Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Orlando Vittorio Emanuele

Nitti

Carpano Maglioli

Clerici

Corbino

Costantini

Bozzi

Tosato

Benvenuti

Nobile

Codacci Pisanelli

Colitto

Perassi

Mastino Pietro

Preti

Caronia

Laconi

Fabbri

Dominedò

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Bozzi

Presidente

Sull’ordine del giorno:

Caronia

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caroleo e Lazzati.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri sono stati svolti gli emendamenti presentati all’articolo 84 ed hanno anche preso la parola alcuni colleghi per esporre particolari considerazioni sugli emendamenti stessi.

Spetta adesso alla Commissione di esprimere il suo avviso. Ha pertanto facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero, prima di parlare dell’articolo 84, fare un breve cenno sulle osservazioni che la voce autorevolissima di Orlando ha fatto al nostro progetto di Costituzione. Vorrei dirgli una semplice e rispettosa parola di risposta.

Orlando ieri ha mostrato la sua meravigliosa freschezza di mente, quando ha contrapposto ad una tesi di prerogative, che sapevano un po’ di Medio Evo, il concetto della responsabilità ministeriale e della irresponsabilità del Capo dello Stato, che è un canone acquisito alla forma di Stato parlamentare, di cui egli è stato insuperato teorico e maestro. Questo concetto rimane anche nella nuova fase di Stato più democratico che ora viviamo e che la Commissione ha cercato di assumere a base del suo progetto.

Ma Orlando ha preso occasione per alcuni rilievi appunto sull’indirizzo da noi seguito nella parte finora approvata della Costituzione. Si è più specialmente lagnato perché noi avremmo tolto al Presidente della Repubblica un contenuto di funzioni essenziali, così da renderlo più fantoccio del re, che era già fantoccio.

Potrei far presente l’insieme, non esito a chiamarlo imponente, delle attribuzioni che abbiamo dato con l’articolo 83 al Capo dello Stato: per le leggi e decreti, per la nomina dei funzionari, per i rapporti internazionali, per le forze armate e la guerra, per la grazia ed il condono; mentre in altri articoli gli abbiamo attribuito di nominare e revocare i Ministri e di sciogliere le Camere. La figura del Presidente della Repubblica risulta (anche per la espressione raccolta e densa della nostra formulazione) abbastanza forte e spiccata. Noi non possiamo ricorrere alle aureole vaghe ed in gran parte vane che circondavano la figura del re (e del resto, onorevole Orlando, non ha ella detto che il re era già un fantoccio?). Fantoccio o no, non possiamo rievocare quello spettro: «il re è morto»; e non possiamo, nel vecchio gergo, ripetere «viva il re!».

Come ho detto in altri interventi, lo Stato parlamentare, nella fase storica che Orlando vive ancora, aveva due piloni: uno era il re, che aveva sempre della «grazia di Dio», e l’altro era il Parlamento, la «volontà del popolo»; tra i due piloni si lanciava l’arco di ponte del Gabinetto. Ora il pilone del re è definitivamente ed irremissibilmente caduto; e dobbiamo certamente sostituirlo, perché è necessario un Capo dello Stato; che deve fra l’altro reggere uno dei lati dell’arco di ponte. Ma è impossibile, ed Orlando si illude se crede che possa essere ricostituito come prima; un re nei panni del Presidente della Repubblica; il pilone risorge in altra forma, nell’edificio che si ricompone ormai anche sotto altri aspetti in forme rinnovate; e possiamo ancora chiamarlo Stato parlamentare; ma non è più precisamente il tipo storico caro all’onorevole. Orlando. È qualcosa di diverso, perché tutte le sue fondamenta sono ormai nella sovranità popolare; anche il pilone del Capo dello Stato; e si noti che la sovranità popolare non si esprime neppur più nella sola costituzione del Parlamento; ha altre emanazioni, ad esempio il referendum. Né del resto noi facciamo questione di nomenclatura e di etichetta; sarà sempre lo Stato parlamentare; ma questa è una formula che ha varie realizzazioni storiche; e noi teniamo d’altra parte a calcare che, caduto il potere del re, non vogliamo che il Parlamento diventi tutto; perché sarebbe andar incontro alla concezione estremista e rivoluzionaria che vuol fare del Parlamento il vero e solo sovrano, il quale, dopo la investitura, una volta tanto dal popolo, è l’unico padrone; e tutti gli altri organi dello Stato sarebbero suoi commessi, dal Presidente della Repubblica alla Magistratura. No; l’etichetta dello Stato parlamentare si presta proprio alla concezione ultraparlamentare, e piuttosto di Convenzione e di Assemblea, che si vorrebbe ora far strada. Noi cerchiamo di reagire all’assalto, ricorrendo più largamente alla sovranità popolare in altre sue manifestazioni, ed al sistema di equilibri e di contrappesi che non deve sparire, ma rivive in forme nuove, fra i poteri che attingono alla fonte del popolo, esso sì sovrano.

Mi perdoni l’onorevole Orlando se, senza fare teorie che sarei nei suoi confronti incapace di fare, ho esposto le idee base da cui siamo partiti. Vengo ora alle sue specifiche osservazioni. Egli si è lagnato perché abbiamo «tolto» (la parola «tolto» rivela che egli ha sempre davanti agli occhi la figura del re) la facoltà di iniziativa legislativa, che è in sostanza il decreto con cui il re autorizzava il Governo a presentare disegni di leggo alle Camere. Intervento formale, per la responsabilità non sua, ma del Governo; ad ogni modo intervento che si addice al Capo dello Stato. Ebbene; posso assicurare l’onorevole Orlando che noi abbiamo sempre pensato che eguale intervento dovesse esercitare il nostro Presidente della Repubblica.

Non l’abbiamo detto, perché lo ritenevamo implicito in tutto il sistema, pel quale gli atti più importanti del potere esecutivo si svolgono formalmente con atti del Presidente della Repubblica. Nulla vieta di aggiungere all’elenco delle attribuzioni dell’articolo 83 che il Presidente della Repubblica «autorizza con suo decreto la presentazione alle Camere dei disegni di legge del Governo». Non è necessario, ma dirlo non contrasta affatto, anzi interpreta il nostro pensiero.

Che noi volessimo attribuire al Capo dello Stato funzioni di questo genere, risulta dal fatto che, sempre nell’articolo 83, gli abbiamo attribuito la facoltà di promulgare le leggi, di emanare decreti aventi forza di legge e regolamenti. L’onorevole Orlando può notare che per questi ultimi atti abbiamo parlato di «emanare», il che egli troverà giuridicamente corretto. Abbiamo bensì riconosciuto al Capo dello Stato la facoltà di promulgare, non già di sanzionare le leggi. L’onorevole Orlando lamenta che abbiamo lasciato cadere questo fulmine della sanzione che è sempre rimasto spuntato nelle mani del re. L’istituto delle sanzione è rimasto sempre sulla carta; non fu usato mai in quasi un secolo di Regno: salvo in un caso, che lo stesso Orlando ci ha insegnato; un solo caso d’un minuscolo trattato di commercio con un minuscolo Stato; che le Camere avevano approvato; ma poi il Governo si accorse che era un errore; e pregò il re di… non sanzionare. Tutto qui. Della sanzione non se ne fece mai nulla; tanto che i giuspubblicisti parlavano di «desuetudine».

Noi non potevamo lasciare al Presidente della Repubblica un potere di sanzione, che lo avrebbe, almeno in via di principio, fatto partecipe della funzione legislativa. Ma gli abbiamo – ed è stato perfettamente possibile con la sola figura della promulgazione – conferito la facoltà di un veto sospensivo, nel senso di chiedere un riesame della legge alle Camere. È qualcosa di più sostanzioso ed effettivo della sanzione; e si addice al compito del Capo dello Stato come regolatore fra i poteri dello Stato; non occorre risuscitare, per il gusto di una affermazione in sostanza teorica, perché rimasta sempre lettera morta, la facoltà regia della sanzione.

Noi non abbiamo nessuna simpatia per certe vecchie frasi che suonano, solenni ma vuote – e nella loro portata antidemocratiche – nelle Costituzioni degli Stati parlamentari nella fase storica dei due piloni, e del re.

Veda, onorevole Orlando, vi sono tre disposizioni dello Statuto albertino che la Commissione, e credo tutta l’Assemblea, non può accogliere; tre reliquati. L’articolo 3: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere»; l’articolo 5: «Al re solo appartiene il potere esecutivo»; l’articolo 68: «La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce». È, sistematicamente, la preminenza del re nei tre poteri fondamentali. Ma sono disposizioni pompose e di fastigio; che lo stesso svolgimento dello Stato parlamentare aveva già svuotato, nella stessa età dei re.

Ho già detto della prima disposizione, a cui tengono tanto i nostalgici – anche se non della realtà – della concezione monarchica. Il re partecipe del potere legislativo; il re «terza Camera», terzo ramo del Parlamento. La frase viene dalla vecchia Inghilterra; ma ormai è superata e vuota; lo riconoscono gli stessi costituzionalisti inglesi dei nostri giorni; ormai la «terza Camera» è come la parrucca che i giudici inglesi tengono in capo nell’esecuzione delle loro funzioni. Noi non l’abbiamo conservata. In uno Stato democratico, come quello che noi pensiamo e viviamo, il Presidente della Repubblica non può far parte del potere legislativo, alla pari del Parlamento; può bensì, come Capo dello Stato, regolatore dei poteri, promulgare e chiedere con un veto il riesame; come può sciogliere le Camere; senza che si debba invocare la defunta teoria della terza Camera!

