Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA. DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Bettiol

Colitto

Nobili Tito Oro

Ghidini

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito detta discussione):

Presidente

Corbino

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nitti

Dominedò

Bozzi

Terranova

Persico

Gasparotto

Fuschini

Meda

Benvenuti

Azzi

Codacci Pisanelli

Carpano Maglioli

Leone Giovanni

Nobile

Sulla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati De Caro Raffaele, Mentasti, Micheli, Caldera e Guariento.

(Sorto concessi).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura. (Doc. I, n. 9).

Su questa domanda sono state presentate due relazioni, una di maggioranza, che propone all’Assemblea di negare l’autorizzazione a procedere; l’altra di minoranza, che propone di concedere tale autorizzazione. Dichiaro aperta la discussione su queste conclusioni.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Né ha facoltà.

BETTIOL. Ho voluto leggere con particolare interesse tanto la relazione di maggioranza, quanto quella di minoranza, in relazione a questo caso che è veramente interessante non soltanto, diciamo così, dal punto di vista politico, ma anche da quello giuridico. Sarò brevissimo, ma dico subito che io aderisco al pensiero della maggioranza, nel senso che, in relazione al caso specifico, credo che l’Assemblea Costituente non debba accordare l’autorizzazione a procedere. E invero, quando si tratta di un’autorizzazione a procedere, non ci si può fermare soltanto ad un esame puramente estrinseco circa l’opportunità politica o meno della concessione dell’autorizzazione per quanto concerne la libertà o meno del deputato per l’esercizio delle sue funzioni; ma la possibilità di accordare o non accordare l’autorizzazione stessa, è anche in funzione di un esame di quello che può essere il metodo da seguire nell’esame del problema, anche se non è un esame approfondito e definitivo come sarà l’esame della magistratura. Ora, se noi scendiamo ad un esame, sia pure superficiale, del merito del problema, noi vediamo come, nei confronti del deputato Tega, non possa essere invocato l’articolo 57 del Codice penale. Questo articolo 57 del Codice penale rappresenta in questo momento una vera e propria stonatura nell’ambito di quelli che sono i principî fondamentali di un diritto penale democratico, diciamo così liberale in senso ampio, perché viene ancora a sancire una presunzione di responsabilità del direttore del giornale stesso, una presunzione di correità materiale e morale nel fatto perpetrato dall’autore dell’articolo.

È noto come queste presunzioni corrispondano ad una concezione arcaica del diritto penale, frutto di quei relitti storici che si tramandano da Codice a Codice e noi troviamo che nell’ambito di questo Codice non sempre è rispecchiata una mentalità democratica. Dopo le giuste ed opportune modificazioni ed epurazioni, io dico che l’articolo 57 non può essere interpretato come se in questo articolo fosse consacrata una presunzione di responsabilità del direttore del giornale juris et de jure. Tutto lo sforzo della dottrina in questi ultimi anni è stato appunto polarizzato verso il tentativo di dimostrare come questa presunzione sia una pura e semplice presunzione juris tantum, la quale ammette la prova del contrario, cioè tutte le volte in cui il direttore del giornale può provare di aver fatto il possibile o per non pubblicare l’articolo incriminato o per manifestare una volontà contraria a quella che è la volontà criminosa contenuta nello scritto pubblicato sul giornale, questa presunzione di correità deve venir meno. Nel caso concreto, noi vediamo come, a parte quello che può essere il contenuto criminoso dell’articolo sopra il quale dovrà decidere domani la magistratura ordinaria, per quanto riguarda la responsabilità penale del direttore del giornale, il corsivo pubblicato dopo l’articolo incriminato è tale da togliere quella presunzione di corresponsabilità, di correità materiale con l’autore del reato stesso.

Per quanto riguarda la posizione del direttore del giornale, nel concreto di questa situazione, non vedo come possa applicarsi l’articolo 57, dopo che tutta la dottrina più recente e più autorevole ha cercato di smantellare questo vecchio rudere, per porre veramente il principio della responsabilità dei direttori di giornali su basi molto più liberali e molto più democratiche. Perciò, io personalmente voterò contro l’autorizzazione a procedere. (Approvazioni a sinistra).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, sono anche io dello stesso avviso dell’onorevole Bettiol. Ho letto con molta attenzione sia la relazione di maggioranza che quella di minoranza. In me si è formato preciso il convincimento che l’autorizzazione chiesta non debba essere concessa.

Io non posso certo seguire il Relatore della maggioranza nel punto in cui afferma che l’articolo 57 del Codice penale può anche ritenersi abrogato di fatto. Non esiste, a mio avviso, un’abrogazione di fatto della legge penale. La vita della legge è determinata dalla sua abolizione, espressa o tacita, la quale ultima si ha quando le disposizioni di una nuova legge siano incompatibili con quelle della legge precedente o quando la nuova legge disciplini l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore (art. 5 disposizioni preliminari al Codice civile). Una nuova legge, quindi occorre. In casi dubbi (questo è detto anche dal Codice di diritto canonico) si farà un attento raffronto fra la nuova disposizione e la vecchia per accertare se ed in quanto siano tra loro compatibili. Adunque, una disposizione nuova occorre senza di che di abrogazione di una norma penale assolutamente non è da parlare.

Neppure sono d’accordo col Relatore della maggioranza, allorquando, in una parte della sua relazione, parlando dell’articolo incriminato, afferma che l’autore dell’articolo non supera i limiti della pura critica. A me pare che l’articolo travalichi questi limiti e che, nella specie, non si possa parlare solo di una critica serena ed obiettiva.

Ma, detto questo, ci dobbiamo domandare: È opportuno, è utile ciò che ci viene chiesto in relazione all’interesse pubblico, che si deve tutelare? Questo ci dobbiamo domandare, perché a noi si chiede una autorizzazione a procedere.

L’autorizzazione a procedere è appunto un atto amministrativo discrezionale, con cui l’autorità competente, previa valutazione dell’opportunità e della utilità di ciò che viene chiesto in relazione all’interesse pubblico, che deve tutelare, toglie l’impedimento posto da una norma giuridica al proseguimento dell’azione penale.

È opportuno? È utile? Ecco l’interrogativo. A parte ora quelle considerazioni giuridiche, che ha svolto l’onorevole Bettiol, io credo, nella mia coscienza, di poter rispondere che non è né opportuno, né utile. Perché, ove si esamini il merito della responsabilità dell’onorevole Tega, bisogna riconoscere che almeno da un punto di vista morale nulla gli si può rimproverare. Che anzi, la maggioranza della Commissione dichiara che non è possibile parlare di una responsabilità penale dell’onorevole Tega, in quanto la redazione del giornale, che ha accolto l’articolo, scrisse una nota, con la quale ha mostrato il netto dissenso del giornale dal contenuto dell’articolo, sì che ha finito col togliere allo scritto dell’autore dell’articolo qualsiasi effetto dannoso per il corpo giudiziario. E, d’altra parte, la relazione di minoranza conclude con una frase, con la quale il relatore, onorevole Clerici, dice che personalmente egli pensa di poter prevedere l’assoluzione dell’onorevole Tega.

Se noi, quindi, consideriamo il merito della questione, ci troviamo di fronte ad una maggioranza e ad una minoranza, che dicono la stessa cosa. Perché, allora, sono giunte l’una e l’altra a conclusione diverse? Perché la maggioranza afferma che la valutazione di merito si può fare, e la minoranza lo nega.

Ora una valutazione di merito si può e si deve fare. Noi dovremmo concedere una autorizzazione e l’autorizzazione, ripeto, è l’atto amministrativo, con cui si valuta l’opportunità e la utilità che siano rimossi determinati ostacoli all’inizio della processura penale.

Del resto, onorevoli colleghi, anche tenendosi conto di quello che nella relazione di minoranza si afferma, cioè che la ragione dell’istituto dell’autorizzazione a procedere è da ricercarsi esclusivamente nell’impedire che il deputato possa divenire oggetto di persecuzione e di intralci, una valutazione di merito si deve sempre compiere. Perché, solo guardandosi al merito della questione, noi potremo accertare se il deputato è stato oggetto di persecuzione, di angherie o di intralci. Ed allora, concludendo, se, guardando il merito della questione, la maggioranza e la minoranza sono d’accordo nell’escludere la responsabilità dell’onorevole Tega, se al merito bisogna guardare, perché questo è imposto dalla natura stessa dell’istituto dell’autorizzazione a procedere, io penso che, a parte ogni altra considerazione, noi dobbiamo giungere alla conclusione, a cui giunta la maggioranza della Commissione. Ed è perciò che dichiaro di votare contro la concessione dell’autorizzazione a procedere.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, è soprattutto per rendere omaggio all’obiettività e alla serenità cui si sono ispirati, colla maggioranza della Commissione, i colleghi Bettiol e Colitto, che io sento, a questo punto, il bisogno di prendere la parola, anche in nome del mio Gruppo, prima che l’onorevole Presidente dichiari chiusa la discussione. Dire che i miei compagni ed io aderiamo alle conclusioni cui essi sono pervenuti è dire cosa assolutamente superflua. Anche qui si impone il principio della sapienza romana «da mihi factum et tibi dabo ius»: questo è l’ordine del procedimento; dopo discuteremo. L’onorevole Tega, fin dal settembre 1946, aveva lasciata la Segreteria della Federazione socialista di Bologna e la direzione del settimanale La squilla, sostituito regolarmente nell’una e nell’altro; attendeva ai lavori di questa Assemblea e disimpegnava in Roma gli incarichi politici della sua importante circoscrizione. Inviava ogni tanto qualche articolo al giornale, ma ignorava che non fossero state ancora intraprese le pratiche per sostituirlo nella gerenza. In effetti, però, egli era stato sostituito nella Direzione dall’avvocato Artemio Pergola. Di guisa che apparve del tutto giustificata la sua sorpresa nell’apprendere la richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui trasmessa alla Camera dalla Procura della Repubblica di Bologna. Fatte subito le necessarie indagini, emerse che questa aveva incriminato un articolo intitolato «La Magistratura non è tabù», a firma del professor Mario Canella, docente di Biologia nella Università di Ferrara, apparso nel n. 46 del 25 ottobre 1946. L’articolo, che si diceva ispirato a desiderio di onesta critica, rivolta alla riforma dell’ordinamento giudiziario, era in realtà un atto di accusa. Esso era stato già pubblicato sul Corriere del Po e su altri giornali locali, e aveva interessato vivamente l’opinione pubblica.

Trasmesso anche al settimanale La squilla, il suo attuale Direttore avvocato Artemio Pergola ritenne di non potersi rifiutare alla sua pubblicazione, in omaggio a un principio di libertà e di critica; ma lo fece seguire da un forte articolo a firma propria, col quale dichiarava il proprio completo dissenso dalla critica del tutto soggettiva che l’articolista aveva fatta alla Magistratura.

L’articolo era in alcune parti addirittura passionale, difendeva i Magistrati sotto ogni aspetto e denunziava i torti dello Stato verso di loro.

La richiesta della Procura della Repubblica ampiamente svolta, riferiva abbondantemente i passi più tipici dell’articolo Canella, ma ometteva di riprodurre fedelmente lo spirito antagonistico dell’articolo direzionale a firma di Artemio Pergola e di dire che questo contrapponeva a quello del Canella, in tono di austera polemica, la vibrante esaltazione della Magistratura.

Basta l’accertamento di queste circostanze di fatto, che entrambe le Relazioni mettono in evidenza, per doverne dedurre: che l’onorevole Tega fu affatto estraneo alla pubblicazione; non ne ebbe né preventiva né immediata notizia; e perciò non si trovò in condizione di poterla evitare; che egli a quel tempo non era più alla direzione del settimanale, dove era stato sostituito dall’avvocato Artemio Pergola; che egli viveva ormai lontano da Bologna e nella fisica impossibilità di partecipare al lavoro direzionale.

Così stando le cose, le conseguenze appaiono fin d’ora manifeste e inevitabili.

Ma ci si domanda, con intenzione pregiudizialista, se non sia preclusa a questa Assemblea la delibazione del merito o se non piuttosto essa debba limitarsi a dare il giudizio sulla necessità e sulla opportunità politica di concedere l’autorizzazione che, facendo cadere le immunità parlamentari, potrebbe esporre l’onorevole Tega a sfogo di antichi livori o di risentimenti a sfondo politico, infine a una rappresaglia. Senonché ad esprimere un siffatto giudizio è proprio indispensabile la delibazione del merito e, per giungervi, l’esame dei fatti e l’accertamento che essi sono proprio tali quali sopra esposti.

Alla stregua di essi è giuoco forza concludere che non può menomamente muoversi accusa di vilipendio della Magistratura alla Direzione de La squilla. Chiunque ne fosse il direttore, non può qualificarsi vilipendio un’appassionata difesa e una calorosa esaltazione; come non può di vilipendio accusarsi chi l’opera e la dedizione della magistratura difese, controbattendo su tutta la linea le accuse dell’articolo incriminato. Questo è un punto fermo dal quale si sprigiona la luce che deve illuminare la questione: se assurda è l’ipotesi del preteso reato, più assurda che mai è quella del concorso del Direttore del giornale che, ospitando l’articolo, lo combatte; e addirittura inconcepibile è quella della responsabilità per concorso da parte di chi, copie l’onorevole Tega, si trovava nella fisica impossibilità di concorrervi.

Si pretende che non sia ammessa in questa sede la delibazione del merito: ma è mai possibile, per lo spirito informatore della autorizzazione che ci si chiede, che noi possiamo concederla senza preoccuparci se il fatto pel quale si vorrebbe procedere contro l’onorevole Tega sia o non sia considerato reato dalla legge? La relazione Varvaro per la maggioranza della Commissione afferma che il testo stesso dell’articolo 57 del Codice penale lo esclude e, per quanto spieghi poi che esso stabilisce soltanto una presunzione suscettibile di quella prova liberatoria che è stata, come si è visto, largamente data, l’affermazione appare più forte e più vasta della dimostrazione, pur giusta, che l’ha accompagnata.

In verità, il testo dell’articolo 57 non contempla affatto la responsabilità in concorso dell’onorevole Tega per la situazione di fatto rispetto a lui accertata nella stessa richiesta della Procura della Repubblica. Infatti l’articolo 57 investe, salva la responsabilità dell’autore, quella presuntiva del Direttore del periodico o del redattore-responsabile alternativamente. Il che significa che il Direttore, come tale, è sempre corresponsabile, salvo la prova liberatoria, in mancanza di un redattore-responsabile registrato a norma della legge speciale sulla stampa; mentre, quando questo esista, il Direttore non è investito dalla presunzione. Non si sa se per il periodico La squilla esistesse il «redattore responsabile». Comunque il Direttore è, contrariamente al redattore-responsabile, che si individua solo in colui che come tale è registrato, quegli che di fatto esercita pro tempore le funzioni direttive; e queste, come si è visto, erano esercitate da colui che all’onorevole Tega fu sostituito e succedette. Come si potrebbe, di fronte a tale constatazione, parlare di autorizzazione a procedere?

Ma vi è di più e di peggio: il Procuratore della Repubblica ha mancato. Il Procuratore della Repubblica ha mancato al dovere di indagare la finalità correttiva ed educativa perseguita dall’avvocato Artemio Pergola coll’accogliere bensì l’articolo incriminato, per rispetto alla libertà di pensiero e di critica, ma col farlo seguire da quella sincera, appassionata confutazione che, risolvendosi in aperta esaltazione della Magistratura, faceva cadere automaticamente ogni ombra di dubbio sulla esistenza di quel dolo che è l’elemento integratore del reato di vilipendio.

Non è artificioso ravvisare in questa lacuna, imperdonabile a un Magistrato che ha pratica di quotidiana applicazione di leggi penali, tale difetto di obiettività e di serenità da giustificare il sospetto di una iniziativa inspirata da quelle preoccupazioni che sotto il crollato regime ispiravano frequentemente i Procuratori del Re contro i cosiddetti sovversivi.

Con questa constatazione riteniamo esaurita la questione sollevata dalla relazione di minoranza, relativamente ai limiti dei poteri dell’Assemblea nelle deliberazioni sulle richieste di autorizzazioni a procedere. Gli accertamenti fatti hanno dimostrato che, seppure reato esistesse e fosse punibile, l’onorevole Tega non avrebbe potuto concorrervi; e che d’altra parte l’iniziativa del Procuratore della Repubblica, lungi dall’offrire garanzie di serenità, ingenera il sospetto di intenzioni persecutorie, contro il fiero tribuno delle plebi rurali, quotidianamente costrette a stare sul «chi va là» dal risorgente spirito aggressivo dell’«Agraria» e dei suoi bene individuati stromenti.

Legittime appaiono dunque le conclusioni della maggioranza della Commissione e non si comprende come si giustificherebbe l’autorizzazione a procedere in un caso cui l’onorevole Tega è assolutamente estraneo e in cui il dimostrato difetto di dolo scrimina in pieno lo stesso Direttore del giornale.

Per questi motivi proponiamo all’Assemblea di approvare in pieno le conclusioni della maggioranza della Commissione; e confidiamo che al deputato, ormai ritenuto da tutti assolutamente irresponsabile del fatto attribuitogli, sarà risparmiata la vessazione di un procedimento che la relazione di minoranza propone di autorizzare solo per freddo ossequio alla maestà delle forme. (Approvazioni).

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Dichiaro che noi siamo contrari all’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Tega. Non ho bisogno di soffermarmi sulle considerazioni di carattere giuridico che sapientemente sono state svolte testé; per conto mio, anche se si dovrà pervenire alla conclusione, in sede interpretativa, che l’articolo 57 consacri una responsabilità obiettiva, io non cesso per questo di dichiararmi contrario: mi auguro anzi che una modifica del Codice penale abroghi una tale disposizione.

La disposizione che subordina il procedimento penale a carico del deputato all’autorizzazione dell’Assemblea ha carattere eminentemente politico ed è perciò da respingersi la domanda di autorizzazione anche per ragioni politiche e morali. Sta poi di fatto che, in calce a questo articolo dell’onorevole Tega, c’è una nota del redattore che sconfessa in pieno l’articolo incriminato.

Per queste ragioni, che sono per noi assolutamente dirimenti di qualsiasi dubbio, il mio Gruppo si dichiara contrario alla concessione dell’autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Se non v’è più alcuno che chieda di parlare, passiamo alla votazione. Abbiamo dunque due relazioni: l’una, della maggioranza della Commissione, la quali nega l’autorizzazione a procedere; l’altra della minoranza, la quale invece l’approva. Poiché la proposta della minoranza deve considerarsi quale un emendamento alla proposta della maggioranza della Commissione, pongo prima in votazione la proposta della minoranza di concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la proposta della maggioranza di negare l’autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega.

(È approvata).

Passiamo al secondo punto dell’ordine del giorno che reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Bernamonti, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 14).

La Commissione propone che sia negata l’autorizzazione stessa. Poiché nessuno chiede di parlare, pongo senz’altro in votazione questa proposta.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo, per il reato di vilipendio delle Istituzioni Costituzionali. (Doc. I, n. 19).

La Commissione propone di concedere la richiesta autorizzazione. Poiché nessuno chiede di parlare, pongo senz’altro in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo.

(È approvata).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo ora risolvere la questione dell’Assemblea Nazionale, di cui al secondo comma dell’articolo 52: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io ho presentato un emendamento; però, mi permetto di insistere sulla proposta di sospensiva che ho fatto nella seduta di sabato scorso, nel senso di rimandare l’approvazione di questo capoverso dell’articolo 52 a dopo stabiliti i casi nei quali le due Camere dovranno essere convocate in seduta plenaria. Perciò, proporrei di sospendere la votazione sul secondo capoverso dell’articolo 52 e di passare senza altro alla votazione dell’articolo 75, che è il primo rispetto al quale sono enumerati i casi di competenza delle Camere in seduta plenaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho sentito l’opinione di appartenenti al Comitato delle varie parti; e tutti sarebbero del parere di aderire alla proposta dell’onorevole Corbino. Infatti, se noi ora decidessimo di costituire l’Assemblea Nazionale e poi di fatto non l’investissimo neanche dell’elezione del Capo dello Stato, la norma dell’articolo 52, secondo comma, non avrebbe più senso. D’altra parte, se noi decidessimo che questa Assemblea Nazionale non si dovesse costituire, ma poi mano a mano vedessimo l’opportunità di farla funzionare in determinate occasioni, ci vedremmo preclusa tale possibilità.

Quindi, poiché non si perderebbe tempo, perché cominceremmo a discutere subito l’articolo 75, a nome del Comitato aderisco alla proposta dell’onorevole Corbino.

NITTI. Vorrei un chiarimento sui limiti della proposta di sospensione.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, la proposta è di esaminare prima le deliberazioni da attribuire alle due Camere riunite e poi definire la formulazione del secondo comma dell’articolo 52.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome dei colleghi di Gruppo, di aderire alla proposta sospensiva, la quale risulta la più corretta logicamente e praticamente in quanto consente di accertare anzitutto, le ipotesi in cui eventualmente possano essere conferite delle deliberazioni (collegiali) alle due Camere riunite, ovvero, senza fare adesso questione di terminologia, alla cosiddetta Assemblea Nazionale.

In questo modo resterà anche sospesa la decisione finale sul punto che, nel caso in cui tali deliberazioni debbano essere prospettate ed effettivamente contemplate, debbano poi essere le Camere riunite a deliberare collegialmente, ovvero la decisione possa essere sempre rimessa alle due Camere separatamente.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare sulla proposta di sospensiva.

In fondo, dopo tutte le discussioni, quali sono le materie controverse? Per quanto riguardava le attribuzioni di questa ipotetica Assemblea, mostruosa e inesistente, che è l’Assemblea Nazionale si era discusso su tre punti. E mi pare che la discussione fosse stata così chiaramente impostata che non c’era e non vi è più alcuna questione importante controversa. Lo stesso onorevole Ruini, pur così facendo, aveva dovuto riconoscere che non si poteva più parlare dell’amnistia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No. Io ho detto che si discuterà questo punto.

NITTI. L’amnistia era fuori questione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perché? La Commissione ha proposto; l’onorevole Ghidini sostiene che debba rimettersi all’Assemblea.

NITTI. Era in realtà fuori questione. Quali erano allora le attribuzioni di cui si discuteva? Su una sola eravamo d’accordo: la nomina del Capo dello Stato…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non siamo d’accordo!

NITTI. …che non è una funzione da affidarsi ad un’Assemblea Nazionale. Nossignori, basta la semplice riunione delle due Camere, per un giorno solo, come avviene in Francia e come è stato sempre negli altri paesi; ma era ridicolo pensare di riunire le due Camere per l’amnistia e per la guerra, per la guerra che di questi tempi si fa senza nemmeno dichiararla!

Noi pretendiamo poi, di far discutere dalle due Camere riunite l’amnistia, che è un problema delicatissimo da discutere fra poche persone, cioè pretendiamo di farla deliberare da un’Assemblea di oltre mille persone che non hanno nessuna competenza.

La questione pareva talmente chiarita che non mi spiego come è venuto questo risveglio, questa specie di orticaria di discussione di cose che è inutile discutere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lo chieda all’onorevole Corbino. E l’onorevole Bozzi ha aderito poco fa con la proposta di rinvio.

NITTI. Loro mi devono dimostrare che un’Assemblea così enorme, di oltre mille persone, può concludere per quanto riguarda la guerra e l’amnistia e le crisi ministeriali.

Se voi volete limitarvi a dire che le due Camere riunite procedono alla nomina del Capo dello Stato, siamo d’accordo, discutere la forma è del tutto inutile. In ogni modo, non mi so spiegare perché si persista in questo equivoco in cui nessuno crede, e perciò prego il Presidente, se può, di ridurre la questione nei veri termini: cioè la riunione delle due Camere per la nomina del Capo dello Stato, e basta.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola agli iscritti desidererei pregare i colleghi di non riaprire la discussione fatta l’altra sera, e di non anticipare eventualmente la discussione che dovremmo fare dopo, se la proposta dell’onorevole Corbino fosse eventualmente accolta.

Mi pare che il modo con cui l’onorevole Nitti ha impostato la questione stia a dimostrare che è opportuno decidere ormai, se si è o se non si è d’accordo di affidare alle due Camere riunite le particolari deliberazioni indicate nel testo.

L’onorevole Nitti ha ricordato il risultato della discussione fatta l’altra sera, che rivelò la unanimità o almeno la maggioranza dei consensi, circa l’opportunità di affidare alle due Camere riunite l’elezione del Capo dello Stato.

Pertanto è necessario stabilire punto per punto le attribuzioni delle Camere riunite e, quindi, decidere dell’Assemblea Nazionale.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io volevo dire le cose che lei, onorevole Presidente, ha detto. In fondo il problema dell’Assemblea Nazionale o delle due Camere riunite presuppone che si risolvano questi tre problemi: se il Capo dello Stato debba essere eletto dal popolo o dalle due Camere riunite, problema che oggi non possiamo affrontare e pregiudicare.

Secondo: se la guerra debba essere dichiarata dalle due Camere.

Io dico che sono contrario, perché, siccome noi abbiamo già votato un articolo in cui abbiamo detto che l’Italia rinuncia alla guerra e ammettiamo soltanto un’azione di difesa, è evidente che un’azione di difesa non può essere determinata da una deliberazione delle Camere, ma deve essere una deliberazione di urgenza che spetta al Governo. Terzo problema: quello della fiducia, che è connesso con la configurazione che diamo al Governo.

Tutti problemi che adesso non possiamo prendere in esame. Quindi, credo che la proposta dell’onorevole Corbino collimi nella sostanza col pensiero espresso dall’onorevole Nitti e perciò il problema dell’Assemblea Nazionale deve essere accantonato per riprenderlo in esame dopo la soluzione dei vari problemi a cui abbiamo fatto riferimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho altro da dire dopo ciò che hanno detto l’onorevole Bozzi e prima, il nostro Presidente. L’onorevole Nitti desidera la stessa cosa: se noi dobbiamo pronunciarci sopra le funzioni da affidare all’Assemblea, è necessario esaminarle, prima di decidere in linea di massima se si deve o no parlare di Assemblea Nazionale.

L’onorevole Corbino ha fatto una proposta che mi pare abbia riscosso generale consenso.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, e mi sembra che anche l’onorevole Nitti aderisca a questo ordine di idee, si può accogliere la proposta dell’onorevole Corbino.

(Così rimane stabilito).

Passiamo ora ad esaminare l’articolo 75, il quale indica specificatamente alcune delle funzioni che dovrebbero essere affidate alle sedute riunite delle due Camere. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Terranova ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo con i due seguenti:

Art. ..

Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6, e previa la consultazione delle Assemblee regionali.

Art. ..

L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Terranova ha facoltà di svolgerlo.

TERRANOVA. Onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto all’articolo 75, prima che una chiarificazione di indole tecnica e specifica, ha bisogno di una giustificazione di carattere morale, e, direi persino, psicologica. Desidero, infatti, subito avvertire che il mio emendamento non mira affatto a correggere la procedura costituzionale della dichiarazione di guerra, la quale procedura, così come è prevista nel progetto in esame, può considerarsi, per quel tanto che posso giudicarne, conforme al più ortodosso costituzionalismo democratico. Il mio emendamento non mira neppure, come potrebbe immaginarsi, a dar rilievo alle Assemblee regionali, al solo scopo di valorizzarne la portata, quasi a sminuire la capacità rappresentativa e deliberativa del Parlamento nazionale.

L’emendamento che ho l’onore di proporre si rifà a motivi più sostanziali ed intimi; ha per iscopo l’istituzione di un sistema più ampio e più approfondito di accertamento della volontà popolare di fronte a quella terribile cosa che è la guerra; di un sistema, che renda la responsabilità della decisione relativa all’entrata in guerra più larga e, di conseguenza, più determinante. La verità è che l’idea della guerra ci rattrista e ci atterrisce. E questo articolo 75 ci richiama alla guerra, ci ricorda che la guerra non è scomparsa, che è ancora possibile, che potrà essere ancora fatta dai nostri figli, se non addirittura da noi stessi. Constatazione amara, che ripugna al nostro animo, seppure il pensiero deve essere indotto a considerarla in tutta la sua obiettività. Perché, se il nostro spirito e perfino il nostro organismo fisico si ribellano a sentir soltanto parlare di guerra, la nostra mente, purtroppo, non può non rifiutarsi dal prendere in esame tutto ciò che alla guerra si riferisce, per ovviarne le cause o, quanto meno, per ridurne le possibilità.

Riguardo alle cause, esse, com’è noto, sono molteplici, né io tenterò di enumerarle. Credo opportuno, tuttavia, rilevarne una che è fondamentale e che va considerata come la matrice di tutte le guerre: voglio dire dello spirito di esagerato nazionalismo, che deve essere estirpato dalle radici se si vuole assicurare quella pace che tutti i cuori sinceri auspicano; di quel nazionalismo che è cieco, violento, aggressivo, perché privo di umana e legittima comprensione dei diritti altrui, perché al diritto sostituisce la violenza, alla giustizia la forza.

Ma già ad eliminare tale causa è ordinato l’articolo 6 del nostro progetto di Costituzione.

Con unanime sentimento di solidarietà infatti, questa Assemblea ha approvato il detto articolo, il quale, al primo comma, dichiara solennemente che l’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli: segno, questo, che il nuovo Stato italiano, uscito dal tormento della più spaventosa conflagrazione della storia, s’impegna solennemente a non far uso delle armi se non per motivi eticamente e giuridicamente legittimi.

Con l’articolo 6 ci si assume anche l’impegno di facilitare l’organizzazione della pace, mediante quelle inevitabili limitazioni di sovranità che possono dar luogo ad un ordinamento internazionale capace di assicurare il rispetto reciproco fra i popoli e di formare un organo comune per il mantenimento della pace.

Vengono pertanto nel detto articolo fissati i tre punti che, in armonia con la dottrina della Chiesa, costituiscono i pilastri per il mantenimento della pace e cioè: proscrizione della guerra di aggressione; necessità di formare un valido ordinamento per la garanzia della pace, ed infine, esigenza di considerare la società dei popoli come una sola unità morale e politica.

È alla luce di quest’articolo, che si chiarisce il significato che occorre dare a quanto forma oggetto dell’articolo 75. Quando cioè si parla di dichiarazione di guerra, non ci si può riferire che a guerra legittima. Ma anche in tal caso, non vi è qualche altra fondamentale esigenza, oltre quella di giusta difesa, che bisogna tenere presente, prima che si addivenga ad un atto formale di dichiarazione di guerra?

A tale domanda io non esito a rispondere affermativamente nel senso cioè, che la dichiarazione di guerra deve rispondere alla volontà della Nazione.

L’articolo 75 del progetto, nel fissare il principio che spetta all’Assemblea nazionale di deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, indubbiamente ha tenuto conto di tale esigenza. Ed è giusto, è onesto, che quando si affronti un così micidiale rischio, quando ci si immerge in una così spaventosa voragine, il popolo, il quale è chiamato a combattere e soprattutto a soffrire la guerra, possa esprimere la sua volontà, possa decidere delle sue sorti e di quelle del Paese tutto.

Certamente l’Assemblea Nazionale è espressione della volontà della Nazione e nella sua democratica composizione rappresenta il popolo; tanto meglio lo rappresenterà in quanto con la prevista trasformazione del Senato, che diventerà, come la Camera dei deputati, una schietta manifestazione del volere e delle opinioni del Paese, essa sarà l’emanazione diretta della sovranità popolare.

Tuttavia, vien fatto di chiedersi se una responsabilità così grave, se un impegno così solenne debbano pesare soltanto su un migliaio di persone che, per quanto degni, per quanto liberamente designati dalla Nazione a rappresentarla anche per le decisioni più importanti, potrebbero non interpretare esattamente quel particolare stato d’animo popolare, quella specifica volontà nazionale che eventi eccezionali determinano. Non occorre essere scaltriti osservatori della vita sociale per rendersi conto che, in alcuni momenti di straordinaria importanza storica, si può verificare una discrasia fra popolo e classe politica, tra la Nazione e coloro stessi che ne sono stati i depositari della volontà e della sovranità. Di fronte ad una siffatta soluzione di continuità della rappresentanza che si verifica in alcuni speciali periodi storici si è dai teorici proclamato il diritto delle élites ad assumersi la responsabilità delle decisioni supreme. La democrazia, valevole per la via ordinaria, non avrebbe più senso, dunque, nelle ore in cui è della vita stessa del popolo che occorre decidere.

Il protagonista quindi, di quella terribile ed atroce avventura che è la guerra, il diretto e designato attore della vicenda bellica, il popolo, rimarrebbe estraneo ad una determinazione che lo riguarda come nulla può riguardarlo più esplicitamente, giacché sacrifici, fame, distruzioni, sono sofferti da lui, il sangue che si versa è il suo sangue.

Ad ovviare siffatta ingiustizia, sarebbe certamente utile e soprattutto onesto, alla vigilia di una decisione di tanta gravità, potere interpellare il popolo; poter consultare i padri che hanno faticato a costruirsi un campicello od una casa; i vecchi, che assommano tanta saggezza e tanta esperienza; le madri e le spose, che dovranno vedersi allontanare, e forse per sempre, i figli ed i mariti, restando loro stesse in balia di pericoli imprevedibili; poter interrogare gli stessi uomini destinati al combattimento.

L’istituto del referendum che il progetto di Costituzione opportunamente introduce nella nostra vita pubblica, potrebbe essere adoperato per chiedere al popolo il suo responso sul più solenne e grave atto della sua esistenza fisica e storica, qual è quello della dichiarazione di guerra. Esso certamente offrirebbe il vantaggio di una consultazione diretta e di una conseguente espressione libera e sincera di volontà.

Una difficoltà insormontabile tuttavia si oppone ad una simile ipotesi: la macchina per far agire il referendum si mette in moto solo lentamente ed i risultati di una votazione simile sarebbero conosciuti a distanza di tempo, mentre la decisione di un intervento di guerra dev’essere rapido e tempestivo. Il referendum, utile in molte circostanze, purtroppo nella circostanza suprema della storia di una nazione si appalesa, per la sua lentezza, d’impossibile attuazione.

Un’altra consultazione di larga portata potrebbe essere quella effettuata a mezzo dei Consigli comunali. Devo confessare che questa idea mi ha per molto tempo sedotto. Il Comune torna ad essere, com’è stato nei secoli passati, la linfa, la sorgente, il centro della vita nazionale. I Consigli comunali, specie nei comuni minori, aderendo più direttamente alle popolazioni che rappresentano, ne interpretano più schiettamente i bisogni, le opinioni, i sentimenti. Interpellare i Consigli comunali della Repubblica in caso di guerra, avrebbe potuto costituire un mezzo di consultazione sufficientemente approfondita nel paese. Mi rendo, tuttavia, conto che difficoltà tecniche si frappongono ad un simile progetto: non sarebbe facile, fra l’altro, coordinare sollecitamente ed organicamente i voti di ottomila assemblee comunali.

Ed allora io oso proporre in altro sistema certo più rapido anche se non altrettanto diretto di consultazione, propongo cioè di far pronunziare le assemblee regionali.

In realtà i Consigli regionali, una volta che saranno istituiti dovunque, rispecchieranno la volontà popolare; la rispecchieranno, mi sia lecito dirlo, in maniera più rispondente alle particolari esigenze delle singole Regioni nelle quali si costituisce e si articola l’Italia. Interpellare le assemblee regionali sulla decisione da adottare, ove lo stato di guerra dovesse profilarsi all’orizzonte della storia nazionale, sarebbe cosa facile e rapida; sarebbe soprattutto un gesto di lealtà, di coerenza democratica, di conforto per la stessa Assemblea Nazionale, che vedrebbe poggiare la responsabilità della sua decisione su un parere espresso da numerose assemblee, investite anch’esse di un potere di rappresentanza emanante dal popolo. Perché, sia lecito dirlo, la rappresentanza politica per quanto possa essere ampia e diretta, per quanto possa costituire il presupposto e la garanzia insieme di un’azione parlamentare, legislativa, e direi persino direttiva del paese, essa tuttavia può essere limitata: ed il limite è costituito da quell’immenso tesoro che si getta nel rogo della guerra: le vite umane, le opere, l’avvenire stesso del Paese.

Onorevoli colleghi! Alla fine di quest’ultimo conflitto, in molti abbiamo creduto che la guerra sarebbe stata cancellata dalla storia futura; e sarebbe stata cancellata non tanto per virtù di uomini, quanto per la forza degli eventi. Di fronte all’immane catastrofe che s’è abbattuta su tanta parte dell’umanità per oltre sei anni, di fronte alla furia devastatrice, che si è scatenata sulle cose, sugli uomini, sullo spirito stesso della civiltà, ebbene, abbiamo pensato che di guerre non ve ne sarebbero state mai più; abbiamo creduto che a rinsavire gli uomini, soprattutto taluni uomini, dalla follia di gettare i popoli gli uni contro gli altri, di farli dissanguare, di annullare il divino destino di pace, fossa sufficiente lo spettacolo offerto dai numerosi nuovi cimiteri, dalle distruzioni di città, dalla rovina di paesi, dell’annichilimento di intere razze e di intere regioni.

Purtroppo invece, oggi, e non da oggi soltanto, la situazione internazionale appare precaria e barcollante; il mondo si rivela diviso di già in due campi, entro ognuno dei quali s’agitano pressioni, ambizioni, insofferenze, maligni spiriti di lotta.

I voti, i programmi, i solenni principî enunciati in documenti ed in atti, che avrebbero dovuto far testo, dalla Carta atlantica alla dichiarazione di San Francisco, sembrano di già lontani nel tempo e, quel che più conta, nell’animo dei contemporanei.

Ebbene, approvando noi l’articolo 6 del progetto di Costituzione, abbiamo inteso fissare, più che una norma specifica, un principio generale. Abbiamo voluto dare una prova tangibile della nostra buona volontà di evitare la guerra, di dichiarare nel modo più categorico e solenne che la guerra è fuori legge.

Accogliendo ora l’emendamento che ho l’onore di proporre io ho fiducia che mentre si pone in maggior luce il carattere che ha l’Assemblea Nazionale, di essere fedele interprete della volontà del popolo, si dà anche un contributo sostanziale alla causa della pace, che, mai come oggi, ha bisogno di tutori inflessibili e sinceri.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Soltanto le due Camere possono con legge deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

«Ad esse solo spetta il diritto di accordare per legge amnistie e indulti».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PERSICO. Ho deciso di abbandonare il primo comma del mio emendamento, secondo il quale le due Camere avrebbero dovuto deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

Avendo riflettuto sulla questione ed anche in seguito alle opinioni manifestate in questa Aula da molti oratori e agli emendamenti presentati dai colleghi Terranova, Gasparotto, Meda, Clerici ed altri, mi sono convinto che, se l’Assemblea Nazionale dovrà restare, essa dovrà avere soltanto delle funzioni eccezionalissime, come la nomina del Capo dello Stato, e come quella di dichiarare la guerra e di promuovere la mobilitazione generale.

Non vale l’obbiezione, che c’è l’articolo 6, già approvato, il quale dice che l’Italia non farà mai guerre di aggressione o di offesa ad altri popoli. Ciò non toglie che l’Italia possa essere coinvolta in una guerra; ed anche una nazione aggredita deve dichiarare la guerra e subirla, deve quindi fare la mobilitazione generale; atto, questo, il più solenne della vita nazionale, forse superiore anche alla nomina del Capo dello Stato.

Per queste ragioni dichiaro di rinunziare alla prima parte del mio emendamento.

Invece sostengo a ragion veduta la seconda parte.

Su questo problema, che conosco per motivi di pratica professionale, ho avuto occasione di esprimere la mia opinione in scritti su riviste giuridiche ed anche in questa Aula, nella seduta del 19 luglio 1946. Cioè, che l’amnistia e l’indulto devono essere discussi e approvati dalle Camere, e non sono atti che possono essere demandati al Governo; sono atti eccezionali che devono corrispondere a momenti e a necessità eccezionali. Non possiamo seguire la prassi fascista per la quale un anno sì e uno no si emanavano decreti di amnistia. Durante il passato regime abbiamo avuto dieci amnistie in venti anni, di modo che, con ben congegnati sistemi di appelli e di ricorsi in Cassazione, si finiva per far sì che nessun delinquente, entro certi limiti, andasse mai in carcere, ciò che finiva per annullare il valore della legge: il valore morale, psicologico e giuridico. I magistrati sapevano che dopo un dato periodo di tempo le loro sentenze sarebbero state poste nel nulla, tanto che presso alcune magistrature minori rimanevano sospesi migliaia di processi (ricordo infatti che alla vigilia del decennale presso la Pretura di Roma ben 12.000 processi erano rimasti sospesi), perché era certo che ben presto sarebbe venuta una benefica amnistia che avrebbe posto fine a tali procedimenti.

Ora, un tale sistema deve finire, perché un organo politico come le due Camere, solo in casi veramente eccezionali, concederà l’amnistia, quando riconoscerà che essa corrisponde ad un bisogno e ad una necessità del Paese, per adeguare la situazione giuridica ad una nuova situazione politica e sociale. Né si dica, come è stato da taluno obiettato, che, in questo modo, ci sarebbe un periodo di tempo in cui, perdurando le discussioni delle Camere sull’opportunità e sulle modalità di emanazione dell’amnistia, le persone potrebbero delinquere tranquillamente, sicuri che poi tutto sarebbe sanato, perché l’amnistia sarà goduta soltanto da coloro i quali avranno commesso il reato prima della presentazione del relativo disegno di legge. In tal modo sarà eliminato questo inconveniente.

Pertanto noi avremo che il disegno di legge concernente l’amnistia andrà prima alla Commissione competente della Camera dei deputati, che, dopo averlo esaminato, presenterà la sua relazione, che sarà discussa dalla Camera stessa e, dopo la sua approvazione, passerà all’esame del Senato, cioè al secondo vaglio. In tal modo potremo anche evitare quei difetti che normalmente si riscontrano nei decreti di amnistia, i quali contengono sempre lacune, incertezze e contraddizioni, che procurano una disparità di trattamento attraverso i diversi responsi dei tribunali e delle Corti di merito e della Corte Suprema. Io credo quindi che sia opportuno togliere all’Assemblea Nazionale questa facoltà, la quale ne snaturerebbe le eccezionali funzioni, perché si verrebbe quasi a formare una terza Camera, con una funzione legislativa che noi non vogliamo darle: noi vogliamo attribuirle soltanto la nomina del Capo dello Stato e la deliberazione sulla mobilitazione generale e sull’entrata in guerra. Resta poi la questione del voto di fiducia: io ritengo che tale compito non debba spettare all’Assemblea Nazionale, ma di questo discuteremo a suo tempo. Limitate così le sue funzioni, esse non possono evidentemente essere estese all’approvazione delle leggi concernenti l’amnistia e l’indulto.

Perciò conservo il mio emendamento soltanto per quanto riguarda la sua seconda parte.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra. In caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, prende i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, e convoca d’urgenza l’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

GASPAROTTO. Il mio emendamento porta, oltre alla mia firma, quella dei quattro Sottosegretari del Ministero della difesa del tempo. Con questo non abbiamo inteso certamente di involgere nella questione la responsabilità del Ministero della difesa, ma abbiamo inteso soltanto di dare alla Costituente la sensazione che nella nostra formulazione ci siamo valsi degli elementi tecnici che gli uffici hanno messo a nostra disposizione.

Lo scopo dell’emendamento è quello di concordare i diritti e i doveri dell’Assemblea legislativa (o delle due Camere riunite o separate) col principio contenuto nell’articolo 6 della Costituzione, che bandisce la guerra come mezzo di offesa e come attentato alla libertà dei popoli. Giustamente ha ricordato poco fa l’amico Persico che non vi è contraddizione tra l’articolo in discussione e l’articolo 6, in quanto l’articolo 6 presuppone, perché l’Italia rinunci alla guerra, che ci sia reciprocità ed uguaglianza di impegni anche da parte delle altre nazioni. Ove mancasse questa reciprocità, l’Italia certo non potrebbe rinunciare al terribile diritto di dichiarare la guerra.

Comunque è chiaro che lo spirito dell’articolo 6 potrebbe trovare una risonanza concreta nella vita internazionale ove intervengano accordi fra le varie nazioni, che portino alla creazione di un esercito di polizia internazionale, una gendarmeria o esercito di polizia internazionale a difesa della pace e della libertà di tutti i popoli, con limitazioni parziali dei diritti di sovranità di ciascun paese. Questo concetto è stato accettato nel 1944 da due congressi: uno del partito laburista, l’altro del partito socialista, in Inghilterra.

Comunque, vengo al concreto. L’emendamento mio si distingue dagli altri, in quanto intendo sottoporre all’approvazione delle due Camere o dell’Assemblea Nazionale, non soltanto la mobilitazione generale, ma qualunque mobilitazione, anche quella parziale, perché bisogna tener presente che oggi mobilitazione vuol dire guerra, mobilitazione è sinonimo di guerra, e che la mobilitazione generale è ormai abbandonata, perché è impossibile che venga applicata in concreto. Infatti, data la mole degli eserciti e l’immenso numero dei cittadini chiamati alle armi, il deliberare la mobilitazione generale vorrebbe dire portare lo scompiglio e il disordine economico in tutto il paese, perché le guerre moderne non sono guerre di eserciti, non sono contrapposizioni di forze armate, ma sono guerre di popolo, guerre di nazioni, in quanto che alla mobilitazione militare corrisponde la mobilitazione civile che chiama tutto il paese a collaborare con le forze armate. Quando si pensi che nel recente ultimo conflitto l’Italia ha messo in campo quasi 6 milioni di uomini, la Francia 5 milioni, gli Stati Uniti 11 milioni, e che del numero dei mobilitati dalla Russia e dalla Germania non si è ancora potuto fare il calcolo, perché la Russia ha chiamato alle armi tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni, e la Germania non ha fatto questione di età ed ha chiamato alle armi tutti i cittadini validi, ognuno comprende che da queste cifre si ricava la risultanza che è impossibile far luogo di colpo alla mobilitazione generale militare e cioè alla leva di tutta questa immensa massa di cittadini, alla quale deve corrispondere a sua volta la mobilitazione generale civile. Far questo di colpo vorrebbe dire portare la paralisi nella vita del Paese.

Inoltre, vi è un altro argomento. Si credeva un tempo che la mobilitazione generale si potesse fare mantenendo la segretezza degli apprestamenti preparatori. Ciò è impossibile oggi, perché i servizi di informazione di tutti gli Stati e i mezzi di trasmissione delle notizie sono ormai tali e agiscono in tale estensione e profondità che molte volte, per non dire sempre, la notizia di una mobilitazione in preparazione arriva prima all’estero che nell’interno del paese.

Dunque, distinzione, anzi differenziazione precisa, fra l’emendamento mio e parecchi altri emendamenti, inquantoché ritengo che se si vuole veramente assicurare all’Assemblea Nazionale o alle Camere e soltanto ad esse il diritto di dichiarare l’entrata in guerra attraverso la mobilitazione, occorre sopprimere le parole «mobilitazione generale» e fermarsi semplicemente alla parola «mobilitazione». Però, può darsi anche che il nostro Paese come qualunque altro sia soggetto ad una aggressione improvvisa. Il clamoroso precedente di Pearl Harbour va tenuto presente. Ed allora, deve intervenire l’autorità del Capo dello Stato, su proposta del Consiglio dei Ministri, per far luogo a tutti gli apprestamenti necessari per fronteggiare l’aggressione e rendere possibile l’immediata reazione difensiva. Non si tema che per fare questo occorrano dei grandi eserciti. Su questo punto, già quando io ebbi a proporre nel 1921 il nuovo ordinamento dell’esercito ero, e credo di essere tuttora, d’accordo con l’onorevole Bencivenga, al quale è dovuta la fortunata frase «esercito scudo lancia». Può anche un piccolo esercito perfettamente attrezzato, munito cioè dei mezzi tecnici più moderni, fronteggiare una prima aggressione, in attesa che i centri di mobilitazione diffusi nel Paese preparino i nuovi mezzi di difesa. Occorre però che ci sia un potere supremo, che intervenga con tutta prontezza e risolutezza, e questo potere non può essere rappresentato che dal Capo dello Stato in piena solidarietà, s’intende, con il Consiglio dei Ministri.

Le idee che ho esposto trovano corrispondenza nella legislazione militare moderna.

La Costituzione spagnola, all’articolo 76, dice: «Spetta al Presidente della Repubblica di prendere le misure urgenti richieste dalla difesa della sicurezza della Nazione, dandone immediato conto alle Cortes».

La Costituzione sovietica all’articolo 48: «Il Presidium dell’U.R.S.S. ordina la mobilitazione parziale o generale».

La Costituzione estone, al paragrafo 82, dice: «La mobilitazione (non si dice se generale o parziale) delle forze in difesa della Repubblica è ordinata dall’Assemblea nazionale. Tuttavia, se uno Stato straniero ha dichiarato la guerra alla Repubblica, il Governo ha la facoltà di ordinare la mobilitazione senza attendere le decisioni dell’Assemblea nazionale».

La Costituzione lettone all’articolo 44 dice: «Il Presidente della Repubblica ha il diritto di prendere misure di difesa indispensabili qualora uno Stato straniero dichiari guerra alla Lettonia o attacchi le sue frontiere. Nello stesso tempo convoca la Dieta e decide sulla dichiarazione di guerra e sull’inizio della medesima».

Con queste disposizioni si viene a caricare il Capo dello Stato di una grande responsabilità; ma di fronte ad una non preveduta aggressione, non c’è che il Capo dello Stato che abbia l’autorità e la responsabilità di provvedere, in piena solidarietà – è inutile dirlo – con il Consiglio dei Ministri.

Ecco perché il nostro emendamento dice che, pur assegnando all’Assemblea Nazionale o alle due Camere la potestà di deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra, in caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, ha facoltà il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, di prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, salvo l’obbligo di convocare di urgenza l’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti.

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare maggiori poteri al Governo in caso di guerra».

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di svolgerli.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi, io mi sono limitato a proporre una modifica che si riferisce al primo comma dell’articolo 75, ed ho poi presentato poco fa un emendamento relativo all’amnistia ed all’indulto. Sono d’accordo sulla seconda parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Gasparotto, per quanto ritenga che la dizione «in caso di aggressione improvvisa il Consiglio dei Ministri, d’accordo col Presidente della Repubblica, prende i provvedimenti di urgenza» sia superflua; è evidente, comunque, che il potere esecutivo, nella sua integrale espressione del Consiglio dei Ministri e del Governo, insieme al Presidente della Repubblica, hanno il dovere generico di provvedere sempre alla difesa della Patria e quindi del territorio nazionale. Però, per quanto riguarda la prima parte riferentesi alla mobilitazione, ritengo che l’affidare alle Camere riunite in Assemblea tale questione non possa ammettersi. Né per la mobilitazione a scaglioni, come si è usata negli ultimi tempi (io non sono un tecnico; i tecnici potranno correggermi), né per la mobilitazione generale, penso che occorra l’intervento preventivo delle Camere; perché, secondo me, questo provvedimento, qualunque forma assuma parziale o generale, deve sempre rientrare nei poteri del Governo, dovendosi usare cautele e precauzioni di vitale importanza.

La minaccia di aggressione o l’aggressione stessa da parte di un paese non avvengono ex abrupto, in un batter d’occhio, ma in seguito ad una serie di eventi attraverso i quali lo Stato minacciato è posto in guardia e deve premunirsi con misure di vario ordine, indispensabili per non divenire vittima dell’aggressione.

Ora, non mi sembra che sia opportuno portare innanzi alle Camere una questione tanto delicata come è quella della mobilitazione e sottoporla ad una discussione di carattere pubblico.

Ogni forma precauzionale di difesa della patria deve avere quella segretezza indispensabile, se si vuole che risulti efficace. Sarebbe poi, a mio avviso, un’imprudenza dare notizie ufficiali di tali precauzioni e coinvolgere in esse la responsabilità del potere legislativo. La loro pubblicità poi, anziché allontanare il pericolo di una guerra, potrebbe provocarla o potrebbe perlomeno inasprire i rapporti internazionali.

Quindi, non mi pare che sia nell’interesse del Paese stabilire una norma per la quale la mobilitazione debba ottenere la preventiva approvazione delle Camere. Le Camere, quando il Governo nella sua integrale responsabilità avrà adottato i provvedimenti del caso, potranno discuterli come tutti gli altri atti che tendono a premunire la difesa del territorio nazionale.

Per quello che si riferisce alla dichiarazione di guerra vera e propria, credo che dobbiamo tener presente in linea generale, che le dichiarazioni di guerra sono cadute dall’uso internazionale, perché si comincia ad agire dal punto di vista bellico, prima ancora che vi sia stata la dichiarazione e anche quando nessuna dichiarazione di guerra è stata fatta.

Comunque, se vogliamo mantener fede a quelle che sono le buone norme del diritto internazionale, che desidereremmo fossero riprese e mantenute, così come avvenne nel 1914, quando vi fu la prima guerra mondiale, occorre tuttavia ricordare che nel 1915, quando l’Italia volle entrare in guerra, vi entrò con tutta una preparazione di mesi e mesi, direi quasi dopo una vera e propria battaglia politica sulla neutralità o sull’intervento. E quando il Governo allora in carica, che era il Governo dell’onorevole Salandra, si presentò alla Camera, si presentò non per domandare l’autorizzazione vera e propria alla dichiarazione di guerra, ma si presentò alla Camera presentando un disegno di legge nel quale si domandavano i poteri straordinari in caso di guerra. E le dichiarazioni che fece l’onorevole Salandra il 20 maggio 1915 furono dichiarazioni che poterono essere considerate come una decisione dell’Italia di entrare in guerra; ma la vera e propria dichiarazione di guerra fu fatta il 24 maggio, cioè quattro giorni dopo che le Camere avevano concesso al Ministero i poteri straordinari.

Ecco perché mi sono permesso di apportare un emendamento nel senso che alle Camere siano presentate le richieste dei mezzi straordinari di cui ha bisogno un Governo che ritenga necessario dichiarare la guerra.

Il problema, quindi, non consiste tanto nel fatto che le Camere facciano esse la dichiarazione di guerra, ma consiste piuttosto nel fatto che le Camere debbono dare i poteri necessari perché si possa dichiarare la guerra; cioè, in altre parole, quando le Camere hanno conferito al Governo che è in carica i poteri straordinari – poteri di ogni ordine e grado di carattere giuridico e, soprattutto, di carattere militare, economico e finanziario – sarà poi il potere esecutivo che sceglierà il momento preciso di fare la vera e propria dichiarazione di guerra.

Per quanto riguarda l’altro mio emendamento, che si riferisce all’amnistia e all’indulto, mi risparmio di illustrarlo perché trattandosi di materia penale lo svolgerà in mia vece il collega onorevole Giovanni Leone che è competente in materia penale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Meda e Clerici:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale».

L’onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.

MEDA. Onorevoli colleghi, la ragione del nostro emendamento ha riferimento con la situazione attuale del nostro Paese in rapporto all’esistenza del trattato di pace che limita enormemente le forze militari e che ha stabilito dei confini i quali indubbiamente non possono darci né sicurezza né tranquillità.

Io sono d’accordo con i colleghi, i quali hanno proposto che qualsiasi deliberazione relativa a una pronunzia, ad una decisione di intervento militare in un conflitto a scopo difensivo, debba essere riservata all’Assemblea Nazionale. Ma noi andiamo più in là; noi affermiamo, infatti, che l’Assemblea Nazionale debba anche decidere in ordine all’azione preventiva di difesa del territorio nazionale.

Sappiamo infatti per esperienza come nel passato le spese militari abbiano sempre raggiunto cifre elevatissime, contrariamente a quello che poteva essere il sentimento delle popolazioni. Si sono apprestati eserciti, si sono apprestate marine per azioni di offesa, per creare la guerra che poi i popoli hanno dovuto subire. Ecco perché noi riteniamo invece che, in funzione di quello che deve essere il nuovo spirito della Repubblica italiana, l’Assemblea Nazionale debba essere interpellata allorché si tratti di stabilire, allorché si tratti di determinare le modalità, i sistemi, allorché si tratti di moderare anche i mezzi con i quali si dovrà provvedere alla difesa del territorio nazionale.

Noi ci auguriamo che mai più il nostro Paese si debba trovare nelle condizioni di dover decidere una mobilitazione. D’altra parte, io sono completamente d’accordo con il collega onorevole Gasparotto quando afferma che la mobilitazione sia ormai, nella sua espressione comune, decisione completamente sorpassata. Oggi, infatti, con i mezzi meccanici di cui uno Stato può disporre, con l’aviazione, con i sistemi di offesa e di difesa di cui è dotato un esercito moderno, non occorre più grande impiego di uomini, ma piuttosto utilizzazione di macchine e di reparti particolarmente attrezzati.

Noi ci auguriamo, ripeto, che mai l’Assemblea Nazionale debba essere chiamata a deliberare per un’aggressione ai confini della Patria: però noi desideriamo nel contempo che l’Assemblea, che è la più pura, che è la più diretta espressione dei sentimenti del popolo italiano, sia interpellata ogni qual volta si debbano adottare provvedimenti che riguardino la sicurezza delle nostre frontiere.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Benvenuti e Clerici:

«Al primo comma, alla parola: Spetta, premettere le seguenti:

«Fermo restando il dovere del Governo di provvedere, in qualsiasi circostanza, alla difesa delle frontiere terrestri, marittime, aeree della Repubblica».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io mi assocerei senz’altro all’emendamento dell’onorevole Gasparotto e degli altri firmatari: ma v’è una sfumatura, sulla quale mi permetto di insistere e che, a mio avviso, presenta notevole importanza.

Il collega onorevole Fuschini, un momento fa, ha proclamato essere evidente, anzi lapalissiano, che il potere esecutivo in qualsiasi momento deve difendere le frontiere del Paese: onde dovrebbe ritenersi superfluo inserire tale principio nella legge costituzionale.

Mi permetto di esprimere un ben diverso parere. Ritengo cioè che il dovere inderogabile del Governo di resistere sempre ed automaticamente ad ogni aggressione debba essere consacrato chiaramente in una norma costituzionale. Basterà a questo fine una lieve modifica al testo dell’emendamento dell’onorevole Gasparotto. Mi si consentano brevi considerazioni.

Potrà sembrare paradossale quello che io dico, ma la verità è questa: la terribile responsabilità, la responsabilità diretta ed immediata dello scoppio della guerra grava più sull’aggredito che sull’aggressore. È una constatazione che può sembrare paradossale, ma risponde a verità. C’è un sistema assolutamente sicuro, matematico, di non far scoppiare la guerra: ed è quello di non resistere all’aggressore. Chi non resiste non fa scoppiare la guerra! (Commenti). Perché l’aggressore non vuole la guerra, vuole soltanto l’annessione, la sottomissione del vicino, la conquista di posizioni economiche o strategiche. E finché può cerca di pervenirvi persuadendo la vittima a non resistere. Abbiamo avuto esempi recentissimi, onorevoli colleghi: abbiamo l’esempio dell’Austria e quello della Cecoslovacchia, le quali nel 1938 e nel 1939 non hanno resistito ed hanno evitato la guerra. Quando è scoppiata la guerra? Quando s’è trovato un aggredito, l’eroica Polonia, che ha resistito. È quindi colui che spara il primo colpo di fucile, per difendersi, che fa scoppiare la guerra (Commenti). Di fronte a una responsabilità tanto grande, qualsiasi Governo può avere un moto di perplessità: resistere o trattare coll’aggressore? Occorre che una precisa norma costituzionale tolga al Governo ogni dubbio sul suo unico dovere: che è quello di resistere ad ogni costo.

Io mi auguro che il nostro Paese non debba mai trovarsi nella tragica situazione di dover scegliere fra la guerra e la capitolazione; ma se mai questa scelta dovesse porsi, il Governo dovrà assumersi la responsabilità di resistere: non potrà assumersi mai quella di trattare o tanto meno di capitolare. Noi dobbiamo cioè accollare al Governo la responsabilità assoluta, inderogabile della difesa contro l’aggressione: ché se le tragiche circostanze che la storia può proporre alla vita di tutti i popoli dovesse rendere necessario di valutare a un certo momento il rapporto di forze coll’aggressore e di venire ad una forma di accordi o di patteggiamenti, questa triste atroce responsabilità non potrebbe essere presa se non dalla rappresentanza nazionale, ossia dal Parlamento.

Quindi, onorevoli colleghi, mi pare che non possa essere lasciato dubbio alcuno nel nostro testo costituzionale che il Consiglio dei Ministri debba in ogni caso prendere i provvedimenti necessari per la difesa nazionale; debba far ciò sempre automaticamente, in ogni circostanza, escluso qualsiasi apprezzamento di convenienza (che spetterà poi ai rappresentanti del Paese) costi quel costi, implichi ciò tutte le responsabilità gravissime che può implicare, porti a tutte le conseguenze cui può portare. Guai a noi se alle nostre frontiere si potesse pensare che di fronte ad un’aggressione il Governo della Repubblica italiana possa avere libertà di scelta, possa porsi il quesito: «Che cosa conviene fare: resistere o capitolare?». Se questo dubbio potesse sorgere, in un mondo come quello attuale, onorevoli colleghi, resterebbero profondamente scalfite sul piano psicologico, o anche su quello diplomatico, la nostra sicurezza e la nostra libertà. Tanto più, onorevoli colleghi, in un momento come questo in cui assistiamo a fenomeni singolarissimi. In Francia, per esempio, da pubblicazioni recenti si è fatto l’elogio della «non resistenza». Se ne è parlato anche nei giornali. Sono comparsi libri di autori noti, i quali sostengono che dopo tutto si è fatto molto meglio a fare «Vichy», ché la collaborazione ha successivamente evitato molti guai, ed ha salvato alla Francia un milione di vite umane. Questo è quello che leggiamo oggi: la svalutazione opportunistica della resistenza. Onorevoli colleghi, in tali argomentazioni ci può essere, tristemente, qualche cosa di vero: ma è un ordine di idee che il Governo della Repubblica italiana dovrà, in caso di aggressione, intransigentemente ignorare. Ecco perché suggerisco un emendamento all’emendamento dell’onorevole Gasparotto o, se egli preferisce, mi rimetto a lui, per la modifica del testo. Propongo, quindi, di formularlo così: «Il Consiglio dei Ministri deve proporre al Presidente della Repubblica i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese. Il Presidente della Repubblica dà corso a tali provvedimenti e convoca d’urgenza le due Camere legislative».

Mi rimetto alla saggezza dell’onorevole Gasparotto perché faccia in modo che questo concetto rientri nel suo emendamento, in modo che sia ben chiaro che il Governo è tenuto costituzionalmente a prendere tutte le misure necessarie per la difesa del Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Azzi ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere la parola: generale, dopo la parola: mobilitazione».

«Fare del secondo comma un articolo a parte».

Ha facoltà di svolgerli.

AZZI. Sull’articolo 75 ho presentato due emendamenti. Nel primo ho proposto di sopprimere la parola «generale» dopo la parola «mobilitazione» contenuta nel primo capoverso, che pertanto verrebbe ad essere così espresso: «Spetta all’Assemblea Nazionale» (o Parlamento o Camere Riunite) «deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra». Questa dizione coincide esattamente con quella dell’emendamento proposto e svolto dall’onorevole Gasparotto, alle considerazioni del quale mi associo pienamente.

Chiarisco che mi sono astenuto dal proporre nel mio emendamento qualsiasi riferimento all’articolo 6, sembrandomi inconcepibile pensare che l’Assemblea Nazionale (o il Parlamento), deliberando sulla mobilitazione e sull’entrata in guerra, non debba tener presenti le disposizioni dell’articolo 6.

Mi è sembrato altresì superfluo qualsiasi riferimento all’azione da svolgere dal Governo in casi di improvvisa aggressione, perché ritengo che il Governo in questa circostanza, che può essere considerata una calamità nazionale, possa o meglio debba, come per qualsiasi altra calamità, prendere i provvedimenti necessari per fronteggiare la situazione, salvo a convocare d’urgenza l’Assemblea Nazionale (o Parlamento) per avere la sanzione di quanto ha già fatto e per discutere e deliberare i provvedimenti da adottare successivamente.

Il secondo mio emendamento propone di fare un articolo a sé di quanto riguarda l’amnistia e l’indulto che devono essere deliberati dall’Assemblea Nazionale (o Parlamento).

È una semplice questione di forma, ma confesso che quando ho letto il secondo comma dell’articolo 75 mi sono domandato: che c’entra la mobilitazione e l’entrata in guerra con l’amnistia e l’indulto? E ho dovuto risalire al titolo del capitolo: «formazione delle leggi» per rendermi conto che erano due provvedimenti riguardanti argomenti diversi attinenti alla formazione delle leggi e contenute in uno stesso articolo. Penso allora che, per semplicità e chiarezza, convenga di questo articolo 75 fare due articoli distinti.

E sempre in tema di forma, chiarezza e semplicità, osservo che l’importantissimo argomento della difesa nazionale è diviso in tre o quattro parti, in più Titoli, con articoli sparpagliati un po’ dappertutto. Per cui, chi volesse sapere come la Costituzione della Repubblica italiana ha provveduto alla difesa nazionale, deve leggere tutta la Costituzione dalla prima all’ultima parte.

Data l’importanza dell’argomento, sembrerebbe opportuno che, una volta fatta la Costituzione, e stabilito quale deve essere la struttura dello Stato, si facesse un piccolo capitolo in fondo, una piccola parte a sé, che dicesse: Difesa Nazionale:

Art. 1. – L’Italia ripudia la guerra, ecc.

Art. 2. – La difesa nazionale è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio, ecc.

Art. 3. – Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra.

Art. 4. – Il comando delle Forze armate è affidato al Capo dello Stato (o a chi per esso).

Vedremo questa questione quando si discuterà su questa facoltà data al Capo dello Stato.

E così, questo argomento, che oggi in qualsiasi Nazione ha assunto un’importanza tanto grande, troverebbe un posto più logico, più comprensivo e più chiaro nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: e l’entrata in guerra, aggiungere: che, in relazione all’articolo 6, può essere dichiarata soltanto in caso di legittima difesa».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’amnistia e l’indulto non potranno essere concessi se non mediante legge di natura costituzionale».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento da me proposto mira ad impedire che si continui a fare dell’amnistia e dell’indulto l’abuso che se ne è finora fatto.

È strana la mentalità che si riscontra molto spesso fra noi italiani: nel momento in cui un delitto è compiuto non ci si accontenterebbe delle gravi pene inflitte; si vorrebbero le pene ancora più gravi. Trascorso un anno o poco più si arriva ad un’indulgenza eccessiva. Così le sanzioni previste dalla nostra legge penale finiscono col non raggiungere i fini che si sono proposti. Tutti coloro che commettono delitti sanno benissimo che quando viene loro inflitta una pena, per quanto grave, trattandosi di pena detentiva, vi sarà sempre un accomodamento, in quanto, in una occasione qualsiasi, si arriverà prima o poi all’amnistia o all’indulto.

Al doppio scopo di evitare che la pena perda la sua efficacia preventiva e nello stesso tempo allo scopo di fare in maniera che coloro che legiferano non stabiliscano pene molto gravi tenendo conto del fatto che si farà poi uso del potere di amnistia e d’indulto, io propongo che, per concedere sia l’amnistia che l’indulto, sia seguito un procedimento di legiferazione speciale: cioè ritengo che sia opportuno non ammettere l’amnistia e l’indulto se non siano emanate con legge di carattere costituzionale.

Mi si risponderà: perché? Non per andare contro il principio della irretroattività, ma si tratta qui di derogare ad un principio fondamentale del nostro ordinamento, secondo cui ogni norma di carattere penale deve avere la sua sanzione; e siccome abbiamo stabilito che la pena mira alla rieducazione del reo, dobbiamo fare in modo che la rieducazione vi sia e che la pena abbia la sua efficacia preventiva.

Con le continue amnistie e indulti noi otteniamo l’effetto contrario. L’amministrazione della giustizia è compito assai difficile che non può essere lasciato ai volubili umori di gruppi che in certi momenti vorrebbero eccedere in sanzioni, mentre in altri momenti tendono all’eccessiva indulgenza.

Ritengo quindi che non sarebbe inutile fare in modo che l’amnistia e l’indulto possano trovare applicazione solo in casi rari ed attraverso un sistema di legiferazione speciale quale è quello previsto per modificare la nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Buffoni, Carpano Magnoli, Costantini, Nobili Tito Oro, Stampacchia, Vigna, Amendola e Targetti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati per legge».

In assenza del primo firmatario, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Carpano Maglioli.

CARPANO MAGLIOLI. Il nostro emendamento ripete i concetti già contenuti nell’emendamento svolto lucidamente dall’onorevole Persico, e questo esime da lunga trattazione.

Senza rifarsi – come invece ha creduto opportuno l’onorevole Codacci Pisanelli – al fondamento etico, sociale e giuridico dell’amnistia e dell’indulto, non è dubbio che mutate condizioni economiche e sociali possano rendere utile l’amnistia e l’indulto per i reati comuni; mutate condizioni politiche possono consigliare la concessione di amnistia ed indulto per i reati politici. E in questa situazione, poiché la preparazione di una legge di amnistia esige un lavoro di indagine preliminare, inchieste statistiche sì da stabilire preventivamente quali possano essere gli effetti concreti del provvedimento, si richiede perciò particolare elaborazione tecnica.

Pare a noi, come osservava esattamente l’onorevole Persico, che amnistia ed indulto non debbano essere sottoposti alla discussione di un’Assemblea plenaria la quale dovrebbe limitarsi, per funzionare, non ad una accademia col concorso di novecento persone, ma a votazioni molto concise, schematiche, cioè approvare o non approvare; svolgere discussioni di carattere generale, come l’amnistia e l’indulto esigono, è compito più adatto ad Assemblee ridotte di numero anziché Assemblee numerose come quella plenaria delle due Camere.

D’altra parte, talvolta l’urgenza di concedere amnistie e indulti non consente larghezza di tempo per la loro preparazione; pare perciò a noi degno dì accoglimento, anche a questo scopo, l’emendamento dell’onorevole Persico, da noi riprodotto; infine, non pare si possa contestare la necessità di ricorrere a provvedimenti di amnistia e di indulto in determinate particolari circostanze come già detto. Non dico di arrivare a concessioni periodiche, come si è fatto in questi ultimi trenta anni, durante i quali ogni due anni si son concessi indulti ed amnistie.

Noi avvocati questo calcolo preventivo nei riflessi dei clienti possiamo anche averlo fatto. Sia consentito infine di ricordare che l’amnistia è, come motivo sussidiario, consigliata anche per sgravare gli uffici giudiziari di un lavoro ingombrante; la gran mole di lavoro pone sovente i grandi tribunali in condizioni di non funzionare o quasi ed allora la necessità di sbarazzare il terreno di processi che per il decorso del tempo hanno perduto la loro utilità sia per gli effetti intimidativi come correttivi, ai quali faceva cenno l’onorevole Codacci Pisanelli. In questa situazione pensiamo debba essere accolto il nostro emendamento che stabilisce che l’amnistia e l’indulto devono essere emanati per legge dalle singole Camere separate, perché attraverso l’esame analitico si eviteranno incertezze di interpretazioni e di dizione come sovente invece si è dovuto lamentare; certamente giuristi-legislatori preparati cercheranno di impedire queste manchevolezze mercé lavoro diligente di analisi e di compilazione del decreto legislativo.

Per queste considerazioni confidiamo che il nostro emendamento, che coincide nella sostanza con quello dell’onorevole Persico, possa essere accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Leone Giovanni, Fuschini, Mortati, Moro, Bettiol, Dominedò, Balduzzi, Zaccagnini, Cappugi e Ferrario Celestino hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente: «L’amnistia e l’indulto sono disposti con decreto legislativo.

«Essi non possono avere effetto nei confronti di reati commessi in epoca posteriore alla presentazione del disegno di legge di delegazione».

L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevoli colleghi, l’amnistia e indulto nel precedente sistema costituzionale, essendo considerati come uno degli attributi del sovrano, dovevano essere approvati dal Consiglio dei Ministri. In una Repubblica democratica invece è evidente che non si può attribuire il potere di concedere amnistia e indulto al potere esecutivo. Tale facoltà deve essere del Parlamento. Ritengo però che, considerando la particolare, delicata struttura della amnistia e dell’indulto e la necessità che questi provvedimenti siano perfezionati con rapida procedura, sia preferibile applicare il sistema indicato nel nostro emendamento.

E cioè i due rami del Parlamento delegano al Governo la potestà di emanare l’amnistia e l’indulto. Il decreto di amnistia e di indulto, trattandosi di un congegno delicatissimo che deve tener presente tutta la struttura del sistema penale vigente, è preferibile sia predisposto da un organo ristretto qual è il Governo, piuttosto che dalle Assemblee parlamentari. Inoltre vi sono evidenti esigenze di celerità, perché il Paese non può restare in una lunga attesa del provvedimento. Chi conosce l’amministrazione della giustizia sa che l’attesa dei provvedimenti di amnistia e di indulto la paralizza, in quanto le parti, nella speranza del benevolo provvedimento, sogliono chiedere il rinvio al magistrato, il quale spesso ritiene opportuno anch’egli attendere.

Vi sono dunque ragioni di opportunità, teorica e pratica, le quali concorrono per far attribuire al Governo l’attività rivolta a concretare e a rendere attuabile la deliberazione del Parlamento.

Peraltro, trattandosi di delegazione, il Parlamento dovrà indicare al Governo le direttive, gli orientamenti, i limiti e per quanto concerne le pene e per quanto concerne la casistica dei reati, e le condizioni soggettive di applicabilità del provvedimento. Ma dopo aver fatto questa ampia indicazione di direttive, di norme, di orientamenti, il Parlamento potrà e dovrà affidare al Governo la realizzazione concreta.

Ritengo quindi che il nostro emendamento, per questa parte nella quale esso si differenzia da quelli di altri colleghi, cioè nel disciplinare l’amnistia e l’indulto attraverso la legge delegata e non la legge normale, possa raccogliere l’assenso di molti colleghi. Di quanti cioè, mentre vogliono conservare questo importante attributo al Parlamento sovrano, ritengono di dover usufruire delle competenze tecniche del Governo e della rapida procedura che esso solo può offrire.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma dell’articolo 75».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Veramente, io sarei favorevole alla soppressione di tutto l’articolo; ma, siccome non mi riconosco competente per quanto riguarda la materia regolata dal secondo comma, mi sono astenuto dal proporre la soppressione anche di questo comma.

Il primo comma attribuisce all’Assemblea Nazionale il potere di deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra. Mi pare che vi sia un grosso equivoco in questa disposizione. La dichiarazione di guerra è cosa d’altri tempi, è un residuo dei tempi della cavalleria errante allorquando si dichiarava cavallerescamente di voler fare la guerra, prima di muover battaglia. Ma oggi non si fa più così. La guerra scoppia, la guerra viene.

È un fatto che si manifesta brutalmente come tale prima ancora di essere annunziato. Le sole dichiarazioni di guerra dell’ultimo conflitto mondiale sono state quelle imposte dagli Stati i quali per primi sono entrati in guerra e che per assicurarsi che altri Stati minori non potessero parteggiare per il nemico, hanno loro imposto di dichiarare la guerra, anche se poi a questa dichiarazione non è seguito alcun fatto di guerra. Questo è il caso della Repubblica di San Marino e di altri Stati. Nei tempi moderni, insomma, la dichiarazione di guerra è un anacronismo.

Sulla sostanza dell’emendamento proposto dall’onorevole Gasparotto e da altri colleghi, si può essere d’accordo. Che in caso di aggressione sia il Governo a prendere i primi provvedimenti e che poi siano convocate d’urgenza le Camere legislative è cosa ovvia; e non occorre nemmeno dirla.

Per far comprendere l’assurdo al quale si potrebbe giungere se si accettasse integralmente sia il primo comma dell’articolo in discussione che il primo periodo dell’emendamento Gasparotto, domando che cosa succederebbe se, mentre la cosiddetta Assemblea Nazionale sta deliberando, giungesse una bomba che la distrugge. Nessuno allora potrebbe fare la dichiarazione di guerra: mancherebbe l’organo competente, e il Governo, stando alla Costituzione, si troverebbe nella condizione di non poter provvedere alla difesa.

GASPAROTTO. Questo è un caso limite di forza maggiore.

NOBILE. La dichiarazione di guerra è cosa ormai sorpassata. Per questa ragione non se ne deve parlare nella Costituzione. Tanto più è ridicolo parlarne, in quanto noi – come ha osservato l’onorevole Bozzi – nell’articolo 6 abbiamo dichiarato che l’Italia rinuncia alla guerra come arma di offesa. Per queste ragioni propongo la soppressione del primo comma dell’articolo 75.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti proposti all’articolo 75.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

Sulla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia.

PRESIDENTE. Avverto che all’ordine del giorno della seduta pomeridiana di giovedì 16 ottobre sarà posta la elezione, da parte dell’Assemblea, di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.

La seduta termina alle 13.

LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Morini

Costa

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Calosso

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Merlin Angelina

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costantini

Salvatore

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cairo e Caristia.

(Sono concessi).

Presentazione di un disegno di legge.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi onoro di presentare il disegno di legge sul riordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro della pubblica istruzione della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella degli onorevoli Morini e Cairo al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e delle finanze, «per conoscere: a) se è esatta la notizia secondo la quale è in corso di emanazione una legge di regolamentazione delle lotterie; legge che porrà fine al monopolio, da parte della S.I.S.A.L., del totalizzatore del gioco calcio; b) se, d’altra parte, è vero che la legge affiderà la gestione del toto-calcio, anziché al C.O.N.I., alla Direzione lotto, il che significherebbe la morte dell’iniziativa; c) se, infine, è vero che la legge stessa porterà alla soppressione delle percentuali, che oggi affluiscono nelle casse del C.O.N.I., con conseguente paralisi completa di tutte le federazioni sportive, che raggruppano nelle proprie file 2 milioni di inscritti ed interessano tutta la gioventù d’Italia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’amministrazione delle finanze, preoccupata dallo sviluppo che andavano assumendo certe forme particolari di pronostici e di concorsi, il cui volume di giuoco era divenuto progressivamente molto rilevante, aveva posto allo studio e diramato nelle sue linee essenziali per il concerto dei Ministeri interessati, un primo schema di provvedimento che tendeva a dare una regolamentazione a tutta questa materia e principalmente ad assicurare che la massima parte dei profitti andasse nelle casse dello Stato.

Per la complessità della materia stessa, questo primo schema è stato molto discusso dai Dicasteri interessati. Furono apportate delle modifiche; se ne occupò due o tre volte il Consiglio dei Ministri, e recentemente era stato dall’Amministrazione finanziaria predisposto un nuovo schema di decreto legislativo, che è ancora allo studio e il Consiglio dei Ministri se ne occuperà in una delle prossime sedute.

La preoccupazione dell’onorevole Morini, che secondo quanto si evince dalla lettera b) e dalla lettera c) della sua interrogazione è quella che le attività sportive coordinate e dirette dal C.O.N.I. non rimangano senza i necessari mezzi che attualmente sono, oltre alla percentuale sugli incassi delle manifestazioni, quelli che provengono dal concorso C.O.N.I. – S.I.S.A.L., è nella sua sostanza condivisa dalla Presidenza del Consiglio e dal Governo, in quanto si ritiene che fino a quando non sarà possibile impiantare su di un finanziamento vero e proprio del bilancio il necessario interessamento dello Stato per le attività sportive, debba rimanere questa forma di finanziamento del C.O.N.I., sia pure disciplinata e regolata. Posso assicurare che, per l’attuale stagione calcistica, il concorso rimarrà così com’è. Per l’anno prossimo si studierà a tempo, a parte la legge a cui prima alludevo, la possibilità di un vero e proprio bilancio preventivo del C.O.N.I., che dovrà tener conto, oltre che dell’attività sportiva ordinaria, anche del ripristino delle attrezzature sportive andate in deperimento per causa di guerra, ed anche di tutta l’attività che dovrà essere predisposta per le Olimpiadi che, come è noto, avranno luogo nell’anno prossimo.

Credo che questa assicurazione sulla sostanza dell’interrogazione possa tranquillizzare le giuste preoccupazioni dell’onorevole Morini.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. In complesso, le assicurazioni datemi dall’onorevole Sottosegretario sono sodisfacenti. Sono sodisfacenti anche perché personalmente mi risulta che l’onorevole Sottosegretario ha espresso esattamente quelli che sono i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni a favore dello sport. L’interrogazione che ho presentata oggi è la seconda che presento sull’argomento. In una precedente interrogazione sul toto-calcio, ero contro il totalizzatore dato alla S.I.S.A.L., perché convinto che in queste entrate la S.I.S.A.L. facesse la parte del leone. Successivamente, ho presentato questa interrogazione perché ho avuto la sensazione precisa che si andasse oltre quelli che erano i miei intendimenti. I miei intendimenti erano non di danneggiare il C.O.N.I., ma di ottenere che questo totalizzatore venisse gestito direttamente dal C.O.N.I. stesso. Ad un dato momento, mi sono accorto che invece di tagliare le unghie alla S.I.S.A.L., si davano permessi ad altre speculazioni private, che erano peggiori di quella della S.I.S.A.L., e, d’altra parte, ho saputo che c’erano intenzioni in senso opposto, cioè di avocare allo Stato la gestione diretta del totalizzatore.

Entrambe le due soluzioni, quella che permette la speculazione privata e non solo ad una società, ma addirittura a società diverse, e quella opposta di avocare tutto allo Stato, erano e sono due soluzioni egualmente funeste per gli interessi dello sport. Noi abbiamo assistito alla concessione anche alla GIESSE e alla S.I.N.A.L.P. Ora, anche su questo punto vorrei qualche assicurazione dall’onorevole Sottosegretario, perché le due concessioni portano alla conseguenza che il C.O.N.I. non ha più nessun controllo su queste forme spinte di speculazione privata, per cui si giunge a questa situazione paradossale che la GIESSE, ad esempio, pone un premio a favore del migliore tiratore in goal. Ora, tutti coloro che sanno quanto è delicata la situazione delle Società sportive sanno che un premio di questo genere può portare conseguenze gravissime, con sfasamento di tutti i risultati sportivi.

D’altra parte, avocare allo Stato il totalizzatore, cioè togliere il toto-calcio dai vari bar d’Italia, che sono oggi la sua sede naturale, significa annullare l’iniziativa. Ed è per questo che dico all’amico Andreotti che nella sua azione, che egli compie tutti i giorni a favore della regolamentazione della sorte dello sport, deve tener conto di questi punti: 1°) lo sport non può vivere senza il toto-calcio; 2°) il toto-calcio deve essere tolto alla speculazione privata ma non deve essere avocato allo Stato; 3°) secondo me la formula migliore è di dare al C.O.N.I. la gestione diretta del toto-calcio, perché attraverso tale gestione diretta del toto-calcio noi toglieremo i danni e le preoccupazioni della speculazione privata senza avere gli svantaggi enormi derivanti dall’assumere lo Stato l’iniziativa stessa.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Uno dei cardini di questa indagine prelegislativa per dare una certa forma alla materia è proprio quello di considerare su un piano diverso l’attività del C.O.N.I., che è un ente pubblico, da quelle iniziative del tipo cui l’onorevole Morini ha accennato, che, seppure sorte con particolarità diverse, hanno cercato di assumere una fisionomia e un volume che non dico abbia addirittura tratto in inganno, ma ha fatto determinare in precedenza quello che altrimenti non si sarebbe determinato da parte dell’Amministrazione finanziaria nel momento in cui fu data l’autorizzazione. Per dovere di ufficio devo dire che non può essere ammesso in linea di principio l’affermazione assoluta dell’onorevole Morini, che affidando l’una o l’altra iniziativa a una Direzione del Ministero delle finanze, ciò significherebbe la morte della iniziativa stessa. Sulla sostanza siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dei deputati Numeroso, Leone Giovanni, e Riccio, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere: a) quale fondamento abbiano le notizie pubblicate dalla stampa circa irregolarità attribuite all’ARAR per la cessione di residuati di guerra ad una società commissionaria, ed in genere circa i sospetti e le deficienze, ormai di dominio pubblico, nelle operazioni di vendita di ingenti quantitativi di materiali; b) i risultati delle indagini circa incendi e furti, che ripetutamente si verificano nei campi di deposito dell’ARAR; c) i motivi che inducono i dirigenti dell’ARAR ad alienare a speculatori notevoli quantitativi di materiale di uso, che potrebbero essere ceduti, con evidente vantaggio di tutti, a determinate categorie di consumatori. Gli interroganti, inoltre, chiedono di conoscere se nell’interesse dell’erario e di fronte a tante accuse e voci di sospetti, non si ritenga opportuno nominare una Commissione di inchiesta su tutto il funzionamento di questa complessa e importante azienda».

Non essendo presente nessuno dei deputati interroganti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione del deputato Costa, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con la interrogazione presentata si tenderebbe a porre sullo stesso piano, nei confronti del controllo della Corte dei conti e limitatamente alla sede di Venezia, gli atti dell’A.N.A.S. e quelli del Provveditorato alle opere pubbliche.

In proposito, deve anzitutto farsi presente che la disciplina del controllo sugli atti del Provveditorato alle opere pubbliche di Venezia non potrebbe essere regolata con norme diverse da quelle vigenti per gli altri Provveditorati regionali. D’altra parte questi istituti presentano, nei confronti dell’A.N.A.S., diversità sostanziali nei riguardi della struttura e del funzionamento, per cui non può pensarsi ad una loro equiparazione.

È infatti da osservare che l’A.N.A.S. è una azienda autonoma a natura prettamente industriale, perché, in sostanza, non è altro se non una grande organizzazione per la costruzione e la manutenzione stradale.

E fu proprio per tale motivo, e per la considerazione che il controllo preventivo mal si concilierebbe con l’accennato carattere industriale, che esige una particolare rapidità di decisioni che, per l’Azienda autonoma statale della strada – che, come è noto, ebbe caratteri sostanzialmente identici a quelli dell’attuale A.N.A.S. – venne adottato quelle stesso sistema, del controllo successivo, che era stato già assunto per le altre Amministrazioni autonome a tipo industriale, come quello delle ferrovie dello Stato, delle poste e delle telecomunicazioni, dei monopoli, ecc., ragione per cui può ben dirsi che l’adozione di tale sistema per l’A.N.A.S. fu una applicazione particolare del principio assunto per tutte le aziende autonome a tipo industriale, in deroga al sistema del controllo preventivo e successivo stabilito in genere per le Amministrazioni dello Stato.

I Provveditorati regionali alle opere pubbliche sono invece uffici decentrati dell’Amministrazione dei lavori pubblici e, per ciò stesso, comuni organi della Amministrazione dello Stato. Quindi deve a tali organi applicarsi il principio del controllo preventivo.

Nessuna ragione potrebbe poi consigliare la sostituzione del controllo successivo a quello preventivo, poiché quest’ultimo è indubbiamente più efficace per la sua tempestività, in relazione anche alla imponente mole delle opere pubbliche realizzate dai Provveditorati regionali, che presentemente assorbono con la loro gestione una parte notevolissima – dell’ordine di molte decine di miliardi – del bilancio statale. D’altra parte può assicurarsi che il controllo della Corte sugli atti dei Provveditorati regionali è stato esercitato in tutte le sedi con spirito di collaborazione e con sollecitudine, come è stato anche dichiarato dalla stessa Amministrazione controllata, cioè quella dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Non mi dichiaro per nulla sodisfatto per la risposta che ha dato il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Già lunedì scorso ebbi a chiarire in che cosa consisteva la portata di questa interrogazione. La cosa può interessare largamente i colleghi dell’Assemblea, perché sostanzialmente si tratta del funzionamento dei Provveditorati alle opere pubbliche e di sistemare e facilitare un servizio il quale è legato alla ricostruzione del Paese.

Noi siamo in un periodo, come già dissi anche lunedì scorso, analogo a quello successivo alla guerra precedente, nel quale si trattava di ricostruire le terre liberate. Per la ricostruzione nelle terre liberate si ritenne opportuna una legislazione speciale, la quale era modellata precisamente sulle amministrazioni a tipo industriale e ciò per sveltire il lavoro di ricostruzione.

Dirò poi come non sia esatto quello che ha detto il Sottosegretario di Stato: che le Amministrazioni controllate abbiano informato che tutto procede regolarmente. Intanto rilevo che, se si è potuto, dopo la guerra 1915-18, attuare una legislazione per la ricostruzione delle terre liberate modellata sui sistemi industriali, non è facile capire perché oggi non si possa, se non attuare la legislazione speciale dell’Azienda della strada, almeno la legislazione speciale che si fece nel 1919 per la ricostruzione delle terre liberate.

La ragione per cui ho accennato al Provveditorato delle opere pubbliche del Veneto e di Mantova – ragione che il Sottosegretario di Stato ha ritenuto di superare, osservando che, caso mai, si deve trattare di una legislazione uniforme per tutti i Provveditorati, compreso quello di Venezia – la ragione è proprio quella che mira a realizzare uno sveltimento nella ricostruzione. Ed io ho accennato a queste Provincie, perché il decreto del 27 giugno 1946, il quale dispone una complessità di controlli sulle spese, sia in sede preventiva che in sede consuntiva, non parla che del Provveditorato di Venezia.

L’articolo 16 dice: «L’ufficio distaccato della Corte dei conti istituito presso il Provveditorato regionale per le opere pubbliche di Venezia – io domando perché si dice di Venezia e non si dice di altri Provveditorati – eserciterà anche la funzione di riscontro preventivo e successivo per le spese».

Supposto che questa disposizione sia stata successivamente estesa a tutti i Provveditorati, ho una ragione di più per sostenere la mia tesi, perché io allora non difendo solo gli interessi della Venezia, ma in genere gli interessi dell’Amministrazione che riguarda tutta l’Italia. E gli interessi sono generali in questo senso, che c’è bisogno di sveltire il funzionamento amministrativo.

È degno di rilievo il fatto che, successivamente all’interrogazione presentata, ho avuto manifestazioni di consenso, ho avuto lettere da associazioni, che, non so come, sono state informate di questa interrogazione – la stampa non si occupa di queste cose, ma si vede che qualcuno è stato informato – e mi hanno chiesto con interessamento quale risposta abbia dato il Ministero.

È inutile dire che le amministrazioni a tipo industriale possono agire più sollecitamente delle amministrazioni statali e che quella dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche è, sì, un’amministrazione sui generis, ma strettamente collegata con l’Amministrazione dello Stato. Io, però, mi domando: se la legge relativa ai Provveditorati ha stabilito all’articolo 36 che ci sia un controllo preventivo sugli atti del Magistrato alle acque, è intanto assodato che questi atti, cioè i provvedimenti dai quali derivano spese, sono già soggetti ad un controllo preventivo. Quando il Provveditorato alle opere pubbliche emana un decreto che dispone una determinata spesa, quel decreto, con tutta la documentazione, viene presentato alla Sezione staccata della Corte dei conti presso il Provveditorato alle opere pubbliche della Regione e la sezione staccata fa il suo esame preventivo su tutta la documentazione, sui progetti, sui preventivi di spesa e sul decreto del Provveditorato che dispone l’esecuzione attraverso l’approvazione di comitati consultivi, perché lo stesso decreto del Provveditorato per le opere pubbliche è condizionato ai pareri favorevoli di organi tecnici, pareri che si estendono anche all’entità e modalità della spesa.

Dopo questo controllo preventivo, cosa accade? Si fa la spesa. Eseguita la spesa, per poter effettuare il pagamento dell’importo relativo bisogna mandare tutti gli atti contabili ancora alla sezione staccata della Corte dei conti, perché esamini tutte le fatture e tutti gli atti di liquidazione, gli stati di avanzamento ed ogni altro elemento contabile.

Questo cosa significa? Significa che, siccome si sa cosa sono gli uffici, indipendentemente dalla buona volontà dei funzionari, c’è un appesantimento della funzione, dato che gli uffici che sono adibiti a questa funzione hanno una congerie di carte sui tavoli, l’esame delle quali richiede notevoli disponibilità di tempo ed è naturale che ogni pratica debba attendere il proprio turno. Ma dopo il controllo preventivo sulla spesa, occorre anche quello consuntivo, il che significa che tutti questi incartamenti debbono essere nuovamente presentati a pagamento effettuato.

È da notarsi inoltre che il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche, che, come abbiamo visto, presuppone già l’esame di tutta questa materia, passa all’ufficio di ragioneria, il quale non è già un ufficio che esegue materialmente le registrazioni, senza esaminare i vari incartamenti: c’è quindi anche questo controllo dell’ufficio di ragioneria ed è evidente che la ragioneria assume conseguentemente le sue responsabilità circa la regolarità dei vari impegni e delle spese correlative effettuate.

Ecco, dunque, il punto della questione che io pongo: se questa duplicità di controlli sulle spese, se tutta questa complicazione non è stata ritenuta necessaria nemmeno quando si è trattato della ricostruzione nelle terre venete dopo la prima guerra mondiale, per quale motivo si deve ritenere necessaria oggi? Noi non recriminiamo nel senso di criticare i funzionari i quali fanno evidentemente il loro dovere come meglio possono; critichiamo l’eccessiva complicazione di questo ordinamento che è una vera e propria superfetazione.

Qui non è il caso di dire, come qualche volta si ode dire, che i controlli non sono mai eccessivi; invece dobbiamo esaminare la questione sotto l’aspetto della maggior possibile semplificazione.

Per tutte queste ragioni, dunque, io mi dichiaro insoddisfatto della risposta ricevuta e dichiaro altresì che mi riservo di trasformare la mia interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Calosso, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quale conto ha tenuto dei consigli dati da alcuni oratori alla Costituente, in ordine ai pericoli per il carattere nazionale che nascono dall’eccesso dei programmi scolastici in età giovanile, e all’assurdità dell’esame di Stato, in cui il giovane deve esporre un’enciclopedia del sapere umano di fronte ad esaminatori a lui ignoti. E in base a quali criteri educativi abbia esautorato gli esaminatori di Stato del liceo di Acireale, inviando illegalmente un ispettore ad annullare certi rigorosi giudizi da loro coscienziosamente dati in applicazione dei regolamenti ministeriali sull’esame di Stato».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole Calosso pone tre questioni: la prima riguarda l’eccesso dei programmi scolastici, la seconda l’assurdità degli esami di Stato, la terza la questione contingente del liceo di Acireale.

Il primo problema naturalmente – e l’onorevole Calosso lo sa meglio di me – è un problema di una vastità notevole, perché la riforma dei programmi scolastici è la parte più delicata, direi, di tutti i problemi che riguardano la riforma della scuola. Tenendo presenti i voti varie volte espressi in questa Assemblea e particolarmente dall’onorevole Calosso, è stata posta allo studio anche questa questione della semplificazione dei programmi scolastici, ma naturalmente non è facile poter semplificare una materia come questa. Si spera, tuttavia, che la Commissione incaricata di assolvere a questo compito, possa, fra circa due mesi, condurre a termine i propri lavori.

Voglio solo informare l’onorevole Calosso che noi abbiamo cercato di eliminare, o per lo meno di limitare le conseguenze di questa eccessiva vastità dei programmi scolastici; tanto è vero che nell’ordinanza del 3 maggio 1947 fu stabilito che gli esami si svolgessero sul programma dell’ultimo anno e sulle linee fondamentali di quelli degli anni precedenti, senza esigere per gli anni precedenti la preparazione completa su particolari singoli dei rispettivi programmi.

E, come se ciò non bastasse, abbiamo ulteriormente chiarito, in una circolare successiva – del 14 giugno – la questione in questo senso, che «linee fondamentali dei programmi degli anni precedenti si devono intendere quegli elementi generali di cultura che sono necessari alla comprensione della materia insegnata nell’ultimo anno, la quale rimane l’oggetto principale dell’esame».

Ciò al fine di impedire che l’esarne non sia un complesso di assurdità come l’onorevole Calosso afferma, appunto per la congestione dei programmi.

E vengo con ciò alla seconda questione relativa agli esami di Stato. L’onorevole interrogante parla di assurdità dell’esame di Stato. Io non so se egli sia fra coloro che hanno votato l’articolo 27 della Costituzione, ma credo, data l’enorme maggioranza con cui esso è stato votato, che con molta probabilità egli stesso ha aderito – mi smentisca se ciò non corrisponde a verità, perché ho piacere di essere informato – all’articolo 27 che dice:

«È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi, nonché per l’abilitazione all’esercizio professionale».

Direi che in questa norma in un certo senso si esagera, perché, mentre finora l’esame di Stato era limitato alla fine delle scuole medie superiori – quindi, esame di maturità ed esame di abilitazione – la Costituzione prescrive l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole; quindi lo prescrive anche nei passaggi intermedi fra i vari gradi di scuola secondaria. È un punto di vista rispettabile – anch’io l’ho condiviso – ma che credo complicherà certamente gli inconvenienti denunciati dall’onorevole interrogante a questo proposito.

E in merito all’esame di Stato vorrei ricordare che non si tratta, come qualcuno ha detto o scritto, di un’istituzione di carattere fascista, perché già prima del fascismo il Ministro Croce – il quale pose il primo seme di questa fondamentale riforma che permette allo Stato un controllo non solo della sua scuola, ma anche della scuola non governativa – preparò un progetto, che però, non poté avere quello sviluppo che si meritava, perché incontrò delle difficoltà nel Parlamento. Successivamente si ebbe un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Corbino e poi un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Anile. Anche questi progetti non ebbero fortuna per le complicazioni politiche del tempo. Però posero le premesse di quella che poi è stata la cosiddetta «riforma Gentile», cioè l’introduzione di un esame di Stato.

Io direi che non si tratta di una riforma che abbia un carattere originale e che si ponga come un qualche cosa di nuovo. La «riforma Gentile», almeno per quanto riguarda gli esami di Stato, non è stata che il compendio di un materiale già preparato, e non la realizzazione di una esigenza, di un’aspettativa che era già matura. Ad ogni modo, l’onorevole interrogante sa che anche nell’ambito della legislazione fascista sono stati fatti due fondamentali esperimenti dell’esame di Stato: il primo è stato, diciamo così, l’esperimento Gentile, il secondo l’esperimento Bottai.

Qual è la fondamentale differenza fra questi due sistemi? Il primo sistema, quello di Gentile, prevedeva che tutti i giudici esaminatori dovessero essere estranei alla scuola, e non fossero, quindi, gli educatori dell’alunno; poiché, si diceva, l’educatore dell’alunno è incline alla indulgenza, alla benevolenza, può avere dei preconcetti, delle particolari simpatie. Pertanto, perché il giudizio fosse veramente obiettivo si esigeva un giudice completamente estraneo alla scuola.

Quindi, tutte commissioni composte di professori estranei alla scuola, e in gran parte anche appartenenti all’ordine superiore, cioè all’ordine universitario nel quale i giovani dovevano venire immessi.

Con la riforma Bottai le posizioni furono completamente rovesciate, sicché sarebbe difficile parlare (come si è parlato anche da parte di giornali) di una politica fascista nella scuola in questo campo. Il Ministro Bottai disse: «I veri giudici naturali dei giovani studenti non sono i giudici estranei alla scuola, ma sono gli educatori, coloro che hanno seguito durante tutto il curriculum di studi il giovane e sono quindi in grado più di ogni altro di giudicare la sua maturità ad accedere alle università».

Quindi, conseguenza opposta a quella che aveva tratto il Gentile: le Commissioni esaminatrici agli esami di Stato saranno costituite esclusivamente dai professori che l’alunno ha avuto durante i suoi studi.

È chiaro che ciascuno dei due sistemi ha i suoi aspetti negativi. È facile capire che il sistema Gentile tende a inasprire il giudizio, appunto perché i giudici sono estranei alla scuola, come è facile comprendere che il sistema Bottai tende piuttosto a largheggiare, appunto per questa familiarità di sentimenti che si determina fra professore ed alunno per il lavoro che svolgono in comune.

L’onorevole Calosso sottolinea il fatto che nell’esame di Stato, l’alunno si trova di fronte ad esaminatori a lui ignoti.

Io ho, quindi, l’impressione che l’onorevole Calosso sia piuttosto favorevole al secondo sistema, cioè al sistema dei giudici scelti fra i professori interni i quali sono noti all’alunno.

Io direi che l’esperienza comunemente riconosciuta dagli studiosi di questo delicato problema è che le conseguenze dell’adozione del sistema secondo cui i giudici sono i professori stessi sono state piuttosto disastrose; e qui si deve ricercare una delle cause del crollo della selezione che la scuola media doveva fare e che non ha fatto, con la conseguente pletora di studenti agli studi universitari. Nell’esame con i professori interni a lui noti, lo studente troverà maggiore indulgenza presso il professore; da ciò, specialmente negli ultimi anni della guerra, è derivato il crollo dell’esame di Stato e quindi il crollo di ogni selezione.

