Come nasce la Costituzione

LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Morini

Costa

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Calosso

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Merlin Angelina

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costantini

Salvatore

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cairo e Caristia.

(Sono concessi).

Presentazione di un disegno di legge.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi onoro di presentare il disegno di legge sul riordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro della pubblica istruzione della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella degli onorevoli Morini e Cairo al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e delle finanze, «per conoscere: a) se è esatta la notizia secondo la quale è in corso di emanazione una legge di regolamentazione delle lotterie; legge che porrà fine al monopolio, da parte della S.I.S.A.L., del totalizzatore del gioco calcio; b) se, d’altra parte, è vero che la legge affiderà la gestione del toto-calcio, anziché al C.O.N.I., alla Direzione lotto, il che significherebbe la morte dell’iniziativa; c) se, infine, è vero che la legge stessa porterà alla soppressione delle percentuali, che oggi affluiscono nelle casse del C.O.N.I., con conseguente paralisi completa di tutte le federazioni sportive, che raggruppano nelle proprie file 2 milioni di inscritti ed interessano tutta la gioventù d’Italia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’amministrazione delle finanze, preoccupata dallo sviluppo che andavano assumendo certe forme particolari di pronostici e di concorsi, il cui volume di giuoco era divenuto progressivamente molto rilevante, aveva posto allo studio e diramato nelle sue linee essenziali per il concerto dei Ministeri interessati, un primo schema di provvedimento che tendeva a dare una regolamentazione a tutta questa materia e principalmente ad assicurare che la massima parte dei profitti andasse nelle casse dello Stato.

Per la complessità della materia stessa, questo primo schema è stato molto discusso dai Dicasteri interessati. Furono apportate delle modifiche; se ne occupò due o tre volte il Consiglio dei Ministri, e recentemente era stato dall’Amministrazione finanziaria predisposto un nuovo schema di decreto legislativo, che è ancora allo studio e il Consiglio dei Ministri se ne occuperà in una delle prossime sedute.

La preoccupazione dell’onorevole Morini, che secondo quanto si evince dalla lettera b) e dalla lettera c) della sua interrogazione è quella che le attività sportive coordinate e dirette dal C.O.N.I. non rimangano senza i necessari mezzi che attualmente sono, oltre alla percentuale sugli incassi delle manifestazioni, quelli che provengono dal concorso C.O.N.I. – S.I.S.A.L., è nella sua sostanza condivisa dalla Presidenza del Consiglio e dal Governo, in quanto si ritiene che fino a quando non sarà possibile impiantare su di un finanziamento vero e proprio del bilancio il necessario interessamento dello Stato per le attività sportive, debba rimanere questa forma di finanziamento del C.O.N.I., sia pure disciplinata e regolata. Posso assicurare che, per l’attuale stagione calcistica, il concorso rimarrà così com’è. Per l’anno prossimo si studierà a tempo, a parte la legge a cui prima alludevo, la possibilità di un vero e proprio bilancio preventivo del C.O.N.I., che dovrà tener conto, oltre che dell’attività sportiva ordinaria, anche del ripristino delle attrezzature sportive andate in deperimento per causa di guerra, ed anche di tutta l’attività che dovrà essere predisposta per le Olimpiadi che, come è noto, avranno luogo nell’anno prossimo.

Credo che questa assicurazione sulla sostanza dell’interrogazione possa tranquillizzare le giuste preoccupazioni dell’onorevole Morini.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. In complesso, le assicurazioni datemi dall’onorevole Sottosegretario sono sodisfacenti. Sono sodisfacenti anche perché personalmente mi risulta che l’onorevole Sottosegretario ha espresso esattamente quelli che sono i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni a favore dello sport. L’interrogazione che ho presentata oggi è la seconda che presento sull’argomento. In una precedente interrogazione sul toto-calcio, ero contro il totalizzatore dato alla S.I.S.A.L., perché convinto che in queste entrate la S.I.S.A.L. facesse la parte del leone. Successivamente, ho presentato questa interrogazione perché ho avuto la sensazione precisa che si andasse oltre quelli che erano i miei intendimenti. I miei intendimenti erano non di danneggiare il C.O.N.I., ma di ottenere che questo totalizzatore venisse gestito direttamente dal C.O.N.I. stesso. Ad un dato momento, mi sono accorto che invece di tagliare le unghie alla S.I.S.A.L., si davano permessi ad altre speculazioni private, che erano peggiori di quella della S.I.S.A.L., e, d’altra parte, ho saputo che c’erano intenzioni in senso opposto, cioè di avocare allo Stato la gestione diretta del totalizzatore.

Entrambe le due soluzioni, quella che permette la speculazione privata e non solo ad una società, ma addirittura a società diverse, e quella opposta di avocare tutto allo Stato, erano e sono due soluzioni egualmente funeste per gli interessi dello sport. Noi abbiamo assistito alla concessione anche alla GIESSE e alla S.I.N.A.L.P. Ora, anche su questo punto vorrei qualche assicurazione dall’onorevole Sottosegretario, perché le due concessioni portano alla conseguenza che il C.O.N.I. non ha più nessun controllo su queste forme spinte di speculazione privata, per cui si giunge a questa situazione paradossale che la GIESSE, ad esempio, pone un premio a favore del migliore tiratore in goal. Ora, tutti coloro che sanno quanto è delicata la situazione delle Società sportive sanno che un premio di questo genere può portare conseguenze gravissime, con sfasamento di tutti i risultati sportivi.

D’altra parte, avocare allo Stato il totalizzatore, cioè togliere il toto-calcio dai vari bar d’Italia, che sono oggi la sua sede naturale, significa annullare l’iniziativa. Ed è per questo che dico all’amico Andreotti che nella sua azione, che egli compie tutti i giorni a favore della regolamentazione della sorte dello sport, deve tener conto di questi punti: 1°) lo sport non può vivere senza il toto-calcio; 2°) il toto-calcio deve essere tolto alla speculazione privata ma non deve essere avocato allo Stato; 3°) secondo me la formula migliore è di dare al C.O.N.I. la gestione diretta del toto-calcio, perché attraverso tale gestione diretta del toto-calcio noi toglieremo i danni e le preoccupazioni della speculazione privata senza avere gli svantaggi enormi derivanti dall’assumere lo Stato l’iniziativa stessa.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Uno dei cardini di questa indagine prelegislativa per dare una certa forma alla materia è proprio quello di considerare su un piano diverso l’attività del C.O.N.I., che è un ente pubblico, da quelle iniziative del tipo cui l’onorevole Morini ha accennato, che, seppure sorte con particolarità diverse, hanno cercato di assumere una fisionomia e un volume che non dico abbia addirittura tratto in inganno, ma ha fatto determinare in precedenza quello che altrimenti non si sarebbe determinato da parte dell’Amministrazione finanziaria nel momento in cui fu data l’autorizzazione. Per dovere di ufficio devo dire che non può essere ammesso in linea di principio l’affermazione assoluta dell’onorevole Morini, che affidando l’una o l’altra iniziativa a una Direzione del Ministero delle finanze, ciò significherebbe la morte della iniziativa stessa. Sulla sostanza siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dei deputati Numeroso, Leone Giovanni, e Riccio, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere: a) quale fondamento abbiano le notizie pubblicate dalla stampa circa irregolarità attribuite all’ARAR per la cessione di residuati di guerra ad una società commissionaria, ed in genere circa i sospetti e le deficienze, ormai di dominio pubblico, nelle operazioni di vendita di ingenti quantitativi di materiali; b) i risultati delle indagini circa incendi e furti, che ripetutamente si verificano nei campi di deposito dell’ARAR; c) i motivi che inducono i dirigenti dell’ARAR ad alienare a speculatori notevoli quantitativi di materiale di uso, che potrebbero essere ceduti, con evidente vantaggio di tutti, a determinate categorie di consumatori. Gli interroganti, inoltre, chiedono di conoscere se nell’interesse dell’erario e di fronte a tante accuse e voci di sospetti, non si ritenga opportuno nominare una Commissione di inchiesta su tutto il funzionamento di questa complessa e importante azienda».

Non essendo presente nessuno dei deputati interroganti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione del deputato Costa, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con la interrogazione presentata si tenderebbe a porre sullo stesso piano, nei confronti del controllo della Corte dei conti e limitatamente alla sede di Venezia, gli atti dell’A.N.A.S. e quelli del Provveditorato alle opere pubbliche.

In proposito, deve anzitutto farsi presente che la disciplina del controllo sugli atti del Provveditorato alle opere pubbliche di Venezia non potrebbe essere regolata con norme diverse da quelle vigenti per gli altri Provveditorati regionali. D’altra parte questi istituti presentano, nei confronti dell’A.N.A.S., diversità sostanziali nei riguardi della struttura e del funzionamento, per cui non può pensarsi ad una loro equiparazione.

È infatti da osservare che l’A.N.A.S. è una azienda autonoma a natura prettamente industriale, perché, in sostanza, non è altro se non una grande organizzazione per la costruzione e la manutenzione stradale.

E fu proprio per tale motivo, e per la considerazione che il controllo preventivo mal si concilierebbe con l’accennato carattere industriale, che esige una particolare rapidità di decisioni che, per l’Azienda autonoma statale della strada – che, come è noto, ebbe caratteri sostanzialmente identici a quelli dell’attuale A.N.A.S. – venne adottato quelle stesso sistema, del controllo successivo, che era stato già assunto per le altre Amministrazioni autonome a tipo industriale, come quello delle ferrovie dello Stato, delle poste e delle telecomunicazioni, dei monopoli, ecc., ragione per cui può ben dirsi che l’adozione di tale sistema per l’A.N.A.S. fu una applicazione particolare del principio assunto per tutte le aziende autonome a tipo industriale, in deroga al sistema del controllo preventivo e successivo stabilito in genere per le Amministrazioni dello Stato.