Quanto alla seconda disposizione, che fa del potere esecutivo un appannaggio del re, è un’altra impostazione eccessiva. Si sentirebbe l’onorevole Orlando di metterla nella nostra Costituzione pel Presidente della Repubblica? Lo svolgimento storico del sistema parlamentare è stato, anche nella fase dei re, nel senso di attribuire la realtà del potere esecutivo al Gabinetto. Vero è che gli atti più importanti di governo han luogo, formalmente, attraverso interventi e decreti del Capo dello Stato; e ciò noi l’abbiamo conservato, come è giusto, per lo stesso concetto e per la posizione del Capo dello Stato; ma abbiamo preferito – ed anche questo ci sembra un progresso – indicare punti concreti d’intervento, come all’articolo 83, piuttosto che rievocare la insussistente ed antidemocratica impostazione del passato.

Non nascondo che ci siamo preoccupati di distinguere il Capo dello Stato dal Governo. In certo senso, è vero, Governo in senso lato potrebbe riferirsi anche al Capo dello Stato, in quanto gli atti di governo si estrinsecano per suo mezzo. E, senza dubbio, il Presidente della Repubblica ha soprattutto rapporto col potere esecutivo; ma non ne è il detentore come nello Statuto albertino, né il capo. Per noi il Capo dello Stato non è capo del Governo; resti ben fermo che non abbiamo accettato la forma di repubblica presidenziale, di tipo americano, in cui il Capo dello Stato è anche Capo del Governo. È un regime che ha fatto magnifica prova al Nord, pessima al Sud d’America; e non si è mai trapiantato in Europa, dove si è invece realizzato per forze storiche, nel solco dell’esempio e della «scoperta» inglese, il tipo di Governo parlamentare o di Gabinetto, che nessuno scrittore, neppure

straniero, ha studiato più genialmente dell’onorevole Orlando. Noi a questo tipo europeo vogliamo esser fedeli; – beninteso con gli ulteriori sviluppi cui ho accennato – il Capo dello Stato non è capo del Governo, anche se, nella sua qualità di supremo regolatore, ha esplicazioni di rapporti più continuativi con l’esercizio delle facoltà di governo; rapporti che – in ciò è l’inverso del sistema americano – avvengono con la irresponsabilità del Capo dello Stato e con la responsabilità dei membri del Governo, per gli atti che il Presidente della Repubblica compie come Capo dello Stato. Teniamo fermo questo caposaldo, perché ci sembra necessario; né vogliamo avventurarci in forme completamente nuove e distaccate dalle preesistenti; sentiamo di dover andare più in là; ma senza salti nel buio; dove sono i salti nel buio, onorevole Orlando? È stato lei, non lo dimentichiamo mai, che ha pronunciato qui nell’Aula la frase bellissima; che noi viviamo in un momento, in cui il vecchio muore, ed il nuovo non è nato. Non possiamo conservare ciò che muore; manteniamo gli istituti e le forme che ci sembrano indispensabili per cercar, intanto, le vie del nuovo.

Infine, per l’ultimo degli inammissibili reliquati albertini, che fa anche del potere giudiziario un appannaggio del re, non dirò neppure poche parole; la giustizia, nello Stato democratico, non può che emanare dal popolo, ed essere esercitata in suo nome, con tutte le necessarie garanzie per l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati. Il Capo dello Stato non ha lui il potere giudiziario, anche se pur qui interviene come altissimo regolatore; e noi nel nostro progetto lo abbiamo messo, fra l’altro, alla Presidenza del Consiglio supremo della magistratura.

Mi pare di avere così chiarito il pensiero che anima il nostro progetto, e che è diverso in più punti dal pensiero dell’onorevole Orlando. Il nostro progetto non si mette per nulla sulla china, che condurrebbe allo Stato ultraparlamentare, ed in realtà totalitario, degli estremisti di sinistra. Abbiamo ascoltato qui le affermazioni su tali direttive degli onorevoli Togliatti e Nenni; che però ne han fatto una meta d’avvenire; ed intanto nella Commissione hanno, essi o i loro seguaci, accolto le linee fondamentali della Commissione. Il progetto è ben lontano dalla concezione degli onorevoli Togliatti e Nenni; ma lo è anche da quella troppo conservatrice degli onorevoli Orlando e Nitti; lo ripeto ancora una volta. Questi due altissimi parlamentari, che sono anche altissimi pensatori, pensano alla Costituzione in forme ormai superate; e vedono l’edificio ancora come se il pilone del re non fosse caduto. Non vogliono il ritorno dei Savoia e della monarchia, ma la loro è una concezione ancora monarchica, che non si addice alla democrazia repubblicana, che noi cerchiamo di fondare.

Non le dispiaccia, onorevole Orlando, se ho osato rispondere ad un maestro come lei. Io credo che soprattutto, nel cercare oggi di spingersi avanti nelle vie democratiche del costituzionalismo, si imita il suo esempio, quando in altri momenti ed in altri tempi, ella segnò passi avanti, che l’Italia vuole oggi superare. (Applausi).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare perché c’è stato un fatto personale, scientifico e giuridico, da parte dell’onorevole Ruini, il quale ha creduto dunque di rispondere alle considerazioni da me fatte qui, le quali muovevano da questa constatazione: un dissenso profondo. L’onorevole Ruini ha confermato il dissenso, sicché io non posso che dargli atto di una cosa di cui ero d’altronde convinto. Quindi, anche per questa ragione non mi soffermerò sui particolari, perché, se mi vi soffermassi, sarebbe come rifare la discussione generale e non credo che sia il momento, né che ce ne sia l’opportunità.

Ma qualche osservazione particolare potrò fare, specialmente quando l’onorevole Ruini mi considera come un minore democratico, come un democratico più attenuato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ora, lascio stare che lo spunto del mio discorso di ieri fu dato da una preoccupazione nettamente opposta.

Qui c’è la teoria dei piloni. L’amico Ruini dice che nel sistema passato c’è il pilone re e il pilone Camere.

Io avrei molte cose da dire, perché il concetto dell’istituto parlamentare è non di distinguere e di contrapporre i piloni, ma di unificarli nel Capo dello Stato. Il che è vero, e dev’essere vero per tutte le forme di Governo. In primo luogo.

In secondo luogo, anche ammettendo l’analogia col ponte e col pilone, io dico: l’antico pilone fu demolito come species re, ma ciò non significa che fu demolito come genus, cioè come Capo dello Stato. Il pilone fu abolito come re, ma non come Capo dello Stato.

E allora, se io persisto nel considerare i rapporti fra quei due organi sovrani, non mi sembra che ciò l’autorizzi a dire che sono meno democratico.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non l’ho detto mai!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Oppure, che si sopravaluti codesta vostra democrazia sotto forma di una diminuzione dei poteri del Capo dello Stato?

Io dico che non sono meno repubblicano in confronto a voi, se voglio un Capo dello Stato repubblicano con più larga competenza e quindi maggiore autorità del Capo dello Stato monarchico! Il mio punto di vista si pone contro il vostro: posso avere ragione io come potete avere ragione voi, non ho mai aspirato all’infallibilità. Ma il vostro giudizio, come qualificazione politica della mia tendenza, non corrisponde al sentimento mio, né, obiettivamente, alla mia maniera di considerare l’argomento.

Voi, mio caro amico, avete citato alcune disposizioni dello Statuto Albertino, ma sono quelle ormai sorpassate dalla consuetudine. Esse non esistevano più!

Voi avete detto: non vogliamo la dichiarazione di principio contenuta in quello Statuto che solo al re appartiene il potere esecutivo. E apparteneva forse solo ad esso? Neanche per sogno! Io non ho censurato o riprovato per non avere riprodotta quella dichiarazione senza effettivo contenuto, ma ho detto: avete esautorato il Presidente della Repubblica per ciò che riguarda competenza ed attribuzioni nell’ordine del potere esecutivo. E ve ne darò subito la prova. Intanto, per ciò che riguarda l’iniziativa che io lamentavo essere stata tolta al Presidente. Voi replicate di averla attribuita al Governo ed aggiungete che non sarebbe incompatibile una tale attribuzione con quell’altra: di potere aggiungere persino in sede di coordinamento (tanto vi pare ovvia la conseguenza!) che la presentazione del disegno di legge proceda per mezzo di un decreto del Presidente della Repubblica.

Va bene, ma con ciò voi avete dato al Presidente della Repubblica la qualità di Capo del Governo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. No? Vedete dove spunta subito la difficoltà, onde io dicevo oggi che parliamo due lingue diverse! Ed è difficoltà di sostanza, ma non perché noi muoviamo da punti di vista diversi si può essere autorizzati a trovare me in contradizione. Io sono coerente ai miei principî, quando trovo che è questo uno dei difetti maggiori del vostro sistema, di cui si dovrebbe riparlare in sede di articolo 86, perché non si capisce come questo Governo si colleghi col Presidente della Repubblica, se ne dipenda o sia autonomo. Voi mi dite che l’iniziativa da voi attribuita al Governo può essere esercitata con decreto del Presidente, ma poi negate che il Presidente sia Capo del Governo.

