ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLXXV.
SEDUTA DI MARTEDÌ 28 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
indi
DEI VICEPRESIDENTI BOSCO LUCARELLI E CONTI
INDICE
Disegno di legge (Discussione e approvazione):.
Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).
Presidente
Disegno di legge (Discussione e approvazione):
Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).
Presidente
Perassi
Villani, Relatore
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Chiostergi
Comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Disegno di legge (Discussione e approvazione):
Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).
Presidente
Nobile
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Disegno di legge (Discussione e approvazione):
Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).
Presidente
Rubilli
Russo Perez
Condorelli
Costantini
Bozzi, Relatore
Bergamini
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Conti
Clerici
Nobile
Gasparotto
Macrelli
Fabbri
Codacci Pisanelli
Dominedò
Crispo
Nasi
Nobili Tito Oro
Votazione segreta:
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Disegno di legge (Discussione e votazione):
Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).
Presidente
Ruggiero
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Lagravinese Pasquale
Colitto, Relatore
Badini Confalonieri
Russo Perez
Sansone
Perrone Capano
Macrelli
Camangi
Angelini
Dominedò
Boldrini
La Rocca
Fabbri
Perassi
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente .
Grassi, Ministrò di grazia e giustizia
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane». (24).
Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli.
Si dia lettura dell’articolo 1:
RICCIO, Segretario, legge:
«Piena ed intera esecuzione è data allo scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Per l’attuazione del precedente articolo 1 è autorizzata la spesa di lire 1.200.000.000 da stanziare nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa (Marina).
«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio».
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo 2. (È approvato).
Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° giugno 1946».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3.
(È approvato).
Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.
Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: «Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro». (25).
Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.
RICCIO, Segretario, legge:
«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Atti internazionali adottati a Montreal dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel corso della sua XXIX sessione, il 9 ottobre 1946:
- a) Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro;
- b) Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime XXVIII sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni, e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società della Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro».
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Sebbene sia chiusa la discussione generale, mi si consenta di rilevare brevissimamente l’importanza di questo Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il quale corona un movimento di emancipazione, si potrebbe dire, della Organizzazione Internazionale del Lavoro, la quale, creata nel 1919, come istituzione organicamente collegata con la Società delle Nazioni, ha dimostrato una vitalità che le ha permesso, non soltanto di sopravvivere durante la tormenta della guerra, ma di affermare via via la propria autonomia e la propria indipendenza.
Quando la Società delle Nazioni si estinse, si pose il problema di dare un assetto indipendente all’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Questo procedimento si è svolto in due tempi: il primo, mediante un atto del 1945 che ha portato alla Costituzione dell’Organizzazione alcuni emendamenti necessari ed urgenti, che sono entrati in vigore nel settembre 1946. L’Atto di emendamento, a cui si riferisce il disegno di legge in discussione, è più ampio e porta altre modificazioni alla Costituzione, le quali si possono dividere in due gruppi: alcune di esse sono formali e tecniche, come è stato rilevato nelle due relazioni, ma ve ne è qualche altra, che io credo meriti di essere rilevata, prima che l’Assemblea Costituente passi al voto sul testo del disegno di legge.
Vi è infatti, qualche emendamento che non è di pura forma, ma che ha una importanza notevole. Io vorrei, in particolare, accennare ad un emendamento relativo al valore che viene a darsi, secondo la nuova Costituzione, alle convenzioni e alle raccomandazioni che sono adottate dalla Conferenza Generale del Lavoro. Secondo le norme finora vigenti, quando la Conferenza adottava un progetto di convenzione (così si diceva allora) o una raccomandazione, sorgeva bensì un obbligo nei singoli Stati membri, ma era un obbligo puramente formale, cioè quello di sottoporre tali atti all’esame degli organi competenti. Ora, la innovazione notevole che è stata introdotta su questo punto consiste in questo: che ogni Governo è tenuto verso l’Organizzazione a comunicare periodicamente le ragioni per le quali non ritiene di potere dar corso alle convenzioni o alle raccomandazioni. È evidente che questa norma ha una portata, se non giuridicamente molto importante, politicamente interessante, perché costituisce uno stimolo ai diversi Governi perché diano corso a ciò che la Conferenza del Lavoro ha adottato. In questo senso essa merita di essere rilevata, e credo di essere interprete di molti che siedono in questa Assemblea, nel salutare come felice questa innovazione. Aggiungo che questa innovazione si ricollega nello spirito ad una proposta, anche molto più ardita, che era stata fatta nel 1919 dalla Delegazione italiana nella Commissione che elaborò il testo della prima Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Ciò premesso, mi permetto di segnalare all’attenzione del Governo, in questo momento rappresentato dal Ministro della giustizia, una questione puramente formale, ed è questa: nel documento allegato al disegno di legge, i due atti internazionali, che ne formano oggetto, sono preceduti da una lettera. È la lettera burocratica con la quale l’Ufficio Internazionale del Lavoro ha trasmesso ai diversi Governi i testi dell’Atto di emendamento alla Costituzione e della convenzione che segue. Ora, è evidente che solo per una svista tale lettera è stata allegata al disegno di legge. La legge dovrà portare come allegato soltanto i testi dei due atti internazionali, ai quali essa dà piena ed intera esecuzione.
L’altra osservazione puramente formale, direi quasi tipografica, è questa: nel testo dell’Atto di emendamento allegato al disegno di legge, si trova, a pagina 32 del documento, il periodo che comincia con le parole: «En foi de quoi».
Questo periodo non deve figurare dove è stato stampato, perché non è il seguito della colonna sotto la quale è stato inserito. In realtà, questo periodo costituisce la chiusa degli articoli dell’Atto di emendamento che precedono l’annesso, che vi è inserito. Ora, stampandosi nella Gazzetta Ufficiale la legge che stiamo esaminando, quel periodo dovrà essere spostato e stampato in maniera che si veda qual è la sua posizione logica nell’Atto di emendamento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere l’onorevole Relatore.
VILLANI, Relatore. Non posso che associarmi alle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi, soprattutto per quel che riguarda la parte da lui sottolineata, concernente l’importante innovazione alla quale ha fatto cenno nell’esame da lui fatto del testo che ci è stato sottoposto. Per quel che riguarda l’ultima considerazione fatta dall’onorevole Perassi, evidentemente si tratta di errore di stampa o meglio – direi – di impaginazione.
È evidente che in una legge, che è legge nostra, non può esservi accenno a quello che è l’organo che ce la ha consigliata; soprattutto, non ci può essere la firma del Presidente della Conferenza o del Direttore generale del Bureau: ragione per cui credo si possa accettare senz’altro il suggerimento dell’onorevole Perassi, ed approvare la legge così come ci è stata inviata.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo non può che tener conto delle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi nella redazione della legge.
CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CHIOSTERGI. È la prima lettera che bisogna togliere, non la firma del testo. Le firme del testo devono restare. È una questione di forma, che non ha molta importanza.
VILLANI, Relatore. La lettera non ha che un carattere informativo.
PRESIDENTE. Queste lettere non fanno parte del testo: sono materia d’informazione. Noi stiamo discutendo l’articolo 1, onorevole Perassi. In esso non è richiamato nessuno di questi documenti.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. L’articolo 1 del disegno di legge richiama gli atti internazionali, a cui si riferisce, e che devono essere pubblicati come parti integranti della legge. Quelle che ho fatto sono osservazioni puramente formali, che il Ministro Guardasigilli ha perfettamente intese.
VILLANI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VILLANI, Relatore. Vorrei far osservare che la legge che ci è sottoposta non consta che di due articoli; tutto il rimanente materiale non ha che carattere informativo: ragione per cui noi, approvando la legge, non facciamo che la sola cosa che ci è richiesta. Il rimanente, ripeto, ha carattere informativo e vale a spiegarci i motivi per cui ci è sottoposta la legge, che è stilata in due articoli.
PRESIDENTE. Se in uno degli articoli del testo del disegno di legge fossero stati inseriti i documenti ad esso allegati, allora queste osservazioni sarebbero pertinenti; ma così non è. Per la pubblicazione che il Governo dovrà fare del testo della Costituzione della Organizzazione Internazionale del Lavoro, le sue osservazioni sono utili; e il Governo dice infatti che ne terrà conto.
In questo momento l’Assemblea può dunque procedere alla votazione, indipendentemente dalla sua considerazione che non sarà comunque trascurata dal Governo, ma solo in un momento successivo, quando si tratterà di definire il testo di questi documenti, affinché costituiscano una base per l’attività dello Stato italiano.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Credo necessario ripetere che l’Atto di emendamento e la convenzione che segue devono figurare allegati alla legge che stiamo esaminando, come avviene per tutte le leggi che danno piena ed intera esecuzione a trattati internazionali.
PRESIDENTE. La sua osservazione, onorevole Perassi, vale per l’attività successiva da svolgersi da parte del Governo; ma essa non viene a modificare l’atto dell’Assemblea, che è limitato all’approvazione degli articoli 1 e 2 e del complesso del progetto di legge sottopostoci.
Comunque, il Governo, per bocca dell’onorevole Grassi, ha dato l’assicurazione richiesta.
Pongo in votazione l’articolo 1 testé letto.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».
PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.
(È approvato).
Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.
Comunicazione dei Presidente del Consiglio dei Ministri.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di informare l’Assemblea che, con decreto del Capo provvisorio dello Stato in data 25 corrente, su mia proposta, di concerto col Ministro delle finanze, l’onorevole Piero Malvestiti, deputato all’Assemblea Costituente, è stato nominato Sottosegretario di Stato per le finanze.
Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947». (29).
Dichiaro aperta la discussione generale.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Al punto 16 dell’accordo è detto:
«Gli immigranti potranno effettuare liberamente le rimesse che desiderino al tasso di cambio che verrà stabilito a tempo opportuno».
Desidero sapere per quale ragione non sia stato stabilito fin da ora di quale tasso di cambio si tratti. Dopotutto è da sperare che non passi molto tempo, prima che gli emigrati siano in condizione di mandare danaro in Italia alle loro famiglie. A quale cambio ciò avverrà? A quello ufficiale del pesos? O forse ad uno più favorevole? Qui nulla si dice. Sicché domani si potrebbe avere in proposito anche qualche spiacevole sorpresa. Desidero, perciò, chiarimenti dal Ministro.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Presidente del Consiglio assicura in questo momento che trattative per il perfezionamento delle singole clausole sono ancora in corso.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.
Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.
RICCIO, Segretario, legge:
«Piena ed intera esecuzione è data all’Accordo fra l’Italia e l’Argentina, in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947».
PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).
Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal giorno dello scambio delle ratifiche».
PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.
(È approvato).
Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.
Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).
Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare l’onorevole Rubilli, Ne ha facoltà.
RUBILLI. Onorevoli colleghi, per conto mio, sostengo il testo governativo, e mi dichiaro contrario alle modificazioni che sono state apportate, specialmente all’articolo 1, dalla Commissione. Queste modificazioni sono improntate ad un senso di asprezza, che io ritengo inopportuno ed assolutamente ingiustificato. Comprendo forse la bontà dei sentimenti a cui si sono informati i componenti della Commissione: impulsi patriottici, deprecazione del passato, monito per l’avvenire. Ma mi pare che la rievocazione di questi sentimenti sia inutile ed inopportuna a proposito della legge che viene al nostro esame.
Bisogna pure considerare che si tratta di una diecina di persone, forse anche un po’ di più, ma certo non molte, né moltissime, che a mio avviso debbono ritenersi tutte quante nelle identiche condizioni, perché alcuni senatori non vennero deferiti per la decadenza, e quindi si riconobbe l’integrità dei loro precedenti politici; altri, è vero, furono deferiti per la decadenza, ma sono stati completamente discriminati. Ed allora mi pare perciò che la condizione di questi secondi sia completamente identica alla condizione dei primi, perché essi sono stati discriminati, non in base a leggi fasciste, ma in base a leggi nostre, con giudizio delle nostre autorità democratiche, e questo giudizio noi abbiamo il dovere di rispettare. Quindi la condizione può ritenersi identica, tra quelli non denunziati e quelli discriminati. Si tratta, ripeto, di dieci, dodici, sia pure un po’ di più – non so bene – ma sempre di uomini politici di indiscusso valore personale: vi sono dei nomi che rispondono a quelli di Benedetto Croce, di Einaudi, di Sforza (il quale in questo momento rappresenta l’Italia all’estero, in Inghilterra), ed anche del nostro collega Bergamini e di altri presso a poco consimili. Non riesco a spiegarmi, di fronte a questi uomini, il senso di asprezza cui si è improntata la Commissione. Quali sono le ragioni per cui il Senato debba dichiararsi abolito? Su questo punto nessuna difficoltà. È una disposizione che può essere benissimo accolta ad unanimità, dopo le norme che abbiamo approvate sulla seconda Camera con la legge costituzionale.
Può sorgere divergenza solamente sulla condizione che deve esser fatta a questi pochissimi senatori i quali sono rimasti o perché non deferiti o perché discriminati.
Orbene, il capoverso dell’articolo 1 del testo governativo dice:
«I componenti del Senato perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica. Tuttavia hanno diritto al titolo di senatore onorario e conservano le attuali facilitazioni ferroviarie coloro che non furono deferiti all’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo per la dichiarazione di decadenza dalla carica o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza».
Queste sono state le due sole concessioni fatte dal Governo. Si potrà dire, dal punto di vista giuridico, che il titolo di senatore onorario è assai discutibile, perché il Senato di oggi e di domani sarà diverso dal Senato di prima, completamente anzi dissimile, e non ne è la continuazione. Quindi, è un nuovo Senato, è una nuova organizzazione a base elettiva. Però, conserva lo stesso nome: Senato è questo che verrà, Senato si chiamava anche quello che oggi viene completamente abolito. Ora, se in base a questa identità di denominazione il Governo ha creduto di concedere a poche persone il titolo di senatore onorario, perché ribellarsi a questo atto di deferenza, a questo atto di educazione politica, a questa dichiarazione di ben servito per quei senatori non proposti per la decadenza oppure completamente discriminati?
Io non me lo so spiegare. Quindi, ritengo che sia inopportuno respingere la proposta del Governo. Poteva il Governo non farla questa concessione, ma, una volta che l’ha fatta, il respingerla mi pare che sia compiere un atto sgarbato, assolutamente inutile e inopportuno per questi uomini che pure in gran parte onorano, hanno onorato e onoreranno la Nazione.
Che ci trovate di male, che c’è da ridire se questi che non sono più senatori in carica conservano almeno un titolo che vale quasi come un’onorificenza? Compiere un atto spiacevole, senza ragione, inutilmente. Diamo il titolo di senatori onorari, giacché è stato proposto. Se non fosse stato escogitato dal Governo, nessuno ci avrebbe pensato, ma toglierlo, dopo la proposta, mi pare inopportuno.
Vengo poi alla seconda concessione, sulla quale io richiamo tutta quanta l’attenzione dell’Assemblea, perché non solo il toglierla mi sembra inopportuno, non solo mi pare sgarbato, come dicevo poco fa per l’altra concessione puramente onorifica, ma costituirebbe un fatto assolutamente illegale, è una violazione di legge, che si può considerare come una specie di prepotenza. Non si capisce bene a questo punto quale sia il vero concetto della Commissione. Io ho stentato a comprenderlo, perché una parte dell’articolo proposto dalla Commissione elimina anche le facilitazioni ferroviarie, mentre in un punto della relazione è detto: «La Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro che la dizione «diritti inerenti alla carica», dei quali è dichiarata la decadenza, non dovesse comportare preclusione per la concessione delle facilitazioni di viaggio e dell’accesso alla sede del Senato».
Ed allora che cosa si deve fare? Il Governo ha dato, e voi togliete, poi tergiversate, oppure volete che la concessione rimanga, ma dopo una nuova legge che non si sa se sarà proposta ed approvata. Né basta; perché di seguito la Commissione, quasi pentita, rilascia a questi Senatori un biglietto di raccomandazione per il Governo, perché il Governo estenda ad essi le facilitazioni ferroviarie, cosicché il Governo gliele ha date, voi le togliete e nello stesso tempo raccomandate la concessione, in un ordine del giorno che proponete all’approvazione dell’Assemblea. Io non vi capisco affatto.
BOZZI, Relatore. Glielo spiegherò io, onorevole Rubilli.
RUBILLI. Lasciamo stare le parole che potrete dire, ma nella sostanza voi l’avete tolta questa facilitazione, mentre nel testo governativo c’era. Ora, questo provvedimento che proponete, a mio modesto avviso, è illegale, perché rappresenta una violazione di un diritto già acquisito.
Il senatore quando è stato regolarmente nominato, è stato nominato in base alle nostre leggi. Orbene, se in base alle nostre leggi, a leggi democratiche, i senatori, in virtù della nomina, avevano acquisito la permanente facilitazione ferroviaria, voi vedete che ci volete indurre alla violazione di un diritto, la quale diventa un atto che rasenta la prepotenza. Molti sono anziani e non viaggiano nemmeno. È quindi una questione più di forma che di altro. Io vedo perciò in questo un senso di dispregio che non è opportuno, né può dirsi giustificato. Ed è tanto vero che si tratta di un diritto acquisito che, per toglierlo, avete bisogno di una legge che altrimenti sarebbe inutile, perché non occorrerebbe alcuna legge per sopprimere le facilitazioni ferroviarie, se queste fossero connesse all’esercizio della carica, quando la carica è abolita. E voi stessi della Commissione formulate l’articolo dicendo che gli ex senatori perdono i loro diritti; adunque si tratta di una vera e propria sanzione punitiva.
Badate però che così fece il fascismo compiendo un atto del tutto identico, quando si istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni. Prima si era di già imposta una tassa che non era nella legge e ad ogni modo gli ex deputati che avevano acquistato diritto alla tessera permanente ferroviaria si rassegnarono a pagarla, cosicché nel dicembre di ogni anno si mandava con vaglia alla Direzione Generale delle Ferrovie la somma richiesta, e si aveva la tessera di libera circolazione ferroviaria. Con l’istituzione poi della detta Camera dei fasci e delle corporazioni, gli ex deputati mandarono i vaglia, ma passarono dicembre, gennaio, febbraio e le tessere non arrivarono. Gli ex deputati protestarono alla Direzione generale delle ferrovie e questa rispose: noi siamo completamente in regola secondo la legge, perché abbiamo compilato le tessere e le abbiamo mandate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Quindi abbiamo fatto quello che occorreva. Poi si seppe che le tessere erano state fermate personalmente dal Capo del Governo, il quale, si capisce, aveva delle questioni personali verso gli ex deputati.
