Come nasce la Costituzione

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LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxxvIIi.

SEDUTA DI LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

In memoria di Fiorello La Guardia:

Gasparotto

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Laconi

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Salerno

Mazza

Schiratti

Corbellini, Ministro dei trasporti

Veroni

Mastino Pietro

Numeroso

Presidente

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Martino Gaetano

Fiore

Stampacchia

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Caso

Cappi

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Giacchero

Interpellanze (Svolgimento):

Silipo

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Nobile

Cingolani, Ministro della difesa

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sui lavori dell’assemblea:

Russo Perez

Vernocchi

Laconi

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Arata, Carmagnola, Pellizzari.

(Sono concessi).

In memoria di Fiorello La Guardia.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Invito l’Assemblea a rivolgere un pensiero di rimpianto e di omaggio alla memoria di Fiorello La Guardia, spentosi l’altro ieri a New York, portando nel cuore l’impronta dei suoi due grandi amori: l’antica patria d’origine, l’Italia, la sua nuova patria di elezione, gli Stati Uniti.

La romantica vita di quest’uomo, figliuolo della Puglia, che si inizia nella più dura miseria e culmina nei fastigi del più alto potere nella città più possente del mondo, è degna di insegnamento e anche di ammonimento per coloro che ancora disconoscono ì valori morali che racchiude in sé questa povera Italia. Perché, dal nulla, da padre ramingo ed esule dalla patria che gli negava il pane, l’italiano Fiorello La Guardia ha saputo battere vie nuove ed arrivare a superba altezza.

Di lui ricordiamo il compagno d’armi della prima guerra europea; di lui ricordo, soprattutto, che quando, dopo la sventura di Caporetto, l’Italia, fino allora divisa, si trovò unita e concorde nel pensiero e nella volontà della rivincita, la voce dell’America suonò consolante ed incitatrice per bocca di Fiorello La Guardia, del quale è ancora memoria di un appassionato discorso al Teatro della Scala a Milano.

Poi, quando, durante l’ultimo e più sanguinoso conflitto, durava in Italia ancora la guerra civile – e fu il delitto maggiore del fascismo – venne dall’America attraverso le onde della radio la prima parola amica, essa era la voce di Fiorello La Guardia. Perciò un gruppo di deputati italiani, profughi ed ospiti nella Svizzera (fra essi vedo presente qualcuno, l’onorevole Targetti, l’onorevole Momigliano, l’onorevole Maffi) gli dirigevano questo saluto:

«Amici vostri, memori della nobile opera da voi spiegata in Italia in altra ora e costantemente mantenuta oltre Oceano, sicuri interpreti unanime pensiero del popolo italiano, vi esprimono la loro profonda riconoscenza per la nuova affermazione di incoraggiante solidarietà, augurando che il generoso appello accolga consensi presso il Vostro grande Paese».

Fiorello La Guardia, passando sopra a tutti i protocolli, malgrado l’ufficio che teneva, ha risposto immediatamente così:

«Amici, pazienza e coraggio. Apprezzo vostro gentile omaggio. L’America è profondamente interessata nell’avvenire dell’Italia. Ho la assoluta certezza che le condizioni miglioreranno molto presto». E il presagio fu tradotto in realtà. Otto mesi dopo l’Italia era libera. Ma, ove non bastasse a costituire titolo di riconoscenza verso di lui quello che ha fatto Fiorello La Guardia per l’Italia, basterà por mente a quello che ha fatto quando, già martoriato dal male che lo ha tratto alla tomba, ha diretto l’U.N.R.R.A., quella meravigliosa e generosa istituzione che ha sfamato tanti vecchi, tanti bimbi, tanti infermi, sparsi per le vie del mondo.

Perciò noi non ricordiamo soltanto in lui il fedele amico del nostro Paese, ma ricordiamo anche uno dei cavalieri dell’umanità, destinati ad aprire la via dell’universale solidarietà a tutti gli uomini che soffrono e che sperano. (Vivissimi, generali applausi).

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Il Governo si associa alle nobili parole dell’onorevole Gasparotto. L’Italia ha perduto in Fiorello La Guardia un amico leale e sincero; la democrazia un’incomparabile campione, l’umanità un forte assertore, generoso e leale, dei valori umani e cristiani della vita. (Vivissimi, generali applausi).

PRESIDENTE. Io credo di interpretare il sentimento e il pensiero dell’Assemblea associandomi alle nobili parole dell’onorevole Gasparotto e del rappresentante del Governo alla memoria di Fiorello La Guardia. Fiorello La Guardia non può essere dimenticato dagli italiani. Essi ricordano la sua solidarietà viva ed ardente durante la nostra lotta di liberazione e la lotta per la conquista delle istituzioni repubblicane d’Italia. Lo ricordano per tutte le virtù dell’uomo pubblico, che ha dato anche un mirabile esempio nello sviluppo dell’opera sua a favore della sua città.

Lo ricordiamo noi, onorevoli colleghi, che avemmo il privilegio di ospitarlo nel nostro palazzo; e lo udimmo rivolgerci delle forti e generose parole di incoraggiamento per la lotta che avremmo ancora dovuto sostenere nel nostro Paese, per i sacrifici che avremmo dovuti ancora affrontare. Egli ci incoraggiò, ci confortò e ci ha, credo, accompagnati col pensiero sino all’ultimo istante di sua vita, perché egli amava veramente l’Italia.

Vada alla memoria di Fiorello La Guardia il nostro commosso pensiero. (Vivissimi generali applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. La prima è dell’onorevole Laconi, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, «per sapere: 1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna; 2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a far cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate; 3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge il luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa, dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere per la parte che lo concerne.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il bacino del Tirso, costruito in seguito alla legge Cocco Ortu e regolato dal disciplinare 18 marzo 1914, aveva come scopo preminente la produzione di energia elettrica per usi industriali e civili e quello di irrigazione della piana di Campidano di Oristano.

Il compito di regolatore delle piene del Tirso era un compito secondario, che si univa agli altri due, non nel senso che il bacino fosse concepito come regolatore totale delle piene del Tirso, ma che fosse concepito anche allo scopo di diminuirne la portata e l’intensità, giacché il corso irregolare di quel fiume faceva sì che, per la sua natura torrentizia, piene massime di oltre 3 mila metri cubi al secondo fossero registrate negli anni di massima piovosità; piene che era impossibile contenere anche con un bacino della capacità di 400 milioni di metri cubi, quale è il bacino del Tirso, piene che, però, attraverso la diga del Tirso stesso venivano ridotte ad un massimo di 700-800 metri cubi al secondo.

Costruito il bacino, le opere di irrigazione nella bassa valle del Tirso trovarono una viva opposizione da parte dei grandi proprietari del comprensorio; viva opposizione che si è sempre ripetuta, e si è ripetuta anche quest’anno, adducendo gli stessi elementi e gli stessi motivi – secondo noi, non esatti – che sono contenuti nell’interrogazione dell’onorevole Laconi.

Le acque del Tirso, opportunamente regolate, possono essere sufficienti ad irrigare non solo gli 8 mila ettari del comprensorio di Arborea, ma anche i 16 mila e più ettari del basso Campidano di Oristano.

Se al bacino si attribuissero esclusivamente o prevalentemente funzioni di regolatore di piene, è certo, dati i diagrammi del deflusso del fiume, che l’irrigazione non potrebbe essere praticata. Si aggiunga che, se anche il bacino del Tirso fosse utilizzato come regolatore delle piene, esso non potrebbe mai impedire le inondazioni del Tirso nelle massime piene che si verificano precisamente in anni di piovosità eccezionale, come è stato l’anno decorso. In 24 anni si sono potuti misurare completamente i deflussi del Tirso, e si è visto che essi oscillano da 200 milioni di metri cubi annui, negli anni di minima piovosità, ad oltre un miliardo e cento milioni di metri cubi negli anni di massima piovosità. E questi stessi diagrammi dimostrano come, in questi anni di massima piovosità, che si ripetono con ciclo quasi decennale, le funzioni di trattenuta delle piene del bacino del Tirso non potrebbero essere in nessun modo adempiute, in quanto il deflusso invernale supera quasi tre volte la capacità del bacino stesso.

Si aggiunga inoltre che a valle della diga del Tirso, un affluente del Tirso, il Fiumineddu, il quale non è trattenuto da bacini e riversa le sue acque in piena nella piana di Oristano, provoca anch’esso delle esondazioni frequenti, le quali si confondono con le esondazioni del bacino del Tirso.

Questa situazione non è passata inosservata certamente né al Governo attuale né ai Governi precedenti; essa è stata, anzi, oggetto di lunghi studi, e si è ritenuto che la soluzione dovesse essere la seguente: arginare tutto il corso del Tirso a valle della diga, per proteggere i terreni del Campidano di Oristano dalle inondazioni del Tirso stesso, e utilizzare completamente le acque del Tirso per l’irrigazione del fertilissimo comprensorio del basso Campidano, che permetterebbe di decuplicare la produzione di quei 16.000 ettari di terreno che oggi sono quasi esclusivamente adibiti a pascolo.

Se noi invece adottassimo la tesi di alcuni grossi proprietari della valle del Tirso, del Consorzio della destra del Tirso e dell’onorevole Laconi, dovremmo negli anni di scarsa piovosità condannare questi terreni alla mancanza di irrigazione. Dato infatti l’andamento alterno delle stagioni, per cui a stagioni di media o massima piovosità seguono anni di scarsa piovosità, se si vuol praticare l’irrigazione è necessario conservare nel bacino del Tirso un determinato quantitativo di acqua che serva a compensare nell’anno successivo ad anno di piovosità normale i minori probabili afflussi di pioggia.

Noi dobbiamo regolare l’irrigazione non secondo il decorso annuale della piovosità, ma secondo un decorso almeno biennale, in modo da essere sicuri che nel biennio possiamo disporre annualmente di 300 milioni di metri cubi circa per la necessaria irrigazione dei due comprensori, trattenendo quindi sempre nel bacino un determinato quantitativo di acqua perché anche negli anni di minima piovosità di soli 200 milioni di metri cubi, noi possiamo sopperire con le acque dell’annata precedente ai bisogni dell’irrigazione.

Per utilizzare quindi il bacino del Tirso come opera regolatrice, al massimo, delle piene, noi dovremmo tenere per quanto è possibile permanentemente vuoto al massimo il bacino stesso, mentre noi abbiamo bisogno di trattenere da un anno all’altro nel bacino stesso un centinaio di milioni di metri cubi per poter assicurare questa irrigazione, che si sta estendendo e che è intenzione del Ministero di completare al più presto possibile.

Per salvaguardare i terreni a valle del bacino, che devono essere veramente salvaguardati in quanto si intende trasformarli dalla cultura estensiva attuale a cultura fortemente intensiva, quali sono le culture irrigue, è necessaria la costruzione di argini, i quali sono stati interrotti dalla guerra, in parte distrutti dalle opere di guerra, in parte perché ne è stata sospesa l’esecuzione, la quale è stata ora ripresa e che, completata, porrà completamente in salvo i terreni irrigui dalle possibili inondazioni del Tirso.

Vi sono state anche delle obiezioni contro questa sistemazione, ed è bene che queste obiezioni siano completamente superate da un esame spassionato, perciò nel luglio scorso, dopo la precedente mia visita personale nel territorio, effettuata in aprile, si è proceduto, d’accordo col Ministero dei lavori pubblici, alla nomina di una Commissione che dia l’ultima e definitiva parola sulle decisioni adottate dal Ministero dell’agricoltura. Il problema è ormai più agricolo che di lavori pubblici. Noi intendiamo spingere al massimo l’irrigazione in un territorio desolato come quello della Sardegna.

Ci pare che lo scopo migliore a cui la bassa valle del Tirso potrà essere destinata sia quello di rendere produttivi i fertili territori della bassa valle del Tirso e contrastare le inondazioni nella bassa valle del Tirso, per cui si può trovare rimedio nel proseguimento dell’arginatura, lavoro che richiederà ancora qualche anno, ma che è, secondo noi, indispensabile. Si son fatte obiezioni non tecniche, perché ritengo che le obiezioni tecniche siano infondate; si è trovata avversione nel misoneismo di alcune persone, ma ritengo che il pronunciato della Commissione, che è composta dagli ingegneri Giandotti e Malacarne, tecnici e idraulici noti in tutta Italia, e dal professor Passerini, agronomo di grande valore, ritengo, ripeto, che toglierà di mezzo tutte le obiezioni che infondatamente sono state rivolte all’operato del Ministero.

Questa ritengo che sia la soluzione da adottare per l’interesse della Sardegna, superando quelli che possono essere i piccoli interessi locali che potessero essere lesi. Questa soluzione credo debba adottarsi al più presto, ed io ho già disposto dei finanziamenti destinati ad eseguire quelle opere di arginatura che in ogni caso sono indispensabili; perché, come ho detto, nelle annate di grande piovosità il bacino del Tirso non è capace di trattenere tutta l’acqua del Tirso stesso, in quanto esso ne può trattenere appena un terzo e gli altri due terzi sarebbero sufficienti, nei momenti di massima piena, per provocare quelle inondazioni che si lamentano.

Occorre quindi difendere i terreni con un mezzo che sia diverso da quello del bacino, con un mezzo che non può essere costituito altro che dall’arginatura del corso del Tirso, ed anche del corso dei suoi affluenti, le cui piene, se pure di minore importanza, sono più numerose ed egualmente dannose.

Questo, per la soluzione che noi prospettiamo. In quanto al passato ed alle accuse che si sono mosse da varie parti, e si muovono anche con questa interrogazione, al comportamento della società ed alla mancata applicazione dell’articolo 30 del disciplinare della concessione del 17 marzo 1914, devo rispondere che l’applicazione di questo articolo non è possibile. Il disciplinare stesso contempla infatti la decadenza della concessione quando, durante il periodo dell’esercizio, non venisse sufficientemente curata la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’opera, per modo da correre pericolo cose e persone, oppure quando l’esercizio del serbatoio e servizi attinenti all’agricoltura e all’industria dovesse risultare così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti di pubblico interesse.

Il Ministero dei lavori pubblici, concessionario, ed al quale spetta fare osservare la concessione, ha giustamente osservato che il funzionamento della diga avviene sotto il controllo del Genio civile, il quale nessun rilievo ha presentato in proposito, e soggiunge che le inondazioni lamentate nel decorso anno sono dovute esclusivamente all’annata con andamento intensamente piovoso, torrentizio, eccezionale in modo che il bacino non è causa di queste inondazioni stesse, che sono prodotte invece dal naturale svolgimento della stagione. Ritengo perciò che senza voler prevedere quali possono essere i risultati dei lavori della Commissione nominata, che ha già iniziato lo studio della questione, Commissione sulla quale non vogliamo influire in nessun modo, la soluzione della questione si debba trovare nelle linee che ho già indicate, cioè arginare i fiumi le cui inondazioni provocano notevoli danni, i quali oggi sono contenuti in limiti modesti in quanto il terreno rivierasco è a coltura estensiva, ma che sarebbero ingentissimi, e che è necessario evitare, quando il terreno stesso fosse adattato a coltura intensiva; estendere con la massima intensità, contemporaneamente, le opere di irrigazione perché è certo che il beneficio che si ricava dall’utilizzazione delle acque del Tirso a scopo irriguo è incredibilmente più grande di quello che si potrebbe ricavare da qualsiasi altra utilizzazione. Non vi è confronto fra il benefìcio che può arrecare la diga del Tirso come regolatrice di piene e il benefìcio che le stesse acque possono arrecare utilizzandosi come irrigazione. Perciò fra le due soluzioni, nell’interesse generale collettivo, io ritengo che lo Stato debba perseguire l’opera già iniziata, in quanto, proseguendo quest’opera, si otterrà per la Sardegna un benefìcio grandissimo e, contemporaneamente, proseguendo gli argini si eviteranno i danni che si sono lamentati. Ritengo che questa sia la soluzione migliore da adottare; ma ad ogni modo, prima di proseguire in questa strada, il Ministero attende le decisioni della Commissione che non si faranno aspettare ancora a lungo perché il lavoro della Commissione stessa è stato già iniziato.

PRESIDENTE. Il Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare per la parte di sua competenza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. C’è un terzo punto dell’interrogazione dell’onorevole Laconi che può riguardare direttamente il Ministero dei lavori pubblici, là dove si domanda «come mai il Governo non ha ritenuto finora opportuno applicare l’articolo 30 del disciplinare del 17 marzo 1914 dichiarando la decadenza della concessione stessa, dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso e irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse».

Da quanto ha detto il collega onorevole Segni si può facilmente desumere come, di quanto avviene nel funzionamento del serbatoio, non si debba imputare in modo particolare la responsabilità completa alla Società concessionaria, la quale, per quanto riguarda gli uffici del Ministero – poiché gli organi periferici competenti non hanno fatto segnalazioni gravi a questo riguardo – ha rispettato le norme del disciplinare stesso. D’altra parte, devo ricordare all’onorevole Laconi quale è la dicitura precisa della clausola che riguarda l’eventuale decadenza della concessione, che bisogna tener presente in tutti i suoi termini per vedere se concorrono elementi per addivenire a quello che egli domanda nella sua interrogazione, e cioè: «la decadenza può essere decretata quando durante il periodo di esercizio non venisse sufficientemente curata la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere, per modo da far correre pericolo alle cose ed alle persone e da far prevedere che, rinviando la scadenza della concessione, dovesse essere restituita allo Stato con un forte deprezzamento»: circostanze queste che, secondo i dati a nostra disposizione, non si sarebbero verificate. Il successivo paragrafo 4 prevede anche la decadenza quando l’esercizio del serbatoio e dei servizi attinenti alla agricoltura, all’industria e ad usi civici dovesse risultare così difettoso da richiamare provvedimenti di pubblico interesse. Per quel che riguarda la competenza del mio Ministero devo dire all’onorevole Laconi che il funzionamento avviene sotto il controllo del Genio civile il quale non ha lamentato nulla di grave che possa dar luogo al provvedimento sollecitato dall’onorevole Laconi.

D’altra parte, le doglianze dell’onorevole Laconi, se fondate, non dovranno rimanere insoddisfatte; ed io stesso, non appena ho preso visione della sua interrogazione, mi sono dato cura di richiedere agli uffici competenti della Sardegna dati ed elementi che mi consentano di meglio approfondire la questione e di portare a disposizione dell’onorevole Laconi e di chiunque vi abbia interesse quei risultati che potranno derivare da queste indagini.

Comunque, noi attendiamo che la Commissione, di cui parlava testé l’onorevole Segni, ci dia le sue risultanze, le sue conclusioni, perché, in armonia con le medesime, si possano adottare quei provvedimenti che meglio rispondano agli scopi che hanno determinato l’interrogazione dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

LACONI. Io mi rendo conto del fatto che gli scopi che il Ministro dei lavori pubblici e il Ministro dell’agricoltura hanno attribuito alla creazione del bacino del Tirso non solo ricorrono fra quelli contemplati nel disciplinare del 1914 e nella legge del 1913, ma sono anche in se stessi apprezzabili e rispondono ad esigenze che ciascuno di noi è portato a riconoscere come giuste; però sta di fatto che l’articolo 1 del disciplinare stabilisce che la diga di sbarramento principale doveva essere costruita non soltanto in modo da rendere il serbatoio di trattenuta capace della quantità di acqua necessaria agli usi industriali ed all’irrigazione, ma anche in modo da rappresentare un argine tale da servire come raccolta delle acque del Tirso. Evidentemente, nel disciplinare e nella legge tra gli scopi, sia pure non tra i principali, che ci si proponeva con la creazione della diga, era contemplato anche quello di impedire o limitare le inondazioni.

Ora se andiamo a vedere cosa è accaduto in realtà, da quando la diga è stata creata, constatiamo che non solo il bacino non ha esercitato questa funzione, ma la situazione si è aggravata subito dopo la costituzione del bacino, almeno per quanto riguarda questo, che avrebbe dovuto essere uno degli scopi, sia pure secondari, della costruzione della diga.

Prima della costruzione, le inondazioni del Tirso erano di breve durata, 24-36 ore. Dopo la costruzione del bacino, siamo giunti ad avere nel 1934 fino a 27 giorni di inondazione; il che dimostra che almeno uno degli scopi, per cui il bacino è stato creato, non è stato in nessun modo raggiunto.

Io prendo atto delle dichiarazioni del Ministro dell’agricoltura, per quanto riguarda i provvedimenti che egli ha inteso di prendere per la costruzione delle arginature.

Ho però qualche dubbio su questa soluzione, in quanto è anche a conoscenza del Ministro dell’agricoltura che in Sardegna, soprattutto negli ambienti tecnici, si avanzano serie riserve sulla efficienza di queste opere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Dubbi interessati.

