avuto ancora il tempo di cambiarle, ma che dovete cambiarle e che bisogna cambiarle. In questo modo abbiamo proceduto, onorevoli colleghi, in tutti i Governi, anche prima della proclamazione della Repubblica, quando si trattava di leggi di questo genere.
Ma voi avete anche un’altra responsabilità. So che esisteva un progetto Romita di riforma della legge di pubblica sicurezza, che da voi è stato messo a dormire. Perché? Forse perché vi serve di più la vecchia legge fascista? Forse perché vi fa più comodo? Qui vi è dunque una duplice vostra diretta responsabilità! (Interruzione dell’onorevole Benedettini).
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego.
TOGLIATTI. Si dice: voi non potete vilipendere il Governo. Ma si tratta di vedere che cosa vuol dire vilipendere e come la interpretazione di questo concetto fatta dai funzionari di polizia sia compatibile col rispetto della libertà democratica.
Eccovi un esempio di ciò che viene considerato come vilipendio. In uno dei manifesti incriminati si dice: «De Gasperi si allea, contro gli interessi e contro la volontà degli stessi lavoratori democristiani, in Sicilia, coi grandi agrari».
Io trovo qui un giudizio politico. Voi direte che è falso, io dico che è vero, altri potranno contrastarne o limitarne la validità. Ma dov’è il vilipendio?
Questa espressione è considerata invece dalla questura, che ne vieta l’affissione, come una «insinuazione che può turbare l’ordine pubblico». Quello che qui manca è proprio l’insinuazione. Quello che noi vogliamo dire, soprattutto quando si tratta di giudizi così chiari, lo diciamo in tutte lettere.
Lascio stare poi tutte le azioni che hanno accompagnato il divieto dei nostri manifesti, gli arresti, le minacce di arresto perfino ai tipografi, cosa che nemmeno il regolamento di polizia fascista permette. È vero, i fascisti lo facevano ed evidentemente ritiene di poter continuare a farlo un questore ex fascista, per forza d’abitudine, o per «ordini severi» ricevuti dal Ministro dell’interno.
Un tipografo è persino stato chiamato, a Roma, a dar conto di quello che era stato stampato nella sua tipografia, mentre non esiste, né nella nostra legislazione penale e nemmeno nel regolamento di polizia, una norma che imponga delle autorizzazioni per la stampa. Si chiedono autorizzazioni, se mai, per rendere pubblico il testo stampato.
Tutto questo vuol dire che ci troviamo di fronte a una serie di atti i quali iniziavano una minacciosa offensiva contro elementari libertà democratiche.
Naturalmente vi è stata una resistenza e del nostro partito, e, credo, di tutti i partiti di questa sinistra, che in tutte le località (e sono state quasi tutte le provincie d’Italia) dove gli arbitrari atti della polizia furono compiuti, si unirono per protestare, richiesero che la libertà democratica fosse rispettata e, in qualche caso, riuscirono anche a imporre la loro volontà.
Questi atti furono però seguiti da una serie di altre manifestazioni dello stesso genere. Così si venne all’offensiva contro i giornali murali. E qui parlo d’una cosa che può essere considerata di piccolo rilievo; ma io non la considero così! In un paese, in cui i giornali escono a due sole facciate, in un paese dove noi stessi abbiamo abituato il popolo, durante la lotta contro la tirannide fascista e contro l’invasore straniero, ad apprezzare il valore del documento elaborato dal piccolo gruppo che protesta, che combatte, che si sforza di trovar tutti i modi per diffondere le proprie idee e manifestare il proprio pensiero e la propria volontà sino a quello di affiggerlo sui muri, per sollecitare il consenso altrui, la offensiva contro i giornali murali è inammissibile e pericolosa. (Commenti al centro).
Io ritengo che i giornali murali siano una delle manifestazioni di attività democratica più interessanti e originali di questo primo periodo della rinascita di un regime democratico in Italia dopo la tirannide fascista.
Il signor Ministro dell’interno ha trovato che per questi giornali murali, che sono giornali anche se si affiggono al muro, è necessario introdurre ciò che non abbiano voluto introdurre nella Costituzione riguardo alla stampa in generale: la censura e il sequestro preventivo ad opera della polizia. E per giornali murali e manifesti, oggi bisogna andare a discutere con il questore per sapere se le frasi in essi contenute non sono dalla polizia considerate offensive per qualche membro del Governò o per il Governo in generale. Questo non è più, o signori, un regime di libertà. Ma noi ce la siamo conquistata la libertà. Volete ora ritogliercela? Perché? Chi ve ne dà il diritto?
Per i comizi di fabbrica è la stessa cosa. Se ne discusse qui per l’aspetto sindacale ed io non voglio ripetere quella discussione. Pongo invece la questione politica. Come partito democratico e popolare, ci siamo conquistato il diritto di parlare, e di parlare di politica, anche nelle fabbriche. Sissignori. Gli operai italiani si sono conquistati, con la loro lotta, questo diritto e non se lo lasceranno strappare. (Applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).
Una voce dal centro. Nelle fabbriche si lavora. (Proteste a sinistra).
TOGLIATTI. Dall’attività politica che si è svolta nelle fabbriche sono sorti alcuni dei movimenti che sono stati all’inizio della nostra lotta di liberazione contro il fascismo e a cui dobbiamo il primo scuotimento della tirannide fascista. (Commenti al centro). È in questo modo, è attraverso questi movimenti che la classe operaia si è conquistata il diritto di fare della politica nelle fabbriche, il diritto per gli operai di riunirsi nelle fabbriche e discutere di tutte le questioni che interessano i lavoratori e la Nazione.
Se mai, la questione sarà da dibattersi fra i padroni e gli operai; lo Stato non c’entra. Il Ministro di polizia, pardon, il Ministro dell’interno non ha qui niente da dire; se mai, ripeto, sono i padroni che possono discutere di questo diritto, dato che sono loro i proprietari delle fabbriche. Finora però non mi risulta che l’abbiano fatto, come non mi risulta che i comizi politici nelle fabbriche abbiano dato luogo a conflitti nelle fabbriche stesse.
Ci troviamo qui di fronte ad un altro tentativo che va nella stessa linea di restringere le libertà democratiche, di limitarle, di negarle a una parte del popolo e precisamente a quella che è in opposizione al Governo. Ad ogni modo sia ben chiaro che alla libertà di fare comizi anche politici nelle fabbriche i nostri operai e noi stessi non rinunceremo mai e poi mai. (Applausi a sinistra).