GASPAROTTO. Ma nessuno di noi protestò!
RUBILLI. Nessuno protestò; facemmo bene a non protestare. E fra i tanti atti di prepotenza, subimmo anche questo. Anzi si seppe che, ad onta delle insistenze di quelli che stavano attorno al Capo del Governo, questi rimase irremovibile, e, per suo ordine, le tessere non vennero più concesse, e nemmeno fu restituita la tassa, sia anche ciò detto qui incidentalmente.
Alcuni volevano persino ricorrere al Consiglio di Stato per la violazione della legge. Però più prudentemente io dissi: «Che Consiglio di Stato, che Corte dei Conti od altro! Qui non esiste più niente, che volete fare?».
Ora, onorevoli colleghi, per i Senatori la legge stabilisce queste facilitazioni ferroviarie e per legge sono date; per quale ragione, mi domando, vogliamo noi oggi violare la legge? (Interruzioni a sinistra).
Una voce a sinistra. Ma perché debbono viaggiare?
RUBILLI. Viaggino o non viaggino, poco importa, ma è certo che la concessione deriva dalla legge, la quale stabiliva che il Senatore, appena nominato, acquistava diritto alla permanente facilitazione ferroviaria…
COSTANTINI. Abrogate anche quella legge, e così andrà bene!
RUBILLI. Voi potete abolire e distruggere tutte le leggi come meglio vi pare, ma a me sembra che la proposta della Commissione possa anche rappresentare un atto di pura marca fascista (Proteste a sinistra), ed io non credo assolutamente che un atto simile possa emanarsi dalla democratica nostra Assemblea Costituente! (Applausi al centro e a destra).
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Mi associo alle proposte ed alle considerazioni dell’onorevole Rubilli.
Per quanto riguarda il titolo di senatori onorari, faccio osservare che è anche consigliabile che i vecchi senatori abbiano questo titolo perché, altrimenti, nessuno – per esempio – potrebbe impedir loro di scrivere sulla loro carta da visita: senatore del regno d’Italia. (Commenti).
Una voce a sinistra. Dell’ex regno d’Italia!
RUSSO PEREZ. Nessuno potrebbe impedire loro questo e anche di aggiungere, intelligentemente, il millesimo in cui furono nominati e il millesimo in cui furono deposti, perché quello che spesso qui non si ricorda è che le leggi non aboliscono la storia!
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Io voterò contro questa legge, non per omaggio al glorioso istituto che oggi formalmente si sopprime, perché, pur votando la soppressione – ormai necessaria – si potrebbe ugualmente rendere omaggio a quello che questo istituto ha significato nella storia d’Italia. Ma voterò contro perché disapprovo pienamente l’occasio legis, che è poi la causa essenziale di questa legge. L’occasio legis, che si converte qui in causa legis, l’abbiamo appresa dalla stessa parola del Guardasigilli: fu pubblicata una sentenza della Corte di cassazione che annullava le decisioni dell’Alta Corte di Giustizia che dichiaravano decaduti dalla carica 32 senatori; e molti altri senatori si apprestavano a richiedere la stessa riparazione di legge. E allora, non potendosi annullare la sentenza della Cassazione in base alla quale quei senatori ritornavano nel Senato dal quale erano stati incostituzionalmente esclusi, si annulla il Senato.
Questo è un caso gravissimo di sviamento del potere legislativo (Commenti a sinistra): il legislativo, non potendo distruggere una sentenza, distrugge l’istituto e crea una grave ingiustizia, perché già da questa legge si prevede un trattamento favorevole per i senatori che ebbero la fortuna di vedere respinta dall’Alta Corte di Giustizia l’accusa dell’Alto Commissario per le sanzioni, rispetto a quello che si vuol fare a danno di quei senatori che non ottennero invece la discrimina.
Adesso noi poniamo un certo numero di cittadini, indubbiamente ragguardevoli, se non per numero, per la qualità, nella situazione di non potere aver giustizia, perché, avendo cessato di funzionare l’Alta Corte di Giustizia, essa non può più respingere quelle accuse. Il Senato, che sarebbe stato l’unica legittima Alta Corte di Giustizia, più non c’è e questi cittadini debbono rimanere sotto il peso di un’accusa non giudicata, debbono rassegnarsi ad un brutale diniego di giustizia, solo perché hanno avuto la sventura di essere senatori.
È chiaro che questa non è se non un’ennesima violazione di giustizia che si fa per scopi di parte, ed io protesto solennemente. (Applausi a destra – Commenti).
COSTANTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COSTANTINI. Ho l’impressione che questa legge, di limitatissime proporzioni, venga drammatizzata in questa Assemblea per finalità esclusivamente politiche e, soprattutto, per sentimentalità o residui di sentimentalità monarchiche, come abbiamo testé avuto modo di constatare da parte dell’onorevole Condorelli, il quale non difende il Senato in sé e per sé, come Camera legislativa, ma lo difende come sopravvivenza di quella monarchia che oggi non c’è più e che egli ancora ama.
Signori! Per me, la questione può essere limitata a una breve proposizione: può oggi l’Assemblea Costituente, che è sovrana e che ha tutti i poteri legislativi, fare una legge la quale annulli, estingua quell’organismo che si chiamava Senato del Regno? A questo riguardo, io sono dell’opinione di Pitt: il Parlamento può tutto, caro onorevole Condorelli, tranne che cambiare un uomo in donna.
CONDORELLI. Lo scriva in una legge, questo.
COSTANTINI. Il Parlamento può tutto, nel campo legislativo, in quanto è espressione democratica della volontà popolare. Ed è soprattutto dopo una catastrofe alla quale noi dobbiamo ancora rimediare che questo speciale Parlamento ha il diritto e il dovere di guardare al passato. Ma, intendiamoci: qui si esorbita, si esce dal terreno concreto, si esula dai termini essenziali della questione.
Sulla potestà legislativa dell’Assemblea in questa materia, per conto mio, non vi può essere dubbio: e allora, se non vi può essere dubbio, la questione si riduce a un semplice problema di opportunità. Quando io sento l’amico onorevole Rubilli, il quale mi parla di un atto di prepotenza simile a quelli che ha compiuto il fascismo, io mi meraviglio, conoscendo l’onorevole Rubidi intimamente, che un simile raffronto sia proprio partito da lui. Quando sento che noi commetteremmo un atto sgarbato e senza motivo, io mi domando perché debba essere sgarbato, se gli ex senatori, da Sforza all’onorevole Bergamini, a Benedetto Croce, sono ancora oggi nel democratico Parlamento italiano, nell’interezza, nella pienezza non solo della loro funzione, ma anche del loro prestigio.
E allora, onorevole Rubilli, se riteniamo di dover stabilire la soppressione del Senato del Regno, lo riteniamo indipendentemente dalle persone che lo compongono, in quanto è come «istituto» che esso viene a decadere.
Senta, onorevole Rubilli, che cosa vuole che importi questo titolo di «senatore onorario», che non esiste né nella tradizione né nella legge? Senatori o si è o non si è. Sciolto il Senato regio, non si è più senatori; e, caro onorevole Russo Perez, se qualcuno, come credete, avesse delle velleità, potrà anche mettere sul proprio biglietto da visita: «ex senatore del regno»: farà ridere parecchi; commuoverà altri: il fatto però non avrà molta importanza.
Passando dalla definizione di senatore onorario a quell’altra questione, quella delle facilitazioni ferroviarie, via, è un immeschinire la questione con una tessera permanente di circolazione! Lasciate perdere!
RUBILLI. Non per il vantaggio materiale, ma per il significato morale! (Commenti a sinistra).
COSTANTINI. Onorevole Rubilli, non dica questo: significato morale il montare in treno senza pagare il biglietto? Non credo che acquisti in dignità quell’ex senatore il quale potesse avere riconosciuta questa facoltà, come lei richiede!
Ma la Commissione, con senso di larghezza e, direi anche, di generosità, proponendoci il testo del disegno di legge da approvare (e forse, forse non è inesatto che vi sia una specie di contradizione là dove invita con un ordine del giorno il Governo a provvedere al riguardo) ha avuto anche la prudenza di dire: «Lasciamo al Governo di regolare questa questione nel modo che riterrà più opportuno». Lasciamo, direi io, ai nuovi senatori – ed è anche giusto – di stabilire se gli ex senatori, compresi in specifiche categorie, avranno o no il diritto di accedere alla sede del Senato!
E allora, onorevoli colleghi, non avviliamo la faccenda; teniamoci press a poco a quelle che sono le posizioni di principio. No, io non credo che ciò si debba fare per un atto di ripicca contro una sentenza della Cassazione, ma per un dovere che ci è imposto in quanto organismo democratico dell’Italia repubblicana, noi dobbiamo stabilire la soppressione del Senato. Stabiliamola, e non avremo per nulla a pentircene, caro Rubilli; e i vecchi senatori che sono ancora al mondo e costituiscono una gloria della nostra civiltà, e un’illustrazione della scienza, non abbia paura, potranno democraticamente essere rieletti e riprendere onorificamente, e questa volta per volontà di popolo, il loro posto in un’Assemblea repubblicana e veramente democratica. (Approvazioni a sinistra).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.
BOZZI, Relatore. L’onorevole Rubilli, come avete inteso, ha mosso delle aspre critiche agli emendamenti proposti dalla Commissione al testo di legge governativo. Egli ha parlato di un senso di asprezza che avrebbe animato i membri della Commissione contro i senatori, ha accennato quanto meno ad un provvedimento inopportuno, ha infine dichiarato i nostri emendamenti espressione di una prepotenza di marca fascista.
Io vorrei rassicurare l’onorevole Rubilli che i sentimenti e i ragionamenti che hanno condotto tutti i membri della Commissione nel dibattito, che è stato largo e anche approfondito, sono stati sentimenti e ragionamenti improntati alla massima obiettività e intonati alla insopprimibile esigenza di questo momento storico, nonché alla natura e ai connotati propri di una legge costituzionale, quale è quella che è presentata alla nostra approvazione.
Cosa propone il disegno di legge del Governo?
Dice che il Senato è soppresso, ed in conseguenza di questa soppressione decadono, per una necessità logica e giuridica imprescindibile, le guarentigie, le prerogative e i diritti che competevano ai Senatori.
Credo che su questo punto nessuna obiezione da alcuna parte possa esser mossa, salvo che alcuno non voglia sostenere che debba o possa sopravvivere il Senato del regno.
Ma il Governo a questa proposizione prima, fondamentale: soppressione del Senato regio e decadenza dei membri di esso dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica, ne aggiunge un’altra e dice: i senatori che non furono mai deferiti all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, o che, a questa deferiti, furono dichiarati non decaduti, per i quali cioè la proposta di decadenza non fu accolta (o, soggiungo io, accolta in un primo momento, fu dalla stessa Alta Corte di Giustizia in un secondo momento revocata), queste due categorie di senatori acquisiscono il titolo di senatori onorari e conservano alcune concessioni.
La questione principale, secondo il punto di vista della Commissione, s’incentra in questa qualifica che alcuni vorrebbero attribuire ai non deferiti, o non decaduti: senatori onorari!
Ora, onorevole Rubilli, la Commissione ha tenuto presente che vi erano codeste due categorie, e ha ritenuto che esse non potessero essere assimilabili a quelle dei Senatori dichiarati decaduti. Ma questa considerazione la Commissione ha ritenuto che dovesse farsi a tutt’altro fine, per la estimazione da parte dell’opinione pubblica, e per altre provvidenze, come quella se possa competere a tutti gli ex senatori o soltanto ad alcuni il diritto dall’elettorato attivo. E oggi vediamo che il senatore Bergamini è qui nell’Assemblea Costituente, il senatore Einaudi è membro del Governo e il senatore De Nicola è Presidente della Repubblica, perché si è considerato che di questa categoria di senatori dovesse esser fatto un apprezzamento particolare.
Ma, una volta soppresso il Senato regio, dal momento che quest’organo non esiste più, con quali vincoli, sia pure onorari, sia pure ideali noi potremmo collegare questi ex senatori, degni della massima considerazione, ad un organo che più non esiste, dico di più: ad un organo superato storicamente?
Domani, sì, vi sarà un Senato, onorevole Rubilli, ma sarà un Senato impostato tutto su una base diversa, strutturale e funzionale. Non sarà Senato del regno, ma sarà Senato della Repubblica, non sarà nominato dall’alto, ma sarà eletto dal popolo, avrà tutta una fisonomia propria; non sarà più a vita, ma sarà di durata limitata nel tempo.
E allora questi ex senatori regi come potremo collegarli – se non con uno sforzo che – sarebbe anacronistico – ad un’istituzione soppressa, decaduta e, quel che più conta, superata storicamente?
Con questo noi non abbiamo voluto negare il dovuto rispetto a categorie che rispetto meritavano e meritano ancora, ma per tutt’altro ordine di considerazioni. Di fronte ad un organo soppresso, in sostanza, non vi può essere più sopravvivenza di sorta, anche soltanto onoraria. Non vi può essere distinzione! Per altri scopi potranno essere fatte distinzioni, ma non mai in funzione di questa legge e in questa sede! Perciò non abbiamo voluto fare nessuna discriminazione, in omaggio a valutazioni obiettive, che vorrei dire di piena ortodossia giuridica Costituzionale.
E poi viene la questione delle concessioni. Dice l’onorevole Rubilli: voi avete violato un diritto quesito, voi avete compiuto un atto di prepotenza..
Ma, onorevole Rubilli, io mi appello al suo senso giuridico. Ma quali diritti quesiti? Se vi era un diritto, questo diritto era inerente ad una carica, ad una funzione, non era un diritto che vivesse a sé, autonomo: esso spettava al senatore in quanto tale, in quanto facesse parte di un organo a cui erano demandate talune funzioni; ma, venuta meno questa carica, queste funzioni, non poteva naturalmente, non decadere quell’accessorio diritto (Interruzione del deputato Rubilli). Quindi, non potevano non decadere anche questi minori diritti, onorevole Rubilli. (Interruzione del deputalo Rubilli).
PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, per favore, non interrompa.
BOZZI, Relatore. Il fatto, onorevole Rubilli, che questi diritti fossero consacrati in una legge, non ha nessun significato e perciò non possiamo parlare di diritti quesiti: figura del resto assai discussa in sede di diritto pubblico, e costituzionale in ispecie.
Ma, a parte questo, il principio che ci ha guidato, era questo: la concessione ferroviaria era un diritto, sì, ma un diritto connesso ed inerente ad una determinata carica, ad una determinata funzione. Cessata questa carica, cessata questa funzione, il diritto svanisce.
E non abbiamo voluto ammettere codeste agevolazioni ferroviarie, anche per due altre considerazioni, la prima delle quali è questa: non abbiamo voluto avvilire una legge costituzionale, che deve anche avere una certa solennità ed una certa dignità, con l’inserirvi la menzione della concessione di biglietti ferroviari. Noi avremmo svilito il contenuto della legge costituzionale, che ha una portata storica.
E poi c’è una considerazione più profonda, onorevole Rubilli. Se noi avessimo inserito la concessione di diritti ferroviari in questa norma, noi avremmo dato a questi senatori onorari un diritto garantito da una legge costituzionale, perché oggi noi non votiamo una legge ordinaria, ma una legge costituzionale, cioè un diritto più forte e meglio garantito di quello che abbiamo noi, e che hanno gli ex deputati.
Sicché, se per avventura, domani questa concessione ferroviaria ai senatori onorari si fosse voluta modificare, limitarla o estenderla, noi avremmo dovuto adottare la procedura per la revisione costituzionale. Si arriverebbe a questa stortura giuridica: che il diritto a viaggiare gratuitamente agli ex senatori sarebbe spettato per una norma costituzionale, con tutte le conseguenze giuridiche che da ciò scaturiscono. Perciò non ne abbiamo parlato. Ed allora che cosa abbiamo detto? Si vogliono fare queste agevolazioni? Si facciano, ma si facciano secondo le vie normali della legge ordinaria. Le concessioni ai deputati e ad altre categorie sono previste da una legge ordinaria: l’ultima edizione è una legge del 1941, che è citata nella relazione. Abbiamo, in conseguenza, proposto questo al Governo: se volete concedere agevolazioni ferroviarie, noi siamo d’accordo con voi; la maggioranza della Commissione è d’accordo; ma dovete farlo con una legge ordinaria, secondo la normale procedura che si adotta per questo genere di concessioni. Quindi, come l’onorevole Rubilli e gli altri colleghi vedono, la Commissione si è mantenuta su un filo rigoroso di logica generale e di logica giuridica costituzionale. Non sentimenti di asprezza, ma nemmeno sentimenti di tenerezza: vorrei dire, una valutazione obiettiva della situazione. È questa la ratio che giustifica l’emendamento che noi abbiamo proposto. Per quanto poi riguardano le critiche dell’onorevole Condorelli ad esse è stato già risposto.
Esse vanno assai lontano. Io vorrei ricordare all’onorevole Condorelli che vi è già una legge che fa cessare il Senato dalle sue funzioni. E questo atto, che noi siamo chiamati ad esaminare, non è altro che una conseguenza, non è altro che lo scioglimento di una riserva che era contenuta in quella legge. D’altra parte, onorevole Condorelli, il Senato del Regno, può dispiacere, ma è finito. Questo è un dato storico che è anche giuridico e comporta certe conseguenze di fronte alle quali bisogna piegarsi.
Per quanto attiene alle sentenze della Cassazione, non sarà sfuggito, al senso giuridico dell’onorevole Condorelli che né nell’emendamento del Ministro e ancora meno nell’emendamento della Commissione, si fa alcun richiamo alla sentenza della Cassazione. Anche per questo, l’emendamento proposto dalla Commissione si raccomanda, secondo il mio punto di vista, all’approvazione da parte dell’Assemblea. (Applausi).
BERGAMINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERGAMINI. L’onorevole Bozzi accenna, nella relazione, alla frequentazione del palazzo del Senato. Mi pare che ciò, dal punto di vista morale, sia molto più importante delle concessioni ferroviarie, che sono un favore materiale. Per i senatori che hanno frequentato il Senato per vent’anni durante il fascismo e ne hanno subito tutte le umiliazioni, credo che moralmente sarebbe molto più importante potere frequentare il Senato che avere il famoso biglietto ferroviario.
BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI, Relatore. Quanto ha detto l’onorevole Bergamini è una considerazione che la Commissione ha tenuto presente, ma non ne ha fatto menzione nell’ordine del giorno, perché quell’ordine del giorno ha per destinatario il Governo. Nel progetto del Governo non si fa menzione del diritto di accesso da parte degli ex senatori alla sede del Senato. Noi lo abbiamo detto nella relazione, ma crediamo che ciò costituisca materia di competenza del Senato medesimo. Potrà nel Regolamento e dovrà, secondo il mio personale punto di vista, essere riconosciuto il diritto a codeste categorie di ex senatori di frequentare la sede del Senato. Ma non credo che il Governo e noi possiamo votare una legge che stabilisca questo diritto. Comunque, assicuro l’onorevole Bergamini nel senso che noi abbiamo avuto per primi il pensiero di concedere questo diritto e abbiamo creduto che esso dovesse essere consacrato nel Regolamento del nuovo Senato.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego gli onorevoli colleghi di considerare che questo disegno di legge è stato dal Governo proposto in quanto conseguenza diretta del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, col quale si dispose che il Senato cessasse dalle sue funzioni con decorrenza 25 giugno di detto anno, ossia il giorno che coincideva con la convocazione di questa Assemblea Costituente. E nello stesso decreto si lasciava all’Assemblea Costituente la decisione sulla situazione giuridica personale dei Senatori. Questa è la premessa dell’attuale legge, che non costituisce quindi un fatto nuovo. È una continuazione, uno svolgimento di avvenimenti e di effetti giuridici che si sono iniziati con l’Assemblea Costituente la quale, entrando in funzione, sopprimeva di fatto le Assemblee legislative preesistenti con lo Statuto albertino. Questa è la situazione di fatto. Non solo, ma io credo che nelle intenzioni del Governo, il quale dispose quel provvedimento legislativo, c’era il concetto che il Senato fosse soppresso. Le parole «cessato nelle sue funzioni» furono invece, nella pratica attuazione, interpretate come la cessazione di funzioni legislative, ma i componenti del Senato continuarono a considerarsi ancora senatori in tutte le funzioni che non fossero legislative, tanto è vero che, così come dissi altra volta all’Assemblea e così come ripete oggi la relazione dell’onorevole Bozzi, il Senato continuò a considerarsi ancora organo giurisdizionale. Quindi l’Alta Corte di Giustizia, nel campo del Senato, continuò a funzionare, e non soltanto per qualche contravvenzione, ma anche per qualche cosa di molto più grave. Questa è la situazione giuridica.
Quindi era necessario, indispensabile che il giorno in cui l’Assemblea Costituente avesse istituito il Senato della Repubblica, si dichiarasse in forma solenne che il Senato albertino era soppresso. Mi pare che questo sia nel compito dell’Assemblea Costituente, e quindi credo che il Governo, presentando questo disegno di legge, non abbia fatto che agire in conformità della legge. Su questo primo punto non ci dovrebbero essere discussioni, non ci dovrebbero essere discordanze, non ci dovrebbero essere interpretazioni diverse. Che cosa ha inteso fare il Governo con la seconda parte, che è stata modificata dalla Commissione? Siccome quello stesso provvedimento diceva che la posizione personale dei senatori sarebbe stata regolata dall’Assemblea Costituente, ha ritenuto di dover dare ad alcune categorie di senatori (ai quali ha accennato l’onorevole Bergamini, e di cui egli stesso è un esemplare: ossia una categoria che era stata discriminata) qualche distinzione nella posizione giuridica, in quanto che si capisce, come l’onorevole Bozzi ha detto e come è logico, dalla soppressione viene la decadenza dei senatori da tutti i loro privilegi, guarentigie e diritti.
L’Assemblea ritiene o non ritiene di fare questa distinzione? Il Governo si rimette a quello che l’Assemblea deciderà.
Quindi, il fatto di essere senatori o senatori onorari era una delle distinzioni che il Governo credeva di proporre all’Assemblea. L’onorevole Bozzi dice: «Ma la distinzione di queste persone non c’è bisogno che venga dalla lettera della legge: viene dai fatti e dalla storia». È vero, peraltro, che vi sono le decisioni di una Alta Corte di Giustizia, di cui ha fatto parte il Presidente dell’Assemblea, che ha ritenuto che alcuni senatori fossero ancora degni di non essere dichiarati decaduti. In fondo, è oggi che li dichiariamo decaduti, perché in un certo momento c’è stata la distinzione fra senatori decaduti e non decaduti.
Oggi, con questa legge, sopprimendo il Senato, sciogliamo la riserva nei confronti giuridici dei senatori e li dichiariamo tutti decaduti. Ora, si dice: «È possibile che confondiate gli uni con gli altri?». All’Assemblea spetta questa decisione.
Ad ogni modo, questa è la portata del senso giuridico del provvedimento del Governo.
Per quanto riguarda le agevolazioni ferroviarie, possiamo essere d’accordo che, invece di metterle in questa legge, si potrà provvedere con un decreto legislativo. Il Governo ha creduto sempre di deferire all’Assemblea maggiori poteri. Non vedo nessuna difficoltà che si possa decidere per legge la possibilità di dare queste facilitazioni ferroviarie.
Il Governo, ripeto, non ha difficoltà, se l’Assemblea ritiene di approvare l’emendamento proposto dalla Commissione, di seguire la Commissione in questa sua volontà, in quanto che si rimette alla sovranità dell’Assemblea.
Per quanto si riferisce all’articolo 2, che l’onorevole Bozzi non ha precisato, vorrei pregare la Commissione di riflettere sulla portata di questo articolo che io non conoscevo. Ivi è detto: «Restano ferme le disposizioni del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 settembre 1946, n. 117», ritenendo in questa maniera di aver detto la stessa cosa in una forma tecnico-legislativa più esatta – dice l’onorevole relatore – della formula presentata dal Governo.
Tengo a far presente all’onorevole relatore, alla Commissione e all’Assemblea che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, 6 settembre, all’articolo 1 diceva: «I servizi amministrativi del Senato sono affidati ad un Commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Commissario esercita a tal fine attribuzioni già spettanti al Presidente del Senato».
Ora, noi non abbiamo ritenuto sufficiente questo, perché non c’era, in questo decreto, nessuna indicazione della durata dei poteri. Quindi abbiamo ritenuto più esatto – anzi necessario – stabilire che, fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee o, per lo meno, fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, «I servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un Commissario, ecc.».
È una questione di tecnica legislativa.
Ma c’è ancora di più. Si è ritenuto, nella pratica, che questo decreto legislativo non fosse sufficiente a stabilire i poteri del Commissario, perché gli attribuiva soltanto le funzioni spettanti al Presidente, mentre era necessario aggiungere anche quelle del Consiglio di Presidenza; anzi, nella pratica, quasi tutte le funzioni appartengono al Consiglio di Presidenza.
Per queste due ragioni, di limite e di competenza del Commissario, e per altre, che per ragioni di tecnica giuridica preferisco non riferire, ritengo sia meglio stabilire questi poteri con legge costituzionale.
Pertanto, prego la Commissione di rifarsi al testo governativo. Comunque, mi rimetto al voto dell’Assemblea.
BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI, Relatore. Le due categorie di ex senatori, alle quali fa riferimento l’articolo 1 del disegno governativo, non sono costituite, come ritiene l’onorevole Rubilli, da dieci o dodici persone. La categoria dei senatori non denunziati all’Alta Corte per le sanzioni contro il fascismo, per la dichiarazione di decadenza dalla carica, consta oggi di dodici senatori. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte respinse in prima istanza la proposta di decadenza (categoria alla quale si riferisce anche l’articolo 1 del disegno governativo) consta di 80 persone, alcune delle quali decedute. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte in un primo tempo pronunziò la decadenza e poi revocò essa stessa tale pronunzia, categoria che non si potrebbe non equiparare alla prima, consta di 19 persone, alcune delle quali decedute; in tutto, quindi, più di 100 persone.
D’altra parte, volevo dire, completando quanto ho dichiarato poco fa, che nella legge del 1944 per le sanzioni contro il fascismo, l’articolo 8 prevedeva il procedimento dell’Alta Corte, che portava eventualmente alla pronunzia di decadenza; questa procedura speciale nei confronti dei senatori fu instaurata perché ancora vigeva la monarchia. Il referendum era una cosa lontana, e non si sapeva se esso avrebbe potuto confermare la monarchia o portare alla Repubblica; quindi, in previsione di questo evento, si fece luogo un giudizio di epurazione o di selezione politica. Una volta che il popolo si è pronunziato per la Repubblica, questa selezione politica, fatta a quei determinati fini, non ha più ragione d’essere.
Per l’articolo 2 la Commissione, come è chiarito nella relazione, aveva avuto presenti le due fonti giuridiche, dalle quali derivano i poteri dell’attuale Commissario, ma aveva creduto, per ragioni che essa ha interpretato di più esatta tecnica legislativa, che potesse essere consigliata la formula dell’emendamento.
Tuttavia sull’articolo 2 non insistiamo e accettiamo il testo proposto dal Governo.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea, nel deliberare la soppressione del Senato, non dimentica quelli dei suoi membri che seppero tenere testa al governo fascista». (Commenti).
Questo ordine del giorno deve essere votato prima del passaggio all’esame degli articoli.
CONTI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Non voterò questo ordine del giorno, perché ritengo che i senatori non dovevano tener testa al fascismo ed a Mussolini, ma dovevano tener testa al re, che tradì la Nazione. (Commenti a destra – Applausi a sinistra).
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. Propongo il seguente emendamento all’ordine del giorno dell’onorevole Nobile: «Mantennero alte la dignità e la indipendenza della carica».
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSÒ PEREZ. Voterò contro il testo dell’onorevole Nobile, per la dizione: «tener testa» che mi sembra poco seria e per l’enorme difficoltà di scoprire le teste che tennero testa.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Dichiaro di accettare l’emendamento dell’onorevole Clerici.
GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Dichiaro che voterò contro qualsiasi ordine del giorno perché noi, e prima di noi il Paese, conosciamo nome per nome, persona per persona, quelli che hanno tenuto fede alle proprie idee ed un ordine del giorno di questo genere platonico, non so se sarebbe conforme alla dignità di questa Assemblea. (Applausi a sinistra).
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. A me è sembrato, onorevoli colleghi, che, nel momento in cui con tanta solennità sta per venir soppressa una Assemblea la quale era già soppressa di fatto e morta nel cuore degli italiani da venti anni, noi non avremmo potuto dimenticare coloro che seppero resistere nel Senato al fascismo. Pochi uomini, che si contano sulle punte delle dita: alcuni li ha nominati il collega Rubilli, altri sono meno noti. Qualcuno di essi anche non è più. Comunque, non dovremmo dimenticarli. È un tributo di riconoscimento per la dignità con cui essi seppero difendere il regime democratico, in mezzo alla generale viltà di quel tempo. In questo momento, in questa Assemblea, bisognava dare loro un segno di riconoscimento.
Non insisto sull’ordine del giorno dal momento che ritengo e penso, anche dalle dichiarazioni fatte da alcuni dei nostri colleghi, che in sostanza essi condividono questo mio sentimento.
PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo ora all’esame degli articoli. Comunico che l’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta che la discussione avvenga per l’articolo 1 sul testo della Commissione e per gli articoli 2 e 3 sul testo del Governo.
Si dia lettura dell’articolo 1 nel testo della Commissione.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso.
«Gli ex senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica».
PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Conti ha proposto un emendamento sostitutivo del secondo comma:
«Le guarentigie, le prerogative e i diritti degli ex senatori cessano col cessare delle funzioni».
L’onorevole Conti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
CONTI. Ho voluto eliminare la parola «perdono», che mi sembra implichi il concetto di una sanzione. Noi siamo cavallereschi. Eliminiamo il «perdono» ed esprimiamoci nella forma che ho proposto.
MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Onorevoli colleghi, è inutile dirvi che il Gruppo repubblicano voterà il testo presentato dalla Commissione e in questo momento accettato dal Governo.
Le ragioni sono evidenti: ragioni giuridiche che risalgono allo spirito del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48; vi è poi, la deliberazione già presa dalla Assemblea Costituente l’altra sera, quando essa a proposito dell’articolo 52, ha affermato che il Parlamento è costituito non solo dalla Camera dei Deputati ma anche dal Senato della Repubblica. Ma ci sono anche delle ragioni politiche e morali. Io ho sentito da alcuni banchi sorgere delle proteste, quasi nostalgie di un passato che non ritorna più. Evidentemente, qualcuno di questa Assemblea dimentica che c’è stata una data che ha modificato sostanzialmente la storia e penso la vita del popolo italiano: quella del 2 giugno 1946. Oggi siamo in regime repubblicano e questo non si può e non si deve dimenticare. Tutto quello che costituisce residuo del passato deve essere eliminato. Badate: non è senza significato che la data in cui noi discutiamo ed approviamo questo disegno di legge che sopprime una istituzione di privilegi coincide con un’altra data che non è certo storica, ma che costituisce l’umiliazione e la vergogna d’Italia: il 28 ottobre, che il Senato regio cercò di valorizzare col suo servilismo. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore il parere della Commissione.
BOZZI, Relatore. Noi accentiamo la proposta dell’onorevole Conti limitatamente alla sostituzione della parola «perdono» con la parola «decadono». Pertanto il testo diventa il seguente:
«Gli ex senatori decadono dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica».
PRESIDENTE. L’onorevole Conti accetta questa modifica?
CONTI. L’accetto.
FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Dichiaro che voterò contro il capoverso dell’articolo 1, perché non ho nessuna disposizione alla criptografia, e trovo che quando il capoverso dice molto esplicitamente che i «senatori cessano dalle guarentigie, prerogative e diritti inerenti alla loro carica» ciò è in perfetta contraddizione con le dichiarazioni della Commissione, dove è detto che la Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro (e secondo me, risulta il contrario) che la dizione «diritti inerenti alla carica» non dovesse comportare preclusione per le facilitazioni di viaggio ed accesso alla sede del Senato. Ora, queste sonò prerogative e diritti che un certo numero di senatori ha piena ragione di veder rispettati senza equivoci.
Gli onorevoli commissari proponenti dicono che non intendono pregiudicare questa situazione di cose, mentre secondo me ciò è escluso dal testo della legge.
Vi è poi l’argomento dell’onorevole Bozzi, il quale dice: badate, siccome noi facciamo una legge solenne costituzionale, non intendiamo con questo precludere l’esercizio del potete legislativo ordinario il quale faccia una leggina per consentire queste facilitazioni. L’argomento mi pare non solo erroneo ma rovesciabile, perché se questa legge costituzionale è incompatibile (come è chiaro che è incompatibile) con la leggina ordinaria di là da venire, vieta essa al potere legislativo ordinario di dare quelle tali concessioni e fare quelle tali facilitazioni. A meno che la legge costituzionale non dica: «salvo le facilitazioni e le agevolazioni, ecc., che saranno concesse o revocate con legge» e cioè con legge ordinaria.
Allora il discorso diventa chiaro, mentre oggi si ha proprio il contrario della chiarezza, e insisto nel far considerare all’Assemblea che questa dichiarazione della Commissione dal punto di vista logico è assolutamente criptografica, perché dice il contrario di quello che noi siamo invitati a votare.
CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò contro il primo comma proposto dalla Commissione, unicamente per una questione di forma: perché ritengo che sia più corretto il testo del Governo. Infatti la dizione: «il Senato cessa dalle funzioni» non mi pare esatta.
Quanto al secondo comma, voterò contro la formulazione della Commissione e mi dichiaro favorevole al testo del Governo.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Dichiaro, in correlazione a quanto detto in sede di Commissione, che voterò a favore del principio di cessazione di un istituto, legato ad una struttura costituzionale superata dall’avvento di una nuova e diversa struttura.
Questo per quanto riguarda l’organo.
Per quanto riguarda le persone, dichiaro di votare a favore del testo della Commissione e non del testo originario del Governo – mi pare che il testo della Commissione sia del resto accettato dal Governo stesso – per questa duplice ragione. Per quanto riguarda le agevolazioni personali relative a titoli o a riconoscimenti onorari, sembra evidente che, pure con quel tributo di riconoscimento morale e politico testé fatto ai membri del Senato che se ne sono resi meritevoli, questi riconoscimenti onorari presuppongono il collegamento tra l’investito della qualifica onoraria e la sussistenza di un organo da cui la qualifica stessa deriva. In ipotesi, potrebbe domani il nuovo Senato deliberare ciò, se lo credesse; ma non si può concepire oggi, a mio parere, un privilegio derivante da un organo soppresso.
Sul secondo problema, l’osservazione del Relatore mi pare sia esatta: non è questa la sede adatta per deliberare in merito alle facilitazioni ferroviarie.
Potrei essere d’accordo con l’onorevole Fabbri; non so se l’argomento sia insuperabile. Ma si potrebbe aggiungere: «salve le agevolazioni concesse dalla legge».
In ogni modo, mi rimetto alle conclusioni della Commissione e dichiaro che voterò a favore del testo proposto dalla Commissione stessa.
CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Voterò contro il capoverso, perché mi sembra del tutto superfluo. Se si stabilisce nel primo comma che il Senato è soppresso, e si riconosce che, come conseguenza, i senatori decadono dai diritti inerenti alla carica, evidentemente non è il caso di stabilire in un capoverso che i senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma:
«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso».
(È approvato).
Pongo in votazione il secondo comma:
«Gli ex senatori decadono dalle prerogative, dalle guarentigie, dai diritti inerenti alla carica».
Su questo secondo comma, è pervenuta richiesta di votazione a scrutinio segreto da parte degli onorevoli Russo Perez, Bergamini, Fabbri, Condorelli, Perrone Capano, Marinaro, Miccolis, Lagravinese Pasquale, Rodi, Corsini, Colitto, Costiglia, Rubilli, Benedettini, Crispo, Villabruna. (Commenti).