I Provveditorati regionali alle opere pubbliche sono invece uffici decentrati dell’Amministrazione dei lavori pubblici e, per ciò stesso, comuni organi della Amministrazione dello Stato. Quindi deve a tali organi applicarsi il principio del controllo preventivo.

Nessuna ragione potrebbe poi consigliare la sostituzione del controllo successivo a quello preventivo, poiché quest’ultimo è indubbiamente più efficace per la sua tempestività, in relazione anche alla imponente mole delle opere pubbliche realizzate dai Provveditorati regionali, che presentemente assorbono con la loro gestione una parte notevolissima – dell’ordine di molte decine di miliardi – del bilancio statale. D’altra parte può assicurarsi che il controllo della Corte sugli atti dei Provveditorati regionali è stato esercitato in tutte le sedi con spirito di collaborazione e con sollecitudine, come è stato anche dichiarato dalla stessa Amministrazione controllata, cioè quella dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Non mi dichiaro per nulla sodisfatto per la risposta che ha dato il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Già lunedì scorso ebbi a chiarire in che cosa consisteva la portata di questa interrogazione. La cosa può interessare largamente i colleghi dell’Assemblea, perché sostanzialmente si tratta del funzionamento dei Provveditorati alle opere pubbliche e di sistemare e facilitare un servizio il quale è legato alla ricostruzione del Paese.

Noi siamo in un periodo, come già dissi anche lunedì scorso, analogo a quello successivo alla guerra precedente, nel quale si trattava di ricostruire le terre liberate. Per la ricostruzione nelle terre liberate si ritenne opportuna una legislazione speciale, la quale era modellata precisamente sulle amministrazioni a tipo industriale e ciò per sveltire il lavoro di ricostruzione.

Dirò poi come non sia esatto quello che ha detto il Sottosegretario di Stato: che le Amministrazioni controllate abbiano informato che tutto procede regolarmente. Intanto rilevo che, se si è potuto, dopo la guerra 1915-18, attuare una legislazione per la ricostruzione delle terre liberate modellata sui sistemi industriali, non è facile capire perché oggi non si possa, se non attuare la legislazione speciale dell’Azienda della strada, almeno la legislazione speciale che si fece nel 1919 per la ricostruzione delle terre liberate.

La ragione per cui ho accennato al Provveditorato delle opere pubbliche del Veneto e di Mantova – ragione che il Sottosegretario di Stato ha ritenuto di superare, osservando che, caso mai, si deve trattare di una legislazione uniforme per tutti i Provveditorati, compreso quello di Venezia – la ragione è proprio quella che mira a realizzare uno sveltimento nella ricostruzione. Ed io ho accennato a queste Provincie, perché il decreto del 27 giugno 1946, il quale dispone una complessità di controlli sulle spese, sia in sede preventiva che in sede consuntiva, non parla che del Provveditorato di Venezia.

L’articolo 16 dice: «L’ufficio distaccato della Corte dei conti istituito presso il Provveditorato regionale per le opere pubbliche di Venezia – io domando perché si dice di Venezia e non si dice di altri Provveditorati – eserciterà anche la funzione di riscontro preventivo e successivo per le spese».

Supposto che questa disposizione sia stata successivamente estesa a tutti i Provveditorati, ho una ragione di più per sostenere la mia tesi, perché io allora non difendo solo gli interessi della Venezia, ma in genere gli interessi dell’Amministrazione che riguarda tutta l’Italia. E gli interessi sono generali in questo senso, che c’è bisogno di sveltire il funzionamento amministrativo.

È degno di rilievo il fatto che, successivamente all’interrogazione presentata, ho avuto manifestazioni di consenso, ho avuto lettere da associazioni, che, non so come, sono state informate di questa interrogazione – la stampa non si occupa di queste cose, ma si vede che qualcuno è stato informato – e mi hanno chiesto con interessamento quale risposta abbia dato il Ministero.

È inutile dire che le amministrazioni a tipo industriale possono agire più sollecitamente delle amministrazioni statali e che quella dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche è, sì, un’amministrazione sui generis, ma strettamente collegata con l’Amministrazione dello Stato. Io, però, mi domando: se la legge relativa ai Provveditorati ha stabilito all’articolo 36 che ci sia un controllo preventivo sugli atti del Magistrato alle acque, è intanto assodato che questi atti, cioè i provvedimenti dai quali derivano spese, sono già soggetti ad un controllo preventivo. Quando il Provveditorato alle opere pubbliche emana un decreto che dispone una determinata spesa, quel decreto, con tutta la documentazione, viene presentato alla Sezione staccata della Corte dei conti presso il Provveditorato alle opere pubbliche della Regione e la sezione staccata fa il suo esame preventivo su tutta la documentazione, sui progetti, sui preventivi di spesa e sul decreto del Provveditorato che dispone l’esecuzione attraverso l’approvazione di comitati consultivi, perché lo stesso decreto del Provveditorato per le opere pubbliche è condizionato ai pareri favorevoli di organi tecnici, pareri che si estendono anche all’entità e modalità della spesa.

Dopo questo controllo preventivo, cosa accade? Si fa la spesa. Eseguita la spesa, per poter effettuare il pagamento dell’importo relativo bisogna mandare tutti gli atti contabili ancora alla sezione staccata della Corte dei conti, perché esamini tutte le fatture e tutti gli atti di liquidazione, gli stati di avanzamento ed ogni altro elemento contabile.

Questo cosa significa? Significa che, siccome si sa cosa sono gli uffici, indipendentemente dalla buona volontà dei funzionari, c’è un appesantimento della funzione, dato che gli uffici che sono adibiti a questa funzione hanno una congerie di carte sui tavoli, l’esame delle quali richiede notevoli disponibilità di tempo ed è naturale che ogni pratica debba attendere il proprio turno. Ma dopo il controllo preventivo sulla spesa, occorre anche quello consuntivo, il che significa che tutti questi incartamenti debbono essere nuovamente presentati a pagamento effettuato.

È da notarsi inoltre che il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche, che, come abbiamo visto, presuppone già l’esame di tutta questa materia, passa all’ufficio di ragioneria, il quale non è già un ufficio che esegue materialmente le registrazioni, senza esaminare i vari incartamenti: c’è quindi anche questo controllo dell’ufficio di ragioneria ed è evidente che la ragioneria assume conseguentemente le sue responsabilità circa la regolarità dei vari impegni e delle spese correlative effettuate.

Ecco, dunque, il punto della questione che io pongo: se questa duplicità di controlli sulle spese, se tutta questa complicazione non è stata ritenuta necessaria nemmeno quando si è trattato della ricostruzione nelle terre venete dopo la prima guerra mondiale, per quale motivo si deve ritenere necessaria oggi? Noi non recriminiamo nel senso di criticare i funzionari i quali fanno evidentemente il loro dovere come meglio possono; critichiamo l’eccessiva complicazione di questo ordinamento che è una vera e propria superfetazione.

Qui non è il caso di dire, come qualche volta si ode dire, che i controlli non sono mai eccessivi; invece dobbiamo esaminare la questione sotto l’aspetto della maggior possibile semplificazione.

Per tutte queste ragioni, dunque, io mi dichiaro insoddisfatto della risposta ricevuta e dichiaro altresì che mi riservo di trasformare la mia interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Calosso, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quale conto ha tenuto dei consigli dati da alcuni oratori alla Costituente, in ordine ai pericoli per il carattere nazionale che nascono dall’eccesso dei programmi scolastici in età giovanile, e all’assurdità dell’esame di Stato, in cui il giovane deve esporre un’enciclopedia del sapere umano di fronte ad esaminatori a lui ignoti. E in base a quali criteri educativi abbia esautorato gli esaminatori di Stato del liceo di Acireale, inviando illegalmente un ispettore ad annullare certi rigorosi giudizi da loro coscienziosamente dati in applicazione dei regolamenti ministeriali sull’esame di Stato».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole Calosso pone tre questioni: la prima riguarda l’eccesso dei programmi scolastici, la seconda l’assurdità degli esami di Stato, la terza la questione contingente del liceo di Acireale.

Il primo problema naturalmente – e l’onorevole Calosso lo sa meglio di me – è un problema di una vastità notevole, perché la riforma dei programmi scolastici è la parte più delicata, direi, di tutti i problemi che riguardano la riforma della scuola. Tenendo presenti i voti varie volte espressi in questa Assemblea e particolarmente dall’onorevole Calosso, è stata posta allo studio anche questa questione della semplificazione dei programmi scolastici, ma naturalmente non è facile poter semplificare una materia come questa. Si spera, tuttavia, che la Commissione incaricata di assolvere a questo compito, possa, fra circa due mesi, condurre a termine i propri lavori.

Voglio solo informare l’onorevole Calosso che noi abbiamo cercato di eliminare, o per lo meno di limitare le conseguenze di questa eccessiva vastità dei programmi scolastici; tanto è vero che nell’ordinanza del 3 maggio 1947 fu stabilito che gli esami si svolgessero sul programma dell’ultimo anno e sulle linee fondamentali di quelli degli anni precedenti, senza esigere per gli anni precedenti la preparazione completa su particolari singoli dei rispettivi programmi.