Vorrei ora dire alcune parole circa un’altra attività molto sospetta sviluppata dal Ministro dell’interno nei confronti delle amministrazioni comunali rette da partiti diversi dal suo, attività che si è esplicata soprattutto in quelle provincie emiliane dove le amministrazioni comunali, tenute a schiacciante maggioranza dal partito socialista e da noi, hanno dato esempio meraviglioso di attività costruttiva e di disciplina nell’opera di ricostruzione, tanto nella campagna quanto nelle città. Questi meriti non valgono nulla però agli occhi del Ministro dell’interno. Queste amministrazioni comunali devono essere particolarmente bersagliate, e vengono bersagliate con misure illegali, che sono vere e proprie trasgressioni di legge. Io non voglio nemmeno discutere se quei determinati sindaci della provincia di Bologna, che sono stati accusati di aver trasgredito a determinate norme della legge sugli ammassi, fossero colpevoli. So che non lo erano. Discuto però la legittimità delle misure che li hanno colpiti, perché esiste una legge dello Stato secondo la quale prima di colpire un sindaco con qualsiasi misura per un atto da lui compiuto nell’esercizio delle sue funzioni è necessario che la sospensione della garanzia amministrativa venga chiesta dal Ministro dell’interno al Ministro Guardasigilli, il quale a sua volta deve sollecitare il parere del Consiglio di Stato, e se decide in senso contrario a questo parere deve porre la questione al Consiglio dei Ministri. Nulla di questo vien fatto quando si tratta di un sindaco socialista o comunista. Basta un telegramma del Ministro dell’interno ed egli è sospeso, o minacciato di arresto, o arrestato per atti della sua amministrazione che ha compiuto in quanto sindaco. Oltre a tutto poi, vi abbiamo ampiamente dimostrato e nella stampa e in pubblici comizi – e voi non avete potuto smentirlo, nonostante i vostri calunniosi manifesti sull’argomento – che questi atti erano, nella maggior parte dei casi, atti compiuti, anche se formalmente facendo eccezione a qualche articolo di legge, per ovviare a situazioni gravi, in modo tale che hanno recato vantaggio alla causa della legge sugli ammassi e del popolo e non l’hanno in nessun modo danneggiata. (Commenti).
Se non siete convinti e volete gli esempi, ve li daremo. Siamo in cento e più che possiamo intervenire in questo dibattito e lo faremo nonostante le vostre interruzioni. Anche in questo campo risulta una pericolosa tendenza alla violazione delle leggi democratiche e delle istituzioni democratiche, e anche in questo campo queste violazioni sono fatte per sopprimere i diritti di quella parte politica che è contro il Governo. Voi non avete ancora capito, signori del Governo democristiano, che le libertà democratiche ci sono anche per l’opposizione, anzi particolarmente per l’opposizione.
E vengo ad una serie di fatti, i più gravi forse, quelli avvenuti nel Goriziano nei giorni scorsi. Il passaggio all’amministrazione italiana ha significato in questa provincia lo scatenamento di una offensiva di tipico stampo fascista contro quelle popolazioni. (Interruzioni al centro).
Voci al centro Non è vero!
TOGLIATTI. Qui ci sono i fatti. Nella città di Gorizia, nello spazio di tre giorni, 47 abitazioni, locali pubblici, laboratori di artigiani, ecc., sono stati assaliti, devastati, saccheggiati.
Una voce. Pochi! (Vivissimi rumori – Proteste all’estrema sinistra – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero sapere se l’intenzione è di dare a questa discussione un tono ordinato, oppure se essa sarà un seguito di tumulti.
Constato che, purtroppo, sono sempre gli stessi pochi colleghi che suscitano gli episodi rumorosi e desidero – senza richiamarli per nome – invitarli molto cortesemente a saper contenere i loro interventi.
Onorevole Togliatti, la prego, continui.
TOGLIATTI. Il Centro diffusione della stampa slovena è stato devastato e il materiale incendiato. Per quattro volte è stata assalita la Federazione comunista di Gorizia, con tentativi di incendio, che recavano danni rilevanti. Sono state assalite e distrutte le sedi del Partito comunista italiano di Gradisca, Staranzano, Ronchi; danneggiata quella di Monfalcone; distrutte le sedi dell’Unione donne italiane, del Fronte della gioventù, dell’Associazione partigiani giuliani, del Circolo di cultura di Gradisca; a Gorizia, Monfalcone, Ronchi, Vermegliano, San Pier d’Isonzo, venivano lanciate bombe e fatte esplodere cariche di tritolo contro abitazioni di antifascisti, italiani e sloveni; a Villesse, durante una festa popolare, da un camion trasportante fascisti in camicia nera, venivano lanciate bombe, che distruggevano luoghi di ritrovo e ferivano tre persone, tra cui una ragazza diciottenne gravemente; a Gradisca veniva aggredito da un gruppo di ex fascisti un ex carabiniere ed un ex mastro della posta; a Selz tutta la popolazione fuggiva dal villaggio sui monti per scampare alle aggressioni fasciste.
BETTIOL. Non ci sono i monti. (Proteste a sinistra).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. C’era la polizia italiana?
TOGLIATTI. Cera la polizia italiana.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio del Ministri. In che giorno ciò è avvenuto? (Interruzioni dell’onorevole Pratolongo).
PRESIDENTE. Onorevole Pratolongo, la prego, taccia.
TOGLIATTI. Onorevole Presidente, voglia perdonare all’onorevole Pratolongo, che porta ancora sul suo corpo le tracce di quelle violenze fasciste. (Applausi a sinistra).
Particolare abominevole: venivano aggrediti gli ammalati sloveni dell’ospedale di Gorizia.
BETTIOL. Questo non è vero. (Vivi applausi prolungati al centro).
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi!… (Rumori al centro e a destra).
PRESIDENTE. A un certo momento devo pensare che non sono più degli impulsi irrefrenabili che provocano le interruzioni. Facciano silenzio, per favore!
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, non mi sarei deciso a portare alla tribuna di questa Assemblea questi fatti se un’attenta ricerca ed un’accurata inchiesta che ho fatta fare non mi avessero convinto della verità di tutte le informazioni che ho qui recato. (Commenti al centro).
Una voce al centro. Polizia privata?
TOGLIATTI. No, controllo parlamentare!
Ho sentito dire da qualcuno di voi che queste notizie non sono vere; ma forse malauguratamente quello che voi pensate nel fondo dell’animo vostro l’ha detto quello di voi che poco prima ha detto che questi atti di violenza e di barbarie «sono pochi». Perché vive ancora, in alcuni di voi, forse in molti, spero non in tutti…
Una voce a sinistra. In molti!