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Indico la votazione segreta
Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI
(Segue la votazione).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Presidenza del Presidente TERRACINI
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:
Presenti e votanti 305
Maggioranza 153
Voti favorevoli 236
Voti contrari 69
(L’Assemblea approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Adonnino – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.
Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli –Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernamonti – Bernardi – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.
Caccuri – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Canonia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiostergi – Ciampitti – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.
De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Donati.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fusco.
Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Imperiale – Iotti Leonilde.
Jervolino.
Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.
Macrelli – Maffi – Magnani – Magini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.
Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso.
Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.
Pacciardi – Pajetta Giuliano – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pollastrini Elettra – Ponti – Priolo – Proia – Pucci.
Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Russo Perez.
Salerno – Sampietro – Sansone – Santi – Saragat – Scarpa – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Sullo Fiorentino.
Targetti – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.
Uberti.
Valenti – Vallone – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.
Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.
Sono in congedo:
Abozzi – Angelucci.
Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.
Dozza – Dugoni.
Jacini.
Porzio.
Ravagnan – Romita – Rumor.
Sardiello – Schiavetti.
Si riprende la discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).
PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al secondo comma:
«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».
Chiedo il parere della Commissione.
ROZZI, Relatore. La Commissione crede che questa menzione aggiuntiva proposta dall’onorevole Fabbri non debba essere inserita perché già è esplicitamente dichiarato, sia nella relazione, sia soprattutto nell’ordine del giorno che sarà sottoposto all’approvazione dell’Assemblea, che dicendosi «decadenza dai diritti» non ci si riferisce però alla agevolazioni ferroviarie e al diritto di accesso alla sede del Senato.
D’altra parte, la preoccupazione di ordine giuridico sollevata dall’onorevole Fabbri non sembra alla Commissione fondata, perché le agevolazioni ferroviarie, il diritto di accesso alla sede del Senato non si possono considerare diritti inerenti strettamente alla carica di senatore, in altri termini questi diritti decadono, in quanto i senatori non sono più tali, ma ciò non toglie che possano in virtù di una legge ordinaria nuova risorgere, così come il diritto di libera circolazione al deputato cessa in quanto la persona cessa dalla carica di deputato, ma risorge in rapporto alla qualifica di ex deputato. La stessa situazione si riproduce, naturalmente nuova, per i senatori perché il senatore decade come componente del Senato soppresso, ma riacquista parte dei diritti come ex senatore, con una legge nuova che proponiamo al Governo.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fabbri:
«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».
(Dopo prova e controprova non è approvato).
Passiamo all’articolo 2 nel testo del Governo.
Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:
«Alle parole: non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, sostituire: non entrerà in funzione il Senato della Repubblica».
Il Governo e la Commissione accettano questo emendamento?
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.
BOZZI, Relatore. Anche la Commissione accetta.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 2 con l’emendamento dell’onorevole Perassi:
«Fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri».
(È approvato).
Pongo in votazione il secondo comma:
«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».
(È approvato – Si approva l’articolo 2).
Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge.
«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro 5 giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».
PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.
(È approvato).
Ed ora passiamo alla votazione dell’ordine del giorno della Commissione,
«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge ad estendere le facilitazioni ferroviarie, previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati, agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di Giustizia, o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, con esclusione di tutti gli altri ex senatori, ancorché abbiano ottenuto o possano ottenere pronuncia di annullamento della dichiarazione di decadenza».
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto l’ordine del giorno presentato dalla Commissione in quanto risponde ad una proposta fatta dal Governo. Vorrei pregare la Commissione ed il Relatore di togliere le parole: «previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati».
PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?
BOZZI, Relatore. La Commissione accetta.
NASI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NASI. Devo fare una breve dichiarazione, poiché sono fra coloro che non condividono l’ordine del giorno che ora viene messo in votazione. Noi stiamo per redigere l’atto di morte del Senato, e abbiamo ritenuto, e riteniamo, che non sia il caso, col dovuto ossequio ad alcuni esemplari – come è stato detto da alcuni – di tener conto dei cadaveri esposti fuori da questo rito che noi stiamo celebrando.
Noi dovremmo concedere, dunque, l’elemosina che ci viene con insistenza richiesta del biglietto ferroviario a più di cento persone, ma fra questi cento – io con ciò non intendo ritornare sui criteri dell’epurazione – vi sono uomini che non hanno affatto servita la Patria, che, anzi, l’hanno tradita, vi sono uomini che lo stesso Conte Sforza, in una lontana intervista, ha dichiarato di aver salvato per amore di liberalità. Vi sono uomini come il Visconti, podestà di Milano, fino il 25 luglio, vi sono uomini come il Senatore Crespi, che ha fatto più male all’Italia col suo Corriere della Sera che il Senato e la Camera uniti insieme. Io credo che questi non meritino alcun beneficio.
’altra parte, dobbiamo fare una -constatazione: da quando davanti questa Assemblea nella Commissione si è cominciato a parlare di senatori e di ex senatori l’aria è diventata poco respirabile. Ricordo che l’articolo 47 dell’elettorato attivo si è dovuto stralciare appunto per causa loro. Ora dovremmo continuare a subire i loro intrighi. Noi abbiamo soppresso il Senato, e non esistono quindi più i senatori. Credo perciò che non dobbiamo prendere nessun provvedimento che sia a beneficio di gente che se ne rese indegna e a riconoscimento di un organo che avvilì l’Italia. (Applausi a sinistra).
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Io proporrei che le facilitazioni si limitino soltanto agli ex senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia, e questo in accordo a quello che ho dichiarato prima. I senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia erano appena in numero di dodici, dei quali qualcuno disgraziatamente è morto, mentre invece i senatori che erano stati deferiti ammontano a ottanta. Ora voglio far osservare che dei novantasette senatori elencati nella pubblicazione ufficiale che ho qui, soltanto diciannove preesistevano al fascismo. Tutti gli altri furono nominati dal Governo fascista e la maggior parte di essi anche in epoca relativamente recente: nel 1930, nel 1934, nel 1939, e perfino nel 1943. Non si può, dunque, mettere in dubbio che, salvo alcune onorevolissime eccezioni, la maggior parte di essi avessero delle beneinerenze fasciste. Ora mi meraviglia che la Assemblea, la quale poco fa ha esitato a tributare in doveroso omaggio a quegli otto o nove senatori che tennero alto il nome della democrazia in un momento di generale viltà, si accinga ora a riconoscere benemerenze a senatori schiettamente fascisti. Quindi propongo che quella categoria di senatori sia eliminata dall’ordine del giorno. Se questo non avvenisse, voterò contro tutto l’ordine del giorno.
NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILI TITO ORO. Vorrei sintetizzare, onorevoli colleghi, e tentare di risolvere due questioni che sono emerse da questa discussione e sulle quali l’Assemblea si mostra ancora evidentemente sospesa ed incerta: la prima è una questione di forma, l’altra è una questione di sostanza. Entrambe discendono dalla risoluzione che sopprime il Senato del Regno, e trovano ancora la loro giustificazione nella sorpresa che il disegno di legge ha determinato in qualche parte dell’Assemblea.
Contro di esso si sono levati molti oppositori ad invocare pei senatori non colpiti dalla epurazione un diritto quesito a conservare le funzioni senatorie; non si sono domandati questi colleghi se un siffatto diritto, dato che possa per alcuni senatori sussistere, sia sufficiente ad impedire alla Costituente di sopprimere il Senato di nomina regia per sostituirgli il Senato della Repubblica eletto dal suffragio popolare. E non si sono chiesti come potrebbero rendersi compossibili e compatibili in quest’organo nuovo, membri del vecchio Senato regio nominati a vita con membri di quello della Repubblica da eleggere per soli sei anni. Non c’era che una sola soluzione: era quella adottata e adottarla era nei poteri della Costituente. D’altra parte quei senatori che si pretende abbiano subito un torto inconcepibile, che hanno perduto il diritto di rimanere a vita senatori del Re, conservano quello, comune a tutti i cittadini che non abbiano sulla coscienza malefatte fasciste, di divenire senatori della Repubblica per volontà di popolo. Di fronte a queste insuperabili considerazioni la resistenza è crollata nella votazione sull’articolo 1; ma ha conservata la residua speranza di qualche onore, di qualche prerogativa, di qualche beneficio che possa, a ricordo dell’alta carica un giorno ricoperta, riservarsi ai senatori non epurati.
E il disegno di legge aveva incoraggiato la speranza, specie per quanto riguarda la concessione, del permanente ferroviario. Ma la Commissione ha ritenuto che l’argomento decampasse dalle funzioni della Costituente e fosse troppo povera cosa per interessare questa Assemblea; ha dichiarata la questione di competenza del Governo, ha formulato un ordine del giorno per chiedergli questa concessione a favore dei senatori spodestati e ora pretende di sottoporlo alla nostra approvazione.
Ecco che si presenta la questione di forma: se per la Commissione non est hic locus per sancire il beneficio della concessione ferroviaria, se il tema è troppo povera cosa per interessare la Costituente in questo solenne momento, se anzi esso non costituisce materia costituzionale, non è da dire altrettanto per l’ordine del giorno che noi dovremmo votare per chiedere al Governo di provvedere esso alla concessione? Io non so vedere differenza fra l’occuparcene per provvedervi noi e l’occuparcene per indurre il Governo a provvedervi esso; e consiglierei la Commissione a esonerare dal voto l’Assemblea e a trasmettere essa al Governo come proprio e come votato dai propri membri l’ordine del giorno, quale propria raccomandazione. I senatori avrebbero tutto da guadagnare; mentre il prevedibile rigetto dell’ordine del giorno da parte dell’Assemblea avrebbe per effetto di mettere il Governo nella condizione di non poterne fare più niente.
Ma c’è pure, come ho detto, una questione di sostanza: gli oppositori e gli incerti si sono rappresentati la soppressione del Senato come proposito balzato dalla iniziativa del Governo e della Costituente, come la freccia del Parto, come una ingiustizia cosciente cui si debba rimediare con qualche concessione sub specie di riparazione. Nulla di più inesatto. L’aspettativa della ripresa delle funzioni parlamentari da parte dei senatori non epurati poté apparire legittima in base al decreto 7 agosto 1943 del Governo Badoglio che, sciogliendo la Camera dei fasci e corporazioni, assumeva l’impegno di convocare le due Camere non oltre il quarto mese dalla fine delle ostilità. Ma quel decreto era stato abrogato dal decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944, che i nostri giuspubblicisti considerarono concordi come una Carta costituzionale provvisoria. Questo decreto dichiarò che la questione istituzionale sarebbe stata risolta, non appena cessate le ostilità, da un’Assemblea Costituente. Se, per effetto di questo, che fu un impegno fra principe e Governo, l’ordinamento politico del Paese cadeva sotto la illimitata revisione di tale l’Assemblea, era evidente fin d’allora, e maggiormente lo divenne dopo il decreto-legge 16 marzo 1946 e dopo il decreto-legge 24 giugno 1946 che interpretò il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, che o il Senato sarebbe addirittura scomparso, se la Costituente avesse adottato il sistema unicamerale, o esso sarebbe stato sostituito da un Senato democratico eletto a suffragio diretto dal popolo nel caso opposto. Nell’uno e nell’altro caso i senatori a nomina vitalizia, anche se non epurati, avrebbero cessato dalle loro funzioni. Senonché, si obietta che il contrario aveva potuto far presumere l’averli sottoposti a selezione attraverso il procedimento di epurazione. L’obiezione non ha fondamento giuridico: il procedimento di epurazione fu adottato solo in quanto non si ritenne dignitoso che, sia pure provvisoriamente, rimanessero in carica uomini che avevano concorso alla soppressione delle libertà e che avevano tradito il Paese. Ma ciò non bastava ad abrogare il decreto legislativo 25 giugno 1944 né a sopprimere in questa parte i poteri della revisione istituzionale alla Costituente attribuiti. In altri termini, pendeva una condizione ed era necessario, nella eventualità che la Costituente non sopprimesse il Senato, selezionare i senatori meritevoli di rientrarvi come che sia, da coloro che questo diritto non avrebbero più in alcun caso meritato.
PRESIDENTE. Questo esame è già stato fatto in sede di discussione generale su questo disegno di legge.
NOBILI TITO ORO. È vero, onorevole Presidente: ma mi sono accorto che una parte di noi è dominata ancora dalla preoccupazione che i senatori non epurati subiscano oggi un arbitrio da parte del Governo e della Costituente, e ho voluto dimostrare quanto ingiustificata sia, per le ragioni storiche che ho esposte, questa impressione; in quanto è da essa che trae origine e forza lo zelo di coloro che vogliono si provveda in questa sede alla conferma almeno delle concessioni ferroviarie, quasi ad solacium amissi honoris.
Il decreto 25 giugno 1944, sopprimendo il decreto Badoglio, dimostrò ex tunc che di convocazione del Parlamento non si poteva parlare finché la Costituente non avesse detto la parola definitiva, e che pertanto ogni concepita aspettativa di investiti dalla monarchia poteva essere illusoria.
La Costituente la propria parola l’ha pronunciata da parecchi giorni e l’ha confermata or ora, anche in forma solenne, col votare fra gli applausi la soppressione definitiva del Senato del Regno, che sarà sostituito da una istituzione completamente rinnovata, sotto il nome di Senato della Repubblica, consacrazione di fede nelle insopprimibili ed eterne libertà, e nella potenza immanente dei valori della democrazia, fonti vive di progresso sociale e di civiltà.
D’altra parte i senatori non epurati, se anche rimanessero delusi nella aspettativa che loro attribuiscono gli oppositori del disegno di legge, conserveranno sempre il diritto di entrare anche essi nel nuovo Senato attraverso il crisma della volontà popolare; e questo è per i meritevoli il più vero, il più decisivo conforto di fronte al disappunto di oggi.
Per questi motivi, qualora la Commissione non ritenesse di ritirare il proprio ordine del giorno per farne magari oggetto di propria raccomandazione al Governo, noi confidiamo che l’Assemblea saprà rifiutarsi di approvarlo. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli mi fa pervenire un emendamento, a tenore del quale la concessione delle facilitazioni previste oltre che agli ex senatori che non furono deferiti e agli ex senatori per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, dovrebbe essere estesa a coloro per i quali sia stata annullata l’ordinanza di decadenza.
Mi pare che questo sia in contradizione con la votazione fatta poco fa sul testo del disegno di legge. Sta all’Assemblea giudicarne; ma ritengo mio dovere segnalare ciò.
Peraltro, siccome l’emendamento non porta le dieci firme regolamentari, domando se sia appoggiato.
(Non è appoggiato).
Pongo in votazione la prima parte dell’ordine del giorno della Commissione:
«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge alle facilitazioni ferroviarie agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di giustizia».
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
Dato che l’Assemblea ha respinto la prima parte, non porrò più in votazione la seconda parte.
Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.
Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).
Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare l’onorevole Ruggiero. Ne ha facoltà.
RUGGIERO. Onorevoli colleghi! Farò delle considerazioni di carattere tecnico sull’articolo 277 della legge sulle modificazioni al Codice penale.
L’articolo 277, secondo me, va considerato in rapporto al precedente articolo 276, dato che nell’uno e nell’altro esiste la tutela di un obietto comune, che è la libertà del Presidente della Repubblica. L’articolo 276 dice: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità e alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».
PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, in sede di discussione generale non si può discutere sui singoli articoli.
Lei intende fare alcune osservazioni sulle modifiche apportate dall’articolo 2, in merito all’articolo 277 del Codice penale. Si tratta, dunque, di una questione da discutere in sede di articolo 2.
RUGGIERO. In sede di discussione generale io intendevo desumere dal complesso della legge quell’articolo che, secondo me, merita maggior attenzione e considerazione. Mi pare di rimanere nell’ambito della discussione generale anche se questa, per ragioni tecniche, deve convergere su uno dei punti contenuti in uno degli articoli.
PRESIDENTE. È naturale che si scelga l’argomento, ma non lo si sceglie fra gli argomenti specifici la cui sede di discussione è all’esame degli articoli. Comunque, dato che il suo intendimento è di parlare in relazione ad un determinato articolo, potrà farlo al momento opportuno.
Nessun altro chiedendo di parlare dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame dei singoli articoli.
Onorevole Grassi, poiché la Commissione ha apportato degli emendamenti al testo del Governo, chiede che si discuta sul testo della Commissione?
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che sia meglio seguire il testo del Governo.
PRESIDENTE. Allora consideriamo il testo della Commissione come una serie di emendamenti al testo del Governo.
Si dia lettura dell’articolo 1.
RICCIO, Segretario, legge:
«Al libro II, titolo I, capo II, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto la formula proposta dalla Commissione.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1 nel testo della Commissione:
«Al libro II, titolo I, capi II, IV e V, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».
(È approvato).
Passiamo all’articolo 2. Questo articolo sostituisce con nuovi testi gli articoli 276, 277, 278, 279, 283, 289, 290, e 213 del Codice penale. Porrò in discussione questi articoli separatamente. Si dia lettura del primo articolo.
RICCIO, Segretario, legge:
«Art. 276. (Attentato contro il Presidente della Repubblica). – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».
PRESIDENTE. Avverto che è stato proposto dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perrone Capano, La Gravinese Nicola, Coppa, Condorelli, Rodinò Mario, Recca, Reale Vito e Perugi, il seguente emendamento sostitutivo:
«Chiunque attenti alla vita, all’incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore ai venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se dal fatto deriva la morte, si applica l’ergastolo nel caso di attentato alla vita, e la reclusione non inferiore a venti anni negli altri casi».
L’onorevole Lagravinese Pasquale ha fa facoltà di svolgere il suo emendamento.
Presidenza del Vicepresidente CONTI
LAGRAVINESE PASQUALE. Questo emendamento è un emendamento sostitutivo, che trae il suo fondamento dallo spirito, dalla mens che ha informato il provvedimento legislativo, che oggi ci occupa. Per questo spirito, per questa mens del legislatore, non è possibile oggi assimilare, agli effetti penali, la persona del re con la persona del Presidente della Repubblica.