Quest’anno, tenendo presente questa duplice esperienza, abbiamo cercato di introdurre una novità ristabilendo l’esame di Stato.

Come l’onorevole Calosso sa, durante tutto il periodo della guerra, l’esame di Stato non ha funzionato. Gli alunni venivano promossi solo attraverso lo scrutinio dei voti riportati durante l’anno.

Da quest’anno si è istituto nuovamente l’esame di Stato.

Io ho però cercato di trovare una formula intermedia fra il tipo di esami di Stato Gentile e il tipo di esame di Stato Bottai. Cioè abbiamo detto: i giudici, perché il giudizio sia veramente sereno e perché questa selezione funzioni, devono essere nella loro maggioranza estranei alla scuola. Però non è giusto che coloro che sono stati gli educatori del giovane che si presenta agli esami non abbiano assolutamente voce in capitolo. Certe volte l’esame è un rischio, perché basta un turbamento psichico momentaneo per determinarne la sorte sfavorevole. Per questo si è ritenuta opportuna la presenza di professori appartenenti alla scuola da cui l’alunno proviene, e che, in certo senso, sono presenti per dare una testimonianza – ove occorra – dell’effettivo profitto del giovane durante il corso dei suoi studi.

Quindi abbiamo istituito commissioni di sei giudici (naturalmente, tutti appartenenti all’ordine scolastico), di cui quattro estranei alla scuola e due della scuola.

Pertanto, ogni alunno che si presenta agli esami ritrova almeno due facce familiari di professori coi quali ha lavorato e appreso le fondamentali discipline; si trova contemporaneamente anche di fronte a giudici estranei che tendono a riportare l’esame ad un giudizio obiettivo.

Si è fatto l’esperimento. Non siamo ancora in grado di stabilire un bilancio reale, positivo, concreto, però, da quanto finora si è potuto rilevare, si è ottenuta una maggiore severità, sebbene ben lontana da quella segnalata da qualche giornale cioè che si sarebbe arrivati ad escludere fino al 90 per cento degli alunni dagli esami orali.

Mentre si è ottenuto questo risultato, abbiamo d’altra parte, di fronte agli alunni e alle loro famiglie, la coscienza tranquilla per aver permesso che due educatori fossero presenti nel giurì e si dichiarassero a favore di quel giovane che, turbato eventualmente dall’esame, non avesse reso tutto quanto avrebbe potuto.

Secondo la mia modesta opinione credo che questo rappresenti l’optimum nella formazione delle Commissioni. Ma può anche darsi che l’esperienza mi smentisca, e da parte mia sono pronto a rettificare.

Quanto al fatto di Acireale devo far presente all’onorevole Calosso che ho già risposto ampiamente all’onorevole Marchesi, ed ora non ho nulla da aggiungere in proposito. Però, noto che l’onorevole Calosso ha usato la frase: «inviando illegalmente un ispettore». Mi permetto di osservare che ciò non è esatto, perché l’ispettore è stato chiesto esplicitamente dalla Commissione esaminatrice.

Comunque, ho il piacere di comunicare che dopo la risposta data all’onorevole Marchesi le cose si sono svolte in una maniera normale e tutti, sia studenti che professori, hanno trovato la soluzione equa e decorosa.

PRESIDENTE. L’onorevole Calosso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CALOSSO. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua larga risposta, e faccio solo osservare che la mia interrogazione è anteriore a quella dell’onorevole Marchesi, e non ho potuto quindi tener conto delle osservazioni già fatte in materia.

Ad ogni modo quello che mi preoccupa è il problema generale e non il fatto singolo di Acireale, dove l’eccessiva severità negli esami è stata rimproverata non tanto dai giovani, quanto nei circoli civili locali, come sempre avviene in Italia.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Devo ripetere che il giovane che porta il nome di Condorelli, nome cospicuo nell’ambiente, è tuttavia il figlio di un ciabattino. È un ragazzo di origini umilissime e modestissime. Siccome nella stampa si è giocato anche sul nome dei Condorelli e quindi sul feudalesimo siciliano, tengo a mettere in chiaro che qui invece si trattava del figlio di un ciabattino. (Si ride – Commenti).

CALOSSO. Non vorrei insistere su quello che l’onorevole Ministro ha già detto rispondendo all’onorevole Marchesi. Ripeto che a me la questione interessa in generale, al di fuori del caso singolo di Acireale, sebbene abbia ricevuto proprio adesso delle altre lettere. Proprio nel nostro giornale L’Umanità, si è fatta una polemica, a mia insaputa, contro i professori perché troppo rigorosi, e ho dovuto smentire. Ma la questione di una riforma della scuola è nell’aria; occorre mutar sistema. E qual è l’errore del sistema?

Dopo un disastro storico, disastro soprattutto che si riflette sul carattere della gioventù ed anche su tutti noi, avviene che non è stato posto al centro della Nazione – e non solo di un gruppo di esperti, ma, dico, di fronte alla Nazione che è la grande esperta – il problema educativo. Abbiamo fatto soltanto questa rivoluzione: abbiamo preso il nome buono che il fascismo aveva dato: Ministero dell’educazione nazionale, e siamo tornati al nome più cattivo: Ministero della pubblica istruzione.

Perché? Il concetto deve essere questo: poniamoci un problema educativo di carattere, e questo è il problema numero uno; poi tutti gli altri problemi, importantissimi, lo seguono.

Cosa dobbiamo fare? Prima di tutto, i nostri giovani (parlo soprattutto della scuola media che è la scuola che io conosco ed è anche la scuola della fatica) sono oppressi da un’enorme massa di sapere. Enorme: aritmetica, logaritmi, chimica, l’elettricità, il calore, Eschilo, Orazio; è una cosa impossibile, incredibile. Tutto in un giovane di 18 anni e noi sappiamo, ce l’ha detto Rousseau, il danno che nasce dal troppo sapere. Egli ha detto che fino a 20 anni aveva letto un solo libro: Robinson Crosuè.

Ora, il Vico, che cosa dice? Dice che nell’età giovanile non si deve opprimere il cervello con eccesso di sapere; con eccessi di ragionamento, perché questo costituisce una corruzione del carattere. Un giovane, con un testone così, a diciotto anni, è un giovane che molto probabilmente, se non potrà ribellarsi, se non potrà reagire rompendo qualche vetro a questa corruzione del carattere che è il proprio sapere, finirà male.

Ora, i nostri programmi, dico la verità, potrebbero essere portati ad un terzo e andrebbero già bene. La realtà è questa. Vi dovrebbe essere un taglio, molto netto, e, una volta fatto questo taglio, si deve esigere con durezza quel tanto che si è insegnato; l’esame deve essere fatto con severità. Gli studenti debbono, come i giovani lavoratori, lavorare duramente.

Ma sta a noi di ridurre il programma di studi. Ridurlo moltissimo. Metà sarà ancora troppo, in tutti gli ordini di scuole. Io sono figlio di una maestra elementare, sono anch’io stesso insegnante, ed ho seguito il problema. Vi sono certi ispettori che vanno a controllare se i maestri hanno finito il programma, tutto l’enorme programma. Io vorrei che l’onorevole Gonella mandasse l’ispettore a vedere quei geniali maestri che hanno scoperto che avrebbero rovinato gli alunni e non hanno finito il programma. In questo panorama si inquadra tutto il problema della scuola. Che cosa deve fare l’accorto insegnante? Noi abbiamo visto durante il fascismo che la classe insegnante ha reagito e gli insegnanti hanno dato prova di un carattere encomiabile. Ma noi dobbiamo venire incontro a loro. Noi affidiamo l’educazione nazionale, così importante specialmente in questo periodo, a dei professori medi che non escono dal magistero. Non hanno mai imparato come si educhi. Bisogna affidare la scuola a uomini che ne abbiano la vocazione.

In un altro discorso alla Camera parlai di questi problemi e mi fermai a quattro o cinque episodi per far sapere a chi non crede che ci sia una tecnica dell’educazione, che questa tecnica c’è.

Esistono paesi non lontani da noi, dove questo problema è sentito profondamente; accanto a questo problema esiste l’altro, quello dell’educazione del corpo. Queste sono le due materie di un magistero. I professori debbono essere specializzati in una materia, in modo da insegnarla nel miglior modo possibile. Certo, in linea generale, un professore medio non sarà mai un grandissimo latinista o uno scopritore del calcolo infinitesimale, tuttavia, è sbagliato mettere di fronte ai giovani un uomo che non sia di prima qualità; l’alunno sente se un educatore è eccellente.

Occorre che vi sia una scuola tecnica dell’educazione e dell’allevamento: proprio dell’allevamento del bambino, in maniera che tutte le nostre madri sappiano come educare i loro bambini.

Vengo all’esame di Stato. Noi siamo contrari all’esame di Stato. Anche fissato solo all’ultimo anno, come opportunamente ha fatto il Ministero, è tuttavia una cosa sbagliata. Al terzo anno il giovane deve eruttare in pochi minuti tutto lo scibile umano e deve avere un giudizio. Il suo insegnante è senza dubbio l’uomo più adatto a darlo. È vero, vi sarà un rischio: vi sarà chi porterà due capponi a questo disgraziato di professore (Si ride), ma questo rischio sarà sempre molto minore della profonda corruzione che nasce adesso. Ora, siamo di fronte ad un esame difficile e impossibile, tanto che gli stessi insegnanti non lo possono fare.

Si domandano agli esaminandi cose che non possono sapere.

Quando ero esaminatore di Stato, vidi una signorina pallida come un morto. Toccava a me, per primo, di interrogarla. Le dissi: vedo dal suo terrore che lei capisce la gravità dell’esame; cioè, lei è all’altezza di Socrate: sa di non sapere; quindi le do, solo per questo, sei, salvo ad elevare il punteggio per quanto sa di più (Ilarità). L’esaminanda rifiorì subito, fece un bellissimo esame; la interrogai su quello che sapeva. La ragazza cadde poi, nella prova di storia; sapeva tutto di Napoleone, di Giulio Cesare, ecc., ma non sapeva chi fosse Bernabò Visconti. La risposta che daremmo noi è questa: mi si permetta di andare a guardare una enciclopedia e poi lo dirò.

Invece, le era proibito guardare l’enciclopedia. E quella signorina fu bocciata proprio a causa di Bernabò Visconti.

Il difetto sta nel sistema.

Non abbiamo un trattato per l’educazione.

Il nostro popolo, in verità, sente poco questo grave problema del futuro. Abbiamo impostato, invece, un problema anch’esso giusto, ma secondario: Chiesa e Stato, Stato e Chiesa. Questo è un problema che ha la sua importanza, certo non è centrale. Sarebbe meglio avere rischiato di avere qualche prete in più purché si fosse risolto il problema centrale della scuola statale e dell’ecclesiastica. Io non so quale sia la migliore. La scuola ecclesiastica sa che deve educare e spesso educa male. La scuola di Stato non sa nemmeno che deve educare. Comunque, io formulo l’augurio che l’esame di Stato sia soppresso.

La competente Commissione legislativa, esaminando la questione della sospensione dell’esame di Stato, si è dichiarata a maggioranza avversa ad esso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Dell’esame di Stato per l’esercizio professionale: è altra cosa.

CALOSSO. Io estenderei la soppressione dell’esame di Stato anche alla maturità; sarebbe molto meglio. Una riforma del genere sarebbe opportuna. Il problema dovrebbe venire discusso di fronte all’opinione pubblica. Si tratta di un problema fondamentale.

PRESIDENTE. La seguente interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato: Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati o saranno adottati a favore delle famiglie dei Martiri trucidati dai nazi-fascisti, e se non ritenga opportuno e doveroso che, accanto ad una pronta assistenza generica e sanitaria, siano adottate forme più proficue di assistenza economica, che possano gradualmente reinserire nel lavoro produttivo tutti gli assistiti idonei e capaci».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Merlin Angelina e Fiorentino Giosuè, al Ministro dell’interno, «sugli incidenti di Palermo del giorno 11 luglio, nel corso dei quali la polizia ha aggredito donne inermi che protestavano contro il vertiginoso rincaro dei prezzi e contro il mancato intervento delle autorità regionali».

Sullo stesso argomento è stata presentata la seguente interrogazione dalle onorevoli Gallico Nadia Spano, Merlin Angelina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne e di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri. Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne».

Le due interrogazioni possono essere svolte congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. In Palermo il giorno 11 luglio un piccolo corteo, naturalmente non autorizzato, di una ventina di ragazzi e di una diecina di donne, si era diretto verso il centro della città, gridando e recando cartelli con scritte di protesta per la situazione alimentare. Un sottufficiale della polizia, accompagnato da quattro agenti, incontrato tale corteo in via Gaetano Daita, ne ordinava lo scioglimento, che avveniva senza alcun incidente, e sequestrava i cartelli.

Gli stessi agenti, transitando poco dopo da piazza Bologna, si imbattevano in un assembramento, parimenti non autorizzato, di circa 200 donne accompagnate da un uomo rimasto sconosciuto, recante un cartello pure di protesta. Poiché si trattava – ripeto – di manifestazione non autorizzata, gli agenti invitarono lo sconosciuto a consegnare il cartello. Questi aderiva, ma il fatto provocava il risentimento di talune delle donne presenti, le quali, inveendo, si avventarono contro gli agenti, tentando di recuperarlo. Nel tafferuglio, più precisamente nel tentativo di ritogliere agli agenti il cartello sequestrato, essendosene spezzata l’asta, rimaneva purtroppo leggermente ferita la signora Montalbano, consorte del nostro collega ed amico, nonché mia compaesana e forse lontana congiunta. Lo spiacevole incidente si concludeva poco dopo alla Presidenza della Regione; né argomento di intervento ebbero perciò gli agenti di pubblica sicurezza inviati frattanto sul posto. Da quanto ho riferito sembra dunque emergere che nessuna specifica responsabilità possa essere contestata agli agenti dell’ordine e che quindi nessun provvedimento dovesse essere preso nei loro confronti.

PRESIDENTE. La onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io debbo prendere atto delle dichiarazioni del Sottosegretario, ma non posso dichiararmi sodisfatta della sua risposta, perché i fatti, o meglio il fatto da lui narrato è veramente minimizzato. Mi permetta quindi di ripeterlo così come mi è stato riferito da testimoni oculari.

Le donne di Palermo, o meglio quelle povere donne che tutti i giorni si trovano di fronte al dramma di dover preparare qualcosa per i loro figli e per le loro famiglie, volevano promuovere una manifestazione contro il caro-vita e volevano essere accompagnate dalle donne dell’U.D.I. davanti ai responsabili e ai dirigenti dell’attuale governo regionale. Ma l’U.D.I., il partito socialista, il partito comunista e la stessa Camera del Lavoro non avevano ancora aderito alla loro richiesta, che era quella di condurre la manifestazione con le dovute formalità.

La mattina dell’11 luglio la manifestazione invece sorse spontanea. Fu precisamente nel rione nominato dall’onorevole Sottosegretario, in via Gaetano Daita, che un gruppo di donne manifestò portando un cartello dove non c’era neppure la scritta: «Abbasso De Gasperi»; c’era scritto soltanto: «Abbasso la fame». Quindi era evidente lo scopo della manifestazione. Dice l’onorevole Marazza che la manifestazione non era autorizzata. Se la manifestazione era spontanea, se la manifestazione aveva avuto come pungolo precisamente la fame, non c’era tempo di andare a domandare il permesso all’autorità. Intervenne tuttavia la polizia e caricò le donne, picchiandole. La stessa dimostrazione si ebbe anche in altri rioni della città e tutte queste donne furono respinte. Tuttavia un centinaio di persone, donne e fanciulle, si portarono in piazza Bologna, dove c’è la sede dell’U.D.I.: nella sede si trovava la signora Montalbano ed anche la deputatessa Giovanna Mare e la signora Grasso. Sono scese nella piazza per poter condurre le donne presso la sede del Governo regionale.

È intervenuta la polizia e l’oggetto, diciamo così, che si contendevano i poliziotti e le donne era un cartello dove era scritto:

«Vogliamo la tessera differenziata». Di fronte all’intervento della polizia, la signora Montalbano disse: «Vedete, è una dimostrazione pacifica.» Ma gli agenti di polizia non si persuasero ed incominciarono a caricare la signora Montalbano, che io non conosco, ma che deve essere una signora molto ingenua, perché credette che qualificandosi come la moglie di un deputato alla Costituente avrebbe avuto diritto, non dico al rispetto, ma insomma ad un certo riguardo. E qui mi scuso con tutti i colleghi se devo ripetere una frase, poco parlamentare, del Commissario di polizia. Il Commissario Frascoldi disse: «Io me ne fotto di suo marito ed anche di lei. Lei non è una gentildonna». E non fu col pezzo di legno del cartello, ma col calcio del moschetto che la signora Montalbano fu colpita alla schiena e fu ferita alla mano, di una ferita che il medico disse guaribile in otto giorni. La deputatessa Mare fu gettata a terra. Tutte le altre donne furono colpite.

Fu interrogato il commissario Frascoldi, il quale così disse: «Questi sono gli ordini». Ebbene, davanti al questore e davanti al capo della polizia il commissario non negò né la frase che ho detto prima e neppure l’altra frase: «Ho ricevuto degli ordini».

Io so che è stata presentata un’interrogazione anche al Governo regionale e che a questa interrogazione non è stato ancora risposto. Io e le altre colleghe della Costituente abbiamo presentato immediatamente, appena conosciuti i fatti, l’interrogazione. La risposta è venuta molto tardi e mi consta anche che nessun provvedimento è stato preso contro chi ha colpito queste donne.

Ho fatto una interrogazione non spinta da spirito regionalistico, ma mossa solo da uno spirito di umanità, di comprensione verso queste donne che hanno sentito tutta la tragedia della guerra e che vivono oggi il dramma del dopoguerra. Io mi domando: perché non è stato punito il commissario? Forse perché effettivamente egli aveva ricevuto degli ordini? Questi ordini consistono forse nel ripristinare la legalità salvando la forma dell’ordine e lasciando sussistere le cause del disordine? La causa del disordine in Sicilia, se volete chiamare disordine la protesta di donne che hanno fame e che devono dar da mangiare ai loro bambini, è nella miseria della Sicilia. Io, onorevoli colleghi, come molti di voi, sono stata in Sicilia per le elezioni dell’Assemblea siciliana. Conosco la Sicilia. È stata la visione della miseria, fin dai primi anni, che mi ha portato a militare nelle file di quel partito a cui mi onoro di appartenere da trent’anni quasi. Ma questa miseria, che mi aveva spinta verso il Partito socialista come il solo che ritenevo potesse guarire questo male dell’umanità, non l’ho mai vista nelle forme in cui l’ho potuta vedere in Sicilia. È qualcosa di inimmaginabile quello che si vede nella Sicilia, perché non mi sono accontentata di andare a parlare di socialismo e di elezioni, ma sono andata nei quartieri più poveri, nelle piccole città, nei paesi, e sono rimasta stupita, sono rimasta commossa.

Ho sentito, onorevoli colleghi, che noi abbiamo fatto una cattiva azione ad andare a promettere tante cose durante le elezioni, e dopo molti mesi nessuno di noi ha fatto ancora niente per la Sicilia. Noi qui, in questa Assemblea, parliamo di tante cose, arzigogoliamo intorno agli articoli della Costituzione, parliamo tante volte di personalità umana, parliamo del problema della libertà, parliamo di tanti problemi spirituali, ma in realtà non abbiamo fatto ancora nulla per risolvere il problema materiale della vita, che consiste nel dare pane ai bambini, che consiste nel sorreggere la famiglia, che consiste nel dare all’uomo il minimo di pane, altrimenti il fatto della personalità umana, della libertà, della Costituente in Italia, si riducono ad una beffa fatta al popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione della onorevole Merlin Angelina, al Ministro dell’interno, «per sapere in base a quali disposizioni, per quali ragioni e per quale scopo si siano recentemente fatte indagini di indole politica sul conto della interrogante al proprio domicilio, in via Catalani 63, Milano, da un carabiniere e da un agente di polizia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Queste azioni dei carabinieri sono volte ad una particolare assistenza alle personalità residenti nelle rispettive circoscrizioni.

TONELLO. Come i fascisti, che mandavano i delegati di pubblica sicurezza. Roba dell’altro mondo!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Fu per questo motivo che il maresciallo comandante la stazione della città degli studi di Milano ha creduto di volersi assicurare della effettiva residenza della onorevole interrogante.

Ora, è avvenuto che recatosi per questo a casa dell’onorevole Merlin, alla quale intendeva presentarsi per chiederle direttamente le notizie desiderate e soprattutto per mettersi a sua disposizione, non la trovasse. Egli si intratteneva perciò con la guardiana dello stabile in una conversazione intenzionalmente breve, alla quale, secondo peraltro le tradizioni, la portinaia, ammiratrice come è della sua illustre inquilina, dava proporzioni inattese in quanto la stessa si diffondeva a illustrarne le benemerenze, suscitando l’interesse del militare che, saputo fra l’altro trattarsi di una valorosa partigiana e vantando egli stesso delle benemerenze abbastanza notevoli in tema di resistenza, tanto da essere stato proposto per la nomina ad ufficiale per merito di guerra, fu preso dall’argomento e si intrattenne, ripeto, in conversazione forse più di quanto non dovesse. Comunque la serietà e la capacità del maresciallo in questione affidano del suo operato, indubbiamente non da altro ispirato che da considerazioni di carattere patriottico e sentimentale. (Commenti).

Mi è comunque gradita l’occasione per attestare all’onorevole Merlin che, lungi dal diffidare di lei, il Governo ne segue l’azione con simpatia per la nobiltà degli intenti e per lo scrupolo rigoroso dei metodi. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io sono in parte sodisfatta ed in parte non lo sono, perché la risposta dell’onorevole Sottosegretario riguarda la visita del maresciallo dei carabinieri, ma non riguarda la visita della polizia.

Ho fatto questa domanda, non perché io mi preoccupi personalmente della polizia: ci sono abituata da tanti anni ed ho avuto per molti mesi la visita della polizia, dei carabinieri e dei fascisti.

La mia brava portinaia è stata una donna che ha lavorato con me nei momenti particolarmente pericolosi; è una di quelle brave portinaie di Milano a cui bisogna rendere omaggio per l’opera prestata a tutti i combattenti per la libertà durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista. La portinaia è rimasta impressionata perché le domande degli agenti di polizia erano state fatte secondo un vecchio formulario che lei conosce molto bene: – Abita qui la signora tale? – Sì, abita qui – Dove è il libro degli inquilini? – Ecco il libro degli inquilini – Che cosa fa la signora? – La signora dà lezioni private – Quali persone riceve la signora? – La portinaia risponde: io non le conosco. E questa volta si è aggiunta un’altra domanda, cioè: – la signora ha partecipato alla lotta di liberazione? Sì, ha detto la portinaia. – Con chi ha lavorato? La portinaia ha risposto: io non conosco nessuno.

Bisogna che io dica all’agente che faceva quella domanda, che io lavoravo con molti di quelli del mio partito che lavorano qui dentro e che onorano Montecitorio.

Tutto questo, dunque, mi ha impressionato perché so che analoghe visite sono state fatte ad altre persone; inoltre si parlava anche di ripristino degli schedari…

COSTANTINI. Una volta di più schedata: è un onore!

MERLIN ANGELINA. Sì, è un onore, però questo non torna ad onore di un Governo che esce da una Costituente che doveva essere il frutto fecondo di libertà, dopo una lotta che ci è costata lacrime, sangue e tante vite. Non è che si debba schedare noi, onorevole signor Sottosegretario di Stato: noi, se vogliamo lavorare per la libertà e per il bene del nostro Paese, non dobbiamo essere sorvegliati. Perché noi sappiamo difendere bene la libertà, l’abbiamo difesa anche nei tempi oscuri, quando qualcuno si vantava di essere passato sopra i cadaveri della libertà. A Milano ci sono troppe altre persone da sorvegliare, come quelle che insidiano la sicurezza della libertà italiana, alla quale io ho dato sempre tutta la mia attività seguendo così le tradizioni gloriose anche della mia famiglia. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per conoscere quali provvedimenti intendono finalmente adottare in ordine al seguente fatto, già dall’interrogante portato alla diretta conoscenza dell’onorevole Ministro della difesa fin dal 9 giugno 1947, senza ottenere a tutt’oggi evasione. Il 20 maggio 1947, in Treviso, un capitano della Divisione «Folgore», al comando di un reparto di soldati armati di mitra, occupava, espellendone il proprietario, una casa sita in Treviso, via Canova, di proprietà Pagnossin Giuseppe. Non vi erano stati, e del resto non potevano legittimamente essere emessi, provvedimenti di requisizione dell’immobile, e, tra gli altri, lo stesso sindaco di Treviso, onorevole Antonio Ferrarese, aveva preavvertito l’ufficiale in oggetto della illegittimità della preannunciata azione violenta. Nella casa in tal modo avuta libera si installò il Comando della Divisione «Folgore», che tuttora (9 settembre 1947) la occupa e la usa direttamente concorrendo nella persistente violazione del diritto e delle numerose disposizioni di legge, le quali assicurano l’inviolabilità del domicilio privato (articolo 8-bis della nuova Costituzione!) ed imporrebbero alle autorità costituite della Repubblica italiana di intervenire in difesa del diritto e della legge, tra l’altro imponendo a chicchessia il ripristino immediato della situazione giuridica preesistente all’infrazione oltre la punizione a termini di legge dell’autore di essa. Per il fatto suddetto è in corso azione penale, presso il Tribunale militare di Padova».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Con la ratifica del Trattato di pace e col conseguente esodo delle truppe alleate, le responsabilità militari della frontiera orientale sono state trasferite, com’è noto, all’esercito italiano; di conseguenza sono affluite nel Veneto alcune grandi unità dell’esercito italiano che, necessariamente, devono alloggiare e vivere nella zona, austeramente ma decorosamente.

In seguito ad intesa con la Presidenza del Consiglio, non essendo previsto che le Forze armate italiane procedessero a nuove requisizioni, è stato concordato di farle subentrare, nei limiti delle strette necessità, alle requisizioni già operate dalle truppe alleate. L’Autorità militare è quindi subentrata a quelle alleate nell’occupazione di alcuni stabili, man mano che essi sono stati sgombrati da parte alleata.

Il giorno 20 maggio ultimo scorso verso le ore 14 il Capitano Emanuele, incaricato dell’alloggiamento per Treviso dal Comando della Divisione «Folgore», avendo avuto notizia che gli alleati avevano lasciato da poco il palazzo Pagnossin in Borgo Cavour 21, si recava sul posto e subentrava agli alleati nell’occupazione del palazzo, insieme ad alcuni militari destinati alla custodia legale del medesimo.

Mentre era sulla porta, egli veniva raggiunto dal Maggiore Comandante dei carabinieri, dal proprietario del palazzo, Pagnossin figlio, e dall’avvocato di quest’ultimo, Reggiani, i quali, con vivaci argomentazioni, cercavano di far desistere l’ufficiale dall’occupazione dell’immobile. Il Capitano Emanuele, resosi conto che le persone di cui sopra ritenevano erroneamente che l’occupazione del palazzo venisse attuata in esito ad un decreto del Commissariato degli alloggi, emesso in precedenza, in favore di famiglie di ufficiali e sottufficiali dell’esercito, chiarì immediatamente e ripetutamente che egli si sostituiva agli alleati in aderenza a direttive superiori, secondo le quali il palazzo stesso sarebbe stato destinato a sede del Comando della Divisione «Folgore», del quale egli era rappresentante. Escludeva che l’occupazione venisse effettuata in esito ad un decreto di requisizione del Commissariato degli alloggi, in quanto trattavasi di impianto di un Comando militare e non di alloggio per famiglie.

Non si ravvisa pertanto nell’operato del Capitano Emanuele irregolarità, né prepotenza, al punto da giungere a quei provvedimenti che sono invocati dall’onorevole interrogante.

Il Ministero della difesa soggiunge che nel Veneto l’esercito ha applicato l’autorizzazione della Presidenza del Consiglio a subentrare nelle requisizioni degli alleati con stretta parsimonia e piena comprensione, sicché in quella Regione, con la partenza degli alleati, la situazione degli alloggi ha ottenuto un sensibilissimo miglioramento.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTANTINI. È sorprendente ed anche avvilente la risposta dell’onorevole Sottosegretario alla difesa. È sorprendente ed avvilente perché, da un posto di alta autorità, io mi attendevo una risposta che fosse conforme al diritto e alla legge: ho trovato invece, e a malincuore, una risposta che come uomo politico mi avvilisce, come uomo di legge mi fa inorridire. (Commenti).

È esatto, onorevoli colleghi: senza esclamazioni di meraviglia. Se avrete la bontà di seguirmi, ve ne darò la dimostrazione. Si è affermato che un ufficiale dell’esercito italiano avrebbe legalmente operato entrando in una casa, occupata da un privato cittadino – e ne darò la prova, prova che del resto ho già fornita al Ministero della difesa – con la forza delle armi, per installare in quella casa, nel maggio del 1947, il comando della divisione «Folgore».

E si afferma che quella casa – e qui è il falso – era ancora il 20 di maggio occupata dalle truppe alleate. Io ho la copia – naturalmente non autentica, perché non mi aspettavo un’affermazione di questo genere – del decreto di requisizione del Commissariato alloggi di Treviso, il quale, requisendo la casa per conto di cinque ufficiali e delle loro famiglie, contiene questa precisa affermazione: «derequisita da questi (gli Alleati) in data 18 maggio 1947».

Il fatto che io lamento è accaduto il 20 maggio 1947, cioè due giorni dopo la derequisizione regolarmente operata dagli alleati nei riguardi del proprietario ed occupante l’immobile. Ma, scusatemi, onorevoli colleghi: quali sono le norme che regolano la materia delle requisizioni? Io non so se, di fronte alla mia interrogazione, l’onorevole Ministro della difesa si sia curato di esaminare quali poteri potessero avere questi signori ufficiali del comando della «Folgore» in ordine alla occupazione di immobili. Ella infatti non ha detto, onorevole Sottosegretario, ed ho quindi il dovere di dirlo io, che le requisizioni per conto dell’esercito sono – o meglio erano – regolate dal decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1741, il cui articolo secondo disponeva che le requisizioni in parola erano eseguibili quando: a) è ordinata l’applicazione della legge di guerra; b) in caso di mobilitazione; c) in ogni altro caso, con determinazione del duce: non dice nemmeno della presidenza del Consiglio, ma solo del duce.

Questo decreto, onorevoli colleghi, cessata la mobilitazione, cessato lo stato di guerra, morto il duce, era decaduto e – viva Iddio! – l’onorevole Sottosegretario non sa che vi è anche un decreto del Capo provvisorio dello Stato, il quale porta la data del 16 aprile 1947, ed ha il numero 264, che stabilisce che le requisizioni disposte in applicazione delle norme approvate con il regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741 – ossia quello che ho poc’anzi citato io, giacché non ve ne sono altri, non ve ne erano altri di decreti legislativi che consentissero di portar via la casa al prossimo – cesseranno col 31 maggio 1947, ma sempre e solo per le requisizioni già in corso ai termini della legge italiana, non già quelle eseguite in conseguenza del diritto dell’occupante, di cui si valevano gli alleati. Comunque, nel capoverso dell’articolo 1 si parla di disposizioni che potrà dare la Presidenza del Consiglio, ma in ordine alla proroga delle requisizioni esistenti in base alla legge del 1940, non per crearne delle nuove; e si stabilisce – io ho il dovere di ricordarglielo – che il termine massimo per il mantenimento di tali requisizioni era appunto il 31 agosto 1947. E noi oggi siamo al 20 ottobre 1947! E questo, anche volendo invocare l’applicabilità di un decreto che non è, non può essere, logicamente applicato nella fattispecie.

Il contenuto della risposta, ho detto, è avvilente, perché, onorevole Sottosegretario, il nostro Codice, e la stessa Costituzione stabiliscono che la casa di un cittadino è sacra e inviolabile. E quando io, in Assemblea, ho proposto di fare un articolo unico relativo alla libertà della persona umana e alla libertà del domicilio, la maggioranza dei colleghi non lo ha voluto, perché bisognava dedicare al domicilio privato – ed era giusto – un articolo speciale, perché il domicilio è veramente sacro quanto è sacra la persona.

Voi mi dite: le necessità della dislocazione delle truppe. Ma pretendete di infrangere la legge, perché dislocate un Comando? Non è il fatto singolo, onorevole Sottosegretario, che interessa: è la questione di principio. Io ho la pretesa, come cittadino, e oggi anche come deputato, che i rappresentanti dell’ordine siano i primi ad essere rispettosi della legge e del diritto altrui; non i primi ad infrangerla; e poi, sentire da quei banchi che si legittima l’infrazione alla legge! È questo un fatto che costituisce reato ad opera di un Comando dell’esercito italiano.

Quando il 9 giugno mi sono rivolto al Ministro della difesa e gli ho esposto questo caso, gli ho detto: «Ministro, l’esercito della Repubblica è di tutti; non è una questione politica. L’esercito non è democristiano o socialista; l’esercito è italiano, è repubblicano. Voi difenderete il prestigio dell’esercito pretendendo proprio dall’esercito il rispetto della legge, che non può essere violata con disposizioni o circolari della Presidenza del Consiglio, perché la Presidenza del Consiglio non ha facoltà di violare la legge e la Costituzione in uno ai principä fondamentali del vivere civile del nostro Paese».

Onorevole Sottosegretario, questo è essenziale che sia ben chiaro. La democrazia non la si rispetta a parole soltanto; la libertà non è un feticcio che si adora quando siamo qua dentro: è con le opere che si insegna al popolo che la democrazia è qualche cosa di serio, che la libertà è qualche cosa di sacro; è con le opere, e soprattutto con le opere vostre, signori del Governo, con le opere nostre, colleghi nel Parlamento. Ma è anche con le opere dei signori che portano una divisa, degli ufficiali dell’esercito; è anche con le opere di questi signori che si rispetta la democrazia e la libertà. E per rispettare la democrazia e la libertà, onorevole Sottosegretario, non vi è che un modo: quello di far rispettare prima di tutto la legge; e non dire che chi ha violato la legge ha fatto bene a violarla, perché v’era uno stato di necessità. Non vi erano stati di necessità, e sarebbe falso affermarlo. Perché nel settembre scorso – e voi lo sapete, perché è impossibile che lo ignoriate, soprattutto in conseguenza della mia interrogazione – nel settembre scorso, non volendo io presentare questa interrogazione per le ragioni che non volevo ma ho dovuto dire ad alta voce oggi, mi sono rivolto al sindaco della città, il deputato democristiano Ferrarese – che oggi sfortunatamente è assente – e gli ho detto: «Senti, risolviamo la questione». «Hai tutte le ragioni – egli mi rispose – ma abbi pazienza. Ho fatto un telegramma a Cingolani, ho messo a disposizione della «Folgore» la villa Margherita, a due chilometri dalla città, una delle migliori ville che esistano nei dintorni e che era stata anch’essa occupata dagli Alleati e poi rilasciata».

Onorevoli colleghi, credete voi che i signori del comando della Folgore si siano mossi in conseguenza di questa villa messa a loro disposizione? Mai più! E allora l’onorevole Ferrarese ha fatto un telegramma diretto e personale, ma inutilmente, all’onorevole Cingolani Ministro della difesa.

Conclusione: l’interrogazione è stata fatta con urgenza, mi pare, il 15 settembre; ho avuto risposta oggi 20 ottobre; il Comando della Folgore non si è trasferito nella villa che era stata posta a sua disposizione dal Sindaco di Treviso; il Ministro, che aveva il dovere di intervenire, non è intervenuto; a situazione antigiuridica che ho denunciata – e che non può essere sanata né dalla alterazione della data né dalla ipotetica disposizione del Presidente del Consiglio, perché il Presidente del Consiglio non ha facoltà di autorizzare occupazioni a mano armata da parte dei militari – continua! (Applausi a sinistra).

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Vorrei precisare all’onorevole interrogante la questione di Villa Margherita, che è perfettamente nota al Ministero.

Due sono le esigenze locali: esigenza dell’esercito ed esigenza dell’aeronautica. Due sono i locali: Villa Pagnossin e Villa Margherita. Il problema non può essere risolto nei termini desiderati dall’onorevole interrogante…

COSTANTINI. Ma se non viene risolto, manterrete in permanenza una situazione di reato?

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Quanto agli appunti mossi dall’onorevole interrogante all’autorità militare, posso rispondere che le autorità militari si sono attenute a precise disposizioni dell’autorità superiore, come l’ufficiale si è attenuto a precise disposizioni dei suoi superiori diretti. (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io ho rivolto la domanda anche al Ministro dell’interno. Ci troviamo di fronte ad una situazione aggravata a tal punto che non si sa a chi dobbiamo rivolgerci. Il fatto è chiaro: hanno occupato questa casa contrariamente alla volontà di chi ne aveva diritto e che l’aveva avuta restituita dagli alleati, e gli attuali occupanti con la forza delle armi sono dentro e si mantengono dentro. L’autorità giudiziaria non c’entra, la autorità militare non c’entra! Cosa si deve fare? Io chiedo a voi, signori del Governo! Non esiste una legge che consenta la requisizione, ma si persiste in questa situazione! Fate una legge allora, fate una legge e stabilite che, quando occorra, si può requisire. Una volta si agiva per volontà del duce, oggi lo si farà per volontà del Presidente del Consiglio!

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cevolotto, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore agli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Caso, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale».

Questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dell’agricoltura è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone e Caso, al Ministro dei trasporti, «per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata».

Anche questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dei trasporti è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Seguono le interrogazioni dell’onorevole Cimenti:

al Ministro del tesoro, «per sapere: 1°) perché nel luglio scorso ha disposto il collocamento a riposo di pochi funzionari di gruppo A, di grado elevato, nati nel primo semestre dell’anno 1881, i quali soltanto da poco hanno raggiunto i limiti di legge; mentre funzionari molto più anziani, anche ultrasettantenni, continuano il loro lodevole servizio presso tutte le Amministrazioni statali, compresa quella delle finanze, cui il Tesoro fino a poco tempo fa è stato unito; 2°) perché sono stati esclusi da siffatta grave misura, che mette i colpiti in pietosissime condizioni economiche, date le attuali gravi contingenze della vita, i funzionari della Ragioneria generale dello Stato e degli Uffici provinciali del Tesoro, tutti dipendenti dalla stessa Amministrazione; il che giustificherebbe il sospetto di un provvedimento non obiettivo, ma inteso solamente a favorire interessi particolari; 3°) perché non ha ritenuto di uniformarsi alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 49941/43320/1 del 23 ottobre 1945, tuttora in vigore, la quale faceva obbligo alle Amministrazioni di procedere gradualmente ai collocamenti a riposo, solo dopo che, espletati i concorsi, fosse stato possibile di procedere alle conseguenti nomine in relazione ai posti vacanti. L’interrogante fa osservare che nei riguardi della carriera amministrativa del Tesoro risulta che sono scoperti oltre 160 posti, mentre l’Amministrazione di recente ha bandito un concorso per coprire soltanto una parte di essi; e la definizione di tale concorso è da ritenersi non prossima»;

al Ministro della difesa, «per conoscere: l1°) quali provvedimenti siano stati adottati a seguito di quanto il Ministero del tesoro disponeva, con suo telegramma 6 giugno 1947, n. 1718 – diretto al Ministero della difesa (Esercito) – per il rapido e meno oneroso completamento della bonifica dei campi minati, e ciò conforme anche a quanto a suo tempo suggerito dagli organi tecnici competenti dell’Ispettorato bonifica campi minati (B.C.M.); 2°) se non sia il caso, quindi, di accogliere le richieste del Ministero del tesoro, dirette a fare eseguire tutti i lavori di bonifica campi minati, attraverso il sistema degli appalti, adottando il criterio della formazione di piccoli lotti (5 o 6 milioni), da affidarsi a cooperative che assumano la totalità degli operai sminatori e diano garanzia di risolvere rapidamente questo delicato, quanto urgente problema; 3°) perché, dopo la precisazione data alla stampa dal generale ispettore del B.C.M., riguardo alle irregolarità della zona di Genova (caso Ricci), che escludono in modo assoluto qualsiasi corresponsabilità da parte delle cooperative, non sia stata sentita la necessità di smentire le affermazioni contenute in una lettera diretta alla stampa dal segretario del Sindacato nazionale sminatori, dipendente dall’Ispettorato B.C.M., con la quale si ledeva, senza giustificato motivo, il buon nome della cooperazione e si affermava che i lavori di sminamento sarebbero stati proseguiti dal gruppo di sminatori alle dirette dipendenze dell’ispettorato B.C.M., con l’esclusione, quindi, delle cooperative».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Morini e Cairo, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro del tesoro, «per conoscere con quali mezzi s’intende provvedere al ricovero nei sanatori di mezza ed alta montagna – attraverso l’Istituto nazionale di previdenza sociale – delle migliaia e migliaia di tubercolotici poveri che attendono da mesi e mesi il trasferimento; e per conoscere se non si ritiene urgente ed improrogabile l’assegnazione all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica di altri due miliardi necessari per la costruzione di nuovi sanatori, oltre quelli già assegnati».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Rispondo a nome dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. All’interrogazione dell’onorevole Morini non può, purtroppo, essere data risposta conclusiva, in quanto le richieste per determinare il capitolo di bilancio per le spese occorrenti a fronteggiare la tubercolosi, fatte in parte sul fondo lire della U.N.R.R.A. e in parte sul bilancio del Tesoro, sono ancora allo stato di discussione. Soltanto una parte dei fondi stabiliti è stata messa in concreto a disposizione dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica.

Posso, comunque, assicurare l’onorevole Morini che tutto il problema dell’assistenza ai tubercolotici è in una fase di discussione avanzata, e che si sta per giungere a conclusioni sia per il lato particolare trattato dall’onorevole Morini in questa interrogazione, sia per gli altri aspetti della questione.

E penso che prima del prossimo novembre, in occasione del Congresso che avrà luogo a Milano per celebrare Forlanini e dove verrà discusso il piano di organizzazione per la lotta contro la tubercolosi, gli studi in corso saranno già completati, in modo che si sappia in concreto quello che dovrà fare lo Stato e su quali fondi si potrà contare.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto né per il contenuto della risposta, né per l’autorità governativa da cui mi è stata data.

La mia interrogazione era rivolta anche e soprattutto al Ministro del tesoro, perché so bene che senza i fondi del Ministero del tesoro l’Alto Commissariato non può risolvere il problema, che è duplice: di immediatezza e di soluzione integrale.

Il problema immediato è quello che si riferisce alla necessità di ricoverare i 4 o 5 mila ammalati che attendono da mesi di essere curati, e per i quali tutte le pratiche sono già pronte presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Si tratta fra l’altro di 1300 assegnazioni e di 1500 trasferimenti: vi sono inoltre alcune migliaia di malati che devono essere ricoverati direttamente dagli enti provinciali.

Per la soluzione del problema del ricovero non v’è che un rimedio: attrezzare convenientemente il sanatorio di Sondalo in provincia di Sondrio, per il quale si è già preso il provvedimento di metterlo a disposizione dell’Alto Commissariato dell’igiene e della sanità. Con tutta probabilità se il Sanatorio fosse stato lasciato all’Istituto della previdenza sociale, si sarebbe potuti arrivare a ricoverare 5 mila malati, giungendo, con i turni, a 8 mila malati all’anno.

La soluzione è urgente, di una urgenza assoluta. Né d’altra parte occorrono miliardi, bastano poche decine di milioni. Il Tesoro deve risolvere questo problema. Si tratta di ricoverare queste migliaia di malati che sono il relitto della miseria, il relitto della guerra, il relitto dell’ingiustizia sociale.

L’altro problema è quello della soluzione integrale.

Occorrono almeno altri due miliardi, giacché il Tesoro ha messo a disposizione due miliardi per i sanatori, e i due miliardi sono stati ormai coperti dai progetti nelle varie parti d’Italia, ed oggi sono arrivati nuovi progetti per un ammontare di 500 o 600 milioni. Anche per questi bisognerà provvedere. Io capisco che qui ci si trova di fronte a maggiori difficoltà; ma per le poche diecine di milioni di Sondalo assolutamente non è più possibile attendere, e il Governo deve subito provvedere all’attrezzatura di questo sanatorio

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il Ministero del tesoro ha già stanziato quattro miliardi e mezzo, fra i due miliardi diretti e i due miliardi e mezzo del fondo lire U.N.R.R.A. Le altre richieste sono allo stato di discussione. Per quanto riguarda l’attrezzatura di Sondalo e l’eventuale ritorno di quel sanatorio all’Istituto della previdenza sociale, trattasi di problema non specificamente accennato nell’interrogazione dell’onorevole Morini; lo sottoporrò agli organi competenti.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Salvatore, al Ministro della difesa, «per conoscere se non ritiene doveroso ed urgente assicurare alla città di Messina il mantenimento dell’arsenale, anche nello studio alacre della possibilità di maggiore e redditizio sviluppo produttivo; tenuto conto che detto arsenale assorbe ben tremila capifamiglia tra operai, in gran parte specializzati, ed impiegati in una città dove la disoccupazione è grave e persistente, essenzialmente in conseguenza della guerra, che così ingenti danni ha causato, danni che purtroppo permangono».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN. Sottosegretario di Stato per la difesa. A seguito della situazione creatasi col trattato di pace, e per le necessità assoluta di ridurre le spese dell’amministrazione della Marina militare, lo Stato Maggiore della Marina è stato costretto a contrarre tutti i servizi periferici sopprimendo quelli non strettamente indispensabili alla nuova organizzazione. Ogni allarme relativo al trasferimento della base navale da Messina ad Augusta è però prematuro, essendo tuttora in corso studi, presso gli organi competenti, allo scopo di definire questa organizzazione che riveste particolare e delicata importanza ai fini della difesa del Paese.

Comunque, assicuro l’onorevole interrogante che, qualunque sia la decisione finale, essa sarà attuata solo dopo accurato esame e tenendosi anche nel dovuto conto la situazione degli arsenalotti e della città di Messina.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALVATORE. Prendo atto con soddisfazione delle assicurazioni date, certo che al Ministero della difesa si è consapevoli delle condizioni eccezionali e dolorosissime in cui versa la città di Messina, soprattutto, e direi quasi esclusivamente, a causa della guerra.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di vera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività».

L’interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sartor, Carbonari e Carignani, al Ministro dell’interno, «per conoscere se sia informato sulle accuse specifiche e documentate presentate contro la Società concessionaria del Casinò municipale di Venezia e consistenti in gravi irregolarità di gestione a danno della Amministrazione comunale di Venezia; se intenda intervenire con i provvedimenti di propria competenza, di fronte all’opinione pubblica edotta attraverso la stampa del grave pregiudizio a danno del comune, contro l’attuale Amministrazione comunale di Venezia, la quale continua a conservare la fiducia e la gestione del Casinò ad una Società, che, oltre a danneggiare gli interessi dell’Amministrazione comunale, ha danneggiato anche quelli dello Stato, essendo il bilancio del comune integrato dal contributo statale: se non ritenga necessaria un’azione sollecita onde convincere l’opinione pubblica che il Governo, intendendo seriamente moralizzare la vita pubblica, ha volontà e forza per severamente colpire chiunque, specie se pubblica autorità, che non abbia rigorosa cura del denaro pubblico: se ritenga necessario rivedere la legislazione in materia di gestione di case da giuoco, onde garantire un più severo necessario controllo che eviti facili imbrogli a danno della pubblica finanza; se, infine, non sia maturo il momento di fronte a questi ed altri fatti per aderire alla richiesta di tanta parte della sana opinione pubblica per la definitiva chiusura delle case da giuoco autorizzate».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Le seguenti interrogazioni sono rinviate ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, dei Ministri interrogati:

Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;

Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;

Costa, Bettiol, Merlin Angelina, e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere, per analoga proroga del termine, scadente il 31 corrente, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria»;

Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano II Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza.

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere il suo avviso sulla richiesta dell’Amministrazione comunale di Chioggia – città di 50 mila abitanti – intesa a partecipare alle trattative in corso per la stipulazione dell’accordo commerciale italo-jugoslavo.

«È da ritenere che nella negoziazione del trattato il Ministero degli affari esteri italiano possa giovarsi, per quanto non difetti di tecnici né del materiale statistico necessario, dell’offerta di rappresentanti dell’Amministrazione comunale, non essendovi del resto ragione plausibile per respingerne l’utile collaborazione, tenuto conto dell’importanza che ha la pesca nell’Adriatico, per Chioggia e per decine di Comuni minori della provincia di Venezia, cui è legata – con gli interessi nazionali – la vita di quelle laboriose popolazioni.

«Ghidetti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo si riserva di far conoscere quando intenda rispondere.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere il motivo pel quale alla provincia di Reggio Calabria, anziché il quantitativo spettante di grano, vengono inviati sfarinati e pasta alimentare (quest’ultima spesso di qualità scadente o deteriorata), con l’effetto di paralizzare l’importante industria della molitura e pastificazione (proprio mentre si afferma e riconosce da ogni parte che nelle regioni meridionali è giusto, necessario e doveroso favorire il massimo sviluppo delle industrie locali), e di aggravare il fenomeno della disoccupazione, col danno di un grande numero di esperti lavoratori che nella suddetta industria hanno collocamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) quando saranno iniziati i lavori per il famoso doppio binario Messina-Catania;
  2. b) quando le littorine attenderanno alla stazione Messina-Marittima i passeggeri che vengono dal Nord, evitando loro il gravoso trasporto di bagagli e una defaticante rincorsa, per prendere le littorine ferme alla stazione Messina-Centrale;
  3. c) quando sarà ricollocata la tettoia della stazione centrale di Catania, tolta nel periodo bellico e non più rimessa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i reali motivi che hanno indotto il Governo a procrastinare fino al 30 giugno 1948, e cioè praticamente fino a dopo la convocazione dei comizi elettorali, l’istituzione del «confino di polizia», uno dei più efficaci strumenti della dittatura fascista; provvedimento, codesto, che offende gli imprescrittibili diritti della libertà riconquistata dal popolo italiano a prezzo di sofferenze e di sangue e lede il diritto dell’Assemblea di definire quella parte della legge elettorale, sottoposta al suo esame, che riguarda la sospensione dal diritto elettorale (articolo 47 legge elettorale).

«Bencivenga».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse dei Ministri competenti per la risposta scritta.

L’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura. (Doc. I, n. 9).
  2. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Bernamonti, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 14).
  3. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo, per il reato di vilipendio delle istituzioni costituzionali. (Doc. I, n. 19).
  4. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 18 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIII.

SEDUTA DI SABATO 18 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Presentazione di una relazione:

De Palma

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nitti

Perassi

De Vita

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Corbino

Nobile

Costantini

Tosato

Targetti

Persico

Veroni

Condorelli

Nobili Tito Oro

Uberti

Presentazione di una relazione:

Colitto

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Angelucci, Fantoni e Gasparotto.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione per l’esame delle leggi elettorali, nella sua riunione di ieri, ha nominato Presidente l’onorevole Scoccimarro e Vicepresidente l’onorevole Fuschini.

Presentazione di una relazione.

DE PALMA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE PALMA. Mi onoro di presentare all’Assemblea la Relazione sul disegno di legge:

«Approvazione dello scambio di note effettuato fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate in acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, nel corso dei nostri lavori avevamo soprasseduto all’esame del secondo comma dell’articolo 52, nel quale viene inizialmente impostato il problema della costituzione dell’Assemblea Nazionale.

È giunto il momento di esaminare e risolvere tale questione.

Il secondo comma dell’articolo 52 dice:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione».

A questo comma sono stati presentati alcuni emendamenti.

L’onorevole Nitti ha proposto di sopprimerlo.

Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

NITTI. Io spero che sia tolta tutta quella parte dell’articolo 52 che riguarda l’equivoco dell’Assemblea Nazionale. Puro equivoco perché si vuole costituire – come ho accennato l’altra volta – una terza Camera al di sopra delle altre, cosa che non esiste in nessun Paese. Lo ripeto, perché vedo che si nega, facendo confusione. Assemblea Nazionale vuol dire in Francia soltanto Camera dei deputati; e poi, al di fuori della Camera dei deputati, c’è (ed è solamente in Francia in questa forma) il Consiglio della Repubblica, cioè il Senato, il quale è composto da un piccolo numero di persone.

Noi aumentiamo fino al paradosso tutti gli organi legislativi.

Noi facciamo adesso un Senato che sarà presso a poco di 550 o 600 persone, e più, con le aggiunte che si vogliono fare, aumenterà; e abbiamo una Camera dei deputati numerosissima.

E poi vogliamo fare permanente – qui è l’assurdo! – un’Assemblea, che noi chiamiamo Nazionale, ma che non ha niente a che fare con l’omonimo Senato francese, ma che non è altro che l’unione permanente di Camera dei deputati e Senato, che devono decidere d’un certo numero di questioni.

Qui è tutto l’equivoco. Perché? Perché si fissano anche le attribuzioni di questa nuova e strana Assemblea che è creata per l’occasione e che non ha, nella forma in cui è, né precedenti da noi, né precedenti altrove. Assemblee del tipo proposto sono solo prodotto di fantasia.

Lasciamo stare qualche piccolo Paese mal congegnato. Dove esiste – io domando al relatore – un’Assemblea Nazionale del tipo che si vuole formare da noi, che si sovrappone all’altra? È solo assurda fantasia.

Qual è la funzione di questo organo? In fondo, non si tratta che di riunire queste due Assemblee, Camera e Senato, perché su certe questioni determinate decidano insieme. Dunque non c’è niente di nuovo nella composizione. Si tratta solo della forzata unione di Camera e Senato per certe questioni. Finora la Camera ed il Senato si riunivano solo in una occasione solenne. Ora Camera e Senato si dovrebbero riunire, secondo l’idea che è venuta fuori non so come, per le cose più diverse e, se mi permettete, più assurde. Camera e Senato si riunirebbero in Assemblea per decidere:

Primo: la nomina del Capo dello Stato. Fin qui siamo d’accordo, è perfettamente regolare. Questo si fa in Francia e si fa nei Paesi dove è proprio dalle Camere legislative che dipende la nomina del Capo dello Stato. Questa Assemblea, che dovrebbe essere chiamata Assemblea Nazionale, esiste in Francia, nel senso che la Camera ed il Senato si riuniscono soltanto per nominare il Capo dello Stato. Ma ciò è cosa di un giorno. È come un giorno di festa. Vengono migliaia e migliaia di persone, vengono donne da tutto il Paese per assistere all’avvenimento. Non c’è niente di più solenne. La cerimonia della nomina si fa a Versaglia. Versaglia, secondo la Costituzione, doveva essere la sede della capitale, perché durante il periodo della Comune, la città di Parigi era stata in continuo subbuglio ed allora si era voluto trasportare via la capitale. Poi di nuovo è stata riportata a Parigi. Ora, le Assemblee si riuniscono a Versaglia e nominano il Capo dello Stato. Questa funzione non dura più di poche ore perché nella parte principale è assorbita dai trattenimenti che non hanno niente a che fare con l’elezione del Capo dello Stato. Quando il Presidente è eletto, si mette in una vettura e va con le Guardie della Repubblica solennemente a Parigi.

Questa è la funzione della Camera legislativa formata dalle due Camere e nient’altro che questa e finisce sempre lo stesso giorno. Ora, noi non ci fermiamo qui, perché questa sarebbe una cosa logica, ma, siccome in Italia si vuol far tutto all’in grande, si creano anche le Camere così numerose che non esistono altrove, e si danno a queste Camere funzioni che non hanno altrove. Noi siamo disposti a ingrandire tutto. Siamo un’Assemblea provvisoria che non ha altre funzioni o che non dovrebbe avere altre funzioni che fare quella Costituzione che non riusciamo a fare, perché perdiamo del tempo a discutere anche le cose più inutili.

Noi vogliamo attribuire a questa Camera legislativa nuova, questa supercamera formata, alte funzioni. Quali sono queste funzioni? Prima di tutto, fare l’elezione del Presidente. Questa funzione dura solo qualche ora. In Francia, questa riunione delle due Camere si scioglie lo stesso giorno. Ognuno va per la sua via.

Nessuno pensa mai all’assurdo di dar loro un ufficio permanente con funzioni permanenti. Questo non c’è.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è neppure qui.

NITTI. Quali sono le altre funzioni? Si è concepita una Camera nuova che si sovrappone alle due altre. Si sono poi inventate funzioni illogiche. La prima funzione, importante nell’apparenza, è di dichiarare la guerra e di regolare il momento e gli scopi della guerra. Questa funzione è soltanto ridicola, e non vi è ragione che l’assumano le due Camere riunite insieme. In tutti i paesi la Camera dei deputati e il Senato votano la guerra o non la votano. Noi non abbiamo premura; noi non siamo in condizioni di fare la guerra a nessun Paese. Disgraziatamente e opportunamente questi problemi che preoccupano gli altri popoli non ci riguardano in questo periodo della nostra storia.

In Francia, come è regolata la cosa? Il Senato e la Camera hanno funzioni diverse: il Senato studia e prepara, la Camera dei deputati vota. Ma ciò avviene in due momenti diversi e in due funzioni diverse.

Noi invece le vogliamo unire. Si riuniscono in mille persone, deputati e senatori insieme, e non sanno che fare. Stanno bene separatamente.

Voi avete votato che l’Italia non deve fare la guerra; abbiamo votato un articolo che sopprime la guerra, come se la cosa dipendesse da noi. La verità, invece, è che non possiamo fare la guerra, anche se la vogliamo. Dunque, è un problema non immediato. Ora, mille persone si riuniscono insieme per regolare questa terribile materia: se fare o non fare la guerra; bisogna per lo meno domandare se fanno o no sul serio.

Vi è poi una terza funzione, e piuttosto comica, che si vuole attribuire all’Assemblea legislativa: l’amnistia. Questa assurdità non è mai avvenuta in nessun Paese della terra. Perciò, la Camera dei deputati e il Senato, composti da oltre un migliaio di persone che non sono giuristi e fra chi solo alcuni hanno solo un’idea approssimativa della parola amnistia, si dovrebbero riunire per decidere se fare o non fare l’amnistia. Si può far ridere di più che con questa ipotesi? L’amnistia è argomento così tecnico che solamente dei giuristi professionali la devono preparare.

Io ho dovuto fare la più grossa amnistia, che mi fu rimproverata, ma della quale ho motivo di essere orgoglioso. Si vide poi che avevo ragione. L’amnistia che io feci riguardava 600 mila persone. Voi tutti, suppongo, sapete che cosa vuol dire fare una amnistia. Fare un’amnistia vuol dire rendersi conto di tutte le leggi che concernono la materia in questione. Io chiamai allora il maggior giurista e procedurista italiano del tempo, Ludovico Mortara, che era anche Ministro della giustizia, e fui assistito anche dai capi militari e soprattutto – quello di cui i miei accusatori fascisti non tennero conto quando mi vollero rimproverare questa amnistia – dai generali Diaz ed Albricci, i quali ne assunsero tutta la responsabilità dal punto di vista militare. Io chiamai questi generali per emanare l’amnistia. Vi assicuro che non riuscivo a raccapezzarmi quando mi portarono il primo schema di decreto di amnistia, con tutte quelle citazioni e riferimenti a leggi speciali. In tutta quella inviluppata materia io mi sentii confuso e pregai l’amico Mortara di venire da me per rendermi più facile lo studio, in quanto io non potevo dedicare settimane a studiare daccapo l’amnistia.

Ora voi con questo progetto volete far decidere l’amnistia da mille persone quasi tutte incompetenti. Si è mai vista una cosa più assurda e ridicola? Io suppongo che non tutti potranno essere competenti qui in questa difficile materia. Supponiamo che due o trecento persone siano più o meno informate; ma mille e più e tutti dovremo essere competenti a discutere nel dettaglio l’amnistia.

La Camera dei deputati può fare un voto, e così pure il Senato; d’accordo, ma non possono decidere l’amnistia, e tanto meno prepararla.

Quando io decisi la cosiddetta «amnistia dei disertori», la proposta venne dall’onorevole Turati, di accordo con tutti i suoi amici. Si limitarono ad esprimere un voto. Io volli riflettere: si trattava di seicentomila persone incolpate di gravi reati. Rendevano le campagne di tutta Italia oltremodo malsicure ed aumentavano il fermento degli animi che pareva ormai divenuto insostenibile. Io volli dapprima studiare dal punto di vista sociale la questione; seicentomila persone non si potevano mettere in carcere in un Paese che non ha trentamila posti soli. Tutte le cose in Italia si fanno sommariamente, un giorno per il nazionalismo, poi per il fascismo ed ora per tutte queste utopie. Prima le povere Assemblee politiche del fascismo e ora le assurde ed enormi Assemblee che ci propongono. Ebbene vi prego, signori, non possiamo fare nuovi scherzi di cattivo genere. Questa Assemblea si riunisce per decidere ogni sette anni (io proporrei ogni quattro anni come in America) la nomina del Capo dello Stato e fin qui sta bene; si riunisce poi per la guerra. Voi non farete guerre ogni giorno, perché noi non siamo in condizioni di farle e non le faremo. Cosa deve fare dunque questa Assemblea? Le amnistie: non avrebbe altra funzione che quella di fare amnistie. Questa Assemblea è particolarmente incompetente e probabilmente la maggior parte dei suoi membri non comprende che cosa giuridicamente sia un’amnistia e tutte le cognizioni che questa amnistia rende necessarie.

BOZZI. Ma l’Assemblea, secondo il progetto, ha anche il voto di fiducia.

NITTI. Voto di fiducia? come e perché? Signori, queste cose noi non siamo in condizioni di farle. Che cosa farebbe tutto l’anno questa povera Assemblea costituzionale? Io non mi preoccuperei se questa Assemblea Costituente, come risulta dagli articoli del progetto, non fosse permanente e non minacciasse di dilatarsi ancora.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non è permanente!

NITTI. Ebbene qui dovremmo costituire una superassemblea con Camere e magistrature ancora più numerose! Si arriva poi all’assurdo, di ficcare questa superassemblea anche nelle questioni in cui si tratta direttamente del Governo, perché quando, nell’attrito che si può verificare, il Governo non vuole dimettersi, o non intende dimettersi, deve essere convocata questa superassemblea di mille persone per dirimere questioni di questa natura. Tutto questo è assurdo, oltre che paradossale, tutto questo non può avere applicazioni pratiche. Lasciamole a qualche piccolo giurista, o a qualche professore, queste divagazioni. La nostra razza di professori quanto male spesso ha fatto con le migliori intenzioni!

Noi non dobbiamo legiferare e tanto meno per l’avvenire. Noi dobbiamo seguire i fatti, non li possiamo cambiare secondo la nostra volontà.

Io dunque vorrei che tutta questa parte scomparisse. Non è questione di modificare un articolo od un altro, ma di sopprimere l’Assemblea Nazionale come è stata concepita, perché l’Assemblea Nazionale come unione delle due Camere per la nomina del Presidente, e se volete per la dichiarazione di guerra, può anche andare, ma ficcarci dentro tante cose, come l’amnistia, per cui l’Assemblea diventa permanente, con uffici permanenti…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

NITTI. Ed allora, mi faccia vedere come funziona.

PERASSI, Relatore. Come la vecchia Assemblea Nazionale francese.

NITTI. L’Assemblea Nazionale francese è adesso la Camera dei Deputati.

PERASSI. Io parlo dell’Assemblea Nazionale francese della Costituzione della terza Repubblica del 1875.

NITTI. Benissimo. Allora, l’Assemblea 1875 non si è occupata dell’amnistia.

PERASSI. Si è occupata della revisione della Costituzione. Lei, come professore di scienza delle finanze, ricorderà una notevole legge francese, all’epoca del Presidente Doumergue, a proposito della tassa di ammortamento. Fu una legge costituzionale. Ed a questo scopo venne riunita a Versailles l’Assemblea Nazionale, la quale non era un organo permanente.

CLERICI. In Svizzera funziona.

NITTI. Il Presidente Doumergue a quel tempo aveva una idea non felice di fare una specie di revisione della Costituzione, senza dichiarare che doveva arrivare appunto a qualcosa che era un documento reazionario. Questo era lo scopo di Doumergue, che non ebbe fortuna, perché egli dovette subito andar via. Quindi, l’Assemblea francese non fece niente di quello che può interessare.

Un’Assemblea di carattere permanente, come questa che si vuole con l’Assemblea Nazionale proposta, non è esistita, e non esiste, perché questa Assemblea, dopo che avrà votato il Presidente della Repubblica (voi dite ogni sette anni, io penso ogni quattro) se ne va e non può fare più altro, salvo che non vogliate attribuirle l’assurdo di farle fare l’amnistia. Ma voi volete fare questa Assemblea in tale forma che le date pure un superpresidente.

PERASSI. È uno dei due.

NITTI. Sì, ma li mettete vicini come uffici.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, è escluso. Non v’è un ufficio apposito.

NITTI. Come volete allora che funzioni?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come funzionava in Francia.

NITTI. Ma in Francia l’Assemblea Nazionale si riuniva in generale a lunghi intervalli e solo per la nomina del Presidente della Repubblica per uno o due giorni al più e quasi sempre per poche ore.

Come volete che funzioni se avendo un carattere speciale di permanenza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vi è permanenza.

NITTI. Non si riunisce soltanto in una occasione. Questa Assemblea che avete creato dandole numerose funzioni, deve per forza avere un suo ufficio, e anzi numerosi uffici. Quale sede essa ha? Per un’Assemblea simile non basta nessun edificio di Roma e forse nemmeno piazza Colonna.

PERASSI. Non ha né ufficio, né sede.

PERSICO. Ha il regolamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Solo il regolamento.

NITTI. Quando stabilisce il suo regolamento stabilisce anche la sua permanenza, la sua esistenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Un regolamento deve esservi anche per una sola adunanza.

NITTI. Se l’Assemblea riunisce mille persone per fare un regolamento, deve avere degli uffici e per avere degli uffici deve proporsi dei compiti permanenti.

Ora, questa Assemblea deve finire il giorno in cui si è riunita per quello scopo determinato. Invece essa è congegnata in guisa che deve per forza rimanere permanente ed io potrei leggere tanti articoli con i quali si dimostra che l’Assemblea Nazionale non avrà nessuna voglia di andarsene a casa e che quando sarà costituita funzionerà permanentemente.

Siccome ogni organismo giuridico, come ogni organismo umano, tende a durare e svilupparsi, questa Assemblea non vorrà mai andar via immediatamente dopo essersi riunita. Il lavoro affidatole dovrebbe naturalmente finire in un brevissimo periodo che deve essere di uno o due giorni, periodo in cui le due Camere si riuniscono per eleggere il Presidente. Ma deliberare la guerra e nello stesso tempo l’amnistia e decidere delle crisi ministeriali è cosa che richiede molti giorni. Come ciò può concludersi immediatamente se affidate alle Camere riunite una funzione che ha carattere permanente? Voi dovete dire semplicemente che nei casi previsti, come per la nomina del Presidente, si riuniscono Camera e Senato, come dice la legge francese, e togliere la parola Assemblea Nazionale. In questo caso saremo d’accordo.

La Camera dei deputati ed il Senato si riuniscono per deliberare ed è finito. Allora non c’è più l’equivoco.

Perché dunque volete che le Camere riunite si diano un regolamento particolare? Vi è solo da stabilire chi presiederà queste riunioni e lo avete già stabilito. (Interruzioni dei deputati Tonello, Veroni e Persico).

Io vorrei, quindi, senza entrare in troppi dettagli, che si parlasse di Camera e Senato riuniti per quelle questioni delle quali si affida ora la decisione all’Assemblea Nazionale includendo dopo la nomina del Presidente della Repubblica ed al di fuori dell’amnistia, che è un assurdo, quanto riguarda la dichiarazione di guerra.

Dunque, la Camera ed il Senato si riuniscono; ed allora, se voi volete chiamare la riunione di queste due Camere «Assemblea Nazionale» senza dare a questa alcuna funzione e senza far sì che si possa determinare l’unione permanente di queste due Assemblee, non ci sarebbero opposizioni trattandosi di una semplice questione di denominazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siamo d’accordo.

NITTI. Allora bisognerà fare la legge con questa chiara dizione, senza parlare di regolamento, perché allora si confonderebbe.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Possiamo toglierlo.

NITTI. Io credo che se la Commissione vorrà incaricarsi di fare una revisione in questo senso, non ci sarebbe nessuna difficoltà ad essere d’accordo, e credo che, chiarito questo punto, ci saremo tolti da una penosissima situazione.

Presentazione di una relazione.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi onoro di presentare la relazione della Sottocommissione incaricata dell’esame del disegno di legge: «Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento all’articolo 52:

«Al secondo comma, alle parole: nei casi preveduti dalla Costituzione, sostituire le parole: nei casi preveduti dagli articoli 75 e 79.

«Correlativamente, sopprimere il secondo comma dell’articolo 87 e il terzo comma dell’articolo 88».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Questo emendamento è connesso con l’emendamento già svolto dall’onorevole Macrelli; credo pertanto che non abbia bisogno di ulteriore svolgimento.

Ritengo che l’Assemblea Nazionale debba avere soltanto i poteri di cui agli articoli 75 e 79 e non ritengo invece opportuno che l’Assemblea stessa deliberi in ordine a quanto è previsto nel secondo comma dell’articolo 87 e nel terzo comma dell’articolo 88.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non arrivo a comprendere la ragione e la logica di questo emendamento De Vita. Non possiamo anticipare le decisioni per date funzioni da attribuirsi all’Assemblea Nazionale, né per altre da escludersi. Checché avvenga in seguito, se si riducono le proposte di attribuzioni indicate nel progetto, il testo sempre rimarrà: «casi preveduti dalla Costituzione».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ho non sono favorevole all’Assemblea Nazionale così come è configurata nel testo della Costituzione. Credo, anzi, che in questa forma noi non potremmo più neanche prenderla in considerazione, perché l’Assemblea ha già deliberato che il Parlamento debba funzionare sul sistema della bicameralità. Qualunque cosa intacchi questo principio fondamentale, su cui l’Assemblea si è ripetutamente espressa, urterebbe, a mio giudizio, contro la disposizione generale in base alla quale noi non possiamo approvare norme che siano in contradizione con quelle precedentemente approvate. C’è però nel concetto dell’Assemblea Nazionale concepita dal progetto di Costituzione un qualche cosa che noi possiamo accettare e siamo disposti ad accettare, e cioè il funzionamento delle due Camere riunite, non più come ente avente una personalità costituzionale a sé, per decidere su determinati casi. Non starò qui a ripetere quanto è stato detto a proposito di tutti i casi che nel progetto di Costituzione richiederebbero l’intervento dell’Assemblea Nazionale: quello che, ad esempio, è stato detto a proposito dell’amnistia credo ci trovi tutti concordi. (Approvazioni).

Penso poi, che sia da escludere l’ipotesi di affidare all’Assemblea Nazionale la deliberazione della mobilitazione: ci aggrediscono, occupano il nostro territorio, e non sappiamo come e dove si dovrebbe riunire l’Assemblea Nazionale per deliberare la mobilitazione delle Forze armate. Potrebbe essere questo un argomento per chiedere che ci restituiscano le colonie, perché vi sia almeno un punto sicuro dove eventualmente l’Assemblea Nazionale potrebbe essere convocata! (Commenti).

Vi sono altri due punti che richiedono un esame accurato rispetto alla funzione da assegnare all’Assemblea Nazionale: quello della dichiarazione di guerra, per il quale si può ammettere che questo atto solenne sia compiuto dalle Camere riunite, e quello che, negli articoli dei quali l’onorevole De Vita propone la soppressione, rinvia all’Assemblea Nazionale il voto di fiducia al Governo, sia al momento in cui il Governo si forma dopo le elezioni generali, sia nell’ipotesi che una delle due Camere neghi la fiducia al Governo esistente.

Io ricordo che un principio elementare di aritmetica vuole che non si possano sommare cose eterogenee. Ora, come stanno le cose? Un senatore, dato il numero dei senatori che noi abbiamo fissato, ha in sé un duecentoquarantesimo del potere del Senato, mentre un deputato ha approssimativamente un cinquecentosessantesimo del potere della Camera. Ciascun senatore è uguale a tutti gli altri senatori, nel Senato, come ciascun deputato è uguale a tutti gli altri deputato, nella Camera. Ma, quando noi li mettiamo insieme in un organismo unico, due sono le possibilità: o noi adottiamo il criterio della ponderazione, come si usa nei numeri indici, o noi sommiamo delle frazioni che non hanno lo stesso denominatore.

È evidente, infatti, che quando noi mettiamo insieme duecentoquaranta senatori con cinquecentosessanta deputati, è come se mettessimo un organo collegiale fatto da due insieme con un organo collegiale fatto da cinque. (Commenti).

TONELLO. Sono tutti rappresentanti del popolo.

CORBINO. Un momento: spiego subito che cosa avverrebbe. Facciamo un esempio concreto. Poniamo che il Governo, ottenuta la fiducia presso la Camera dei Deputati con 30 voti di maggioranza, se la veda negata dal Senato con 5 voti di minoranza. Riuniamo allora l’Assemblea Nazionale e il Governo avrà la fiducia con 15 voti di maggioranza. Che cosa conta allora la sfiducia della seconda Camera? Non conta nulla, ed il risultato sarà che la seconda Camera, non avendo potuto rovesciare il Governo, boccerà sistematicamente tutti i disegni di legge che il Governo le sottoporrà, in quanto non le si presenta altro mezzo per uscire da questa situazione. È evidente quindi che il rimettere all’Assemblea Nazionale il voto di fiducia al Governo o l’esame del conflitto fra il voto di sfiducia di una Camera e il voto di fiducia dell’altra significa non risolvere il problema. Si noti che il caso si presenta proprio quando la fiducia o la sfiducia sono ai margini; perché un Governo, il quale, fatti i conti, veda che dalla riunione dell’Assemblea Nazionale non gli verrebbe un voto di fiducia, anche se l’ha avuto in una sola delle due Camere, si dimetterà subito. Il Governo non si dimetterà proprio nel caso in cui, fatti i conti, esso avrà la certezza che l’Assemblea Nazionale non gli dà la sfiducia. E allora, a quali conflitti andiamo incontro?

Ecco perché io ritengo che se noi vogliamo o dobbiamo accettare il principio di una riunione plenaria dei due organi costituzionali per il caso dell’elezione del Capo dello Stato ed eventualmente per la dichiarazione di guerra, dobbiamo escluderlo per tutti gli altri casi, nei quali l’Assemblea verrebbe ad avere la funzione di una Camera sola, superiore alle volontà delle due Camere che la formano, alterando o sopprimendo addirittura il principio della bicameralità, che noi abbiamo ripetutamente votato. (Applausi a destra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Lo stesso onorevole Nitti ha ricordato implicitamente che esiste qualche paese il quale ha adottato questo istituto dell’Assemblea Nazionale; e infatti, uno di questi – non so se ve ne siano altri – è la Cecoslovacchia.

L’articolo 6 della Costituzione della Cecoslovacchia dice così:

«Il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Nazionale, che si compone di due Camere: la Camera dei deputati e il Senato». E fissa poi più avanti le attribuzioni di questa Assemblea Nazionale, e dice che essa si riunisce nei casi previsti dai paragrafi 56, 59, 61 e 65. Però tutti e quattro questi paragrafi si riferiscono in realtà all’elezione del Presidente della Repubblica, perché nel paragrafo 56 si parla dell’elezione del Presidente come prima nomina; nel 59 si parla dell’elezione del Presidente in caso di morte del predecessore; nel paragrafo 61 si parla della nomina di un supplente, nel caso che il Presidente sia impedito o ammalato, e finalmente, nel paragrafo 65, si parla dell’Assemblea Nazionale riunita per accogliere il giuramento del Presidente.

In realtà, quindi, questa Assemblea Nazionale nella Costituzione cecoslovacca non ha altre funzioni che quella relativa alla nomina del Presidente della Repubblica. Essa non ha altre funzioni, nemmeno quella che si vorrebbe dare all’Assemblea Nazionale nella nostra Costituzione, per quanto riguarda il voto di sfiducia al Governo, perché il voto di sfiducia è regolato dall’articolo 78 di quella Costituzione, il quale dice così: «Se la Camera dei deputati esprime la sua sfiducia al Governo, questi deve rassegnare le dimissioni»; vale a dire che chi pronuncia la sfiducia al Governo è la Camera dei deputati, e non il Senato e nemmeno l’Assembla Nazionale.

Quindi, delle varie attribuzioni che si vorrebbero dare nella nostra Costituzione all’Assemblea Nazionale, in realtà non ce n’è che una sola che trovi un precedente nella Costituzione cecoslovacca.

Questo è quanto volevo dire. Il resto, poi, è questione di nomi: se le due Camere riunite si debbano chiamare Assemblea Nazionale, è una pura questione di denominazione. Il fatto è che se si danno a questa Assemblea Nazionale molte attribuzioni, se le si desse, ad esempio, una funzione importante come quella di pronunciare la sfiducia al Governo, indubbiamente questa Assemblea Nazionale dovrebbe avere un ufficio, essere regolarmente costituita, ecc., e sorgerebbero allora quei pericoli ai quali ha accennato l’onorevole Nitti, vale a dire che si avrebbe inevitabilmente un’Assemblea che tenderebbe a sovrapporsi alle due Camere.

Per queste ragioni sono contrario all’istituzione dell’Assemblea Nazionale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevoli colleghi, ho brevi considerazioni da fare, a titolo personale e non in rappresentanza del mio Gruppo, perché gli oratori che mi hanno preceduto hanno già enunciato qualcuno dei motivi che mi fanno contrario al funzionamento di questa Assemblea Nazionale.

La nostra Assemblea si è pronunciata a favore del sistema bicamerale, il che significa che deve aversi un funzionamento distinto e separato della Camera dei Deputati e del Senato.

Questa disposizione, questa concezione ha la sua ragion d’essere inquantoché è da ritenersi che attraverso questo separato funzionamento – che implica separato esame, separata discussione, separata decisione – sia possibile ad una Camera correggere un errore, ovviare le manchevolezze, forse anche rettificare le decisioni precipitose dell’altra Camera.

Ora, quando i due organismi si riuniscano e di essi, che sono due, se ne faccia un solo, sia pure per discutere determinati problemi, noi veniamo sostanzialmente a violare il principio della bicameralità. In effetti questa violazione è pregiudizievole anche sotto un altro punto di vista, in quanto io non credo che sia utile far discutere da Assemblee troppo numerose (anche per l’esperienza, sia pur breve, dei nostri lavori) problemi di qualche importanza e di qualche gravità. Non è detto che aumentando il numero dei partecipanti ad una discussione si moltiplichino i pregi, forse se ne moltiplicano i difetti.

Ora, fra i compiti deferiti a questa Assemblea Nazionale vi sarebbe quello dell’amnistia, su cui ci ha intrattenuti l’onorevole Nitti, quello della dichiarazione di guerra e quello del voto di fiducia o sfiducia al Governo.

Io osservo, onorevoli Colleghi, che nella questione del voto di fiducia o sfiducia al Governo – così come ci è stata prospettata dall’onorevole Corbino – sta un solo lato della questione. Vi è però un altro lato, quello della opportunità che una Assemblea di circa mille fra deputati e senatori discuta questa materia, perché abbiamo già veduto che le discussioni fatte nel solo Parlamento – Assemblea Costituente – nei riguardi della fiducia al Governo, si sono trascinate per qualche settimana per cui viene naturale chiedersi, se domani dovesse l’Assemblea Nazionale discutere la fiducia o la sfiducia al Governo, se non avremmo una carenza di Governo che durerà qualche mese.

E allora non è conveniente mantenere il funzionamento separato di questi due organismi, funzionamento che tutelerà quei principî che ci hanno determinato ad essere favorevoli al bicameralismo?

In effetti, vi può essere una materia nella quale l’Assemblea Nazionale dovrebbe convocarsi – attraverso la riunione dei componenti delle due Camere – e questa è proprio quella della nomina del Capo dello Stato perché è una funzione semplicemente elettorale, dove non si avranno delle discussioni particolari da fare, dove il compito dei singoli membri sarà quello di scrivere un nome su una scheda, mettere la scheda nell’urna e tutto sarà finito.

Ma ritengo che, al di fuori di questa funzione, l’Assemblea Nazionale non si debba riunire per nessun’altra questione e questo per le ragioni di opportunità già dette e per rispetto di quel principio di esame duplice e separato, di discussione distinta, di separata decisione che costituiscono la caratteristica del sistema bicamerale adottato a tutela della nostra democrazia.

NITTI. Chiedo, di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io devo chiarire ancora un punto.

Noi abbiamo parlato e parliamo di Assemblea Nazionale ma le parole: «Assemblea Nazionale» danno luogo a molti equivoci, perché in Francia l’Assemblea nazionale non è che la Camera dei deputati. In Italia questa espressione indica soltanto un equivoco: Camera dei deputati e Senato, non già Camera e Senato, uniti insieme.

Ma bisogna mettere in guardia contro alcune espressioni perché vi è qui proprio all’articolo 61 la conferma della mia preoccupazione, perché si dice: ciascuna Camera e l’Assemblea nazionale adottano il proprio regolamento… Ma quale regolamento? Ognuna ha il regolamento suo, ognuna si riunisce separatamente o insieme all’altra Camera, ma sempre secondo il regolamento che è stabilito.

TOSATO. E quando sono insieme?

NITTI. Funziona il regolamento solo se vi sono compiti e uffici permanenti. Ma dobbiamo ad ogni costo evitare l’equivoco non sufficientemente determinato della terza Camera.

In Francia la Costituzione ha stabilito il numero dei senatori. Ed ecco la preoccupazione dell’onorevole Corbino. La Costituzione francese ha stabilito: il numero dei senatori è determinato tassativamente. Il Senato non può essere inferiore a 250 membri né superiore a 300 membri. Quindi tutto è determinato. Ma il fatto più grave è questo. In Francia (mi riferisco alla decisione a proposito della dichiarazione di guerra) la funzione delle due Camere di fronte alla guerra è nettamente stabilita. La guerra non può essere votata dall’Assemblea nazionale senza un avviso, senza una decisione precedente del Consiglio della Repubblica, cioè del Senato. Quindi, il Consiglio della Repubblica, cioè il Senato, propone e la Camera dei deputati decide.

Queste funzioni sono nettissimamente definite.

Si deve evitare che ci sia una terza Assemblea la quale decida poi al di sopra, come avviene per le dimissioni o per le crisi ministeriali. Questa superfetazione assurda deve assolutamente scomparire. Se il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri non possono essere licenziati per un voto contrario, è assolutamente assurdo che si riuniscano poi Camera dei deputati e Senato per decidere che cosa si debba fare.

È un procedimento così tumultuario e stravagante, che non si potrà trovare una via di soluzione. Quindi, quando il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri hanno il voto contrario di una delle due Camere è inutile metterle insieme. Il Consiglio dei Ministri prenderà le decisioni che sono inevitabili: si dimetterà o verrà una crisi. Non possiamo prevedere tutte queste cose. Non sono cose che si mettono in articoli di legge. E in una ipotesi di crisi volete riunire qualche migliaio di legislatori. Non c’è nessuna sede in Roma che possa riunire questa stranissima Assemblea che non si sa che cosa sia.

Fissiamo nettamente le funzioni che devono esplicare insieme. Per questo occorrerà qualche giorno all’anno; ma senza nessun ufficio che possa avere carattere di permanenza, e senza nessuna attribuzione che possa dar luogo ad equivoci. In questo senso credo che l’opera della Commissione sia facile.

Accordiamoci su questi punti essenziali che ci liberano il cammino da questo imbarazzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. L’istituto dell’Assemblea Nazionale, quale è previsto dal progetto di Costituzione, ha turbato e turba tuttora molti onorevoli colleghi. Specialmente l’onorevole Nitti, mi pare, è intervenuto più volte nell’argomento, e qualche volta anche in termini poco amabili. Egli ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea su questa stoltezza, questa bestialità, questa mostruosità, che sarebbe l’Assemblea Nazionale: una di quelle tali cose che saranno consegnate a quel tal libro che scriverà Benedetto Croce: «Die Geschichte der Monstruositäten». Ad ogni modo, questa mattina l’onorevole Nitti, in definitiva, dopo tutto quello che ha detto, ha concluso che si tratta di un equivoco; e, in sostanza, di una questione di parole, se ho bene intesa la conclusione dei suoi interventi.

Ad ogni modo, andiamo direttamente alla sostanza. I problemi che possono sorgere intorno all’Assemblea Nazionale sono di triplice ordine: intorno alla sua natura, intorno alla sua organizzazione ed intorno ai suoi compiti.

Premetto, anzitutto, che noi oggi non siamo chiamati a decidere sulle singole attribuzioni, che potranno o non, essere accordate all’Assemblea Nazionale. Questa è questione che si dovrà decidere caso per caso, esaminando attribuzione per attribuzione.

Ho sentito da parte dei colleghi, come da parte dell’onorevole Nitti e dell’onorevole Corbino, che non si sarebbe recisamente contrari a prevedere la riunione delle due Camere per deliberare su qualche oggetto.

NITTI. Determinato.

TOSATO. L’articolo 52 – e qui mi pare sta proprio l’equivoco, nel quale è caduto l’onorevole Nitti – dice semplicemente:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione». Ed evidentemente, soltanto nei casi preveduti nella Costituzione. Si tratta di vedere quali saranno questi casi. Oggi non è il momento di discuterne. Da parte di vari banchi sento che non si è assolutamente contrari a dare qualche attribuzione alle Camere riunite insieme. Ora, se noi siamo d’accordo nel ritenere che le due Camere, su qualche oggetto, anziché deliberare separatamente, debbano deliberare congiuntamente, io mi domando: qual è la difficoltà a chiamare la riunione delle due Camere «Assemblea Nazionale»?

Mi permetto ricordare all’onorevole Nitti che il termine Assemblea Nazionale, in verità, non è proprio una invenzione nostra, perché si ritrova in molte Costituzioni; non ovunque l’Assemblea Nazionale è simile a quella prevista nel nostro progetto ed ha le stesse attribuzioni, che le abbiamo attribuito noi, ma dell’Assemblea Nazionale si fa menzione in diverse Costituzioni.

Mi permetto di ricordarne alcune: per esempio, quella a tutti nota, la legge costituzionale francese del 1875. L’articolo 2 dice esattamente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dalla maggioranza assoluta dei suffragi del Senato e della Camera dei deputati, riuniti in Assemblea Nazionale».

L’articolo 8, onorevole Nitti, dice:

«Le Camere avranno diritto, con deliberazioni separate, prese in ciascuna a maggioranza assoluta dei voti, sia spontaneamente, sia su richiesta del Presidente della Repubblica, di dichiarare che vi ha luogo alla revisione della costituzione.

«Dopo che ciascuna delle due Camere avrà preso questa risoluzione, esse si riuniranno in Assemblea Nazionale per procedere alla revisione».

«Le deliberazioni recanti la revisione della legge costituzionale, in tutto od in parte, dovranno essere prese dalla maggioranza assoluta dei membri componenti l’Assemblea Nazionale».

E questo è forse un compito molto più importante di quelli previsti dal Progetto.

Vediamo ora la Costituzione svizzera, onorevole Nitti. Intanto essa ha una premessa diversa, stabilisce gli organi: l’Assemblea federale, che si divide in due sezioni, il Consiglio degli Stati ed il Consiglio Nazionale. Ed all’articolo 92 dispone:

«Ciascun Consiglio delibera separatamente» (principio della bicameralità). Eccezioni: «Ma per le elezioni, per l’esercizio del diritto di grazia e per le decisioni in questioni di competenza, i due Consigli si riuniscono sotto la direzione della Presidenza del Consiglio Nazionale per deliberare in comune». È questa l’Assemblea federale.

Notate bene che in Svizzera l’Assemblea federale, come tale, ha competenze piuttosto notevoli, in quanto ad essa è deferita l’elezione del Consiglio federale, dei Tribunale federale, del Cancelliere, del Generale d’armata, la grazia e le questioni di competenza.

C’è poi la Costituzione austriaca del 1920 (basti ricordare tra i suoi creatori Kelsen, che è credo, un giurista rispettabile), la quale all’articolo 38 dice: «Il Consiglio nazionale ed il Consiglio dei paesi e delle professioni (cioè i due rami del Parlamento) si riuniscono in Assemblea federale in seduta pubblica comune, nella sede della prima, per ricevere il giuramento, per pronunziare la dichiarazione di guerra ed in molti altri casi previsti dalla Costituzione». Io potrei citarvi, oltre a questi casi, molti altri ancora: la Cecoslovacchia, ricordata dall’onorevole Nobile, e tutta una serie di casi in cui si fa ricorso alla riunione delle due Camere per deliberare su determinati argomenti.

Per l’elezione del Capo dello Stato si fa ricorso alla riunione delle due Camere in un solo organo nei seguenti Paesi: Francia, Svizzera, Portogallo, Polonia, Turchia, Cecoslovacchia, Austria ed Unione Sovietica, dove il «praesidium» è eletto dalle due Camere che costituiscono il Consiglio Supremo.

Le Camere vengono riunite in Assemblea Nazionale per la revisione della Costituzione in Francia, Grecia, Cile, Portogallo e Venezuela.

Per dirimere i conflitti tra le due Camere in Islanda, Portogallo, Norvegia, Iraq, Cile, Bolivia, Venezuela ed altri Paesi. In altri Stati, come ad esempio il Venezuela e l’Austria, vengono date moltissime attribuzioni all’Assemblea Nazionale.

Ripeto, oggi non si tratta di stabilire se e quali attribuzioni questa Assemblea intende deferire alla competenza delle due Camere riunite: sulle singole attribuzioni bisognerà discutere e si discuterà a fondo, specialmente su quella che, a mio avviso, è l’attribuzione principale attribuita dal Progetto all’Assemblea Nazionale, cioè l’espressione della fiducia o della sfiducia al Governo. Questo è un argomento molto grave che non si esaurisce in cinque minuti. Ma, come rilevavo prima, nessuna obiezione pregiudiziale a rimettere alla riunione delle due Camere la deliberazione su determinati argomenti.

L’onorevole Nitti rimprovera: «voi avete fatto un’Assemblea permanente che ha una propria organizzazione e che si sovrappone alle singole Camere. Io posso ammettere, dice l’onorevole Nitti, che le due Camere possano riunirsi insieme, ma assolutamente non chiamiamole Assemblea Nazionale».

Ora, onorevole Nitti, prima di tutto io direi che non bisogna fare questione di parole. Se noi siamo d’accordo nell’attribuire, sia pure in casi determinati e solo per questi casi determinati, date attribuzioni alle due Camere riunite insieme, è evidente che in tali casi la competenza a deliberare su questi determinati oggetti non spetta né alla Camera dei deputati, né al Senato, ma a quell’ente che risulta dalla riunione delle due Camere e che necessariamente è un ente a sé. Che questo ente a sé si voglia chiamare in un modo o in un altro, o che dobbiamo lasciarlo del tutto senza nome, mi pare sia una questione priva di qualsiasi importanza. Certo è che nella sostanza, se prevediamo l’ipotesi della riunione delle due Camere per deliberare su determinati argomenti, competente non è né il Senato né la Camera dei deputati, ma un nuovo organo, perché, notate bene, è un nuovo organo che sorge, sia pure riunendosi per poche ore e solo per oggetti determinati. È un organo che ha una propria competenza. Non si può sfuggire alla logica. In questo senso, istituito questo ente, non è irrazionale dargli un determinato nome.

Ma, l’onorevole Nitti dice di più: «voi mi fate un’Assemblea Nazionale permanente che si sovrappone e che finisce in fondo per distruggere il sistema bicamerale». Ora, a questo proposito, io mi permetto di rilevare ancora che oggi viene in discussione soltanto l’articolo 52 del progetto, il quale articolo 52, ripeto, stabilisce soltanto che le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione. Si forma con ciò un organo permanente che si sovrappone alle due Camere? Niente affatto. È un organo che durerà tanto quanto dura la necessità ed il tempo che occorre per l’esercizio delle sue funzioni; e non può essere considerato un organo permanente, quando quest’organo si riunisce soltanto per determinati oggetti che non implicano affatto una competenza continuativa tale da sovrapporsi e da escludere la competenza delle singole Camere.

L’onorevole Nitti però dice: «voi fate qualcosa di più di una riunione per i casi preveduti, perché prevedete un Presidente, una Presidenza, un Regolamento». Ora, onorevole Nitti, se noi, sia pure per determinati oggetti, riuniamo le due Camere, queste Camere dovranno pure avere un Presidente che le presiede. Vogliamo stabilire chi sarà il Presidente di queste due Camere riunite insieme, vogliamo non prevedere questo nella Costituzione: questa è un’altra questione, ma voi non potete negare la necessità che le due Camere riunite abbiano una persona che le presieda. Così pure per quanto riguarda il Regolamento. Potrete rinviare al Regolamento della Camera o a quello del Senato, ma indubbiamente è un fatto, una esigenza imprescindibile che, se queste due Camere si riuniscono per determinare su atti di loro competenza, dovranno pure avere una norma che regoli il procedimento della formazione della loro volontà. Sia questa norma il Regolamento della Camera; dei deputati, sia del Senato, sia un nuovo regolamento, questa è una questione di secondaria importanza. Certo è che del Regolamento non potete fare a meno.

Ed allora, onorevoli colleghi, mi pare che se voi siete tutti d’accordo che, almeno in determinati casi, le due Camere bisognerà riunirle insieme, se voi siete d’accordo che queste due Camere, come tali, avranno una propria competenza in quanto sono riunite insieme, io non capisco quali difficoltà vi siano a lasciare il testo del progetto, il quale non dice nulla di più di quello che voi stessi riconoscete essere necessario, cioè che le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io vorrei fare una proposta sospensiva di questo capoverso dell’articolo 52, in questo senso: stabiliamo prima quali sono i casi nei quali vogliamo che le due Camere si riuniscono per esercitare una certa attribuzione, e poi vediamo che cosa spunta dal complesso di questi casi. A me pare che sinora il caso sul quale ci sia un largo consenso sia solo quello della nomina del Capo dello Stato. Dunque, la cosa migliore è vedere che cosa noi vogliamo che le due Camere facciano insieme o separatamente, perché potrebbe darsi che a furia di eliminare, sorga proprio la constatazione che l’Assemblea nazionale esisterebbe soltanto nell’articolo 52 e che poi negli articoli successivi non si faccia più alcun riferimento.

Faccio perciò formale proposta di sospendere qualsiasi decisione sul capoverso dell’articolo 52 e d’incominciare a discutere, caso per caso, secondo il progetto di Costituzione, la competenza dell’Assemblea nazionale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino facendo osservare anche questo: il tenore dell’articolo 52, così come è, può dar luogo ad equivoci se si prende alla lettera. Le norme valgono anzitutto per quello che dicono.

L’articolo 52 non porta all’affermazione del principio della istituzione della terza Camera, perché prevede i casi in cui le due Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale; prevede cioè, non l’istituzione di una nuova assemblea, ma un fatto, che del resto certamente accadrà perché, almeno per la nomina del Presidente della Repubblica, le due Camere dovranno riunirsi. Se invece, si volesse sostenere che l’articolo 52 decide anche una questione di principio, cioè la questione della istituzione della terza Camera, si direbbe, a parer mio, una cosa arbitraria, perché non possiamo dare all’articolo una efficacia che non ha, fargli creare un’istituzione, un ente, di cui non parla. E allora la questione di principio non si può fare votando l’articolo 52 perché quando si è votato tale articolo non si è risolta nessuna questione del genere. Dove è il luogo in cui la questione di principio viene ad essere proposta? È agli articoli 60 e 61; l’articolo 60, infatti parla esplicitamente della Presidenza dell’Assemblea Nazionale ecc.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E allora rinviate anche questo.

TARGETTI. …e l’articolo 61 prevede i singoli regolamenti. In quel momento si verrebbe a decidere in un senso o nell’altro la questione della istituzione della terza Camera.

Per queste ragioni mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino di sospendere la votazione in merito all’articolo 52.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Non sono favorevole alla proposta dell’onorevole Corbino di sospendere, anche perché noi stiamo prendendo l’abitudine di sospendere diversi articoli che poi dovremo a suo tempo riesaminare. Non c’è bisogno di sospendere, perché, come ha spiegato benissimo l’onorevole Tosato, e come del resto è testuale nell’articolo, noi non creiamo un organismo con speciali funzioni, ma creiamo una speciale Assemblea che tutti riconoscono necessaria, cioè Camera e Senato riuniti per certi casi determinati. Che vi siano dei casi, nei quali è opportuna la riunione delle due Camere, lo ammettono tutti; non c’è dubbio. Per lo meno per la nomina del Capo dello Stato, se non si arriva alla nomina diretta, poiché allora sarebbe inutile l’Assemblea Nazionale.

Che cosa dice il capoverso dell’articolo 52? Che «le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale». È il nome Assemblea Nazionale che spaventa. Ma in fondo il Parlamento è l’Assemblea Nazionale, perché sono i due rami del Parlamento che si riuniscono insieme per adempiere a determinate funzioni. Le funzioni sono stabilite nei casi preveduti dalla Costituzione. Quando voteremo gli articoli relativi, vedremo se approvare o non tali funzioni.

L’articolo 60 stabilisce come deve essere presieduta questa speciale Assemblea – direi a sezioni riunite, Camera e Senato – e lo stabilisce in modo pratico: un anno la presidenza spetterà al Presidente della Camera dei deputati e un anno al Presidente del Senato.

Questo non vuole ancora dire che si costituisce un organo permanente. Quando si raduna l’Assemblea Nazionale, se è l’anno nel quale tocca presiedere al Presidente della Camera, presiederà il Presidente della Camera, se è l’anno nel quale tocca presiedere al Presidente del Senato, presiederà il Presidente del Senato.

Che l’Assemblea Nazionale abbia un regolamento (articolo 61) si capisce. Ogni Assemblea, anche se si riunisce una sola volta, deve avere un regolamento per il modo di deliberare, di votare, ecc. Si potrebbe dire che si regola secondo il Regolamento della Camera. E perché non secondo quello del Senato? In fondo il Regolamento che si farà, sarà simile a quello della Camera e del Senato.

Viene poi l’articolo 79: elezione del Presidente. Se ci sarà l’elezione indiretta, questa è una funzione che spetterà certo all’Assemblea Nazionale.

Segue l’articolo 88.

Questa è la funzione più delicata: quella del voto di fiducia.

CORBINO. E l’articolo 75?

PERSICO. Io non me ne occupo, perché ritengo che la Camera ed il Senato siano esse che debbono deliberare sia la mobilitazione che l’amnistia, come ho proposto in un mio emendamento sospeso. Comunque di questo discuteremo a suo tempo. Per la amnistia sono nettamente contrario all’Assemblea Nazionale, perché è una questione tecnica-politica sulla quale soltanto le Camere separatamente potranno deliberare; per quanto riguarda la guerra – come è avvenuto per la guerra del 1915-18 – noi ricordiamo che Camera e Senato, ad un’ora di distanza, votarono la dichiarazione di guerra.

Quando esamineremo gli articoli 87 e 88 vedremo sé è il caso di dare all’Assemblea Nazionale questa speciale facoltà, ed in quella occasione le considerazioni dell’onorevole Corbino potranno avere un certo valore. Si potrà rispondere che i membri dell’Assemblea Nazionale sono tutti egualmente rappresentanti del popolo e che non sono vincolati al voto che hanno dato nella Camera a cui appartengono, ecc.; ma ora si tratta soltanto di approvare il capoverso dell’articolo 52 che dice: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale». È un diritto che nessuno nega alle Camere. Potremmo chiamare questo speciale istituto «Parlamento a sezioni riunite», ma la dizione sarebbe inelegante e molto più lunga, mentre «Assemblea Nazionale» è un nome storico che ha una tradizione e che anche altri Stati hanno adottato. Io sono comunque contrario alla sospensiva e proporrei di mettere in votazione il capoverso dell’articolo 52.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io non comprendo perché non si debba adottare la proposta pratica fatta dall’onorevole Corbino. Non mi pare sia il caso di votare quest’articolo, dove si parla di un’Assemblea Nazionale, prima che si sappia che cos’è quest’Assemblea e quali sono i suoi attributi. La proposta dell’onorevole Corbino è la più pratica: prima decidiamo che cosa debbano fare queste Camere riunite, e poi, se è il caso, le chiameremo «Assemblea Nazionale» o con altra denominazione.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Il collega Nobile mi pare che non abbia riprodotto esattamente il pensiero dell’onorevole Corbino, il quale ha invece detto: sospendiamo ogni discussione sull’articolo 52 e discutiamo viceversa sui compiti che dovrà avere l’Assemblea Nazionale.