E, come se ciò non bastasse, abbiamo ulteriormente chiarito, in una circolare successiva – del 14 giugno – la questione in questo senso, che «linee fondamentali dei programmi degli anni precedenti si devono intendere quegli elementi generali di cultura che sono necessari alla comprensione della materia insegnata nell’ultimo anno, la quale rimane l’oggetto principale dell’esame».

Ciò al fine di impedire che l’esarne non sia un complesso di assurdità come l’onorevole Calosso afferma, appunto per la congestione dei programmi.

E vengo con ciò alla seconda questione relativa agli esami di Stato. L’onorevole interrogante parla di assurdità dell’esame di Stato. Io non so se egli sia fra coloro che hanno votato l’articolo 27 della Costituzione, ma credo, data l’enorme maggioranza con cui esso è stato votato, che con molta probabilità egli stesso ha aderito – mi smentisca se ciò non corrisponde a verità, perché ho piacere di essere informato – all’articolo 27 che dice:

«È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi, nonché per l’abilitazione all’esercizio professionale».

Direi che in questa norma in un certo senso si esagera, perché, mentre finora l’esame di Stato era limitato alla fine delle scuole medie superiori – quindi, esame di maturità ed esame di abilitazione – la Costituzione prescrive l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole; quindi lo prescrive anche nei passaggi intermedi fra i vari gradi di scuola secondaria. È un punto di vista rispettabile – anch’io l’ho condiviso – ma che credo complicherà certamente gli inconvenienti denunciati dall’onorevole interrogante a questo proposito.

E in merito all’esame di Stato vorrei ricordare che non si tratta, come qualcuno ha detto o scritto, di un’istituzione di carattere fascista, perché già prima del fascismo il Ministro Croce – il quale pose il primo seme di questa fondamentale riforma che permette allo Stato un controllo non solo della sua scuola, ma anche della scuola non governativa – preparò un progetto, che però, non poté avere quello sviluppo che si meritava, perché incontrò delle difficoltà nel Parlamento. Successivamente si ebbe un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Corbino e poi un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Anile. Anche questi progetti non ebbero fortuna per le complicazioni politiche del tempo. Però posero le premesse di quella che poi è stata la cosiddetta «riforma Gentile», cioè l’introduzione di un esame di Stato.

Io direi che non si tratta di una riforma che abbia un carattere originale e che si ponga come un qualche cosa di nuovo. La «riforma Gentile», almeno per quanto riguarda gli esami di Stato, non è stata che il compendio di un materiale già preparato, e non la realizzazione di una esigenza, di un’aspettativa che era già matura. Ad ogni modo, l’onorevole interrogante sa che anche nell’ambito della legislazione fascista sono stati fatti due fondamentali esperimenti dell’esame di Stato: il primo è stato, diciamo così, l’esperimento Gentile, il secondo l’esperimento Bottai.

Qual è la fondamentale differenza fra questi due sistemi? Il primo sistema, quello di Gentile, prevedeva che tutti i giudici esaminatori dovessero essere estranei alla scuola, e non fossero, quindi, gli educatori dell’alunno; poiché, si diceva, l’educatore dell’alunno è incline alla indulgenza, alla benevolenza, può avere dei preconcetti, delle particolari simpatie. Pertanto, perché il giudizio fosse veramente obiettivo si esigeva un giudice completamente estraneo alla scuola.

Quindi, tutte commissioni composte di professori estranei alla scuola, e in gran parte anche appartenenti all’ordine superiore, cioè all’ordine universitario nel quale i giovani dovevano venire immessi.

Con la riforma Bottai le posizioni furono completamente rovesciate, sicché sarebbe difficile parlare (come si è parlato anche da parte di giornali) di una politica fascista nella scuola in questo campo. Il Ministro Bottai disse: «I veri giudici naturali dei giovani studenti non sono i giudici estranei alla scuola, ma sono gli educatori, coloro che hanno seguito durante tutto il curriculum di studi il giovane e sono quindi in grado più di ogni altro di giudicare la sua maturità ad accedere alle università».

Quindi, conseguenza opposta a quella che aveva tratto il Gentile: le Commissioni esaminatrici agli esami di Stato saranno costituite esclusivamente dai professori che l’alunno ha avuto durante i suoi studi.

È chiaro che ciascuno dei due sistemi ha i suoi aspetti negativi. È facile capire che il sistema Gentile tende a inasprire il giudizio, appunto perché i giudici sono estranei alla scuola, come è facile comprendere che il sistema Bottai tende piuttosto a largheggiare, appunto per questa familiarità di sentimenti che si determina fra professore ed alunno per il lavoro che svolgono in comune.

L’onorevole Calosso sottolinea il fatto che nell’esame di Stato, l’alunno si trova di fronte ad esaminatori a lui ignoti.

Io ho, quindi, l’impressione che l’onorevole Calosso sia piuttosto favorevole al secondo sistema, cioè al sistema dei giudici scelti fra i professori interni i quali sono noti all’alunno.

Io direi che l’esperienza comunemente riconosciuta dagli studiosi di questo delicato problema è che le conseguenze dell’adozione del sistema secondo cui i giudici sono i professori stessi sono state piuttosto disastrose; e qui si deve ricercare una delle cause del crollo della selezione che la scuola media doveva fare e che non ha fatto, con la conseguente pletora di studenti agli studi universitari. Nell’esame con i professori interni a lui noti, lo studente troverà maggiore indulgenza presso il professore; da ciò, specialmente negli ultimi anni della guerra, è derivato il crollo dell’esame di Stato e quindi il crollo di ogni selezione.

Quest’anno, tenendo presente questa duplice esperienza, abbiamo cercato di introdurre una novità ristabilendo l’esame di Stato.

Come l’onorevole Calosso sa, durante tutto il periodo della guerra, l’esame di Stato non ha funzionato. Gli alunni venivano promossi solo attraverso lo scrutinio dei voti riportati durante l’anno.

Da quest’anno si è istituto nuovamente l’esame di Stato.

Io ho però cercato di trovare una formula intermedia fra il tipo di esami di Stato Gentile e il tipo di esame di Stato Bottai. Cioè abbiamo detto: i giudici, perché il giudizio sia veramente sereno e perché questa selezione funzioni, devono essere nella loro maggioranza estranei alla scuola. Però non è giusto che coloro che sono stati gli educatori del giovane che si presenta agli esami non abbiano assolutamente voce in capitolo. Certe volte l’esame è un rischio, perché basta un turbamento psichico momentaneo per determinarne la sorte sfavorevole. Per questo si è ritenuta opportuna la presenza di professori appartenenti alla scuola da cui l’alunno proviene, e che, in certo senso, sono presenti per dare una testimonianza – ove occorra – dell’effettivo profitto del giovane durante il corso dei suoi studi.

Quindi abbiamo istituito commissioni di sei giudici (naturalmente, tutti appartenenti all’ordine scolastico), di cui quattro estranei alla scuola e due della scuola.

Pertanto, ogni alunno che si presenta agli esami ritrova almeno due facce familiari di professori coi quali ha lavorato e appreso le fondamentali discipline; si trova contemporaneamente anche di fronte a giudici estranei che tendono a riportare l’esame ad un giudizio obiettivo.

Si è fatto l’esperimento. Non siamo ancora in grado di stabilire un bilancio reale, positivo, concreto, però, da quanto finora si è potuto rilevare, si è ottenuta una maggiore severità, sebbene ben lontana da quella segnalata da qualche giornale cioè che si sarebbe arrivati ad escludere fino al 90 per cento degli alunni dagli esami orali.

Mentre si è ottenuto questo risultato, abbiamo d’altra parte, di fronte agli alunni e alle loro famiglie, la coscienza tranquilla per aver permesso che due educatori fossero presenti nel giurì e si dichiarassero a favore di quel giovane che, turbato eventualmente dall’esame, non avesse reso tutto quanto avrebbe potuto.

Secondo la mia modesta opinione credo che questo rappresenti l’optimum nella formazione delle Commissioni. Ma può anche darsi che l’esperienza mi smentisca, e da parte mia sono pronto a rettificare.

Quanto al fatto di Acireale devo far presente all’onorevole Calosso che ho già risposto ampiamente all’onorevole Marchesi, ed ora non ho nulla da aggiungere in proposito. Però, noto che l’onorevole Calosso ha usato la frase: «inviando illegalmente un ispettore». Mi permetto di osservare che ciò non è esatto, perché l’ispettore è stato chiesto esplicitamente dalla Commissione esaminatrice.

Comunque, ho il piacere di comunicare che dopo la risposta data all’onorevole Marchesi le cose si sono svolte in una maniera normale e tutti, sia studenti che professori, hanno trovato la soluzione equa e decorosa.

PRESIDENTE. L’onorevole Calosso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CALOSSO. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua larga risposta, e faccio solo osservare che la mia interrogazione è anteriore a quella dell’onorevole Marchesi, e non ho potuto quindi tener conto delle osservazioni già fatte in materia.

Ad ogni modo quello che mi preoccupa è il problema generale e non il fatto singolo di Acireale, dove l’eccessiva severità negli esami è stata rimproverata non tanto dai giovani, quanto nei circoli civili locali, come sempre avviene in Italia.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Devo ripetere che il giovane che porta il nome di Condorelli, nome cospicuo nell’ambiente, è tuttavia il figlio di un ciabattino. È un ragazzo di origini umilissime e modestissime. Siccome nella stampa si è giocato anche sul nome dei Condorelli e quindi sul feudalesimo siciliano, tengo a mettere in chiaro che qui invece si trattava del figlio di un ciabattino. (Si ride – Commenti).