TOGLIATTI. …lo stato d’animo con il quale i fascisti ressero nel passato quelle provincie gettando i germi di quella che è stata la rovina del nostro Paese. (Vivi commenti al centro).
Io domando all’onorevole Sforza cosa pensa di questi fatti, egli che ha sempre affermato di essere uno strenuo fautore di una politica di amicizia con tutti i popoli che confinano con noi. Voglia il cielo che le conseguenze di questa politica in questo modo da voi iniziata non ricadano ancora una volta sulla nostra Patria! (Commenti).
Ma perché succedono questi fatti? Questi fatti si inquadrano in uno stato d’animo ed in una politica generali; non per nulla a capo della polizia in uno dei maggiori centri della Venezia Giulia è stato mandato un ufficiale che fu capo di una delle formazioni fasciste che operavano in quella Regione. Vi è quindi una logica in questa pazzia: vi è una logica che non è democratica, ma anti democratica. Nel tempo stesso, infatti, in cui avvengono gli atti e i fatti che vi denunzio e che significano una deliberata volontà del Ministro dell’interno di limitare le libertà democratiche di coloro che sono in opposizione al Governo, che cosa fa questo Governo nei confronti delle numerose organizzazioni fasciste e neofasciste che vediamo pullulare e che sappiamo pullulare da tutte le parti? Conosce il Governo l’esistenza di queste organizzazioni con i loro bizzarri appellativi: le R.A.A.M. la Lupa, l’A.I.L., la S.A.M., il M.A.C.R.I. e via dicendo? Conosce il Governo che queste organizzazioni sono costituite su una base di cospirazione e su una base militare e armata per preparare la lotta contro la democrazia? Conosce il Governo queste cose?
Quel Governo che è così sollecito tutore della correttezza di espressioni, quando si tratta di attacchi al Governo stesso e ai suoi membri, conosce i termini che vengono usati nei manifesti che vengono affissi per le strade dalle organizzazioni fasciste? Lo sa il Governo che il giorno stesso in cui veniva vietata l’affissione di nostri manifesti che lo accusavano di essere un Governo di discordia nazionale, come siamo convinti che sia, venivano liberamente affissi in Roma, in occasione della visita di non so quale signora straniera alla nostra capitale, manifesti in cui veniva esaltata la guerra fascista? Quei manifesti sono stati stracciati? Ne sono stati cercati i responsabili? È stato ammonito il tipografo che li ha stampati? No, perché tutto va bene per il Ministro dell’interno di questo Governo quando si esalta il fascismo. Conosce il Ministro dell’interno i termini, ad esempio, di un manifesto, uno fra i molti, che insulta una nostra compagna e collega chiamandola «sporca, schifosa, che sbava con le nari dilatate e lo sguardo vitreo, come sotto l’azione di un afrodisiaco di basso prezzo?».
Né io parlo a difesa di questa nostra collega, che non ne ha bisogno; ma qui veramente siamo di fronte al vilipendio di un rappresentante del popolo, e quindi dell’Assemblea stessa di cui ella fa parte.
Non voglio avanzare l’ipotesi che documenti simili vengano fabbricati da militanti nel partito stesso del Ministro dell’interno; ma perché la sua polizia non si accorge di queste cose? Perché la legge sulla difesa della Repubblica, la quale era stata promessa e poi presentata dal precedente Governo De Gasperi, e che questo quarto Governo De Gasperi assumendo il potere non dichiarò a questa Assemblea di voler ritirare, perché quella legge non è stata ancora varata? Perché non ne sollecita il Governo l’approvazione? Perché non l’approva d’urgenza, com’è nel suo diritto, per far fronte a casi così gravi, come quelli che ho denunciato per quello che riguarda le provincie della Venezia Giulia; o il recente attentato alla sede del Partito comunista in Milano?
Di tutto questo non si parla più, mentre il fuoco viene concentrato in un’altra direzione: il bersaglio siamo noi, il bersaglio è l’opposizione, e nell’opposizione – non nascondiamolo – il bersaglio preferito è precisamente il Partito comunista.
L’onorevole Ministro dell’interno ha persino avuto il coraggio, alla vigilia della manifestazione del 20 settembre, cioè di una grande manifestazione legale, pacifica, di massa, come si fanno in tutti i paesi, ad iniziativa del nostro partito e del Partito socialista, e alla quale avevano aderito numerosi altri partiti, come quello repubblicano, quello democratico del lavoro, quello d’azione, ha avuto il coraggio, in un’intervista lanciata due giorni prima di questa manifestazione, di concentrare il fuoco contro di noi e sentite in qual modo. «Sono ben pochi in Italia – dice il Ministro in questa intervista – coloro i quali credono che il Partito comunista italiano abbia scartato dal suo programma la conquista violenta del potere e l’istaurazione di una dittatura totalitaria di tipo fascista». Dunque amici (Rivolto ai banchi comunisti), i fascisti siamo noi. (Ilarità a sinistra). «La minaccia, quindi – prosegue l’intervista – di un tentativo violento, allorché circostanze favorevoli si presentassero, è sempre potenziale in tutti i paesi in cui il Partito comunista raggruppa forze cospicue di militanti».
Che le forze le quali si raggruppano attorno al nostro partito siano cospicue, è verissimo: e più lo saranno domani. (Commenti). Ma come si permette il Ministro dell’interno di fare una dichiarazione simile a proposito della nostra posizione politica? Potrei ancora tollerare una dichiarazione simile da parte di un giornalista irresponsabile, ma non da parte del Ministro dell’interno, nel momento ch’egli parla come responsabile dell’ordine pubblico, due giorni avanti una grande manifestazione di massa, legittima, democratica e che egli sa che si manterrà nell’ambito della democrazia. Come si permette il signor Ministro di parlare in questo modo, di accusare un partito come il nostro di volere instaurare una dittatura fascista? (Proteste al centro).
Signori democristiani, vi ho sentito parecchie volte strillare che non bisogna fare il processo alle vostre intenzioni, e sono sicuro che ripetereste questa protesta con alte strida se qualcuno dicesse, per esempio, che il vostro acceso regionalismo è un modo come un altro di fare a pezzi l’Italia, per rifare a ritroso quel processo unitario che culminò proprio il 20 settembre 1870. (Applausi a sinistra).
