Come nasce la Costituzione

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MARTEDÌ 28 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXV.

SEDUTA DI MARTEDÌ 28 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEI VICEPRESIDENTI BOSCO LUCARELLI E CONTI

INDICE

Disegno di legge (Discussione e approvazione):.

Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).

Presidente

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).

Presidente

Perassi

Villani, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Chiostergi

Comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).

Presidente

Nobile

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

Presidente

Rubilli

Russo Perez

Condorelli

Costantini

Bozzi, Relatore

Bergamini

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Conti

Clerici

Nobile

Gasparotto

Macrelli

Fabbri

Codacci Pisanelli

Dominedò

Crispo

Nasi

Nobili Tito Oro

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge (Discussione e votazione):

Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

Presidente

Ruggiero

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Lagravinese  Pasquale

Colitto, Relatore

Badini Confalonieri

Russo Perez

Sansone

Perrone Capano

Macrelli

Camangi

Angelini

Dominedò

Boldrini

La Rocca

Fabbri

Perassi

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente .

Grassi, Ministrò di grazia e giustizia

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane». (24).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli.

Si dia lettura dell’articolo 1:

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data allo scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Per l’attuazione del precedente articolo 1 è autorizzata la spesa di lire 1.200.000.000 da stanziare nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa (Marina).

«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio».

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo 2. (È approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° giugno 1946».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: «Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro». (25).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Atti internazionali adottati a Montreal dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel corso della sua XXIX sessione, il 9 ottobre 1946:

  1. a) Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro;
  2. b) Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime XXVIII sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni, e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società della Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Sebbene sia chiusa la discussione generale, mi si consenta di rilevare brevissimamente l’importanza di questo Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il quale corona un movimento di emancipazione, si potrebbe dire, della Organizzazione Internazionale del Lavoro, la quale, creata nel 1919, come istituzione organicamente collegata con la Società delle Nazioni, ha dimostrato una vitalità che le ha permesso, non soltanto di sopravvivere durante la tormenta della guerra, ma di affermare via via la propria autonomia e la propria indipendenza.

Quando la Società delle Nazioni si estinse, si pose il problema di dare un assetto indipendente all’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Questo procedimento si è svolto in due tempi: il primo, mediante un atto del 1945 che ha portato alla Costituzione dell’Organizzazione alcuni emendamenti necessari ed urgenti, che sono entrati in vigore nel settembre 1946. L’Atto di emendamento, a cui si riferisce il disegno di legge in discussione, è più ampio e porta altre modificazioni alla Costituzione, le quali si possono dividere in due gruppi: alcune di esse sono formali e tecniche, come è stato rilevato nelle due relazioni, ma ve ne è qualche altra, che io credo meriti di essere rilevata, prima che l’Assemblea Costituente passi al voto sul testo del disegno di legge.

Vi è infatti, qualche emendamento che non è di pura forma, ma che ha una importanza notevole. Io vorrei, in particolare, accennare ad un emendamento relativo al valore che viene a darsi, secondo la nuova Costituzione, alle convenzioni e alle raccomandazioni che sono adottate dalla Conferenza Generale del Lavoro. Secondo le norme finora vigenti, quando la Conferenza adottava un progetto di convenzione (così si diceva allora) o una raccomandazione, sorgeva bensì un obbligo nei singoli Stati membri, ma era un obbligo puramente formale, cioè quello di sottoporre tali atti all’esame degli organi competenti. Ora, la innovazione notevole che è stata introdotta su questo punto consiste in questo: che ogni Governo è tenuto verso l’Organizzazione a comunicare periodicamente le ragioni per le quali non ritiene di potere dar corso alle convenzioni o alle raccomandazioni. È evidente che questa norma ha una portata, se non giuridicamente molto importante, politicamente interessante, perché costituisce uno stimolo ai diversi Governi perché diano corso a ciò che la Conferenza del Lavoro ha adottato. In questo senso essa merita di essere rilevata, e credo di essere interprete di molti che siedono in questa Assemblea, nel salutare come felice questa innovazione. Aggiungo che questa innovazione si ricollega nello spirito ad una proposta, anche molto più ardita, che era stata fatta nel 1919 dalla Delegazione italiana nella Commissione che elaborò il testo della prima Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Ciò premesso, mi permetto di segnalare all’attenzione del Governo, in questo momento rappresentato dal Ministro della giustizia, una questione puramente formale, ed è questa: nel documento allegato al disegno di legge, i due atti internazionali, che ne formano oggetto, sono preceduti da una lettera. È la lettera burocratica con la quale l’Ufficio Internazionale del Lavoro ha trasmesso ai diversi Governi i testi dell’Atto di emendamento alla Costituzione e della convenzione che segue. Ora, è evidente che solo per una svista tale lettera è stata allegata al disegno di legge. La legge dovrà portare come allegato soltanto i testi dei due atti internazionali, ai quali essa dà piena ed intera esecuzione.

L’altra osservazione puramente formale, direi quasi tipografica, è questa: nel testo dell’Atto di emendamento allegato al disegno di legge, si trova, a pagina 32 del documento, il periodo che comincia con le parole: «En foi de quoi».

Questo periodo non deve figurare dove è stato stampato, perché non è il seguito della colonna sotto la quale è stato inserito. In realtà, questo periodo costituisce la chiusa degli articoli dell’Atto di emendamento che precedono l’annesso, che vi è inserito. Ora, stampandosi nella Gazzetta Ufficiale la legge che stiamo esaminando, quel periodo dovrà essere spostato e stampato in maniera che si veda qual è la sua posizione logica nell’Atto di emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere l’onorevole Relatore.

VILLANI, Relatore. Non posso che associarmi alle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi, soprattutto per quel che riguarda la parte da lui sottolineata, concernente l’importante innovazione alla quale ha fatto cenno nell’esame da lui fatto del testo che ci è stato sottoposto. Per quel che riguarda l’ultima considerazione fatta dall’onorevole Perassi, evidentemente si tratta di errore di stampa o meglio – direi – di impaginazione.

È evidente che in una legge, che è legge nostra, non può esservi accenno a quello che è l’organo che ce la ha consigliata; soprattutto, non ci può essere la firma del Presidente della Conferenza o del Direttore generale del Bureau: ragione per cui credo si possa accettare senz’altro il suggerimento dell’onorevole Perassi, ed approvare la legge così come ci è stata inviata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo non può che tener conto delle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi nella redazione della legge.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. È la prima lettera che bisogna togliere, non la firma del testo. Le firme del testo devono restare. È una questione di forma, che non ha molta importanza.

VILLANI, Relatore. La lettera non ha che un carattere informativo.

PRESIDENTE. Queste lettere non fanno parte del testo: sono materia d’informazione. Noi stiamo discutendo l’articolo 1, onorevole Perassi. In esso non è richiamato nessuno di questi documenti.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’articolo 1 del disegno di legge richiama gli atti internazionali, a cui si riferisce, e che devono essere pubblicati come parti integranti della legge. Quelle che ho fatto sono osservazioni puramente formali, che il Ministro Guardasigilli ha perfettamente intese.

VILLANI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VILLANI, Relatore. Vorrei far osservare che la legge che ci è sottoposta non consta che di due articoli; tutto il rimanente materiale non ha che carattere informativo: ragione per cui noi, approvando la legge, non facciamo che la sola cosa che ci è richiesta. Il rimanente, ripeto, ha carattere informativo e vale a spiegarci i motivi per cui ci è sottoposta la legge, che è stilata in due articoli.

PRESIDENTE. Se in uno degli articoli del testo del disegno di legge fossero stati inseriti i documenti ad esso allegati, allora queste osservazioni sarebbero pertinenti; ma così non è. Per la pubblicazione che il Governo dovrà fare del testo della Costituzione della Organizzazione Internazionale del Lavoro, le sue osservazioni sono utili; e il Governo dice infatti che ne terrà conto.

In questo momento l’Assemblea può dunque procedere alla votazione, indipendentemente dalla sua considerazione che non sarà comunque trascurata dal Governo, ma solo in un momento successivo, quando si tratterà di definire il testo di questi documenti, affinché costituiscano una base per l’attività dello Stato italiano.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Credo necessario ripetere che l’Atto di emendamento e la convenzione che segue devono figurare allegati alla legge che stiamo esaminando, come avviene per tutte le leggi che danno piena ed intera esecuzione a trattati internazionali.

PRESIDENTE. La sua osservazione, onorevole Perassi, vale per l’attività successiva da svolgersi da parte del Governo; ma essa non viene a modificare l’atto dell’Assemblea, che è limitato all’approvazione degli articoli 1 e 2 e del complesso del progetto di legge sottopostoci.

Comunque, il Governo, per bocca dell’onorevole Grassi, ha dato l’assicurazione richiesta.

Pongo in votazione l’articolo 1 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Comunicazione dei Presidente del Consiglio dei Ministri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di informare l’Assemblea che, con decreto del Capo provvisorio dello Stato in data 25 corrente, su mia proposta, di concerto col Ministro delle finanze, l’onorevole Piero Malvestiti, deputato all’Assemblea Costituente, è stato nominato Sottosegretario di Stato per le finanze.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947». (29).

Dichiaro aperta la discussione generale.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Al punto 16 dell’accordo è detto:

«Gli immigranti potranno effettuare liberamente le rimesse che desiderino al tasso di cambio che verrà stabilito a tempo opportuno».

Desidero sapere per quale ragione non sia stato stabilito fin da ora di quale tasso di cambio si tratti. Dopotutto è da sperare che non passi molto tempo, prima che gli emigrati siano in condizione di mandare danaro in Italia alle loro famiglie. A quale cambio ciò avverrà? A quello ufficiale del pesos? O forse ad uno più favorevole? Qui nulla si dice. Sicché domani si potrebbe avere in proposito anche qualche spiacevole sorpresa. Desidero, perciò, chiarimenti dal Ministro.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Presidente del Consiglio assicura in questo momento che trattative per il perfezionamento delle singole clausole sono ancora in corso.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data all’Accordo fra l’Italia e l’Argentina, in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal giorno dello scambio delle ratifiche».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Rubilli, Ne ha facoltà.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, per conto mio, sostengo il testo governativo, e mi dichiaro contrario alle modificazioni che sono state apportate, specialmente all’articolo 1, dalla Commissione. Queste modificazioni sono improntate ad un senso di asprezza, che io ritengo inopportuno ed assolutamente ingiustificato. Comprendo forse la bontà dei sentimenti a cui si sono informati i componenti della Commissione: impulsi patriottici, deprecazione del passato, monito per l’avvenire. Ma mi pare che la rievocazione di questi sentimenti sia inutile ed inopportuna a proposito della legge che viene al nostro esame.

Bisogna pure considerare che si tratta di una diecina di persone, forse anche un po’ di più, ma certo non molte, né moltissime, che a mio avviso debbono ritenersi tutte quante nelle identiche condizioni, perché alcuni senatori non vennero deferiti per la decadenza, e quindi si riconobbe l’integrità dei loro precedenti politici; altri, è vero, furono deferiti per la decadenza, ma sono stati completamente discriminati. Ed allora mi pare perciò che la condizione di questi secondi sia completamente identica alla condizione dei primi, perché essi sono stati discriminati, non in base a leggi fasciste, ma in base a leggi nostre, con giudizio delle nostre autorità democratiche, e questo giudizio noi abbiamo il dovere di rispettare. Quindi la condizione può ritenersi identica, tra quelli non denunziati e quelli discriminati. Si tratta, ripeto, di dieci, dodici, sia pure un po’ di più – non so bene – ma sempre di uomini politici di indiscusso valore personale: vi sono dei nomi che rispondono a quelli di Benedetto Croce, di Einaudi, di Sforza (il quale in questo momento rappresenta l’Italia all’estero, in Inghilterra), ed anche del nostro collega Bergamini e di altri presso a poco consimili. Non riesco a spiegarmi, di fronte a questi uomini, il senso di asprezza cui si è improntata la Commissione. Quali sono le ragioni per cui il Senato debba dichiararsi abolito? Su questo punto nessuna difficoltà. È una disposizione che può essere benissimo accolta ad unanimità, dopo le norme che abbiamo approvate sulla seconda Camera con la legge costituzionale.

Può sorgere divergenza solamente sulla condizione che deve esser fatta a questi pochissimi senatori i quali sono rimasti o perché non deferiti o perché discriminati.

Orbene, il capoverso dell’articolo 1 del testo governativo dice:

«I componenti del Senato perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica. Tuttavia hanno diritto al titolo di senatore onorario e conservano le attuali facilitazioni ferroviarie coloro che non furono deferiti all’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo per la dichiarazione di decadenza dalla carica o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza».

Queste sono state le due sole concessioni fatte dal Governo. Si potrà dire, dal punto di vista giuridico, che il titolo di senatore onorario è assai discutibile, perché il Senato di oggi e di domani sarà diverso dal Senato di prima, completamente anzi dissimile, e non ne è la continuazione. Quindi, è un nuovo Senato, è una nuova organizzazione a base elettiva. Però, conserva lo stesso nome: Senato è questo che verrà, Senato si chiamava anche quello che oggi viene completamente abolito. Ora, se in base a questa identità di denominazione il Governo ha creduto di concedere a poche persone il titolo di senatore onorario, perché ribellarsi a questo atto di deferenza, a questo atto di educazione politica, a questa dichiarazione di ben servito per quei senatori non proposti per la decadenza oppure completamente discriminati?

Io non me lo so spiegare. Quindi, ritengo che sia inopportuno respingere la proposta del Governo. Poteva il Governo non farla questa concessione, ma, una volta che l’ha fatta, il respingerla mi pare che sia compiere un atto sgarbato, assolutamente inutile e inopportuno per questi uomini che pure in gran parte onorano, hanno onorato e onoreranno la Nazione.

Che ci trovate di male, che c’è da ridire se questi che non sono più senatori in carica conservano almeno un titolo che vale quasi come un’onorificenza? Compiere un atto spiacevole, senza ragione, inutilmente. Diamo il titolo di senatori onorari, giacché è stato proposto. Se non fosse stato escogitato dal Governo, nessuno ci avrebbe pensato, ma toglierlo, dopo la proposta, mi pare inopportuno.

Vengo poi alla seconda concessione, sulla quale io richiamo tutta quanta l’attenzione dell’Assemblea, perché non solo il toglierla mi sembra inopportuno, non solo mi pare sgarbato, come dicevo poco fa per l’altra concessione puramente onorifica, ma costituirebbe un fatto assolutamente illegale, è una violazione di legge, che si può considerare come una specie di prepotenza. Non si capisce bene a questo punto quale sia il vero concetto della Commissione. Io ho stentato a comprenderlo, perché una parte dell’articolo proposto dalla Commissione elimina anche le facilitazioni ferroviarie, mentre in un punto della relazione è detto: «La Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro che la dizione «diritti inerenti alla carica», dei quali è dichiarata la decadenza, non dovesse comportare preclusione per la concessione delle facilitazioni di viaggio e dell’accesso alla sede del Senato».

Ed allora che cosa si deve fare? Il Governo ha dato, e voi togliete, poi tergiversate, oppure volete che la concessione rimanga, ma dopo una nuova legge che non si sa se sarà proposta ed approvata. Né basta; perché di seguito la Commissione, quasi pentita, rilascia a questi Senatori un biglietto di raccomandazione per il Governo, perché il Governo estenda ad essi le facilitazioni ferroviarie, cosicché il Governo gliele ha date, voi le togliete e nello stesso tempo raccomandate la concessione, in un ordine del giorno che proponete all’approvazione dell’Assemblea. Io non vi capisco affatto.

BOZZI, Relatore. Glielo spiegherò io, onorevole Rubilli.

RUBILLI. Lasciamo stare le parole che potrete dire, ma nella sostanza voi l’avete tolta questa facilitazione, mentre nel testo governativo c’era. Ora, questo provvedimento che proponete, a mio modesto avviso, è illegale, perché rappresenta una violazione di un diritto già acquisito.

Il senatore quando è stato regolarmente nominato, è stato nominato in base alle nostre leggi. Orbene, se in base alle nostre leggi, a leggi democratiche, i senatori, in virtù della nomina, avevano acquisito la permanente facilitazione ferroviaria, voi vedete che ci volete indurre alla violazione di un diritto, la quale diventa un atto che rasenta la prepotenza. Molti sono anziani e non viaggiano nemmeno. È quindi una questione più di forma che di altro. Io vedo perciò in questo un senso di dispregio che non è opportuno, né può dirsi giustificato. Ed è tanto vero che si tratta di un diritto acquisito che, per toglierlo, avete bisogno di una legge che altrimenti sarebbe inutile, perché non occorrerebbe alcuna legge per sopprimere le facilitazioni ferroviarie, se queste fossero connesse all’esercizio della carica, quando la carica è abolita. E voi stessi della Commissione formulate l’articolo dicendo che gli ex senatori perdono i loro diritti; adunque si tratta di una vera e propria sanzione punitiva.

Badate però che così fece il fascismo compiendo un atto del tutto identico, quando si istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni. Prima si era di già imposta una tassa che non era nella legge e ad ogni modo gli ex deputati che avevano acquistato diritto alla tessera permanente ferroviaria si rassegnarono a pagarla, cosicché nel dicembre di ogni anno si mandava con vaglia alla Direzione Generale delle Ferrovie la somma richiesta, e si aveva la tessera di libera circolazione ferroviaria. Con l’istituzione poi della detta Camera dei fasci e delle corporazioni, gli ex deputati mandarono i vaglia, ma passarono dicembre, gennaio, febbraio e le tessere non arrivarono. Gli ex deputati protestarono alla Direzione generale delle ferrovie e questa rispose: noi siamo completamente in regola secondo la legge, perché abbiamo compilato le tessere e le abbiamo mandate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Quindi abbiamo fatto quello che occorreva. Poi si seppe che le tessere erano state fermate personalmente dal Capo del Governo, il quale, si capisce, aveva delle questioni personali verso gli ex deputati.

GASPAROTTO. Ma nessuno di noi protestò!

RUBILLI. Nessuno protestò; facemmo bene a non protestare. E fra i tanti atti di prepotenza, subimmo anche questo. Anzi si seppe che, ad onta delle insistenze di quelli che stavano attorno al Capo del Governo, questi rimase irremovibile, e, per suo ordine, le tessere non vennero più concesse, e nemmeno fu restituita la tassa, sia anche ciò detto qui incidentalmente.

Alcuni volevano persino ricorrere al Consiglio di Stato per la violazione della legge. Però più prudentemente io dissi: «Che Consiglio di Stato, che Corte dei Conti od altro! Qui non esiste più niente, che volete fare?».

Ora, onorevoli colleghi, per i Senatori la legge stabilisce queste facilitazioni ferroviarie e per legge sono date; per quale ragione, mi domando, vogliamo noi oggi violare la legge? (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma perché debbono viaggiare?

RUBILLI. Viaggino o non viaggino, poco importa, ma è certo che la concessione deriva dalla legge, la quale stabiliva che il Senatore, appena nominato, acquistava diritto alla permanente facilitazione ferroviaria…

COSTANTINI. Abrogate anche quella legge, e così andrà bene!

RUBILLI. Voi potete abolire e distruggere tutte le leggi come meglio vi pare, ma a me sembra che la proposta della Commissione possa anche rappresentare un atto di pura marca fascista (Proteste a sinistra), ed io non credo assolutamente che un atto simile possa emanarsi dalla democratica nostra Assemblea Costituente! (Applausi al centro e a destra).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle proposte ed alle considerazioni dell’onorevole Rubilli.

Per quanto riguarda il titolo di senatori onorari, faccio osservare che è anche consigliabile che i vecchi senatori abbiano questo titolo perché, altrimenti, nessuno – per esempio – potrebbe impedir loro di scrivere sulla loro carta da visita: senatore del regno d’Italia. (Commenti).

Una voce a sinistra. Dell’ex regno d’Italia!

RUSSO PEREZ. Nessuno potrebbe impedire loro questo e anche di aggiungere, intelligentemente, il millesimo in cui furono nominati e il millesimo in cui furono deposti, perché quello che spesso qui non si ricorda è che le leggi non aboliscono la storia!

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io voterò contro questa legge, non per omaggio al glorioso istituto che oggi formalmente si sopprime, perché, pur votando la soppressione – ormai necessaria – si potrebbe ugualmente rendere omaggio a quello che questo istituto ha significato nella storia d’Italia. Ma voterò contro perché disapprovo pienamente l’occasio legis, che è poi la causa essenziale di questa legge. L’occasio legis, che si converte qui in causa legis, l’abbiamo appresa dalla stessa parola del Guardasigilli: fu pubblicata una sentenza della Corte di cassazione che annullava le decisioni dell’Alta Corte di Giustizia che dichiaravano decaduti dalla carica 32 senatori; e molti altri senatori si apprestavano a richiedere la stessa riparazione di legge. E allora, non potendosi annullare la sentenza della Cassazione in base alla quale quei senatori ritornavano nel Senato dal quale erano stati incostituzionalmente esclusi, si annulla il Senato.