LACONI. Lo credo. Ma sta di fatto che ci sono interessi diversi e contrapposti, come il Ministro dell’agricoltura sa bene. In genere, chiunque parli di queste cose rispecchia uno degli interessi.

UBERTI. Allora lei rispecchia degli interessi.

LACONI. Non lo nego; ed all’inizio di questa mia risposta precisavo che di fatto vi sono scopi diversi, egualmente perseguiti attraverso la costruzione del bacino, e tutti apprezzabili.

Il fatto è che il bacino non può rispondere a tutti questi scopi e non possiamo chiudere gli occhi dinanzi ad una situazione così grave, come quella verificatasi quest’anno.

A me spiace che il Ministro dell’agricoltura sia andato soltanto in luglio.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Sono andato in luglio, in aprile e in dicembre.

LACONI. Ricordo che quando ella visitò il Campidano di Oristano in aprile, vi era il diffuso desiderio tra quelle popolazioni, che ella visitasse le zone colpite, desiderio che non ebbe soddisfazione. Io stesso, che invece visitai quelle zone in quel periodo, ebbi modo di rilevare uno dei difetti fondamentali delle arginature. I terreni del cosiddetto «bennaxi» sono così sabbiosi, che permettono penetrazioni, ben oltre gli argini. Ho visto io stesso oltre l’argine l’acqua riaffiorare.

Questo è uno dei motivi, che rendono problematica la soluzione; ve ne sono anche altri, i quali portano a pensare che la questione sia di difficile soluzione e che la proposta del Ministro dell’agricoltura non sia tale da sodisfare le esigenze degli agricoltori della zona.

Spero, comunque, che la Commissione nominata sia in grado di trovare la soluzione che risponda agli interessi di tutti.

L’onorevole Ministro non ha precisato come questa Commissione sia composta.

SEGNI. L’ho detto; lo ripeterò.

LACONI. Per quanto riguarda la decadenza eventuale dalla concessione, io non credo che le obiezioni portate dal Ministro dell’agricoltura e dal Ministro dei lavori pubblici siano persuasive, in quanto tutto dipende dalla interpretazione che si dà al disciplinare, e se si ammette che uno degli scopi per i quali il bacino fu costruito era quello di regolare le piene del Tirso, mi pare evidente che, non essendo stato questo scopo raggiunto ed occorrendo per raggiungerlo l’intervento dello Stato, resta dimostrato, almeno sotto questo aspetto, che il funzionamento di queste opere non è stato quello che ci si proponeva nel momento in cui esse furono costruite.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Ho già detto, e mi duole che l’onorevole Laconi non abbia sentito, che la Commissione è composta da Giandotti e Malacarne, idraulici di grande valore, e dal professore Passerini, agrario di provato valore.

In quanto alla questione di merito, essa secondo me si deve risolvere indiscutibilmente nel senso che ho detto, perché se anche fosse esatto, e non ci fossero altri modi di riparare ai danni che avvengono nel «bennaxi» di Oristano e riguardanti un migliaio di ettari sempre lasciati a pascolo ed appartenenti a alcuni grossi proprietari di Oristano, cioè anche se dovessero essere sacrificati, mi pare che varrebbe la pena che essi fossero sacrificati per salvare la restante zona della pianura. Tuttavia affermo che questo sacrificio non vi sarà, tanto più che questo fenomeno, verificatosi quest’anno, si verifica solo negli anni di massima piena, ogni 12-13 anni. È un fenomeno che possiamo studiare e per il quale possiamo trovare soluzioni, anziché sacrificare la restante zona della pianura. Ci potranno essere dei drenaggi e gli idrovori occorrenti, ma ritengo che sia assolutamente da non seguire la strada per la quale, a causa di una piccola zona soggetta non alle esondazioni, ma ad asserite infiltrazioni attraverso la diga, si debba invece sacrificare la restante zona, che, come ho constatato nelle mie visite, non è soggetta ad infiltrazioni, ma è protetta dalle dighe stesse, irrigabile e destinata ad una profonda trasformazione tecnica e sociale che desideriamo vivamente sia realizzata al più presto possibile.

Non voglio precorrere il giudizio dei tecnici ai quali ci siamo affidati. Dopo questo giudizio, che certamente non tarderà molto, intendiamo proseguire la strada che i tecnici stessi ci consiglieranno.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Salerno, Persico, Ruggiero Carlo, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere quali provvedimenti di urgenza intenda adottare per far fronte alla grave e allarmante disoccupazione di Napoli e della regione campana».

Sullo stesso argomento, l’onorevole Mazza ha presentato la seguente interrogazione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per combattere il tragico problema della disoccupazione nella provincia di Napoli».

L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere a entrambe le interrogazioni.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Anzitutto, circa l’affermazione che nella regione campana ed a Napoli si manifesterebbe particolarmente grave il fenomeno della disoccupazione, posso assicurare gli onorevoli interroganti che il fenomeno stesso, per quanto riguarda ad esempio l’intera regione campana (esclusa la provincia di Napoli) non si presenta in condizioni più gravi di come si presenta nell’intero territorio della Repubblica. La cosa non si può affermare invece se includiamo – come la geografia impone di includere – nella regione campana anche la provincia di Napoli; e naturalmente la gravità aumenta se prendiamo in considerazione esclusivamente il territorio della provincia di Napoli. Sono in grado di fornire dei dati a questo proposito.

Rapportato all’intera popolazione italiana, il numero dei disoccupati iscritti nelle liste degli uffici di collocamento, esso si può ragguagliare a circa il cinque per cento. Debbo però aggiungere, come dimostrerò, che dette liste sono piuttosto pletoriche. Ora lo stesso rapporto per l’intera regione campana è del 6 per cento. Per la sola provincia di Napoli si va dal 7 all’8 per cento. Naturalmente, debbo anche avvertire, come ho richiamato poc’anzi, che questi rapporti sono poco attendibili, soprattutto perché le liste dei disoccupati iscritti negli uffici di collocamento sono pletoriche. E ciò, per quanto riguarda Napoli, posso dimostrare immediatamente. Fin dal mio arrivo al Ministero mi sono preoccupato, forse perché vecchio studioso di statistica, di arrivare a qualche dato più attendibile di quelli correnti sui giornali o nei bollettini ufficiali, ed ho predisposto una revisione delle liste dei disoccupati. Ora, la revisione fatta per Napoli ha portato a questi risultati: i 91 mila iscritti nelle liste di disoccupazione al 31 luglio, al 10 settembre sono ridotti a 41 mila, ed una ulteriore verifica di questi 41 mila ha portato, per le cifre finora verificate, ad una ulteriore riduzione del 5 per cento. Si noti che non si tratta di un fenomeno particolare a Napoli o alla provincia di Napoli. Revisioni del genere, compiute nelle maggiori città italiane, ed anche nelle provincie agricole, hanno portato a risultati comparabili a quelli ottenuti per la provincia e la città di Napoli.

Occorre tener presenti questi dati per non essere indotti dalle cifre pubblicate dai giornali o anche nei bollettini ufficiali a manifestare delle preoccupazioni che, in base a queste cifre, diverrebbero ingiustamente gravissime.

Ad ogni modo, debbo aggiungere che esaminando l’andamento delle cifre e dei dati relativi alla disoccupazione per la provincia di Napoli e per la Campania, negli ultimi mesi si notano dei sintomi notevoli di diminuzione. Per i marittimi si nota già, fin dal mese di maggio, una notevole diminuzione del 20 %, sicché oggi la cifra dei marittimi disoccupati nella provincia di Napoli raggiunge forse appena le 9.000 unità. Per quanto riguarda l’agricoltura, non raggiungiamo le 6.000 unità; mentre, ripeto, notevole e grave è il fenomeno per quanto riguarda soprattutto le industrie.

Ora, di fronte a questa situazione che cosa ha fatto il Governo e che cosa si propone di fare? Questa è la sostanza dell’interrogazione rivolta dall’onorevole Salerno e da altri onorevoli colleghi. Per quanto riguarda il tentativo di aumentare l’occupazione nel territorio stesso della provincia di Napoli, il Governo ha preso una serie di provvedimenti nei mesi scorsi ed ha continuato a prenderli in questi ultimi mesi. Ad esempio, ha esteso alla provincia di Napoli l’integrazione dallo zero alle quarant’ore per i pastai e per i navalmeccanici e quindi ha provveduto a 126.000 integrazioni per oltre duecento milioni di lire. In più, ha preso accordi con l’«Ansaldo» di Pozzuoli e l’«Ilva» di Bagnoli per l’assunzione di nuovi contingenti di reduci. Ha promosso, altresì, su richiesta dei partigiani e dei reduci, ispezioni presso le varie ditte ed uffici pubblici per eliminare gli occupati che non ne avevano bisogno e sostituirli invece con i disoccupati che avevano urgente bisogno di guadagnare.

Anche per quanto riguarda Napoli si è perseguito l’indirizzo già in vigore nelle altre provincie italiane, quello cioè di tentare di qualificare o di riqualificare la mano d’opera, che non può essere assorbita in un determinato settore, per avviarla in un altro settore. Così, ad esempio, proprio nella provincia di Napoli si sono svolti 32 corsi per oltre 6.000 operai che cercavano un altro titolo di qualificazione professionale più favorevole alla loro occupazione.

In materia di lavori pubblici, posso assicurare che i lavori messi in atto fino al mese di luglio hanno consentito in Napoli l’occupazione media giornaliera di 20,661 unità.

I lavori ferroviari hanno consentito di assorbire, e tuttora assorbono, cinquemila unità. Inoltre l’Amministrazione ferroviaria ha ordinato alle varie officine e stabilimenti di Napoli e provincia 2450 carri ferroviari, di cui finora sono stati consegnati soltanto 157 carri ferroviari. Il che consente di dire che le ordinazioni dell’Amministrazione ferroviaria garantiranno anche per i prossimi mesi un notevole assorbimento di mano d’opera.

Per quanto riguarda poi le erogazioni del già Ministero dell’assistenza post-bellica ed oggi del Ministero del lavoro agli enti e cooperative che provvedono all’avviamento al lavoro di disoccupati e reduci, posso dire che dal marzo al 15 settembre tali erogazioni sono ascese a sette milioni di lire. Queste le provvidenze che finora sono state prese.

Per quanto riguarda il prossimo futuro sono in corso di appalto 130 opere pubbliche per oltre due miliardi di importo. E questi lavori predisposti dal Ministero dei lavori pubblici occuperanno 1500 operai, di cui 1000 nella sola Napoli. Inoltre, sempre a cura dell’Amministrazione dei lavori pubblici, sono state predisposte costruzioni, che verranno presto iniziate, di case popolari per oltre un miliardo, con impiego per interi dodici mesi di 1400 operai.

L’Amministrazione ferroviaria ha disposto altresì il prossimo inizio della costruzione di fabbricati per i servizi accessori della stazione di Napoli per un importo di 107 milioni.

In base al recente decreto sulla massima occupazione in agricoltura, si è potuto calcolare da esperti del Ministero del lavoro, che altre 6000 unità entreranno ad essere occupate nei prossimi mesi.

Infine, interrogato il Ministero dell’agricoltura, si è potuto accertare che esso ha predisposto una serie di bonifiche per tutta la Campania per un importo di alcuni miliardi di lire; ed altresì ha già predisposto un piano per il finanziamento di opere di trasformazioni fondiarie, in base alla legge del luglio 1946 per 250 milioni.

Nel settore della marina mercantile si è adottato il criterio di dirottare il massimo numero di piroscafi al porto di Napoli. Sicché nell’ultimo periodo sono affluiti a Napoli cinque piroscafi di carbone e cinque di cereali con possibilità di impiego, di cui si è avuto un benefico, effetto nei riguardi della disoccupazione dei marittimi.

Sempre a cura del Ministero del lavoro è già stata disposta l’apertura di due nuovi piccoli stabilimenti per le lavorazioni assistenziali. L’apertura sarebbe già avvenuta, ove l’U.N.R.R.A. avesse predisposto la concessione dei tessili necessari. Ma sono in condizione di potere affermare che l’apertura è prossima.

Per andare incontro alla disoccupazione nel settore auto-filo-tramviario in Napoli, su richiesta della stessa azienda, il Ministero del lavoro ha predisposto il finanziamento di un corso per 300 allievi della durata di 4 mesi.

Questo per quanto riguarda l’occupazione all’interno.

Naturalmente esiste un’altra possibilità, sebbene più scarsa, dell’avvio di lavoratori disoccupati in territorio straniero.

A questo proposito, per quanto riguarda le provincie campane, sono espatriati in questi ultimi mesi per la Francia 597 unità; per il Belgio 541; per Cecoslovacchia 115; per la Svezia 25; per la Svizzera 136; per l’Argentina 25.

Sono in partenza 245 per la Francia e 400 per l’Argentina. Sicché un totale di altre 640 unità. Però debbo notare una cosa: che la popolazione disoccupata delle provincie campane non dimostra particolare disposizione ad approfittare di queste possibilità, tanto è vero che non tutti i posti che sono stati messi a disposizione dall’ufficio del lavoro sono stati occupati. Ad esempio, faccio il caso della Svizzera: il Ministero del lavoro ha messo a disposizione per la provincia di Napoli e per Napoli 205 posti per emigranti in Svizzera; questi 205 posti, in qualsiasi altra provincia d’Italia sarebbero andati, per così dire, a ruba; a Napoli solo 163 disoccupati ne hanno profittato.

La Svezia ha offerto all’Italia il mercato migliore in fatto di occupazione di mano d’opera per i paesi stranieri. Ebbene, dei 90 posti messi a disposizione per la Svezia, i disoccupati napoletani hanno approfittato soltanto per 25 posti. Quando si dice che i disoccupati napoletani nel settore dell’industria sono 55 mila, si resta un po’ perplessi e ci si domanda quale possa essere lo stato psicologico che si oppone a che usufruiscano di questa valvola, per quanto piccola essa sia, di sfogo della disoccupazione.

Lo stesso ragionamento si può fare per la Cecoslovacchia, dove di 229 posti messi a disposizione ne sono stati usufruiti solo di 115.

Comunque, tenendo conto di un fatto, che la popolazione napoletana dimostra una forte propensione e simpatia all’emigrazione in Argentina (mi sono pervenute per questo oltre 12 mila domande) ho disposto che il prossimo contingente di emigrazione per l’Argentina di 400 unità in partenza nei primi di ottobre, sia interamente dedicato alla provincia di Napoli.

Naturalmente questo non potrà essere continuato, almeno fino a quando l’emigrazione verso l’Argentina cessi di avvenire con quello stillicidio in cui avviene attualmente, per diventare un’emigrazione vasta, capace di assorbire la totalità degli aspiranti.

Per quanto riguarda il settore dell’assistenza ai disoccupati, devo far presente che è stato predisposto un accordo speciale per l’integrazione a benefìcio dei pastai e dei lavoratori dell’arte bianca in genere, il quale accordo riguarda ed interessa 8.820 operai, la quasi totalità dei disoccupati in questo settore.

D’altra parte, devo anche far presente che dal 15 settembre è entrato in vigore il decreto che predispone l’aumento del sussidio di disoccupazione da 50 a 200 lire, oltre l’indennità di caropane, e l’indennità quadruplicata per i figli e per i famigliari a carico. Questi sono i dati che sono in grado di mettere a disposizione dell’onorevole interrogante. Devo, per completare, informare che a cura del Ministero del lavoro da due mesi un’apposita Commissione di esperti e studiosi sta predisponendo un piano per la massima occupazione e specialmente invernale. Non credo oggi di fare anticipazioni specifiche per quanto riguarda Napoli, però il rapporto stesso considererà alcuni lavori cui ho già accennato, parlando delle opere predisposte dal Ministero dei lavori pubblici e dal Ministero dell’agricoltura per un importo complessivo che si fa ascendere a 5/6 miliardi, da iniziarsi nel prossimo inverno a favore dei disoccupati di Napoli e della sua provincia.

PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALERNO. Io non posso davvero dichiararmi sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro del lavoro, di cui apprezzo le ottime intenzioni, ma i cui dati sono, per lo meno, in conflitto con i dati provenienti dagli stessi uffici che si occupano di questa materia

La mia interrogazione non è frutto né di fantasia, né del desiderio di provocare un qualsiasi dibattito a vuoto, ma è il prodotto di sollecitazioni che vengono da uffici i quali studiano proprio questa desolata materia della disoccupazione. Ho qui, in data 9 settembre, un ordine del giorno della Commissione di collocamento di Napoli presieduta da un rappresentante dell’ufficio regionale del lavoro, il quale incomincia con queste parole: «Premesso che la situazione della disoccupazione nella città e nella provincia di Napoli diventa ogni giorno più grave e insostenibile, che in questi giorni, nella sola città capoluogo, ben 43.000 disoccupati si sono presentati, pur essendo in un periodo di lavori stagionali… ecc.». È bene a conoscenza dell’onorevole Ministro che tali lavori stagionali normalmente assorbono molta mano d’opera e fanno scendere al minimo il livello della disoccupazione, onde reputo superfluo proseguire nella lettura. Da queste parole, onorevoli colleghi, comprenderete quanta ragione io abbia di essere veramente allarmato della situazione di Napoli.

Ma l’onorevole Ministro del lavoro non ignora altresì che la Prefettura di quella città – Prefettura il cui titolare, con nostro rammarico, è scomparso proprio ieri, ed era un uomo che del problema della disoccupazione si era sempre occupato in modo veramente efficace e consapevole – la Prefettura di Napoli, dicevo, in data 15 agosto, sollecitava tutti i Ministeri perché avessero preso in considerazione il problema della disoccupazione, che se è veramente il problema più drammatico per tutte le regioni che hanno sofferto la guerra, è però un problema che non si può non definire pauroso per la provincia di Napoli, nonostante le auree cifre di cui l’onorevole Ministro ci ha gratificati.

Ebbene, la stessa Prefettura faceva rilevare che, mentre in data 31 dicembre la disoccupazione aveva raggiunto il livello di 135 mila unità, al 31 luglio tale cifra era salita a ben 185 mila unità, aveva registrato cioè ben 50 mila unità di aumento. Se pertanto siamo tutti d’accordo nel ritenere che si debbano reclamare provvedimenti per ovviare a questa situazione, che è certamente grave in tutta l’Italia, non è difficile riconoscere come la situazione abbia assunto, per quello che riguarda Napoli e Provincia, il carattere di un vero e proprio fenomeno preoccupante.

Infine, alla mia precedente obiezione, che cioè le cifre presentate dall’onorevole Ministro siano state in precedenza un po’ ritoccate, mi permetto di aggiungere quello che è il frutto della mia modesta esperienza: creda l’onorevole Ministro che i nostri uffici sono assaliti ogni giorno da una vera massa di disoccupati che si accontenterebbero di accettare qualsiasi lavoro pur di risolvere l’angoscioso problema.

È perciò che io sono rimasto alquanto stupito quando l’onorevole Ministro ha osservato che i napoletani non desiderano di emigrare: ma Napoli è stata sempre la fonte dell’emigrazione! E ben se ne comprende la ragione: la ragione è che ivi le condizioni sono sempre state pessime, peggiori comunque che nelle altre parti d’Italia. Si tratta, onorevoli colleghi, di cause remote; e fra esse primeggia la scarsezza delle nostre industrie le quali non hanno evidentemente la possibilità di assorbire la mano d’opera nella misura che sarebbe adeguata al bisogno. Industrie poi che, non bastando la abituale scarsezza, sono state anche decimate per effetto dello sfacelo che è seguito alla guerra, cosicché quella poca mano d’opera che veniva precedentemente occupata, si trova oggi anch’essa sul lastrico.

Io non metto in dubbio, onorevole Fanfani, che i dati da lei addotti le siano stati effettivamente riferiti: ma mi permetto di opporre ad essi i dati che anche a me sono stati presentati. Potrà confermarle il suo collega dei lavori pubblici, il quale si mostra anch’egli sollecito del problema, sebbene qui ci vogliano fatti e non più parole, potrà confermarle, dicevo, che un miliardo e dispari è stato investito in opere pubbliche, il cui espletamento, però, volge alla fine, sicché si potrebbe andare avanti al massimo per altri tre o quattro mesi. Lei mi fa cenno di no, onorevole Fanfani; me lo auguro; non desidero altro che si realizzi quello che lei dice, ma purtroppo oggi, per quanto mi si informa, le prospettive future sono poco rosee, perché siamo al termine dei lavori in corso e dopo ci sarebbero piccole, modeste costruzioni, le quali, anche se si possono considerare tali da assorbire una certa mano d’opera, non sono, però, sufficienti ad assorbire tutta l’enorme massa di disoccupati che si trova in Napoli e nella provincia di Napoli.