Vi è sfuggito or ora quello che io vorrei considerare come un lapsus linguae, e non credo che ci persisterete, dicendo in via di contrapposizione che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri è il Capo del Governo. Ma Capo del Governo si qualificava Mussolini! E l’espressione Capo del Governo la inventò Mussolini!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vogliamo la Repubblica presidenziale.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma la Repubblica presidenziale è tutt’altra cosa! Certo è, comunque, che voi avete dato al Presidente del Consiglio una qualità di Capo di Governo che era stata fatta propria precisamente dal dittatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma in Inghilterra è la stessa cosa.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma non vedete come tutte queste proposizioni non legano fra di loro? Avete rotto proprio quell’unità, fra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, che è la caratteristica di quella forma parlamentare, creata proprio in Inghilterra. Insomma bisogna che si sappia quali siano i rapporti fra i Ministri e il Capo dello Stato. Il vostro progetto non lo dice: inconcepibile lacuna. La potrete correggere e farete bene; ma sinora non si dice, non si precisa il rapporto giuridico che lega il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri col Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne riparleremo.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. E vi pare lacuna di poco? Non si sa bene: i Ministri rispondono verso chi? Voi dite: rispondono verso il Parlamento, ma questo è un secondo momento. Rispondono essi verso il Capo dello Stato? E se non è così, quale sarà il nesso che lega questi due organi?

Ho parlato troppo, onorevole Presidente, e chiedo scusa. Ad ogni modo qui è una questione fondamentale in cui noi divergiamo.

Evidentemente voi non fate il sistema parlamentare. Fate un’altra cosa. È un salto nel buio, ma l’Italia ha buone gambe e nessuno più di me augura che cascherà con molta eleganza e potrà ritrovarsi felicemente in piedi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo 84:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera dei deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Quale è il sistema bicamerale riguardo allo scioglimento della Camera Alta, sia in regime repubblicano, sia in regime monarchico? Sia che il Senato sia di nomina governativa, cioè emanazione del re, sia che sia elettivo, non si scioglie mai. Questa è una regola costante, a cominciare dall’Inghilterra dove pure la Camera dei Pari ha una diversa funzione e una diversa formazione. La Camera dei Pari non si scioglie mai, resta sempre immobile, anche quando avvengono cambiamenti nella Camera dei Comuni. Nella Camera dei Comuni spesso vi sono le elezioni ad un solo mese di distanza, o a due o tre mesi. La Camera dei Lords, anche in quei trambusti, non è stata mai toccata. Ora le due sole Repubbliche a sistema bicamerale, non tenendo conto della Repubblica svizzera, dove vi è una diversa struttura, sono l’America e la Francia. Il Capo dello Stato non ha il diritto di sciogliere le Camere Alte. In America, il Senato durava sei anni e si rinnovava ogni due, in Francia durava due anni e si rinnovava per un terzo ogni due anni. Dunque la Camera Alta, dove esiste, ha una certa stabilità ed è garantita dalla stessa Costituzione, in quanto il Presidente della Repubblica non può scioglierla.

Ora io mi preoccupo di questa innovazione. Per la prima volta si costituisce un Senato che può essere sciolto ogni quindici giorni, ogni mese, ogni tre mesi. Il Senato, così, perde quella stabilità che costituisce il maggior pregio di questa istituzione.

Io non oso insistere, perché non so i partiti che decidono in queste questioni se sono già impegnati e se ne fanno questione essenziale per la dignità del Paese, ma io richiamo alla logica l’Assemblea. Che cosa volete fare? Volete rendere tutto incerto? Ed allora sancite un Senato che ha la sola differenza nei confronti della Camera, di essere meno numeroso.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Cosattini, Faralli, Vernocchi, Fedeli Aldo, hanno presentato un emendamento all’articolo 84 così formulato:

«Dopo la parola: Camere, aggiungere le seguenti: «non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo a due mutamenti di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

CARPANO MAGLIOLI. L’emendamento che ho proposto insieme ai miei colleghi e compagni, tende a trasformare l’articolo 84 con questa precisa dizione: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo ad un mutamento di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

Il nostro emendamento tende a mantenere la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le due Camere ma intendiamo che questa facoltà, che può portare a quelle pericolose conseguenze particolarmente illustrate dal nostro maestro Vittorio Emanuele Orlando e dall’onorevole Clerici, abbia delle limitazioni e queste limitazioni, perché siano efficienti, devono essere oggettive.

Sostanzialmente, quando si può e quando si deve ricorrere al provvedimento dello scioglimento delle Camere? Quando il Parlamento non può più correttamente funzionare; e non lo può più quando non può più esprimere un Governo che abbia capacità di vita durevole e quindi capacità di una direzione costante, capace di amministrare la cosa pubblica. Solo in queste eventualità si potrà fare ricorso al grave provvedimento dello scioglimento delle due Camere.

Pare evidente a noi che a questa ampiezza di poteri è necessario imporre dei limiti, che non devono essere lasciati né all’opinione del Presidente dell’Assemblea né all’opinione personale del Presidente della Repubblica, ma devono essere indicati con dei fatti.

Ora, noi, con il nostro emendamento, che presentiamo all’esame della Camera e sottoponiamo al suo accoglimento, proponiamo due limiti. Il nostro emendamento non è una novità: non fa altro che riprodurre, più o meno fedelmente, l’emendamento contenuto nella Costituzione francese all’articolo 51.

Uno dei limiti che noi indichiamo è che sia trascorso almeno un anno dalle elezioni delle Camere; è necessario un anno di esperimento, sì che si possa evitare di ricacciare il Paese nell’agitazione elettorale e nel turbamento che provoca sempre la convocazione dei comizi.

Il nostro emendamento fissa un altro limite oggettivo. Allo scioglimento delle Camere si deve pervenire quando le Camere non esprimono le direttive per un Governo che abbia una capacità di vita abbastanza tranquilla e prolungata nel tempo, un Governo durevole ed efficiente ad una azione politica ed amministrativa tale da sodisfare alle esigenze della Nazione.

E allora, noi diciamo che è necessario porre altri limiti e precisamente due: mutamenti di Governo nello spazio di sei mesi a seguito di voto di sfiducia: voto che indica come il Parlamento non funziona e il Governo non è espresso con chiarezza dal Parlamento, con conseguente paralisi dell’istituto parlamentare, paralisi della vita della Nazione.

Solo con il concorso di queste gravi condizioni oggettive, solo allora, il Presidente ha facoltà, ove lo creda e sentiti i Presidenti delle Assemblee, di sciogliere le Camere, e di convocare di nuovo i comizi elettorali per sentire direttamente la voce del popolo e per avere dal popolo l’indicazione per una amministrazione salda, efficiente e capace di dirigere la cosa pubblica.

Per queste considerazioni pensiamo che il nostro emendamento possa trovare accoglimento, perché è ispirato al concetto di consentire un Governo durevole mediante l’attribuzione della facoltà di scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica. Ma, nello stesso tempo, contempera queste due esigenze con l’altra esigenza non meno sentita, di porre dei limiti oggettivi non facilmente superabili, limiti oggettivi che valgano a impedire l’abuso di questa facoltà. Per queste considerazioni chiediamo che il nostro emendamento sia esaminato con attenzione; lo sottoponiamo alla vostra saggezza: e confidiamo possa trovare benevolo accoglimento.

Ripeto, non si tratta di una novità: all’articolo 51 della Costituzione francese vi è una disposizione analoga, che limita oggettivamente questo grave potere di scioglimento delle Camere; lo limita in forma concreta, in modo da tutelare la volontà popolare e, nello stesso tempo, cercando di assicurare l’efficienza di un Governo duraturo, per la difesa dell’Amministrazione della cosa pubblica.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Nell’emendamento testé svolto si parla delle due Camere; la durata dell’una non coincide più con quella dell’altra: il Senato ha sei anni di vita, la Camera cinque.

Un conto è parlare di un anno dall’inizio della legislatura, un conto è parlare delle elezioni generali delle due Camere.

Forse gli onorevoli proponenti non hanno riflettuto su questa circostanza. Nel progetto primitivo Camera e Senato duravano cinque anni ed erano eletti contemporaneamente.

Noi, invece, abbiamo stabilito che la Camera è eletta per cinque anni ed il Senato per sei. Il che vuol dire che se il decorso del termine inizia dalla elezione della Camera, allora abbiamo un anno, in cui non è possibile lo scioglimento. Se guardiamo all’anno, riferendoci tanto alla Camera, quanto al Senato, abbiamo due termini a quo, che si vanno inseguendo ed intersecando fra di loro in modo, a mio avviso, irrazionale.

CARPANO MAGLIOLI. Noi intendiamo: un anno dall’elezione di ciascuna Camera.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei presentare una mozione d’ordine.