CALOSSO. Non vorrei insistere su quello che l’onorevole Ministro ha già detto rispondendo all’onorevole Marchesi. Ripeto che a me la questione interessa in generale, al di fuori del caso singolo di Acireale, sebbene abbia ricevuto proprio adesso delle altre lettere. Proprio nel nostro giornale L’Umanità, si è fatta una polemica, a mia insaputa, contro i professori perché troppo rigorosi, e ho dovuto smentire. Ma la questione di una riforma della scuola è nell’aria; occorre mutar sistema. E qual è l’errore del sistema?

Dopo un disastro storico, disastro soprattutto che si riflette sul carattere della gioventù ed anche su tutti noi, avviene che non è stato posto al centro della Nazione – e non solo di un gruppo di esperti, ma, dico, di fronte alla Nazione che è la grande esperta – il problema educativo. Abbiamo fatto soltanto questa rivoluzione: abbiamo preso il nome buono che il fascismo aveva dato: Ministero dell’educazione nazionale, e siamo tornati al nome più cattivo: Ministero della pubblica istruzione.

Perché? Il concetto deve essere questo: poniamoci un problema educativo di carattere, e questo è il problema numero uno; poi tutti gli altri problemi, importantissimi, lo seguono.

Cosa dobbiamo fare? Prima di tutto, i nostri giovani (parlo soprattutto della scuola media che è la scuola che io conosco ed è anche la scuola della fatica) sono oppressi da un’enorme massa di sapere. Enorme: aritmetica, logaritmi, chimica, l’elettricità, il calore, Eschilo, Orazio; è una cosa impossibile, incredibile. Tutto in un giovane di 18 anni e noi sappiamo, ce l’ha detto Rousseau, il danno che nasce dal troppo sapere. Egli ha detto che fino a 20 anni aveva letto un solo libro: Robinson Crosuè.

Ora, il Vico, che cosa dice? Dice che nell’età giovanile non si deve opprimere il cervello con eccesso di sapere; con eccessi di ragionamento, perché questo costituisce una corruzione del carattere. Un giovane, con un testone così, a diciotto anni, è un giovane che molto probabilmente, se non potrà ribellarsi, se non potrà reagire rompendo qualche vetro a questa corruzione del carattere che è il proprio sapere, finirà male.

Ora, i nostri programmi, dico la verità, potrebbero essere portati ad un terzo e andrebbero già bene. La realtà è questa. Vi dovrebbe essere un taglio, molto netto, e, una volta fatto questo taglio, si deve esigere con durezza quel tanto che si è insegnato; l’esame deve essere fatto con severità. Gli studenti debbono, come i giovani lavoratori, lavorare duramente.

Ma sta a noi di ridurre il programma di studi. Ridurlo moltissimo. Metà sarà ancora troppo, in tutti gli ordini di scuole. Io sono figlio di una maestra elementare, sono anch’io stesso insegnante, ed ho seguito il problema. Vi sono certi ispettori che vanno a controllare se i maestri hanno finito il programma, tutto l’enorme programma. Io vorrei che l’onorevole Gonella mandasse l’ispettore a vedere quei geniali maestri che hanno scoperto che avrebbero rovinato gli alunni e non hanno finito il programma. In questo panorama si inquadra tutto il problema della scuola. Che cosa deve fare l’accorto insegnante? Noi abbiamo visto durante il fascismo che la classe insegnante ha reagito e gli insegnanti hanno dato prova di un carattere encomiabile. Ma noi dobbiamo venire incontro a loro. Noi affidiamo l’educazione nazionale, così importante specialmente in questo periodo, a dei professori medi che non escono dal magistero. Non hanno mai imparato come si educhi. Bisogna affidare la scuola a uomini che ne abbiano la vocazione.

In un altro discorso alla Camera parlai di questi problemi e mi fermai a quattro o cinque episodi per far sapere a chi non crede che ci sia una tecnica dell’educazione, che questa tecnica c’è.

Esistono paesi non lontani da noi, dove questo problema è sentito profondamente; accanto a questo problema esiste l’altro, quello dell’educazione del corpo. Queste sono le due materie di un magistero. I professori debbono essere specializzati in una materia, in modo da insegnarla nel miglior modo possibile. Certo, in linea generale, un professore medio non sarà mai un grandissimo latinista o uno scopritore del calcolo infinitesimale, tuttavia, è sbagliato mettere di fronte ai giovani un uomo che non sia di prima qualità; l’alunno sente se un educatore è eccellente.

Occorre che vi sia una scuola tecnica dell’educazione e dell’allevamento: proprio dell’allevamento del bambino, in maniera che tutte le nostre madri sappiano come educare i loro bambini.

Vengo all’esame di Stato. Noi siamo contrari all’esame di Stato. Anche fissato solo all’ultimo anno, come opportunamente ha fatto il Ministero, è tuttavia una cosa sbagliata. Al terzo anno il giovane deve eruttare in pochi minuti tutto lo scibile umano e deve avere un giudizio. Il suo insegnante è senza dubbio l’uomo più adatto a darlo. È vero, vi sarà un rischio: vi sarà chi porterà due capponi a questo disgraziato di professore (Si ride), ma questo rischio sarà sempre molto minore della profonda corruzione che nasce adesso. Ora, siamo di fronte ad un esame difficile e impossibile, tanto che gli stessi insegnanti non lo possono fare.

Si domandano agli esaminandi cose che non possono sapere.

Quando ero esaminatore di Stato, vidi una signorina pallida come un morto. Toccava a me, per primo, di interrogarla. Le dissi: vedo dal suo terrore che lei capisce la gravità dell’esame; cioè, lei è all’altezza di Socrate: sa di non sapere; quindi le do, solo per questo, sei, salvo ad elevare il punteggio per quanto sa di più (Ilarità). L’esaminanda rifiorì subito, fece un bellissimo esame; la interrogai su quello che sapeva. La ragazza cadde poi, nella prova di storia; sapeva tutto di Napoleone, di Giulio Cesare, ecc., ma non sapeva chi fosse Bernabò Visconti. La risposta che daremmo noi è questa: mi si permetta di andare a guardare una enciclopedia e poi lo dirò.

Invece, le era proibito guardare l’enciclopedia. E quella signorina fu bocciata proprio a causa di Bernabò Visconti.

Il difetto sta nel sistema.

Non abbiamo un trattato per l’educazione.

Il nostro popolo, in verità, sente poco questo grave problema del futuro. Abbiamo impostato, invece, un problema anch’esso giusto, ma secondario: Chiesa e Stato, Stato e Chiesa. Questo è un problema che ha la sua importanza, certo non è centrale. Sarebbe meglio avere rischiato di avere qualche prete in più purché si fosse risolto il problema centrale della scuola statale e dell’ecclesiastica. Io non so quale sia la migliore. La scuola ecclesiastica sa che deve educare e spesso educa male. La scuola di Stato non sa nemmeno che deve educare. Comunque, io formulo l’augurio che l’esame di Stato sia soppresso.

La competente Commissione legislativa, esaminando la questione della sospensione dell’esame di Stato, si è dichiarata a maggioranza avversa ad esso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Dell’esame di Stato per l’esercizio professionale: è altra cosa.

CALOSSO. Io estenderei la soppressione dell’esame di Stato anche alla maturità; sarebbe molto meglio. Una riforma del genere sarebbe opportuna. Il problema dovrebbe venire discusso di fronte all’opinione pubblica. Si tratta di un problema fondamentale.

PRESIDENTE. La seguente interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato: Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati o saranno adottati a favore delle famiglie dei Martiri trucidati dai nazi-fascisti, e se non ritenga opportuno e doveroso che, accanto ad una pronta assistenza generica e sanitaria, siano adottate forme più proficue di assistenza economica, che possano gradualmente reinserire nel lavoro produttivo tutti gli assistiti idonei e capaci».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Merlin Angelina e Fiorentino Giosuè, al Ministro dell’interno, «sugli incidenti di Palermo del giorno 11 luglio, nel corso dei quali la polizia ha aggredito donne inermi che protestavano contro il vertiginoso rincaro dei prezzi e contro il mancato intervento delle autorità regionali».

Sullo stesso argomento è stata presentata la seguente interrogazione dalle onorevoli Gallico Nadia Spano, Merlin Angelina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne e di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri. Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne».

Le due interrogazioni possono essere svolte congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. In Palermo il giorno 11 luglio un piccolo corteo, naturalmente non autorizzato, di una ventina di ragazzi e di una diecina di donne, si era diretto verso il centro della città, gridando e recando cartelli con scritte di protesta per la situazione alimentare. Un sottufficiale della polizia, accompagnato da quattro agenti, incontrato tale corteo in via Gaetano Daita, ne ordinava lo scioglimento, che avveniva senza alcun incidente, e sequestrava i cartelli.

Gli stessi agenti, transitando poco dopo da piazza Bologna, si imbattevano in un assembramento, parimenti non autorizzato, di circa 200 donne accompagnate da un uomo rimasto sconosciuto, recante un cartello pure di protesta. Poiché si trattava – ripeto – di manifestazione non autorizzata, gli agenti invitarono lo sconosciuto a consegnare il cartello. Questi aderiva, ma il fatto provocava il risentimento di talune delle donne presenti, le quali, inveendo, si avventarono contro gli agenti, tentando di recuperarlo. Nel tafferuglio, più precisamente nel tentativo di ritogliere agli agenti il cartello sequestrato, essendosene spezzata l’asta, rimaneva purtroppo leggermente ferita la signora Montalbano, consorte del nostro collega ed amico, nonché mia compaesana e forse lontana congiunta. Lo spiacevole incidente si concludeva poco dopo alla Presidenza della Regione; né argomento di intervento ebbero perciò gli agenti di pubblica sicurezza inviati frattanto sul posto. Da quanto ho riferito sembra dunque emergere che nessuna specifica responsabilità possa essere contestata agli agenti dell’ordine e che quindi nessun provvedimento dovesse essere preso nei loro confronti.