Io vorrei pregare in ogni caso il Governo di considerare con un senso di maggiore organicità questo problema napoletano, e dirò anche della Regione campana, perché non è esatto che la disoccupazione esista solamente a Napoli. Io potrei presentare il «dossier» che mi ha fornito il sindaco di Capua – che non è più la città degli ozî, almeno degli ozî comodi di una volta, ma forse è la città degli ozî… forzati – dove vi era un cosiddetto «pirotecnico», un’importante fabbrica di cartucce, la più grande fabbrica della zona, che oggi purtroppo non produce più. Se lei leggesse, onorevole Ministro, quali sono le condizioni delle maestranze di Capua, che non è provincia di Napoli, ma è Campania, si accorgerebbe che anche nella provincia di Caserta vi è una grande quantità di mano d’opera che invoca pane e lavoro.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Salerno!

SALERNO. Concludo, signor Presidente, invocando che i lavori pubblici siano intensificati e che le imprese private siano messe in condizioni di lavorare. Vi è una legge, cosiddetta del «sesto», e mi pare del febbraio 1947, secondo la quale un sesto dei lavori commissionati per conto dello Stato dovrebbe essere affidato alle imprese e alle industrie del Mezzogiorno. Ma purtroppo questo decreto è rimasto per aria. La Camera di commerciò di Napoli ha pregato, ha sollecitato che a questo decreto si aggiungesse un regolamento, che rendesse veramente applicabile la disposizione, ma il regolamento non è venuto e la norma è rimasta quasi lettera morta. Il sesto non è attribuito. Vi sono infine tante industrie, tante imprese private, come quella per la trasformazioni delle terme di Castellammare di Stabia o per la trasformazione del Matese, che hanno bisogno di incoraggiamenti da parte dello Stato, e lo Stato non può sottrarsi al dovere di intervenire.

Il Governo, consapevole della situazione di grave disagio in cui si trova Napoli e la provincia, checché dicano le belle cifre, faccia il possibile perché la mano d’opera venga assorbita.

Ancora una preghiera, ed ho finito. Vi è un decreto che stabilisce l’assunzione obbligatoria dei reduci, dei combattenti. Come ella sa, onorevole Ministro Fanfani, la quantità maggiore di disoccupati è costituita proprio da reduci, partigiani, ex-prigionieri. Si era stabilito di far assumere una certa percentuale, un’aliquota di questi reduci; però si è fissata una sanzione che è irrisoria, perché, se non sbaglio, si tratta di 2.000 lire. E allora si comprenderà che tanti imprenditori, che tanti datori di lavoro in genere, preferiranno pagare duemila lire di penalità, anziché assumere questi disoccupati. Le associazioni combattentistiche hanno fatto, credo, anche a lei, onorevole Ministro, delle pressioni, perché si elevi almeno la penalità, in modo che la sanzione sia una sanzione seria, che imponga veramente al datore di lavoro questo compito sociale. Si raccolga, e subito, tale suggerimento!

In fondo, non esigo certo che un problema di questa imponenza si risolva con una interrogazione; non posso reclamare dal Governo provvedimenti istantanei, ma il mio scopo è di mettere a punto l’angoscioso argomento della disoccupazione, che esiste ed è grave, in modo da sganciarlo anche da qualsiasi speculazione politica, e farne un problema di umanità, di giustizia e di lavoro, quale esso veramente è. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. Onorevole Presidente, non voglio correre il pericolo di annoiare i colleghi presenti, e poiché l’onorevole Salerno ha esposto la situazione di Napoli, io mi permetterò di fare soltanto delle osservazioni, di ordine pratico, soprattutto approfittando del fatto che i banchi del Governo sono stranamente affollati, e quindi ho il piacere di vedere il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro dell’agricoltura. Parlerò a nuora, perché suocera intenda.

Per Napoli, a parte il fatto che la legge del sesto non viene quasi mai rispettata, posso anzi dire che quando viene rispettata succede un altro fenomeno. Il Ministro Corbellini oscilla con la testa per dirmi che per i trasporti viene rispettata. Sì, viene rispettata, però succede quest’altro fatto: che le nostre industrie non riescono ad avere le materie prime necessarie per approntare i lavori richiesti. Quindi, come ha detto l’onorevole Fanfani, noi dobbiamo approntare duemila vagoni ferroviari, ne abbiamo preparati duecentocinquanta e non abbiamo materie prime.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. In settembre ci saranno.

MAZZA. Speriamo nel prossimo settembre! In genere la salute rifiorisce sempre in settembre!

Ma c’è anche un’altra osservazione che riguarda un po’ l’impostazione che in genere noi meridionali diamo al problema. E questo problema, specialmente noi di Napoli, lo poniamo come un problema di giustizia, come un problema di remunerazione dei danni che Napoli ha subito e delle nostre sofferenze.

Io credo invece che il Governo debba porsi questo problema come un problema di saggia amministrazione, perché è impossibile che il Governo dimentichi che ci sono delle zone dove la produzione deve essere intensificata e degli stabilimenti da far lavorare per poter dare lavoro agli operai.

Il collega Salerno chiedeva in nome di tutte le sofferenze di Napoli. Io dico invece che è dovere del Governo di amministrare saggiamente e di dare ugualmente lavoro a tutte le provincie. Per esempio, succede questo fenomeno: che al Nord sono stati pagati almeno per il 50 per cento i danni subiti, mentre da noi questo non è successo (Commenti).

Una voce. Hanno dato degli acconti.

MAZZA. Non solo hanno dato degli acconti, ma si è verificato il fatto che industriali del Nord, prima della liberazione, si son fatti pagare i danni di guerra. È vero o no? Io lo domando a voi.

Una voce. In parte sì. Saranno stati tredici miliardi.

MAZZA. Saranno tredici miliardi, non so, ma per Napoli si è verificato che i nostri industriali attendono ancora il pagamento delle commesse effettuate prima del 1943. Aspettano ancora!

I provvedimenti che il Ministro dell’agricoltura ha promesso e che il Ministro Fanfani ha garantito, per esempio, non sono ancora praticamente attuati. Credo che bisognerà aspettare l’altro settembre, non questo, per vedere iniziare la bonifica campana.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. No, si sta lavorando, in Campania e in altre Regioni. Proprio l’altro ieri ho assegnato al Sele circa 400 milioni.

PRESIDENTE. Ad ogni modo, non divaghiamo, onorevole Mazza, perché vi sono ancora altre interrogazioni da svolgere.

MAZZA. Ho finito. Ho soltanto un’altra richiesta da fare al Ministro Fanfani. Vorrei chiedergli di rivolgere al Ministro delle finanze questa preghiera: se è possibile, per stimolare l’iniziativa privata, per stimolare la costruzione di case (perché noi siamo senza case), di fare come si è fatto per la città di Roma: cioè, dare l’esenzione dal pagamento dei tributi sui fabbricati per i prossimi 25 anni, onde spingere la gente a costruire, per dar lavoro ai manovali e case ai senzatetto, perché a Napoli, nella galleria Vittoria, sebbene un solo inquilino, ma c’è ancora un inquilino.

Ho fatto queste osservazioni così come sono venute. Non ho nessuna speranza che esse saranno ascoltate, ma chiedo scusa al Presidente e all’Assemblea e spero nel prossimo settembre! (Applausi).

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vorrei assicurare l’onorevole Salerno che i suoi dati sono meno esatti dei miei, e la ragione la dico subito: egli li ha attinti ad un ordine del giorno, mentre io li ho attinti invece a registri ed elenchi dei singoli uffici del lavoro. Se l’onorevole interrogante avesse attinto i suoi dati alla mia stessa fonte avrebbe potuto constatare la loro esattezza. Aggiungo che se l’onorevole Salerno crede ai dati relativi alla disoccupazione attinti all’Ufficio del lavoro, deve altrettanto credere, per non cadere in contradizioni, ai dati relativi all’emigrazione. Ora, i dati relativi all’emigrazione dicono che una parte dei disoccupati napoletani non intende andare in Svizzera, in Svezia, ecc.

SALERNO. Temo che non si faccia una sufficiente pubblicità. Gli operai vogliono emigrare.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli: Franceschini, Lizier, Ferrarese, Baracco, Ponti, Carbonari, Fantoni, Valmarana, Schiratti, Rapelli, Alberti, Rumor, Giacchero, Cappelletti, Uberti, Micheli, Sartor, Tessitori, Del Curto, Giordani, Guerrieri Filippo, Dominedò, Moro, Firrao, Valenti, Stella, Bastianetto, Monticelli, Tosato, Balduzzi, Cappugi, Fabriani, Bellato, Burato, Marzarotto, Cremaschi Carlo, Biagioni, Gortani, ai Ministri dell’agricoltura e foreste, dell’industria e commercio e del commercio estero, «per conoscere se e come intendano fronteggiare il gravissimo pericolo che incombe sulla cultura e sull’industria della seta. Il prezzo dei bozzoli è infatti sceso quest’anno, sul mercato interno, a un terzo o poco più di quello dell’anno scorso, e cioè ad una quota del tutto inadeguata e tale da rendere prevedibile con quasi assoluta certezza l’abbandono della coltura del baco da seta e la sostituzione dei gelsi nelle campagne. La cessazione della bachicoltura in Italia – che dopo il Giappone è stato ed è tuttora il paese più intensamente sericolo – oltre che troncare un nobile ramo dell’esportazione nazionale che, se aiutato, potrebbe ancora riprendersi e rifiorire, sarebbe di irreparabile danno a grandi masse di lavoratori (contadini e donne filandiere soprattutto specie nelle regioni maggiormente produttrici, quali il Veneto e la Lombardia). È, pertanto, necessario che il Governo si preoccupi con tutta urgenza di tale problema che interessa al vivo la stessa vita economica e sociale di numerose province».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. La questione del disagio dei produttori di bozzoli non è certo sfuggita al Ministero, ma la soluzione è tutt’altro che facile. Voglio ricordare come i bozzoli fossero soggetti ad ammasso obbligatorio, il che portava anche in sé una certa garanzia di prezzo; ma nel 1946 l’ammasso obbligatorio fu abolito su richiesta degli stessi produttori e subentrò ad esso una specie di ammasso volontario con certe garanzie di credito, che è stato praticato anche nella corrente campagna.

Questo sistema era di pieno gradimento ai produttori né ad esso può attribuirsi il tracollo dei prezzi, che è dovuto esclusivamente ad un fattore sul quale noi non possiamo in modo assoluto influire, cioè al tracollo dei prezzi internazionali della seta, che scesero da 23 dollari al chilo ad 8 dollari, il che spiega come i prezzi all’interno, dalle 430-450 lire nei mesi di agosto e settembre ed anche ottobre dell’anno scorso, discendessero poi a prezzi molto inferiori e si mantengano ora poco superiori alle 200 lire.

Come risolvere questa tragica situazione, tragica perché interessa centinaia di migliaia di famiglie che traggono dall’allevamento del baco le fonti della loro sussistenza?

I suggerimenti che ci sono stati dati dagli interessati sono di vario ordine, ma quelli attuati finora sono stati, nel campo degli scambi internazionali, diretti a migliorare il regime degli scambi stessi. Invece di ricorrere all’esportazione di valuta il Ministero del commercio estero ha disposto in via eccezionale delle compensazioni, le quali tendono a migliorare il prezzo dei bozzoli italiani. Senonché queste misure sono state in pari tempo annullate da una nuova discesa dei prezzi del mercato internazionale, in modo che la misura stessa è stata semplicemente sufficiente a mantenere i prezzi al livello precedente, impedendo un ulteriore tracollo.

Preoccupato di questa situazione, io ho convocato nella settimana scorsa una riunione di tecnici presso il mio Ministero, e ne ho raccolto le proposte. Queste proposte sono ora all’esame del Ministero del bilancio perché esse importano una esposizione – una garanzia, per lo meno – quindi un pericolo per il bilancio dello Stato. Attendo di conoscere con maggiore precisione i voti del Congresso di Treviso e quelli del successivo Congresso di Milano perché, esaminati questi voti, possa scegliersi una via. Finora da tutti gli studi compiuti ed i suggerimenti ricevuti, l’unica via suggerita è purtroppo quella di un premio o di una sovvenzione da parte del Tesoro dello Stato, sia essa in una forma particolare di cambio o in una forma di ammasso con garanzia del prezzo da parte dello Stato.

Questa formula importa delle conseguenze certamente gravi, ma che ancora non possiamo determinare. Essa, come dico, è allo studio; ma oltre il nostro interessamento, richiede l’esame di una complessa situazione finanziaria nazionale ed anche d’una situazione del mercato internazionale che non si può in questo momento definire. Assicuro però che tutto il Governo, compresi il Presidente del Consiglio che è stato investito della questione, il Ministro del tesoro, del bilancio e il Ministro dell’agricoltura, s’interessa di questa grave questione e farà tutti gli sforzi possibili per risolverla a favore delle popolazioni interessate, specialmente di quella veneta.

PRESIDENTE. Uno degli onorevoli interroganti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SCHIRATTI. Sono senz’altro persuaso che il Governo è compreso della gravità del problema sotto il profilo economico, che coinvolge una entità di prodotti da esportare per circa 16 miliardi, e sotto il profilo della natura del male che affligge questo settore della nostra produzione. Ma, dalla risposta che ha dato il Ministro dell’agricoltura, mi è parso che egli ritenga che l’attuale sia in prevalenza un male ciclico del campo della sericoltura. Se così fosse, sono perfettamente persuaso che i mezzi già approntati e quelli che egli dice essere allo studio potrebbero essere sufficienti a superare il malanno. Senonché, c’è un secondo aspetto e temo che sia quello vero: che il malanno di cui si soffre nel campo della bachicoltura sia un malanno di senilità. Il problema non credo si possa curare con dei calmanti, il cui effetto può essere immediato, ma limitato nel tempo, ma deve essere studiato se vi può essere un rimedio radicale se cioè il male della senilità, che può forse essere quello che affligge questo campo, sia guaribile con qualche cura Voronoff o altro.

Io sono persuaso che bisogna che approfondiamo un po’ l’indagine, onorevole Ministro, e che l’approfondiamo sia in rapporto all’interno che in rapporto all’esterno; approfondendola, verranno dei suggerimenti che mi permetterei di dare modestamente al Governo. Le condizioni esterne sono in definitiva dipendenti, condizionate e determinate da un mercato di produzione e da un mercato di smercio: Giappone, mercato di produzione; Stati Uniti, mercato di smercio.

Ora, noi, le vicende, le situazioni, gli atteggiamenti dell’uno e dell’altro mercato – quello di produzione, in nostra concorrenza, e quello di consumo – o non li conosciamo, oppure li conosciamo troppo in ritardo. E già il ritardo, influisce in maniera nefasta e grave sul nostro mercato e sull’atteggiamento dei nostri produttori e dei nostri industriali.

Penso che questi due mercati vadano sorvegliati in forma costante e permanente, non da rappresentanti di categorie o di interessi, ma da rappresentanti ufficiali.

Vede, onorevole Ministro: oggi che siamo in crisi, tutte le categorie interessate al ciclo bozzolo-seta sono unite, soprattutto nel premere sul Governo. Ma lei mi insegna che, nei tempi d’oro, queste categorie non erano altrettanto unite, anzi erano in forte contrasto. Ora, io ho un grande timore che, se questa osservazione tecnica sui due mercati viene fatta direttamente dalle categorie, del frutto di questa osservazione ne approfittino in prevalenza, i ceti più abili e più avveduti, cioè i ceti industriali, a detrimento dei ceti meno organizzati, quali sono quelli dei produttori.

Per questa ragione, se non dico un’eresia dal punto di vista della tecnica burocratica dello Stato, mi permetto di suggerire che questa osservazione venga fatta in forma ufficiale, con elementi addetti alle rispettive ambasciate.

C’è un problema di spesa; il Tesoro insorgerà; ma io sono dell’opinione che quanto si spende in questi osservatori, sarebbe compensato abbondantemente dal giovamento che ne avremmo.

Circa le condizioni interne, penso che si debba avere il coraggio, anche qui, di dire ai nostri interessati una parola franca; cioè, dire ai produttori che è giunto il momento, in cui bisogna abbandonare il bozzolo giallo per il bozzolo bianco; e bisogna fare questa propaganda; il giallo rende di più ed il contadino vi è più attaccato; il bianco rende di meno, ma trova molto più facile collocamento sul mercato internazionale. I coltivatori devono essere indirizzati verso questa via, per tentare di superare la crisi.

Per quanto riguarda gli industriali, mi pare che siamo in arretrato di 50 anni. Le nostre filande, se è vero quello che si dice, non sono all’altezza di concorrere con quelle giapponesi. Bisogna che gli industriali modernizzino i loro impianti, se vogliono essere in condizione di affrontare la concorrenza. Questo comporta impiego di capitali. Ma questi industriali della filatura, che hanno guadagnato in misura ingente negli anni scorsi, non dovrebbero avere riluttanza ad impiegare parte di quei guadagni nell’attrezzamento nuovo delle filande, per salvare se stessi e i produttori.

Per indirizzare tutta l’attività interna e quella esterna su questo binario, penso di suggerire al Ministero dell’agricoltura la costituzione permanente, in seno al Ministero stesso, di un Consiglio del ciclo bozzolo-seta, il quale possa validamente e tecnicamente fare quanto sia necessario sul campo interno e su quello esterno, per tentare di salvare tutto il ciclo da questa crisi, che può essere male di senilità.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Veroni, ai Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, «per sapere se sia eventualmente esatto che l’Azienda nazionale autonoma della strada – accampando infondate esigenze del traffico– si oppone, con gravissimo danno dei numerosi comuni interessati, al ripristino della linea tramviaria Albano-Velletri, reclamata insistentemente dalle popolazioni dei Castelli Romani così duramente provate dalla guerra».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Fin dal giugno ultimo scorso, per quell’amore che porto ai Castelli Romani come l’onorevole Veroni sa, mi recai sul posto, al ponte di Ariccia, per constatare di persona lo stato dei lavori e per vedere quanto fosse fondata l’opinione di coloro che precisamente facevano capo alla direzione dell’A.N.A.S., secondo la quale sarebbe stato opportuno che al momento in cui si fosse riaperto quel ponte al traffico, non vi si facesse in pari tempo scorrere la vecchia tramvia. Effettivamente quella considerazione ha un suo opportuno fondamento ed è in armonia con le necessità generali del traffico nelle pubbliche strade, che mal sopportano l’ingombro di linee tramviarie, come è facile a tutti noi di costatare.

Ecco perché i competenti, cioè i tecnici, si orientano verso una soluzione che dia sede propria alle tramvie e possibilmente sostituisca queste ultime con le filovie. Ma questo appartiene al campo degli studi e degli orientamenti, mentre qui si tratta di provvedere con una certa tempestività alle esigenze attuali del traffico su quel tratto di strada che comprende il ponte di Ariccia e le comunicazioni tramviarie tra Ariccia e Velletri. Ecco perché mi recai io stesso nel posto dove, tra l’altro costatai che il nuovo ponte aveva realizzato taluni miglioramenti su quello distrutto, grazie anche a un leggero allargamento ai due lati di esso. E allora, pur apprezzando il valore dei nuovi studi e dei nuovi orientamenti, sollecitai opportune intese col collega dei trasporti e potei dare le necessarie disposizioni perché, contemporaneamente all’apertura al traffico del nuovo ponte, anche la linea tramviaria fosse in grado di funzionare. Il che potrà avvenire entro il prossimo dicembre o – al più tardi – in gennaio.

Ringrazio, pertanto, l’onorevole Veroni per avere richiamato l’attenzione pubblica su questo argomento, e avermi offerto l’occasione di fugare ogni preoccupazione al riguardo. Possiamo, dunque, concludere che, al momento in cui il ponte sarà riaperto al traffico, anche la tramvia potrà riprendere il suo normale corso per collegare nuovamente tra di loro Albano, Ariccia, Genzano e Velletri, per tanto tempo a causa della guerra disgiunte.

Debbo però a questo punto informare l’onorevole Veroni e l’Assemblea che in località «Catena» di Genzano si è addivenuti alla rettifica di un punto della strada. Questa rettifica consiste, tra l’altro, in un elevato di terra da 0 a 15 metri e questo elevato richiederà qualche mese in più per consolidarsi e consentire che nel momento stesso in cui la tramvia rientrerà in funzione possa venire utilizzato. Ma questa circostanza non offrirà alcun motivo di ritardo all’esercizio della tramvia, essendo già intervenuti accordi tra il mio Ministero e la società concessionaria, nel senso di utilizzare nel frattempo il vecchio tracciato e corrispondere così pienamente alle legittime aspettative delle popolazioni interessate.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere per la parte di sua competenza.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Non ho nulla da aggiungere, solo posso dire che nel sistema filo-tramviario, che sarà collegato anche ai servizi extraurbani della capitale, noi dovremo fare un completo rinnovamento ed un completo studio, anche in relazione con la metropolitana, perché questi servizi siano più rapidi e più confortevoli in modo che si possa direttamente congiungere il centro di Roma con i suoi Castelli. Questo è un problema a lunga scadenza, che non si connette con quello attuale, ma che potrà essere studiato nel complesso del sistema dei servizi urbani ed extra urbani della capitale.