Il monarca, l’antico monarca, con tutte le sue prerogative e con i suoi attributi, è arrivato fino alle soglie della nostra epoca con il peso evidente dei secoli feudali. Egli, per definizione, era sacro, inviolabile, aveva quasi gli attributi della divinità, come capo di una dinastia; la sua soppressione violenta ha dato anche luogo (la storia ce lo insegna) a guerre dinastiche. Il regicidio era un delitto particolare, a sé stante, contemplato con obbrobrio, con raccapriccio, e naturalmente oggi, in periodo repubblicano, in opposizione ad un regicidio, non può esistere, per esempio, un presidenticidio.
Quindi è chiaro, mi sembra, che questa considerazione, questo concetto sacro, quasi sacerdotale, mistico della monarchia ha informato la legislazione delle epoche attraverso i secoli addirittura fino al giorno d’oggi. La persona del re, essendo considerata sacra, intangibile, si supponeva logicamente che ogni offesa ad essa dovesse essere punita con una norma severissima; e questo concetto, noi lo ritroviamo anche nel Codice Rocco, il quale poi ripete e riproduce quasi fedelmente le norme dei precedenti Codici: per questo Codice, per esempio, non esiste nessuna distinzione e discriminazione (ecco il carattere sacerdotale della monarchia) non solo sul nome, de iuris, dei reati, perché nulla pare che importi al legislatore se si tratti di un attacco, di una offesa o attentato alla vita, alla libertà, alla incolumità del monarca. Sono tre ipotesi digradanti, ma agli effetti della discriminazione, sono trattati egualmente dal legislatore, al quale neanche importa l’effetto dannoso di questi reati: non vuole, cioè, sapere se restano allo stato di tentativo o sono consumati, se dalla consumazione ne è derivata la morte oppure un graffio sul naso; è lo stesso: la pena massima per l’attacco alla sacertà del monarca.
Ora è chiaro che questa concezione non la possiamo trasfondere nella legislazione democratica, in sede di regime repubblicano. Se noi dovessimo considerare il Presidente della Repubblica alla stessa stregua concettuale del monarca, io mi domando in che cosa consisterebbe questa nostra tanto declamata democrazia.
Una riprova vi è nello stesso Codice Rocco il quale, allontanandosi gradualmente dalla persona sacra, intangibile, del monarca, passa alle altre ipotesi degli attacchi alla vita e all’incolumità delle altre persone della famiglia reale. Quindi non più intangibili, uomini; non più dei, uomini.
E allora quando il nostro Codice contempla le ipotesi delle offese, degli attentati ai membri della famiglia reale si allontana dalla sacertà, si allontana dal misticismo che accompagna la persona del monarca e tratta anche i membri della famiglia reale come uomini. E come uomo noi dobbiamo trattare il Presidente della Repubblica.
Non basta, oggi, come ha fatto il Governo e come ha fatto anche la Commissione, dopo il mutamento istituzionale, sostituire nei testi del Codice la parola «monarca» con la espressione «Presidente della Repubblica». Il Governo, infatti, cancella tutte le prerogative che riguardavano i fascisti, il fascismo, il Capo del Governo, il Gran Consiglio del fascismo e non colpisce la sostanza della norma giuridica, la quale deve essere necessariamente mutata.
Pertanto, io, non innovando nulla, ma seguendo il metodo usato dal Governo e dalla Commissione, mi sono attenuto al Codice, precisamente, come ha fatto il Governo e come ha fatto la Commissione. Soltanto che la Commissione si ferma davanti alla sacertà del Presidente della Repubblica, mentre io ho seguito il Codice. E siccome il Codice, quando non si tratta del monarca, distingue le responsabilità, e quindi le pene, non si capisce perché noi, con lo stesso sistema, non dobbiamo applicare delle pene graduali per i reati contro la persona del Presidente della Repubblica. Per conseguenza non ho fatto che andare un po’ oltre il margine che si è imposto il Governo e che si è imposto anche la Commissione, e chiedo l’applicazione delle pene relativamente ai vari attentati configurati secondo una responsabilità graduale.
Naturalmente nessuno si può lamentare di questo; neanche qualche repubblicano dell’ultima ora, il quale può ancora conservare qualche nostalgia del passato regime, non si può lamentare se ho degradato il Presidente della Repubblica allontanandolo dalla persona sacra del re; in fondo, pur facendolo scendere dal trono, gli ho conservato il rango di un principe del sangue.
Ecco perché chiedo che sia mantenuta la disposizione del Codice penale riguardante l’applicazione della pena, secondo le varie responsabilità, secondo l’entità del danno che dall’attentato può seguire.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei illustrare all’onorevole Lagravinese e all’Assemblea la reale portata del provvedimento legislativo del mio predecessore che mi corre l’obbligo di difendere qui: si è cercato, in sostanza, di eliminare alcuni articoli non più intonati al sistema politico e giuridico dello Stato. Non si è fatto che perseguire l’intento di sostituire alcune parole che si riferivano al re, alla monarchia e agli organi del precedente regime, con altre inerenti alla nuova situazione repubblicana dello Stato italiano.
È così che si è sostituito alla pena di morte per gli attentati alla persona del re la pena dell’ergastolo per i corrispondenti attentati alla persona del Presidente della Repubblica. Questi articoli dunque da noi emendati non hanno una portata innovatrice, ma solo una portata formale, nel senso di una sostituzione di una formulazione ad un’altra ormai superata.
Pertanto la proposta dell’onorevole Lagravinese di tornare al Codice del 1889, è anche una proposta che può indubbiamente esser presa in considerazione, ma se noi vogliamo entrare nel campo della discussione di merito su ogni disposizione, io credo che non finiremmo più, oltre al fatto che mi permetto di fare osservare, che noi non saremmo nemmeno preparati a questo.
Limitiamoci, quindi, per ora, a queste proposte formali. Rivolgo in questo senso una preghiera all’onorevole Lagravinese ed agli altri oratori, convinto come sono della necessità di imprimere un ritmo rapido a questa nostra discussione, se veramente vogliamo approvar questa legge. Restiamo, cioè, nell’ambito dello spirito e degli intendimenti con cui il Governo ha presentato questo disegno di legge all’Assemblea e con cui la Commissione stessa lo ha accolto.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. La Commissione si associa a quanto ha detto l’onorevole Guardasigilli. Effettivamente con la legge, che ci accingiamo ad approvare, non intendiamo sottoporre ad un accurato riesame le disposizioni del Codice penale per apportare ad esse delle modifiche. Noi intendiamo semplicemente sostituire alle disposizioni del Codice penale, che si riferiscono alle istituzioni dei periodo monarchico, le modifiche rese necessarie dalla sostituzione, in Italia, della Repubblica alla monarchia.
Se, d’altra parte, vogliamo scendere nel merito, dobbiamo riconoscere che non esiste alcuna ragione per far discendere di un gradino il Presidente della Repubblica dall’altissimo posto, nel quale la Costituzione e gli ordinamenti dello Stato e la volontà del popolo italiano lo hanno collocato.
PRESIDENTE. Onorevole Lagravinese, mantiene il suo emendamento?
LAGRAVINESE PASQUALE. Desidero semplicemente dire che quanto hanno osservato l’onorevole Ministro e l’onorevole Relatore non è del tutto esatto. Essi infatti non si sono limitati alle modifiche esteriori di cui ci hanno parlato, non si sono limitati cioè a mutare soltanto le intitolazioni degli articoli, ma, ad esempio, per l’articolo 278, hanno modificata anche la pena.
Pertanto mantengo il mio emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri, testé letto.
(Non è approvato).
Pongo in votazione l’articolo 276:
«Attentato contro il Presidente della Repubblica. – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».
(È approvato).
PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 277. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge.
«Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica. – Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».
PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha proposto il seguente emendamento:
«Abrogare l’articolo 277».
Ha facoltà di svolgerlo.
RUGGIERO. Onorevoli colleghi, mi rendo conto delle dichiarazioni dell’onorevole Grassi e dell’onorevole Colitto che hanno definito il carattere provvisorio di questa legge; però ritengo che nell’articolo in esame, cioè nell’articolo 277, esista un residuo di eccesso di garanzia data a certe prerogative, che forse non avevano nessuna ragione concreta di essere, ma furono concesse durante il passato regime, cioè in un tempo in cui si era presi dalla mania di creare prerogative al riguardo di certe personalità.
E in effetti, quando si metta l’articolo 277 in rapporto col precedente, il 276, noi ci accorgiamo, dopo un esame anche sommario, che nell’uno e nell’altro articolo viene preso in considerazione un elemento comune, che è quello della libertà del Presidente della Repubblica.
Dice l’articolo 276: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».
Come appare chiaro, in questo articolo è presa in considerazione la libertà personale del Presidente della Repubblica.
Ove si legga l’articolo 277 si trova che «chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».
Come vedete, nell’un articolo e nell’altro viene presa in considerazione la libertà del Presidente della Repubblica.
Ora, si può pensare, leggendo l’articolo 277, che quando si incorre nell’espressione «fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente», si voglia creare nell’articolo 277 una condizione di fatto che nel 276 non ricorra. Il che, invece, non è esatto, perché e nell’articolo276 e nell’articolo 277, le condizioni di fatto sono le stesse e si risolvono tutte e due nell’attentato. La diversità sta in questo: nell’obietto della tutela penale; nella diversità dell’obietto della tutela penale. Nell’articolo 276 viene presa in considerazione la libertà personale del Presidente. Nell’articolo 277 viene presa in considerazione una libertà che non ha né specificazione, né qualificazione. Basterebbe questa osservazione per arrivare alla conclusione che l’articolo 277, messo in rapporto con l’articolo 276, rende dubbia l’interpretazione di entrambe le norme.
Ora, qual è l’origine dei due articoli? Derivano tutti e due dal Codice penale del 1930. Il Guardasigilli dell’epoca spiegò che in un primo caso venne presa in considerazione la libertà personale e nel secondo caso la libertà morale del re. Egli disse: «ho fissato in un primo articolo le sanzioni per gli attentati alla libertà personale del re, ma nel nuovo regolamento seguo la incriminazione meno grave degli attentati e considero così quelli che consistono nell’aggredire la libertà morale del re».
Insomma si tratterebbe di prendere in considerazione e regolare diversamente gli attentati alla libertà personale ed alla libertà morale del Presidente. Ma per arrivare a questa differenza bisognerebbe leggere i lavori preparatori e la relazione del Guardasigilli. Il che mi pare non sia proprio l’ideale per una legge che deve essere intesa da tutti per la sua semplicità e chiarezza.
Nella Commissione parlamentare del 1930 incaricata della compilazione del progetto di questo Codice non si parlava neppure di questa duplice forma di libertà, per questo motivo: perché quella Commissione diceva che quella che il Guardasigilli intendeva essere una forma di libertà di carattere morale, doveva essere intesa e punita invece come una violazione che trovava la sua identità nella offesa, nell’oltraggio, nel vilipendio della persona dell’allora sovrano.
Nel 1889 la disposizione non è contemplata. Quindi i precedenti storici davano torto al Guardasigilli che fece la relazione del Codice 1930.
Per questi motivi io penso che non si debba far luogo all’approvazione di questo articolo. Primo, perché è molto difficile dare la configurazione di un’offesa alla libertà morale del re o del Presidente della Repubblica. Secondo, perché è molto difficile trovare i confini dell’offesa alla libertà morale.
Ma vi è un’altra considerazione di carattere sociale su cui richiamo la vostra benevola attenzione per qualche momento ancora. Noi ci troviamo di fronte ad una disposizione che parla di libertà, e ne parla in maniera indeterminata, inqualificata. Ora, non vedete voi che nasce un contrasto fra quella libertà qualificata di cui all’articolo 276 e questa libertà indeterminata ed squalificata di cui all’articolo 277?
I fatti contemplati sono uguali nell’uno e nell’altro articolo, perché nell’uno e nell’altro si parla di attentato. È diverso solo l’oggetto della sanzione penale, cioè la libertà.
Ora, nell’articolo 277 non essendo delimitata la libertà in un suo ambito circoscritto che valga a definirla, per libertà dobbiamo intendere qualcosa di assolutamente generico, che abbia un’ampiezza indefinita. Voi mi insegnate che noi abbiamo tre libertà: una libertà individuale, che comprende la libertà personale, fisica e morale. Ora, siccome qui, nell’articolo 277 non è chiarita la qualificazione di libertà morale, né di libertà fisica, io sono autorizzato a pensare che quando si parla di libertà nell’articolo 277 si parla di libertà nel senso più lato.
Ed allora chi impedisce ad una rigorosa interpretazioni di fare rientrare tutti i casi di violazione di libertà proprio nell’articolo 277 e non nel 276? Perché, se nell’articolo 277 si parla di una libertà senza confine e senza limiti, nell’articolo 277 entrerebbe ogni ragione di violazione.
Per questi motivi chiedo che venga accolto il mio emendamento e venga soppressa l’articolo 277 della legge in esame, dovendo intendersi compresa la violazione alla libertà morale del Presidente nella sanzione che punisce l’oltraggio e l’offesa al Presidente stesso.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Io sono di parere opposto a quello testé espresso dall’onorevole Ruggiero perché, quando nell’articolo 276 si parla di attentato alla libertà personale, s’intende quella che in diritto penale ordinario si chiama sequestro di persona. Quando nell’articolo 277 si parla genericamente di attentato alla libertà ci si riferisce, per esempio, sempre per far riferimento al diritto penale ordinario, al delitto di minaccia. Quando nell’articolo 278 si parla di onore e di prestigio, ci si vuol riferire ai particolari delitti di ingiuria e di diffamazione commessi nei confronti del Presidente della Repubblica.
Sono dunque tre categorie diverse di delitti che ho voluto richiamare per chiarire il concetto e che mi pare giustifichino i tre diversi articoli sottoposti all’approvazione dell’Assemblea.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io non posso che richiamarmi a quanto ho detto precedentemente e che l’onorevole Ruggiero aveva già accettato, in via generale.
Il Governo, mantenendo questo disegno di legge, non fa che modificare il vecchio Codice, che aveva ipotizzato la figura della libertà distinta dalla libertà personale, sostituendo alla figura del re quella del Presidente della Repubblica.
Io prescindo dalla discussione di merito. Vi sono diverse forme di libertà, come ha detto l’onorevole Badini Confalonieri. La prima libertà, alla quale si riferisce l’articolo precedente, è senza dubbio la libertà della persona fisica; quindi gli attentati fatti alla persona fisica del Capo dello Stato vengono puniti con la disposizione prevista dall’articolo precedente.
L’articolo successivo – che non è stato innovato – si riferisce alla libertà morale, cioè a quegli attentati che possono essere esercitati per limitare la libertà morale del Capo dello Stato. Non credo che possiamo togliere questa norma.
Ad ogni modo esiste una Commissione che esaminerà tutto il Codice penale e che ha fatto già delle proposte concrete.
Ha già pronti alcuni libri, ma non si possono presentare a questa Assemblea; si presenteranno all’Assemblea legislativa di domani. Adesso prego l’Assemblea di non voler modificare tutte le ipotesi previste nel Codice penale, tenendo presente che noi vogliamo soltanto sostituire alla figura scomparsa del re, quella del Presidente della Repubblica.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. La Commissione non può accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Ruggiero. Per poterlo accogliere la Commissione dovrebbe essere convinta che l’articolo 277 del Codice penale non è che la ripetizione dell’articolo 276. Ora questo non è, perché l’obiettività giuridica dell’uno articolo è diversa dalla obiettività giuridica dell’altro. Nell’articolo 276 si punisce l’attentato alla libertà personale; nell’articolo 277 si punisce, invece, l’attentato alla libertà, che la dottrina qualifica, concorde, diversa da quella personale. È superfluo fare degli esempi. Non è possibile, poi, parlare di equivoci, come ne parlava dianzi l’onorevole Ruggiero, perché nell’articolo 277 non si ripeta la parola «libertà», già usata nell’articolo precedente, ma si usa la dizione «fuori dei casi previsti dall’articolo precedente», che appunto impedisce ogni equivoco. Si comprende subito, leggendosi l’articolo 277, che con questo è previsto l’attentato ad una libertà diversa da quella di cui è parola nel 276. Mi sembra, del resto, che sia opportuno stabilire per un delitto, ad esempio, di minaccia, una pena inferiore a quella che il legislatore stabilisce, per esempio, per il sequestro di persona.
Queste sono le ragioni per le quali la Commissione non può accogliere l’emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 277, testé letto, avvertendo che l’onorevole Ruggiero ne ha proposto la soppressione.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 278. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Offese all’onore del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».
PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha proposto di aggiungere nella intitolazione, dopo le parole «all’onore», le altre «o al prestigio», e che il Governo ha accettato.
A questo articolo, è stato presentato, dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perugi, Coppa, Perrone Capano, Condorelli, La Gravinese Nicola, Recca, Reale Vito, Rodinò Mario un emendamento del seguente tenore:
«Sostituire le parole: è punito con la reclusione da uno a cinque anni, con: è punito con la reclusione da due a sette anni».
L’onorevole Lagravinese Pasquale ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
LAGRAVINESE PASQUALE. Per lo stesso concetto di equità per cui il Presidente della Repubblica, come ho inutilmente affermato pochi minuti fa, non può essere confuso nell’aureola mistica, sacerdotale del monarca, non può essere neppure confuso con l’ultimo dei cittadini. Lo stesso concetto di equità: non è il monarca, ma non è neppure l’ultimo dei cittadini.
Ora, io rilevo innanzitutto la immediata smentita a quello che ha detto il rappresentante del Governo, e cioè che l’attuale disegno si limiterebbe a cambiare soltanto i nomi. In questo articolo, in contrasto alla disposizione parallela nel nostro Codice penale, quando il Governo si è trovato di fronte non più alla persona fisica, all’incolumità del Presidente, ma si è trovato di fronte al suo onore, ha diminuito la pena.