PRESIDENTE. La onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io debbo prendere atto delle dichiarazioni del Sottosegretario, ma non posso dichiararmi sodisfatta della sua risposta, perché i fatti, o meglio il fatto da lui narrato è veramente minimizzato. Mi permetta quindi di ripeterlo così come mi è stato riferito da testimoni oculari.

Le donne di Palermo, o meglio quelle povere donne che tutti i giorni si trovano di fronte al dramma di dover preparare qualcosa per i loro figli e per le loro famiglie, volevano promuovere una manifestazione contro il caro-vita e volevano essere accompagnate dalle donne dell’U.D.I. davanti ai responsabili e ai dirigenti dell’attuale governo regionale. Ma l’U.D.I., il partito socialista, il partito comunista e la stessa Camera del Lavoro non avevano ancora aderito alla loro richiesta, che era quella di condurre la manifestazione con le dovute formalità.

La mattina dell’11 luglio la manifestazione invece sorse spontanea. Fu precisamente nel rione nominato dall’onorevole Sottosegretario, in via Gaetano Daita, che un gruppo di donne manifestò portando un cartello dove non c’era neppure la scritta: «Abbasso De Gasperi»; c’era scritto soltanto: «Abbasso la fame». Quindi era evidente lo scopo della manifestazione. Dice l’onorevole Marazza che la manifestazione non era autorizzata. Se la manifestazione era spontanea, se la manifestazione aveva avuto come pungolo precisamente la fame, non c’era tempo di andare a domandare il permesso all’autorità. Intervenne tuttavia la polizia e caricò le donne, picchiandole. La stessa dimostrazione si ebbe anche in altri rioni della città e tutte queste donne furono respinte. Tuttavia un centinaio di persone, donne e fanciulle, si portarono in piazza Bologna, dove c’è la sede dell’U.D.I.: nella sede si trovava la signora Montalbano ed anche la deputatessa Giovanna Mare e la signora Grasso. Sono scese nella piazza per poter condurre le donne presso la sede del Governo regionale.

È intervenuta la polizia e l’oggetto, diciamo così, che si contendevano i poliziotti e le donne era un cartello dove era scritto:

«Vogliamo la tessera differenziata». Di fronte all’intervento della polizia, la signora Montalbano disse: «Vedete, è una dimostrazione pacifica.» Ma gli agenti di polizia non si persuasero ed incominciarono a caricare la signora Montalbano, che io non conosco, ma che deve essere una signora molto ingenua, perché credette che qualificandosi come la moglie di un deputato alla Costituente avrebbe avuto diritto, non dico al rispetto, ma insomma ad un certo riguardo. E qui mi scuso con tutti i colleghi se devo ripetere una frase, poco parlamentare, del Commissario di polizia. Il Commissario Frascoldi disse: «Io me ne fotto di suo marito ed anche di lei. Lei non è una gentildonna». E non fu col pezzo di legno del cartello, ma col calcio del moschetto che la signora Montalbano fu colpita alla schiena e fu ferita alla mano, di una ferita che il medico disse guaribile in otto giorni. La deputatessa Mare fu gettata a terra. Tutte le altre donne furono colpite.

Fu interrogato il commissario Frascoldi, il quale così disse: «Questi sono gli ordini». Ebbene, davanti al questore e davanti al capo della polizia il commissario non negò né la frase che ho detto prima e neppure l’altra frase: «Ho ricevuto degli ordini».

Io so che è stata presentata un’interrogazione anche al Governo regionale e che a questa interrogazione non è stato ancora risposto. Io e le altre colleghe della Costituente abbiamo presentato immediatamente, appena conosciuti i fatti, l’interrogazione. La risposta è venuta molto tardi e mi consta anche che nessun provvedimento è stato preso contro chi ha colpito queste donne.

Ho fatto una interrogazione non spinta da spirito regionalistico, ma mossa solo da uno spirito di umanità, di comprensione verso queste donne che hanno sentito tutta la tragedia della guerra e che vivono oggi il dramma del dopoguerra. Io mi domando: perché non è stato punito il commissario? Forse perché effettivamente egli aveva ricevuto degli ordini? Questi ordini consistono forse nel ripristinare la legalità salvando la forma dell’ordine e lasciando sussistere le cause del disordine? La causa del disordine in Sicilia, se volete chiamare disordine la protesta di donne che hanno fame e che devono dar da mangiare ai loro bambini, è nella miseria della Sicilia. Io, onorevoli colleghi, come molti di voi, sono stata in Sicilia per le elezioni dell’Assemblea siciliana. Conosco la Sicilia. È stata la visione della miseria, fin dai primi anni, che mi ha portato a militare nelle file di quel partito a cui mi onoro di appartenere da trent’anni quasi. Ma questa miseria, che mi aveva spinta verso il Partito socialista come il solo che ritenevo potesse guarire questo male dell’umanità, non l’ho mai vista nelle forme in cui l’ho potuta vedere in Sicilia. È qualcosa di inimmaginabile quello che si vede nella Sicilia, perché non mi sono accontentata di andare a parlare di socialismo e di elezioni, ma sono andata nei quartieri più poveri, nelle piccole città, nei paesi, e sono rimasta stupita, sono rimasta commossa.

Ho sentito, onorevoli colleghi, che noi abbiamo fatto una cattiva azione ad andare a promettere tante cose durante le elezioni, e dopo molti mesi nessuno di noi ha fatto ancora niente per la Sicilia. Noi qui, in questa Assemblea, parliamo di tante cose, arzigogoliamo intorno agli articoli della Costituzione, parliamo tante volte di personalità umana, parliamo del problema della libertà, parliamo di tanti problemi spirituali, ma in realtà non abbiamo fatto ancora nulla per risolvere il problema materiale della vita, che consiste nel dare pane ai bambini, che consiste nel sorreggere la famiglia, che consiste nel dare all’uomo il minimo di pane, altrimenti il fatto della personalità umana, della libertà, della Costituente in Italia, si riducono ad una beffa fatta al popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione della onorevole Merlin Angelina, al Ministro dell’interno, «per sapere in base a quali disposizioni, per quali ragioni e per quale scopo si siano recentemente fatte indagini di indole politica sul conto della interrogante al proprio domicilio, in via Catalani 63, Milano, da un carabiniere e da un agente di polizia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Queste azioni dei carabinieri sono volte ad una particolare assistenza alle personalità residenti nelle rispettive circoscrizioni.

TONELLO. Come i fascisti, che mandavano i delegati di pubblica sicurezza. Roba dell’altro mondo!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Fu per questo motivo che il maresciallo comandante la stazione della città degli studi di Milano ha creduto di volersi assicurare della effettiva residenza della onorevole interrogante.

Ora, è avvenuto che recatosi per questo a casa dell’onorevole Merlin, alla quale intendeva presentarsi per chiederle direttamente le notizie desiderate e soprattutto per mettersi a sua disposizione, non la trovasse. Egli si intratteneva perciò con la guardiana dello stabile in una conversazione intenzionalmente breve, alla quale, secondo peraltro le tradizioni, la portinaia, ammiratrice come è della sua illustre inquilina, dava proporzioni inattese in quanto la stessa si diffondeva a illustrarne le benemerenze, suscitando l’interesse del militare che, saputo fra l’altro trattarsi di una valorosa partigiana e vantando egli stesso delle benemerenze abbastanza notevoli in tema di resistenza, tanto da essere stato proposto per la nomina ad ufficiale per merito di guerra, fu preso dall’argomento e si intrattenne, ripeto, in conversazione forse più di quanto non dovesse. Comunque la serietà e la capacità del maresciallo in questione affidano del suo operato, indubbiamente non da altro ispirato che da considerazioni di carattere patriottico e sentimentale. (Commenti).

Mi è comunque gradita l’occasione per attestare all’onorevole Merlin che, lungi dal diffidare di lei, il Governo ne segue l’azione con simpatia per la nobiltà degli intenti e per lo scrupolo rigoroso dei metodi. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io sono in parte sodisfatta ed in parte non lo sono, perché la risposta dell’onorevole Sottosegretario riguarda la visita del maresciallo dei carabinieri, ma non riguarda la visita della polizia.

Ho fatto questa domanda, non perché io mi preoccupi personalmente della polizia: ci sono abituata da tanti anni ed ho avuto per molti mesi la visita della polizia, dei carabinieri e dei fascisti.

La mia brava portinaia è stata una donna che ha lavorato con me nei momenti particolarmente pericolosi; è una di quelle brave portinaie di Milano a cui bisogna rendere omaggio per l’opera prestata a tutti i combattenti per la libertà durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista. La portinaia è rimasta impressionata perché le domande degli agenti di polizia erano state fatte secondo un vecchio formulario che lei conosce molto bene: – Abita qui la signora tale? – Sì, abita qui – Dove è il libro degli inquilini? – Ecco il libro degli inquilini – Che cosa fa la signora? – La signora dà lezioni private – Quali persone riceve la signora? – La portinaia risponde: io non le conosco. E questa volta si è aggiunta un’altra domanda, cioè: – la signora ha partecipato alla lotta di liberazione? Sì, ha detto la portinaia. – Con chi ha lavorato? La portinaia ha risposto: io non conosco nessuno.