Ho l’impressione che la discussione dell’articolo 84 non si possa fare, se non dopo aver discusso gli articoli 86, 87 ed 88; perché, in sostanza, il problema che noi dobbiamo esaminare è il problema dei poteri del Presidente rispetto allo scioglimento delle Camere; e il problema dello scioglimento delle Camere si pone in stretta correlazione col problema dei termini e delle condizioni della fiducia o della sfiducia al Governo.

Ed allora, a me pare che sarebbe meglio cominciare ad affrontare il problema fondamentale del Governo, e, se mai, in sede di modalità per la formazione del Governo affermare il diritto, illimitato o limitato, del Presidente di sciogliere le due Camere. Propongo, perciò, di rinviare la decisione sull’articolo 84 a dopo che avremo esaurito la materia oggetto degli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In realtà, il nesso non è così stretto, come potrebbe apparire. Ma io trovo che l’Assemblea, in questo momento, sopra una questione così importante, come è quella dello scioglimento delle Camere, non ha ancora idee molto precise. Giunge quindi opportuna, e noi l’accogliamo per ragioni pratiche, più ancora che logiche, la proposta dell’onorevole Corbino. Si potrebbe, subito dopo l’articolo 83, esaminare e decidere sull’articolo 71, che riguarda la promulgazione, e fu rimandato, ma ora l’abbiamo affrontato, a proposito dell’emendamento Caronia, che coincide con un articolo aggiuntivo dell’onorevole Bozzi; pel cosiddetto veto sospensivo. Esaurito il tema dell’articolo 71, potremo passare agli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Corbino propone di sospendere l’esame dell’articolo 84 sino a che l’Assemblea non abbia preso le sue decisioni in ordine agli articoli 86, 87 ed 88 del Titolo III, relativi al Governo. L’onorevole Ruini, a nome della Commissione, ha dichiarato di ritenere che si possa accedere a questa proposta. Io desidero sentire se vi sono dei colleghi i quali abbiano delle obiezioni da sollevare.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi pare che la proposta dell’onorevole Corbino tenda a rimettere la discussione dell’articolo 84 a dopo la discussione degli articoli 86 e seguenti, per motivi di tecnica legislativa, mentre secondo le dichiarazioni del Presidente della Commissione si dovrebbe aderire alla proposta dell’onorevole Corbino per ragioni di opportunità e non per ragioni di tecnica legislativa. Cosa se ne deve dedurre? Che sospendiamo l’esame, secondo la proposta dell’onorevole Corbino o che rimandiamo a tempo indeterminato la discussione sull’articolo 84?

PRESIDENTE. Ho detto ben chiaramente, onorevole Costantini, che sospenderemmo in attesa di aver risolto i primi tre articoli del terzo Titolo. Che poi si accetti questo rinvio per una ragione o per un’altra non ha importanza. Importante è che si sia concordi nel sospendere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le ragioni del rinvio possono essere diverse, ma importante è che non si perda tempo e che intanto si proceda all’esame degli altri articoli.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, la proposta dell’onorevole Corbino si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 71, il cui esame era stato rinviato.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

PRESIDENTE. A questo articolo, l’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, in una delle passate sedute io sostenni la necessità che il Presidente della Repubblica non fosse tenuto estraneo dal processo formativo della legge e credetti di dover sostenere che al Presidente della Repubblica dovesse essere attribuita la potestà di sanzione, cioè una forma di partecipazione diretta al processo, di creazione di quell’atto complesso che è la legge. Questa proposta non è stata approvata.

Si può ripiegare su un’altra posizione.

Io ritengo indispensabile, anche per le ragioni dette magistralmente dall’onorevole Orlando, che debba essere attribuito al Capo dello Stato il potere che risulta dall’emendamento aggiuntivo da me proposto. È questo un potere di veto direi, un potere in qualche modo sospensivo; ma non è un veto nel senso rigoroso della parola, perché il Capo dello Stato non impedisce già che la legge abbia definitivamente vigore, ma esprime un suo apprezzamento attraverso un messaggio motivato e richiama, su queste sue ragioni, l’attenzione delle due Camere perché rimeditino sul problema. È un invito a riflettere ancora, che credo non si possa negare.

Il sistema proposto è questo: il Capo dello Stato promulga le leggi, entro un certo termine (si dice 30 giorni, ma il termine potrebbe essere anche ridotto); entro questo termine può rimettere la legge votata dalle Camere alle Camere stesse perché rimeditino. In quali casi ciò può avvenire? Può avvenire per ragioni di legittimità, per non perfetta formazione della legge, e può avvenire anche per ragioni di merito. Noi abbiamo votato che il Presidente della Repubblica deve essere supremo garante e custode della Costituzione. Ora, può anche darsi che una legge votata dal Parlamento, non interpreti esattamente, sia in contrasto con una norma della Costituzione. E noi vogliamo negare a colui che abbiamo definito il garante e custode della Costituzione, di dire al Parlamento: «Badate, che questa legge, secondo il mio punto di vista, non è in armonia, ma è in contrasto aperto con la norma costituzionale?».

Ma c’è anche un’altra ipotesi che possiamo raffigurarci. Noi non l’abbiamo ancora votato, ma mi sembra che sia nell’ordine di idee della maggioranza di dare al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere o una o tutte e due le Camere. Che significa questo? Significa che il Capo dello Stato, al vertice di tutti i poteri, deve avere la sensibilità di sentire il Paese e di avvertire quando il Paese è per avventura in contrasto con la sua rappresentanza parlamentare. Ora, un fatto di questo genere si può verificare anche nei confronti di una legge. Può darsi che una legge, pur votata dal Parlamento, in un determinato momento non sia l’espressione genuina della corrente popolare, e pertanto non trovi il consenso popolare. Si determina allora nel Paese un attrito. Ebbene, il Capo dello Stato che dev’essere un po’ il termometro di questa situazione, può richiamare l’attenzione delle Camere perché rimeditino sulla legge votata.

Io credo che quest’invito a riflettere ancora non possa essere negato, se non vogliamo esautorare completamente il Capo dello Stato.

Detto questo, che è la ratio della disposizione, da me proposta, io credo che i termini di essa non possono essere discussi. In essa si dice che nel termine nel quale il Capo dello Stato deve fare la promulgazione, egli può, con messaggio motivato, cioè dando la giustificazione del suo punto di vista, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Che cosa faranno le Camere? Se le Camere riconfermano la precedente deliberazione, il Capo dello Stato è obbligato a promulgare la legge.

Un principio di questo genere credo sia stato già approvato con l’emendamento dell’onorevole Caronia, ma io trovo che questo emendamento va integrato in tutti i suoi aspetti, e va messo in relazione con la promulgazione cui si collega. Io invito la Camera a riflettere su questa mia proposta, che è di fondamentale importanza, perché altrimenti noi escludiamo completamente il Capo dello Stato dal potere legislativo.

Il Capo dello Stato diventa colui che promulga, colui che attesta se le Camere hanno regolarmente votato, e dà esecutorietà a questa legge: atto importante, ma sempre sul piano esecutivo, senza nessuna possibilità di intervento nella determinazione se l’atto fondamentale, che è la legge, debba o no entrare in vigore subito o abbia bisogno di un ulteriore, più approfondito esame. Io invito l’Assemblea ad approvare questo conferimento di potere al Capo dello Stato, potere che egli eserciterà naturalmente, sempre sotto la responsabilità governativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Io ho già avuto occasione di manifestare ieri l’opinione della Commissione relativamente ad un emendamento analogo presentato dall’onorevole Caronia. La Commissione ritiene opportuno, anzi necessario, ammettere una qualche partecipazione del Capo dello Stato, sia pure nella forma più attenuata, all’esercizio del potere legislativo. L’emendamento presentato testé dall’onorevole Bozzi riprende e integra nei suoi complementi necessarî, la proposta dell’onorevole Caronia. Pertanto la Commissione è favorevole all’accoglimento dell’emendamento dell’onorevole Bozzi.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io non so se si voglia, attraverso l’emendamento Bozzi, dare valore, come in una certa parte dello svolgimento che egli ha fatto sembrerebbe, alle funzioni del Presidente della Repubblica. Se è questo, se non si tratta cioè che di una questione di prestigio, possiamo anche aderire; ma, se all’infuori della questione di prestigio, si volesse ammettere questo diritto di veto per proporre un riesame della materia legislativa già deciso dalle Camere, allora permettetemi di sollevare dei dubbi. E i dubbi sorgono spontanei in tutti coloro che fermino la propria attenzione sul modo con cui le leggi vengono discusse ed elaborate in regime bicamerale, cioè attraverso il doppio esame della Camera dei deputati e del Senato.

Onorevoli colleghi, i progetti vengono presentati: sono 550 deputati che discutono, esaminano, deliberano un determinato provvedimento legislativo. Il provvedimento passerà quindi al Senato, composto di circa 300 senatori, il quale procederà ad un riesame della materia e ad una nuova e separata decisione. Che dopo una così lunga procedura si senta il bisogno, su invito del Capo dello Stato, di far ripetere questo esame da parte dei due organi legislativi, mi sembra un assurdo. Ed allora, io dico: se vogliamo per questa strada dare valore alle funzioni del Capo dello Stato, ognuno può pensarla come crede, e qualcuno potrà dire sì e qualche altro no. Ma se vogliamo effettivamente e seriamente discutere sulla reale opportunità di fare riesaminare le leggi dopo tutte queste deliberazioni, cui ho fatto semplicemente cenno, allora mi permetto di esprimere una opinione in netto dissenso con quella dell’onorevole Bozzi e con quella del rappresentante della Commissione dei settantacinque che vi ha aderito.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, vorrei chiedere soltanto una spiegazione all’onorevole Bozzi: se l’atto presidenziale, col quale la legge viene rinviata a nuovo esame debba o non debba essere munito della controfirma del Primo Ministro.