Questo è un caso gravissimo di sviamento del potere legislativo (Commenti a sinistra): il legislativo, non potendo distruggere una sentenza, distrugge l’istituto e crea una grave ingiustizia, perché già da questa legge si prevede un trattamento favorevole per i senatori che ebbero la fortuna di vedere respinta dall’Alta Corte di Giustizia l’accusa dell’Alto Commissario per le sanzioni, rispetto a quello che si vuol fare a danno di quei senatori che non ottennero invece la discrimina.

Adesso noi poniamo un certo numero di cittadini, indubbiamente ragguardevoli, se non per numero, per la qualità, nella situazione di non potere aver giustizia, perché, avendo cessato di funzionare l’Alta Corte di Giustizia, essa non può più respingere quelle accuse. Il Senato, che sarebbe stato l’unica legittima Alta Corte di Giustizia, più non c’è e questi cittadini debbono rimanere sotto il peso di un’accusa non giudicata, debbono rassegnarsi ad un brutale diniego di giustizia, solo perché hanno avuto la sventura di essere senatori.

È chiaro che questa non è se non un’ennesima violazione di giustizia che si fa per scopi di parte, ed io protesto solennemente. (Applausi a destra – Commenti).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho l’impressione che questa legge, di limitatissime proporzioni, venga drammatizzata in questa Assemblea per finalità esclusivamente politiche e, soprattutto, per sentimentalità o residui di sentimentalità monarchiche, come abbiamo testé avuto modo di constatare da parte dell’onorevole Condorelli, il quale non difende il Senato in sé e per sé, come Camera legislativa, ma lo difende come sopravvivenza di quella monarchia che oggi non c’è più e che egli ancora ama.

Signori! Per me, la questione può essere limitata a una breve proposizione: può oggi l’Assemblea Costituente, che è sovrana e che ha tutti i poteri legislativi, fare una legge la quale annulli, estingua quell’organismo che si chiamava Senato del Regno? A questo riguardo, io sono dell’opinione di Pitt: il Parlamento può tutto, caro onorevole Condorelli, tranne che cambiare un uomo in donna.

CONDORELLI. Lo scriva in una legge, questo.

COSTANTINI. Il Parlamento può tutto, nel campo legislativo, in quanto è espressione democratica della volontà popolare. Ed è soprattutto dopo una catastrofe alla quale noi dobbiamo ancora rimediare che questo speciale Parlamento ha il diritto e il dovere di guardare al passato. Ma, intendiamoci: qui si esorbita, si esce dal terreno concreto, si esula dai termini essenziali della questione.

Sulla potestà legislativa dell’Assemblea in questa materia, per conto mio, non vi può essere dubbio: e allora, se non vi può essere dubbio, la questione si riduce a un semplice problema di opportunità. Quando io sento l’amico onorevole Rubilli, il quale mi parla di un atto di prepotenza simile a quelli che ha compiuto il fascismo, io mi meraviglio, conoscendo l’onorevole Rubidi intimamente, che un simile raffronto sia proprio partito da lui. Quando sento che noi commetteremmo un atto sgarbato e senza motivo, io mi domando perché debba essere sgarbato, se gli ex senatori, da Sforza all’onorevole Bergamini, a Benedetto Croce, sono ancora oggi nel democratico Parlamento italiano, nell’interezza, nella pienezza non solo della loro funzione, ma anche del loro prestigio.

E allora, onorevole Rubilli, se riteniamo di dover stabilire la soppressione del Senato del Regno, lo riteniamo indipendentemente dalle persone che lo compongono, in quanto è come «istituto» che esso viene a decadere.

Senta, onorevole Rubilli, che cosa vuole che importi questo titolo di «senatore onorario», che non esiste né nella tradizione né nella legge? Senatori o si è o non si è. Sciolto il Senato regio, non si è più senatori; e, caro onorevole Russo Perez, se qualcuno, come credete, avesse delle velleità, potrà anche mettere sul proprio biglietto da visita: «ex senatore del regno»: farà ridere parecchi; commuoverà altri: il fatto però non avrà molta importanza.

Passando dalla definizione di senatore onorario a quell’altra questione, quella delle facilitazioni ferroviarie, via, è un immeschinire la questione con una tessera permanente di circolazione! Lasciate perdere!

RUBILLI. Non per il vantaggio materiale, ma per il significato morale! (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Onorevole Rubilli, non dica questo: significato morale il montare in treno senza pagare il biglietto? Non credo che acquisti in dignità quell’ex senatore il quale potesse avere riconosciuta questa facoltà, come lei richiede!

Ma la Commissione, con senso di larghezza e, direi anche, di generosità, proponendoci il testo del disegno di legge da approvare (e forse, forse non è inesatto che vi sia una specie di contradizione là dove invita con un ordine del giorno il Governo a provvedere al riguardo) ha avuto anche la prudenza di dire: «Lasciamo al Governo di regolare questa questione nel modo che riterrà più opportuno». Lasciamo, direi io, ai nuovi senatori – ed è anche giusto – di stabilire se gli ex senatori, compresi in specifiche categorie, avranno o no il diritto di accedere alla sede del Senato!

E allora, onorevoli colleghi, non avviliamo la faccenda; teniamoci press a poco a quelle che sono le posizioni di principio. No, io non credo che ciò si debba fare per un atto di ripicca contro una sentenza della Cassazione, ma per un dovere che ci è imposto in quanto organismo democratico dell’Italia repubblicana, noi dobbiamo stabilire la soppressione del Senato. Stabiliamola, e non avremo per nulla a pentircene, caro Rubilli; e i vecchi senatori che sono ancora al mondo e costituiscono una gloria della nostra civiltà, e un’illustrazione della scienza, non abbia paura, potranno democraticamente essere rieletti e riprendere onorificamente, e questa volta per volontà di popolo, il loro posto in un’Assemblea repubblicana e veramente democratica. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

BOZZI, Relatore. L’onorevole Rubilli, come avete inteso, ha mosso delle aspre critiche agli emendamenti proposti dalla Commissione al testo di legge governativo. Egli ha parlato di un senso di asprezza che avrebbe animato i membri della Commissione contro i senatori, ha accennato quanto meno ad un provvedimento inopportuno, ha infine dichiarato i nostri emendamenti espressione di una prepotenza di marca fascista.

Io vorrei rassicurare l’onorevole Rubilli che i sentimenti e i ragionamenti che hanno condotto tutti i membri della Commissione nel dibattito, che è stato largo e anche approfondito, sono stati sentimenti e ragionamenti improntati alla massima obiettività e intonati alla insopprimibile esigenza di questo momento storico, nonché alla natura e ai connotati propri di una legge costituzionale, quale è quella che è presentata alla nostra approvazione.

Cosa propone il disegno di legge del Governo?

Dice che il Senato è soppresso, ed in conseguenza di questa soppressione decadono, per una necessità logica e giuridica imprescindibile, le guarentigie, le prerogative e i diritti che competevano ai Senatori.

Credo che su questo punto nessuna obiezione da alcuna parte possa esser mossa, salvo che alcuno non voglia sostenere che debba o possa sopravvivere il Senato del regno.

Ma il Governo a questa proposizione prima, fondamentale: soppressione del Senato regio e decadenza dei membri di esso dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica, ne aggiunge un’altra e dice: i senatori che non furono mai deferiti all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, o che, a questa deferiti, furono dichiarati non decaduti, per i quali cioè la proposta di decadenza non fu accolta (o, soggiungo io, accolta in un primo momento, fu dalla stessa Alta Corte di Giustizia in un secondo momento revocata), queste due categorie di senatori acquisiscono il titolo di senatori onorari e conservano alcune concessioni.

La questione principale, secondo il punto di vista della Commissione, s’incentra in questa qualifica che alcuni vorrebbero attribuire ai non deferiti, o non decaduti: senatori onorari!

Ora, onorevole Rubilli, la Commissione ha tenuto presente che vi erano codeste due categorie, e ha ritenuto che esse non potessero essere assimilabili a quelle dei Senatori dichiarati decaduti. Ma questa considerazione la Commissione ha ritenuto che dovesse farsi a tutt’altro fine, per la estimazione da parte dell’opinione pubblica, e per altre provvidenze, come quella se possa competere a tutti gli ex senatori o soltanto ad alcuni il diritto dall’elettorato attivo. E oggi vediamo che il senatore Bergamini è qui nell’Assemblea Costituente, il senatore Einaudi è membro del Governo e il senatore De Nicola è Presidente della Repubblica, perché si è considerato che di questa categoria di senatori dovesse esser fatto un apprezzamento particolare.

Ma, una volta soppresso il Senato regio, dal momento che quest’organo non esiste più, con quali vincoli, sia pure onorari, sia pure ideali noi potremmo collegare questi ex senatori, degni della massima considerazione, ad un organo che più non esiste, dico di più: ad un organo superato storicamente?

Domani, sì, vi sarà un Senato, onorevole Rubilli, ma sarà un Senato impostato tutto su una base diversa, strutturale e funzionale. Non sarà Senato del regno, ma sarà Senato della Repubblica, non sarà nominato dall’alto, ma sarà eletto dal popolo, avrà tutta una fisonomia propria; non sarà più a vita, ma sarà di durata limitata nel tempo.

E allora questi ex senatori regi come potremo collegarli – se non con uno sforzo che – sarebbe anacronistico – ad un’istituzione soppressa, decaduta e, quel che più conta, superata storicamente?

Con questo noi non abbiamo voluto negare il dovuto rispetto a categorie che rispetto meritavano e meritano ancora, ma per tutt’altro ordine di considerazioni. Di fronte ad un organo soppresso, in sostanza, non vi può essere più sopravvivenza di sorta, anche soltanto onoraria. Non vi può essere distinzione! Per altri scopi potranno essere fatte distinzioni, ma non mai in funzione di questa legge e in questa sede! Perciò non abbiamo voluto fare nessuna discriminazione, in omaggio a valutazioni obiettive, che vorrei dire di piena ortodossia giuridica Costituzionale.

E poi viene la questione delle concessioni. Dice l’onorevole Rubilli: voi avete violato un diritto quesito, voi avete compiuto un atto di prepotenza..

Ma, onorevole Rubilli, io mi appello al suo senso giuridico. Ma quali diritti quesiti? Se vi era un diritto, questo diritto era inerente ad una carica, ad una funzione, non era un diritto che vivesse a sé, autonomo: esso spettava al senatore in quanto tale, in quanto facesse parte di un organo a cui erano demandate talune funzioni; ma, venuta meno questa carica, queste funzioni, non poteva naturalmente, non decadere quell’accessorio diritto (Interruzione del deputato Rubilli). Quindi, non potevano non decadere anche questi minori diritti, onorevole Rubilli. (Interruzione del deputalo Rubilli).

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, per favore, non interrompa.

BOZZI, Relatore. Il fatto, onorevole Rubilli, che questi diritti fossero consacrati in una legge, non ha nessun significato e perciò non possiamo parlare di diritti quesiti: figura del resto assai discussa in sede di diritto pubblico, e costituzionale in ispecie.

Ma, a parte questo, il principio che ci ha guidato, era questo: la concessione ferroviaria era un diritto, sì, ma un diritto connesso ed inerente ad una determinata carica, ad una determinata funzione. Cessata questa carica, cessata questa funzione, il diritto svanisce.

E non abbiamo voluto ammettere codeste agevolazioni ferroviarie, anche per due altre considerazioni, la prima delle quali è questa: non abbiamo voluto avvilire una legge costituzionale, che deve anche avere una certa solennità ed una certa dignità, con l’inserirvi la menzione della concessione di biglietti ferroviari. Noi avremmo svilito il contenuto della legge costituzionale, che ha una portata storica.

E poi c’è una considerazione più profonda, onorevole Rubilli. Se noi avessimo inserito la concessione di diritti ferroviari in questa norma, noi avremmo dato a questi senatori onorari un diritto garantito da una legge costituzionale, perché oggi noi non votiamo una legge ordinaria, ma una legge costituzionale, cioè un diritto più forte e meglio garantito di quello che abbiamo noi, e che hanno gli ex deputati.

Sicché, se per avventura, domani questa concessione ferroviaria ai senatori onorari si fosse voluta modificare, limitarla o estenderla, noi avremmo dovuto adottare la procedura per la revisione costituzionale. Si arriverebbe a questa stortura giuridica: che il diritto a viaggiare gratuitamente agli ex senatori sarebbe spettato per una norma costituzionale, con tutte le conseguenze giuridiche che da ciò scaturiscono. Perciò non ne abbiamo parlato. Ed allora che cosa abbiamo detto? Si vogliono fare queste agevolazioni? Si facciano, ma si facciano secondo le vie normali della legge ordinaria. Le concessioni ai deputati e ad altre categorie sono previste da una legge ordinaria: l’ultima edizione è una legge del 1941, che è citata nella relazione. Abbiamo, in conseguenza, proposto questo al Governo: se volete concedere agevolazioni ferroviarie, noi siamo d’accordo con voi; la maggioranza della Commissione è d’accordo; ma dovete farlo con una legge ordinaria, secondo la normale procedura che si adotta per questo genere di concessioni. Quindi, come l’onorevole Rubilli e gli altri colleghi vedono, la Commissione si è mantenuta su un filo rigoroso di logica generale e di logica giuridica costituzionale. Non sentimenti di asprezza, ma nemmeno sentimenti di tenerezza: vorrei dire, una valutazione obiettiva della situazione. È questa la ratio che giustifica l’emendamento che noi abbiamo proposto. Per quanto poi riguardano le critiche dell’onorevole Condorelli ad esse è stato già risposto.

Esse vanno assai lontano. Io vorrei ricordare all’onorevole Condorelli che vi è già una legge che fa cessare il Senato dalle sue funzioni. E questo atto, che noi siamo chiamati ad esaminare, non è altro che una conseguenza, non è altro che lo scioglimento di una riserva che era contenuta in quella legge. D’altra parte, onorevole Condorelli, il Senato del Regno, può dispiacere, ma è finito. Questo è un dato storico che è anche giuridico e comporta certe conseguenze di fronte alle quali bisogna piegarsi.

Per quanto attiene alle sentenze della Cassazione, non sarà sfuggito, al senso giuridico dell’onorevole Condorelli che né nell’emendamento del Ministro e ancora meno nell’emendamento della Commissione, si fa alcun richiamo alla sentenza della Cassazione. Anche per questo, l’emendamento proposto dalla Commissione si raccomanda, secondo il mio punto di vista, all’approvazione da parte dell’Assemblea. (Applausi).

BERGAMINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. L’onorevole Bozzi accenna, nella relazione, alla frequentazione del palazzo del Senato. Mi pare che ciò, dal punto di vista morale, sia molto più importante delle concessioni ferroviarie, che sono un favore materiale. Per i senatori che hanno frequentato il Senato per vent’anni durante il fascismo e ne hanno subito tutte le umiliazioni, credo che moralmente sarebbe molto più importante potere frequentare il Senato che avere il famoso biglietto ferroviario.

BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI, Relatore. Quanto ha detto l’onorevole Bergamini è una considerazione che la Commissione ha tenuto presente, ma non ne ha fatto menzione nell’ordine del giorno, perché quell’ordine del giorno ha per destinatario il Governo. Nel progetto del Governo non si fa menzione del diritto di accesso da parte degli ex senatori alla sede del Senato. Noi lo abbiamo detto nella relazione, ma crediamo che ciò costituisca materia di competenza del Senato medesimo. Potrà nel Regolamento e dovrà, secondo il mio personale punto di vista, essere riconosciuto il diritto a codeste categorie di ex senatori di frequentare la sede del Senato. Ma non credo che il Governo e noi possiamo votare una legge che stabilisca questo diritto. Comunque, assicuro l’onorevole Bergamini nel senso che noi abbiamo avuto per primi il pensiero di concedere questo diritto e abbiamo creduto che esso dovesse essere consacrato nel Regolamento del nuovo Senato.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego gli onorevoli colleghi di considerare che questo disegno di legge è stato dal Governo proposto in quanto conseguenza diretta del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, col quale si dispose che il Senato cessasse dalle sue funzioni con decorrenza 25 giugno di detto anno, ossia il giorno che coincideva con la convocazione di questa Assemblea Costituente. E nello stesso decreto si lasciava all’Assemblea Costituente la decisione sulla situazione giuridica personale dei Senatori. Questa è la premessa dell’attuale legge, che non costituisce quindi un fatto nuovo. È una continuazione, uno svolgimento di avvenimenti e di effetti giuridici che si sono iniziati con l’Assemblea Costituente la quale, entrando in funzione, sopprimeva di fatto le Assemblee legislative preesistenti con lo Statuto albertino. Questa è la situazione di fatto. Non solo, ma io credo che nelle intenzioni del Governo, il quale dispose quel provvedimento legislativo, c’era il concetto che il Senato fosse soppresso. Le parole «cessato nelle sue funzioni» furono invece, nella pratica attuazione, interpretate come la cessazione di funzioni legislative, ma i componenti del Senato continuarono a considerarsi ancora senatori in tutte le funzioni che non fossero legislative, tanto è vero che, così come dissi altra volta all’Assemblea e così come ripete oggi la relazione dell’onorevole Bozzi, il Senato continuò a considerarsi ancora organo giurisdizionale. Quindi l’Alta Corte di Giustizia, nel campo del Senato, continuò a funzionare, e non soltanto per qualche contravvenzione, ma anche per qualche cosa di molto più grave. Questa è la situazione giuridica.

Quindi era necessario, indispensabile che il giorno in cui l’Assemblea Costituente avesse istituito il Senato della Repubblica, si dichiarasse in forma solenne che il Senato albertino era soppresso. Mi pare che questo sia nel compito dell’Assemblea Costituente, e quindi credo che il Governo, presentando questo disegno di legge, non abbia fatto che agire in conformità della legge. Su questo primo punto non ci dovrebbero essere discussioni, non ci dovrebbero essere discordanze, non ci dovrebbero essere interpretazioni diverse. Che cosa ha inteso fare il Governo con la seconda parte, che è stata modificata dalla Commissione? Siccome quello stesso provvedimento diceva che la posizione personale dei senatori sarebbe stata regolata dall’Assemblea Costituente, ha ritenuto di dover dare ad alcune categorie di senatori (ai quali ha accennato l’onorevole Bergamini, e di cui egli stesso è un esemplare: ossia una categoria che era stata discriminata) qualche distinzione nella posizione giuridica, in quanto che si capisce, come l’onorevole Bozzi ha detto e come è logico, dalla soppressione viene la decadenza dei senatori da tutti i loro privilegi, guarentigie e diritti.

L’Assemblea ritiene o non ritiene di fare questa distinzione? Il Governo si rimette a quello che l’Assemblea deciderà.

Quindi, il fatto di essere senatori o senatori onorari era una delle distinzioni che il Governo credeva di proporre all’Assemblea. L’onorevole Bozzi dice: «Ma la distinzione di queste persone non c’è bisogno che venga dalla lettera della legge: viene dai fatti e dalla storia». È vero, peraltro, che vi sono le decisioni di una Alta Corte di Giustizia, di cui ha fatto parte il Presidente dell’Assemblea, che ha ritenuto che alcuni senatori fossero ancora degni di non essere dichiarati decaduti. In fondo, è oggi che li dichiariamo decaduti, perché in un certo momento c’è stata la distinzione fra senatori decaduti e non decaduti.

Oggi, con questa legge, sopprimendo il Senato, sciogliamo la riserva nei confronti giuridici dei senatori e li dichiariamo tutti decaduti. Ora, si dice: «È possibile che confondiate gli uni con gli altri?». All’Assemblea spetta questa decisione.

Ad ogni modo, questa è la portata del senso giuridico del provvedimento del Governo.

Per quanto riguarda le agevolazioni ferroviarie, possiamo essere d’accordo che, invece di metterle in questa legge, si potrà provvedere con un decreto legislativo. Il Governo ha creduto sempre di deferire all’Assemblea maggiori poteri. Non vedo nessuna difficoltà che si possa decidere per legge la possibilità di dare queste facilitazioni ferroviarie.

Il Governo, ripeto, non ha difficoltà, se l’Assemblea ritiene di approvare l’emendamento proposto dalla Commissione, di seguire la Commissione in questa sua volontà, in quanto che si rimette alla sovranità dell’Assemblea.

Per quanto si riferisce all’articolo 2, che l’onorevole Bozzi non ha precisato, vorrei pregare la Commissione di riflettere sulla portata di questo articolo che io non conoscevo. Ivi è detto: «Restano ferme le disposizioni del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 settembre 1946, n. 117», ritenendo in questa maniera di aver detto la stessa cosa in una forma tecnico-legislativa più esatta – dice l’onorevole relatore – della formula presentata dal Governo.

Tengo a far presente all’onorevole relatore, alla Commissione e all’Assemblea che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, 6 settembre, all’articolo 1 diceva: «I servizi amministrativi del Senato sono affidati ad un Commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Commissario esercita a tal fine attribuzioni già spettanti al Presidente del Senato».

Ora, noi non abbiamo ritenuto sufficiente questo, perché non c’era, in questo decreto, nessuna indicazione della durata dei poteri. Quindi abbiamo ritenuto più esatto – anzi necessario – stabilire che, fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee o, per lo meno, fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, «I servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un Commissario, ecc.».