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VERONI. Sono lieto di aver determinato, particolarmente dal Ministro dei lavori pubblici, le autorevoli dichiarazioni testé fatte in questa pubblica Assemblea, poiché, come l’onorevole Ministro sa, recentemente si era diffusa la voce – ed essa rispondeva alla verità obiettiva – che non si intendesse ripristinare il tratto della nostra tramvia da Albano a Velletri, e ciò, perché, secondo l’Azienda della strada, il suo esercizio avrebbe ostacolato il traffico: in sua sostituzione di pensava ad istituire un servizio con filobus sul tratto Albano-Velletri, per il cui funzionamento tecnici autorevoli hanno previsto una spesa di moltissimi milioni e un tempo non inferiore a tre anni.

Le dichiarazioni dell’onorevole Tupini confortano le popolazioni dei Castelli romani, che recentemente in un adunanza di Sindaci, tenutasi a Genzano, elevarono alte le loro proteste per le difficoltà frapposte dall’Azienda autonoma della strada, contraria al ripristino della tramvia che è il mezzo tradizionalmente più comodo e più economico.

Siamo, perciò, sodisfatti delle dichiarazioni degli onorevoli Ministri dei L.L.P.P. e dei trasporti che ci hanno solennemente data l’assicurazione formale della riattivazione del servizio tramviario entro l’anno. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Giua, Murgia, Mannironi, Corsi, al Ministro dei trasporti, «per sapere se intenda prendere urgenti provvedimenti per ottenere che molti Comuni della Sardegna, ora completamente isolati, siano allacciati alle linee pubbliche automobilistiche».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. L’interrogazione è molto generica e, quindi, io non posso che rispondere genericamente, rimandando eventualmente a casi particolari risposte specifiche su singole comunicazioni. È fuori di dubbio che i paesi che non sono collegati coi capoluoghi, o che non hanno collegamenti diretti con le ferrovie, debbano essere serviti da servizi automobilistici.

La legge che stabilisce la concessione di questi servizi è una legge molto artificiosa, di cui tutti noi tecnici abbiamo notato le lacune. Essa è la legge del settembre 1939. Abbiamo già nominato una commissione per modificarla e per snellirla, sull’esempio di tutte le leggi che esistono negli altri Paesi del mondo che usano servizi di linee automobilistiche.

Comunque, anche per la Sardegna e con la vigente legge, noi non possiamo fare che delle concessioni, dietro domande dirette di società concessionarie che chiedano di effettuare questi servizi. Ora, se ci sono dei Comuni della Sardegna che possano trovare delle società esercenti che, nell’ambito delle leggi attuali, possano avere queste concessioni, noi siamo ben disposti a favorirle il massimo possibile. Posso dire, a titolo di esempio, che il 1° luglio 1946 avevamo 80 linee concesse nell’Isola, e che in quest’anno sono aumentate di 20, più altre sei per servizio operai che sono i servizi caratteristici che portano nei grandi centri di Sassari e di Cagliari.

Dopo questa interrogazione, ho dato subito disposizioni agli uffici competenti perché esaminino ancora le eventuali domande e sollecitino al riguardo i Compartimenti della motorizzazione della Sardegna, per vedere se ci possono essere altre comunicazioni che si possono attivare per migliorare i servizi di comunicazione fra i centri minori e i centri maggiori. Se vi saranno casi specifici saranno esaminati man mano che mi verranno segnalati.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MASTINO PIETRO. L’interrogazione che io presentai, e che adesso discuterò, è stata dall’onorevole Ministro definita generica, così come io potrei definire eccessivamente teorica e generica la sua risposta. Ma la genericità della interrogazione non ha impedito al signor Ministro di rispondere a quella che è veramente la sostanza della interrogazione stessa: vi sono dei Comuni completamente isolati, vale a dire privi di qualunque possibilità di mezzi di comunicazione o trasporto con altri Comuni, soprattutto non allacciati con le attuali linee automobilistiche pubbliche.

Il Ministro ha detto: «quando venissero indicati casi precisi, specifici, potrei intervenire».

A mio avviso l’intervento del Ministro dovrebbe essere diretto ad eliminare tutti gli inconvenienti di codesto genere; dovrebbe cioè essere diretto, con una disposizione generale, a far sì che i Comuni attualmente isolati cessino di esserlo.

Per quello che ne so io, attualmente si verifica questo: che lo Stato ha revocato, già da anni, i sussidi statali; allo stesso tempo ha bloccato le tariffe, di modo che le società che gestiscono linee automobilistiche esercitano solo quelle linee in cui le ragioni di traffico e del movimento dei viaggiatori consentono o consigliano l’esercizio, perché vantaggioso, cioè redditizio. Gli altri Comuni, quelli che mi permetterei di qualificare e definire «nullatenenti», sono Comuni che rimangono completamente isolati.

È nei raffronti di questi Comuni che dovrebbe intervenire lo Stato, dopo avere studiato la forma dell’intervento: o con sussidio statale o con un relativo, modico sblocco delle tariffe. Sarà il Governo a giudicare la via da seguire. Ma non si può rispondere ad una lamentela, relativa a una esigenza la più elementare: «provvederemo, caso mai».

Ho detto «esigenza la più elementare» perché, mentre si parla spesso qui dentro di miglioramento di servizi, di raddoppiamento, di arricchimento dei servizi stessi (mi pare che poc’anzi anche l’interrogazione del collega Veroni fosse diretta ad alcunché del genere) io sto parlando non di miglioramento, ma di servizi da istituire, da stabilire. Il Ministro ha chiesta l’indicazione di casi specifici.

Non ho creduto di fare dei nomi, che avrebbero avuta l’apparenza di nomi ostrogoti. Per esempio chi vuole andare a Lodè deve partire da Nuoro e fermarsi a Siniscola in quanto da Siniscola a Lodè i 16 chilometri di distanza debbono essere percorsi o col cavallo di San Francesco oppure con altro mezzo di fortuna. Chi debba andare ad Austis ed a Teti ha la possibilità di usufruire della linea automobilistica solo fino a Sorgono.

L’esemplificazione non aggiungerà però nulla alla affermazione della necessità di immediato intervento del Governo diretto ad eliminare un inconveniente che costituisce uno sconcio, se si considera che la situazione attuale è peggiore di quella di un tempo, perché un tempo le linee automobilistiche, anche per quei determinati paesi, esistevano e funzionavano, ed abbiamo fatto un passo indietro, che non si può nemmeno spiegare od attribuire a ragioni di guerra.

Quindi parmi che quella interrogazione, che apparentemente sembrava generica, generica non fosse e voglio sperare che la saggezza del Signor Ministro, dopo i chiarimenti che ho fornito, sappia trovare la via per un intervento e provvedimenti immediati.

È troppo evidente che oggi non mi posso dichiarare sodisfatto.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Volevo dire all’onorevole interrogante che è precisamente la deficienza della legge che rende possibile il permanere di questi inconvenienti. Ed ho accennato che una apposita Commissione sta studiando i provvedimenti opportuni, che dovranno essere statuiti con legge.

MASTINO PIETRO. E questa Commissione quando dovrà fare le sue proposte?

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Io spero di poter fare il più presto possibile, in maniera che si possa provvedere alla disciplina dei trasporti automobilistici con il sistema della concessione, come è per le linee secondarie.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Numeroso e De Michele, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per l’approvazione ed il finanziamento del progetto di captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno, che dovranno finalmente fornire di acqua potabile i comuni delle provincie di Caserta e di Campobasso e costituire altresì l’indispensabile acquedotto sussidiario per la città di Napoli. Si tratta di un’opera di grande importanza ed urgenza, soprattutto di carattere igienico e sanitario, che interessa circa due milioni di abitanti della Campania e che non può ulteriormente procrastinarsi».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Questa interrogazione degli onorevoli Numeroso e De Michele segue a poca distanza di tempo quella del 7 luglio degli onorevoli Camposarcuno, Colitto e Ciampitti. In quella interrogazione gli onorevoli interroganti esprimevano la preoccupazione che le acque del Biferno avessero potuto essere sottratte alle popolazioni proprietarie della sorgente e destinate unicamente alla città di Napoli.

Assicurai allora gli onorevoli interroganti che quella preoccupazione era completamente infondata. Successivamente, dietro mia sollecitazione, il Consiglio Superiore dei lavori pubblici prese in esame la questione con l’intento di utilizzare, non solo le sorgenti del Biferno e del Torano, ma anche quelle del Trigno a favore delle popolazioni del Molise, della provincia di Caserta e della città di Napoli proporzionatamente ai loro rispettivi bisogni.

Le conclusioni del Consiglio Superiore dei lavori pubblici consentono quindi un’equa soluzione del problema e prevedono all’uopo la formulazione di apposito progetto.

Sussistono ancora negli ambienti interessati delle ricordate provincie timori e opinioni contrastanti circa le modalità del progetto stesso e, al fine di arrivare a deliberazioni concordi, ho disposto di convocare presso di me i rappresentanti delle autorità amministrative e politiche competenti per territorio.

Questa riunione e le altre che si renderanno necessarie ed utili avverranno al più presto.

Debbo però fin d’ora avvertire che l’opera sarà di notevole grandezza e comporterà qualche miliardo di spesa.

Esiste già in bilancio una certa somma, assai piccola in confronto di quella totale, la quale potrebbe essere subito utilizzata per i primi lavori di captazione delle sorgenti non appena il progetto sarà stato approvato nei suoi elementi tecnici.

Non c’è infatti bisogno che tutta l’opera sia finanziata subito. L’essenziale è che i lavori iniziali non siano fine a se stessi e offrano in pari tempo la suscettibilità di agganciamento all’ulteriore sviluppo dell’opera. In tale senso mi riprometto di dare opportune disposizioni al momento giusto. A meno che non si preferisca inserire quest’opera nel complesso dei lavori per il Mezzogiorno d’Italia cui l’apposito Centro Economico volge le sue speciali cure mediante la preparazione di un programma generale, che sarà pronto quanto prima. Ma io penso che sia più opportuno tenere isolato questo problema ed avviarlo senz’altro a concreta soluzione. Se – come mi auguro – i relativi lavori potranno essere presto iniziati ciò costituirà un buon auspicio per il loro proseguimento e un impegno sicuro per il compimento secondo il desiderio degli onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

NUMEROSO. Ringrazio l’onorevole Ministro delle assicurazioni date. Vorrei però fargli notare che il problema della captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno per fornire finalmente di acqua potabile i Comuni delle Province di Caserta e di Campobasso non è cosa nuova ed è problema che va risolto con la maggior possibile sollecitudine. Se pertanto l’onorevole Ministro crede di far risolvere questo problema al Comitato del Mezzogiorno…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. No, no: si tratta di un semplice accenno che ho fatto.

NUMEROSO. Debbo farle notare, onorevole Ministro, che ci sono Comuni della Provincia di Caserta che utilizzano per acqua potabile quella del Volturno, senza alcuna garanzia di carattere igienico. Sono Comuni, come ognuno ben comprende, che vivono quindi, dal punto di vista igienico, e nei riguardi dell’approvvigionamento dell’acqua potabile, in condizioni veramente disastrose, tanto che noi ci meravigliamo che non si siano ancora verificate delle epidemie. Ed è un problema non di oggi, ma di decenni.

Circa poi la spesa, noi sapevamo benissimo di quale entità essa fosse. Io personalmente so, per averlo sentito proprio oggi affermare da un eminente tecnico che si occupa di questi problemi, che la relazione è stata presentata all’onorevole Ministro.

Noi, pertanto, insistiamo perché soprattutto venga fatta una legge speciale; ci rendiamo ben conto dell’importanza, della vastità di essa e della mole della spesa occorrente.

Occorre una legge speciale. Non è necessario, signor Ministro, che l’opera venga fatta in uno o due anni. Io sono convinto che la spesa potrebbe essere ratizzata in diversi esercizi; occorre, però, stabilire l’esecuzione di quest’opera con una legge speciale. Soltanto così, finalmente, le provincie di Caserta, Napoli, e anche di Campobasso, potranno vedere realizzate queste antiche aspirazioni delle loro popolazioni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Perugi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere: 1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso; ) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire».

D’accordo col Presidente del Consiglio dei Ministri, lo svolgimento di questa interrogazione è stato rinviato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Vinciguerra, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1913 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (Enel) e poscia con decreto del famigerato gerarca Ricci liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nei ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole, attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito».

Non essendo presente l’onorevole Vinciguerra, s’intende decaduta l’interrogazione.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Ministro della difesa, «per sapere se risponde a verità che la base navale di Messina sarà trasferita prossimamente ad Augusta; e per conoscere se, nella ipotesi affermativa, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno revocare tale provvedimento che accrescerebbe la disoccupazione nella città di Messina, già così duramente provata dalla guerra, giustificando tra l’altro gravi agitazioni, che già si preparano, suscettibili di turbare l’ordine pubblico».

Sullo stesso argomento ha presentato la seguente interrogazione l’onorevole Fiore, al Ministro della difesa, «per conoscere se intende revocare i provvedimenti predisposti dallo Stato Maggiore della marina relativi al trasferimento della base navale di Messina ad Augusta».

Ha facoltà di rispondere l’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. A seguito della situazione creatasi col Trattato di pace e per l’assoluta necessità di ridurre le spese dell’amministrazione della Marina militare, lo Stato Maggiore della marina è costretto a contrarre tutti i servizi periferici, sopprimendo quelli non strettamente indispensabili alla nuova organizzazione.

Ogni allarme relativo al trasferimento della base navale da Messina ad Augusta, è, però, prematuro, essendo tuttora in corso di studi presso gli organi competenti, allo scopo di definire questa organizzazione, che riveste delicata e particolare importanza ai fini della difesa del Paese.

Qualunque sia la decisione finale, essa sarà attuata solo dopo accurato esame, e tenendo anche nel dovuto conto la situazione degli arsenalotti e della città di Messina.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Io non so, signor Presidente, se debbo dichiararmi sodisfatto o meno della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato. (Commenti). Il Ministro poc’anzi, in un colloquio privato, mi aveva dato assicurazioni più precise. Comunque, io nutro fiducia (Commenti – Ilarità) che il Governo non vorrà prendere un provvedimento del genere, il quale implicherebbe il licenziamento di migliaia di operai, che non possono, nella città di Messina – distrutta due volte in un terzo di secolo – trovare altra via per il sostentamento delle proprie famiglie.

PRESIDENTE. L’onorevole Fiore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FIORE. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato, per parecchie ragioni.

Qui non si tratta solo della questione della base navale, cioè non bisogna riferirsi al Trattato di pace e, quindi, all’obbligo che ci si fa di lasciare in Sicilia una sola base navale, ma al trasferimento della base navale e dell’arsenale. Ora, l’arsenale è un complesso di carattere industriale che è legato a tutto lo sviluppo della città e del porto di Messina, e soprattutto allo sviluppo del bacino di carenaggio. Ora, togliere a Messina l’arsenale significa ancora una volta, per la terza volta, distruggere la città. L’arsenale e la Direzione di artiglieria costituiscono gli unici complessi seri industriali che noi abbiamo nella nostra città. La nostra città, che per disoccupazione credo non sia inferiore a Napoli né alle altre città del Meridione. All’atto, sono 3 mila operai; quindi, 3 mila famiglie che vivono del lavoro dell’Arsenale.

Soprattutto però è necessario che il Ministro e il Ministero si preoccupino dell’efficienza dell’Arsenale, cioè si dia a questo Arsenale del lavoro, perché non vorremmo che a un determinato momento ci si venisse a dire: non abbiamo sufficiente lavoro per questo Arsenale e, quindi, dobbiamo ridurre il personale e licenziare operai. Perché il trasferimento dell’Arsenale e della base navale di Messina ad Augusta comporterebbe in fondo il licenziamento di 2500 operai, dato che l’Arsenale, trasportato ad Augusta potrebbe occupare solamente 500 operai.

Quindi vorremmo che il Ministero si preoccupasse di questa situazione e soprattutto si preoccupasse di guardare la situazione dell’Arsenale in funzione dello sviluppo del porto di Messina, considerasse la necessità dell’allargamento del bacino di carenaggio, e distinguesse quindi le due cose: trasferimento della base navale e trasferimento dell’Arsenale.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Stampacchia, al Ministro della difesa, «per sapere se non ritenga rispondente ai fini di giustizia estendere agli «sminatori marini» l’aumento di lire 300 sull’indennità «pericolo mine» recentemente concesso agli sminatori terrestri.

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario alla difesa. La questione prospettata dall’onorevole Stampacchia nella sua interrogazione circa l’opportunità di estendere agli sminatori marini l’aumento sull’indennità pericolo mine, recentemente concesse agli sminatori terrestri, è già stata sollevata dall’Amministrazione della marina militare presso il Ministero del tesoro, cui è stato sottoposto fin dal 24 giugno ultimo scorso uno schema di decreto. Con questo schema, si tende ad elevare, da lire 100 a lire 230 l’indennità giornaliera prevista nel 1° e 3° comma dell’articolo 1 del decreto ministeriale 24 maggio 1946, che concerne le indennità ed i premi da corrispondere al personale della Marina militare impiegato nelle operazioni di dragaggio, disattivazione e distruzione delle mine marine o di altri ordigni esplosivi in mare.

Ciò allo scopo di eliminare la diversità di trattamento attualmente esistente tra il personale dell’esercito addetto al rastrellamento di proiettili e bombe, che percepisce una indennità di rischio giornaliero pari a lire 230 in media, elevabile a 300 lire nelle giornate nelle quali vengono recuperate mine e il personale della marina, assegnato ai gruppi di dragaggio o impiegato per l’assistenza tecnica e sanitaria, ed il palombaro, al quale, giusta il citato decreto ministeriale 24 maggio 1946, viene corrisposta, in aggiunta alle normali competenze, una indennità pericolo mine di lire 100 giornaliere.

Nello schema di provvedimento in parola, non è stata prevista la possibilità di aumentare l’indennità di lire 230 a lire 300 nei giorni in cui vengono ricuperate mine, come avviene per il personale dell’esercito, poiché l’articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce già uno speciale trattamento con la corresponsione di appositi premi, a favore del personale della marina, per ogni mina marina od altro ordigno esplosivo dragato, disattivato o fatto brillare.

Il 24 luglio ultimo scorso, è stato nuovamente sollecitato il Ministero del tesoro per la necessaria adesione.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

STAMPACCHIA. Presentata l’interrogazione lo scorso maggio, chiudendosi, per le ferie la Costituente, richiesi a fine luglio risposta scritta, che gentilmente il Ministro onorevole Cingolani mi favorì ai primi dello scorso agosto, se non sbaglio. Non pensavo perciò che l’interrogazione fosse portata alla discussione orale.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Un eccesso di zelo verso l’onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. Sono stato quindi sorpreso, entrando nell’Aula, di trovare la mia interrogazione riportata nell’ordine del giorno.

Ora, allo stato delle cose osservo che la questione non ha fatto un passo avanti dal mese di agosto.

Sin d’allora, infatti, si disse che il provvedimento era in corso. Adesso mi pare che ancora è in corso e non so quanto tempo rimarrà in corso. In fondo, dalla comunicazione che ha fatto il Sottosegretario, apparirebbe che il provvedimento non è completo, in quanto che, richiamandosi ad una disposizione di legge, si vorrebbe mantenere una disparità fra gli sminatori dell’esercito e gli sminatori della marina. Gli sminatori – io dicevo e osservavo – sia che appartengano all’Esercito, sia alla Marina, sia lavorino a mare, sia che lavorino a terra, per la ricerca delle mine, fanno lo stesso lavoro, si espongono allo stesso pericolo e quindi credo che questo lavoro e questo pericolo debbano essere egualmente compensati.