Ora, quella proposta non può essere accolta, perché noi ci dovremmo mettere a discutere sui compiti di un’Assemblea Nazionale di cui non abbiamo ancora approvato l’esistenza. Perciò io sono contrario alla proposta dell’onorevole Corbino, che è stata a sua volta male interpretata dall’onorevole Nobile.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino che mi sembra la più pratica, perché sino a quando noi non sappiamo di che contenuto dobbiamo riempire questa istituzione, non possiamo nemmeno sceglierne il nome.

Certo, si prospetteranno, nel corso dei nostri studi e deliberazioni, dei casi nei quali il Parlamento si dovrà riunire, come si è detto qui, a sezioni riunite.

Ma in tali casi, se il Parlamento non funzionerà come organo, cioè se a queste riunioni non si darà il compito di formare una volontà, cioè di prendere una decisione, sarà inutile parlare di una Assemblea Nazionale.

Noi qui abbiamo questo titolo: il Parlamento. Si usa una parola che poi non appare più nel testo della Costituzione. In realtà, cosa c’è? Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato, due Camere che si riuniscono separatamente, visto che abbiamo scelto il sistema bicamerale. Non possiamo fare altro che prevedere nella Costituzione che il Parlamento si riunisce unitamente, ma non cessa di essere il Parlamento. Perché dovremmo creare una parola nuova? Noi abbiamo soltanto il Parlamento che si riunisce unitamente – scusatemi la ripetizione che è nella parola. Il Parlamento che normalmente si riunisce separatamente è lo stesso Parlamento che per certi casi si riunisce unitamente.

Io penso che l’Assemblea Costituente dovrà creare la parola nuova «Assemblea Nazionale» se a queste riunioni plenarie dei due rami del Parlamento darà determinate funzioni. Perché, se non saranno altro che delle riunioni delle Camere per fare l’elezione del Presidente della Repubblica, o per ricevere insieme il giuramento del Presidente della Repubblica, creare la parola nuova non avrebbe nessun significato: sarebbe sempre il Parlamento che si riunisce unitamente.

Da quello che ho detto si deduce la necessità di accogliere la proposta dell’onorevole Corbino. Vediamo prima che funzioni dovranno avere queste riunioni plenarie del Parlamento e dopo potremo anche stabilire se si dovrà chiamare Parlamento riunito unitamente o se si dovrà parlare di Assemblea Nazionale.

Oggi questo non lo possiamo decidere. Penso che la discussione di oggi abbia avuto il valore di una delibazione del problema, ma che importi la necessità di rinviare ogni decisione.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Esprimo un pensiero soltanto personale, perché il nostro Gruppo non si è ancora riunito e non ha potuto prendere decisioni in proposito. Mi devo, quindi, richiamare alla preghiera che è stata rivolta all’onorevole Presidente nella seduta di ieri, perché non si proceda oggi ad alcuna votazione: d’altra parte votare sul secondo comma dell’articolo 52 potrebbe portare, malgrado ogni riserva, a pregiudicare la risoluzione migliore.

Abbiamo iniziato, come bene ha detto l’onorevole Condorelli, la delibazione del tema; questo carattere è bene mantenere oggi alla discussione.

Se qualche cosa si potesse ancora aggiungere, allo stato al quale la discussione è pervenuta, sarebbe questo: che occorre riconoscere che noi ci aggiriamo ormai entro un circolo vizioso, in quanto non ci rendiamo conto della necessità di dare alla disamina, anziché l’ordine del progetto, quello imposto dalla logica.

In altri termini non potremo uscire da questo circolo vizioso se non attraverso una mozione d’ordine; ed è tale la proposta che io mi permetto di avanzare. Si domanda sei noi dobbiamo dunque approvare la istituzione di una terza Assemblea, dal nome risonante di sacri ricordi, e dar vita così a una terza Camera destinata a rappresentare il terzo ramo di un Parlamento che si sarebbe voluto unicamerale. Un’Assemblea per giunta permanente in quanto non dovrebbe riunirsi soltanto in circostanze di formale solennità o di mera contingibilità quali la elezione del Presidente della Repubblica (art. 79), la deliberazione della mobilitazione generale, dell’entrata in guerra, dell’amnistia e dell’indulto (art. 75); che dovrebbe assurgere ad organo del Parlamento, con propria disciplina, con proprio Regolamento (art. 61), con proprio Ufficio di Presidenza (art. 60), con un Presidente che dovrebbe disimpegnare le più svariate e delicate funzioni (art. 82), e con proprio carico di mansioni ordinarie, quali la nomina del Vicepresidente e la designazione della metà dei membri del Consiglio superiore della Magistratura (art. 97), la nomina dei Giudici della Corte Costituzionale (art. 127), la risoluzione degli appelli del Governo nei casi di eccesso e di contrasto con gli interessi nazionali nell’esercizio del potere legislativo da parte dei Consigli Regionali (art. 118), la risoluzione, mediante votazione su mozioni motivate, del conflitto fra Governo e Camere dopo il voto di sfiducia (art. 88).

Queste essendo le funzioni che il progetto propone di attribuire all’Assemblea Nazionale, io penso che sia preliminare l’indagine sulla necessità, utilità e competenza di ciascuna di esse. Sarà il Parlamento che dovrà nominare il Presidente della Repubblica? E saranno istituiti la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della Magistratura? Dovrà concorrere il Parlamento alla nomina dei rispettivi membri? Sarà utile e dignitoso per il Governo l’appello alle Camere riunite dopo un voto di sfiducia? Le risposte a questi quesiti ci diranno se basterà, in casi eccezionalissimi e determinati, promuovere le deliberazioni delle due Camere riunite o creare addirittura l’organo progettato e determinarne il nome. In altri termini si precisino prima le funzioni che devono essere assolte fuor dell’ambito o al disopra di ciascuna Camera; e, siccome sono le funzioni che creano l’organo, stabiliremo poi quale sarà l’organo all’uopo più adatto per disimpegnarle. Questo è lo spirito della mia mozione d’ordine, e sono queste le ragioni per le quali non ritengo che possa essere oggi votato lo stesso comma secondo dell’articolo 52. Esaminiamo prima di tutto gli articoli che sono venuto elencando: esamineremo da ultimo l’articolo 52.

Sostanzialmente, al fondo delle considerazioni svolte da tutti gli altri colleghi, dagli onorevoli Nitti, Corbino, Tosato, Nobile e Persico, sono apparsi gli elementi che danno ragione alla mia mozione d’ordine. Nessuno di loro ha disconosciuto che, in determinate circostanze, le due Camere dovranno o potranno utilmente riunirsi per assumere corrispondenti deliberazioni. Il disaccordo si manifesta sulla estensione di questa necessità e di questa utilità. Il nostro primo esame occorrerà dunque sulla determinazione di questa estensione: quali saranno le funzioni contingibili o certe, temporanee o permanenti, che le due Camere riunite dovranno utilmente assolvere? Sarà alla fine di tale accertamento, quando queste funzioni saranno state determinate e circoscritte, che noi potremo stabilire, in base al loro carattere e alla loro portata, se un organo apposito, per il loro espletamento, dovrà essere proprio creato e quale eventualmente dovrà essere la sua figura, il suo ordinamento in armonia colle due Camere, e infine la sua denominazione.

In caso contrario non si parlerà di Assemblea Nazionale ma di Camere riunite o di Parlamento plenario. In ogni caso l’Assemblea Nazionale, formata dalle due Camere, non potrà mai costituire un terzo ramo del Parlamento ma sarà soltanto la realizzazione del modo e della forma per la contemporanea consultazione, in casi straordinari od urgenti, delle due Camere. Questa è la questione. E pertanto io ritengo che martedì prossimo, quando riprenderemo questa discussione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no: bisogna aspettare.

PRESIDENTE. È una questione che decideremo, onorevole Ruini.

NOBILI TITO ORO. …quando dunque noi riprenderemo questa discussione – io espongo, onorevole Ruini, un punto di vista personale, non comprometto niente – potremo procedere all’esame degli articoli sospesi allo scopo di orientare le nostre definitive determinazioni sul problema dell’Assemblea Nazionale.

Non ho altro da dire per ora e fervidamente mi auguro che, battendo la strada indicata, noi possiamo pervenire, anche in questa parte della Costituzione, a risoluzioni degne del conquistato ordine democratico e repubblicano. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta che ha fatto l’onorevole Corbino va chiarita nei suoi termini. Io non ho altro che da richiamare ciò che dissi nella seduta di ieri, quando si accennò alla opportunità di trattare oggi questo tema, ed io osservai che una anteriore deliberazione dell’Assemblea rimetteva la decisione, dopo che si sarebbero esaminate, al loro posto, le attribuzioni da affidarsi all’Assemblea generale.

Bisogna ad ogni modo chiarire la proposta Corbino. Che cosa dovremo fare? Rinviato l’articolo 52, dovremo rinviare anche quelle parti del 60 e del 61 che concernono modalità di funzionamento (presidenza, regolamento) e non attribuzioni dell’Assemblea generale? È bene intendersi fin da ora. Esamineremo l’articolo 75 sulla dichiarazione di guerra e sull’amnistia? E poi negli altri titoli, gli articoli attinenti all’Assemblea Nazionale? È bene intendersi fin da ora.

Sono in ogni modo lieto che si sia ieri deliberata la discussione immediata, e sono lieto che sia oggi avvenuta. Ha dissipato alcuni equivoci. Ieri l’onorevole Nitti ha investito questi poveri diavoli della Commissione dei Settantacinque con dei titoli piuttosto forti; ha usato una infinità di aggettivi…

NITTI. Li confermo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …assurdo, inconcepibile, stupefacente, miserevole, ridicolo; disposizioni da far ridere tutto il mondo. Termini che certamente non riguardano personalmente, ma i Settantacinque, che riguardano pure l’opera loro, e che pertanto sono dispiaciuti. Non dobbiamo qui nell’Assemblea criticare troppo l’opera che è in sostanza nostra, di tutti, perché tutti, anche gli amici politici più stretti dell’onorevole Nitti, facevano parte dei Settantacinque. Si può criticare, non vituperare. Le critiche eccessive ed intemperanti si ripercuotono fuori di qui, nel grosso pubblico, che si diverte un mondo a dir male dell’Assemblea, e ciò che più conta della vita politica italiana. Non parliamo dell’impressione che si fa poi all’estero. È possibile che non ci possiamo criticare senza coprirci di ridicolo?

La non buona impressione nei miei colleghi dei Settantacinque è però dissipata da quanto è avvenuto oggi. Pur riprendendo, ma in tono un po’ minore, le sue invettive, l’onorevole Nitti ha ridotto sostanzialmente la portata delle sue critiche e del dissenso dal testo della Commissione. Egli ha, infatti, ammesso che si può e si deve stabilire che le due Camere si riuniscano insieme in alcune occasioni; se non altro per l’elezione del Capo dello Stato. Lascerebbe dunque il secondo comma dell’articolo 52. Fa soltanto questione di nome; e del resto, nel suo primo intervento di oggi, è arrivato ad ammettere che, si chiami pure Assemblea Nazionale, purché non sia un organo permanente. Nel suo secondo intervento sembra ritornare, indietro, e preferire l’anonimato. Ma, insomma, se si tratta di questione di nome, perché farne una battaglia tragica, che si ripercuote fuori di qui?

In realtà l’onorevole Nitti, con la vivacità del suo ingegno, che crea essa stessa il bersaglio, è partito in battaglia contro un’idra, un’orca, un ircocervo, un serpente di mare, che non è mai esistito. L’Assemblea Nazionale non è, nel testo della Commissione, l’ente permanente, macchinoso, pericoloso, che egli ha immaginato. Non è un organo permanente. Infatti nulla è stabilito in tal senso nel progetto; dove sono attribuite all’Assemblea Nazionale funzioni che possono essere – e saranno certamente – ridotte nel corso di questa discussione; ma anche se restassero tutte, tali e quali, non darebbero occasione all’Assemblea Nazionale di riunirsi per interi anni. Cosa vi è dunque di permanente? L’Assemblea nazionale potrà benissimo funzionare (se volete lo possiamo mettere nel testo, sebbene sia un dettaglio non di sapore costituzionale) senza uffici propri, mediante quelli della Camera dei deputati e del Senato, senza aggiungervi un solo funzionario.

Si può dedurre che l’Assemblea Nazionale sia un organo permanente e macchinoso, dal fatto che l’articolo 60 dice che è presieduta dal Presidente di una delle due Camere? Anzi: vuol dire che non ha Presidente proprio; e ciò va contro la tesi dell’onorevole Nitti.

Si può dedurre che sia un organo permanente, perché per l’articolo 61 ha la facoltà di darvi un regolamento? Ma anche quando cinquanta persone si riuniscono insieme per qualsiasi deliberazione, è opportuno che vi sia un regolamento. Volete togliere l’accenno che l’Assemblea Nazionale si dia un regolamento proprio? Ebbene togliamolo; potrà essa stessa uniformarsi al Regolamento di una delle due Camere.

Insomma, questa terribile e totalitaria Assemblea Nazionale non avrebbe né Presidente proprio, né (se volete) regolamento proprio, né appositi uffici, e neppure sede e palazzo proprio, come aveva in Francia a Versailles. Potrà, nelle sue rare riunioni, stare qui a Montecitorio.

Ed allora? Che difficoltà vi può essere ad ammettere l’istituto? Vedremo le funzioni che le sono affidate nel successivo l’amnistia e l’indulto. Si passerebbe poi al Capo dello Stato e al Governo, dopo di che delibereremmo sul secondo comma dell’articolo 52.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Per economia di lavoro, propongo, modificando la proposta dell’onorevole Corbino, che ha incontrato adesione da parte di vari settori dell’Assemblea, che si esaminino oggi tutti gli emendamenti che si riferiscono all’Assemblea Nazionale, sia perché le varie proposte costituiscono tutte un blocco, una questione unica, sia perché l’illustrazione degli emendamenti servirà ad illuminare il problema. Esaminati oggi tutti gli emendamenti sarà possibile martedì decidere sia sulle funzioni che sul nome. Avremo guadagnato tempo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ma tutta questa materia noi dobbiamo considerarla nell’insieme. Siamo d’accordo che Camera e Senato possono riunirsi…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo!

NITTI. …e debbono anzi riunirsi per casi determinati. La funzione di cui tutti siamo d’accordo è l’elezione del Capo dello Stato.

Una voce. Se non è eletto dal popolo.

NITTI. Si propongono altre funzioni: la dichiarazione di guerra e l’amnistia. Altre questioni non esistono.

Però vengono poi, non in questo capitolo, ma in altri, altre questioni di natura più delicata. Se il Governo ha un voto contrario da parte di una delle Camere elettive, convoca l’Assemblea plenaria, questa solenne e assurda Assemblea, perché giudichi e dia la soluzione. È una cosa inverosimile, perché non soltanto qui si tratta di una supercamera, la quale ha la diversità (come ha detto l’onorevole Corbino) del numero dei componenti delle due Camere che deve decidere, ma si tratta di una decisione che non può essere fatta da mille persone, in un momento di concitazione. Noi sappiamo che cosa vogliono dire le crisi: nessuno dice di voler andare al Governo, ma molti si agitano per andare al Governo. (Ilarità).

Vi sono questioni di natura tale su cui non è possibile far decidere un’Assemblea di oltre mille persone. Limitiamoci dunque a quello che riguarda la riunione per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Siamo tutti d’accordo invece che non è possibile includere la materia dell’amnistia (Interruzioni). Rimane il dubbio per quanto riguarda la dichiarazione di guerra.

Vediamo chiaramente. Anche la Francia, che è il paese che ha fatto di più la guerra e se non fosse in cattive condizioni desidererebbe ancora fare la guerra, ha precisato qual è la funzione delle due Camere di fronte alla guerra, perché ha fissato che la guerra deve essere dichiarata dall’Assemblea Nazionale, ma dopo sentito l’avviso preventivo del Senato. Quindi ha considerato le due Camere in modo diverso l’una dall’altra.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il voto del Senato francese è soltanto consultivo, onorevole Nitti.

NITTI. Sì, consultivo, ma perché c’è l’Assemblea Nazionale. Quindi potremmo non occuparci della guerra. Del resto non è una questione d’immediata urgenza. Se parliamo seriamente, non ne vedo l’imminenza, e non vedo quindi la necessità che ci accapigliamo per questo. Noi non siamo in condizioni di fare la guerra, ed è inutile ora parlare di dichiarazioni di guerra. Adesso la guerra non si dichiara più. Noi non sappiamo se da un momento all’altro possa scoppiare una guerra. E allora se dovesse scoppiare, chiunque si trovi al Governo prenderà i provvedimenti che riterrà necessari e consulterà le Camere. E può darsi anche che da un momento all’altro ci si trovi in guerra senza saperlo, e quindi senza aver avuto la possibilità di consultare nessuno. Lasciamo dunque questo argomento allo stato di necessità quale possa prodursi.

Vorrei pregare in conseguenza di limitare la riunione delle due Camere al caso di nomina del Capo dello Stato.

BERTONE. Se la nomina sarà di competenza del Parlamento.

NITTI. Naturalmente. Se non sarà di competenza del Parlamento, perché così venga deciso, allora cade ogni proposta del genere.

PRESIDENTE. Ci troviamo dinanzi a proposte precise, che in fondo sono proposte di rinvio. La proposta dell’onorevole Uberti, non per il contenuto, ma per il tempo che richiederebbe la sua attuazione, non può essere accolta adesso, data l’ora tarda. Non si può cominciare subito l’esame di tutti gli emendamenti.

A coloro tuttavia che chiedono, come è implicito nella proposta Corbino, di non decidere ora, ma di rinviare per poter discutere, desidero domandare che cosa allora si è fatto stamane. Si è parlato di tutti i problemi connessi alla riunione delle Camere, trattando delle funzioni eventuali dell’Assemblea Nazionale. Di tutto ciò, stando alla proposta Corbino, dovremmo riparlare nelle prossime sedute.

Vi è anche la proposta di emettere stamane un voto che non abbia carattere preclusivo, di votare cioè sul secondo comma dell’articolo 52, restando inteso che la sua eventuale approvazione significherebbe soltanto che si ammette la possibilità di riunioni delle due Camere per certe materie, le quali dovrebbero poi essere specificate in seguito.

Si è tuttavia fatto notare che il numero dei deputati presenti questa mattina non è adeguato all’importanza della decisione da prendere. La discussione, comunque, è stata ampia e perciò proporrei che nella prossima seduta dedicata al progetto di Costituzione senz’altro si ponga in votazione il secondo comma dell’articolo 52. Verrebbe così superata la questione pregiudiziale se approvare prima l’organo o le funzioni. Se nel progetto di Costituzione la Commissione dei Settantacinque ha ritenuto che prima bisognasse fare l’affermazione sull’organo, non credo che sia necessario capovolgere qui il procedimento ed esaminare prima le funzioni. Se pertanto non sorgono obiezioni, nella prossima seduta destinata all’esame del progetto di Costituzione si voterà innanzi tutto sul secondo comma dell’articolo 52, la cui approvazione, in seguito alle dichiarazioni del Presidente della Commissione, non significa creazione di un organo stabile; successivamente si voterà sulle proposte contenute nel progetto e nei vari emendamenti circa le materie da sottoporre all’esame delle Camere riunite, limitatamente per ora a quelle riferentisi al Titolo sul Parlamento: quindi si affronteranno le questioni di cui agli articoli 60 e 61 sulla Presidenza e sul regolamento dell’Assemblea Nazionale.

(Così resta stabilito).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere i motivi che hanno determinato il recente provvedimento di sospensione del decreto di aggregazione dei mandamenti di Roccamonfina e di Mignano al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, provvedimento che procrastina, ai danni della provincia di Caserta, l’applicazione del principio costantemente seguito della coincidenza della circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa.

«Gli interroganti chiedono ancora di conoscere quali assicurazioni e precisazioni possa il Governo dare sulla revoca della disposta sospensione, di fronte alla grave agitazione manifestatasi nell’intera provincia di Caserta, giustificata dal fatto che recentemente, in applicazione dello stesso principio, i mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano sono stati trasferiti dalla circoscrizione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a quella del Tribunale di Napoli.

«Fusco, De Michele, Numeroso, Caso».

Non essendo presente alcun membro del Governo, interesserò il Ministro di grazia e giustizia perché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno disporre ulteriori sondaggi e studi per appurare l’alto valore storico e artistico delle grotte tufacee, che in numero di oltre un centinaio si trovano alle falde del Monte Jovis, in Santarcangelo di Romagna.

«L’interrogante chiede di sapere le risultanze conseguite negli studi e sondaggi finora eseguiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere gli intendimenti del Governo di fronte alla marea dilagante dei periodici, dedicati alla pornografia ed alla cronaca nera, e che traggono enormi profitti dalla speculazione sugli istinti più torbidi e esame del progetto. Voglio intanto ricordare che il progetto prevede cinque attribuzioni: due delle quali – la nomina del Capo dello Stato e di membri del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale – hanno un semplice carattere elettorale e dureranno poche ore. Anche altre due – dichiarazione di guerra ed amnistia ed indulto – saranno ben rare e si sbrigheranno sollecitamente (anche perché l’Assemblea potrà stabilire principî generali e dar criteri direttivi per l’amnistia e l’indulto). Resta la quinta funzione; il voto in appello per la fiducia e la sfiducia al Governo; che è più complicata; ma se verrà soppressa (ed io sono personalmente favorevole a sopprimerla), il carattere di permanenza, nel senso usato dall’onorevole Nitti, perderà ogni ombra di sospetto.

«Gortani»

L’onorevole Nitti ha finora dichiarato che accetta, naturalmente, l’elezione del Capo dello Stato da parte delle Camere unite (il che implica che, come avviene in altri paesi dove ha solo questa funzione, la riunione delle due Camere si chiami Assemblea Nazionale).

L’onorevole Nitti ha poi detto con grande passione che noi non potremo mai dichiarare guerre; però ha detto: «Se volete fare la dichiarazione di guerra a Camere riunite, fatelo pure». Sarebbero dunque almeno due funzioni; e basterebbero a giustificare il nome di Assemblea Nazionale, senza che, per il solo nome, diventasse il museo degli orrori che l’onorevole Nitti ci ha denunciati.

Discuteremo la questione dell’amnistia, in cui vi sono delle ragioni pro e contro. Potremo lasciare alle Camere distintamente la nomina di membri del Consiglio superiore della magistratura e di un altro istituto, che fa orrore all’onorevole Nitti, la Corte costituzionale. Discuteremo il caso del ricorso all’Assemblea Nazionale per la fiducia o sfiducia al Governo. Io sono disposto a cancellarlo. Ma dunque dove è l’abisso di contrasto che la vivace immaginazione dell’onorevole Nitti ha creduto di vedere? Se non faremo questione di nomi ma di sostanza, si potrà trovare una buona soluzione.

Non comprendo l’obiezione che l’onorevole Corbino trova nel fatto che con l’Assemblea Nazionale si violerebbe il principio della bicameralità. Ma come? Egli stesso parla di «riunione collegiale» delle due Camere. (Interruzione del deputato Corbino). Posto che l’Assemblea Nazionale non è una terza Camera permanente, ma solo una riunione delle due Camere per casi ben limitati e molto rari, non si può parlare di contradizione con la bicameralità.

Voglio finire con una dichiarazione generale. Quale è stato lo spirito che ha informato la Sottocommissione presieduta dall’onorevole Terracini, e poi la Commissione plenaria da me presieduta, nel proporre quella disgraziata Assemblea Nazionale? Non si è voluto creare un organo permanente, una terza Camera, una supercamera; non si è voluto andare verso l’unicameralità ed il totalitarismo di una Camera sola. Si è ritenuto che, poiché nel nuovo ordinamento democratico esisteranno due Camere, tutte e due elettive e di pari dignità, nulla vieta che si possano riunire insieme per deliberare su alcuni punti che rendono indispensabile o meglio si addicono ad una deliberazione comune. La Commissione ha proceduto, con molta prudenza, a determinare i casi di riunione. Potete ridurli, ma il principio deve restare, è una porta aperta all’avvenire. Noi non possiamo riprodurre oggi uno statuto del quarantotto; dobbiamo cercare – senza pericolose avventure – vie nuove. Il domani potrà consigliare che all’Assemblea Nazionale si affidino, con revisione costituzionale, altri compiti. Intanto ne stabiliamo alcuni.

Onorevoli colleghi, sono lieto che la discussione di oggi abbia sgonfiato degli equivoci, e sono disposto ad andare incontro all’onorevole Nitti, restando fermo, come egli ha ammesso, che le due Camere si possono e devono riunire insieme, per determinati compiti. Potremo dissentire soltanto sul nome; e sopra alcuni di questi determinati compiti. Ma non si può massimizzare una controversia, che deve essere ricondotta alla sua portata effettiva. E, come non è ridicola la proposta, non dovrà esserlo neppure la soluzione a cui arriveremo. (Approvazione).

Come ordine dei nostri lavori, non dico che aderisco alla proposta dell’onorevole Corbino; mi richiamo a quello che ieri prevedevo. Oggi vi è stata una utile discussione generale; esamineremo in seguito i vari punti del problema.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io penso che noi potremmo riprendere la discussione dell’articolo 75, lasciando da parte – come propone l’onorevole Ruini – gli articoli 60 e 61, perché, avendo essi carattere regolamentare interno, non potranno essere discussi che quando si sia decisa la creazione dell’organo. L’articolo 75 importa una deliberazione di principio per quel che concerne la mobilitazione, la guerra, malsani, avvelenando animi e coscienze, e sciupando grandi quantità di carta nel periodo in cui essa manca per libri e quaderni scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno inviate ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.5.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 20 ottobre 1947 alle ore 16:

Interrogazioni.

VENERDÌ 17 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXII.

SEDUTA DI VENERDÌ 17 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bozzi

Mortati

Lucifero

Tosato

Codacci Pisanelli

Persico

Carboni Angelo

Perassi

Laconi

De Vita

Buffoni

Targetti

Sicignano

Costantini

Fabbri

Nobile

Colitto

Gronchi

Moro

Bertone

Fuschini

Corbino

Uberti

Lussu

Nobili Tito Oro

Russo Perez

Tonello

Nitti

Presentazione di una relazione:

Clerici

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Abozzi, Ravagnan, Spataro e Uberti.

(Sono concessi).

Risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla soppressione del Senato, nella riunione di ieri, ha proceduto alla sua costituzione, nominando presidente l’onorevole Bonomi Ivanoe, vicepresidente l’onorevole Mortati e segretario l’onorevole Giolitti.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che ieri sera la seduta fu sospesa, su consiglio dell’onorevole Mortati, nella speranza che fosse possibile, nella mattinata di oggi, trovare una formula concordata per l’articolo 74-bis. Vorrei sapere se è stato formulato un nuovo testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, questa mattina i presenti all’adunanza del Comitato hanno formulato un testo che ha avuto il comune consenso, salvo la riserva per alcuni di sentire i loro Gruppi. Avviene così, come in molti altri casi, che le considerazioni di solidarietà politica si sovrappongono alla tecnica legislativa; e nulla si può mai considerare definitivo. Ad ogni modo il testo che ho qui, e che vi leggo, è testo del Comitato, redatto ad unanimità.

«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta e urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.

«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

Si è arrivati a questa soluzione, seguendo un ordine, un iter di ragionamento. Si è dapprima posto il quesito se conviene prendere in considerazione o mostrar di ignorare quello «stato di necessità» – come dice una prevalente dottrina – da cui dipende l’emanazione dei decreti-legge. Che vi possa essere stato di necessità – anche se non ha veste di istituto giuridico – è un principio generale di diritto largamente ammesso. A ciò si riconduce il sistema del decreto-legge; usato fra l’altro in Inghilterra, paese classicamente libero, con il successivo bill d’indennità, da parte delle Camere. È stato osservato che (a prescindere dalle particolari garanzie che dà il costume politico in Inghilterra, più che in altri paesi) quanto ivi avviene senza alcuna norma costituzionale, solo in base al costume, sembra più difficilmente ammissibile in paesi a costituzione rigida. Se non vi è norma di costituzione, non solo il decreto-legge ma lo stesso bill d’indennità resterebbero atti incostituzionali.

Per un complesso di considerazioni, alle quali hanno aderito i membri del Comitato, tranne l’onorevole Lucifero, si è ritenuto preferibile prevedere nella Costituzione, per porgli i limiti più rigorosi, il decreto-legge. Non ci ha trattenuti il timore di dare cittadinanza nella Carta costituzionale ad un atto che desta così sfavorevoli ricordi e che solleva indignazione in spiriti liberali, che non riflettono come, non mettendo nulla, si viene a facilitare ed incoraggiare l’uso dei decreti-legge, che nulla può impedire, anche il silenzio della Costituzione che significa divieto; non si avranno limiti; e così si farà, col silenzio, opera antiliberale.

Secondo punto: l’onorevole Mortati aveva avanzato una proposta per cercare di classificare e di individuare i casi nei quali poteva essere ammesso il decreto-legge. Aveva (oltre che allo stato d’assedio, che rinviava al Titolo del potere esecutivo) accennato al caso di una modifica delle tariffe doganali, in cui occorre non solo l’immediatezza, ma anche il segreto per evitare speculazioni ed altri turbamenti. Altri osservò che un caso più specifico di necessità del segreto si ha per le borse; e non solo per la loro diretta disciplina, ma anche pei provvedimenti che possono aver riflesso in borsa, ed è necessario che siano tenuti nella maggior segretezza prima di essere emanati. Se fosse possibile indicare i casi, nei quali soltanto può ammettersi il decreto-legge, sarebbe certamente la via migliore; ed il Comitato ha invitato l’onorevole Mortati a trovare una formulazione adatta e completa; ma lo stesso onorevole Mortati ha finito col riconoscere che non è possibile.

Venuta meno la soluzione di una limitazione, per così dire, di sostanza, che riducesse i casi di decreti-logge soltanto ad alcune categorie di atti, si è – passando al terzo punto nel nostro ragionamento – stabilito di ricorrere ad una limitazione di procedura, che sia molto rigorosa e tale da impedire e colpire gli abusi. Si è pertanto, nel testo che vi ho letto, determinato che non si può ricorrere al decreto-legge se non in casi straordinari di assoluta urgenza e necessità (la forma adottata non è positiva, di autorizzazione al Governo di emettere decreti-legge, ma è negativa: «non possono essere emessi»; anche le sfumature possono servire). Cert’è che, direttamente o indirettamente, si riconosce l’eventualità dei decreti-legge, ma subito si appongono i freni e i limiti più efficaci che si possano pensare.

I provvedimenti presi dal Governo devono essere immediatamente – il giorno stesso della loro emanazione – presentati alle Camere per la loro conversione in legge. Se le Camere non sono già raccolte, devono esserlo, anche se sciolte, non più tardi che entro cinque giorni. L’immediato intervento e l’apposita convocazione delle Camere è un freno molto sensibile per i Governi, che sapranno, nell’emettere decreti-legge, di dover presentarsi subito al Parlamento per affrontare un giudizio di responsabilità, che è implicito nell’atto della conversione, e nulla vieta diventi esplicito, ove il decreto-legge risulti ingiustificato ed ispirato a criteri antiliberali ed antidemocratici. Il Governo ci penserà ad emettere profluvio di decreti-legge, quando sa che basta un piccolo decretino di tal genere, per far convocare le Camere anche disciolte. Sarà di fatto un formidabile freno.

Né basta. Vi è un altro freno. Se i decreti-legge non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro presentazione alle Camere, perdono ogni efficacia. Ciò accentua il loro carattere di provvisorietà, e pone un brevissimo termine, nel quale possono aver vigore, senza che intervenga la conversione in legge.

Tali i criteri, onorevoli colleghi, che hanno ispirato la disposizione proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi, insieme con l’onorevole Cevolotto, ha presentato il testo seguente:

«Quando nei casi straordinari di urgente e assoluta necessità, il Governo emani provvedimenti aventi valore di legge, essi devono essere presentati per l’approvazione alle Camere, appositamente convocate anche se sciolte, nel termine di cinque giorni, e perdono efficacia se non siano convertiti in legge entro 90 giorni».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di illustrarlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, le ragioni che hanno portato alla redazione del testo sui decreti-legge sono state lucidamente esposte dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.

Due tesi erano e sono ancora in campo: quella la quale crede che nella Costituzione non si debba assolutamente parlare di decreto-legge e quella la quale crede che nella Costituzione si debba prevedere questa forma di legiferazione, pur straordinaria, e contenerla con una disciplina rigorosa.

Il non parlarne affatto, dato che la Costituzione, come da quasi tutti è riconosciuto, è rigida, significherebbe che il Governo, il quale adottasse un provvedimento di urgenza, verrebbe a porre in essere una norma incostituzionale, con tutte le conseguenze che da questa incostituzionalità deriverebbero, prima di tutte la possibilità di impugnativa e l’incertezza nell’ordinamento giuridico.

Si dice: a questa situazione si può porre riparo mediante un intervento successivo del Parlamento, non preveduto dalla Costituzione, mediante il ricorso al bill di indennità.

Ora, in Commissione è stato rilevato stamane che la figura del bill di indennità presenta vari inconvenienti, che sono stati anche ieri ricordati dall’onorevole Codacci Pisanelli. Ma, soprattutto, il bill di indennità mal si adatta ad una Costituzione rigida, perché la norma creata dal Governo contro la Costituzione è una norma incostituzionale; ed il Parlamento, che volesse sanare questa incostituzionalità, verrebbe di necessità a modificare la Costituzione; ed in ogni caso non verrebbe tolto l’inconveniente che ci si troverebbe di fronte ad una norma inizialmente incostituzionale e quindi priva di ogni efficacia.

Piuttosto, è sembrato conveniente disciplinare l’istituto, vorrei dire, disciplinare questo bill d’indennità, renderlo necessario, determinarne le modalità con rigore. Perché da tutti si è osservato che il fenomeno dei decreti-legge, nonostante le proteste, nonostante gli idealismi sul Parlamento, si impone come una necessità, che non è dovuta soltanto a situazioni particolari, quali le guerre. Se osserviamo la vita del nostro istituto parlamentare dal 1848 in poi, vediamo che, sia pure con un gettito maggiore o minore, il fenomeno del decreto-legge è sempre esistito. Si è tentato di giustificarlo talvolta ricorrendo alla figura della delega implicita o tacita, che scaturirebbe dal sistema parlamentare, fondato sulla fiducia. Tesi, questa, assai discutibile e meno accolta. Da altri si è detto che il fondamento della decretazione di urgenza sta nello stolto di necessità, che è esso stesso una fonte di diritto superiore alla legge: la necessità infrange ogni barriera.

Ora, certo, in un Parlamento che si curasse, non dico esclusivamente, ma prevalentemente della sua funzione legislativa, il decreto-legge dovrebbe avere una scarsa applicazione; ma purtroppo l’esperienza insegna che spesso nei Parlamenti il momento politico prevale su quello legislativo. Faccio notare che nell’attuale fase storica della società nazionale, in cui lo Stato interviene sempre più intensamente (e qui non è questione di essere liberali o socialisti; basta constatare il fenomeno) nella regolamentazione dei rapporti sociali ed anche dei rapporti economici, si determinano spesso delle situazioni di contingenza tali che è necessaria un’azione pronta ed alle volte segreta.

Richiamo soprattutto l’attenzione della Camera sul requisito della segretezza. L’onorevole Ruini ha ricordato giustamente un esempio, che è sintomatico, di tutta una serie di analoghe situazioni: un’azione di intervento sulle borse pensate mai che si possa portare alla discussione delle Camere? Un provvedimento legislativo che deve determinare un certo intervento dello Stato nella materia delle borse, renderebbe impossibile il successo, ove mancassero l’immediatezza e la segretezza del provvedimento. Di fronte al fenomeno che è sempre esistito, non solo in Italia, e sempre esisterà, per cui il Governo che rappresenta la continuità dell’azione dello Stato si trova in situazioni che gli impongono la urgente necessità di legiferare, abbiamo pensato che fosse cosa migliore prevedere il fatto, regolarlo ed arginarlo perché esso non straripi, così come in altri momenti è accaduto. D’altra parte, bisogna ricordare che il fenomeno assunse proporzioni preoccupanti quando non vi era una disciplina del decreto-legge e questo era svincolato da forme e modalità restrittive. Poi venne la legge n. 100 del 1926: ma allora si era in un’altra situazione. Il Parlamento non era più il Parlamento, per cui quella disciplina, che poteva essere apprezzabile, non aveva più il clima necessario per poter avere la giusta applicazione.

Cosa proponiamo noi in sostanza? Proponiamo che la figura del decreto-legge debba essere contemplata nella Costituzione. Non contemplarla significherebbe escluderla e significherebbe che, se il Governo l’adottasse, creerebbe norme incostituzionali, con tutte le conseguenze disastrose che sono agevolmente immaginabili.

Disciplinarla: ma come? Innanzi tutto limitando le ipotesi. Non è possibile fare una casistica: non si possono prevedere e catalogare i casi d’urgenza e di necessità che si manifestano nelle forme più svariate, secondo l’evolversi delle situazioni e l’imporsi dei fenomeni politici e sociali. Quindi abbiamo detto: «nei casi straordinari di assoluta ed urgente necessità», col che sottolineiamo che l’assoluta ed urgente necessità è il fondamento di questo potere, ed inoltre, che la straordinarietà dei casi è un limite politico rimesso alla correttezza – il problema è anche di costume – del Governo, che può comportare un controllo politico del Parlamento.

Non basta, perché il Governo, che ha emanato il decreto-legge, ha il dovere di convocare subito le Camere – entro cinque giorni mi pare sia detto nel nostro schema – anche se sciolte; e ricordo che le Camere sciolte continuano ad esercitare i loro poteri fino a che non avvenga la convocazione delle altre Camere. Vi è un controllo, adunque, immediato del Parlamento: l’esame delle Camere è subito eccitato. Ma vi è un’altra limitazione, perché il provvedimento del Governo perde efficacia, se non è convertito in legge nel termine di sessanta giorni dalla sua emanazione.

Ora, voi vedete che questo complesso di limitazioni rende veramente eccezionale l’adozione del decreto-legge e garantisce quelli che devono essere i diritti del Parlamento, in quanto questo interviene subito e controlla.

Naturalmente, questa possibilità di decretare di urgenza è limitata alle leggi ordinarie. In questo, io accetto il punto di vista dell’onorevole Codacci Pisanelli. Non so se sia il caso di dirlo espressamente; io penserei di no, ma non è configurabile che il Governo decreti di urgenza in materia costituzionale. In questa materia costituzionale vi è tutta una procedura speciale, per cui credo che nessuno potrebbe mai pensare che il Governo possa legiferare con ordinanza di urgenza in materia di questo genere.

Quindi, io credo che, circondato dalle garanzie alle quali ho fatto riferimento, l’istituto del decreto-legge possa e debba anzi trovare introduzione nella Costituzione. Fra le due vie, è quella che vede la situazione realisticamente, che constata un fenomeno e cerca di limitarne, mettendo delle maglie rigide, quelle che sono le esasperazioni e le esagerazioni che si sono verificate nel passato.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati aveva presentato il seguente comma aggiuntivo all’articolo 74:

«All’infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte indirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».

Intende svolgerlo, oppure aderisce al testo concordato?

MORTATI. Se il Presidente mi permette, dirò poche parole per giustificare il ritiro condizionato dell’emendamento.

Osservo che non sono affatto convinto di quello che ha detto l’onorevole Bozzi in ordine alla allegata indispensabilità di una disciplina dei decreti-legge. Basta, in contrario, fare riferimento a quella che è la pratica di molti Paesi, anche grandi Paesi, i quali non hanno nessuna disciplina dei decreti-legge, hanno anche una costituzione rigida, e tuttavia attendono alle loro funzioni e provvedono alle esigenze, anche impreviste, senza incontrare quelle difficoltà a cui accennava l’onorevole Bozzi.

Osservo anche che proporsi di disciplinare il caso di necessità è intrinsecamente contradittorio, come è stato di altri osservato, perché la necessità, per sua natura, potendosi presentare negli aspetti più diversi ed imprevedibili, non può mai essere racchiusa nelle maglie di una regolamentazione che esaurisca tutti i possibili casi. Per le ipotesi che sfuggono alla predeterminazione e per cui non bastano gli espedienti escogitati, rimane sempre quel tale problema di fondo di cui parlava l’onorevole Bozzi. Si può riuscire ad attenuarlo, ma non a risolverlo. Si può anche aggiungere che, secondo l’esperienza dimostra, qualsiasi tentativo di disciplina conduce al risultato di indurre a considerare come normale la via del decreto-legge, specie da parte della burocrazia ministeriale.

Si può aggiungere che si sono già previsti alcuni dei casi che in passato sono stati allegati come tipici della legiferazione di urgenza. Uno è il caso di guerra, e per esso si è già d’intesa che si provvederà con apposita disposizione; un’altra ipotesi, cui di solito si fa riferimento quando si vuole dimostrare l’esigenza di consentire i decreti-legge, è quella che riguarda il periodo dello scioglimento delle Camere. Ma anche a questa ipotesi abbiamo provveduto attraverso l’istituto della prorogatio, sancita dall’articolo 58, che prevede il mantenimento del potere delle Camere durante lo scioglimento delle Camere stesse. Ricordo che fra le ragioni addotte per giustificare questo istituto della prorogatio, si disse che esso doveva servire ad evitare il ricorso ai decreti durante il periodo di scioglimento delle Camere.

Rimane un altro caso, che è anch’esso allegato per giustificare l’uso della decretazione di urgenza: cioè il caso in cui, per evitare danni al pubblico interesse è necessario non far conoscere preventivamente il contenuto di determinati provvedimenti legislativi, come gli aumenti delle tariffe di certe imposte indirette, e gli interventi in materia di borse, mercati ecc.

Per provvedere a questa terza ipotesi io avevo suggerito un emendamento che potrebbe essere formulato in modo più comprensivo nel seguente modo: «Nel caso in cui la preventiva conoscenza del provvedimento può arrecare danno agli interessi dello Stato.

Non insisto tuttavia nel mio emendamento, almeno allo stato delle cose, e mi associo al testo concordato, del quale il Presidente della Commissione ha dato lettura. E questo faccio perché penso che se si mantiene il limite così rigido e rigoroso di convocazione delle Assemblee in esso fissato, e cioè al termine brevissimo di 5 giorni dall’emanazione del provvedimento, si pone in essere una remora sufficiente ad evitare l’abuso dei decreti-legge.

Quindi trovo che se si adotterà la proposta così formulata, il limite di contenuto per la decretazione di urgenza da me proposto può apparire non necessario Mi propongo di insistervi nel caso che questa proposta non avesse successo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, in sede di Comitato di coordinamento questa mattina non ho aderito all’emendamento che è stato illustrato dall’onorevole Ruini; ho anzi dichiarato espressamente che non avrei aderito a nessun emendamento e che mi riservavo di dire in Assemblea quale era il mio punto di vista su questa questione.

Noi siamo ad una svolta di questa nostra rivoluzione nazionale; perché il fatto che non ci siano state delle barricate non significa che in Italia non si stia compiendo una rivoluzione, anzi una serie di rivoluzioni; si sta compiendo una rivoluzione civile, cioè una rivoluzione che ha preferito la legge alle armi, e che si serve della legge emanata da organi voluti dal popolo per fare quelle trasformazioni che certe volte con molto minor successo sono state tentate con la violenza. Ma noi non dobbiamo dimenticare in nome di quali principî e in conseguenza di quali esperienze si è compiuto e si va compiendo nel nostro Paese questo esperimento di rivoluzione civile. È attraverso le esperienze della perduta libertà, è attraverso il desiderio di riacquistare la libertà, è nello sforzo di consolidare la libertà che noi abbiamo fatto quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo quello che tentiamo di fare. Non so se a queste intenzioni e soprattutto se a queste parole abbia sempre risposto sinceramente l’azione o il sentimento di chi diceva di professare queste idee; ma una cosa è certa: che la parola libertà è il denominatore comune, che, almeno come parola, tutti ci unisce e che dovremmo tutti serenamente ed obiettivamente sentire. Ed allora questa discussione che noi stiamo facendo assume un significato tutto particolare. Su questa Costituzione sono già state fissate delle norme le quali forse non hanno interpretato questa nostra esigenza di libertà.

Chiedo scusa ai colleghi se interrompo un momento perché non voglio disturbare i miei amici qui alla destra, i quali hanno per la libertà un interesse un po’ minore. (Commenti – Interruzione del deputato Guerrieri Filippo).

Il pane quotidiano è quella cosa che uno mangia senza accorgersene, ed invece bisogna essere sempre coscienti del pane che si mangia.

Noi ci troviamo ad una svolta grave, perché noi apriamo una falla nell’edificio e nel sistema. Io ho sentito con molta attenzione la dotta esposizione fatta ieri dall’onorevole Codacci Pisanelli, in modo che avessimo tutta la notte per pensarci su (Ilarità), ed ho pensato molto sulle sue parole; però in esse non ho visto altro che uno sforzo continuo di giustificare qualche cosa che non si giustifica da sé; ho visto un ricorrere a tutte quelle dottrine relative allo stato di necessità, alle misure eccezionali, alle cose straordinarie, ecc., che si vanno ricercando e rivangando o risuscitando ogni qualvolta non si trovi un fondamento sostanziale per affermare la propria tesi.

La libertà può essere garantita soltanto da leggi che non consentano eccezioni, perché, quando noi vogliamo che l’eccezione entri nel sistema, noi non sappiamo più quando e da chi si potrà porre un limite alla eccezione. Si è sempre tempestato contro il decreto-legge, di cui si usava e si abusava quando era discussa la sua costituzionalità; ma qui, badate, il decreto-legge diventa una forma ordinaria di legiferazione, perché, una volta che è entrato nel sistema, diventa una forma ordinaria, una forma a cui legittimamente si può far ricorso, una forma sulla cui legittimità arbitro primo è un settore molto limitato di quelli che sono i complessi poteri dello Stato. Nell’emendamento si parla del Governo e del Capo dello Stato (e qui entro nella parte viva dell’emendamento); ora, se accettiamo il criterio di ammettere nella nostra Costituzione una possibilità di deroga, per il potere esecutivo, contro tutte quelle garanzie che noi abbiamo cercato di costruire perché le cose si svolgano secondo una legittimità democratica, l’averci infilato dentro il Capo dello Stato, significa una grande contradizione con tutto il sistema. Questo Capo dello Stato non potrà emanare decreti aventi vigore legislativo – si dice – deliberati dal Governo se non nei casi straordinari; cioè, in altri termini, il responsabile di fronte al Paese ed alle Camere, diventa il Capo dello Stato, perché è il Capo dello Stato che è arbitro di giudicare se il caso sia straordinario o di assoluta ed urgente necessità. È lui, infatti, l’autorità suprema, è lui che firma ed assume questa responsabilità.

Noi abbiamo cercato di fare di questo Capo dello Stato una specie di simbolo che tragga la sua autorità dalla sua impotenza, e ne facciamo oggi l’uomo, che, se ha una eccessiva volontà di potenza, può diventare il più potente dello Stato. E questo solo fatto dovrebbe far pensare su questa formula, oltre che sul principio. Ed io non parlo del fatto che possano sorgere conflitti tra il Capo dello Stato ed il Governo, sulla necessità o non necessità di emanare un determinato decreto, dei conflitti fra il Capo dello Stato e le Camere, nel caso che domani il Parlamento non concordasse con il giudizio di urgenza o di necessità; non parliamo poi della procedura che dovrebbe stabilire il limite e la garanzia, la procedura della convocazione del Parlamento, delle successive discussioni e trasformazioni del decreto in legge, ecc.

Onorevoli colleghi, si è parlato qui di terremoti, di sciagure, di catastrofi; ma, quando c’è una sciagura, una catastrofe di tal genere, come riunite in cinque giorni il Parlamento?

Come lo riunite in cinque giorni il Parlamento? Qui vogliamo prendere in giro noi stessi. Se succedono fatti di questo genere, possono succedere anche fatti che non consentono di riunire il Parlamento in cinque giorni. E allora?

Allora, rimane una cosa sola. Ha detto l’onorevole Bozzi che lo stato di necessità è di per se stesso una fonte superiore del diritto, che va al di là della legge. Io faccio le mie riserve: il diritto viene dopo, non scaturisce dallo stato di necessità. Ma, in ogni modo, quando lo stato di necessità impone che si faccia qualche cosa, o nella legge, o fuori dalla legge questo qualche cosa avverrà. Ma resti a coloro che l’hanno fatto avvenire l’enorme responsabilità di aver violato la Costituzione e di poter andare incontro a tutte le conseguenze del fatto di avere violata la Costituzione.

Qui la verità è questa: che noi prevediamo che determinati fatti avverranno e vogliamo moralizzarli ed inquadrarli in un sistema democratico, al quale essi non appartengono. Essi sono deroghe che certe volte possono essere indispensabili al sistema; ma non possiamo infilarle nel sistema senza alterare profondamente e senza distruggere il sistema stesso.

È perfettamente inutile voler moralizzare quello che morale non è, o rendere democratico quello che democratico non è. Non è mettendo certe catenelle a certe persiane che si possono moralizzare le cose che avvengono dietro quelle persiane. Se i fatti avverranno – e già così ci siamo regolati per l’articolo 70 – essi troveranno la loro soluzione in se stessi, come tutte le cose del mondo; ma non possiamo assolutamente codificare quella che è stata una delle cose che abbiamo più fortemente combattuto, quello che è stato il mezzo di tutte le oppressioni, e non solo dell’oppressione fascista, ma anche di quegli esperimenti di reazione o di tentativo di soffocamento della libertà tipo Pelloux et similia. Noi non possiamo codificare questo.

L’amico Costantini una voltarmi ha detto, a proposito di alcune mie affermazioni fatte in quest’Aula, che certe volte divento un poeta della politica. Ora, io vorrei invitare l’Assemblea Costituente a voler seguire questa visione – se voi volete – anche poetica, anche sentimentale della libertà. Non è il concetto della libertà che sia fuori della natura, è il sentimento della libertà nella sua vera essenza, che sa di poter trovare dei limiti in se stessa, sa che certe volte possono esserle imposti limiti dall’esterno; ma non codifica i limiti e non può permettere che si torni nella legge agli stati di assedio o alla sospensione dei diritti di libertà.

Dove si consacra in una legge che i diritti di libertà possono essere sospesi, onorevoli colleghi, in quel Paese la libertà già non esiste più.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo una cosa sola, tanto per chiarire: che la tesi dell’onorevole Lucifero, che vuol apparire la più liberale, è in verità la più illiberale, perché permette in più larga misura gli arbitri. Egli stesso ha detto che un governo, in caso di necessità non può non ricorrere ai decreti-legge. Dunque, se non si pongono dei limiti, il governo può fare quello che vuole. La tesi dell’onorevole Lucifero è la più liberale… perché non pone vincoli all’arbitrio. Noi invece vogliamo limitare l’arbitrio con freni e prescrizioni così rigorose, che il governo non adotterà l’inevitabile male dei decreti-legge, se non in casi di vera ed assoluta necessità, tali che non potranno non essere riconosciuti dal Parlamento. Questo è spirito liberale, onorevole Lucifero. Non si può rendergli omaggio chiudendo gli occhi; coprendo la realtà con una foglia di fico. Noi si può, per un bel gesto contro i decreti-legge, per non metterli nell’arca santa della Costituzione, perché sconvenienti ed indegni, lasciare ad essi in realtà campo aperto, ed autorizzazione, col voluto silenzio, l’arbitrio. Capirei l’esplicito divieto; ma, poiché sarebbe assurdo, non si fa così, si tace, cioè si incoraggia l’arbitrio. Questo non è criterio di libertà.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. L’onorevole Lucifero non è certamente il solo ad essere contrario ai decreti-legge d’urgenza; anch’io mi sono dichiarato reiteratamente contrario all’inserzione nella Carta costituzionale dell’istituto del decreto-legge d’urgenza. Tuttavia, nel caso che l’Assemblea decida di dettare una qualche norma in materia, proporrei un emendamento al testo presentato dalla Commissione e particolarmente all’ultimo comma, proprio al fine di restringere ancora di più, per quanto è possibile, questa eventualità che dovrebbe essere rarissima.

Se non erro, il testo proposto dalla Commissione, al terzo comma, reca che i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni. Io proporrei invece: «I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti», perché, se si conserva il testo della Commissione, «perdono efficacia», resta, per conto mio, già pregiudicata la questione dell’efficacia retroattiva o meno del fatto della mancata conversione in legge dei decreti d’urgenza. Invece, dicendo senz’altro «non hanno efficacia», veniamo a dire implicitamente che la mancata conversione implica inefficacia dal momento dell’emanazione del decreto-legge. (Approvazioni).

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Desidero dire che aderisco in gran parte al testo proposto dal Comitato dei diciotto; soltanto avrei preferito che si fosse mantenuta una forma positiva e soprattutto desidero insistere sul mantenimento dell’espressione «efficacia di legge ordinaria», desidererei cioè che i decreti legge venissero ammessi solo come leggi ordinarie, escludendo quindi che con essi possano essere modificate leggi costituzionali.

Uno degli oratori che mi hanno preceduto ha espresso l’opinione che parlando di efficacia legislativa si intenda già implicitamente «ordinaria»; per maggiore garanzia dei fondamentali diritti di libertà garantiti dalla Costituzione preterirei, tuttavia, che ciò fosse espressamente specificato.

Al collega, poi, di parte liberale che così brillantemente ha parlato ora vorrei dire che ho appreso proprio dalla scuola liberale la convinzione dell’impossibilità di negare al Governo la potestà di legiferare e di negare nel tempo stesso l’opportunità che la nostra legislazione costituzionale preveda l’ipotesi di disciplinare la materia dei decreti-legge, anziché lasciare arbitro il Governo di andare contro la Costituzione. Se nulla si prevede al riguardo, il Governo resta praticamente autorizzato ad infrangere la Costituzione, in quanto essa non prevede determinate ipotesi che sicuramente, prima o poi, si vengono a verificare.

Sono d’accordo, invece, con lo stesso onorevole collega quanto all’affermazione che la necessità non possa essere interpretata come fonte di diritto in se stessa.

RUINI, Presidente della. Commissione per la Costituzione. Ma questa è teoria.

CODACCI PISANELLI. Viceversa, penso che la necessità sia uno di quei casi in cui debbono ammettersi particolari ed eccezionali forme di produzione giuridica.

Comunque, quello che interessa è di stabilire in questa sede l’opportunità che venga mantenuta la parola «ordinaria», di modo che il testo proposto dalla Commissione verrebbe così modificato:

«In casi di straordinaria e urgente necessità il Capo dello Stato potrà emanare, con suo decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, norme aventi forza di legge ordinaria. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono immediatamente convocate e si riuniranno entro cinque giorni».

Ho inoltre suggerito al Presidente l’opportunità di prevedere la sanzione dell’inefficacia.

Sulla proposta fatta da un mio collega proprio ora di aggiungere l’espressione: «i decreti-legge non hanno efficacia se non sono convertiti», osservo che questa espressione, forse, va oltre le sue stesse intenzioni, perché in tal caso i decreti-legge potrebbero essere addirittura considerati inefficaci, finché non fossero convertiti. Allora il magistrato non li applicherebbe nemmeno.

D’altra parte sono sodisfatto nel vedere che, se ho fatto riflettere per tutta la notte – come ha detto il collega prima – sul problema dei decreti-legge, tuttavia non è stato inutile, perché mi pare che quelle tali sentinelle non abbiano assolto il loro disorientante compito e che quella tale signora sia riuscita a entrare in quest’Aula!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per venire al concreto – ciascuno deciderà poi come vuole – accetto l’emendamento Tosato, che toglie del tutto valore ai decreti-legge non regolarmente convertiti; e corrisponde al concetto stesso di provvedimenti che sono completamente subordinati alla ratifica del Parlamento. Dicendo «non ha efficacia» si esclude che i rapporti posti in essere dall’emanazione del decreto-legge, alla sua reiezione restino senz’altro in vigore; ma non vuol dire neppure che non possa essere regolata la loro materia con disposizioni di legge emanate dal Parlamento nel momento della reiezione.

Posso anche concordare con l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli; se «hanno valore di legge ordinaria», vuol dire che non si possono con decreto-legge toccare le leggi costituzionali. La forma però dovrà essere a suo tempo riveduta, perché non appaiano contrasti formali con l’altra affermazione che il decreto-legge è un provvedimento straordinario. La dizione dovrà essere meglio curata.

Con queste dichiarazioni accetto i due emendamenti proposti.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei fare una semplice proposta. Il termine entro il quale deve essere convalidato il decreto-legge è stato stabilito in sessanta giorni.

A me questo termine sembra eccessivo, dato che si tratta di un provvedimento di urgenza, che la Camera e il Senato potranno spesso discutere anche in un solo giorno, in una seduta antimeridiana ed una pomeridiana. Mi. pare, perciò, che il termine di trenta giorni sia più che sufficiente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare, onorevole Persico, che il suo argomento si ritorce contro la sua proposta, perché, appena convocata, la Camera potrà, il giorno stesso se vuole, respingere ed annullare il provvedimento. Se non lo fa, bisogna lasciare un po’ di tempo, prima che avvenga la revoca automatica. Si noti che nei sessanta giorni deve avvenire anche la pubblicazione della legge di conversione.

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Vorrei invitare la Commissione a considerare attentamente l’osservazione dell’onorevole Codacci Pisanelli a proposito della proposta dell’onorevole Tosato.

L’onorevole Tosato propone di dire: «non hanno efficacia se non sono convertiti», e fa questa proposta allo scopo di ottenere una inefficacia operante ex tunc, in modo che la mancata conversione faccia cadere il provvedimento nel nulla fin dall’origine, come se non fosse stato emesso.

Però, diceva giustamente l’onorevole Codacci Pisanelli, la formula «non hanno efficacia se non sono convertiti» va oltre le intenzioni dell’onorevole Tosato, perché significa che la conversione in legge è condizione di efficacia, cioè che, fino a quando non intervenga la conversione in legge, il decreto-legge non ha efficacia.

E allora noi avremmo un periodo di tempo, cioè quello entro il quale può avvenire la conversione in legge, in cui si avrebbe un decreto-legge inapplicabile. Si tratterebbe di una condizione sospensiva, dalla quale dipenderebbe l’acquisto dell’efficacia del decreto-legge. A me pare quindi che la formula proposta dalla Commissione «perdono efficacia» sia più esatta, con l’intesa che, dicendo «perdono efficacia», si vuol dire che l’inefficacia si produce ex nunc e non ex tunc. Dire, invece, che i decreti non convertiti in legge non hanno efficacia, significa dare al Governo la facoltà di emanare decreti-legge inoperanti fino alla conversione, cioè frustrare lo scopo dell’emanazione del decreto-legge.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’ultima parte della proposta dice: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni». A me sembra che le parole «e pubblicati» siano inutili, anzi non me le spiego, perché i decreti sono necessariamente pubblicati appena firmati, e perciò prima dell’eventuale conversione. Ciò che forse si è inteso dire è che la legge di conversione deve essere pubblicata nei sessanta giorni. Ma è evidente che una legge qualsiasi, e così quella di conversione, non ha effetto se non è pubblicata. Quindi le parole «e pubblicati» sono inutili e propongo che siano soppresse.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Salva la nostra adesione o meno a questo progetto di articolo, vorrei rilevare che mi pare che l’espressione contenuta nell’ultimo periodo dell’articolo stesso si presti a qualche possibile equivoco. Qui è detto: «i decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni». Mi pare che non sia previsto il caso che le Camere, prima di 60 giorni, deliberino in senso contrario. È evidente che la Commissione aveva intenzione con questa formula di stabilire che, anche se interviene nel contempo la decisione contraria, il decreto perde efficacia. Quindi proporrei quest’altra formula: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni, o nel caso che intervenga nel frattempo una deliberazione contraria». (Commenti). Perché dalla lettura dell’articolo pare che si debba in ogni caso attendere 60 giorni perché si riscontri la inefficacia di fatto del decreto. Si potrebbe dare il caso, secondo l’articolo, che, pur essendo questo decreto inesistente legalmente perché la Camera non ha sanzionato, ciò nonostante questo decreto stesso duri per quei 60 giorni ed abbia una sua efficacia.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Laconi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’osservazione dell’onorevole Laconi è fondata nella sua sostanza, ma se noi mettiamo «se la Camera non decide in senso contrario», veniamo quasi a diminuire ciò che è già inerente al testo del Comitato. Do assicurazione all’onorevole Laconi che nella formulazione definitiva si cercherà di rendere ancora più chiaro il concetto indicato.

Quanto alla proposta dell’onorevole Perassi di non mettere le parole «e pubblicati», non ho difficoltà ad aderirvi. Non è una questione di importanza. Quel che è importante è la conversione in legge.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Desidero far notare che se si attribuisse all’emendamento proposto dall’onorevole Tosato il significato che il decreto-legge viene a perdere efficacia ex tunc, si verrebbe a creare una grande incertezza nei rapporti giuridici.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione in ordine alle osservazioni degli onorevoli Carboni e De Vita.

TOSATO. La preoccupazione manifestata dagli onorevoli Carboni e De Vita non mi pare fondata, perché una disposizione va interpretata nel contesto dell’articolo. Ora se questo articolo stabilisce che, sia pure in determinati casi e con determinate procedure, possono essere emanati decreti legge d’urgenza, è evidente che questi decreti sono emanati validamente, legalmente. Tuttavia essi hanno un valore soltanto provvisorio, condizionato al fatto della conversione in legge, e se non sono convertiti in legge, perdono efficacia.

Mi pare che lo stesso onorevole Carboni sia concorde in questo, quando riconosce l’effetto negativo della mancata conversione. Si tratta dunque d’una efficacia provvisoria condizionata alla conversione.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Credo che la formula dell’onorevole Tosato sarebbe più chiara se si dicesse: «non hanno più efficacia».

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, vuol esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Buffoni?

TOSATO. Se si adottasse la formula suggerita dall’onorevole Buffoni: «non hanno più efficacia», ciò significherebbe che la mancanza di efficacia interverrebbe dal momento soltanto in cui non si è avverato il fatto della conversione. Il che vuol dire che durante tutto il periodo sino a che questo fatto non si avveri, i decreti legge restano in piedi. Invece io volevo stabilire la responsabilità del Governo, metterlo di fronte a questa responsabilità. Il Governo emana un decreto legge d’urgenza, ed il decreto ha il suo effetto. Ma si tratta di un effetto provvisorio, condizionato ad un avvenimento, la conversione in legge. E se questa non avviene, tutti gli effetti vengono annullati, con gravi conseguenze, che certamente indurranno il Governo a ben valutare i decreti legge da emanarsi d’urgenza.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Propongo un altro emendamento, nel senso che si cominci con le parole:

«Non possono emanarsi decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».

Le ragioni di questa modificazione sono chiare e non hanno bisogno d’illustrazione. Siamo in una Repubblica che vogliamo sia parlamentare. Non v’è ragione d’indicare che è il Presidente della Repubblica che ha questo potere. L’intervento del Presidente della Repubblica è necessario, nel caso in esame, come per qualsiasi legge. Se si dice «il Presidente della Repubblica ecc.» si mette il Presidente, almeno in apparenza, in una posizione che può dare l’impressione di un potere diverso da quello che egli ha. E ciò si farebbe proprio per i decreti legge! In realtà poi è il Governo che li prepara e, ripeto, l’intervento del Presidente della Repubblica non è diverso da quello che si verifica per ogni legge.

LUCIFERO. Ma in questo caso è lui che decide!

TARGETTI. Se il Presidente della Repubblica non interviene ad emanarla, la legge rimane nel Gabinetto del Presidente del Consiglio. Non vi è, dunque, differenza.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. La seconda parte del primo comma concordato suona così:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni».

Io proporrei che si dicesse invece:

«Le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni», perché vi potrebbe essere il caso che il Governo, abusando di questa facoltà, in cinque giorni crei il fatto compiuto che non possa più essere corretto:

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Non ho che poche osservazioni da fare a quanto è stato detto e le faccio a titolo puramente personale. Mi dichiaro perfettamente d’accordo, in linea di principio, con la tesi sostenuta così brillantemente e con tanto calore dall’onorevole Lucifero, ma devo, adeguandomi alla realtà della vita quotidiana, riconoscere che il Governo non può governare, soprattutto nei periodi di vacanza parlamentare, se non gli si accorda la facoltà di emettere dei provvedimenti aventi, in linea provvisoria, valore di legge. Ma a questo punto io faccio una osservazione, dico cioè: possono essere sufficienti cinque giorni dall’emanazione del provvedimento legislativo, chiamiamolo pure decreto legislativo, per la convocazione della Camera?

Una voce al centro. C’è l’aereo.

COSTANTINI. Sì, ma bisognerebbe che ogni deputato avesse l’aereo a disposizione, e che i deputati avessero quella libertà che normalmente non hanno perché ognuno è occupato da interessi, da cure, da professioni.

Piuttosto, riconosciuta in linea di principio ed in via eccezionale la facoltà al Governo di emettere provvedimenti di urgenza, non sono tanto i cinque o i sette giorni che contano, quanto di avere a disposizione, sollecitamente, ed in linea di normalità, il numero necessario di deputati per poter ratificare il provvedimento.

Ed allora, anziché cinque, concediamo dieci giorni ed abbiamo per lo meno maggiore speranza che entro questo termine i signori deputati, adeguandosi alle necessità, si convochino a Roma. Ecco perché io propongo di prolungare il termine di con vocazione della Camera almeno a dieci giorni; il che non muta il carattere di eccezionalità del provvedimento, ma consente di contare sul numero maggiore possibile di deputati presenti per la ratifica del provvedimento che interesserà il Governo ed il Paese.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Faccio una dichiarazione brevissima, cioè che voterò contro l’istituto del decreto-legge perché ritengo che il rimedio del suo regolamento sia peggiore del male. Il regolamento è quasi sempre una autorizzazione preventiva che diminuisce la responsabilità a cui si va incontro dal potere esecutivo ricorrendo al decreto-legge. Qualora però la maggioranza della Camera non fosse della mia opinione, come credo, io mi permetterei di suggerire che forse il concetto intorno al quale si sono dibattute varie formule le più diverse, potrebbe essere concretato con le parole: «Gli effetti provvisori del decreto-legge non conservano efficacia se, ecc. ecc.». Allora risulterebbe chiaro il doppio criterio che il decreto legge ha un effetto provvisorio ma che questo viene revocato ex tunc se il decreto non è ratificato.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. In generale sono contrario alla facoltà del Governo di emanare decreti-legge. Però, dato che l’Assemblea deciderà che questa facoltà sia data, a me sembra che in un caso almeno non si dovrebbe mai concedere, vale a dire allorquando le Camere sono aperte, tranne che si tratti di provvedimenti di carattere tributario; ma per tutti gli altri provvedimenti troverei molto strano che, mentre siedono la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica, il Governo emanasse un provvedimento legislativo sul quale le Assemblee stesse potrebbero d’urgenza deliberare.

È in tal senso che, in via subordinata, desidero sia emendata l’aggiunta che si propone all’articolo 74.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La discussione, per cui la Camera dimostra interesse, è discussione tecnica ed è difficile farla in un numero molto grande di persone. Cerchiamo di concludere. Lo spirito del testo è questo: che le Camere sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni. Non mi sembra che l’emendamento Sicignano aggiunga nulla al senso di rapidità e di immediatezza, che dà il testo del Comitato. Potremo, in sede di revisione, modificare qualche espressione, ma non qui, improvvisando. Noi vogliamo, in sostanza, e non possiamo non essere tutti d’accordo, che il Governo presenti alle Camere il decreto-legge il giorno stesso dell’emanazione. Se le Camere non seggono, lo trasmetterà alle loro Presidenze. E poi i casi sono tre: o le Camere seggono già, e sono senz’altro investite dell’esame del decreto-legge. O sono in vacanza, e vengono appositamente convocate entro cinque giorni. O sono sciolte, ed anche in tal caso ha luogo l’immediata convocazione. Vedremo come si potrà dire tutto ciò, senza prolissità, ma con chiarezza.

Quanto all’osservazione dell’onorevole Nobile, osservo che la Camera può essere già convocata, ma il Governo può egualmente sentire la necessità di emettere un decreto-legge, quando vi siano esigenze di segretezza, che non sarebbero rispettate se il provvedimento dovesse discutersi dalle Camere prima di entrare in vigore.

Quanto all’osservazione dell’onorevole Targetti sarei disposto ad accettarla. Così si elimina ogni questione se si debba parlare di Governo o di Capo dello Stato. Sta di fatto che, come è nel nostro ordinamento costituzionale, il Governo decide ed assume la responsabilità; l’atto del Capo dello Stato è la forma, con cui si esplica tutto ciò; (senza volere escludere l’opera di persuasione e di moderazione che il Capo dello Stato può compiere, ed è nel suo ufficio, nei confronti del Governo, è questo in sostanza che agisce). La formulazione Targetti ha il vantaggio di apparire più drastica nella negazione iniziale dei decreti-legge se non nei casi di necessità ed urgenza, eccetera. Si aggiunga che questo articolo si connetterebbe, anche formalmente, meglio con l’antecedente, che dice: «la funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non…». Il caso dei decreti-legge sarebbe ora regolato a sé, ma quasi in parallelo. Sentiti anche altri colleghi del Comitato, accetto l’emendamento Targetti, salvo sempre revisione finale.

COSTANTINI. Circa il termine da me proposto?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che bisognerebbe rimanere a cinque. Anche se le Camere sono sciolte, con i mezzi attuali di comunicazione i deputati possono avere la possibilità di convocarsi in cinque giorni; mentre se stabiliamo dieci giorni, lasciamo una pausa di arbitrio al Governo.

PRESIDENTE. Dobbiamo passare alla votazione.

La proposta formulata dall’onorevole Crispo s’intende decaduta, data l’assenza del proponente, e così quella dell’onorevole Bozzi, perché egli aderisce al testo formulato dalla Commissione.

Così dicasi per la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, salvo le proposte che egli ha fatte e che la Commissione ha in parte accettate.

L’onorevole Persico aderisce al testo della Commissione, salvo la modifica del termine da sessanta in trenta giorni.

L’onorevole Mortati, in definitiva, accoglie la formula della Commissione.

Resta allora la formula della Commissione, coi vari emendamenti presentati nel corso di questa seduta e svolti dai rispettivi proponenti.

La prima parte del primo comma del testo della Commissione è del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».

L’onorevole Targetti ha presentato la seguente proposta, accettata dalla Commissione:

«Non si possono emanare decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sostituire alle parole «valore legislativo» le parole «valore di legge ordinaria» e mi pare che l’onorevole Ruini abbia dichiarato di accettare questa modificazione. Quindi la formulazione del primo comma cogli emendamenti suddetti è del seguente tenore:

«Non si possono emanare decreti, aventi valore di leggi ordinarie, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità.»

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io aderisco alla proposta dell’onorevole Targetti, purché all’articolo 83 – sui poteri del Presidente della Repubblica – che dovremo esaminare, al secondo comma si dica…

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, non possiamo impegnarci adesso sulla formulazione degli articoli da esaminare.

BOZZI. Allora sono contrario alla proposta Targetti: mi pare che essa risolva il problema come lo risolve lo struzzo, mettendosi la testa sotto le ali.

L’onorevole Ruini sa che vi è stata una discussione sul punto se debba essere il Governo o il Presidente della Repubblica ad emanare il decreto legge. Usare una espressione come quella proposta dall’onorevole Targetti significa eludere il problema.

Se siamo nell’intesa – per il valore che queste intese possono avere – che, quando si tratterà dell’articolo 83, diremo che il Presidente della Repubblica promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i decreti legge, allora s’intende che questo è un potere del Presidente della Repubblica e potremo adottare la formula Targetti; altrimenti insisto nella formula: «il Presidente della Repubblica…»; per la chiarezza dobbiamo dire chi deve fare questo decreto legge.

Trovo esatto il concetto espresso dall’onorevole Codacci Pisanelli che la materia costituzionale deve essere esclusa dalla sfera della decretazione d’urgenza. Ma non adotterei la forma proposta la quale dice: «non possono essere emanati decretilegge in materia ordinaria, se non nei casi… ecc.». Sembra che il Governo non possa fare i decreti in materia ordinaria, ma gli altri sì.

UBERTI. Quali altri?

BOZZI. Quelli in materia costituzionale; proprio quelli che si vogliono escludere!

Siccome la disciplina della materia costituzionale ha tutto un titolo a sé, mi pare inutile parlarne.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Propongo che si voti per divisione, separando la parola «legge» dalla parola «ordinaria».

Quando nella norma in esame si parla di legge, non si tiene conto che della sua efficacia, della sua obbligatorietà. Ora io non intendo quale differenza esista fra l’obbligatorietà della legge ordinaria e quella della legge straordinaria. Per cui penso che la parola «ordinaria» debba essere eliminata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che il significato della proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli è che non si possono con decreto di urgenza toccare le leggi costituzionali. In questo senso, e salvo la solita revisione di forma, la credo accettabile.

FABBRI. Escluso lo stato d’assedio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di questo potremo parlare in seguito, come ha proposto in Comitato l’onorevole Mortati. Non è facile, del resto, fare una determinazione lessicale dei casi di ammissione, e anche di esclusione tassativa, dei decreti-legge.

Le proposte dell’onorevole Bozzi meritano attenzione; ma non sembra che si debba entrare nell’attuale articolo in precisazioni, che risultano da altre disposizioni costituzionali sulla posizione del Capo dello Stato, che emette formalmente i provvedimenti, e del Governo che ne è responsabile. Potremo vedere se, dove l’articolo 82 dice che il Capo dello Stato emana i decreti legislativi, sia anche da aggiungere «e i decreti-legge». Ma non si può metterlo nell’articolo che ora esaminiamo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei conserva la richiesta di votazione per divisione?

COLITTO. Sì, la conservo.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione la prima parte del primo periodo, che è del seguente tenore:

«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge».

(È approvata).

Pongo in votazione ora la parola:

«ordinaria».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte di questo primo periodo:

«se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».

(È approvata).

La seconda parte del primo comma del testo della Commissione era del seguente tenore:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni».

A questa parte vi è il seguente emendamento dell’onorevole Sicignano: «In tali casi le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni». Vi è poi la proposta dell’onorevole Costantini di elevare i giorni da cinque a dieci.

Pongo in votazione la formulazione seguente, con l’emendamento dell’onorevole Sicignano:

«In tali casi le Camere debbono immediatamente riunirsi o, se sciolte, sono appositamente convocate».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la formula originale della Commissione:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate».

(È approvata).

Pongo in votazione, con l’emendamento Costantini, le seguenti parole:

«e debbono riunirsi entro 10 giorni».

(Non sono approvate).

Pongo in votazione le corrispondenti parole nel testo della Commissione:

«e debbono riunirsi entro cinque giorni».

(Sono approvate).

Passiamo all’ultimo comma. Il testo originario della Commissione era il seguente:

«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

L’onorevole Tosato propone che si dica nella prima parte:

«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».

Pongo in votazione questa formula.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Voterò contro questa formulazione perché non vi è dubbio, a mio modesto avviso, che, una volta emanato, il decreto-legge ha efficacia. Tale efficacia si può perdere, e la si può perdere ex tunc ovvero ex nunc, ma non può disconoscersi che il decreto ha efficacia nel momento in cui viene emanato.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Anche io sono contrario alla formulazione proposta dall’onorevole Tosato, perché va contro la stessa idea del proponente. In questa maniera, i decreti legge non avrebbero efficacia perché il magistrato, o chi li applica, dovrebbe attendere questa conversione. Se ammettiamo che i decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge, l’efficacia è condizionata in maniera tale che giustamente la si può negare se non sia intervenuta la conversione.

Di questo io mi preoccupo, e quindi resto fedele al testo della Commissione che mi pare più preciso e non dà luogo a divergenze di interpretazioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Ricordo che ho proposto la seguente mia formula:

«Gli effetti provvisori dei decreti non conservano efficacia se non sono ecc.».

PRESIDENTE. Porrò in votazione la prima formula con l’emendamento dell’onorevole Tosato e poi con l’emendamento dell’onorevole Fabbri.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Vorrei proporre una formula sodisfacente per tutti, che potrebbe essere questa:

«I decreti sono da considerarsi senza efficacia quando non vengano convertiti in legge entro sessanta giorni». (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, aderisce alla formulazione dell’onorevole Gronchi?

TOSATO. Conservo la mia.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma nella formulazione dell’onorevole Tosato:

«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».

(Non è approvata).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Siccome mi pare che queste votazioni si stanno facendo non sulla sostanza, ma sulla forma, per cui taluni ammettono la perdita di efficacia retroattivamente, ma adottano una formula non chiara, io proporrei di votare il concetto, poi il Comitato di coordinamento adotterà i termini più appropriati per esprimerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Concordo.

PRESIDENTE. Se ciò corrisponde al pensiero dei colleghi, il problema si risolve votando una qualunque delle formule proposte. (Commenti).

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Credo che si potrebbe votare la formulazione: «I decreti perdono efficacia con effetto retroattivo se non sono ecc.», e poi si troverà una formula più esatta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In una gara così improvvisata di formulazioni, vi è il pericolo che esse diano luogo ad incertezze di interpretazione. Il punto in discussione è se il provvedimento non convertito in legge perda efficacia ex tunc o ex nunc; dal momento stesso in cui fu emanato, o dal momento nel quale venne rigettato dalle Camere. Questo è il punto essenziale, su cui è bene pronunciarsi. Resta poi inteso – desidero ripeterlo esplicitamente – che la revoca ex tunc non significa che tutti i rapporti posti in essere e tutti gli atti compiuti nel periodo intermedio debbano senza altro cadere nel nulla. Le Camere, nel momento stesso della reiezione, potranno deliberare al riguardo, e provvedere secondo i casi.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembra implicito che i decreti debbono perdere l’efficacia fin dall’origine.

PRESIDENTE. Noi però, non siamo più in tema di discussione, siamo ora in tema di votazione. Il suo pensiero, onorevole Costantini, lei lo potrà manifestare votando una formula.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Si dice che un decreto debba venir considerato nullo fin dal principio. Sta bene. Ma, allora, domando: nel caso di un decreto che abbia raddoppiato il prezzo dei tabacchi che cosa si dovrà fare? Restituire ai fumatori il danaro pagato in più?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, a prescindere che non occorre una legge, le Camere potrebbero decidere che il prezzo aumentato delle sigarette non si dovesse restituire.

PRESIDENTE. In ogni modo, l’Assemblea Costituente non può decidere anche su queste singole questioni.

Onorevoli colleghi, vorrei pregare i presentatori dei vari emendamenti, ciascuno dei quali ha cercato di rendere in modo più evidente lo stesso concetto, di accogliere le dichiarazioni fatte dall’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione, accettando la formulazione che la Commissione stessa adotterà, tale da rendere inequivocabile il concetto. Sono d’accordo su questo i presentatori dei vari emendamenti?

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho sentito l’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione chiedere che la Camera discuta se la perdita di efficacia del decreto legislativo avrà valore dal momento della declaratoria parlamentare di inefficacia o dal momento della pronuncia del provvedimento provvisorio. Vorrei sentire il pensiero dell’onorevole Presidente della Commissione a questo riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha già chiaramente detto che il concetto della Commissione è per l’appunto che i decreti perdano efficacia dal momento della loro emanazione. Votiamo ora sul testo della Commissione, restando inteso che esso significa che questi decreti perdono di efficacia fin dall’inizio. Coloro i quali ritengono che questa perdita di efficacia debba aver luogo soltanto dal momento in cui le Camere si sono pronunciate, voteranno contro la formulazione della Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò contro perché ritengo che dalla retroattività deriveranno molti inconvenienti pratici, che indurranno le Camere a convertire sempre i provvedimenti, per evitare conseguenze troppo gravi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione, salvo coordinamento:

«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge».

Ricordo all’onorevole Ruini l’impegno preso di trovare una formulazione più comprensiva ed esplicita.

Seguono le parole:

«e pubblicati entro 60 giorni».

Vi sono due emendamenti: l’emendamento Persico, che propone di ridurre i 60 giorni a 30 giorni e l’emendamento Perassi, che propone di sopprimere la parola «pubblicati».

Pongo in votazione la prima formulazione con l’emendamento dell’onorevole Persico:

«e pubblicati entro trenta giorni».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvata).

Pongo ora in votazione la proposta della Commissione:

«e pubblicati entro sessanta giorni».

(È approvata).

Vi è ora la proposta dell’onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».

La pongo in votazione.

MORTATI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto..

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Dichiaro che voterò contro la proposta di sopprimere le parole «e pubblicati», perché mi pare che anche la pubblicazione entro sessanta giorni giovi alla certezza della norma.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».

(Non è approvata).

L’articolo 74-bis risulta approvato nel seguente testo:

«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge ordinaria se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.

«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

Resta inteso che la Commissione studierà una forma più idonea da darsi alla frase: «perdono efficacia, ecc.».

Passiamo all’esame dell’articolo 75. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si potrebbe osservare che, poiché questo articolo riguarda l’Assemblea Nazionale, sarebbe opportuno o necessario soprassedere alla discussione. Ma poiché vi sono emendamenti i quali, senza porre la questione dell’Assemblea Nazionale, propongono che spetti alle Camere riunite deliberare, chiedo se non sia opportuno esaminare senz’altro questo articolo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo sia meglio rinviare al tema dell’Assemblea Nazionale. Infatti, ora si potrebbe votare soltanto che è sottratta al Governo la competenza di deliberare sopra la guerra e l’amnistia. Sarebbe un concetto vago; quindi è meglio rimandare insieme agli altri articoli.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 76. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le due Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali di natura politica o d’arbitrato e regolamento giudiziario, e di quelli che importano variazioni del territorio nazionale, oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

A questo articolo l’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: trattati internazionali di natura politica o di arbitrato e regolamento giudiziario, sostituire le seguenti: trattati internazionali di materia politica, di arbitrato e regolamento giudiziario; ed alle parole: territorio nazionale, sostituire le seguenti: territorio della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. È una pura questione di forma, e perciò rinuncio a svolgerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accetta l’emendamento Perassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: territorio nazionale, le parole: territorio dello Stato».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Ho chiesto solo di sostituire alle parole «territorio nazionale» le parole «territorio dello Stato», e rinuncio a svolgere l’emendamento.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avendo già accolto l’emendamento dell’onorevole Perassi, che parla di territorio della Repubblica, implicitamente è accolto anche quello dell’onorevole Colitto.

COLITTO. Appunto perciò non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo dell’articolo, inserendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi.

«Le due Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali di materia politica, di arbitrato o regolamento giudiziario, e di quelli che importano variazioni del territorio della Repubblica, oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 77. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le Camere approvano ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 77 col seguente:

«Le Camere votano ogni anno il bilancio e il rendiconto presentati dal Governo.

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi.

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse.

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi.

«L’unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d’entrata.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. Onorevoli colleghi, la dottrina e la prassi finanziaria dominanti poggiano ancora oggi sulla concezione dell’assolutismo. I trattati più recenti di scienza delle finanze dànno spesso l’impressione di una specie di commentario della celebre regola di sapienza: tutto per il popolo, nulla mediante il popolo.

Può valere come esempio lo spazio minimo che di solito è dedicato alla trattazione dell’importantissimo problema dell’approvazione dei bilanci e delle leggi di imposta.

Credo di non esagerare se affermo che l’odierno sistema di approvazione del bilancio e delle leggi tributarie può tutto al più considerarsi come il timido inizio di un sistema parlamentare e veramente democratico; ma soltanto un inizio, perché attualmente le decisioni dei Governi e dei Parlamenti vanno regolarmente contro una più o meno grande parte della nazione, ciò che equivale ad un sopraccarico tributario di questa parte.

Bisogna rendersi esatto conto di questa circostanza, ed invece di attendere soccorso da dottrine finanziarie ormai sorpassate, risolvere il problema dell’approvazione delle imposte e del bilancio in uno spirito di progresso e di sviluppo.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che bisogna indirizzare quel movimento che ha diretto la storia politica del nostro secolo e che invano si è cercato di frenare; quel movimento che è il progredire continuo della vita pubblica verso forme sempre più parlamentari e democratiche.

Se noi adottassimo ancora i sistemi finanziari fino ad oggi seguiti, insufficienti a confronto dello sviluppo odierno della vita politica; se noi sostituissimo al giogo delle oligarchie nemiche della libertà, della pace e della libera discussione, la tirannia non meno odiosa di una maggioranza parlamentare, anche occasionale, noi porremmo quel movimento in contrasto con lo spirito che l’ha creato.

Onorevoli colleghi, la questione può sembrare teorica e priva d’importanza pratica e politica.

Per convincervi del contrario, richiamo la vostra attenzione sul fatto che, nell’attività legislativa ordinaria, si hanno di continuo dei casi in cui oltre due soluzioni opposte è possibile trovare una soluzione intermedia. Così, quando si tratta di vietare o permettere un’azione, non è possibile trovare una soluzione intermedia. È naturale che in questo caso la deliberazione a maggioranza semplice debba costituire la regola. Per quanto riguarda invece, la legislazione tributaria e l’approvazione del bilancio, questo dilemma non esiste quasi mai.

Il punto saliente che fino ad oggi non ha ricevuto l’attenzione che merita, è il fatto che non esiste una ripartizione delle imposte che sia rigida e determinata a priori o addirittura indipendente dall’approvazione delle spese. È vero piuttosto che esistono centinaia di modi di ripartire fra le varie classi sociali i costi di una determinata spesa pubblica. Sarà quindi sempre possibile teoricamente e, in modo approssimativo, anche praticamente, di ripartire il carico tributario in modo che la spesa sia riconosciuta utile da quasi tutti i partiti.

Ora, se questo è l’aspetto politico della questione, v’è anche un altro aspetto, quello scientifico.

È stato già approvato un articolo il quale sancisce il principio della progressività delle imposte. Fra il principio dell’eguaglianza o della proporzionalità della prestazione e controprestazione, e il principio dell’eguaglianza o proporzionalità del sacrificio, in altri termini tra il principio dell’interesse e il principio della capacità contributiva, è stato preferito quest’ultimo.

L’affermazione di questo principio era inevitabile, perché il principio della prestazione e della controprestazione, il principio dell’interesse, è stato ricacciato sempre più indietro dal progredire della vita sociale, mentre si è fatto strada il principio della capacità contributiva, sia pure attraverso numerose difficoltà dovute anche alla molteplicità, relatività e mutabilità del concetto stesso di giustizia.

Ma il principio dell’eguaglianza del sacrificio non è da solo sufficiente a risolvere il duplice problema della ripartizione delle imposte e dell’altezza concreta delle imposte. Nonostante tutta la sua impraticità, il principio dell’interesse ha il pregio di mantenere un certo contatto con l’altro aspetto dell’attività dello Stato: quello della spesa. Infatti, potrebbe il principio della capacità fornirci un criterio per stabilire l’altezza delle imposte? Non mi pare. Questo principio potrà soltanto dirci come le imposte debbano essere ripartite.

Ecco il dilemma: o scartare del tutto il problema dell’altezza concreta dell’imposta – cosa molto comoda, ma a mio avviso poco scientifica – ovvero ricorrere all’altro principio, quello dell’interesse, ogni qual volta si voglia determinare l’altezza concreta delle imposte. È probabile che l’attività dello Stato, presa nel suo complesso, fornisca una utilità che sia di gran lunga superiore al sacrificio richiesto alla collettività. Ma si deve arrivare al punto in cui l’utilità sia eguale al sacrificio.

Ma è da rilevare un altro aspetto assai importante della questione, e cioè che le classi politicamente più influenti considerano le spese pubbliche esclusivamente o quasi esclusivamente dal loro punto di vista ed è probabile, anche se il carico tributario sia ripartito non in modo uniforme, ma secondo il principio della progressività dell’imposta, che il beneficio che dall’attività dello Stato riceve una determinata classe dei cittadini, non sia proporzionale al sacrificio ad’essa imposto. Ecco perché non si può negare importanza al fatto che una determinata spesa pubblica vada a benefìcio di una categoria di individui anziché di un’altra.

È possibile stabilire un rapporto fra il sacrificio derivante dalle imposte e l’utilità derivante dall’attività dello Stato?

È possibile evitare che le spese pubbliche vadano a beneficio di una determinata classe di cittadini anziché di un’altra?

Questo è un punto, a mio avviso, importantissimo.

Dal punto di vista individuale, ogni cittadino, sarà disposto a pagare una determinata contribuzione qualora il beneficio derivantegli dall’attività dello Stato sia superiore o almeno eguale al sacrificio richiestogli. Ma sull’ampiezza attuale delle prestazioni pubbliche non decide la valutazione da parte di un singolo individuo, decide la valutazione di tutta intera la collettività. Come può avvenire questa valutazione? Naturalmente può avvenire soltanto attraverso la rappresentanza popolare.

Io do ragione a quegli scrittori che parlano di una specie di patteggiamento fra Governo ed Assemblee rappresentative. In questo caso si tratta di un vero e proprio patteggiamento, perché il Governo rappresenta l’offerta di determinati servigi e l’Assemblea rappresenta la domanda.

Ora, io ritengo che non vi possano essere dubbi circa la possibilità di attuare un simile sistema. Qui basta ricordare soltanto che il sistema da me proposto è in perfetta armonia col principio del sistema della rappresentanza proporzionale. Invero, che cosa ci dice il principio della rappresentanza proporzionale? Che ogni corrente politica, anche piccola, del Paese, ha diritto di avere una rappresentanza in Parlamento. Ma io mi domando quale significato, quale valore avrebbe la rappresentanza dei partiti di minoranza in questa Assemblea, se il suo diritto dovesse consistere soltanto nel protestare contro i colpi della maggioranza?

Contro l’introduzione formale di un simile istituto nella nostra Costituzione, potranno certamente essere sollevate moltissime obiezioni. Si potrà parlare del pericolo dell’ostruzionismo da parte delle minoranze. Non nego l’esistenza di questo pericolo. Ogni potere può essere abusato. Ma a mio giudizio si tratta di un pericolo che diventa tanto più piccolo quanto più si permetterà ai singoli partiti di difendere i loro interessi. Gli ostruzionismi sono l’arma della disperazione. Sono le vendette dei partiti di minoranza che vedono calpestati i loro diritti. Se questi diritti non fossero calpestati, non credo che le minoranze sentirebbero il bisogno di ricorrere all’ostruzionismo.

Onorevoli colleghi, non mi illudo che questa mia proposta troverà accoglimento in questa Assemblea. Se mai essa dovesse essere accolta, verrebbe certamente data la più forte spinta ad una riforma propugnata da circa mezzo secolo dai più grandi pensatori.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Aggiungere, in fine:

«I tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria, approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento aggiuntivo da me proposto all’articolo 77 mira a risolvere costituzionalmente uno fra i più antichi problemi che i Parlamenti siano stati chiamati ad affrontare. Si tratta di limitare la potestà di imposizione da parte degli enti pubblici, a cominciare dallo Stato.

È inutile che ricordi qui come i primi Parlamenti si siano avuti in relazione alla necessità di opporre un freno all’assolutismo, e di non ammettere tributi se non quando fossero stati riconosciuti dai rappresentanti del popolo.

Mi limito ad accennare che, trattandosi di una tra le più antiche competenze dei Parlamenti, non sarebbe inutile farne menzione. Accenno con questo emendamento a tutte le potestà d’imposizione pubblica, sia per i tributi, sia per la prestazione del servizio militare o altro. Premetto che non ritengo questa formulazione da me proposta affatto completa; penso anzi sia alquanto imperfetta. Quindi mi rimetto al Comitato e al Presidente della Commissione dei 75 per trovare una formulazione più adeguata nel caso in cui l’emendamento venga accolto. M’interessa soprattutto stabilire il principio. Oggi in Italia, per esempio, abbiamo avuto diversi esempi di esercizio del potere pubblico d’imposizione attraverso metodi diversi da quello che non sia la legge ordinaria. Ecco la ragione per cui propongo che nella Costituzione venga riconosciuto il principio secondo cui la potestà d’imposizione non può essere esercitata dagli enti pubblici se non in base a legge ordinaria. Ho detto «in base a legge ordinaria», perché mi rendo conto delle obiezioni che mi saranno fatte. Molti sono gli enti pubblici diversi dallo Stato, come le Regioni, le Provincie e i Comuni, ai quali non può disconoscersi la potestà di imposizione come la potestà di provocare una legge ordinaria ogni volta. La mia risposta è facile. Vi sarà una legge ordinaria la quale attribuirà ai diversi enti pubblici la potestà di imporre tributi determinati in modo che non vi siano sperequazioni nelle diverse parti dello Stato.

Finalmente, questo emendamento mira ad evitare un inconveniente, che si è avuto spesso in questo periodo, nella diversità del sistema seguito per imporre le diverse prestazioni. Basta che io accenni al fatto della differenza che esiste fra il sistema di accertamento relativo ai tributi normali e quello relativo ad altre prestazioni, come i contributi unificati in agricoltura. Questi contributi, accertati in maniera alquanto meno accurata di quanto avviene per i tributi fondiari, hanno oggi spesso un livello superiore a quello degli stessi tributi fondiari, uniti tutti insieme.

Ho voluto accennare a questo inconveniente, perché l’Assemblea possa riflettere sulla opportunità dell’affermazione contenuta nel mio emendamento.

Finalmente l’ultima parte stabilisce una procedura particolare col riconoscere nella Costituzione un principio già accolto: cioè la necessità che le leggi in materia tributaria, che le leggi, le quali implichino nuove prestazioni di qualunque genere, non solo di carattere pecuniario, siano proposte alla Camera dei deputati prima che al Senato.

Prevedo l’obbiezione: in questa maniera come fai ad ammettere il principio della parità delle due Assemblee legislative, da te sostenuto nei giorni scorsi?

Ritengo che questa affermazione non stabilisca affatto una preminenza della Camera dei deputati sul Senato, ma stabilisca semplicemente un sistema di procedura e che in materia così delicata – tanto delicata, che per tradizione è stata considerata una delle più antiche competenze dei Parlamenti – sia opportuno fare in modo che la Camera dei deputati (la quale sarà più numerosa ed avrà maggiori possibilità di esprimere le diverse tendenze della pubblica opinione) dia il primo parere.

D’altra parte, non penso affatto che con questo principio, di carattere puramente procedurale, resti menomata la parità fra le due Assemblee legislative; perché nessuno esclude che il Senato possa respingere la proposta fatta dalla Camera dei deputati; e nessuno stabilisce che, in caso di conflitto fra le due Assemblee, si debba giungere ad imporre la opinione della Camera dei deputati.

Non si tratta di una norma giuridica, ma semplicemente di una regola di correttezza costituzionale, dalla quale non deriva la preminenza di una Camera sull’altra.

Questo principio è costantemente rispettato e ritengo che non sia inutile riconoscerlo anche nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha proposto il seguente emendamento:

«Nel secondo comma sostituire le parole: una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi», con le altre: «per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Io concordo pienamente col pensiero della Commissione: che le autorizzazioni agli esercizi provvisori del bilancio non debbano superare i 4 mesi e che debbano essere date per legge.

Però, ritengo sia preferibile anziché dare una sola autorizzazione per quattro mesi, dare autorizzazioni per un periodo complessivo, che non superi i quattro mesi durante l’esercizio; perché si elimina l’incoraggiamento a chiedere autorizzazioni per esercizi provvisori per un tempo più lungo del necessario.

Se il Governo ha bisogno soltanto di un mese di esercizio provvisorio, chiede un mese, sapendo che, in caso di necessità, potrà chiedere un secondo mese. Ma, se esso è costretto a chiedere una volta sola, chiede quattro mesi invece di uno.

Per questo è preferibile concedere al Governo di chiedere autorizzazione ad esercizi provvisori per un tempo complessivamente non superiore a quattro mesi, non obbligarlo a chiederne una sola per quattro mesi.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Aggiungere al secondo comma:

«In caso di guerra l’esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione di maggiori poteri al Governo a norma dell’articolo 75».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di volgerlo.

FUSCHINI. Le ragioni del mio emendamento si riferiscono all’esercizio provvisorio che dovrà stabilirsi in caso di guerra. Infatti esso si dimostra, in caso di guerra, come una necessità derivante dalle condizioni in cui viene a trovarsi il Paese e non solo il Paese, ma soprattutto l’esercizio del potere parlamentare. Quindi è necessario che, alla Commissione che dovrà precisare con apposito articolo i poteri che il Parlamento potrà dare al Governo in caso di guerra, sia presente la necessità di regolare la concessione dell’esercizio provvisorio per il periodo di guerra. Ecco perché ho proposto un emendamento, il quale dice che in caso di guerra l’esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione dei maggiori poteri che la Camera darà al Governo. Mi pare che questa misura sia così evidente, che non sia necessario intrattenere ulteriormente l’Assemblea con riferimenti di carattere storico, perché è stato sempre dimostrato che in caso di guerra non c’è la possibilità di discutere ed approvare bilanci, come avviene in periodo di pace.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il primo emendamento è stato proposto dall’onorevole De Vita con la sostituzione intera dell’articolo. L’onorevole De Vita, che ha dimostrato competenza e serietà di studi nel fare questa proposta ed ha palesato un desiderio di dare la maggior correttezza alla vita finanziaria dello Stato, consentirà che io gli dica che le sue osservazioni, se sono in gran parte giuste, non possono entrare nella legge costituzionale. La divisione dei capitoli in articoli – sebbene sollevi in dottrina non pochi dubbi e sebbene anche fra i competenti della contabilità sia discussa e contestata – è, a mio giudizio, un principio giusto, tanto più che nel momento attuale abbiamo per esempio un capitolo del bilancio dei lavori pubblici, che è di 58 miliardi. La divisione dei capitoli in articoli, secondo me, si impone, ma è norma di legge della contabilità di Stato e non ritengo opportuno inserirla nella Costituzione. Assicuro però l’onorevole De Vita, che il Comitato e – credo – l’Assemblea consentono nel voto che sia fra le norme contabili introdotta quella da lui desiderata.

L’articolo proposto dalla Commissione contiene due gruppi di norme.

Il primo è che i due bilanci, preventivo e consuntivo, debbano essere approvati per legge e che «l’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi». È una notevole garanzia. Dichiaro di accogliere senz’altro il saggio emendamento dell’onorevole Bertone, il quale vuol togliere la possibilità di equivoco, e che cioè l’esercizio provvisorio non possa essere chiesto ed accordato per un tempo minore di quattro mesi; il termine di quattro mesi è il limite massimo, che non può essere superato complessivamente. Formuliamo dunque il testo così:

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, e per un periodo complessivamente non superiore a quattro mesi».

Tutto il resto dell’articolo, anche nella sua logica struttura, non può essere modificato. È assolutamente da respingere l’emendamento De Vita, che richiede per l’approvazione dei bilanci una maggioranza di due terzi, difficilissima a raggiungersi. Ed allora che avverrebbe, se il bilancio non fosse approvato? Si sospenderebbe la vita finanziaria dello Stato?

E veniamo all’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli. Proponendo che: «i tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato», egli fa due proposizioni che debbono essere esaminate ciascuna per sé. Non mi pare che la sua prima affermazione sia necessaria. Noi infatti abbiamo già stabilito nell’articolo 18 che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».

Per quanto riguarda la seconda proposizione, trovo strano che quando l’Assemblea ha affermata la parità delle Camere in tutto, escludendo ogni eccezione particolare, si voglia ora così, non dico surrettiziamente, che è una parola non corretta, ma improvvisamente creare una precedenza della Camera dei deputati sul Senato. Respingiamo dunque l’emendamento Codacci Pisanelli.

L’emendamento Fuschini merita di essere considerato, ma potrà tenersi presente quando parleremo dei poteri da concedersi al Governo in caso di guerra: si potrà allora far speciale menzione della materia finanziaria, o considerarla inclusa in un’espressione generale.

Con quello che ho detto, il testo dovrebbe rimanere fermo nella forma che è stata stilata dalla Commissione, col solo emendamento accettato dell’onorevole Bertone.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Vorrei proporre la soppressione del penultimo comma dell’articolo 77, in quanto, se nella approvazione del bilancio, ad un determinato capitolo, si propone un aumento, questo non è più possibile secondo questa disposizione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È un’altra cosa!

BUFFONI. In Francia è con la legge del bilancio che si stabiliscono nuovi tributi.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Buffoni, lei propone la soppressione di questo comma?

BUFFONI. Non credo che sia necessario mettere questo principio nella Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Buffoni, è una norma di correttezza contabile ammessa nei Paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendoli coi bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari. La Camera, discutendo i bilanci, potrà aumentare o diminuire le cifre dei capitoli; ma non aumentare o modificare le imposte, che sono regolate da apposite leggi, e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese. L’aumento delle spese in bilancio dovrà avvenire nei limiti di tali leggi; se si vuole andare al di là, bisogna modificarle. Il bilancio deve essere un bilancio non diventare un’altra cosa, né prestarsi a sorprese ed abusi.