È una questione di tecnica legislativa.

Ma c’è ancora di più. Si è ritenuto, nella pratica, che questo decreto legislativo non fosse sufficiente a stabilire i poteri del Commissario, perché gli attribuiva soltanto le funzioni spettanti al Presidente, mentre era necessario aggiungere anche quelle del Consiglio di Presidenza; anzi, nella pratica, quasi tutte le funzioni appartengono al Consiglio di Presidenza.

Per queste due ragioni, di limite e di competenza del Commissario, e per altre, che per ragioni di tecnica giuridica preferisco non riferire, ritengo sia meglio stabilire questi poteri con legge costituzionale.

Pertanto, prego la Commissione di rifarsi al testo governativo. Comunque, mi rimetto al voto dell’Assemblea.

BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI, Relatore. Le due categorie di ex senatori, alle quali fa riferimento l’articolo 1 del disegno governativo, non sono costituite, come ritiene l’onorevole Rubilli, da dieci o dodici persone. La categoria dei senatori non denunziati all’Alta Corte per le sanzioni contro il fascismo, per la dichiarazione di decadenza dalla carica, consta oggi di dodici senatori. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte respinse in prima istanza la proposta di decadenza (categoria alla quale si riferisce anche l’articolo 1 del disegno governativo) consta di 80 persone, alcune delle quali decedute. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte in un primo tempo pronunziò la decadenza e poi revocò essa stessa tale pronunzia, categoria che non si potrebbe non equiparare alla prima, consta di 19 persone, alcune delle quali decedute; in tutto, quindi, più di 100 persone.

D’altra parte, volevo dire, completando quanto ho dichiarato poco fa, che nella legge del 1944 per le sanzioni contro il fascismo, l’articolo 8 prevedeva il procedimento dell’Alta Corte, che portava eventualmente alla pronunzia di decadenza; questa procedura speciale nei confronti dei senatori fu instaurata perché ancora vigeva la monarchia. Il referendum era una cosa lontana, e non si sapeva se esso avrebbe potuto confermare la monarchia o portare alla Repubblica; quindi, in previsione di questo evento, si fece luogo un giudizio di epurazione o di selezione politica. Una volta che il popolo si è pronunziato per la Repubblica, questa selezione politica, fatta a quei determinati fini, non ha più ragione d’essere.

Per l’articolo 2 la Commissione, come è chiarito nella relazione, aveva avuto presenti le due fonti giuridiche, dalle quali derivano i poteri dell’attuale Commissario, ma aveva creduto, per ragioni che essa ha interpretato di più esatta tecnica legislativa, che potesse essere consigliata la formula dell’emendamento.

Tuttavia sull’articolo 2 non insistiamo e accettiamo il testo proposto dal Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea, nel deliberare la soppressione del Senato, non dimentica quelli dei suoi membri che seppero tenere testa al governo fascista». (Commenti).

Questo ordine del giorno deve essere votato prima del passaggio all’esame degli articoli.

CONTI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Non voterò questo ordine del giorno, perché ritengo che i senatori non dovevano tener testa al fascismo ed a Mussolini, ma dovevano tener testa al re, che tradì la Nazione. (Commenti a destra – Applausi a sinistra).

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Propongo il seguente emendamento all’ordine del giorno dell’onorevole Nobile: «Mantennero alte la dignità e la indipendenza della carica».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSÒ PEREZ. Voterò contro il testo dell’onorevole Nobile, per la dizione: «tener testa» che mi sembra poco seria e per l’enorme difficoltà di scoprire le teste che tennero testa.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Dichiaro di accettare l’emendamento dell’onorevole Clerici.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro che voterò contro qualsiasi ordine del giorno perché noi, e prima di noi il Paese, conosciamo nome per nome, persona per persona, quelli che hanno tenuto fede alle proprie idee ed un ordine del giorno di questo genere platonico, non so se sarebbe conforme alla dignità di questa Assemblea. (Applausi a sinistra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. A me è sembrato, onorevoli colleghi, che, nel momento in cui con tanta solennità sta per venir soppressa una Assemblea la quale era già soppressa di fatto e morta nel cuore degli italiani da venti anni, noi non avremmo potuto dimenticare coloro che seppero resistere nel Senato al fascismo. Pochi uomini, che si contano sulle punte delle dita: alcuni li ha nominati il collega Rubilli, altri sono meno noti. Qualcuno di essi anche non è più. Comunque, non dovremmo dimenticarli. È un tributo di riconoscimento per la dignità con cui essi seppero difendere il regime democratico, in mezzo alla generale viltà di quel tempo. In questo momento, in questa Assemblea, bisognava dare loro un segno di riconoscimento.

Non insisto sull’ordine del giorno dal momento che ritengo e penso, anche dalle dichiarazioni fatte da alcuni dei nostri colleghi, che in sostanza essi condividono questo mio sentimento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Passiamo ora all’esame degli articoli. Comunico che l’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta che la discussione avvenga per l’articolo 1 sul testo della Commissione e per gli articoli 2 e 3 sul testo del Governo.

Si dia lettura dell’articolo 1 nel testo della Commissione.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso.

«Gli ex senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Conti ha proposto un emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Le guarentigie, le prerogative e i diritti degli ex senatori cessano col cessare delle funzioni».

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CONTI. Ho voluto eliminare la parola «perdono», che mi sembra implichi il concetto di una sanzione. Noi siamo cavallereschi. Eliminiamo il «perdono» ed esprimiamoci nella forma che ho proposto.

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, è inutile dirvi che il Gruppo repubblicano voterà il testo presentato dalla Commissione e in questo momento accettato dal Governo.

Le ragioni sono evidenti: ragioni giuridiche che risalgono allo spirito del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48; vi è poi, la deliberazione già presa dalla Assemblea Costituente l’altra sera, quando essa a proposito dell’articolo 52, ha affermato che il Parlamento è costituito non solo dalla Camera dei Deputati ma anche dal Senato della Repubblica. Ma ci sono anche delle ragioni politiche e morali. Io ho sentito da alcuni banchi sorgere delle proteste, quasi nostalgie di un passato che non ritorna più. Evidentemente, qualcuno di questa Assemblea dimentica che c’è stata una data che ha modificato sostanzialmente la storia e penso la vita del popolo italiano: quella del 2 giugno 1946. Oggi siamo in regime repubblicano e questo non si può e non si deve dimenticare. Tutto quello che costituisce residuo del passato deve essere eliminato. Badate: non è senza significato che la data in cui noi discutiamo ed approviamo questo disegno di legge che sopprime una istituzione di privilegi coincide con un’altra data che non è certo storica, ma che costituisce l’umiliazione e la vergogna d’Italia: il 28 ottobre, che il Senato regio cercò di valorizzare col suo servilismo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore il parere della Commissione.

BOZZI, Relatore. Noi accentiamo la proposta dell’onorevole Conti limitatamente alla sostituzione della parola «perdono» con la parola «decadono». Pertanto il testo diventa il seguente:

«Gli ex senatori decadono dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica».

PRESIDENTE. L’onorevole Conti accetta questa modifica?

CONTI. L’accetto.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro il capoverso dell’articolo 1, perché non ho nessuna disposizione alla criptografia, e trovo che quando il capoverso dice molto esplicitamente che i «senatori cessano dalle guarentigie, prerogative e diritti inerenti alla loro carica» ciò è in perfetta contraddizione con le dichiarazioni della Commissione, dove è detto che la Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro (e secondo me, risulta il contrario) che la dizione «diritti inerenti alla carica» non dovesse comportare preclusione per le facilitazioni di viaggio ed accesso alla sede del Senato. Ora, queste sonò prerogative e diritti che un certo numero di senatori ha piena ragione di veder rispettati senza equivoci.

Gli onorevoli commissari proponenti dicono che non intendono pregiudicare questa situazione di cose, mentre secondo me ciò è escluso dal testo della legge.

Vi è poi l’argomento dell’onorevole Bozzi, il quale dice: badate, siccome noi facciamo una legge solenne costituzionale, non intendiamo con questo precludere l’esercizio del potete legislativo ordinario il quale faccia una leggina per consentire queste facilitazioni. L’argomento mi pare non solo erroneo ma rovesciabile, perché se questa legge costituzionale è incompatibile (come è chiaro che è incompatibile) con la leggina ordinaria di là da venire, vieta essa al potere legislativo ordinario di dare quelle tali concessioni e fare quelle tali facilitazioni. A meno che la legge costituzionale non dica: «salvo le facilitazioni e le agevolazioni, ecc., che saranno concesse o revocate con legge» e cioè con legge ordinaria.

Allora il discorso diventa chiaro, mentre oggi si ha proprio il contrario della chiarezza, e insisto nel far considerare all’Assemblea che questa dichiarazione della Commissione dal punto di vista logico è assolutamente criptografica, perché dice il contrario di quello che noi siamo invitati a votare.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò contro il primo comma proposto dalla Commissione, unicamente per una questione di forma: perché ritengo che sia più corretto il testo del Governo. Infatti la dizione: «il Senato cessa dalle funzioni» non mi pare esatta.

Quanto al secondo comma, voterò contro la formulazione della Commissione e mi dichiaro favorevole al testo del Governo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, in correlazione a quanto detto in sede di Commissione, che voterò a favore del principio di cessazione di un istituto, legato ad una struttura costituzionale superata dall’avvento di una nuova e diversa struttura.

Questo per quanto riguarda l’organo.

Per quanto riguarda le persone, dichiaro di votare a favore del testo della Commissione e non del testo originario del Governo – mi pare che il testo della Commissione sia del resto accettato dal Governo stesso – per questa duplice ragione. Per quanto riguarda le agevolazioni personali relative a titoli o a riconoscimenti onorari, sembra evidente che, pure con quel tributo di riconoscimento morale e politico testé fatto ai membri del Senato che se ne sono resi meritevoli, questi riconoscimenti onorari presuppongono il collegamento tra l’investito della qualifica onoraria e la sussistenza di un organo da cui la qualifica stessa deriva. In ipotesi, potrebbe domani il nuovo Senato deliberare ciò, se lo credesse; ma non si può concepire oggi, a mio parere, un privilegio derivante da un organo soppresso.

Sul secondo problema, l’osservazione del Relatore mi pare sia esatta: non è questa la sede adatta per deliberare in merito alle facilitazioni ferroviarie.

Potrei essere d’accordo con l’onorevole Fabbri; non so se l’argomento sia insuperabile. Ma si potrebbe aggiungere: «salve le agevolazioni concesse dalla legge».

In ogni modo, mi rimetto alle conclusioni della Commissione e dichiaro che voterò a favore del testo proposto dalla Commissione stessa.

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Voterò contro il capoverso, perché mi sembra del tutto superfluo. Se si stabilisce nel primo comma che il Senato è soppresso, e si riconosce che, come conseguenza, i senatori decadono dai diritti inerenti alla carica, evidentemente non è il caso di stabilire in un capoverso che i senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma:

«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Gli ex senatori decadono dalle prerogative, dalle guarentigie, dai diritti inerenti alla carica».

Su questo secondo comma, è pervenuta richiesta di votazione a scrutinio segreto da parte degli onorevoli Russo Perez, Bergamini, Fabbri, Condorelli, Perrone Capano, Marinaro, Miccolis, Lagravinese Pasquale, Rodi, Corsini, Colitto, Costiglia, Rubilli, Benedettini, Crispo, Villabruna. (Commenti).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     305

Maggioranza           153

Voti favorevoli        236

Voti contrari                        69

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli –Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernamonti – Bernardi – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Canonia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiostergi – Ciampitti – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Donati.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fusco.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pollastrini Elettra – Ponti – Priolo – Proia – Pucci.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Russo Perez.

Salerno – Sampietro – Sansone – Santi – Saragat – Scarpa – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello – Schiavetti.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al secondo comma:

«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».

Chiedo il parere della Commissione.

ROZZI, Relatore. La Commissione crede che questa menzione aggiuntiva proposta dall’onorevole Fabbri non debba essere inserita perché già è esplicitamente dichiarato, sia nella relazione, sia soprattutto nell’ordine del giorno che sarà sottoposto all’approvazione dell’Assemblea, che dicendosi «decadenza dai diritti» non ci si riferisce però alla agevolazioni ferroviarie e al diritto di accesso alla sede del Senato.

D’altra parte, la preoccupazione di ordine giuridico sollevata dall’onorevole Fabbri non sembra alla Commissione fondata, perché le agevolazioni ferroviarie, il diritto di accesso alla sede del Senato non si possono considerare diritti inerenti strettamente alla carica di senatore, in altri termini questi diritti decadono, in quanto i senatori non sono più tali, ma ciò non toglie che possano in virtù di una legge ordinaria nuova risorgere, così come il diritto di libera circolazione al deputato cessa in quanto la persona cessa dalla carica di deputato, ma risorge in rapporto alla qualifica di ex deputato. La stessa situazione si riproduce, naturalmente nuova, per i senatori perché il senatore decade come componente del Senato soppresso, ma riacquista parte dei diritti come ex senatore, con una legge nuova che proponiamo al Governo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fabbri:

«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Passiamo all’articolo 2 nel testo del Governo.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, sostituire: non entrerà in funzione il Senato della Repubblica».

Il Governo e la Commissione accettano questo emendamento?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

BOZZI, Relatore. Anche la Commissione accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 2 con l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».

(È approvato – Si approva l’articolo 2).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge.

«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro 5 giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ed ora passiamo alla votazione dell’ordine del giorno della Commissione,

«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge ad estendere le facilitazioni ferroviarie, previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati, agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di Giustizia, o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, con esclusione di tutti gli altri ex senatori, ancorché abbiano ottenuto o possano ottenere pronuncia di annullamento della dichiarazione di decadenza».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto l’ordine del giorno presentato dalla Commissione in quanto risponde ad una proposta fatta dal Governo. Vorrei pregare la Commissione ed il Relatore di togliere le parole: «previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati».

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

BOZZI, Relatore. La Commissione accetta.

NASI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NASI. Devo fare una breve dichiarazione, poiché sono fra coloro che non condividono l’ordine del giorno che ora viene messo in votazione. Noi stiamo per redigere l’atto di morte del Senato, e abbiamo ritenuto, e riteniamo, che non sia il caso, col dovuto ossequio ad alcuni esemplari – come è stato detto da alcuni – di tener conto dei cadaveri esposti fuori da questo rito che noi stiamo celebrando.

Noi dovremmo concedere, dunque, l’elemosina che ci viene con insistenza richiesta del biglietto ferroviario a più di cento persone, ma fra questi cento – io con ciò non intendo ritornare sui criteri dell’epurazione – vi sono uomini che non hanno affatto servita la Patria, che, anzi, l’hanno tradita, vi sono uomini che lo stesso Conte Sforza, in una lontana intervista, ha dichiarato di aver salvato per amore di liberalità. Vi sono uomini come il Visconti, podestà di Milano, fino il 25 luglio, vi sono uomini come il Senatore Crespi, che ha fatto più male all’Italia col suo Corriere della Sera che il Senato e la Camera uniti insieme. Io credo che questi non meritino alcun beneficio.

’altra parte, dobbiamo fare una -constatazione: da quando davanti questa Assemblea nella Commissione si è cominciato a parlare di senatori e di ex senatori l’aria è diventata poco respirabile. Ricordo che l’articolo 47 dell’elettorato attivo si è dovuto stralciare appunto per causa loro. Ora dovremmo continuare a subire i loro intrighi. Noi abbiamo soppresso il Senato, e non esistono quindi più i senatori. Credo perciò che non dobbiamo prendere nessun provvedimento che sia a beneficio di gente che se ne rese indegna e a riconoscimento di un organo che avvilì l’Italia. (Applausi a sinistra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io proporrei che le facilitazioni si limitino soltanto agli ex senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia, e questo in accordo a quello che ho dichiarato prima. I senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia erano appena in numero di dodici, dei quali qualcuno disgraziatamente è morto, mentre invece i senatori che erano stati deferiti ammontano a ottanta. Ora voglio far osservare che dei novantasette senatori elencati nella pubblicazione ufficiale che ho qui, soltanto diciannove preesistevano al fascismo. Tutti gli altri furono nominati dal Governo fascista e la maggior parte di essi anche in epoca relativamente recente: nel 1930, nel 1934, nel 1939, e perfino nel 1943. Non si può, dunque, mettere in dubbio che, salvo alcune onorevolissime eccezioni, la maggior parte di essi avessero delle beneinerenze fasciste. Ora mi meraviglia che la Assemblea, la quale poco fa ha esitato a tributare in doveroso omaggio a quegli otto o nove senatori che tennero alto il nome della democrazia in un momento di generale viltà, si accinga ora a riconoscere benemerenze a senatori schiettamente fascisti. Quindi propongo che quella categoria di senatori sia eliminata dall’ordine del giorno. Se questo non avvenisse, voterò contro tutto l’ordine del giorno.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Vorrei sintetizzare, onorevoli colleghi, e tentare di risolvere due questioni che sono emerse da questa discussione e sulle quali l’Assemblea si mostra ancora evidentemente sospesa ed incerta: la prima è una questione di forma, l’altra è una questione di sostanza. Entrambe discendono dalla risoluzione che sopprime il Senato del Regno, e trovano ancora la loro giustificazione nella sorpresa che il disegno di legge ha determinato in qualche parte dell’Assemblea.

Contro di esso si sono levati molti oppositori ad invocare pei senatori non colpiti dalla epurazione un diritto quesito a conservare le funzioni senatorie; non si sono domandati questi colleghi se un siffatto diritto, dato che possa per alcuni senatori sussistere, sia sufficiente ad impedire alla Costituente di sopprimere il Senato di nomina regia per sostituirgli il Senato della Repubblica eletto dal suffragio popolare. E non si sono chiesti come potrebbero rendersi compossibili e compatibili in quest’organo nuovo, membri del vecchio Senato regio nominati a vita con membri di quello della Repubblica da eleggere per soli sei anni. Non c’era che una sola soluzione: era quella adottata e adottarla era nei poteri della Costituente. D’altra parte quei senatori che si pretende abbiano subito un torto inconcepibile, che hanno perduto il diritto di rimanere a vita senatori del Re, conservano quello, comune a tutti i cittadini che non abbiano sulla coscienza malefatte fasciste, di divenire senatori della Repubblica per volontà di popolo. Di fronte a queste insuperabili considerazioni la resistenza è crollata nella votazione sull’articolo 1; ma ha conservata la residua speranza di qualche onore, di qualche prerogativa, di qualche beneficio che possa, a ricordo dell’alta carica un giorno ricoperta, riservarsi ai senatori non epurati.

E il disegno di legge aveva incoraggiato la speranza, specie per quanto riguarda la concessione, del permanente ferroviario. Ma la Commissione ha ritenuto che l’argomento decampasse dalle funzioni della Costituente e fosse troppo povera cosa per interessare questa Assemblea; ha dichiarata la questione di competenza del Governo, ha formulato un ordine del giorno per chiedergli questa concessione a favore dei senatori spodestati e ora pretende di sottoporlo alla nostra approvazione.

Ecco che si presenta la questione di forma: se per la Commissione non est hic locus per sancire il beneficio della concessione ferroviaria, se il tema è troppo povera cosa per interessare la Costituente in questo solenne momento, se anzi esso non costituisce materia costituzionale, non è da dire altrettanto per l’ordine del giorno che noi dovremmo votare per chiedere al Governo di provvedere esso alla concessione? Io non so vedere differenza fra l’occuparcene per provvedervi noi e l’occuparcene per indurre il Governo a provvedervi esso; e consiglierei la Commissione a esonerare dal voto l’Assemblea e a trasmettere essa al Governo come proprio e come votato dai propri membri l’ordine del giorno, quale propria raccomandazione. I senatori avrebbero tutto da guadagnare; mentre il prevedibile rigetto dell’ordine del giorno da parte dell’Assemblea avrebbe per effetto di mettere il Governo nella condizione di non poterne fare più niente.