PERASSI. Necessariamente tutti gli atti del Presidente della Repubblica debbono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio.

BENVENUTI. Allora, mi consenta l’onorevole Bozzi di fargli osservare che la sua esposizione non è stata esatta. Egli ha affermato erroneamente che il suo emendamento rimedierebbe al caso di una legge presentata al Presidente e che non trovasse il consenso popolare. Problema fondamentale e da tutti sentito, ma l’emendamento Bozzi non vi rimedia – esso rimedia ad un conflitto tra il Governo e le Camere, tra il Governo e la legge, ma non rimedia all’altro conflitto tra la legge e il corpo elettorale. Quest’ultimo conflitto resta insoluto: in quanto la richiesta di rinvio alle Camere non potrebbe evidentemente venir controfirmata proprio da quel Governo che propone al Presidente la promulgazione della legge. Viene così risolto un solo aspetto del conflitto.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io sono d’accordo con l’onorevole Bozzi, per due ragioni. La prima è che, se si è disposti a concedere al Capo dello Stato il potere maggiore, quello dello scioglimento delle Camere, a maggior ragione gli si deve concedere la possibilità di rinviare una legge per un riesame.

Questo riesame potrebbe essere giustificato in molti casi; ad esempio, quando la legge sia stata approvata con una piccola maggioranza, sicché venga il dubbio che la legge non sarebbe passata se il numero dei deputati o senatori presenti fosse stato maggiore.

Che male c’è, in un caso simile, che il Capo dello Stato rinvii la legge alle Camere dicendo: riesaminatela? Mi pare che non vi possa essere nessuna ragione in contrario.

PRIOLO. Con quale criterio si dovrà riesaminare?

NOBILE. Si potrà riesaminare sulla base del messaggio motivato.

Si deve, poi, anche considerare che una tale procedura potrebbe talvolta servire ad evitare lo scioglimento delle Camere.

Per queste ragioni, sono favorevole all’emendamento Bozzi.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli aveva presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le prime quattro parole con le seguenti: Le leggi sono sanzionate e promulgate…».

Questo emendamento è ormai stato superato dalla deliberazione di ieri, relativa alla promulgazione delle leggi (articolo 83).

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato anche il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, reputo opportuno richiamare l’attenzione dell’Assemblea sopra due atti molto importanti della formazione delle leggi, cioè la promulgazione e la pubblicazione. È stata mossa l’accusa che si sia tentato surrettiziamente, secondo l’elegante espressione del Presidente della Commissione dei Settantacinque, di introdurre qui il principio della irretroattività della legge in genere. In verità onorevoli colleghi, io non so se possa effettivamente parlarsi di un artificio e di un subdolo tentativo. In realtà, trattandosi della formazione delle leggi, dovendosi accennare in particolare al momento in cui una legge entra in vigore, si è evidentemente affrontato il problema dell’efficacia della legge in generale e dell’efficacia della legge nel tempo, in particolare.

Ora, trattandosi dell’efficacia della legge nel tempo, ritengo non sia inutile prendere in esame questo problema della retroattività della legge in genere, problema che noi abbiamo esaminato soltanto a proposito della legge penale.

Quando si iniziano gli studi giuridici, uno dei primi principî che si incontrano è precisamente quello della irretroattività della legge. Purtroppo in un recente passato, il principio è stato ripetutamente violato, e tanto più noi dobbiamo ora stare in guardia perché esso sia difeso.

Con l’emendamento proposto, sostengo, quindi, innanzitutto, che le leggi non debbano avere efficacia retroattiva. Ma vi sono altri due punti cui accenno e che mi preme di mettere in rilievo. Per quello che riguarda la pubblicazione, non v’è nulla di particolare da aggiungere a quello che è il testo proposto dalla Commissione; ma, per quello che riguarda invece la promulgazione, ho già accennato ieri sera che si tratta di un atto della più grande importanza, in quanto attiene a quello che è il problema della conoscibilità della legge con assoluta certezza.

Noi abbiamo visto, infatti, onorevoli colleghi, come alle volte un’«e» invece di un «o» possa mutare profondamente il senso e lo spirito di una disposizione normativa. Ma quella che propongo alla vostra attenzione è una questione di non poco rilievo, ed è precisamente la questione che riguarda i testi unici. Infatti noi sappiamo che fra gli scopi della civiltà, oltre quello di fare delle giuste leggi, è anche quello di far conoscere queste giuste leggi. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’importanza del problema e soprattutto sul significato di progresso che ha nella storia.

Ricordiamo, infatti, che un tempo la conoscenza delle leggi era considerata patrimonio esclusivo del patriziato; basterebbe rammentare, a questo proposito, le leggi decemvirali. La conoscenza delle leggi è stata, quindi, per lungo corso di tempo patrimonio esclusivo della parte più conservatrice dei popoli. E, a proposito della necessità di divulgare le leggi e della importanza che assume questo problema, mi permetto di ricordare un precedente che può servire a rallegrare l’Assemblea. Sappiamo dalla storia cinese (Commenti) che, nel sesto secolo avanti Cristo, Sciutrian, consigliere di Stato del principe di Zin, rimproverava con una lettera, conservata tuttora, Ze-cian, allora principe di Cen, perché aveva fatto pubblicare le leggi penali su vasi di ferro, invece di tenerle nascoste (vedi Andreozzi, Le leggi penali degli antichi cinesi, Firenze, 1878, pag. 34).

Il consigliere cinese affermava che era molto migliore il tempo in cui la gente rispettava la legge senza conoscerla e senza conoscere il limite fino al quale poteva spingersi senza commettere un reato.

Mi son permesso di richiamare questo precedente storico, perché, se non si verifica più tale fenomeno, ve ne sono, però, altri non molto dissimili, come quello di opporsi alla lotta contro l’analfabetismo, perché la diffusione della cultura avrebbe propagato il malcostume. Non mancano i fenomeni odierni che possono in un certo senso assimilarsi alla preoccupazione di non far conoscere le leggi.

In materia di conoscenza della legge vi può essere un oscurantismo volontario, come quello del patriziato romano, che voleva impedire alla plebe di conoscere le leggi, tanto che sorse il tribuno Tarentilio Arsa, il romagnolo dell’epoca, probabilmente, il quale al grido «la conoscenza delle leggi o il caos» ottenne la codificazione decemvirale.

Oltre quello volontario vi è però, anche un oscurantismo involontario, ma, oggi, non meno colpevole. Attraverso una legislazione a getto continuo che non sia poi successivamente coordinata, si può arrivare ad una confusione tale che gli stessi studiosi ed esperti della materia non sono in grado di conoscere quale sia la norma vigente in un determinato campo.

Per rimediare a questo inconveniente si è sentita quella tale esigenza che spinse Giustiniano a trarre dalle leggi il troppo e il vano, in maniera che fossero conosciute. (Commenti).

Per conoscere le leggi non basta emanarle e promulgarle, ma bisogna anche ad un certo momento riunirle, coordinarle. Tale coordinazione è normalmente avvenuta attraverso i testi unici. Ma se i testi unici potevano risolvere il problema in parte, non lo risolvevano in tutto, in quanto che non si sapeva con esattezza quale valore dovesse attribuirsi ad essi. In altri termini, se si trova una norma in un testo unico, si può ritenere che essa sia effettivamente vigente, o bisogna andare a vedere il testo legislativo in cui è stata per la prima volta emanata?

La questione è stata molto discussa. Si andava a vedere in che termini era stata redatta la delega da parte del potere legislativo, quando vi era stata, e, secondo i casi, si concludeva per il valore autentico del testo unico o meno. In altri termini, siccome non vi erano disposizioni specifiche al riguardo, il prendere in mano un testo unico era comodo, sì, ma lasciava sussistere l’incertezza che si fosse andati oltre i limiti della delega e che la norma riportata non fosse esattamente quella un tempo emanata. Di qui la conseguenza che, basandosi sul testo unico, si poteva essere tratti in errore.

Per eliminare questi inconvenienti, siccome ritengo che il testo unico sia rivolto in genere a fornire un nuovo documento per la conoscenza della legge, a mutarne la sola fonte di cognizione, cioè il solo documento, la sola parte materiale, sarebbe opportuno che nella Costituzione si accennasse al problema, e risultasse come il testo unico debba considerarsi quasi come una nuova promulgazione. Qual è il valore da attribuire a questa nuova promulgazione? Qual è il valore, del testo originariamente emanato rispetto al nuovo testo unico? Il problema non si presenta per la prima volta nel campo dell’emanazione delle leggi…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di tener conto del tempo.

CODACCI PISANELLI. Finisco subito. Quando una materia sia disciplinata completamente da una legge nuova, la legge precedente si ritiene abrogata; è una forma di abrogazione questa di disciplinare nuovamente e completamente una determinata materia. Così, seguendo lo stesso principio, si potrebbe attribuire questa efficacia abrogativa, estintiva o, se si preferisce, novativa, alla nuova promulgazione d’una norma giuridica.