BUFFONI. Così non si potrà modificare il bilancio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrà modificare il bilancio, nei limiti delle leggi tributarie e di autorizzazione delle spese, che si possono essi bensì modificare, ma con altre leggi. Il bilancio deve conservare il suo carattere.

BUFFONI. Tutto questo può essere una pratica opportunissima, ma credo che non sia il caso di metterlo nella Costituzione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che l’onorevole Buffoni sia incorso in un equivoco, perché non è che non sia ammesso, nella legge che vota il bilancio, aumentare il capitolo o diminuirlo; è vietato introdurre nuovi tributi e nuove spese che non siano state predisposte e preparate prima, secondo la procedura normale. Quando si vota il bilancio, i tributi e le spese sono stati studiati, esaminati, elaborati e vengono portati all’approvazione dell’Assemblea. Se l’Assemblea potesse introdurre nuovi tributi e spese, il bilancio salterebbe in aria e non si farebbe più nessun bilancio. Quindi, è legittima la modificazione di tutte le voci del bilancio, in più o in meno, in attivo o passivo, ma non può essere lecito introdurre nuovi tributi e nuove spese sui quali non ci sia stato il lavoro preparatorio.

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Mantengo il mio emendamento ed affermo che le norme da me proposte non sono norme di contabilità, come ritiene l’onorevole Presidente della Commissione, ma vere e proprie norme costituzionali. Affermo altresì che il principio della specializzazione del bilancio è una conquista della moderna democrazia. Oggi la mia proposta può essere respinta, ma io sono fermamente convinto che il principio della unanimità relativa per l’approvazione del bilancio e delle leggi di imposta sarà una grande conquista della moderna democrazia.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione, ritiro il mio emendamento riservandomi di tenerlo presente quando ci sarà la discussione dell’articolo relativo ai poteri del Governo in caso di guerra.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. In seguito alle dichiarazioni del Presidente della Commissione dei Settantacinque ritiro il mio emendamento in quanto risulta che il principio relativo alla impossibilità di esercitare la potestà di imposizione se non per legge, è già accolto nella nostra Costituzione. Quanto al secondo punto, cioè la precedenza nella presentazione di leggi di carattere tributario alla Camera dei deputati, è bene che non risulti nella Costituzione, perché resti consacrato il principio della parità delle due Camere, mentre a questo proposito potranno meglio provvedere le norme di correttezza costituzionale.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rilevo un errore di stampa. Va detto «approvano ogni anno i bilanci» e non «il bilancio» per evitare l’equivoco che si possa fare un bilancio non distinto per Ministeri.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Poiché l’onorevole De Vita mantiene il suo emendamento sostitutivo dell’intero articolo, procederemo alla votazione, tenendo presente per l’appunto il suo emendamento sostitutivo.

Il primo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita corrisponde al primo comma della Commissione.

Possiamo quindi mettere in votazione il testo della Commissione.

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo». Lo pongo in votazione nella dizione testé letta.

(È approvato).

A questo punto l’onorevole De Vita propone di inserire il seguente comma:

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Con questo emendamento si rende quasi impossibile l’approvazione del bilancio, e se lo si approva si arresta la vita dello Stato. Prego l’Assemblea di respingerlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita del quale ho dato testé lettura, e che la Commissione non ha accettato.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del testo della Commissione, con l’emendamento Bertone, accettato dalla Commissione:

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori a quattro mesi».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma aggiuntivo proposto dall’onorevole De Vita, non accettato dalla Commissione:

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il quinto comma aggiuntivo dell’emendamento dell’onorevole De Vita:

«L’unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d’entrata».

La Commissione ha dichiarato di non poterlo accettare come norma costituzionale.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il terzo comma del testo della Commissione:

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi nuove spese».

(È approvato).

Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 77 così formulato:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Il terzo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita propone di sostituire questo comma con la seguente formula:

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse».

Domando all’onorevole De Vita se mantiene questo comma del suo emendamento.

DE VITA. Sì, perché oltre ad una differenza formale, vi è anche una differenza sostanziale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dichiaro che il Comitato respinge la proposta dell’onorevole De Vita.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che il testo della Commissione, rispetto ai fini che si propone di raggiungere l’onorevole De Vita, sia preferibile, per questa ragione: mentre l’onorevole De Vita richiede la presentazione di due disegni di legge (il che vuol dire che il Parlamento può approvare le maggiori spese senza obbligo di approvare assieme il parallelo disegno di legge sulle entrate), il progetto della Commissione importa l’obbligo dell’approvazione contemporanea delle spese e delle nuove fonti di entrate. Quindi, ai fini della salvaguardia del pubblico erario, credo che il testo della Commissione risponda meglio al desiderio che ha mosso l’onorevole De Vita, di tutelare i contribuenti nei limiti in cui questa tutela può essere esercitata dal Parlamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole De Vita se, dopo le osservazioni dell’onorevole Corbino, intende mantenere il suo emendamento.

DE VITA. Ritengo esatte le osservazioni dell’onorevole Corbino e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’ultimo comma dell’articolo 77, nel testo formulato dalla Commissione:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

(È approvato).

Il testo completo dell’articolo 77 risulta così approvato:

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Passiamo ora all’articolo 78. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

«La Commissione d’inchiesta è nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari Gruppi della Camera e svolge la sua attività procedendo agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria».

Vi è a questo articolo la proposta soppressiva dell’onorevole Colitto, il quale ha facoltà di svolgerla.

COLITTO. Onorevoli colleghi! Sarà una mia impressione, ma a me questo articolo sembra del tutto superfluo. Mi sembra, altresì, che non abbia il carattere e, starei per dire, la dignità di una norma costituzionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Colitto; glielo dimostrerò.

COLITTO. Per me è superfluo, perché non è da dubitare che una qualsiasi materia, specie se, come nell’articolo si legge, «materia di pubblico interesse», possa formare oggetto di inchieste disposte dalle Camere, perché le Camere possono sempre disporre indagini, investigazioni, accertamenti, come li possono disporre tutte le pubbliche amministrazioni. A nessuna amministrazione pubblica si può, infatti, negare il potere in ogni materia che rientri nelle sue attribuzioni, di accertare fatti che desidera conoscere. Ed è evidente che, quando si concede ad una autorità il potere di esercitare una certa attività, le si riconosce perciò stesso anche il potere di accertare gli elementi di fatto necessari per il conveniente svolgimento dell’attività.

Ecco perché mi sembra la norma superflua. Ma mi sembra anche che non abbia questa il carattere di una norma costituzionale. Forse m’inganno; ma a dimostrare il mio assunto sembrami sufficiente il rilievo che in altre costituzioni di questo potere di inchiesta non è cenno. È perciò che propongo la soppressione dell’articolo. Può darsi benissimo, ripeto, che la mia sia un’impressione e che dalla oratoria suadente dell’onorevole Ruini mi vengano forniti gli argomenti per convincermi del contrario. È inutile dire che allora sarò pronto ad inchinarmi a lui ed a rinunziare all’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Colitto che, se non vi fosse questa disposizione nel primo comma, occorrerebbe una legge, mentre noi abbiamo voluto attribuire ad ogni Camera il potere di fare l’inchiesta per conto proprio. Quindi, la disposizione non è inutile.

Ciò risulta ancora più nel secondo comma, dove abbiamo detto che si procede «agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria». Se non vi fosse, come potrebbero le Camere avere questi poteri dell’autorità giudiziaria, se non per legge? La disposizione quindi ha la sua ragione d’essere.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei chiedere all’onorevole Ruini: ma, in questo modo, come si dispone l’inchiesta? Occorre un ordine del giorno della Camera o una legge particolare, caso per caso?

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto – su cui si può dissentire, ma che è sembrato opportuno – è che ogni Camera possa provvedere con una deliberazione propria, senza una legge, alla quale dovrebbe partecipare anche l’altro ramo del Pagamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei che questa questione fosse chiarita bene, perché in sostanza, noi ammettiamo che una deliberazione interna di una delle due Camere possa disporre una inchiesta anche su materie che in linea generale sono sottoposte al potere dell’altra Camera; ecco perché un qualche cosa che metta d’accordo questi due organi mi pare che ci voglia.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, presenti un emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io credo che la proposta concreta non possa essere che quella dell’onorevole Colitto. Penso anche io infatti che ci voglia la legge, giacché i poteri che ha una Commissione di inchiesta, che sono gli stessi dell’autorità giudiziaria, sono talmente vasti e talmente gravi, che una Camera senza il consenso dell’altra non mi pare possa assumerseli.

Io aderisco quindi completamente all’emendamento presentato dall’onorevole Colitto; io penso cioè, che quando si debba disporre di queste inchieste, il che non potrà avvenire se non in casi gravissimi e rarissimi, si debba fare una legge al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero far presente all’onorevole Lucifero che l’opportunità di non richiedere una legge delle due Camere per un’inchiesta voluta da una Camera era stata affermata anche in passato; e si era all’uopo predisposto un disegno generale di legge, nel senso ora tracciato dalla nostra Costituzione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io sono preoccupato di una formula di questo genere, cioè che una sola Camera possa deliberare, così da sostituirsi in pieno a quella che dovrebbe essere la normale procedura di un disegno di legge, senza l’esame preventivo di una Commissione. In realtà si tratterebbe di una legge di iniziativa dell’Assemblea senza le necessarie correlative procedure. Ma come si può, con una sola deliberazione parlamentare, pretendere di fare una legge?

Penso che non sia assolutamente possibile accettare la formula così come è presentata. Verremmo a conferire un potere deliberativo che non sarebbe circondato da nessuna di quelle garanzie e da nessuno di quei procedimenti che sono necessari per una legge: e cioè che essa sia prima presentata alla Camera e che poi sia esaminata da una Commissione che ne riferisca all’Assemblea.

È un sistema troppo sbrigativo, pieno di pericoli; non si può prescindere anche qui dalle tre letture, come per tutti gli altri disegni di legge; ammettere un procedimento sommario del genere può dar adito a improvvisazioni, a dar corpo a subitanei stati d’animo d’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero far presente all’onorevole Uberti che non è vero, come egli dice, che manchino le garanzie: deve esservi una deliberazione formalmente regolare della Camera che vuol fare l’inchiesta; ed il Regolamento della Camera stabilirà le condizioni e le modalità da osservare. È poi da ricordare che un’inchiesta non è un provvedimento o una conclusione; è soltanto una raccolta di elementi e di fatti; una documentazione; e può essere ammessa senza che occorra, volta per volta, una legge vera e propria.

La questione non ha grande importanza, ma ho creduto di dover esporre le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto di stabilire così.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. L’onorevole Ruini dice che ci sono tutte le garanzie; ma quali garanzie? Qui basta una semplice deliberazione. Può anche trattarsi di una deliberazione su argomento non all’ordine del giorno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no! Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi è già nel nostro Regolamento una procedura per le inchieste parlamentari. Noi potremmo fare un Regolamento che stabilisca garanzie anche maggiori; ma ripeto che l’inchiesta non è una cosa così pericolosa che debba richiedere una legge. Può essere benissimo disposta da una Camera sola, nella sua responsabilità.

Mi si chiede cosa dice l’attuale Regolamento. Dice all’articolo 135: «Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra proposta d’iniziativa parlamentare». E poi all’articolo 136: «Allorché la Camera, dopo esaurita la procedura ordinaria, delibera una inchiesta, la Commissione è nominata dalla Camera mediante schede, ecc.». Vi sono già delle garanzie; le potremmo ampliare e l’onorevole Uberti sarà completamente tranquillo.

Del resto, decidete come volete.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Chiedo scusa, ma la cosa per me è più grave di quanto l’onorevole Ruini non creda, perché le deliberazioni della Camera devono essere prese in considerazione con una certa cautela. La Camera è un organismo politico, che, come tutti gli organismi politici, ha i suoi moti e le sue reazioni.

Vorrei ricordare con quanta leggerezza deliberammo la nomina della Commissione degli Undici e di fronte a quanti inconvenienti ci trovammo perché questa deliberazione era stata presa in un modo troppo sollecito. La procedura del disegno di legge ci garantirebbe contro deliberazioni troppo affrettate, delle quali poi, molto spesso, dobbiamo portare le conseguenze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non era nemmeno un’inchiesta.

LUCIFERO. Figuratevi, se deliberavamo un’inchiesta!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Volevo far presente che attualmente la Camera può fare delle inchieste, può costituire delle Commissioni, in virtù degli articoli di cui ho dato lettura.

Ora, non c’è niente di straordinario che noi mettiamo questo nella Costituzione, per superare la difficoltà che, quando si tratta di poteri giudiziari, si debba richiedere una legge.

Questa è la portata del provvedimento; e lei che conosce i precedenti, onorevole Lucifero, sa che fu studiato altre volte e si decise perciò di includere questo provvedimento nella Costituzione. Io non trovo, quindi, nessuna difficoltà. Inchiesta significa accertamento di notizie, e non è quindi niente che possa pregiudicare delle decisioni. Se sopprimete questo inciso, lasciate un’incertezza, che è invece opportuno togliere.

Ripeto che la questione non ha grande importanza e il peggio è che perdiamo del tempo a discuterla.

Se l’Assemblea ritiene, potremmo dire così: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse, a maggioranza assoluta».

Questa sarebbe una garanzia notevole.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Proporrei che fosse emendato in questo modo: che prima di deliberare si dovessero seguire le norme dei disegni di legge, nel senso che, prima di decidere, una Commissione della Camera, che esamina il problema, riferisca all’Assemblea.

Io capisco quello che lei dice, onorevole Ruini, che cioè una Camera altrimenti non può decidere perché si sovrappone all’altra. Ma quello che mi preoccupa è questo: che ci siano le sufficienti garanzie, cioè che non basti una semplice deliberazione per costituire una Commissione d’inchiesta che ha anche poteri d’indagini giudiziarie.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Pongo in votazione il primo comma:

«Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«La Commissione d’inchiesta è nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera e svolge la sua attività procedendo agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria».

(È approvato).

L’articolo 78 risulta così approvato nel testo della Commissione.

L’onorevole Calamandrei ha proposto il seguente articolo 78-bis:

«Ciascuna Camera è giudice delle accuse mosse nel Parlamento alla onorabilità dei suoi componenti. Non si può addivenire alla discussione e deliberazione pubblica su tali accuse, se prima non si sia pronunciata su di esse, a richiesta degli interessati o anche di ufficio, una apposita Commissione permanente, la quale indaga sulla fondatezza delle medesime e ne riferisce alla Camera per gli opportuni provvedimenti».

L’onorevole Calamandrei non è presente.

NOBILE. Signor Presidente, lo faccio mio e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il pensiero della Commissione sull’articolo aggiuntivo proposto dell’onorevole Calamandrei e fatto proprio dall’onorevole Nobile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene che il concetto che si vorrebbe regolare dall’articolo 78-bis della Costituzione va più opportunamente considerato dal punto di vista del Regolamento delle Camere. L’attuale Regolamento già prevede il diritto di chi è fatto oggetto di accuse di chiedere una inchiesta a suo riguardo. Potremo in sede di Regolamento allargare tale disposizione; e stabilire che l’indagine può essere chiesta anche da altri, e potremo, se parrà opportuno, costituire una Commissione permanente per questi giudizi, che l’articolo Calamandrei configura come giudizi di onorabilità.

Quanto alla dizione proposta, dovrebbe essere in ogni caso ben considerata: cosa vuol dire precisamente la frase iniziale che «la Camera è giudice»? E quali sono «i provvedimenti» che si possono prendere?

A prescindere da ciò, ritorno al criterio di opportunità che il tema non sia trattato qui, ma rimesso al Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, lo ritiro.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Avrei fatto mio anche io l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, ma riconosco che quanto ha detto il Presidente della Commissione è convincente. È materia di regolamento.

Ma desidero far notare ai colleghi l’importanza della innovazione che il collega Calamandrei voleva introdurre con questo emendamento: cioè non si può mai in nessun caso pubblicamente per la prima volta accusare un collega se prima una Commissione non senta l’accusatore. Solo dopo e non prima.

A nessuno sfugge l’importanza moralizzatrice di questa norma che il collega Calamandrei per la prima volta pone.

Comunque, sono convinto delle obiezioni dell’onorevole Ruini e ritengo anch’io che si tratti di materia regolamentare.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo ora alla proposta di articolo aggiuntivo avanzata dall’onorevole Mortati nel corso della precedente discussione, e che avevamo rinviato. Il testo è il seguente:

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche qui non ho avuto il tempo di sentire formalmente il parere del Comitato, dato il continuo succedersi delle sedute d’Assemblea. Ma ho esposto il mio punto di vista all’onorevole Mortati; e se consentite vi esporrò le considerazioni che mi spiegano la ragione di questa disposizione, ma nello stesso tempo mi rendono perplesso ad accettarla.

Innanzi tutto devo osservare che il collocamento della disposizione dovrebbe essere nell’articolo 20, che parla dell’eleggibilità in generale, non soltanto al Parlamento, ma anche ai Consigli comunali, provinciali, regionali. Il criterio da adottare dovrebbe essere unico e generale.

Ciò premesso, è indubitabile che lo spirito della disposizione è tale da muovere tutta l’Assemblea, di primo impeto, come un cuore solo, ad una viva adesione. Si tratta infatti di stabilire che i nostri fratelli italiani, italiani di nazionalità, nel senso classico della parola, i fratelli nostri strappati alla madre patria, possano, anche se non abbiano la cittadinanza italiana, essere eletti al Parlamento e ad altri corpi elettivi.

Nello spirito della disposizione, ripeto, siamo d’accordo. Ma bisogna realisticamente considerare i termini giuridici della questione, ed i problemi concreti che possono sorgere.

La legislazione attuale ammette che possano essere nominati ai pubblici impieghi gli italiani non cittadini, non «regnicoli».

Adopero la parola nel senso che si usa nella Repubblica francese, ove si parla di «regnicoles» secondo una tradizione e con un significato ben chiaro. L’onorevole Mortati ha opportunamente corretto la designazione, che egli stesso aveva dapprincipio usato, di «regnicoli» in quella di non cittadini; o, come si dice, in altro modo, «non appartenenti allo Stato».

La disposizione ora proposta farebbe un passo avanti, che sembra giusto e logico, ammettendo l’accesso non solo agli impieghi pubblici, ma alle cariche elettive.

Bisogna ad ogni modo vedere i casi che si possono presentare; e che – attenendosi alle espressioni usate nella disposizione – eccedono l’intento originario, cui essa si ispira, di aprir le braccia, diciamo la vecchia parola, agli «irredenti». Vi sono molti, d’origine e di sangue italiano, che vivono all’estero. Se hanno, come avviene, la doppia cittadinanza e cioè se, avendo acquistata la cittadinanza straniera, conservano quella italiana, sono – in quanto cittadini italiani – eleggibili al Parlamento. Sorgono sulla doppia cittadinanza, nei riflessi politici, considerazioni sulle quali non mi voglio fermare qui.

Continuiamo ad esaminare gli altri possibili casi.

Può avvenire che l’italiano di nazionalità e di sangue, di tradizione, risieda all’estero e, avendo perduto la cittadinanza italiana, possegga soltanto quella straniera. Dobbiamo, con una nuova disposizione, renderlo eleggibile al nostro Parlamento?

Vediamo le varie possibili ipotesi. Se l’italiano sia irredento nel senso più vero e proprio, ed abita in una terra strappata a noi, una terra contesa da dissensi e da lotte di nazionalità, dubito che vi possa rimanere, se è eletto deputato italiano. Se invece egli si trova in una terra dove non v’è irredentismo e lotta di nazionalità – per esempio un altro paese d’Europa o d’America – e ne è cittadino, senza essere (si noti) cittadino italiano, non dovrebbe esservi per lui pericolo materiale a restarvi, dopo esser diventato membro del Parlamento italiano. Ma possono sorgere difficoltà, diverse ma analoghe a quelle di cui abbiamo parlato a proposito della discussione, avvenuta sul progetto di Costituzione nella nostra Assemblea, per la possibilità di assicurare ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio dei diritti elettorali. Siete sicuri che i paesi esteri in cui abitano, e ne son cittadini, gli eletti al Parlamento italiano, ne siano sempre lieti? In certi casi potrebbero esserne troppo lieti, servendosi come lunghe mani di loro cittadini, deputati e senatori italiani; ma in altri casi potrebbero dispiacersi della situazione che si viene a creare, e prendere provvedimenti e contromisure, così che la disposizione, invece che a vantaggio degli italiani all’estero, si risolverebbe in loro danno.

Altra ipotesi è d’un italiano di terra irredenta, che, perché la sua terra non è più italiana, è costretto ad abbandonarla ed a venire in Italia. Non è più, in questo momento, nostro concittadino; e noi vorremmo aprirgli le porte del Parlamento. Bisogna ricordare che nella nostra legislazione e nella prassi vi è la possibilità di concedere subito, senza le ordinaria formalità, con semplice decreto del Capo dello Stato, la cittadinanza italiana, ed allora diventa pienamente eleggibile. Praticamente, dunque, si ottiene il risultato che la disposizione Mortati si propone.

Comprendo benissimo che noi desideriamo fare, in questo momento, un atto di solidarietà e di significato politico. Ma sarà opportuno, in ogni caso, meditare bene la formulazione e le conseguenze della proposizione da adottare, per non darle una portata che trascenda il nostro intento, per non sollevare difficoltà che siano eventualmente di danno più che di vantaggio ai nostri fratelli. Era mio dovere esporvi obiettivamente e chiaramente lo stato delle cose e delle possibili questioni, perché la nostra decisione sia meditata e degna dell’argomento che commuove il cuore, ma non deve far velo al ragionamento. (Approvazioni).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi richiamo a quanto con molta chiarezza ha detto l’onorevole Ruini, il quale ha ricordato che il problema da me sollevato non è nuovo. La disposizione proposta si può dire in certo senso acquisita al diritto italiano. Esiste già una disposizione, che vale per gli impiegati, per le cariche pubbliche, per cui si può essere nominati anche se non si è cittadini italiani, e c’era una tendenza a far valere, per coloro che prima si chiamavano italiani non regnicoli, il diritto di potere essere nominati membri del Parlamento.

NOBILI TITO ORO. La Repubblica romana instaurò questo sistema. Ammise all’elettorato passivo cittadini italiani che da sei mesi avessero preso stanza nel territorio romano.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se hanno preso stanza possono benissimo oggi diventare cittadini italiani.

MORTATI. Ora tale principio già acquisito alla nostra legislazione conserva ancora attualità poiché si verifica il caso di terre che sono italiane ma non fanno più parte dello Stato italiano, sicché appare essere opportuno, da un punto di vista politico, una affermazione che mantenga il principio. L’onorevole Ruini, giustamente, ha osservato che c’è una difficoltà nella formulazione, perché la formulazione, nel senso proposto, può far sorgere dubbi. La formula «italiano non regnicolo» era più chiara perché precisata da una lunga prassi interpretativa. Non so se dalla cortesia del Presidente dell’Assemblea si possa ottenere un ulteriore rinvio allo scopo di potere giungere ad una formulazione che possa meglio sodisfare, raggiungendo il risultato di mantenere fermo un principio già acquisito alla nostra legislazione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’onorevole Ruini ha già molto chiaramente esposto tutti i lati sentimentali, non sentimentali e giuridici della questione.

Io vorrei soltanto fare una piccola aggiunta a conferma di quanto ha detto l’onorevole Ruini, prendendo lo spunto da una affermazione ora fatta dall’onorevole Mortati, la quale mi sembra che mi autorizzi a dire che v’è un equivoco nella sua proposta.

Egli ha affermato: si tratterebbe di confermare un principio che già esiste. Ora, io faccio una riserva su questo punto. Il principio che esiste non è quello che ora si vuole inserire nella Costituzione; il principio è diverso e più tenue, ed è questo: che la qualità di italiano non appartenente allo Stato, ossia «non regnicolo» secondo la vecchia formula, è assimilato al cittadino per quanto concerne l’ammissione agli impieghi pubblici. Questo è il punto a cui si è arrivati nel campo del diritto pubblico: non oltre. Vi è poi, come esattamente ha richiamato il Presidente della Commissione onorevole Ruini, un’altra disposizione nel nostro diritto attuale; è un articolo inserito nella legge della cittadinanza nel quale si afferma che nulla è innovato per quanto concerne la concessione della cittadinanza per decreto agli italiani non regnicoli. Questo richiamo si riferisce ad una vecchia disposizione che è stata inserita per la prima volta in una legge elettorale. Secondo questa disposizione, l’italiano «non regnicolo» – cioè non appartenente allo Stato – poteva ottenere la concessione della cittadinanza italiana con decreto prescindendosi dalle altre condizioni che normalmente sono richieste per concedere la cittadinanza italiana in base alla legge comune. Questa è la situazione. La proposta dell’onorevole Mortati, la quale, come ha detto giustamente il Presidente, suscita tanta e generale simpatia dal punto di vista sentimentale, è una proposta che va al di là del diritto attuale, e che porta alla parificazione automatica al cittadino dell’italiano non appartenente allo Stato, non soltanto nel campo dell’ammissione a pubblici impieghi, ma anche nel campo dei diritti politici, cioè per l’elettorato attivo e passivo. È un passo più in là, che solleva problemi molto delicati.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Mi permetto di far presente l’importanza politica della proposta dell’onorevole Mortati. Dal lato giuridico sono d’accordo: vi sono numerosi inconvenienti per precisare quali siano le persone a cui la proposta si riferisce. Ma dal lato politico si tratta di sancire nella Costituzione un principio che è stato accolto in tutta la storia del nostro risorgimento. In un momento in cui un trattato iniquo strappa alla nostra Patria i nostri fratelli, ritengo sia un giusto riconoscimento; ed invito l’Assemblea a pensare alle conseguenze del rigetto del principio proposto. Credo che sia un giusto riconoscimento che tutti quanti, anche coloro che sono stati strappati alla Patria, continuino a far parte della famiglia italiana.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Sono anch’io molto sensibile a ciò che è detto in questo emendamento. Mi pare che si corra il rischio di creare gravi inconvenienti alla Giunta delle elezioni la quale domani, quando si troverà dinanzi a contestazioni per l’elezione di un deputato e dovrà andare ad accertare una condizione non giuridica – e che riconosciamo non essere giuridica, ma quasi politica, come ha detto l’onorevole Codacci Pisanelli – non saprà probabilmente come risolvere il quesito propostole, mentre abbiamo la possibilità di giungere al medesimo risultato, senza nessuna difficoltà, rendendo facile agli italiani, che vivono fuori della Repubblica e che hanno altra cittadinanza, l’acquisto della cittadinanza italiana, mediante una determinata procedura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è già.

LACONI. Non vedo per quale ragione dobbiamo stabilire una norma, che domani potrà essere pericolosa.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Se l’onorevole Mortati mantiene letteralmente la sua dicitura, io la voterò molto volentieri, perché noto che non dice «sono eleggibili» o «possono essere eletti» ma «possono essere eleggibili». Quindi questa norma, letteralmente intesa, pone soltanto la esigenza di una disposizione futura la quale regoli la materia, mentre allo stato attuale delle cose l’eleggibilità di italiani che non siano cittadini è esclusa e occorre un decreto di naturalizzazione come è stato spiegato.

Porre fin da ora la possibilità costituzionale di una legge ordinaria, che regoli in quali casi gli italiani non cittadini possono divenire eleggibili, non mi pare costituisca un inconveniente. Si propone di dire: «possono essere eleggibili», non «possono essere eletti». Questa dizione ha molta importanza. Se essa fosse modificata, allora forse non potrei più votarla.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’interpretazione che lei dà all’emendamento non corrisponde alle intenzioni del proponente.

FABBRI. Devo partire dal concetto che, data la dizione letterale della formula, vi corrispondesse la intenzione del proponente. Se l’onorevole Mortati dichiara un’intenzione diversa…

PRESIDENTE. L’ha dichiarata nel corso dello svolgimento.

FABBRI. Non mi sono giunte le sue parole: se è così cade la ragione del mio intervento.,

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTÈ. Ne ha facoltà.

LACONI. Che interesse abbiamo a che una persona mantenga la sua cittadinanza in altro Paese e poi si faccia eleggere deputato o senatore nel nostro? Egli dovrebbe rinunciare a quella cittadinanza per acquistare quella italiana: sarebbe un atto di adesione anche morale al nostro Paese. Possiamo, se mai, facilitarlo in questa richiesta. Ma non possiamo ammettere che diventi deputato o senatore in Italia rimanendo cittadino di un altro Stato, con tutti i diritti che gli competono per questa qualità. In questo modo noi non serviremmo gli interessi della Nazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene la sua proposta?

MORTATI. La mantengo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Credo che molti come noi, nessuno più di noi, possano essere sensibili agli alti motivi ideali e riparatori che hanno ispirato l’onorevole Mortati nel formulare la sua proposta. Però devo riconoscere che la proposta tecnicamente può portare non solo al di là delle nobilissime intenzioni del proponente, che sono indubbiamente anche le nostre, ma addirittura a un risultato opposto a quello che l’onorevole Mortati si propone.

Ritengo quindi che il principio, che è nelle intenzioni più che nella dizione dell’onorevole Mortati, non debba essere da noi abbandonato, ma debba essere ripreso con precisa formulazione, che garantisca al nostro Paese e a quest’Aula, in cui esso è rappresentato, una giusta interpretazione; e che sia pertanto rinviata la discussione in sede di legge elettorale, dove si potrà fare la norma che effettivamente affermi questo principio.

In questo spirito, per queste ragioni e con la riserva di risollevare noi, se non lo farà lui, la stessa questione in sede di legge elettorale, noi non potremmo votare ora per l’emendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei fare osservare all’onorevole Lucifero che l’inserzione nella legge elettorale di una norma nel senso proposto non sarebbe costituzionale, perché violerebbe la disposizione contenuta nell’articolo 45 della Costituzione, per cui le cariche pubbliche sono accessibili solo ai cittadini italiani.

LUCIFERO. Faremo una «leggina» che consenta di conservare la cittadinanza italiana agli italiani che l’hanno persa perché strappati alla Madrepatria.

MORTATI. Insisto nella proposta di richiedere alla cortesia del Presidente un breve rinvio per vedere se è possibile inserire nella Costituzione una disposizione che risolva la questione nel modo migliore. Una possibilità di soluzione potrebbe essere di inserire nel testo costituzionale una norma, come quella di cui ha fatto menzione l’onorevole Perassi, che conceda agli italiani di cui si tratta la possibilità di acquistare con una procedura abbreviata e semplificata la cittadinanza italiana.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea si trova ormai davanti aduna questione che si presta ad interpretazioni delicate. Avrei desiderato che non fosse portata qui senza averla prima esaminata in Comitato. Ma ciò non è avvenuto; ed io ed i colleghi del Comitato – tranne il proponente – abbiamo letto la proposta nel fascicolo degli emendamenti. L’Assemblea è ora investita dell’argomento e potrebbe darsi che, se non accogliessimo, per le difficoltà pratiche che solleva, la proposta avanzata, ciò fosse interpretato come mancanza di solidarietà e di slancio verso i nostri fratelli. Ciò assolutamente non è. Qualsiasi nostra decisione deve essere accompagnata dalla più calda espressione di affetto e dal fermo proposito di raggiungere lo scopo che ci proponiamo, di dare, o meglio ridare ai nostri fratelli l’eleggibilità nel Parlamento italiano. Anzi la questione è più vasta; concerne anche la cittadinanza per quelli che non saranno membri del Parlamento. Dovremo studiare ancora sotto i vari aspetti tutti i problemi che sorgono. Ho oggi trattato, come era necessario, delle questioni tecniche; le approfondiremo ancora; senza spegnere la fiamma di sentimento e di cordialità che ci ispira e ci anima. Date al Comitato il tempo necessario perché possa riunirsi e cercare soluzioni e disposizioni tali da superare gli ostacoli che voi tutti avete riconosciuto. Affermiamo a questo riguardo, con un saluto che l’Italia manda ai suoi figli non più cittadini italiani, che noi vogliamo averli a pieno diritto partecipi della nostra famiglia e della nostra casa: l’Italia. (Applausi).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Ruini. Mi permetto di dare un suggerimento all’onorevole Ruini, dato che io non sarò presente in seno al Comitato, ma sarò sostituito, perché dovrò assentarmi da Roma.

Se vogliamo affermare il concetto, io proporrei una forma come questa: «La legge stabilirà le condizioni di eleggibilità, ecc.». Allora potremo fare una legge che ci dia le garanzie e non ci troveremo di fronte ad ostacoli costituzionali.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea ritiene di potere accogliere la richiesta dell’onorevole Ruini – che in fondo è simile a quella dell’onorevole Mortati – cioè di non soffermarci in maniera specifica con una votazione sulla proposta di questo articolo aggiuntivo, ma di lasciare al Comitato di redazione il tempo di esaminare la questione per vedere di introdurre nella forma più acconcia una disposizione, possiamo sospendere la discussione su questo argomento.

Se non vi sono altre osservazioni, rimane pertanto così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Onorevoli colleghi, avremmo così concluso l’esame del Titolo dedicato al potere legislativo, se non ci fossimo lasciati alle spalle un problema di una certa importanza, quello relativo all’Assemblea Nazionale. Come tutti noi ricordiamo, a mano a mano che nel corso della discussione abbiamo incontrato un richiamo concernente l’Assemblea Nazionale, l’abbiamo accantonato, perché occorre per prima cosa risolvere la questione di principio.

Da alcuni colleghi è stata prospettata l’opportunità di non tenere sedute domani. In questo caso vorrei pregare i presenti di non chiedere che venga tolta immediatamente la presente seduta, perché sarebbe molto opportuno che con la prossima settimana potessimo passare senz’altro ad affrontare il Titolo II, relativo al Capo dello Stato.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io chiedo che domani si faccia seduta. Non vedo le ragioni per cui non si debba fare, data la brevità di tempo a nostra disposizione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io vorrei pregare l’Assemblea non di tenere o no seduta domani, ma di un’altra cosa: che non si discuta domani la questione dell’Assemblea Nazionale.

E dirò subito le ragioni. L’Assemblea ha già sospeso l’articolo 67 nel quale è detto che la funzione. legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere. Le diverse formulazioni che si possono proporre di questo articolo, alcune delle quali sono state presentate e altre no, si connettono in modo stretto col potere dell’Assemblea Nazionale. L’unità del potere legislativo si può raggiungere attraverso norme diverse, sia introducendo, come da qualcuno è stato proposto, come compositore il Capo dello Stato, sia invece ricorrendo ad una istanza superiore che comprenda entrambe le Camere, sia in altri modi. Insomma, vi sono tali connessioni fra il problema dell’esercizio collettivo del potere legislativo da parte delle Camere, con o senza l’intervento del Capo dello Stato, e quello dell’Assemblea Nazionale, che potrebbe essere l’organo unitario delle Camere, da far considerare inopportuno che essi non siano discussi e deliberati separatamente. E sta di fatto che per quanto riguarda l’articolo 67 ne è stata rinviata la discussione a dopo che sarà decisa la questione delle funzioni del Capo dello Stato. Io penso che potrebbe anche farsi prima. Cioè potremmo esaminare subito la questione. Penso però che, prima che sia esaminato, il Comitato di redazione dovrebbe rivedere il problema, in connessione col Titolo sul Capo dello Stato.

Non faccio obiezioni a che domani sia tenuta seduta, ma pregherei il Presidente di volere eventualmente stabilire altra materia all’ordine del giorno, in modo che sui problemi dell’esercizio del potere legislativo e dell’Assemblea Nazionale vi sia un minimo di respiro e che siano possibili preventive consultazioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Naturalmente, io non mi oppongo affatto alla proposta di tenere seduta anche domani. Debbo però ricordare che noi abbiamo a suo tempo rinviato il tema dell’Assemblea Nazionale a quando si sarebbero esaminate, a mano a mano che si presentavano nel progetto, tutte le questioni delle sue funzioni. La maggior contesa è sorta e si svolgerà soprattutto per un problema concreto, quello della fiducia o sfiducia che si deve esprimere al Governo attraverso l’Assemblea Nazionale o le Camere distinte.

Aggiungo che il Comitato di redazione non ha ancora potuto deliberare il tema perché non ne ha avuto materialmente il tempo. Oggi abbiamo dovuto riunirci alle 8, alle 9, alle 10, in varie Sottocommissioni, fra cui quella per gli statuti regionali, e poi in Commissione plenaria dei Settantacinque; ed alle 11 in Assemblea Costituente. Non possiamo, come Giosuè, arrestare il sole; o lavorare contemporaneamente in più riunioni.

Sono a disposizione dell’Assemblea. Vuol dire che, se non potrò formalmente convocare il Comitato di redazione, sentirò qui nell’Aula colleghi di varie parti, e mi assumerò la responsabilità di interpretare il pensiero del Comitato.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, devo far notare che, oltre quella costituzionale, non c’è altra materia da porre all’ordine del giorno della seduta di domani.

LACONI. Potrebbe essere dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. No. Non prendiamo le interrogazioni come un rimedio per tutti i mali. Si è stabilito di dedicare al loro svolgimento i lunedì in modo che i membri del Governo e i presentatori possano regolarsi tenendo presente questo nostro uso.

Il lavoro del Comitato di redazione non esonera l’Assemblea dalla discussione intorno alle questioni di principio come quella della istituzione o meno dell’Assemblea Nazionale. A me pare pertanto che si possa mettere all’ordine del giorno di domani ancora il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana, riprendendo dal secondo comma dell’articolo 52: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione». Questo comma pone appunto la questione di principio ed appunto perciò ne fu rinviata la discussione. Risolta con una votazione tale questione, il Comitato di redazione potrà proporre i conseguenti adattamenti, sui quali, nella prima seduta della prossima settimana, si pronuncerà l’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei avvisare che, poiché la discussione di questo tema avverrà domani alle ore 11 davanti alla Assemblea, convocherò prima il Comitato di redazione, rinviando la riunione della Commissione dei Settantacinque, che era già stata convocata.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi duole che non ci si sia compresi. È proprio la questione di principio, è proprio resistenza o meno dell’Assemblea Nazionale che non è possibile discutere in Assemblea se non si sarà risolto prima l’altra di cui all’articolo 67.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io insisterei perché fosse accettata la proposta del nostro Presidente, cioè di tenere seduta anche domani, perché, intendiamoci, noi qui regoliamo il nostro lavoro a seconda delle necessità, ma dobbiamo dare anche al Paese la sensazione che il nostro lavoro è continuo e che non lo interrompiamo inutilmente: altrimenti si corre il rischio di giungere a fine dicembre senza aver approvato tutta la Costituzione.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io non ho compreso la discussione attuale: che cosa ha a che fare l’Assemblea Nazionale con i poteri del Capo dello Stato? Niente! Non c’è nessuna connessione. Noi possiamo ammettere o non ammettere che ci sia l’Assemblea Nazionale, ma questo non riguarda affatto i poteri del Capo dello Stato.

Una voce. E per l’elezione del Capo dello Stato?

NITTI. Ma non è necessario creare apposta l’Assemblea Nazionale; basta dire che la fanno le Camere unite. Che esista o no questo simulacro che si vuol chiamare l’Assemblea Nazionale, che non esiste in nessun Paese della terra e che altro non è che una superstruttura assurda; che esista o non esista, ciò non riguarda la elezione del Capo dello Stato. Anche in regime monarchico per il giuramento all’inizio della legislatura si riunivano le due Camere. Ora Camera e Senato possono riunirsi per eleggere il Presidente della Repubblica, ma non c’è necessità, per ciò solo, di dar vita a quella supercamera, a quella invenzione, a quella assurdità stupefacente, a quella fantasia inutile che vogliamo chiamare Assemblea Nazionale.

Questa idea di fare una terza Camera così numerosa comporterebbe la necessità di convocarla – continuando con questi sistemi – in Piazza Montecitorio, piuttosto che nell’Aula. Questa supercamera, che non esiste in nessun Paese della terra e che si vorrebbe far convocate permanentemente, facendole discutere le cose più assurde, come per esempio l’amnistia (figurarsi se può essere un argomento discutibile da mille persone l’amnistia, che richiede una particolare competenza giuridica!) è una pura fantasia, che non riguarda il Capo dello Stato.

Ora noi dobbiamo affrontare la questione. Io credevo che, senza lunghe discussioni, si potesse procedere oltre. Volete discutere? Volete rinviare a domani? Si tratterà di perdere un’altra giornata; se vi volete divertire su questa stoltezza, che farà ridere l’Europa intera, divertitevi pure. Perderemo uno o due giorni ancora, ma non approveremo questa Assemblea Nazionale. È stata una aberrazione momentanea. Anche questa passerà. Vogliamo perdere ancora del tempo? Se lo volete, rinviamo a domani, ma lasciamo da parte il Capo dello Stato, e discutiamo e decidiamo, perché l’importante è sbarazzare al più presto il terreno dei nostri lavori da questo incubo, per non tornarci più sopra.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 11 di domani. Resta inteso che domani esamineremo questo problema, prendendo come base l’articolo 52 che abbiamo lasciato in sospeso nel suo secondo comma.

Presentazione di una relazione.

CLERICI. Chiedo di parlare, per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. La invito a salire sul banco della Presidenza.

CLERICI. Quale vicepresidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere, mi onoro presentare all’Assemblea la relazione sulla domanda di autorizzazione a procedere contro il signor Del Giglio Angelo, imputato del reato di cui all’articolo 290 del Codice penale.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Lucifero, dimissionario, ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione l’onorevole Condorelli.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se sono stati accertati i precedenti politici dell’attuale concessionario del Casinò di San Remo e ciò allo scopo di decidere con cognizione di causa sul visto che il Ministero deve apporre o negare alla deliberazione di concessione 17 aprile 1947 del Consiglio comunale di San Remo.

«Morini».

Interesserò il Ministro dell’interno, che non è presente, affinché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sulle ragioni che lo hanno indotto a esonerare senza preavviso e senza motivazione il colonnello in servizio permanente effettivo Vincenzo Vetere, mutilato di guerra, dalla carica di capo della divisione disciplina ufficiali dell’esercito, che ricopriva degnissimamente da cinque mesi, mettendolo a disposizione del comando territorio, alla stregua di ufficiali discriminandi o reimpiegandi, con grave danno materiale e morale, mentre ufficiali della riserva, per età e per sfollamento, sono trattenuti, a domanda, in servizio presso il Ministero e presso Enti della Capitale. Il Ministro della difesa, assicurando che esulava dal suo provvedimento ogni motivo di carattere politico aveva preso l’impegno formale di affidare al colonnello Vetere mansioni di pari o di superiore importanza. Si domanda quali sono le ragioni che hanno indotto l’onorevole Ministro a cambiare avviso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pacciardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, ai fini di pacificazione, presupposto indispensabile perché venga ristabilita la normalità, non ritenga indispensabile giustizia estendere l’annunciato provvedimento di revoca dei provvedimenti dipendenti dalla legislazione di epurazione, a tutte le categorie colpite.

«In proposito rileva:

che tutta l’impostazione dell’epurazione è basata su criteri assolutamente arbitrari, antigiuridici, illogici;

che ad aggravare tale impostazione si sono succedute, nel tempo, in modo caotico, leggi e disposizioni, diverse e anche contrastanti, le quali hanno determinato gravissime sperequazioni tra i colpiti;

che, indipendentemente da ciò, non rispondente affatto a criteri di equità, comprensione e giustizia, è stata la pratica applicazione delle leggi stesse;

che più antigiuridico ed iniquo tra tutti è il decreto-legge 11 ottobre 1944, n. 257 – meglio conosciuto col nome di «legge Bonomi» – il quale, con lo specioso pretesto di affrettare l’epurazione degli alti gradi, soppresse per gli ufficiali ed i funzionari dei primi 4 gradi anche quel minimo di garanzia e di difesa, che le leggi anteriori concedevano;

che, in tale guisa, vennero colpiti nella grande maggioranza, benemeriti funzionari, i quali non avevano – in effetti – altra colpa, che quella di essere pervenuti, sotto il passato regime, da essi stessi subito, ad alta carica, unicamente per meriti e capacità professionali, in rapporto alla anzianità di servizio, servendo lo Stato, come tale, con senso di responsabilità, abnegazione, obbiettività, rettitudine;

che detti funzionari, senza avere in alcun modo diritto a difesa e senza potere, neanche, conoscere il motivo del provvedimento, e, per taluni, mentre era ancora in corso il procedimento presso la competente Commissione di epurazione di primo grado, od erano stati da questa addirittura sciolti, furono – senz’altro – defenestrati, a profitto di altri, sotto ogni riguardo, certamente, non più di essi meritevoli;

che, per i prefetti, al fine di colpirli comunque, non solo fu applicato il predetto decreto legislativo 11 ottobre 1944, n. 257, ma si giunse al punto di collocarli a riposo, applicando una disposizione analoga, contenuta in legge fascista: regio decreto-legge 5 aprile 1925, n. 441;

che è necessario, una buona volta, porre la parola «fine» ad uno stato di cose intollerabile, e che da troppo tempo si trascina, con danno – soprattutto – del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bencivenga».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non ritenga equo ed opportuno disporre una modificazione del decreto 29 luglio 1947, n. 689:

  1. a) per concedere ai pensionati per vecchiaia o per invalidità, di età inferiore o superiore a 65 anni, l’assegno temporaneo di contingenza, nella misura unica di lire 2400;
  2. b) per annullare la disposizione relativa alla detrazione di un importo pari all’assegno dalla retribuzione dei pensionati che lavorano; e ciò, considerando che trattasi di categorie fra le più disagiate e che i pensionati si sottopongono al grave carico del lavorare nella loro età avanzata solo quando sono spinti dal pesante carico di famiglia e dalle attuali difficilissime condizioni di vita.

«Per questi medesimi motivi gli interroganti chiedono all’onorevole Ministro se non ritenga equo disporre che l’indennità di caro-pane per i pensionati della previdenza sociale venga equiparata a quella dei pensionati degli altri Enti, estendendola ai famigliari a carico. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scarpa, Fornara».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere con quali provvedimenti il Governo intenda venire incontro nel più breve termine possibile alle urgenti esigenze alimentari ed alla fiduciosa attesa dei ciechi civili, i quali hanno presentato in forma concreta e motivata un progetto per un assegno di assistenza continuativa, a mezzo della benemerita Unione italiana dei ciechi.

«Tale provvedimento sarebbe corrispondente all’articolo 34 già votato del progetto di Costituzione e si ispirerebbe al criterio della solidarietà sociale, per la quale spetta allo Stato, indipendentemente da qualsiasi responsabilità, di aiutare i cittadini più bisognosi, tanto più che è noto lo sforzo non soltanto individuale, ma anche collettivo, con il quale i ciechi hanno cercato e cercano di affrancarsi dalla inferiorità sociale e dall’inerzia, alle quali sarebbero condannati dalla tremenda loro disgrazia, ed è noto altresì come le feroci condizioni economiche odierne e la conseguente terribile concorrenza minaccino gli sforzi compiuti da quella categoria di grandi minorati per riuscire utili oltre che a se stessi alla società. Soprattutto si fa presente come, accanto ai ciechi lavoratori, esista un 70 per cento di quegli infelici non più ricuperabili, che sono letteralmente alla fame e nell’abbandono, e che minacciano di tornare all’accattonaggio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non creda giusto ed opportuno – data la scarsità del personale adatto – di estendere agli ufficiali giudiziari (i quali hanno raggiunto il 70° anno di età e sono collocati a riposo, giusta l’articolo 120 del regio decreto 28 dicembre 1924, n. 2275) il provvedimento di mantenimento in servizio, che è stato già adottato per i magistrati fino al grado quinto e per i cancellieri, quanto meno fino al 31 dicembre 1949, e se non ritenga di dover intanto soprassedere ai collocamenti a riposo in corso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Filippini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in base alla nuova disciplina dell’olio di oliva, non ritenga opportuno, oltre che conveniente, lasciare libero il commercio delle sanse, in quanto l’ammasso di tale sottoprodotto impone agli agricoltori maggiori spese per la conservazione, nuovi esasperanti controlli ed esige altresì il mantenimento del Consorzio per la distribuzione delle sanse ammassate, per cui i costi di produzione risultano gravati da notevoli ed evitabili spese, che in ogni caso superano quelle derivanti dal maggiore prezzo che verrebbe pagato ai produttori agricoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa, dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per conoscere quale è l’attuale estensione dei campi tuttora minati e quali provvedimenti intendono finalmente adottare per la sollecita restituzione alla produzione agricola delle terre cosparse di ordigni esplosivi, risultando che numerosi operai specializzati nel rastrellamento di mine sono da vari mesi disoccupati. Nei comandi militari addetti a tale rastrellamento si nota una viva preoccupazione per la fine dei lavori perché determinerebbe il licenziamento di varie centinaia di impiegati, mentre è urgente che considerevoli estensioni della pianura padana ritornino al più presto alla coltivazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per ovviare alla penosa situazione delle vedove e dei famigliari dei caduti in guerra in attesa di pensione, ai quali viene continuata la corresponsione del soccorso giornaliero, di cui alla legge 22 gennaio 1934, n. 115, che, pur aumentato a norma di successivi provvedimenti, è assolutamente irrisorio.

«L’interrogante chiede di sapere quindi se, in considerazione che tale soccorso è corrisposto a titolo di acconto sulla pensione, non si ritenga opportuno e giusto aumentarlo in misura tale da renderlo, per quanto possibile, più adeguato alle necessità di vita delle vedove e delle famiglie interessate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non reputa opportuno disporre la fermata del rapido R-562 Roma-Reggio Calabria alla stazione di Gioia Tauro, centro agricolo industriale di rilievo, dove fanno scalo gli abitanti di tutta una zona popolosa ed importantissima dal punto di vista agricolo e commerciale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Priolo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Lucifero

Gullo Fausto

Bozzi

Clerici

Cifaldi

Persico

Rossi Paolo

Rodi

Moro

Fabbri

Cortese

Buffoni

Condorelli

Targetti

Lombardi

Riccardo

Nobili Tito Oro

Piemonte

Perassi

Dominedò

Meda

Cevolotto

Codacci Pisanelli

Colitto

Mortati

Votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

PIGNEDOLI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato l’onorevole Bettiol a far parte della Commissione per l’esame del disegno di legge sulla stampa, in sostituzione dell’onorevole Moro, dimissionario.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Ricordo che dobbiamo ora passare all’esame del secondo comma dell’articolo 72:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Naturalmente bisognerà modificare la forma; togliere «altresì». Il Comitato è pure favorevole a che si tolga «da almeno due anni» accogliendo la proposta dell’onorevole Persico e di altri. Era una disposizione connessa a quella del comma precedente, in quanto si riteneva che, se il popolo non aveva esercitato la facoltà accordatagli pel referendum preventivo e sospensivo, doveva. lasciarsi un certo lasso di tempo, perché potesse ricorrere a quello abrogativo.

«Sette Consigli regionali». Il Comitato conserva questa dizione, ma non vi lega una grande importanza. Conservarla è un omaggio al concetto di Regione; toglierla può essere una semplificazione, che non tocca la sostanza del referendum. Decida l’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora c’è la formula dell’onorevole Persico, che è del seguente tenore:

«Si procede a referendum popolare se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali facciano domanda perché sia abrogata una legge».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io avevo presentato questa mattina, in via subordinata, la proposta di abolire la dizione «o tre Consigli regionali», nel primo comma.

Ora, poiché in seguito all’esito della votazione, il primo comma non esiste più, trasferisco la proposta al secondo comma, vale a dire propongo che siano abolite le parole «o sette Consigli regionali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dato ciò, chiedo che si voti per divisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Se ho bene inteso – perché certe volte non si sente bene – sarei contrario alla rinunzia da parte della Commissione alle ultime parole del suo testo originario, cioè «legge vigente da almeno due anni».

Ritengo che questa disposizione è giusto sia mantenuta, per evitare continui conflitti tra alcuni gruppi di cittadini e gli organi legislativi dello Stato. Altrimenti, ogni volta che una legge sarà stata approvata, dei gruppi che possano avere nel Paese una certa forza, inizieranno immediatamente l’agitazione per la richiesta del referendum.

Quindi, se la Commissione rinunzia a quest’ultima parte del periodo, la faccio mia e chiedo che sia messa in votazione.

PRESIDENTE. Ritengo che si debba votare per divisione.

Pongo in votazione le seguenti parole del secondo comma:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole:

«o sette Consigli regionali».

L’onorevole Nobile e altri hanno chiesto la votazione per appello nominale.

NOBILE. Vi rinunzio.

LUCIFERO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Perché il mio voto non sia frainteso, dichiaro che voterò contro le parole: «i sette Consigli regionali», non per mettermi in contrasto con dei concetti che non sono i miei, ma che sono ormai entrati nella Costituzione, ma perché, essendo anche rappresentante del Mezzogiorno d’Italia, questo consacrerebbe una sperequazione che metterebbe il Mezzogiorno nella quasi impossibilità di poter mai fare uso di questo diritto, mentre altre parti di Italia ne potrebbero far uso.

Visto che sono contrario a questa sperequazione, voterò, per questo specifico motivo, contro questo concetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«o sette Consigli regionali».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«domandano che sia abrogata una leggi vigente».

(Sono approvate).

Passiamo alle ultime parole del comma che la Commissione aveva soppresso, accettando l’emendamento Persico, ma che l’onorevole Lucifero ha fatto proprie:

«vigente da almeno due anni».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Dichiaro di essere contrario alla proposta dell’onorevole Ruini e dichiaro anche di essere contrario alla proposta dei due anni, di cui nel testo primitivo. Invito l’Assemblea a considerare l’importanza sia della disposizione originaria, sia dell’emendamento. Qui si fa il caso di una legge che può essere in vigore anche da più di due anni, e che quindi ha creato delle situazioni già consolidate. Argomento che vale, del resto, anche per il termine dei due anni. Quale certezza avrebbe la legge in questo caso? Invito l’Assemblea ad esaminare da questo punto di vista le due proposte. Non avremmo più nessuna legge certa; e la cosa va esaminata specie in rapporto alle leggi penali. Che cosa accadrebbe, proprio nei rapporti di una legge penale, se essa nascesse con questa incertezza, con questa insicurezza, e potesse accadere che essa, dopo aver trascinato in galera – e ciò accadrebbe dato che la legge rimarrebbe in vigore uno o due anni – centinaia o migliaia di cittadini, venisse proposta per il referendum abrogativo, adducendo che essa non era da approvare o addirittura neanche da proporre?

Questo sarebbe il caso limite, più paradossale; ma è certo che noi toglieremmo quel carattere di sicurezza che ogni legge deve avere, anche fatta astrazione dal suo carattere penale o non penale. Che cosa faremmo, ad esempio, dei diritti dei terzi, che intanto si sarebbero consolidati per effetto di una legge rimasta in vigore per uno o due anni, o peggio, per cinque o sei?

Una voce a sinistra. Sarebbe un articolo transitorio.

GULLO FAUSTO. Non capisco in che cosa consisterebbe questa transitorietà. Esaminiamo i casi che si possono dare. C’è la maniera normale di abrogare una legge quando si constati che essa è in contrasto con delle esigenze nuove sorte nella Nazione. Ma non capisco perché si debba pensare che le Assemblee sfuggano, in tal caso, a questa constatazione. Assemblee, si noti, le quali si rinnovano periodicamente. Perché si deve pensare che esse restino ferme in quelle opinioni che avevano suggerito l’approvazione della legge? Perché pensare che i rappresentanti del popolo prescindano completamente da un’opinione che può essere generale?

Poiché tutto ciò non è pensabile, ma è pensabile l’opposto, e cioè che le Assemblee accedano a queste esigenze d’ordine generale, accade che la norma avrà valore, purtroppo, nei casi eccezionali, quando ci sarà una minoranza, magari faziosa, la quale riuscirà facilmente (perché su 22 o 23 milioni di elettori 500 mila non rappresentano gran cosa) attraverso questa procedura straordinaria, ad indebolire senz’altro l’efficacia d’una legge. Si può anche pensare che il referendum risulti contrario, ma io chiedo all’Assemblea se vale la pena, per il gusto di approvare una disposizione simile, di creare alla Nazione cause di disordine e di prevedibile concitazione di animi. Una delle due: o la legge non è più sentita dalla generalità della Nazione, e allora non è pensabile che le Assemblee sfuggano a questa opinione diffusa nel popolo – e le Assemblee sono appunto emanazione diretta del popolo – oppure non è così: e allora daremmo ad una minoranza faziosa la possibilità di valersi di questa procedura per attentare al principio della certezza, della sicurezza delle leggi, che deve essere alla base di ogni legislazione.

Si può, se mai, accedere alla proposta di un breve termine; ossia che si dica alla fine dell’articolo 72 «di non più di sei mesi». Può avvenire in qualche caso che ci siano ragioni tali, non viste nel momento in cui veniva approvata la legge, da consigliare questa iniziativa, ma non al di là di un termine di sei mesi, appunto per non prolungare oltremodo lo stato di insicurezza.

In conclusione, o la legge è buona, nel senso che attraverso la sua applicazione per anni non ha mostrato manchevolezze, e allora non si deve dare modo ad una minoranza di intaccare la sicurezza della legge; oppure la legge si è dimostrata cattiva; e allora non è pensabile che le Assemblee non sentano come sente la generalità dei cittadini. Quindi io, che per principio sarei stato per la soppressione di questa norma, che mi pare pericolosissima, molto più pericolosa di quella che si è detta dell’abrogazione preventiva, contenuta nella prima parte dell’articolo, io che sono stato favorevole alla soppressione della norma, dico che bisogna tentare almeno con ogni mezzo di diminuirne la perniciosa efficacia, stabilendo che la proposta di referendum si può soltanto avanzare entro il termine massimo di sei mesi.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, le cose che ha detto l’onorevole Gullo mi sembrano esatte, ma le trovo ormai in contrasto irrimediabile con la votazione già avvenuta, perché gli argomenti che egli ha addotto sono contro il referendum abrogativo. Ormai l’Assemblea a grande maggioranza ha ammesso questo principio.

Che cosa propone ora l’onorevole Gullo? Propone che il referendum abrogativo – cioè questa manifestazione di volontà popolare diretta a togliere efficacia ad una legge votata dai due rami del Parlamento – possa essere espletato entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge medesima.

Io vorrei far notare all’Assemblea che questo suggerimento dell’onorevole Gullo è estremamente pericoloso perché la legge non entrerebbe in vigore fino a quando non fosse certo che il referendum non verrà chiesto.

Quindi per più di sei mesi, perché sei mesi occorrono per chiedere il referendum e poi un altro paio di mesi almeno occorrono per mettere in moto e concludere la macchinosa procedura del referendum, quindi per lungo tempo non si saprebbe se una legge votata dal Parlamento è o non è in vigore, con gli effetti funesti che ciascuno di noi intende: la incertezza assoluta dell’ordinamento giuridico!

E allora, dato che il principio del referendum abrogativo è stato ormai ammesso, penso che cosa migliore è mantenere il testo secondo la linea del Progetto: cioè il referendum abrogativo può essere effettuato nei confronti di una legge che abbia già due anni di vita. Dopo due anni di applicazione si può vedere – al vaglio dell’esperienza – se sia o no il caso di chiedere l’abrogazione di questa legge.

D’altra parte, onorevole Gullo, l’abrogazione di una legge la può fare anche il Parlamento. Io vorrei dire che questo referendum abrogativo verrà effettuato assai di rado; se una funzione avrà, questa sarà funzione – a mio parere – di stimolo, perché quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali, con una certa solennità, chiederanno che una legge venga abrogata, gli organi legislativi, se saranno torpidi, si sveglieranno, e lo stesso Governo dovrà prendere l’iniziativa di rivedere la legge. Quindi, una funzione di stimolo. Io ritengo opportuno che, anziché aderire alla formula Gullo, si aderisca al testo che garantisce quanto meno una certa stabilità.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi confesso di non aver capito la logica e soprattutto la logica giuridica della proposta dell’onorevole Gullo. Mi pare anzi, se non vado errato, che la sua proposta sia contraria alla logica giuridica e a qualsiasi logica, perché egli ha stabilito un principio secondo cui le leggi, invecchiando divengono, non solo buone, come il vino, ma immutabili, od almeno acquistano una presunzione di bontà, man mano che gli anni passano, tale da ritenere, con spirito arciconservatore, che più una legge è vecchia, tanto più essa è buona ed è immutabile. E non riesco a capire questo concetto per cui una legge possa non riscuotere il favore del popolo, che è sovrano, e che può mediante il referendum revocarla nei primi sei mesi; e questa sovranità popolare abbia invece a cessare al sesto mese e un giorno.

Non comprendo neanche il secondo argomento dell’onorevole Gullo, che è questo: che bisogno mai c’è del ricorso al referendum, alla consultazione e decisione del popolo, quando vi è un mezzo ordinario per modificare ed abrogare una legge, vi è cioè il Parlamento, che della sovranità popolare è l’interprete. Si dice così che le Camere godono di una presunzione di infallibilità, nell’interpretare la volontà popolare, cosicché sarebbe perfettamente inutile consultare direttamente il popolo ed avviarsi a forme di democrazia diretta. Ora, tutto questo può esser sostenuto. Ma mi stupisce enormemente che ciò sia sostenuto da quei banchi, e che la democrazia progressiva, cioè, arrivi a forme così contrarie a quelle che mi pare dovrebbero essere le sue aspirazioni. Ad ogni modo non capisco come le Camere, che avrebbero questa prerogativa di essere infallibili interpreti della volontà del popolo, di modo che sia quasi assurdo ricorrere al popolo per chiedergli se veramente esso è d’accordo con il suo Parlamento, questa qualità acquistano di colpo soltanto dal sesto mese in poi. O le Camere hanno questa prerogativa, o non l’hanno, e se si deve presumere che il Parlamento rappresenta la volontà popolare, il termine dei sei mesi è assurdo. Ma io dico invece che, fermo ormai quel voto che l’Assemblea ha or ora dato sul referendum, sul ricorso alla volontà popolare, mi sembra assurda ogni restrizione. Il popolo sovrano può col referendum decidere direttamente di una legge, fermi restando i poteri ordinari di mantenere o riformare la legge, che sono propri del Par lamento. E se è riconosciuta questa sovranità, non comprendo perché essa debba essere riconosciuta a compartimenti stagni. Qualora vi saranno 500 mila persone o sette Consigli regionali che chiederanno l’abrogazione di una legge, che viga da un anno o da cento anni, il referendum dovrà aver luogo, né dobbiamo preoccuparci d’altro, perché è la decisione che conta. Tutto va così, del resto, nella vita politica. Quello che conta non è presentare una mozione contro il Governo, quello che conta è ottenere la maggioranza: quello che conta non è chiedere un voto; quello che conta è saperne l’esito. Quello che conta non è la richiesta del referendum, ma il sua risultato.

E se il popolo in maggioranza, attraverso il referendum, giudicherà che una legge deve essere abrogata, non so come si possa immaginare, in nome della democrazia, di negare questa sovranità specifica al popolo. Per cui credo debba essere stabilito il principio della facoltà del referendum nelle modalità sopradette, senza alcun limite di questa autorità sovrana del popolo che pochi minuti fa abbiamo riconosciuta adottando il referendum.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi propone che alle parole: «due anni» si sostituiscano le altre: «cinque anni».

L’onorevole Cifaldi ha facoltà di parlare.

CIFALDI. Aderisco in pieno a quello che ha detto l’onorevole Bozzi. Mi permetto di osservare che, per dare certezza alla legge, è necessario che nessuna incertezza sorga sulla portata della legge stessa: onde noi possiamo stabilire un termine prima del quale non si possa procedere alla richiesta di referendum. Ma mi sembra, oltre questo, che sia indispensabile stabilire un termine maggiore dopo del quale solamente è consentito che cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali chiedano il referendum per l’abrogazione della legge. Perché? Perché tutti coloro che si occupano della materia legislativa sanno che una legge, nel primo momento della sua applicazione, dà luogo a molte incertezze e difficoltà. Prima che possa essere esattamente interpretata e chiarita attraverso sentenze vagliate anche dalla Suprema Corte, passa del tempo; e solamente quando una legge è accettata dalla parte generale della Nazione, quando essa è esattamente interpretata attraverso i pronunciati delle magistrature, viene davvero a rappresentare qualche cosa di operoso nell’interesse collettivo. Due anni sono pochi perché questo esame possa avvenire: cinque anni deve essere un termine minimo, in quanto vi è una presunzione: se i due rami del Parlamento hanno approvato una legge, deve supporsi che essa rispetti le esigenze e interpreti i bisogni e la volontà della popolazione.

Solamente quando, dopo un periodo di prova, possa esservi quasi la certezza che la maggioranza si sia cambiata, si può tentare un referendum, che indiscutibilmente può rappresentare un contrasto fra quello che è acquisito e quello che deve essere rinnovato.

Ecco perché mi permetto di pregare l’Assemblea di accettare il mio emendamento che estende a cinque anni il termine di prova perché si possa procedere ad una richiesta di referendum.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La proposta dell’onorevole Gullo è, diremo, l’ultima freccia contro il proposto articolo, perché, essendo egli contrario al referendum, cerca di mettere una condizione per cui non sarebbe possibile farlo funzionare: in quanto, se noi stabilissimo un termine entro il quale il referendum si può esercitare, evidentemente la legge non entrerebbe praticamente in vigore prima della scadenza di quel termine.

Avremmo una vacatio legis per tutto il tempo in cui è ammesso l’esercizio del diritto di richiesta di un referendum e allora quella instabilità legislativa che egli teme, verrebbe sancita dalla disposizione stessa della Costituzione. Nel termine che verrebbe stabilito la legge non sarebbe certa, perché potrebbe venire il referendum a modificarla. (Interruzione del deputato Gullo Fausto).

Un giurista come lei non dovrebbe dir questo, onorevole Gullo. È un errore pensare alle leggi sub specie aeternitatis. Le leggi si formano e si applicano; poi se ne formano delle successive, che abrogano le precedenti. Abbiamo avuto una quantità di leggi che si sono succedute a breve distanza di tempo in materia annonaria. Abbiamo avuto emanazione di decreti legislativi ogni sei o sette mesi. La necessità urgente di disporre norme contingenti obbligarono il Governo – se ci fosse stato il Parlamento sarebbe stato lo stesso – a modificare quelle precedenti, non più adeguate e rispondenti ai bisogni.

La stabilità della legge è data dalla sua bontà: se la legge è buona è anche stabile; se è cattiva crea subito la tendenza nel popolo a ribellarsi alla legge, a non eseguirla, a farsi anche condannare, se occorre, perché la ritiene ingiusta; è un vero movimento di discrasia rispetto alla legge.

Non è questo il concetto di stabilità della legge.

I Governi creano ed abrogano le leggi secondo le necessità, secondo le contingenze, secondo lo stato di pace e di guerra.

Non è vero che vulnereremmo il concetto di stabilità della legge con la possibilità del referendum abrogativo.

Non posso poi associarmi alla proposta dell’onorevole Cifaldi per il termine minimo di applicazione della legge di cinque anni. Propongo invece che non si stabilisca alcun termine.

Una legge, per un errore tecnico o di procedura, anche quindici giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, può offrire il fianco ad una critica così vivace, da dar luogo alla richiesta di 500 mila elettori o di sette Consigli regionali per la immediata modifica. Non è detto che debbano passare cinque anni perché si scopra questo difetto. Non è come per il vino, che diventa buono invecchiando. Se la legge è cattiva quando nasce, essa lo sarà sempre. Se la legge è buona, resterà tale, finché il legislatore non crederà di doverla adattare ai tempi nuovi. Se è necessario, ripeto, anche dopo un mese, si può domandare il referendum per la modifica.

Intendiamoci, onorevole Gullo, si chiede il referendum, ma il referendum lo farà poi il popolo. È soltanto la richiesta di un esperimento, per sapere se la maggioranza del popolo italiano, liberamente convocato nei comizi per il referendum, ritiene buona o cattiva la legge.

Può darsi che la richiesta sia dovuta ad un errore dei 500 mila elettori o dei sette Consigli regionali. Ed allora la legge risulterà collaudata attraverso l’esperimento democratico del referendum popolare.

Insisto, quindi, pregando l’onorevole Cifaldi a non voler proporre alcun termine, che è un ingombro inutile, e pregando l’onorevole Gullo di voler ritirare il suo emendamento, che renderebbe precaria la stabilità della legge.

Non occorre mettere alcun termine, perché si possa richiedere il referendum abrogativo, e non c’è poi bisogno di dire «vigente», perché, evidentemente, si tende ad abrogare una legge vigente.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io sono rimasto assai colpito da una delle argomentazioni dell’onorevole Gullo, quella che si riferisce alla legge penale.

Mi pare che l’onorevole Gullo abbia affermato: sarebbe molto strano e difficile dire a un tale, in prigione da due anni: «bada che la legge in base alla quale tu sei stato condannato, con sentenza passata in giudicato, è una legge non valida, bocciata dal referendum, ti mettiamo fuori senz’altro».

Io ho pensato una cosa più strana, che sottopongo alla critica dell’onorevole Gullo: supponete, al contrario, che un tale debba stare in carcere cinque anni per una legge così ingiusta, che venticinque milioni di italiani, chiamati al referendum, la respingerebbero come contraria alla morale e al comune sentimento popolare. Non vi sembra peggio?

GULLO FAUSTO. Non credo che le Assemblee facciano delle leggi così ingiuste.

ROSSI PAOLO. La critica è forte, ma va riferita all’istituto del referendum in generale, non alla imposizione di un termine.

Sono molto perplesso circa l’opportunità del referendum abrogativo. Riconosco che è un’arma difficile e pericolosa, la quale può tenere un Paese come il nostro in continua agitazione.

Cinquecentomila voti o sette Consigli regionali contrari ad una determinata legge si troveranno sempre. Ma una volta introdotto questo referendum, bisogna disciplinarlo nel miglior modo possibile. La fissazione di un termine, prima del quale il referendum non possa esercitarsi, non farebbe che peggiorare, la cosa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio dare un piccolo chiarimento per la preoccupazione espressa dall’onorevole Gullo. Uno sta in prigione per una condanna subita in base ad una dura legge. La legge viene abrogata con il referendum: quel tale esce di prigione senz’altro. È un principio di diritto penale, sancito nell’articolo 2 del Codice, che «nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Sono contro l’emendamento aggiuntivo, se non altro per il principio che non è possibile stabilire a priori entro quanto tempo una legge potrà rivelarsi cattiva o no; anzi possono aversi dei casi in cui una legge può sembrare buona per un certo periodo di tempo e poi per sopravvenute circostanze questa legge può rivelarsi cattiva. Allora penso che si debba mantenere la formula: «domanda che sia abrogata una legge».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

MORO. Mi associo alle considerazioni svolte dagli onorevoli Persico, Rossi Paolo e Rodi e dichiaro che il nostro gruppo è contrario alla determinazione di qualsiasi termine apposto al referendum abrogativo, sia quello di sei mesi proposto dall’onorevole Tulio per limitare il tempo entro il quale il referendum può essere chiesto, sia quello di due o cinque anni che debbono decorrere perché esso possa essere domandato. Mi sembra che attraverso questi emendamenti, presentati nella seduta pomeridiana, si cerchi in qualche modo di eludere i risultati della votazione fatta stamattina. Ciò è comprensibile per coloro i quali hanno votato contro il referendum abrogativo, mentre si comprende meno – e mi perdoni l’amico Cifaldi – per coloro i quali stamattina si sono mostrati favorevoli al referendum abrogativo.

Debbo ricordare quanto ha notato l’onorevole Ruini, e cioè che l’espressione: «vigente da due anni» era collegata al primo comma, contro il quale unanimemente abbiamo votato stamattina. Era collegata al presupposto cioè che gli elettori ed i Consigli regionali abilitati a sospendere l’entrata in vigore della legge non avessero operato in tal senso, tanto che si dovesse presumere, almeno per un certo tempo, che la legge corrispondesse alla coscienza comune.

Nell’articolo, così come era presentato, quella disposizione era perfettamente logica, mentre questa logica non sussiste più una volta eliminata la prima parte dell’articolo 72. Ed abbiamo eliminato quella parte, proprio perché ci rendevamo conto dell’opportunità di garantire quella certezza del diritto, alla quale molti colleghi si sono richiamati durante la discussione pomeridiana. Infatti, quando si pensi ad una sospensione stabilita, in linea di principio per ogni legge, in forza del potere attribuito di chiedere un referendum sospensivo, effettivamente tutta la legislazione per qualche tempo è posta come in istato d’accusa e vi è il timore che essa possa non ottenere il consenso del popolo che può intervenire direttamente nell’attività legislativa.

Ma il referendum abrogativo non toglie invece la certezza del diritto, perché se è vero che tutte le leggi possono essere abrogate attraverso questa procedura, è pur vero che il referendum abrogativo è un espediente episodico, che non è usato nei confronti di tutte le leggi e conserva quindi carattere eccezionale.

Evidentemente la certezza del diritto non è messa in forse, più che non lo sia attraverso le normali procedure di abrogazione della legge.

Si è parlato, da parte dell’onorevole Gullo, del pericolo di sospensione che si determinerebbe, quando i cinquecentomila elettori o i sette Consigli regionali avessero chiesto l’abrogazione. Si osserva in contrario, che è la stessa sospensione e la stessa incertezza, che si determinano quante volte dinanzi alla Camera s’inizia la procedura per l’abrogazione delle leggi. Non cambia insomma la sostanza delle cose. Sono queste, onorevoli colleghi, le vicende inevitabili della vita del diritto, che non è una cosa morta, ma un perenne vivo fluire.

Il presupposto dal quale partiamo nell’atto di stabilire, come abbiamo stabilito stamane, il referendum è questo: la possibilità di un disaccordo, fra la coscienza pubblica e le Camere che di essa dovrebbero tener conto nell’attività legislativa. Quindi è inutile richiamarsi alle Camere, è inutile dire che esse intendono bene qual è il loro dovere di fronte ad una legge la quale non corrisponde alla coscienza pubblica. Ammettere il referendum significa ritenere appunto la possibilità di questo disaccordo, la possibilità di questa minore comprensione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica, la quale può manifestarsi ed operare fin dal primo momento in cui la legge è entrata in vigore, senza che vi sia necessità di fare alcuna esperienza, di sei mesi, di due anni, o cinque anni, esperienza assolutamente non necessaria di fronte alla natura del referendum abrogativo.

Pertanto, richiamando l’attenzione dei colleghi sul significato che questo voto verrebbe ad assumere nei confronti dell’altro che abbiamo dato stamane, dichiaro che voteremo contro tutte le apposizioni di termini al referendum abrogativo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. A me pare indispensabile, prescindendo dalla questione di ordine ormai assolutamente teorico, sui pregi e sui difetti del referendum, che le varie norme della Costituzione abbiano una assoluta coerenza fra di loro, perché se appariranno contrastanti, indiscutibilmente vi sarà pregiudizio nell’apprezzamento che si farà del testo della Costituzione stessa.

Allo stato attuale delle cose, noi abbiamo votato che non sia ammesso il referendum sospensivo della validità della legge; abbiamo anche votato che sia ammesso il referendum abrogativo della legge. Questi sono due punti fermi già acquisiti. Ora, l’aver escluso il referendum sospensivo è un omaggio reso al Parlamento, ed è una presunzione che nel momento in cui il Parlamento si pronuncia e fa una legge questa corrisponda ad una esigenza con caratteri tali che gli organi qualificati l’hanno risentita e su di essa hanno statuito in modo che questa statuizione deve esser ritenuta così solenne, così importante, che deve essere da tutti rispettata, e non può essere sospesa da una manifestazione contraria popolare. Ora, se noi ammettiamo che immediatamente dopo questa manifestazione solenne da parte del Parlamento, presunta in perfetta coincidenza di idee col popolo rappresentato, l’opinione pubblica abbia diritto di insorgere per chiedere l’abrogazione della legge il giorno stesso che è stata votata, noi assumiamo un atteggiamento, dal punto di vista logico, che è in perfetta contradizione col principio che abbiamo stabilito.

Se noi vogliamo difendere la sovranità del Parlamento, se noi vogliamo rispettarne il prestigio, possiamo solo ammettere che dopo un’acquisita esperienza degli effetti della legge, si possa verificare una certa sordità nella sensibilità del Parlamento, un certo ritegno da parte del Parlamento stesso a revocare una sua legge deliberata qualche tempo prima, e solo allora, dopo un certo termine, certamente non meno di un anno, due, tre anni (non faccio questione di sei mesi di più o di sei mesi di meno) ritengo che possa ammettersi il referendum abrogativo. Dico dunque che è assolutamente indispensabile, per coerenza logica e per organicità di sistema, che il referendum abrogativo abbia per sé la giustificazione della constatata non rispondenza della legge alle esigenze sociali sopravvenute mentre, viceversa, si deve tenere fermo il principio che quando il Parlamento fa una legge e proprio nel momento in cui la delibera, il Parlamento, che è qualificato a rappresentare la volontà della Nazione, fa una legge che deve essere rispettata e deve avere per sé il benefìcio di essere sperimentata per un certo tempo.

Mi pare quindi indispensabile che prima di ammettere la funzione abrogatrice del referendum vi sia stato un periodo di esperienza della legge di una certa durata; circa la misura del termine mi rimetto, naturalmente, al criterio di convergenza dei consensi di coloro che sostengono essere il termine necessario.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi sembra che il ragionamento dell’onorevole Moro non sia conseguente alle sue precedenti dichiarazioni, perché stamattina sosteneva il referendum di cui si parla nel primo comma; dato il risultato negativo della votazione, cerca ora di farlo rientrare proponendo l’abolizione del termine di tempo prima del quale non si può chiedere l’abrogazione della legge. Infatti, in tal caso, nulla vieterebbe di chiedere l’abrogazione di una legge anche solo un mese dopo che è stata emanata, ma in che cosa differirebbe questo con quello che era stabilito nel primo comma contro cui l’Assemblea ha votato? Dunque, mi par logico che per le stesse ragioni per cui l’Assemblea ha respinto il primo comma debba respingere anche la soppressione del termine di tempo.

Mi sembra, poi, che l’argomentazione dell’onorevole Gullo sia molto importante. Bisogna che i cittadini, nel momento in cui il Parlamento vota una legge, abbiano la sensazione che la legge ha un carattere di stabilità. Se si ammette la possibilità che la legge possa essere abrogata quando 500.000 cittadini si mettano d’accordo, è evidente che in certi casi, ad esempio quando si tratti di una legge annonaria, si farebbe presto a raccogliere 500.000 firme per ottenerne l’abrogazione. Si potrebbe perfino dare origine ad un nuovo partito a mezzo di un movimento che tende ad abrogare certe date leggi. Appunto per questo consento sul termine indicato dall’onorevole Cifaldi. Mi pare che se si vuol ammettere la possibilità di abrogazione, questa non si possa chiedere se non quando sia decorso un periodo abbastanza lungo di applicazione della legge.

CORTESE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. La proposta tendente ad abolire ogni termine per l’esercizio del referendum snatura evidentemente lo spirito dell’articolo 72. Difatti il referendum contemplato nell’articolo 72 vuole avere efficacia abrogativa nel senso che una legge possa essere abrogata mediante il referendum se, nella sua applicazione, non risponda alle esigenze per le quali fu emessa. Con l’abolizione di ogni termine, invece, il referendum si trasforma in una seconda istanza, nel senso che, approvata una legge il settore che non la votò, agitando una campagna nel paese, potrà provocare un referendum inteso ad abolirla ancora prima di una qualunque esperienza di essa. È evidente la duplice conseguenza che da ciò deriverebbe: la menomazione della funzione legislativa, e il facile tentativo di ricorso al referendum per qualunque partito soccombente.

Ciò significherebbe veramente sovvertire alle basi il regime parlamentare, il regime della rappresentanza parlamentare, in base alla quale il popolo è rappresentato dalle Assemblee democraticamente elette; e comporterebbe anche il pericolo di agitazioni continue, trasferendosi nel paese la lotta parlamentare definita con l’approvazione della legge.

Se il referendum è stato approvato, rispettiamo per lo meno lo spirito che vuole informarlo all’articolo 72, conserviamo cioè al referendum il carattere non di un appello, ma di un mezzo eccezionale per abrogare una legge che si dimostra imperfetta nella sua pratica applicazione.

Quindi, in linea principale, ci sembra opportuno che si accetti l’emendamento Cifaldi, stabilendosi così il termine di cinque anni; in linea subordinata occorrerebbe tener fermo il termine di due anni, perché, ripetiamo, l’abolizione del termine snatura la disposizione e stabilisce un principio oltremodo pericoloso, esautorando la funzione legislativa.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Espongo un mio parere personale. Non parlo in nome del mio Gruppo perché non conosco il pensiero dei miei compagni.

Credo che non bisogna stabilire alcun termine. L’affermazione qui fatta, che il Parlamento è sempre l’interprete della coscienza popolare, non è esatta. Si è stabilito che il Senato deve durare in carica sei anni; si è stabilito che la Camera dei Deputati deve durare in carica cinque anni. Sta bene che esiste la salvaguardia della possibilità di uno scioglimento per decisione del Presidente della Repubblica; ma lo scioglimento può anche non avvenire. Può pertanto accadere che col volgere del tempo un Parlamento non risponda più alla coscienza popolare e approvi o voglia mantenere leggi cattive. In queste condizioni, perché il popolo non deve avere il diritto di domandare l’abrogazione di queste leggi? Noi dobbiamo riconoscere che la coscienza popolare in un periodo di cinque anni può anche modificarsi profondamente. Al popolo, bisogna riconoscere quindi il diritto di reclamare l’abrogazione di determinate leggi, abrogazione che il Parlamento può non volere.

Ricordo il caso dell’Assemblea francese «bleu-horizon» eletta dopo la fine vittoriosa della guerra 1914-1918 in seguito ad una ventata nazionalista: essa ben presto non rispose più alla coscienza popolare che andò rapidamente modificandosi in Francia. Domani potremmo avere anche in Italia un Parlamento, il quale non rappresentasse e non interpretasse più, a un determinato momento, il reale pensiero del popolo. È evidente che questo Parlamento potrebbe fare delle leggi che sarebbero in netto contrasto con gli interessi, le aspirazioni e la volontà popolari. Noi dobbiamo quindi conferire al popolo il diritto di infrangere una tal sorta di leggi.

Credo dunque opportuno che, nell’interesse della democrazia, sia da accettare la proposta così come essa è stata formulata dalla Commissione, senza alcun emendamento aggiuntivo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, io rilevo che il problema è stato essenzialmente guardato dal punto di vista politico, mentre non è stato, mi pare, considerato sotto l’aspetto tecnico-giuridico che esso pure presenta. Dal punto di vista politico, sono facili ad intuirsi le ragioni che stanno per una tesi o per l’altra; ma, dal punto di vista tecnico-giuridico, invece, c’è da osservare quello che avverrebbe dopo che il popolo, attraverso il referendum, avesse abrogato una legge.

Dal punto di vista formale, la soluzione è semplice: quella legge non c’è più; ma, dal punto di vista sostanziale, che cosa avverrebbe? Avverrebbe che si creerebbe una lacuna, si potrebbe anzi creare addirittura una voragine, perché teoricamente potrebbe anche avvenire che, attraverso il referendum, si abrogasse, ad esempio, il Codice penale. Ora, se ciò avvenisse dopo appena un anno dalla sua promulgazione, potrebbe allora opportunamente tornare in vigore il vecchio Codice; ma, in altri casi, potremmo invece far tornare in vigore vecchissime leggi, ormai completamente superate.

Accadrebbe allora che il nostro popolo sarebbe costretto a vivere e ad agitarsi in questa sorta di voragine fino a che il legislatore non avesse provveduto a colmarla.

Per vero, noi ci troviamo ora di fronte ad un fatto definito, perché abbiamo già votato. Ma è appunto per questo che dobbiamo ben considerare come possa configurarsi questo referendum, perché è ovvio che non può scavarsi un abisso là dove c’è una legge. Perciò a me pare che non si possa uscire da questo ginepraio in cui ci siamo cacciati, se non attraverso una norma che fissi un termine massimo anziché un termine minimo, di là dal quale si possa incominciare a chiedere il referendum.

Si può infatti accordare al popolo di protestare contro una legge che gli sembri ingiusta; ma bisogna stabilire che lo possa fare entro certi limiti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, ho domandato la parola per una semplice dichiarazione di voto. Le ragioni che hanno condotto noi socialisti a proporre e a sostenere la soppressione dell’intero articolo, valgono, almeno per me, a farmi ritenere opportuno aderire a quell’emendamento che riduce il più possibile il termine entro il quale questo articolo di legge può essere applicato.

Noi abbiamo ritenuto e riteniamo che questo articolo di legge non avrebbe dovuto essere approvato, non già perché contrari all’istituto del referendum, ma all’uso – onorevole Uberti – dell’istituto stesso, perché ella mi insegna che si può essere favorevolissimi ad un istituto e al tempo stesso…

UBERTI. In teoria, non in pratica.

TARGETTI. …contrarissimi ad adoperare questo istituto a fini che riteniamo pericolosi. E noi riteniamo pericoloso ricorrervi perché potrebbe verificarsi questo: che una minoranza (per raccogliere 500 mila elettori in tutta Italia basta anche una minoranza) riuscisse ad impedire il regolare svolgersi dell’attività legislativa delle due Camere. Si dice: sarà la volontà popolare; ma la volontà popolare, onorevoli colleghi, dobbiamo ritenere che sarà sempre degnamente e interamente rappresentata dalle due Camere, cioè dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica. Io non riesco a configurarmi una volontà popolare meritevole di questo nome, che non abbia una sua rappresentanza nell’una e nell’altra Camera e non riesca quindi a farvi sentire la sua voce.

Per queste considerazioni, perché riteniamo che questa disposizione costituisca un pericolo, un pericolo da molti di noi non abbastanza avvertito, sono dell’opinione che più si riduce la durata del pericolo e non dico meglio si fa, ma meno male si fa. Aderisco per questo alla proposta dell’onorevole Gullo.

PRESIDENTE. Mi pare che tutti i punti di vista sono stati esposti; possiamo passare, dunque, alla votazione.

Le proposte sono quattro: 1) proposta dell’onorevole Gullo Fausto, a tenore della quale si può chiedere il referendum non più di sei mesi dopo la promulgazione di una legge; 2) proposta dell’onorevole Lucifero, a tenore della quale occorre, invece, che siano passati almeno due anni: 3) proposta dell’onorevole Cifaldi, per la quale devono essere passati almeno cinque anni; 4) proposta della Commissione, che non pone alcun termine, accogliendo l’emendamento dell’onorevole Persico.

Penso che il primo ad esser posto in votazione debba essere l’emendamento dell’onorevole Gullo in quanto, se accettato, modificherebbe più profondamente la proposta della Commissione.

Successivamente occorrerà porre in votazione la proposta dell’onorevole Cifaldi; poi, la proposta dell’onorevole Lucifero, e infine il testo della Commissione, qualora nessuna delle tre proposte precedenti fosse accettata.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Cifaldi, mantenendo la mia come subordinata, poiché, nel caso la proposta dell’onorevole Cifaldi non venisse accettata, qualcuno potrebbe accogliere la mia col termine dei due anni.

PRESIDENTE. Sta bene.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, come ella ha lucidamente detto, sia la mia proposta che quella dell’onorevole Cifaldi in realtà mirano ad attenuare i pericoli che noi vediamo nel testo e tanto più nella proposta di cancellazione del termine.

Io non ho nessuna difficoltà a ritirare il mio emendamento e ad aderire a quello dell’onorevole Cifaldi, proponendo che la richiesta del referendum non possa essere fatta se non dopo il termine di cinque anni.

PRESIDENTE. Sta bene. La votazione è così semplificata, perché abbiamo soltanto due proposte.

Procediamo senz’altro alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Cifaldi al quale hanno dichiarato di aderire in un primo momento l’onorevole Lucifero e poi, anche l’onorevole Gullo Fausto.

La formula dell’onorevole Cifaldi è la seguente:

«da almeno cinque anni».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiediamo l’appello nominale su questo emendamento.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Domando la votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Chiedo se la proposta di votazione a scrutinio segreto sia appoggiata.

(È appoggiata).

Sta bene. Allora prevale la domanda di votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Si procede, quindi, alla votazione a scrutinio segreto sull’emendamento proposto dall’onorevole Cifaldi a tenore del quale la formulazione: «da almeno due anni» che è inserita nel testo della Commissione, deve essere modificata nell’altra: «da almeno cinque anni».

Presidenza del Vicepresidente CONTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusala votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     306

Maggioranza           153

Voti favorevoli        134

Voti contrari            172

(L’Assemblea non approva).

Hanno prese parte alla votazione:

Abozzi – Aldisio – Allegato – Amadei – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Cacciatore – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – Di Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Donati.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Fornara – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gortani – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Luisetti.

Magnani – Magrini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Martinelli – Martino Enrico – Massini – Mattarella – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Sullo.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino – Alberti.

Bonino.

Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Romita.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento subordinato dell’onorevole Lucifero, il quale si era riservato di riproporlo nel caso che la proposta dell’onorevole Cifaldi non fosse stata approvata, emendamento che riprende la formula del progetto «da almeno due anni».

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, non è approvato).

Il secondo comma rimane, quindi, approvato senza alcuna indicazione di durata di vigore della legge:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge».

Ora, passiamo all’ultimo comma dell’articolo 72:

«In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali»

A questo comma è stata presentata una proposta soppressiva dall’onorevole Nobili Tito Oro.

NOBILI TITO ORO. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento accolta dalla Commissione:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, per quelle di approvazione del bilancio e per quelle di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Si tratta di un emendamento di pura forma che non ha bisogno di illustrazioni.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io vorrei domandare alla Commissione se quest’ultimo comma ha ancora ragion d’essere, per lo meno in tutte le sue parti, una volta che abbiamo tolta la prima forma di referendum. Che cosa vuol dire referendum abrogativo di una legge di approvazione del bilancio? Vorrei una spiegazione.

PRESIDENTE. Faccia delle proposte, onorevole Bozzi.

BOZZI. Vorrei prima dei chiarimenti. Per conto mio, propongo che sia soppresso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto della Commissione era che queste eccezioni dovevano valere per tutti i casi di referendum tanto abrogativo, quanto preventivo. Io credo che non vi sia nessuna ragione di togliere queste disposizioni, che sono dettate da una certa cautela, alla quale si inspirava poco fa l’onorevole Bozzi, quando voleva passare da due a cinque anni. Proprio perché siamo favorevoli al referendum, abbiamo voluto circondarlo di cautele, perché possa dare buoni risultati.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei pregare l’onorevole Presidente della Commissione di dire se non crede opportuno che si inseriscano qui anche le leggi in materia costituzionale. L’articolo 130 che riguarda la revisione della Costituzione parla soltanto del referendum popolare cui si può sottoporre una legge di revisione costituzionale, ma non si riferisce al caso di abrogazione di una qualsiasi legge in materia costituzionale. Perciò, se qui non si dice nulla in proposito avverrà che anche di una legge in materia costituzionale si potrà chiedere l’abrogazione per referendum. Per questa ragione mi sembrerebbe opportuno inserire anche le leggi di materia costituzionale.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Ho chiesto di parlare per proporre la votazione per divisione di questo comma, perché se siamo d’accordo sulla prima parte, che riguarda le leggi di approvazione dei bilanci e le leggi tributarie, siamo contrari ad eludere il referendum per le leggi che riguardano i trattati internazionali. Mi riservo di spiegare le ragioni a sostegno.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte propone che si proceda alla votazione per divisione, in quanto egli dichiara di non essere favorevole alla esclusione del referendum per le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Chiede perciò che vengano votati per divisione i tre tipi di leggi considerati.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Occorre tener presente che questo comma, che è rimasto tuttora come era stato formulato dalla Commissione, assume una portata che è diversa da quella che aveva inizialmente. Infatti inizialmente il comma ultimo riguardava sia l’ipotesi del referendum cosiddetto sospensivo, sia l’ipotesi del referendum abrogativo.

Ma ora, dell’articolo 72 è rimasto soltanto il comma che prevede esclusivamente il referendum abrogativo. Occorre quindi considerare la formulazione dell’ultimo comma in relazione al contenuto dell’articolo 72, quale è uscito dalle varie successive deliberazioni.

Ora, a me pare che una norma che esclude la possibilità del referendum abrogativo è opportuna ed ha ragione di essere espressamente formulata per quanto concerne le leggi tributarie. Ma per le leggi di approvazione di un bilancio o per quelle di autorizzazione a ratificare un trattato non mi pare che sia necessaria una norma espressa che le sottragga al referendum, poiché non si vede come si potrebbe avere un referendum abrogativo di leggi di quella specie.

BOZZI. È evidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io sono d’opinione un po’ diversa, su questo punto, dal mio così valoroso e solerte collaboratore Perassi. Egli dice che è assurdo mettere certe leggi, perché e inconcepibile pensare di applicare ad esse il referendum. È un assurdo per una mente rigorosamente giuridica, come è la sua. Ma può ad altri sembrare che, se si esclude il referendum soltanto per le leggi tributarie, è ammesso per tutte le altre, senza che possa opporsi l’eccezione di inconcepibilità. Ritengo che tutto sommato è meglio rimanere al testo proposto.

Quanto alle osservazioni dell’onorevole Nobile, osservo che la materia delle leggi costituzionali sarà regolata insieme a quella delle garanzie costituzionali.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Siccome l’onorevole Piemonte ha chiesto la votazione per divisione, votiamo prima la parte del comma che riguarda le leggi tributarie, poi quella dell’approvazione dei bilanci ed infine quella dell’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A nome dei colleghi di Gruppo dichiaro che, pur procedendosi a votazione per divisione, noi siamo di avviso di mantenere tutte le eccezioni contemplate dal testo in esame. Ammesso in via di principio l’istituto democratico del referendum, riteniamo infatti che in tutte le ipotesi in parola, e talvolta per motivo politico prima che giuridico, come nel caso della legge di approvazione del bilancio, il referendum si dimostri il mezzo meno idoneo per rispondere alle esigenze qui contemplate.

Per questo motivo voteremo integralmente a favore dell’ultimo comma dell’articolo.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Faccio rilevare che mi pare assurdo che non si dia al popolo il diritto di referendum per giudicare sopra i trattati internazionali, che legano il popolo stesso e la Nazione, qualche volta per lunghi anni.

Faccio presente che se ci fosse stato l’istituto del referendum il patto della Triplice alleanza non sarebbe stato concluso e, probabilmente, nemmeno lo stesso patto di acciaio. Richiamo l’attenzione dei colleghi tutti sulla gravità di questa decisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voterò a favore del mantenimento integrale di tutto il comma dell’articolo.

Vorrei soltanto far osservare una cosa l’onorevole Piemonte. La politica estera è ma cosa molto grave e molto seria. Quello che egli ha detto è nobilissimo ed io lo apprezzo pienamente; ma gli faccio osservare che anche le Camere sono espressione della Nazione e del popolo e che i trattati internazionali vanno portati per la ratifica alle Camere. Non si può sempre portare la politica estera al voto popolare.

Speriamo che un giorno questo sia possibile; ma oggi questo creerebbe allo Stato italiano, in determinate circostanze, una tale condizione di inferiorità, che potrebbe avere conseguenze dolorose proprio per il popolo, la cui sovranità vogliamo tutelare.

Le Camere sono emanazione del popolo o possono dare una garanzia sufficiente. La politica estera è legata con tante questioni che si presentano fuori di casa nostra: non dobbiamo complicare la situazione del nostro Paese, il che porterebbe a conseguenze diverse da quelle che noi realmente vogliamo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione della Costituzione. Farò un’osservazione molto più sommessa di quella dell’onorevole Lucifero ma più efficace, ne sono sicuro, a convincere l’onorevole Piemonte. Qui si parla dell’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Abbiamo escluso il referendum cosiddetto sospensivo, in cui si sarebbe anche potuto capire una sospensione della ratifica. Ma qui interveniamo quando la ratifica è già avvenuta. Come si può abrogare col referendum una ratifica già avvenuta?

Mi pare che il ragionamento sia convincente. Per modificare il corso della politica estera vi saranno altre vie, altre forme.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda, Clerici, Benvenuti, Bianchini Laura, Roselli, Salizzoni, Zaccagnini, Titomanlio Vittoria propongono di aggiungere ai casi previsti anche le leggi per la concessione di amnistia.

L’onorevole Meda ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MEDA. In realtà, il referendum ha un valore abrogatorio. Ora, una legge che stabilisse un’amnistia o l’indulto è evidente che non possa essere revocata quando è andata in vigore, in quanto dopo che i detenuti sono stati posti in libertà non si può verificare il caso che debbano essere nuovamente arrestati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo è uno di quei casi in cui la tesi dell’assurdo, di cui aveva parlato testé l’onorevole Perassi, potrebbe aver peso. Del resto se l’amnistia dà luogo ad una legge, non è una legge di tipo comune, cui possa applicarsi il referendum. Sarebbe una revoca, non un’abrogazione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta una proposta firmata degli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Giolitti, Grieco. Lombardi Carlo, Molinelli, Sicignano, Ruggeri, Ferrari, Musolino, Gervasi di comprendere tra le leggi escluse dal referendum abrogativo anche le leggi elettorali. Invito l’onorevole Ruini a manifestare al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non sono favorevole, perché se c’è qualche cosa in cui il popolo può manifestare la sua volontà, è proprio il sistema elettorale. La sovranità popolare si esprime qui con tutta la sua ragion d’essere ad impedire in ipotesi che i membri del Parlamento abusino, nel regolare a comodo loro le elezioni. Non bisogna dimenticare, onorevoli colleghi, che il vero sovrano è il popolo, non il Parlamento. Voglio dire una volta ancora che la nostra Costituzione deve reagire al punto di vista che si è manifestato anche in alcuni settori di questa Assemblea, che il popolo ha un solo diritto: nominare una Camera, la quale, quando è nominata, ha tutti i poteri e, come diceva l’onorevole La Rocca, avrebbe anche il potere esecutivo. Concezione totalitaria, che vuol prendere il nome di regime parlamentare, ma non lo è più, nel senso storico in cui il regime parlamentare si è svolto con un sistema di «freni e di contrappesi». È piuttosto il regime del Governo di assemblea e di convenzione; e ne va combattuto il totalitarismo. È necessario, pur dando al Parlamento il dovuto rilievo, instaurare un regime che chiamerei popolare, perché deve far capo al popolo non soltanto per l’elezione del Parlamento, ma in quelle altre forme di emanazione della sovranità popolare, fra cui è caratteristico ed importante il referendum. L’istituto del referendum, introdotto con le dovute cautele nella Costituzione, è principio di democrazia vera, cui non possiamo rinunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «Non è ammesso referendum per le leggi tributarie».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «o di approvazione dei bilanci».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le altre:

«di concessione di amnistia».

(Sono approvate).

CEVOLOTTO. Penso che si debba comprendere anche l’indulto e propongo che tale parola sia aggiunta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«e indulto».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«le leggi elettorali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le ultime parole:

«e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

(Sono approvate).

L’articolo 72 risulta così approvato nel suo complesso:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge.

Non è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci, dì concessione di amnistia e indulto, elettorali, e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Lo ritiro, perché, essendo già stato approvato l’articolo precedente, non ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE. Analoga proposta soppressiva è stata fatta dall’onorevole Targetti. Ha facoltà di svolgerla.

TARGETTI. Questa proposta era in correlazione con la soppressione dell’articolo 72. Perciò la ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: chiamati ad, sostituire le seguenti: aventi diritto di».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. La dizione da me proposta mi sembra un poco più precisa. Me ne convince il testo stesso del progetto, perché la stessa dizione da me proposta si trova nel capoverso dell’articolo 73.

Penso pertanto che l’emendamento debba essere accolto anche per ragioni di euritmia legislativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: la Camera dei deputati, sostituire le altre: il Senato della Repubblica».

«Al secondo comma, alle parole: se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, sostituire le altre: se è raggiunta la maggioranza dei partecipanti alla votazione».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Li ritiro.

PRESIDENTE. Vi è, infine, ancora un emendamento, presentato dagli onorevoli Rossi Paolo, Lucifero, Persico, Buffoni, Cosattini, Carpano Maglioli, Bianchi, Bianca, Morelli Renato, Lami Starnuti, Preti, Condorelli, del seguente tenore:

«Al secondo comma sostituire le parole: due quinti, con: tre quinti».

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgerlo.

ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, secondo l’attuale formulazione dell’articolo 73, sarebbe possibile che una proposta abrogativa fosse coronata da successo con la partecipazione al voto del 40 per cento degli elettori iscritti. Siccome l’esperienza ci insegna che il 4, 5 o 6 per cento di schede sono nulle, potrebbe accadere, sempre per la dizione dell’articolo 73, che parla di una partecipazione di due quinti e di una maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, che una legge, eventualmente approvata con larghissima maggioranza dai due rami del Parlamento, fosse abrogata col 17 o 16 o 15 per cento degli elettori iscritti. Mi si dirà che questa ipotesi è un’ipotesi rara, perché, naturalmente, si suppone che il popolo partecipi in più larga misura al diritto elettorale, all’esercizio del referendum; ma osservo che può accadere questo: che in un momento di stanchezza, quando si siano verificate più elezioni nello stesso anno, e talora anche nello stesso mese, o addirittura i cittadini siano stati chiamati più volte alle urne per il referendum, ci sia una certa indifferenza pubblica per una determinata legge che non sollevi un particolare cumulo di interessi popolari e che si verifichi quindi questo fatto, che sarebbe, a mio avviso, veramente deplorevole: l’abrogazione di una legge con il 17, 18, 20 per cento di voti rispetto agli elettori iscritti.

Il mio emendamento ha anche un altro scopo. Il referendum abrogativo è un’arma assai delicata. Se i partiti sapranno che una legge non può essere rovesciata senza la partecipazione alle urne di almeno il 60 per cento degli elettori iscritti, sarà più difficile che essi ricorrano alla consultazione popolare senza avere una fondata speranza di riuscire.

Per questi motivi credo che l’emendamento proposto da me con vari colleghi, per portare la maggioranza della partecipazione alle urne necessaria perché il referendum sia valido ai 3/5 anziché ai 2/5, sia da approvare.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quel che riguarda l’emendamento dell’onorevole Colitto, sono disposto a tenerlo presente come raccomandazione, quando avverrà una revisione formale. Se noi dessimo qui luogo ad una precisa deliberazione dell’Assemblea, toglieremmo possibilità di modifiche nella revisione. Vale come raccomandazione, votiamo intanto la formula come è.

Quanto alla proposta dell’onorevole Rossi Paolo, riconosco che le sue osservazioni sono fondate, e che conviene aumentare il quorum dei votanti.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, accetta che il suo emendamento sia tenuto presente come raccomandazione?

COLITTO. Accetto.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi Paolo, mantiene l’emendamento?

ROSSI PAOLO. Lo mantengo.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Rossi Paolo, io riconosco personalmente, ed a nome della Commissione, che essendosi limitato il referendum alla forma abrogativa, la formula due quinti dev’essere riveduta. Mi pare però che sia un po’ eccessiva la proposta Rossi. Basterebbe andare alla maggioranza degli aventi diritto. Prego il Presidente di modificare in tal senso il testo della Commissione.

ROSSI PAOLO. Consento.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione.

Salvo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini in relazione all’emendamento di formare in parte anche di sostanza dell’onorevole Colitto, che cioè ne sarà tenuto conto al momento della elaborazione conclusiva, pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, con la modifica proposta dall’onorevole Perassi:

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi».

(È approvato).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prima di passare alla votazione del terzo comma, desidererei fare un chiarimento perché resti agli atti dell’Assemblea. L’espressione «modalità di attuazione del referendum» va intesa in senso lato. Come dicevo poco fa, non in pubblico, all’onorevole Condorelli, per dissipare una sua preoccupazione (e ci sono riuscito), sarà necessario fare una legge generale sul referendum che dovrà risolvere molti casi. Fra gli altri quello sollevato dall’onorevole Condorelli. Se il popolo si pronuncia per l’abrogazione di una data legge, ciò non vuol dire che vi sia una vacanza nell’ordinamento legislativo, e che la materia relativa resti temporaneamente senza norme di legge. Potrà la legge sul referendum stabilire che anche quando il popolo siasi pronunziato perché venga abrogata una data legge, questa rimanga in vigore per un determinato periodo, nel quale il Parlamento dovrà emanare, se occorrono, le nuove norme regolatrici della materia.

La legge generale sul referendum avrà, desidero affermarlo ad interpretazione del nostro pensiero, lutta la necessaria larghezza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

(È approvato).

L’articolo 73 risulta nel suo complesso così approvato:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto ed è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

Passiamo all’articolo 74: Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

«Per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum popolare ed alla Corte costituzionale».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati proposti vari emendamenti. Il primo dell’onorevole Persico:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Il mio emendamento al secondo comma è di forma e non di sostanza, e quindi non mi resta che invitare l’Assemblea ad accettarlo.

PRESIDENTE. Seguono due emendamenti dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: al referendum popolare ed».

«Aggiungere il seguente comma:

«In casi straordinari di necessità e di urgenza il Capo dello Stato potrà emanare con suo decreto norme aventi forza di legge ordinaria, che dovranno essere presentate al Parlamento per la conversione in legge e perderanno automaticamente efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione, se la legge in cui siano state convertite non venga pubblicata almeno dieci giorni prima dello scadere di tale termine».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Quanto al primo emendamento da me proposto a questo articolo, lo ritiro poiché è stato superato dall’approvazione degli articoli precedenti. Per quanto riguarda il secondo emendamento, faccio presente che l’articolo 74 è molto importante sia per quello che dice, sia per quello che non dice.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, c’è una proposta di articolo 74-bis, al quale può essere forse più direttamente collegato questo suo emendamento. Potremmo quindi esaminare l’articolo 74, e poi, in sede di articolo 74-bis, svolgere il suo e gli altri emendamenti.

CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà, in quanto credo che la prima parte non dovrebbe dar luogo a discussioni.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho nessuna difficoltà ad accettare l’emendamento Persico, che è di pura forma.

Sono d’accordo che l’emendamento Codacci Pisanelli sia trattato in connessione alla proposta dell’articolo 74-bis.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 74 nel testo della Commissione:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo dell’emendamento Persico:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

(È approvato).

L’articolo 74 risulta così approvato.

L’onorevole Crispo ha proposto il seguente articolo 74-bis, che ha già svolto in sede di discussione generale:

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgere in questa sede il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Come avevo accennato, risolta la questione relativa alla delega della funzione legislativa, ci resta da esaminare l’altra, non meno importante, relativa alla possibilità per il Governo di far uso del potere di ordinanza, cioè di emanare norme aventi valore di legge. Dobbiamo tener presente che stiamo parlando della legislazione ordinaria, cioè non ammettiamo, almeno per quanto riguarda il mio emendamento, che, anche concedendo questo potere di ordinanza, il Governo possa derogare ai diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Nella Commissione dei settantacinque il problema fu esaminato, e si ritenne di escludere assolutamente la possibilità di far uso dei decreti legge. Si vuol, con la formula adottata nell’attuale articolo 74 e con il silenzio adottato in proposito, escludere in maniera assoluta la possibilità per il Governo di emanare norme aventi efficacia di legge ordinaria.

Già allora sostenni la tesi contraria e fui appoggiato dall’opinione di diversi commissari: ma rimanemmo in minoranza. Questa voce della minoranza io esprimo oggi di nuovo. Per quanto riguarda il problema dei decreti-legge, che ha sempre rivestito una importanza notevole, ritengo che non sia inutile richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Nel nostro Stato i decreti-legge non sono una novità derivata dalla tirannia instauratasi nel 1922. Già in precedenza noi abbiamo avuto numerosi decreti-legge; e in proposito dobbiamo distinguere quelli che riguardano lo stato d’assedio dai veri e propri decreti-legge. Il primo esempio di decreto-legge che si ricorda nella nostra storia legislativa (parlo della storia legislativa riferita allo Stato italiano) è offerto da quello che concerneva lo stato d’assedio dichiarato a Genova nel 1849. Il Parlamento riunitosi approvò questa dichiarazione. Non siamo ancora di fronte ai veri e propri decreti-legge. Si trattava di sanzionare il così detto stato d’assedio. È attraverso l’idea dello stato d’assedio che penetra nella nostra legislazione l’idea di quello che sarà poi il decreto-legge. Di fronte a questa dichiarazione di stato di assedio, si ebbe nel nostro sistema legislativo una soluzione analoga a quella che si riscontra nel sistema inglese; il quale non prevede il decreto-legge ma consente, in fondo, al Governo di provvedere, sotto la sua responsabilità, all’emanazione di norme aventi forza di legge.

Nel caso in cui il Parlamento ritenga opportuno l’uso della facoltà straordinaria, non prevista nemmeno dalla costituzione, vi sarà poi una legge, il famoso bill di indennità, che esonera da ogni responsabilità i Ministri, i quali hanno saputo affrontare la situazione ed hanno assunto la responsabilità di derogare alla Costituzione, emanando norme aventi forza di legge.

Anche allora, nel 1849, avvenne qualche cosa di simile; perché il Parlamento, avendo riconosciuto che lo stato di assedio era stato dichiarato nell’interesse di Genova, approvava quanto il Governo aveva fatto e passava all’ordine del giorno. Ma successivamente, da questo decreto concernente lo stato di assedio, si passò ai veri e propri decreti-legge; il decreto legge si ebbe in un primo momento per la approvazione dei trattati internazionali. Più di una volta, quasi per reminiscenza dell’antico potere attribuito al sovrano, abbiamo avuto trattati internazionali approvati mediante decreti-legge. In seguito si riscontra una serie di decreti-legge riguardanti le più diverse materie. Non sarebbe difficile offrirne un elenco agli onorevoli colleghi. Però è da notare che in generale il Governo aveva fatto un uso molto ristretto di questo potere: infatti il numero per ogni decennio si riduce a qualche decina; in alcuni periodi il numero poteva aumentare, ma normalmente si faceva uso dei decreti-legge con grande discrezione.

Viceversa, nei periodi in cui si tendeva verso regimi autoritari il numero dei decreti-legge aumentava. Basterebbe esporne una statistica, ma non voglio tediare l’Assemblea.

Una delle questioni interessanti, in proposito, che possono illuminare per la decisione da prendere è che l’autorità giudiziaria ordinaria più di una volta è stata chiamata ad esaminare il problema della costituzionalità dei decreti-legge; cioè, ci si domandava se il Governo avesse o no il potere di emanare ordinanze aventi valore di legge. Il problema fu discusso in tutti i modi. Ho appena bisogno di richiamare ai colleghi i vari tentativi fatti, per giustificare lo straordinario potere conferito al Governo.

Alcuni sostenevano che nello Statuto albertino non vi era nulla al riguardo e che quindi la potestà di emanare decreti-legge non poteva assolutamente riconoscersi al Governo.

Altri ritenevano, invece, che, siccome bisognava riconoscere al Governo la facoltà di dichiarare lo stato di assedio, come conseguenza bisognava riconoscergli anche la potestà di emanare norme aventi forza di legge, quando la necessità e l’urgenza lo avessero richiesto. E questa tesi fu, in fondo, accolta da gran parte dei nostri studiosi; fu accolta anche dalla giurisprudenza, la quale però, in proposito, esercitò una vigile cura, in quanto che più di una volta si ebbero pronunziati giurisdizionali, i quali mostrarono come l’autorità giudiziaria si preoccupasse di evitare gli abusi di questo straordinario potere. Ed anche la soluzione affermativa, circa l’appartenenza o meno di tale potere al Governo, fu risolta soltanto dopo controversie al riguardo e dopo pronunciati giurisdizionali, difformi fra di loro.

Il problema fu esaminato dopo la guerra 1914-18, perché durante quel periodo si ebbe il moltiplicarsi dei decreti-legge e siccome mancava una qualsiasi regolamentazione, il Governo, che li aveva sempre emanati, non avendo nessun limite in alcuna norma costituzionale scritta, finì per fare quell’abuso che tutti abbiamo lamentato.

Sappiamo che dopo l’emanazione di tanti decreti-legge si arrivò ad una conversione in legge collettiva dei medesimi da parte del Parlamento, che si risolse praticamente in una piena approvazione, senza nemmeno un esame dettagliato dei diversi decreti, che non sarebbe stato possibile, perché praticamente non avrebbe portato ad alcun risultato. Di qui, in seguito agli studi di valenti giuristi nostri, fra cui alcuni dei migliori (basti citare Vittorio Scialoja) si arrivò a concludere per la necessità di ammettere costituzionalmente i decreti-legge e di disciplinarli in maniera tale che il Governo non potesse farne abuso. Ma evidentemente, siccome mancava un controllo, e questo controllo vi sarebbe dovuto essere solo da parte del Parlamento, quella legge 31 gennaio 1926, n. 100 – che contemplò l’ipotesi e introdusse nella nostra Costituzione ufficialmente la potestà di emanare decreti-legge – fu uno degli espedienti che servirono per trasferire praticamente la funzione legislativa dagli organi legislativi al potere esecutivo. Questo avvenne perché mancava un organo di controllo. Mancava un organo di controllo, il Parlamento, al quale fu tolta praticamente la possibilità di sindacato: mancava, d’altra parte, un organo giurisdizionale di controllo perché ancora quella giustizia legislativa, quella suprema magistratura che garantisce la costituzionalità delle leggi, non era stata introdotta nel nostro sistema. Ed è questa una delle ragioni che ci spinge appunto a sostenere la necessità di un simile organo giurisdizionale supremo di cui dovremo occuparci in seguito.

Ma quel che interessa rilevare, a proposito dei decreti-legge, sono le ragioni le quali inducono molti dei nostri colleghi a ritenere che sia meglio escluderli completamente dalla nostra Costituzione. Essi dicono: i decreti-legge sono stati un mezzo di abuso; il potere esecutivo, investito della facoltà di emanare leggi, se ne è servito abusandone ed eliminando quelle garanzie che vi erano a favore dei cittadini. Dobbiamo tener presente che la situazione, in cui ci verremo a trovare dopo l’emanazione della nuova Costituzione, sarà ben diversa da quella che avevamo in precedenza, perché ci troveremo di fronte ad una costituzione modificabile, ma modificabile solo attraverso un particolare procedimento di revisione costituzionale. E, d’altra parte, lo ripeto ancora, il potere di ordinanza, vale a dire il potere, di emanare decreti-legge, che intendiamo attribuire al Governo, non consente di modificare norme di carattere costituzionale. Di qui, la profonda differenza che vi sarà fra il sistema precedente ed il sistema attuale.

Ma gli oppositori della tesi relativa ai decreti-legge aggiungono che in fondo si potrebbe adottare anche da noi il sistema anglosassone. Essi dicono: riconosciamo che in alcuni casi particolari di estrema necessità e di estrema urgenza può essere utile che il Governo emani decreti aventi efficacia di legge, ma in questi casi saranno gli stessi uomini di Governo ad assumere la piena responsabilità e si presenteranno poi dinanzi al Parlamento che potrà, con un atto legislativo simile al bill di indennità inglese, esonerare i governanti da ogni responsabilità. Rispondo che questo sistema non potrebbe essere introdotto nella Costituzione che stiamo per adottare: non sarebbe compatibile coi principî che in fondo costituiscono la base del nostro progetto. Non sarebbe compatibile, perché noi abbiamo previsto che vi sia un’Alta Corte costituzionale. Non abbiamo ancora deciso al riguardo, ma nel progetto, e come lasciano supporre diverse tendenze, si vede la necessità di un organo giurisdizionale supremo. Che cosa accadrebbe qualora il Governo emanasse un atto avente forza di legge? Sarebbe sempre possibile infirmarne la costituzionalità, cioè impugnarlo perché in contrasto con la Costituzione. Si risponde: ma la Camera potrà approvarlo successivamente, solo per l’avvenire. Così, il ricorso che portasse alla dichiarazione di inefficacia di una legge darebbe luogo ad una situazione praticamente insolubile, perché la dichiarazione di inefficacia avrebbe effetto retroattivo, cioè il decreto-legge dichiarato incostituzionale sarebbe tale fin dal momento della sua emanazione: sarebbe un atto legislativo invalido, e l’invalidità iniziale farebbe sì che tutti i rapporti giuridici sorti nel frattempo dovrebbero ritenersi praticamente privi di fondamento, e tante situazioni giuridiche sorte verrebbero a cadere, con pregiudizio anche di eventuali diritti quesiti.

In altri, termini, la soluzione anglo-sassone del problema a cui sto accennando non può essere accolta nel nostro sistema costituzionale, dati i principî sui quali vogliamo che riposi la nostra Costituzione.

Penso, del resto, che i preconcetti contro la potestà di ordinanza attribuita al Governo possono, in gran parte, essere superati. Possono essere superati, perché, in fondo, della potestà di ordinanza il Governo finirà sempre, prima o poi, per fare uso. Ce lo dimostra la storia. In alcuni casi di particolari necessità, come nei cataclismi, in caso di aggressione da parte di altri Stati, quando si debbano emanare disposizioni in materia doganale, quando sia necessario mantenere il segreto, in tutte queste ipotesi è assolutamente necessario che il Governo possa procedere ad emanare decreti-legge da un momento all’altro, senza attendere il sia pure rapido sistema previsto attraverso le Commissioni per emanare leggi ordinarie.

Meglio quindi fare in modo che un simile potere del Governo venga esattamente e precisamente delimitato. Quando l’esperienza storica dimostra che anche negando tale potere nelle Costituzioni, come quella anglo-sassone in cui praticamente è escluso, si finisce per far uso della potestà di ordinanza, è molto meglio mostrarsi aderenti alla realtà nel riconoscere simile potere al Governo, disciplinandolo in maniera sicura.

D’altra parte, non si può accogliere la tesi di coloro i quali sono contrari all’ammissibilità della potestà di ordinanza del Governo in base ad una rigida e meccanica tripartizione dei poteri.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che sta svolgendo un emendamento.

CODACCI PISANELLI. Abbia pazienza, onorevole Presidente, si tratta di argomento molto importante.

PRESIDENTE. Prosegua pure.

CODACCI PISANELLI. Ho sentito in quest’Aula sollevare notevoli dubbi circa la divisione dei poteri. Vi è stato chi ha parlato di un superamento della divisione dei poteri, vi è stato chi ha detto che era uno strumento addirittura a favore delle monarchie, mentre, per quanto io sappia, la divisione dei poteri trova la sua più efficace affermazione proprio nella rivoluzione francese e la considero come uno dei più sicuri espedienti a garanzia delle libertà. Comunque, per quanto io ritenga che il principio della divisione dei poteri, inteso come tendenza e non in maniera assoluta, rimanga fondamentalmente nel nostro ordinamento, e debba considerarsi come una delle sue basi, appunto perché noi vogliamo una Costituzione che garantisca i fondamentali diritti di libertà; tuttavia non arrivo a concepire quella meccanica tripartizione dei poteri che porta i sostenitori della tesi avversa a quella che io sostengo ad escludere completamente la possibilità che il Governo eserciti la potestà legislativa di urgenza. I sostenitori della tesi opposta ritengono che, data la necessità di fare in maniera che la funzione legislativa sia esercitata esclusivamente da organi legislativi, il potere esecutivo, il Governo, debba assolutamente essere escluso dall’esercizio di tale funzione. Non sono d’accordo con loro perché, anche movendo dal loro punto di vista, si dimostra come la meccanica tripartizione sia assolutamente impossibile. Il Governo, anche secondo la tesi dei miei oppositori, deve per lo meno poter esercitare la potestà regolamentare.

I regolamenti non potranno essere fatti dalle Assemblee legislative. È necessario che siano emanati dallo stesso Governo e siccome i regolamenti costituiscono esercizio della funzione legislativa in senso sostanziale è inesatto affermare che la funzione legislativa sia esercitata soltanto da parte degli organi legislativi. Ed allora se noi nel nostro nuovo sistema avremo leggi costituzionali, e immediatamente al di sotto nella gerarchia avremo le leggi ordinarie e ancora ad un gradino più sotto in questa gerarchia delle fonti avremo i regolamenti emanabili dal Governo, tanto vale consentire al Governo di esercitare una funzione legislativa, superiore sì a quella regolamentare, ma sempre inferiore alla funzione legislativa costituzionale.

Quindi, anche da un punto di vista strettamente teorico, una volta ammessa l’esistenza di leggi di carattere costituzionale riesce più facile, riesce più agevole e supera molti timori questa possibilità che il Governo eserciti sì la funzione legislativa ordinaria, ma non possa esercitare la funzione legislativa costituente. Saremo garantiti perché, se i decreti-legge in passato potevano modificare anche le disposizioni su cui si basavano ì nostri diritti fondamentali, oggi questo non sarà più possibile. Ho voluto farlo presente perché anche dal punto di vista teorico, in fondo, in questa maniera noi riusciamo ad ottenere che con l’ammissione della facoltà del Governo di emanare norme di efficacia di legge ordinaria riusciamo ad ottenere che ciò avvenga senza nessun pericolo per il rispetto dei nostri diritti fondamentali.

Questo dal punto di vista teorico. Ma ritengo che dal punto di vista pratico sia necessario soffermarsi sopra la necessità dei decreti-legge. Già nella Commissione dei settantacinque vi furono persone molto esperte in materia economica, vi furono persone che avevano già sperimentato le fatiche governative, le quali fecero presente come effettivamente nella pratica ci si trova di fronte a situazioni di tale urgenza che non è possibile fare a meno di un atto avente efficacia di legge formale e non è nemmeno possibile attendere che la legge ordinaria sia emanata dagli organi legislativi. Accenno sopra tutto ai cosiddetti decreti-catenaccio, di cui ci è stato parlato, di cui ci è stata dimostrata la necessità. Non sarà possibile fare a meno in avvenire di simili decreti in materia finanziaria.

Il semplice fatto che un decreto il quale stabilisca un dazio o debba comunque fissare una imposta possa essere conosciuto prima della sua emanazione attraverso il procedimento, che per quanto rapido richiederà qualche giorno e sarà di tale pubblicità da fare conoscere a tutti che si sta per emanare un atto legislativo al riguardo, deve indurci a ritenere che non sarebbe pratico legiferare in questa materia col sistema normale. Ragioni pratiche, quindi, oltre che ragioni teoriche devono indurci a ritenere che non possa farsi a meno dei decreti-legge, e che è opportuno disciplinarli nella Costituzione.

L’emendamento da me proposto stabilisce però che sia stabilito un termine perentorio entro il quale i decreti-legge stessi debbono essere convertiti in legge dal Parlamento. Questo è indispensabile per evitare abusi tipo quello comunemente ricordato da tutti del decreto-legge emanato per nominare sottotenente un capo di una banda musicale della Marina. Dove fosse la necessità e l’urgenza in quel caso, certamente non si vede…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che parla da mezz’ora.

Lei sta usando di un suo diritto, ma la prego di non abusarne.

CODACCI PISANELLI. Signor Presidente, sono al termine; del resto sono stato io uno dei sostenitori della tesi di stabilire nella Costituzione il divieto dell’abuso del diritto, quindi nessuno più di me è convinto della necessità di non abusare del proprio diritto.

L’emendamento da me proposto tende a stabilire il principio. Non è mio proposito richiedere che sia accolto così com’è; mi rendo conto che l’onorevole Presidente della Commissione dei settantacinque potrà formularlo in maniera anche migliore. Ma quello che a me interessa è stabilire il principio che i decreti-legge possano essere emanati dal Governo con efficacia di leggi ordinarie, stabilire che questi decreti-legge debbano essere sottoposti ad una determinata procedura, che potrà essere fissata anche in base a quanto propone l’onorevole Crispo, il quale desidera che sia sentito il parere del Consiglio dei Ministri. Nessuna difficoltà da parte mia ad accedere a questa tesi. Ma a me interessa, soprattutto, che sia affermato il principio.

L’altro principio che deve essere affermato è quello dell’automatica cessazione dell’efficacia dei decreti-legge, qualora non siano approvati, qualora non siano convertiti in legge dalle Camere entro un termine che la stessa Costituzione deve stabilire.

Secondo il mio emendamento, la conversione in legge dovrebbe avvenire immediatamente, perché trascorsi sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto-legge, esso dovrebbe cessare di aver vigore, a meno che la legge in cui sia stato convertito sia pubblicata dieci giorni prima dello scadere dei sessanta giorni.

Perché questa cautela? Perché, siccome l’autorità giudiziaria, le autorità pubbliche dovranno applicare il decreto fino al giorno in cui non ne cessa automaticamente l’efficacia, bisogna che tali autorità siano tempestivamente avvertite. I dieci giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale potranno essere sufficienti per mettere al corrente coloro i quali devono applicare il decreto-legge.

Questa è la ragione che mi ha indotto a presentare l’emendamento, ragione che ho voluto esporre con una certa ampiezza, in quanto ho ritenuto che nella Commissione dei settantacinque si sia passati troppo facilmente sul problema, il quale ha sempre attirato l’attenzione degli studiosi e che, effettivamente, non può essere risolto con facilità.

D’altra parte, a coloro i quali temono l’abuso di questo potere, io faccio presente che sull’uso di esso avremo un doppio controllo: anzitutto quello politico delle Assemblee legislative a cui i decreti-legge dovranno essere presentati per la conversione in legge; poi quello giurisdizionale, da parte della Corte costituzionale, di fronte alla quale potranno sempre essere impugnati anche i decreti-legge, così che del relativo potere discrezionale non sia possibile fare uso con discrezione indiscreta.

Esiste dunque una garanzia che di questo potere discrezionale di emanare decreti-legge il Governo non farà un uso eccessivo. Io mi auguro che i colleghi della Commissione dei Settantacinque i quali in quella sede non vollero accogliere la tesi della minoranza vogliano ora mutare il loro voto.

E volgo al mio termine, onorevole Presidente, cercando di rallegrare l’Assemblea, stanca per la lunga seduta, confessando che non ho larga fiducia che il mio emendamento venga accolto.

È troppo logico e temo che non sempre la logica abbia ingresso in quest’Aula. Mi consentano di spiegarne la ragione quanti sanno del mio profondo rispetto per le Forze armate di cui ho indossato fino al 2 giugno 1946 l’onorata divisa. Quando eravamo sotto le armi, nei momenti in cui l’austera disciplina militare ci sembrava più dura, ci rianimavamo con la scherzosa domanda: perché vi sono le sentinelle davanti alle porte delle Caserme? Per impedire alla logica di entrare. (Ilarità – Commenti).

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, anche dinanzi all’ingresso di Montecitorio stanno, marziali, le sentinelle! (Applausi – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente articolo 74-bis:

«Quando, nei casi di pericolo pubblico o di assoluta inderogabile urgenza, il Governo ritenga necessario emanare provvedimenti straordinari, aventi valore di legge, deve sentire su di essi il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere e sottoporli immediatamente alle Camere stesse, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni dall’emanazione del provvedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, la lucida e dotta orazione dell’onorevole Codacci Pisanelli ha spianato completamente la via, perché egli ha fatto tutta la storia dei decreti-legge, da quello primo del 1849 in occasione dello stato d’assedio di Genova fino alla legge del 31 gennaio 1926, n. 100, legge famosa del regime fascista, e ci ha dimostrato come l’istituto del decreto-legge, sorto per cause eccezionali e destinato ad essere applicato soltanto per cause eccezionali, fosse negli ultimi tempi diventato addirittura la normalità, cosicché le Camere vennero ad essere completamente esautorate, poiché a tutto si provvedeva con decreti-legge.

Egli ha anche detto che la questione non incide sulla teoria della divisione dei poteri, teoria che egli giustamente ha proclamato ultrademocratica. La questione astratta può considerarsi superata; si tratta, quindi, solo di sapere quali siano i limiti e i confini entro i quali sia possibile ammettere i decreti-legge. Escluderli totalmente non è cosa possibile; non v’è Stato, non v’è regime il quale non abbia, in taluni momenti, bisogno di legiferare, senza che vi sia la possibilità e senza che vi sia soprattutto il tempo sufficiente per convocare le Camere.

Mi pare, quindi, inutile discutere il principio, diremo, negativo, intorno alla non possibilità che i decreti-legge vengano emanati. Noi abbiamo sott’occhio parecchi emendamenti, che sono in qualche modo diretti a superare le difficoltà procedurali: a rendere cioè possibile l’emanazione di questi decreti-legge, ma con specialissime cautele.

Le cautele che sono state proposte e caldeggiate dall’onorevole Codacci Pisanelli non sono, a mio vedere, sufficienti, né mi sembra che i confini siano stati da lui ben determinati, e ritengo, pertanto, che questi confini potrebbero venire meglio fissati. L’onorevole Crispo ha inteso indubbiamente di determinarli con più precisione; egli infatti è entrato nel vivo nelle carni della questione. Egli ha stabilito, però, che l’esigenza dei decreti-legge potrà essere soltanto determinata da motivi di guerra o di stato d’assedio. Egli, dunque, ha inteso di limitarne la possibilità a due soli casi.

Il mio emendamento è sotto un certo profilo più largo, ma sotto un altro ha confini così ristretti e precisi da limitare la facoltà del Governo a quei soli casi nei quali è assolutamente indispensabile concederla. Esso stabilisce, infatti, che nei casi di pericolo pubblico – quindi, stato di guerra, stato d’assedio, stato di emergenza, che deriva anche da pubbliche calamità (pensate ad un terremoto che sconvolge tutta una zona del Paese e che abolisce i vincoli di vivere civile che regolano la morale di ogni Stato bene ordinato), o di assoluta inderogabile urgenza, cioè in casi di assoluta, indilazionabilità, per cui il provvedimento deve essere (anche senza che vi sia lo stato di guerra) emanato subito, cioè non può essere ritardato di un’ora (e qui rientrano i famosi decreti-catenaccio, che hanno questa necessità assoluta, per non dar tempo agli evasori di evadere quella legge che dovrà punire la loro cupidigia speculativa) – il Governo potrà emanare provvedimenti straordinari aventi valore dì legge. Qui si parla di Governo, mentre l’onorevole Codacci Pisanelli nel suo emendamento parla del Capo dello Stato. (Non so se egli insieme col Capo dello Stato comprenda anche il Governo). Soltanto nella mia proposta v’è un organo che deve essere previamente consultato. Può crearsi un organo ex novo, una commissione ad hoc permanente, della Camera e del Senato, la quale funzioni solo in questi eccezionali momenti; oppure si può designare un organo giurisdizionale, come il Consiglio di Stato o la Corte di cassazione a sezioni riunite, oppure, infine, un diverso organo speciale.

Io credo più opportuno far capo agli organi permanenti della Camera e del Senato, che rappresentano le parti più scelte dei due rami del Parlamento, cioè ì due Uffici di Presidenza, composti dei Presidenti, dei Questori, dei Segretari, che sono gli eletti dalle rispettive Camere e ne hanno, quindi, la rappresentanza, dirò così, sintetica, compresa quella dei Gruppi parlamentari dei vari partiti.

Propongo, quindi, che l’emanazione dei decreti-legge possa avvenire solo in casi di assoluta ed urgente necessità, dopo che il Governo abbia sentito il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere: parere evidentemente consultivo, ma che ha una grande importanza, perché dà al Governo la possibilità di emanare provvedimenti in conformità a questo parere, o in difformità, qualora vi sia una ragione per la quale questa difformità, a giudizio del Governo, si renda necessaria.

Questa sarebbe la prima garanzia; la seconda e più importante consiste nell’obbligo di sottoporre i decreti-legge emanati immediatamente alle Camere, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni. Ho fissato il termine di cinque giorni perché ci sia il tempo materiale di convocare la Camera e il Senato in sedute straordinarie.

Vi è quindi, secondo me, una procedura che rassicura la democrazia, lo Stato, i cittadini tutti, che questi provvedimenti saranno emanati soltanto in casi eccezionalissimi, con forme di procedura e con limiti di materia, i quali garantiranno il rispetto assoluto dei diritti della libertà.

Confido, quindi, che il mio emendamento possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento tendente ad aggiungere, in fine all’articolo 74, il seguente comma:

«All’infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte dirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Signor Presidente, propongo che la discussione sia rinviata a domani, perché su questo problema, che è così importante, non ha avuto occasione di pronunciarsi il Comitato di redazione. E mi pare che questi emendamenti debbano essere sottoposti al vaglio del Comitato, prima di essere portati al giudizio dell’Assemblea.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Quale presentatore di un altro emendamento sulla stessa materia, mi associo alla richiesta dell’onorevole Mortati. L’argomento è di tale importanza che, francamente, se ci si dedica anche un’intera seduta, non è male.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che non ci sarebbe niente di male se si svolgessero i punti di vista dei vari proponenti. Domani cercheremo di metterci d’accordo.

Il Comitato di redazione è convocato per domani mattina alle 10, mentre (lo ricordo) la Commissione dei Settantacinque è raccolta per altre materie alle 11. Il lavoro continua senza riposo. Non mi oppongo, comunque, alla richiesta degli onorevoli Mortati e Bozzi.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare o siano stati già adottati dalla competente autorità contro coloro che il giorno 13 corrente alle ore 9.30 hanno invaso e devastato la sede di Milano del Movimento nazionalista per la democrazia sociale.

«Patrissi, Fresa, Puoti, De Falco».

«Al Ministro del tesoro, per conoscere quando intenda esprimere il proprio parere circa il provvedimento del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni per il passaggio, dal gruppo C al gruppo B, degli impiegati amministrativi contabili, che, entrati tali nell’Amministrazione prima del 1914, furono dal fascismo classificati impiegati d’ordine. La mancanza di approvazione del provvedimento potrebbe maggiormente aggravare il già profondo malcontento, che non è ancora sfociato in alcuna manifestazione solo per l’alto senso del dovere degli impiegati, che ormai attendono giustizia da troppo tempo.

«Scalfaro».

In assenza dei Ministri competenti, comunicherò loro queste interrogazioni, affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quanto vi sia di vero nella voce che circola fra i cittadini di Formia, secondo la quale l’Ospedale, colà costruito dal «Dono svizzero» con il concorso del Ministero dei lavori pubblici, verrebbe dall’E.N.D.S.I. praticamente regalato all’Ordine dei «Fate bene fratelli», sottraendolo al legittimo e naturale destinatario del dono, e cioè al comune di Formia, con una procedura giuridico-amministrativa della quale, eventualmente, l’interrogante desidererebbe conoscere gli elementi di legittimità formale e sostanziale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda aderire alla invocata eliminazione dei gravami fiscali sulle operazioni di cessione ad istituti bancari dei crediti verso enti pubblici, fatte dalle cooperative di produzione e lavoro in garanzia dei fidi loro concessi, in considerazione:

  1. a) della lentezza degli enti pubblici nella liquidazione di stati di avanzamento relativi a lavori avuti in appalto e nel pagamento dei mandati;
  2. b) delle particolari difficoltà finanziarie (aggravate dal peso degli interessi bancari) in cui attualmente si dibattono le predette società cooperative (molte delle quali tra partigiani e reduci), le quali hanno reso segnalati servizi al Paese, attenuando con libere iniziative mutualistiche la piaga della disoccupazione e contribuendo in misura notevole alla riqualificazione della mano d’opera disoccupata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Belotti, Dominedò, Carbonari, Cimenti, Clerici, Malvestiti, Ferrario Celestino, Sampietro, Balduzzi, Bovetti, Quarello, Scalfaro, Burato, Gortani, Rapelli, Benvenuti, Valenti, Foresi, Colombo Emilio, Zaccagnini, Raimondi, Monticelli, Rodi, Giacchero».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere quali provvedimenti intendano prendere a favore dei contadini delle provincie di Trento e Bolzano danneggiati dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, perché considerino se non sia il caso di disporre che anche agli agenti di custodia sia corrisposta la indennità così detta di «pericolo», che attualmente è corrisposta ai carabinieri ed agli agenti di pubblica sicurezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alla 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bozzi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Persico

Codacci Pisanelli

Nobile

Preti

Nobili Tito Oro

Targetti

Fuschini

Perassi

Corbino

Cifaldi

Lussu

Moro

Uberti

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Adonnino e Romita.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 71. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

BOZZI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi pare che questo argomento si riconnette, per lo meno nel primo comma, a quello dell’articolo 67, per il quale era stato chiesto ed approvato il rinvio, perché, secondo la proposta Tosato, bisognava prima esaminare la materia relativa al Capo dello Stato e poi prendere in esame questo argomento: credo quindi che adesso non si dovrebbe discutere.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Purtroppo, il contagio della malattia del rinvio si diffonde, perché noi rinviamo tutto ed arriveremo in ultimo a trovarci addosso moltissime questioni rinviate. A questo articolo, sì, è connessa la questione della sanzione e della promulgazione, vi sono però anche altri punti nell’emendamento Codacci Pisanelli che egli, oserei dire, ha messo qui con uno sforzo di connessione, che è anche discutibile, come quando si parlava di San Giuseppe, a proposito della confessione, perché come falegname costruiva confessioni. L’onorevole Codacci Pisanelli parla, per esempio, del testo unico. Veramente il testo unico non ha molto a che fare in una materia nella quale si parla di sanzionare e promulgare le leggi. L’onorevole Codacci Pisanelli ha tuttavia sollevato tale problema. E ne ha sollevato anche un altro, perché vuol stabilire che le leggi non possono avere effetto retroattivo, principio di un’ampiezza tale che certamente non si riconduce a questo punto.

Rimandiamo tutto. Anche i temi messi lì forzatamente come connessione, li esamineremo e collocheremo al loro posto. Siccome è stato deciso che la questione della sanzione e della promulgazione, che spetta al Capo dello Stato, sarà veduta quando si sarà parlato delle funzioni del Capo dello Stato, rinviamo pure. Ma è un guaio, questo continuo rinvio!

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Mi permetto di dissentire dal parere del Presidente della Commissione e dalla obiezione fatta dall’onorevole Bozzi.

Che le leggi siano promulgate dal Presidente della Repubblica non c’è dubbio, perché anche l’articolo 89 che riguarda i poteri del Capo dello Stato stabilisce che egli promulga le leggi. Questo non incide sulla questione se dovrà o meno intervenire nella formazione delle leggi. Quello che afferma l’articolo 71 rimane, qualunque sia l’esito che potrà avere la proposta modifica dell’articolo 67.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, c’è connessione.

Il secondo comma dice: «Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse». L’obbligo di promulgazione con un termine fisso assume un profilo del tutto diverso, se si tratta di sanzione e non di semplice promulgazione. La connessione inevitabilmente c’è.

PRESIDENTE. Siccome rinviamo l’esame di questo articolo in connessione con l’articolo 67, vorrei invitare i membri dell’Assemblea a precisare le loro idee a proposito di questo articolo 67 e di tutto quanto è connesso, affinché quando, in uno dei prossimi giorni, inizieremo l’esame, non vi siano nuove richieste di rinvio con altre motivazioni.

Passiamo all’articolo 72. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, e non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali domandano che sia sottoposta a referendum popolare. Il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l’iniziativa ottiene l’adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali.

«Si procede altresì a referendum, quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni.

«In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti a questo articolo.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 19 col seguente:

«L’entrata in vigore di una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, potrà essere sospesa dalla Corte costituzionale entro quindici giorni dalla pubblicazione, quando sia stato proposto ricorso per la dichiarazione di incostituzionalità e richiesta la sospensione».

«Subordinatamente: sopprimerlo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, la soluzione prevista nel progetto di Costituzione per la questione di cui ci stiamo occupando, costituisce, secondo me, un duplicato. Secondo i principî del progetto, infatti, il problema contemplato dall’articolo 72 concernente la sospensione delle leggi prima della loro entrata in vigore, avrebbe la soluzione della richiesta di referendum, oltre quella del ricorso per incostituzionalità alla Corte Costituzionale. Ritengo che non ci sia necessità di prevedere, tante vie per provocare la sospensione. Questa è la ragione per cui ho proposto il mio emendamento sostitutivo del primo comma, nel caso si voglia conservare tale comma.

Come mi riservo di spiegare in un successivo momento, aderisco all’idea di coloro i quali concepiscono la funzione della Corte Costituzionale, che vogliamo istituire, come una specie di giustizia legislativa, quasi parallela alla giustizia amministrativa, e quindi l’opportunità di affidare a quest’organo giurisdizionale supremo anche l’eventuale sospensione delle leggi. In altri termini, siccome ammetteremo un ricorso contro la costituzionalità della legge, ritengo che per ottenere la sospensione dell’atto legislativo sia sufficiente tale rimedio e non sia opportuno prevederne anche un altro come quello di provocare il referendum popolare. Tanto più che, secondo quanto è previsto nello stesso progetto di Costituzione, noi potremmo offrire un ottimo argomento per porre continuamente in scacco il Governo in quanto sarebbe molto facile fare in maniera che le diverse leggi non possano entrare in vigore.

Per tali motivi ho proposto l’emendamento, appunto ispirandomi a quel principio già altre volte espresso, secondo cui noi vogliamo che la nostra Costituzione dia luogo a un Governo che effettivamente governi.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bozzi, Cifaldi e Nitti.

«Sopprimere il primo comma».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, mi pare che la proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli sia condizionata ad una decisione che non abbiamo ancora preso e quindi futura ed incerta, cioè l’istituzione della Corte costituzionale. Quindi, in questa sede, tale proposta non si può prendere in esame.

Ho proposto la soppressione del primo comma dell’articolo 72. Questo primo comma dà al popolo e a tre Consigli regionali la possibilità di arrestare l’entrata in vigore di una legge, cioè di un atto legislativo che ha già riportato l’approvazione delle due Camere, e noi abbiamo visto ieri sera come le due Camere debbano concorrere con funzione di parità alla formazione dell’atto legislativo.

La legge non è ancora pubblicata, quindi non è efficace. Interviene la richiesta di cinquantamila cittadini o di tre Consigli regionali ed arresta, per lo meno per due mesi, l’entrata in vigore del provvedimento, che è stato approvato dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, che sono l’espressione della sovranità popolare.

Io trovo questo sistema estremamente pericoloso perché fa perdere – secondo il mio punto di vista – quella che è la linea di ciò che noi vogliamo costruire.

Siamo in un sistema di democrazia parlamentare, in cui il Parlamento, eletto a suffragio universale diretto, è il vero ed unico rappresentante della volontà popolare; eppure ad un certo momento il popolo si sovrappone ed impedisce che i suoi rappresentanti diano esecuzione alla loro volontà, deliberata nella forma della legge.

Nella Costituzione di Weimar, alla quale evidentemente questo articolo si è ispirato, vi era qualche cosa di simile – mi rivolgo al professor Mortati che è profondo conoscitore di quella Costituzione, oltre che di altre – ma quel sistema era congegnato diversamente. Nella Costituzione di Weimar si poteva avere un referendum, in quanto un terzo dei deputati avessero chiesto la sospensione della pubblicazione della legge. In sostanza, si configurava la tutela delle minoranze. Poteva darsi che la maggioranza parlamentare facesse una legge sopraffattrice della minoranza ed allora la voce di protesta sorgeva dal seno stesso del Parlamento per chiedere il referendum popolare. E questa richiesta di un terzo dei deputati doveva essere appoggiata da un decimo degli elettori. Una configurazione completamente diversa.

Oggi noi creiamo un sistema pericolosissimo: bastano cinquantamila elettori o tre Consigli regionali perché la legge votata dalla Camera dei deputati o dal Senato venga arrestata, per lo meno per due mesi.

Richiamo la vostra attenzione sul. testo dell’articolo 72. Possiamo creare l’ostruzionismo extra parlamentare. Col sistema dei partiti di massa, questi partiti hanno cinquantamila firme dei loro iscritti a loro disposizione e basta che le presentino perché nessuna legge vada più avanti e si determini la più grande incertezza nell’ordinamento giuridico.

Ora, se si fa una legge, è perché si debbono sodisfare determinate esigenze, perché vi è un interesse collettivo, e vi provvede il legislatore.

E vengo ai tre Consigli regionali. Io non sono stato favorevole a dare ai Consigli regionali una autonomia politica; vedevo più le Regioni nel piano amministrativo e ritengo tuttora che una certa utile funzione esse possano svolgere soltanto in quel settore. Ma veramente, onorevoli colleghi, noi concepiamo che tre Consigli regionali possano opporsi alla volontà degli eletti del Parlamento? Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul pericolo che deriverebbe da ciò e pertanto la invito a sopprimere questa forma di referendum sospensivo, che è contrario al principio della democrazia parlamentare e che sicuramente ingenererebbe un conflitto fra Regioni e Parlamento, che potrebbe essere veramente esiziale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato due emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Si procede a referendum popolare se 500.000 elettori o sette Consigli regionali facciano domanda perché sia abrogata una legge».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerli.

PERSICO. Onorevoli colleghi, io ho presentato due emendamenti. Il primo coincide con quello testé svolto dall’onorevole Bozzi e con quello, che deve ancora essere svolto, dall’onorevole Nobile. Poco quindi mi resta da aggiungere a quanto già ha detto l’onorevole Bozzi. Certo, questo meccanismo che si vuole creare per sospendere l’esecuzione di una legge approvata e per sottoporre la legge stessa a referendum è veramente inconcepibile.

È bensì vero che c’è il vago precedente della Costituzione di Weimar, ma si trattava di cosa assolutamente diversa.

NITTI. E che non ha mai funzionato.

PERSICO. E che non ha mai funzionato.

Noi, in tal modo, potremmo avere degli inconvenienti davvero rilevantissimi. Pensiamo che le Regioni nel progetto sono ventidue, mentre nelle richieste fatte ascenderebbero addirittura a più di trenta. Tre piccole Regioni dunque – sia detto questo senza offender nessuno – si possono metter d’accordo per fermare una legge, anche se i loro interessi speciali siano molto ristretti e naturalmente molto circoscritti.

Vi sarebbe inoltre un’azione di propaganda da parte anche dei piccoli partiti per raccogliere i primi cinquantamila elettori. È quindi una specie di pietra che noi verremmo a mettere nelle ruote della macchina legislativa perché l’ingranaggio non funzioni più. Mi pare più opportuno sopprimere questo primo comma per la rapidità e per la serietà stessa della funzione legislativa.

Veniamo ora al secondo mio emendamento che riguarda il secondo capoverso. Con questo emendamento io avrei ritenuto opportuno di togliere la restrizione «vigente da almeno due anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, onorevole Persico, questo è collegato con il primo comma: se viene soppresso il primo comma, automaticamente decade anche questo.

PERSICO. Sta bene.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma.

«Subordinatamente, sostituire alle parole: cinquantamila elettori, le parole: centomila elettori, e sopprimere le parole: o tre Consigli regionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Ho proposto anch’io la soppressione del primo comma. Io non ho, al riguardo, nulla da aggiungere a quanto già hanno ben detto i colleghi onorevoli Bozzi e Persico. Certo, è inammissibile che cinquantamila elettori possano paralizzare l’attività legislativa delle Assemblee. Potrebbe infatti avvenire, ad esempio, che il partito neo-fascista che è sorto oggi, il Movimento sociale italiano, raccolte le cinquantamila firme, si dia a paralizzare sistematicamente l’azione legislativa. Non ci sarebbe purtroppo, da meravigliarsi.

Ma io ho anche proposto, subordinatamente all’eventuale accoglimento della mia proposta soppressiva, che il numero degli elettori venga almeno aumentato a centomila: anzi, ora rettifico, per aderire al suggerimento di altri colleghi, elevando la cifra a 150 mila.

Ad ogni modo, volevo far osservare questo: che non è assolutamente ammissibile che siano tre Consigli regionali ad esercitare la facoltà di arrestare l’entrata in vigore di una legge. Infatti, faccio osservare che è molto più facile ad un Consiglio regionale di deliberare, che non sia quello di raccogliere 50 mila o 100 mila o 150 mila firme. Quindi, sarebbe perfettamente possibile il caso che tre Consigli regionali si mettessero d’accordo e sistematicamente sabotassero l’attività legislativa nazionale.

D’altra parte, già s’è commesso l’errore di dare a questi Consigli regionali una facoltà legislativa: sarebbe ancora veramente enorme se si ammettesse una loro ingerenza anche nelle leggi di carattere nazionale.

Per queste ragioni voterò la soppressione di tutto il comma, e, in linea subordinata, chiedo che sia accettato l’emendamento da me proposto, che eleva la cifra fissata da 50 a 150 mila.

Desidero anche avvertire che sulla convenienza di sopprimere le parole «o tre Consigli regionali» vi è una domanda di appello nominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, sostituire: non approvata dalla Camera dei deputati a maggioranza di due terzi».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Dopo la votazione di ieri credo che sia inutile che io insista nel mio emendamento che tendeva a dare alla Camera dei deputati una posizione particolare. Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgere i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: quindici giorni, sostituire le altre: trenta giorni».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da almeno due anni».

«Sopprimere il terzo comma».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. L’articolo 72, onorevoli colleghi, porta sul piano dell’iniziativa del popolo e dei Consigli Regionali l’istituto del referendum legislativo che, come si è vi sto col soppresso articolo 70, si è dimostrato niente affatto accetto a questa Assemblea. Eppure trattasi di una delle più caratteristiche espressioni della sovranità popolare, del tutto nuova per noi sul terreno politico, ma tanto simpaticamente accolta dal nostro popolo, fin dai primi anni del secolo, per le deliberazioni sulle municipalizzazioni e sulle demunicipalizzazioni dei pubblici servizi!

Come i colleghi hanno constatato, l’articolo 72 stabilisce che «l’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali domandano che sia sottoposta a referendum». E aggiunge che il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l’iniziativa ottiene l’adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali.

Stabilisce ancora l’articolo 72, al comma secondo che: «si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni». Infine coll’ultimo comma si dichiarano sottratte a questo procedimento le leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Il testo dell’articolo è chiaro e altrettanto chiaro ne è lo spirito: esso mira a istituire due forme di consultazione popolare che s’integrano nella forma preventiva, o veto, e in quella abrogativa del referendum legislativo.

L’Assemblea, preoccupata della esperienza fatta di questo istituto in altri paesi e specialmente in Svizzera, nonché della sproporzione che si potrebbe verificare tra il fine che col referendum si vorrebbe raggiungere e mezzi pesanti e onerosi che si dovrebbero all’uopo impiegare, si dimostra perplessa e il suo stato d’animo è dimostrato dal tenori degli emendamenti presentati. Si pensa al turbamento che un esperimento del genere porterebbe nel paese colla campagna di propaganda dei partiti e coi pericoli e del disordine che l’accompagnano; coll’impiego indispensabile della forza pubblica; colla immobilizzazione di funzionari. E si pensa al conseguente carico di spese che si valuta in cifre astronomiche. Si osserva che la consistenza di due rami del Parlamento costituisce sufficiente garanzia di ponderazione dell’opera legislativa; che l’istituto della petizione, accortamente disciplinato, può dare, con minimi mezzi, risultati non meno utili di quelli che il macchinoso referendum conta di conseguire. Si sono fatti eco di questo stato d’animo, fra tanti altri, l’onorevole Targetti, pel nostro Gruppo, che con il suo emendamento mira a sopprimere l’intero articolo, gli emendamenti soppressivi del primo comma, quello dell’onorevole Nobile che esclude dalla iniziativa del referendum i Consigli regionali, ecc.

Io non potrei svolgere gli emendamenti da me proposti, del resto così evidenti, senza ripetere che questi sono subordinati ai primi e che io voterò prima per le proposte soppressive e per la esclusione dei Consigli regionali da questo procedimento, dovendo l’attività delle Regioni limitarsi al campo amministrativo. Ho avuto occasione di ripetere più volte il concetto che gli enti Regione sono stati istituiti come organi di decentramento amministrativo; tanto che quando noi rinvestimmo del sospetto di un programma politico, rivolto, secondo certa tradizione contro l’unità dello Stato, si sollevarono contro di noi tutte le possibili proteste. Se quelle proteste erano sincere non si deve pretendere oggi di attribuire a quegli Enti una funzione politica di primo piano, quasi di corpo legislativo di seconda istanza, controllo della Camera dei deputati e del Senato. Ecco perché, qualora gli emendamenti soppressivi non siano accolti, sosterrò anche l’emendamento Nobile al primo comma, che si comunica e si estende automaticamente anche al secondo.

Con queste premesse e con questi chiarimenti passo allo svolgimento dei miei emendamenti subordinati, che mi auguro non abbiano bisogno di essere posti in votazione. Il primo dei miei emendamenti si fa eco della preoccupazione diffusa che, data la fluida e mutevole maggioranza, con la quale veniamo varando questo progetto di Costituzione, si possa verificare il caso che quello che la maggioranza ha votato ieri rispetto all’articolo 70 non si confermi oggi per quanto riguarda l’articolo 72.

E allora se il referendum dovesse restare anche nella prevista forma preventiva o di veto, sarebbe necessario avvertire che il termine di 15 giorni accordato per introdurre la richiesta di referendum e per ottenere la sospensione della legge non può essere sufficiente. Se non è difficile che tre Consigli regionali siano convocati, deliberino e presentino la richiesta nello spazio di quindici giorni dalla pubblicazione, quando si tratti invece di raccogliere cinquantamila firme, anche se la raccolta si faccia in una grande città o in un centro unico, non si deve considerare soltanto la difficoltà materiale di raccogliere tante sottoscrizioni, ma si deve pensare pure, che queste dovranno essere autenticate e corredate dei rispettivi certificati d’iscrizione nelle liste elettorali; o quanto meno, gli uffici elettorali dovranno apporre al firmario la certificazione della iscrizione di ciascun sottoscrittore. Nel mio emendamento propongo pertanto, che il termine di quindici giorni sia portato almeno a trenta giorni.

Si obietta che il termine effettivo utilizzabile per queste operazioni e per la presentazione non è in realtà di soli quindici giorni, giacché le leggi non vengono pubblicate immediatamente dopo l’approvazione. Ma l’esperienza dimostra anche la possibilità che la pubblicazione segua immediatamente l’approvazione.

Naturalmente, se l’emendamento venisse approvato, dovrebbe essere correlativamente codificato e allargato anche il termine dell’entrata in vigore delle leggi soggette al procedimento previsto nel primo comma.

Per quel che riguarda il secondo comma dell’articolo 72, il mio emendamento corrisponde a quello presentato dal collega Persico: non si vede la ragione per la quale, di fronte a leggi che meritino l’abrogazione, di fronte a leggi che non corrispondano alle necessità del Paese o che non siano aderenti, nel loro fondamento etico e sociale, al sentimento della grande maggioranza dei cittadini, si dovrebbero attendere ben 2 anni per l’esercizio del diritto di referendum abrogativo. Il referendum o si ammette (e noi non siamo per l’ammissione) o non si ammette. Se si ammette, si deve circondare di forme serie, attuabili, pratiche, idonee al raggiungimento dei fini previsti. Per questi motivi chiedo la soppressione del termine e conseguenzialmente la soppressione nel testo della locuzione «da due anni».

Col terzo emendamento ho proposto la soppressione della disposizione del terzo comma. Se si accorda la possibilità di promuovere la abrogazione di leggi che si ritengono dannose, io non comprendo perché al popolo non debba essere concesso il diritto di far mancare la ratifica di trattati internazionali, che si giudichino iniqui, odiosi, pericolosi. II trattato della triplice alleanza e il cosiddetto «patto di acciaio» ammoniscano!

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere gli articoli. 72 e 73.

Ha facoltà di svolgere la sua proposta.

TARGETTI. Onorevoli colleghi. A sostegno del nostro emendamento soppressivo degli articoli 72 e 73 sono state già apportate valide considerazioni dagli oratori che mi hanno preceduto, quantunque questi si siano limitati a chiedere la soppressione della prima parte dell’articolo 72 e non di tutto l’articolo come noi chiediamo.

Noi per i primi dobbiamo riconoscere che il concetto ispiratore di questa norma è un concetto che dal lato dottrinale ed anche dal lato politico in astratto ha le sue attrattive. Se queste attrattive questo principio non avesse, non si spiegherebbe come sia condiviso e sostenuto da molti egregi uomini politici e studiosi della materia il principio di far partecipare direttamente il popolo alla formazione della legge. Concedere al popolo di esercitare direttamente questo diritto di veto significa concedergli la possibilità di una diretta ingerenza nel campo legislativo. Ma in pratica questo principio porta inconvenienti così gravi da renderci persuasi dell’impossibilità di dargli un’utile applicazione,

Basta fermare l’attenzione sul modo col quale si propone di applicarlo. Cioè un modo macchinoso, tanto macchinoso da non poter forse dar mai un risultato pratico.

L’Assemblea ricorda che entro quindici giorni si dovrebbero raccogliere 50 mila firme di elettori. Raccoglierle in forma autentica. Cinquantamila firme di elettori che chiedono la sospensione dell’applicazione della legge. Si dirà: c’è una via più breve, cioè l’intervento di tre Consigli regionali.

Senza lasciarmi in nessun modo influenzare da poca simpatia verso l’istituto della Regione, tanto più che questa mancanza di simpatia non mi si potrebbe rimproverare, dico tuttavia che attribuire a tre Consigli regionali, il che vuol dire alla maggioranza di tre Consigli regionali, questa facoltà (quando si tenga conto che vi saranno delle Regioni con una popolazione molto modesta) vuol dire attribuire questa facoltà non direttamente ai popolo ma a pochi rappresentanti di pochi elettori raccolti in tre Regioni, che possono avere eventualmente anche degli interessi non nazionali ma regionali, che si oppongono all’approvazione e al rispetto di una legge approvata nell’interesse nazionale. Credo che tutti si dovrebbe essere d’accordo nel rinunciare a questa ipotesi.

Resterebbe, caso mai, l’intervento diretto. Entro quindici giorni raccogliere 50 mila firme. Entro tre mesi raccogliere quelle di 500 mila elettori per richiedere il referendum.

Questo per rilevare che anche in pratica questa norma, ammesso che fosse una norma utile, non avrebbe la possibilità di applicazione. Secondò noi non è una norma saggia; tanto più non è saggia nel secondo comma del quale l’onorevole Persico e gli altri non si sono occupati.

La gravità degli inconvenienti prodotti da questo principio è ancora molto maggiore nell’ipotesi contemplata dal secondo comma. L’Assemblea ricorda: si procede al referendum quando 500 mila elettori domandino che sia abrogata una legge vigente da almeno due armi. È inutile che faccia perdere tempo all’Assemblea nel richiamare la sua attenzione sopra la pericolosità di una norma che rende la legislazione così mutevole, così instabile.

È come costruire una legislazione sulla sabbia mobile.

UBERTI. Siete contro il referendum.

TARGETTI. Siamo contro l’uso del referendum per sospendere l’applicazione di una legge o anche abrogare una legge che nella sua vita sia pur breve, ha creato degli interessi, delle situazioni giuridiche, che vanno rispettate. A ciò noi siamo decisamente contrari. Quindi proponiamo senz’altro la soppressione di tutto l’articolo.

Lo sappiamo che in Svizzera questo accade. In Svizzera prima che una legge venga pubblicata in quella che è per noi la Gazzetta Ufficiale deve stare per un certo periodo nel limbo. Ma io vorrei raccomandare ai colleghi di non procedere con troppa facilità per analogia con quello che accade in Svizzera, nazione di popolazione così limitata, da potersi considerare come una nostra grande regione.

Chiediamo pertanto la soppressione dell’articolo 72 e dell’articolo 73 che vi è strettamente collegato.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Faccio presente all’Assemblea che con l’articolo 68 noi abbiamo già ammesso che il popolo può avere l’iniziativa delle leggi attraverso un referendum proposto con cinquantamila firme.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è referendum: e cioè decisione da parte del popolo. E iniziativa, ossia proposta di legge al Parlamento. Non è una votazione, è una raccolta di nomi. Ossia è un’altra cosa dal referendum, anche se si presenta come manifestazione popolare.

FUSCHINI. Sì, è esatto quanto ella, onorevole Ruini, osserva: non è referendum, ma è sempre un modo di intervento diretto del popolo nella iniziativa delle leggi. Questa democrazia diretta si vuole applicare, con l’articolo 72, mediante il referendum sulla sospensione e abrogazione delle leggi.

Il referendum può essere chiesto da cinquecentomila elettori o da sette Consigli regionali. Mi si consenta di osservare prima di tutto che non mi sembra opportuno ammettere che sette Consigli regionali possano prendere l’iniziativa dell’abrogazione delle leggi. I Consigli regionali, come noi li abbiamo concepiti, hanno facoltà, sia pure limitata, di emanare leggi di portata regionale. Non dobbiamo aumentare le possibilità di contrasto che si potranno creare tra questi Consigli regionali e lo Stato o il Parlamento.

Questa delicata materia che si riferisce al referendum deve essere ordinata in maniera da evitare la incertezza della legge. Quando una legge è approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica, deve avere la certezza, per tutti i cittadini, della sua applicazione e non vi debbono essere periodi di incertezza sulla sua efficacia.

La proposta contenuta nel primo comma dell’articolo 72 riuscirebbe facile, purtroppo, a praticarsi. Si dice infatti che «l’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando ecc.». Ora è da considerare che le leggi dichiarate urgenti a maggioranza assoluta e le leggi non di urgenza, ma votate a maggioranza di due terzi, saranno pochissime, secondo il mio modesto avviso, perché le dichiarazioni d’urgenza appoggiate da una maggioranza assoluta saranno ben rare.

Non sappiamo ancora come sarà regolamentata la «urgenza» e non sappiamo per quali leggi si richiederà la maggioranza dei due terzi. Nel progetto di Costituzione vi sono pochissimi casi; uno ne ricordo, in cui è richiesta la maggioranza di due terzi, ed è quello della nomina del Presidente della Repubblica, che deve essere eletto dall’Assemblea nazionale a maggioranza di due terzi. È facile comprendere come questa maggioranza sia assai difficile a raggiungere, e di questo credo che non ci sia bisogno di dimostrazione. Faremmo pertanto cosa utile e saggia se abolissimo addirittura il primo comma di questo articolo, senza sottoporre, a sospensiva, né da parte dell’iniziativa dei cinquantamila elettori (che poi dovranno diventare cinquecentomila) né da parte di tre Consigli regionali (che dovranno completarsi a sette), perché, come ha osservato a questo proposito l’onorevole Persico, noi creeremmo fuori delle Assemblee legislative un ostruzionismo che non potremmo in alcun modo governare. Infatti i Consigli regionali saranno determinati da impulsi politici e da impulsi amministrativi, e questi saranno di diverso grado e di diverso ordine, tali da non poter essere previsti e regolati da alcuna legge, perché determinati nell’ambito della loro autonomia regionale. Pertanto ripeto che faremo cosa saggia se abbandoneremo addirittura questo primo comma dell’articolo 72.

Inoltre credo che dovremmo regolare meglio il secondo comma, ammettendo il referendum per l’abrogazione di tutte le leggi vigenti, e non soltanto di quelle in vigore da due anni, perché non c’è ragione di limitare l’abrogazione delle leggi a quelle che sono in vigore da almeno due anni. Infatti se vi può essere una ragione, per alcune leggi, di attendere almeno due anni per stabilire se siano dannose alla vita del Paese, vi sono però leggi il cui contrasto con gli orientamenti del Paese è immediatamente avvertibile.

Per questo abolirei il termine di due anni, ma stabilirei altre cautele indispensabili perché questa materia fosse regolata dalla Costituzione o dalla legge che dovrà stabilire le modalità del referendum.

Per quanto si riferisce invece all’ammissione o non del referendum per le leggi finanziarie, io credo che qui bisogna che ci mettiamo una mano sulla coscienza tutti quanti. Se noi ammettessimo che le leggi finanziarie potranno entrare fra le leggi che possono abrogarsi per referendum, siate pur certi che non solo tutti i 28 o 30 milioni di elettori, ma tutto il popolo sarebbe favorevole a un tale referendum.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma c’è l’ultimo comma, che lo impedisce.

FUSCHINI. Sta bene; ma io combatto l’opinione dell’onorevole Nobili Tito Oro, il quale ha sostenuto che per le leggi finanziarie e per i trattati internazionali si possa ammettere il referendum. I trattati internazionali devono essere approvati con leggi speciali dalle Camere, e se un trattato è approvato dalle Camere, non mi pare che possiamo far intervenire il popolo in una materia così delicata, che incide sui rapporti internazionali. Demograficamente parlando, noi non siamo una piccola Nazione, ma una grande Nazione, per cui il referendum deve essere fatto con immense cautele, per non turbare l’andamento della vita politica del Paese e i suoi rapporti con gli altri Stati. Esso può essere utile per intervenire in alcuni problemi che possono essere facilmente compresi dal popolo.

Se estendessimo le possibilità del referendum su materie troppo delicate e decisive per la vita dello Stato, rischieremmo di produrre gravi inconvenienti.

Concludendo, sono favorevole alla soppressione dei primo comma, ed al mantenimento del secondo e terzo comma.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. In questa discussione sono stati avanzati punti di vista notevolmente diversi. Io non entro nella questione generale del referendum, perché è inutile ormai fare discussioni di ordine accademico, ma resterò sul terrena concreto.

Sul terreno concreto, in relazione alle diverse proposte contenute nell’articolo 72, sono stati anche qui assunti degli atteggiamenti che, mi permetto di dire, sono un poi contraddittori. Caratteristica, ad esempio, è la posizione dell’onorevole Nobili Tito Oro, il quale, mentre da un lato dichiara di aderire alle proposte di soppressione dell’articolo, propone, dall’altra parte, la soppressione del terzo comma, ossia arriva ad ammettere che il referendum, sia pure soltanto abrogativo, possa funzionare per qualsiasi legge. (Interruzione del deputato Nobili Oro).

Ma veniamo al concreto: nello schema dell’articolo 72 si propongono due tipi di referendum; l’uno, contemplato nel primo comma, è il referendum come elemento di formazione della legge; l’altro invece è il referendum che possiamo dire abrogativo. È da notare che la formula usata nel primo comma dell’articolo 72 darebbe al referendum una configurazione giuridica che diverge da quella propria del referendum cosiddetto facoltativo, adottato in Svizzera.

Nella Confederazione, quando una legge è votata dalle due Camere federali, non viene pubblicata ai fini dell’entrata in vigore, come è previsto nel nostro progetto, ma viene invece annunziata al pubblico mediante la inserzione in un foglio speciale, La Feuille Fédérale, che è diverso dal Recueil des lois fédérales. Lo scopo di questa prima pubblicazione è semplicemente quello di portare a conoscenza del popolo che il Parlamento ha votato quella legge e di permettere al popolo di esercitare l’iniziativa del referendum, ossia di presentare entro il termine di tre mesi il numero di firme richiesto perché abbia luogo il referendum sulla legge. In questo sistema, il referendum viene a configurarsi giuridicamente come un elemento che concorre a fermare la legge. Il voto del popolo si aggiunge a quello delle Camere, quale elemento costitutivo della legge.

Ora il sistema che è stato escogitato nel nostro progetto non coincide con quello svizzero, perché, secondo la formula qui proposta, quando una legge è votata dal Parlamento essa è pubblicata nel senso tecnico della parola; soltanto la sua entrata in vigore, che normalmente dovrebbe cominciare decorsi 20 giorni dalla pubblicazione, viene ad essere automaticamente sospesa, se nei termini prescritti sono presentate le firme richieste per il referendum nel numero minimo richiesto a questo fine.

Dal punto di vista giuridico, nel sistema proposto, il referendum viene ad assumere una configurazione diversa da quella del sistema svizzero. In realtà, il referendum assumerebbe il carattere di un veto, nel senso che la legge è perfetta ma se, per ipotesi, domandatosi il referendum, questo dà un voto negativo, la legge viene meno.

Il sistema qui proposto presenta, da certi punti di vista pratici, rispetto al sistema svizzero, il vantaggio di rendere più rapida la macchina nel senso che, se entro quindici giorni le firme non sono presentate, la legge, che è già pubblicata, entra senz’altro in vigore.

Resta da vedere, per venire alla soluzione concreta – una volta che non si assuma una posizione aprioristicamente contraria al referendum – con quali limiti, con quale ampiezza questo istituto di democrazia diretta viene accolto dalla Costituzione.

Quali sono le cautele? Io invito i colleghi a leggere bene il complesso delle norme proposte e a rendersi ragione dei limiti nei quali questo meccanismo del referendum funzionerebbe.

In primo luogo: se una legge è dichiarata urgente, è esclusa la possibilità del referendum. In secondo luogo, se una legge è votata in ciascuna delle Camere in una certa maggioranza qualificata, il referendum è pure escluso. In terzo luogo, vi è un limite per materia, che è indicato nell’ultimo comma dell’articolo: le leggi tributarie, le leggi di approvazione di bilanci e quelle di autorizzazione a ratificare trattati, sono sottratte alla procedura del referendum.

Ora, date queste cautele, dati questi limiti per materia, a noi sembra che l’introduzione del referendum non possa sollevare obbiezioni. Si tratta di un istituto che può essere opportuno. Se il Parlamento adotta una legge, che nell’opinione pubblica è ritenuta contraria agli interessi generali, perché si vorrebbe impedire che il popolo possa essere chiamato a pronunciarsi su di essa?

Dunque, dati i limiti nei quali il referendum è accolto dal progetto, credo che la Costituzione debba accogliere questo istituto, che attua concretamente il principio della sovranità popolare, ed ha anche il grande pregio educativo di abituare il popolo a partecipare alla vita politica mediante giudizi su cose concrete, e non soltanto su persone.

Per quanto concerne il secondo comma, riteniamo opportuno mantenere il limite di due anni. S’intende che questo limite ha ragion d’essere solo quando il referendum abrogativo, previsto nel secondo comma, non sia la sola forma di referendum accolta nella Costituzione, ma si accompagni al referendum preveduto nel primo comma. Il limite dei due anni è ispirato dalla considerazione che prima di mettere in moto la macchina del referendum, che è già una macchina pesante, ed eventualmente provocare l’abrogazione di una legge in vigore, è opportuno che questa legge abbia fatto una certa esperienza: quello di due anni sembra un termine abbastanza breve e nel tempo stesso sufficiente per permettere che questa esperienza si faccia.

Con questi criteri e con questo spirito, noi appoggiamo l’articolo 72 così com’è, perché riteniamo che esso costituisca un’innovazione che il nostro ordinamento costituzionale deve accogliere, se la sovranità popolare, a cui tutti si richiamano, non è intesa come una frase fatta, vuota di contenuto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il primo emendamento che è stato presentato dall’onorevole Codacci Pisanelli credo sarebbe opportuno venisse ritirato. Debbo infatti fare al riguardo due osservazioni, l’una di forma e l’altra di sostanza. L’onorevole Codacci Pisanelli propone che, quando sia stato inoltrato un ricorso alla Corte Costituzionale, questa possa sospendere l’applicazione della legge. La prima osservazione è che noi non sappiamo ancora se vi sarà o no la Corte Costituzionale. Si tratta di una decisione che non abbiamo ancora preso. In secondo luogo gli obbietterò – e questo è il lato più serio della questione – che, secondo tale sua proposta, un solo cittadino, un qualunque cittadino della Repubblica potrebbe venire a sospendere una legge: così infatti è previsto, per i giudizi cosiddetti incidentali, nelle norme del progetto concernenti la Corte Costituzionale. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli, che è un così fine giurista, di non insistere su un così inammissibile punto.

Veniamo ora alle altre questioni. Ricorderò che l’articolo risulta di tre commi. Nel primo, è previsto un tipo di referendum che mi consentirete, sebbene riconosca io per il primo l’improprietà della frase, di chiamare sospensivo e preventivo. Nei secondo, è previsto invece un referendum abrogativo; il terzo comma indica alcune categorie di leggi che sono sottratte alla possibilità dell’una e dell’altra specie di referendum.

Per quello che riguarda le proposte di emendamento che sono state avanzate al riguardo, dobbiamo distinguerle in due grandi ordini. Il primo è caratterizzato dalla proposta assolutamente radicale dell’onorevole Targetti, il quale vorrebbe senz’altro cancellare ogni possibilità di referendum. Il secondo ordine invece, che comprende gli emendamenti presentati da numerosi altri colleghi, è caratterizzato dal punto di vista secondo cui, conservando il solo emendamento abrogativo, si intenderebbe sopprimere la prima forma di referendum, che impropriamente abbiamo chiamato sospensivo o preventivo.

Ora, io debbo nettamente dichiarare che l’emendamento dell’onorevole Targetti mi pare contrasti con quella che era stata la decisione unanime della Commissione, perché noi avevamo ritenuto che il referendum dovesse essere introdotto nella Costituzione italiana. Non vi starò a richiamare, onorevoli colleghi, le ragioni teoriche: si era ritenuto che, in regime democratico, il popolo potesse esprimersi in due modi fondamentali: indirettamente con l’elezione del Parlamento e direttamente a mezzo del referendum.

Debbo sottolineare, come dissi in altri interventi, che il referendum è necessario appunto per togliere al Parlamento il carattere di solo organo sovrano, mentre in fondo la sovranità del Parlamento è mediata, giacché il vero sovrano deve essere il popolo. Purtroppo anche ieri noi abbiamo soppresso un referendum: quello in caso di conflitto fra le due Camere. Mi inchino alla volontà della maggioranza dell’Assemblea, ma mi dolgo di tale prima amputazione.

Il principio del referendum è stato ammesso, come concetto generale, da tutti gli oratori all’Assemblea; anche gli onorevoli Corbi, Preti, Di Gloria ed altri comunisti e socialisti hanno riconosciuto la necessità dell’istituto del referendum nella nuova Costituzione, pur sostenendo che deve essere sottoposto a cautele e se ne deve fare un «savio e corretto uso». Se così è, se tutti si sono pronunziati pel referendum, non credo che si possa entrare in un ordine di idee così radicale come quello dell’onorevole Targetti, che sopprime, se non interamente, quasi interamente il referendum nella Costituzione, e lo svuota così di ciò che si doveva intendere come un’acquisizione concordata.

Emendamenti di altri colleghi sopprimono una delle due figure del referendum, la sospensiva e preventiva, e mantengono quella del referendum abrogativo.

Anche nella Commissione dei Settantacinque vi sono state delle correnti ostili alla prima forma di referendum. L’onorevole Grassi, che allora era segretario della Commissione, e che ha scritto da giovane un libro notevole sul referendum, ha combattuto il referendum sospensivo o preventivo. Ma la maggioranza si è pronunciata per adottarlo.

Le obiezioni contrarie possono formularsi, mettendo in luce il carattere di veto che ha il referendum sospensivo e preventivo; l’azione appunto di sospensione e di arresto che esercita sul procedimento legislativo, a cui toglie certezza e definitività; il pericolo che un partito o una corrente d’interessi possa con facilità raccogliere il numero di firme necessarie per la sospensiva e turbare, almeno momentaneamente, la macchina della legislazione. Un’obiezione più radicale che può addursi per il referendum sulle leggi, e specialmente per quello sospensivo e preventivo, è che il giudizio sulla legge richiede una competenza tecnica, sia pur elementare, che non risiede nella massa del popolo; e per ciò appunto si ricorre ad elezione di scelti rappresentanti.

A sostegno del referendum preventivo e soppressivo si afferma, in via di principio, che nulla può opporsi all’intervento diretto del popolo nella funzione legislativa, come avviene spiccatamente in Svizzera, dove il referendum è in molti casi obbligatorio per la formazione delle leggi, ed equivale ad una seconda lettura o ad una terza Camera. Dalla forma elvetica, di cui l’amico Perassi sembra avere nostalgia giuridica, è diverso il sistema che si propone per l’Italia. A mettere in moto il referendum occorre un numero di firme raccolte così considerevole che – contrariamente al rilievo di soverchia facilità – altri dice (l’abbiamo udito pur qui) che la disposizione resterà praticamente (il che io non credo) lettera morta. Ma i freni e le cautele dell’esercizio del referendum preventivo e sospensivo sono principalmente due, nel testo del progetto. Il Parlamento può impedire a priori il ricorso a tale referendum dichiarando l’urgenza delle leggi a maggioranza assoluta, o approvandole col voto di due terzi dei suoi membri. Vi sono poi categorie di leggi, indicate nell’ultimo comma dell’articolo, che sono sottratte ad ogni e qualunque forma di referendum. Il complesso di tali cautele dovrebbe, si dice, tranquillizzare anche sull’applicazione del referendum sospensivo e preventivo. Anch’io personalmente posso avere dei dubbi su tale forma di referendum. E debbo soprattutto insistere sulla grande differenza che c’è fra la proposta dell’onorevole Targetti e le proposte degli altri colleghi. Targetti ha proposto, infatti, un emendamento col quale il referendum uscirebbe dalla nostra Costituzione per quanto riguarda le leggi.

TARGETTI. No!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E dove rimarrebbe?

TARGETTI. Non ho avuto la fortuna di spiegarmi bene. È colpa mia.

Io ho sostenuto la soppressione di questo articolo, dove è incluso il referendum relativo all’approvazione delle leggi. Ma questo non impedisce a me, in piena coerenza, di ammettere il referendum in altri casi.

C’è nella Costituzione un’ipotesi di referendum, ad esempio, anche per la revisione della Costituzione stessa.

La prego di correggere l’interpretazione del mio pensiero nel senso che sono contrario ad adottare il referendum ai fini cui servirebbe secondo l’articolo in discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rispondo all’onorevole Targetti che, sopprimendo il referendum legislativo, si sopprime il referendum nella sua manifestazione più vasta e concreta. Non si può dire che il caso solitario ed eccezionale del referendum per la revisione costituzionale introduca veramente nel nostro Paese l’istituto del referendum, su cui sembrava realizzata all’inizio la unanimità dei consensi. L’onorevole Targetti afferma che egli non è contrario – tutt’altro! – all’idea del referendum, e che cercherà altre applicazioni, ma non le indica, tranne il referendum per la revisione costituzionale. Così in sostanza, lo ripeto, non dà effettiva attuazione all’idea del referendum, che dovrebbe essere una delle caratteristiche innovative dell’ordinamento del nuovo Stato italiano, in un senso che ormai mi sembra indispensabile in una nuova democrazia.

Io chiedo che sia adottato il referendum abrogativo. Per l’altro preventivo e sospensivo, decida l’Assemblea come crede. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori se insistono nei loro emendamenti.

Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lo mantiene?

CODACCI PISANELLI. Volevo precisare due punti del mio pensiero. Primo: è stato pensato che in ogni caso io ritenessi la possibilità che una legge sia sospesa, da qualunque cittadino si faccia il ricorso. Secondo: che l’Alta Corte fosse sempre tenuta a concedere questa sospensione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, non l’ho detto.

CODACCI PISANELLI. Mi riferivo ad una posizione analoga a quella che si verifica per l’atto amministrativo, per cui la sospensione viene accordata dalla magistratura amministrativa competente solo in casi di particolare gravità.

Quanto alla possibilità di impugnativa da parte di un solo cittadino, non ho affatto ammesso tale principio. Mi riferivo a quanto è stabilito nell’articolo 128, dove è previsto chi deve promuovere la dichiarazione di incostituzionalità.

Comunque, sono d’accordo sull’opportunità di rinviare la questione e non insisto sul mio emendamento, riservandomi di esaminare la questione quando affronteremo l’argomento dell’Alta Corte di Giustizia.

CORBINO. Onorevole Presidente, desidererei sapere quale sarà la sorte del secondo emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. Coincide con quelli di altri colleghi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perfettamente, coincide con altri tre emendamenti. Ne abbiamo già parlato.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, mantiene il suo emendamento?

BOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Nobile, si intende che abbia rinunciato al suo emendamento. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Lo mantengo, con quel carattere subordinato che hanno i miei emendamenti rispetto a quelli pregiudiziali presentati dall’onorevole Targetti e dagli altri colleghi di Gruppo.

PRESIDENTE. E allora passiamo alla votazione. In analogia al modo col quale abbiamo proceduto ieri nei confronti di altro articolo per il quale erano stati presentati numerosi emendamenti, e di cui si chiedeva anche la soppressione, voteremo anche in questo caso per prima la proposta soppressiva di tutto l’articolo proposta dall’onorevole Targetti.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io credo che si dovrebbe votare prima il primo comma perché l’articolo contiene due concetti diversi. Io potrei essere favorevole, per esempio, alla soppressione del primo comma, ma non al secondo, perché sono due concetti diversi.

CIFALDI. Propongo la votazione per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei far presente che se si tratta di votare interamente l’articolo, si tratta di pronunciarsi sul principio del referendum in generale.

Abbiamo due proposte che, secondo me, non si possono votare insieme perché chi vuole conservare la seconda parte non può votare per la soppressione di tutto l’articolo. Sono due figure completamente diverse: quella del referendum abrogativo e quella del referendum preventivo. La votazione precedente, che ora si ricorda, della soppressione integrale votata per la questione dei conflitti fra le Camere sopra un disegno di legge, era possibile, perché quell’articolo non conteneva due disposizioni, per così dire due articoli, di cui uno può sussistere indipendentemente dall’altro; come invece avviene nell’attuale articolo. Credo che non contrasterebbe con la logica e con la prassi regolamentare votare per divisione l’articolo, giacché la divisione esiste già, nel contenuto dell’articolo stesso.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che sia necessario votare per divisione, innanzitutto il primo comma e poi il secondo. Per esempio, io mi troverei in imbarazzo se così non si facesse. L’onorevole Fuschini ha ben chiarito il suo pensiero ed io lo condivido perfettamente. Se si votasse l’intero articolo, io, preoccupato che questo concetto contrario alla prima parte non prevalesse, voterei per la soppressione generale e credo che parecchi altri farebbero come me. Se invece si vota per divisione, la cosa sarebbe diversa e tutti potremmo votare tranquillamente.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Sul sistema da seguire mi pare che si debba mettere in votazione inizialmente l’emendamento Targetti, soppressivo dell’intiero articolo 72. In secondo tempo, e qualora l’emendamento Targetti non sia accolto, si passerà a votare per la soppressione del primo comma.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io sarei d’accordo con il Presidente nella sua valutazione procedurale. Mi pare che effettivamente sia lo stesso caso di ieri. Si presenta il quesito generale se vi debba essere o meno referendum nella nostra Costituzione e poi, nel caso che questa richiesta riceva una risposta affermativa, si procede a determinare le forme e i casi. Però sono perplesso in conseguenza delle dichiarazioni dell’onorevole Lussu. Anche noi, come l’onorevole Lussu, voteremo contro la prima parte dell’articolo, intendendo conservare soltanto la forma del referendum abrogativo. Ma, avendo questa intenzione, voteremo pure contro la soppressione proposta dall’onorevole Targetti, riservandoci di dare un determinato contenuto al referendum. Se così si comportassero anche l’onorevole Lussu e coloro che la pensano come lui, potremmo senz’altro accettare la proposta del Presidente. In mancanza dovremmo chiedere la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Poiché vi è la richiesta di votare l’articolo 72 per divisione, porremo in votazione anzitutto la proposta di soppressione del primo comma; se non sarà accolta, esamineremo gli emendamenti al primo comma; se sarà accolta, ne verrà per conseguenza la decadenza di tutti gli emendamenti al primo comma e passeremo alla votazione della proposta di soppressione del secondo comma. Se essa sarà approvata, verrà di conseguenza considerato soppresso anche il terzo comma; se sarà respinta, passeremo all’esame degli emendamenti proposti al secondo e al terzo comma.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. L’onorevole Ruini ha detto che la seconda Sottocommissione approvò all’unanimità l’articolo 72. In verità io non lo ricordo. Per parte mia, mi pronunciai contro il referendum preventivo, senza con questo intendere di negare il principio del referendum. A me e ad altri parve di intravvedere nella soluzione che fu poi approvata a maggioranza una possibilità di ostruzionismo alla attività legislativa. Mi pronunciai invece a favore, e con un particolare entusiasmo, del referendum locale, nell’ambito del Comune o della Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare che io avevo dichiarato che nella Commissione c’era stata unanimità per il concetto del referendum, salvo le divergenze sui limiti di applicazione. Ciò non si può negare.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Pongo ai voti la proposta di soppressione del primo comma dell’articolo 72, contenuta negli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Cifaldi, Nitti, Persico, Nobile, e anche, in via subordinata, dell’onorevole Codacci Pisanelli.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma, del quale l’onorevole Targetti propone la soppressione. Su questo emendamento soppressivo gli onorevoli Moro, Uberti, Valenti, Franceschini, Recca, Guerrieri Emanuele, Giordani, Pecorari, Burato, Guarienti, Cappi, La Pira, Mannironi, Bosco Lucarelli, Firrao e Tozzi Condivi hanno chiesto la votazione per appello nominale. Domando se questa richiesta è mantenuta.

UBERTI. La manteniamo.

PRETI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Il nostro Gruppo voterà contro la soppressione del secondo comma, perché il referendum abrogativo è una garanzia democratica, particolarmente per le minoranze.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di soppressione del secondo comma dell’articolo 72.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Mazzoni.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei.

Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bernamonti – Bibolotti – Bitossi – Bordon – Bosi – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Carpano Maglioli – Cavallotti – Colitto – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cortese – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – Di Gloria – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grieco – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lucifero – Luisetti.

Magnani – Maltagliati – Mariani Francesco – Mattei Teresa – Merlin Angelina – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Morelli Renato – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pastore Raffaele – Penna Ottavia – Pesenti – Pistoia – Platone – Pressinotti – Pucci.

Reale Eugenio – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scoccimarro – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello.

Venditti – Vernocchi – Vigna – Vischioni.

Rispondono no:

Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Binni – Bocconi – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Burato.

Cairo – Calosso – Camangi – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Castelli Edgardo – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corsi – Cosattini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Firrao – Foa – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gasparotto – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier – Lombardi Riccardo – Longhena – Lussu.

Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marinaro – Martinelli – Mastrojanni – Mattarella – Matteotti Matteo – Meda Luigi – Micheli – Molè – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nasi – Notarianni – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perlingieri – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Ponti – Preti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restagno – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Ruini – Rumor.

Saggin – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Simonini – Spallicci – Stella.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagara – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino – Alberti.

Bonino.

Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Romita.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     316

Maggioranza           159

Hanno risposto sì     107

Hanno risposto no    209

(L’Assemblea non approva).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.35.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDI

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente .

Lucifero

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Benvenuti

Tosato

Rodi

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

Nobile

Uberti

Mortati

Arcangeli

Persico

Colitto

Carpano Maglioli

Lami Starnuti

Preti

Perassi

Fuschini

Fabbri

Bozzi

Bertone

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in relazione al mandato conferitomi, ho chiamato a far parte della Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla soppressione del Senato gli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Cifaldi, Clerici, Colitto, Costa, Giolitti, Gullo Fausto, Mortati, Nasi, Perassi, Rodinò Ugo, Rossi Paolo, Tosato, Valiani.

La Commissione è convocata per domani, giovedì, alle ore 15, nella sala della Commissione per i Trattati internazionali, per procedere alla propria costituzione e iniziare l’esame del provvedimento.

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina.

PRESIDENTE. Comunico, che, in seguito al messaggio da me rivolto a nome dell’Assemblea Costituente, la Camera dei deputati della Repubblica Argentina ha votato all’unanimità la seguente mozione, alla quale avevano aderito tutti i partiti:

«La Camera dei deputati della Repubblica Argentina vedrebbe con soddisfazione la revisione delle clausole del Trattato col quale le Nazioni Unite hanno concluso la pace con la Repubblica Italiana e così pure che detta Repubblica sia ammessa quanto prima possibile nella Società delle Nazioni unite». (Vivi, generali applausi).

Questa risoluzione acquista il suo particolare significato per il fatto che essa è stata votata all’unanimità dalla Camera dei deputati della Repubblica Argentina, nella quale esiste tuttavia una forte opposizione contro il Governo ma che, nel caso specifico, ha fuso i suoi voti e le sue affermazioni con quelli delle altre forze rappresentate in quella Camera. Credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi esprimendo la nostra viva sodisfazione per l’accoglimento che il nostro messaggio ha ricevuto da parte della Camera rappresentativa della Repubblica Argentina. (Vivi generali applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Stamane abbiamo approvato il primo comma dell’articolo 69 nel testo del progetto. L’Assemblea ha poi respinto l’emendamento aggiuntivo presentato dagli onorevoli Grieco e Laconi.

Passiamo ora alla votazione del secondo comma, nel nuovo testo proposto dalla Commissione:

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

(È approvato).

Passiamo alla votazione del terzo comma, così come è risultato nella elaborazione alla quale stamattina ha proceduto il Comitato di redazione, in base alle proposte di emendamento che ieri sono state svolte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione dei disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Chiedo scusa. Non ho il testo, ma se ho ben compreso dalla lettura che lei ne ha data, onorevole Presidente, il progetto di legge potrebbe essere approvato da queste Commissioni, emanazione della Camera, a meno che non fossero di opposto parere un decimo dei membri dell’Assemblea o un quinto dei membri della Commissione; dopo di che è detto che in tal caso la legge potrebbe andare all’approvazione dalla Camera senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è così.

LUCIFERO. Vorrei far osservare che vi sono due punti delicati: prima di tutto, il fatto nuovo delle Commissioni che possono deliberare, e questo, del resto, è stato già trattato; ma l’altro punto è questo: un certo numero di membri della Camera o della Commissione possono richiedere che l’approvazione della legge vada alla Camera, invece di essere deliberata in sede di Commissione, nel qual caso – dice la disposizione statutaria proposta – si tratterebbe di approvazione senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È detto «o».

LUCIFERO. Non è chiaro. Il guaio è che noi lavoriamo su un testo, che non abbiamo sott’occhio, cioè lavoriamo ad orecchio.

Io ho compreso questo, anche dalla seconda lettura fatta dal Presidente: che, a richiesta di una minoranza qualificata, l’approvazione della legge va alle Camere. Ora, se va alle Camere, la legge va per essere discussa. Questo non mi pare chiaro nel testo. Se non è chiaro nel testo, tengo di più a sottolineare il fatto, perché è evidente che, quando una minoranza qualificata chiede che una legge venga sottoposta alla Camera, lo chiede perché venga discussa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo è stato concordato stamane. Il contenuto, che potrà essere chiarito nella forma, è che, quando in virtù del regolamento un disegno di legge dovrebbe andare alle Commissioni per l’esame e l’approvazione, allora o il Governo o un decimo della Camera o un quinto della Commissione possono chiedere: o che il disegno di legge vada tanto all’esame quanto all’approvazione della Camera o soltanto all’approvazione, ma senza discussione, della Camera stessa.

La minoranza qualificata può scegliere una delle due vie.

Quindi, è perfettamente garantito il diritto che non solo l’approvazione, ma anche l’esame vada alle Camere.

Riconosco che la forma potrebbe essere chiarita, nell’ultimo testo che i presentatori di emendamenti hanno concordato fra loro, rapidamente mentre io presiedevo la Commissione dei Settantacinque. Si vuol dire che è diritto del Governo o di un decimo della Camera o di un quinto del gruppo di chiedere che l’esame e l’approvazione siano attribuiti alla Camera o che a questa sia attribuita soltanto l’approvazione, senza discussione.

Questo è il concetto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Questo concetto non è chiaro, mi lascia ancora perplesso.

Sono due tempi diversi; perché può accadere questo: o vi è la richiesta preventiva che si discuta alla Camera; ed allora si discute e si approva; oppure, nelle more, può succedere che il disegno di legge vada senza nessuna opposizione, alla Commissione competente; durante la discussione alla Commissione (ed è proprio il caso soprattutto dei membri della Commissione) o una minoranza qualificata dei membri della Commissione o una minoranza qualificata dei membri della Camera chiede che la competenza sia devoluta alla Camera. Allora, io non capisco questo voto senza discussione.

La prima ipotesi si riferisce ad un caso diverso, cioè che il Governo o questo certo numero di deputati non voglia adire quella tale procedura. Abbiamo due possibilità: quella di adire la procedura e quella di non adire quella procedura speciale. Così, almeno, risulta dalla prima alternativa. La seconda alternativa non specifica molto bene che cosa voglia; non è chiaro, perché può succedere che si deliberi di adire la procedura della Commissione speciale e successivamente, per ragioni sopravvenute, si voglia tornare alla Camera; ed allora si torna alla Camera evidentemente per la discussione.

Chiedo semplicemente che si adotti un testo, per il quale non possa succedere quello che tante volte succede: cioè che ci si abbandoni a certe sottilizzazioni bizantine su testi poco chiari, le quali tendono a falsare la volontà del legislatore. Perciò mi pare che non si possa acconsentire a questa formula.

PRESIDENTE. Ritengo che comunque questa redazione dovrebbe essere modificata, se in realtà essa, come ha riconosciuto l’onorevole Ruini, può dar luogo ad equivoci nell’interpretazione nell’ultima parte del testo.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Lucifero e ritengo necessaria una maggiore chiarezza nel tenore della disposizione. Vorrei fare un’obiezione: quando si dice «senza discussione», si intende dire anche senza dichiarazioni di voto? È una cosa molto diversa, si capisce. Deve essere una scena muta o deve essere permesso di fare dichiarazioni di voto, cioè spiegare perché si vota sì o perché si vota no? Inoltre questa disposizione importa evidentemente una delega di poteri alle Commissioni. Io mi chiedo: questa delega si può fare per qualsiasi disegno di legge, per esempio, anche per il bilancio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, perché c’è l’ultimo comma il quale resta in piedi.

TARGETTI. Allora restiamo d’accordo che conserviamo l’ultimo comma. Bisogna dirlo.

PRESIDENTE. Vediamo se l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero è possibile, considerato il testo proposto, che rileggo: «Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento (cioè al procedimento per cui l’esame e l’approvazione sia deferita alle Commissioni) o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera». Mi pare che, stando a questo testo, l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero sia giustificata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non avevo visto il testo che, con un po’ di buona volontà, si può chiarire e credo che il dubbio dell’onorevole Lucifero si possa superare, sostituendo alla parola «opporsi» le altre parole che ho testé accennate. L’«opposta richiesta» può farsi, sia prima che il progetto vada alla Commissione, sia nel corso dei suoi lavori. Potrebbe intendersi che ciò sia implicito. Se si crede opportuno dirlo, mi impegno pel Comitato, onorevole Lucifero, a stendere in tal senso l’aggiunta all’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Sono perfettamente d’accordo con lei, onorevole Ruini; quello che non è d’accordo con noi due è questo testo. Bisogna chiarirlo. Abbiamo già avuto eleganti accademie in materia regolamentare e potrebbe darsi che avessimo eleganti accademie in materia costituzionale, e potremmo sentir dire che, visto che un progetto di legge è stato devoluto alla Commissione speciale, la Camera se ne è spogliata. Io non sono affatto contrario al concetto di un decentramento legislativo, che ritengo indispensabile e che per primo ho sostenuto in quest’Aula, ma voglio che esso sia regolato in modo da garantire il funzionamento delle Assemblee ed i diritti delle minoranze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della. Commissione per la Costituzione. Io credo che il testo si può intendere con una logica molto semplice. Si può aggiungere: «prima o durante i lavori della Commissione»; sarebbe questa una frase di indiscutibile chiarezza.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Volevo chiedere questo al Presidente della Commissione: a me sembra che sarebbe indispensabile stabilire un termine preciso e perentorio, sino alla scadenza del quale può esser chiesta la discussione in Assemblea. Ed a me sembra che tale termine dovrebbe scadere successivamente al deposito del disegno di legge approvato dalla Commissione. Infatti è soltanto dopo che la Commissione avrà discusso ed approvato il disegno di legge, è da quel momento in poi che potrà interessare di richiamare su di esso l’esame dell’Assemblea, perché essa abbia a decidere pro o contro.

Chiedo che il testo sia chiarito in questo senso.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io ieri sera avevo presentato un emendamento che era sostitutivo dell’intero articolo 69.

Per quanto mi riguarda personalmente, io debbo dichiarare che non rinuncio all’emendamento presentato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare all’onorevole Benvenuti che quello che egli chiede è tema di Regolamento. Noi siamo arrivati a mettere già troppe questioni di dettaglio nella Carta costituzionale, e l’abbiamo fatto per chiarire tutti i dubbi. Ma si dovrebbe trattare soltanto di principî generali. La disposizione che ora si invoca è qualcosa di così particolare che deve essere messo, indubbiamente, nel Regolamento e non nella Costituzione.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Stando al testo Lucifero, soltanto durante la discussione si può adire la procedura eccezionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche «prima».

BENVENUTI. Quindi non successivamente all’approvazione da parte della Commissione. Qui sta il punto del netto dissenso; che è sostanziale, non regolamentare.

Affermo cioè che proprio sul testo definitivo deve sempre poter pronunciarsi il potere sovrano dell’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei pregare l’onorevole Benvenuti di non insistere, se no dovrei chiedere all’Assemblea di respingere la sua proposta, che potrà invece essere stabilita nel Regolamento.

Prendo atto di quanto ha detto l’onorevole Tosato, ma egli deve tener conto che anche gli amici della sua parte si sono impegnati a votare il nuovo testo, e prego l’onorevole Dominedò, che gli è vicino, di volerglielo dire.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, la sua dichiarazione giunge un po’ tardi, perché è chiaro che, dopo che abbiamo votato il secondo comma, così come risulta dal testo originale della Commissione, il suo emendamento non ha più possibilità di essere messo ai voti. Noi abbiamo votato la seguente disposizione:

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

La sua proposta è la seguente: «Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina i procedimenti ordinari e abbreviati per l’esame e l’approvazione dei disegni di legge».

Vi si parla, dunque, di procedimenti abbreviati come nel comma già approvato si parla delle disposizioni delle quali sia dichiarata l’urgenza.

TOSATO. Volevo soltanto dire che non avevo rinunciato.

PRESIDENTE. Sta bene.

Comunico che l’onorevole Lucifero, ha proposto la seguente dizione della seconda parte del comma in esame, in quanto la prima parte non ha dato luogo a discussioni. La dizione è accettata, nella sostanza, dalla Commissione, salvo eventuali modificazioni di forma:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al normale procedi mento o di richiedere che il voto finale sull disegno sia dato senza discussione della Camera».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Credo che sia superflua l’ultima parte del comma, perché l’Assemblea stessa dovrà decidere se deve ancora discutere sulla legge o se deve approvare senza discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, nel testo proposto si vuole affermare che l’Assemblea in quel momento non possa più decidere di seguire una via o l’altra, ma debba votare senza discussione.

RODI. Chiedo che il comma sia votato per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di leggi siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte nel testo proposto dall’onorevole Lucifero così divisa:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al procedimento normale».

(È approvata).

Passiamo all’ultima espressione della seconda parte:

«o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io voterò a favore del mantenimento di questa espressione, perché si riferisce a un caso specifico: cioè al caso in cui la Commissione, pur essendo arrivata fino all’ultima elaborazione del progetto di legge, ritenga che esso abbia importanza tale da dovergli dare il crisma dell’Assemblea. Una maggioranza uguale potrà sempre chiedere la discussione perché il testo definitivo, in base a quanto abbiamo deliberato nella parte precedente, non è stato fatto. Quindi sarà bene mantenerla perché può essere una procedura intermedia fra la rielaborazione ed una accettazione più vasta da parte dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. La pongo in votazione.

(È approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte del terzo comma:

«Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

(È approvata).

Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 69 nel testo dell’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei pregare di aggiungere le leggi elettorali; perché le leggi elettorali, anche nell’ultima legge del 1946, non sono considerate leggi costituzionali. Secondo me, lo sono; ma questa è una questione dottrinaria. Visto che non sono considerate leggi costituzionali da tutti, non rientrerebbero in nessuna di queste categorie.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo.

PRESIDENTE. Allora si aggiunge: «…in materia costituzionale ed elettorale».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Vorrei sapere per quale ragione si dice: «materia costituzionale». Non intendo il significato di questo termine, dato anche che l’elaborazione delle modifiche alla Costituzione deve seguire una procedura speciale.

PRESIDENTE. Forse, ci si vuole riferire a certe leggi previste dallo stesso testo della Costituzione, il quale stabilisce appunto che esse dovranno avere un valore costituzionale. Non le elaborerà certamente l’Assemblea Costituente; ma quelle leggi, che le future Assemblee legislative approveranno dietro mandato dell’Assemblea Costituente, sono leggi costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Gullo, per la questione delle cosiddette leggi costituzionali, abbiamo detto più volte che si sarebbe veduta e decisa alla fine, nel Titolo sulle garanzie costituzionali. Nel nostro progetto contempliamo più casi, ad esempio, l’ordinamento giudiziario: in cui la legge regolatrice deve essere votata con un certo quorum, e ciò perché il tema ha importanza costituzionale. Si chiamano «leggi costituzionali» quelle che, pur non essendo parte della Costituzione, attengono a particolari materie, di una tale importanza, che devono essere votate con certe garanzie costituzionali. Nella famosa scala di tutte le norme a cui abbiamo più volte accennato nel corso dei nostri lavori, vi è per prima la Costituzione, poi le leggi costituzionali, poi le leggi ordinarie e così via. Si tratterà, ripeto, a suo luogo di definire meglio cos’è legge costituzionale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Desidererei ulteriormente chiarire questo punto. Vorrei, cioè, far rilevare che, oltre a queste leggi di natura costituzionale cui si è ora accennato, ve ne sono altre, quelle che concernono eventuali modifiche della Costituzione, giacché noi abbiamo previsto, attraverso un procedimento particolare, la possibilità di modifiche alla Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, anche quelle.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei che venisse precisata questa delegazione di poteri legislativi. Ho voluto interpellare al riguardo anche autorevoli membri della Commissione ed essi pure si sono mostrati del mio avviso. È bensì vero che c’è l’articolo 74; ma io penso che un richiamo ad esso sia necessario, se non nell’articolo, almeno nella discussione.