Ma c’è pure, come ho detto, una questione di sostanza: gli oppositori e gli incerti si sono rappresentati la soppressione del Senato come proposito balzato dalla iniziativa del Governo e della Costituente, come la freccia del Parto, come una ingiustizia cosciente cui si debba rimediare con qualche concessione sub specie di riparazione. Nulla di più inesatto. L’aspettativa della ripresa delle funzioni parlamentari da parte dei senatori non epurati poté apparire legittima in base al decreto 7 agosto 1943 del Governo Badoglio che, sciogliendo la Camera dei fasci e corporazioni, assumeva l’impegno di convocare le due Camere non oltre il quarto mese dalla fine delle ostilità. Ma quel decreto era stato abrogato dal decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944, che i nostri giuspubblicisti considerarono concordi come una Carta costituzionale provvisoria. Questo decreto dichiarò che la questione istituzionale sarebbe stata risolta, non appena cessate le ostilità, da un’Assemblea Costituente. Se, per effetto di questo, che fu un impegno fra principe e Governo, l’ordinamento politico del Paese cadeva sotto la illimitata revisione di tale l’Assemblea, era evidente fin d’allora, e maggiormente lo divenne dopo il decreto-legge 16 marzo 1946 e dopo il decreto-legge 24 giugno 1946 che interpretò il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, che o il Senato sarebbe addirittura scomparso, se la Costituente avesse adottato il sistema unicamerale, o esso sarebbe stato sostituito da un Senato democratico eletto a suffragio diretto dal popolo nel caso opposto. Nell’uno e nell’altro caso i senatori a nomina vitalizia, anche se non epurati, avrebbero cessato dalle loro funzioni. Senonché, si obietta che il contrario aveva potuto far presumere l’averli sottoposti a selezione attraverso il procedimento di epurazione. L’obiezione non ha fondamento giuridico: il procedimento di epurazione fu adottato solo in quanto non si ritenne dignitoso che, sia pure provvisoriamente, rimanessero in carica uomini che avevano concorso alla soppressione delle libertà e che avevano tradito il Paese. Ma ciò non bastava ad abrogare il decreto legislativo 25 giugno 1944 né a sopprimere in questa parte i poteri della revisione istituzionale alla Costituente attribuiti. In altri termini, pendeva una condizione ed era necessario, nella eventualità che la Costituente non sopprimesse il Senato, selezionare i senatori meritevoli di rientrarvi come che sia, da coloro che questo diritto non avrebbero più in alcun caso meritato.

PRESIDENTE. Questo esame è già stato fatto in sede di discussione generale su questo disegno di legge.

NOBILI TITO ORO. È vero, onorevole Presidente: ma mi sono accorto che una parte di noi è dominata ancora dalla preoccupazione che i senatori non epurati subiscano oggi un arbitrio da parte del Governo e della Costituente, e ho voluto dimostrare quanto ingiustificata sia, per le ragioni storiche che ho esposte, questa impressione; in quanto è da essa che trae origine e forza lo zelo di coloro che vogliono si provveda in questa sede alla conferma almeno delle concessioni ferroviarie, quasi ad solacium amissi honoris.

Il decreto 25 giugno 1944, sopprimendo il decreto Badoglio, dimostrò ex tunc che di convocazione del Parlamento non si poteva parlare finché la Costituente non avesse detto la parola definitiva, e che pertanto ogni concepita aspettativa di investiti dalla monarchia poteva essere illusoria.

La Costituente la propria parola l’ha pronunciata da parecchi giorni e l’ha confermata or ora, anche in forma solenne, col votare fra gli applausi la soppressione definitiva del Senato del Regno, che sarà sostituito da una istituzione completamente rinnovata, sotto il nome di Senato della Repubblica, consacrazione di fede nelle insopprimibili ed eterne libertà, e nella potenza immanente dei valori della democrazia, fonti vive di progresso sociale e di civiltà.

D’altra parte i senatori non epurati, se anche rimanessero delusi nella aspettativa che loro attribuiscono gli oppositori del disegno di legge, conserveranno sempre il diritto di entrare anche essi nel nuovo Senato attraverso il crisma della volontà popolare; e questo è per i meritevoli il più vero, il più decisivo conforto di fronte al disappunto di oggi.

Per questi motivi, qualora la Commissione non ritenesse di ritirare il proprio ordine del giorno per farne magari oggetto di propria raccomandazione al Governo, noi confidiamo che l’Assemblea saprà rifiutarsi di approvarlo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli mi fa pervenire un emendamento, a tenore del quale la concessione delle facilitazioni previste oltre che agli ex senatori che non furono deferiti e agli ex senatori per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, dovrebbe essere estesa a coloro per i quali sia stata annullata l’ordinanza di decadenza.

Mi pare che questo sia in contradizione con la votazione fatta poco fa sul testo del disegno di legge. Sta all’Assemblea giudicarne; ma ritengo mio dovere segnalare ciò.

Peraltro, siccome l’emendamento non porta le dieci firme regolamentari, domando se sia appoggiato.

(Non è appoggiato).

Pongo in votazione la prima parte dell’ordine del giorno della Commissione:

«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge alle facilitazioni ferroviarie agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di giustizia».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Dato che l’Assemblea ha respinto la prima parte, non porrò più in votazione la seconda parte.

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Ruggiero. Ne ha facoltà.

RUGGIERO. Onorevoli colleghi! Farò delle considerazioni di carattere tecnico sull’articolo 277 della legge sulle modificazioni al Codice penale.

L’articolo 277, secondo me, va considerato in rapporto al precedente articolo 276, dato che nell’uno e nell’altro esiste la tutela di un obietto comune, che è la libertà del Presidente della Repubblica. L’articolo 276 dice: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità e alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, in sede di discussione generale non si può discutere sui singoli articoli.

Lei intende fare alcune osservazioni sulle modifiche apportate dall’articolo 2, in merito all’articolo 277 del Codice penale. Si tratta, dunque, di una questione da discutere in sede di articolo 2.

RUGGIERO. In sede di discussione generale io intendevo desumere dal complesso della legge quell’articolo che, secondo me, merita maggior attenzione e considerazione. Mi pare di rimanere nell’ambito della discussione generale anche se questa, per ragioni tecniche, deve convergere su uno dei punti contenuti in uno degli articoli.

PRESIDENTE. È naturale che si scelga l’argomento, ma non lo si sceglie fra gli argomenti specifici la cui sede di discussione è all’esame degli articoli. Comunque, dato che il suo intendimento è di parlare in relazione ad un determinato articolo, potrà farlo al momento opportuno.

Nessun altro chiedendo di parlare dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame dei singoli articoli.

Onorevole Grassi, poiché la Commissione ha apportato degli emendamenti al testo del Governo, chiede che si discuta sul testo della Commissione?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che sia meglio seguire il testo del Governo.

PRESIDENTE. Allora consideriamo il testo della Commissione come una serie di emendamenti al testo del Governo.

Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Al libro II, titolo I, capo II, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto la formula proposta dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1 nel testo della Commissione:

«Al libro II, titolo I, capi II, IV e V, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Questo articolo sostituisce con nuovi testi gli articoli 276, 277, 278, 279, 283, 289, 290, e 213 del Codice penale. Porrò in discussione questi articoli separatamente. Si dia lettura del primo articolo.

RICCIO, Segretario, legge:

«Art. 276. (Attentato contro il Presidente della Repubblica). – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

PRESIDENTE. Avverto che è stato proposto dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perrone Capano, La Gravinese Nicola, Coppa, Condorelli, Rodinò Mario, Recca, Reale Vito e Perugi, il seguente emendamento sostitutivo:

«Chiunque attenti alla vita, all’incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore ai venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se dal fatto deriva la morte, si applica l’ergastolo nel caso di attentato alla vita, e la reclusione non inferiore a venti anni negli altri casi».

L’onorevole Lagravinese Pasquale ha fa facoltà di svolgere il suo emendamento.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

LAGRAVINESE PASQUALE. Questo emendamento è un emendamento sostitutivo, che trae il suo fondamento dallo spirito, dalla mens che ha informato il provvedimento legislativo, che oggi ci occupa. Per questo spirito, per questa mens del legislatore, non è possibile oggi assimilare, agli effetti penali, la persona del re con la persona del Presidente della Repubblica.

Il monarca, l’antico monarca, con tutte le sue prerogative e con i suoi attributi, è arrivato fino alle soglie della nostra epoca con il peso evidente dei secoli feudali. Egli, per definizione, era sacro, inviolabile, aveva quasi gli attributi della divinità, come capo di una dinastia; la sua soppressione violenta ha dato anche luogo (la storia ce lo insegna) a guerre dinastiche. Il regicidio era un delitto particolare, a sé stante, contemplato con obbrobrio, con raccapriccio, e naturalmente oggi, in periodo repubblicano, in opposizione ad un regicidio, non può esistere, per esempio, un presidenticidio.

Quindi è chiaro, mi sembra, che questa considerazione, questo concetto sacro, quasi sacerdotale, mistico della monarchia ha informato la legislazione delle epoche attraverso i secoli addirittura fino al giorno d’oggi. La persona del re, essendo considerata sacra, intangibile, si supponeva logicamente che ogni offesa ad essa dovesse essere punita con una norma severissima; e questo concetto, noi lo ritroviamo anche nel Codice Rocco, il quale poi ripete e riproduce quasi fedelmente le norme dei precedenti Codici: per questo Codice, per esempio, non esiste nessuna distinzione e discriminazione (ecco il carattere sacerdotale della monarchia) non solo sul nome, de iuris, dei reati, perché nulla pare che importi al legislatore se si tratti di un attacco, di una offesa o attentato alla vita, alla libertà, alla incolumità del monarca. Sono tre ipotesi digradanti, ma agli effetti della discriminazione, sono trattati egualmente dal legislatore, al quale neanche importa l’effetto dannoso di questi reati: non vuole, cioè, sapere se restano allo stato di tentativo o sono consumati, se dalla consumazione ne è derivata la morte oppure un graffio sul naso; è lo stesso: la pena massima per l’attacco alla sacertà del monarca.

Ora è chiaro che questa concezione non la possiamo trasfondere nella legislazione democratica, in sede di regime repubblicano. Se noi dovessimo considerare il Presidente della Repubblica alla stessa stregua concettuale del monarca, io mi domando in che cosa consisterebbe questa nostra tanto declamata democrazia.

Una riprova vi è nello stesso Codice Rocco il quale, allontanandosi gradualmente dalla persona sacra, intangibile, del monarca, passa alle altre ipotesi degli attacchi alla vita e all’incolumità delle altre persone della famiglia reale. Quindi non più intangibili, uomini; non più dei, uomini.

E allora quando il nostro Codice contempla le ipotesi delle offese, degli attentati ai membri della famiglia reale si allontana dalla sacertà, si allontana dal misticismo che accompagna la persona del monarca e tratta anche i membri della famiglia reale come uomini. E come uomo noi dobbiamo trattare il Presidente della Repubblica.

Non basta, oggi, come ha fatto il Governo e come ha fatto anche la Commissione, dopo il mutamento istituzionale, sostituire nei testi del Codice la parola «monarca» con la espressione «Presidente della Repubblica». Il Governo, infatti, cancella tutte le prerogative che riguardavano i fascisti, il fascismo, il Capo del Governo, il Gran Consiglio del fascismo e non colpisce la sostanza della norma giuridica, la quale deve essere necessariamente mutata.

Pertanto, io, non innovando nulla, ma seguendo il metodo usato dal Governo e dalla Commissione, mi sono attenuto al Codice, precisamente, come ha fatto il Governo e come ha fatto la Commissione. Soltanto che la Commissione si ferma davanti alla sacertà del Presidente della Repubblica, mentre io ho seguito il Codice. E siccome il Codice, quando non si tratta del monarca, distingue le responsabilità, e quindi le pene, non si capisce perché noi, con lo stesso sistema, non dobbiamo applicare delle pene graduali per i reati contro la persona del Presidente della Repubblica. Per conseguenza non ho fatto che andare un po’ oltre il margine che si è imposto il Governo e che si è imposto anche la Commissione, e chiedo l’applicazione delle pene relativamente ai vari attentati configurati secondo una responsabilità graduale.

Naturalmente nessuno si può lamentare di questo; neanche qualche repubblicano dell’ultima ora, il quale può ancora conservare qualche nostalgia del passato regime, non si può lamentare se ho degradato il Presidente della Repubblica allontanandolo dalla persona sacra del re; in fondo, pur facendolo scendere dal trono, gli ho conservato il rango di un principe del sangue.

Ecco perché chiedo che sia mantenuta la disposizione del Codice penale riguardante l’applicazione della pena, secondo le varie responsabilità, secondo l’entità del danno che dall’attentato può seguire.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei illustrare all’onorevole Lagravinese e all’Assemblea la reale portata del provvedimento legislativo del mio predecessore che mi corre l’obbligo di difendere qui: si è cercato, in sostanza, di eliminare alcuni articoli non più intonati al sistema politico e giuridico dello Stato. Non si è fatto che perseguire l’intento di sostituire alcune parole che si riferivano al re, alla monarchia e agli organi del precedente regime, con altre inerenti alla nuova situazione repubblicana dello Stato italiano.

È così che si è sostituito alla pena di morte per gli attentati alla persona del re la pena dell’ergastolo per i corrispondenti attentati alla persona del Presidente della Repubblica. Questi articoli dunque da noi emendati non hanno una portata innovatrice, ma solo una portata formale, nel senso di una sostituzione di una formulazione ad un’altra ormai superata.

Pertanto la proposta dell’onorevole Lagravinese di tornare al Codice del 1889, è anche una proposta che può indubbiamente esser presa in considerazione, ma se noi vogliamo entrare nel campo della discussione di merito su ogni disposizione, io credo che non finiremmo più, oltre al fatto che mi permetto di fare osservare, che noi non saremmo nemmeno preparati a questo.

Limitiamoci, quindi, per ora, a queste proposte formali. Rivolgo in questo senso una preghiera all’onorevole Lagravinese ed agli altri oratori, convinto come sono della necessità di imprimere un ritmo rapido a questa nostra discussione, se veramente vogliamo approvar questa legge. Restiamo, cioè, nell’ambito dello spirito e degli intendimenti con cui il Governo ha presentato questo disegno di legge all’Assemblea e con cui la Commissione stessa lo ha accolto.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione si associa a quanto ha detto l’onorevole Guardasigilli. Effettivamente con la legge, che ci accingiamo ad approvare, non intendiamo sottoporre ad un accurato riesame le disposizioni del Codice penale per apportare ad esse delle modifiche. Noi intendiamo semplicemente sostituire alle disposizioni del Codice penale, che si riferiscono alle istituzioni dei periodo monarchico, le modifiche rese necessarie dalla sostituzione, in Italia, della Repubblica alla monarchia.

Se, d’altra parte, vogliamo scendere nel merito, dobbiamo riconoscere che non esiste alcuna ragione per far discendere di un gradino il Presidente della Repubblica dall’altissimo posto, nel quale la Costituzione e gli ordinamenti dello Stato e la volontà del popolo italiano lo hanno collocato.

PRESIDENTE. Onorevole Lagravinese, mantiene il suo emendamento?

LAGRAVINESE PASQUALE. Desidero semplicemente dire che quanto hanno osservato l’onorevole Ministro e l’onorevole Relatore non è del tutto esatto. Essi infatti non si sono limitati alle modifiche esteriori di cui ci hanno parlato, non si sono limitati cioè a mutare soltanto le intitolazioni degli articoli, ma, ad esempio, per l’articolo 278, hanno modificata anche la pena.

Pertanto mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 276:

«Attentato contro il Presidente della Repubblica. – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 277. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge.

«Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica. – Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha proposto il seguente emendamento:

«Abrogare l’articolo 277».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUGGIERO. Onorevoli colleghi, mi rendo conto delle dichiarazioni dell’onorevole Grassi e dell’onorevole Colitto che hanno definito il carattere provvisorio di questa legge; però ritengo che nell’articolo in esame, cioè nell’articolo 277, esista un residuo di eccesso di garanzia data a certe prerogative, che forse non avevano nessuna ragione concreta di essere, ma furono concesse durante il passato regime, cioè in un tempo in cui si era presi dalla mania di creare prerogative al riguardo di certe personalità.

E in effetti, quando si metta l’articolo 277 in rapporto col precedente, il 276, noi ci accorgiamo, dopo un esame anche sommario, che nell’uno e nell’altro articolo viene preso in considerazione un elemento comune, che è quello della libertà del Presidente della Repubblica.

Dice l’articolo 276: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

Come appare chiaro, in questo articolo è presa in considerazione la libertà personale del Presidente della Repubblica.

Ove si legga l’articolo 277 si trova che «chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».

Come vedete, nell’un articolo e nell’altro viene presa in considerazione la libertà del Presidente della Repubblica.

Ora, si può pensare, leggendo l’articolo 277, che quando si incorre nell’espressione «fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente», si voglia creare nell’articolo 277 una condizione di fatto che nel 276 non ricorra. Il che, invece, non è esatto, perché e nell’articolo276 e nell’articolo 277, le condizioni di fatto sono le stesse e si risolvono tutte e due nell’attentato. La diversità sta in questo: nell’obietto della tutela penale; nella diversità dell’obietto della tutela penale. Nell’articolo 276 viene presa in considerazione la libertà personale del Presidente. Nell’articolo 277 viene presa in considerazione una libertà che non ha né specificazione, né qualificazione. Basterebbe questa osservazione per arrivare alla conclusione che l’articolo 277, messo in rapporto con l’articolo 276, rende dubbia l’interpretazione di entrambe le norme.

Ora, qual è l’origine dei due articoli? Derivano tutti e due dal Codice penale del 1930. Il Guardasigilli dell’epoca spiegò che in un primo caso venne presa in considerazione la libertà personale e nel secondo caso la libertà morale del re. Egli disse: «ho fissato in un primo articolo le sanzioni per gli attentati alla libertà personale del re, ma nel nuovo regolamento seguo la incriminazione meno grave degli attentati e considero così quelli che consistono nell’aggredire la libertà morale del re».

Insomma si tratterebbe di prendere in considerazione e regolare diversamente gli attentati alla libertà personale ed alla libertà morale del Presidente. Ma per arrivare a questa differenza bisognerebbe leggere i lavori preparatori e la relazione del Guardasigilli. Il che mi pare non sia proprio l’ideale per una legge che deve essere intesa da tutti per la sua semplicità e chiarezza.

Nella Commissione parlamentare del 1930 incaricata della compilazione del progetto di questo Codice non si parlava neppure di questa duplice forma di libertà, per questo motivo: perché quella Commissione diceva che quella che il Guardasigilli intendeva essere una forma di libertà di carattere morale, doveva essere intesa e punita invece come una violazione che trovava la sua identità nella offesa, nell’oltraggio, nel vilipendio della persona dell’allora sovrano.

Nel 1889 la disposizione non è contemplata. Quindi i precedenti storici davano torto al Guardasigilli che fece la relazione del Codice 1930.

Per questi motivi io penso che non si debba far luogo all’approvazione di questo articolo. Primo, perché è molto difficile dare la configurazione di un’offesa alla libertà morale del re o del Presidente della Repubblica. Secondo, perché è molto difficile trovare i confini dell’offesa alla libertà morale.

Ma vi è un’altra considerazione di carattere sociale su cui richiamo la vostra benevola attenzione per qualche momento ancora. Noi ci troviamo di fronte ad una disposizione che parla di libertà, e ne parla in maniera indeterminata, inqualificata. Ora, non vedete voi che nasce un contrasto fra quella libertà qualificata di cui all’articolo 276 e questa libertà indeterminata ed squalificata di cui all’articolo 277?

I fatti contemplati sono uguali nell’uno e nell’altro articolo, perché nell’uno e nell’altro si parla di attentato. È diverso solo l’oggetto della sanzione penale, cioè la libertà.

Ora, nell’articolo 277 non essendo delimitata la libertà in un suo ambito circoscritto che valga a definirla, per libertà dobbiamo intendere qualcosa di assolutamente generico, che abbia un’ampiezza indefinita. Voi mi insegnate che noi abbiamo tre libertà: una libertà individuale, che comprende la libertà personale, fisica e morale. Ora, siccome qui, nell’articolo 277 non è chiarita la qualificazione di libertà morale, né di libertà fisica, io sono autorizzato a pensare che quando si parla di libertà nell’articolo 277 si parla di libertà nel senso più lato.

Ed allora chi impedisce ad una rigorosa interpretazioni di fare rientrare tutti i casi di violazione di libertà proprio nell’articolo 277 e non nel 276? Perché, se nell’articolo 277 si parla di una libertà senza confine e senza limiti, nell’articolo 277 entrerebbe ogni ragione di violazione.

Per questi motivi chiedo che venga accolto il mio emendamento e venga soppressa l’articolo 277 della legge in esame, dovendo intendersi compresa la violazione alla libertà morale del Presidente nella sanzione che punisce l’oltraggio e l’offesa al Presidente stesso.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io sono di parere opposto a quello testé espresso dall’onorevole Ruggiero perché, quando nell’articolo 276 si parla di attentato alla libertà personale, s’intende quella che in diritto penale ordinario si chiama sequestro di persona. Quando nell’articolo 277 si parla genericamente di attentato alla libertà ci si riferisce, per esempio, sempre per far riferimento al diritto penale ordinario, al delitto di minaccia. Quando nell’articolo 278 si parla di onore e di prestigio, ci si vuol riferire ai particolari delitti di ingiuria e di diffamazione commessi nei confronti del Presidente della Repubblica.

Sono dunque tre categorie diverse di delitti che ho voluto richiamare per chiarire il concetto e che mi pare giustifichino i tre diversi articoli sottoposti all’approvazione dell’Assemblea.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io non posso che richiamarmi a quanto ho detto precedentemente e che l’onorevole Ruggiero aveva già accettato, in via generale.

Il Governo, mantenendo questo disegno di legge, non fa che modificare il vecchio Codice, che aveva ipotizzato la figura della libertà distinta dalla libertà personale, sostituendo alla figura del re quella del Presidente della Repubblica.