Voi non avete il diritto di fare il processo alle intenzioni, e un Ministro dell’interno deve giudicare ogni partito, a seconda di quello che dice e fa. Egli sa quello che il nostro partito dice, egli sa quello che il nostro partito ha fatto e fa ogni giorno per mantenere e rafforzare la democrazia, perché se non lo sa vuol dire ch’egli vien meno al suo compito. Questo non è il modo come si può esprimere un Ministro dell’interno, serio, democratico, repubblicano. Questo, se mai, è il modo di esprimersi di chi voglia, insultando e calunniando, provocare disordine e turbamenti dell’ordine pubblico; esso è nella linea di quel ridicolo allarme che venne lanciato non appena costituito il quarto Governo De Gasperi, come se in quella notte stessa noi avessimo dovuto fare l’insurrezione, e persino i telefoni di casa nostra vennero tagliati ad opera del Ministero dell’interno, mentre noi tranquillamente dormivamo.
DE GASPERI, Presidente dei Consiglio dei Ministri. Ho dormito anch’io tranquillamente.
TOGLIATTI. No, non si eludono questi problemi con uno scherzo. Si tratta di cose molto gravi. Si tratta di tutta una ispirazione di politica interna di carattere provocatorio, che mina la unità delle forze democratiche e semina discordia. Ma da quale parte viene questa ispirazione? Credo venga da lontano. Di là dai fiumi! Di là dagli oceani!
Un giornale cosiddetto indipendente ci ha sollazzato mostrandoci a viso aperto una delle fonti di questa ispirazione. Un grande giornalista americano (bocca della verità, quindi, per l’onorevole De Gasperi e per il conte Sforza) ha rivelato niente meno che i piani della «vasta» insurrezione che si preparava nell’Emilia. (Evidentemente dove volete che si prepari se non in Emilia una insurrezione?!). E si preparava proprio per il 20 settembre, in occasione dell’inizio della evacuazione delle truppe americane dall’Italia. I piani del movimento insurrezionale naturalmente sono descritti con molta precisione; si afferma niente meno che l’esercito degli Stati Uniti ha scoperto depositi di armi e munizioni presso i comunisti. Ma chi si è accorto di questo? Dove sono queste armi? Nessuno le ha viste. Viene quindi una «armata clandestina» pronta a occupare l’Italia settentrionale appena l’armata americana l’avesse abbandonata. Agenti americani travestiti – continua il racconto – hanno partecipato a comizi comunisti (ma perché mai travestiti? Non potevano venirci al naturale? Tutti, anche senza travestimento, possono partecipare ai nostri comizi!) (Commenti) venendo a conoscenza dei nomi dei capi, tra cui l’onorevole Dozza, sindaco di Bologna, e naturalmente Luigi Longo, vicecomandante dell’Associazione nazionale partigiani, e Ilio Barontini, e poi un ignoto Cucco. A questo punto viene svelato il piano militare della insurrezione per intiero, e quindi il piano tenebroso della notte di San Bartolomeo, nella quale gli esponenti anticomunisti e i capi non favorevoli verrebbero eliminati da gruppi specializzati dei nostri gappisti. Per finire, c’è un maresciallo e un alto ufficiale russo, seguiti da un pacifico cittadino bolognese che si chiama Bottonelli, e il tutto si chiude con un nome pittoresco, che forse suggerirà alla fantasia dell’onorevole Micheli l’immagine del pasto con le lasagne al forno e il vino di Lambrusco consumati sotto la pergola di un paese della nostra Romagna, il nome pittoresco, ripeto, di un non meglio precisato Memmo Gottardi. (Ilarità a sinistra).
Onorevoli signori, mi rincresce di ripetere delle cose che ho già affermato fuori di qui. Se non lo volete io non dirò più, anche se lo penso, che sono dei cretini coloro che scrivono cose simili o che le pubblicano. Dico però che cretini sono coloro che credono a queste cose; ma non vorrei che nel novero di questi ci fosse il Ministro dell’interno o l’onorevole Presidente del Consiglio!… (Ilarità – Applausi a sinistra).
Ho citato questa pittoresca intervista non soltanto a scopo di divertimento mio e vostro anche, spero; ma per dimostrare che ci troviamo di fronte a una deviazione fondamentale del modo di concepire la nostra situazione interna che può essere proprio solo di provocatori. Ma si arriva a questo punto di insania, quando si incomincia a fare il processo alle intenzioni, a voler per forza respingere dalla famiglia democratica un grande partito come il nostro, che ha il merito di tanto aver fatto nella lotta per la democrazia. Quando si vuole per forza arrivare a mettere al bando questo partito e le forze che lo seguono, ecco dove si arriva: si incomincia da un discorso come quello della Basilica di Massenzio e si arriva a queste insanie e stupidità.
Ma a questo punto vorrei allargare un po’ l’orizzonte del mio intervento e venire al problema centrale di questo dibattito. (Commenti al centro).
Credo, del resto, di essermi strettamente mantenuto fino ad ora nei limiti della mia precedente interpellanza e attuale mozione.(Commenti al centro).
Sulla base delle osservazioni e critiche che ho fatto e sulla base di altre osservazioni e critiche che facciamo all’attività del Governo in altri campi, noi riteniamo che bene farebbe l’Assemblea Costituente a negare la sua fiducia a questo Governo.
Questo Governo può governare l’Italia? Questa è la domanda alla quale tutti assieme dobbiamo sforzarci di dare una giusta risposta. Ma che cosa vuol dire governare un paese, onorevoli colleghi? Governare un paese vuol dire dare soddisfazione alle esigenze fondamentali della vita della Nazione. Oggi noi abbiamo alcune esigenze fondamentali, e io cercherò di ridurle a poche, alle essenziali.
Mi pare che una prima esigenza fondamentale, che tutti sentiamo, e che è di carattere economico e finanziario, è che siano evitati al nostro Paese il disastro della inflazione e del crollo della moneta.
A proposito dei problemi concreti connessi con questo, altri deputati del nostro Gruppo avranno modo di esprimere la nostra opinione. Mi limito per ora a constatare come questa esigenza sia ancora da soddisfare. Sia per quanto riguarda la massa del circolante, sia per quanto riguarda l’altezza dei prezzi, voi non siete stati in grado di mettere un freno all’inflazione, di arrestare quel processo di caduta della nostra moneta che avevate detto di voler arrestare. Diceste che formavate un Governo come questo, anzi, che correvate il rischio di un Governo come questo, perché ciò era condizione necessaria per arrestare quel processo. Avete invece fatto il contrario; avete ottenuto un risultato opposto a quello che vi proponevate, e soprattutto noi, rappresentanti delle classi disagiate, dei lavoratori del campo, dell’officina e dell’ufficio, abbiamo ragione di essere ogni giorno più preoccupati nel veder andare avanti, ancora con una certa lentezza, è vero, ma con un ritmo continuo, il processo di svalutazione della moneta. Dove andremo a finire per questa strada?