E questo perché noi abbiamo ripreso una vecchia formula classica della delegazione dei poteri, come quella, per esempio, usata per la compilazione dei Codici; ma nel frattempo è venuta la nuova pratica del potere legislativo al Governo, instaurata con la legge del 1944, cosicché il termine ha assunto un nuovo significato e una nuova prassi.

Ritengo quindi che un richiamo in questa sede sia necessario, perché queste deleghe di poteri legislativi sdrucciolano facilmente nei pieni poteri e si sa poi dove si va a finire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non esageriamo. Le citazioni ed i richiami di altri articoli e commi di articolo finirebbero con il rendere la Costituzione un po’ come un regolamento municipale. A me pare che basti la dichiarazione che queste deleghe di potere legislativo restano contenute nei limiti dell’articolo 74.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei domandare, per mia soddisfazione, se non sia il caso di aggiungere che non si può derogare dal procedimento ordinario anche per le materie di cui è aggetto l’articolo 75.

Nell’articolo 75 si parla di entrata in guerra, amnistia e indulto; ora, a me pare che anche per questi casi non si possa derogare dal procedimento ordinario.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere anche a questo riguardo il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo innanzitutto all’onorevole Nobile che questa è materia dell’Assemblea Nazionale, al cui esame non siamo ancora pervenuti; osservo, in secondo luogo, che si tratta di leggi speciali che dovranno essere votate articolo per articolo. Posso quindi dare all’onorevole Nobile l’assicurazione desiderata.

UBERTI. E le leggi tributarie?

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuol rispondere per la Commissione anche a questa obiezione dell’onorevole Uberti?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Uberti, noi non abbiamo ammesso le leggi tributarie perché esse inferiscono in un campo così vasto, così complesso, che l’escludere per esse sempre la procedura delle Commissioni potrebbe portare a ritardi che invece conviene evitare.

Si vedrà, secondo la diversa importanza che le leggi tributarie possono rivestire, se esse andranno trattate in un modo o nell’altro. Vi sono infatti delle leggi tributarie che hanno un’importanza così piccola, minima, che il Regolamento può deferirle all’apposita Commissione, salva sempre la facoltà del Governo o di una piccola parte dei membri delle Camere di far riserbare anche queste leggi, caso per caso, alla Camera tutt’intera

Mi pare che con questo chiarimento possa essere tranquillo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Propongo che almeno si sancisca il divieto di deroga per le leggi che impongono nuovi tributi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nuovi tributi? E quando si modificano in senso profondo e sostanziale vecchi tributi? Non può essere più importante che lo stabilire tributi nuovi?

PRESIDENTE. Mi pare che ci si dimentichi la possibilità lasciata aperta dal comma precedente, per la quale qualunque disegno di legge, su qualunque materia, può essere sottratto a questa procedura di carattere, direi, eccezionale, e rimesso nel ciclo della procedura ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Una sola parola all’onorevole Tosato. Il Regolamento stabilirà i casi in cui le leggi tributarie dovranno essere sempre riservate alla Camera e i casi in cui potranno invece essere deferite alle Commissioni, salvo sempre, anche per tali ultimi casi, la facoltà di seguire la prima via.

Imposizioni tributarie e leggi tributarie sono concetti molto elastici; si vedrà in sede di Regolamento quale determinazione potrà farsi per questa distinzione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Chiedo anzitutto che il comma si voti per divisione. A proposito poi della questione sollevata dall’onorevole Gullo, a me sembra che i chiarimenti dati dall’onorevole Ruini non siano troppo persuasivi. Perciò, per risolvere la questione nel modo migliore, ai fini dell’interpretazione della norma, io direi, invece di «disegni di legge in materia costituzionale» – che è molto equivoco – «disegni di legge per i quali è prescritta una maggioranza speciale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, non è possibile.

MORTATI. La sua tesi non è esatta, onorevole Ruini, perché non può chiamarsi materia costituzionale quella per la cui disciplina occorre solo una maggioranza qualificata, e non la revisione costituzionale. Materia costituzionale significa quella per la quale il mutamento può avvenire con mutamento della Costituzione. Ad ogni modo, è una proposta.

PRESIDENTE. Lei la propone formalmente, come emendamento?

MORTATI. Sì, come emendamento. Oppure, la cosa migliore sarebbe sopprimere le parole «materia costituzionale», perché è ovvio che si tratti di materia non delegabile, in quanto segue una procedura speciale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne abbiamo parlato più volte, e l’onorevole Mortati sa che ci siamo sempre riservati di rivedere la questione in linea definitiva. Anzi, avevo pregato anche lui di studiarla. Ad ogni modo non possiamo stabilire il concetto della maggioranza speciale, della maggioranza qualificata, per il caso che egli propone.

PRESIDENTE. Sta bene. Procediamo alla votazione per divisione. La proposta soppressiva dell’onorevole Mortati si farà valere in tanto, in quanto si voterà contro questa formula.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «ed elettorale».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

LUCIFERO. Chiedo se si tratta di bilanci consuntivi soltanto o anche di quelli preventivi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’intitolazione dei disegni di legge sui bilanci preventivi è «Stato di previsione». Si parla genericamente di bilancio, ma bilancio significa tanto preventivo quanto consuntivo.

ARCANGELI. Mi dispiace che questo lo dica l’onorevole Ruini, ma non è così. Tecnicamente i bilanci sono di diversa natura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole collega, si potrebbe benissimo mettere «bilanci» in forma sintetica, e sarebbe la cosa più semplice. Così avevo proposto io. Ma siccome in Commissione fu proposto di distinguere in qualche modo, si disse: bilanci e consuntivi. Non si può essere dubbio sostanziale. Volete mettere invece: «stato di previsione e conti consuntivi?». O metter soltanto «bilanci?»?

ARCANGELI. È molto più comprensivo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costruzione. Nella revisione finale si potranno veder meglio queste forme. Quello che importa, e che l’onorevole Lucifero teneva a rilevare, è che qui si intendono i bilanci nei due momenti della previsione e del consuntivo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

(Sono approvate).

Do lettura dell’intero testo approvato (salvo coordinamento) dell’articolo 69:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo Regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge di richiedere che si ritorni al normale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno di legge sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Passiamo all’articolo 70. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti. Il termine può essere variato per accordo delle Camere.

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno in cui li ha ricevuti, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

«Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi una seconda volta.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato, è promulgato come legge se la Camera dei deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che entro tre mesi la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERSICO. Onorevoli colleghi, l’articolo 70 ha, secondo me, una portata di grande rilievo, perché è diretto a dirimere e a risolvere tutti quei conflitti che possono nascere fra i deliberati contrastanti delle due Camere; e, nel testo proposto dal progetto della Commissione dei settantacinque, interferisce in questa soluzione anche l’attività specifica del Presidente della Repubblica.

Ho creduto col mio emendamento di seguire un sistema totalmente diverso; e quindi richiamo molto brevemente l’attenzione dei colleghi sulla portata di questo emendamento sostitutivo.

Le parti dell’articolo 70 sono due. Gioverà esaminarle separatamente.

Sulla prima mi sono limitato ad un piccolo ritocco che ho ritenuto necessario per la chiarezza.

Dice il testo: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti». E fin qui siamo d’accordo.

Poi c’è un’aggiunta: «Il termine può essere variato per accordo delle Camere».

Ecco il punto che io ho creduto di modificare in questo senso: o nei tre mesi, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge. Perché sarebbe strano che, per arrivare ad un termine più lungo dei tre mesi, si dovessero riunire le due Camere per mettersi d’accordo (e non so come si dovrebbe fare, se con due votazioni distinte sommando le votazioni, o riunendo l’Assemblea Nazionale).

Poiché la variazione di questo termine può essere di quattro, di cinque, di sei mesi, mi sembra più logico che il ramo del Parlamento che ha approvato il disegno di legge se, per la speciale complessità della materia, o per indagini che importino accertamenti statistici od economici, di situazioni locali e simili, per i quali sia necessario un maggior lasso di tempo, ritiene che i tre mesi non siano sufficienti perché l’altro ramo del Parlamento possa votare con completa cognizione di causa debba esso stesso stabilire quel termine diverso che ritenga necessario.

Non capisco come si possa complicare questa situazione pratica con una pronunzia che dovrebbero fare d’accordo le due Camere: o, ripeto, sommando i voti, o incomodando l’Assemblea Nazionale per tanto poca cosa.

Quindi mi sembra più logico dire: o tre mesi, o il termine diverso proposto dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

E su questo punto mi auguro che non ci sia discussione.

Più grave è la modifica alla seconda parlo dell’articolo 70, anche perché si tratta di una procedura molto complicata.

Io ho diviso questo secondo capoverso del progetto nel mio emendamento in tre capoversi distinti, contemplando tutte le ipotesi possibili. Invece, nel testo, riunendole tutte in un unico capoverso, si finisce per fare una certa confusione, per lo meno apparente, perché si dice:

«Quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra» – prima ipotesi «o quando lo rigetta» – seconda ipotesi – «il Presidente della Repubblica può» – quindi si tratta di una facoltà che egli potrebbe anche non esercitare – «chiedere che la Camera stessa» (cioè una delle due Camere, o la Camera dei Deputati o il Senato) «si pronunci o riesamini il disegno». Si pronunci, se non si è pronunziata; riesamini, se ha già esaminato.

Poi continua: «Se non si pronunzia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente» – quindi si fa il caso che quel dato ramo del Parlamento seguiti a non pronunziarsi, nonostante che il Capo dello Stato l’abbia invitato a pronunziarsi; oppure che confermi la sua precedente deliberazione – «il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Il Presidente della Repubblica ha facoltà: è dunque una potestà, una facoltà che egli può anche non esercitare, e, se non l’esercita, evidentemente rimane tutto sospeso.

Basta questa semplice lettura per far comprendere la complicazione di questo meccanismo che io non vedo come praticamente possa funzionare. Intanto è tutto facoltativo: «può», «ha facoltà», ccc., ecc. Si fa intervenire come organo di formazione della legge il Presidente della Repubblica che ieri la maggioranza dei colleghi riteneva che fosse meglio lasciare fuori dagli organi legislativi.

L’onorevole Bozzi ha proposto che il Presidente della Repubblica divenga invece quello che gli inglesi dicono, la terza Camera»; ma a me sembra che la maggioranza dei colleghi, per quanto abbia approvato la sospensiva, che lascia quindi ancora aperta un’eventuale diversa decisione sulla questione, sia contraria all’emendamento Bozzi. Comunque, io ho sostenuto che il Presidente della Repubblica non deve essere uno degli organi che formano la legge. Deve essere l’organo che la promulga e che le dà il crisma dell’applicabilità.

Ma questa è una questione che non entra direttamente nella presente discussione. Però se approvassimo il testo dell’articolo 70, decideremmo senz’altro che il Presidente della Repubblica entra nella formazione delle leggi ed implicitamente approveremmo l’emendamento Bozzi. Quindi verremmo ad approvare oggi quello che ieri sembrava non volessimo approvare, e che all’ultimo momento abbiamo accantonato per meglio studiare la questione. Conseguentemente ho creduto opportuno sostituire al difficile meccanismo del progetto un meccanismo assai più semplice, che aderisce alla realtà e rende più facile la formazione delle leggi; se no, avremmo una quantità di leggi arenate, insabbiate. Ho creduto molto più semplice dividere i casi che si possono presentare in tre ipotesi, e quindi ho formulato tre capoversi:

Prima ipotesi. Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si è pronunciato nel termine stabilito, cioè non ha voluto esercitare la sua facoltà di riesaminare la legge, è promulgato se la Camera dei deputati l’approva una seconda volta. Due volte la Camera dei deputati ha approvato, e quindi la legge è approvata senz’altro. In questa ipotesi noi avremmo sanato il conflitto latente fra Camera e Senato, «latente» perché non si è esplicato. Il Senato non ha usato la sua facoltà di riesame, ma la Camera approva la seconda volta e quindi si sostituisce al Senato. Invece di aversi una legge approvata dalla Camera e dal Senato, si avrà una legge approvata due volte dalla Camera.

Seconda ipotesi. Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati è respinto o modificato dal Senato (questi sono gli altri due casi), allora, senza incomodare il Presidente della Repubblica o altre autorità dello Stato, il disegno stesso è promulgato come legge se la Camera dei Deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Nel primo caso non c’è stata la pronuncia del Senato, e quindi basta che la Camera l’approvi una seconda volta; in questo secondo caso, quando il Senato ha respinto o ha modificato, bisogna che la Camera dei Deputati approvi a maggioranza assoluta, cioè con una maggioranza qualificata, anzi direi qualificatissima, perché avere la maggioranza assoluta dei deputati in una seduta della Camera è cosa molto difficile. Bisognerà convocarla con uno speciale avvertimento perché si possa avere la maggioranza assoluta. Se la Camera aveva approvato, il Senato aveva modificato o respinto, e la Camera non approva, è evidente che si convince che è meglio non dar corso al disegno di legge; e questo decade.

Terza ipotesi, ultima e più complicata: «Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato (quindi è il caso inverso di quelli prima esaminati) e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno di legge è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che, entro tre mesi, la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati.

A me sembra, onorevoli colleghi, che la costruzione del mio emendamento può apparire complicata, mentre in pratica è semplicissima, perché aderente alla realtà. Non fa intervenire il Presidente della Repubblica, né fa indire un referendum popolare e risolve tutti i conflitti nell’ambito delle due Camere.

In questo vicendevole scambio di approvazioni o di rigetti di disegni di legge sì viene a formare la prevalenza o della Camera o del Senato. È un sistema totalmente diverso da quello dell’articolo 70 del progetto. Quindi, io richiamo l’attenzione dei colleghi perché vogliano esaminare attentamente la mia proposta.

Secondo me, essa rende rapida la soluzione degli eventuali conflitti fra i due rami del Parlamento, elimina l’intervento del Presidente della Repubblica, che potrebbe anche diminuirne l’altissimo prestigio, in quanto sarebbe spesso necessario chiamarlo ad intervenire; elimina il referendum popolare, che è un’altra complicazione, per cui noi avremmo, oltre le leggi che dovranno necessariamente essere portate al referendum, una quantità di altre leggi minori per risolvere i casi di conflitti; e ci troveremmo nella situazione della Svizzera, che quasi ogni due domeniche svolge un referendum popolare. La Svizzera è un paese piccolo, abituato a questo sistema; ma immaginate se in Italia avessimo un referendum popolare, per esempio, sulla legge dei bachi da seta, o su quella delle cartine per sigarette! È assurdo.

Quindi richiamo la benevola attenzione dei colleghi su questo articolo sostitutivo che, secondo me, risolve tutte le questioni, e le risolve nel modo più semplice, senza complicarle, rendendo facile, agevole e rapido il lavoro legislativo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Sostituire, nel primo rigo, alla parola: approvati, le parole: esaminati e votati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Dirò molto brevemente le ragioni alle quali è affidata la difesa del mio breve emendamento. L’articolo 70 del progetto dispone che i disegni di legge devono essere trasmessi per il necessario esame e l’eventuale approvazione da una Camera all’altra. Si afferma, però, in questo articolo che l’una Camera deve trasmetterli all’altra soltanto quando dalla prima siano stati approvati.

L’articolo 70 è, infatti, redatto cosi: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Che accadrà, io mi domando, nel caso in cui una Camera non li abbia approvati?

Stando alla dizione del progetto, i disegni di legge non dovrebbero essere trasmessi all’altra Camera.

Io penso, invece, che il disegno di legge, anche se non approvato, debba essere ugualmente trasmesso; perché, disapprovato dalla prima Camera, potrebbe essere approvato dalla seconda; a seguito di che il Capo dello Stato potrebbe esercitare la facoltà indicata nel primo capoverso dell’articolo 70, cioè chiedere che la prima Camera riesamini il disegno di legge, e, nel caso in cui la prima Camera confermi la precedente deliberazione, indire il referendum popolare sul disegno di legge non approvato.

A mio avviso, insomma, è necessario che il Capo dello Stato, perché possa o esortare una Camera al riesame del progetto o indire il referendum, si trovi di fronte al risultato dell’esame del progetto compiuto da entrambe le Camere.

Ma ciò non sarà possibile, ove resti fermo il testo del progetto, perché, secondo il progetto, i disegni di legge sarebbero trasmessi dall’una all’altra Camera solo se dalla prima approvati.

Non comprendo come mai il capoverso dell’articolo 70 dovrebbe essere applicato quando un disegno di legge è approvato dalla prima Camera e rigettato dalla seconda, e non quando sia rigettato dalla prima e approvato dalla seconda.

Il capoverso dell’articolo 70 è redatto così:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ora io mi domando: perché mai il Presidente della Repubblica può chiedere il riesame, quando la prima Camera approvi e la seconda rigetti, e non quando la prima rigetti e la seconda approvi?

GULLO FAUSTO. Non si è manifestato il contrasto. Il Senato, se vuol discutere il disegno di legge, se ne fa iniziatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una rivoluzione la sua, onorevole Colitto.

COLITTO. Sarà. Ma io insisto. È perciò che io penso che alla parola «approvati» si debbano sostituire le altre «esaminati e votati», così come è stato da me proposto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Priolo, Costa, Vernocchi, Nobili Tito Oro e Cosattini, hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: da una Camera, sostituire: dalla Camera dei Deputati».

«Dopo la parola: altra, aggiungere: Camera».

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerli.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi. Il nostro emendamento, che ha molta analogia con quello svolto testé dal collega onorevole Persico, si presenta così lineare e semplice da non richiedere ampiezza di trattazione e di chiarimento. Il nostro emendamento, anzi i nostri due emendamenti ai due commi tendono essenzialmente a questo scopo: regolare i rapporti tra la Camera e il Senato in modo obiettivo, sì da impedire gare, rivalità e contrasti, segnando limiti precisi in modo da avere il massimo rendimento dell’istituto parlamentare col fissare i singoli rapporti di interdipendenza fra le attività delle due Camere.

Con il primo emendamento noi proponiamo che alle parole: «I disegni di legge approvati da una Camera» si sostituiscano le parole: «…approvati dalla Camera dei deputati». Infine, dopo la parola: «altra», si aggiunga la parola «Camera». Lo scopo di questo nostro emendamento è chiaro. Con il progetto della Commissione vi è una contemporaneità di iniziative tra la Camera ed il Senato, con la possibilità di gare e di contrasti. Con il nostro emendamento noi tendiamo a superare questi contrasti ed a superare altresì il concetto della contemporaneità delle due funzioni, indicando una procedura lineare e semplice. Ogni disegno di legge naturalmente passerà poi al Senato ed avrà il vaglio di questa seconda Camera, con tutte le garanzie necessarie perché effettivamente il Senato porti il suo contributo alla più razionale formazione delle leggi.

Più importante e più complesso è l’emendamento che riflette il secondo comma. Esso tende a regolare l’eventualità di conflitti fra la Camera ed il Senato, siano essi positivi come negativi.

Secondo il progetto, quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito su un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunzi o riesamini il disegno non approvato. Quindi arbitro di ogni contrasto è in definitiva, il Presidente della Repubblica.

Secondo il progetto sia nell’eventualità di contrasto negativo – una Camera non si pronunzia nel termine stabilito – sia nel caso di contrasto positivo, rigetto, vi è la facoltà costante del Presidente di sollecitare dall’altra Camera pronunzia o riesame; se non si pronunzia o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica può indire il referendum sul disegno non approvato.

Il nostro emendamento offre soluzione semplice, facile e lineare, sia nei riflessi di conflitto negativo che nei riflessi di conflitto positivo.

Dice l’emendamento: «Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione». Sostanzialmente, decorso infruttuosamente il termine stabilito per l’esame del Senato, vi è decadenza da parte del Senato. Con questo la legge non è ancora promulgata, ma è necessaria, per la sua promulgazione, una seconda approvazione da parte della Camera dei deputati, la quale, indubbiamente, non potrà non tener conto del contegno del Senato. È chiaro come questa soluzione superi incertezze, contrasti e dubbi. Nell’eventualità di conflitto positivo, cioè che il Senato respinga o modifichi un disegno di legge trasmesso dalla Camera dei deputati, secondo il nostro emendamento la soluzione proposta appare logica, razionale, accettabile. Infatti, dice il nostro emendamento: «Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora» – ecco la condizione che subordina, ecco la garanzia – «la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri». Sostanzialmente, sia respinto che modificato, il disegno di legge ritorna alla Camera e tale disegno diventa esecutivo solo mercé una nuova approvazione, approvazione che in tal caso è sottoposta a particolare condizione, e cioè è necessaria la maggioranza dei membri.

Sia consentita ora una breve analisi critica del sistema proposto dal progetto. Il sistema proposto dal progetto, come dianzi ho accennato, si affida al giudizio arbitrale del Presidente della Repubblica, dimenticando, potrebbe osservare un pessimista, che gli arbitri hanno sempre torto, per lo meno… nelle partite di calcio. Con questa soluzione non vi è dubbio però che vi è possibilità di attrito fra le due Camere e il Presidente della Repubblica – e questo indubbiamente porterebbe un grave pericolo al suo prestigio. Ma oltre tale possibilità vi è la certezza che l’intervento di un terzo potere sostanzialmente si traduce in una diminutio dei poteri della Camera, e quindi viene svalutata la sovranità popolare. Né vale, secondo me e secondo il contenuto del nostro emendamento, il ricorso al referendum, perché, innanzi tutto, esso è facoltativo, e poi, come giustamente osservava l’onorevole Persico, le esercitazioni di referendum in un grande paese come l’Italia non sono né comode né facili. Il referendum è istituto molto complesso, utile in date circostanze; ma il suo uso è delicato e si deve fare ricorso ad esso, secondo noi, solo in determinati casi, quando trattasi di leggi di speciale importanza per la vita della Nazione. Quindi, pare che non possa la soluzione del referendum, rimessa alla potestà del Presidente della Repubblica, risolvere questo conflitto. Senza dire, che le spese per il referendum sono ingentissime, e perciò anche per questo motivo il Presidente della Repubblica non potrebbe agevolmente far ricorso al referendum.

Chiarite le manchevolezze del progetto, cerchiamo di fissare quali siano i vantaggi contenuti nel sistema proposto dal nostro emendamento. Prima di tutto si tratta di norme obiettive che non consentono pericolo di difformi interpretazioni, pericoli di interpretazioni soggettive. Esso poi, evita l’intervento di un terzo potere legislativo assiso nella scomoda e difficile posizione di arbitro e tiene invece nella sua giusta considerazione il Senato; non sminuisce i poteri della Camera dei deputati, che, indubbiamente, rappresenta ed è l’espressione più genuina, diretta e tradizionale della volontà popolare. La nostra soluzione appare a noi la migliore. Io penso, che problemi complessi impongono – ove possibile – soluzioni semplici. Dicevo, il nostro emendamento ha molte analogie con l’emendamento svolto dall’onorevole Persico. Pare a noi però, che il nostro emendamento proponga soluzioni più semplici che non lasciano incertezze sì da evitare il sorgere di pericoli di turbamenti nell’attività legislativa o peggio pericoli di contrasto, d rivalità, di gare, indubbiamente pregiudizievoli non solo per l’attività parlamentare, ma pregiudizievoli, secondo noi, per gli ordinamenti democratici. Né si obietti che attraverso questa nostra soluzione affiori in forma indiretta un richiamo nostalgico al sistema monocamerale attraverso l’attenuazione dei poteri del Senato. La soluzione che noi proponiamo non tocca la bicameralità, ma indica una soluzione tale da non consentire incertezze e dubbi, e soluzione semplice, lineare: si evitano perdite di tempo, si impedisce che un disegno di legge resti a causa del contrasto inoperante; si stabilisce in sostanza una gerarchia atta a precisare le facoltà della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sia nell’eventualità di conflitto positivo come di conflitto negativo.

Noi confidiamo che questo emendamento, proposto unicamente allo scopo di tendere alla soluzione migliore di questo gravissimo ed importantissimo problema, che riflette l’attività delle due Camere, possa avere l’onore dell’accoglimento da parte dell’Assemblea stessa. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Numeroso, Zotta, Bastianetto, Marconi, Guerrieri Emanuele, Uberti, Giacchero, Arcangeli, Ferrarese hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo comma».

«Subordinatamente:

«Sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronunzia entro un mese, o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge che sia stato approvato dall’altra Camera con una maggioranza di almeno due terzi dei votanti».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento da noi presentato esprime il nostro punto di vista circa il problema, veramente interessante, del conflitto tra le due Assemblee legislative, problema che preoccupa tutte le più moderne Costituzioni e merita di essere da noi affrontato. Quanto al metodo seguito per la risoluzione noi abbiamo espresso, però, il nostro dissenso. Il problema si presentava anche in passato in tutti i sistemi bicamerali, ma non è stata sentita la necessità di risolverlo, appunto perché vigeva un principio di correttezza costituzionale secondo il quale il Senato doveva mostrarsi più remissivo nei confronti delle decisioni della prima Camera. Ho detto che si trattava di una norma di correttezza costituzionale e non di una norma giuridica. Questo precedente potrà farci riflettere, perché nel tentativo di risolvere l’eventuale conflitto stiamo arrivando ad una conclusione che sembra quasi coattiva, perché finiamo per concludere che ad ogni costo debba giungersi in tali ipotesi a una conclusione. Sembra che ad ogni costo, quando un progetto approvato da una Camera sia respinto dall’altra, si debba giungere al suo accoglimento. È da prevedere, viceversa, che le Assemblee legislative lavorino, di regola, con la massima tranquillità. Il significato della mancata approvazione da parte di una delle Assemblee è che il progetto deve intendersi respinto. Abbiamo tanti precedenti e l’esperienza dimostra come il rigetto di progetti di legge avvenuto in tal maniera non sia stato affatto uno svantaggio.

Delle soluzioni proposte noi non possiamo approvare quella che è accolta dal progetto di Costituzione. Nel progetto si parla del potere del Capo dello Stato di indire il referendum in caso di conflitto tra le due Assemblee.

Altri emendamenti sono stati proposti dai vari colleghi e questi emendamenti possono ridursi a due categorie: l’una accoglie il principio della soluzione dei conflitti tra le Assemblee legislative attraverso il sistema del referendum, sia pure in maniera diversa da come è previsto nel progetto di Costituzione. Mentre l’altra categoria di emendamenti attribuisce, in fondo, alla Camera dei deputati una prevalenza, stabilita nella stessa Costituzione.

Quanto al primo sistema, quello del referendum, esso è – in sostanza – lo stesso sistema, sia pure modificato, del progetto e di esso parlerò in seguito.

Quanto all’altro sistema della prevalenza attribuita costituzionalmente alla Camera dei deputati, noi non possiamo essere favorevoli; appunto perché in base al principio della bicameralità, potremmo ammettere che una norma di correttezza costituzionale consigli al Senato – formato dalle persone più anziane e perciò più disposte, in fondo, a venire incontro alle esigenze di coloro i quali ragionano con maggiore ardore – di seguire le deliberazioni della Camera. Ma preferiamo che non sia sancita costituzionalmente una così decisa inferiorità della seconda Camera rispetto alla prima.

Questa è la ragione per cui non accogliamo il sistema di dichiarare ufficialmente che la soluzione dei conflitti tra le due Assemblee debba necessariamente avvenire, rimettendola alla Camera dei deputati, anche se – come dirò in seguito – non escludiamo che possa trovare ancora applicazione quell’antica norma di correttezza costituzionale che ha consigliato al Senato una maggiore remissività nei confronti della prima Camera.

Quanto al sistema adottato nel progetto di Costituzione, ci sembra che gli inconvenienti da noi rilevati non siano di lieve importanza. Tra questi inconvenienti ricordo, anzitutto, quello che non tiene conto del normale significato della disapprovazione di una legge.

Quando una Camera disapprova una legge, in genere, almeno secondo il sistema parlamentare passato, ciò significa sfiducia verso il Governo.

Nel nuovo sistema da noi elaborato la sfiducia al Governo non potrà manifestarsi – lo so – se non seguendo una particolare procedura. Ma sono certo che quando un Governo, presentando un progetto di sua iniziativa, lo vede respinto da una delle Assemblee, nonostante che secondo una vecchia prassi il Senato non potesse provocare crisi (prassi che troverebbe applicazione in un sistema in cui il Senato aveva ben diversa origine), nonostante questo, ritengo che un Governo difficilmente potrebbe rimanere al potere; anche se stabiliamo un congegno particolare per le crisi di Governo, tuttavia, ritengo che in una simile ipotesi la posizione del Governo sarebbe talmente scossa che difficilmente esso potrebbe esimersi dal presentare le dimissioni.

Mi si risponderà che vi sono anche leggi di iniziativa parlamentare e, per quanto riguarda queste leggi, non possiamo lamentare tale inconveniente. Ma vi è l’altro inconveniente: quello del normale significato che deve attribuirsi al rigetto di un progetto di legge da parte di un’Assemblea, cioè alla mancanza di un presupposto perché il progetto si trasformi in legge.

Non è indispensabile che, di fronte a simile conflitto, si arrivi ad una soluzione qualsiasi.

D’altra parte, il sapere che vi è una possibilità di intervento da parte del Capo dello Stato per risolvere gli eventuali conflitti, può indurre le Assemblee legislative ad irrigidirsi nelle loro posizioni, a non cercare nemmeno una conciliazione, ad evitare, insomma, qualunque arrendevolezza che – in fondo – è desiderabile quando si verifichi un conflitto tra organi politici, quell’arrendevolezza che, invece, quando non vi fosse questa possibilità costituzionale di soluzione dei conflitti, deriverebbe necessariamente dai principi generali. E ciò perché, come dicevo, non è per niente da escludere che il Senato possa riferirsi a quel principio di correttezza che ho dianzi richiamato, secondo cui, in caso di contrasto con la prima Camera, è conveniente per essa esporre le ragioni per cui la seconda Camera non ha approvato o non vorrebbe approvare la legge, mentre poi, in ultima analisi, finisce per cedere.

Finalmente, gli inconvenienti del sistema proposto dal progetto derivano anche dal fatto che il risultato del referendum sarebbe quello di provocare le dimissioni di una Camera, almeno a mio avviso. Questo risultato si avrebbe perché il referendum sconfesserebbe almeno una delle due Camere, la quale avrebbe dimostrato di non sapere esprimere l’opinione degli elettori.

Praticamente, quindi, siccome alla stessa guisa che deve dimettersi il Governo il quale non riscuota la fiducia delle Assemblee legislative, dovrebbe, come ho ora spiegato, dimettersi anche quella Assemblea legislativa la quale non riscuotesse più la fiducia degli elettori, ne deriva che noi in fondo la soluzione l’abbiamo già nei principî sanciti dalla Costituzione. Sarà sempre, infatti, possibile la soluzione del conflitto sotto questo aspetto perché il Capo dello Stato ha il potere di scioglimento di una delle Camere legislative.

Noi quindi non intendiamo che il conflitto debba venir risolto con il ricorso ai sistemi indicati nel nostro progetto. Meglio anzi sarebbe, secondo noi, che non fosse nel nostro testo costituzionale neppure contemplata l’eventualità dei conflitti stessi. Ove comunque essi dovessero manifestarsi, si risolveranno, come ho già detto, inducendo il Capo dello Stato a far uso del mezzo straordinario in suo potere dello scioglimento.

In fondo, poi, è da osservarsi che le stesse costruzioni, gli stessi edifici finiscono per esercitare un certo influsso su coloro i quali li vanno ad abitare o vi vanno a compiere i loro lavori. È così che, mantenendosi il principio della bicameralità, ed evitando nel tempo stesso che l’inferiorità del Senato sia costituzionalmente sancita, noi desideriamo che tale maggiore remissività della seconda Camera non resti se non una di quelle norme di correttezza che sono e saranno per noi un retaggio della vecchia prassi parlamentare.

Se poi tale principio non dovesse venire accolto, noi siamo allora per la modifica dell’articolo che prevede la facoltà di indire il referendum, giacché è evidente che il Capo dello Stato non dovrà ricorrere a tale estremo divisamente se non quando la legge approvata da una delle due Camere e respinta dall’altra rivesta carattere di particolare importanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con il seguente:

«Quando una Camera non si pronuncia, entro il termine stabilito, sopra un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta o lo modifica, l’altra Camera può richiedere che la questione sia rimessa all’Assemblea Nazionale o sottoposta a referendum».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, ho creduto opportuno presentare all’esame dell’Assemblea, come emendamento, una proposta che in materia di conflitti fra i due rami del Parlamento già avevo fatto in seno alla Commissione; e ciò affinché l’Assemblea avesse davanti a sé tutte le varie possibilità, che si presentano per la soluzione di questo problema, che è, a mio giudizio, fondamentale nel nostro sistema.

Se noi non troviamo il modo di risolvere logicamente gli eventuali conflitti tra Camera e Senato, noi andremo a turbare gravemente e profondamente i lavori legislativi di domani.

Quando io presentai alla Commissione per la Costituzione la mia proposta, essa si era già pronunciata per la parità dei poteri tra la Camera ed il Senato, di modo che una proposta di risoluzione dei conflitti non poteva, in quel momento, che tenere conto dei voti già avvenuti in seno alla Commissione medesima.

Davanti all’Assemblea, poiché la questione della parità dei poteri viene riproposta ex novo con gli emendamenti dell’onorevole Persico, Preti e Carpano Maglioli, il mio emendamento di necessità viene ad avere carattere e valore subordinati, in quanto ritengo anch’io, in via principale, che nel conflitto di poteri tra la Camera ed il Senato, debba avere prevalenza il voto e l’autorità della Camera dei deputati.

UBERTI. Perché? Dove sarà più la bicameralità, allora?

LAMI STARNUTI. Onorevole Uberti, potremmo anche ricominciare qui la discussione che abbiamo fatta altrove, se il tempo lo consentisse.

All’onorevole Uberti io richiamo l’emendamento di un suo compagno di Gruppo, l’onorevole Fuschini, il quale propone, con determinate cautele, che nel conflitto tra la Camera ed il Senato prevalga, se non si ricorre all’istituto e allo strumento del referendum, il voto della Camera dei deputati.

Io voterò, quindi, in via principale, uno degli emendamenti che sostengono e affermano la prevalenza sul Senato della Camera dei deputati, e considererò il mio emendamento come una proposta subordinata all’esito della votazione principale.

Onorevoli colleghi, io desidererei che l’Assemblea esaminasse a fondo questa parte del nostro progetto; perché non si tratta di un semplice meccanismo, da considerare migliore di un altro, ma di vedere sul terreno politico quale è il modo migliore per uscire da una situazione di gravità che eventualmente potesse presentarsi a causa di un conflitto tra la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.

L’onorevole Codacci Pisanelli – che ha parlato, se io non erro, a nome del Gruppo democristiano – desidererebbe senz’altro che la seconda parte dell’articolo 70 venisse soppressa e che la nostra Costituzione non contenesse alcuna norma, alcun principio per la risoluzione degli eventuali conflitti, lasciando la risoluzione medesima alle trattative amichevoli, ai buoni rapporti fra le due Camere e senza dubbio, agli alti uffici delle più alte autorità costituite della Repubblica.

Questo criterio non può essere accettato, anche perché vi sono precedenti nella vita politica di un vicino Stato, la Repubblica francese, in cui l’impossibilità di risolvere il conflitto fra la Camera ed il Senato portò a gravissime conseguenze politiche, e fu occasione della caduta del Governo di Blum, della caduta del primo Governo ad indirizzo socialista.

Se il conflitto tra i due rami del Parlamento dovesse accadere, noi desideriamo che vi sia un mezzo giuridico e politico per la risoluzione di questo conflitto.

Il progetto della Commissione, nella seconda parte dell’articolo 70, dice che, sorto il conflitto, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera, la prima Camera, si pronunci o riesamini il disegno; e, se nel riesame conferma la votazione precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato.

Con questa norma noi portiamo la persona e l’autorità del Presidente della Repubblica nel contrasto vivo tra i due rami del Parlamento; noi rendiamo il Presidente della Repubblica arbitro del conflitto e oggetto, quindi, delle recriminazioni, delle disapprovazioni, degli attacchi di una parte del mondo politico italiano.

Il Presidente della Repubblica, avendo facoltà di sottoporre la legge al referendum popolare, potrebbe non esercitare la facoltà, e – come dicevo poc’anzi – rendersi quindi, responsabile della decisione che distrugge la proposta di legge.

Ma se anche il Presidente si volesse mostrare in ogni caso imparziale tra i due rami del Parlamento e assumere a regola costante della sua condotta il ricorso al referendum popolare affinché la volontà della Nazione fosse essa la risolutrice del conflitto tra la Camera e il Senato, vi sarebbero casi – e casi gravi di conflitto – in cui il ricorso al referendum non sarebbe giuridicamente possibile.

Alla Commissione per la Costituzione, redigendo l’articolo 70, è sfuggita probabilmente la norma contenuta nell’ultima parte dell’articolo 72, per la quale non può farsi ricorso al referendum, quando la legge è legge di carattere tributario.

Ora, onorevoli colleghi, molti conflitti fra il Senato e la Camera dei deputati potrebbero sorgere appunto in occasione delle leggi tributarie. Quando un ramo del Parlamento approvasse leggi come quelle approvate recentemente dall’Assemblea Costituente, e l’altro ramo le respingesse, il Presidente della Repubblica non potrebbe fare uso della facoltà di ricorso al referendum. Né l’Assemblea Costituente potrebbe rendere possibile in ogni caso il referendum popolare modificando l’ultima parte dell’articolo 72, perché in materia di leggi tributarie il referendum non è umanamente e politicamente possibile; se le autorità dello Stato sottoponessero al voto dei contribuenti gli oneri maggiori richiesti da superiori necessità nazionali, quelle leggi sarebbero certo sistematicamente respinte.

Vi sono adunque dei casi in cui il Presidente della Repubblica non potrebbe far uso della sua facoltà. Vi sarebbero dunque dei casi destinati aprioristicamente a rimanere insoluti e sarebbero casi di grande importanza nell’interesse della Nazione perché potrebbero rappresentare un lodevole tentativo di mitigare la disparità dell’onere finanziario tra le varie classi sociali, di creare una maggiore e più alta giustizia sociale.

E allora questo sistema non può raccomandarsi al voto e all’approvazione dell’Assemblea Costituente. Se noi vogliamo trovare il mezzo giuridico di risolvere il conflitto, non possiamo che dare la prevalenza al voto della Camera dei deputati, oppure accogliere la mia proposta, portare il conflitto in seno all’Assemblea Nazionale.

Mi si dirà che il meccanismo dell’Assemblea Nazionale non è semplice, che l’Assemblea Nazionale, per il numero dei suoi componenti, può diventare tarda, pigra, farraginosa nell’espletamento del suo mandato.

Mi si dirà che in questo modo costituiamo veramente una terza Camera; ma io ritorco l’obiezione e dico agli avversari che bisogna scegliere fra le due vie: o l’Assemblea Nazionale o la prevalenza al voto e alle deliberazioni della Camera dei deputati. Il sistema scelto dalla Commissione per la Costituzione è gravemente difettoso. Il sistema proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli è pieno di pericoli.

Veda l’Assemblea Costituente quale dei vari sistemi preferisce. Io rivolgo preghiera all’Assemblea di non trascinare nel conflitto fra la Camera ed il Senato la figura ed il nome del Presidente della Repubblica. Tanto minori saranno i poteri legali del Presidente, tanto più alti saranno la sua autorità ed il suo prestigio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti, Binni, Zanardi, Grilli, Treves, Longhena, Nasi, Lussu, Villani, Cianca, Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia sul disegno di legge, lo modifica o lo rigetta, e se un Comitato composto di membri di entrambe le Camere, stabilito dalla legge, non riesce a raggiungere un accordo, la decisione della Camera dei deputati varrà come decisione del Parlamento».

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Dico subito che, di massima, potrei aderire agli emendamenti dell’onorevole Carpano Maglioli e dell’onorevole Persico. Se mantengo, anche dopo la loro lucida esposizione, il mio emendamento, è solo perché credo che in questa sede costituisca anch’esso un utile tentativo per trovare eventualmente una formula che possa sodisfare l’una e l’altra parte della Camera. Ora, con l’emendamento mio, come con quelli dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano, ci si propone, di fronte al possibile conflitto fra le due Camere, di risolvere il problema sanzionando il primato della Camera dei deputati; primato che, di fatto, esisteva anche in regime di Statuto albertino.

Del resto, io credo che nessuno qui si illuda che domani il Senato, qualunque sia per essere il testo della Costituzione, possa avere di fatto gli stessi poteri della Camera dei deputati. Lo stesso onorevole Codacci Pisanelli è convinto che, almeno in linea di fatto, il Senato domani sarà subordinato alla Camera.

Voci. No, no!

PRETI. L’onorevole Codacci Pisanelli ha detto precisamente che la subordinazione del Senato dovrà domani divenire una consuetudine di correttezza costituzionale. (Interruzione dell’onorevole Clerici).

Lei si richiama all’America, onorevole Clerici; ma là vige un regime presidenziale che non ha niente a che fare col regime parlamentare. (Commenti). È un confronto che non si può fare.

Per tornare all’argomento, dirò che mi sono proposto di rispettare il più possibile l’autorità della Camera alta; e sostanzialmente non vi è gran differenza tra il mio emendamento e quello dell’onorevole Fuschini, il quale è pure di parte democristiana…

SCOCA. Che vuol dire questo? Che c’entra la politica?

PRETI. Io propongo che, quando le due Camere non si trovino d’accordo, la decisione sia deferita ad un Comitato misto costituito da membri di entrambe. Solo quando l’accordo non venga trovato, la decisione definitiva della Camera dei Deputati finirà per avere la prevalenza. Perciò, se, in ordine agli emendamenti dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano Maglioli, si poteva lamentare che il Senato, dopo essersi pronunciato una sola volta, venisse senz’altro estromesso dalla seconda decisione della Camera, a norma del mio emendamento questo non accade più.

Inviterei pertanto, anche l’onorevole Fuschini, il quale analogamente a me propone il ricorso a Commissioni miste, a porsi sul mio piano per quel che concerne la decisione finale del contrasto. Infatti, riconoscere, come egli fa, al Presidente della Repubblica il potere di indire il referendum, nel caso in cui non si trovi l’accordo in sede di Commissione, mi sembra non sia molto in armonia con i canoni di una democrazia parlamentare, quale la nostra vuole essere. Sostanzialmente qui si vorrebbero dare al Presidente della Repubblica italiana dei poteri che il Re non ha mai avuto.

Per concludere poi, vorrei fare all’onorevole Uberti, che si è richiamato tanto, durante le sue frequenti interruzioni, al principio del bicameralismo, una osservazione, a sfondo politico più che giuridico, per fargli intendere come, quando si parla del principio della bicameralità, si corra assai sovente dietro a un nome vano.

Chi sono i soggetti della vita parlamentare? Senz’altro i gruppi parlamentari, e attraverso di essi i partiti. In ciascuna Camera i deputati votano in una certa maniera, perché così ha stabilito il loro partito. Almeno quando si tratta di decisioni che abbiano una certa rilevanza politica!

Di guisa che io non posso concepire come domani, quando vi saranno entrambe le Camere, il partito democristiano o quello comunista o qualsiasi altro possa essere di un avviso alla Camera dei deputati e di un altro al Senato. Ripeto che questo non è possibile, perché vi saranno, senza dubbio, delle direttive di carattere politico, alle quali i deputati si atterranno.

UBERTI. Allora non vi saranno conflitti.

PRETI. Vi potranno essere dei conflitti di carattere tecnico, nel senso che i rappresentanti di un partito al Senato, su una specifica questione tecnica, possono pensarla diversamente dai rappresentanti di quello stesso partito alla Camera dei deputati.

Ma, quando si tratta di conflitti di carattere tecnico, è chiaro che si troverà sempre un amichevole accordo, anche se è sancito, in linea di diritto, il primato della Camera dei deputati.

Io capisco che i conservatori, i quali pensavano ad un Senato che non fosse espressione del suffragio universale, tenessero ad attribuirgli poteri pari a quelli della Camera dei deputati, per sabotare l’azione progressista di quest’ultima. Ma oggi questo intestardirsi sulla parità del Senato non ha ragion d’essere, posto che entrambe le Camere sono espressione della volontà popolare. A meno che… non si intenda giocare sul fatto che la Camera dei deputati dovrebbe essere eletta con la proporzionale ed il Senato col collegio uninominale; di maniera che, mentre alla Camera dei deputati saranno rappresentate veramente tutte le forze politiche, e cioè anche quei partiti, che hanno un modesto seguito, al Senato saranno per contro rappresentati quasi esclusivamente i grandi partiti. Anzi, vorrei dire che, se le elezioni prossime dovessero profilarsi alla stregua delle elezioni amministrative di Roma, in Senato non vi sarebbero più che comunisti e democristiani. (Commenti).

Ma allora è il caso di dire all’onorevole Uberti, all’onorevole Tosato e ai loro amici – che hanno votato contro il collegio uninominale – che non dovrebbero approfittare di questo deprecabile squilibrio, e dovrebbero per ciò riconoscere a quella Camera dei deputati in cui sono rappresentate tutte le forze politiche, il diritto di decidere in un’ultima istanza. Perché, quando una divergenza politica vi fosse tra Senato e Camera dei deputati, la causa risiederebbe nel fatto che il Senato, essendo stato eletto col collegio uninominale, non rappresenterebbe veramente la volontà popolare, almeno dal punto di vista della democrazia moderna.

UBERTI. Lei ci dà ragione: anche noi siamo contro il sistema uninominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha proposto di sostituire il secondo periodo del secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia entro un mese o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge approvato dall’altra Camera».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PERASSI. Il mio emendamento non tocca la sostanza del sistema previsto dal progetto costituzionale; propone soltanto una formulazione, che a me sembra più corretta; per conseguenza non occorre nessuna illustrazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronuncia o se la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica può invitare le Camere a riesaminare, a mezzo delle loro Commissioni competenti, il disegno di legge. Se non si addivenga ad un accordo sui punti controversi, avrà la prevalenza la decisione della Camera dei deputati, qualora il Presidente della Repubblica ritenga di non indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi! Io mi sono permesso di presentare questo emendamento perché ritengo che il problema dei conflitti tra le due Camere possa sorgere specialmente nella discussione dei disegni di legge. Dal punto di vista politico bisogna premettere che vi è parità tra la Camera ed il Senato; perché a mio avviso, se non si mantiene o si sopprime in parte l’Assemblea Nazionale, ogni voto politico di una delle Camere è sufficiente per imporre al Governo le conseguenti decisioni. Un voto di sfiducia, sia esso dato dal Senato o dalla Camera, dove far dimettere il Governo. Quindi, parità tra Camera e Senato dal punto di vista politico deve esistere e dovrà essere sancita nell’articolo 87.

Ma quando siamo in tema di carattere legislativo vero e proprio, di discussione cioè sui disegni di legge o di formazione delle leggi, come dice il titolo del progetto della Costituzione che stiamo ora discutendo, io ritengo che sia un semplicismo troppo evidente quello di ridurre l’articolo 70 alla affermazione che un disegno di legge, una volta approvato da una Camera, deve essere trasmesso all’altra. Sarebbe questo un articolo che non avrebbe bisogno di essere inserito nella Costituzione, perché se è vero che le due Camere debbono collettivamente attendere alla formazione della legge, è evidente che una volta che una legge sia approvata da una Camera, deve essere trasmessa all’altra, e secondo me, l’articolo 70, formulato così come propone l’onorevole Mortati, sarebbe un pleonasmo. (Interruzione del deputato Uberti). Allora, amico Uberti, si dovrebbero sopprimere molte cose che sono nella Costituzione; ma noi abbiamo imparato in Sottocommissione ad occuparci delle più minute cose, che forse non erano necessarie, e le abbiamo volute, dirò così, costituzionalizzare, ed abbiamo voluto prevedere quasi tutto nella Costituzione, in modo da non lasciare molto alla prassi, alla consuetudine e, dirò così, ai rapporti di buona collaborazione che sempre sono esistiti, e speriamo, sempre esistano, fra le due Camere, perché questa dell’andar d’accordo è una necessità di vita.

Siccome i nostri maestri, che sono presenti, ci hanno insegnato che bisogna inserire e risolvere nella Costituzione ogni prevedibile ipotesi, così dobbiamo ora prevedere che dalla discussione delle leggi possano sorgere conflitti tra la prima e la seconda Camera, e perciò è stato formulato l’articolo 70. Ciò premesso, io ho ritenuto di proporre di sostituire al secondo comma una nuova dizione.

Il primo comma è peraltro esso pure importante, perché indica i termini dell’esame del disegno di legge. Infatti in esso è stabilito il termine di tre mesi entro il quale una Camera deve pronunciarsi sui disegni di legge che ha ricevuti dall’altra Camera, e fra le due Camere tale termine potrà essere concordemente modificato.

Mi si permetta a questo proposito di fare un rilievo. Nell’emendamento dei colleghi onorevoli Targetti e Carpano si fa accenno alla Camera dei deputati in maniera tale per cui sembra che i disegni di legge debbano essere presentati in precedenza sempre alla Camera dei deputati.

Ora, a me sembra che debba rimanere ben chiaro che la presentazione dei disegni di legge da parte del Governo deve essere libera, e cioè possono essere presentati o alla Camera dei deputati o al Senato. Quindi, le modifiche che sono state proposte, sia al primo che al secondo comma, dagli onorevoli colleghi socialisti, mi pare abbiano un presupposto, e cioè che i disegni di legge debbono essere presentati inizialmente alla Camera dei deputati.

Questo, secondo me, va eliminato, perché è un errore nel quale non bisogna cadere; noi riteniamo che, anche in campo legislativo, il Senato deve essere tenuto nello stesso conto da parte del Governo, come è tenuta la Camera dei deputati.

Tornando al mio emendamento rilevo che è inesatto sostenere che esso offenda il principio della bicameralità. Si dice che si offende la bicameralità dando la prevalenza alle deliberazioni della Camera dei deputati.

Il mio emendamento riconosce che un conflitto fra le due Camere può sorgere, e siccome si vuole che questa Costituzione sia rigida e regoli tutto, allora io ripeto, regoliamo anche questa materia. Quando la Costituzione non era rigida, ma flessibile, molte cose erano lasciate alla consuetudine. Lo Statuto albertino, almeno dal punto di vista legislativo e formale, non ci ha retto male, ma ci ha guidati per quasi cento anni, indipendentemente da tutte le affermazioni che fanno al riguardo i dottrinari. La consuetudine poteva continuare ad aver valore in alcuni casi. Egregi colleghi, io ho partecipato per molti anni come funzionario ai lavori della Camera dei deputati e non mi sono mai accorto, lavorando come lavorano gli egregi cari colleghi che stanno in questa Aula al banco della Presidenza come funzionari, che un disegno di legge sia tornato la quarta volta alla Camera, dopo essere stato esaminato ed approvato dal Senato.

Quindi, io credo che in ultima analisi noi qui regoliamo una eventualità che sarà oltremodo rara, e si potrebbe anche omettere questo regolamento. Ma, come ho detto, è bene regolarla, perché abbiamo voluto questo genere di Costituzione alla quale nulla deve sfuggire e che tutto deve regolare, perché non si ha da molti una grande fiducia nei futuri Parlamenti.

Io ho preso nota della proposta della Commissione, e mi sono limitato ad inserirvi semplicemente un accorgimento nuovo. Avendo presente che i disegni di legge sono esaminati da speciali Commissioni propongo che, nei casi di conflitto e quando non si riesca a dirimerli, il Presidente della Repubblica possa invitare le Camere a fare riesaminare il disegno di legge da dette Commissioni. L’altro giorno l’onorevole Bozzi sosteneva che il Presidente della Repubblica doveva anche lui partecipare alla formazione della legge. Credo anch’io che il Presidente della Repubblica non si possa estraniare dalla iniziativa e formazione della legge, e domando: credete che il Governo possa presentare i disegni di legge alla Camera o al Senato senza informarne il Presidente della Repubblica? Nel passato vi era una forma di informazione del Capo dello Stato che consisteva nel sottoporgli la firma di un decreto autorizzante la presentazione di un disegno di legge al Parlamento. Voi potrete eliminare questa formalità ma non potrete impedire che il Governo informi il Capo dello Stato della presentazione di leggi specialmente se importanti, che costituiranno materia di discussione ed eventualmente di conflitto di carattere politico in seno al Parlamento. Ora, credo che non si degraderà dal suo alto seggio il Presidente della Repubblica (che certamente sarà un uomo che seguirà i lavori delle Camere, e non perderà il suo tempo nel cerimoniale) se in un determinato momento, quando sorga un conflitto insanabile perché le due Camere resistono sui loro punti di vista, si stabilirà che il Presidente della Repubblica possa invitare, attraverso i Presidenti, le due Camere a riunire le due Commissioni esaminatrici del disegno di legge a cercare insieme di superare il conflitto in una discussione amichevole e cordiale. Mi sembra che ciò non sia abbassare l’autorità del Presidente, ma attribuirgli compiti concreti che possano elevarne il prestigio.

Ora, io sono contrario invece alla proposta dell’onorevole Preti, che vorrebbe che fosse stabilito per legge un apposito Comitato. Per quale ragione formare un Comitato speciale quando vi sono, nelle due Assemblee, Commissioni che hanno esaminato e riesaminato lo stesso disegno di legge? Sono queste due Commissioni che possono essere chiamate a risolvere, se è possibile, il conflitto. Ed io credo, onorevoli colleghi, che da un esame ponderato da parte dei responsabili dei rappresentanti delle due Assemblee possano sortire dei buoni effetti. Se poi, per avventura, il conflitto non si riuscisse a comporlo, il Presidente della Repubblica, secondo la mia proposta, darà corso al disegno di legge come è stato approvato dalla Camera dei deputati o indirà il referendum. Perché, si domanderà, dare alla Camera dei deputati la prevalenza? Qui mi si consenta di rivolgermi in modo speciale ai cari colleghi democristiani, per far loro presente che la Camera dei deputati, secondo il sistema che è stato elaborato, è una Camera che ha per lo meno una prevalenza indiscutibile, quella numerica, che, consideratela pure come vorrete, avrà sempre ragione, specie quando metterete insieme Camera e Senato nell’Assemblea Nazionale. Avrei desiderato che il Senato fosse stato nominato, non col sistema del suffragio universale diretto, ma col sistema del suffragio universale indiretto, perché credo che col sistema del suffragio indiretto sarebbe stata possibile una migliore selezione di uomini adatti a studiare e discutere le leggi, e quindi ad interessarsi dei problemi legislativi in una maniera più realistica di quella che non possono fare gli elementi che formeranno la Camera dei deputati, che sono prevalentemente elementi politici, più adatti alla sintesi, mentre sono più idonei all’analisi quegli altri, con la visione più diretta degli interessi locali e di categoria.

Ma io dico ai miei amici: non vi dovete preoccupare se vi sarà la prevalenza della Camera dei deputati, che rappresenta il maggiore consesso sul quale la Repubblica deve fondare le sue speranze e il suo consolidamento, e deve costituire un valido strumento per educare, attraverso il suo lavoro ed il suo comportamento, la popolazione del nostro Paese. Né si deve dire che si offende la parità del Senato, nei confronti della Camera, perché la parità politica rimane assolutamente ferma e perché la parità legislativa è semplicemente una eccezione di indole tecnica che si inserisce nell’attività delle due Camere, solo quando queste non siano riuscite ad andare d’accordo.

L’onorevole Lami Starnuti ha fatto une osservazione acuta rilevando che l’articolo 72, ultimo comma, stabilisce che non è possibile ammettere il referendum per le leggi finanziarie, per cui nell’ipotesi che sorga il conflitto su una legge finanziaria non sarebbe possibile far ricorso al referendum per risolvere il conflitto stesso. Orbene io osservo che se il conflitto avverrà su una legge finanziaria, vorrà dire prima di tutto che il Governo sarà carente nei suoi compiti. Noi dimentichiamo che nell’esercizio dell’attività legislativa non partecipano soltanto le Camere legislative, ma vi prende parte anche il Governo. Ci siamo abituati, in questa Assemblea Costituente, a non sentire mai l’influenza del Governo sull’Assemblea stessa. Ma quando in quel banco vi sarà un Governo responsabile, il quale vorrà che un determinato disegno di legge raggiunga l’approvazione delle Camere, il Governo stesso metterà in moto tutta la sua forza – e se è un Governo forza ne deve avere, altrimenti dovrebbe considerarsi un Governo fantasma – adoprerà cioè la maggioranza parlamentare che lo sostiene, affinché una legge, ad esempio finanziaria, sia approvata dalla prima e anche dalla seconda Camera.

Non dimentichiamo mai questo intervento del Governo, che può determinare ed eliminare le ragioni di conflitto che possono sorgere tra le due Assemblee. Ma se, per ipotesi, anche l’influenza del Governo non potesse essere così concludente, non si offende certo la dignità del Presidente della Repubblica se lo si chiama a decidere e a risolvere il conflitto, non mediante il referendum, ma per mezzo del più grande appello al Paese sciogliendo le Camere.

Confido di avere abbastanza spiegato le ragioni che appoggiano il mio emendamento, è perciò mi lusingo che almeno i miei amici politici non mi lasceranno solo, e mi useranno la cortesia di approvare il mio emendamento. (Applausi).

PRESIDENTE. È stato presentato ora un emendamento a firma degli onorevoli Mortati, Uberti, Dominedò ed altri del seguente tenore:

«Limitare l’articolo alle seguenti parole del primo comma: i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il nostro emendamento deriva dall’insoddisfazione delle varie soluzioni che sono state prospettate sia nel progetto sia negli emendamenti proposti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei, onorevole Mortati, ha il diritto di mutare opinione, ma anch’io ho il diritto di ricordare che in Commissione fu proprio lei a proporre quanto poi noi abbiamo deciso: noi dunque non abbiamo fatto che approvare una sua proposta.

MORTATI. Faccio osservare all’onorevole Ruini che la proposta era stata formulata quando non era ancora configurato l’assetto definitivo ed il modo di formazione delle Camere. In ogni caso non mi pare sia inibita una migliore riflessione su argomenti di tanta importanza.

Tornando all’emendamento, mi pare necessario illustrare brevemente le ragioni di debolezza dei vari sistemi suggeriti per giungere alla risoluzione dei conflitti fra le Camere. La prima proposta, la più importante, quella intorno a cui vi è raccolto il maggior numero di emendamenti, trova la soluzione affermando la supremazia di una Camera nei confronti dell’altra, dando la prevalenza all’opinione dell’una, e precisamente a quella della Camera dei deputati.

Ora, io osservo pregiudizialmente che una soluzione di questo genere non potrebbe esser presa così a sé stante, avulsa da tutto il resto, giacché questo problema è intimamente connesso con tutta l’architettonica, diremo così, del progetto e quindi anche con quello della posizione delle Camere nell’attività politica di conferimento della fiducia al Governo. Non sarebbe infatti giustificato ammettere che una Camera possa far cadere il Governo con il suo voto di sfiducia e non possa invece arrestare una proposta che abbia riportato il consenso dell’altra Camera.

Sembra pertanto che il principio della supremazia di una Camera sull’altra, non potrebbe ammettersi, se non allargando la discussione per comprendervi altresì gli altri casi in cui le due Camere debbono agire di conserva.

Non si riesce poi a comprendere per quali motivi noi dovremmo pregiudicare fin da ora la questione della posizione giuridica delle due Camere, quando non abbiamo ancora alcun elemento di giudizio sul quale fondare la preminenza di una sull’altra, e quando quindi tutto consiglia di affidare allo svolgimento avvenire delle istituzioni, alla formazione di quelle convinzioni, formate in base alla considerazione del prestigio ottenuto, dell’attività svolta, delle prove di capacità fornite, del seguito conseguito nel Paese, la determinazione del rispettivo peso politico di ciascuna delle due Assemblee.

Tutte le considerazioni addotte qui, per dimostrare che una Camera debba, a priori, avere una preminenza sull’altra, a mio avviso, non hanno consistenza.

Si è da alcuni giustificata tale opinione invocando il fatto che una delle due Camere è eletta col sistema della proporzionale e l’altra col collegio uninominale. Ma, a parte ogni indagine sul punto se la rappresentanza attraverso il collegio uninominale sia più o meno efficiente di quella ottenuta con la proporzionale, è da osservare che, secondo una decisione già presa dall’Assemblea, i procedimenti elettorali per la formazione della Camera non sono materia costituzionale, essendo da regolare con leggi semplici. Essi quindi sono soggetti a dei mutamenti, che potranno anche essere frequenti e condurre ad uno spostamento della base elettorale delle due Camere. Sicché, seguendo l’opinione confutata, noi stabiliremmo nella Costituzione una disposizione che statuisce la disparità fra le due Camere, fondandola su qualche cosa del tutto contingente, quindi legheremmo una situazione di carattere costituzionale con un evento che non ha carattere costituzionale. Questo mi pare così grave da non potere essere accettato.

Così neanche mi pare sia decisiva l’osservazione dell’onorevole Fuschini, secondo cui il numero diverso dei componenti le due Camere determini una maggiore rappresentatività di quella più numerosa rispetto all’altra. Potrebbe essere, invece, proprio quella di minor numero, che col suo lavoro più ponderato, più efficiente, riesca a riscuotere una maggiore fiducia nel popolo, e quindi ad acquistare quel prestigio, da cui solamente può argomentarsi una preminenza.

Perché, che nel sistema bicamerale una preminenza di una Camera sull’altra finisca per determinarsi, possiamo anche ammetterlo; ma non possiamo ammettere che questa preminenza non si lasci al fatto, ma si consacri espressamente, ed a priori, quando, per di più, come ho detto, non abbiamo alcun elemento per poter giungere a questa differenziazione. Io avrei ancora capito la soluzione che ci si propone se una delle Camere fosse stata eletta con suffragio indiretto e l’altra col suffragio diretto: allora si sarebbe forse potuto argomentare – per me inesattamente – per una minore rappresentatività, per una minore forza politica della prima rispetto all’altra. Ma siccome si è deciso che tutte e due vengano elette col suffragio universale diretto, mi pare che non abbiamo elementi di giudizio per una condanna preventiva, per stabilire a priori l’inferiorità dell’una rispetto all’altra, e che anzi sia utile, sia opportuno non pregiudicare quelli che potranno essere gli svolgimenti avvenire per imporre fin d’ora una disparità.

Giudizio ugualmente negativo si deve dare, a mio avviso, alla proposta di deferire la soluzione delle controversie fra le due Camere all’Assemblea Nazionale. A parte che l’accoglimento di questo punto di vista sarebbe da rinviare a quando fosse deciso sulla figura di tale organo, su cui tante controversie ancora ci sono, è da osservare che affidare tale soluzione all’Assemblea Nazionale significherebbe deformare la fisionomia che abbiamo voluto dare ad essa, che dovrebbe avere compiti limitati alla sfera dell’azione di direzione politica, in senso stretto, e non estesi all’attività legislativa. Osservo poi un’altra cosa: che, in sostanza, adottando questa soluzione, si viene a sboccare in quella precedente, della supremazia della prima Camera sulla seconda. Infatti le decisioni recentemente prese hanno condotto ad affermare una differenziazione numerica così sensibile fra le due Camere, da far quasi scomparire il peso del Senato di fronte a quello della Camera, in un’Assemblea che riunisse insieme i due corpi.

Rimane l’altra soluzione: quella del referendum. Ma anche questa mi pare sia da scartare. Ci sono anzitutto delle difficoltà pratiche – su cui ha richiamato acutamente l’attenzione l’onorevole Lami Starnuti; e ciò per l’esistenza di materie, come quella finanziaria, per la quale non è consentito ricorrere al referendum, sicché se un conflitto scoppiasse in ordine ad esse non si potrebbe far luogo al rimedio. Affermare poi la superiorità della Camera dei deputati in ordine ai tributi significherebbe riferirsi ad una situazione omissibile solo quando il Senato era non elettivo.

Ma, a parte questo, c’è una considerazione ancora più importante: che il referendum in caso di conflitto non serve a risolvere il conflitto stesso, ma ad aggravarlo, perché la soluzione prescelta dal popolo porta a screditare la Camera condannata da questo verdetto popolare, e pertanto la successiva attività di questa Camera viene ad essere inficiata, così che se si vuole mantenere ancora nella sua efficienza il principio bicamerale bisogna per forza che prima o poi si giunga allo scioglimento di questa Camera.

E allora tanto vale che si rinunci all’espediente del referendum e si ricorra diretta mente al rimedio dello scioglimento.

Accertata così la insoddisfazione delle varie soluzioni proposte, a che cosa affidare la soluzione di questi conflitti? Noi non dobbiamo dimenticare che stiamo creando un regime parlamentare che importa precisamente questo: un rapporto costante di fiducia tra il Governo e le due Camere. Quando noi stabiliamo che il Governo ha bisogno della fiducia delle due Camere per mantenersi in vita, fiducia espressa con apposito voto (e su questo mi pare siamo tutti d’accordo) la conseguenza è che su questa relazione di fiducia fra le Camere ed il Governo bisogna trovare l’elemento equilibratore e di conciliazione.

Non dobbiamo dimenticare che in regime parlamentare l’arbitro e disciplinatore della attività legislativa è il Governo, ed è esso che, dovendo curare il costante mantenimento della fiducia da cui deriva la sua investitura, troverà di volta in volta il mezzo più adatto per la soluzione delle divergenze.

I dissidi possono sorgere su questioni secondarie, ed allora il Governo lascerà cadere, almeno pel momento, il progetto su cui si manifesta l’opposizione di una Camera. Ma se il progetto è essenziale alla realizzazione della politica governativa, allora il Governo porrà su di esso la questione di fiducia. La sfiducia importerà una crisi che dovrà risolversi o con le dimissioni del Governo o con lo scioglimento di una o di entrambe le Camere.

È quindi in questo meccanismo parlamentare che noi possiamo trovare la sola soluzione sodisfacente.

Affidare tale soluzione ad una meccanica rigida di interventi quale prevista dall’articolo 70 e dai vari emendamenti, mi pare significhi trascuranza della sostanziale natura dei rapporti fra gli organi costituzionali in regime parlamentare e significa mettersi su una via che finirebbe per compromettere il sistema costituzionale che vogliamo fondare.

La soluzione da me proposta è più radicale di quella dell’onorevole Codacci Pisanelli, che vorrebbe sopprimere solo l’ultima parte dell’articolo 70, lasciando la parte che deferisce al Presidente della Repubblica la richiesta alla Camera ricalcitrante di procedere al riesame del disegno. Non mi pare opportuno conferire tale facoltà senza prevedere le ulteriori conseguenze per un eventuale conferma del precedente atteggiamento della Camera. Se noi facciamo muovere un personaggio così importante, come il Presidente della Repubblica, dobbiamo concludere che, se il passo da lui compiuto non desse nessun risultato, non si potrebbe far cadere nel nulla la sua iniziativa, ma bisognerebbe completare questo procedimento, e ammettere che in caso di persistenza del conflitto si ricorra ad altri mezzi di soluzione.

Io invece propongo di eliminare ogni accenno all’ipotesi di contrasti e di lasciare solo l’inciso che si riferisce alla trasmissione all’altra Camera dei progetti approvati dalla prima. L’onorevole Fuschini osservava che quest’inciso si potrebbe eliminare; forse è utile conservarlo, intendendo la prescrizione come diretta a sancire l’obbligo della prosecuzione del procedimento e quindi il principio della necessità del passaggio all’altra Camera del progetto già approvato.

Per queste ragioni io prego l’Assemblea di approvare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo articolo del progetto contempla due punti: il primo è quello della trasmissione di un disegno di legge approvato da una Camera all’altra Camera; il secondo la questione, molto più grave, della divergenza, del conflitto tra le due Camere.

Quanto al primo punto io consento con quello che ha osservato l’onorevole Fuschini. Se si trattasse di dire che quando una Camera ha approvato un progetto lo trasmette all’altra, la disposizione evidentemente non sarebbe tale da doversi mettere nella Costituzione. Non si può perciò ridurre tutto ad una piccola frase, che ha valore di regolamento, e forse meno che di regolamento. L’intento dell’onorevole Mortati è evidentemente di sopprimere l’altra parte dell’articolo; ma allora bisogna anche sopprimere la prima disposizione che non dice nulla.

Discuterò dopo la parte più importante.

Sopra il primo comma vi sono tre emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Persico. Il progetto della Commissione diceva che i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra per l’approvazione entro tre mesi, oppure entro un diverso termine da concordare fra le due Camere. L’onorevole Persico propone di dire senz’altro: nel termine che la Camera che ha approvato il disegno di legge intima all’altra. Ma questo è contro ogni tradizione di cortesia e riguardo parlamentare. Una Camera non può imporre un termine all’altra. Se si devia dal termine fisso di tre mesi, vi dovrà pure essere un accordo. E non mi sembra che questo accordo sia difficile: basterebbe anche un’intesa fra i Presidenti delle due Camere, e l’approvazione rapida di queste.

Non potrei dunque accettare l’emendamento dell’onorevole Persico.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Colitto, che vorrebbe sostituire alla parola «approvati» le parole «esaminati e votati». Noti, l’onorevole Colitto, che votati significa approvati e quindi non si raggiungerebbe l’effetto che egli vuole raggiungere; e cioè che quando un disegno sia respinto da una Camera si debba tuttavia trasmetterlo all’altra. Ma un progetto respinto non esiste. Andiamo contro una norma elementare ed io non potrei accettare, tanto più che, come ha osservato L’onorevole Gullo, il rimedio c’è, ed è che l’altra Camera può far suo il progetto e votarlo. Quindi, proprio per queste considerazioni, non potrei accettare. E credo che nella sua finezza letteraria e giuridica, l’onorevole Colitto comprenderà il valore di queste mie obiezioni.

In ultimo viene un emendamento Targetti, svolto dall’onorevole Carpano, sempre sul primo comma. Noi dicevamo nel nostro progetto che quando una Camera approva un disegno di legge, lo trasmette all’altra. Invece l’onorevole Carpano dice: «Soltanto la Camera dei deputati lo trasmette all’altra Camera», perché vuole con ciò evidentemente affermare una priorità della Camera dei deputati. A prescindere che, se si può capire e sostenere questa priorità in caso di conflitto fra le due Camere essa non ha nessun senso per la trasmissione dei progetti, sta il fatto che con l’emendamento Targetti verrebbe fuori una lacuna curiosa; quando il Senato ha approvato un progetto, potrebbe non trasmetterlo alla Camera. Io non faccio argomentazioni molto elevate, ma mi pare che non è proprio il caso di insistere e che bisogna proprio lasciare il testo come è.

Esaminato così (e mi pare che abbia esposto delle ragioni abbastanza convincenti) il primo comma, veniamo al secondo, che riguarda il caso di divergenza fra le due Camere. Un disegno di legge, approvato da una Camera, non è approvato dall’altra. Anche qui io mi fermerò per fare delle osservazioni molto pratiche, che sono quelle a cui dobbiamo attenerci. È molto facile fare della dottrina; vediamo invece di fare della realtà concreta per poter arrivare ad un risultato.

Io non credo che si debba proprio drammatizzare, e fare della divergenza tra le due Camere un vero conflitto. Più spesso – qui riconosco che l’onorevole Fuschini ha detto il vero – le due Camere finivano attraverso il riesame dei disegni di legge per mettersi d’accordo. Anche se ciò non avverrà, non sarà gran male se parecchi disegni di legge andranno a finire in quello che è il cimitero dei disegni di legge, qui all’archivio di Montecitorio. L’onorevole Fuschini ha detto di non conoscere un caso in cui Camera e Senato non abbiano finito per accordarsi. Mi dispiace, ma molti disegni di legge non sono riusciti ad arrivare in porto e sono caduti nel famoso cimitero.

UBERTI. Vuol dire che non meritavano.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Risponderò alla sua osservazione. Che possano esser stati non buoni, va bene, ma il criterio meccanico che non meritavano di essere approvati non regge. Non si può dire a priori che ciò che non è stato approvato o neppure esaminato da un ramo del Parlamento sia tutto stoppa. Io che ho una certa esperienza della vita amministrativa conosco Ministeri e Servizi che non sono riusciti a varare dei disegni di legge che erano utili e talvolta necessari per il buon funzionamento della loro amministrazione. E del resto il fatto dell’arenamento di disegni di legge perché una Camera non se ne è occupata ha dato talora luogo a quella fioritura di decreti-legge di cui si è parlato poco fa, specialmente dall’onorevole Clerici.

Tutto considerato – che le iniziali divergenze vanno spesso a posto e che non bisogna sempre rammaricarsi se parecchi e svariati disegni di legge si perdono per strada – non si può però dimenticare che in alcuni casi la divergente valutazione delle due Camere può avere un rilievo tale che non è da trascurare, e che può diventare veramente conflitto, quando si tratta di disegni di legge essenziali. Vi sono dei casi, saranno pochissimi, in cui è necessario dirimere questi conflitti delle Camere. Questo è stato il concetto base da cui è partita la Commissione.

La Commissione ha adottato un sistema che era stato proposto dall’onorevole Mortati, a cui non faccio torto di aver mutato la sua opinione. Avrei gradito però che lo avesse esposto in Comitato, quando ha cambiato idea. Il sistema si basa su due concetti. Il primo è la parità piena e completa fra le due Camere. Secondo: quando il conflitto è tale che deve essere risoluto, si ricorre al giudizio del popolo per mezzo di referendum. Ed è il Capo dello Stato che, nella sua funzione di arbitro supremo, di moderatore, di equilibratore dei poteri dello Stato, giudica se il conflitto è così importante da richiedere che venga superato per mezzo di referendum.

È un sistema perfettissimamente democratico, che si inquadra ineccepibilmente nel sistema della nostra Costituzione. Sono state fatte critiche ed obiezioni all’intervento del Capo dello Stato. Una d’ordine piuttosto teorico, è dell’onorevole Persico. Egli dice: «Badate, con ciò venite ad ammettere la partecipazione del Capo dello Stato alla funzione legislativa come terza Camera». Evidentemente, no: questo è un intervento non ab intra, come terza Camera, ma ab extra, come regolatore supremo, dal di fuori del processo legislativo.

Vi è una serie di obiezioni dell’onorevole Carpano, il quale trova che l’intervento del Capo dello Stato è arbitrio e che si viene a ridurre la sovranità popolare. Gli rispondo che spetta proprio al Capo dello Stato di moderare e regolare i conflitti fra gli altri organi e poteri dello Stato, e che del resto egli non è il vero arbitro, ma promuove, ove lo ritenga indispensabile, l’arbitrato. Il vero arbitro è il popolo; e non si offende il principio della sua sovranità, ricorrendo proprio ad esso.

Vi sono poi le complesse obiezioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, che ha dipinto un quadro di dimissioni del Governo, di scioglimenti delle Camere, di turbamento e rovesciamento che verrebbero dal ricorso e dall’esito del referendum. Tutte queste vicende sono più possibili se non si dirime il conflitto, che se si ricorre al popolo.

Anche l’onorevole Mortati parla di scredito della Camera che ha votato un progetto di legge contro cui si pronunci il popolo. Ciò non avviene altrove. Io non dico che dobbiamo applicare il sistema svizzero nella sua pienezza: ma dobbiamo tener presente ciò che avviene in quel paese, dove così spesso il popolo si pronunzia in senso diverso dal Parlamento, e per ciò il mondo non cade. Se vogliamo aprire anche noi le porte al referendum, dobbiamo abituarci alla possibilità che il popolo decida in modo diverso dal Governo e dal Parlamento, senza che ciò debba inevitabilmente produrre profonde crisi.

Vi sono infine le obbiezioni dell’onorevole Lami Starnuti che vede un grave inconveniente nel fatto che il Capo dello Stato scenderebbe in lizza, in mezzo al giuoco delle parti. Ma qui il Presidente non fa altro che essere un regolatore, un giudice che dice: «Mi pare che la questione sia talmente importante che debba essere decisa dal Paese» e non si pronuncia né per l’uno né per l’altro senso.

In complesso tutte queste obiezioni non reggono.

Vediamo le soluzioni che sono state proposte.

L’onorevole Mortati – a parte il rilievo che lasciare le due prime parole dell’articolo non avrebbe significato – dice: lasciamo andare le cose per il loro corso; bisogna che confidiamo sull’azione del Governo, che sarà decisiva, e porterà in definitiva alla risoluzione del conflitto. L’osservazione è acuta; e certo il Governo, per mezzo della sua maggioranza, potrà influire a dirimere, in una via o nell’altra, il conflitto. Ma se non riesce? Potrà trovarsi allora nella necessità di dimettersi; oppure promuove lo scioglimento delle due Camere; che sono fatti di importanza molto più grave di quello che sia un referendum. Non sono d’accordo con l’onorevole Mortati, quando egli sostiene che, abbandonando le cose al loro corso, tutto vada a posto come nel migliore dei modi possibili. Non si creda che tutto possa essere risolto automaticamente, non facendo nulla. Vi sono dei casi – pochissimi casi – di conflitti gravi, i quali è molto meglio risolvere immediatamente col referendum, piuttosto che aspettare un giuoco di Governi, di loro mutamenti, e di rinnovazione delle Camere. Un atto di decisione del popolo tronca ogni incertezza.

Veniamo alle altre soluzioni. L’onorevole Codacci Pisanelli si accosta in parte all’onorevole Mortati, perché propone in linea principale la soppressione. Le ragioni esposte per l’onorevole Mortati valgono anche per lui. In linea subordinata, propone una limitazione al Capo dello Stato nell’indire il referendum. Egli dice che il Capo dello Stato potrà farlo soltanto quando la Camera, che è in questione, perché l’altra non ha approvato il suo progetto, abbia votato a maggioranza di due terzi. È una maggioranza molto notevole e pesante. Si tratta di una fortissima limitazione. Se mettiamo una limitazione di questo genere, rendiamo difficilissimo il caso in cui si possa applicare la soluzione proposta. Mi pare che questa limitazione ferisca veramente la facoltà di referendum; allora sarebbe meglio eliminare il referendum.

Veniamo alle altre proposte: si possono raccogliere in due gruppi.

Quelle dell’onorevole Fuschini e dell’onorevole Lami Starnuti, pur modificando il testo della Commissione, restano attaccate almeno in parte all’idea del referendum.

L’onorevole Lami Starnuti ammette la parità piena fra le due Camere; la .sua proposta non cade nel gruppo di quelle che impugnano tale parità. Egli consente il referendum, ma dice che sia la Camera stessa a chiederlo, ove non chieda invece di deferire la questione al l’Assemblea Nazionale. Dell’Assemblea Nazionale non ci possiamo occupare, perché abbiamo rinviato la questione. Riguardo al referendum, veda, onorevole Lami Starnuti, ho dei dubbi su questo suo sistema. Il concetto fondamentale della disposizione era che il Capo dello Stato giudicasse della opportunità di ricorrere al referendum, tenendo presente che i casi di tale ricorso possono essere molto rari. Ma se diamo alle Camere la facoltà di promuovere esse, senz’altro, il referendum, si incoraggia la loro tendenza a non mettersi spontaneamente d’accordo; si incoraggia la possibilità che si abbandonino ad ostinazioni e ripicchi, al volere che trionfi la loro opinione. È molto meglio che la facoltà di promuovere il referendum spetti alla imparzialità del Capo dello Stato.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Fuschini, che ammette due concetti nuovi. Egli, in fondo, è fedele al progetto della Commissione, ma fa una piccola modifica con il tentativo di conciliazione per mezzo delle Commissioni parlamentari, tentativo di riesame che c’è anche nel progetto formulato dalla Commissione, perché esso dice che il Capo dello Stato invita la Camera ad un riesame e ad una nuova decisione. La sua modifica è in questo, che le Commissioni parlamentari debbono tentare esse l’opera di conciliazione. Occorre proprio dirlo nel testo della Costituzione? Nulla, ad ogni modo, di opposizione alla sua idea.

Inoltre l’onorevole Fuschini aggiunge: se il Capo dello Stato non crede di ricorrere al referendum, allora prevale la Camera dei deputati sull’altra Camera. Quegli comincia ad entrare con un piede cauto nella zona delle proposte che ammettono la prevalenza di una Camera sull’altra. Penetriamo anche noi, nel vasto esame in questa zona.

Vi sono tre proposte, se ben ricordo: quella dell’onorevole Preti, degli onorevoli Targetti-Carpano e dell’onorevole Persico.

Cominciamo a vedere il problema in sé. Cose notevoli ha detto l’onorevole Mortati, il quale ha criticato il concetto che non sia da vulnerare la parità assoluta tra le due Camere e che si possa, invece, ammettere la prevalenza di una Camera sull’altra.

Onorevoli colleghi! Io debbo difendere il testo formulato a maggioranza, a suo tempo, dalla Commissione, ma riconosco che contro il criterio di prevalenza d’una Camera sull’altra, in limiti e forme ben definite, non vi può essere un diniego assoluto. Né in sede teorica, né in sede di realtà e di fatto nelle Costituzioni. Non è vero, come ha detto l’onorevole Fuschini, che tale criterio sia così eretico, come ad alcuni appare. Non vi è bisogno che io ricordi ad uno studioso come l’onorevole Mortati che in dottrina vi è una corrente che sostiene come la prevalenza di una Camera sull’altra non intacchi e neghi il principio di bicameralità, ma rientri nel sistema di freni ed equilibri, che è a base della vita dello Stato moderno. Di fatti, in quasi tutti i Paesi è ammessa la prevalenza di una Camera sull’altra, basti pensare all’Inghilterra ed alla famosa legge del 1911 di Lloyd George. Né vale l’obiezione che ivi si tratta di una seconda Camera composta di membri ereditari per nomina del Capo dello Stato e quindi non elettivi. In altre costituzioni noi vediamo che i membri delle due Camere sono elettivi, ma una Camera prevale sull’altra. Io non credo che questa sia una eresia tale che debba essere senz’altro scomunicata. È un sistema che può essere adottato. Si tratta di scegliere.

Abbiamo da una parte il sistema del referendum, dall’altra quello del Capo dello Stato prevalenza della Camera dei deputati. Voi siete padroni di scegliere.

Le proposte concrete pel secondo sistema sono quelle degli onorevoli Preti, Carpano e Persico.

Preti si accosta indirettamente, per un punto, alla proposta dell’onorevole Fuschini, mettendo in azione un comitato misto che dovrebbe cercare l’accordo. Se non riesce, allora prevale senz’altro la deliberazione della Camera dei deputati. Ma l’onorevole Preti aggiunge, ed è un po’ grave, ammettere che prevale la Camera dei deputati, senza che essa abbia da rinnovare la sua deliberazione, mentre noi osserviamo che in tutti i sistemi nei quali la Camera dei deputati prevale, occorre una reiterata deliberazione e in certi casi – come in Inghilterra – addirittura tre. Se l’idea del comitato d’accordo potrebbe essere accolta, l’altra (della prevalenza della Camera dei deputati senza bisogno di rinnovare la sua deliberazione) deve essere assolutamente respinta.

Le proposte degli onorevoli Carpano e Persico sono in gran parte identiche, ma si differenziano perché la proposta dell’onorevole Carpano contempla due casi, mentre quella dell’onorevole Persico tre, e sotto questo punto di vista mi pare la più completa.

Io debbo disporvi queste cose che potete non aver capito fra tanta ressa di discorsi. Quali sono le ipotesi che si avanzano? La prima è che la Camera dei deputati si pronunci, cioè approvi una legge ed il Senato taccia, non si pronunci nel tempo determinato, cioè vi sia il silenzio. Allora, gli onorevoli Persico c Carpano, in questo caso che cosa propongono? Che occorre una nuova deliberazione della Camera, e quando c’è questa nuova deliberazione della Camera il progetto di legge diventa legge.

Questa è la prima ipotesi.

La seconda ipotesi è che la Camera approva un disegno di legge ed il Senato lo respinge o lo modifica. In tal caso, dicono gli onorevoli proponenti, bisogna che la Camera si pronunci, riapprovi a maggioranza assoluta, e solo in questo caso il disegno di legge diventa legge.

L’onorevole Persico aggiunge una terza ipotesi: il Senato approva un disegno di legge, la Camera o tace o lo respinge o lo modifica, ed il Senato lo riapprova. Ed allora, per un certo senso di riguardo al Senato, l’onorevole Persico fa questo ragionamento: siccome il Senato l’ha approvato due volte, il disegno di legge diventa legge nel testo deliberato dal Senato, a meno che la Camera non ritorni in un dato termine, che egli propone di un mese, a riapprovarlo con una maggioranza qualificata. Allora riprende vigore il principio della prevalenza della Camera.

Le cose sembrano abbastanza complicate, ma se vedeste che complicazioni sono nelle altre leggi e negli altri paesi! Comunque, il sistema Persico mi pare che sia il più completò perché considera tutti e tre i casi. Non credo che l’onorevole Carpano dovrebbe avere difficoltà ad accettare anche questo terzo caso.

Allora, noi siamo di fronte a tre proposte: vi è quella Mortati, che lascia aperta la questione del conflitto, confidando sul giuoco spontaneo del regime parlamentare; «lasciate fare, lasciate andare» le cose andranno a posto da sé; il che solleva forti dubbi.

Il secondo sistema è di tener ferma la parità delle due Camere, e di dar facoltà al Capo dello Stato di riconoscere in certi casi la necessità di ricorrere alla sovranità popolare col referendum; è proposto, come ho mostrato, perfettamente in armonia col sistema democratico.

La terza proposta è degli onorevoli colleghi che sostengono la prevalenza di una Camera: la Camera dei deputati. Anche questo sistema non contrasta col sistema democratico dello Stato. Si può, secondo i proponenti, vedere nella terza soluzione oltre ad una accentuazione più democratica (ove si consideri tale la prevalenza della Camera dei deputati) un procedimento che richiede, per dirimere i conflitti, meno scosse ed atti straordinari. Senza dubbio il progetto più completo è quello Persico, al quale si accosta molto l’onorevole Carpano.

Ora, io dico: se voi volete rimanere fermi, come io debbo proporvi perché la Commissione ha deliberato così e non si sente di cambiare opinione, se credete di tener fermo il sistema del referendum, allora votate il testo della Commissione, se no, se entrate nel terreno della prevalenza di una Camera sull’altra, il progetto che vi si presenta più completo è quello dell’onorevole Persico.

Non ho altro da dire. Desidero che questa votazione sia molto meditata. Non è colpa mia se alcune proposte vengono all’ultima ora, come quella Mortati, ed io non posso sentire il Comitato. Ho espresso quindi un’opinione obiettivissima come notaio delle deliberazioni delle Commissioni, ed ho fatto delle osservazioni, come avete sentito, di ordine soprattutto pratico, concreto, non teorico, non dottrinale, appunto, perché credo che la nostra Assemblea deve ispirarsi soprattutto a questi criteri.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole Persico?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene i due emendamenti?

TARGETTI. Anche a nome degli altri firmatari, ritiro i due emendamenti associandomi a quello dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Subordinatamente all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, mantengo il mio emendamento. Naturalmente, siccome quello dell’onorevole Mortati è più radicale, ritengo opportuno che sia votato prima.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Stormiti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Mantengo il mio emendamento subordinandolo a quello dell’onorevole Persico, al quale aderisco in via principale.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene il suo emendamento?

PRETI. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Persico, mantenendo però, in via subordinata, il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Mantengo il mio emendamento.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io voterò a favore della soppressione completa dell’articolo 70 e quindi in sostanza aderisco all’emendamento dell’onorevole Mortati, poiché ritengo che le prime parole del primo comma che egli manterrebbe costituiscano in qualche modo un pleonasmo, una frase irrilevante; dunque nella sostanza sono d’accordo con lui. Mi vorrei in proposito permettere di ricordare all’Assemblea che nella nuova Costituzione noi abbiamo soppresso un importante istituto che esisteva nella precedente, cioè il decreto di chiusura della sessione, il quale aveva questa caratteristica particolare: di far cadere i progetti di legge che non fossero stati durante una legislatura definitivamente approvati. Questo istituto, che ha nel passato funzionato, dimostra che politicamente è utilissimo che possa verificarsi, da parte del Governo e della maggioranza parlamentare che vi consente, l’abbandono di un progetto di legge anche quando sia stato già approvato da uno dei due rami del Parlamento. Tutta, invece, la stesura dell’arti colo 70 e tutte le discussioni che abbiamo sentito fare partono dal concetto che il Paese sia in qualunque momento, in qualunque caso, assetato di leggi e che quando un ramo del Parlamento ha approvato una proposta di legge, sia una catastrofe nazionale il fatto che l’altro ramo del Parlamento non consenta o taccia, la quale seconda ipotesi equivale a un non consenso. Ora, nell’istituto del Parlamento bicamerale, dal momento che per la formazione della legge occorrono due dichiarazioni di volontà perfettamente conformi, se queste non si formano o se una delle due dichiarazioni di volontà non interviene, la proposta di legge cade. Questo significa che il Governo non ha ragione di insistere per questa approvazione e se c’è un ramo del Parlamento il quale sia in assoluto dissenso da questo punto di vista, ha la facile soluzione di porre la questione di fiducia e di creare una crisi. D’altra parte, i due rami del Parlamento sono assolutamente sovrani. La pretesa di regolare con minute disposizioni la risoluzione di conflitti fra organi costituzionali supremi e sovrani è chiaro che non può sempre essere raggiunta e quindi ritengo che sia utilissimo lasciare al costume politico il regolamento di questi rapporti fra organi sovrani e ritengo che l’ipotesi della caduta di un progetto di legge, per il fatto che è stato approvato da un solo e unico ramo del Parlamento, sia un fenomeno che può anche essere utilissimo e che nel caso particolare equivarrebbe a quello che nel passato regime era l’effetto normale del decreto reale di chiusura della sessione, che noi abbiamo soppresso, in quanto è stato soppresso l’organo da cui dipendeva questo decreto. Nella realtà tuttavia e, sostanzialmente, nel regime monarchico parlamentare la facoltà di ricorrere al decreto di chiusura della sessione concerneva il Governo. Per questo voterò contro il mantenimento, in tutto o in parte, del contenuto dell’articolo 70.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io concordo con l’ordine di idee espresso dall’onorevole Mortati, ma non concordo con la proposta formale da lui fatta per mantenere l’articolo 70 soltanto in questa dicitura:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Questo non ha significato, perché ci possiamo domandare: sono trasmessi all’altra, a che titolo? Perché ne prenda atto, perché li registri? Si vuole dire tutt’altra cosa, si vuol dire cioè quello che è stato già detto nell’articolo 67, che la legge è un atto complesso, che a formare la legge devono concorrere le volontà dell’una Camera e dell’altra Camera.

Quindi, credo che si potrebbe sopprimere completamente l’articolo 70.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Aderisco alla proposta dell’onorevole Bozzi e quindi trasformo il mio emendamento nel senso di proporre la soppressione di tutto l’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dire due parole a conforto della tesi sostenuta dall’onorevole Fabbri e che ha incontrato anche l’adesione di altri colleghi.

Ho seguito con molta attenzione e con molta curiosità questa discussione e mi sono posto una domanda: ma è possibile che tanta gente pensi ancora – e potrei aggiungere un «purtroppo non è così» – che ci sia la Monarchia?

Si continua a discutere dei rapporti tra le due Camere come se fossero le due Camere di allora, come se fossero elette coi criteri di allora, come se l’una fosse di nomina popolare e l’altra di investitura regia, come se una trasformazione di tutto il sistema non fosse avvenuta. E quindi la preoccupazione che la Camera di investitura regia non possa prevalere su quella di investitura popolare, e quindi la preoccupazione di conflitti fra questi due organi che invece, oggi, sorgono entrambi da una investitura popolare. Il Senato è elettivo come elettiva è la Camera dei deputati: ci sarà una diversità di sistema di elezione; ma sono scomparse anche quelle che potevano essere le ragioni di preoccupazione per alcuni colleghi, o per alcuni settori dell’Assemblea, cioè la nomina con un criterio regionalistico, e la nomina con un sistema indiretto di elezione.

Tutto questo è cessato. Ed allora veramente ci si domanda perché noi vogliamo interferire a priori in questi rapporti tra due pari, tra due organi che sono entrambi strumenti della sovranità popolare; perché noi vogliamo stabilire questi rapporti con dei criteri che non hanno un fondamento sostanziale, come quando qualcuno si preoccupa che una Camera, quando un suo progetto di legge sia stato ripudiato dall’opinione pubblica, perda di prestigio. Ma quando mai uno di noi, anche dei più autorevoli, ha perso prestigio in questa Assemblea perché una sua proposta non è stata accolta?

Io ho la sensazione di assistere ad una discussione anacronistica e appunto per questo penso che cosa migliore sia di lasciare alla prassi di formare le regole che dovranno far funzionare gli istituti, così come fu per il passato, perché questo referendum, che può essere e può non essere indetto dal Capo dello Stato (il che significa praticamente che sarà sempre indetto perché un povero Capo dello Stato non troverà certo altra soluzione) non potrà che complicare maggiormente le cose.

Altrimenti questo Capo dello Stato finirà con l’essere estromesso da tutto, questo Capo dello Stato non avrà che l’autorità dell’impotenza, per completare l’espressione del collega Lami Starnuti.

Io credo quindi che la cosa migliore sia dì sopprimere l’articolo 70; in tal modo noi affideremo alla prassi la soluzione della questione e d’altronde l’esperienza insegna che non v’è se non un unico modo per costringere gli organismi a fare il loro dovere: quello di renderli veramente responsabili delle loro azioni.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora passare alla votazione e ritengo che la proposta soppressiva dell’onorevole Mortati debba avere la precedenza. Invero, noi abbiamo normalmente adottato sempre il criterio che gli emendamenti soppressivi non siano votati in sé, potendosi raggiungere il fine della soppressione votando contro una disposizione. Nel caso particolare, però, non si tratta di una proposta di soppressione di un inciso, ma di un intero articolo ai cui numerosi commi sono stati proposti numerosi emendamenti.

Se noi applicassimo però in questo contesto la consuetudine di appoggiare la proposta di soppressione votando contro la formula positiva, ne deriverebbe che i colleghi, i quali intendono sia soppresso l’intero articolo 70, dovrebbero votare sempre contro nei confronti di una lunga serie di emendamenti, e non già per opposizione al contenuto dei singoli emendamenti stessi, ma per una ragione di opposizione verso l’intero articolo 70.

Ove non dovesse prevalere la tesi della soppressione dell’intero articolo, passeremo alla votazione dei vari emendamenti presentati al testo della Commissione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, lei dunque mette in votazione prima l’emendamento soppressivo: ma guardi, a me pare di dover fare questa osservazione, che c’è chi è contrario al testo della Commissione, ma è favorevole all’emendamento dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, coloro che sono favorevoli alla proposta dell’onorevole Persico sono, per ciò stesso, favorevoli al mantenimento dell’articolo 70.

GULLO FAUSTO. No, perché se l’emendamento Persico dovesse essere poi non approvato, io, fra l’articolo 70 e la soppressione, voterei per la soppressione; ma, se lei mi mette nella condizione di dover votare prima la soppressione, io non so come dovrei risolvere questo stato di coscienza.

Perciò dico: votiamo prima o la proposta dell’onorevole Persico o il testo della Commissione; scartati i quali, si potrebbe porre in votazione la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che la questione si prospetti in questi termini: si ritiene che, di fronte alla ipotesi di conflitti fra le due Camere, la Costituzione debba indicare i mezzi per risolverli, oppure non debba dare disposizioni, lasciando che la prassi – come è stato detto da molti colleghi – finisca con l’indicare le vie per la loro soluzione?

Questo è il problema principale. Successivamente, in caso di sua risoluzione in senso positivo, occorrerà stabilire quale dovrà essere il metodo per risolvere i conflitti fra i due rami del Parlamento.

Comunque, se l’Assemblea ritiene che in questo caso specifico non si debba mutare la consuetudine procedendo alla votazione dell’emendamento soppressivo, ma si debba votare successivamente sugli emendamenti e sul testo, io non mi oppongo.

FABBRI. Quest’ultimo metodo di votazione sarebbe inorganico.

PRESIDENTE. Comunque, poiché l’onorevole Gullo ha proposto la questione, vorrei che chi ha opinioni a questo proposito le esprimesse.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, l’articolo 67 dispone che la funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere. Per quanto non ancora approvato, esso tende a stabilire un principio sul quale non vi sarà dissenso: quello della collaborazione fra le Camere. L’articolo 70, di cui discutiamo ora, tende appunto a regolare in qualche modo questo lavoro coordinato delle Camere; e pertanto la sua soppressione potrebbe portare nocive imprevedibili conseguenze.

PRESIDENTE. Il suo intervento onorevole Bertone – mi perdoni – è una specie di dichiarazione di voto; non si riferisce alla questione di procedura intorno alla quale si discuteva.

BERTONE. Ho voluto fare questa dichiarazione, perché l’emendamento Mortati, che propone la soppressione dell’articolo 70, non mi pare sia da approvare; almeno io non mi sentirei di approvarlo.

PRESIDENTE. Sta bene; se sarà posto in votazione, lei potrà votare contro.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. A me pare che il dubbio molto giusto sollevato dall’onorevole Gullo si possa risolvere in un modo molto semplice: mettendo in votazione prima l’emendamento Persico e poi quello soppressivo dell’onorevole Mortati. Tanto più che, a mio giudizio, l’emendamento Persico è quello che più si allontana dal testo della Commissione. (Commenti a destra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Anch’io mi sono trovato qualche volta nella perplessità in cui ora si trova l’onorevole Gullo, ossia di preferire alla non approvazione di un emendamento che non mi piace la soppressione di un testo che disapprovo.

Effettivamente, seguire la graduazione del Regolamento, cominciando a votare l’emendamento più lontano fino a quello più vicino al testo della Commissione e poi passando a votare il testo stesso significa, normalmente, seguire un criterio logico. Ma nel caso in esame vi è una progressione logica per cui occorre innanzitutto risolvere la questione di principio, e cioè il mantenimento o la soppressione del criterio cui è ispirato l’articolo 70.

Mi dite voi come mi troverei io o qualche altro collega che è favorevole alla soppressione dell’articolo se deve prima votare una serie di emendamenti che si intersecano fra loro, proposti ad un testo che potrebbe, in un secondo tempo, essere interamente soppresso? Come si può votare sugli emendamenti con questa arrière pensée?

Noi dobbiamo, quindi, prima di tutto deliberare la soppressione, perché così vuole la logica. Chi è contrario al testo perché lo ritiene nocivo agli interessi del Paese voterà per la soppressione. La quale, poi, costituisce comunque l’emendamento più lontano dal testo originario.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Ritengo che la proposta soppressiva debba avere la precedenza, come quella che risolve una questione di principio nei confronti di una serie di diverse e concrete proposte tendenti, invece, alla conservazione, proposte nei cui confronti non si può logicamente scendere a rispettivo esame se non dopo avere risolto la questione preliminare sulla conservazione o meno della norma.

Quindi, nel rito, io sono dello stesso avviso del Presidente. Nel merito dichiaro, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che, valutate le varie ragioni che sorreggerebbero i criteri proposti per l’ipotesi di conservazione della norma, criteri che singolarmente considerati non sembrano mai rispondere a una valutazione sodisfacente, noi pensiamo che l’articolo proposto possa essere senza danno depennato dal testo della Costituzione. E ciò dicasi anzitutto dal punto di vista giuridico, perché in tal modo non si ferisce il concetto che, trattandosi della formazione di un atto complesso come è quello legislativo, esso non risulta perfetto se non col concorso della volontà delle due Camere e fino a quel momento manca l’atto stesso, cosicché non si potrebbe nemmeno parlare tecnicamente di conflitto. Mentre, dal punto di vista politico, potranno sempre operare i mezzi a cui hanno fatto cenno parecchi oratori e che vanno dal giuoco dei rapporti che normalmente corrono fra il Governo e le Camere fino all’ipotesi estrema, che è rappresentata dalla facoltà di scioglimento della Camera spettante al Capo dello Stato. In tal modo, mentre la sola prospettiva dello scioglimento è già il più efficace motivo di remora, resta fermo che se si presentasse un conflitto politico di tale gravità da determinare quella sanzione, opererebbe sempre un provvedimento estremo, atto a fronteggiare la situazione e perciò rispondente ad una esigenza che può essere nella coscienza comune.

Sotto questo aspetto, ritenendo che la materia in discussione non resti scoperta ed insoluta, bensì che essa possa essere soddisfacentemente disciplinata secondo le norme della prassi costituzionale e il giuoco delle forze politiche in atto, noi voteremo a favore dell’emendamento soppressivo.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Sull’emendamento soppressivo dell’articolo 70 proposto dall’onorevole Mortati gli onorevoli Moro, Rodinò Ugo, Numeroso, Salvatore, Castelli Avolio, Guerrieri Emanuele, Angelucci, Vigo, Baracco, Bosco Lucarelli, De Palma, Ferrarese, Scoca, Morelli Renato e Carratelli hanno chiesto la votazione per appello nominale; mentre gli onorevoli Laconi, Grieco, Maltagliati, Gervasi, Lombardi Carlo, Montagnana Rita, Bei Adele, Fedeli Armando, Spano, Barontini Anelito, Bardini, Allegato, Giolitti, Corbi, Pastore Raffaele, Minio, Farini, Bernamonti, Storchi e Fausto Gullo hanno chiesto quella a scrutinio segreto. Quest’ultimo metodo di votazione ha la precedenza a norma dell’articolo 77 del Regolamento.