È inutile dire se mi dichiaro sodisfatto o no: io raccomando che il provvedimento sia sollecitato, perché ormai questi sminatori, i quali tutti i giorni vanno incontro a pericoli e molto spesso a gravi infortuni, non abbiano ancora ad aspettare le provvidenze invocate.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Caso, Bastianetto, Titomanlio Vittoria, De Maria, Riccio, Mazza, Lizier, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni che ritardano l’istituzione dell’ente coordinatore per i servizi dei danni di guerra (Alto Commissariato o Sottosegretariato), di cui alle ultime dichiarazioni del Governo, e per attuare ordine e disciplina giuridica in materia che riguarda milioni di famiglie, le quali è bene che sappiano quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da scartare».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da un punto di vista sostanziale la risposta non può essere sodisfacente per l’interrogante, in quanto non è stato ricostituito il Sottosegretariato o costituito un Alto Commissariato o un altro organo per i danni di guerra. Quindi in qualche modo il Governo è in difetto, ma, in realtà, non si vuole costituire semplicemente un organo perché per risolvere il problema dei danni di guerra non basta nominare un Sottosegretario o un Alto Commissario, occorre studiare sul piano del bilancio le possibilità per risarcire questi danni ed occorre più che altro iniziare un’azione organica sia per il risarcimento dei danni alle cose sia per il risarcimento dei danni alle persone. In questo senso si sta svolgendo un’attività preparatoria da parte del Governo, per vedere in che modo si può far fronte a questo enorme onere che pesa sullo Stato per i danni di guerra. Per i danni alle persone, per le pensioni, si sta studiando il modo di poter accelerarne la liquidazione essendovi ancora in sospeso circa 300.000 pratiche. Qualche cosa è stata fatta; sono stati costituiti altri uffici, un po’ di personale esuberante in altre amministrazioni è stato trasferito in quella delle Pensioni e si sta ora vedendo se si possono trovare, pur lasciando inalterata quella procedura che esiste oggi e che rappresenta una certa garanzia, delle misure per agevolare lo svolgimento delle liquidazioni e forse si sono trovati due accorgimenti pratici che permetteranno, una volta adottati, di vedere accelerare effettivamente la liquidazione delle pensioni.

Non chiedo all’onorevole Caso ed agli altri interroganti di dirsi sodisfatti, perché allo stato attuale non lo possono essere. Chiedo loro soltanto di aspettare, per dichiararsi sodisfatti, l’emanazione di questi provvedimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario e mi dichiaro sodisfatto di non essere ancora sodisfatto; mi auguro che vi sia da attendere poco e che si pensi alla coordinazione integrale dei servizi per i danni di guerra che sono troppo sparpagliati e suddivisi.

PRESIDENTE. L’onorevole Rivera ha presentato le seguenti interrogazioni:

ai Ministri dell’agricoltura e foreste e della difesa (aeronautica), «per sapere se intendano intervenire urgentemente ed efficacemente per combattere la diffusione della lyda, che sta distruggendo i boschi di pini, faticosamente impiantati nell’Appennino centrale nell’ultimo cinquantennio»;

al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere se e quando intenda di provvedere all’assegnazione di terre da coltivare alla popolazione del comune di Campotosto (Aquila), messa alla disperazione ed alla fame da circa sei anni, per perdita del proprio territorio coltivato, a causa della istituzione di un lago artificiale».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intendono decadute.

L’onorevole Canevari ha presentato la seguente Interrogazione, al Ministro delle finanze, «per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947».

La interrogazione dell’onorevole Canevari è rinviata d’accordo con il Ministro delle finanze.

L’onorevole Borsellino ha presentato le seguenti interrogazioni:

ai Ministri dei lavori pubblici e della marina mercantile, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere per la messa in efficienza con massima urgenza dei piccoli porti in Sicilia – e particolarmente dei piccoli porti pescherecci – che sviluppano una grande attività economico-commerciale»;

al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vivono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e della mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia. E per sapere – inoltre – se non intenda provvedere con la costruzione d’urgenza di qualche sanatorio o con l’adattare altri edifici in condizioni di contingenza».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intendono decadute le sue interrogazioni.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per la seconda interrogazione dell’onorevole Borsellino, quella riguardante l’assistenza ai tubercolotici della provincia di Agrigento, la risposta era positiva, cioè sono stati stanziati più di cento milioni per la costruzione di un sanatorio provinciale. Pur essendo decaduta l’interrogazione, invierò quindi la risposta scritta all’interrogante.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bulloni e Cappi, al Ministro dei trasporti, «per conoscere quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare per andare tempestivamente incontro, attraverso facilitazioni nei trasporti ferroviari, ai bisogni dell’Alta Italia circa l’approvvigionamento della legna da ardere, specie a quello delle provincie, dei comuni, degli enti ospedalieri e di ricovero e degli enti comunali di consumo, in vista dei contratti di acquisto dagli stessi stipulati nelle regioni centro-meridionali, stante la grave scarsità di legna nell’Alta Italia, dove, in previsione del consumo invernale, i prezzi della legna sono già fin d’ora divenuti proibitivi per il bilancio familiare delle classi meno abbienti».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Come l’onorevole interrogante saprà, il problema del trasporto della legna dall’Italia meridionale all’Italia settentrionale per i bisogni invernali, che si è iniziato fin dalla primavera passata, ha dato luogo a molti inconvenienti, anzi, posso dire, a vere e proprie speculazioni che bisognava stroncare in maniera rapida ed energica. Allora, in questa estate, fu data disposizione che la legna da ardere, in carri singoli o in tradotta, fosse spedita solo a determinati enti che dessero assicurazione che non si facessero speculazioni; e perché l’amministrazione ferroviaria potesse garantirsi di questo fatto, fu stabilito che gli enti dovessero avere il benestare delle singole prefetture per la fornitura di legna soltanto ad enti ospedalieri, a comuni, ad enti comunali di consumo, a mense o industrie che se ne servissero anche per le loro maestranze.

Questo vincolo ha moralizzato indubbiamente la cosa e quindi si son potuti concedere i carri con ritmo consentito dalle disponibilità, e con una regolarità che non credo abbia dato luogo a rimostranze. Purtroppo la deficienza di carri esiste; abbiamo dovuto in questi ultimi tempi, alla vigilia della stagione invernale, intensificare il movimento di queste tradotte, che servono non soltanto per la legna, ma anche per le ligniti. La primavera scorsa avevamo stabilito il divieto di trasportare legna dalla Calabria al Nord, in considerazione della grande distanza, che avrebbe impegnato molti carri e richiesta una spesa reale di energia per il trasporto molto prossima al valore intrinseco dell’energia calorifica contenuta nella legna. Successivamente, però, data anche la penuria della legna nel Nord, questo vincolo è stato tolto, ma non per carri isolati, ma soltanto per treni completi di 30 carri, i quali potessero raggiungere in poco tempo la destinazione.

La situazione dei trasporti ferroviari di merci è la seguente: mancano circa 30 mila carri per ricostituire il parco ante-guerra; ed i carri circolano con ritmo molto più lento di quello normale: il ciclo del carro, anziché essere di sei giorni, è di dieci; quindi la quantità di carri offerta al carico è di 9.100, anziché di 15 mila, di cui abbiamo bisogno.

Compatibilmente con queste esigenze, conoscendo l’importanza del trasporto della legna per i prossimi bisogni invernali, l’Amministrazione delle ferrovie fa di tutto perché queste domande, opportunamente istruite e con l’approvazione dei prefetti, siano esaudite secondo la data di presentazione.

Ho ragione di ritenere che, entro due o tre mesi, le richieste pervenute a tutt’oggi saranno pressoché esaurite, quindi entro un periodo conciliabile con le necessità della più rigida stagione invernale.

Assicuro che l’amministrazione delle Ferrovie dello Stato, anche in questo campo, cerca di fare il possibile per intensificare al massimo il trasporto delle merci, compatibilmente con la disponibilità dei mezzi, che è ben lungi dall’essere normale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi, che è uno dei firmatari della interrogazione, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPPI. Devo dare atto del buon volere dimostrato dal Ministero dei trasporti in materia. Mi compiaccio per la decisione di dare assolutamente la preferenza alle tradotte per enti pubblici e per i comuni, perché prima i negozianti riuscivano molte volte ad avere la precedenza nel modo che tutti immaginate.

La nostra interrogazione era stata provocata da circostanze, che, con piacere l’ho appreso, sono state superate. La stampa politica un mese fa pubblicava che da Salerno in su erano tassativamente proibiti i trasporti, in tal modo il Comune di Cremona non avrebbe potuto effettuare il trasporto di legna per i suoi bisogni. Poiché sento che questa disposizione è stata revocata per tradotte complete, mi devo dichiarare sodisfatto.

(La seduta sospesa alle 18.25, è ripresa alle 18.35).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Giacchero, al Ministro degli affari esteri, «per sapere se corrisponde a verità quanto è stato pubblicato dalla stampa brasiliana di San Paulo circa i bandi di vendita dei beni italiani congelati in Brasile e, in caso positivo, per conoscere quale è l’azione del Governo italiano a tutela dei nostri connazionali allarmati da dette notizie».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo brasiliano ha posto sotto sequestro taluni beni italiani in Brasile allo scopo di assicurare il risarcimento di danni subiti dai suoi cittadini per cause di guerra.

Da parte nostra si è insistentemente richiesta la liberazione di tali beni, richiesta giustificata dai vincoli di cobelligeranza e di amicizia tra l’Italia ed il Brasile, dalla conclusione di una pace – le cui condizioni il Brasile intendeva anzi rendere migliori come dimostrò nella sua nobilissima azione alla Conferenza di Parigi – e dal comune intento di riprendere in pieno le concrete e feconde relazioni fra i due Paesi, ciò che evidentemente richiede la eliminazione di ogni residuo di quei provvedimenti di guerra, che non possono non costituire un intralcio agli auspicati sviluppi delle reciproche relazioni in ogni settore. Tutto questo appare tanto più necessario e urgente dopo che sono decorsi circa quattro anni dalla cobelligeranza dell’Italia e circa tre dalla ripresa delle relazioni diplomatiche fra i due Stati, e mentre sempre più si sente universalmente la necessità di assicurare, colla stessa cooperazione dell’Italia, l’ordine internazionale e il progresso delle civili nazioni.

Il Governo italiano non può accettare la tesi brasiliana che, basandosi sulla solidarietà dell’Italia con gli altri Paesi dell’asse, tende in definitiva a far ricadere su di noi la responsabilità per danni determinati da sottomarini tedeschi. Tuttavia, per dimostrare la propria buona volontà, il Governo italiano nel richiedere la liberazione dei beni italiani, si è dichiarato disposto a rimettersi al giudizio di una Commissione paritetica o di altro organo arbitrale, cui sia commesso il compito di accertare che i danni in parola siano stati realmente causati dall’azione di forze navali italiane. In tal caso, il Governo italiano assumerebbe l’impegno di indennizzare gli effettivi danni, purché accertati dal predetto organo come causati da azioni belliche italiane.

Posso assicurare l’onorevole interrogante che non si mancherà da parte nostra di insistere, come sta tenacemente facendo il nostro ambasciatore Martini per ottenere una conveniente tutela degli interessi italiani, nel quadro di quella intima amicizia e cordialità di rapporti tra Italia e Brasile che il Governo intende vieppiù sviluppare e rafforzare.

È d’altronde chiaro che accordando tutta la riconoscenza italiana a quei Paesi che hanno rinunciato all’applicazione del disgraziato articolo 79 del Trattato di Pace, l’Italia non potrà non tener conto di ciò nei futuri accordi commerciali per quanto concerne l’acquisto di merci, o nei futuri accordi emigratori

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GIACCHERO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le assicurazioni e informazioni che mi giungono tranquillizzanti. Le informazioni che erano state precedentemente date e per le quali vi erano anche documenti presentati al Ministero degli esteri nel giugno e nel luglio scorsi dai cittadini interessati della provincia di Asti, erano piuttosto allarmanti.

Le assicurazioni dell’onorevole Sottosegretario, nel loro complesso, ottimistiche, si accordano ad altre notizie che si riferivano all’atteggiamento di esponenti della stampa di San Paulo e di deputati, atteggiamento particolarmente favorevole all’Italia, anche se l’atteggiamento ufficiale del Governo brasiliano non lo è altrettanto.

Comunque, il fatto che il Governo italiano si assuma l’impegno, sotto condizione di un accertamento da parte della commissione paritetica e dietro interessamento dell’Ambasciatore, di risarcire i danni al Brasile e quindi di ottenere lo sblocco dei beni che sono direttamente di proprietà degli italiani, contribuisce a rassicurare gli italiani stessi che hanno nella Repubblica Sud-Americana i loro interessi.

Io penso, in pieno accordo con quanto ha detto l’onorevole Sottosegretario, che è necessario contribuire ad una intesa fra i due popoli che devono lavorare insieme; ed in seguito anche alle richieste che vengono fatte di mano d’opera dal Brasile, penso che sarà non difficile ottenere una vera ed effettiva collaborazione. Se noi abbiamo bisogno di quest’atto di giustizia, non diciamo di generosità, dal Brasile, da parte nostra potremo contribuire, con la nostra emigrazione e col nostro lavoro, a rendere un aiuto prezioso all’amico Paese latino. (Approvazioni).

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Svolgimento di interpellanze. La prima è quella degli onorevoli Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini, Sardiello, Priolo, Caroleo e Mazzei, ai Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, «per conoscere i motivi per i quali nulla di sostanzialmente concreto sia stato fatto a favore di coloro che sono rimasti senza tetto in seguito al terremoto dell’11 maggio scorso in Calabria. Gli interpellanti segnalano la necessità urgente di trovare e di applicare provvedimenti, a sollievo di tante miserie, che non consentono ulteriori dilazioni».

L’onorevole Silipo ha facoltà di svolgerla.

SILIPO. Onorevoli colleghi, il 17 giugno, il Ministro dei lavori pubblici, rispondendo ad una mia interrogazione sui provvedimenti che il Governo intendeva adottare a favore dei Comuni colpiti dall’ultimo terremoto del 10-11 maggio in Calabria, dichiarava che era allo studio uno schema di decreto legislativo, contro il quale, però, si era pronunziato il Ministro del tesoro, che adduceva lo specioso pretesto della cronica mancanza dei fondi.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Specioso lo dice lei!

SILIPO. Sì, lo dico io e lo dimostrerò.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Io volevo affermare che non ero stato io a dirlo.

SILIPO. Si diffondeva quindi, sui soccorsi di urgenza, apprestati ai Comuni, soccorsi dei quali noi ancora una volta ringraziamo, e concludeva il suo dire affermando che bisognava agire con rapidità e costruire ricoveri stabili, in vista della necessità della sostituzione delle tende, che erano state mandate dal Governo in un primo momento e che non avrebbero potuto essere più utilizzate col cessare della stagione estiva.

Questo, il 17 giugno. Rispondendo, prendevo atto delle comunicazioni dell’onorevole Ministro, pur facendo le mie riserve ed ammonendolo nello stesso tempo a sveltire, quanto più fosse stato possibile, l’apparato burocratico, che noi della periferia sappiamo bene quanto sia pesante e grave. Si badi che io presentai la mia interrogazione nel giugno, ad oltre un mese di distanza dal terremoto, perché ritenni che fosse bene lasciar passare un certo periodo di tempo, per dare al Governo la possibilità di prendere provvedimenti concreti, che non fossero soltanto quelli di urgenza immediata e che, come tali, non potevano non avere carattere transitorio.

Ebbene, siamo oggi al 22 settembre. Io allora dissi che alla distanza di un mese avrei pregato il Ministro di mettermi al corrente dello stato dei lavori promessi. Siamo, oggi, quasi alla fine di settembre: non un mese è passato, ma più di tre. Bene, la preghiera che dovevo rivolgerle molto tempo fa, gliela rivolgo ora: che cosa è stato fatto onorevole Ministro, fino a questi ultimi giorni per lenire le sofferenze di chi 1’11 maggio paventò la morte ed oggi la desidera? Se permette, fisserò io alcuni dati. Sono stato parecchie volte sul luogo del disastro; ho visitato tutti i Comuni più duramente colpiti, anche recentissimamente (ultimi di agosto, primi di settembre). Debbo, purtroppo, dire con amarezza che molto poco è stato fatto e che quel poco che è stato fatto, non è stato fatto nemmeno bene. Non è questa una frase ad effetto. Io ho la documentazione fotografica di quanto affermo e che è stata presa nei primi di settembre. Ad Isca, a Badolato, a Sant’Andrea, in parecchi altri comuni le strade sono ancora ingombre di macerie, e questo chi sa per quali misteriosi motivi. Una volta viene l’ordine di iniziare lo sgombero; poi quest’ordine viene revocato, quindi impartito di nuovo! Il fatto si è che anche oggi molte strade (se strade si possono chiamare quei viottoli larghi spesso 60-70 centimetri che si inerpicano lungo i dorsi della montagna) sono ancora piene di macerie, impraticabili, specialmente quando piove. A rendere ancora maggiormente precarie le condizioni ambientali contribuisce il fatto molto più grave, che non è stata completata o del tutto iniziata la demolizione di buona parte degli edifici pericolanti, per alcuni dei quali anzi s’è revocato l’ordine di demolizione (forse per essere compiacenti verso interessi privati), e questo voler mantenere in piedi quello che è destinato a crollare rappresenta un pericolo serio anche per gli altri edifici non danneggiati, ma vicini, che restano così sotto una specie di spada di Damocle. Se lei fosse venuto in Calabria (anzi aveva promesso che sarebbe venuto…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ci Verrò.

SILIPO. …poi, non so per quali motivi, non lo ha fatto), si sarebbe reso conto che quello che sto dicendo è la verità nuda e cruda, senza fronzoli retorici.

Macerie, ripeto, edifici che avrebbero dovuto essere abbattuti e che non lo sono stati ancora, costruzioni e riparazioni di case ancora in massima parte sulla carta. Certo, noi non ci attendiamo miracoli, non pretendiamo l’impossibile; ma credo che sia logico che noi ci attendessimo qualche cosa di concreto. Invece?

Fino al 16 settembre, data in cui ho presentato la mia interpellanza, ancora quello schema di decreto legislativo che deve regolare gli aiuti da dare ai Comuni terremotati, era ancora all’esame, nonostante la necessità, di agire presto, necessità riconosciuta dallo stesso Ministro!

In tre mesi nemmeno uno schema di decreto legislativo s’è riusciti a fare approvare al Consiglio dei Ministri!

E sì che, in materia di terremoti, la legislazione italiana non era ai primi passi, non mancava d’un passato tragico; aveva anzi un’esperienza, della quale avrebbe potuto e dovuto servirsi.

Non si è tenuto conto di tutto questo e si è lasciato scorrere il tempo nell’inazione, rinviando la pratica per… accertamenti, per… pareri, per… approvazioni, da un ufficio all’altro, così come se si fosse trattato d’una comune pratica burocratica…

Quando – questa è la verità – non si è in contatto diretto con le sofferenze e con i lutti, questi non si comprendono; quando si è lontani, non si comprende che cosa significhi terremoto e quali conseguenze apporti! Ma noi di Calabria – questa terra che con una espressione magari infelice, ma molto eloquente, viene chiamata «terra ballerina» – noi di Calabria lo sappiamo e le sappiamo. Quante volte abbiamo sentito tremare il pavimento della nostra casa! Quante volte nei primi attimi, nella vaga, ma vana speranza che quel fremito fosse prodotto dal passaggio di una vettura vicina o lontana, abbiamo sollevato gli occhi al lampadario e, vedendolo ondeggiare e sobbalzare, non abbiamo potuto avere più dubbi sulla causa di quel fremito! Quante volte abbiamo avvertito dei disturbi circolatori e la parola orrenda «terremoto» c’è morta sulle labbra!

Ebbene, con tutta questa esperienza, quando dopo 4 mesi sentiamo dire che lo schema di decreto legislativo è ancora allo studio, onorevoli colleghi, non sarà strano se ci sembra che si tratti di una beffa! E una beffa ancor più sanguinosa ci pare, quando sentiamo dire che per i comuni disastrati di Calabria non ci sono fondi! Beffa ancora più grave, uomini del Governo, ancora più grave!

Che colpa abbiamo noi se lo Stato vuol trovare il denaro nelle tasche di chi non l’ha? (Lo dimostra in una maniera molto eloquente la legge sulla patrimoniale!). E dire che basterebbe soltanto parte della rendita di un anno di un ricco proprietario a riparare i danni del terremoto dell’11 maggio in Calabria. Là ci sono vastissimi oliveti che appartengono ad una sola persona, la quale guadagna miliardi con l’olio, vendendolo al mercato bianco e al mercato nero! (Interruzione dell’onorevole Russo Perez). Stia tranquillo, onorevole Russo Perez, è la verità: basterebbe parte di una simile rendita! Certo non possiamo sperare che questi baroni della terra, cuore bugiardo e, magari, volto di santo, facciano spontaneamente una cosa simile; ma se lo Stato cercasse il denaro nelle loro tasche, uscirebbero i soldi necessari per rimediare in parte, anzi del tutto, ai danni prodotti dal terremoto. Con questo vantaggio: il denaro prodotto col sudore del popolo resterebbe – una volta tanto – sul posto – diciamo così – di produzione e allevierebbe il tormento del popolo.