Innanzitutto questo, teoricamente, non mi sembra ben fatto, perché tante volte l’onore è qualche cosa di più rilevante della stessa vita. Ma mi sembra importante per il fatto che questo dimostra che il Governo ha già fatto opera di innovazione legislativa, mutando la pena del Codice. Non è vero che ha sostituito soltanto il nome del re con il nome del Presidente della Repubblica, che ha cancellato gli altri nomi che oggi non ci sono più; ma ha fatto opera legislativa, innovando la pena prevista dal corrispondente articolo del Codice penale. Ed io questo non lo capisco, sia in fatto e sia in diritto, perché se noi guardiamo l’articolo del Codice penale che riguarda la diffamazione, cioè l’offesa all’onore del privato umilissimo cittadino, noi vediamo che con l’ultima ipotesi dell’aggravante dell’articolo 595, la pena per diffamazione può arrivare fino a quattro anni e mezzo. Ed allora, concedere sei mesi in più per l’onore del Presidente della Repubblica, francamente mi sembra troppo poco. Quello che io chiedo, anche per rispetto a quello che ha dichiarato il Governo, che non ha mutato nulla, è che sia mantenuto in quell’articolo la pena precisa che il corrispondente articolo del Codice prevedeva per offesa all’onore e al prestigio del monarca – e oggi al Presidente della Repubblica – e cioè da due a sette anni di reclusione. È una questione di equità.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro di grazia e giustizia.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io penso che, se è stata presentata la proposta di ridurre la pena sulla base di un anno a 5 anni di reclusione, non si intendeva con questo introdurre una diminuzione nei confronti del prestigio del Presidente della Repubblica. Siccome l’articolo precedente stabiliva da due a sette anni per il re e da uno a cinque anni per la regina, il Governo ha preferito prendere questo secondo limite. Io non ne faccio una ragione essenziale, ma penso che mantenere uno a cinque anni sia sufficiente.
PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?
COLITTO, Relatore. La Commissione si associa alle considerazioni del Ministro.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri.
(Non è approvato).
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 278:
«Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».
(È approvato).
Passiamo all’articolo 279: se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Resa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica. – Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire mille a diecimila».
PRESIDENTE. Gli onorevoli Russo Perez, Mazza, Benedettini, Condorelli, Rodi, Coppa, Corsini, Giacchero, Cremaschi Carlo, Carratelli, hanno presentato il seguente emendamento:
«Abrogare l’articolo 279».
L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.
RUSSO PEREZ. Vi leggo l’articolo: «Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, ecc.». Supponete, per esempio, il caso di un giornalista, il quale scriva che il Presidente della Repubblica, con la minaccia di sciogliere la Camera, ha provocato un determinato atteggiamento del Governo. Io dico: o l’accusa è infondata o l’accusa è fondata.
Se l’accusa è infondata si ricade nella disposizione dell’articolo 278, perché indubbiamente si è offeso l’onore e il prestigio del Presidente della Repubblica. Se, viceversa, l’accusa è fondata vi sono da fare due casi: o questa accusa è mossa in modo villano, offensivo, duro, e si ricade sempre nell’articolo 278; o viceversa è fatta in forma larvata, e mi sembra eccessivo si debba perseguire penalmente il cittadino in tal caso.
Ecco perché ho proposto un emendamento soppressivo di questo articolo, che del resto in 85 anni di regno è stato applicalo una o due volte.
GRASSI. Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Né ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Russo Perez di non insistere, per le ragioni predette. Noi non facciamo che sostituire le disposizioni che avevamo nel Codice precedente.
PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, accetta l’invito del Governo?
RUSSO PEREZ. Per quanto nulla vieti che si possa cogliere questa occasione per abrogare una disposizione di legge, accetto l’invito del Ministro a recedere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Questo articolo ha figura speciale, perché riguarda la irresponsabilità del Capo dello Stato.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 279 testé letto.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 283. Si dia lettura del testo del Governo.
RICCIO, Segretario, legge:
«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».
PRESIDENTE. La Commissione ha così modificato questo articolo:
«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a venti anni».
Gli onorevoli Badini Confalonieri, Corsini, Rodi, Crispo, Fusco, Rubilli, Giacchero, Carratelli, Condorelli, Benedettini hanno presentato il seguente emendamento al testo della Commissione:
«Sostituire alle parole: è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni, le parole: è punito con l’ergastolo e nei casi meno gravi con la reclusione non inferiore a dodici anni».
L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di svolgere l’emendamento.
BADINI CONFALONIERI. Vorrei anzitutto dire al Ministro che in questo caso l’emendamento da noi sottoposto all’attenzione dell’Assemblea non è fuor di luogo; perché in questo caso il disegno di legge governativo non si è attenuto all’articolo 283 del Codice del 1930, il quale prevedeva nei confronti dell’attentato contro la Costituzione dello Stato la pena dell’ergastolo. Il disegno di legge ministeriale propone la pena della reclusione non inferiore a dodici anni. A cotesto proposito la Commissione ha proposto un emendamento e, quale motivazione dello stesso, nella relazione si legge:
«Ritiene la Commissione che sia opportuno salvaguardare tale Costituzione più energicamente che sia possibile; propone quindi che sia stabilita la pena della reclusione non inferiore a venti anni».
Mentre non si può disconoscere il fondamento della proposta della Commissione, occorre anche considerare che essa è caduta in un indubbio errore tecnico, quando ha previsto la reclusione non inferiore a venti anni; poiché per l’articolo 23 del Codice penale la reclusione va da quindici giorni ad un massimo di ventiquattro anni. Ora è certo che non si può consentire una facoltà discrezionale al giudice, che sia così ristretta, cioè da un minimo di venti anni ad un massimo di ventiquattro anni di reclusione. Ne consegue la necessità di modificare la proposta della Commissione, che, esatta nella motivazione, pecca tuttavia, al tempo stesso, per eccesso e per difetto. Pecca per difetto, in quanto è indubbio che l’attentato alla Costituzione è un fatto talmente grave, che non ce ne può essere altro maggiore: quando si attenta alla Costituzione si vogliono sovvertire tutte le nostre istituzioni democratiche ed il fondamento dello Stato; ed ogni altro reato previsto nella legge in discussione riverbera la sua gravità da questo. Se abbiamo testé votato nei confronti dell’attentato contro il Presidente della Repubblica, che impersona proprio la Costituzione, la pena dell’ergastolo, è giusto che nei confronti dell’attentato alla Costituzione non si commini pena nel massimo minore.
Pecca per eccesso perché indubbiamente ci sono casi meno gravi, infrazioni più lievi, che vanno diversamente considerate, per le quali mi pare opportuno consentire che il giudice abbia potere discrezionale maggiore.
Ed allora noi possiamo correggere questo eccesso, consentendo nei casi meno gravi una reclusione non inferiore a dodici anni, così come nel disegno di legge proposto dal Ministro era stato scritto.
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. A nome del mio Gruppo, dichiaro che accettiamo l’articolo 283 nel testo proposto dal Governo.
L’onorevole Badini Confalonieri si riferiva testé alla pena dell’ergastolo prevista dal Codice del 1930 e portava qui quella esasperazione delle pene voluta dal fascismo per i reati di tale specie, esasperazione che ha torturato tanti italiani in quel periodo, per la palese sproporzione della pena.
Voler punire con l’ergastolo «un fatto diretto a mutare» (un fatto che peraltro non si precisa, per cui dovremmo opporci all’articolo com’è, in quanto c’è in esso una evidente genericità) mi sembra dare al magistrato un potere non proporzionato al fatto stesso.
Ritengo che quanto è stato proposto, cioè una pena non inferiore a dodici anni, sia già una pena forte. E poi ritengo che non si debbano discutere le leggi col misurare gli anni di reclusione. Ritengo opportuno ricordare l’argomento di Beccaria a proposito della pena di morte e cioè: «Chi è deciso a commettere un delitto non si spaventa dell’entità della pena». È necessario che ci sia la sanzione punitiva e mi sembra veramente che questo voler soppesare – aumentando e diminuendo – gli anni di reclusione significa svuotare di contenuto l’essenza giuridica degli articoli stessi.
PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io vado anche al di là di quel che ha detto l’onorevole Sansone, e colgo anzi l’occasione per esprimere la mia sorpresa per quanto ho sentito ripetutamente affermare, in occasione della discussione di questo progetto, dal rappresentante del Governo, che ci ha tenuto a ribadire – e l’ha fatto ripetutamente – che in sostanza con questa legge non si è voluto fare altro che sostituire alcune parole del Codice del 1930 con alcune altre.
Ora, il rilievo, che viene fatto immediatamente di opporre ad una osservazione di questo genere, è che questa sostituzione di parole forse era addirittura superflua, perché gli avvenimenti storici che si sono prodotti in Italia l’avevano già automaticamente compiuta. Ma, a questo punto, bisogna aggiungere – e questo rilievo riguarda esattamente l’articolo di cui ci stiamo occupando e contro il quale dichiaro che voterò senz’altro – che noi siamo di fronte ad uno dei capitoli più ignobili del Codice penale fascista, uno di quei capitoli del Codice penale fascista in cui si esercitò tutto lo studio del legislatore del tempo, non solo per applicare pene severissime, ma per dare ai giudici, che dovevano essere giudici di parte, il potere di condannare chiunque non fosse gradito al regime, sempre che fosse incorso in qualche fatto che, anche genericamente, si fosse potuto prestare agli intendimenti repressivi del regime stesso. (Commenti).
Rilevo che si doveva cogliere questa occasione per dare tutta un’altra impostazione giuridica, politica e democratica al capitolo di legge di cui dovevamo operare le modifiche.
L’articolo 283, consacra, a mio avviso, uno dei casi più tipici di norme giuridiche di una latitudine e di una equivocità di espressione tali, da consentire ad un giudice di parte la condanna di chicchessia, perché ho sempre sentito insegnare a scuola e durante la mia non breve pratica forense, che una norma giuridica deve avere come suo principale elemento, come sua sostanziale essenza, la precisione e la delimitazione. Deve riferirsi cioè ad un fatto che possa essere chiaramente oggettivato e contestato. Non deve essere elastica, e di una elasticità tale che ci si possa far entrare o ci si possa escludere tutto ciò che, a seconda dei diversi momenti e dei diversi venti che spirino, torni gradito e torni sgradito. Qui si dice: «chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato». Questa, non meno delle altre degli altri articoli in esame, è un’espressione di una genericità veramente sorprendente e costituisce un’offesa allo spirito e al senso giuridico di ogni buon italiano e di ogni buon democratico. Dichiaro quindi che voterò contro l’articolo 283 e contro l’intera legge, perché ritengo sia da respingere l’impostazione data dal Ministro alle modifiche legislative in oggetto e a questa discussione.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare strano che debba ripetere quel che ho detto fin dal primo momento; mi pare ancor più strano che lo debba ripetere in occasione di questo articolo, che tra tutti è proprio quello che più a ragione deve rimanere. Si tratta di difendere la Costituzione che stiamo facendo.
Si tratta di difendere l’ordinamento giuridico dello Stato. Ora, questo tipo di reato è sempre esistito in ogni legislazione penale, perché, se vogliamo difendere le persone, dobbiamo difendere la persona per eccellenza, che è lo Stato nella sua costituzione e nella sua formazione. Mi fa meraviglia sentir dire che questo reato non esiste più e che non deve esistere. Allora, dovremmo dire che chi attenta contro lo Stato non deve avere nessuna pena? Possiamo essere d’accordo in quello che diceva l’onorevole Sansone, di mantenere i limiti che aveva stabiliti il testo governativo, perché mi pare che pene da dodici a ventiquattro anni siano più che sufficienti per mantenersi in un giusto limite. Ma non posso ammettere il concetto che questo tipo di reato, che è mantenuto sempre nelle nostre legislazioni e nelle legislazioni di tutti gli Stati democratici, non debba essere mantenuto a difesa della democrazia, della Repubblica e della libertà generale.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. Quello che ha detto l’onorevole Perrone Capano desta anche la mia meraviglia, perché noi siamo qui riuniti per redigere la nuova Costituzione della Repubblica italiana, e mi sembra strano che proprio nel momento, in cui si redige questa Costituzione, si possa chiedere la soppressione di una norma, che costituisce la difesa della Costituzione che si sta formando. La norma riproduce, d’altra parte, esattamente la corrispondente norma del Codice penale Zanardelli, e dall’epoca in cui il Codice Zanardelli venne emanato fino ad oggi, nessuno ha mai scritto che si trattava di una norma vaga o generica, che meritava di essere soppressa.
Per quanto riguarda la pena, la Commissione rileva che secondo l’articolo 283 del Codice Rocco era fissata la pena dell’ergastolo. Il Governo ritenne tale pena esagerata e stabilì nel progetto una pena non inferiore ai 12 anni. La Commissione ha ritenuto di distaccarsi sia dal Codice Rocco sia dalla proposta del Governo, ed ha seguito una via di mezzo: non si è fermata all’ergastolo, non si è fermata ai 12 anni, ed ha proposto la pena della reclusione non inferiore ai 20 anni. Ma è evidente che la Commissione non ha nessuna ragione precisa per insistere sulla sua proposta. Provveda l’Assemblea nel suo illuminato giudizio.
MACRELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Avevo chiesto di parlare prima del Guardasigilli e prima del Relatore. Forse al Presidente è sfuggita la mia richiesta. Ad ogni modo esprimo ora il pensiero che avrei espresso allora, soprattutto dopo aver sentito da quel banco, e proprio dall’onorevole Perrone Capano, quello che voi avete sentito: noi non dovremmo porre nella legge nessun articolo a difesa della Costituzione.
PERRONE CAPANO. Non ho detto questo.
MACRELLI. Questo è il pensiero che ha espresso l’onorevole Perrone Capano, e ritengo per lo meno strana la sua proposta.
Noi abbiamo un diritto e un dovere: quello di difendere le istituzioni nuove, sorte dalla libera coscienza del popolo italiano; abbiamo il diritto e il dovere di difendere la Costituzione che noi, rappresentanti del popolo, abbiamo dato e stiamo dando alla Repubblica.
Ora, non dimentichiamo che si tratta di modificare il disposto dell’articolo 283 del famigerato Codice Rocco, che ha portato i suoi segni eversori, non soltanto nel campo del diritto costituzionale ma anche nel diritto pubblico e penale. Non dimentichiamo questo. È l’affermazione di una volontà di forza e di violenza morale e materiale che si è inclusa, non solo in questo articolo, ma in molti articoli del Codice penale.
E ricordo all’onorevole Perrone Capano, come ricordo anche agli altri colleghi, che l’articolo 283 riguardava non soltanto gli atti diretti a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, ma anche l’ordine di successione al trono coi mezzi non consentiti dalle ordinarie Costituzioni dello Stato; e si affermava questo principio: che qualunque atto, compiuto nei confronti della Costituzione, era punito con l’ergastolo. La Repubblica è generosa! Questo pensiero è stato detto in altri tempi, da altri uomini, e noi ripetiamo lo stesso concetto, ma intendiamo difendere la Costituzione. Ecco perché noi voteremo la proposta della Commissione. Noi non abbiamo la libidine delle pene e delle punizioni, però abbiamo – ripeto – un dovere e un diritto: quello di difenderci preventivamente contro tutti e contro tutto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Badini Confalonieri, inteso a sostituire le parole «è punito con la reclusione non inferiore ai venti anni», con le altre «è punito con l’ergastolo, e nei casi meno gravi, con la reclusione non inferiore ai dodici anni».
(Non è approvato).
Pongo in votazione l’articolo 283 nel testo del Governo:
«Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».
(È approvato).
Segue l’articolo 289. Si dia lettura del testo del Governo.
RICCIO, Segretario, legge:
«(Attentato contro gli organi costituzionali). – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
1°) al Presidente della Repubblica, al Governo della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei Ministri l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;
2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative l’esercizio delle loro funzioni.
«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».
PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione:
«(Attentato contro gli organi costituzionali). – E punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
1°) al Presidente della Repubblica o al Governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;
2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni.
«La pena è della reclusione da uno a cinque anni, se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».
A questo articolo gli onorevoli Camangi, Chiostergi, Magrini, Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Della Seta, Azzi, Facchinetti, Conti, Bellusci hanno proposto il seguente emendamento:
«Al numero due, dopo la parola «legislative» inserire le parole «nazionali e regionali».
L’onorevole Camangi ha facoltà di svolgere l’emendamento stesso.
CAMANGI. Rinunzio a svolgerlo, perché mi pare chiarissimo: si tratta di colmare una lacuna, poiché è nata anche l’Assemblea regionale che ha le sue attribuzioni e che merita di avere la stessa tutela delle altre Assemblee legislative.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Dichiaro di accettare la modifica della Commissione con la quale si toglie una figura particolare al Presidente del Consiglio. Siccome, effettivamente, la figura del Primo Ministro è quella di un primus inter pares, trovo giusto che si possa accettare la soppressione di un titolo particolare per il Capo del Governo.
Per quanto riguarda la modifica proposta dagli onorevoli Camangi ed altri, che vorrebbero aggiungere le parole «nazionali e regionali», io avrei qualche preoccupazione a questo riguardo.
Noi stiamo difendendo le istituzioni dello Stato; ancora non so se possiamo considerare le Assemblee regionali come una istituzione dello Stato. Noi ci manteniamo, in ogni modo, nella forma mantenendo la vecchia tradizione, la vecchia legge. Se domani nella riforma del Codice penale si vorrà estendere la tutela anche alle Assemblee regionali, esamineremo il problema; ma in questo momento dare alle Assemblee regionali le prerogative delle Assemblee legislative non so se possiamo farlo.
Quindi, sarei per il mantenimento del testo presentato dal Governo ed accettato dalla Commissione.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. Date le dichiarazioni del Ministro, penso che possa essere sottoposto a votazione il testo proposto dalla Commissione.
Il testo proposto dalla Commissione diversifica da quello presentato dal Governo in due punti: uno di sostanza e l’altro di forma.
La Commissione ha tolto al numero uno le parole «e al Presidente del Consiglio dei Ministri» ed ha aggiunto al numero due alle parole «all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative» queste altre «o ad una di queste», anche per euritmia legislativa, essendo dette parole anche nell’articolo 290.