Io prescindo dalla discussione di merito. Vi sono diverse forme di libertà, come ha detto l’onorevole Badini Confalonieri. La prima libertà, alla quale si riferisce l’articolo precedente, è senza dubbio la libertà della persona fisica; quindi gli attentati fatti alla persona fisica del Capo dello Stato vengono puniti con la disposizione prevista dall’articolo precedente.

L’articolo successivo – che non è stato innovato – si riferisce alla libertà morale, cioè a quegli attentati che possono essere esercitati per limitare la libertà morale del Capo dello Stato. Non credo che possiamo togliere questa norma.

Ad ogni modo esiste una Commissione che esaminerà tutto il Codice penale e che ha fatto già delle proposte concrete.

Ha già pronti alcuni libri, ma non si possono presentare a questa Assemblea; si presenteranno all’Assemblea legislativa di domani. Adesso prego l’Assemblea di non voler modificare tutte le ipotesi previste nel Codice penale, tenendo presente che noi vogliamo soltanto sostituire alla figura scomparsa del re, quella del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione non può accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Ruggiero. Per poterlo accogliere la Commissione dovrebbe essere convinta che l’articolo 277 del Codice penale non è che la ripetizione dell’articolo 276. Ora questo non è, perché l’obiettività giuridica dell’uno articolo è diversa dalla obiettività giuridica dell’altro. Nell’articolo 276 si punisce l’attentato alla libertà personale; nell’articolo 277 si punisce, invece, l’attentato alla libertà, che la dottrina qualifica, concorde, diversa da quella personale. È superfluo fare degli esempi. Non è possibile, poi, parlare di equivoci, come ne parlava dianzi l’onorevole Ruggiero, perché nell’articolo 277 non si ripeta la parola «libertà», già usata nell’articolo precedente, ma si usa la dizione «fuori dei casi previsti dall’articolo precedente», che appunto impedisce ogni equivoco. Si comprende subito, leggendosi l’articolo 277, che con questo è previsto l’attentato ad una libertà diversa da quella di cui è parola nel 276. Mi sembra, del resto, che sia opportuno stabilire per un delitto, ad esempio, di minaccia, una pena inferiore a quella che il legislatore stabilisce, per esempio, per il sequestro di persona.

Queste sono le ragioni per le quali la Commissione non può accogliere l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 277, testé letto, avvertendo che l’onorevole Ruggiero ne ha proposto la soppressione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 278. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Offese all’onore del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha proposto di aggiungere nella intitolazione, dopo le parole «all’onore», le altre «o al prestigio», e che il Governo ha accettato.

A questo articolo, è stato presentato, dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perugi, Coppa, Perrone Capano, Condorelli, La Gravinese Nicola, Recca, Reale Vito, Rodinò Mario un emendamento del seguente tenore:

«Sostituire le parole: è punito con la reclusione da uno a cinque anni, con: è punito con la reclusione da due a sette anni».

L’onorevole Lagravinese Pasquale ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LAGRAVINESE PASQUALE. Per lo stesso concetto di equità per cui il Presidente della Repubblica, come ho inutilmente affermato pochi minuti fa, non può essere confuso nell’aureola mistica, sacerdotale del monarca, non può essere neppure confuso con l’ultimo dei cittadini. Lo stesso concetto di equità: non è il monarca, ma non è neppure l’ultimo dei cittadini.

Ora, io rilevo innanzitutto la immediata smentita a quello che ha detto il rappresentante del Governo, e cioè che l’attuale disegno si limiterebbe a cambiare soltanto i nomi. In questo articolo, in contrasto alla disposizione parallela nel nostro Codice penale, quando il Governo si è trovato di fronte non più alla persona fisica, all’incolumità del Presidente, ma si è trovato di fronte al suo onore, ha diminuito la pena.

Innanzitutto questo, teoricamente, non mi sembra ben fatto, perché tante volte l’onore è qualche cosa di più rilevante della stessa vita. Ma mi sembra importante per il fatto che questo dimostra che il Governo ha già fatto opera di innovazione legislativa, mutando la pena del Codice. Non è vero che ha sostituito soltanto il nome del re con il nome del Presidente della Repubblica, che ha cancellato gli altri nomi che oggi non ci sono più; ma ha fatto opera legislativa, innovando la pena prevista dal corrispondente articolo del Codice penale. Ed io questo non lo capisco, sia in fatto e sia in diritto, perché se noi guardiamo l’articolo del Codice penale che riguarda la diffamazione, cioè l’offesa all’onore del privato umilissimo cittadino, noi vediamo che con l’ultima ipotesi dell’aggravante dell’articolo 595, la pena per diffamazione può arrivare fino a quattro anni e mezzo. Ed allora, concedere sei mesi in più per l’onore del Presidente della Repubblica, francamente mi sembra troppo poco. Quello che io chiedo, anche per rispetto a quello che ha dichiarato il Governo, che non ha mutato nulla, è che sia mantenuto in quell’articolo la pena precisa che il corrispondente articolo del Codice prevedeva per offesa all’onore e al prestigio del monarca – e oggi al Presidente della Repubblica – e cioè da due a sette anni di reclusione. È una questione di equità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io penso che, se è stata presentata la proposta di ridurre la pena sulla base di un anno a 5 anni di reclusione, non si intendeva con questo introdurre una diminuzione nei confronti del prestigio del Presidente della Repubblica. Siccome l’articolo precedente stabiliva da due a sette anni per il re e da uno a cinque anni per la regina, il Governo ha preferito prendere questo secondo limite. Io non ne faccio una ragione essenziale, ma penso che mantenere uno a cinque anni sia sufficiente.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

COLITTO, Relatore. La Commissione si associa alle considerazioni del Ministro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 278:

«Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 279: se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Resa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica. – Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire mille a diecimila».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Russo Perez, Mazza, Benedettini, Condorelli, Rodi, Coppa, Corsini, Giacchero, Cremaschi Carlo, Carratelli, hanno presentato il seguente emendamento:

«Abrogare l’articolo 279».

L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Vi leggo l’articolo: «Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, ecc.». Supponete, per esempio, il caso di un giornalista, il quale scriva che il Presidente della Repubblica, con la minaccia di sciogliere la Camera, ha provocato un determinato atteggiamento del Governo. Io dico: o l’accusa è infondata o l’accusa è fondata.

Se l’accusa è infondata si ricade nella disposizione dell’articolo 278, perché indubbiamente si è offeso l’onore e il prestigio del Presidente della Repubblica. Se, viceversa, l’accusa è fondata vi sono da fare due casi: o questa accusa è mossa in modo villano, offensivo, duro, e si ricade sempre nell’articolo 278; o viceversa è fatta in forma larvata, e mi sembra eccessivo si debba perseguire penalmente il cittadino in tal caso.

Ecco perché ho proposto un emendamento soppressivo di questo articolo, che del resto in 85 anni di regno è stato applicalo una o due volte.

GRASSI. Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Né ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Russo Perez di non insistere, per le ragioni predette. Noi non facciamo che sostituire le disposizioni che avevamo nel Codice precedente.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, accetta l’invito del Governo?

RUSSO PEREZ. Per quanto nulla vieti che si possa cogliere questa occasione per abrogare una disposizione di legge, accetto l’invito del Ministro a recedere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Questo articolo ha figura speciale, perché riguarda la irresponsabilità del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 279 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 283. Si dia lettura del testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».

PRESIDENTE. La Commissione ha così modificato questo articolo:

«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a venti anni».

Gli onorevoli Badini Confalonieri, Corsini, Rodi, Crispo, Fusco, Rubilli, Giacchero, Carratelli, Condorelli, Benedettini hanno presentato il seguente emendamento al testo della Commissione:

«Sostituire alle parole: è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni, le parole: è punito con l’ergastolo e nei casi meno gravi con la reclusione non inferiore a dodici anni».

L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BADINI CONFALONIERI. Vorrei anzitutto dire al Ministro che in questo caso l’emendamento da noi sottoposto all’attenzione dell’Assemblea non è fuor di luogo; perché in questo caso il disegno di legge governativo non si è attenuto all’articolo 283 del Codice del 1930, il quale prevedeva nei confronti dell’attentato contro la Costituzione dello Stato la pena dell’ergastolo. Il disegno di legge ministeriale propone la pena della reclusione non inferiore a dodici anni. A cotesto proposito la Commissione ha proposto un emendamento e, quale motivazione dello stesso, nella relazione si legge:

«Ritiene la Commissione che sia opportuno salvaguardare tale Costituzione più energicamente che sia possibile; propone quindi che sia stabilita la pena della reclusione non inferiore a venti anni».

Mentre non si può disconoscere il fondamento della proposta della Commissione, occorre anche considerare che essa è caduta in un indubbio errore tecnico, quando ha previsto la reclusione non inferiore a venti anni; poiché per l’articolo 23 del Codice penale la reclusione va da quindici giorni ad un massimo di ventiquattro anni. Ora è certo che non si può consentire una facoltà discrezionale al giudice, che sia così ristretta, cioè da un minimo di venti anni ad un massimo di ventiquattro anni di reclusione. Ne consegue la necessità di modificare la proposta della Commissione, che, esatta nella motivazione, pecca tuttavia, al tempo stesso, per eccesso e per difetto. Pecca per difetto, in quanto è indubbio che l’attentato alla Costituzione è un fatto talmente grave, che non ce ne può essere altro maggiore: quando si attenta alla Costituzione si vogliono sovvertire tutte le nostre istituzioni democratiche ed il fondamento dello Stato; ed ogni altro reato previsto nella legge in discussione riverbera la sua gravità da questo. Se abbiamo testé votato nei confronti dell’attentato contro il Presidente della Repubblica, che impersona proprio la Costituzione, la pena dell’ergastolo, è giusto che nei confronti dell’attentato alla Costituzione non si commini pena nel massimo minore.

Pecca per eccesso perché indubbiamente ci sono casi meno gravi, infrazioni più lievi, che vanno diversamente considerate, per le quali mi pare opportuno consentire che il giudice abbia potere discrezionale maggiore.

Ed allora noi possiamo correggere questo eccesso, consentendo nei casi meno gravi una reclusione non inferiore a dodici anni, così come nel disegno di legge proposto dal Ministro era stato scritto.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. A nome del mio Gruppo, dichiaro che accettiamo l’articolo 283 nel testo proposto dal Governo.

L’onorevole Badini Confalonieri si riferiva testé alla pena dell’ergastolo prevista dal Codice del 1930 e portava qui quella esasperazione delle pene voluta dal fascismo per i reati di tale specie, esasperazione che ha torturato tanti italiani in quel periodo, per la palese sproporzione della pena.

Voler punire con l’ergastolo «un fatto diretto a mutare» (un fatto che peraltro non si precisa, per cui dovremmo opporci all’articolo com’è, in quanto c’è in esso una evidente genericità) mi sembra dare al magistrato un potere non proporzionato al fatto stesso.

Ritengo che quanto è stato proposto, cioè una pena non inferiore a dodici anni, sia già una pena forte. E poi ritengo che non si debbano discutere le leggi col misurare gli anni di reclusione. Ritengo opportuno ricordare l’argomento di Beccaria a proposito della pena di morte e cioè: «Chi è deciso a commettere un delitto non si spaventa dell’entità della pena». È necessario che ci sia la sanzione punitiva e mi sembra veramente che questo voler soppesare – aumentando e diminuendo – gli anni di reclusione significa svuotare di contenuto l’essenza giuridica degli articoli stessi.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io vado anche al di là di quel che ha detto l’onorevole Sansone, e colgo anzi l’occasione per esprimere la mia sorpresa per quanto ho sentito ripetutamente affermare, in occasione della discussione di questo progetto, dal rappresentante del Governo, che ci ha tenuto a ribadire – e l’ha fatto ripetutamente – che in sostanza con questa legge non si è voluto fare altro che sostituire alcune parole del Codice del 1930 con alcune altre.

Ora, il rilievo, che viene fatto immediatamente di opporre ad una osservazione di questo genere, è che questa sostituzione di parole forse era addirittura superflua, perché gli avvenimenti storici che si sono prodotti in Italia l’avevano già automaticamente compiuta. Ma, a questo punto, bisogna aggiungere – e questo rilievo riguarda esattamente l’articolo di cui ci stiamo occupando e contro il quale dichiaro che voterò senz’altro – che noi siamo di fronte ad uno dei capitoli più ignobili del Codice penale fascista, uno di quei capitoli del Codice penale fascista in cui si esercitò tutto lo studio del legislatore del tempo, non solo per applicare pene severissime, ma per dare ai giudici, che dovevano essere giudici di parte, il potere di condannare chiunque non fosse gradito al regime, sempre che fosse incorso in qualche fatto che, anche genericamente, si fosse potuto prestare agli intendimenti repressivi del regime stesso. (Commenti).

Rilevo che si doveva cogliere questa occasione per dare tutta un’altra impostazione giuridica, politica e democratica al capitolo di legge di cui dovevamo operare le modifiche.

L’articolo 283, consacra, a mio avviso, uno dei casi più tipici di norme giuridiche di una latitudine e di una equivocità di espressione tali, da consentire ad un giudice di parte la condanna di chicchessia, perché ho sempre sentito insegnare a scuola e durante la mia non breve pratica forense, che una norma giuridica deve avere come suo principale elemento, come sua sostanziale essenza, la precisione e la delimitazione. Deve riferirsi cioè ad un fatto che possa essere chiaramente oggettivato e contestato. Non deve essere elastica, e di una elasticità tale che ci si possa far entrare o ci si possa escludere tutto ciò che, a seconda dei diversi momenti e dei diversi venti che spirino, torni gradito e torni sgradito. Qui si dice: «chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato». Questa, non meno delle altre degli altri articoli in esame, è un’espressione di una genericità veramente sorprendente e costituisce un’offesa allo spirito e al senso giuridico di ogni buon italiano e di ogni buon democratico. Dichiaro quindi che voterò contro l’articolo 283 e contro l’intera legge, perché ritengo sia da respingere l’impostazione data dal Ministro alle modifiche legislative in oggetto e a questa discussione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare strano che debba ripetere quel che ho detto fin dal primo momento; mi pare ancor più strano che lo debba ripetere in occasione di questo articolo, che tra tutti è proprio quello che più a ragione deve rimanere. Si tratta di difendere la Costituzione che stiamo facendo.

Si tratta di difendere l’ordinamento giuridico dello Stato. Ora, questo tipo di reato è sempre esistito in ogni legislazione penale, perché, se vogliamo difendere le persone, dobbiamo difendere la persona per eccellenza, che è lo Stato nella sua costituzione e nella sua formazione. Mi fa meraviglia sentir dire che questo reato non esiste più e che non deve esistere. Allora, dovremmo dire che chi attenta contro lo Stato non deve avere nessuna pena? Possiamo essere d’accordo in quello che diceva l’onorevole Sansone, di mantenere i limiti che aveva stabiliti il testo governativo, perché mi pare che pene da dodici a ventiquattro anni siano più che sufficienti per mantenersi in un giusto limite. Ma non posso ammettere il concetto che questo tipo di reato, che è mantenuto sempre nelle nostre legislazioni e nelle legislazioni di tutti gli Stati democratici, non debba essere mantenuto a difesa della democrazia, della Repubblica e della libertà generale.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Quello che ha detto l’onorevole Perrone Capano desta anche la mia meraviglia, perché noi siamo qui riuniti per redigere la nuova Costituzione della Repubblica italiana, e mi sembra strano che proprio nel momento, in cui si redige questa Costituzione, si possa chiedere la soppressione di una norma, che costituisce la difesa della Costituzione che si sta formando. La norma riproduce, d’altra parte, esattamente la corrispondente norma del Codice penale Zanardelli, e dall’epoca in cui il Codice Zanardelli venne emanato fino ad oggi, nessuno ha mai scritto che si trattava di una norma vaga o generica, che meritava di essere soppressa.

Per quanto riguarda la pena, la Commissione rileva che secondo l’articolo 283 del Codice Rocco era fissata la pena dell’ergastolo. Il Governo ritenne tale pena esagerata e stabilì nel progetto una pena non inferiore ai 12 anni. La Commissione ha ritenuto di distaccarsi sia dal Codice Rocco sia dalla proposta del Governo, ed ha seguito una via di mezzo: non si è fermata all’ergastolo, non si è fermata ai 12 anni, ed ha proposto la pena della reclusione non inferiore ai 20 anni. Ma è evidente che la Commissione non ha nessuna ragione precisa per insistere sulla sua proposta. Provveda l’Assemblea nel suo illuminato giudizio.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Avevo chiesto di parlare prima del Guardasigilli e prima del Relatore. Forse al Presidente è sfuggita la mia richiesta. Ad ogni modo esprimo ora il pensiero che avrei espresso allora, soprattutto dopo aver sentito da quel banco, e proprio dall’onorevole Perrone Capano, quello che voi avete sentito: noi non dovremmo porre nella legge nessun articolo a difesa della Costituzione.

PERRONE CAPANO. Non ho detto questo.

MACRELLI. Questo è il pensiero che ha espresso l’onorevole Perrone Capano, e ritengo per lo meno strana la sua proposta.

Noi abbiamo un diritto e un dovere: quello di difendere le istituzioni nuove, sorte dalla libera coscienza del popolo italiano; abbiamo il diritto e il dovere di difendere la Costituzione che noi, rappresentanti del popolo, abbiamo dato e stiamo dando alla Repubblica.

Ora, non dimentichiamo che si tratta di modificare il disposto dell’articolo 283 del famigerato Codice Rocco, che ha portato i suoi segni eversori, non soltanto nel campo del diritto costituzionale ma anche nel diritto pubblico e penale. Non dimentichiamo questo. È l’affermazione di una volontà di forza e di violenza morale e materiale che si è inclusa, non solo in questo articolo, ma in molti articoli del Codice penale.

E ricordo all’onorevole Perrone Capano, come ricordo anche agli altri colleghi, che l’articolo 283 riguardava non soltanto gli atti diretti a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, ma anche l’ordine di successione al trono coi mezzi non consentiti dalle ordinarie Costituzioni dello Stato; e si affermava questo principio: che qualunque atto, compiuto nei confronti della Costituzione, era punito con l’ergastolo. La Repubblica è generosa! Questo pensiero è stato detto in altri tempi, da altri uomini, e noi ripetiamo lo stesso concetto, ma intendiamo difendere la Costituzione. Ecco perché noi voteremo la proposta della Commissione. Noi non abbiamo la libidine delle pene e delle punizioni, però abbiamo – ripeto – un dovere e un diritto: quello di difenderci preventivamente contro tutti e contro tutto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Badini Confalonieri, inteso a sostituire le parole «è punito con la reclusione non inferiore ai venti anni», con le altre «è punito con l’ergastolo, e nei casi meno gravi, con la reclusione non inferiore ai dodici anni».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 283 nel testo del Governo:

«Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».

(È approvato).

Segue l’articolo 289. Si dia lettura del testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Attentato contro gli organi costituzionali). – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica, al Governo della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei Ministri l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;

2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative l’esercizio delle loro funzioni.

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione:

«(Attentato contro gli organi costituzionali). – E punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica o al Governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;

2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni.

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni, se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

A questo articolo gli onorevoli Camangi, Chiostergi, Magrini, Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Della Seta, Azzi, Facchinetti, Conti, Bellusci hanno proposto il seguente emendamento:

«Al numero due, dopo la parola «legislative» inserire le parole «nazionali e regionali».

L’onorevole Camangi ha facoltà di svolgere l’emendamento stesso.

CAMANGI. Rinunzio a svolgerlo, perché mi pare chiarissimo: si tratta di colmare una lacuna, poiché è nata anche l’Assemblea regionale che ha le sue attribuzioni e che merita di avere la stessa tutela delle altre Assemblee legislative.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Dichiaro di accettare la modifica della Commissione con la quale si toglie una figura particolare al Presidente del Consiglio. Siccome, effettivamente, la figura del Primo Ministro è quella di un primus inter pares, trovo giusto che si possa accettare la soppressione di un titolo particolare per il Capo del Governo.

Per quanto riguarda la modifica proposta dagli onorevoli Camangi ed altri, che vorrebbero aggiungere le parole «nazionali e regionali», io avrei qualche preoccupazione a questo riguardo.

Noi stiamo difendendo le istituzioni dello Stato; ancora non so se possiamo considerare le Assemblee regionali come una istituzione dello Stato. Noi ci manteniamo, in ogni modo, nella forma mantenendo la vecchia tradizione, la vecchia legge. Se domani nella riforma del Codice penale si vorrà estendere la tutela anche alle Assemblee regionali, esamineremo il problema; ma in questo momento dare alle Assemblee regionali le prerogative delle Assemblee legislative non so se possiamo farlo.

Quindi, sarei per il mantenimento del testo presentato dal Governo ed accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Date le dichiarazioni del Ministro, penso che possa essere sottoposto a votazione il testo proposto dalla Commissione.

Il testo proposto dalla Commissione diversifica da quello presentato dal Governo in due punti: uno di sostanza e l’altro di forma.