Indico pertanto la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     293

Maggioranza           147

Voti favorevoli        177

Voti contrari            116

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi.

Cacciatore – Cairo – Caldera – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatriani – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Montagnana Rita – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Recca – Restagno – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Spallicci.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi.

Sono in congedo:

Alberti.

Bonino.

Caporali – Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Roselli.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Il seguito della discussione è rinviato a domani, avvertendo che vi saranno due sedute: alle 11 e alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non intenda ripristinare, per il trasporto dei vini dalla Sicilia, la tariffa ferroviaria 907, che, con la riduzione del 50 per cento, allieverebbe la crisi che si profila nel settore vitivinicolo, aggravata per i produttori siciliani dalla maggiore distanza dai mercati di consumo.

«Mattarella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere in quale misura intende agevolare l’E.C.A. di Venezia, costretto dal deficit, dovuto incontrare, a ricorrere alla Direzione generale dell’Amministrazione civile, perché siano concesse agli Istituti assistenziali dell’E.C.A., elencati nella richiesta ufficialmente trasmessa, le indispensabili sovvenzioni straordinarie per evitare il ricorso all’inumano e praticamente inattuabile provvedimento della dimissione di centinaia e centinaia di vecchi inabili al lavoro e minori abbandonati o appartenenti a famiglie estremamente bisognose; tenendo presente l’urgenza dell’intervento sollecitato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se non ritenga opportuno, quanto urgente:

1°) autorizzare la Sepral alla tempestiva distribuzione dei generi razionati – con particolare riguardo ai generi da minestra – entro i primi giorni del mese, dovendosi lamentare che la popolazione della provincia di Treviso ottiene normalmente l’assegnazione dei generi razionati verso la fine del mese, con il gravissimo disagio che questo fatto comporta per la grande massa delle famiglie meno abbienti, impossibilitate di altrimenti approvvigionarsi;

2°) disporre l’assegnazione dei 100 grammi di zucchero, rimasta arretrata nel mese di luglio per tutta la popolazione, in seguito a disposizione dell’Alto Commissariato per l’alimentazione;

3°) disporre la fornitura dei generi necessari per la distribuzione del pacco AVISS, rimasta incompleta nella stessa prima distribuzione, che è doveroso invece continuare giusta gli impegni assunti;

4°) provvedere, infine, all’assegnazione straordinaria di generi contingentati per le distribuzioni a carattere differenziato alle classi meno abbienti della provincia di Treviso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro il vandalismo commesso a Francofonte (Siracusa) da parecchie centinaia di persone che hanno danneggiato per molti milioni l’acquedotto, che doveva portare l’acqua al paese di Sortino.

«L’interrogante chiede che i lavori siano ripresi e con più sollecitudine per calmare l’agitazione esistente in questo paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per incoraggiare l’allevamento del baco da seta, ritenendo che, se i bozzoli non verranno pagati quel minimo che compensi almeno la mano d’opera necessaria, sarà inevitabile l’abbattimento dei gelsi, come già è stato fatto in alcune zone. Notevoli quantità di bozzoli, raccolti dalle cooperative fra produttori, sono stati essiccati ed oggi sono minacciati dal tarlo, per cui si rende urgente la loro utilizzazione o permettendone l’esportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chieda di interrogare i Ministri della difesa, dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per conoscere quale è d’attuale estensione dei campi tuttora minati e quali provvedimenti intendono finalmente adottare per la sollecita restituzione alla produzione agricola delle terre cosparse di ordigni esplosivi, risultando che numerosi operai specializzati nel rastrellamento di mine sono da vari mesi disoccupati. Nei comandi militari addetti a tale rastrellamento si nota una viva preoccupazione per la fine dei lavori, perché determinerebbe il licenziamento di varie centinaia di impiegati, mentre è urgente che considerevoli estensioni della pianura padana ritornino al più presto alla coltivazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in base alla nuova disciplina dell’olio d’oliva, non ritenga opportuno oltre che conveniente lasciare libero il commercio delle sanse, in quanto l’ammasso di tale sottoprodotto impone agli agricoltori maggiori spese per la conservazione, nuovi esasperanti controlli ed esige altresì il mantenimento del Consorzio per la distribuzione delle sanse ammassate, per cui i costi della produzione risultano gravati da notevoli ed evitabili spese, che in ogni caso superano quelle derivanti dal maggiore prezzo che verrebbe pagato ai produttori agricoli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Caroleo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che indussero alla circolare del 31 luglio 1947, numero di protocollo 6079/56, diramata dalla Direzione generale della istruzione elementare, con la quale, negli incarichi delle direzioni didattiche, venne data preferenza ai titoli e alle idoneità conseguite nei precedenti concorsi (l’ultimo è del 1942) nei quali era obbligatorio, per l’ammissione, il certificato di iscrizione al partito fascista.

«E se non ritenga di poter revocare tale circolare, apparendo essa in contrasto con i decreti emanati a favore dei reduci e dei danneggiati politici, nonché rappresentando un evidente danno per coloro che non furono iscritti al regime e perciò esclusi dai concorsi e dagli esami per il conseguimento del titolo.

«Diversamente rimarrebbero valorizzate e ratificate in piena democrazia, quelle arbitrarie situazioni di privilegio elargite nel ventennio agli aderenti alla dittatura in danno di coloro che si sacrificarono per un ideale di libertà e di patria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Caro Raffaele, Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in quali condizioni di vita e di lavoro si trovino i profughi di Pola trasferitisi a Fertilia presso Alghero in Sardegna, e quale attualmente sia il numero di essi. Notizie pervenute all’interrogante e altre pubblicate dalla stampa (Giornale d’Italia numeri 154, 180, 187 e 188 di luglio ed agosto 1947) dichiarano che le abitazioni non sono state sistemate, che la disoccupazione è pressoché generale, la mancanza di mezzi, di indumenti e di alimenti grave e penosa (mai avvenuta la promessa distribuzione dei pacchi U.N.R.R.A.); mentre le masserizie dei singoli, depositate nei vari magazzini del continente, non ancora sono state portate alla definitiva destinazione degli interessati. Lente ed estenuanti risultano, specialmente, la deliberazione e la esecuzione dei provvedimenti necessari perché la sistemazione dei profughi in quella regione sia possibile e adeguata, talché molti di essi, esasperati da tale doloroso stato di cose, richiedono di abbandonare la zona, dove una solerte ed efficace opera di assistenza e di organizzazione potrebbe creare notevoli opportunità di lavoro e favorevoli condizioni di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali non sono stati ancora distribuiti alle Intendenze di finanza i prontuari necessari per il pagamento delle provvidenze concesse dal Governo ai pensionati. Per tale inesplicabile ritardo burocratico i pensionati, le cui gravissime condizioni di disagio meriterebbero la più vigile e tempestiva considerazione da parte delle autorità, non hanno potuto ancora percepire i modesti beneficî loro concessi, che possono appena alleviare quello stato di quasi miseria in cui versano, dopo aver speso tutta una vita al servizio del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia il caso di provvedere in qualche modo alla sistemazione degli istruttori di ruolo di quarta classe e dei collegi della disciolta GIL, gruppo B, grado 8°, che hanno perduto tale qualifica (e di conseguenza l’impiego) in data 14 dicembre 1943 per soppressione del ruolo.

«Essi, tutti abilitati all’insegnamento elementare, frequentavano un corso di 12 mesi, dopo il quale furono destinati nei vari collegi per l’insegnamento dell’educazione fisica. Frequentavano, inoltre, in Torino il corso di perfezionamento per insegnanti incaricati di educazione fisica nelle scuole dell’ordine medio.

«Il Commissario nazionale della gioventù italiana, professor Mario Tortonese, ha diramato di recente una circolare ai dipendenti Commissari provinciali, e per conoscenza ai provveditori agli studi, nella quale, fra l’altro, rende noto che sono in corso provvedimenti da parte del Ministero della pubblica istruzione per la sistemazione degli ex-accademisti di Roma e di Orvieto e dei collegi e degli educatori.

«Sembra, dunque, all’interrogante che sia profondamente equo prendere in considerazione anche la situazione dei pochi istitutori (circa un centinaio), di cui innanzi, sistemandoli nei collegi e negli educatori, oppure ammettendoli a frequentare i corsi accelerati di educazione fisica, alla pari degli ex-accademisti del primo anno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché consideri se non ritenga necessario intervenire per risolvere, con la sua autorità, il conflitto insorto fra gli armentari del comune di Capracotta (Molise), che si apprestano a discendere con i loro greggi dal monte alla pianura pugliese, ed i proprietari dei terreni, ove negli scorsi anni è stato effettuato il pascolo.

Il conflitto è insorto, avendo i proprietari predetti chiesto agli armentari ben 500.000 lire – da pagarsi anticipatamente – per ogni carro di pascolo (un carro equivale a 80 tomoli di terreno), mentre nello scorso anno agrario furono pagate – non anticipatamente, ma a maggio – 150.000 lire per carro. Se detto fieno dovesse essere pagato così come si chiede, la ricotta dovrebbe essere venduta a non meno di 1000 lire al chilogrammo ed il formaggio a non meno di 3000 lire il chilogrammo. Ma, a parte ciò, è da prevedere che, non potendo gli armentari disporre delle somme occorrenti, si troveranno nella necessità di vendere gli ovini, con gravissime conseguenze facili a prevedere per l’agricoltura molisana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali ha creduto di dovere all’Ospedale civile Cardarelli di Campobasso assegnare un materiale sanitario inferiore di molto, sia a quello richiesto, sia a quello assegnato agli Ospedali delle provincie limitrofe, il che non si sarebbe dovuto verificare, ove si fossero tenuti ben presenti gli urgenti bisogni e le gravi carenze presidiarie dell’ospedale suddetto, notoriamente disastrato dalla guerra e destinato, altresì, per la sua stessa posizione, a servire la più estesa e importante zona di tutta la regione molisana. E per conoscere altresì se non creda, in conseguenza, di provvedere ad una assegnazione suppletiva, in cui venga compresa una stufa di disinfezione, della quale l’Ospedale è completamente sfornito e che non può acquistare per assoluta deficienza di mezzi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se siano a conoscenza dei gravi inconvenienti a cui dà luogo l’attuale organizzazione (o disorganizzazione) della visita sanitaria e della doccia, al passaggio di frontiera di Briga.

Risulta all’interrogante in modo certo e in base a numerose testimonianze scritte, che ogni giorno in detta località di frontiera giovani donne, provenienti dall’Italia e dirette in Svizzera con regolare contratto di lavoro, dopo la visita doganale, vengono fatte spogliare in una baracca (per la disinfezione degli indumenti personali), indi rinchiuse, in attesa del turno per la doccia, munite di una sola coperta da campo, in locale intercomunicante con altro locale destinato a raccogliere gli emigranti di sesso maschile: la parete divisoria in legno non arriva al soffitto ed è, come la porta interna, crivellata di fori.

«Ultimata la doccia, i nostri emigranti hanno a disposizione pochissimi asciugatoi di formato ridotto: sono spesso costretti a servirsi della coperta e debbono perciò attendere, senza alcun riparo, talvolta per parecchie ore, l’arrivo del sanitario per la visita prescritta.

«L’interrogante desidera conoscere quali passi presso il Governo svizzero intendano compiere i competenti Dicasteri, per la salvaguardia della dignità delle nostre donne emigranti e per la tutela della integrità fisica dei nostri emigranti, donne e uomini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali ostacoli si oppongono al rimpatrio degli operai militarizzati alle dipendenze dell’arsenale militare marittimo di La Spezia, fatti prigionieri in Africa Orientale e non ancora rimpatriati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini Anelito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, in relazione al preoccupante incremento dei casi di intossicazione, verificantisi nelle maestranze delle industrie chimiche, o comunque costrette all’impiego di materiali tossici, non intenda predisporre una norma di legge che impegni in modo categorico i datori di lavoro ad avvicendamenti periodici tra le maestranze specializzate, tali da evitare al fisico dei lavoratori menomazioni durature e forme patologiche inguaribili.

«Rileva l’interrogante che le provvidenze attuali sono, in proposito, assolutamente inadeguate, come insufficiente è la distribuzione di latte supplementare a scopo disintossicativo, in epoca caratterizzata dalla minore resistenza fisica dei lavoratori, conseguenza dei disagi subiti e della difettosa nutrizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Inversione dell’ordine del giorno:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Laconi

Votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Togni, Ministro dell’industria e del commercio

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Codacci Pisanelli

Gronchi

D’Onofrio

Presidente

Chiusura della votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Inversione dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Il Ministro dell’interno ha chiesto di rispondere in fine di seduta alle interrogazioni che sono iscritte per prime all’ordine del giorno.

(Così rimane stabilito).

Comunico intanto che anche l’onorevole D’Onofrio ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i risultati dell’inchiesta sui fatti avvenuti a Piazza Dante a Roma la sera dell’11 ottobre e sulla tragica morte del giovane studente Gervasio Federici».

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ieri sera avevamo arrestato il nostro lavoro in relazione all’articolo 69, auspicando che i presentatori dei vari emendamenti, unitamente al Comitato di redazione, riuscissero prima dell’apertura di questa seduta a redigere un testo concordato dell’articolo stesso. Ciò, infatti, ha potuto raggiungersi e adesso darò lettura del testo concordato.

Resta inteso che il primo e il secondo comma del testo della Commissione restano immutati nella seguente formulazione:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale.

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

Il terzo e il quarto comma risultano così modificati:

«Il Regolamento può altresì stabilire ì casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione dei disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà altresì sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 69 nel testo originario della Commissione:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera, secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale».

(È approvato).

Gli onorevoli Laconi e Grieco hanno presentato il seguente emendamento che, sul punto considerato, ritorna al testo primitivo della Commissione.

«Al primo comma, sostituire alle parole: con votazione complessiva, le parole: con votazione finale a scrutinio segreto».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Lucifero, Colitto, Rodinò Mario, Mastrojanni, Corsini, Penna Ottavia, Rodi, Abozzi, Miccolis, Russo Perez, Lombardi Riccardo, Veroni, Mazza, Nasi, Foa, Rognoni, Bencivenga, Zuccarini, Cevolotto, De Vita.

Non essendo presenti tutti i firmatari della richiesta, chiedo se sia appoggiata da venti deputati.

LACONI. Il Gruppo comunista l’appoggia.

PRESIDENTE. La richiesta risulta pertanto appoggiata.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento presentato dagli onorevoli Laconi e Grieco, testé letto.

Desidero chiarire che non si pone qui il problema della esclusione dello scrutinio segreto come sistema di votazione dal Regolamento delle Camere.

(Segue la votazione).

Le urne rimarranno aperte. Intanto procediamo nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Presentazione di un disegno di legge.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Mi onoro di presentare alla Camera il disegno di legge sulla soppressione e liquidazione dell’Ufficio nazionale metalli, pregando che l’esame da parte dell’Assemblea abbia luogo al più presto.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge, che sarà inviato alla Commissione competente, tenendosi conto del desiderio del Ministro.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Passiamo allo svolgimento delle interrogazioni.

Sono state presentate le seguenti interrogazioni relative allo stesso argomento, che possono essere svolte congiuntamente:

Lucifero, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati presi a carico dei responsabili diretti ed indiretti della devastazione della tipografia del Corriere del Giorno di Taranto e per impedire il ripetersi di nuovi attentati alla libertà di stampa»;

Codacci Pisanelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati presi per scoprire i responsabili della distruzione della tipografia del giornale Il Corriere del Giorno premeditatamente perpetrata in Taranto nelle prime ore del pomeriggio di sabato, 11 ottobre, da una schiera di partecipanti alla manifestazione organizzata principalmente per iniziativa del Partito comunista; e per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo che integri il progetto di legge per la difesa delle istituzioni, stabilendo e precisando la responsabilità dei partiti, le cui manifestazioni si risolvono in simili atti di vandalico terrorismo squadrista, che sopprimono praticamente ogni libertà e consentono ai mandanti e agli esecutori di trincerarsi dietro l’estrema difficoltà di indagini, caratteristica dei delitti di folla».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. A seguito degli incidenti di Piazza Colonna, il giorno successivo, a Taranto, su ordine della Camera del lavoro, venne proclamato lo sciopero generale. Una colonna di dimostranti si indirizzava alla Prefettura ed una delegazione si portava dal prefetto per presentare un ordine del giorno di protesta.

Nello stesso tempo, altri gruppi di dimostranti si indirizzavano verso la città e tentavano di dare l’assalto alla sede dei partiti politici avversi, ed un gruppo si recava alla sede dell’unico quotidiano locale, Il Corriere di Giorno, procedendo alla devastazione del locale stesso e arrecando notevoli danni al macchinario. Questi, i fatti nella loro scheletrica e nuda semplicità. Di questi fatti, quando si è detto che si tratta di una manifestazione di teppismo fascista, ritengo si sia detto tutto; perché era proprio del fascismo il sistema di distruggere non soltanto le sedi dei partiti avversari ma soprattutto i giornali politici, le voci della libera stampa, che rappresentano l’espressione più alta della democrazia. Ritengo che ogni deplorazione sia superflua. L’autorità giudiziaria ha iniziato le sue indagini. Sono state arrestate otto persone; e tutti quanti noi, che teniamo altamente a che siano salvaguardate le libertà democratiche, ci auguriamo che la Magistratura dia un pronto severo giudizio.

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUCIFERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando il Ministro dell’interno qualifica i fatti di Taranto come manifestazione di teppismo fascista, io non posso che dichiararmi sodisfatto di questa definizione su quanto è avvenuto. Però, mi consenta il Ministro dell’interno, io gli avevo chiesto qualche cosa di più ed aspettavo una risposta ad una precisa domanda. Io non credo che ci possa essere discussione sul giudizio che meritano certe manifestazioni; e il giudizio non può essere che quello che ha espresso il Ministro dell’interno e che io faccio mio, come penso faccia ogni sincero democratico. Ma al Ministro dell’interno noi chiediamo qualche cosa di più; dal Ministro dell’interno vogliamo sapere: primo, che cosa ha fatto per impedire che simili fatti si verifichino; secondo, che cosa ha fatto per punire i responsabili diretti e indiretti di questo fatto.

Dice il Ministro dell’interno: «sono state arrestate otto persone». Sono stati arrestati otto piccoli poveri diavoli, che sono stati mandati ed hanno eseguito degli ordini, probabilmente senza sapere nemmeno questi ordini che cosa comportassero. Ma quello che è avvenuto è diverso. Io non entrerò nell’esame dei fatti, né nell’esame della situazione particolare della città di Taranto ove, come in altre parti d’Italia, si è creata una specie di repubblica autonoma a partito unico; perché questo meglio di me e con maggiore cognizione di me farà l’onorevole Codacci Pisanelli. Io mi limiterò a due fatti. Uno riguarda direttamente il Ministro dell’interno: il comizio e il corteo, come il Ministro ha accennato, sono avvenuti senza preventiva autorizzazione dell’autorità competente; ed io che ho sempre votato contro l’obbligo di queste autorizzazioni, su questo non ho nulla da dire. Ma l’autorità competente lo sapeva, e la polizia era presente. Non solo, ma quella ramificazione di comizianti che si è diretta a devastare gli uffici del Corriere del Giorno è stata scortata dalla polizia. La polizia ha accompagnato questi signori fino sul posto; è stata a vedere tranquillamente come si devastava, e dopo venti minuti quelli se ne sono andati indisturbati; e la polizia avrà fatto un bel rapporto. E questo è il primo punto sul quale il Ministro non ha risposto.

Secondo: al Ministro dell’interno devo domandare quali provvedimenti egli ha preso contro i responsabili indiretti: perché ci sono due responsabilità indirette, onorevole Scelba: una la riguarda come capo dell’amministrazione, cioè come responsabile diretto degli uffici di polizia, che non hanno saputo impedire che i fatti avvenissero; ma vi sono altre responsabilità indirette, che riguardano tutti coloro che predicano l’odio, che tirano i sassi e ritirano la mano, che mandano a distruggere l’unica tipografia di Taranto, nella speranza che un certo giornale non esca più, dopo aver fatto una sistematica campagna contro questo giornale, e poi mandano una lettera di scusa per deplorare che il fatto, che hanno incitato a fare, sia stato compiuto.

Noi non possiamo dimenticare una cosa. Si organizzano dimostrazioni contro il Movimento sociale italiano, ma si va a distruggere il giornale di Armando Zanetti; e questo legittima ogni sospetto. Per quanto possano essere giustificati i sospetti contro questo o quel movimento politico, che sembri riecheggiare note che tutti deprechiamo, non vi possono essere sospetti su un uomo, che, in miseria ed in dignità, ha fatto 17 anni di esilio ed ha combattuto sempre una battaglia di antifascismo e di libertà con tutti coloro, che combattevano contro il fascismo e per la libertà, di qualunque colore.

Quindi, la manovra è più vasta ed è voluta. Molto spesso i fantasmi più o meno reali del neo fascismo o del vecchio fascismo rigurgitante, che tutti respingiamo, servono per mascherare e giustificare azioni, che si rivolgono non in quella direzione, ma in direzioni diverse.

Infine, onorevole Ministro ed onorevoli colleghi, questo è il primo attentato contro il bene supremo, che tutti abbiamo in comune: la libertà di stampa. Qui non soltanto si sono distrutti i mezzi di lavoro di parecchie famiglie, non solo si è distrutto un patrimonio, che per una città è una ricchezza, perché era l’unica tipografia di Taranto; ma si è distrutto e si è voluto distruggere un mezzo di espressione del pensiero politico; e si è voluto distruggerlo nella figura di un giornale, diretto da un antifascista noto e indiscusso, di un giornale che ha sempre ospitato i comunicati e le opinioni di tutti.

Noi non possiamo consentire, onorevole Ministro, che questi fatti si ripetano; perché questi fatti si ripeteranno. Da questi banchi non si alzerà mai una voce che dica: noi difenderemo con nostri mezzi le libertà democratiche. Siete voi, signori del Governo, che dovete tutelare le nostre libertà e le libertà di tutti; e noi vi richiamiamo al vostro dovere, perché siete voi che ci rispondete della nostra libertà e di quella dei nostri concittadini di tutte le opinioni. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODACCI PISANELLI. Ho ascoltato con soddisfazione le comprensive dichiarazioni dell’onorevole Ministro, il quale ha voluto rispondere con esemplare prontezza alle due interrogazioni relative ai fatti di Taranto.

Ritengo, tuttavia, opportuno ricordare le circostanze ambientali, che hanno determinato i fatti veramente incresciosi, di cui ci occupiamo.

Già da parecchio tempo contro II Corriere del Giorno, quotidiano indipendente di informazioni, che aveva dato ospitalità a comunicati e ad articoli di ogni tendenza, vi erano state minacce. Le ragioni erano chiare: il giornale aveva osato criticare un’amministrazione a partito unico e, soprattutto, aveva osato riprovare alcune manifestazioni di intolleranza, verificatesi non nei riguardi del partito, al quale appartengo, ma nei confronti di un collega del Partito socialista dei lavoratori italiani, venuto a tenere un comizio nel giugno scorso; e, successivamente, nei confronti di un avvocato che teneva un comizio per l’Uomo qualunque. Tali comizi non poterono aver luogo ed il giornale osò protestare: soltanto per questo fu additato quale reazionario e quale un giornale dei nemici dei lavoratori. Non mancarono più o meno larvate minacce in pubblici comizi in cui si diceva che i locali del giornale avrebbero dovuto essere devastati.

Anche nella manifestazione del 20 settembre i comizianti si scagliarono contro la stampa dei reazionari e additarono pubblicamente il Corriere del Giorno, unico quotidiano del Salento, come uno degli organi di simile stampa: si provvide cioè ad incitare contro il quotidiano di Taranto il pubblico che assisteva alla manifestazione. Si può dire, quindi, che era inevitabile la conseguenza, ammesso che non fosse stata già preordinata. Il comizio si sciolse e si formò un corteo che passò per la principale via di Taranto, via d’Aquino, e poco oltre, arrivato all’altezza di via Acclavio, deviò decisamente verso i locali di questo giornale che, per usare una ormai nota terminologia, aveva compiuto la provocazione di installare i suoi impianti in quel luogo. Cacciati fuori gli operai, che si trovavano nei locali, si procedette alla devastazione completa di tutto quanto vi era; distruzione dei macchinari ed asportazione dei caratteri e dei materiali che erano nei locali stessi.

È necessario che io richiami l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità di tali fatti, che non sfugge a nessuno, anche perché tutti ricordiamo come nel 1922 una delle più comuni manifestazioni di violenza e di sopraffazione consisteva nel distruggere le sedi dei giornali, perché non fosse assolutamente possibile far sentire una libera voce.

A Taranto e nel Salento, non si era riusciti a costituire che un quotidiano: era questo ed ora è stato distrutto, e numerosi lavoratori sono rimasti senza lavoro. Come ho già detto, si tratta proprio di una manifestazione preordinata, rivolta a far tacere chi aveva osato levare una voce di critica.

Non è stato il solo episodio. Altri ne abbiamo avuti e di questi dovremo occuparci successivamente, ma penso sia doveroso fin d’ora richiamare l’attenzione di tutti i colleghi sul grave episodio, perché non si pensi che noi siamo disposti a lasciarci illudere da certe verbose dichiarazioni in netto contrasto con l’attività di chi le pronunzia. Certi puritani monopolisti dell’antifascismo debbono rendersi conto che non intendiamo combattere solo chi a parole o con canti dimostra nostalgie squadriste, ma, con energia anche maggiore, siamo decisi a combattere coloro che mostrano di volere restaurare la tirannia con l’assai più espressiva eloquenza dei fatti. (Vivi applausi al centro e a destra).

Colgo l’occasione per attirare l’attenzione dell’onorevole Ministro, al quale avevo rivolta al riguardo un’esplicita richiesta, sulla necessità di adeguare la nostra legislazione penale alle attuali condizioni. Non basta punire i singoli, oggi che i partiti sono chiamati effettivamente a svolgere una loro funzione nella vita pubblica: oggi che occorre riconoscere costituzionalmente l’importanza dei partiti, bisogna che, nel dare ad essi piene responsabilità e adeguati poteri, si stabilisca una loro responsabilità non solo civile, ma, ove occorra, anche penale (Commenti a sinistra) perché è troppo facile eccitare all’odio ed alla lotta e poi trincerarsi dietro la nebbia del delitto di folla. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).

Voglio sollevarmi al di sopra della questione momentanea, ma richiamo l’attenzione di tutta l’Assemblea, che in questo momento sta esaminando attraverso i suoi organi la necessità di difendere le istituzioni democratiche, voglio richiamare l’attenzione di tutti sulla opportunità di immettere i partiti nella vita costituzionale e precisare bene quali siano i loro poteri e quali le loro responsabilità.

È necessario difendere le istituzioni contro queste minacce di terrorismo e di tirannia, perché proprio di tirannia si tratta, non solo a Taranto, ma in varie altre parti d’Italia, in tutte quelle parti d’Italia dove risuona, ancora oggi di particolare e strana attualità, l’invettiva dantesca: «che le terre d’Italia tutte piene solo di tiranni, ed un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. (Commenti a sinistra).

Comunque, questa affermazione può considerarsi non soltanto per i fatti di Taranto ma per tutti gli altri. È un appello che rivolgo di fronte alla vile devastazione per la quale non posso condividere il biasimo, rivolto dall’oratore che mi ha preceduto, alla pubblica sicurezza, la quale, secondo quanto mi risulta, ha fatto quello che era in suo potere, e soprattutto non è esatto che abbia scortato i dimostranti nei locali.

Tengo, poi, a far notare che, compiuto l’arresto dei principali indiziati, il giorno successivo è stato tenuta in Taranto una nuova manifestazione per esaltare il gesto compiuto nel giorno precedente, e la manifestazione si è conclusa di fronte alla pubblica autorità per costringerla a rimettere in libertà coloro i quali siano stati fermati. Le autorità hanno fermamente e dignitosamente resistito, e di questo desidero che sia rivolto loro un plauso, mentre non posso plaudire agli episodi recenti nei quali altre autorità non hanno saputo agire con altrettanta fermezza.

Rivolgo quindi, un appello perché agisca con energia l’appello di chi sin dall’ingresso in questa Assemblea ha sempre combattuto il tripartito appunto perché intendeva che vi fosse una forte e leale opposizione, ma questa opposizione desidera che sia leale, cioè tale da contribuire realmente al bene del nostro Paese; opposizione leale che piace soprattutto a quanti sono contrari a concepire negli altri la slealtà, appunto perché abituati sempre ad agire con lealtà ad oltranza.

Questa nuova esortazione mi auguro venga accolta, anche se vari indizi fanno supporre che ancora una volta potrà rimanere inascoltata. E se non verrà accolta… dovrei qui, secondo lo stile di certi partiti, fare una minaccia, ma minacce noi non facciamo, non facciamo minacce noi che siamo abituati a reprimere nel silenzio il nostro dolore dinanzi ai nostri caduti per raccoglierne meditando la sacra eredità. Non è questo lo stile di chi di fronte a simili episodi di violenza, rifugge dal manifestare il proprio dolore con preordinate astensioni dal lavoro, che si risolvono in danno della produzione, cioè aggravano ulteriormente le sofferenze di quanti vivono in quotidiana lotta con la miseria.

Soprattutto ho voluto rivolgere questa esortazione perché sono convinto che la giustizia, la quale procede con passo lento ma inesorabile, finirà per affermarsi nella pubblica opinione. È proprio per effetto di questa graduale affermazione, che dovunque oggi nel mondo, dopo il sinistro imperversare di certe sinistre, fatale conseguenza delle catastrofi storiche, i popoli, stanchi di terrorismo e di demagogia si volgono ormai verso una più fausta parte dei Parlamenti, invocando salvezza. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gronchi, Uberti, Angelucci, Moro, Piccioni, Guidi Cingolani Angela, Giordani, Taviani, Di Fausto, Bonomi Paolo, Orlando Camillo, De Palma, Corsanego, Coccia, Dominedò, Caronia, hanno presentato la seguente interrogazione, al Ministro dell’interno, «per conoscere i risultati definitivi delle indagini sul bestiale assassinio dello studente Gervasio Federici, ed i provvedimenti che il Governo intende adottare, affinché la lotta politica non vada progressivamente degenerando in guerra civile, come vari recenti episodi fanno temere».

L’onorevole D’Onofrio ha presentato la seguente interrogazione, al Ministro dell’interno, «per conoscere i risultati dell’inchiesta sui fatti avvenuti a Piazza Dante a Roma la sera dell’11 ottobre e sulla tragica morte del giovane studente Gervasio Federici».

Le due interrogazioni potranno essere svolte congiuntamente, trattando materia analoga. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, le indagini prontamente esperite nella notte stessa del delitto mettevano in luce che una giovane donna vestita di rosso, e che faceva la borsa nera a Piazza Vittorio, aveva incitato all’assassinio; poi aveva tentato di impedire che si portasse soccorso alla vittima ed infine aveva vilipeso il giovane morente.

Subito individuata la donna nella persona di Felicetta Graziani veniva arrestata. Essa, dopo poche ore dal delitto, confessava la partecipazione ai fatti e forniva i particolari più salienti del tragico episodio. Dalle sue dichiarazioni risulta che al giovane Gervasio Federici, rimasto isolato in mezzo ad una turba di fanatici, fu intimato di gridare «Viva il comunismo».

Alla inaudita intimazione il giovane rispondeva «Morte al comunismo». Spinto contro il muro gli veniva inferta una coltellata nella schiena che raggiungeva la colonna vertebrale determinando la morte in pochi minuti per emorragia interna.

La Graziani non ha taciuto che il giovane mantenne contegno fierissimo e si sarebbe salvato se avesse accettata l’intimazione dei suoi aggressori. La stessa Graziani indicava nel compagno Alfredo Pozzi l’autore materiale del delitto. Aggiungeva che recatasi subito dopo il fatto alla sede della vicina sezione comunista incontrava il Pozzi, il quale si informava ansiosamente delle condizioni del ferito ed avuta notizia che questi era moribondo, si allontanava dichiarando che per tutta la vita avrebbe portato il rimorso dell’omicidio.

Queste dichiarazioni la Graziani ha confermato davanti al Procuratore della Repubblica prontamente chiamato.

La confessione della Graziani veniva resa alle ore 8 di domenica. Le ricerche effettuate dalla polizia durante la giornata di domenica e di lunedì alla casa del Pozzi e nel luogo di lavoro davano esito negativo. Il Pozzi si è costituito la sera di lunedì. Benché la confessione della Graziani fosse stata resa fin dalle prime ore del mattino di domenica, per un riguardo alle indagini in corso e nonostante l’ansiosa attesa della cittadinanza, la notizia veniva taciuta. Nel pomeriggio di domenica venivo informato che da elementi del Blocco venivano portati in giro per la città, su carrozzelle, grandi cartelli annunzianti l’arresto dell’assassino; e presso le sedi delle sezioni elettorali veniva diffuso un manifestino del seguente tenore: «Blocco del Popolo. Oggi alle ore 13 è stato arrestato il responsabile dell’omicidio dello studente democristiano Gervasio Federici, avvenuto ieri sera a Piazza Dante nella persona di un fascista repubblichino, reduce dal campo di concentramento di Coltano, domiciliato nel vicino Campo profughi. Cadono così tutte le infamanti accuse della stampa cosiddetta indipendente contro il Blocco del Popolo».

Di fronte all’evidente e tendenzioso falso, autorizzavo l’emissione del noto comunicato. Il comunicato fu diramato alle ore 19.40 e trasmesso col giornale radio delle ore 20, quando già le operazioni elettorali erano finite, o volgevano al termine.

Se tutti c’inchiniamo di fronte a chi testimonia, sino al sacrificio della vita, la fede nel proprio ideale, anche se per avventura erroneo o malefico, il nome di Gervasio Federici s’iscrive nell’albo glorioso del martirologio degli assertori di umane, civili e cristiane libertà; e un popolo libero addita il Suo sacrificio – monito ai vivi – all’ammirazione delle future generazioni.

Ciò sia di conforto all’inenarrabile dolore della famiglia alla quale, a nome del Governo, esprimo il sentimento del più profondo cordoglio. (L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi).

Onorevoli colleghi, l’episodio doloroso, rappresenta la più triste, la più tragica conclusione di una serie di manifestazioni che hanno caratterizzata la campagna elettorale romana e che devono richiamare la seria attenzione di questa Assemblea e del popolo italiano.

Qui non ci troviamo di fronte a un fatto per cui si può parlare di causa a effetto: Gervasio Federici non era un fascista repubblichino, non era un reazionario. Aveva combattuto tra i partigiani, in difesa della libertà del nostro Paese; era un democristiano.

Durante la lotta elettorale rappresentanti di partiti, che si erano distinti nella lotta per la libertà hanno subito l’oltraggio della violenza. Un deputato, l’onorevole Matteotti, è stato malmenato in Roma; altri deputati di partiti schiettamente democratici non hanno potuto parlare.

Manifestazioni di questo genere vanno ripetendosi in più parti d’Italia. L’episodio de Il Corriere del Giorno di Taranto non è isolato.

Di fronte a questi fatti, onorevoli colleghi, sorge un problema morale ed un problema politico. Problema morale: come è possibile che giovani, ragazzi, arrivino fino all’assassinio dell’avversario politico. Problema politico: di fronte al manifestarsi, all’intensificarsi di queste violenze, di questi attentati alla libertà; di fronte all’assassinio del Federici, l’opinione pubblica subisce profonde e vaste ripercussioni, e sono facili le comparazioni con altri tempi, onorevoli colleghi. E le ripercussioni che l’opinione pubblica subisce non possono essere corrette col confino di polizia o con leggi in difesa della Repubblica, con leggi eccezionali; perché nessuna legge eccezionale potrà impedire l’esplodere della ribellione dell’opinione pubblica a sistematici e generali attentati alla libertà. C’è un problema politico ed è questo: nell’interesse del Paese e della democrazia, noi non possiamo lasciare che la libertà sia più oltre insultata; non possiamo lasciar sorgere nel popolo italiano la convinzione che per difendere la propria libertà è necessario il ricorso alle armi, all’autodifesa del partito e dei gruppi; non possiamo lasciare che in Italia rinasca quella psicologia diciannovista che portò alle tragiche conseguenze di cui oggi ancora noi siamo le vittime e gli eredi.

Il problema politico riguarda i partiti e riguarda il Governo. Riguarda soprattutto i partiti democratici, coloro i quali credono che per la libertà si muore, non si uccide; riguarda il Governo al quale spetta il dovere di assicurare la libertà ai cittadini.

Di fronte al tragico episodio, io non vorrei dir parola che sonasse offesa a chicchessia; ma vorrei rivolgere soltanto un appello. Un appello perché, di fronte a questo episodio, di fronte al sangue versato, ciascuno di noi rientri in se stesso; e, di fronte al pericolo e al baratro che si apre dinanzi al Paese, si rientri nell’alveo della legalità; e ciascun partito comprenda che soltanto con i mezzi della democrazia e delle leali competizioni è lecito affermare il proprio diritto, e che ogni altro mezzo deve essere bandito.

Io penso che unanime debba essere l’esecrazione: ma non servirebbe a nulla l’esecrazione se dal sangue di questo giovane non sorgesse un monito e non sorgesse soprattutto un impegno morale di tutti noi a rispettare la libertà degli altri.

Il Governo che vuol rimanere sul terreno della democrazia; il Governo che anche di fronte a manifestazioni troppo ovviamente faziose, non si lascia sedurre dalla tentazione di ricorrere a mezzi eccezionali, il Governo si fa tuttavia garante di fronte al Parlamento e di fronte al Paese che si servirà di tutti i mezzi legali per garantire la libertà e la democrazia. (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GRONCHI. Onorevoli colleghi, io non vorrei – e spero che ciò non sia – che la mia replica alla risposta che l’onorevole Ministro dell’interno ha dato alla nostra interrogazione suonasse, anche soltanto nella forma, inopportunamente polemica. Dinanzi alla maestà della morte, specie quando essa assume aspetti così pietosi insieme e raccapriccianti, abbattendosi con tanta brutalità su una fiorente giovinezza, la rissa politica deve tacere, e le considerazioni, più che ad analizzare i dati del tristissimo avvenimento, più che a ricercare in una complicata esegesi politica quali ne possano essere le origini, devono essere rivolte verso l’avvenire; quasi un monito ad elevare la nostra vita politica a forme più civili e più degne.

Il Ministro dell’interno ha pronunciato nobili parole e le ha pronunciate con fermezza; ma egli mi consenta di dire come nell’animo di noi, non più giovani, si rifacciano vivi e angosciosi certi richiami del passato. Anche allora, dinanzi alla degenerazione delle lotte di partito che andava facendosi più grave, si elevavano accorati appelli da più parti della Camera acché la vita politica si allontanasse da forme e da mentalità di violenza; anche allora si invocava che il sangue sparso segnasse la fine di un sistema e aprisse le possibilità di una convivenza sociale più alta. La vicenda che ne seguì, e che noi tutti ricordiamo, anche perché vive tuttora nelle rovine delle nostre città, nel dolore delle nostre donne, nelle infinite devastazioni materiali e morali, di cui oggi l’Italia offre il doloroso spettacolo, condusse con tragico crescendo ad aggravare la situazione talmente, da rivelare, da un lato, impotenza dello Stato a dominarla, e dall’altro, determinazione violenta di una fazione per conquistare ed opprimere.

Ecco il monito che dovrebbe sorgere da questo triste, raccapricciante episodio.

Ha notato qualcuno che è profondamente significativo che soprattutto nella giovinezza, e nella prima giovinezza, questo germe dell’odio sia così operante e feroce. Questo è un segno che la lotta politica va regredendo verso sistemi, verso mentalità, di fanatismo, che sono inconciliabili con la tolleranza di ogni libera competizione politica. Segno è che la fede, che le fedi politiche varcano spesso quel confine del fervore, che è caratteristico delle sincere adesioni ad una idea, per abbassarsi ad una cieca superstizione, che è sinonimo di intolleranza. E allora si spiega come l’avversario politico – sia esso un individuo o sia un giornale – non debba essere, non possa essere combattuto con una tenace, sia pure impetuosa, propaganda, ma debba addirittura essere eliminato e soppresso.

Questo della violenza, o colleghi – inutile filosofeggiare sulle teorie o sulle esperienze del passato – è un triste pericolo per tutti i popoli. Questa suggestione della violenza che si insinua e finisce per colorare di sé ogni affermazione della propria idea, offre sviluppi e vicende che vanno oltre al pensiero, alle intenzioni, spesso alla buona volontà medesima, di coloro che vi soggiacciono. E quando io ho visto, anche in questa Assemblea, pronti non soltanto all’invettiva, ma anche alle vie di fatto, colleghi di certi settori, è accaduto a me, che rifuggendo dalla violenza non credo di avere il temperamento di un pavido (e sia lecito a questo proposito ricordare quanti di noi che pensano in questo modo hanno operato e nella guerra e nella lotta partigiana), di sentire quanto tristemente e pericolosamente significativa sia questa disposizione di animo, la quale esplode anche in episodi singoli, e di trarne – lasciate che ve lo dica – quasi il senso di un pericolo, che accresce l’amarezza del nostro animo in questo momento di lutto fraterno. Perché mi viene fatto di riflettere come episodi parlamentari, in apparenza insignificanti, si ripercuotono spesso nel Paese come il segno di un’intolleranza, che menti più semplici e rudi, meno capaci di giudizio adeguato, scambiano per un incitamento ad adoperare forme uguali nella lotta politica del Paese.

Quando – non ricordo precisamente in quale seduta – ad esempio, il collega Salizzoni mostrò i segni di un’aggressione che aveva subito, e dalla vostra parte (Indica la sinistra), o colleghi comunisti, una voce si levò ghignando: «Ne hai ricevute poche!», lasciate che io dica che tali atteggiamenti (sebbene non siano forse registrati da nessun resoconto della Camera) dànno a noi veramente il tormento di una estrema perplessità per l’affermarsi ed il consolidarsi della democrazia e della libertà nella nostra Italia. Perché, o colleghi di ogni parte della Camera, la libertà e la democrazia non trovano reale garanzia in nessun ordinamento se non sono divenute un costume, se non sono un modo di pensare e un modo di vivere, se cioè la legge non è che la codificazione di quanto è sentito profondamente dagli strati più larghi della collettività nazionale come una provvida esigenza comune. Ché altrimenti, la legge non può che raccomandarsi semplicemente alla sua efficacia di repressione, e la repressione è inefficiente quasi sempre, quando manca il senso della responsabilità nella coscienza collettiva.

Quando sentiamo parlare da ogni parte della Camera di pacificazione o di unità nazionale, noi rimaniamo alquanto scettici che l’una o l’altra si possano realizzare ove il costume politico non si corregga; noi, che crediamo di dare esempio di non ricorso alla violenza (non citatemi faticosamente qualche esempio o qualche episodio isolato, perché sta di fatto che noi annoveriamo un infinitamente maggior numero di percossi che non di percotitori, nel passato, nel presente e probabilmente nell’avvenire), noi, che obbediamo ad una legge la quale ci dà nella sua esperienza millenaria la riprova che vale più morire per la propria idea che non uccidere per essa.

Il Governo afferma – e di ciò gli diamo atto – che esso è cosciente della sua responsabilità ed è deciso a compiere ogni sforzo. Lo compia ed affronti con estrema chiarezza e con equanime energia la situazione! Non nascondiamoci i fatti che si vanno svolgendo sotto i nostri occhi, la situazione effettiva che vive sotto i nostri occhi! Troppe armi sono ancora in mano di troppa gente; triste fenomeno inevitabile dopo una guerra che ha percorso – si può dire – varie volte la nostra penisola in lungo e in largo, ma problema che, esaminato fin qui troppo spesso con retorica e politica superficialità, è rimasto insoluto per troppo larga parte.

Queste armi che esistono, queste organizzazioni che vanno formandosi (si fanno i nomi di capi che neppure essi dissimulano di avere compiti militari), queste iniziative che stanno fra il militaresco ed il politico, possono rendere vano ad un certo momento lo sforzo del Governo di imporre sopra la rissa politica, o peggio civile, l’autorità dello Stato. Anche nel 1920 e nel 1921, io ricordo, vi era una esposizione sistematica di buone intenzioni dei Governi che si succedettero, ma, poiché allora si lasciò armare come oggi si lascia armati, la forza e l’autorità ed il prestigio dello Stato vennero travolti.

Noi vogliamo che ciò non sia, noi ci auguriamo tutti che non sia, ma il problema dobbiamo porcelo; ed il Governo, che sta veramente al disopra delle aspre vicende dei partiti, deve rendersi conto come il pericolo esista, sia da parte di coloro i quali – dallo spirito di guerra e dallo spirito partigiano o da ideologie rivoluzionarie – hanno ereditato una mentalità di violenza che portano più o meno consapevolmente nella lotta politica, sia anche da parte di altri che più o meno apertamente vanno vagheggiando, con mentalità ugualmente antidemocratica ed illegale, rivolgimenti e ritorni, che noi, pur non sopravalutando, intendiamo di considerare nella loro potenziale consistenza e nel grado di pericolo che per il nostro Paese essi rappresentano.

E questo dico non per esortare il Governo; poiché so che esso segue da vicino anche questa attività di nostalgici la quale va intensificandosi da ogni parte, e se può essere talvolta esagerata come pretesto per ritorsioni ancora più violente, non può negarsi che esista in atto, con forme più o meno palesi. Ma per richiamare ancora una volta che non in una geometrica posizione di centro si deve simboleggiare l’azione di questo Governo; non nello sforzo di equidistanza fra due forze e due tendenze opposte: bensì nella consapevolezza che esso possiede – ne siamo sicuri – della necessità e del dovere di dare prestigio all’autorità dello Stato; autorità, che esso deve sapere imporre a tutti i cittadini insieme per la comune libertà, così che la lotta e la propaganda politica in ogni grado si svolgano nei limiti della legalità, cioè della tolleranza reciproca e del rispetto della legge, che sono inseparabili in un regime di effettiva democrazia.

Questa autorità dello Stato noi invochiamo, esprimendo la piena fiducia che le parole dette oggi dal Ministro segnino la sua linea di condotta inflessibile.

Sappiamo benissimo di non poter chiedere tutto al Governo e alla legge, e perciò quello che qualche scettico potrà definire un patetico appello a tutte le parti della Camera, risuona sul mio labbro mentre termino queste brevi parole. Credo che noi siamo in molti qui, in tutti direi – perché ho fiducia nello spirito di fedeltà e di devozione alle istituzioni parlamentari, che sono per eccellenza le istituzioni democratiche, da parte degli uomini che qui dentro siedono – credo che siamo tutti persuasi che una disciplina liberamente accettata risponda all’interesse del Paese e giovi allo svolgersi di una progressiva libertà e di una sempre meglio affermantesi democrazia. Ma ricordiamoci che tali invocazioni, se non le tradurremo in atto nella nostra condotta individuale e nelle attività di partito, possono apparire cinico espediente di abilità politica che copre metodi di disordine e di illegalità, ed offrire così il pretesto d’invocare ritorni che deprechiamo.

Nella vita politica vi è sempre un gioco di azione e di reazione spesso sottile che va tenuto presente, mentre i partiti spesso dimenticano che cosa possa provocare, nella coscienza dei singoli e in quella degli strati più sensibili della cosiddetta pubblica opinione, certo modo di concepire e condurre la lotta politica.

Attaccando l’avversario con metodi che offendono la libertà e la democrazia, spesso trasciniamo gli altri ad orientarsi verso forme di autorità, come fu anche per il fascismo. Quanto più ci allontaniamo dall’origine di questo, tanto più chiaramente avvertiamo che alla sua base iniziale stava un certo fermento idealistico che poi miseramente finì soffocato dalle dure esigenze della dittatura. Fermento idealistico vivo e naturale in piccola gente, la quale non aveva da difendere alcun privilegio, che non doveva conservare alcuna terra che non possedeva, ma che rampollava da un istinto di libertà ed insorgeva a reagire contro infatuazioni rivoluzionarie, oppressive della libertà.

L’onorevole Nenni ci ha detto: «Abbiamo superato il diciannovismo». Io voglio intendere questo diciannovismo nel senso più integrale, e raccogliere dalla sua parola questo senso di responsabilità che ci conduce a persuaderci come l’insurrezione e la violenza non siano sempre le migliori levatrici della storia, e portino spesso a turbamenti profondi di portata ed effetti incalcolabili ed imprevedibili per coloro che le provocano.

Perciò noi, per convinzione e per esperienza, rimaniamo decisamente fedeli al metodo della democrazia, a quel metodo che riconosce nello Stato il custode di tutte le libertà ed il garante della comune eguaglianza di fronte alla legge.

Questo morto giovinetto deve avere in questo culto della libertà l’omaggio dei suoi compagni di fede, che intendono raccogliere la sua definitiva testimonianza feconda: resistere validamente contro l’intimidazione e la violenza, contro le suggestioni dell’odio, che segnano l’anticiviltà per il nostro Paese, per l’intera umanità. Questo vuol dire che noi siamo, ed intendiamo rimanere rigidamente fedeli ai metodi della libertà e della democrazia, ed aiutare con ogni nostro sforzo il Governo, che ne deve essere garante e responsabile, affinché a tale nostra linea di condotta corrisponda la sua politica. (Vivissimi applausi al centro ed a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole D’Onofrio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

D’ONOFRIO. Onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione quanto il Ministro dell’interno ha dichiarato circa gli incresciosi avvenimenti di sabato sera (Commenti al centro). Ma nelle parole del Ministro dell’interno non ho trovato quella serenità e quella obiettività di giudizio che devono essere proprie di un membro del Governo, soprattutto qui in Parlamento, perché se è vero che è avvenuto un fatto increscioso (Commenti), deprecato e condannato da tutti, è però anche vero che su questo luttuoso avvenimento si è speculato e si continua a speculare. (Prolungati rumori ed interruzioni al centro e a destra).

Una voce al centro. Vorrei vedere se fosse stato un comunista cosa sarebbe successo! (Proteste a sinistra – Scambio di apostrofi).

D’ONOFRIO. Il fatto è grave, deplorevole e tanto più deprecabile in quanto da parte dei Partiti aderenti al Blocco del popolo è stato fatto durante tutta la campagna elettorale ogni sforzo (Commenti al centro) per evitare che la competizione elettorale a Roma fosse turbata da avvenimenti che non fanno onore alla cittadinanza, né ai partiti che sono in Roma. (Vivi rumori – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sapevamo, prima che incominciasse lo svolgimento delle interrogazioni, che si sarebbe trattato di un argomento doloroso e che ferisce profondamente, e penso che ciascuno di noi si era per l’appunto preparato a questa discussione. Vi pregherei, anche se alcune cose dovessero a qualcuno, a molti o a tutti dispiacere, di consentire che la discussione prosegua con quel senso di profondo raccoglimento con la quale è cominciata.

D’ONOFRIO. Vorrei premettere che quanto sto per dire mira a chiarire gli avvenimenti, a precisare le responsabilità. La mia intenzione è di collaborare alla ricerca della verità. Se, tuttavia, sono costretto qua e là a polemizzare con le posizioni politiche già assunte da altri a questo riguardo, credo di averne il diritto, in quanto durante tutta la campagna elettorale non si è fatto altro che lanciare calunnie contro di noi.

CARONIA. Non è vero!

D’ONOFRIO. La campagna elettorale della Democrazia cristiana a Roma è stata aperta con una grande riunione pubblica, annunciata con manifesti, ai Collegio Romano. Alla riunione parlò un deputato. Doveva prendere subito dopo la parola l’avvocato Mosconi, segretario del Comitato Romano della Democrazia cristiana. Invece dell’avvocato Mosconi, parlò l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, vale a dire la persona meno indicata a parlare in una riunione di parte, la persona meno indicata, per il posto che occupa e la funzione che dovrebbe assolvere al disopra dei partiti, a dare direttive di azione per la imminente campagna elettorale (Interruzioni – Commenti) e a indicare ai democristiani romani gli obiettivi politici della lotta elettorale. (Commenti al centro). Onorevoli colleghi di parte democristiana, siate pazienti. Non è che l’onorevole Scelba non debba occuparsi di politica, ma in quel momento egli aveva il dovere di ricordarsi di essere il Ministro dell’interno, cioè il Ministro della Repubblica, di tutti i cittadini e non dei soli democristiani… (Interruzioni – Commenti al centro).

CHIEFFI. Ci parli del delitto!

D’ONOFRIO. Non dubiti, ne parlerò. La campagna elettorale a Roma, sin dall’inizio, è stata influenzata direttamente dal Ministro dell’interno, e tutto lo svolgimento di essa è stato sottoposto all’interessamento continuo dell’onorevole Ministro, il quale ha mirato a limitare quanto più gli era possibile le libertà di azione dei partiti di sinistra. (Vivi rumori al centro e a destra – Commenti).

CHIEFFI. Le avete difese pugnalando alla schiena quel giovane.

D’ONOFRIO. Le difendiamo combattendo le vostre calunnie. Prevedevamo una battaglia elettorale animata ed abbiamo cercato di servirci di ogni mezzo, per evitare fatti incresciosi. (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Qual è il tema dell’interrogazione?

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare.

D’ONOFRIO. Allo scopo di evitare attriti proponemmo ai partiti democratici di Roma di venire ad accordi con noi del Blocco del popolo. (Interruzioni – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, potrei capire che ad un periodo compiuto dell’oratore seguano commenti o proteste, ma non riesco a comprendere come ciò avvenga ad ogni parola. (Interruzioni al centro).

Onorevoli colleghi, comprenderei una reazione generale di tutti, ma noto il fatto caratteristico che sono sempre gli stessi deputati ad interrompere; questi colleghi possono anche essere i più sensibili, ma tuttavia non hanno avuto mandato, credo, di dare voce, proprio essi, alla indignazione generale.

E poiché mi si è quasi richiamato a fare osservare il tema dell’interrogazione, penso che nessuno voglia sollevare qui una piccola disputa di procedura, alla quale nessuno, peraltro, si è attenuto, e giustamente e nobilmente. Si dica senz’altro se si desidera che la discussione sia limitata, oppure se si vuole, restando in quel piano di dignità, che è stato inizialmente voluto, andare a fondo della questione.

D’altra, parte, non è impedendo ad un oratore di questa Assemblea di parlare che si potranno risolvere i gravi e numerosi problemi, intorno ai quali si sta discutendo.

Onorevole D’Onofrio, prosegua.

D’ONOFRIO. Dicevo, dunque, che il Blocco del popolo, preoccupato di evitare attriti ed urti durante la campagna elettorale, e preoccupato, altresì, di non compromettere per l’indomani del 12 ottobre la possibilità di accordo, di collaborazione e di concordia tra i partiti democratici al Comune, propose, all’inizio della campagna elettorale, ai partiti democratici e repubblicani di Roma e, quindi, anche al Partito della Democrazia cristiana, di costituire un comitato rappresentativo comune per dirimere le vertenze e gli attriti che inevitabilmente sorgono durante le campagne elettorali; un Comitato che avesse potuto, con l’autorità che gli derivava dall’accordo di tutti i partiti, intervenire per far sì che la campagna elettorale si svolgesse in modo leale e cavalleresco. Facemmo queste proposte: a queste proposte la Democrazia cristiana, seguendo una sua fine educazione, come già ebbe ad indicare l’onorevole Giannini alcuni giorni fa in questa Camera (Commenti), non rispose o quando ha risposto, ha risposto in modo negativo e brutale.

Tenaci nella ricerca di un accordo abbiamo proposto alla Democrazia cristiana di associarsi a noi per intervenire presso le autorità al fine di evitare che a Roma avvenissero manifestazioni fasciste. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Non si allontani troppo dall’argomento, onorevole D’Onofrio!

D’ONOFRIO. Malgrado l’importanza del fatto, non avemmo dalla Democrazia cristiana la solidarietà che cercavamo. Quando si svolge una campagna elettorale occorre dimostrare già in alto tra coloro che dirigono che esiste concordia, che s’impone la necessità di evitare disordini e risse. Non fummo ascoltati. Allora per evitare disordini il Blocco del popolo diede a tutti i suoi aderenti la direttiva di non partecipare ai comizi degli altri partiti (Rumori al centro e a destra), di non chiedere contradittori in quei comizi, per evitare appunto qualsiasi pretesto di risse e disordini. (Commenti e interruzioni al centro e a destra).

MAZZA. Se ne è accorto anche l’onorevole Matteotti!

D’ONOFRIO. Onorevole collega, è chiaro che il Blocco del popolo, come pure ogni partito, non può rispondere di tutto quello che fanno coloro che non sono sottoposti alla sua disciplina (Interruzioni dell’onorevole Chieffi – Rumori).

Se c’è un’azione spontanea, da parte di gruppi di cittadini, contro questo o quel partito avversario, la colpa non può esser fatta risalire al Blocco del popolo ed ai partiti che ad esso aderiscono. Con tutta coscienza possiamo dire di aver evitato con i nostri interventi il fattaccio durante un mese e mezzo. Ma il fattaccio è avvenuto sabato sera…

Una voce al centro. Si tratta di un omicidio!

D’ONOFRIO. Chi l’ha compiuto? Domenica mattina i giornali pubblicavano un comunicato della Questura di Roma nel quale si dava già per certo chi era l’assassino. Ma il presunto assassino non era stato ancora arrestato e le accuse che gli venivano fatte non erano ancora state esaminate e controllate; niente, cioè, dava ancora diritto di dire che la versione data dalla ragazza arrestata corrispondesse a verità. (Rumori al centro).

Ma il comunicato della questura, oltre ad andare più in là di quanto era stato accertato, dichiarava che la ragazza era un’«accesa comunista» e che l’autore del delitto era anch’egli un comunista. (Interruzioni e rumori al centro). Né il questore, né le altre autorità si son date la pena di controllare se ciò fosse effettivamente vero. È stato pubblicato, e risponde a verità, che la ragazza arrestata è stata da tempo espulsa dal partito. (Interruzioni – Commenti al centro e a destra).

Questo volere, quindi, il giorno stesso delle elezioni denunciare come comunista l’omicida rivela l’intenzione di servirsi dell’accaduto a scopo elettorale. (Interruzioni – Rumori al centro).

Questa versione dell’accaduto durante tutta la giornata di domenica, ha fatto le spese di tutti gli interventi propagandistici non solo di tutti i giornali di Roma ma anche della radio. Alle ore 13 la radio Campidoglio, oltre a dare la solita versione degli avvenimenti, osò concludere, violando la legge, invitando gli elettori a non votare per il blocco degli assassini!

Poche ore dopo il questore in persona… (Interruzioni – Scambio di apostrofi) il questore in persona tenne una conferenza stampa. (Interruzione del deputato Chieffi), nella quale volle confermare con la sua autorità, per una seconda volta, la solita versione dei fatti, dando così un altro incitamento a svolgere la propaganda elettorale per la Democrazia cristiana contro il Blocco del popolo così come si era incominciato al mattino. (Rumori al centro).

Alle ore 20 il Ministro dell’interno tornò alla carica elettorale ed emanò quel suo comunicato, col quale volendo sconfessare tutte le voci, secondo il Ministro dell’interno false, dava la solita versione degli avvenimenti, e ribadiva i motivi favorevoli alla campagna elettorale della Democrazia cristiana. (Vivissimi rumori – Interruzioni al centro – Commenti).

Onorevoli colleghi, il fatto luttuoso e doloroso di sabato sera ha due momenti: il primo, che è stato caratterizzato da una baruffa tra attacchini del Blocco del popolo ed attacchini della Democrazia cristiana, una di quelle baruffe senza conseguenze e che verteva sul fatto che uno aveva attaccato i propri manifesti su quelli dell’altro. Cosa da nulla; senonché gli attacchini della Democrazia cristiana chiamarono i loro dirigenti e denunciarono il fatto. Il dottor Volpi, della Democrazia cristiana, invece di telefonare alla polizia per invitarla ad intervenire prontamente a metter pace e a regolare ogni cosa, si sostituì alle autorità ed inviò sul posto tre camion carichi di suoi uomini. Quante persone erano sui camion? Erano esse tutte della Democrazia cristiana? Quali ne sono i nomi? Li conosce il questore? Ha indagato il Ministro? No, onorevoli colleghi, su questa circostanza si tace. Intanto dalle informazioni che noi abbiamo, – ne prenda nota il Ministro – le persone che erano sui camion erano armate di bastoni, erano armate di randelli (Interruzioni al centro) e giungendo sul posto vennero scambiate dalla popolazione per fascisti. (Interruzioni – Rumori al centro e a destra – Scambio di apostrofi).

Tanto ciò è vero che un giovane presente all’arrivo dei camion, un tale Marcello Ficatelli, si recò subito dal commissario del Celio a denunziare che in Piazza Dante erano arrivati tre camion di fascisti e che bisognava intervenire.

BENEDETTINI. Voi vedete sempre i fascisti dappertutto!

D’ONOFRIO. Il commissario (onorevole Scelba, è bene che lei controlli) non diede peso alla cosa. Certo è che se la polizia fosse intervenuta a tempo si sarebbe evitato il fatto luttuoso.

L’impressione che ebbero le persone del posto all’arrivo dei camion fu precisamente quella che si trattava di fascisti del Movimento sociale italiano. Gli sfollati che abitano nella scuola vicina, al grido di allarme, che erano arrivati i fascisti, scesero anch’essi in piazza. Quante persone erano presenti alla colluttazione? Non meno di trecento, signori della Camera.

Una voce al centro. Ha fatto un’inchiesta?

D’ONOFRIO. Si capisce.

Questi dati di fatto che cito credo che debbano per lo meno far pensare, prima di accettare per buona e vera la versione iniziale data dalla Questura e dal Ministro. Esse inducono piuttosto a ritenere che tanto la Questura quanto il Ministro siano stati presi da una precipitazione inconsueta in questi casi. In effetto, prima ancora che l’autorità giudiziaria intervenisse e prima ancora che ogni denuncia fosse stata controllata, si sono dati in pasto al pubblico delle indicazioni che possono pregiudicare la stessa indagine giudiziaria. (Interruzioni al centro – Commenti).

La speculazione elettorale e politica, onorevoli colleghi, risulta evidente. (Vive proteste al centro – Scambio di apostrofi).

Abbiamo avuto in Italia in questi ultimi tempi molti dei nostri: comunisti, socialisti, organizzatori sindacali bastonati, uccisi. (Proteste al centro). Nessuno, né il signor Ministro dell’interno, né il Presidente del Consiglio, né i rappresentanti della Democrazia cristiana hanno fatto lo scalpore che hanno fatto per il giovane democristiano ucciso sabato. (Rumori al centro e a destra – Interruzioni).

I nostri morti, i morti del popolo non valgono quelli degli altri! Ma il più grande affronto fatto al Blocco del popolo, ai partiti che ad esso aderiscono, alla cittadinanza romana che ha votato per noi (Rumori al centro), sono stati quei manifesti che in occasione dei funerali sono stati affissi sui muri di Roma (Interruzioni al centro) nei quali non si esprime soltanto il cordoglio attorno alla salma del giovane caduto, cordoglio che tutti quanti noi condividiamo, cordoglio al quale ci siamo associati fin dal primo momento; ma in quei manifesti listati a lutto che dovevano appunto indurre a raccogliersi attorno alla bara del Federici tutta la cittadinanza romana senza distinzione di partito, in quei manifesti si faceva ancora una volta una speculazione politica, tacciando gli aderenti al Blocco del popolo come assassini, come gente che avrebbe ucciso il giovane Federici per sopprimere la libertà. (Rumori prolungati al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole D’Onofrio, concluda.

D’ONOFRIO. Ho finito. Vorrei anch’io porre una domanda. (Vivi rumori al centro – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.

D’ONOFRIO. Non voglio fare della filosofia sulla violenza, come ha fatto l’onorevole Gronchi. Io chiedo: da che cosa deriva tutto questo stato d’animo, tutta questa eccitazione? (Rumori al centro).

BENEDETTINI. Dall’azione diretta: ecco da che cosa deriva!

D’ONOFRIO. Deriva, onorevoli colleghi, dalla politica di discordia che il Governo persegue. (Vive proteste al centro). In un discorso tenuto a Roma l’onorevole De Gasperi…

Una voce al centro. Si discute la politica del Governo? (Commenti).

D’ONOFRIO. …l’onorevole De Gasperi diceva: (Proteste al centro – Vivi rumori) «Vi è un nemico che non ha scrupoli e che soprattutto non ha scrupoli circa i bersagli e circa le armi». Il nemico che non ha scrupoli e non bada all’uso delle armi per l’onorevole De Gasperi saremmo noi. (Interruzioni al centro – Vivi rumori).

«Io vi domando – diceva l’onorevole De Gasperi ai democristiani di Roma – coraggio, prudenza, ma anche impeto di battaglia: che ciascuno prenda i suoi impegni come se partisse per un lungo viaggio, perché la battaglia sarà dura».

GULLO FAUSTO. Questo è un incitamento alla guerra civile. (Proteste al centro).

Una voce al centro). Viene da voi l’incitamento! (Rumori – Scambio di apostrofi).

D’ONOFRIO. In queste parole dell’onorevole De Gasperi c’è un allarmismo che non è giustificato. Il Partito comunista, che ha contribuito alla conquista della libertà sacrificando la vita dei suoi migliori quando molta gente, oggi coraggiosa, preferiva restare chiusa in casa, agisce alla luce del sole ed è garanzia di libertà. (Vivissimi rumori al centro e a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Facciano silenzio!

D’ONOFRIO. Non c’è chi non veda che in queste parole dell’onorevole De Gasperi è contenuto un chiaro incitamento alla lotta e alla violenza. (Vive proteste al centro e a destra – Interruzioni).

Una voce al centro. È un’irrisione, questa!

PRESIDENTE. Onorevole D’Onofrio, la prego di concludere!

D’ONOFRIO. Onorevoli colleghi di parte democristiana, se si vuole realmente creare nel nostro Paese un’atmosfera di tranquillità e di pace, bisogna che queste parole di discordia dell’onorevole De Gasperi non siano ripetute e, soprattutto, non siano seguite dalla Democrazia cristiana. (Vivi rumori – Commenti al centro e a destra – Applausi all’estrema sinistra).

BENEDETTINI. Il popolo italiano ha aperto gli occhi, ormai, e ne sa abbastanza dei vostri sistemi. (Proteste a sinistra – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, penso che se chiudessimo questa seduta senza che il Presidente dell’Assemblea esprimesse il pensiero che, ne sono convinto, forse trova in fondo concordi tutti, il Presidente mancherebbe ad un suo dovere.

Purtroppo, nella storia, la conquista della libertà ha sempre voluto un suo prezzo di sangue; ma non l’esercizio della libertà (Approvazioni): una cosa è conquistarla, e altra cosa è poi fruirne e goderne; e non dovrebbe invece imporsi questo tragico tributo per l’esercizio della libertà. Quanto meno, tutti sono d’accordo che il popolo italiano non vuole e non deve più pagarlo. (Approvazioni).

Non vi sono spiegazioni che possano attenuare il senso di affanno e di dolore che ogni violenza omicida suscita in tutti. Il lutto che ha colpito una famiglia, che era lieta, ed oggi è prostrata dal dolore, e che ha colpito un importante partito italiano e il popolo tutto di Roma, non può non essere anche lutto dell’Assemblea Costituente.

Personalmente ho inviato ai genitori infelici queste parole: «Unendomi all’unanime condanna per la violenza omicida che, misconoscendo la libertà riconquistata, ha piombato in un dolore atrocissimo il loro cuore, mi inchino alla salma compianta, cui il popolo romano si accinge a tributare reverenti e commosse onoranze».

Ma non sono certamente i sentimenti personali e i pensieri dei singoli che potranno sbarrare il passo al ritorno della violenza, di una violenza che tutti debbono deprecare.

Occorre una volontà unanime a questo scopo, una volontà schietta, decisa, di tutti gli italiani, di tutti gli italiani democratici, che hanno, nel comune sacrificio, riaffermato la libertà nel nostro Paese. Ed io vorrei che non solo la voce, ma l’attività concreta dell’Assemblea Costituente fosse un cemento consapevole e indistruttibile di questa comune volontà. (Vivi, generali applausi).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sull’emendamento Laconi-Grieco al primo comma dell’articolo 69, nuovo testo, del progetto di Costituzione:

Presenti e votanti     295

Maggioranza           148

Voti favorevoli        135

Voti contrari                        160

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Ayroldi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camposarcuno – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giolitti –Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzadri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Magnani – Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Monticelli – Montini – Morandi – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Persico – Pesanti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Selvaggi – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valiani – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Angelini.

Bonino.

Caporali – Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Roselli.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 13.50.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sui lavori dell’Assemblea:

Tonello

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Presentazione di un disegno di legge:

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Perassi

Preti

Colitto

Moro

Clerici

Nobili Tito Oro

Costa

Nobile

Persico

Mortati

Caronia

Tonello

Laconi

Tosato

Micheli

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Lucifero

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.10

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Sui lavori dell’Assemblea.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Per un senso di riguardo verso i colleghi, che si sono recati ai funerali del giovane Federici domanderei che sospendessimo per mezz’ora la seduta.

PRESIDENTE. Penso che tutti i colleghi concordino sulla proposta dell’onorevole Tonello. Pertanto, sospendiamo la seduta per mezz’ora.

(La seduta, sospesa alle 17.30, è ripresa alle 18.10).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Romita rinunziato a far parte della Giunta per il Regolamento, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Nobili Tito Oro.

Ho poi chiamato l’onorevole Cavallari a far parte della Commissione per l’esame delle leggi elettorali, in sostituzione dell’onorevole Ravagnan, dimissionario.

Presentazione di un disegno di legge.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare il disegno di legge:

«Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica dei componenti».

Prego l’onorevole Presidente di voler nominare una Commissione speciale che esamini d’urgenza questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro di grazia e giustizia della presentazione di questo disegno di legge, e chiedo alla Camera se consente alla richiesta di nominare una apposita Commissione che possa riferire di urgenza.

(Così rimane stabilito).

Mi riservo di comunicare i nomi dei componenti la Commissione.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Dobbiamo esaminare l’articolo 68. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti cui sia conferita da legge costituzionale.

«Il popolo ha sempre l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un disegno redatto in articoli».

PRESIDENTE. All’articolo 68 è stato presentato un solo emendamento: quello dell’onorevole Perassi, del seguente tenore:

«Al secondo comma, sopprimere la parola: sempre».

Onorevole Ruini, qual è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accetta.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. La parola «sempre» è inutile: in omaggio allo spirito deflazionistico, sopprimiamola.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 68:

«L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti cui sia conferita da legge costituzionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma con l’emendamento soppressivo dell’onorevole Perassi:

«Il popolo ha l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un disegno redatto in articoli».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 69. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto.

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Su richiesta del Governo o del proponente, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di un disegno di legge sia deferito ad una Commissione composta in modo da rispettare la proporzione dei gruppi alla Camera, e che su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discutere, salve le dichiarazioni di voto.

«Tale procedimento non è applicabile ai disegni di legge concernenti l’approvazione dei bilanci e l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento dagli onorevoli Preti, Rossi Paolo e Corbi, del seguente tenore.

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge di carattere costituzionale e quelli concernenti l’approvazione dei bilanci, l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e la delegazione dei poteri legislativi al Governo sono previamente esaminati da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e devono essere approvati dalle Camere, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto.

«L’esame di ogni altro disegno di legge, salvo contraria richiesta del Governo o di almeno un decimo dei membri della Camera, è deferito ad una Commissione composta in modo da rispettare le proporzioni dei gruppi alla Camera. Su relazione della Commissione si procede alla votazione senza discutere, salvo le dichiarazioni di voto».

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Credo che noi tutti siamo d’accordo nel riconoscere che la procedura prevista dall’articolo 69 del progetto è troppo pesante. Noi dobbiamo adottare un testo maggiormente adatto alle necessità della legislazione moderna.

I dibattiti svoltisi fino a questo momento hanno dimostrato ad abundantiam che l’Assemblea plenaria – anche prescindendo dalla troppo nota considerazione che essa non avrebbe a disposizione uno spazio di tempo sufficiente – non è l’organo idoneo alla discussione delle leggi di ordinaria amministrazione. L’assenteismo dei deputati ne è la chiara riprova.

I dibattiti in Assemblea plenaria hanno ragion d’essere soltanto quando si discutono i grandi problemi che interessano la Nazione. Allora gli oratori che parlano da questi banchi parlano al popolo italiano.

Pertanto la discussione ed approvazione della legge, articolo per articolo, deve esser riservata all’Assemblea plenaria solo in ordine a quelle materie che, di regola, implicano un’importante decisione politica da parte dei gruppi responsabili. A questa categoria mi pare che non appartengano se non le leggi costituzionali, quelle di approvazione dei bilanci e dei trattati internazionali, e quelle relative alla delega legislativa.

La stessa Inghilterra, pur così tradizionalista, ci ammonisce che oggi è necessario procedere all’esame delle leggi ordinarie attraverso le Commissioni; le quali, in sostanza, sono organi tecnici specificamente competenti, che assolvono, con risparmio di tempo e con assai maggiore precisione, un compito cui l’Assemblea plenaria sarebbe impari.

Nel mio emendamento ho previsto pertanto che all’Assemblea plenaria sia riservata semplicemente la votazione finale in ordine a quei progetti di legge che non rientrano in nessuna delle quattro categorie dianzi menzionate, a meno che il Governo o un certo numero di membri della Camera non avanzi contraria istanza.

Gli emendamenti presentati dagli onorevoli Perassi e Persico, pur fondandosi su una diversa tecnica, si propongono il medesimo mio obiettivo: abbreviare e razionalizzare la procedura legislativa. Ritengo pertanto che si possa trovare una formula, che accontenti sia me che gli altri presentatori di emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: secondo le norme del rispettivo regolamento, aggiungere le seguenti: la quale ne propone l’accoglimento, il rigetto o la modifica, nominando nel suo seno un relatore».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo, mantenendolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORO. Il mio emendamento, signor Presidente, si illustra con pochissime parole. Esso tende a sopprimere nell’articolo 69 del progetto di Costituzione il richiamo allo scrutinio segreto come mezzo necessario di votazione finale dei disegni di legge. Ora, il problema della votazione per scrutinio segreto fu sollevato in questa Assemblea già in sede di Giunta del Regolamento, perché, in effetti, nel corso di questi nostri lavori, l’uso e forse l’abuso che si è fatto di questo mezzo di votazione hanno dimostrato l’opportunità di rivedere per lo meno le modalità che lo regolano. Io non voglio entrare nel merito della ammissibilità o meno di questo mezzo di votazione nella Camera. Però mi ripugna che si faccia richiamo, nientemeno che nel testo costituzionale, a questo sistema particolare di votazione del quale si possono dire due cose: da un lato tende ad incoraggiare i deputati meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee, e dall’altro tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale, per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato. Da quanto ho detto risalta che il problema ha carattere regolamentare e che più opportunamente sarà deciso dalla Camera futura o anche da questa Assemblea, ma in altra sede.

Quindi la mia richiesta di soppressione non significa respingere il principio della votazione per scrutinio segreto – cosa che resta impregiudicata e va deferita per la sua decisione alla sede regolamentare – ma solo è rifiuto a consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, naturalmente, mi associo a quanto è stato esposto nell’emendamento soppressivo dal collega ed amico onorevole Moro, alle cui osservazioni completamente mi rimetto, limitandomi a sottolineare soltanto un punto. Io credo che nessuna Costituzione contempli lo scrutinio segreto, perché è questa una delle questioni tipicamente regolamentari. Quindi noi dobbiamo lasciare impregiudicata la questione dei sistemi di scrutinio per le Camere future e non trattarla nella Costituzione, che, speriamo, durerà decenni. Infatti io mi auguro che frattanto l’esperienza possa trovare, anche con l’aiuto di qualche ausilio meccanico, qualche nuovo sistema di scrutinio che faccia risparmiare ai nostri successori tutto il tempo che da noi si perde in lunghe ore di fila o di attesa nei banchi allorché votiamo con il sistema dello scrutinio segreto, o dell’appello nominale. Rimettiamo per ciò alla Camera futura di stabilire le varie forme di scrutini, che sono questioni di natura e materia regolamentari. Chiedo all’onorevole Presidente che, in considerazione di quanto ho detto, sia messa ai voti per divisione l’ultima parte del primo comma dell’articolo in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro, ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: a scrutinio segreto, sostituire le parole: per appello nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Il mio emendamento si ispira alle stesse considerazioni alle quali si sono ispirati i colleghi che hanno testé parlato, ma il suo svolgimento presuppone una questione preliminare che non va sottaciuta. L’articolo 69 sancisce al terzo comma un’importante deroga ai principi di diritto costituzionale, riconoscendo a ciascuna delle due Camere il potere di delegare a una Commissione formata con criteri di proporzionalità politica, l’esame e la discussione di un disegno di legge, riservando all’Assemblea che, su relazione della Commissione, si proceda alla votazione, senza discutere, salvo le dichiarazioni di voto. Siffatta deroga, come è lecito presagire in base agli emendamenti già presentati e a quelli che si annunciano, raggiungerà l’effetto, nelle deliberazioni di questa Assemblea, di riconoscere ai due rami del Parlamento la facoltà di delegare alle Commissioni di cui sopra l’approvazione stessa di leggi urgenti e di interesse secondario, quanto dire del potere legislativo, del quale essi dovrebbero essere, secondo la pura tradizione costituzionale, depositari e custodi.

Si comprende, pertanto, che un così grave riconoscimento debba considerarsi materia di Costituzione; ma non si comprende come, a introduzione di questa innovazione, si sia preteso di premettere, coi primi due commi, delle regole che sono fuori della materia della Costituzione e che appartengono esclusivamente ai poteri interna corporis di ciascuna Camera, che li esercita, dando a se stessa il Regolamento della propria attività, Regolamento che trova la sua più indispensabile funzione nel procedimento di formazione delle leggi.

Sotto questo aspetto, pertanto, i primi due commi dell’articolo 69 andrebbero completamente soppressi, per non invadere il campo riservato alla funzione autoregolamentare delle Camere legislative; comunque, anche se non si volessero sopprimere per ragioni di sistematica e per completezza di indicazioni sul procedimento di formazione delle leggi, si dovrebbe per lo meno rinunciare a pretendere di pregiudicare l’esercizio della facoltà regolamentare coll’imporre, in questa sede, una norma di votazione finale delle leggi piuttosto che un’altra, anziché lasciar liberi i due rami di sceglierla e stabilirla da sé: quanto dire che dovrebbe per lo meno sopprimersi, alla fine del primo comma, la votazione a «scrutinio segreto».

Questo ho dichiarato nella riunione testé tenuta cogli altri presentatori di emendamenti e col Presidente della Commissione, onorevole Ruini. E mi sono dimostrato propenso (ove fosse accettata la proposta di soppressione, che lascerebbe impregiudicata la questione della forma di votazione e la riserverebbe ai Regolamenti dei due rami del Parlamento) a rinunciare al mio emendamento, col quale chiedo che si stabilisca fin d’ora che la votazione finale delle leggi avvenga per appello nominale anziché a scrutinio segreto.

Il voto a scrutinio segreto è stato ripudiato da tutte le Costituzioni, fuorché da quella bulgara. Esso è stato introdotto nei periodi di decadenza e di oppressione. Negli arenghi dei liberi comuni, pubblica e palese era la manifestazione del voto, come libera era stata in Roma repubblicana. Il voto a scrutinio segreto non rivela né schiettezza, né lealtà, né sicurezza nell’assumere la responsabilità dell’opinione che si manifesta, anzi che non si manifesta, ma che si affida al segreto dell’urna. Non garantisce, in conseguenza, la ponderazione di chi sa di dover rispondere del proprio voto.

Con la votazione a scrutinio segreto si impedisce il controllo dell’opinione pubblica e soprattutto quello del corpo elettorale sui propri deputati. Al contrario, il voto per appello nominale, che io propongo in sostituzione di quello a scrutinio segreto, si afferma strumento di educazione civile, di avviamento alla sincerità nei rapporti sociali e nella vita pubblica; impedisce quel «doppio giuoco» che, ormai, è entrato disgraziatamente in tanta parte del costume politico.

Per tutte queste considerazioni ho proposto la sostituzione dell’appello nominale allo scrutinio segreto.

Ma nella discussione intervenuta fra i presentatori di emendamenti e la Commissione è stato riconosciuto che, se è opportuno non stabilire, alla fine del primo comma, la forma di votazione a scrutinio segreto, è altrettanto opportuno di evitare la prescrizione della forma di votazione per appello nominale. Occorre rispettare il diritto, che spetta alle Camere legislative di determinare esse, ciascuna col proprio Regolamento, anche la forma di votazione da seguire per la finale deliberazione su ciascuna legge.

Per queste ragioni, io ho rinunciato alla sostituzione dell’appello nominale allo scrutinio segreto ed ho accettato la proposta dell’onorevole Ruini di sopprimere completamente, nel primo comma, l’indicazione della forma di votazione. E confido che alla risoluzione concordata vorrà ragionevolmente informarsi anche l’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, lei ha presentato altri due emendamenti a questo articolo:

«Al terzo comma sopprimere le parole: e che, su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discutere, salve le dichiarazioni di voto».

«Sopprimere il quarto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Al momento della presentazione dell’emendamento la Commissione non appariva chiaramente orientata verso la completa delega, da parte della Camera, dei poteri legislativi a Commissioni, formate sia pure colla rappresentanza proporzionale di tutti i partiti, e limitatamente a leggi urgenti e di più scarso rilievo; si era accontentata di delegare ad esse l’esame e la discussione, riservando alle Camere di votarle in Assemblea senza discussione, in base alla relazione della Commissione e colla sola facoltà di dichiarazione di voto. Da ciò il mio emendamento, rivolto a rivendicare all’Assemblea anche il diritto di discussione.

Ma gli emendamenti presentati hanno portato la Commissione a orientarsi, per determinate materie e per casi di urgenza, a una completa delega di poteri legislativi, per effetto della quale le Commissioni potranno essere investite anche della votazione delle leggi deferite al loro esame.

Di fronte a questa profonda e imprevista modificazione del testo del progetto veniva a mancare il presupposto del mio emendamento e a me non rimaneva altra possibilità che quella di riservare a me e al mio Gruppo il diritto di sostenere il testo originario del progetto e, in relazione ad esso, il mio emendamento, tendente a riservare all’Assemblea nelle ipotesi contemplate nel terzo comma, oltre al diritto di votare le leggi in esso previste, anche quello di eventualmente discuterle.

Non ho escluso per altro, e non escludo, la possibilità di votare il nuovo testo qualora esso faccia salvo il diritto, da parte dell’Assemblea o di un determinato numero di deputati o delle Commissioni stesse, di chiedere, quando se ne ravvisi un fondato motivo, che tati leggi siano esaminate direttamente dall’Assemblea medesima. E tale possibilità confermo.

Quanto alla proposta soppressione del quarto comma ho già dichiarato alla Commissione di non insistervi e la ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo e il quarto comma con i seguenti:

«Il regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento che ho presentato riguarda il terzo e il quarto comma dell’articolo 69. Nel mio pensiero, quindi, il primo ed il secondo comma restano così come sono stati formulati.

Il primo comma ha per iscopo di determinare il procedimento normale di esame e di approvazione delle leggi, stabilendo il particolare principio che la Camera vota articolo per articolo e vota poi complessivamente sul disegno di legge.

Il secondo comma prevede che il Regolamento di ciascuna Camera stabilisca procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge di carattere urgente. Queste due disposizioni non sono toccate dal mio emendamento.

Invece, io ritengo opportuno di riesaminare e di formulare diversamente il terzo comma, che, fra questi che abbiamo sott’occhio, è il più importante.

E devo fare anzitutto una constatazione di notevole interesse generale ed è che da tutte le parti della Camera, si può dire, è stata avvertita l’esigenza di far fronte ad una situazione che l’esperienza ha messo in evidenza e cioè che le Camere dello Stato moderno sono ingombrate di lavoro legislativo, la macchina di produzione delle leggi è diventata una macchina che deve lavorare enormemente.

È vero che l’adozione dell’ordinamento regionale potrà avere una notevole influenza di deflazione di questa macchina centrale legislativa, ma non c’è da farsi, a questo riguardo, molte illusioni. Il Parlamento centrale avrà sempre molto da fare.

Ora, si è posto sotto la spinta, l’aculeo della necessità, questo problema: è possibile studiare qualche organismo per cui si renda più facile il funzionamento della macchina parlamentare legislativa? L’esperienza, dicevo, indica a questo riguardo la via da seguire. Tutti voi avete avuto occasione di notare che le poche leggi ordinarie che sono state esaminate dall’Assemblea Costituente hanno richiesto un numero notevolmente lungo di sedute, con discussioni talora confuse. Un’altra osservazione a questo riguardo si può fare: io ho avuto la curiosità di vedere, ad esempio, quanti deputati hanno partecipato alla discussione dell’imposta patrimoniale o della legge comunale e provinciale. Un numero ristrettissimo: 40-50, non più di 60. Allora si pone questo problema: in che modo sveltire la macchina legislativa? Nella seconda Sottocommissione era stato già esaminato questo problema e ne era venuto fuori il terzo comma. Era un primo passo su questa via.

Io credo che occorra fare un passo più in là, ossia avere il coraggio di dire che la Camera per taluni casi possa deferire non soltanto l’esame, ma anche l’approvazione di un disegno di legge a Commissioni che siano costituite, naturalmente, in maniera da rispecchiare la proporzione dei Gruppi.

Il terzo comma, così come formulato nell’emendamento, afferma precisamente questo concetto, stabilendo che il Regolamento può indicare i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera. Rilevo anzitutto che questa formula lascia una facoltà al Regolamento. Dice «può», quindi la questione è rimessa al Regolamento. Osservo inoltre, per mettere in evidenza la portata di questa norma, che è certamente una norma delicata, che il Regolamento di ciascuna Camera, in virtù di una norma che noi abbiamo già inserito nella Costituzione, non può essere adottato da ciascuna Camera se non a maggioranza assoluta dei propri componenti. Quindi il Regolamento offre notevoli garanzie.

In sede di formazione del Regolamento è evidente che ciascuna Camera avrà cura di regolare l’applicazione di questo principio mettendo tutte le cautele e le garanzie che riterrà opportune.

Non voglio fare della casistica, né precisare ora queste cautele e condizioni, ma se ne possono indicare molte. Ciò che è importante è di rilevare che la Camera, facendo il Regolamento, ha tutte le libertà e certamente di questa libertà userà nel senso di indicare in maniera precisa le cautele con le quali questa norma eccezionale dovrà essere applicata. Aggiungo che questa formula è stata esaminata in quella piccola riunione che abbiamo tenuto nell’intervallo dei lavori di questa seduta, e che questo emendamento è stato preso in considerazione, ed è stata suggerita da diverse parti anche qualche limitazione, ad esempio, questa: che, ferma restando la possibilità al Regolamento di determinare i casi e le forme nelle quali avviene questo deferimento di disegni di legge alle commissioni anche per l’approvazione, tuttavia, su richiesta del Governo o di 30 deputati, il disegno di legge debba seguire, invece, la procedura ordinaria, ossia essere sottoposto per l’approvazione direttamente alla Camera.

Questa cautela può essere riassunta com’è stato proposto al Comitato, mediante un inciso che prenderebbe posto nel testo dello emendamento dopo le parole «in cui». Ossia si direbbe:

«…in cui, salva contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame ecc.».

Per conto mio non ho difficoltà ad accedere a questo suggerimento, inserendolo nel testo dell’emendamento.

Resta il quarto comma, che ha un altro scopo: quello di precisare in maniera netta che vi sono alcuni disegni di legge di certe categorie, per i quali non si può derogare al procedimento normale che è indicato nel primo comma. Questo comma già esisteva, in fondo, nel progetto della Costituzione; soltanto è stato integrato. Già l’onorevole Costa in un suo emendamento aveva rilevato la necessità evidente di comprendere fra i disegni di legge per i quali non è possibile derogare al procedimento ordinario, i disegni di legge di carattere costituzionale. Questo è evidente.

Io ho ritenuto opportuno includere anche un’altra categoria, ossia i disegni di legge per la delegazione legislativa al Governo.

Su questo quarto comma mi pare che non potrà sorgere discussione.

Mi limito a concludere mettendo in opportuna evidenza la questione del terzo comma: questa è una questione grossa che si presenta. Mi auguro che la Camera in questa occasione esamini il problema, prescindendo da punti di vista politici. È una questione che interessa tutti, perché si tratta di risolvere il problema di un proficuo lavoro del Parlamento, ricordando che se il Parlamento, date le sue procedure, è messo in condizioni tali da non poter far fronte ai fabbisogno normale della produzione legislativa, è evidente che si aprono altre vie. Sarebbe difficile, in questa ipotesi, impedire che il Governo assuma poteri legislativi.

Raccomando pertanto alla Camera di esaminare con molta meditazione questo emendamento, tenendo conto che, in fondo, si tratta di un punto di vista che è stato accolto da molte parti. Mi auguro pertanto che l’Assemblea vorrà aderire a questa proposta del Comitato.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Ciascuna Camera può suddividersi in Commissioni permanenti per l’esame di gruppi di provvedimenti di legge, composte tuttavia in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari.

«Ciascuna Camera può deliberare, anche su richiesta del Governo o del proponente, che l’esame di un disegno di legge sia deferito a una Commissione permanente o a una speciale Commissione, costituita in modo analogo, e che su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discussione, salve dichiarazioni di voto. Le sedute delle Commissioni in tali casi sono pubbliche».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, circa questo mio emendamento, ho poco da aggiungere a quanto ha già detto sull’argomento l’onorevole Perassi. Chi ha avuto la cortesia di seguire il mio discorso su questa parte nella nostra discussione generale, il giorno 11 dello scorso mese, ricorderà probabilmente le statistiche che allora io ho citato alla Camera e che hanno avuto l’onore di fermare l’attenzione dell’onorevole Conti, il quale, due giorni dopo, ha riletto all’Assemblea sul testo stenografico il lungo passo del mio discorso in proposito. Da quelle statistiche – lo dico per i colleghi che non fossero stati presenti a quella discussione – si trae sinteticamente un dato inconfutabile, e cioè, che non soltanto durante e dopo, ma anche prima della grande guerra del ’15-’18, e press’a poco dal 1906-1908 in poi, in realtà il Parlamento italiano non ha funzionato più, né più poteva funzionare. Si potrebbe d’altronde estendere il rilievo anche ad altri Parlamenti nei quali si è verificato lo stesso fenomeno. Con ciò si è attenuato se non distrutto il controllo finanziario dato che la funzione specifica del Parlamento in fatto di bilanci, non è soltanto quella dell’esame dei preventivi, ma altrettanto e più ancora quella dell’esame dei consuntivi. Ma i consuntivi in Italia venivano approvati tre, quattro ed anche cinque anni dopo la loro scadenza, rendendo quindi del tutto superata qualsiasi discussione in proposito.

Ma vi è anche un’altra considerazione ancora più rilevante. È la questione dei decreti-legge, i quali, di mano in mano che la vita moderna è andata facendosi sempre più complessa, sono andati aumentando, in tal modo che si può ben dire che la funzione legiferatrice sia passata al potere esecutivo dalle Camere.

Ma v’è di peggio ancora; ed è che, nella successiva convalida dei decreti stessi, non si è mai potuto fare alcun esame, non dico approfondito, ma neanche superficiale, perché le Camere furono addirittura costrette ad approvarli in massa. D’altra parte, dei disegni di legge presentati dal Governo e di quei pochi di iniziativa parlamentare – nella mia statistica li ho indicati anno per anno, per un periodo di una quindicina di anni – solo una parte minima veniva non dico accolta, ma esaminata dal Parlamento.

Orbene, è stata questa una condizione di cose direi fatale e tale che io credo non potrà non ripetersi nelle Camere future, e queste non potranno certamente legiferare su tutte le materie e per tutti i progetti loro sottoposti cosicché avremo una stasi, una paralisi legislativa, tanto più ora, che sarà negata la delega all’esecutivo. Anche se i futuri parlamentari sedessero ventiquattro ore su ventiquattro, essi non potrebbero discutere quelle due o tre migliaia di leggi che la vita moderna, così complicata, rende necessarie ogni anno, e che sempre più renderà necessarie in futuro, specie se prevarranno criteri di pianificazione, i quali renderanno presumibilmente ancora più complessa, varia e molteplice l’opera di legiferazione.

Conseguentemente a queste constatazioni, il mio emendamento prevede che ciascuna Camera possa suddividersi in Commissioni permanenti, come del resto già si è fatto proprio da noi con la disposizione provvisoria che regge i nostri lavori di costituenti. Ciò è indispensabile che si rifaccia per il futuro Parlamento. È da notarsi, d’altronde, che queste commissioni permanenti non sono stabilite come un obbligo, ma come una facoltà. Dice infatti il mio emendamento: «Ciascuna Camera può suddividersi, ecc.».

Quanto alla forma, poi, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione dei Settantacinque, suggerirà quella più appropriata, che riassuma questi miei punti di vista, che non sono affatto contrastanti, ma complementari, a quelli esposti dal collega onorevole Perassi nello svolgimento del suo emendamento e che – oso dire – non possono prestarsi a contrasti da parte alcuna della Camera, perché essi rispondono ad una concreta, evidente necessità delle cose.

Un altro concetto, però, pregherei che fosse accolto, che vale ad integrare quanto ho or ora detto, ed a conservare anche a queste Commissioni il carattere precipuo del Parlamento, cioè di controllo pubblico e fatto pubblicamente, vale a dire quanto è detto nel mio emendamento, alle ultime parole: «Le sedute delle Commissioni in tali casi sono pubbliche». Non faccio questione anche qui di forma, per la quale mi rimetto al Presidente Ruini, ma di sostanza; poiché a queste Commissioni deferiamo non solo l’elaborazione ma anche la decisione di molte leggi di carattere secondario, sì, ma che possono avere un’importanza notevole per il Paese, io penso che sia necessario affermare (le modalità saranno poi fissate dal Regolamento) questa pubblicità, in maniera che il controllo da parte dell’opinione pubblica si svolga anche su questa che sarà una vera e propria attività primaria parlamentare, e ciò proprio in contrasto col principio opposto sancito dal cosiddetto Parlamento fascista nel cui regolamento era espressamente esclusa la pubblicità delle sedute delle Commissioni. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, alle parole: e l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, sostituire: o l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali o materia costituzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Ritiro il mio emendamento, perché il contenuto dello stesso è già incluso in quello dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nobile, Nobili Tito Oro, Tonello, Stampacchia, Lombardi, Silipo, Ravagnan, D’Amico, Fiore e Bernamonti hanno presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, dopo le parole: salve le dichiarazioni di voto, aggiungere le altre: per le quali il Regolamento della Camera fisserà le opportune limitazioni».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. L’onorevole Perassi e l’onorevole Clerici hanno già esposto le ragioni per le quali occorre in tutti i modi trovare il mezzo di sveltire il lavoro legislativo. Io non ho che da associarmi a quello che essi hanno già detto. Credo di essere stato nella Seconda Sottocommissione quello che con più tenacia ha sostenuto questa necessità, e debbo dire che questo ho fatto perché, geloso quanto chiunque altro delle prerogative parlamentari, mi è parso che sia preferibile che le camere legislative affidino a proprie commissioni permanenti l’esame di molti provvedimenti legislativi, anziché vi rinuncino del tutto, come sarebbero costrette a fare, se si insistesse a seguire i metodi del passato.

Ho qui la nota dei decreti legislativi pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale dal 1° gennaio di quest’anno a tutto ieri: essi ammontano a 580. Si può, quindi, presumere che attualmente in un anno vengono emanati circa 750 provvedimenti legislativi. Ammettendo che Camera dei Deputati e Senato della Repubblica tengano 150 sedute in un anno, si dovrebbero, nientedimeno, esaminare, discutere ed approvare, in media, in ogni seduta cinque leggi! Cosa assolutamente assurda che sta a dimostrare la necessità ineluttabile di introdurre nuovi sistemi. Né si dica che, nel futuro, una parte delle leggi saranno fatte dalle Regioni, perché io non credo che con ciò si riuscirà a ridurre di molto il lavoro legislativo delle Assemblee nazionali. Ma anche se ciò fosse, anche se si riducesse tale lavoro ad una quinta parte di quello calcolato avanti, sarebbe pur sempre eccessivo ed impossibile a compiersi coi metodi ordinari.

Si dirà che una parte delle leggi potranno essere deferite per delegazione al Governo; ma è per l’appunto questo che si dovrebbe tentare di evitare per quanto è possibile, onde non ricadere negli abusi del passato. Di qui l’opportunità che una buona parte delle proposte di legge, specialmente quelle che richiedano un accurato esame tecnico, ma non meno di particolare importanza politica, siano deferite all’esame ed approvazione di commissioni permanenti adeguatamente scelte.

Per questa ragione aderisco in pieno all’emendamento Perassi così come è stato poi modificato con l’aggiunta decisa nella riunione tenuta poco fa sotto la presidenza dell’onorevole Ruini.

Nel caso che l’emendamento Perassi non venga approvato, manterrò l’emendamento da me presentato al testo della Commissione. Con esso si stabilisce che il Regolamento della Camera limiterà la durata ed il numero degli interventi per dichiarazione di voto. Senza tali limitazioni lo scopo che si propone l’ultimo comma dell’articolo 60 (secondo il testo della Commissione) non verrebbe raggiunto perché, soppressa, come vuole il testo, la discussione generale, questa inevitabilmente riaffiorerebbe in sede di votazione di singoli articoli attraverso prolisse e numerose dichiarazioni di voto che potrebbero far protrarre anche per parecchie sedute l’approvazione del disegno di legge.

Quindi, nel caso che l’emendamento Perassi non sia approvato, chiederò che sia messa in votazione l’aggiunta da me proposta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Persico, Bozzi, Binni, Gasparotto, Lombardo Ivan Matteo, Zanardi, Lussu, Lami Starnuti, Foa e Cianca, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 69 col seguente:

«I disegni di legge sono, secondo le norme del Regolamento di ciascuna Camera, esaminati previamente da una Commissione ed approvati dalla Camera stessa, prima articolo per articolo e poi con votazione complessiva.

«Nei casi e nelle forme determinati dal Regolamento, l’esame e l’approvazione dei disegni di legge possono venire deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi alla Camera.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Debbono sempre essere approvati dalle Camere, senza procedimenti abbreviati, i disegni di legge che hanno natura costituzionale, o che sono diretti a delegare funzioni legislative o ad approvare bilanci o consuntivi, o ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Sarò molto breve, perché a me sembra che si sia formata una specie di communis opinio fra i vari emendamenti degli onorevoli Preti, Clerici, Perassi, e l’emendamento mio e di altri colleghi.

In fondo si trattava di superare una difficoltà che la Commissione non aveva creduto di superare: cioè se si potesse delegare a delle Commissioni permanenti, o elette di volta in volta (questo lo stabilirà il Regolamento della Camera, perché qui siamo in materia costituzionale in cui certi particolari non si debbono toccare), se si potesse delegare a Commissioni, non solo l’esame del disegno di legge, che si è sempre fatto attraverso gli uffici e le commissioni anche prima del fascismo, ma anche l’approvazione di tutte le leggi di minore importanza e di minore portata, le così dette «leggine», che affluiscono a centinaia e che più ancora affluiranno in seguito, sia per necessità legislative, sia perché dovremo coordinare tutta la legislazione antica al nuovo istituto repubblicano. Una gran quantità di leggi dovranno essere trasformate, sia pure formalmente, per sostituire parole più adatte, e quindi sarà un lavoro assai pesante di legislazione, sia normale, sia di coordinamento.

E allora questo mi pare un punto ormai superato, perché se quasi tutte le proposte ammettono che queste commissioni possano esaminare tali leggi, alcune ammettono che possano anche deliberare.

Nel mio emendamento (e questa mi sembra la parte più importante) è detto: «Nei casi e nelle forme determinate dal Regolamento». Quindi il Regolamento stabilirà le modalità e i casi specifici. E continua: «l’esame e l’approvazione dei disegni di legge possono venire deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi alla Camera».

Se non ho mal compreso, anche l’onorevole Clerici concorda in questo perché, quando egli dice che in tal caso le sedute delle Commissioni sono pubbliche, evidentemente vuole dire che le leggi vengono portate alle Commissioni non soltanto per la discussione ma anche per l’approvazione.