Poiché, come ho detto, il Ministro ha accettato le modifiche apportate dalla Commissione al testo governativo, ritengo, ripeto, che si possa mettere in votazione il testo della Commissione. Circa, poi, il rilievo formulato dal collega onorevole Camangi, io mi permetto di osservare che indubbiamente gli attentati del genere di quelli previsti dall’articolo in esame all’attività dei Consigli regionali è opportuno che siano previsti da una disposizione di legge. Penso, tuttavia, che non sia il caso di occuparsene ora, perché noi adesso stiamo discutendo dell’articolo 289 del Codice penale, che prevede gli attentati agli organi costituzionali dello Stato, e tali le Assemblee regionali non possono essere considerate.
Vorrei, quindi, pregare l’onorevole Camangi di rinviare ad altra sede la sua proposta.
PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Sansone ha presentato un emendamento tendente a sopprimere il n. 1 dell’articolo 289. Ha facoltà di svolgerlo.
SANSONE. Onorevoli colleghi, è stato poc’anzi respinto l’emendamento soppressivo dell’onorevole Ruggiero: io mi permetto tuttavia di osservare che ora ci troviamo esattamente di fronte ad un duplicazione, in quanto noi, con l’articolo 277 che abbiamo approvato, abbiamo già previsto i casi dell’attentato alla libertà del Presidente della Repubblica.
Il dire quindi adesso che è punito con la reclusione non inferiore ai dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commetta un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, con quello che segue, mi sembra del tutto pleonastico, nel senso che noi, con questo testo, implicitamente alludiamo non ad altro che a quell’attentato alla libertà di cui all’articolo 287. (Commenti).
No, onorevoli colleghi: dovete scusarmi. Si intende che l’emendamento potrà anche essere respinto, insisto però su di esso perché sono convinto che questa discussione, sia pure breve, potrà darci un elemento interpretativo.
ANGELINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANGELINI. Mi permetto di dichiarare che a me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Ministro e dall’onorevole Relatore della Commissione a proposito dell’emendamento presentato dal collega onorevole Camangi non siano esatte. L’articolo 2 parla infatti di Assemblea Costituente e di Assemblee legislative, per l’esercizio delle loro funzioni. Ora, noi abbiamo approvato degli articoli della Costituzione i quali commettono il potere legislativo, per certe determinate materie, alle Assemblee regionali.
Quella stessa tutela quindi che noi dobbiamo stabilire nei confronti della Camera dei deputati e del Senato io ritengo debba essere anche di conseguenza estesa alle Assemblee regionali, in quanto esse hanno il potere legislativo.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro Guardasigilli a esprimere l’avviso del Governo sull’emendamento dell’onorevole Sansone.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Sansone di non insistere sul suo emendamento, giacché la situazione giuridica prevista in questo articolo è assolutamente diversa da quella contemplata negli altri. In quelli, infatti, noi abbiamo previsto gli attentati ad una libertà prima fisica, poi, nell’altro articolo, morale del Presidente; qui invece si prevede il Presidente non già come persona fisica, ma come organo costituzionale, si prevede cioè la Presidenza in se stessa.
Un impedimento dell’esercizio della funzione costituzionale propria del Presidente della Repubblica è un reato che si configura evidentemente a sé. Si tratta dunque di un articolo che, come dicevo, prevede la figura del Presidente in quanto organo costituzionale.
Ho inteso l’onorevole Angelini associarsi alla proposta dell’onorevole Camangi. Vorrei osservare che, siccome si tratta di un articolo di Codice penale, quindi di legge in cui diamo disposizioni punitive per reati contro gli organi costituzionali, non mi pare sia il caso di estendere il principio per dire se una Regione dev’essere compresa o no. Questo lo dirà il nuovo Codice penale, e la questione sarà dunque decisa in quella sede. Del resto non credo che non occupandosene ora si farà un gran torto alle Regioni.
Decideremo dunque in un altro momento se la Regione debba essere considerata come organo costituzionale per sé stante, ma per ora vorrei che ci mantenessimo nei limiti già stabiliti.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Sansone.
COLITTO, Relatore. All’onorevole Sansone, che è un sottile giurista, non posso non ricordare che l’articolo 279 considera il Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni e l’articolo 277 il Capo dello Stato fuori delle sue funzioni.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Per quanto riguarda la proposta di soppressione delle sanzioni penali a tutela della persona del Presidente del Consiglio, dichiaro, anche a nome degli amici del mio Gruppo, che noi, in coerenza di quanto abbiamo già sostenuto nella Commissione dei 75, riteniamo che debba essere espressamente menzionata nella norma in esame anche la figura del Presidente del Consiglio. Per quanto lo si voglia considerare come primus inter pares, egli sarebbe sempre un organo, e nell’assunzione delle responsabilità inerenti all’esercizio del suo potere si spiega la necessità della tutela penale.
Ma noi riteniamo che ci sia qualcosa di diverso e di più del primus inter pares, se è vero che proprio in questi giorni abbiamo approvato in sede costituzionale il concetto per cui il Presidente del Consiglio dirige la politica del Governo e ne assume la responsabilità.
Quindi mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla necessità che la decisione che stiamo per prendere in sede di legge speciale risulti armonica coi criteri sanciti in sede costituzionale.
Contemplata pertanto la figura giuridica e costituzionale del Presidente del Consiglio, quale tutore e titolare del potere di coordinamento, credo che in conseguenza noi siamo dinanzi ad un soggetto che debba essere suscettibile di tutela penale autonoma.
Per questi motivi chiediamo che sia messo ai voti anche il testo del Governo, per il quale noi voteremo.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei chiarire meglio la questione all’onorevole Dominedò. Il testo governativo parlava del Presidente della Repubblica, del Governo della Repubblica e del Presidente del Consiglio. La Commissione ha detto: siccome il Governo della Repubblica si personifica nella persona del Presidente del Consiglio principalmente, e poi negli altri membri del Governo, non vi è necessità di ripetere «Presidente del Consiglio» come se fosse una figura separata. Questa spiccata separazione aveva invece ragion d’essere nel testo precedente, perché allora si trattava del Capo del Governo duce del fascismo che rappresentava una figura indipendente dal Governo stesso.
Un attentato che si compia contro le attribuzioni del Governo comprende essenzialmente il Presidente del Consiglio. Quindi è inutile fare questa separazione e questa ripetizione, che non corrispondono più a quella separazione che c’era il passato.
Per questi motivi io prego l’Assemblea di accettare la proposta fatta dalla Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore insiste?
COLITTO, Relatore. La Commissione insiste sul suo testo.
PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò, che ha fatto suo il testo del Governo, lo mantiene?
DOMINEDÒ. Lo mantengo.
PRESIDENTE. L’onorevole Sansone mantiene il suo emendamento?
SANSONE. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 289 nel testo della Commissione.
Pongo in votazione le parole:
«Attentato contro gli organi costituzionali. – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
1°) al Presidente della Repubblica».
(Sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«o al Presidente del Consiglio dei Ministri», di cui al testo del Governo, fatto proprio dall’onorevole Dominedò.
(Dopo prova e controprova, non sono approvate).
Pongo in votazione le rimanenti parole dell’alinea.
«o al governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge».
(Sono approvate).
Pongo ai voti il secondo alinea del primo comma:
«all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni».
(È approvato).
Pongo ai voti l’emendamento Camangi, tendente ad inserire dopo le parole «Assemblee legislative» le altre: «nazionali e regionali».
(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvato).
COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO, Relatore. Data la votazione testé fatta dall’Assemblea, penso che debba essere correlativamente modificato il titolo dell’articolo. Nel titolo si parla di attentati contro gli organi costituzionali. Ora, se è esatto che le assemblee regionali non sono tali, è necessario che si aggiunga nel titolo: «e contro le Assemblee regionali».
PRESIDENTE. Votiamo ora l’ultimo comma; poi voteremo l’intitolazione dell’articolo.
Pongo in votazione l’ultimo comma:
«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».
(È approvato – L’articolo è così approvato).
L’onorevole Relatore propone che l’intitolazione dell’articolo sia modificata in questo senso: «Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali».
Pongo in votazione questa proposta.
(È approvata).
Passiamo all’articolo 290: se dia lettura nel testo del Governo.
RICCIO, Segretario, legge:
«Vilipendio delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’Ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».
PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente dizione:
«Vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica o le istituzioni costituzionali è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende l’Ordine giudiziario o le Forze armate dello Stato».
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mantengo il testo governativo; accetto solo che si aggiungano nel titolo le parole: «della Repubblica». L’articolo parlava della corona. La corona è un istituto singolo, mentre la Repubblica è l’insieme delle istituzioni. Non posso accettare però: «e delle istituzioni costituzionali» in genere. Bisogna precisare quali sono, per stabilire il reato. La forma del Governo era invece «l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’ordine giudiziario». Vorrei si mantenesse il testo del Governo.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore per esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. La Commissione parla nel testo da essa proposto di «istituzioni costituzionali». Nella relazione, però, si è chiarito che con le parole predette si era creduto di usare una formula sintetica al posto di una elencazione. Se vogliamo abbandonare la formula della Commissione e specificare le istituzioni tutelate, facciamo pure. La Commissione non si oppone. Nella dizione del testo governativo si parla di Assemblea Costituente, di Assemblee legislative e del Governo. Non credo che si debbano fare aggiunte.
PRESIDENTE. Allora aderisce al testo governativo?
COLITTO, Relatore. Aderisco.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Boldrini, Moscatelli, Longo, Barontini Ilio, Farina, Cavallotti, Barontini Anelito, Secchia, Lussu e Scotti Alessandro hanno proposto il seguente emendamento:
«Dopo le parole: le Forze armate dello Stato, aggiungere: e quelle della liberazione».
L’onorevole Boldrini ha facoltà di svolgere l’emendamento.
BOLDRINI. La ragione per cui abbiamo presentato questo emendamento è di carattere profondamente morale. Sono due anni che assistiamo alla campagna di calunnie e di svalorizzazione della resistenza italiana. Sono due anni che assistiamo alla campagna di improperi contro gli uomini della liberazione: campagna di diffamazione senza scrupoli, che è arrivata fino al paradosso di dire che la guerra della resistenza non è esistita; campagna di diffamazione che ha fatto del male ai nostro Paese all’interno, ma soprattutto ha fatto del male al nostro Paese all’estero. Molti di voi, che hanno avuto contatti con rappresentanti di altri Paesi, si saranno sentiti chiedere: «Ma come, voi in Italia avete fatto la guerra di liberazione? Ma quale guerra di liberazione, quando la vostra stampa la diffama?».
Ma chi diffama questa guerra di liberazione? È forse il popolo? No certamente. Se desiderate la dimostrazione pratica, guardate alla manifestazione dell’ultimo 25 aprile in cui diecine di migliaia di cittadini sono scesi sulle piazze d’Italia per ricordare l’insurrezione vittoriosa!
Chi offende allora la guerra di liberazione? Sono quegli uomini che oggi vorrebbero attentare alla Repubblica, alla democrazia.
Ebbene, voi state per approvare una legge per la difesa della Repubblica; ma prima di tutto dovete tutelare l’onore di coloro, che hanno riscattato il Paese ed hanno dato la possibilità di creare la Repubblica e di convocare l’Assemblea Costituente. (Applausi a sinistra).
Volete approvare una legge, che impedisca fra l’altro il vilipendio delle Forze armate? Ebbene, signori, le Forze armate non hanno forse ereditato lo spirito della resistenza? Non hanno esse stesse preso parte alla resistenza? Ricordate il contributo della marina e di alcuni gruppi dell’esercito: battaglia di porta San Paolo, battaglia di Piombino, di Lero, di Cefalonia; ricordate il contributo dato dall’aviazione! Molti degli ufficiali, che oggi sono nelle Forze armate, non hanno forse militato nelle forze della resistenza?
Ed allora noi saremmo di fronte a questa situazione: che, da una parte, vogliamo tutelare il patrimonio morale delle Forze armate e, dall’altra, permettiamo che una pagina di storia, che è storia delle Forze armate, venga vilipesa. I reduci di Cefalonia e di Lero hanno chiesto di essere partigiani ad honorem. È un titolo di onore per gli ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aviazione essere partigiani, tanto che essi portano il nastrino della guerra partigiana.
Signori, se da una parte volete difendere il patrimonio morale delle Forze armate, dovete difendere anche il patrimonio della guerra di liberazione, perché queste due cose sono inscindibili, sono unite l’una all’altra. Ma credo ci sia soprattutto una ragione altamente morale che deve far accettare l’emendamento proposto, e cioè deve essere una riparazione solenne che l’Assemblea Costituente deve fare, una riparazione solenne verso coloro che sono caduti, verso le famiglie dei nostri Caduti, le quali oggi, pur attendendo da mesi e mesi la pensione, vogliono soprattutto una parola di riconoscenza dal Paese. Deve essere una riparazione solenne verso tutti coloro che hanno dato il loro contributo di sangue e di sacrificio per il riscatto nazionale. Deve essere soprattutto una difesa del testamento morale della resistenza, scritto da uomini di tutte le correnti politiche, da Galimberti a Don Morosini, dal colonnello Montezemolo a Buozzi; da Curiel a Dante di Nanni, testamento morale scritto da centinaia e centinaia di donne con alla testa Irma Bandiera. Signori, è la difesa della pagina di storia del secondo Risorgimento italiano. Fate questo atto di riparazione solenne. Esso sarà un atto dignitoso dell’Assemblea Costituente italiana. Non dimenticate la seduta tempestosa del 18 marzo 1861, quando Garibaldi chiese che fosse rispettato l’onore delle Camicie Rosse; allora si votò contro; il Paese ne ha però fatto solenne ammenda; le nuove generazioni dal 1861 in poi si sono educate allo spirito della resistenza garibaldina. Fate che oggi non succeda quello che successe allora. Fate che il vostro voto sia voto di fiducia verso coloro che hanno combattuto, un voto di riparazione verso coloro che hanno dato il loro supremo sacrificio, un voto che ponga finalmente il suggello più solenne nella pagina della liberazione nazionale. (Vivissimi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere, in fine, il seguente comma: La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».
L’onorevole Ruggiero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
RUGGIERO. Osservo che forse è necessario configurare questo caso, perché era già configurato nell’articolo 123 del Codice penale del 1889 e perché configurato in tutti i Codici. Vi è di più: la tutela che si chiede per le istituzioni di carattere costituzionale è già sancita in tutti i Codici, anche per le istituzioni che non rivestono un carattere propriamente costituzionale. Per questo motivo chiedo che l’emendamento venga accolto ipotizzando questo un aggravamento del vilipendio, con necessari conseguenti aumenti di pena.
LA ROCCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. Signor Presidente, prendo la parola unicamente perché credo che sia più opportuno votare sul testo della Commissione. La ragione è questa: noi ci rendiamo perfettamente conto dello scopo di questo disegno di legge, che tende semplicemente ad adeguare la legislazione penale alla nuova situazione. Non entriamo nel merito, perché questo articolo costituisce, a nostro modo di vedere, una delle questioni più delicate dell’attuale disegno di legge in votazione e meriterebbe una discussione ampia e minuta. Ma il concetto fondamentale è questo: che non si è d’accordo sull’interpretazione del famoso «vilipendio», e poiché l’interpretazione può essere quanto mai elastica e non è possibile stabilire i confini tra ingiuria, oltraggio, offesa e vilipendio e non è neanche possibile stabilire quali sono gli oggetti di questa tutela, crediamo che non sia opportuno cristallizzarci in una elencazione categorica e tassativa. Lasciamo, pertanto, che l’oggetto della tutela sia l’essenza degli istituti, come è già stato del resto largamente riconosciuto da tutta la dottrina, italiana e straniera. (Commenti).
PRESIDENTE. Mi pare, onorevole La Rocca, che l’ordine del nostro lavoro con la sua proposta diventi complicato. La prego di rinunciare alla sua proposta, perché la votazione sull’articolo 290 sarà una votazione per commi e si potrà pacificamente risolvere il problema con le votazioni sui singoli punti.
LA ROCCA. E appunto questa la ragione per la quale crediamo che non sia il caso di specificare e indicare gli organi che incarnerebbero queste famose istituzioni costituzionali e che sarebbe meglio lasciare questo all’interpretazione della dottrina. (Commenti).
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho pregato la Commissione, la quale ha aderito, di tornare al testo governativo, perché è indispensabile, per stabilire l’esistenza di un reato, che si sappia se il reato esiste nei confronti di determinate istituzioni. Non solo, ma sorgerebbe un dubbio, se si adottasse la formula generica: «contro le dette istituzioni»; si potrebbe pensare che, perché il reato di vilipendio sorgesse, che esso fosse commesso contro tutte le istituzioni e non contro una soltanto, mentre noi quando specifichiamo e diciamo quali sono queste istituzioni verso cui il vilipendio costituisce un reato, mi pare che facciamo cosa lodevole, perché la tecnica legislativa deve essere precisa e perciò in tal modo, con una maggiore specificazione, facciamo sì che il congegno sia perfettamente chiuso.
Quindi ho pregato la Commissione, che ha aderito, di accettare il testo presentato dal Governo, inserendo anche la Repubblica come complesso delle istituzioni, perché quando si dice Repubblica si colpisce tutto il complesso delle istituzioni. Comprendiamola pure; ma quando diciamo istituzioni costituzionali dobbiamo dire quali sono quelle che, offese, costituiscono vilipendio, e dobbiamo dirlo anche specificatamente perché, secondo la formula, potrebbe sembrare che il vilipendio ad una sola di queste non costituisca reato.
LA ROCCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. Ricordo al Ministro di grazia e giustizia che la formula proposta dalla Commissione è la stessa formula del Codice Zanardelli, che era poi la formula tratta dal progetto del 1887, sebbene più ristretta. E nessuno, credo, potrà ritenere che la formula del progetto Zanardelli non fosse inspirata a criteri di democrazia o che non volesse tutelare determinate istituzioni.
PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?
COLITTO, Relatore. Fra l’opinione del Ministro e quella dell’onorevole La Rocca non vedo contrasto. Dicono tutti e due, a mio avviso, la stessa cosa. L’onorevole La Rocca ritiene che si debba usare una formula sintetica ed il Ministro pensa che si debba specificare. Ora, se l’onorevole La Rocca affermasse che, oltre gli organi costituzionali indicati dal Ministro, esistessero altri organi costituzionali meritevoli di tutela, io comprenderei il suo atteggiamento, ma quando egli questo non afferma, io credo che si possa usare la formula indicata dal Ministro,.