Seconda esigenza fondamentale è quella di alleviare l’indigenza del nostro popolo, e in primo luogo quella dei lavoratori. So che voi ci parlerete di misure che avete preso, per lo più sotto la pressione di determinati movimenti di categorie impiegatizie. Confrontate però queste misure con il valore della moneta quando voi avete preso il potere e oggi, e datemi poi una risposta oggettiva circa l’efficacia di ciò che avete fatto. La risposta la dà tutti i giorni la donna che va a fare la spesa e conclude che non ce la fa più, che ogni giorno si sta peggio di prima, che di questo passo non si può più andare avanti.
Non vedo dunque che fino a questo punto il Governo abbia soddisfatto nemmeno a questa esigenza fondamentale del popolo italiano; né credo che esso sia in grado di soddisfarvi sino a che durerà nell’attuale composizione.
Non voglio addentrarmi, onorevoli colleghi, nell’esame di problemi tecnici. Ritorno quindi subito sul terreno politico per affermare che su questo terreno esigenza fondamentale della nostra vita nazionale è che sia mantenuta l’unità della Nazione e in prima linea delle masse lavoratrici e di tutte quelle altre forze che possono esplicare un’iniziativa nel campo della produzione. Senza questa unità, impossibile od oltremodo penosa diventa la nostra ricostruzione. Questa unità è condizione necessaria affinché in tutti sia presente una eguale coscienza dei sacrifici che per la ricostruzione tutti debbono fare.
Sì, sacrifici se ne debbono fare: lo sappiamo tutti e il compagno Nenni ce lo ha testé dimostrato; ma solo la unità che noi auspichiamo permetterà alla Nazione di affrontarli e sopportarli. L’unità che noi auspichiamo deve essere base di tutta la vita nazionale, e la realizzazione di essa è esigenza fondamentale per tutti.
Ebbene, soddisfa il vostro Governo a questa esigenza? No, nemmeno questa esigenza soddisfa e perciò io affermo che esso può, forse, restare al potere, ma non può governare.
Governare infatti non può voler significare semplicemente rimanere a quel posto: governare non può nemmeno voler dire distribuire qualche vantaggio a questo o a quello dei propri clienti: governare vuol dire dare soddisfazione a quelle esigenze fondamentali che ho indicato. Ebbene, voi non siete in grado di farlo; voi non lo avete fatto finora e non siete in grado di farlo per il futuro.
Per la sua origine, per la sua composizione, per la sua natura e attività, questo Governo non può portare ad altro che a un peggioramento e a una acutizzazione continua della situazione del nostro Paese.
Ne abbiamo, del resto, già avuto la prova, come si è visto a proposito degli scioperi. Il numero degli scioperi, è vero, è aumentato negli ultimi tempi. Non posso oggi ripetere quello che dissi in questa Assemblea più di un anno fa, quando affermai che il nostro Paese è quello in cui meno si scioperava. Ma la causa principale, quella anzi su cui proprio noi dobbiamo maggiormente concentrare la nostra attenzione, la causa primissima di tutti questi scioperi, sta precisamente nella composizione del Governo.
È inutile che voi mi diciate che qui il politico si confonde con l’economico. Ma senza dubbio: ciò avviene in modo inesorabile; voi stessi continuamente lo affermate e nessuno lo può negare.
È bastato che si costituisse questo Governo di una sola parte, questo Governo che esclude i rappresentanti del movimento operaio socialista nelle sue differenti varietà, e tutti i rappresentanti dei partiti più avanzatamene democratici e repubblicani, è bastato questo perché nelle classi padronali si facesse sentire un irrigidimento particolarmente pericoloso e quasi una tendenza a provocare e aggravare i conflitti del lavoro. Di qui una serie di piccoli scioperi, che sono forse quelli che hanno dato più noia localmente, i quali erano tutti o quasi tutti provocati dal fatto che il padrone pensava tornato il momento in cui comandava lui e lui solo in modo assoluto, senza tener conto della volontà dei lavoratori, e quindi si attribuiva il potere di licenziare quegli operai che sembrava a lui, unicamente perché militanti del sindacato o di un partito politico a lui avverso. Di qui una serie di scioperi, di carattere non solo economico, ma economico-politico, tutti chiusi, però, con la vittoria dei lavoratori. I padroni si erano sbagliati; avevano creduto che bastasse costituire un Governo di parte, escludendo i rappresentanti dei partiti di sinistra e del movimento operaio socialista, perché le forze delle classi lavoratrici, scoraggiate, subissero la legge del più forte. No, non è così! I più forti sono e continuano a essere i lavoratori e le loro organizzazioni. Tutte le campagne che sono state fatte dalla vostra stampa, dalla stampa «indipendente», liberale e di tutti i colori, fascista e semifascista, per proclamare che oramai noi comunisti eravamo finiti, che il movimento sindacale era irrimediabilmente minato dalla secessione di una delle parti che lo compongono, tutte queste chiacchiere hanno dato alla testa di determinati gruppi di industriali e di agrari, li hanno incitati alla tracotanza, li hanno spinti a provocare gli scioperi. Ma la risposta è stata dappertutto univoca: la classe operaia non è battuta, la classe operaia non si lascia battere! (Vivi applausi a sinistra).
Non vi è nessuno spirito di sconfitta, oggi, nella classe operaia e nelle fondamentali categorie lavoratrici. Al contrario; la classe operaia in questo dopoguerra ha compreso molto bene la via per la quale la conducono i suoi partiti: via di realizzazioni graduali vittoriose, via che evita di cadere nel tranello della provocazione o poliziesca o padronale, e che mantiene compatte le forze del lavoro per le battaglie che devono essere combattute l’una dopo l’altra, per creare nel nostro Paese un vero, stabile regime di democrazia e avviare la soluzione delle più gravi questioni sociali. (Applausi a sinistra).