La Commissione ha tolto al numero uno le parole «e al Presidente del Consiglio dei Ministri» ed ha aggiunto al numero due alle parole «all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative» queste altre «o ad una di queste», anche per euritmia legislativa, essendo dette parole anche nell’articolo 290.

Poiché, come ho detto, il Ministro ha accettato le modifiche apportate dalla Commissione al testo governativo, ritengo, ripeto, che si possa mettere in votazione il testo della Commissione. Circa, poi, il rilievo formulato dal collega onorevole Camangi, io mi permetto di osservare che indubbiamente gli attentati del genere di quelli previsti dall’articolo in esame all’attività dei Consigli regionali è opportuno che siano previsti da una disposizione di legge. Penso, tuttavia, che non sia il caso di occuparsene ora, perché noi adesso stiamo discutendo dell’articolo 289 del Codice penale, che prevede gli attentati agli organi costituzionali dello Stato, e tali le Assemblee regionali non possono essere considerate.

Vorrei, quindi, pregare l’onorevole Camangi di rinviare ad altra sede la sua proposta.

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Sansone ha presentato un emendamento tendente a sopprimere il n. 1 dell’articolo 289. Ha facoltà di svolgerlo.

SANSONE. Onorevoli colleghi, è stato poc’anzi respinto l’emendamento soppressivo dell’onorevole Ruggiero: io mi permetto tuttavia di osservare che ora ci troviamo esattamente di fronte ad un duplicazione, in quanto noi, con l’articolo 277 che abbiamo approvato, abbiamo già previsto i casi dell’attentato alla libertà del Presidente della Repubblica.

Il dire quindi adesso che è punito con la reclusione non inferiore ai dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commetta un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, con quello che segue, mi sembra del tutto pleonastico, nel senso che noi, con questo testo, implicitamente alludiamo non ad altro che a quell’attentato alla libertà di cui all’articolo 287. (Commenti).

No, onorevoli colleghi: dovete scusarmi. Si intende che l’emendamento potrà anche essere respinto, insisto però su di esso perché sono convinto che questa discussione, sia pure breve, potrà darci un elemento interpretativo.

ANGELINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELINI. Mi permetto di dichiarare che a me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Ministro e dall’onorevole Relatore della Commissione a proposito dell’emendamento presentato dal collega onorevole Camangi non siano esatte. L’articolo 2 parla infatti di Assemblea Costituente e di Assemblee legislative, per l’esercizio delle loro funzioni. Ora, noi abbiamo approvato degli articoli della Costituzione i quali commettono il potere legislativo, per certe determinate materie, alle Assemblee regionali.

Quella stessa tutela quindi che noi dobbiamo stabilire nei confronti della Camera dei deputati e del Senato io ritengo debba essere anche di conseguenza estesa alle Assemblee regionali, in quanto esse hanno il potere legislativo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro Guardasigilli a esprimere l’avviso del Governo sull’emendamento dell’onorevole Sansone.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Sansone di non insistere sul suo emendamento, giacché la situazione giuridica prevista in questo articolo è assolutamente diversa da quella contemplata negli altri. In quelli, infatti, noi abbiamo previsto gli attentati ad una libertà prima fisica, poi, nell’altro articolo, morale del Presidente; qui invece si prevede il Presidente non già come persona fisica, ma come organo costituzionale, si prevede cioè la Presidenza in se stessa.

Un impedimento dell’esercizio della funzione costituzionale propria del Presidente della Repubblica è un reato che si configura evidentemente a sé. Si tratta dunque di un articolo che, come dicevo, prevede la figura del Presidente in quanto organo costituzionale.

Ho inteso l’onorevole Angelini associarsi alla proposta dell’onorevole Camangi. Vorrei osservare che, siccome si tratta di un articolo di Codice penale, quindi di legge in cui diamo disposizioni punitive per reati contro gli organi costituzionali, non mi pare sia il caso di estendere il principio per dire se una Regione dev’essere compresa o no. Questo lo dirà il nuovo Codice penale, e la questione sarà dunque decisa in quella sede. Del resto non credo che non occupandosene ora si farà un gran torto alle Regioni.

Decideremo dunque in un altro momento se la Regione debba essere considerata come organo costituzionale per sé stante, ma per ora vorrei che ci mantenessimo nei limiti già stabiliti.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Sansone.

COLITTO, Relatore. All’onorevole Sansone, che è un sottile giurista, non posso non ricordare che l’articolo 279 considera il Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni e l’articolo 277 il Capo dello Stato fuori delle sue funzioni.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Per quanto riguarda la proposta di soppressione delle sanzioni penali a tutela della persona del Presidente del Consiglio, dichiaro, anche a nome degli amici del mio Gruppo, che noi, in coerenza di quanto abbiamo già sostenuto nella Commissione dei 75, riteniamo che debba essere espressamente menzionata nella norma in esame anche la figura del Presidente del Consiglio. Per quanto lo si voglia considerare come primus inter pares, egli sarebbe sempre un organo, e nell’assunzione delle responsabilità inerenti all’esercizio del suo potere si spiega la necessità della tutela penale.

Ma noi riteniamo che ci sia qualcosa di diverso e di più del primus inter pares, se è vero che proprio in questi giorni abbiamo approvato in sede costituzionale il concetto per cui il Presidente del Consiglio dirige la politica del Governo e ne assume la responsabilità.

Quindi mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla necessità che la decisione che stiamo per prendere in sede di legge speciale risulti armonica coi criteri sanciti in sede costituzionale.

Contemplata pertanto la figura giuridica e costituzionale del Presidente del Consiglio, quale tutore e titolare del potere di coordinamento, credo che in conseguenza noi siamo dinanzi ad un soggetto che debba essere suscettibile di tutela penale autonoma.

Per questi motivi chiediamo che sia messo ai voti anche il testo del Governo, per il quale noi voteremo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei chiarire meglio la questione all’onorevole Dominedò. Il testo governativo parlava del Presidente della Repubblica, del Governo della Repubblica e del Presidente del Consiglio. La Commissione ha detto: siccome il Governo della Repubblica si personifica nella persona del Presidente del Consiglio principalmente, e poi negli altri membri del Governo, non vi è necessità di ripetere «Presidente del Consiglio» come se fosse una figura separata. Questa spiccata separazione aveva invece ragion d’essere nel testo precedente, perché allora si trattava del Capo del Governo duce del fascismo che rappresentava una figura indipendente dal Governo stesso.

Un attentato che si compia contro le attribuzioni del Governo comprende essenzialmente il Presidente del Consiglio. Quindi è inutile fare questa separazione e questa ripetizione, che non corrispondono più a quella separazione che c’era il passato.

Per questi motivi io prego l’Assemblea di accettare la proposta fatta dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore insiste?

COLITTO, Relatore. La Commissione insiste sul suo testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò, che ha fatto suo il testo del Governo, lo mantiene?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Sansone mantiene il suo emendamento?

SANSONE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 289 nel testo della Commissione.

Pongo in votazione le parole:

«Attentato contro gli organi costituzionali. – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o al Presidente del Consiglio dei Ministri», di cui al testo del Governo, fatto proprio dall’onorevole Dominedò.

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

Pongo in votazione le rimanenti parole dell’alinea.

«o al governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge».

(Sono approvate).

Pongo ai voti il secondo alinea del primo comma:

«all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento Camangi, tendente ad inserire dopo le parole «Assemblee legislative» le altre: «nazionali e regionali».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvato).

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. Data la votazione testé fatta dall’Assemblea, penso che debba essere correlativamente modificato il titolo dell’articolo. Nel titolo si parla di attentati contro gli organi costituzionali. Ora, se è esatto che le assemblee regionali non sono tali, è necessario che si aggiunga nel titolo: «e contro le Assemblee regionali».

PRESIDENTE. Votiamo ora l’ultimo comma; poi voteremo l’intitolazione dell’articolo.

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

(È approvato – L’articolo è così approvato).

L’onorevole Relatore propone che l’intitolazione dell’articolo sia modificata in questo senso: «Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali».

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 290: se dia lettura nel testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«Vilipendio delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’Ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente dizione:

«Vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica o le istituzioni costituzionali è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende l’Ordine giudiziario o le Forze armate dello Stato».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mantengo il testo governativo; accetto solo che si aggiungano nel titolo le parole: «della Repubblica». L’articolo parlava della corona. La corona è un istituto singolo, mentre la Repubblica è l’insieme delle istituzioni. Non posso accettare però: «e delle istituzioni costituzionali» in genere. Bisogna precisare quali sono, per stabilire il reato. La forma del Governo era invece «l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’ordine giudiziario». Vorrei si mantenesse il testo del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore per esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione parla nel testo da essa proposto di «istituzioni costituzionali». Nella relazione, però, si è chiarito che con le parole predette si era creduto di usare una formula sintetica al posto di una elencazione. Se vogliamo abbandonare la formula della Commissione e specificare le istituzioni tutelate, facciamo pure. La Commissione non si oppone. Nella dizione del testo governativo si parla di Assemblea Costituente, di Assemblee legislative e del Governo. Non credo che si debbano fare aggiunte.

PRESIDENTE. Allora aderisce al testo governativo?

COLITTO, Relatore. Aderisco.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Boldrini, Moscatelli, Longo, Barontini Ilio, Farina, Cavallotti, Barontini Anelito, Secchia, Lussu e Scotti Alessandro hanno proposto il seguente emendamento:

«Dopo le parole: le Forze armate dello Stato, aggiungere: e quelle della liberazione».

L’onorevole Boldrini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BOLDRINI. La ragione per cui abbiamo presentato questo emendamento è di carattere profondamente morale. Sono due anni che assistiamo alla campagna di calunnie e di svalorizzazione della resistenza italiana. Sono due anni che assistiamo alla campagna di improperi contro gli uomini della liberazione: campagna di diffamazione senza scrupoli, che è arrivata fino al paradosso di dire che la guerra della resistenza non è esistita; campagna di diffamazione che ha fatto del male ai nostro Paese all’interno, ma soprattutto ha fatto del male al nostro Paese all’estero. Molti di voi, che hanno avuto contatti con rappresentanti di altri Paesi, si saranno sentiti chiedere: «Ma come, voi in Italia avete fatto la guerra di liberazione? Ma quale guerra di liberazione, quando la vostra stampa la diffama?».

Ma chi diffama questa guerra di liberazione? È forse il popolo? No certamente. Se desiderate la dimostrazione pratica, guardate alla manifestazione dell’ultimo 25 aprile in cui diecine di migliaia di cittadini sono scesi sulle piazze d’Italia per ricordare l’insurrezione vittoriosa!

Chi offende allora la guerra di liberazione? Sono quegli uomini che oggi vorrebbero attentare alla Repubblica, alla democrazia.

Ebbene, voi state per approvare una legge per la difesa della Repubblica; ma prima di tutto dovete tutelare l’onore di coloro, che hanno riscattato il Paese ed hanno dato la possibilità di creare la Repubblica e di convocare l’Assemblea Costituente. (Applausi a sinistra).

Volete approvare una legge, che impedisca fra l’altro il vilipendio delle Forze armate? Ebbene, signori, le Forze armate non hanno forse ereditato lo spirito della resistenza? Non hanno esse stesse preso parte alla resistenza? Ricordate il contributo della marina e di alcuni gruppi dell’esercito: battaglia di porta San Paolo, battaglia di Piombino, di Lero, di Cefalonia; ricordate il contributo dato dall’aviazione! Molti degli ufficiali, che oggi sono nelle Forze armate, non hanno forse militato nelle forze della resistenza?

Ed allora noi saremmo di fronte a questa situazione: che, da una parte, vogliamo tutelare il patrimonio morale delle Forze armate e, dall’altra, permettiamo che una pagina di storia, che è storia delle Forze armate, venga vilipesa. I reduci di Cefalonia e di Lero hanno chiesto di essere partigiani ad honorem. È un titolo di onore per gli ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aviazione essere partigiani, tanto che essi portano il nastrino della guerra partigiana.

Signori, se da una parte volete difendere il patrimonio morale delle Forze armate, dovete difendere anche il patrimonio della guerra di liberazione, perché queste due cose sono inscindibili, sono unite l’una all’altra. Ma credo ci sia soprattutto una ragione altamente morale che deve far accettare l’emendamento proposto, e cioè deve essere una riparazione solenne che l’Assemblea Costituente deve fare, una riparazione solenne verso coloro che sono caduti, verso le famiglie dei nostri Caduti, le quali oggi, pur attendendo da mesi e mesi la pensione, vogliono soprattutto una parola di riconoscenza dal Paese. Deve essere una riparazione solenne verso tutti coloro che hanno dato il loro contributo di sangue e di sacrificio per il riscatto nazionale. Deve essere soprattutto una difesa del testamento morale della resistenza, scritto da uomini di tutte le correnti politiche, da Galimberti a Don Morosini, dal colonnello Montezemolo a Buozzi; da Curiel a Dante di Nanni, testamento morale scritto da centinaia e centinaia di donne con alla testa Irma Bandiera. Signori, è la difesa della pagina di storia del secondo Risorgimento italiano. Fate questo atto di riparazione solenne. Esso sarà un atto dignitoso dell’Assemblea Costituente italiana. Non dimenticate la seduta tempestosa del 18 marzo 1861, quando Garibaldi chiese che fosse rispettato l’onore delle Camicie Rosse; allora si votò contro; il Paese ne ha però fatto solenne ammenda; le nuove generazioni dal 1861 in poi si sono educate allo spirito della resistenza garibaldina. Fate che oggi non succeda quello che successe allora. Fate che il vostro voto sia voto di fiducia verso coloro che hanno combattuto, un voto di riparazione verso coloro che hanno dato il loro supremo sacrificio, un voto che ponga finalmente il suggello più solenne nella pagina della liberazione nazionale. (Vivissimi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma: La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».

L’onorevole Ruggiero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

RUGGIERO. Osservo che forse è necessario configurare questo caso, perché era già configurato nell’articolo 123 del Codice penale del 1889 e perché configurato in tutti i Codici. Vi è di più: la tutela che si chiede per le istituzioni di carattere costituzionale è già sancita in tutti i Codici, anche per le istituzioni che non rivestono un carattere propriamente costituzionale. Per questo motivo chiedo che l’emendamento venga accolto ipotizzando questo un aggravamento del vilipendio, con necessari conseguenti aumenti di pena.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Signor Presidente, prendo la parola unicamente perché credo che sia più opportuno votare sul testo della Commissione. La ragione è questa: noi ci rendiamo perfettamente conto dello scopo di questo disegno di legge, che tende semplicemente ad adeguare la legislazione penale alla nuova situazione. Non entriamo nel merito, perché questo articolo costituisce, a nostro modo di vedere, una delle questioni più delicate dell’attuale disegno di legge in votazione e meriterebbe una discussione ampia e minuta. Ma il concetto fondamentale è questo: che non si è d’accordo sull’interpretazione del famoso «vilipendio», e poiché l’interpretazione può essere quanto mai elastica e non è possibile stabilire i confini tra ingiuria, oltraggio, offesa e vilipendio e non è neanche possibile stabilire quali sono gli oggetti di questa tutela, crediamo che non sia opportuno cristallizzarci in una elencazione categorica e tassativa. Lasciamo, pertanto, che l’oggetto della tutela sia l’essenza degli istituti, come è già stato del resto largamente riconosciuto da tutta la dottrina, italiana e straniera. (Commenti).

PRESIDENTE. Mi pare, onorevole La Rocca, che l’ordine del nostro lavoro con la sua proposta diventi complicato. La prego di rinunciare alla sua proposta, perché la votazione sull’articolo 290 sarà una votazione per commi e si potrà pacificamente risolvere il problema con le votazioni sui singoli punti.

LA ROCCA. E appunto questa la ragione per la quale crediamo che non sia il caso di specificare e indicare gli organi che incarnerebbero queste famose istituzioni costituzionali e che sarebbe meglio lasciare questo all’interpretazione della dottrina. (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho pregato la Commissione, la quale ha aderito, di tornare al testo governativo, perché è indispensabile, per stabilire l’esistenza di un reato, che si sappia se il reato esiste nei confronti di determinate istituzioni. Non solo, ma sorgerebbe un dubbio, se si adottasse la formula generica: «contro le dette istituzioni»; si potrebbe pensare che, perché il reato di vilipendio sorgesse, che esso fosse commesso contro tutte le istituzioni e non contro una soltanto, mentre noi quando specifichiamo e diciamo quali sono queste istituzioni verso cui il vilipendio costituisce un reato, mi pare che facciamo cosa lodevole, perché la tecnica legislativa deve essere precisa e perciò in tal modo, con una maggiore specificazione, facciamo sì che il congegno sia perfettamente chiuso.

Quindi ho pregato la Commissione, che ha aderito, di accettare il testo presentato dal Governo, inserendo anche la Repubblica come complesso delle istituzioni, perché quando si dice Repubblica si colpisce tutto il complesso delle istituzioni. Comprendiamola pure; ma quando diciamo istituzioni costituzionali dobbiamo dire quali sono quelle che, offese, costituiscono vilipendio, e dobbiamo dirlo anche specificatamente perché, secondo la formula, potrebbe sembrare che il vilipendio ad una sola di queste non costituisca reato.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Ricordo al Ministro di grazia e giustizia che la formula proposta dalla Commissione è la stessa formula del Codice Zanardelli, che era poi la formula tratta dal progetto del 1887, sebbene più ristretta. E nessuno, credo, potrà ritenere che la formula del progetto Zanardelli non fosse inspirata a criteri di democrazia o che non volesse tutelare determinate istituzioni.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

COLITTO, Relatore. Fra l’opinione del Ministro e quella dell’onorevole La Rocca non vedo contrasto. Dicono tutti e due, a mio avviso, la stessa cosa. L’onorevole La Rocca ritiene che si debba usare una formula sintetica ed il Ministro pensa che si debba specificare. Ora, se l’onorevole La Rocca affermasse che, oltre gli organi costituzionali indicati dal Ministro, esistessero altri organi costituzionali meritevoli di tutela, io comprenderei il suo atteggiamento, ma quando egli questo non afferma, io credo che si possa usare la formula indicata dal Ministro,.

PRESIDENTE. Poiché il Ministro ed il Relatore sono d’accordo, penso che si debba votare sul testo governativo. Prego ora l’onorevole Ministro di volere esprimere il suo avviso sugli emendamenti Boldrini e Ruggiero.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.

Il mio parere è questo: non c’è dubbio che da parte dell’Assemblea e da parte del Governo vi debba essere la massima riverenza possibile verso le forze della liberazione, ma può darsi che la situazione giuridica non sia completamente a posto. I reati in parola sono messi sotto il titolo di reati contro la personalità dello Stato, ed io non so se le forze della liberazione possono considerarsi come organi della personalità dello Stato. Comunque, io mi rimetto all’Assemblea. Vi è poi un’osservazione di carattere tecnico; le forze della liberazione, per quanto siano state organizzate ed abbiano avuto la loro forma giuridica, non so se oggi rappresentano una forma giuridica del Governo e se ci sia qualche organo che le rappresenti giuridicamente. L’esercito, la marina e l’aeronautica hanno i loro rappresentanti e possono costituirsi in giudizio per chiedere l’azione penale. Non so se le forze della liberazione possono fare altrettanto.

Una voce al centro. C’è l’A.N.P.I.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi rimetto all’Assemblea. Le forze della liberazione devono avere una tutela, ma non so se tecnicamente o giuridicamente si possa inserire questa tutela in un articolo di questa legge.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Ruggiero non so come si potrebbe fare un reato al cospetto della Repubblica! Mi pare che sia un po’ difficile precisare e mi sembra un po’ esagerato aggiungere quest’aggravante.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Circa l’emendamento dell’onorevole Ruggiero mi associo a ciò che ha detto l’onorevole Ministro. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Boldrini, io devo confessare che, essendo qui solo a rappresentare la Commissione, mi trovo in una specie di disagio spirituale. Posso esprimere il mio parere personale, ma non il parere della Commissione.

Il mio parere personale è questo. Se debbo interrogare il mio cuore, allora io sottoscrivo senz’altro quello che ha detto il collega Boldrini: ma, se debbo interrogare il mio criterio giuridico, debba dire di essere di diverso avviso. Perché? Perché l’articolo 290 del Codice penale, del quale ci stiamo occupando, prevede due categorie di istituzioni: quelle propriamente costituzionali, cioè non subordinate ad alcun organo speciale, e le altre, che non sono costituzionali, ma alle stesse parificate quanto alla tutela.

Ora istituzioni sono indubbiamente l’Ordine giudiziario e le Forze armate. Queste trovano la loro precisa identificazione giuridica nel Codice penale militare. Ma una identificazione giuridica, così come è possibile per le Forze armate, non credo che sia possibile (mi posso ingannare) per le Forze della liberazione.

Questo, ripeto, è, però, un mio pensiero personale. Prenda l’Assemblea la decisione che crede.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruggiero se mantiene il suo emendamento.

RUGGIERO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Boldrini se mantiene il suo emendamento.

BOLDRINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione. Pongo anzitutto in votazione il titolo dell’articolo 290 nel testo del Governo:

«Vilipendio delle istituzioni costituzionali».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole:

«Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o le Assemblee legislative o una di queste».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«ovvero il Governo».

(Dopo prova e controprova sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o l’Ordine giudiziario».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

(Sono approvate).

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. La Commissione ha ritenuto di parlare dell’ordine giudiziario nel capoverso dell’articolo, ritenendo che l’Ordine giudiziario non fosse una istituzione costituzionale.

La Commissione si è occupata dell’Ordine giudiziario e lo ha contemplato nel capoverso, parlandone insieme con le Forze armate, e pensa che la proposta possa essere approvata.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASS1, Ministro di grazia e giustizia. A differenza di quello che è il punto di vista della Commissione, io invece ho dichiarato di mantenere la forma stabilita e presentata già dal mio predecessore, in quanto è funzione della sovranità quella di dare un giudizio. Mi pare d’altra parte che sia impossibile venir meno a quello che è un deliberato già preso dall’Assemblea.

PRESIDENTE. E evidente che non si può mutar nulla di quanto è stato stabilito dall’Assemblea.

Pongo in votazione il secondo comma:

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Boldrini, tendente ad aggiungere, dopo le parole: «le Forze armate dello Stato» le altre: «e quelle della liberazione».

(Dopo prova e controprova, è approvato – Vivi, prolungati applausi a sinistra – Si grida: Viva i partigiani!).

Una voce a sinistra. Viva anche i partigiani della Democrazia cristiana! (Applausi a sinistra).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Propongo che il titolo dell’articolo sia completato, con l’aggiunta delle parole:

«e delle Forze armate».

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore di esprimere il proprio parere su questa proposta.

COLITTO, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo dell’articolo 290, con l’emendamento Fabbri:

«Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate».

(È approvato).

Pongo, ora, in votazione l’emendamento dell’onorevole Ruggiero:

«Aggiungere il seguente comma:

«La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».

(Non è approvato).

L’articolo 290 è così approvato.

Segue l’articolo 298, per il quale la Commissione non ha proposto alcuna variante. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Offese contro i rappresentanti di Stati esteri). – Le disposizioni dei tre articoli precedenti si applicano anche se i fatti, ivi preveduti, sono commessi contro rappresentanti di Stati esteri, accreditati presso il Governo della Repubblica, in qualità di Capi di missione diplomatica, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 313. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Autorizzazione o richiesta a procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro di grazia e giustizia».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione: Le modifiche riguardano il titolo e il terzo comma:

«Art. 313. (Autorizzazione a procedere o richiesta di procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative o una di queste, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro della giustizia».

Chiedo al Governo di dichiarare se accetta il testo della Commissione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 313 nel testo proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo.

(È approvato).

È così approvato l’articolo 2 del disegno di legge nel suo complesso.

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«L’articolo 127 del Codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 127. (Richiesta di procedimento per offese al Presidente della Repubblica). – Salvo quanto è disposto nel titolo primo del libro secondo di questo Codice, qualora un delitto punibile a querela della persona offesa sia commesso in danno del Presidente della Repubblica, alla querela è sostituita la richiesta del Ministro della giustizia».

PRESIDENTE. La Commissione propone soltanto di modificare così il titolo dell’articolo 127 del Codice penale:

«Richiesta di procedimento per delitti contro il Presidente della Repubblica».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta il testo della Commissione?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3 del disegno di. legge, con la modifica proposta dalla Commissione e accettata dal Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto il seguente nuovo testo:

«L’articolo 280 del Codice penale, abrogato dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, è sostituito dal seguente:

«Art. 280. (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 sono parificati al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci e il Capo provvisorio dello Stato».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego la Commissione di non insistere, perché non ritengo che si possa dedicare un articolo del Codice al Capo provvisorio dello Stato, trattandosi appunto di una figura meramente transitoria.

Il Codice deve statuire norme di carattere permanente e non deve occuparsi di materia contingente; d’altro canto la formula proposta dalla Commissione è tecnicamente inesatta, in quanto vorrebbe sostituire un articolo (il 280 del Codice penale) già abrogato.

Forse la Commissione contempla il caso di colui che sostituisce il Presidente nei casi previsti dalla Costituzione. Ma allora si dovrebbero fare due articoli, il primo, l’attuale articolo 4 previsto dal progetto e l’altro – che potrebbe essere un articolo bis – del seguente tenore:

«Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».

Così distinguiamo le due formule: per il Capo provvisorio dello Stato manteniamo la formula transitoria del progetto e per il sostituto del Presidente la norma permanente – un articolo del Codice da collocare dopo l’articolo 290 – nel senso che ho detto.

PRESIDENTE. La Commissione accetta?

COLITTO, Relatore. La Commissione mantiene il suo testo; non si oppone, tuttavia, a che, per il Capo provvisorio dello Stato, si faccia un articolo a parte.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.

Le ipotesi che fa la Commissione sono due: una riguarda il Capo provvisorio dello Stato, e non può non essere una disposizione transitoria, e l’altra che parifica al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci, e questa deve essere una norma permanente. Il Governo propone di mantenere l’articolo 4 nel testo ministeriale, in quanto riguarda una norma transitoria, e per la parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci propone un articolo 290-bis del Codice penale.

COLITTO, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il Governo propone, e la Commissione accetta, di votare l’articolo 4 nel testo ministeriale e di aggiungere un articolo 290-bis, da includere evidentemente nell’articolo 2 del progetto, dopo l’articolo 290 del Codice, del seguente tenore:

«Articolo 290-bis (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».

Questi due articoli saranno votati con riserva di coordinamento.

Pongo in votazione l’articolo 4 nel testo ministeriale, del seguente tenore:

«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 290-bis del Codice, testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. Nella seduta del 16 marzo 1947 si disse che la presente legge è una legge costituzionale. Allora la formula dell’articolo 5 dovrebbe essere quella delle altre leggi costituzionali.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. In realtà nel resoconto, al quale si richiama l’onorevole Colitto, si legge la comunicazione che il Governo ha presentato direttamente all’Assemblea, a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, tre disegni di leggi di carattere costituzionale. Il disegno di legge, che si sta approvando; è uno di essi. Ma nel testo presentato dal Governo il disegno in questione non è qualificato come disegno di legge costituzionale, come, invece, è dichiarata legge costituzionale quella concernente la soppressione del Senato. Comunque, a prescindere da inesattezze formali, è evidente che quella che abbiamo oggi discussa è una legge che si limita a portare alcune modificazioni al Codice penale. Essa riguarda una materia che non è costituzionale e perciò non deve avere la forma di una legge costituzionale. La formula dell’ultimo articolo, pertanto, deve essere quella usuale delle leggi ordinarie.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, insiste?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 5, testé letto, nel testo ministeriale.

(È approvato).

Passiamo al titolo della legge. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane».

PRESIDENTE. La Commissione propone di sostituirlo col seguente:

«Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato».

Chiedo al Governo di esprimere il proprio parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo della legge nella formulazione proposta dalla Commissione ed accettata dal Governo.

(È approvato).

È così esaurito l’esame di questo disegno di legge. Chiedo all’Assemblea l’autorizzazione di procedere al coordinamento del disegno di legge.

(Così rimane stabilito).

Se l’Assemblea consente, questo e gli altri disegni di legge esaminati oggi, saranno votati a scrutinio segreto nella seduta antimeridiana di domani.

(Così rimane stabilito).

Comunico che domani vi saranno due sedute, alle 10.30 e alle 16.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che sono state presentate alla Presidenza le seguenti interrogazioni, con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario revocare alla Società Garigliano e suoi successori la concessione della costruzione del bacino idroelettrico del Taloro (Nuoro), già iniziata e poi abbandonata, costruzione di importanza vitale per l’avvenire industriale dell’Isola. oltreché agricolo per la provincia di Nuoro e avente altresì – quale bacino a monte di quello del Tirso – la funzione importantissima di regolare le piene e impedire gli straripamenti che nella presente stagione provocano l’allagamento di diecine di migliaia di ettari del più fertile terreno isolano, distruggendo le semine o rendendo impossibili altri lavori agricoli autunnali.

«Murgia».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, di fronte ad una modifica dell’ordinamento degli studi dell’Università di Trieste da parte del Governo del territorio libero, corrisponda a verità quanto si afferma circa l’intenzione del Governo italiano di non riconoscere più pieno valore alle lauree rilasciate dall’Ateneo triestino.

«Bettiol, Ermini, Colombo Emilio, Caronia, Colonnetti, Lazzati».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se, in considerazione dell’attuale situazione del mercato dei titoli, non ravvisi l’opportunità di rivedere la tabella dei valori medi dei titoli quotati in borsa da tenersi in calcolo ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, determinati a norma dell’articolo 18 della legge 1° settembre 1947, n. 828.

«Marinaro».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali ragioni impediscono l’inizio dei lavori per la sistemazione delle fognature nel comune di Larino in provincia di Campobasso.

«Detti lavori furono compresi nel programma di opere in favore del Molise sin dall’ottobre 1946, per un importo di 10 milioni.

«Successivamente l’ingegnere capo del Genio civile in Campobasso dette formale assicurazione al sindaco di Larino che la detta somma era stata stanziata.

«Conseguentemente, a spese e cura del Comune interessato, fu redatto il progetto, trasmesso con sollecitudine al competente ufficio del Genio civile.

«Ma d’improvviso – per ragioni che si ignorano – i fondi sono stati stornati. A beneficio di chi?

«In data 12 agosto 1947, in occasione della visita del Ministro Tupini a Larino, fu data formale assicurazione dal provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise che i fondi erano invece tuttora a disposizione, motivo per cui era possibile eseguire i lavori. Fu richiesto, a tale scopo, il progetto che era stato già trasmesso sin dal 18 giugno 1947.

«Si apprende ora dagli uffici periferici che i lavori non sono compresi fra quelli da eseguirsi nel corrente esercizio, contrariamente alle assicurazioni date, anche di recente, dal Ministro.

«Tali stridenti contradizioni, oltre che inconcepibili, non giovano di certo a tranquillizzare la popolazione interessata che vede, con vivo rammarico, ancora una volta differita la soluzione di un vitale problema cittadino.

«Camposarcuno».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia.

«Nobile».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del tesoro e delle finanze, per sapere se non credano opportuno dare le disposizioni e adottare i provvedimenti necessari – di immediata esecuzione – perché siano esaurite nel più breve termine le pratiche per le pensioni di guerra e degli infortunati civili.

«Macrelli».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere – in riferimento a una precedente interrogazione con richiesta di risposta scritta non apparsa esauriente all’interrogante – quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (ENEL) e poscia, con decreto del famigerato gerarca Ricci, liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nei ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole, attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intende prendere in favore degli agenti di custodia, i quali, benché il loro Corpo sia stato inquadrato con decreto legislativo n. 508 del 21 agosto 1945 fra i Corpi di polizia dello Stato e giuridicamente ed economicamente equiparato ad essi, ricevono un trattamento inferiore a quello degli agenti e militi degli altri Corpi. E se non ritiene che tale situazione svantaggiosa possa essere d’impedimento al normale svolgimento delle funzioni degli agenti di custodia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere:

1°) se sia a sua conoscenza che i proprietari terrieri sardi chiedono a mezzo procedimento giudiziario, ed ottengono, come già diversi casi hanno dimostrato, la dismissione dei terreni degli affittuari e dei soci delle cooperative che applicano il decreto sulla diminuzione dei canoni di affitto in misura del 30 per cento, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto 1947, perché tale decreto non è stato ancora inserito nella Gazzetta Ufficiale;

2°) se gli sia pervenuta la notizia del vivo allarme che esiste fra i contadini i quali, impossibilitati anche per lo scarso raccolto dell’annata, a versare interamente il canone di affitto, intendono opporsi alle sentenze dei Tribunali;

3°) e se ritenga intervenire con provvedimenti di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le cause che ritardano enormemente i pagamenti per gli indennizzi e le requisizioni di guerra; e particolarmente per sapere i motivi per cui il competente ufficio di via Lucullo, 14, di Roma, non ha mai risposto alla domanda presentata dal signor Primo Bruno Volpi, delegato della ditta Lombardo Patricelli & C. di Pescara, intesa a ottenere il pagamento per 185 mila mattoni requisiti dal comando militare inglese già residente a Vasto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno modificare lo statuto del Circolo ufficiali delle Forze armate d’Italia (Ente di diritto pubblico), e di ispirare il nuovo statuto alle esigenze democratiche e repubblicane dello Stato. E se non ritenga pertanto necessario, abrogato il decreto luogotenenziale 2 novembre 1945, n. 900, stabilire una nuova organizzazione interna che, inspirandosi al principio della perfetta uguaglianza, anche dal punto di vista formale, di tutti i soci, come tali, consenta la partecipazione degli elementi idonei, indipendentemente dal grado che rivestono alle cariche sociali e alla vita del Circolo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Lussu, Cevolotto, Azzi, Gasparotto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dell’interno, della marina mercantile e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano necessario far revocare al più presto ogni autorizzazione concessa ai Comuni di istituire un diritto, nel limite massimo del 5 per cento del valore, sui prodotti della pesca e della molluschicoltura (a sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177).

«Ciò per il carattere aleatorio e stagionale della pesca e molluschicoltura; per gli oneri cui è già sottoposta la produzione ittica; per la concorrenza di prodotti ittici di importazione; per le limitazioni nell’esercizio di pescare; oltre che per infinite ragioni economiche e sociali che consigliano di non gravare più oltre il povero pescatore.(L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sulle ragioni per le quali finora non è stato emanato il regolamento per l’applicazione del decreto legislativo 13 settembre, n. 253, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie, rilevando che la mancanza del regolamento impedisce l’elezione degli organi direttivi degli ordini stessi, secondo gli articoli 22 e 24 del citato decreto, e lascia in carica a tempo indeterminato le Commissioni straordinarie nominate dai prefetti e dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Michele».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, contrariamente al voto già espresso dal Consiglio superiore, intenda riaprire le iscrizioni alle Facoltà universitarie di scienze politiche.

«Marchesi».

PRESIDENTE. La prima interrogazione sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure la interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 21.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30 e alle 16:

  1. – Discussione del disegno di legge:

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

  1. – Votazione a scrutinio segreto di cinque disegni di legge.
  2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 27 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 27 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti:

Corsanego

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Fusco

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Pesenti

Marazza Sottosegretario di Stato per l’interno

Morini

Marinaro

Sampietro

Costa

La Rocca

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Gasparotto

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Arata

Vinciguerra

Bulloni

Perrone Capano

Pastore Raffaele

Trulli

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti.

CORSANEGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSANEGO. Mi sia permesso, onorevole signor Presidente e onorevoli colleghi, di partecipare anche in quest’Aula al rimpianto per la fine terrena dell’Eminentissimo Cardinale Carlo Salotti, Vescovo di Palestrina e Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti.

Si è spenta con lui la vivida luce di un apostolo infaticabile della civiltà cristiana, di uno dei più eloquenti e appassionati assertori della grande missione dell’Italia nel mondo; ma soprattutto di un coraggiosissimo, audace e tenace difensore delle libertà civili, che levò intrepida la sua voce nelle tenebre del servaggio, con la mano e la parola fermamente tesa, come fra Cristoforo, contro i vari Don Rodrigo del nostro recente passato.

Ed è giusto che in quest’Aula, più che la serie degli alti uffici ricoperti nei dicasteri ecclesiastici che lo condussero meritatamente alla Porpora, siano ricordati la sua difesa della libertà, la sua predilezione per la classe operaia da cui proveniva – era figlio di un falegname di Grotte di Castro – il suo infiammato amore per l’Italia, da lui considerata come il paradiso del tempo, come considerava il cielo la patria per l’eternità.

Quando più gemevamo ed eravamo oppressi sotto il giogo nazifascista, Egli, nei suoi discorsi eloquentissimi, nelle lettere pastorali parlò così alto e forte contro le tirannie e a tutela delle libertà dell’uomo e del cittadino, da meritarsi da parte dei dominatori di allora persino la minaccia di arresto. All’indomani della strage delle Fosse Ardeatine scriveva fra l’altro che «bisognava riportare la coscienza cristiana nella vita pubblica, dove oggi l’egoismo soffoca i sentimenti più nobili, lo sfruttamento più disonesto fa strage dei deboli e dei poveri, l’odio contro i fratelli divampa furiosamente, e i delitti si consumano con un cinismo brutale».

E a chi tentava di farlo tacere, Egli, araldo della Chiesa che, per dirla con una frase manzoniana, da tanti secoli soffre, combatte e prega, durante un regime che le permetteva di pregare, purché lo facesse a bassa voce, le permetteva di soffrire, purché si lamentasse il meno possibile, ma quanto al combattere voleva che non se ne facesse nulla per non avere fastidi, rispondeva intrepido: verbum Dei non est alligatum.

Coloro che poi in questi giorni in cui la Salma fu esposta nella camera ardente si meravigliavano che folte schiere di operai delle officine e degli stabilimenti di Roma l’avessero visitata, ignoravano che il compianto Cardinale, dall’epoca lontana in cui assisteva la Società Artistica Operaia, mai aveva tralasciato di difendere gli interessi morali e materiali dei lavoratori, che Egli andava a trovare sul campo stesso della loro quotidiana fatica, come ricordano gli operai del gas e i minatori della Maremma toscana.

Propugnando le più ardite riforme sociali per diminuire – son parole sue – «quelle eccessive concentrazioni di ricchezza, spesso scandalose, perché non sempre onestamente acquistate», Egli affermò che le classi lavoratrici sono i cardini vitali della prosperità nazionale.

Finalmente, dal giorno in cui aveva servito la Patria sotto uniforme del soldato, fino all’estremo palpito della sua vita, l’Italia era stata l’oggetto dei suoi pensieri, del suo affetto, e la sua pace interna, il suo decoro e la sua giusta gloria all’estero furono l’argomento quotidiano delle sue conversazioni private e una nota sempre fremente e presente nei suoi infuocati discorsi.

E sul letto di morte, ricevendo gli estremi conforti della Fede pronunziò queste chiare parole che furono le ultime: «Offro le mie ultime sofferenze per la Chiesa, per il Papa e per la mia Italia»,

Sono certo perciò, onorevoli colleghi, di interpretare l’unanime pensiero della Camera, al di fuori di ogni divisione di parte, rendendo omaggio alla figura del Cardinale Carlo Salotti, la cui memoria resterà fra noi come modello della vita esemplare di chi ha pregato e operato, combattuto e sofferto per le fortune congiunte dell’Italia e della civiltà cristiana. (Applausi).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. A nome del Governo, mi associo al lutto della Chiesa Romana per la scomparsa del Cardinale Salotti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo di interpretare il sentimento dell’Assemblea, associandomi alle parole nobilissime dell’onorevole Corsanego, le quali seguono le condoglianze dell’Assemblea alla famiglia del Cardinale Salotti, espresse col telegramma già inviato dal Presidente onorevole Terracini, in questi termini:

«Prendendo viva parte al suo personale cordoglio, rimpiango perdita uomo eminente che nella Chiesa e fra il popolo traduceva in pratica azione gli insegnamenti e la virtù della sua fede». (Applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dei deputati Fusco, De Michele, Numeroso e Caso, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere i motivi che hanno determinato il recente provvedimento di sospensione del decreto di aggregazione dei mandamenti di Roccamonfina e di Mignano al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, provvedimento che procrastina, ai danni della provincia di Caserta, l’applicazione del principio costantemente seguito della coincidenza della circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa. Gli interroganti chiedono ancora di conoscere quali assicurazioni e precisazioni possa il Governo dare sulla revoca della disposta sospensione, di fronte alla grave agitazione manifestatasi nell’intera provincia di Caserta, giustificata dal fatto che recentemente, in applicazione dello stesso principio, i mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano sono stati trasferiti dalla circoscrizione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a quella del Tribunale di Napoli».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ricordo agli onorevoli interroganti e all’Assemblea che, con decreto luogotenenziale 11 giugno 1945, fu istituita la provincia di Caserta e che, con l’articolo 6 di questo decreto, venne autorizzato il Ministero di grazia e giustizia a disporre l’adattamento dell’ordinamento giudiziario della giurisdizione a quello che era in loco l’ordinamento amministrativo.

In base a queste disposizioni amministrative, il mio predecessore, onorevole Gullo, dispose che i tre mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, della provincia di Napoli, che facevano parte del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ne venissero distaccati e passassero al tribunale di Napoli, in quanto che questi mandamenti non facevano più parte della provincia di Caserta, ma di quella di Napoli.

Premetto che l’unico tribunale della provincia di Caserta è quello di Santa Maria Capua Vetere. Questa dunque la situazione che io ho trovato al Ministero, in relazione a questa giusta disposizione del mio predecessore. Pertanto il tribunale di Santa Maria Capua Vetere attraverso i suoi organi rappresentativi, mi fece presente l’opportunità che i tribunali di Campobasso e di Cassino venissero aggregati a quello di Santa Maria Capua Vetere, seguendo il medesimo principio.