Inoltre, quando sentiamo dire che 150 miliardi vengono stanziati per la revisione dei prezzi…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. È falso!

SILIPO. Io l’ho letto…

Una voce al centro. Sull’Unità!

SILIPO. Anche su altra stampa!

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. È un’invenzione gratuita!

SILIPO. Non credo, pur volendo augurarmi che sia così. Del resto, non mi si deve fraintendere: nessuno vuole negare che ci debba essere una revisione dei prezzi. Soltanto non riesco a capirla molto bene in determinati casi, quando, per esempio, assistiamo allo spettacolo di edifici, che crollano prima di essere terminati, come è avvenuto a Milano per i locali della «Rinascente» e a Foggia per alcune case per i senza tetto. (Per imprenditori simili, che antepongono il guadagno alla vita umana, vi dovrebbe essere non revisione di prezzi, ma ergastolo). Ecco il mio pensiero: se si trovano miliardi d’assegnare sollecitamente per la revisione dei prezzi, si dovrebbe pur trovare il denaro, che non è molto, per dare una casa a chi l’ha perduta ed un po’ di lavoro a chi è disoccupato.

Ed a proposito di case che crollano non appena costruite, nei nostri Comuni s’è manifestata una certa preoccupazione: se dovessero crollare – si pensa – anche i nostri ricoveri stabili? Tra terremoto ed imprenditori siffatti c’è poco da stare tranquilli!

Ma torniamo all’argomento.

Abbiamo visto la sorte del famoso schema legislativo, almeno sino al 16 settembre. Vediamo ora l’opera del Ministero attraverso i suoi organi diretti.

Che cosa è stata fatta dal Genio civile e dal Provveditorato alle Opere pubbliche della Calabria? Lo dirò subito: il Ministero, invece di tener conto della mia raccomandazione di ridurre al minimo le pratiche burocratiche, le ha aggravate: vengono prima stabiliti degli accertamenti, viene poi inviato da Roma un funzionario per esercitare un controllo sugli accertamenti stessi; vengono, in un terzo tempo, disposti ulteriori accertamenti!

Intanto il tempo passa; famiglie e famiglie continuano a rimanere sotto le tende ed altre ancora, che non hanno avuto la fortuna di averne, vivono in locali umidi e infetti peggio delle bestie. Il mio dubbio è questo: vi saranno state forse delle interferenze, affinché i primi accertamenti venissero annullati e se ne facessero altri addomesticati? Mi rivolgo e, onorevole Ministro, le rivolgo questa domanda, perché non riesco a trovare dei motivi plausibili che abbiamo potuto indurre il Ministero competente a mettere in dubbio e ad annullare l’opera del Genio civile. Continuiamo. Questo ispettore viene in Calabria e distrugge tutta l’opera del Genio civile. Perché? Perché i primi accertamenti erano stati fatti male o perché egli doveva tenere una definita linea di condotta, indipendentemente da quello che era lo stato reale delle cose? Dal modo come s’è comportato appare chiaro che questo signor ispettore o è un ignorante, o è in malafede. Infatti ha avuto il coraggio, la spudoratezza, di dichiarare, in Isca, abitabile un edificio il quale è crollato due giorni dopo la sua dichiarazione d’abitabilità! (Fortunatamente gli abitanti di quella casa non prestarono fede alla parola del suo ispettore, onorevole Ministro, che altrimenti sarebbero morti di certo in conseguenza di questa specie di terremoto ministeriale!).

Io stesso ho voluto visitare una casa dichiarata abitabile: quella del medico condotto del medesimo Comune su citato: bisogna camminare bene attenti rasente alle pareti e badando di non fare dei passi verso il centro delle stanze. Una casa simile è stata dichiarata abitabile!

E non solo io giudico così l’operato del suo ispettore.

Se, onorevole Ministro, ella desidera anche ascoltare la parola di altri, io gliela posso far udire.

RUSSO PEREZ. Ma noi crediamo alla sua parola, onorevole collega: non occorre.

SILIPO. Ma a me piace ugualmente diffondermi in particolari, perché ogni dubbio scompaia. Ecco quello che mi scrive un sindaco: «Detto ispettore vorrebbe demolire l’opera del Genio civile perché la legge fosse formulata con larga applicazione». Ed ecco il pensiero di un altro: «L’ispettore, per favorire forse amici suoi personali, si vestì di carattere dittatoriale ed emise ordine di demolizione di alcune case, curando subito di revocarlo; riconobbe che effettivamente oltre un centinaio e mezzo di famiglie erano state private dell’alloggio, ma ritornando a Catanzaro», ecc.

Così ha agito il suo ispettore, che, ripeto, o è un ignorante o è in malafede. Nell’un caso e nell’altro non deve godere la fiducia dell’onorevole Ministro. È in ballo la vita umana e dà questi giudizi? Il suo contegno è tale da giustificare i nostri sospetti, anche perché fa una specie di doppio giuoco: quando è sul luogo del disastro, dichiara: «Questa casa è inabitabile; non può andare, deve essere distrutta»; quando va a Catanzaro, agisce proprio in senso opposto! E continuiamo.

Sono venuti, dopo gli accertamenti di questo ispettore, nuovi accertamenti; è passata tutta l’estate, onorevole Ministro; siamo alle porte dell’inverno, e nessun provvedimento sostanziale è stato preso ancora. In conclusione: molte delle case che erano state dichiarate inabitabili in un primo periodo, furono dichiarate abitabili in un secondo tempo. Circa 1’80 per cento degli altri edifici colpiti furono dichiarati inabitabili, ma riparabili… Ben poca cosa fu dichiarata di estrema urgenza! Tutto questo perché?

Noi temiamo, per una dolorosa, amara, lunga esperienza, che ci siano state delle interferenze da parte di elementi molto potenti; noi temiamo, cioè, che per salvare e difendere gli interessi di qualche grosso, molto grosso proprietario, si voglia mantenere artatamente uno stato di disagio per dei motivi di speculazione, di esosa speculazione.

Su di un giornale, che certo non si può dire che sia un giornale di sinistra, da Isca si scrive: «Stavamo già male e troppo agglomerati prima del nefasto terremoto dell’11 maggio; ma oggi stiamo del tutto pigiati, sia pure all’aperto!». Badolato si agita: se ne parla sulla stampa e se ne parla bene: sul Giornale d’Italia, nonché sul Giornale della Sera. Mi vorrà concedere, onorevole Ministro, che non sono giornali che abbiano delle tenerezze per noi della sinistra. Se scrivono così, vuol dire che le cose vanno proprio male.

RUSSO PEREZ. Onorevole Silipo, crede che faccia ricostruire le case, parlando un’ora invece di cinque minuti?

SILIPO. Io parlo così, perché ognuno assuma la propria responsabilità; io cerco appunto di stabilire le singole responsabilità.

Sto delucidando all’Assemblea e non all’onorevole Russo Perez uno stato di cose intollerabile. Ognuno assuma la propria responsabilità.

Il Governo farà quello che crederà di fare, l’onorevole Russo Perez potrà fare o pensare quello che crederà; ma penso che di fronte ad un problema simile non ci sono parole sufficienti ad esprimerne tutta la gravità.

RUSSO PEREZ. Ecco: il silenzio è più espressivo.

SILIPO. Si parla e si ottiene poco; se si tacesse, si otterrebbe quello che s’è ottenuto durante l’estate!

Questa – dicevo – l’opera svolta (se opera si può chiamare) dal Governo in 4 mesi.

Parliamoci chiaro: lo stato dei nostri paesi è tale che non ci si può illudere di risolverlo con l’erogazione di alcune centinaia di milioni! Io non vengo qui a fare della storia, ma tutti sappiamo che i luoghi, in cui sono costruiti i nostri paesi (luoghi scelti nel Medio Evo per ragioni di opportunità, per sfuggire alle incursioni barbariche), sono tutti luoghi destinati ad essere abbandonati, in massima parte, e non c’è potenza umana che tenga. Sono costruiti su colline franose, su rocce in disfacimento. Si visitino Sant’Andrea, Badolato, Isca. Sono constatazioni le mie! Per mantenere Badolato, bisognerebbe fare dei muraglioni di sostegno per l’importo di oltre 150 milioni. Ad Isca non molto tempo fa ci fu la frana di Valloscura, che minacciò di travolgere tutto l’abitato. I nostri paesi, in breve, sono costituiti da case addossate le une sulle altre, mal costruite, mal tenute, aderenti al dorso delle colline, formanti una specie di cumulo informe di catapecchie.

Si capisce che in queste condizioni ambientali, i danni, prodotti dal terremoto, sono stati molto più gravi di quelli che sarebbero stati, se il paese si fosse trovato in un ambiente migliore.

E d’altra parte, è notorio come sia fatale che, prima o poi, questi piccoli paesi di montagna finiscano col ridursi, in proporzione, di oltre la metà. Vi saranno solamente dei boscaioli ad abitarli; ma il paese vero e proprio andrà al mare, perché la vita ritorna al mare. E in questo caso, conviene – dico io – al Governo far costruire e riparare nello stesso luogo delle case che, se non cadono oggi, cadranno domani? Se la regione è terremotata, cioè soggetta a terremoti, le case devono essere costruite secondo sistemi antisismici e queste case non potranno costruirsi che su strade ampie, non già ai lati di quei viottoli, di cui precedentemente ho fatto cenno. Si facciano sorgere dunque delle belle frazioni in pianura, se non si vuol perdere tempo, denaro e vite umane.

E mi avvio a concludere.

Da tutto quanto precede si deduce che è stato fatto poco e che questo poco, che è stato fatto, è stato fatto male. Ad Isca, per esempio, si stanno costruendo – mi pare – due lotti di ricoveri stabili in una zona malarica, mentre sarebbe bastato e basterebbe che si spostasse l’ubicazione di essi di tre o quattrocento metri per sistemarli in una zona salubre. Ora, chi vuole, onorevole Ministro, che vada ad abitare in questi ricoveri? Le rane li abiteranno, perché, se per sfuggire al terremoto, bisogna andare a prendere la malaria, non sapendo quale delle due cose sia preferibile, ognuno, potendo, rimarrà dove si trova, memore dell’incidit in Scyllam qui vult vitare Charybdim. Ma perché si deve agire così? Dovremmo forse spiegarlo che è per mantenere integra la proprietà terriera di qualche persona? (Approvazioni a sinistra – Commenti a destra).

RUSSO PEREZ. Mi faccia scrivere la sentenza di fucilazione.

SILIPO. Qui si parla di gente che soffre e muore. Non faccia dell’ironia.

RUSSO PEREZ. Ma chi glielo ha detto che è ironia? Io trovo che l’argomento è serissimo. Mi permettevo solo di pensare che si potrebbe esporlo più brevemente.

SILIPO. Lei parla di fucilazione e poi dice che non fa dell’ironia. Siccome l’ho spiegato il 17 giugno brevemente e non fui capito, lo espongo adesso in maniera più completa nella speranza che questa volta mi si capisca.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Prenda comunque atto che il Governo l’ascolta con molta attenzione.

SILIPO. Mi voglio augurare che all’attenzione del Governo seguano i fatti.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. I fatti glieli dirò poi io.

SILIPO. Sarò molto felice di sentirli.

Dunque, dicevo: siamo alle porte dell’inverno, molti sindaci minacciano già di dimettersi perché non sanno come fare. Che cosa accadrà? Non ci si culli nella vana speranza che nulla succederà, perché, quando le tende saranno inservibili e la gente non saprà dove andare a sbattere la testa, sarà pure costretta a muoversi, e non so se questo potrà fare piacere al Ministro dell’interno. E non parlo delle ripercussioni politiche che l’inazione del Governo non mancherebbe di determinare ad opera degli interessati.

Io prima di finire, affinché non si dica che mi limito a criticare e a non proporre nulla di concreto, mi permetto di esporre al Governo il mio pensiero e quello degli interessati in fatto di provvedimenti.

Scrivevo – e non ho motivo di modificare il mio pensiero da quello che ho scritto nel mese di luglio – che sono necessari dei provvedimenti che devono essere di duplice natura: alcuni devono riflettere l’opera da spiegarsi dai Comuni e dal Governo per la sistemazione, mediante un piano regolatore ed amplificatore dei paesi terremotati; altri devono mirare a fissare una serie di agevolazioni tributarie e di aiuti finanziari atti a stimolare l’attività privata. Io attendo dal Ministro che qualche cosa mi dica in proposito.

È certo che la sola esenzione dalle tasse non sia sufficiente e, riguardo a questa, così mi scrive il sindaco del Comune di Squillace: «Comunque sono del parere che tale provvedimento non risolva il problema». D’altra parte è desiderio unanime dei sindaci e delle popolazioni che ci sia un contributo statale dell’80 per cento, come è stato fatto coi decreti legislativi per i terremoti del 1905 e del 1908; che questo contributo dell’80 per cento sia almeno dato ai più bisognosi, a quelli che non hanno nemmeno quel 20 per cento con cui iniziare i lavori, e magari sia ridotto, se non soppresso del tutto, a chi può costruire con quel denaro che ha messo insieme sfruttando il lavoro degli altri. Invece dell’80 per cento pare che il governo voglia dare soltanto il 50 per cento, a tutti indistintamente; io invece propongo che si elevi il contributo statale a chi nulla ha e lo si riduca o si sopprima a chi ha troppo. Una specie di contributo differenziato.

Inoltre, siccome v’è della gente che aveva soltanto la casa, che il terremoto ha distrutto, e null’altro, per questa sarebbe umano che la ricostruzione fosse fatta a totale carico dello Stato.

Questo chiedo a favore di quelle infelici popolazioni, tra le quali dominano i mali della miseria, dal tracoma alla tubercolosi, dall’analfabetismo alla superstizione; questo chiedo a favore di chi ha sempre dato alla patria tutto, lavoro e vita, senza mai ottenere in contraccambio un sollievo, anche modesto, ai propri mali; questo io chiedo in nome della giustizia sociale.

Non intendiamo che si provveda tout court, ma bisogna pure incominciare a fare e bisogna incominciare a far presto, prima che sia troppo tardi. Non ho altro da dire. (Approvazioni – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere all’onorevole interpellante.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevoli colleghi, devo ricordare i precedenti ai quali si è riferito l’onorevole Silipo. In data 17 giugno, cioè a undici giorni dal mio insediamento nel Ministero dei lavori pubblici, l’onorevole Silipo ed altri colleghi m’interpellarono su quello che il Governo aveva fatto e intendeva di fare in ordine al terremoto dell’11 maggio precedente. Assicurai l’Assemblea che avrei fatto tre cose. Primo: mi sarei accertato dello stato dei danni prodotti dal terremoto; secondo: avrei sollecitato tutti quei provvedimenti di urgenza che avessero potuto consentire un graduale ricovero della gente rimasta senza tetto o male alloggiata; terzo: avrei promosso un provvedimento legislativo apposito con il quale si potesse, mediante una congrua somma da stanziare in bilancio, affrontare quella situazione.

GULLO FAUSTO. Di queste tre cose non è stata fatta nessuna.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. A tre mesi di distanza, onorevoli colleghi, posso dare una precisa relazione della mia opera personale in ordine a quello che si è fatto. Anche se l’onorevole Gullo dice che non si è fatto niente, dimostrerò che si è fatto molto.

GULLO FAUSTO. Non negli uffici, ma nelle località.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Io sfiderei – lo dico naturalmente in termini pacifici – chiunque si trovasse al mio posto o in quegli organi periferici ai quali gli onorevoli interruttori si riferiscono, a fare di più e meglio di quello che si è fatto.

Io disposi l’immediata partenza, per i luoghi del terremoto, di un ispettore del Ministero. L’onorevole Gullo, che è stato Ministro della giustizia e dell’agricoltura, sa benissimo che quando accadono dei fatti che interessano un singolo Ministero la prima cosa che fa il Ministro è di accertarsi attraverso un suo funzionario. Ed è precisamente quello che ho fatto io! Il mio funzionario si è recato subito sul posto. Chi mi conosce sa che io disdegno gli indugi e che preferisco la rapidità dell’azione. Un riconoscimento simile avrei dovuto attendermelo anche dall’onorevole Silipo.

SILIPO. Io attendo la risposta.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Comunque, l’ispettore ha accertato che le famiglie rimaste senza alloggio ammontavano a 627 in tutta la zona terremotata.

SILIPO. Lo dice lui.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se l’onorevole Silipo mi può documentare, ex adverso, che l’accertamento dell’ispettore del Ministero non è esatto, io terrò conto delle sue conclusioni, le metterò a raffronto con quelle dei miei uffici e ne trarrò le necessarie conseguenze.

Comunque di queste 627 famiglie, io posso annunciare all’Assemblea che ben 170 hanno trovato finora un alloggio stabile.

SILIPO. Dove?

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevole Silipo, io l’ho ascoltato con attenzione religiosa; voglia ricambiarmi con eguale moneta.

SILIPO. Anche lei mi ha interrotto, mentre svolgevo l’interpellanza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Per dirle che l’ascoltavo (Ilarità).

Le rimanenti 457 famiglie sono finora alloggiate in modo precario.

Ho insistito perché si accelerasse la costruzione di nuove case; e mentre svolgevo quest’opera, non trascuravo l’altra, lenta, difficile e dura, che chiunque abbia esperienza di Governo, come l’onorevole Gullo, può confermare, e cioè di persuadere il collega del Tesoro a stanziare in bilancio una congrua somma per le provvidenze necessarie a favore delle vittime del terremoto.

GULLO FAUSTO. Non dimentichi che c’è un terremoto per lo mezzo.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Nel contempo disponevo che 100 milioni venissero accantonati ed anticipati (somma da rifarmi poi su quello che il Tesoro avrebbe definitivamente dato), perché si desse senz’altro inizio alla costruzione di un certo numero di alloggi, che ora sono in una fase di avanzata costruzione; cioè 150, di cui, per la provincia di Catanzaro, 32 nel Comune di Isca ed 8 per ciascuno dei Comuni di Badolato, Chiaravalle, Sant’Andrea, Santa Caterina, Squillace, Catanica ed altri, e 20 per la Provincia di Reggio Calabria, che è stata meno danneggiata. Intanto le trattative col Tesoro si sviluppavano favorevolmente e nell’ultima riunione del Consiglio dei Ministri è stata approvata la legge che destina la somma di un miliardo e mezzo a favore delle popolazioni colpite. Il disegno di legge è ora all’esame della competente Commissione dell’Assemblea.

L’onorevole Silipo ricorda che, secondo le prime previsioni del mio ufficio, i danni si calcolavano a 900 milioni. Secondo l’onorevole Silipo ammontavano ad un miliardo: una differenza, quindi, di cento milioni. Gli accertamenti successivi fatti dal mio Ministero hanno constatato un fabbisogno minimo di un miliardo e 500 milioni, che è precisamente la somma stanziata in bilancio.

A me pare che, giunti a questo punto, onorevole Silipo, si possa onestamente riconoscere che tutti gli affidamenti e le assicurazioni da me date, tutte, ripeto, nessuna esclusa, sono state mantenute, e che anche i miei uffici hanno fatto tutto quello che umanamente era possibile di fare, e ciò non nel termine di quattro mesi, ma nel termine di tre mesi, perché, se non erro, dal 17 giugno al 22 settembre decorrono tre mesi e non quattro; se mai, il quarto mese, che in questo caso è il primo, non appartiene alla mia amministrazione ma a quella del mio predecessore.

Sono dunque tre mesi. Io domando: in tre mesi cosa poteva fare di più il Governo? Senza dire, onorevole Silipo, che per facilitare e per accelerare la costruzione degli alloggi per i senza tetto si dispose l’utilizzazione immediata di ben 80 milioni al fine di una sollecita liquidazione degli acconti e quindi di un maggior acceleramento dei lavori in corso. Se poi, onorevole Silipo, quest’opera di acceleramento non ha dato i risultati da tutti noi voluti, le cause sono di duplice ordine: 1°) quella cui velatamente ha accennato l’onorevole Silipo, cioè di un contrasto sorto fra coloro che vogliono rimanere aggrappati dove sono e coloro che vogliono prendere occasione (non dico pretesto) della disgrazia avvenuta per spostare altrove l’abitato. Questi sono contrasti che dovunque si accendono: sono di una importanza e di una gravità tale che dovunque, onorevoli colleghi, portano necessariamente ad un ritardo dei lavori. Io lo vedo e lo constato anche per quanto attiene alla ricostruzione delle zone distrutte o danneggiate dalla guerra: si accendono sempre simili contrasti. E quando l’onorevole Silipo accenna che i contrasti, che producono i ritardi, possono essere stati determinati da interferenze di interessi, che egli teme – questa è la parola usata dall’onorevole Silipo – abbiano avuto giuoco nella specie, io invito l’onorevole Silipo a voler trasformare se può il timore in certezza e fornirmi dei dati certi che mi consentano di individuare ogni eventuale interferenza obliqua o disonesta, di adottare gli opportuni provvedimenti e prendere le necessarie esemplari sanzioni. (Applausi al centro).