Allora quale dubbio sussiste?

È rimasto dubbio se questa deve essere una norma generale, o se ammetta delle eccezioni.

Nella seduta tenuta poco fa insieme col Presidente Ruini, si è proposto, anche su parere del collega Lami Starnuti, di aggiungere all’emendamento dell’onorevole Perassi un piccolo inciso: «salvo contraria richiesta, o da parte del Governo o di 50 o di 30 deputati.

Tutte le volte che il Governo, o 50 o 30 deputati, lo ritengano necessario, sarà portata la questione in Assemblea e la legge verrà esaminata e votata in seduta plenaria.

L’altro sistema che è implicito nella prima parte del mio articolo sostitutivo, è questo: i disegni di legge, secondo le norme del Regolamento della Camera, sono esaminati previamente da una Commissione e approvati dalla Camera stessa, prima articolo per articolo, poi con votazione complessiva.

Qui c’è un’innovazione: non si stabilisce qual è la votazione. Secondo alcuni, per esempio secondo l’onorevole Oro Nobili, dovrebbe essere sempre adottato l’appello nominale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Nobili Tito Oro ha ritirato questa sua proposta.

PERSICO. Secondo altri dovrebbe adottarsi lo scrutinio segreto. Io dico che non è il caso di stabilire una norma di questo genere nella Costituzione. C’è il Regolamento della Camera che fissa le modalità di votazione, e non è il caso di escludere la votazione per alzata di mano, per alzata e seduta e, se c’è incertezza, per divisione. Perché arrivare sempre alle forme estreme dell’appello nominale e dello scrutinio segreto? È una perdita di tempo. Bisogna al contrario adottare il concetto di rendere il lavoro delle Assemblee il più facile e rapido possibile. Altrimenti si incontreranno le stesse difficoltà enormi che si avevano nel vecchio Parlamento. Ricordo che una legge da me proposta fu trascinata per anni, e poi passata al Senato, dove non se ne è parlato più.

Se vogliamo dunque arrivare alla brevità della discussione da parte dell’Assemblea, tenendo conto delle centinaia e centinaia di leggi che dovranno esaminarsi, dovremo arrivare a questa formula, e cioè ad una votazione che possa farsi anche per via breve, per alzata di mano, per alzata e seduta, per divisione, senza che sia necessario ricorrere sempre all’appello nominale, o allo scrutinio segreto. A queste ultime due forme si potrà sempre arrivare quando un gruppo di deputati le ritenga opportune e ne faccia richiesta, naturalmente nei modi stabiliti dal Regolamento.

Questo è il concetto nuovo contenuto nel mio articolo sostitutivo. Il resto è identico a quello dell’onorevole Perassi, per cui quando si tratta di disegni di legge di natura costituzionale, o di trattati internazionali o di bilanci deve sempre seguirsi la procedura normale senza possibilità di procedimenti abbreviati.

Con queste premesse confido che il mio articolo aggiuntivo possa essere accolto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati, Uberti, Giacchero, Bastianetto, Codacci Pisanelli, Cappi, Zotta, Guerrieri Emanuele e Marconi hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire i primi tre commi con i seguenti:

«Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina le forme dell’esame e dell’approvazione dei disegni di legge.

«Un procedimento abbreviato sarà disposto per quei disegni per i quali la-Camera abbia, con maggioranza assoluta, dichiarato l’urgenza.

«Il Regolamento potrà inoltre stabilire che l’approvazione sia deferita, con apposita deliberazione, a Commissioni interne. Dovrà tuttavia farsi luogo al voto finale della Camera, che sarà dato senza discussione, salvo le dichiarazioni di voto, quando cinquanta dei membri ne faccia preventiva richiesta.

«I resoconti dei lavori delle Commissioni, nel caso in cui al comma precedente, devono essere resi pubblici».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MORTATI. L’emendamento all’articolo 69 da me proposto si riferisce a tre punti.

Riguardo al primo comma ritengo opportuno sopprimere qualsiasi specificazione di modalità in ordine all’esame e all’approvazione delle leggi, deferendo tutto al Regolamento.

L’articolo del progetto riproduce sostanzialmente l’articolo 55 del nostro Statuto; ma tale articolo 55 è un po’ anacronistico e sorpassato, come risulta dall’esame delle Costituzioni moderne, le quali prescindono da qualsiasi regolamentazione di questa materia.

Affermare il principio che l’approvazione delle leggi spetta al Parlamento è reso superfluo dall’articolo 67, e dalle stesse disposizioni degli altri commi dell’articolo in esame, che stabilendo le eccezioni al procedimento normale, mettono in rilievo quale questo sia.

Per quanto riguarda il secondo comma, il mio articolo riproduce sostanzialmente quello del testo, salvo l’aggiunta di questo inciso «a maggioranza assoluta», sembrandomi necessario stabilire che la dichiarazione di urgenza per ricorrere alla procedura abbreviata sia deliberata con la maggioranza assoluta, ciò in analogia con quanto è disposto nell’articolo 71 in cui, facendosi riferimento ad un altro caso di dichiarazione di urgenza, si richiede appunto tale maggioranza.

C’è anche un’altra ragione: l’attuale Regolamento della Camera, all’articolo 55, stabilisce che per farsi luogo alla procedura abbreviata di urgenza sia necessaria l’approvazione ed il consenso dei due terzi dei presenti. Si potrà discutere se sia il caso di prescrivere la maggioranza assoluta o i due terzi dei presenti; in ogni caso occorre la garanzia di una maggioranza speciale. A proposito del principio affermato in questo comma io vorrei far rilevare, ad evitare eventuali equivoci che possono sorgere, che quando si parla di procedura abbreviata non si vuole prevedere o ammettere che questa possa consistere nel saltare qualcuna delle fasi necessarie al procedimento normale, cioè deve essere chiaro che, almeno secondo l’interpretazione che io do all’articolo, questi procedimenti abbreviati importano semplicemente l’abbreviazione dei termini che sono normalmente richiesti per il procedimento normale. Ciò trova una conferma nell’attuale Regolamento della Camera, che prevede già questa disciplina, e la ragione di porre una norma in tal senso nella Costituzione sta sostanzialmente nell’opportunità di imporre alle future Camere la inserzione nei loro regolamenti di norme di questo genere, che altrimenti rimarrebbero affidate alla discrezionalità dell’Assemblea.

La questione più importante è quella relativa al terzo comma. Il terzo comma prevede un procedimento non più abbreviato, non più di urgenza, ma che si potrebbe dire decentrato, che porta a spostare l’esercizio dell’attività legislativa, a delegarla dalle Camere alle Commissioni legislative. Il punto grave in discussione è questo: la disciplina di questa procedura decentrata, di questa delegazione di attività legislativa delle Camere alle proprie Commissioni, deve essere rimessa ai regolamenti interni in modo puro e semplice oppure deve essere circondata da certe garanzie e da certi limiti da stabilire nella Costituzione? Io sono per la seconda soluzione, ed è per questo che non accederei alla proposta dell’onorevole Perassi che in sostanza conduce al risultato di affidare tutta questa materia al regolamento delle Camere. Mi permetto di osservare all’onorevole Perassi che vi è una lieve contradizione nella regolamentazione da lui proposta, perché mentre si fida del regolamento che deve essere approvato dalla maggioranza speciale e quindi presenta certe garanzie per il rispetto delle minoranze, per quanto riguarda la procedura dell’approvazione da parte delle Commissioni, viceversa, sente il bisogno di stabilire nella Costituzione che queste Commissioni debbono essere formate secondo una certa proporzione. Evidentemente, se c’è una materia per la quale potrebbe farsi affidamento sulle garanzie offerte dal regolamento, mi pare sia questa, che già trova nelle attuali disposizioni interne una disciplina nel senso proposto. Invece il procedimento di deferimento alle Commissioni, di rapporti fra Commissioni e Camere costituiscono una materia assolutamente nuova e di importanza politica così rilevante che non può non trovare qualche direttiva nella Costituzione. Tali direttive, da porre come limite all’attività dell’Assemblea, sono a mio avviso due: in primo luogo occorre una delegazione preventiva delle singole Camere ogni volta che si deve deferire alla Commissione l’esame e l’approvazione del progetto di legge. Bisogna evitare che i regolamenti delle Camere consentano di far ricorso a questa procedura decentrata per interi gruppi e classi di materia, perché questo può rappresentare una tendenza pericolosa. Vi possono essere provvedimenti che, sotto una modesta apparenza presentano una rilevante importanza politica, e allora la possibilità che il regolamento rinvii alle Commissioni intere classi e gruppi di leggi presenta il pericolo di sottrarre all’esame dell’Assemblea dei provvedimenti che possono assumere, in concreto, in una data situazione, un rilievo politico notevole.

Questo è un primo limite che mi sembra necessario affermare, e che non potrebbe essere surrogato da quanto l’onorevole Perassi or ora ha proposto oralmente, in via subordinata: che cioè i provvedimenti fossero sottoposti automaticamente alle Commissioni, salvo che vi sia una richiesta in contrario da parte di una piccola percentuale dei membri. A me pare necessario che vi sia un’espressa delegazione dell’Assemblea di volta in volta, in tutti i casi, e non sia sufficiente la sola eventuale opposizione di alcuni. Dal punto di vista pratico, l’accoglimento di una siffatta proposta importerebbe un dispendio di tempo maggiore di quello che si avrebbe con la delegazione preventiva, la quale, nella maggior parte dei casi avverrebbe senza discussione. Il secondo limite dovrebbe essere quello di riservare l’approvazione finale della legge da parte della Camera. Solo che mentre, secondo il progetto, tale approvazione è richiesta in tutti i casi, secondo la mia proposta essa dovrebbe aver luogo solo quando un quinto dei deputati lo richieda. Mi sembra che in questo modo si contemperi l’esigenza del decentramento legislativo delle Camere con l’altra, anch’essa importante, che vuole che la valutazione dei provvedimenti legislativi non sia confinata in una ristretta cerchia, ma sia compiuta, almeno in qualche fase, dall’intera Assemblea, che può procedervi con maggiore ampiezza ed equilibrio di giudizio.

Un ultimo limite mi sembra infine necessario: quello della pubblicità dei lavori della Commissione. L’onorevole Clerici proponeva che la pubblicità si estendesse alle sedute, ma ciò incontra un ostacolo anche di carattere pratico, non essendo facile consentire l’accesso del pubblico nelle sale delle Commissioni. L’esigenza assai importante si potrebbe sodisfare imponendo che siano resi pubblici i resoconti delle sedute.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto.

«Subordinatamente, sostituirle con le parole: per appello nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CARONIA. Io non posso che uniformarmi a quanto hanno detto gli onorevoli Moro e Clerici sullo stesso mio emendamento circa la soppressione delle parole: «a scrutinio segreto». Ma, ove l’Assemblea non approvasse questa proposta di soppressione, io proporrei, in via subordinata, di sostituire le parole «a scrutinio segreto» con le parole «per appello nominale».

Quando si tratta di approvazione di leggi, mi pare sia giusto che ogni deputato, rappresentante del popolo, assuma le propri responsabilità, facendo conoscere i suoi orientamenti ed i suoi atteggiamenti nei riguardi delle leggi, che devono regolare la vita della Nazione.

Il ricorrere allo scrutinio segreto, nel caso di approvazione di leggi, mi pare sia – permettetemi l’espressione – una forma di viltà, da cui tutti noi dovremmo rifuggire.

Comprendo la votazione a scrutinio segreto soltanto quando essa investa questioni personali. Allora è giusto che la decisione venga liberamente presa nel segreto della propria coscienza.

In nessuna Costituzione di Paesi civili è consacrato il principio dello scrutinio segreto. È un principio che troviamo soltanto nello statuto subalpino e nello statuto albertino; ma noi stiamo proprio lavorando per sostituire tali statuti…

Una voce: C’è anche nello statuto bulgaro.

CARONIA. Sì è vero c’è anche nello statuto bulgaro, ma questo non è un titolo di onore.

Ripeto che è quanto mai logico ed opportuno sopprimere dal progetto di Costituzioni quella che è una modalità di votazione e che va rimandata ai regolamenti delle Camere.

Ove l’Assemblea Costituente dovesse respingere l’emendamento soppressivo, sarei costretto ad insistere per la sostituzione delle parole «per appello nominale» a quelle «a scrutinio segreto».

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Desidero domandare un chiarimento a proposito delle Commissioni. Ricordo che nel 1919 l’onorevole Nitti istituì le Commissioni permanenti, col criterio della proporzionale. Anche allora vennero nominate altrettante Commissioni, quanti erano i dicasteri.

Io ho partecipato ai lavori della Commissione per le Belle Arti. Le discussioni dettero ottimi risultati non solo perché i progetti di legge venivano studiati tecnicamente, ma anche perché, quando ci si trova fra uomini competenti, è più facile, al di sopra delle astratte ideologie politiche, trovare una linea di intesa e di accomodamento.

Quindi sarebbe opportuno confermare nella legge costituzionale il concetto, contenuto nel Regolamento, di Commissioni permanenti nominate da ciascun gruppo politico in relazione all’entità del gruppo stesso, in maniera che i membri delle singole Commissioni possano nelle adunate del loro partito, informarlo su tutte le leggi e sentirne l’opinione, in modo che quando la legge sarà elaborata e il responso della Commissione sarà rimesso alla Camera, l’atteggiamento dei partiti sarà ormai deciso e si potrà facilmente condurre in porto la legge. Domando che, come ha accennato opportunamente l’onorevole Clerici nel suo emendamento, si parli di «Commissioni permanenti», permanenti in quanto sono nominate all’inizio della legislatura e restano quindi, a compiere un lavoro continuativo. Ciascun partito avrà interesse a nominare per le singole Commissioni gli uomini più competenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questo c’è già: infatti il testo dell’onorevole Perassi dice: «…siano deferiti a Commissioni».

TONELLO. Io vorrei però che fosse aggiunta la parola: «permanenti» ed insisto su questo punto.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Nobili Oro ha così modificato il testo dell’emendamento che egli aveva presentato e svolto:

«Al primo comma, anziché sopprimere soltanto le parole: a scrutinio segreto, sopprimere le parole: con votazione finale a scrutinio segreto», sostituendovi le parole: per appello nominale».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi! Noi entriamo in una materia soprattutto tecnica, che non ha grandi riflessi politici, ma è molto importante: quella della formazione delle leggi.

Ora vorrei, prima d’ogni cosa, raccomandare che appunto prevalga il riflesso tecnico. Vorrei evitare ciò che è avvenuto più volte durante i nostri lavori, cioè che quando un collega ha proposto un emendamento gli altri, della sua parte, hanno votato come egli votava, senza riflettere per conto proprio sulla questione, e forse, in qualche caso, senza sapere neppure ciò di cui si trattava. Vorrei che l’Assemblea si attenesse, in materia tecnica, a criteri tecnici, tanto più quando si è verificato l’accordo nel Comitato, e l’emendamento rappresemi un singolare dissenso. Vorrei che si avesse qualche riguardo e si desse qualche peso a questa disgraziata Commissione che ha elaborato il testo con un anno e mezzo di lavoro; e vede le sue faticose e meditatissime formulazioni esposte al pericolo di essere dissipate dal colpo di vento di una deliberazione irriflessiva ed improvvisa.

Veniamo all’argomento. Importante è la formazione delle leggi. Esamineremo anzitutto la questione dei procedimenti per l’esame e l’approvazione delle leggi da parte delle Camere, poi la questione della delega legislativa; infine il problema dei decreti-legge. Io credo che la nostra sia la prima Costituzione che tratta in modo organico e completo questa delicata materia.

Procedimento per la formazione dello leggi da parte delle Camere. Ho accennato molte volte e l’ho spesso ripetuto che ormai il Parlamento si trova nella, non dirò difficoltà, ma impossibilità di legiferare normalmente, e citavo la frase di Herriot, il quale dichiarava alla Costituente francese che ormai il Parlamento è incapace non soltanto di governare ma anche di legiferare in modo normale, a causa della enorme congerie di materia legislativa. Quest’affermazione è stata ripresa da tutti i settori della Camera. Ormai da ogni parte si è ripetuta questa verità elementare; se continuiamo a pretendere che le Camere preparino la legge col procedimento consueto e tradizionale, non riusciremo ad adempiere il compito che spetta alle Camere di fare le leggi necessarie alla vita dello Stato. Sono impressionanti le cifre che l’onorevole Clerici molto opportunamente ha messo in luce e che rivelano come, quando il Parlamento non può adempiere al suo compito, piovono i decreti-legge ed i provvedimenti arbitrari e la Camera è ferita nella funzione essenziale, che è quella di legiferare. Si tratta di trovare un procedimento interno che non spogli la Camera della facoltà che essa sola ha di legiferare, ma che tenga conto delle necessità imprescindibili di una più rapida procedura, ed impedisca, con opportuni adattamenti interni, che avvenga la completa spogliazione dal di fuori, da altri poteri, della sua funzione legislativa.

Cerchiamo delle forme che possono consentire una preparazione delle leggi pronta e razionale, e salveremo il nostro istituto. Questo è il concetto fondamentale. Sono stati presentati molti emendamenti, quattro dei quali di maggior lunghezza, e sono gli emendamenti Perassi, Preti, Clerici e Persico. Questi quattro emendamenti in sostanza coincidevano tanto, che si è verificato un accordo nella rapidissima riunione che abbiamo avuto poco tempo fa, nella sospensione dei lavori dell’Assemblea.

Quale è il concetto fondamentale al quale noi vorremmo arrivare? Anzi tutto si conserva il 1° comma dell’articolo proposto dalla Commissione (salvo poi la revisione di forma, che mi sembra migliore nel testo Persico). Deve risaltare il criterio generale che l’esame e l’approvazione delle leggi spettano normalmente a ciascuna Camera, sentite apposite Commissioni. Questo è il principio fondamentale che rimane ben fermo. In ciò vi è piena coincidenza. Vi era solo una variante, dell’onorevole Preti, che enunciava alcune materie come oggetto della procedura normale; ma così restringeva il campo di tale procedura; mentre la garanzia che per quelle materie non si può derogare alla procedura stessa, è nell’ultimo comma dell’articolo. Tenendo presente ciò, l’onorevole Preti ha rinunciato alla sua variante, ed ha aderito a quanto si è concordato.

Resta dunque stabilito che il procedimento normale è l’esame e l’approvazione da parte della Camera e che l’esame si fa per mezzo di Commissioni.

A proposito del primo comma vi è soltanto un punto su cui rimane la controversia, ed è quello su cui hanno presentato emendamenti gli onorevoli Moro, Clerici, Caronia e Tito Orò Nobili. Il progetto della Commissione diceva che i disegni di legge devono essere approvati articolo per articolo e poi infine a scrutinio segreto. È stato proposto di sopprimere lo scrutinio segreto. Io credo che bisognerà mettere «con votazione complessiva». Una votazione finale ci vorrà. Non arriverei all’ultimissima proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro che vuole sopprimere anche questa. Resta da vedere se si deve o no richiedere per la votazione finale di ogni e qualunque legge lo scrutinio segreto. Mi sembra che si debbano evitare equivoci. Qui, nella vivezza della discussione, si è da alcuni parlato come se noi volessimo sopprimere lo scrutinio segreto per tutte le possibili forme di deliberazione delle Camere. Ma con questo articolo di Costituzione noi non facciamo altro che eliminare la norma che prescriveva lo scrutinio segreto per la votazione finale dei disegni di legge. La questione se si debba o no sopprimere di per se stesso ed in ogni sua possibilità di applicazione lo scrutinio segreto, è tema di Regolamento delle Camere. Ciò che importa qui stabilire è che allo scrutinio segreto non si deve ricorrere per approvare ogni e qualunque legge. Vi sono molte leggi che non hanno grande importanza, o non sollevano divergenze; e possono benissimo essere votate per alzata e seduta, per divisione, per quello che sia, senza promuovere la macchina enormemente ritardatrice dello scrutinio segreto. Sarà una semplificazione ed un acceleramento nei lavori delle Camere. Se poi vi sarà ancora nel Regolamento la possibilità di chiedere lo scrutinio segreto, potrà essere chiesto, volta per volta, per date leggi. Penso dunque che anche coloro, che non sono favorevoli all’abolizione nel Regolamento della votazione a scrutinio segreto, potrebbero acconsentire a toglierne l’obbligo, in via assoluta, per tutti i disegni di legge.

Questa è la conclusione a cui si è giunti nella rapida seduta che abbiamo avuto poco fa.

Veniamo al tema, più vasto, delle Commissioni. L’istituto delle Commissioni è ormai tradizionale e quasi immedesimato col concetto stesso di Parlamento. Che a questo concetto non ripugni che le Commissioni siano permanenti, è pure un dato acquisito è largamente applicato. Sorgono dubbi se alle Commissioni si possa affidare anche l’approvazione di disegni di legge. Ecco il punto da superare. Vi si ricongiunge la preoccupazione che, deferendo ad una Commissione tale approvazione, la Camera si spogli di una funzione esclusivamente sua.

Il Comitato ritiene tale preoccupazione infondata, giacché non si tratta di delegare la funzione legislativa ad un organo esterno, ma di esercitarla per mezzo di un organo proprio, interno, di una parte della Camera stessa, e con facoltà sempre di richiamare tale funzione a tutta la Camera. Non si può dunque dire che la Camera non esercita la funzione direttamente e da se stessa.

Si è pertanto accolto l’emendamento Perassi, completandolo con l’indicazione che le Commissioni possono essere «anche permanenti»; concetto che vi è nell’emendamento Clerici. Resta sempre da seguire la procedura dell’esame ed approvazione dell’intera Camera per le leggi costituzionali, le leggi che implicano una delega legislativa, le leggi per l’approvazione di bilanci, le leggi per la ratifica e stipulazione di trattati. Come stabilisce l’emendamento Preti nel primo comma, e quello Perassi nel terzo, tali leggi non potranno mai essere sottratte all’esame articolo per articolo e all’approvazione della Camera, e per esse non sarà mai ammissibile nessun procedimento abbreviato.

Quali saranno i disegni di legge che si potranno attribuire alle Commissioni permanenti? Sembra opportuno non limitarli, come è nell’emendamento Preti, alle categorie suindicate di leggi, che debbono, ma non esse sole riservarsi all’esame più minuto delle Camere. Dovranno a queste essere attribuiti tutti i disegni di legge che il Regolamento delibererà. Badate bene che il Regolamento è un atto votato a maggioranza assoluta dei componenti della Camera, come le leggi che hanno un valore costituzionale, vi sono dunque, le maggiori garanzie. Del resto ci sentiamo ora in grado di stabilire dei criteri più concreti? No, e ci dobbiamo richiamare all’esperienza. Quello che importa è di avere segnato le grandi linee generali.

Sorgono poi difficoltà. Da un lato si chiedeva che per deferire alle Commissioni l’esame e l’approvazione dei disegni di legge, occorresse una deliberazione dell’Assemblea volta per volta; si chiedeva d’altro lato che le Commissioni potessero sì esaminare il progetto, ma che poi l’approvazione dovesse venire all’Assemblea, pur ammettendo che in questo caso non sarebbero state consentite che dichiarazioni di voto. Onorevoli colleghi, considerando questa materia, ci siamo convinti che, se ammettessimo questa procedura, tutto il beneficio della rapidità sarebbe perduto. Pensate alle discussioni che si avrebbero alla Camera, sia pure attraverso dichiarazioni di voto interminabili, né sarebbe possibile porre dei limiti; come dimostrano continui esempi. Svuoteremmo il contenuto della nostra utilissima riforma. D’altra parte se l’Assemblea dovesse di volta in volta deliberare se vadano o no alle Commissioni, anche questo sarebbe un fatto ritardatore che toglierebbe il carattere della nostra proposta. Dunque resta fermo che il Regolamento stabilirà i casi e le forme in cui sono deferiti alle Commissioni l’esame e l’approvazione dei disegni di legge.

Ma (ecco l’importanza dell’emendamento all’emendamento che abbiamo stabilito) quando il Governo o 30 deputati lo chieggano, questo deferimento dell’esame e dell’approvazione alle Commissioni permanenti non avrà luogo e si seguirà la procedura più normale e diffusa di intervento da parte dell’Assemblea. Mi pare che stabilito cosi questo esame, dà tutte le garanzie possibili.

Abbiamo avuto nella nostra brevissima riunione di poco fa il pieno accordo su un testo che prende a base quello Perassi, quasi identico del resto, all’altro, dell’onorevole Persico (le questioni di pura forma le sbrigheremo a suo tempo); con opportuno completamento e modifiche è diventato il testo del Comitato.

Il primo e secondo comma rimangono come sono, salvo a togliere nel primo le parole «scrutinio segreto», sostituendole con le altre «votazione complessiva» o «votazione finale».

Il terzo comma dice che il Regolamento può stabilire i casi e le forme in cui, salvo contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni «anche permanenti», composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

Il sistema è armonico e completo. C’è poi la questione della pubblicità dei lavori delle Commissioni. L’onorevole Clerici ha proposto che le sedute delle Commissioni siano pubbliche. Ciò può sembrare eccessivo e non opportuno per molte ragioni. Si potrebbe andare incontro, piuttosto, alla proposta del nuovo articolo Mortati, che «i resoconti dei lavori delle Commissioni devono essere resi pubblici». Meglio di tutto è lasciare al Regolamento di determinare i modi e le forme di pubblicità.

Veniamo all’emendamento dell’onorevole Mortati. Si era stabilito un accordo, tra tutti i presentatori d’emendamenti delle diverse parti politiche, su un dato testo. Ora l’onorevole Mortati con un emendamento nuovo manderebbe a monte tutto. Sarebbe perduto lo sforzo e la fatica che abbiamo fatto per adottare una formula che ha, secondo me, una notevole incertezza.

L’emendamento Mortati è stillato con la diligenza consueta al suo autore; ma contiene elementi di incertezza e di imprecisione. L’onorevole Mortati comincia col dire: non possiamo parlare di Commissioni della Camera, perché questo non c’à in nessuna Costituzione. Non vado ad esaminare se ciò è esatto. Ma faccio osservare che, per la logica delle cose, subito dopo l’onorevole Mortati ammette le Commissioni permanenti. Quindi, parla di Commissioni; e perché allora si devono togliere nel primo comma, quando questo istituto è contemplato subito dopo?

Egli chiede che non si possa dichiarare l’urgenza di un provvedimento, se non a maggioranza assoluta. Cosa vuol dire maggioranza assoluta? S’intenderà dei componenti della Camera. Pensate alle necessità di questa macchinosa mobilitazione, di cui non vedo la necessità. Egli ha citato il caso del referendum, ma la portata, in questo caso, è immensamente maggiore. Si comprende che per sottrarsi al referendum ci voglia la maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea; ma per una semplice dichiarazione di urgenza, non credo che questo principio sia ammissibile, tanto più che secondo il testo della Commissione, completato dagli onorevoli-Perassi e Costa, viene stabilito che per alcune categorie di leggi importantissime mai sia ammissibile il procedimento abbreviato. Quindi anche, oso dire, tecnicamente non mi pare che questa sua proposta sia da accogliere.

Da ultimo l’onorevole Mortati non vuole mettere nel nostro testo che le Commissioni sono costituite in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi alla Camera, perché dice: questa è materia di Regolamento. Non comprendo: in alcuni casi egli mette nella Costituzione questioni di Regolamento; in altri casi annulla tutto dalla Costituzione. Noi seguiamo più costantemente il criterio di mettere nella Costituzione principi direttivi, che ci sembrano necessari, rinviando per il resto al Regolamento. Sul punto qui in esame, non accediamo al pensiero – e credo di interpretare il pensiero di tutte le parti dell’Assemblea, anche di quella dell’onorevole Mortati – che si possa arrivare all’attribuzione alle Commissioni di poteri anche di approvazione, se non nel caso in cui le Commissioni rispecchino la proporzione dei Gruppi alla Camera. Quindi, pregherei l’onorevole Mortati di non insistere sopra il suo testo, che richiederebbe un riesame, una necessità di emendamenti all’emendamento, di modifiche e di correzioni; e poi, soprattutto spezzerebbe quella linea che si è ormai stabilita, in base al meditato consenso di tutti i presentatori di emendamenti, con un passo notevole per la tecnica legislativa del nostro progetto.

Per quanto riguarda l’ultimo suo comma, sulla pubblicità dei lavori delle Commissioni, noi non abbiamo difficoltà ad accoglierlo, sostituendo questo concetto a quello dell’onorevole Clerici; che del resto non credo abbia difficoltà al riguardo.

In questo modo, onorevoli colleghi, noi avremmo fatto un primo passo verso la formazione rapida delle leggi. Noi non abbiamo paura che questo sistema per la prima volta sia introdotto in una Costituzione; noi vediamo già del resto affermata tale esigenza da parte di molti cultori di discipline costituzionali; e sono sicuro che farà una buonissima impressione e sarà una delle conquiste della nostra Costituzione. È per ciò che io vi prego di aderire a questa proposta.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mentre attendiamo che il testo nuovo della Commissione venga redatto, prego i presentatori di emendamenti di dirmi se essi li mantengano o meno, dopo le considerazioni esposte dall’onorevole Ruini.

Chiedo all’onorevole Preti se mantiene il suo emendamento.

PRETI. Preferirei, prima di pronunciarmi, attendere che l’onorevole Ruini faccia conoscere il testo della formulazione concordata.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo dell’articolo concordato, secondo le indicazioni dell’onorevole Ruini, risulta del seguente tenore:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo, e con votazione complessiva.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui, salva contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

«Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che coloro che hanno intenzione di votare in favore dello scrutinio segreto, si troverebbero in questo modo a dover presentare degli emendamenti; mentre mi pare più semplice votare sul testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Non credo, onorevole Laconi, che ci siano difficoltà. Coloro che desiderano che si voti sopra la formula «a scrutinio segreto», scriveranno due parole: «scrutinio segreto» e le presenteranno come emendamento.

L’onorevole Tosato, ha presentato un emendamento del seguente tenore sostitutivo dell’articolo 69:

«Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina i procedimenti ordinari e abbreviati per l’esame e l’approvazione dei disegni di legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

TOSATO. Non ho bisogno di richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulla grande importanza della questione sulla quale l’Assemblea sta per emettere la sua decisione.

Si è detto che si tratta di una questione tecnica: ma anzitutto e soprattutto, direi che è una questione della più alta importanza politica e costituzionale.

Qui ci sono due tendenze: una tendenza, secondo la quale il procedimento per la formazione delle leggi dovrebbe seguire la via ordinaria ben nota. Via ordinaria e ben nota, che dà luogo a molti gravi inconvenienti, per cui si vede sempre più la gravissima difficoltà delle Assemblee legislative a far fronte ai loro compiti; e per questo la Commissione dei Settantacinque ha esaminato se si possono stabilire delle forme di procedimento per l’esame e la formazione delle leggi più rapide, in modo che in definitiva il potere legislativo non sfugga ai Parlamento, che è l’organismo competente.

Óra, la via che viene proposta, e sulla quale l’onorevole Presidente Ruini ritiene di poter constatare un diffuso concorde orientamento, è questa: di deferire non soltanto l’esame, ma anche l’approvazione di disegni di legge a Commissioni interne delle Camere.

Ora, proprio su questo punto io intendo richiamare la vostra attenzione, su questo punto gravissimo che finisce per svuotare il principio, che è fondamentale, secondo cui competenti ad esercitare il potere legislativo non sono le Commissioni ma le Assemblee.

Noi stamane abbiamo rinviato la votazione dell’articolo 67 per non anticipare nessuna decisione in ordine ai poteri del Capo dello Stato, in particolare per quanto riguarda la sua partecipazione all’esercizio della funzione legislativa. Resta però comunque fermo il principio che la potestà legislativa spetta, col concorso o meno del Capo dello Stato, alle Assemblee legislative. Ciò posto, non capisco come si possa ammettere poi che la funzione stessa venga spostata dalle Camere alle Commissioni, organi interni, che non sono le Camere, e che non presentano le garanzie delle Camere.

Ricordo che durante i lavori della Sottocommissione, quando abbiamo affrontato il problema della delegazione legislativa, ci siamo preoccupati, e ce ne siamo preoccupati moltissimo, di stabilire limiti precisi alla possibilità di delegazioni legislative; ed è stato proprio il Presidente di questa Assemblea – come Presidente, allora, della Sottocommissione – che ha proposto una formula molto felice, che ha sodisfatto tutti per la sua rigorosità.

Ora, se noi abbiamo ritenuto opportuno di ammettere la delegazione legislativa, ma di ammetterla soltanto entro limiti ben determinati, come possiamo approvare con animo leggero una formula costituzionale che prevede genericamente la possibilità di delegare non al Governo, ma ad una Commissione, non tanto l’esame ma anche l’approvazione di disegni di legge?

È sulla gravità di questa questione che io richiamo l’attenzione e la preoccupazione dell’Assemblea!

Io mi rendo perfettamente conto che, così come attualmente è regolato il procedimento di formazione delle leggi, le Assemblee legislative non possono adempiere tutti i gravissimi compiti ad esse affidati, soprattutto quello di esercitare la funzione legislativa; ma bisogna riconoscere che tutte le proposte che ci vengono presentate non ci possono sodisfare, e lasciare tranquilli, tanto più quando esse minano i principi fondamentali della Costituzione. È contradditorio affermare la esclusiva competenza legislativa delle Camere, e ammettere che attraverso una norma di Regolamento esse possano essere svuotate dei loro compiti, che sono loro doveri.

E allora io propongo questo: lasciamo fermo il principio fondamentale in base al quale il potere legislativo spetta alle Camere e – secondo me – soltanto alle Camere. Abbiamo previsto casi determinati di delegazione legislativa. In sede di approvazione di Regolamento, le Camere vedranno se, accanto alle forme normali di formazione delle leggi, si possono prevedere e stabilire delle forme abbreviate, sia per casi di urgenza, sia per casi non urgenti ma in cui la materia renda possibile una forma di approvazione più rapida. Ma non compromettiamo con norme costituzionali problemi di così vasta proporzione e di così grave importanza.

Data questa esigenza, rinviamo al punto in cui siamo, al Regolamento delle Camere, la determinazione di procedimenti speciali e idonei che possano accelerare l’approvazione delle leggi; ma manteniamo fermo il principio fondamentale che il potere legislativo spetta alle Camere e non ad altri organi come le Commissioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Tosato ha esposto alcune considerazioni che non mi sembrano ammissibili, e che sono contradittorie fra loro. Anzitutto egli ha insistito su una delegazione che la Camera farebbe dei suoi poteri ad altri organi. Non è affatto una delegazione che la Camera faccia dei suoi poteri ad altri organi! Anche le Commissioni sono parte dell’Assemblea. Non v’è affatto una spoliazione delle funzioni legislative, tanto più che noi abbiamo stabilito che la Camera può sempre riservare a sé tutto intero questo compito. La Camera è giudice del modo con cui essa stessa esercita l’attribuzione di questo suo potere legislativo.

Non posso in nessun modo, quindi, lasciar passare l’affermazione dell’onorevole Tosato che con questa proposta, ormai concordemente approvata dai rappresentanti di tutta la Camera, si ferisca la disposizione che il potere legislativo è esercitato dalla Camera, perché il potere legislativo è sempre esercitato dalla Camera anche se essa, per alcune procedure, voglia affidare a sue Commissioni – che sono sempre parte della Camera – l’esame di alcuni disegni di legge salvo a riservare – e bastano trenta deputati – l’esame del complesso alla Camera stessa. Il ragionamento dell’onorevole Tosato appare dunque assolutamente infondato.

Ma poi c’è contraddizione. Egli dice: rimandiamo questa questione al Regolamento. Ma se c’è come premessa che ogni rinvio alle Commissioni significherebbe un’abdicazione della Camera al suo potere legislativo, evidentemente non ci potrebbe essere più delega al Regolamento.

Il concetto di lavoro rapido per mezzo delle Commissioni, sul quale così largo consenso si è determinato di fronte alle necessità esposte soprattutto dall’onorevole Clerici, cadrebbe completamente. Per questa profonda contraddizione, noi dobbiamo insistere sul testo concordato.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Laconi e Grieco hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo al primo comma del nuovo testo proposto dalla Commissione:

«Aggiungere le parole: a scrutinio segreto».

FABBRI. Resterebbe allora il testo originario.

PRESIDENTE. Se venisse approvata la proposta Laconi-Grieco il testo originario del primo comma resterebbe.

L’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Tosato ha la precedenza nella votazione perché più si discosta dal testo della Commissione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Onorevole Presidente. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini io desidererei poter dare un chiarimento per precisare il contenuto dell’emendamento che ho proposto, in quanto mi sembra che la stessa Assemblea, dopo il mio precedente intervento, sia molto perplessa.

Per essere brevissimo, dirò semplicemente che la questione sulla quale bisognerebbe prendere una decisione di principio è questa: siamo disposti ad ammettere che una Commissione delle Camere possa, come tale, non solo esaminare ma anche approvare un disegno di legge? Questa è la questione che si tratta di decidere.

Nell’emendamento che ho proposto questa possibilità resta esclusa. È per questo che io non sono caduto in quella tale contraddizione di cui ha parlato Ruini. Infatti, l’emendamento che io ho proposto rappresenta una disposizione che segue l’articolo fondamentale in base al quale il potere legislativo spetta alle Camere. Se il potere legislativo spetta alle Camere, è evidente che in nessun caso le Commissioni delle Camere, come tali, potranno approvare un disegno di legge.

Che poi in sede di regolamento le Camere possano studiare e disporre tutte quelle forme che si manifestano più idonee per accelerare il procedimento legislativo, salvo però restando il principio che l’approvazione delle leggi spetta alle Camere esclusivamente, questa è un’altra questione. Rinviando, quindi, al regolamento la disciplina delle varie forme di esame e di approvazione delle leggi, non si incide e non si deroga al principio fondamentale ed essenziale, al quale io intendo restare fedele senza eccezioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Spero che l’onorevole Presidente voglia perdonarmi se faccio ancora una richiesta di sospensione. Mi pare che su questo punto, che all’inizio sembrava molto chiaro, si siano venute accavallando delle nuove proposte e si siano anche manifestate talune incomprensioni, cose che consigliano un riesame della materia da parte del Comitato di coordinamento. Intanto alcuni degli emendamenti più importanti, quelli che presentano differenze più marcate, non si erano potuti esaminare in quella riunione alla quale l’onorevole Ruini ha fatto cenno, perché non erano stati svolti in Assemblea. Adesso che è stata presentata una proposta radicale da parte dell’onorevole Tosato, credo che i Gruppi si trovino in un certo imbarazzo ed abbiano bisogno di riordinare le idee e di prendere una decisione di fronte a questo punto che è veramente d’importanza fondamentale. In questo concordo con l’onorevole Tosato. Si tratta della funzione legislativa. Mi pare opportuno, quindi, rinviare a domani perché ora sono già le venti. Ci si potrà riunire in sede di Comitato anche questa sera, per esaminare la questione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo ripetere quello che ho detto. Non si è lavorato per tanto tempo alla Commissione (per un anno e mezzo), non si sono esaminate tutte le questioni a fondo, non si è realizzato un accordo discutendosi fra i varî rappresentanti delle varie correnti perché all’ultima ora si possa così rimandare tutto in aria, distruggendo quello che.si era conquistato. Seguendo un metodo siffatto, si peggiorerà di molto la situazione. Quanto al punto in questione si era riconosciuta da tutti un’esigenza, che ha avuto nel collega Clerici il suo più vivo assertore, di rimediare alla disfunzione legislativa del Parlamento. D’accordo tutti, si era trovato un rimedio. Se ora credete, con una votazione improvvisa, di mandarlo all’aria, fate quello che volete. Le conseguenze vi saranno. Io dichiaro fin da ora che questo implicherebbe un cambiamento di metodi. Parlo con meditata riflessione. La sospensione può essere accordata. Ma quando il Comitato potrà riunirsi? Domani alle nove v’è seduta dei Settantacinque per le leggi sulla difesa dello Stato; poi alle 11 seduta; poi seduta nel pomeriggio.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Come presentatore di uno degli emendamenti all’articolo 69 appoggio la domanda dell’onorevole Moro. Anche il mio Gruppo è di questo parere.

PRESIDENTE. La domanda dell’onorevole Moro in sé non è di vero e proprio rinvio; quindi a torto l’onorevole Moro ha richiamato un precedente, che era un effettivo rinvio. Qui si tratterebbe di rimandare il seguito della discussione a domani mattina.

MICHELI. Sarebbe meglio al pomeriggio.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la mattina di domani deve essere impiegata utilmente ai fini della Costituzione.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Onorevole Presidente, pur essendomi astenuto dall’intervenire in questa discussione, credo di avere diritto, in qualche modo, di fare udire anche la mia parola a questo riguardo. Io non sono compromesso nella questione che si è discussa, perché non ho presentato nemmeno un emendamento per la soppressione dello scrutinio segreto o dell’appello nominale o per la sostituzione dell’una all’altra di queste parole.

Quindi, la mia parola non ha significato di contestazione o di battaglia; vorrebbe se mai essere parola di consiglio; nel senso che, conservando tutto il riconoscimento per il lavoro fatto dal nostro Presidente della Commissione, è evidente che, pur essendosi di questa materia discusso a lungo, pare che quel rapido convegno fatto quest’oggi, cui egli accennava, non abbia prodotto quegli effetti quasi miracolosi che egli riteneva.

Per questo io dico: non è male che il necessario accordo sia intessuto in modo più conveniente e più sostanziale, sicché ogni dubbio rimasto dopo l’accordo troppo momentaneo possa esser chiarito e fugato, ma non in quest’ora.

Io sono del vecchio parere espresso altre volte in questa Assemblea, e purtroppo spesso in dissenso dell’onorevole Presidente, che la notte porta consigli. Viceversa, facendosi adunante sopra adunanze, si finirà col condurre i dissenzienti ad accordi artificiali. Mi pare che così sia molto difficile riuscire a ottenere quella concordia che tutti desideriamo. Per queste ragioni, interrompendo forse, dissi che pareva a me più conveniente che l’argomento fosse rinviato alla seduta pomeridiana di domani. Vi sarebbe maggior tempo, quello che necessita perché i presentatori degli emendamenti in contrasto possano con calma radunarsi per riesaminare la questione e mettersi d’accordo.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Raffaele ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere perché a Bari, da parte di quelle autorità, è stato consentito all’avvocato Vittorio Ambrosini di fare in un pubblico comizio l’apologia del fascismo».

Chiedo al Governo quando intender rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Interesserò il Ministro dell’interno perché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Il Ministro dell’interno dichiarò ieri sera che mercoledì mattina avrebbe risposto a tre interrogazioni urgenti, rispettivamente presentate dagli onorevoli Gronchi e Codacci Pisanelli e da me.

PRESIDENTE. Queste tre interrogazioni saranno poste all’ordine del giorno della seduta antimeridiana di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, perché consideri se non sia opportuno estendere a tutte le Amministrazioni dello Stato la norma già applicata da alcuni Ministeri, secondo cui al funzionario, che riveste provvisoriamente le funzioni del grado superiore con la qualifica di reggente, viene corrisposta una indennità pari alla differenza tra lo stipendio di cui è provvisto e quello iniziale del grado superiore, evitandosi così trattamenti che possono apparire di privilegio e situazioni di evidente ingiustizia.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se gli uffici dipendenti dall’Ente assistenziale U.M.A. (Utenti motori agricoli) siano tenuti a fornire agli uffici distrettuali delle imposte dirette le informazioni e le notizie di cui sono in possesso per ragioni del servizio assistenziale prestato, violando i doveri di riserbo e di segreto di ufficio a danno dei propri assistiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione del fatto che la classificazione stradale disposta dal regio decreto 15 novembre 1923, n. 2506 (legge Carnazza), non ha avuto pratica attuazione, mentre ha impedito e impedisce alle provincie di assumere a loro carico la costruzione e manutenzione di strade oggi comunali, alle quali i comuni si trovano nella impossibilità finanziaria di provvedere, non ritenga urgente e indispensabile, accogliendo il voto formulato dalla Commissione strade del Touring Club Italiano nella sua riunione del 21 dicembre 1946, abrogare intanto la suddetta legge Carnazza e fissare poi nuovi criteri di classificazione delle strade, in modo da pervenire ad un completamento della rete statale e provinciale e ad una riduzione di quella comunale, lasciando ai comuni le sole strade urbane e quelle di interesse strettamente locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ermini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, perché dica le ragioni, per le quali non si dà ancora inizio alla costruzione della rotabile Sprondasino in agro di Poggio Sannita (Campobasso), che enormemente trasformerebbe l’economia di detto comune, che, perciò, l’attende da oltre un cinquantennio, sebbene del tutto invano, pur proclamandosi da ogni parte il proposito di risolvere i problemi del Mezzogiorno di Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, perché consideri se non sia opportuno, con un provvedimento transitorio, andare incontro ai ferrovieri anziani, che, pervenuti a 58 o 60 anni di età per il personale attivo ed a 62 per quello impiegatizio, sono inesorabilmente mandati in quiescenza con una pensione, che raggiunge appena la metà degli emolumenti di attività, mentre tutti gli altri dipendenti statali, pur arrivati al limite di età, per cui dovrebbero essere collocati in pensione, sono trattenuti in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se i diplomi conseguiti nei campi di prigionia da coloro, che hanno ivi frequentato corsi di studi di scuola media, tenuti da professori di ruolo, siano o meno parificati a quelli conseguiti nelle scuole dello Stato, così come si è provveduto per gli esami sostenuti a chiusura dei corsi universitari, svoltisi parimenti nei campi di prigionia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia rispondente a criteri di giustizia riconoscere a favore dei professori non di ruolo, in occasione dei prossimi concorsi, quali anni di supplenza, gli anni di insegnamento, da essi tenuto nei campi di concentramento sparsi in ogni parte del mondo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mortati

Fabbri

Fuschini

Lucifero

Conti

Lussu

Tonello

Persico

Colitto

Tosato

Stampacchia

Nitti

Bozzi

Targetti

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

La seduta comincia alle 11.30.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Turco.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, rammento che nell’ultima seduta abbiamo approvato l’articolo 66, relativo alla corresponsione di una indennità ai membri del Parlamento. Dovremmo adesso esaminare i seguenti due articoli aggiuntivi presentati dagli onorevoli Mortati e Crispo e un ordine del giorno dell’onorevole Mortati:

Art. …

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Mortati.

Art. …

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinata dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

Crispo.

Ordine del giorno

«L’Assemblea Costituente ritiene che, ove si creda di adottare il giuramento per il Presidente della Repubblica e per i Ministri, anche i membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, debbano prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo confessare, onorevole Presidente, che per l’orario dei lavori che non ci lascia momento di respiro non siamo ancora riusciti, in Comitato, ad occuparci dell’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, perché, tra l’altro, questa mattina abbiamo cominciato a discutere in Commissione dei settantacinque i disegni di leggi sulla difesa della Repubblica. Quindi, la pregherei di attendere qualche giorno ancora.

Quanto all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Crispo, che il Comitato si era impegnato di prendere in esame, sembra al Comitato che debba essere trattato dopo l’articolo 74, come 74-bis, perché, mentre l’articolo 74 comprende le deleghe legislative, si può nel 74-bis collocare la materia dei decreti legge di urgenza ai quali in sostanza la proposta Crispo si riferisce. Sarà un brevissimo rinvio. E si completerà allora la triade: 1°) formazione delle leggi, come funzione normale del Parlamento; 2°) delega legislativa; 3°) decreti legge; che si deve svolgere logicamente in questo ordine.

Quanto all’ordine del giorno dell’onorevole Mortati, la questione risollevata dall’onorevole Mortati è stata discussa largamente a proposito dell’articolo 51. La prima Sottocommissione aveva richiesto il giuramento dei deputati; la seconda no; nel qual senso sì era pronunciata la Commissione plenaria dei settantacinque. Ripresa la discussione qui in Assemblea, mi sembra, se ben ricordo, che la questione sia stata risoluta ancora in senso negativo.

MORTATI. È stata rinviata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, se è stata rinviata, nulla vieta che possa essere affrontata e decisa ora, senza un altro rinvio, come propone nel suo ordine del giorno l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Mortati di esprimere il suo parere.

MORTATI. Io ho un ricordo alquanto diverso da quello del Presidente, perché mi pare che l’articolo relativo al giuramento degli organi costituzionali sia stato rinviato. Si è cioè deciso di riservare alle norme che saranno dettate in occasione della determinazione della posizione giuridica del Capo dello Stato e dei membri del Governo la decisione della questione circa l’obbligo ed eventualmente le forme di giuramento dei medesimi. Con l’articolo 48 fu stabilito tale obbligo, o meglio, la possibilità che la legge sancisca tale obbligo, solo per i titolari dei vari uffici pubblici.

Se questa è la situazione, penso sia opportuno fare, in questa sede, in cui si precisa la figura dei membri del Parlamento, una riserva, nel senso che la questione del giuramento sia esaminata e decisa con criteri unitari sia nei confronti di tali membri, sia in quelli degli altri organi costituzionali, perché mi pare che non ci sia ragione di differenziazione di trattamento in ordine a tale punto. Il mio ordine del giorno vuole appunto avere il significato e la portata di una riserva.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati fa presente che, secondo quanto gli suggerisce la memoria, il problema non è stato ancora proposto e non è stata neanche trovata una soluzione di orientamento nella sede accennata dall’onorevole Ruini e conclude che il suo ordine del giorno ancora in questo momento è una riserva, perché subordina l’accettazione o meno del giuramento da parte dei membri delle due Camere a quanto verrà deciso in relazione al giuramento del Presidente della Repubblica e dei Ministri. E poiché il tema non è stato ancora abbordato, anche una decisione presa in questo momento non pregiudicherebbe nulla.

Dal resoconto stenografico della seduta in cui venne in discussione l’argomento, risulta che l’Assemblea ha stabilito che singolarmente, per ogni organo considerato dalla Costituzione, sarà deciso in merito al giuramento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta dunque fermo che la deliberazione dell’Assemblea è stata non nel senso di respingere l’idea del giuramento per i membri dell’Assemblea, ma di rinviare l’argomento a quando si sarebbe trattato di ogni istituto.

L’ordine del giorno Mortati fa un altro rinvio, e subordina la prescrizione del giuramento dei membri del Parlamento a quando sia adottato il giuramento anche per il Presidente della Repubblica e per i Ministri. Ma una connessione logica e necessaria non c’è; questi casi non sono inscindibili fra loro; tant’è che nelle lunghe e ripetute discussioni sull’argomento fu manifestata e sembrò prevalere l’opinione che il giuramento fosse da richiedersi al Presidente della Repubblica, non ai membri del Parlamento. Non entro nel merito della questione, osservo soltanto che è meglio decidere subito, per quel che concerne i membri del Parlamento. Prego l’onorevole Mortati o di ritirare l’ordine del giorno, o di trasformare in articolo aggiuntivo la sua proposta di giuramento dei membri del Parlamento.

FABBRI. L’articolo 51, relativo al giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica, è già stato approvato.

PRESIDENTE. È stato soppresso. D’altra parte, faccio presente che l’articolo 48, approvato, dice al secondo comma: «I cittadini hanno il dovere di adempiere alle funzioni loro affidate con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

È certo che l’articolo 48 non voleva riferirsi agli investiti di autorità per elezione; si riferiva invece a coloro che ricevessero per altra via una certa funzione, il dovere di assolvere a certi compiti, a certi uffici come funzione permanente. Ma se ricordiamo che il giuramento per i deputati era precedentemente previsto nella legge speciale elettorale, si potrebbe pensare che la stessa disposizione dell’articolo 48 – che si riferisce alla prestazione del giuramento da parte dei cittadini cui vengono affidate pubbliche funzioni – comprenda anche, in analogia alla precedente legge elettorale, la disposizione per i deputati.

Comunque, io concordo con quanto ha detto l’onorevole Ruini. Se si vuol porre la questione del giuramento per i membri del Parlamento, è bene porla in maniera esplicita e risolverla senz’altro, senza subordinarla alle decisioni che venissero prese per il giuramento del Presidente della Repubblica, giuramento che evidentemente risponderebbe ad altri motivi e necessità che non il giuramento dei membri del Parlamento. Per queste ragioni pregherei l’onorevole Mortati, se intende che l’Assemblea risolva la questione, di proporla in modo formale.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Quanto ho detto circa il carattere di riserva che desideravo conferire al mio ordine del giorno trova il suo fondamento nella convinzione che non si possa risolvere il problema frammentariamente. Ove esso si affrontasse in modo globale si potrebbe anche giungere alla conclusione dell’inopportunità di assoggettare a giuramento i titolari di organi costituzionali, secondo è disposto in alcune Costituzioni, e come si potrebbe anche razionalmente sostenere. Ma se si andasse su contrario avviso, ugualmente sussisterebbe l’esigenza di un analogo trattamento, non essendovi nessuna ragione, né logica, né politica, né giuridica di escludere dal giuramento certi organi costituzionali e di imporlo per altri. La tesi contraria, enunciata in sede di commissione dall’onorevole Conti, si basa sulla vecchia concezione giusnaturalistica, che considerava i rappresentanti del popolo sottratti ad ogni legge: che è assurdo, perché in un ordinamento costituzionale non vi può essere nessun organo, anche supremo, che possa non essere vincolato all’osservanza della Costituzione. La formula di giuramento da me proposta implica questo solo impegno: di osservare in tutte le attività affidate ai membri del Parlamento le forme prescritte dalla Costituzione. Limitato in questo senso il contenuto del giuramento, nessuna obiezione seria può essere sollevata, non essendo dubbio che anche i deputati sono soggetti alla Costituzione. Lo stesso popolo, che è l’organo sovrano, in quanto sia parte di uno Stato già costituito non può agire legalmente se non nelle forme della Costituzione, quindi attraverso il referendum, i voti, le elezioni.

È vero che il popolo può fare la rivoluzione, ma questo non è un diritto che sorge dalla Costituzione; è un diritto extra costituzionale, che può dar luogo ad una situazione di fatto.

Posta la questione in questi termini, e messo in chiaro che il giuramento non comporta nessuna restrizione alla libertà delle opinioni e dei voti dei deputati, credo che la mia proposta non debba incontrare opposizione. Perciò insisto in essa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Mortati, in sostanza, sia pure in via subordinata, ha acceduto alla tesi che si discuta subito la questione del giuramento dei membri del Parlamento.

FUSCHINI. È questione tanto semplice, che è meglio affrontarla subito.

PRESIDENTE. Io sono di questo avviso, e poiché anche l’onorevole Presidente della Commissione e l’onorevole Fuschini sostengono questa proposta, possiamo senz’altro affrontare la questione, non sulla base dell’ordine del giorno Mortati, che pone la decisione in forma subordinata, ma in prima istanza, riservandoci di esaminare dopo il problema per il Presidente della Repubblica e per i Ministri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero sapere se l’onorevole Mortati, in sostituzione del suo ordine del giorno, ha precisato in un testo la deliberazione, perché noi dovremmo deliberare sopra un testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di rispondere.

MORTATI. Il testo si può desumere dallo stesso ordine del giorno. Basta dire:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

PRESIDENTE. Assumiamo questa formulazione come testo-base della discussione.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Io sono contrario a questo ttesto, appunto perché sono stato vittima durante la dominazione monarchica di una imposizione che non ammetto possa essere fatta dalla Repubblica ai rappresentanti del popolo.

La posizione è del tutto diversa, quando si tratti di deputati o quando si tratta di Presidente della Repubblica o quando si tratti di magistrati, di forze armate e di altri organi dello Stato.

Sarebbe inconcepibile che la polizia non fosse chiamata a giurare; sarebbe inconcepibile che la magistratura fosse esonerata dal giuramento; come sarebbe inconcepibile che altri organi dello Stato, come il Presidente soprattutto, fossero esonerati dall’obbligo del giuramento.

Io non do – lo dico subito – importanza alcuna – è mia convinzione – al giuramento. Credo che non si debba giurare mai. Quanto ai deputati, in particolar modo non concepisco che possa essere imposto un giuramento. Il pensiero è libero: deve esser libero. Non debbono esserci limitazioni di sorta e poiché dal pensiero derivano le azioni, gli atteggiamenti e gli atti dei singoli, io ritengo che colui il quale deve svolgere la sua attività e deve rispondere del mandato che gli elettori gli hanno dato, deve essere assolutamente svincolato da qualsiasi obbligo.

Nessun vincolo, dunque. I rappresentanti del popolo rappresentano correnti politiche, vale a dire pensieri propri dell’opinione pubblica, pensieri che il popolo ha fatto proprî: questi pensieri hanno diritto di farsi valere. La fede politica deve essere rispettata nel modo più assoluto e nel modo più ampio.

Non, dunque, giuramento. L’obbligo di osservare la Costituzione è tra i primari doveri che i deputati debbono osservare. La Repubblica può anche essere discussa, pur non potendo essere attaccata. La Repubblica non può essere colpita da atteggiamenti ostili, dei quali del resto il deputato risponde come ogni altro cittadino: né il giuramento potrebbe salvaguardarla. Confermo l’opinione già espressa davanti alla seconda Sottocommissione quando venne discusso questo problema: sono contrario al giuramento dei deputati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Su codesta questione del giuramento io debbo confessare la mia perplessità di fronte alla tesi così recisa di quanti pensano che il giuramento sia non utile, non necessario ed addirittura irrazionale. Sarà perché provengo da origini quasi patriarcali, ma io considero, ed ho sempre considerato, il giuramento una cosa estremamente seria e mi pare che per dare un contenuto di maggiore serietà alla lealtà repubblicana e all’istituto repubblicano, il giuramento dovrebbe essere considerato così. Ciò non toglie evidentemente che un ostinato monarchico possa ribellarsi al giuramento. Io mi permetterei di consigliare, data la mia maggiore età, al collega onorevole Lucifero, lo stesso sistema dietro al quale io ripiegavo quando, in quest’Aula, ero costretto a prestare giuramento di fedeltà alla monarchia…

LUCIFERO. Io sono sempre pronto a prestare giuramento di fedeltà alle leggi del mio Paese!

LUSSU. …e dicevo sempre: «non giuro» mentre tutti dicevano: «giuro» e la cosa passava inosservata. (Si ride). Però a me pare che quanti in quest’Aula credono alla serietà di un impegno di onore, ed aggiungerei – per quanto io sia un laico profano – alla santità del giuramento, io credo che quanti concepiscono il giuramento come una cosa estremamente seria che aggiunge alla serietà del carattere del cittadino qualcosa di rilevante, credo che tutti costoro dovrebbero essere per la forma del giuramento che è un simbolo ed è una sintesi di un impegno morale, di un’azione politica, e di un complesso di atteggiamenti dello spirito nell’azione pratica, che sono una cosa estremamente seria.

TONELLO Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io non posso nascondere la mia istintiva avversione all’istituto del giuramento. Io nelle scuole insegnai sempre a non abusare dei giuramenti, perché i bambini hanno il vizio di giurare, anche quando dicono delle bugie. Ora, i giuramenti dei bambini non fanno né bene né male, anche se poi non sono mantenuti, ma quelli degli uomini possono fare del male, molto male alla società. Unica garanzia che noi possiamo avere in un uomo è la sua parola d’onore.

Il giuramento non aggiunge garanzia. Il giuramento di fedeltà nel matrimonio che molti fanno all’altare, non è garanzia sufficiente se non c’è nella coscienza degli sposi la volontà precisa di uniformarvisi. Quindi, niente giuramento nella vita pubblica. Nella vita pubblica il cittadino, a fronte alta, deve dire che cosa pensa e che cosa è, e non trovare nessun ostacolo nelle formalità dello Stato. Un uomo che è di convinzioni monarchiche può trovare la scusa di giurare fedeltà alle leggi, ma, in fondo in fondo, colui che è monarchico non può giurare lealmente con animo tranquillo fedeltà all’istituto repubblicano. Ed altrettanto si dica dei repubblicani. Tutti siamo fedeli, nella vita comune, alle cose che facciamo e diciamo, e così facciamo nella vita pubblica. Questo giuramento è una formalità stupida, perché non impegna realmente. Forse, sul campo di battaglia, il giuramento di vincere o di morire può avere il suo risultato, può avere una certa influenza; ma nella vita pubblica i giuramenti non giovano, ed io ho osservato che quelli che giurano di più sono quelli che sono più bugiardi. I ragazzi più bugiardi sono quelli che giurano di più. Ma, per i ragazzi, è una cosa infantile. Per gli uomini, bisogna che noi diffidiamo. Solo quando essi danno la loro parola d’onore l’impegno diventa realmente sacro, perché si fonda sulla dignità umana.

Abbiamo il giuramento. Non manteniamo in vita questa anticaglia delle monarchie e delle chiese. Nessun giuramento, ma soltanto l’onore di cittadini, soltanto la loro parola d’onore può valere a creare veramente uno Stato il quale sia formato da galantuomini, anziché da gesuiti che giurano col proposito di tradire. (Commenti al centro). E sì, perché c’è anche un giuramento falso, c’è anche chi giura una cosa e ne pensa un’altra. Noi vogliamo invece uomini che abbiano il coraggio di dire quello che pensano e quello che è, senza bisogno di fare giuramenti.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io non avevo nessuna intenzione di parlare, ma poiché l’onorevole Lussu mi ha chiamato in causa, vorrei chiarire il mio pensiero. Il mio pensiero, onorevole Lussu, di monarchico, ma il mio pensiero, soprattutto, di cittadino monarchico dello Stato italiano. L’onorevole Lussu ha detto una cosa nella quale sono perfettamente d’accordo con lui e cioè che i giuramenti sono una cosa molto seria. Ed è vero. Però mi ha dato un consiglio che indubbiamente fa pensare che questa opinione nell’onorevole Lussu sia molto meno radicata che in me, perché, dopo avermi detto che il giuramento è una cosa molto seria, aggiunge: tu giura pure con un piede alzato, come ho fatto io, tanto non conta niente. Il che fa supporre che il giuramento per l’onorevole Lussu sia una cosa molto meno seria di quanto sia per me. (Interruzione dell’onorevole Lussu). Questa è polemica.

Onorevole Lussu, io invece, giurerei; e le dico anche perché giurerò se la formula sarà approvata.

Io sono contrario ai giuramenti in generale per le ragioni che hanno detto l’onorevole Tonello, l’onorevole Conti e che ha esemplificato l’onorevole Lussu. Però, ove si entrasse nell’ordine di idee di proporre ai deputati questo giuramento al quale io sono contrario, ritengo che la formula dell’onorevole Mortati sia una formula onesta che può benissimo votarsi ed accettarsi; e caso mai sarebbe una cosa inutile, perché non capisco perché un cittadino debba giurare di mantenere fede alle leggi del suo Paese. E la prima legge del suo paese è la Costituzione. Non è necessario nessun giuramento, perché sono obbligato a farlo, ma posso assicurare l’onorevole Lussu che se un giorno io fossi chiamato o come soldato o come deputato o in qualunque altra qualità a giurare fede a quelle che sono le leggi del mio Paese, cioè ad accettare quelle leggi e le forme che vi sono per modificare quelle leggi, io non avrei proprio nessuna difficoltà, non con un piede alzato, ma con tutti e due i piedi in terra ed in piena coscienza, a fare questo giuramento.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a me sembra che la questione, sorta così all’improvviso abbia una importanza veramente capitale, perché la formula proposta dall’onorevole Mortati parla di giuramento di fedeltà alla Costituzione. Ora, l’articolo 131 della Costituzione, non ancora approvato, ma nel progetto, stabilisce che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale. Quindi, giurando fedeltà alla Costituzione, si giura anche di riconoscere che la forma repubblicana è definitiva, non soggetta a revisione di sorta. Ed allora sorgerebbe il dubbio anche nell’amico Lucifero se egli che è pronto a giurare fedeltà alle leggi dello Stato…

LUCIFERO. Nelle forme costituzionali posso proporne la modifica o soppressione.

PERSICO. Non è possibile, perché l’articolo 131 non ammette la revisione costituzionale.

RUSSO PEREZ. Non sarà approvato.

PERSICO. Lo vedremo se sarà approvato e io ritengo che sarà approvato. Comunque è una questione dubbia. Tutto questo per dire che io sono contrario al giuramento. Il giuramento avrebbe efficacia quando ad esso fosse connessa una sanzione, come per il giuramento che si pronunzia dinanzi all’autorità giudiziaria, di dire la verità e null’altro che la verità, che, se violato, porta al reato di falso giuramento ed alle pene conseguenti. Ma quando il giuramento è una pura formula, che non ha nessuna conseguenza, la cosa è diversa. Del resto, noi abbiamo l’esempio classico dell’onorevole Cavallotti, che disse: giuro, e domandò la parola, per spiegare subito che il giuramento non aveva alcun valore cogente. In questo caso diventa una formalità inutile e vana; salvo in casi come quello del deputato Falleroni, per il quale si fece una legge speciale per escluderlo dalla Camera, avendo egli deciso di non giurare.

Quindi, siamo logici; i deputati vengono qui con idee diverse, ognuno in rappresentanza di una certa corrente di pensiero. Queste correnti possono essere dissimili, contrarie, secondo i momenti storici, secondo le opportunità politiche, secondo le ondate di simpatia che una certa idea può raccogliere in un determinato momento nel Paese. Perché vogliamo vincolarli ad una formalità bugiarda, che deve essere spesso bugiarda necessariamente, in quanto li obblighiamo a giurare cosa che non potrebbero giurare, e se lo fanno, lo fanno solamente per entrare in quest’Aula e per manifestare il loro pensiero contrario? Quindi a me pare perfettamente inutile il giuramento.

Sono convinto che abbia ragione l’onorevole Conti, quando dice che la magistratura, l’esercito, gli alti funzionari dello Stato, il Presidente della Repubblica e i membri dui Governo devono prestare il giuramento, perché si tratta di funzioni che richiedono il giuramento e se la sanzione non è il reato di falso giuramento, sussiste il reato di perduellione per avere tradita la fede politica cui dovevano dare la loro opera e la loro fedeltà; c’è il reato di tradimento, che è assai più grave del reato di falso giuramento.

Quando, quindi, manca una sanzione – e nel caso dei deputati la sanzione dovrebbe essere l’espulsione dall’Aula, il che è assurdo – quando manca una sanzione, non è possibile pensare ad un giuramento di fedeltà alle istituzioni nel momento attuale.

Sono quindi contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io penso che non vi sia alcun dubbio che colui il quale entrerà in una delle future Assemblee legislative, vi entrerà col proposito sincero, col proposito leale di rispettare le leggi del proprio Paese e, soprattutto, la Costituzione.

Ora a meno che non vi si entri con un proposito diverso, ciascuno di noi dovrebbe essere lieto di dichiarare di essere pronto a giurare, cioè pronto a chiamare Iddio a testimonio della sua lealtà. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non è legato a precedenti decisioni di Sottocommissioni o della Commissione dei Settantacinque che furono, come ho ricordato, in senso contrastante. La questione è ancora aperta. Farò ora alcune brevi osservazioni.

Non mi sembra, anzitutto, potersi affermate che il giuramento debba escludersi senz’altro, perché non è una cosa seria. Lo abbiamo considerato cosa seria, quando all’articolo 48 abbiamo previsto che la legge lo possa prescrivere per chi adempie uffici pubblici. Sta davanti a noi, fra i progetti di cui ha cominciato stamane ad occuparsi la Commissione dei Settantacinque, un disegno che punisce gli impiegati che non mantengono il giuramento prestato. Si può bensì osservare che altro è il caso degli impiegati, e che per essi vi sono sanzioni che mancano pei membri del Parlamento; ma insomma l’istituto del giuramento è nel quadro delle nostre leggi. E se ha una base più profonda nel costume di altri paesi più che nel nostro, anche da noi ha un significato etico-politico, che non conviene dileggiare ed evadere, perché non deporrebbe bene pel carattere nazionale

Per quanto riguarda i deputati e senatori, non sarebbe neppur concepibile che essi disconoscessero la Costituzione, cui debbono fedeltà tutti i cittadini. Questo deve essere un punto ben acquisito nella nostra coscienza civile e giuridica; l’accettare, il rispettare, il difendere la Costituzione è obbligo indiscusso ed indiscutibile pei membri del Parlamento; né ad essi, e soprattutto ad essi, è dato prescinderne. Si tratta di vedere se tale dovere deve tradursi e trovar espressione nell’atto formale del giuramento.

Io personalmente non trovo nessuna difficoltà al riguardo. Vi sono scrupoli e dubbi in alcuni di quest’Assemblea, nei quali s’attarda il ricordo di pochissimi uomini del Risorgimento e dell’estrema sinistra, che non giurarono o non diedero valore al giuramento. Gli scrupoli non reggono: coloro che giurarono, pur conservando le loro idee politiche, furono perfettamente fedeli alle istituzioni d’allora. Oggi, – a prescindere che, una volta avanzata questa proposta di giuramento, il suo rigetto potrebbe apparire inesattamente abbandono della difesa della Repubblica – sta ben chiaro che i membri del Parlamento non rinunciano alle loro idee, anche non repubblicane, se accettano di rispettare e difendere la Costituzione.

Nulla vieta che si stabilisca il giuramento pei membri del Parlamento. L’Assemblea Costituente deciderà, ora come crede. Ma io sento il dovere di ripetere nettamente ed esplicitamente, a nome del Comitato, che – siavi o no l’atto formale del giuramento – chi entra in quest’Aula deve esser fedele alla Costituzione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io credo che l’esigenza che emerge dall’ordine del giorno che era stato presentato dall’onorevole Mortati sia ben fondata. Bisogna infatti tener presente innanzi tutto qual è l’oggetto del giuramento che si richiede: questo giuramento ha per oggetto la fedeltà non ad una persona, ma alla Costituzione dello Stato. Ora, non c’è alcuna ragione, a me pare, di esonerare dal giuramento taluni organi, ed essenzialissimi quale il Parlamento, quando altri organi invece vi sono sottoposti.

Non si tratta, onorevoli colleghi, di obbligare al giuramento i cittadini: si tratta di impegnare alla fedeltà verso la Costituzione gli organi costituzionali dello Stato, gli organi ai quali la vita e l’attuazione della Costituzione è in particolar modo affidi ridata.

PERSICO. Il Parlamento è un potere dello Stato, non è un organo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è lo stesso.

TOSATO. Osservo poi che il giuramento non impedisce la piena libertà di opinione politica dei deputati; è infatti evidente che gli obblighi derivanti dal giuramento non possono non essere compatibili con la natura e funzione del mandato parlamentare. In altre parole, il giuramento significa soltanto che il deputato, che i membri delle Camere, nonostante l’assoluta libertà di opinione e di iniziativa, dovranno seguire in ogni caso le vie tracciate dalla Costituzione, ed agire, in ogni caso, per il trionfo delle loro idee, secondo le norme fissate dalla Costituzione.

Il giuramento quindi non implica che una esigenza di diritto costituzionale, quella cioè che tutto si svolga costituzionalmente. Per queste ragioni noi siamo favorevoli all’adozione del giuramento anche per i membri delle Camere.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Debbo dichiarare che sono – per antica convinzione – assolutamente contrario al giuramento dei deputati. Tale dichiarazione è pure conforme al pensiero del Gruppo cui appartengo. In materia non si deve far confusione fra magistrature e funzionari in genere, che esercitano uffici e mansioni statali conferite loro dallo Stato; cittadini che adempiono doveri imposti dalle leggi; e il deputato, il quale deriva il suo mandato direttamente dal popolo e che può essere repubblicano, ma può anche essere monarchico.

In altri tempi la democrazia ha costantemente combattuto per l’abolizione del giuramento dei deputati. Ciò – mi pare – l’onorevole Persico ha dianzi ricordato. È vivo infatti il ricordo di Felice Cavallotti, il bardo della democrazia dei suoi tempi, il quale, entrando per la prima volta alla Camera, giurò – perché diversamente non avrebbe potuto prendere parte ai lavori parlamentari – ma subito chiese la parola e pronunciò un memorabile discorso contro il giuramento che lo Statuto albertino imponeva ai deputati.

Ora la democrazia tornerebbe indietro e rinnegherebbe se stessa, le sue tradizioni, se oggi sostenesse il giuramento dei deputati, quando agli altri tempi lo ha combattuto sempre e vivacemente con argomenti che l’avvento della Repubblica non sminuisce e non può farci obliare. Mentre tutti stiamo insistendo sulla necessità che dalla Costituzione, che si viene da noi elaborando, risulti una Repubblica democratica, dobbiamo tener presente che la democrazia si serve col mantenere fede ai principî che si sono sostenuti quando si era, ieri, in minoranza.

I deputati repubblicani entreranno alla Camera e, pur senza giurare, manterranno fede alla Repubblica, indubbiamente; ma quanto a coloro che repubblicani non sono e vengono invece alla Camera con veste di sovvertitori dei tempi nuovi, noi – i sovversivi degli oscuri passati regimi – non poniamo ostacoli a che essi, i nuovi sovversivi, abbiano la libertà di entrare alla Camera e possano prendere parte ai lavori della stessa. Sarebbe – a mio avviso – atto di intolleranza da parte nostra il pretendere che i deputati non repubblicani debbano prestar giuramento contro la loro fede e la loro coscienza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E perché?

STAMPACCHIA. …perché sarebbe un giuramento – qualcuno mi pare lo ha detto – con restrizioni mentali. Le restrizioni mentali evitiamole, per carità, perché esse non sono né di buon gusto, né di buona coscienza; né atte a conferire dignità al Parlamento della Repubblica.

Io quindi voterò contro la proposta di giuramento dei deputati. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula dell’onorevole Mortati:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro che mi asterrò in questa votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame della Sezione II: «la formazione delle leggi». Si dia lettura dell’articolo 67.

AMADEI, Segretario, legge: «La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento.

«Sostituirlo con il seguente:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BOZZI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento – sulla cui redazione formale non insisto perché richiamo la vostra attenzione sulla sostanza – concerne un problema che, per me, ha un notevole rilievo.

Questo progetto di Costituzione esclude completamente il Presidente della Repubblica dalla funzione legislativa, perché affida al Capo dello Stato soltanto il potere di promulgare le leggi.

Io non voglio in questo momento addentrarmi in una discussione teorica, per vedere in che l’atto giuridico «promulgazione» differisca dall’atto «sanzione», ma è certo che la promulgazione non è un’attività che incida nel processo di formazione delle leggi, ma è un atto – dirò così – di accertamento sul piano esecutivo, con il quale il Capo dello Stato documenta che la legge si è formata e dà regolarmente ordine che la legge abbia esecutorietà.

Porta la legge – dirò così – dal piano interno al piano esterno, verso i soggetti destinatari della norma.

In seno alla Sottocommissione si discusse molto se il Capo dello Stato dovesse avere potestà di intervento nel processo di formazione della legge, e ricordo il progetto dell’onorevole Conti, che dava al Presidente della Repubblica il potere di intervenire mediante la sanzione. Nella stesura definitiva il Capo dello Stato è mantenuto fuori. Secondo me questo è un errore.

Il progetto affida al Capo dello Stato soltanto la potestà di intervenire nel caso in cui, per dissidio fra la volontà di una Camera e la volontà dell’altra, non si sia potuta formare quell’atto complesso che è la legge. In questo caso (articolo 70 del progetto) il Presidente della Repubblica ha il potere di indire il referendum.

Ora, se il Presidente della Repubblica deve essere – come dovrebbe essere – a capo di tutti i poteri, colui che impersona lo Stato nei tre poteri, nelle sue tre funzioni fondamentali, io non vedo perché il Presidente della Repubblica debba essere tenuto estraneo alla formazione del più importante atto della vita di uno Stato: la legge.

Egli, secondo il progetto, esprime la volontà dello Stato come potere esecutivo, anche nei confronti dei paesi stranieri; non è estraneo nemmeno alla funzione giudiziaria, perché con un suo atto, la grazia o l’indulto, può modificare una sentenza irrevocabile.

Si dice che in un regime veramente democratico la legge deve essere l’espressione delle Camere che sono le depositarie della volontà popolare. Io credo che questo concetto è indiscutibilmente esatto, ma tuttavia non può portare alla conseguenza di escludere il Presidente della Repubblica da una qualsiasi forma di intervento nella formazione della legge.

Per esempio, la Costituzione di Weimar, che pure non dà al Presidente del Reich il potere di sanzione, tuttavia gli conferisce il potere di intervenire, sia pure ab extra, in quanto egli può arrestare il procedimento di perfezionamento della legge; e dice l’articolo 73 della Costituzione di Weimar che le leggi votate dal Reichstag devono essere prima della pubblicazione sottoposte a referendum, se così decide nel termine di un mese il Presidente del Reich. Ciò significa che il Capo dello Stato ha un potere di intervento che si esplica sia pure in una forma negativa.

E la stessa Costituzione francese, nel testo, che diversifica dal progetto, all’articolo 36 dice che, nel termine fissato per la promulgazione, il Presidente della Repubblica può domandare alle due Camere una nuova deliberazione che non può essere rifiutata.

Tutta questa varietà di forme dimostra una cosa che sta alla base di questo mio intervento, che noi non possiamo escludere radicalmente il Presidente della Repubblica da questo atto importantissimo, che è la formazione della legge. Vogliamo dare a lui il potere di sanzione, che è un modo diretto di partecipare? Vogliamo dargli invece la possibilità di richiamare l’attenzione delle due Assemblee, secondo lo schema francese? Ovvero la potestà di esprimere un veto? Comunque io credo che il Capo dello Stato non possa essere mantenuto estraneo alla formazione della legge.

Si è detto che nel regime parlamentare, poiché le manifestazioni di volontà di un Capo dello Stato comportano la responsabilità governativa, è impossibile che si determini un conflitto fra Capo dello Stato e Camera, perché se il Governo deve essere appoggiato dalla fiducia parlamentare, è impossibile che si determini un conflitto per cui il Capo dello Stato neghi la sanzione. Io voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo problema da me prospettato ha due rilievi: uno di carattere formale (in questa materia la forma è anche sostanza), perché mantenere estraneo il Presidente della Repubblica da questo atto fondamentale che è la legge, è una diminuzione, secondo me, del prestigio stesso del Presidente della Repubblica; un altro sostanziale, perché nel sistema del progetto all’articolo 72, che dovremo prendere in esame e che è molto delicato, affidiamo al popolo, che consideriamo esattamente come un organo costituzionale, il potere di arrestare l’entrata in vigore di una legge votata dal Parlamento.

Quindi riconosciamo che, sebbene una legge sia votata regolarmente dall’una e dall’altra Camera, il popolo possa in una certa misura intervenire e arrestare effettivamente questa legge. Ora domando perché questo potere di arresto non lo dobbiamo riconoscere al Presidente della Repubblica, che noi dobbiamo configurare come l’organo supremo che, per la sua eminente posizione, può sentire le correnti del Paese, che possono rivelarsi in contrasto con l’interpretazione che ne ha dato il Parlamento.

Può essere un caso limite: comunque la stessa Costituzione lo prevede, perché ammette che una legge votata dal Parlamento possa essere arrestata da una manifestazione della volontà popolare. Infine se noi diamo al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere le Camere, considerandolo moderatore ed arbitro della soluzione di conflitti tra Paese e Parlamento, possiamo ammettere che nello spazio di un mese può esservi tale mutamento, per cui una legge votata dal Parlamento stesso non incontra l’approvazione popolare, e il Capo dello Stato possa rendersi interprete delle correnti popolari e richiamare su di esse la volontà del Parlamento perché rimediti sul problema.

Io vorrei che su questo tema, che mi sembra molto delicato e che è connesso con una certa configurazione che si vorrà dare al Capo dello Stato (sarà eletto dalle due Camere o dal popolo?), si concentrasse l’attenzione dell’Assemblea. Non so se dobbiamo tenerlo accantonato per rimeditarlo quando avremo dinanzi la figura del Capo dello Stato in tutta la sua interezza, o se vogliamo affrontarlo adesso.

Comunque, insisto perché il mio emendamento sia preso in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Bozzi ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sopra un problema che non fu posto (almeno nei termini in cui egli lo ha posto ora) nei lavori della Commissione, di cui egli faceva parte. L’avrebbe potuto sollevare allora.

LAMI STARNUTI. Fu posto e respinto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ad ogni modo non in questa forma. Io credo (l’avevo già accennato in un mio precedente intervento e vi tornerò sopra in seguito) che possa considerarsi il riconoscimento di qualche maggior potere del Capo dello Stato di fronte alle leggi, ma non posso accettare la formula che ha steso l’onorevole Bozzi e che è una riproduzione dell’articolo 3 dello Statuto albertino: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere». Questo risponde a tutta una concezione che abbiamo superata. Quando uno dei piloni della Costituzione era il re, la Corona, si comprendeva la sua partecipazione come terzo ramo del Parlamento alla funzione legislativa. Ciò risaliva alla concezione inglese; ma anche là ormai certe frasi hanno un sapore, oserei dire, letterario più che giuridico; lo ammette anche il Dicey, uno dei maggiori studiosi della Costituzione inglese. Se oggi, anche col re, nella classica Inghilterra, non si può dire esattamente che la funzione legislativa è esercitata collettivamente, e per così dire alla pari, fra lui ed il Parlamento, si può tanto meno dirlo in una Repubblica, per il Capo dello Stato.

La formula dell’onorevole Bozzi, che sembra ormai inesatta ed arcaica, fa intervenire il Capo dello Stato come partecipe, allo stesso modo del Parlamento, alla funzione legislativa, che egli, il Capo dello Stato, può soltanto regolare e frenare. Non partecipa alla formazione delle leggi chi non la vieta. Oso dire che – anche dando al Capo dello Stato la sanzione delle leggi – ciò non implicherebbe la necessità di riesumare la impostazione dello Statuto albertino.

Il nostro progetto di Costituzione si è limitato a dare al Presidente della Repubblica la promulgazione delle leggi. Sanzione e promulgazione sono due istituti giuridici diversi fra loro, ma non così estremamente diversi, da non potere trovare un punto comune, per così dire, intermedio che sia strettamente, correttamente giuridico, e consenta al Capo dello Stato un intervento notevole e giusto di fronte alla funzione legislativa, intervento dall’esterno, non dall’interno della funzione stessa che spetta al Parlamento; intervento che può spettare al Capo dello Stato come supremo regolatore ed equilibratore dei poteri.

Mi sia consentito ricordare ciò che dicevo il 19 settembre all’Assemblea: «L’istituto della sanzione si comprendeva meglio, quando il re era considerato come il terzo ramo del Parlamento. È meno ammissibile ora; e del resto – se si crede di concedere al Capo dello Stato, nel caso di suo dissenso con le Camere sopra una legge, la facoltà di chiederne il riesame ed eventualmente di ricorrere al referendum – facoltà che gli è riconosciuta in caso di dissenso legislativo fra le due Camere – ciò si potrebbe fare, anche attenendosi al solo compito della promulgazione».

Mi sembra, da alcuni punti del suo discorso, che l’onorevole Bozzi si possa accontentare di qualcosa di simile; ed in ciò può aver ragione ed essere utile il suo richiamo; ma lo prego di rinunciare alla sua formula. Delibereremo a suo tempo meditatamente e tranquillamente. E potremo trovare soluzioni, che ammettendo un suo intervento di fronte alle leggi, non siano in contrasto con la figura del Capo dello Stato, in uno Stato parlamentare, e con la più corretta concezione repubblicana e democratica, che anima il nostro progetto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. All’inizio del mio intervento avevo detto che non insistevo sulla redazione formale, ma che facevo una questione di sostanza, che si riassumeva in ciò: la necessità che il Presidente della Repubblica non sia del tutto estraneo all’esercizio della funzione legislativa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non deve partecipare alla formazione.

BOZZI. Il problema politico e costituzionale è questo: il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo che conduce alla formazione della legge.

Questo è un errore. Bisogna trovare una forma di intervento del Capo dello Stato.

Io avevo detto inizialmente che non facevo questione di sanzione. Posso aderire all’idea dell’onorevole Ruini, purché il problema venga ripreso in esame.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Il problema posto dall’onorevole Bozzi è veramente molto grave. Il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo di formazione della legge, tanto che l’articolo 83 del progetto dice soltanto che il Presidente promulga le leggi, e niente altro. Mettendo la figura di Presidente tra i tre poteri che formano le leggi – cioè le due Camere ed il Presidente – noi diamo al Presidente della Repubblica una facoltà, che egli non deve avere.

Basti pensare a questo: se la facoltà sanzionatoria non fosse esercitata, cioè il Presidente della Repubblica si rifiutasse di sanzionare una legge, nascerebbe un conflitto costituzionale fra le due Camere ed il Presidente della Repubblica. Ora, non è previsto nessun organo che sciolga questo conflitto. La Corte costituzionale prevista dal progetto ha altri compiti, non questo.

Quindi, noi veniamo a scardinare tutta la formazione della Costituzione, la quale, come Costituzione repubblicana, ha messo il Capo dello Stato in una funzione particolare, altissima, ma non tale da formare quella terza Camera cui ha accennato l’onorevole Ruini. Io sono contrario. Unico dubbio è questo: se convenga seguire l’esempio della Costituzione francese, che all’articolo 36 non dà un diritto né di sanzione, né di veto assoluto, ma che dice: «Il Presidente della Repubblica può, con un messaggio motivato, domandare alle due Camere una nuova deliberazione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Persico, è il veto sospensivo. La classica dottrina francese lo configura appunto come un veto sospensivo.

PERSICO. Sì, veto sospensivo, che però dopo la seconda deliberazione si annulla.

Questa idea di chiedere il parere alla Camera per una seconda volta può essere esaminata a suo tempo. Ricordo che, per quanto riguarda l’articolo 70, io ho creduto opportuno – e questo conferma che sono della stessa opinione dell’onorevole Ruini – di togliere il potere al Presidente della Repubblica di indire referendum popolari sui disegni non approvati, perché questo potere darebbe al Capo dello Stato una facoltà legislativa, facoltà che il Capo dello Stato non deve avere. Per questo sono contrario all’emendamento dell’onorevole Bozzi.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Senza entrare per ora nel merito della questione, mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questa circostanza: l’onorevole Bozzi, nell’illustrare il suo emendamento, è stato necessariamente costretto a riferirsi agli altri poteri e facoltà che il progetto di Costituzione attribuisce al Capo dello Stato. Questa necessità in cui l’onorevole Bozzi si è trovato è una conferma dello stretto legame che unisce la sua proposta con le facoltà che la Costituzione intende attribuire al Capo dello Stato. A seconda che il Capo dello Stato noi arriveremo a configurarlo in un modo o in un altro, la questione posta dall’onorevole Bozzi potrà avere un aspetto od un altro e potrà avere o no accoglimento. Io proporrei che si rinviasse l’esame di questa proposta…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Targetti!

TARGETTI. Lo so, onorevole Ruini, che qui ci si oppone la questione che per gli emendamenti non può valere la sospensiva.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è per questo, onorevole Targetti. Se permette, ripeto il mio pensiero. Si tratta di respingere il principio di una partecipazione come terzo ramo del Parlamento. Noi non possiamo accogliere questo concetto. Se l’onorevole Bozzi lo mantiene, noi voteremo contro; se viceversa lo ritira, ci riserviamo di esaminare a suo tempo la questione, non sotto l’aspetto posto dall’emendamento, ma sotto l’aspetto che ci sembrerà opportuno, quale la possibilità di un voto sospensivo. Viceversa lei, onorevole Targetti, diceva di rimandare l’emendamento dell’onorevole Bozzi, così com’è ora formulato, in quella sede.

TARGETTI. Le posso assicurare che avevo capito con grande esattezza il concetto espresso dall’onorevole Bozzi, nel senso che egli intende costituire quella che, con ardita analogia, si chiama terza Camera, perché raffigurate nella forma di una Camera…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il caput Parlamenti: è la vecchia concezione della dottrina inglese.

TARGETTI. La mia proposta è questa: se alla sospensiva della discussione di un emendamento fa ostacolo una norma regolamentare, l’onorevole Bozzi potrebbe – se fosse persuaso delle mie osservazioni – ritirare in questa sede il suo emendamento, salvo a ripresentarlo quando si venga a discutere della questione del Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, avevo pregato il collega Bozzi di ritirare il suo emendamento, salvo ad esaminare la questione a suo luogo, nella forma che sembrerà più opportuna, ma non mi sono affatto impegnato a riprendere allora in esame la sua proposta secondo la dizione attuale. Questo, onorevole Targetti, lei non aveva compreso.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

BOZZI. Volevo dire questo: non ho difficoltà a ritirare il mio emendamento. Non vorrei, però, che il problema fosse pregiudicato; perché se oggi si approva l’articolo 67 del testo del progetto, potrebbe domani dirsi che il problema è pregiudicato. Allora, siccome l’articolo 67 non è necessariamente collegato con quello che segue, ne potremmo rinviare l’esame.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Il Gruppo in nome del quale parlo è contrario all’emendamento Bozzi, per le ragioni già dette sia dall’onorevole Ruini sia dall’onorevole Persico. Rivivrebbe una norma dello Statuto albertino la quale in realtà costituiva anch’essa una transazione tra la «grazia di Dio e la volontà della Nazione», che dovevano camminare insieme; ma ora non è ammissibile che, nella Costituzione di una Repubblica parlamentare, il Capo dello Stato partecipi direttamente alla formazione delle leggi.

BOZZI. Perché può sciogliere le Camere?

GULLO FAUSTO. Lasciamo stare. Noi parliamo della formazione delle leggi, che giustamente l’onorevole Bozzi dice essere la manifestazione più essenziale della sovranità.

Ricordo però all’Assemblea che all’articolo 70 del progetto c’è qualcosa. Esso dice:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno».

Un intervento di questo genere può considerarsi opportuno appunto perché è pienamente giustificato da un contrasto che può nascere fra le due Camere. L’onorevole Persico ha detto una cosa molto sensata quando ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sull’eventualità di un altro contrasto che potrebbe sorgere. Che un contrasto sorga fra le due Camere è una cosa inevitabile, perché sono entrambe investite del potere di fare le leggi; ma creare la possibilità che sorga fra le due Camere ed il Capo dello Stato, conferendo al Capo dello Stato il potere di concorrere alla formazione delle leggi, significa creare la possibilità di un conflitto costituzionale, di cui bisogna senz’altro, fin da questo momento, calcolare la portata e l’importanza. Chi verrebbe a dirimere questo conflitto che può sorgere?

Ora, basterebbe solo questa considerazione, anche a prescindere per poco da quello che è l’aspetto centrale della questione. Noi siamo di fronte ad una Repubblica parlamentare, in cui la sovranità è rappresentata dalle due Camere cd alle due Camere spetta soltanto la potestà di fare le leggi. L’onorevole Bozzi si richiamava al fatto che noi riconosciamo al popolo il diritto di annullare la deliberazione delle due Camere; ma l’onorevole Bozzi dimenticava una cosa essenziale: la Costituzione parte dal principio che la sovranità risiede nel popolo, ed esclusivamente nel popolo. Che possa il popolo annullare, con un referendum, la deliberazione delle due Camere è una cosa che si spiega (vedremo poi in seguito se sia prudente ed opportuno sancire ciò nella Costituzione); non si contravviene al principio generale che è quello che la sovranità risiede nel popolo. Non mi spiegherei che questo potere dato al popolo possa essere dato anche al Presidente della Repubblica, che è eletto dalle Camere. In lui non risiede la sovranità, così come risiede nel popolo. Per queste ragioni siamo assolutamente contrari all’emendamento dell’onorevole Bozzi, così come siamo contrari a quello che diceva poco fa l’onorevole Targetti, cioè di rimandare la questione a quando si discuterà dei poteri da conferire al Capo dello Stato. Quali che siano questi poteri, qui è intanto da affermare un principio: che la potestà di fare le leggi risiede nelle Camere ed esclusivamente nelle Camere. Non è il caso di rinviare al momento in cui si discuterà dei poteri del Capo dello Stato. Al Capo dello Stato si potranno dare tutti i poteri che vorremo, tranne questo. Quindi un rinvio motivato, così come l’ha motivato l’onorevole Targetti, non si spiega. Lo spiegherei nel senso esposto dall’onorevole Ruini. L’onorevole Ruini, infatti, premette che debba essere affermato questo principio: che la facoltà di fare leggi risiede nelle Camere. Si vedrà dopo se è il caso di accettare un intervento di natura diversa da parte del Capo dello Stato. Chiediamo quindi che si respinga l’emendamento dell’onorevole Bozzi e si approvi la dizione del progetto così come è.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Vorrei fare presente che aderisco anch’io alla proposta del rinvio sulla questione di principio, perché non vorrei che si ragionasse in odio di questa o quella Costituzione.

Noi facciamo questo ragionamento: siccome nella Costituzione precedente era prevista la partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa, qui dobbiamo escluderla.

È importante viceversa questo rinvio senza pregiudicare la questione, perché se escludessimo completamente il Capo dello Stato dalla funzione legislativa avremmo due conseguenze: la prima è che lo ridurremmo a semplice capo del potere esecutivo, contrariamente alle nostre intenzioni, perché vogliamo che sia il Capo dello Stato. E non è male, per evitare che si riduca a semplice capo del potere esecutivo, ammettere la sua partecipazione alla funzione legislativa.

Altra conseguenza è questa: che noi non potremmo mai evitare, secondo me e secondo molti studiosi, questa partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa. Non potremmo evitarla, perché nessuno ha messo in dubbio la necessità di attribuire al Capo dello Stato la facoltà di promulgazione.

Si è molto discusso, e ritornerò sull’argomento fra poco, circa la natura della promulgazione.

Alcuni hanno sostenuto che si tratti di un atto amministrativo, ma molti hanno invece pensato e ritengono che si tratti di un atto legislativo. In altri termini, promulgare significa partecipare all’esercizio della funzione legislativa. E credo che tale tesi sia da accettare, perché occorre distinguere lo statuire dal documentare; statuire cioè fissare il contenuto della norma; documentare, ossia offrire un mezzo materiale da cui possa desumersi con certezza che cosa ha stabilito il legislatore.

Quindi la facoltà di promulgare, in realtà, implica una partecipazione all’esercizio della funzione legislativa, sia pure ad una attività meno elevata di quella del legislatore che statuisce. Ma ritengo, e ritengono molti, che si tratti anche qui di partecipazione alla funzione legislativa.

Penso, pertanto, che non manchino le ragioni per differire la questione, così da esaminarla allorché ci occuperemo dei poteri da attribuire al Capo dello Stato e della struttura da attribuire a tale organo nella nostra Costituzione. Altrimenti, come ripeto, da una parte, ridurremmo il Capo dello Stato a capo del potere esecutivo, contrariamente ai principî relativi al sistema parlamentare cui ha accennato l’oratore che mi ha preceduto, e, d’altro lato, escluderemmo la partecipazione del Capo dello Stato a quella attività legislativa meno elevata, ma sempre d’indole legislativa, che consiste nel promulgare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembrava che l’onorevole Bozzi non fosse contrario ad aderire alla mia preghiera e cioè di rimandare la questione di questo intervento del Capo dello Stato, ma non accettasse la formulazione del progetto. L’amico Targetti è intervenuto a fine di bene; ma ha mosso nuovamente le acque; e la questione è ancora in alto mare…

TARGETTI. No no, lei questo se lo immagina: riveda il testo stenografico: io non ho fatto nessuna proposta di rimandare!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, lei ha proposto di rimandare l’emendamento Bozzi. Al che io non posso consentire. Rimandare l’emendamento Bozzi significherebbe rimandare anche tutto l’articolo che deve essere invece approvato nella forma proposta; il che non pregiudica – se non nei riguardi della sanzione vera e propria; ed anche per questo la formulazione Bozzi è eccessiva – l’adozione di quelle forme di intervento del Capo dello Stato, a cui ho già accennato.

Votiamo dunque l’articolo, mentre l’onorevole Bozzi potrà prendere atto dell’affidamento che gli do – e che tutta l’Assemblea condivide – che riprenderemo in esame questo punto, sempre tenendo fermo che la formazione delle leggi appartiene soltanto alle due Camere.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Desidero ripetere che non vorrei che votando oggi l’articolo 67 si producesse una specie di preclusione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dopo quanto è stato detto sull’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, credo che non si possa fare altro se non rinviare la decisione e che non si possa accettare la proposta formulata or ora dall’onorevole Ruini, perché, accettandola, la questione sarebbe, almeno in parte, senza dubbio pregiudicata, nel senso che, se non si prevede una partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativo, resta ex adverso fissato senz’altro il principio che tale esercizio spetta soltanto alle Camere, rimanendo esclusa una partecipazione attiva del Capo dello Stato.

L’onorevole Ruini ha detto che la possibilità di questo intervento non rimarrebbe esclusa.

Ma bisogna intenderci su questo punto, perché fissare ora il principio che il potere legislativo spetta alle due Camere vuol dire, anzitutto, che non si potrà mai più parlare di un potere di sanzione del Capo dello Stato, che il Capo dello Stato è fuori del potere legislativo e che potrà avere invece, se mai, solo un potere di opposizione, di veto, da manifestarsi in vari modi.

Ora a me sembra che su tale questione, che investe così profondamente quella dei poteri da attribuirsi al Capo dello Stato – e in modo particolare e specifico del potere di sanzione – non si possa prendere attualmente posizione se non ci si mette d’accordo prima sulla figura generale del Capo dello Stato, quale sarà delineata nel Titolo II della Parte II.

Secondo l’onorevole Gullo la questione riguarderebbe non la figura del Capo dello Stato ma l’essenza della Repubblica parlamentare. Non condivido questo punto di vista: la Repubblica parlamentare non implica infatti l’esistenza di due soli organi costituzionali, le assemblee legislative, né tanto meno che le Camere siano i soli organi sovrani. Anche il Presidente della Repubblica è evidentemente un organo costituzionale, e nulla impedisce che la Costituzione attribuisca al Presidente poteri costituzionali anche nel quadro del potere legislativo. In tal caso i principî della Repubblica parlamentare non sarebbero affatto violati. Non è esatto parlare di sovranità delle Camere. Qui si tratta di vedere se sia opportuno o meno un intervento in forma diretta del Capo dello Stato nella funzione legislativa.

Per risolvere la questione bisogna accordarsi prima sulla figura da dare al Capo dello Stato. Se prevarrà la concezione formalistica, che tende a limitare i poteri del Capo dello Stato, è evidente che sarà difficile attribuire al Presidente della Repubblica una partecipazione attiva alla funzione legislativa; se invece noi decideremo di fare del Capo dello Stato non una figura solo simbolica, ma un organo dotato di effettivi sostanziali poteri, potremo facilmente attribuirgli anche quello di partecipazione all’esercizio della funzione legislativa.

D’altra parte, la questione è collegata non soltanto con quella della figura e dei poteri del Capo dello Stato ma anche con l’altra della forma di elezione del Capo dello Stato stesso. È evidente infatti che, se noi vogliamo dare, ad esempio, un potere di sanzione al Capo dello Stato, bisognerà che esso sia di elezione popolare, perché non vedo altrimenti come egli potrebbe opporsi ad un voto delle Camere, che sono di elezione popolare.

Per tutte queste ragioni, ritengo opportuno il rinvio dell’esame e della votazione sull’articolo 67.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi sono dunque varie proposte. Vi è quella dell’onorevole Ruini, il quale chiede che si proceda per intanto all’approvazione dell’articolo 67, salvo esaminare il contenuto dell’emendamento dell’onorevole Bozzi in successione di tempo, quando cioè si dovranno stabilire i poteri del Capo dello Stato. Vi è poi la proposta dell’onorevole Tosato, nel senso di rinviare invece senz’altro l’esame dello stesso articolo 67, e conseguentemente dell’emendamento Bozzi.

Invito, il Presidente della Commissione a dichiarare se insiste nella richiesta di procedere alla votazione dell’articolo 67.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che la proposta di votare l’articolo 67, senza rimandarlo, sia perfettamente logica. Non così il rinviarlo. Ad ogni modo la questione ha più che altro un senso di tecnica formale. Anche se dovesse venire approvato il rinvio, resta fermo che non potremo mai ammettere, a suo tempo, una formula arcaica e superata come quella che era stata proposta dall’onorevole Bozzi, e consentire al Capo dello Stato interventi che ne facciano un partecipe del Parlamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Prego l’Assemblea di voler accogliere la proposta di sospensiva dell’onorevole Tosato. Una volta che la questione è venuta in discussione, essa è troppo grave perché possa essere risolta seduta stante; ed è risolta, se noi approviamo l’articolo 67 così come viene proposto. Credo anche che la questione sia talmente grave e delicata da richiedere la presenza di un numero di deputati maggiore di quello attuale.

PRESIDENTE. Ricordo che le proposte di sospensiva hanno la precedenza nelle votazioni. Pongo pertanto ai voti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere l’esame e la votazione dell’articolo 67.

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 17.

La seduta termina alle 13.20.