Ecco perché propongo che si accenni ai testi unici, che si riconosca ad essi il valore di una nuova promulgazione, che si riconosca ad essi il valore di novare la fonte di cognizione, per esprimersi in termini tecnici. Ma attraverso questi aridi termini tecnici, mi propongo soprattutto di contribuire a quel progresso cui tutti aspiriamo, che deve realizzarsi oltre che negli altri campi, anche in quello della conoscenza delle leggi, perché, se è importante l’osservanza delle leggi e il fare delle leggi giuste, è altrettanto importante che le leggi siano da tutti conoscibili.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Caronia e Aldisio:

«Al primo comma, aggiungere le parole seguenti: salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere per un nuovo esame o per il referendum».

Non essendo l’onorevole Caronia e l’onorevole Aldisio presenti, s’intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: abbiano come sopra dichiarato l’urgenza, sostituire le seguenti altre: stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. L’articolo 71 dispone che le leggi entrino in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione.

Ora, può ben darsi che, per ragioni varie, sia necessario che la legge entri in vigore in un termine diverso.

È perciò che io ho proposto di sostituire alle parole del progetto le seguenti altre: «salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Il progetto dispone: «salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

La dizione da me proposta sembrino da preferire, perché più ampia. Essa abbraccia indubbiamente un numero di casi maggiore di quello che abbracci il testo del progetto. Probabilmente la dizione dell’articolo 71 che leggiamo nel testo del progetto deriva dal fatto che l’articolo 71 dovette essere posto in relazione col primo comma del successivo articolo 72; ma, poiché questo primo comma è stato falcidiato dall’Assemblea Costituente, penso che il mio emendamento, non essendo più in relazione con la prima parte dell’articolo 72, possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, sostituire le parole: ventesimo giorno, con le altre: quindicesimo giorno».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. All’ultimo comma dell’articolo 71 si dice: «Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

Può parere strano che si sia parlato del ventesimo giorno, mentre nella nostra prassi legislativa la vacatio legis è di quindici giorni. Perché si è parlato di venti giorni? Perché questo termine aveva una ragion d’essere in quanto collegato col successivo articolo 72, che prevedeva nel suo primo comma il referendum cosiddetto sospensivo o fermativo della legge, precisandone alcune modalità di procedura.

Ora, l’Assemblea ricorda che l’articolo 72 è stato – dopo lunga discussione – dimezzato, nel senso che è rimasto di esso solo l’ultima parte, che prevede soltanto il referendum abrogativo.

In queste condizioni non c’è più ragione di dire «ventesimo giorno». Si può tornare al termine tradizionale.

Perciò propongo che nell’ultimo comma dell’articolo 71 si sostituisca la parola «ventesimo» con la parola «quindicesimo», cioè: «Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno, ecc.».

Aderisco poi, personalmente, a quanto ha proposto l’onorevole Colitto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto di parlare per una breve osservazione sull’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli. Egli sostiene la necessità che le norme giuridiche relative ad una determinata materia siano raccolte e coordinate in unico testo, in base a decreto del Capo dello Stato. Su questo concetto sono pienamente d’accordo.

Non sono però per nulla d’accordo su quanto ha affermato l’onorevole Codacci Pisanelli illustrando l’emendamento, poiché egli ha detto che la norma giuridica disciplinata e regolata in unico testo disposto dal Capo dello Stato costituisca una nuova promulgazione della legge. Non solo egli ha detto ciò, ma lo ha confermato col dire che si verificherebbe una specie di novazione; vale a dire noi finiremmo col far sì che il Capo dello Stato possa modificare la legge. Su questo non possiamo consentire, cioè permettere che si attribuisca al Capo dello Stato per una via indiretta ciò che per la via diretta gli viene negato. La norma giuridica dovrà essere raccolta e coordinata in unico testo che serva a precisarne la dizione, che serva a fissarne la formulazione definitiva, senza però che minimamente il contenuto e lo spirito della legge possano essere alterati. Quindi io intendo approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, perché vi sia una materiale raccolta, in unico testo coordinato, delle norme giuridiche, le quali però devono avere la significazione e la portata loro attribuita dalle Camere legislative.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lei ha svolto il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Vorrei chiarire solo un malinteso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

CODACCI PISANELLI. Sono perfettamente d’accordo con l’oratore che mi ha preceduto. È appunto perché intendo che non possa essere modificata la norma, che ho parlato di testi unici con valore di nuova promulgazione.

MASTINO PIETRO. E di novazione.

CODACCI PISANELLI. È sempre promulgazione. Ora, la promulgazione non potrebbe modificare il testo deliberato dall’Assemblea legislativa. Quando parlo di nuova promulgazione, mi riferisco semplicemente alla parte documento, non alla parte contenuto della norma. Del resto, se non adotteremo la formula proposta, il testo unico presenterà l’inconveniente precedente. Cioè potrà darsi che non riproduca esattamente il testo originario e a rigore non giovi a nulla, perché occorrerà sempre andare a vedere il testo originario. Solo questo volevo dire. Sono perfettamente d’accordo con il mio interlocutore, ma intendevo fare in maniera che il testo unico servisse ad assicurare la certezza della norma.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso sopra gli altri emendamenti.

TOSATO. La Commissione accoglie l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto e l’emendamento presentato or ora dall’onorevole Perassi.

Per quanto riguarda il più ampio emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, questo emendamento solleva due questioni di ordine diverso: una questione molto grave e di indole generale relativa al problema della irretroattività della legge; l’altro problema relativo ai testi unici.

Per quanto riguarda la irretroattività della legge, vorrei ricordare che l’Assemblea ha già votato un articolo che sancisce la irretroattività della legge in materia penale. Nelle altre materie, pur essendo d’accordo, di massima, sul principio generale e fondamentale della irretroattività della legge, la Commissione, dopo di avere esaminato in tutti i suoi aspetti la questione, non ritiene opportuno inserire nella Costituzione una specifica norma che stabilisca, senza eccezioni, la non retroattività della legge. Tale norma rigida potrebbe dar luogo ad inconvenienti. Si pensi, ad esempio, alle gravi difficoltà che sorgerebbero in materia di modificazioni in aumento degli stipendi, cui si ritenga di dare efficacia retroattiva.

Per quanto riguarda l’altro problema relativo ai testi unici, io ritengo che la Costituzione debba essere molto sobria e che la Costituzione debba occuparsi soltanto di ciò che è veramente essenziale. Ora, relativamente al problema dei testi unici le questioni sono due: o si tratta puramente e semplicemente di accogliere in un unico testo, senza introdurvi modificazioni, le disposizioni legislative contenute in leggi diverse, ed allora questa è cosa che può fare il Governo, come può fare qualsiasi privato; o si tratta, invece, ed è questo soltanto il problema pratico, di coordinare varie disposizioni legislative contenute in leggi diverse, allo scopo di coordinarle non solo dal lato formale, ma anche sostanziale, apportandovi le necessarie modificazioni, e allora, evidentemente, occorre una delegazione legislativa già prevista e disciplinata dalla nostra legislazione. Per questa ragione la Commissione non è favorevole all’accoglimento dell’emendamento Codacci Pisanelli.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Avevo chiesto di parlare sul punto relativo al messaggio presidenziale sospensivo della legge. Posso parlarne ora?

PRESIDENTE. Sì, nell’emendamento Bozzi si parla appunto del messaggio.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Prendo argomento da questo punto su cui ora l’Assemblea è chiamata a pronunciarsi, per mettere in rilievo la gravità delle deliberazioni che si stanno per prendere. Qui si tratta di sapere se il Presidente, il Capo dello Stato, in questo momento solenne della vita della Nazione, quale è la proclamazione del diritto, debba essere del tutto estromesso. Come dissi oggi stesso, io penso che sia una curiosa maniera di affermare devozione verso la Repubblica quella di volere il Capo dello Stato di questa Repubblica quanto meno autorevole sia possibile.

Badate, voi aprite la via ad una quantità di conflitti pericolosissimi, perché non è possibile che un Capo dello Stato, a meno che non sia un fannullone, un fainéant, possa adattarsi ad essere e restare estraneo al compimento dell’atto, in cui la volontà dello Stato si manifesta nella forma più solenne. L’onorevole Ruini mi ha detto, che la sanzione non fu mai applicata, e che si tratta di un elemento affatto decorativo.