È certo che il pericoloso stato d’animo, che si è diffuso da alcuni mesi nella classe padronale, è stato da voi inconsapevolmente o consapevolmente creato quando avete formato il Governo. A questo stato d’animo è dovuta anche l’intransigenza di determinate categorie padronali all’inizio di grandi agitazioni, come quelle dei braccianti e dei metallurgici; agitazioni che hanno però anche un altro carattere, sul quale mi soffermerò. Voi stessi l’avete detto, e i colleghi socialisti e anche noi l’abbiamo detto e ripetuto, che l’aumento salariale puro e semplice non basta più a risolvere il problema del disagio dei lavoratori, oggi. Questa è una verità che sta entrando nella convinzione delle grandi masse. Badate, però, che questo non significa che la lotta del lavoro è terminata; al contrario: significa che l’operaio, il bracciante, il contadino, l’impiegato incomincia a comprendere, ben più di quanto non avesse compreso finora, che per lottare contro l’indigenza bisogna affrontare e risolvere problemi più vasti di quello del puro e semplice livello salariale. È per questo che già nelle rivendicazioni dello sciopero dei braccianti voi vedete affiorare i problemi della riforma agraria, come li vedete affiorare nelle agitazioni dei contadini del Sud; così come i problemi della riforma industriale affioreranno domani nella lotta dei metallurgici e in tutte le prossime lotte del lavoro.
Voi avete detto, però, che questi problemi sono rinviati e non se ne deve parlare più. Io non lo credo. Anzi, profondo errore è il vostro! Questi problemi non possono essere rinviati. È la vita stessa che ce li pone davanti, nel momento in cui nella lotta fra il prezzo e il salario, cioè nella lotta puramente economica e salariale, non si vede più via di uscita. In questo momento occorre, se si vuole andare avanti, passare ad altre misure, necessarie per pianificare, per controllare, per limitare i poteri dei monopoli, per lottare efficacemente contro la speculazione. Ecco i prossimi temi della lotta economica e sindacale che inevitabilmente diventa lotta politica, per la legge stessa delle cose.
Il vostro testardo rifiuto a porvi per questo cammino non fa che render sempre più acuta la situazione.
L’esistenza di questo Governo, la sua composizione, la sua struttura, postulano dunque nel campo economico una accentuazione dei conflitti sociali.
I lavoratori hanno offerto la loro collaborazione, hanno offerto tutto quello che potevano offrire, hanno offerto e dato quello che io chiamai altra volta in questa Assemblea un contratto assurdo, un patto di lavoro che fissa un massimo di salario anziché un minimo, e ciò nell’interesse della società nazionale e della ricostruzione!
Ma non crediate che il problema della collaborazione si limiti alle trattative fra gli industriali e i rappresentanti del movimento operaio. No, il problema della collaborazione è un vasto problema generale politico, è un problema sociale. Una politica di collaborazione allo scopo della ricostruzione del Paese, quella che io chiamo una politica di unità, deve prima di tutto avere la sua espressione al vertice, nel Governo del Paese, il quale deve comprendere i rappresentanti di tutti i partiti delle classi lavoratrici, altrimenti è inevitabile l’acutizzazione delle lotte economiche e di tutti i conflitti che ne derivano. L’appello alla lotta discende inevitabile da quella determinata composizione del Governo. L’inasprimento dei conflitti sociali diventa una conseguenza a cui non si può sfuggire.
Lo stesso avviene nel campo politico. Vi è oggi senza dubbio un’accentuazione della lotta politica nel nostro Paese, con una certa polarizzazione all’estrema destra di gruppi fascisti i quali cercano di seminare la confusione e di approfittare del disordine; e vi sono senza dubbio, in seno alle classi capitalistiche, uomini e gruppi i quali pensano che, attraverso l’accumularsi delle difficoltà, e quindi l’aumento della confusione e del disordine, possa crearsi una situazione in cui una altra volta essi possano ricorrere al fascismo come al loro salvatore.
Lascio da parte le accuse e le calunnie che si lanciano contro di noi, anche se esse pure contribuiscono all’accentuazione della lotta politica. Quanta gente ha paura! E che paura, per esempio, quei liberali! Un comunista parla e dice che chiama il popolo alla lotta contro questo Governo. Ed ecco il liberale prendere in mano il dizionario dei sinonimi. Lotta? che cosa vuol dire lotta? Togliatti ha detto che vuole combattere! E dove sono le armi? E che cosa vorrà fare quest’uomo?
Ma guardate come Churchill tratta il Governo laburista, le invettive che egli scaglia contro di esso, vedrete sino a qual punto si può sviluppare la lotta politica in regime di democrazia.
Una voce al centro. Anche con la uccisione di Petkov!
TOGLIATTI. Onorevole collega, perché mi fa questo nome? Perché mi induce a dire che io sono convinto che se ci fosse stato nel 1920, nel 1921, nel 1922, un tribunale in Italia che avesse messo al muro Mussolini, l’Italia potrebbe essere oggi un grande paese? (Vivi applausi a sinistra). Se Petkov fosse poi un altro Mussolini o meno, è cosa, questa, che riguarda il popolo bulgaro e che esso solo ha il diritto di giudicare. (Commenti).
Sotto a tutte le paure che vengono diffuse ad arte, c’è sempre il medesimo problema: il problema del nostro partito. Occorre affrontare con sincerità e chiarezza il problema del nostro partito, del Partito comunista. So benissimo che la composizione di questo Governo forse sarebbe stata diversa se non ci fosse stato questo problema del nostro partito, della sua politica, del suo sviluppo, delle sue posizioni sempre più forti nel Paese.
Onorevole De Gasperi, una volta ella diceva che bisogna adeguarsi agli Stati Uniti (lei, onorevole Sforza, se ne è dimenticato), alla loro mentalità, ai loro costumi. Ella dovrebbe invece cominciare ad adeguarsi alla realtà del nostro Paese, che è l’Italia, e prima di tutto abituarsi a considerare che il Partito comunista italiano è il Partito comunista italiano, che noi siamo figli della storia del nostro Paese (Commenti al centro), che usciamo dalla storia del movimento operaio e socialista italiano e dalla nostra lotta di liberazione! (Interruzioni al centro). Qui sono le radici della nostra forza e del nostro prestigio. Non serve quindi a nulla il credere di poter risolvere questo problema applicando le leggi o i costumi dell’Ohio o del Missouri!