Bisogna che io dica all’agente che faceva quella domanda, che io lavoravo con molti di quelli del mio partito che lavorano qui dentro e che onorano Montecitorio.

Tutto questo, dunque, mi ha impressionato perché so che analoghe visite sono state fatte ad altre persone; inoltre si parlava anche di ripristino degli schedari…

COSTANTINI. Una volta di più schedata: è un onore!

MERLIN ANGELINA. Sì, è un onore, però questo non torna ad onore di un Governo che esce da una Costituente che doveva essere il frutto fecondo di libertà, dopo una lotta che ci è costata lacrime, sangue e tante vite. Non è che si debba schedare noi, onorevole signor Sottosegretario di Stato: noi, se vogliamo lavorare per la libertà e per il bene del nostro Paese, non dobbiamo essere sorvegliati. Perché noi sappiamo difendere bene la libertà, l’abbiamo difesa anche nei tempi oscuri, quando qualcuno si vantava di essere passato sopra i cadaveri della libertà. A Milano ci sono troppe altre persone da sorvegliare, come quelle che insidiano la sicurezza della libertà italiana, alla quale io ho dato sempre tutta la mia attività seguendo così le tradizioni gloriose anche della mia famiglia. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per conoscere quali provvedimenti intendono finalmente adottare in ordine al seguente fatto, già dall’interrogante portato alla diretta conoscenza dell’onorevole Ministro della difesa fin dal 9 giugno 1947, senza ottenere a tutt’oggi evasione. Il 20 maggio 1947, in Treviso, un capitano della Divisione «Folgore», al comando di un reparto di soldati armati di mitra, occupava, espellendone il proprietario, una casa sita in Treviso, via Canova, di proprietà Pagnossin Giuseppe. Non vi erano stati, e del resto non potevano legittimamente essere emessi, provvedimenti di requisizione dell’immobile, e, tra gli altri, lo stesso sindaco di Treviso, onorevole Antonio Ferrarese, aveva preavvertito l’ufficiale in oggetto della illegittimità della preannunciata azione violenta. Nella casa in tal modo avuta libera si installò il Comando della Divisione «Folgore», che tuttora (9 settembre 1947) la occupa e la usa direttamente concorrendo nella persistente violazione del diritto e delle numerose disposizioni di legge, le quali assicurano l’inviolabilità del domicilio privato (articolo 8-bis della nuova Costituzione!) ed imporrebbero alle autorità costituite della Repubblica italiana di intervenire in difesa del diritto e della legge, tra l’altro imponendo a chicchessia il ripristino immediato della situazione giuridica preesistente all’infrazione oltre la punizione a termini di legge dell’autore di essa. Per il fatto suddetto è in corso azione penale, presso il Tribunale militare di Padova».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Con la ratifica del Trattato di pace e col conseguente esodo delle truppe alleate, le responsabilità militari della frontiera orientale sono state trasferite, com’è noto, all’esercito italiano; di conseguenza sono affluite nel Veneto alcune grandi unità dell’esercito italiano che, necessariamente, devono alloggiare e vivere nella zona, austeramente ma decorosamente.

In seguito ad intesa con la Presidenza del Consiglio, non essendo previsto che le Forze armate italiane procedessero a nuove requisizioni, è stato concordato di farle subentrare, nei limiti delle strette necessità, alle requisizioni già operate dalle truppe alleate. L’Autorità militare è quindi subentrata a quelle alleate nell’occupazione di alcuni stabili, man mano che essi sono stati sgombrati da parte alleata.

Il giorno 20 maggio ultimo scorso verso le ore 14 il Capitano Emanuele, incaricato dell’alloggiamento per Treviso dal Comando della Divisione «Folgore», avendo avuto notizia che gli alleati avevano lasciato da poco il palazzo Pagnossin in Borgo Cavour 21, si recava sul posto e subentrava agli alleati nell’occupazione del palazzo, insieme ad alcuni militari destinati alla custodia legale del medesimo.

Mentre era sulla porta, egli veniva raggiunto dal Maggiore Comandante dei carabinieri, dal proprietario del palazzo, Pagnossin figlio, e dall’avvocato di quest’ultimo, Reggiani, i quali, con vivaci argomentazioni, cercavano di far desistere l’ufficiale dall’occupazione dell’immobile. Il Capitano Emanuele, resosi conto che le persone di cui sopra ritenevano erroneamente che l’occupazione del palazzo venisse attuata in esito ad un decreto del Commissariato degli alloggi, emesso in precedenza, in favore di famiglie di ufficiali e sottufficiali dell’esercito, chiarì immediatamente e ripetutamente che egli si sostituiva agli alleati in aderenza a direttive superiori, secondo le quali il palazzo stesso sarebbe stato destinato a sede del Comando della Divisione «Folgore», del quale egli era rappresentante. Escludeva che l’occupazione venisse effettuata in esito ad un decreto di requisizione del Commissariato degli alloggi, in quanto trattavasi di impianto di un Comando militare e non di alloggio per famiglie.

Non si ravvisa pertanto nell’operato del Capitano Emanuele irregolarità, né prepotenza, al punto da giungere a quei provvedimenti che sono invocati dall’onorevole interrogante.

Il Ministero della difesa soggiunge che nel Veneto l’esercito ha applicato l’autorizzazione della Presidenza del Consiglio a subentrare nelle requisizioni degli alleati con stretta parsimonia e piena comprensione, sicché in quella Regione, con la partenza degli alleati, la situazione degli alloggi ha ottenuto un sensibilissimo miglioramento.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTANTINI. È sorprendente ed anche avvilente la risposta dell’onorevole Sottosegretario alla difesa. È sorprendente ed avvilente perché, da un posto di alta autorità, io mi attendevo una risposta che fosse conforme al diritto e alla legge: ho trovato invece, e a malincuore, una risposta che come uomo politico mi avvilisce, come uomo di legge mi fa inorridire. (Commenti).

È esatto, onorevoli colleghi: senza esclamazioni di meraviglia. Se avrete la bontà di seguirmi, ve ne darò la dimostrazione. Si è affermato che un ufficiale dell’esercito italiano avrebbe legalmente operato entrando in una casa, occupata da un privato cittadino – e ne darò la prova, prova che del resto ho già fornita al Ministero della difesa – con la forza delle armi, per installare in quella casa, nel maggio del 1947, il comando della divisione «Folgore».

E si afferma che quella casa – e qui è il falso – era ancora il 20 di maggio occupata dalle truppe alleate. Io ho la copia – naturalmente non autentica, perché non mi aspettavo un’affermazione di questo genere – del decreto di requisizione del Commissariato alloggi di Treviso, il quale, requisendo la casa per conto di cinque ufficiali e delle loro famiglie, contiene questa precisa affermazione: «derequisita da questi (gli Alleati) in data 18 maggio 1947».

Il fatto che io lamento è accaduto il 20 maggio 1947, cioè due giorni dopo la derequisizione regolarmente operata dagli alleati nei riguardi del proprietario ed occupante l’immobile. Ma, scusatemi, onorevoli colleghi: quali sono le norme che regolano la materia delle requisizioni? Io non so se, di fronte alla mia interrogazione, l’onorevole Ministro della difesa si sia curato di esaminare quali poteri potessero avere questi signori ufficiali del comando della «Folgore» in ordine alla occupazione di immobili. Ella infatti non ha detto, onorevole Sottosegretario, ed ho quindi il dovere di dirlo io, che le requisizioni per conto dell’esercito sono – o meglio erano – regolate dal decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1741, il cui articolo secondo disponeva che le requisizioni in parola erano eseguibili quando: a) è ordinata l’applicazione della legge di guerra; b) in caso di mobilitazione; c) in ogni altro caso, con determinazione del duce: non dice nemmeno della presidenza del Consiglio, ma solo del duce.

Questo decreto, onorevoli colleghi, cessata la mobilitazione, cessato lo stato di guerra, morto il duce, era decaduto e – viva Iddio! – l’onorevole Sottosegretario non sa che vi è anche un decreto del Capo provvisorio dello Stato, il quale porta la data del 16 aprile 1947, ed ha il numero 264, che stabilisce che le requisizioni disposte in applicazione delle norme approvate con il regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741 – ossia quello che ho poc’anzi citato io, giacché non ve ne sono altri, non ve ne erano altri di decreti legislativi che consentissero di portar via la casa al prossimo – cesseranno col 31 maggio 1947, ma sempre e solo per le requisizioni già in corso ai termini della legge italiana, non già quelle eseguite in conseguenza del diritto dell’occupante, di cui si valevano gli alleati. Comunque, nel capoverso dell’articolo 1 si parla di disposizioni che potrà dare la Presidenza del Consiglio, ma in ordine alla proroga delle requisizioni esistenti in base alla legge del 1940, non per crearne delle nuove; e si stabilisce – io ho il dovere di ricordarglielo – che il termine massimo per il mantenimento di tali requisizioni era appunto il 31 agosto 1947. E noi oggi siamo al 20 ottobre 1947! E questo, anche volendo invocare l’applicabilità di un decreto che non è, non può essere, logicamente applicato nella fattispecie.

Il contenuto della risposta, ho detto, è avvilente, perché, onorevole Sottosegretario, il nostro Codice, e la stessa Costituzione stabiliscono che la casa di un cittadino è sacra e inviolabile. E quando io, in Assemblea, ho proposto di fare un articolo unico relativo alla libertà della persona umana e alla libertà del domicilio, la maggioranza dei colleghi non lo ha voluto, perché bisognava dedicare al domicilio privato – ed era giusto – un articolo speciale, perché il domicilio è veramente sacro quanto è sacra la persona.