Si può intanto rispondere che qualche volta anche gli elementi decorativi hanno la loro importanza e la storia insegna come all’autorità si addica un carattere augusto. Ma, anche dal lato sostanziale, sa il collega Ruini la ragione per cui la sanzione era caduta in disuso? Non perché il Capo dello Stato si estraniasse da questo potere, ma perché sussisteva un istituto che qui vedo abolito, se non m’inganno, perché io non mi raccapezzo più in queste disposizioni che sono state sospese, riprese, accantonate, emendate… Comunque, non m’inganno nel ritenere che non ci sia più traccia di sessioni, come periodi del lavoro parlamentare e legislativo. Or si capisce come gli uomini politici nella vita normale dello Stato, prima subalpino e poi parlamentare, non fossero mai ricorsi al rifiuto della sanzione, perché attraverso la proroga della sessione raggiungevano il medesimo fine, con mezzi assai più semplici. Il rifiuto della sanzione infatti poneva un contrasto aspro, aperto, violento fra Capo dello Stato e Parlamento, il che era prudente evitare, in tanto più in quanto non era necessario. Bastava ricorrere appunto alla proroga della sessione, ed allora, secondo la disposizione dello Statuto, una delle conseguenze era che tutti i disegni di legge cadevano…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiudevano la sessione, non la prorogavano.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Appunto, ma la espressione proroga è della Costituzione inglese. Vi sto dicendo che non si ricorreva alla sanzione, perché c’era il mezzo più semplice di chiudere le sessioni. Ma voi togliete al Capo dello Stato la facoltà della proroga delle sessioni, e gli togliete pure la sanzione.

Si può bene supporre che una data legge apparisca al Capo dello Stato come rovinosa di interessi vitali dello Stato. Sapete che mezzo gli resterà? Guardate in quali fossi (stavo per dire abissi, ma è meglio non drammatizzar troppo ed uso la parola «fossi») insabbiamo questo nostro disordinato ordinamento: un Capo dello Stato lo chiamate responsabile – questo poi è un altro punto – e lo inviate all’Alta Corte per alto tradimento, e sta bene, ma anche per violazione della Costituzione.

La violazione della Costituzione è una espressione molto elastica. Si potrà sempre affermare che con una data legge la Costituzione fu violata. Chissà quante volte lo si dirà.

L’interpretazione di un testo può sempre dar luogo a dubbi! Ora, voi dichiarate niente meno che il Capo dello Stato può essere tradotto in Alta Corte per violazione della Costituzione e poi gli affidate la promulgazione di una legge che può essere la violazione della Costituzione. Egli verrebbe così ad essere per lo meno lo strumento di un eventuale delitto gravissimo. È allora umanamente spiegabile che egli ricorra ad ogni mezzo per impedirlo. Prima bastava una semplice chiusura di sessione, ora dovrà servirsi dello scioglimento della Camera: rimedio incomparabilmente più grave e più pericoloso.

Io voterò l’emendamento dell’onorevole Bozzi, che considero come un male minore. Ma badate bene, onorevole Ruini! Quando voi dicevate: «i piloni!». Che Repubblica facciamo noi? A meno che non si voglia fare come l’abate Siéyès.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ripugna a voi stesso passare alcune notti a scrivere delle Costituzioni su svariati modelli e poi metterle in pubblico come vestiti confezionati dalla «Rinascente». Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione, con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atti di una volontà capace, libera. Non c’è bisogno di ricorrere ai cinesi antichissimi ricordati dall’onorevole Codacci Pisanelli. Tutta la storia delle Costituzioni dimostra che sono i popoli nella loro storicità che le formano e il costume che le consacra.

Quante forme di repubbliche abbiamo? Due: la parlamentare e la presidenziale. Non si deve pretendere di creare una terza specie, che non si sa bene che sia. In questo momento io non faccio una digressione. Io voterò l’emendamento Bozzi, ma questo emendamento suppone la Repubblica presidenziale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

PERASSI. In Francia c’è.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. L’istituto è proprio della Repubblica presidenziale; nella forma parlamentare il Capo dello Stato è sempre presente nelle persone dei Ministri. Allora noi facciamo una repubblica presidenziale? No, perché i Ministri rispondono al Parlamento e non al Presidente. Dunque, sarebbe una repubblica parlamentare? Ma se è una repubblica parlamentare, come si collega il voto del mio amico Bozzi con questo Consiglio di Ministri, con questo Presidente di Consiglio, che ha visto nascere e crescere quella legge di cui poi il Capo dello Stato potrà dire: «Non mi piace»? Vedete che conflitto può nascere?

In fatto di istituzioni bisogna adottare istituzioni consacrate dall’uso. Queste si possono modificare con successivi adattamenti, perché allora diventa questo un modo di progresso ed anche di trasformazioni imposte dalla vita concreta. Ma l’aver fatto una repubblica che non si sa bene se sia parlamentare (perché in molti casi è ultraparlamentare) o presidenziale, è veramente quel salto nel buio cui ho alluso dianzi o per cui c’è da augurarsi che non ne derivino fratture o contusioni gravi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi. Egli, in sostanza, cerca di far entrare per vie traverse nella Costituzione, una specie di sanzione attenuata. Ma non è questo che conta.

Il fatto è che a noi sembra che l’emendamento Bozzi in regimo di Repubblica parlamentare sia controproducente. Infatti, poniamo che il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato, domandi alle Camere una nuova deliberazione. Poniamo che le Camere confermino la deliberazione già presa. Ebbene, dopo questa conferma, indubbiamente, la figura del Presidente della Repubblica viene ad essere sminuita.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Due semplici rilievi, specialmente per quanto riguarda l’intervento dell’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

Evidentemente, Presidente Orlando, qui vi sono due diverse concezioni del Governo parlamentare e della figura del Capo dello Stato.

Vorrei ricordare che l’articolo 88, nel testo proposto dalla Commissione, dice che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. A quale preoccupazione risponde questo comma? Evidentemente a quella di rendere più stabile possibile il Governo e di non costringerlo alle dimissioni, se una qualsiasi sua proposta non è accolta dalle Camere.

Ora, un caso di proposta governativa non accolta dalle Camere può essere questo: un disegno di legge presentato alle Camere da parte del Governo non è accolto oppure è approvato dalle Camere con profondi emendamenti, che investono da vicino la politica generale del Governo. In questo caso, evidentemente, il potere del Governo, cioè del Presidente insieme col suo Governo, di rinviare alle Camere per un nuovo esame una legge da esse già deliberata, può servire ad evitare certe possibilità, quali le dimissioni del Governo o lo scioglimento delle Camere.

Per quanto riguarda l’altro rilievo fatto dal Presidente Orlando e anche dall’onorevole Preti, cioè l’avere stabilito nel progetto che il Presidente della Repubblica è responsabile non soltanto per alto tradimento, ma anche per violazione della Costituzione, siamo perfettamente d’accordo. Qual è la situazione del Presidente? Egli deve promulgare le leggi e quindi non può essere responsabile di un atto evidentemente obbligatorio. Tuttavia, se teniamo presente la posizione e la funzione, che abbiamo voluto attribuire al Presidente della Repubblica, di organo che non concorre a determinare positivamente e sostanzialmente le decisioni politiche del Governo, e d’altra parte non è nemmeno un organo puramente decorativo, con funzione simbolica, se teniamo presente che, secondo questa nostra Costituzione, il Presidente ha compito fondamentale, sebbene non esclusivo – è prevista infatti la Corte Costituzionale – di salvaguardare e di tutelare l’osservanza della Costituzione nello svolgimento dell’attività degli organi costituzionali, sembra sommamente opportuno che, proprio per questa sua altissima funzione, il Presidente, prima di pubblicare una legge, possa avere il potere di rinviarla alle Camere stesse, per un riesame.

Per queste ragioni, insistiamo sull’emendamento Bozzi, senza tema di introdurre così nella Costituzione un elemento proprio e caratteristico del Governo presidenziale; tanto più che questa possibilità del Presidente di rinviare alle Camere una legge da esse deliberata, non è caratteristica esclusiva della Repubblica presidenziale, essendo adottata anche dalla Costituzione di Repubbliche parlamentari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla proposta della retroattività della legge civile, che è stata esaminata dalla dottrina e dai Governi con tanta attenzione e pazienza, in tutti i paesi; e tutti hanno riconosciuto che non è possibile prescriverla in senso assoluto e senza possibilità di eccezione, come si farebbe qui, mettendola nella Costituzione. Abbiamo provveduto, come era necessario, stabilendo la irretroattività delle pene. Non possiamo stabilire il principio stesso, rigidamente, in altri rami del diritto. Come fare in una società come la nostra, così piena di movimento e di trasformazioni economiche? Né si tratta, con l’irretroattività, di tutelare diritti quesiti (di cui è comunque ben difficile la definizione); vi sono casi in cui la retroattività può esser utile… ad esempio agli impiegati, cui si concedano aumenti retroattivi di stipendio. Se fosse sancita l’irretroattività, non se ne farebbe nulla. Meglio lasciare che il principio sia stabilito, nei termini più opportuni, nei Codici, ma lasciando a leggi particolari, per date materie, la possibilità di deroghe.

Non vorrei replicare all’onorevole Orlando; mi limito a chiedergli se vi è stato mai un caso in cui si sia chiusa una sessione per non dare la sanzione ad una legge. Il Governo ha in più casi chiuso la sessione perché non andava d’accordo con le Camere, e voleva così influire sul lavoro legislativo; ma è tutt’altra cosa che la sanzione.

L’onorevole Orlando ha detto con tanta nobiltà: state alla tradizione! Noi vogliamo attenerci ad essa, e ad essa ci siamo attenuti, in quanto non era in contrasto con esigenze irreducibili del processo democratico. Ma non possiamo, per il feticismo della tradizione, conservare ciò che è ormai un anacronismo. Né possiamo tenere in vita, come cose vive, disposizioni già morte, come i tre famosi reliquati di articoli dello Statuto albertino, di cui ho già parlato. Non vogliamo risuscitare fantasmi. E tradizione vuol dire non fermarsi, ma camminare nel suo solco. Jaurès diceva che un fiume non rinnega la fonte, mentre va alla foce.