Guardate come si schiera la classe operaia italiana nei suoi sindacati, nelle sue organizzazioni originarie, primitive: il 60 per cento dei voti è comunista, più dell’80 per cento è per comunisti e socialisti alleati; se prendete poi le categorie strettamente operaie, salite per il nostro partito a percentuali che superano il 70 per cento. Tutto questo vuol dire che non potete più separare il Partito comunista dalla classe operaia, e quando fate questa politica di sospetti, di insinuazioni, di calunnie e di provocazioni contro il Partito comunista è contro la classe operaia che la fate. Quando volete mettere al bando noi, è la classe operaia che volete mettere al bando. Ma anche se uscite dalla considerazione esclusiva delle forze operaie, il quadro non è molto diverso. Vedete che cosa avviene nei più grandi comuni, di cui nemmeno uno è amministrato dalla Democrazia cristiana. Genova, Milano, Torino, Livorno, Bologna: chi li amministra? Li amministrano il Partito comunista e il Partito socialista uniti assieme. Tenete conto infine che in Italia l’unità della classe operaia è qualche cosa contro cui non si può andare, perché anche essa deriva dalla storia d’Italia e dalle tradizioni migliori del nostro movimento operaio. Voi vorreste spezzarle, queste tradizioni, ma non ci riuscirete.
Rimane il fatto che elemento essenziale di tutta la nostra situazione, della instabilità di essa, del disagio crescente che esiste nel Paese, della acutezza dei rapporti economici e dei rapporti sociali e quindi dei contrasti politici, è la questione dei rapporti con il nostro partito, e cioè con la parte più avanzata, più compatta, decisa e combattiva della classe operaia e delle classi lavoratrici. Con nuovo spirito dovete affrontare e risolvere questo problema e non con lo spirito con cui l’avete affrontato e risolto fino ad ora, se volete fare il bene del Paese, dandogli un Governo che lo sappia e possa governare. La situazione governativa attuale deve essere modificata, corretta, poiché, ripeto, con un Governo come questo le esigenze fondamentali della Nazione non possono essere sodisfatte. Occorre ritornare a una formula di Governo unitaria, la quale non escluda quei partiti che sono più legati alla classe operaia, e in particolare a quella larghissima parte di essa che è espressione del movimento operaio socialista nelle sue diverse correnti. Questo vorrei dire non soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai colleghi democristiani, ma a tutti i partiti, anche ai partiti di sinistra, ai socialisti laburisti e ai repubblicani. Contraddire a questa formula unitaria vuoi dire preparare al nostro Paese giorni più duri ancora degli attuali.
Onorevole Saragat, ella sen viene come Amore nel sonetto di Guido Cavalcanti, «tenendo tre saette in una mano», con l’una volendo colpire il ceto possidente, con l’altra l’inconcludente politica demo-cristiana, ma rivolgendo la punta della terza, forse la più acuminata e avvelenata, contro il nostro partito. Questa politica è sbagliata perché non può portare a nessun risultato a favore né della democrazia, né del socialismo, ma solo a loro danno.
SARAGAT. Mi pare viceversa.
TOGLIATTI. È sbagliata questa politica, onorevole Saragat! Non si introducono misure socialiste, non si introduce in nessuna misura quel tanto di socialismo che può essere introdotto oggi nella nostra vita sociale e che è necessario introdurvi per la soluzione di fondamentali problemi economici e sociali, fino a che si mantiene questa punta avvelenata contro il partito più strettamente legato alla classe operaia. Non so se ciò sia possibile in altri paesi: in Italia, no. Noi l’abbiamo capito da tempo; per questo abbiamo proposto alla Nazione italiana qualche cosa di profondamente nuovo, che nessuno di voi forse si aspettava, proponendo la nostra collaborazione, sul terreno democratico e parlamentare, alla ricostruzione politica, economica e sociale. Abbiamo così proposto qualche cosa di profondamente nuovo, una nuova via che riteniamo necessaria, anzi, forse la sola possibile per un Paese uscito dalla tragedia fascista e minacciato da altri mali e altre tragedie, minacciato dalla disunione, dall’indigenza dei lavoratori, e dalle tempeste che si addensano all’orizzonte internazionale.
Abbiamo sentito e sentiamo che è nostro dovere preparare questa soluzione all’Italia e al popolo italiano, e rimaniamo su questo terreno: sul terreno di una fattiva collaborazione di tutte le forze che si richiamano alle classi popolari lavoratrici, di tutte le forze democratiche e repubblicane. Sappiamo tutti però che collaborazione fattiva significa non escludere da nessuna delle attività direttive della vita della nazione il nostro partito, poiché non si può mettere al bando con nessun artificio questa grande forza di operai e di lavoratori.
Quale sarà la via per la quale la classe operaia affermerà le proprie rivendicazioni e i propri ideali e darà il suo contributo attivo alla ricostruzione del Paese, se voi direte: «No; siccome voi, operai italiani, seguite in così gran numero il Partito comunista, che è il vostro partito, per voi c’è il bando, l’esclusione dalla direzione politica del Paese», quali possono essere le conseguenze di simile posizione, lo lascio dire a voi.
E vengo alla fine. L’obiettivo di questa discussione, aperta su iniziativa del Partito socialista, alla quale noi ci siamo associati, è di cambiare questo Governo, dopo aver reso ancora una volta evidente al Paese che esso non è costruito e non lavora in modo tale da poter sodisfare le esigenze fondamentali della vita nazionale. Ci hanno chiesto: «Ma volete davvero rovesciare il Governo?». Ma certamente, sì; altrimenti non vorremmo dibattiti, non parleremmo sulle piazze, non agiteremmo il Paese. Non crediate però che per noi, come partito, l’obiettivo di rientrare nel Governo possa essere, ripeto come partito, una così grande attrattiva. L’ho già detto altra volta: l’opposizione tonifica i partiti della classe operaia; li rende più forti. (Approvazioni).
Quando siamo stati al Governo, come Ministri abbiamo fatto il nostro dovere, nell’interesse del Paese. Ma, e anche questo ve l’ho detto già altre volte, noi non abbiamo fretta. Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! (Commenti al centro e a destra). Senza dubbio! Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali; nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini.
E lo proclamiamo apertamente. Non abbiamo nulla da nascondere. Questo è il nostro programma.
Ma oggi esistono problemi nazionali che urgono. La democrazia e la Repubblica devono essere ancora rafforzate. (Commenti al centro). Vi sono minacce gravi Che incombono sulla nostra vita nazionale. Il nostro dovere è dunque di continuare a porre al Paese con urgenza il problema della necessità dell’unità di tutte le forze lavoratrici, di tutte le forze repubblicane e democratiche, come base della più larga unità della Nazione nell’opera di ricostruzione che deve essere fatta.
Riusciremo noi ad abbattere questo Governo nel corso di questa discussione? Non lo so; non dipende da noi, dipende dalle altre forze, che sono qui rappresentate e schierate.