Voi mi dite: le necessità della dislocazione delle truppe. Ma pretendete di infrangere la legge, perché dislocate un Comando? Non è il fatto singolo, onorevole Sottosegretario, che interessa: è la questione di principio. Io ho la pretesa, come cittadino, e oggi anche come deputato, che i rappresentanti dell’ordine siano i primi ad essere rispettosi della legge e del diritto altrui; non i primi ad infrangerla; e poi, sentire da quei banchi che si legittima l’infrazione alla legge! È questo un fatto che costituisce reato ad opera di un Comando dell’esercito italiano.

Quando il 9 giugno mi sono rivolto al Ministro della difesa e gli ho esposto questo caso, gli ho detto: «Ministro, l’esercito della Repubblica è di tutti; non è una questione politica. L’esercito non è democristiano o socialista; l’esercito è italiano, è repubblicano. Voi difenderete il prestigio dell’esercito pretendendo proprio dall’esercito il rispetto della legge, che non può essere violata con disposizioni o circolari della Presidenza del Consiglio, perché la Presidenza del Consiglio non ha facoltà di violare la legge e la Costituzione in uno ai principä fondamentali del vivere civile del nostro Paese».

Onorevole Sottosegretario, questo è essenziale che sia ben chiaro. La democrazia non la si rispetta a parole soltanto; la libertà non è un feticcio che si adora quando siamo qua dentro: è con le opere che si insegna al popolo che la democrazia è qualche cosa di serio, che la libertà è qualche cosa di sacro; è con le opere, e soprattutto con le opere vostre, signori del Governo, con le opere nostre, colleghi nel Parlamento. Ma è anche con le opere dei signori che portano una divisa, degli ufficiali dell’esercito; è anche con le opere di questi signori che si rispetta la democrazia e la libertà. E per rispettare la democrazia e la libertà, onorevole Sottosegretario, non vi è che un modo: quello di far rispettare prima di tutto la legge; e non dire che chi ha violato la legge ha fatto bene a violarla, perché v’era uno stato di necessità. Non vi erano stati di necessità, e sarebbe falso affermarlo. Perché nel settembre scorso – e voi lo sapete, perché è impossibile che lo ignoriate, soprattutto in conseguenza della mia interrogazione – nel settembre scorso, non volendo io presentare questa interrogazione per le ragioni che non volevo ma ho dovuto dire ad alta voce oggi, mi sono rivolto al sindaco della città, il deputato democristiano Ferrarese – che oggi sfortunatamente è assente – e gli ho detto: «Senti, risolviamo la questione». «Hai tutte le ragioni – egli mi rispose – ma abbi pazienza. Ho fatto un telegramma a Cingolani, ho messo a disposizione della «Folgore» la villa Margherita, a due chilometri dalla città, una delle migliori ville che esistano nei dintorni e che era stata anch’essa occupata dagli Alleati e poi rilasciata».

Onorevoli colleghi, credete voi che i signori del comando della Folgore si siano mossi in conseguenza di questa villa messa a loro disposizione? Mai più! E allora l’onorevole Ferrarese ha fatto un telegramma diretto e personale, ma inutilmente, all’onorevole Cingolani Ministro della difesa.

Conclusione: l’interrogazione è stata fatta con urgenza, mi pare, il 15 settembre; ho avuto risposta oggi 20 ottobre; il Comando della Folgore non si è trasferito nella villa che era stata posta a sua disposizione dal Sindaco di Treviso; il Ministro, che aveva il dovere di intervenire, non è intervenuto; a situazione antigiuridica che ho denunciata – e che non può essere sanata né dalla alterazione della data né dalla ipotetica disposizione del Presidente del Consiglio, perché il Presidente del Consiglio non ha facoltà di autorizzare occupazioni a mano armata da parte dei militari – continua! (Applausi a sinistra).

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Vorrei precisare all’onorevole interrogante la questione di Villa Margherita, che è perfettamente nota al Ministero.

Due sono le esigenze locali: esigenza dell’esercito ed esigenza dell’aeronautica. Due sono i locali: Villa Pagnossin e Villa Margherita. Il problema non può essere risolto nei termini desiderati dall’onorevole interrogante…

COSTANTINI. Ma se non viene risolto, manterrete in permanenza una situazione di reato?

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Quanto agli appunti mossi dall’onorevole interrogante all’autorità militare, posso rispondere che le autorità militari si sono attenute a precise disposizioni dell’autorità superiore, come l’ufficiale si è attenuto a precise disposizioni dei suoi superiori diretti. (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io ho rivolto la domanda anche al Ministro dell’interno. Ci troviamo di fronte ad una situazione aggravata a tal punto che non si sa a chi dobbiamo rivolgerci. Il fatto è chiaro: hanno occupato questa casa contrariamente alla volontà di chi ne aveva diritto e che l’aveva avuta restituita dagli alleati, e gli attuali occupanti con la forza delle armi sono dentro e si mantengono dentro. L’autorità giudiziaria non c’entra, la autorità militare non c’entra! Cosa si deve fare? Io chiedo a voi, signori del Governo! Non esiste una legge che consenta la requisizione, ma si persiste in questa situazione! Fate una legge allora, fate una legge e stabilite che, quando occorra, si può requisire. Una volta si agiva per volontà del duce, oggi lo si farà per volontà del Presidente del Consiglio!

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cevolotto, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore agli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Caso, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale».

Questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dell’agricoltura è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone e Caso, al Ministro dei trasporti, «per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata».

Anche questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dei trasporti è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Seguono le interrogazioni dell’onorevole Cimenti:

al Ministro del tesoro, «per sapere: 1°) perché nel luglio scorso ha disposto il collocamento a riposo di pochi funzionari di gruppo A, di grado elevato, nati nel primo semestre dell’anno 1881, i quali soltanto da poco hanno raggiunto i limiti di legge; mentre funzionari molto più anziani, anche ultrasettantenni, continuano il loro lodevole servizio presso tutte le Amministrazioni statali, compresa quella delle finanze, cui il Tesoro fino a poco tempo fa è stato unito; 2°) perché sono stati esclusi da siffatta grave misura, che mette i colpiti in pietosissime condizioni economiche, date le attuali gravi contingenze della vita, i funzionari della Ragioneria generale dello Stato e degli Uffici provinciali del Tesoro, tutti dipendenti dalla stessa Amministrazione; il che giustificherebbe il sospetto di un provvedimento non obiettivo, ma inteso solamente a favorire interessi particolari; 3°) perché non ha ritenuto di uniformarsi alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 49941/43320/1 del 23 ottobre 1945, tuttora in vigore, la quale faceva obbligo alle Amministrazioni di procedere gradualmente ai collocamenti a riposo, solo dopo che, espletati i concorsi, fosse stato possibile di procedere alle conseguenti nomine in relazione ai posti vacanti. L’interrogante fa osservare che nei riguardi della carriera amministrativa del Tesoro risulta che sono scoperti oltre 160 posti, mentre l’Amministrazione di recente ha bandito un concorso per coprire soltanto una parte di essi; e la definizione di tale concorso è da ritenersi non prossima»;

al Ministro della difesa, «per conoscere: l1°) quali provvedimenti siano stati adottati a seguito di quanto il Ministero del tesoro disponeva, con suo telegramma 6 giugno 1947, n. 1718 – diretto al Ministero della difesa (Esercito) – per il rapido e meno oneroso completamento della bonifica dei campi minati, e ciò conforme anche a quanto a suo tempo suggerito dagli organi tecnici competenti dell’Ispettorato bonifica campi minati (B.C.M.); 2°) se non sia il caso, quindi, di accogliere le richieste del Ministero del tesoro, dirette a fare eseguire tutti i lavori di bonifica campi minati, attraverso il sistema degli appalti, adottando il criterio della formazione di piccoli lotti (5 o 6 milioni), da affidarsi a cooperative che assumano la totalità degli operai sminatori e diano garanzia di risolvere rapidamente questo delicato, quanto urgente problema; 3°) perché, dopo la precisazione data alla stampa dal generale ispettore del B.C.M., riguardo alle irregolarità della zona di Genova (caso Ricci), che escludono in modo assoluto qualsiasi corresponsabilità da parte delle cooperative, non sia stata sentita la necessità di smentire le affermazioni contenute in una lettera diretta alla stampa dal segretario del Sindacato nazionale sminatori, dipendente dall’Ispettorato B.C.M., con la quale si ledeva, senza giustificato motivo, il buon nome della cooperazione e si affermava che i lavori di sminamento sarebbero stati proseguiti dal gruppo di sminatori alle dirette dipendenze dell’ispettorato B.C.M., con l’esclusione, quindi, delle cooperative».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Morini e Cairo, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro del tesoro, «per conoscere con quali mezzi s’intende provvedere al ricovero nei sanatori di mezza ed alta montagna – attraverso l’Istituto nazionale di previdenza sociale – delle migliaia e migliaia di tubercolotici poveri che attendono da mesi e mesi il trasferimento; e per conoscere se non si ritiene urgente ed improrogabile l’assegnazione all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica di altri due miliardi necessari per la costruzione di nuovi sanatori, oltre quelli già assegnati».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Rispondo a nome dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. All’interrogazione dell’onorevole Morini non può, purtroppo, essere data risposta conclusiva, in quanto le richieste per determinare il capitolo di bilancio per le spese occorrenti a fronteggiare la tubercolosi, fatte in parte sul fondo lire della U.N.R.R.A. e in parte sul bilancio del Tesoro, sono ancora allo stato di discussione. Soltanto una parte dei fondi stabiliti è stata messa in concreto a disposizione dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica.