PRESIDENTE. Poiché il Ministro ed il Relatore sono d’accordo, penso che si debba votare sul testo governativo. Prego ora l’onorevole Ministro di volere esprimere il suo avviso sugli emendamenti Boldrini e Ruggiero.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.
Il mio parere è questo: non c’è dubbio che da parte dell’Assemblea e da parte del Governo vi debba essere la massima riverenza possibile verso le forze della liberazione, ma può darsi che la situazione giuridica non sia completamente a posto. I reati in parola sono messi sotto il titolo di reati contro la personalità dello Stato, ed io non so se le forze della liberazione possono considerarsi come organi della personalità dello Stato. Comunque, io mi rimetto all’Assemblea. Vi è poi un’osservazione di carattere tecnico; le forze della liberazione, per quanto siano state organizzate ed abbiano avuto la loro forma giuridica, non so se oggi rappresentano una forma giuridica del Governo e se ci sia qualche organo che le rappresenti giuridicamente. L’esercito, la marina e l’aeronautica hanno i loro rappresentanti e possono costituirsi in giudizio per chiedere l’azione penale. Non so se le forze della liberazione possono fare altrettanto.
Una voce al centro. C’è l’A.N.P.I.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi rimetto all’Assemblea. Le forze della liberazione devono avere una tutela, ma non so se tecnicamente o giuridicamente si possa inserire questa tutela in un articolo di questa legge.
Quanto all’emendamento dell’onorevole Ruggiero non so come si potrebbe fare un reato al cospetto della Repubblica! Mi pare che sia un po’ difficile precisare e mi sembra un po’ esagerato aggiungere quest’aggravante.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
COLITTO, Relatore. Circa l’emendamento dell’onorevole Ruggiero mi associo a ciò che ha detto l’onorevole Ministro. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Boldrini, io devo confessare che, essendo qui solo a rappresentare la Commissione, mi trovo in una specie di disagio spirituale. Posso esprimere il mio parere personale, ma non il parere della Commissione.
Il mio parere personale è questo. Se debbo interrogare il mio cuore, allora io sottoscrivo senz’altro quello che ha detto il collega Boldrini: ma, se debbo interrogare il mio criterio giuridico, debba dire di essere di diverso avviso. Perché? Perché l’articolo 290 del Codice penale, del quale ci stiamo occupando, prevede due categorie di istituzioni: quelle propriamente costituzionali, cioè non subordinate ad alcun organo speciale, e le altre, che non sono costituzionali, ma alle stesse parificate quanto alla tutela.
Ora istituzioni sono indubbiamente l’Ordine giudiziario e le Forze armate. Queste trovano la loro precisa identificazione giuridica nel Codice penale militare. Ma una identificazione giuridica, così come è possibile per le Forze armate, non credo che sia possibile (mi posso ingannare) per le Forze della liberazione.
Questo, ripeto, è, però, un mio pensiero personale. Prenda l’Assemblea la decisione che crede.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruggiero se mantiene il suo emendamento.
RUGGIERO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Boldrini se mantiene il suo emendamento.
BOLDRINI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione. Pongo anzitutto in votazione il titolo dell’articolo 290 nel testo del Governo:
«Vilipendio delle istituzioni costituzionali».
(È approvato).
Pongo in votazione le parole:
«Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente».
(Sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«o le Assemblee legislative o una di queste».
(Sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«ovvero il Governo».
(Dopo prova e controprova sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«o l’Ordine giudiziario».
(Sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
(Sono approvate).
COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO, Relatore. La Commissione ha ritenuto di parlare dell’ordine giudiziario nel capoverso dell’articolo, ritenendo che l’Ordine giudiziario non fosse una istituzione costituzionale.
La Commissione si è occupata dell’Ordine giudiziario e lo ha contemplato nel capoverso, parlandone insieme con le Forze armate, e pensa che la proposta possa essere approvata.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASS1, Ministro di grazia e giustizia. A differenza di quello che è il punto di vista della Commissione, io invece ho dichiarato di mantenere la forma stabilita e presentata già dal mio predecessore, in quanto è funzione della sovranità quella di dare un giudizio. Mi pare d’altra parte che sia impossibile venir meno a quello che è un deliberato già preso dall’Assemblea.
PRESIDENTE. E evidente che non si può mutar nulla di quanto è stato stabilito dall’Assemblea.
Pongo in votazione il secondo comma:
«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».
(È approvato).
Pongo in votazione l’emendamento Boldrini, tendente ad aggiungere, dopo le parole: «le Forze armate dello Stato» le altre: «e quelle della liberazione».
(Dopo prova e controprova, è approvato – Vivi, prolungati applausi a sinistra – Si grida: Viva i partigiani!).
Una voce a sinistra. Viva anche i partigiani della Democrazia cristiana! (Applausi a sinistra).
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Propongo che il titolo dell’articolo sia completato, con l’aggiunta delle parole:
«e delle Forze armate».
PRESIDENTE. Chiedo al Relatore di esprimere il proprio parere su questa proposta.
COLITTO, Relatore. Accetto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo dell’articolo 290, con l’emendamento Fabbri:
«Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate».
(È approvato).
Pongo, ora, in votazione l’emendamento dell’onorevole Ruggiero:
«Aggiungere il seguente comma:
«La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».
(Non è approvato).
L’articolo 290 è così approvato.
Segue l’articolo 298, per il quale la Commissione non ha proposto alcuna variante. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«(Offese contro i rappresentanti di Stati esteri). – Le disposizioni dei tre articoli precedenti si applicano anche se i fatti, ivi preveduti, sono commessi contro rappresentanti di Stati esteri, accreditati presso il Governo della Repubblica, in qualità di Capi di missione diplomatica, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni».
PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.
(È approvato).
Segue l’articolo 313. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«(Autorizzazione o richiesta a procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.
«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.
«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.
«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro di grazia e giustizia».
PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione: Le modifiche riguardano il titolo e il terzo comma:
«Art. 313. (Autorizzazione a procedere o richiesta di procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.
«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.
«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative o una di queste, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.
«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro della giustizia».
Chiedo al Governo di dichiarare se accetta il testo della Commissione.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 313 nel testo proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo.
(È approvato).
È così approvato l’articolo 2 del disegno di legge nel suo complesso.
Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«L’articolo 127 del Codice penale è sostituito dal seguente:
«Art. 127. (Richiesta di procedimento per offese al Presidente della Repubblica). – Salvo quanto è disposto nel titolo primo del libro secondo di questo Codice, qualora un delitto punibile a querela della persona offesa sia commesso in danno del Presidente della Repubblica, alla querela è sostituita la richiesta del Ministro della giustizia».
PRESIDENTE. La Commissione propone soltanto di modificare così il titolo dell’articolo 127 del Codice penale:
«Richiesta di procedimento per delitti contro il Presidente della Repubblica».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta il testo della Commissione?
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3 del disegno di. legge, con la modifica proposta dalla Commissione e accettata dal Governo.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».
PRESIDENTE. La Commissione ha proposto il seguente nuovo testo:
«L’articolo 280 del Codice penale, abrogato dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, è sostituito dal seguente:
«Art. 280. (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 sono parificati al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci e il Capo provvisorio dello Stato».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego la Commissione di non insistere, perché non ritengo che si possa dedicare un articolo del Codice al Capo provvisorio dello Stato, trattandosi appunto di una figura meramente transitoria.
Il Codice deve statuire norme di carattere permanente e non deve occuparsi di materia contingente; d’altro canto la formula proposta dalla Commissione è tecnicamente inesatta, in quanto vorrebbe sostituire un articolo (il 280 del Codice penale) già abrogato.
Forse la Commissione contempla il caso di colui che sostituisce il Presidente nei casi previsti dalla Costituzione. Ma allora si dovrebbero fare due articoli, il primo, l’attuale articolo 4 previsto dal progetto e l’altro – che potrebbe essere un articolo bis – del seguente tenore:
«Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».
Così distinguiamo le due formule: per il Capo provvisorio dello Stato manteniamo la formula transitoria del progetto e per il sostituto del Presidente la norma permanente – un articolo del Codice da collocare dopo l’articolo 290 – nel senso che ho detto.
PRESIDENTE. La Commissione accetta?
COLITTO, Relatore. La Commissione mantiene il suo testo; non si oppone, tuttavia, a che, per il Capo provvisorio dello Stato, si faccia un articolo a parte.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.
Le ipotesi che fa la Commissione sono due: una riguarda il Capo provvisorio dello Stato, e non può non essere una disposizione transitoria, e l’altra che parifica al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci, e questa deve essere una norma permanente. Il Governo propone di mantenere l’articolo 4 nel testo ministeriale, in quanto riguarda una norma transitoria, e per la parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci propone un articolo 290-bis del Codice penale.
COLITTO, Relatore. Accetto.
PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il Governo propone, e la Commissione accetta, di votare l’articolo 4 nel testo ministeriale e di aggiungere un articolo 290-bis, da includere evidentemente nell’articolo 2 del progetto, dopo l’articolo 290 del Codice, del seguente tenore:
«Articolo 290-bis (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».
Questi due articoli saranno votati con riserva di coordinamento.
Pongo in votazione l’articolo 4 nel testo ministeriale, del seguente tenore:
«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».
(È approvato).
Pongo in votazione l’articolo 290-bis del Codice, testé letto.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».
COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO, Relatore. Nella seduta del 16 marzo 1947 si disse che la presente legge è una legge costituzionale. Allora la formula dell’articolo 5 dovrebbe essere quella delle altre leggi costituzionali.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. In realtà nel resoconto, al quale si richiama l’onorevole Colitto, si legge la comunicazione che il Governo ha presentato direttamente all’Assemblea, a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, tre disegni di leggi di carattere costituzionale. Il disegno di legge, che si sta approvando; è uno di essi. Ma nel testo presentato dal Governo il disegno in questione non è qualificato come disegno di legge costituzionale, come, invece, è dichiarata legge costituzionale quella concernente la soppressione del Senato. Comunque, a prescindere da inesattezze formali, è evidente che quella che abbiamo oggi discussa è una legge che si limita a portare alcune modificazioni al Codice penale. Essa riguarda una materia che non è costituzionale e perciò non deve avere la forma di una legge costituzionale. La formula dell’ultimo articolo, pertanto, deve essere quella usuale delle leggi ordinarie.
PRESIDENTE. Onorevole Colitto, insiste?
COLITTO. Non insisto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 5, testé letto, nel testo ministeriale.
(È approvato).
Passiamo al titolo della legge. Se ne dia lettura.
RICCIO, Segretario, legge:
«Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane».
PRESIDENTE. La Commissione propone di sostituirlo col seguente:
«Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato».
Chiedo al Governo di esprimere il proprio parere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo accetta.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo della legge nella formulazione proposta dalla Commissione ed accettata dal Governo.
(È approvato).
È così esaurito l’esame di questo disegno di legge. Chiedo all’Assemblea l’autorizzazione di procedere al coordinamento del disegno di legge.
(Così rimane stabilito).
Se l’Assemblea consente, questo e gli altri disegni di legge esaminati oggi, saranno votati a scrutinio segreto nella seduta antimeridiana di domani.
(Così rimane stabilito).
Comunico che domani vi saranno due sedute, alle 10.30 e alle 16.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che sono state presentate alla Presidenza le seguenti interrogazioni, con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario revocare alla Società Garigliano e suoi successori la concessione della costruzione del bacino idroelettrico del Taloro (Nuoro), già iniziata e poi abbandonata, costruzione di importanza vitale per l’avvenire industriale dell’Isola. oltreché agricolo per la provincia di Nuoro e avente altresì – quale bacino a monte di quello del Tirso – la funzione importantissima di regolare le piene e impedire gli straripamenti che nella presente stagione provocano l’allagamento di diecine di migliaia di ettari del più fertile terreno isolano, distruggendo le semine o rendendo impossibili altri lavori agricoli autunnali.
«Murgia».
«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, di fronte ad una modifica dell’ordinamento degli studi dell’Università di Trieste da parte del Governo del territorio libero, corrisponda a verità quanto si afferma circa l’intenzione del Governo italiano di non riconoscere più pieno valore alle lauree rilasciate dall’Ateneo triestino.
«Bettiol, Ermini, Colombo Emilio, Caronia, Colonnetti, Lazzati».
«Al Ministro delle finanze, per conoscere se, in considerazione dell’attuale situazione del mercato dei titoli, non ravvisi l’opportunità di rivedere la tabella dei valori medi dei titoli quotati in borsa da tenersi in calcolo ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, determinati a norma dell’articolo 18 della legge 1° settembre 1947, n. 828.
«Marinaro».
«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali ragioni impediscono l’inizio dei lavori per la sistemazione delle fognature nel comune di Larino in provincia di Campobasso.
«Detti lavori furono compresi nel programma di opere in favore del Molise sin dall’ottobre 1946, per un importo di 10 milioni.
«Successivamente l’ingegnere capo del Genio civile in Campobasso dette formale assicurazione al sindaco di Larino che la detta somma era stata stanziata.
«Conseguentemente, a spese e cura del Comune interessato, fu redatto il progetto, trasmesso con sollecitudine al competente ufficio del Genio civile.
«Ma d’improvviso – per ragioni che si ignorano – i fondi sono stati stornati. A beneficio di chi?
«In data 12 agosto 1947, in occasione della visita del Ministro Tupini a Larino, fu data formale assicurazione dal provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise che i fondi erano invece tuttora a disposizione, motivo per cui era possibile eseguire i lavori. Fu richiesto, a tale scopo, il progetto che era stato già trasmesso sin dal 18 giugno 1947.
«Si apprende ora dagli uffici periferici che i lavori non sono compresi fra quelli da eseguirsi nel corrente esercizio, contrariamente alle assicurazioni date, anche di recente, dal Ministro.
«Tali stridenti contradizioni, oltre che inconcepibili, non giovano di certo a tranquillizzare la popolazione interessata che vede, con vivo rammarico, ancora una volta differita la soluzione di un vitale problema cittadino.
«Camposarcuno».
«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia.
«Nobile».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del tesoro e delle finanze, per sapere se non credano opportuno dare le disposizioni e adottare i provvedimenti necessari – di immediata esecuzione – perché siano esaurite nel più breve termine le pratiche per le pensioni di guerra e degli infortunati civili.
«Macrelli».
Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere – in riferimento a una precedente interrogazione con richiesta di risposta scritta non apparsa esauriente all’interrogante – quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (ENEL) e poscia, con decreto del famigerato gerarca Ricci, liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nei ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole, attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.
«Vinciguerra».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intende prendere in favore degli agenti di custodia, i quali, benché il loro Corpo sia stato inquadrato con decreto legislativo n. 508 del 21 agosto 1945 fra i Corpi di polizia dello Stato e giuridicamente ed economicamente equiparato ad essi, ricevono un trattamento inferiore a quello degli agenti e militi degli altri Corpi. E se non ritiene che tale situazione svantaggiosa possa essere d’impedimento al normale svolgimento delle funzioni degli agenti di custodia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Laconi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere:
1°) se sia a sua conoscenza che i proprietari terrieri sardi chiedono a mezzo procedimento giudiziario, ed ottengono, come già diversi casi hanno dimostrato, la dismissione dei terreni degli affittuari e dei soci delle cooperative che applicano il decreto sulla diminuzione dei canoni di affitto in misura del 30 per cento, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto 1947, perché tale decreto non è stato ancora inserito nella Gazzetta Ufficiale;
2°) se gli sia pervenuta la notizia del vivo allarme che esiste fra i contadini i quali, impossibilitati anche per lo scarso raccolto dell’annata, a versare interamente il canone di affitto, intendono opporsi alle sentenze dei Tribunali;
3°) e se ritenga intervenire con provvedimenti di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Laconi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le cause che ritardano enormemente i pagamenti per gli indennizzi e le requisizioni di guerra; e particolarmente per sapere i motivi per cui il competente ufficio di via Lucullo, 14, di Roma, non ha mai risposto alla domanda presentata dal signor Primo Bruno Volpi, delegato della ditta Lombardo Patricelli & C. di Pescara, intesa a ottenere il pagamento per 185 mila mattoni requisiti dal comando militare inglese già residente a Vasto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Canevari».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno modificare lo statuto del Circolo ufficiali delle Forze armate d’Italia (Ente di diritto pubblico), e di ispirare il nuovo statuto alle esigenze democratiche e repubblicane dello Stato. E se non ritenga pertanto necessario, abrogato il decreto luogotenenziale 2 novembre 1945, n. 900, stabilire una nuova organizzazione interna che, inspirandosi al principio della perfetta uguaglianza, anche dal punto di vista formale, di tutti i soci, come tali, consenta la partecipazione degli elementi idonei, indipendentemente dal grado che rivestono alle cariche sociali e alla vita del Circolo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Lussu, Cevolotto, Azzi, Gasparotto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dell’interno, della marina mercantile e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano necessario far revocare al più presto ogni autorizzazione concessa ai Comuni di istituire un diritto, nel limite massimo del 5 per cento del valore, sui prodotti della pesca e della molluschicoltura (a sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177).
«Ciò per il carattere aleatorio e stagionale della pesca e molluschicoltura; per gli oneri cui è già sottoposta la produzione ittica; per la concorrenza di prodotti ittici di importazione; per le limitazioni nell’esercizio di pescare; oltre che per infinite ragioni economiche e sociali che consigliano di non gravare più oltre il povero pescatore.(L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bastianetto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sulle ragioni per le quali finora non è stato emanato il regolamento per l’applicazione del decreto legislativo 13 settembre, n. 253, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie, rilevando che la mancanza del regolamento impedisce l’elezione degli organi direttivi degli ordini stessi, secondo gli articoli 22 e 24 del citato decreto, e lascia in carica a tempo indeterminato le Commissioni straordinarie nominate dai prefetti e dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«De Michele».
«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, contrariamente al voto già espresso dal Consiglio superiore, intenda riaprire le iscrizioni alle Facoltà universitarie di scienze politiche.
«Marchesi».
PRESIDENTE. La prima interrogazione sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure la interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 21.20.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10.30 e alle 16:
- – Discussione del disegno di legge:
Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).
- – Votazione a scrutinio segreto di cinque disegni di legge.
- – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.