Ma se noi parliamo all’Assemblea e al Governo, nello stesso tempo parliamo al Paese, perché sappiamo che domani il Paese sarà chiamato a dire la sua parola; verrà consultato in nuove elezioni, in quella che è l’istanza suprema nella democrazia. Ebbene, noi vogliamo che il Paese sappia sempre meglio qual è l’obiettivo che noi ci proponiamo, che cosa oggi vogliamo fare. Vogliamo che il Paese sappia che domani, dando a noi il maggior numero dei propri voti, voterà per un partito il quale, qualunque sia la sua forza in questa Assemblea, continuerà a fare una politica di unità o di collaborazione di tutte le forze democratiche e repubblicane.
Signori, soltanto in questa politica noi vediamo la salvezza del nostro Paese. Voi questa politica non la state facendo e non la potete fare. Voi non siete dunque il Governo di cui oggi ha bisogno l’Italia. (Vivissimi prolungati applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).
DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Riservo naturalmente al Ministro dell’interno, assente per ragioni d’ufficio, di rispondere alle singole lagnanze ed alle accuse particolari che l’onorevole Togliatti ha presentato.
Mi interessa solo di stabilire che, se ho bene inteso l’elenco dei fatti deplorevoli avvenuti alla frontiera, si tratta di fatti, di incidenti avvenuti il giorno 14 ed il 15 settembre, uno solo il 16. In ogni caso, per la grande maggioranza, per la quasi totalità, sono avvenuti prima che la polizia italiana assumesse la responsabilità dell’ordine pubblico.
Ho già dichiarato a una delegazione slava di Gorizia che il Governo italiano intende difendere i diritti dei cittadini a qualunque gruppo etnico essi appartengano e che là dove noi saremo presenti faremo ogni sforzo per mantenere l’ordine. L’esempio si è avuto già il giorno 16, quando a Gorizia avvenne un serio incidente causato da una squadra di elementi contro un negozio nel centro della città: intervennero, non la polizia che era ancora lontana, ma i soldati del centoquattordicesimo reggimento fanteria che stroncarono senz’altro il brutto incidente. Vorrei che questa parola venisse accolta con soddisfazione su tutti i banchi e che servisse non soltanto a calmare l’irrequietudine degli elementi slavi al di qua del confine, ma anche come prova di buona volontà da parte nostra affinché i nostri fratelli, rimasti al di là del confine, vengano trattati con lo stesso rispetto. (Vivissimi applausi al centro). Per il resto, come ho già detto, cioè per ogni singolo fatto di ordine pubblico qui denunciato, risponderà il Ministro dell’interno, mentre per la linea politica generale mi riservo di rispondere a conclusione di questo dibattito. Ma di una cosa sono altamente stupefatto: l’onorevole Togliatti si è lagnato di una rigidissima censura, di una politica repressiva contro i manifesti. Sono altamente stupefatto per questo, perché se il Ministro dell’interno ha fatto veramente una tale politica repressiva contro manifesti antigovernativi, mi domando perché io personalmente fino sulla soglia della mia casa devo essere dileggiato e vilipeso in manifesti anonimi, persino, dico, sulla soglia della mia casa, e mi domando perché su tutte le piazze d’Italia io debba essere impiccato in effigie, e messo alla forca. (Vivissimi, prolungati applausi al centro).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione delle mozioni è rinviato alle ore 11 di domani.
Interrogazione con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno, sulla ingiusta espulsione dal territorio nazionale del cittadino svizzero Wipf dottor Renato, già residente da oltre undici anni a Sondrio, nato in Italia, nonostante che il Wipf abbia combattuto nelle formazioni partigiane per la liberazione dell’Italia e malgrado il danno che un tale precedente potrebbe arrecare ai lavoratori italiani emigrati all’estero».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi riservo di far conoscere lunedì prossimo quando il Governo potrà rispondere.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
AMADEI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritiene opportuno ammettere ai concorsi per insegnanti, riservati ai reduci, anche i profughi della Venezia Giulia, Dalmazia e delle terre d’Oltremare.
«Questa disposizione agevolerebbe detti profughi per una loro definitiva sistemazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Tumminelli».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se di fronte al malcontento ed alle agitazioni dei liberi professionisti, e specialmente del ceto forense, preso di mira da eccessivi accertamenti dell’imposta generale sull’entrata, non creda urgente dare precise istruzioni agli uffici periferici affinché venga temperata l’asprezza del gravame stesso e delle relative penalità, cercandosi di evitare pericolose ed arbitrarie sproporzioni tra gli accertamenti di ricchezza mobile e quelli dell’imposta suddetta. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bertini, Filippini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere quali siano i motivi che ancora ostano alla definizione ed al sovvenzionamento, da parte dello Stato, del piano di ricostruzione della città di Rimini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Spallicci».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quando riterrà di poter concedere agli assuntori ferroviari gli stessi benefici economici ed assistenziali concessi al personale di ruolo e non di ruolo delle ferrovie dello Stato. Gli assuntori sono stati esclusi recentemente dal beneficio dell’assistenza sanitaria dell’Ente nazionale previdenza assistenza agli statali (ENPAS) e non è stata loro liquidata l’anticipazione recentemente concessa a tutti gli statali. L’interrogante chiede inoltre quando verrà emanato il provvedimento preannunziato allo studio in una risposta data il 20 febbraio 1947 ad una sua precedente interrogazione e cioè l’adeguamento del trattamento economico degli assuntori a quello del personale ferroviario di grado assimilabile.
«L’interrogante domanda inoltre se l’onorevole Ministro non ritenga opportuno inquadrare fra il personale di ruolo gli assuntori. Detta categoria infatti, istituita dal fascismo, rappresenta un’economia per l’Amministrazione a prezzo però dello sfruttamento del prestatore d’opera. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Biagioni».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi si indugi ancora a provvedere alla riparazione delle ingiustizie determinate dalla esclusione di funzionari non iscritti al partito fascista da concorsi e promozioni.
«Per conoscere, in particolare, per quali motivi (anche in considerazione del limitatissimo numero degli interessati) non sia stato esteso il diritto a partecipare al concorso per volontario di cancelleria, bandito di recente per reduci e patrioti, a quei funzionari che possono documentare di essere stati esclusi da precedenti concorsi per mancanza del requisito della tessera fascista. In proposito si segnala all’onorevole Ministro l’opportunità di estendere la facoltà di partecipare al predetto concorso alla segnalata, ristrettissima categoria di danneggiati dal fascismo. (Si tratta in sostanza, di due o tre persone). (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Leone Giovanni, Salerno».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.
La seduta termina alle 19.55.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 11:
Seguito dello svolgimento delle mozioni degli onorevoli Nenni, Togliatti e Canevari.