Posso, comunque, assicurare l’onorevole Morini che tutto il problema dell’assistenza ai tubercolotici è in una fase di discussione avanzata, e che si sta per giungere a conclusioni sia per il lato particolare trattato dall’onorevole Morini in questa interrogazione, sia per gli altri aspetti della questione.

E penso che prima del prossimo novembre, in occasione del Congresso che avrà luogo a Milano per celebrare Forlanini e dove verrà discusso il piano di organizzazione per la lotta contro la tubercolosi, gli studi in corso saranno già completati, in modo che si sappia in concreto quello che dovrà fare lo Stato e su quali fondi si potrà contare.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto né per il contenuto della risposta, né per l’autorità governativa da cui mi è stata data.

La mia interrogazione era rivolta anche e soprattutto al Ministro del tesoro, perché so bene che senza i fondi del Ministero del tesoro l’Alto Commissariato non può risolvere il problema, che è duplice: di immediatezza e di soluzione integrale.

Il problema immediato è quello che si riferisce alla necessità di ricoverare i 4 o 5 mila ammalati che attendono da mesi di essere curati, e per i quali tutte le pratiche sono già pronte presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Si tratta fra l’altro di 1300 assegnazioni e di 1500 trasferimenti: vi sono inoltre alcune migliaia di malati che devono essere ricoverati direttamente dagli enti provinciali.

Per la soluzione del problema del ricovero non v’è che un rimedio: attrezzare convenientemente il sanatorio di Sondalo in provincia di Sondrio, per il quale si è già preso il provvedimento di metterlo a disposizione dell’Alto Commissariato dell’igiene e della sanità. Con tutta probabilità se il Sanatorio fosse stato lasciato all’Istituto della previdenza sociale, si sarebbe potuti arrivare a ricoverare 5 mila malati, giungendo, con i turni, a 8 mila malati all’anno.

La soluzione è urgente, di una urgenza assoluta. Né d’altra parte occorrono miliardi, bastano poche decine di milioni. Il Tesoro deve risolvere questo problema. Si tratta di ricoverare queste migliaia di malati che sono il relitto della miseria, il relitto della guerra, il relitto dell’ingiustizia sociale.

L’altro problema è quello della soluzione integrale.

Occorrono almeno altri due miliardi, giacché il Tesoro ha messo a disposizione due miliardi per i sanatori, e i due miliardi sono stati ormai coperti dai progetti nelle varie parti d’Italia, ed oggi sono arrivati nuovi progetti per un ammontare di 500 o 600 milioni. Anche per questi bisognerà provvedere. Io capisco che qui ci si trova di fronte a maggiori difficoltà; ma per le poche diecine di milioni di Sondalo assolutamente non è più possibile attendere, e il Governo deve subito provvedere all’attrezzatura di questo sanatorio

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il Ministero del tesoro ha già stanziato quattro miliardi e mezzo, fra i due miliardi diretti e i due miliardi e mezzo del fondo lire U.N.R.R.A. Le altre richieste sono allo stato di discussione. Per quanto riguarda l’attrezzatura di Sondalo e l’eventuale ritorno di quel sanatorio all’Istituto della previdenza sociale, trattasi di problema non specificamente accennato nell’interrogazione dell’onorevole Morini; lo sottoporrò agli organi competenti.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Salvatore, al Ministro della difesa, «per conoscere se non ritiene doveroso ed urgente assicurare alla città di Messina il mantenimento dell’arsenale, anche nello studio alacre della possibilità di maggiore e redditizio sviluppo produttivo; tenuto conto che detto arsenale assorbe ben tremila capifamiglia tra operai, in gran parte specializzati, ed impiegati in una città dove la disoccupazione è grave e persistente, essenzialmente in conseguenza della guerra, che così ingenti danni ha causato, danni che purtroppo permangono».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN. Sottosegretario di Stato per la difesa. A seguito della situazione creatasi col trattato di pace, e per le necessità assoluta di ridurre le spese dell’amministrazione della Marina militare, lo Stato Maggiore della Marina è stato costretto a contrarre tutti i servizi periferici sopprimendo quelli non strettamente indispensabili alla nuova organizzazione. Ogni allarme relativo al trasferimento della base navale da Messina ad Augusta è però prematuro, essendo tuttora in corso studi, presso gli organi competenti, allo scopo di definire questa organizzazione che riveste particolare e delicata importanza ai fini della difesa del Paese.

Comunque, assicuro l’onorevole interrogante che, qualunque sia la decisione finale, essa sarà attuata solo dopo accurato esame e tenendosi anche nel dovuto conto la situazione degli arsenalotti e della città di Messina.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALVATORE. Prendo atto con soddisfazione delle assicurazioni date, certo che al Ministero della difesa si è consapevoli delle condizioni eccezionali e dolorosissime in cui versa la città di Messina, soprattutto, e direi quasi esclusivamente, a causa della guerra.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di vera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività».

L’interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sartor, Carbonari e Carignani, al Ministro dell’interno, «per conoscere se sia informato sulle accuse specifiche e documentate presentate contro la Società concessionaria del Casinò municipale di Venezia e consistenti in gravi irregolarità di gestione a danno della Amministrazione comunale di Venezia; se intenda intervenire con i provvedimenti di propria competenza, di fronte all’opinione pubblica edotta attraverso la stampa del grave pregiudizio a danno del comune, contro l’attuale Amministrazione comunale di Venezia, la quale continua a conservare la fiducia e la gestione del Casinò ad una Società, che, oltre a danneggiare gli interessi dell’Amministrazione comunale, ha danneggiato anche quelli dello Stato, essendo il bilancio del comune integrato dal contributo statale: se non ritenga necessaria un’azione sollecita onde convincere l’opinione pubblica che il Governo, intendendo seriamente moralizzare la vita pubblica, ha volontà e forza per severamente colpire chiunque, specie se pubblica autorità, che non abbia rigorosa cura del denaro pubblico: se ritenga necessario rivedere la legislazione in materia di gestione di case da giuoco, onde garantire un più severo necessario controllo che eviti facili imbrogli a danno della pubblica finanza; se, infine, non sia maturo il momento di fronte a questi ed altri fatti per aderire alla richiesta di tanta parte della sana opinione pubblica per la definitiva chiusura delle case da giuoco autorizzate».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Le seguenti interrogazioni sono rinviate ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, dei Ministri interrogati:

Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;

Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;

Costa, Bettiol, Merlin Angelina, e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere, per analoga proroga del termine, scadente il 31 corrente, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria»;

Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano II Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza.

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere il suo avviso sulla richiesta dell’Amministrazione comunale di Chioggia – città di 50 mila abitanti – intesa a partecipare alle trattative in corso per la stipulazione dell’accordo commerciale italo-jugoslavo.

«È da ritenere che nella negoziazione del trattato il Ministero degli affari esteri italiano possa giovarsi, per quanto non difetti di tecnici né del materiale statistico necessario, dell’offerta di rappresentanti dell’Amministrazione comunale, non essendovi del resto ragione plausibile per respingerne l’utile collaborazione, tenuto conto dell’importanza che ha la pesca nell’Adriatico, per Chioggia e per decine di Comuni minori della provincia di Venezia, cui è legata – con gli interessi nazionali – la vita di quelle laboriose popolazioni.

«Ghidetti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo si riserva di far conoscere quando intenda rispondere.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere il motivo pel quale alla provincia di Reggio Calabria, anziché il quantitativo spettante di grano, vengono inviati sfarinati e pasta alimentare (quest’ultima spesso di qualità scadente o deteriorata), con l’effetto di paralizzare l’importante industria della molitura e pastificazione (proprio mentre si afferma e riconosce da ogni parte che nelle regioni meridionali è giusto, necessario e doveroso favorire il massimo sviluppo delle industrie locali), e di aggravare il fenomeno della disoccupazione, col danno di un grande numero di esperti lavoratori che nella suddetta industria hanno collocamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) quando saranno iniziati i lavori per il famoso doppio binario Messina-Catania;
  2. b) quando le littorine attenderanno alla stazione Messina-Marittima i passeggeri che vengono dal Nord, evitando loro il gravoso trasporto di bagagli e una defaticante rincorsa, per prendere le littorine ferme alla stazione Messina-Centrale;
  3. c) quando sarà ricollocata la tettoia della stazione centrale di Catania, tolta nel periodo bellico e non più rimessa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i reali motivi che hanno indotto il Governo a procrastinare fino al 30 giugno 1948, e cioè praticamente fino a dopo la convocazione dei comizi elettorali, l’istituzione del «confino di polizia», uno dei più efficaci strumenti della dittatura fascista; provvedimento, codesto, che offende gli imprescrittibili diritti della libertà riconquistata dal popolo italiano a prezzo di sofferenze e di sangue e lede il diritto dell’Assemblea di definire quella parte della legge elettorale, sottoposta al suo esame, che riguarda la sospensione dal diritto elettorale (articolo 47 legge elettorale).

«Bencivenga».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse dei Ministri competenti per la risposta scritta.

L’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura. (Doc. I, n. 9).
  2. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Bernamonti, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 14).
  3. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo, per il reato di vilipendio delle istituzioni costituzionali. (Doc. I, n. 19).
  4. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.