Per continuare, onorevoli colleghi, e in attesa che la legge diventi operante, sono stati predisposti i progetti per altri 400 alloggi i cui lavori saranno iniziati al più presto.

Onorevoli colleghi! Non mi pare che questo sia argomento sul quale sia lecito fare speculazioni di parte. Per quel che attiene alla mia personale responsabilità, ho la coscienza tranquilla, perché so di aver fatto tutto ciò che è umanamente possibile di fare per andare incontro alle esigenze di quelle sventurate popolazioni.

L’onorevole Silipo ha accennato a deficienze della legge. La Commissione competente la sta esaminando. Se si vogliono suggerire proposte ed innovazioni il Governo è a completa disposizione dell’Assemblea. L’importante è che si riconosca che l’impegno da me assunto tre mesi fa è stato portato a compimento. Ora non rimane che proseguire con volontà e tenacia su la via intrapresa per ridonare tranquillità e sicurezza alle famiglie colpite con pieno esaudimento dei loro desideri che sono soprattutto i desideri miei, del Governo e anche dell’onorevole interrogante.

Per quanto poi riguarda, onorevole Silipo, la lentezza degli organi burocratici, io lo apprendo per la prima volta da lei. I giornali possono averne parlato, ma non è soltanto su un articolo di giornale che il Governo ed il Ministro possano basarsi per determinare la propria azione. I giornali, se mai, forniscono l’occasione e lo stimolo per eventuali accertamenti che vengono solitamente affidati a degli ispettori.

SILIPO. Che non siano quelli.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Che siano quelli che sono. Se hanno fatto male…

SILIPO. Le ho dato elementi.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Spero che non ci sia bisogno di mandarne più alcuno e che gli organi locali, da me energicamente richiamati a fare con la maggiore intensità possibile il proprio dovere, siano in grado di farlo, sì da consentire a me ed a voi di poter guardare con una certa soddisfazione al lavoro compiuto.

Per conto mio, confermo ancora una volta che tutti gli impegni assunti sono stati mantenuti, e si manca di generosità se non sono riconosciuti ed anzi negati.

L’onorevole Silipo, nel corso dello svolgimento della sua interpellanza, mi ha offerto l’occasione di dare un chiarimento in ordine ad una certa sua affermazione, che non ha nulla a che vedere con l’attuale dibattito, ma che mi riguarda personalmente. L’onorevole Silipo ha, cioè, affermato che la pretesa indolenza del Governo nei confronti del terremoto calabrese contrasta con altrettanta sollecitudine nei riguardi degli appaltatori delle opere pubbliche, a favore dei quali sarebbero stati stanziati ben 150 miliardi! Ringrazio l’onorevole Silipo per avermi fornito l’opportunità di smentire solennemente dinanzi all’Assemblea una simile affermazione che non esito a dichiarare falsa e calunniosa. A favore delle revisioni degli appalti figurano in bilancio per l’anno corrente solo 15 miliardi e questi 15 miliardi non li ho fatti stanziare io, bensì il mio predecessore. Vi si è aggiunto uno zero e se ne è attribuita a me la paternità con evidenti finalità di calunnia politica. Sta in fatto che io mi sono limitato a distribuire la somma dei 15 miliardi da me trovata in bilancio tra i vari Provveditorati delle opere pubbliche secondo le segnalazioni fatte al mio Ministero dai rispettivi titolari. Del resto i bilanci, come qualsiasi provvedimento di spesa, sono pubblici. Chiunque ne può prendere visione e sono a disposizione dell’Assemblea. La verità, dunque, è quella affermata da me e non teme smentita, mentre gratuita e falsa è ogni contraria affermazione. (Applausi al centro).

Chiusa questa parentesi, mi onoro di concludere pregando l’onorevole Silipo d’informare il Governo e l’Assemblea su tutto quanto riguarda i lavori in corso nei territori colpiti dal terremoto, tanto più se contrastano con le mie informazioni.

Qui si tratta di lavorare insieme indipendentemente dal colore politico del Governo e al solo fine di portare un concreto e sollecito giovamento alle popolazioni colpite contribuendo ad un’opera altamente umana e civile. (Applausi).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole interpellante a dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Una chiarificazione anzitutto, perché il Ministro ha fatto delle allusioni di carattere politico. Egli deve riconoscere che la mia interpellanza è stata firmata da uomini di tutti i settori. Anzi tengo a dichiarare che anche l’onorevole Lucifero mi ha detto proprio oggi di aderire in pieno alla mia interpellanza, che non ha firmato, perché assente. Quindi nessuna speculazione politica. Sono perfettamente d’accordo con lei, onorevole Ministro.

In quanto al progetto legislativo, prendo atto con letizia della sua comunicazione e la ringrazio, sebbene debba dire che questo provvedimento venga un po’ in ritardo, a distanza di tre mesi e dopo la presentazione della mia interpellanza.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. La data è antica. Le relative pratiche sono tutte a sua disposizione.

SILIPO. Quale data? Certo, non quella dell’approvazione, giacché, come lei stesso ha detto, il progetto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri soltanto venerdì, 18 settembre. Comunque mi dichiaro sodisfatto.

Riguardo al contenuto di questo provvedimento legislativo, non posso dire nulla perché non ne ho preso visione e, quindi, non posso dire se risponda alle esigenze da me esposte. Non appena l’avrò letto e studiato, farò una mia relazione a lei personalmente, appunto per quel desiderio di collaborazione che deve animare tutti in simili frangenti.

Riguardo all’opera dei suoi ispettori, mi sembra d’essere stato abbastanza chiaro.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ormai l’opera degli ispettori è finita.

SILIPO. Ma la loro relazione resta, e questo è il guaio più grande. Se vuole un’altra prova dell’opera inconsulta di costoro, eccola: il Comune di Chiaravalle mi scrive: «In questo Comune le famiglie senza tetto sono 32 e per esse il Genio civile ha predisposto un solo lotto di case popolari per appena otto famiglie».

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Per ora otto famiglie, ma gli altri 400 alloggi finiranno per compensare ad usura la deficienza fra otto e trentadue.

SILIPO. Voglio dire che mentre il Genio civile ha giudicato sufficiente per Chiaravalle un ricovero per otto famiglie, il numero effettivo delle famiglie senza tetto è ivi di trentadue.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevole Silipo, se mi consente, quando ho parlato di 8 alloggi non ho parlato di otto alloggi definitivi. Ho detto che questi rappresentano, di fronte ai 170 già sistemati, altri 150 alloggi per altrettante famiglie.

Ho detto anche che c’è un progetto per un complesso di altri 400 alloggi che verranno, adesso che abbiamo lo stanziamento, a sodisfare ad usura tutte le esigenze, comprese quelle del sindaco di Chiaravalle.

SILIPO. Lei parla del numero complessivo degli alloggi, per tutti i paesi terremotati, e, se entriamo in questo argomento, debbo dichiarare che il numero da lei citato non mi sembra sufficiente. Comunque, mi voglio augurare che si facciano, perché siamo già alla fine di settembre. Riguardo al miliardo e mezzo stanziati, le dico con franchezza che vi sono delle espressioni parlamentari delle quali diffido. Tra queste v’è quella di «stanziamento». Invece dell’espressione «stanziamento» preferirei che si parlasse di «assegnazione».

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ma quando è avvenuto lo stanziamento ne consegue l’assegnazione.

SILIPO. Stanziamento è una cosa, assegnazione è un’altra. (Commenti al centro).

Si stanziano i milioni che si vogliono, ma poi si dice: quando ci saranno i soldi si procederà ai lavori. Invece, quando si tratta d’assegnazione, s’intende che la somma è già pronta, quindi… Mi permetta, infine, onorevole Ministro, di dirle che alcuni sindaci si sono lamentati del suo modo d’agire, perché, avendo rivolto a lei personalmente parecchi telegrammi, lei, non so perché, non si è benignato di rispondere…

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Ma ho provveduto.

SILIPO. Una risposta si poteva pure dare. In ogni modo, quello di cui la prego caldamente è di non tenere in nessun conto gli accertamenti degli ispettori ministeriali, contro cui si sono levate voci di protesta da tutte le parti, ed io ho citato dei fatti positivi.

Mi voglio augurare di non dover intervenire ancora una volta in una materia così dolorosa.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza dell’onorevole Nobile, al Ministro della difesa, «sulla situazione venutasi a creare con la riammissione in servizio permanente effettivo degli ufficiali che furono sottosegretari di Stato per l’aeronautica con la repubblica fascista: e sulle gravi sperequazioni createsi con l’applicazione della legge sullo sfollamento».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerla.

NOBILE. Onorevoli colleghi! Nella prima parte dell’interpellanza sono incorso in una inesattezza che mi è grato rettificare: ho dato per avvenuto ciò che allo stato attuale delle cose è soltanto una minaccia. Una minaccia, però, che, secondo informazioni attinte al Ministero della difesa, sussiste realmente, tant’è vero che si sta preparando un apposito provvedimento legislativo per stornarla. Per quanto mi risulta, gli ex sottosegretari di Stato per l’Aeronautica della repubblica di Salò non sono stati ancora ufficialmente riammessi nei ruoli; ma la riammissione, a quanto pare, è l’inevitabile conseguenza giuridica dell’esito dei procedimenti giudiziari cui essi furono sottoposti.

Sta di fatto che taluno di quei sottosegretari, condannato dalla Corte di assise speciale, è stato recentemente amnistiato, mentre tal altro è stato assolto.

Ora, secondo il parere espressomi negli uffici dell’Aeronautica, amnistia ed assoluzione porterebbero necessariamente ed implicitamente alla revoca della cancellazione dai quadri. Una tale revoca – fosse pure soltanto temporanea – costituirebbe invero uno scandalo intollerabile, perché né l’amnistia, né l’assoluzione potranno mai distruggere il fatto che questi ufficiali occuparono alte cariche nella repubblica fascista e che, in conseguenza, organizzarono e diressero la lotta contro le nostre truppe regolari e contro i nostri partigiani.

Ma è sulla seconda parte dell’interpellanza che voglio particolarmente intrattenermi. L’argomento è grave e meriterebbe una discussione assai ampia, che tentai già altra volta di provocare in questa Assemblea con una interpellanza che per varie circostanze non fu poi discussa. Essa si riferisce all’ormai famigerato decreto legislativo del 14 maggio 1946, che regola lo sfollamento dei quadri delle Forze armate.

Non vi è oggi alcuno, io ritengo, il quale non riconosca che quel decreto fu uno sproposito solenne, un provvedimento affrettato e male studiato, sia per l’impostazione generale che per quella particolare. Con esso infatti si voleva, da un lato, favorire l’esodo volontario degli ufficiali, e questo era cosa lodevole; dall’altro, si volevano colpire, eliminandoli dai quadri, quegli ufficiali che, pur essendo stati discriminati, avessero riportato sanzioni disciplinari dopo la data dell’8 settembre 1943.

Già il fatto solo di avere accomunato in un solo provvedimento queste due così differenti categorie di ufficiali e con il medesimo trattamento economico costituisce, a mio avviso, un primo madornale errore. Si consideri, poi, che il trattamento economico fatto agli ufficiali che, per essersi comportati male all’atto e dopo dell’armistizio, furono collocati di autorità in posizione ausiliaria, in esecuzione del succitato decreto, è veramente un trattamento privilegiato in confronto di quello fatto ad ufficiali che, avendo sempre compiuto il proprio dovere ed essendo rimasti sempre fedeli alle legittime istituzioni della Patria durante il periodo nazi-fascista, furono, antecedentemente all’emanazione del decreto stesso, collocati in pensione per aver raggiunto i limiti di età.

Infatti il comma c) dell’articolo 5 del decreto stabilisce che all’ufficiale collocato nella riserva o in ausiliaria spettano, per i primi due anni, gli assegni completi, che percepiva al momento dello sfollamento e, per gli anni successivi, gli assegni stessi ridotti di un quinto.

Ad aggravare la cosa, il limite di età è stato notevolmente prolungato. Così, ad esempio, per un tenente colonnello pilota, per il quale il limite di età normale era di 48 anni, il limite stesso viene portato a 56, prolungato cioè, di ben 8 anni. Per fare un caso concreto, un tenente colonnello ammogliato senza prole, dell’età di 46 anni, se viene collocato oggi in posizione ausiliaria in base a quel decreto, continuerà a percepire per due anni lire 38.725 mensili lorde fino al 48° anno di età, mentre, per i successivi 11 anni, cioè fino al 59° anno, percepirà, come ho già detto, i quattro quinti di quegli assegni, cioè lire 30.980 al mese.

In totale, nello spazio di 13 anni, l’ufficiale predetto, punito per il suo comportamento dopo l’8 settembre 1943, avrà ricevuto ben lire 5.018.760 al lordo. Si confronti con questo il trattamento fatto all’ufficiale di pari grado che non riportò alcuna sanzione disciplinare per il suo comportamento dopo l’armistizio, che non demeritò in alcun modo ma che anzi, per aver fatto il suo dovere, sopportò disagi e corse rischi insieme con la sua famiglia. Questo degno ufficiale, supposto che avesse raggiunto il limite di età qualche mese prima della data di emanazione del decreto, e che contasse 40 anni di servizio utili per la pensione, sarebbe stato collocato in pensione col trattamento normale di quiescenza, cioè con 185.400 lire lorde all’anno. Pur tenendo conto degli aumenti apportati successivamente a tutte le pensioni, egli, nel medesimo periodo di tempo di tredici anni, avrà percepito 2.552.616 lire; cioè quasi esattamente la metà della somma percepita dall’ufficiale eliminato dal servizio per essersi compromesso dopo l’8 settembre 1943!

L’iniquità, direi anzi l’assurdità, di tale sperequazione salta agli occhi; e non occorre aggiungere alcuna parola di commento.

La fretta con cui fu emanato quel decreto legislativo, così pieno di spropositi, non si può in alcun modo giustificare. In materia così grave si imponeva la più grande prudenza. D’altronde, la riduzione impostaci dal cosiddetto trattato di pace era ancora di là da venire; tanto è vero che nemmeno oggi, ad un anno e mezzo di distanza dal decreto, è cosa decisa. Né si può dire che la fretta fosse giustificata dall’urgenza di alleggerire i bilanci delle Forze armate. In realtà, per le ragioni che ora ho dette, l’applicazione del decreto, all’atto pratico, si è risolta in un aggravio notevole per lo Stato. Sarebbe stato assai meno oneroso per il bilancio statale corrispondere agli ufficiali da sfollarsi i pieni assegni, come se fossero in servizio, fino al raggiungimento dei limiti normali di età; e una volta poi raggiunti questi limiti, collocarli in pensione col trattamento normale di quiescenza.

È bensì vero che il maggior onere all’erario dello Stato, derivante dall’applicazione del decreto, risulta oggi attenuato, in qualche caso anche eliminato; ma ciò si deve soltanto ad una malaugurata circostanza, certamente non prevista da chi compilò il decreto; voglio dire la svalutazione della lira; svalutazione la quale ha imposto, come si sa, successivamente all’emanazione del decreto, un aumento generale degli stipendi. Questo aumento, però, ha portato ad un’altra grave sperequazione, di cui parlerò di qui a poco. Per ora voglio far notare che, secondo l’articolo 2 del decreto, si dovevano «di massima» – così dice testualmente il decreto – collocare nella riserva o in posizione ausiliaria anzitutto gli ufficiali che, pur essendo stati discriminati, avessero riportato sanzioni disciplinari per il loro comportamento dopo l’8 settembre. Questa espressione «di massima», inserita nell’articolo 2 del decreto, fu quanto mai infelice, prestandosi, come è ovvio, ad ogni sorta di interpretazioni. E, in effetti, tra i primi ufficiali superiori sfollati dell’aeronautica se ne trovano parecchi che non solo non hanno riportato alcuna sanzione disciplinare per il loro comportamento dopo l’8 settembre, ma anzi hanno benemeritato. Citerò per tutti il caso di un colonnello, che non conosco personalmente, ma di cui ho avuto occasione di occuparmi: il colonnello pilota Cesare Scaetta. Questo ufficiale, che in tempo di pace aveva compiuto ben 1.400 voli, era certo considerato tra i migliori piloti da bombardamento, dal momento che era stato classificato con 20/20. È vero che non aveva partecipato alla guerra d’Africa né a quella di Spagna e nemmeno a quella dell’«asse», ma per contro si era arruolato volontario a 17 anni fra gli alpini ed aveva passato un anno in trincea. Durante il periodo fascista era stato oggetto di persecuzioni. Nel 1926 un suo fratello antifascista militante lasciò l’Italia per rifugiarsi in Francia, dove morì 15 anni dopo. Dal momento della fuga all’estero del fratello, cominciarono per lo Scaetta le persecuzioni: subì perquisizioni domiciliari, trasferimenti, umiliazioni di ogni sorta. La sua carriera fu ostacolata da prima ed infine stroncata. Caduto il fascismo, fu riammesso in servizio. Il suo comportamento dopo l’armistizio fu ineccepibile. Restò per otto mesi alla macchia per sottrarsi agli ordini emanati dalle autorità nazi-fasciste. Niente, dunque, adesioni larvate né doppio giuoco. Per il suo caso era comminata la pena di morte. Dovette abbandonare la famiglia e vivere segregato, col timore continuo che la moglie ed i figli potessero essere da un momento all’altro trascinati in campo di concentramento. Con la liberazione di Roma riprese servizio e fu assegnato ad una Commissione di epurazione, dove compì regolarmente il suo dovere.

Orbene, un tale ufficiale, con siffatti onorevoli precedenti, fu uno dei primi ad essere sfollato, il 21 dicembre 1946, con due giorni di preavviso, come non si farebbe neppure con una serva. Unico motivo ufficiosamente addotto: mancanza di reparti.

Mentre così si mandavano a casa ufficiali che pur avevano un chiaro passato di antifascismo, altri invece erano trattenuti in servizio, e spesso anche promossi, che nel passato si erano gloriati di essere squadristi o antemarcia o che avevano fatto sfoggio di distintivi di sciarpa littorio o di volontariato nella guerra di Spagna o che perfino avevano aderito alla repubblica di Salò, con o senza il solito comodo doppio giuoco.

Come vedete, onorevoli colleghi, gravi errori furono commessi nella prima applicazione di questo infelice decreto, ma altri più gravi stanno per commettersi ora, conseguenza questi, non già di errato giudizio o di parzialità delle Commissioni preposte alla scelta degli ufficiali da eliminare, ma esclusivamente delle disposizioni stesse del decreto.

Si noti infatti che – secondo l’articolo 8 – nessun ufficiale poteva essere sfollato fin tanto che si trovava sotto processo di epurazione. In conseguenza, gli ufficiali più gravemente compromessi dopo l’armistizio figurano tuttora in servizio. Essi, che avrebbero dovuto essere eliminati per primi, saranno eliminati per ultimi.

Si dirà che si tratta di un ritardo senza alcuna conseguenza. No, le conseguenze vi sono, e non soltanto di carattere morale ma anche, e soprattutto, di carattere economico.

Si consideri il comma c) dell’articolo 5, il quale prescrive che lo stipendio e l’indennità militare dell’ufficiale collocato in ausiliaria o nella riserva saranno i medesimi di quelli che egli godeva quando era in servizio. Segue da ciò che un colonnello antifascista (come nel caso che ho citato) sfollato prima del dicembre 1946 continua oggi a percepire (a parte il carovita), fra stipendio e indennità militare, lire 10427 mensili lorde, le stesse, cioè, che percepiva al momento in cui lasciò il servizio; mentre un colonnello con benemerenze fasciste, che venga sfollato oggi in base a quel decreto, percepirà, fra stipendio e indennità militare, lire 23.304, giungendosi così alla paradossale conseguenza, certamente non voluta dal legislatore, che ufficiali che avrebbero dovuto essere puniti risulteranno invece premiati con 12.877 lire in più al mese. Né il vantaggio si limita soltanto a questo, perché per il fatto stesso di essere sfollati con un anno e più di ritardo essi avranno goduto per un periodo più lungo dell’intero stipendio e degli assegni.

Voi vedete, onorevoli colleghi, a quali immorali conseguenze porti nella pratica applicazione questo decreto legislativo del 14 maggio 1946. Bisogna convenire che esso fu emanato troppo precipitosamente ed anche più precipitosamente applicato. Si deve ora avere il coraggio di riconoscere francamente l’errore commesso e ripararlo. Meglio sarebbe abrogarlo e farne uno nuovo, in base a criteri più semplici e più razionali, ma, ove non si creda opportuna una tal cosa, si dovrebbe per lo meno fissare per legge una unica data di collocamento nella posizione ausiliaria o nella riserva per tutti gli ufficiali sfollati.