Né giova badar troppo ai nomi ed alle etichette. Stato parlamentare può avere vari significati. Può anche voler dire – lo ho ripetuto – lo Stato ad un solo Parlamento da cui dipendono come commessi tutti gli altri organi dello Stato…

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Non significa questo!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo; ma non si può credere di risolvere i problemi con posizioni teoriche e con designazioni, che riferendosi a varie situazioni e tipi storici, si prestano a varie interpretazioni.

Non tengo affatto ai due piloni, che non è una teoria, ma un’immagine per richiamare l’attenzione. Mi serve a dire che il pilone che dobbiamo riedificare non è quello del re. Non pensiamo neppure come avviamento ad un sistema presidenziale; tutt’altro: il nostro Presidente della Repubblica non è Capo del Governo; è un moderatore supremo fra i poteri dello Stato, in un edificio che basa tutto sulla sovranità popolare.

Non possiamo indulgere a ciò che è troppo vecchio, e – si noti – era già vuoto di contenuto. Vogliamo camminare avanti, con cautela ma con fermezza. La Costituzione non può essere immobile; saranno necessarie modificazioni ed aggiunte, per tener conto appunto dell’esperienza che si farà. È l’indirizzo che deve essere chiaro e sicuro. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

CARONIA. Vi rinunzio e aderisco a quello Bozzi.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

CODACCI PISANELLI. Il primo è ormai superato. Insisto, invece, sul secondo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento dell’onorevole Colitto, dato che è stato accettato dalla Commissione, naturalmente s’intende mantenuto. E così pure per quanto riguarda gli emendamenti Perassi e Bozzi.

Passiamo ora alle votazioni.

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 71 nel testo del progetto, che coincide col primo comma del testo proposto dall’onorevole Bozzi e che è del seguente tenore:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma che nel testo Bozzi è del seguente tenore:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Su questo comma gli onorevoli Moro, Benvenuti, Uberti, Salizzoni, Cremaschi Carlo, Balduzzi, Coppi, Giordani, Bosco Lucarelli, Valenti, De Palma, Bertone, Romano, Orlando Camillo e Tozzi Condivi hanno chiesto la votazione per appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se questo può servire a far ritirare la domanda di appello nominale, io dichiaro che il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento Bozzi, in quanto ritiene che esso sia controproducente, e cioè che indebolisca anziché rafforzare il Capo dello Stato e che stabilisca un pericolo nell’interno del potere esecutivo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Bozzi e dal punto di vista mio personale credo di farlo con motivi di coerenza in quanto io mi sono opposto tenacemente, nella forma più decisa, perché fosse stabilito nella Costituzione – e mi pare che la maggioranza della Costituente abbia poi deciso d’accordo con me – l’obbligo assoluto, che vi era secondo la proposta della Commissione, che l’un ramo del Parlamento si pronunciasse in un certo brevissimo termine, quando l’altro si era pronunciato, approvando un disegno di legge.

Io ho sostenuto che questa coartazione, questa pretesa necessità e questa specie di messa in mora, era assolutamente assurda, e che anzi un ramo del Parlamento avesse perfettamente diritto di non pronunciarsi, se in questo senso era la sua inclinazione e se il Governo non credeva esso di porre in contrario una questione di fiducia, appunto perché la non pronuncia di uno dei due rami del Parlamento avrebbe sortito un effetto analogo a quello che era il decreto di chiusura di sessione, la soppressione del quale istituto rendeva più che mai necessaria questa indipendenza dei due rami del Parlamento l’uno dall’altro.

Ritengo però che una volta che ormai v’è questa possibilità che un progetto di legge, anche approvato da un ramo della Camera, possa essere lasciato cadere, cade completamente la coerenza logica di ammettere che il Presidente, emanazione dei due rami del Parlamento, di fronte ad una legge divenuta perfetta per l’approvazione dei due rami del Parlamento, e contro la quale approvazione egli aveva tutta la possibilità di intervenire tempestivamente, non possa opporre una forma indiretta di effetti moratori e di richiesta di seconda pronuncia, perché la seconda pronuncia, per le esigenze del mio punto di vista politico, è già esaurita dal sistema parlamentare bicamerale.

Per questi motivi, che io ritengo di coerenza logica e conformi al sistema parlamentare bicamerale, voterò contro l’emendamento Bozzi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiedo che il secondo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi all’articolo 71 sia posto in votazione per divisione. E più precisamente vorrei fossero escluse dalla prima votazione le ultime parole: «a maggioranza assoluta dei loro membri», in quanto può darsi che vi siano deputati disposti a votare il resto dell’articolo, ma non queste ultime parole.

PRESIDENTE. Sta bene.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome dei colleghi del mio Gruppo, che noi voteremo a favore di tutto l’emendamento Bozzi, aderendo sostanzialmente alle dichiarazioni della Commissione, in correlazione delle quali noi intendiamo costruire un tipo più robusto di Governo parlamentare, in parte già contemplato da altre Costituzioni.

COSTANTINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Per le ragioni che ho esposto dianzi, il Gruppo parlamentare socialista voterà contro l’emendamento Bozzi. Dirò solo che vi è un altro motivo oltre a quelli già detti: ed è la considerazione della crisi che verrebbe a determinarsi tra il Presidente della Repubblica ed il potere legislativo, nella ipotesi in cui – nel riesame del provvedimento legislativo – esso ottenesse una maggioranza relativa anziché assoluta dalle Camere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro di votare a favore di tutto l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, in quanto non sembra esatto che contrasti col concetto della Repubblica parlamentare. L’ultima parte dell’emendamento dispone che il Presidente della Repubblica debba procedere in ogni caso alla promulgazione della legge se le Camere confermano la precedente propria deliberazione, il che sta a dimostrare che la Repubblica parlamentare ha libertà assoluta di movimento.

Si è osservato da parte dell’onorevole Laconi che la votazione di questo emendamento verrebbe ad avere un effetto controproducente, in quanto risulterebbero diminuite le funzioni e la figura del Presidente della Repubblica ove le Camere confermassero la precedente propria deliberazione, in contrasto con l’atteggiamento del Presidente stesso.

A questo io rispondo che col votare l’emendamento non intendiamo riferirci al maggiore o minore prestigio del Presidente della Repubblica, che non è in discussione, ma a quello che può essere il vantaggio del Paese, rappresentato dalla possibilità, per le Assemblee legislative, di meglio riflettere sulle proprie decisioni.

PRESIDENTE. Di fronte alla domanda dell’onorevole Preti di votare questo emendamento per divisione, in modo da escludere dalla prima votazione le parole finali «a maggioranza assoluta dei loro membri», chiedo ai presentatori della domanda di appello nominale se, dopo le dichiarazioni di voto, mantengano la loro richiesta; e, in caso affermativo, se la mantengano tanto per la votazione della prima parte dell’emendamento Bozzi quanto per quella delle predette parole finali.

MORO. Manteniamo intanto la domanda di votazione nominale per la prima parte, riservandoci di decidere in seguito per la seconda.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sul secondo comma dell’emendamento Bozzi (escluse le parole finali: «a maggioranza assoluta dei loro membri», sulle quali si voterà in seguito), del quale do ancora una volta lettura:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

Comincerà dall’onorevole Spallucci.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

DE VITA, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bonino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cosattini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fanfani – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Galati – Garlato – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Malfa – La Pira – Leone Giovanni – Lizier – Lussu.

Malvestiti – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perrone Capano – Ponti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Romano – Roselli – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spallicci – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vicentini – Villabruna.

Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bennani – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallotti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Chiostergi – Colombi Arturo – Corbi – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Michelis Paolo – Donati – D’Onofrio.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Massini – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mezzadra – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni.

Pajetta Giuliano – Paolucci – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo.

Saccenti – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sicignano – Simonini – Stampacchia.

Targetti – Togliatti – Tomba – Tonello.

Vernocchi – Veroni – Villani – Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso.

Dozza – Dugoni.

Fantoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Martino Gaetano – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     341

Maggioranza           171

Hanno risposto     197

Hanno risposto no    144

(L’Assemblea approva).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Ritiro la seconda parte del mio emendamento: «a maggioranza assoluta dei loro membri».

PRESIDENTE. Sta bene. Resta pertanto conclusa la votazione sull’emendamento dell’onorevole Bozzi.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

Presentazione di una relazione.

BOZZI. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione della Commissione speciale per il disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Sull’ordine del giorno.

CARONIA. Chiedo di parlale sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. All’ordine del giorno della seduta pomeridiana è stabilita la votazione per la nomina di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana.

Propongo che questa votazione sia rinviata, perché i deputati non sono ancora orientati sulla scelta dei candidati.

Chiederei quindi un rinvio a mercoledì o a giovedì della settimana prossima perché ci si possa meglio orientare sulla scelta.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, l’elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana è tolta dall’ordine del giorno della seduta pomeridiana di oggi e rinviata ad altra seduta.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.45.