Se mai una distinzione volesse farsi, essa dovrebbe essere nel senso che gli ufficiali che si compromisero dopo l’8 settembre 1943 s’intendono collocati in posizione ausiliaria con quella stessa data, mentre per tutti gli altri si dovrebbe fissare una data unica, ad esempio, il 1° ottobre 1947.

La riduzione dei quadri impostaci dal cosiddetto trattato di pace ed anche dalle nostre condizioni economiche è un’operazione assai dolorosa. Essa è cominciata dagli ufficiali superiori e generali, ma dovrà purtroppo seguitare con gli ufficiali inferiori.

Speriamo che per questi almeno non si ripetano gli errori commessi per quelli. Si rifletta che si tratta in gran parte di ufficiali che per anni hanno servito fedelmente e con onore il Paese. Essi si vedono stroncare una carriera sulla quale avevano fatto assegnamento e spesso saranno obbligati ad una vita di grandi ristrettezze. Sulla necessità di misere così gravi, nessuno oggi discute, dal momento che sono dettate da considerazioni di ordine superiore; ma misure di questo genere, per essere tollerate con equanimità, richiedono che siano eseguite con giustizia. Giustizia finora non vi è stata, perché, nella sua prima applicazione, la legge sullo sfollamento dei quadri ha favorito precisamente quegli ufficiali che avrebbero dovuto essere puniti. Io spero che il Governo provveda.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Onorevoli colleghi, ed in particolar modo onorevole Umberto Nobile, noi seguitiamo il nostro cordiale dialogo che dura, mi pare, su questa materia, dal nostro ingresso in quest’Aula. Ed anzitutto vorrei pregarla, in via pregiudiziale, di una cosa, che è questa: ha riconosciuto la inconsistenza dei suoi timori per la prima parte della sua interpellanza e l’ha riconosciuta perché, essendosi recato al Ministero con quella libertà che hanno tutti i deputati di recarsi nei vari uffici e trattare anche personalmente dei problemi che stanno loro a cuore, ha avuto una smentita a quanto era soltanto un suo timore, ma ha avuto aggravato anche il timore per l’avvenire. Se oltre che andare negli uffici fosse venuto anche direttamente da me, avrei non soltanto smentito quella che era una falsa notizia che le avevano dato, ma la avrei anche rassicurata per l’avvenire. C’è un vecchio proverbio che dice: non fasciamoci la testa prima di averla rotta. C’è anche la storia di quella mamma di Franceschino che piangeva per la morte di Franceschino prima che fosse nato. Andiamo alla realtà; e la realtà è questa, ed è bene che l’Assemblea la sappia nell’interesse di tutti. La carica di Sottosegretario per l’aeronautica presso la repubblica fascista fu ricoperta dal tenente colonnello Ernesto Botto, dal generale di brigata aerea Enrico Tessari, dal generale di brigata aerea Ruggero Bonomi, dal tenente colonnello Manlio Molfese: i primi tre ufficiali effettivi, il quarto ufficiale di complemento. Tutti e quattro furono cancellati dai ruoli perché nel loro comportamento furono ravvisati gli estremi della collaborazione con il nemico. Nessuno di essi è stato finora riammesso in servizio. Quanto a ciò che potrà verificarsi in prosieguo di tempo è da tener presente – e questo è ormai noto a tutti – che la quarta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 3 luglio 1946, ha affermato il principio che, qualora in sede penale gli interessati non vengano condannati per collaborazionismo, la cancellazione dai ruoli non può restare operante, in quanto il fatto generatore di collaborazione è unico, e se cade per un effetto deve cadere anche per l’altro. Ora, mentre per il generale Bonomi il provvedimento penale è tuttora in corso, per il generale Tessari e per il tenente colonnello Molfese si è estinto per amnistia. Il tenente colonnello Botto non fu denunciato perché a suo carico non risultarono elementi di colpevolezza dato anche il brevissimo periodo in cui ricoprì la carica; si acquistò anzi benemerenze partigiane dopo cessata la carica. Nei confronti del Botto e del Tessari si dovrebbe procedere alla revoca della cancellazione dai ruoli e altrettanto per il Bonomi, qualora il provvedimento penale ancora in corso si concludesse senza condanna. La posizione del Molfese non desta preoccupazione, perché ufficiale di complemento. Quale funzionario civile dell’aeronautica, egli riveste il grado di ispettore generale. È stato da tempo collocato a riposo, e il provvedimento è irrevocabile. Le preoccupazioni che l’interpellante ha circa la situazione che si verrà a creare con la riammissione pura e semplice dei summenzionati ufficiali non mancarono di essere tempestivamente avvertite dalle autorità responsabili, e, per risolvere le varie questioni connesse alla revoca della cancellazione dai ruoli che dovrà disporsi per effetto della sentenza del Consiglio di Stato, fu posto allo studio un apposito provvedimento legislativo ora in corso di diramazione per l’esame al Consiglio dei Ministri. (Ricordate la drastica risposta data dal collega onorevole Sforza qualche seduta fa).

Con esso si dispone che le cancellazioni dai ruoli rimangano ferme nei casi di condanna ancorché seguita da amnistia, dalla cosiddetta amnistia impropria; mentre sono senz’altro revocate nei casi di assoluzione con formula piena. In tutti gli altri casi, tra i quali rientrano quelli degli ex sottosegretari, la posizione degli interessati sarà riesaminata dalla Commissione la quale, nel termine di sei mesi, proporrà al Ministro la definitiva conferma della cancellazione. Nelle more di tale provvedimento non si fa luogo alla corresponsione di competenze arretrate. In tal modo si darà all’amministrazione la possibilità di eliminare il passato rigore lasciandole peraltro la facoltà di mantenere le cancellazioni in quei casi in cui la riammissione in servizio potrebbe riuscire dannosa alla compagine militare.

E veniamo allo sfollamento. Vorrei pregare l’onorevole Nobile ed eventuali altri interpellanti di essere più dettagliati nella esposizione del loro pensiero, perché io ho inteso, leggendo l’interpellanza dell’onorevole Nobile, che parlasse soprattutto di sperequazioni di carattere economico per le varie categorie di sfollati. Comunque, rispondo a questa parte. Le sperequazioni createsi con l’applicazione della legge sullo sfollamento derivano dal fatto che l’assegno integratore può essere variato unicamente in relazione al variare del carovita, e non anche al variare degli stipendi base. Conseguentemente coloro che furono sfollati con la prima aliquota, sotto la data del 31 dicembre, hanno avuto bloccato il trattamento di sfollamento, mentre coloro che vengono sfollati ora beneficiano di un successivo aumento di stipendio; la differenza è sensibile e la sperequazione è ancora più grave, per il fatto che con la prima aliquota non si poterono sfollare gli ufficiali sottoposti ad epurazione, perché l’articolo 8 della legge lo vietava.

Prendendo il caso di un tenente colonnello, si hanno assegni di lire 13.580 mensili nella prima ipotesi, e di 20.875 nella seconda ipotesi.

Allorquando fu concordato col Ministero del tesoro il trattamento di sfollamento, fu dall’Amministrazione militare accettata la norma suddetta, perché si partiva dal presupposto, allora, nei primi del 1946, sicuro (era Ministro, mi pare, l’onorevole Cevolotto), che l’adeguamento delle competenze degli statali al costo della vita sarebbe stato disposto soltanto sul caro-vita e non sullo stipendio base. Ora che tale principio è stato abbandonato, ci adoperiamo per modificare la legge nel senso di rendere l’assegno integratore variabile col variare dello stipendio base, oltre che del caro-vita. Vogliamo stabilire un’unica data per tutti, quella dell’ultima aliquota.

Per tutto il resto cui ha accennato l’onorevole Nobile, do una breve risposta, attingendo un po’ alla memoria dei tanti colloqui avuti con lui in quest’Aula; precisamente, per quanto riguarda lo spirito con cui è stato fatto lo sfollamento, mi riallaccio al mio discorso sulle comunicazioni del Governo, sullo svolgimento dell’ordine del giorno del mio successore onorevole Gasparotto. Non so se era presente l’onorevole Nobile; comunque, secondo la consuetudine che abbiamo, di lasciare qualcosa dei nostri discorsi, io ho fatto stampare quel discorso; credo di averlo mandato anche all’onorevole Nobile.

NOBILE. No.

CINGOLANI. Ministro della difesa. Mi dispiace; glielo manderò.

In quel discorso io ho affrontato in pieno la questione; ho polemizzato su quanto l’onorevole Nobile aveva affermato, circa il numero dei generali e le qualità di squadrista, di sciarpa littorio e di aderente alla repubblica di Salò; dimostrando che lo sfollamento era avvenuto con serenità di giudizio, ma anche con eccezionale dolore. Perché, dover mandare via 14 mila persone dall’Amministrazione quando si dispone di un corpo di ufficiali e di sott’ufficiali di primo ordine (all’infuori dei repubblichini e delle sciarpe littorio e squadristi), gente dotata di capacità di comando, di resistenza fisica, di virtù morale, di tradizioni e di rettitudine, è un taglio dolorosissimo, che costa all’Amministrazione più di quello che non pesi sulla vita futura di questi valorosi ufficiali. Io non mi pentirò di applicare una legge, che non ho fatta io, purché questi ufficiali e sottufficiali abbiano per un paio di anni la possibilità di orientarsi, per potere reimpiegare le proprie capacità tecniche in Italia o all’estero.

Ma non gettiamo un’accusa, che si può riferire soltanto ad una minoranza, su una massa valorosa e generosa, di alto spirito civico oltre che morale. II generale Nobile ha citato il caso del colonnello Scaetta. Lo esaminerò; sono contento che i colleghi mi aiutino in quest’opera.

NOBILE. Non ho fatto nessuna accusa generica. Ho riferito il caso specifico di un ufficiale.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Sul caso specifico mi riservo di dare delucidazioni, quando avrò preso visione del fascicolo personale.

Ma ella ha fatto accuse generiche, riferendosi a ufficiali repubblichini, sciarpa littorio e squadristi. Io affermo che le informazioni da lei assunte non sono esatte.

Si son dovuti persino escludere e sfollare ufficiali i quali si presentarono alle autorità repubblichine per dichiarare che non volevano prestare servizio, ed ufficiali che entrarono in ospedali, per sottoporsi ad operazioni di cui non avevano bisogno, pur di non servire la repubblica di Salò. Ebbene se costoro sono stati colpiti non mi si venga poi a dire che abbiamo mantenuto in servizio dei repubblichini! Se siamo caduti in qualcuno di questi errori, da colleghi a colleghi, ditecelo: noi lo riconosceremo e giustizia sarà fatta!

VERNOCCHI. È stata fatta l’epurazione a rovescio!

CINGOLANI, Ministro della difesa. Ma lei è avvocato! L’autorità di Stato, allora impersonata dal colonnello Botto e dal generale Tessari, non fu riconosciuta da molti ufficiali dell’aeronautica, i quali per non riconoscere quella autorità si sono fatti ammazzare, come è accaduto a due generali fucilati alle Fosse Ardeatine. Dovendo noi tagliare così dolorosamente nel corpo della nostra ufficialità, dobbiamo tener conto degli ufficiali che si presentarono alle autorità repubblichine e di coloro i quali hanno rifiutato di far questo, magari lasciando le loro famiglie in miseria. È naturale che se dobbiamo scegliere, scegliamo questi e non quegli altri. Veramente mi pare di non avere altro da aggiungere. Credo, onorevole Nobile, che l’accenno fatto alle condizioni economiche degli ufficiali delle nuove Forze armate della Repubblica Italiana tocchi non soltanto lei, ma tutti noi. Dobbiamo affrontare questo problema e si deve farla finita con i luoghi comuni di un anticlericalismo di maniera ormai superato. Se l’esercito ci deve essere, esso deve essere saldo, onesto, retto, valido difensore della Repubblica e genuina espressione delle virtù del nostro popolo. Siamo noi che lo dobbiamo tenere e lo dobbiamo pagare e dargli il pane sufficiente a garantirgli la serenità di spirito. Ebbene, onorevole Nobile, tutto questo è aderente al pensiero di tutti i colleghi dell’Assemblea. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

NOBILE. Sono pienamente sodisfatto della risposta che il Ministro ha dato alla prima parte della mia interpellanza.

Per quanto riguarda la seconda parte, debbo fare qualche osservazione.

Il Ministro non ha detto come intende eliminare la grave sperequazione di cui son vittime gli ufficiali collocati in pensione nella prima metà del 1946, avanti che il decreto sullo sfollamento entrasse in vigore. Ho dimostrato che questi pensionati godono di un trattamento economico corrispondente alla metà di quello di cui usufruiscono gli ufficiali fascisti. Ciò è talmente iniquo che si deve trovar modo di rimediarvi. Da questo lato non posso dirmi sodisfatto. Un provvedimento che sani la situazione si impone. Bisogna tener presente che gli ufficiali collocati in pensione prima dell’emanazione del decreto non avevano alcuna pecca; è assurdo ed iniquo che essi abbiano un trattamento inferiore a quello degli ufficiali mandati via per aver riportato sanzioni disciplinari per il loro comportamento dopo l’armistizio. Lo stesso Ministro ha avuto una volta a pronunciare queste parole: «È addirittura inconcepibile, paradossale la situazione degli sfollati, se si confronta con la situazione di molti ufficiali che, sebbene incriminati, si trovano tuttora in servizio permanente effettivo». Con questa sua dichiarazione, il Ministro ha già dato ragione ai gravi rilievi da me fatti.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Qui non si tratta di valutazione politica, ma di capacità tecnica. Penso che ci volevano due leggi, non una.

NOBILE. Ciò conferma quanto ho obiettato. I primi ad essere eliminati sono stati gli ufficiali non fascisti. È un fatto che bisogna riconoscere. Non metto in dubbio che le Commissioni giudicatrici non abbiano agito correttamente; ma ritengo che esse abbiano preso in considerazione soprattutto i meriti tecnici e militari, mentre il decreto voleva che fossero sfollati principalmente gli ufficiali che si erano compromessi dopo l’armistizio. Qui sta l’errore commesso.

In quanto alla affermazione del Ministro, non esser vero che siano stati trattenuti in servizio ufficiali insigniti di distinzioni fasciste, posso smentirla in pieno. Ho qui davanti a me dei documenti ufficiali che dimostrano l’esattezza delle mie affermazioni. Potrei leggere una lista di ufficiali in servizio che furono squadristi o ebbero altre benemerenze consimili; ma mi astengo dal farlo, perché non mi piace portare in pubblico nomi di distinti ufficiali che, se commisero l’errore di militare nel partito fascista, sono peraltro persone stimabili. Del resto non invoco provvedimenti contro di essi, ma provvedimenti a favore degli ufficiali che il loro errore non commisero. Creda pure l’onorevole Ministro che se citassi fatti e nomi egli e l’Assemblea resterebbero convinti della fondatezza delle mie affermazioni.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Segnali a me questi nomi.

NOBILE. Lo potrei anche fare, sebbene potrei dire al Ministro di ricercarli da se stesso.

L’essenziale è la questione di principio. Non si può ammettere che vi siano gravi sperequazioni come quelle da me denunciate. Esse vanno eliminate, ed io spero che i provvedimenti che il Ministro ha promesso siano tali da eliminarle.

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle altre due interpellanze all’ordine del giorno è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per restituire il dovuto prestigio all’Istituto Orientale di Napoli, riportandolo alla sua missione di custode, diffusore e incrementatore del patrimonio di cultura e civiltà, merito degli orientalisti italiani.

«Codacci Pisanelli».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere quali criteri intenda seguire nella assegnazione dell’ultimo lotto di Liberty e delle navi restituite al Governo italiano dagli Stati Uniti d’America ed in particolare se non creda, per stimolare le iniziative locali anche nel campo dell’armamento marittimo, destinare una forte percentuale di tali navi alle regioni meridionali ed isolane.

«Volpe, Borsellino».

Interesserò i Ministri competenti perché facciano sapere quando intendano rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevole Presidente, suppongo che Ella sappia che il Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque è impegnato nel suo secondo Congresso Nazionale, il quale avrà termine il giorno 25. Ci sono due questioni di grande rilievo da trattare in questa Assemblea Costituente: quella che concerne la discussione anticipata sull’ultimo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione e le mozioni Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo. Noi, riferendoci ai precedenti parlamentari, abbiamo chiesto al Presidente Terracini di voler postergare queste discussioni a dopo il giorno 25 corrente. Egli ci ha risposto, cortesemente, che non può assumersi un potere che appartiene all’Assemblea. Praticamente ha rimesso all’Assemblea la soluzione del problema, mentre egli, da parte sua, si è soltanto impegnato a consentire che, in nostra assenza, non si passi a votazione su alcuno dei due temi a cui ho accennato. Ora, evidentemente, una votazione non è un puro fatto meccanico: la mano può sempre votare, ma la coscienza deve votare dopo aver seguito tutta la discussione.

Quindi, noi chiediamo che l’Assemblea voglia procrastinare la trattazione dei due argomenti a dopo il giorno 25. Nel frattempo, si potrebbe continuare la discussione sul progetto di Costituzione.

VERNOCCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERNOCCHI. Per quanto riguarda la mozione presentata dal Partito socialista, dico subito che aderisco, per un atto di cortesia. Domani potremmo avere bisogno anche noi di un medesimo atto.

RUSSO PEREZ. Ringrazio per questo atto così cavalleresco.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che è una esigenza della vita democratica del Paese che i partiti vivano e tengano le loro consultazioni democratiche, anche il Partito comunista aderisce alla proposta di rinvio.

RUSSO PEREZ. Potessimo essere così d’accordo in tutte le deliberazioni!

CINGOLANI, Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il Governo non si oppone all’accoglimento della richiesta dell’onorevole Russo Perez.

PRESIDENTE. Aderisco anch’io, plaudendo per tanta concordia!

Se non vi sono osservazioni, rimane dunque inteso che sono rinviate a dopo il 25 corrente tanto la discussione sull’ultimo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione che quella sulle mozioni Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo; e che domani alle 16 l’Assemblea proseguirà la discussione dei primi tre Titoli della seconda Parte del progetto di Costituzione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per conoscere se, in omaggio ai principî di solidarietà umana e di giustizia, non ritenga di dover provvedere al mantenimento dei ciechi civili, mediante concessione di pensioni a carico dello Stato, e alla loro assistenza, attraverso la valorizzazione dell’Ente nazionale di lavoro per ciechi e la costruzione di case di riposo; e se non creda di porre in studio provvedimenti per i quali sia possibile il collocamento dei ciechi presso Amministrazioni dello Stato e aziende private.

De Vita.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare a favore degli agricoltori della provincia di Trapani danneggiati dalle recenti avversità atmosferiche.

De Vita.

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda di dare opportune istruzioni ai Commissari regionali per gli «usi civici» di restringere la loro azione agli atti di pura amministrazione ordinaria, posto che la materia – per deliberazione dell’Assemblea Costituente – sarà in breve di dominio legislativo dell’ente Regione.

«Un tale provvedimento appare tanto più necessario in quanto da parte di codesti organi esecutivi si insiste nell’applicazione della legge fascista sul riordinamento degli usi civici del 16 giugno 1927, n. 1766, la quale, nelle zone montane dell’Alta Italia e in particolare nel Friuli, non avrebbe altro esito che quello di determinare grave disordine e sconvolgimento dell’economia locale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Piemonte, Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali difficoltà hanno impedito la sollecita ricostruzione del Ponte Bivio di Sestu-Piscina Matzeu (Cagliari) sulla strada nazionale Cagliari-Sassari, crollato in seguito all’alluvione dell’autunno scorso. Nessun lavoro di ricostruzione di tale ponte è stato iniziato sì che, con le piogge invernali, quel tratto di strada, uno dei più importanti dell’Isola, non sarà praticabile. E per conoscere se non ritenga necessario impartire disposizioni affinché i lavori di ricostruzione siano immediatamente iniziati e condotti a termine. E se non ritenga, nello stesso tempo, opportuno prendere delle sanzioni contro funzionari eventualmente responsabili di tanta negligenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lussu».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se sia esatta la notizia pubblicata dal giornale Il Tempo nel numero di giovedì 11 settembre che per le nipoti di Giuseppe Garibaldi, figlie di Teresita e del generale Stefano Canzio, vi sia una pensione tuttora limitata a lire 287 al mese. Nell’ipotesi affermativa, giacché si riconosce senza dubbio l’opportunità di un assegno, la suddetta somma, di già improntata nelle sue lontane origini a criteri di eccessiva parsimonia, ai tempi d’oggi appare assolutamente derisoria, ed è proprio umiliante non solo per chi la riceve, ma anche per chi la dà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.