Infatti, il Ministero di grazia e di giustizia, seguendo questa direttiva, emanò un nuovo provvedimento con cui aggregò al tribunale di Santa Maria Capua Vetere le preture di Mignano e Roccamonfina che appartenevano al tribunale di Cassino. Questo provvedimento fu preso in ossequio a una disposizione normativa di legge; esso tuttavia ha urtato il tribunale di Cassino che è insorto contro questa che ha chiamato mutilazione della sua giurisdizione.

Di fronte, pertanto, a tale disposizione, tenendo presente che non soltanto il provvedimento non ha avuto ancora esecuzione, in quanto esso avrebbe dovuto averla soltanto il primo gennaio 1948, ma tenendo presente anche la circostanza che il tribunale di Cassino si trovava ad avere in passato una larghissima giurisdizione che comprendeva anche Gaeta e Formia, mentre poi in seguito è stato ridotto, è parso opportuno riprendere in esame la questione.

È da notarsi inoltre che Cassino è stata la città martire: non so se tutti voi, colleghi, l’avete vista, dopo questa immane guerra, nelle lacrimevoli condizioni in cui è ridotta; è infatti purtroppo una triste realtà che la guerra, per nostra fortuna liberatrice, ha recato però, purtroppo, nuove piaghe sanguinose alla nostra Italia, e Cassino ha preso il provvedimento di cui vi ho fatto parola come un’offesa al sacrificio inenarrabile da essa compiuto.

V’è inoltre un’altra considerazione ancora, ed è che è in corso lo studio di un nuovo adattamento e di nuove modifiche alle circoscrizioni amministrative, in vista del prossimo ordinamento regionale, in quanto una parte marginale del Lazio potrà staccarsi per essere aggregata alla Campania.

Per tutte queste considerazioni dunque, il Governo è venuto nella decisione di sospendere l’applicazione del provvedimento. Non si tratta di una revoca, ma della semplice sospensione di un provvedimento che dovrà andare in attuazione il 1° gennaio 1948 – c’è quindi tempo – in attesa di esaminare quello che sarà l’ordinamento amministrativo, per adattarlo a quello giurisdizionale di Santa Maria Capua Vetere.

Mi rendo conto delle lamentele di Santa Maria Capua Vetere, che da un certo punto di vista appaiono giustificate. Ma devo far notare che, trattandosi per Santa Maria Capua Vetere di un tribunale unico, esso rappresenta 500 mila persone, mentre quello di Cassino rappresenta soltanto 230 mila persone. Non credo che questa sia una ragione per modificare il principio fondamentale che le giurisdizioni amministrative devono combaciare con quelle giurisdizionali.

Dal momento che è allo studio una modificazione della situazione amministrativa, non si porta nessun pregiudizio a Santa Maria Capua Vetere se si attende qualche mese.

Di fronte a questo spirito del Governo, di mantenere fermo tutto ciò che rimarrà alla provincia di Caserta, io credo che gli onorevoli interroganti possano ritenersi sodisfatti. Tanto più che di questi tre mandamenti, uno rimane assegnato definitivamente a Santa Maria Capua Vetere.

Rimarrebbero gli altri due mandamenti. È possibile che di questi due uno, Roccamonfina, rimanga a Santa Maria Capua Vetere, mentre forse l’altro andrebbe al Tribunale di Cassino. Si tratterebbe di spostare soltanto 13 mila persone, ciò che risponde alle esigenze della popolazione, che ha manifestato il suo desiderio di essere aggregata a Santa Maria Capua Vetere, mentre il comune di Mignano è contrario, e mi ha fatto pervenire telegrammi e voti per l’aggregazione al Tribunale di Cassino.

Ad ogni modo, la questione non è per nulla pregiudicata. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà l’unico Tribunale della provincia di Caserta: quindi nessuna preoccupazione che il principio fondamentale, che l’ordinamento amministrativo combaci con quello giudiziario, non debba essere rispettato.

PRESIDENTE. L’onorevole Fusco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FUSCO. La risposta dell’onorevole Ministro non può certamente accontentare me e non fa che aumentare lo scontento della Curia del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ove gli avvocati, in numero di 350, sono in sciopero dal 17 ottobre, in segno di protesta per questo provvedimento di sospensione.

Ed il provvedimento, assai inopportuno, ha determinato uno scontento generale in tutta Terra di lavoro, che si è già manifestato con uno sciopero dimostrativo, mentre si profila uno sciopero generale provinciale.

Perché non è solo il fatto della mutilazione del Tribunale, ma si tratta di tutta una serie di ingiustizie che questa provincia sta subendo.

I gravi danni arrecati al tribunale di Santa Maria s’inseriscono in questa serie di ingiustizie. La provincia di Caserta fu soppressa dal dittatore, perché era una provincia non molto fascista, anzi niente affatto fascista. Era una delle più ampie provincie d’Italia, delle più rappresentative, delle più laboriose ed industriose, con una popolazione tranquilla e serena. Il dittatore l’abolì e per 20 anni essa fu una borgata di Napoli, alla mercè dei vari Marziale, e fu trattata come una landa deserta. Poi venne la ricostituzione della provincia, dopo 20 anni, ma non so perché, invece di ricostituire la provincia per intero, fu ricostituita a metà, quasi a far pensare che avesse avuto ragione il dittatore nel sopprimerla… per lo meno a metà! Di quello che ha subito la provincia dal 1945, dal momento cioè in cui fu ricostituita ad oggi, è inutile far parola. La provincia di Caserta reclama (e colgo l’occasione per farne vivissima preghiera al Governo) che essa non sia la cenerentola delle provincie italiane! È stata molto trascurata; l’opera di ricostruzione è rimasta allo stato iniziale, e noi invece abbiamo il diritto ed il dovere di invocare dal Governo una maggiore cura dei nostri interessi. Non abbiamo strade, che sono state riparate solo in parte; i ponti non sono stati ricostruiti; né fognatura, né edifici scolastici, né case municipali: i problemi delle irrigazioni e delle bonifiche non sono stati neppure avviati verso una sperata soluzione. Incombe poi su di noi il problema gravissimo dell’acqua potabile; ben cinquantanove comuni non hanno che qualche cisterna piovana solamente; si è progettato il grande acquedotto del Torano che dovrebbe servire Napoli e Caserta, ma per esso è preventivata una spesa di ventidue miliardi, che finora non ci è stata concessa, ed in alcuni paesi si continua, e chi sa per quanti anni ancora si continuerà a morire di sete! Abbiamo altri problemi gravissimi che non ci è stato possibile risolvere.

PRESIDENTE. Occupiamoci delle preture, onorevole Fusco.

FUSCO. Sì, occupiamoci delle preture. Abbiamo avuto un’altra ingiustizia, malgrado tutta la buona volontà del Ministro, mio illustre e carissimo amico. Devo dire che l’onorevole Grassi ha fatto di tutto per accontentarci, ma non so per quale ragione i suoi propositi sono stati frustrati. Perché non è vero che le popolazioni di quelle preture vogliono restare con il tribunale di Cassino e non intendono aggregarsi a quello di Santa Maria Capua Vetere. Tutt’altro! Io ho qui un telegramma del sindaco Pettoruti e della Camera del lavoro di Roccamonfina che telegrafano in questo senso: «Grave agitazione popolazione mandamento per timore sospensione provvedimento che aggrega questa pretura tribunale Santa Maria Capua Vetere. Poiché interessi pochi avvocati Cassino non debbono essere anteposti a quelli di queste popolazioni rurali. Eventuale sospensione o revoca provvedimento determinerebbe gravissime perturbazioni popolari».

Quindi, Roccamonfina, che aveva espresso reiterate volte questo suo desiderio, anche prima del distacco dei mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, telegrafa in questa maniera: che cioè ci può essere un grave turbamento popolare! Quelle popolazioni, quindi, intendono essere aggregate al tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non a quello di Cassino.

Il Sindaco di Mignano, professore Albanese, mi ha scritto questa lettera, allorquando fu emesso il provvedimento di aggregazione del mandamento di Mignano al tribunale di Santa Maria Capua Vetere: «Provvedimento mi riempie di gioia e sono sicuro che assegnazione del mio mandamento al tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà inizio di un’era di benessere per tutti».

Quindi le due popolazioni vogliono essere con Santa Maria Capua Vetere e non con Cassino, perché ad esse conviene per ragioni di vicinanza, di traffico, di consuetudine di rapporti.

Ma io mi permetto di osservare: perché, quando noi avemmo il primo decreto di mutilazione e telegrafammo (fui proprio io) al Ministro Grassi perché si fossero sospesi i provvedimenti che aggregavano Nola, Cicciano e Acerra a Napoli, perché il Ministro, allora, quando noi osservavamo che sarebbe stato necessario rinviare ad epoca più opportuna, allorché sarebbero state determinate le Regioni, ci disse che era impossibile accontentarci perché il decreto era stato già emesso? Ora, invece si accoglie questa richieste di Cassino per gli stessi criteri che per noi furono infecondi.

Allora guardi, onorevole Ministro: è una questione di disparità di trattamento, che giustamente ha ferito il prestigio della Curia Sammaritana e l’intera provincia di Caserta, la quale si ribella contro un’ingiustizia così oltraggiosa ed ha il fermo proposito di ottenere un’adeguata riparazione.

Noi rendiamo il dovuto omaggio a Cassino. Nessuno più di noi ha compianto le sue sventure, le sue stragi, le sue rovine e i suoi dolori. Ma penso che il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, onorevole Ministro, che fu fondato nel 1808, che era il più importante tribunale dopo quello di Napoli, che nel 1860 e nel 1862 fu amputato dei territori che hanno formato i tribunali di Benevento e di Cassino, e che oggi è stato privato ancora di tre mandamenti importantissimi, riducendo così la competenza territoriale d’un tribunale dove ci sono 350 avvocati che lavorano; allora questo tribunale di Santa Maria Capua Vetere deve sempre soggiacere ad un ingiusto destino che pare voglia annullarlo e ridurlo ad una modesta Pretura!

Una volta la legge è stata applicata a danno di Santa Maria Capua Vetere: una seconda volta la stessa legge è stata applicata egualmente a danno, pur con criteri opposti e sconcordanti. Ma questa è una vera ingiustizia. Noi non meritiamo questo torto!

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Fusco.

FUSCO. Il fatto della sospensione, cioè di rinviare di qualche mese, (sappiamo che cosa sono questa sospensioni) noi non lo comprendiamo: si oppongono ragioni di carattere giuridico e morale; perché se noi, che chiedemmo al Ministro la sospensione del provvedimento di aggregazione dei tre mandamenti a Napoli, non fummo accontentati, non è giusto che tale sospensione venga invece concessa, a Cassino: le stesse ragioni da noi invocate, ma non accolte, non possono militare a vantaggio di Cassino.

Se facciamo del sentimentalismo, perché Cassino è stata città sinistrata, allora non ne parliamo più; ma se la legge deve essere applicata, e la legge va applicata, invoco che il Ministro ritorni sui suoi passi e riveda il decreto e faccia cessare questo stato di agitazione gravissima nella provincia di Caserta, soprattutto in rapporto alle esigenze locali del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che non deve essere ulteriormente mutilato e messo alla mercé dei capricci del destino o di altre interferenze che non hanno niente a che fare con la giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. Se non vi è nulla in contrario, passiamo all’interrogazione degli onorevoli Pesenti, Foa, Dugoni, Cevolotto, Sapienza, De Vita, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e delle finanze, «per conoscere le ragioni per le quali, nel procedimento per avocazione di profitti di regime promosso dall’intendenza di finanza di Roma a carico del noto profittatore e sostenitore del regime fascista, Giorgio Berlutti, editore dell’altrettanto nota «Libreria del Littorio» e di altri organismi di propaganda, che vivevano parassitariamente a carico del contribuente e dello Stato: 1°) non sia stato assoggettato a sequestro conservativo anche il giornale II Globo, di cui il Berlutti è proprietario insieme con la Federazione dei dirigenti industriali, per cui si assiste oggi allo spettacolo che il più diffuso organo economico-finanziario italiano si trova nelle mani dell’editore ufficiale del partito fascista e di uno degli scrittori di propaganda più attivi dello stesso partito; 2°) l’Avvocatura generale dello Stato non abbia validamente tutelato gli interessi dello Stato, impedendo che il sequestro già dato dal Presidente del tribunale di Roma il 1° marzo 1947 venisse revocato – limitatamente alla Casa editrice R. Carabba di Lanciano – come invece è avvenuto il 4 aprile successivo; 3°) sia stato nominato sequestratario dei beni del Berlutti, il professore Alfonso Linguiti, il quale, per i suoi trascorsi politici, meriterebbe egli stesso di essere sottoposto a procedimento per avocazione; e, infine, le ragioni per le quali il medesimo professore Linguiti non sia stato almeno sostituito, in conseguenza del fatto che non ha dato la minima esecuzione al detto sequestro, durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita, limitatamente alla Casa editrice R. Carabba».

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Risponderò io per il Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Circa il primo punto dell’interrogazione, cioè perché non sia stata sottoposta alla misura cautelare del sequestro conservativo la società giornale Il Globo in occasione della procedura instaurata a carico del signor Giorgio Berlutti, si precisa che detta società fu costituita solo il 6 febbraio 1945, onde non poteva essere soggetta ad accertamenti per profitti di regime, ovviamente non conseguiti prima della sua costituzione, né la misura cautelare poteva essere adottata a carico della Società per la considerazione che il Berlutti ne fosse azionista, giacché, ai sensi della legislazione vigente (Decreto-legge luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 134, articolo 32, lettera c), il sequestro dell’azienda sociale può essere richiesto solo se i nove decimi del capitale azionario siano del profittatore di regime. Il Berlutti, invece, possiede solo 240 su 600 azioni, cioè i quattro decimi di esse: pertanto, mentre il complesso dell’azienda non ha potuto essere assoggettato alla misura cautelare, tutte le azioni appartenenti al Berlutti sono state sequestrate.

Circa il secondo punto, relativo al dissequestro della Società Editrice «Carabba», disposto dal Presidente del tribunale di Roma, si precisa che il sequestro fu richiesto e fu concesso, perché dalle prime indagini era risultato che al Berlutti appartenessero oltre i nove decimi delle azioni sociali, successivamente, attraverso migliori accertamenti effettuati sulla scorta di documenti autentici aventi data certa (prontamente esibiti dalla Società a corredo del suo ricorso) risultò che la partecipazione del Berlutti nella «Carabba» non raggiungeva la percentuale richiesta dalla legge; onde il provvedimento disposto non appariva legittimo e fu revocato dal Presidente del tribunale in data 3 aprile 1947.

Il terzo punto dell’interrogazione riflette, per la prima parte, la scelta del sequestratane nominato nella persona del professore Alfonso Linguiti, il quale (al dire degli interroganti) meriterebbe di essere sottoposto egli stesso a procedimento per avocazione. Al riguardo si osserva che la scelta dei sequestratari è dalla legge rimessa alla competenza esclusiva del Presidente del tribunale, al quale sono attribuiti i più larghi poteri discrezionali. Ogni intervento al riguardo da parte dell’Amministrazione, per indurre il magistrato a revocare il provvedimento di nomina sarebbe stato perciò inammissibile.

La seconda parte riflette la mancata sostituzione del professore Linguiti, per avere egli omesso la materiale esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba», durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita. Deve al riguardo ricordarsi quanto si è detto dianzi circa la illegittimità del provvedimento di sequestro, riscontrata immediatamente dopo la emanazione di esso; illegittimità sottolineata dal Presidente del tribunale nel suo provvedimento ove si legge che, in mancanza di una diretta ragione creditoria della finanza nei confronti della «Carabba», la misura richiesta era «più che inopportuna, addirittura infondata».

Essendosi resa prontamente conto di tale illegittimità prima ancora della revoca del provvedimento, era evidentemente opportuno che l’Amministrazione desse disposizioni al sequestratario (come le ha date) di non procedere all’esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba»: e ciò, non solo per ragioni di giustizia e di stretto diritto, ma anche in considerazione delle ripercussioni che la notizia del provvedimento illegittimo non aveva mancato di produrre negli ambienti interessati. Secondo precise segnalazioni pervenute dal Ministero del lavoro, dalla prefettura di Chieti, dal Ministero dell’interno ed anche direttamente dalla Sezione di Lanciano della Camera confederale del lavoro, vivo fu lo stato di agitazione tra tutto il personale della casa editrice per la minaccia incombente del licenziamento, in conseguenza del dissesto dell’azienda, e preoccupante, anche ai fini dell’ordine pubblico, la minaccia di sciopero generale da parte di tutte le masse lavoratrici di Lanciano.

PRESIDENTE. L’onorevole Pesenti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PESENTI. L’onorevole Petrilli ha dato una risposta che, da un punto di vista strettamente giuridico, sembra dar ragione all’Amministrazione.

Ma tutta l’azione svolta dall’Amministrazione delle finanze in generale e dalla Direzione generale della finanza straordinaria in particolare, denota che gli interessi dell’Amministrazione – quindi, dello Stato – non sono stati sufficientemente difesi in questa occasione. La figura del Berlutti come profittatore fascista è ben nota anche per il fatto che tutta la sua attività è stata resa possibile da sussidi da parte dello Stato e da parte del partito fascista. Naturalmente, questo non è un motivo perché si possa contravvenire a quelle che sono le singole disposizioni della legge per l’avocazione dei profitti di regime; ma se la legge stabilisce che in una società occorre che i nove decimi siano posseduti dal socio profittatore, perché la società possa essere messa sotto sequestro, è certo che nella società Carabba, se il Berlutti possiede soltanto 950 su 5000 azioni, però ha, per mezzo di una serie di tratte e di altri crediti verso la Carabba, una posizione preminente. Ora, ben aveva fatto l’Amministrazione all’inizio chiedendo il sequestro conservativo; ed è proprio strano che l’Amministrazione stessa sia stata quella che ha spinto alla revoca del sequestro. Non corrisponde al vero infatti, che le maestranze avessero svolto un’azione per richiedere la revoca del sequestro, perché avevano già trovato una soluzione per la regolare continuazione dell’attività editoriale con la costituzione di una cooperativa che avrebbe potuto agire sotto la direzione, dal punto di vista giuridico, dell’Amministrazione che aveva emanato il sequestro. Tutta l’attività dell’Amministrazione nel complesso procedimento che noi abbiamo potuto seguire denota la precisa volontà di aiutare il Berlutti ad uscire dalla situazione, poco piacevole per lui ma giustificata per i suoi precedenti politici, nella quale si era posto. Questo è tanto più grave in quanto ha dato l’impressione che, essendo il Berlutti oggi collegato per attività editoriale ed altro a noti uomini politici della Democrazia cristiana, vi siano state delle pressioni di carattere politico perché il caso si svolgesse nel modo con cui si è svolto.

Perciò, io prego l’onorevole Petrilli di rivedere più attentamente l’azione dell’Amministrazione perché questo noto profittatore del regime non sfugga alle giuste sanzioni.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Sta bene.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Merini e Cairo, al Ministro dell’interno, «per conoscere se, di fronte alla riconosciuta impossibilità di stroncare il giuoco, illecito e clandestino, che dilaga per le città e le borgate d’Italia, non ritenga urgente e necessario regolare e disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative, che ne convoglino gli eventuali gettiti consentiti a scopi di ricostruzione nazionale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il giuoco d’azzardo è punito come reato dal vigente Codice penale cui potrebbe derogarsi soltanto con leggi speciali. Ora, il Consiglio dei Ministri, riesaminando la materia nella seduta del 20 dicembre 1946, ha ritenuto di non modificare le precedenti determinazioni, che davano appunto al Ministro dell’interno il preciso mandato di ordinare la chiusura di tutte le case da giuoco esistenti, fatta eccezione per quelle comunali di San Remo, Campione e Venezia, a motivo dei diritti acquisiti, in forza dei provvedimenti legislativi in base ai quali esse vennero istituite e regolate.

E poiché il diffondersi del vizio, denunziandone la gravità, non consiglia certo di favorirlo per nessuna ragione, il Ministro dell’interno ritiene doveroso intensificarne sempre più la repressione; ed in tal senso ha dato alle autorità competenti rigorose istruzioni, come del resto il Ministro dell’interno ebbe già a riferire all’Assemblea nel luglio scorso, rispondendo ad un’interrogazione dell’onorevole Benedetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. La mia interrogazione prende le mosse precisamente dalla risposta data dal Ministro dell’interno nel luglio scorso all’onorevole Benedetti.

In quella occasione il Ministro Scelba ha dovuto riconoscere l’impotenza delle autorità a frenare il giuoco clandestino e ricordava l’episodio clamoroso di Milano, che si riassume nella risposta data dal Prefetto alle disposizioni repressive impartite dal Ministro; risposta che suonava in questi termini: «non è possibile impedire che si giuochi a Mirano, perché succederebbe il finimondo». Da quella risposta del Ministro, dicevo, ha preso le mosse la mia interrogazione; non perché il Ministro dicesse qualcosa di nuovo – tutti sappiamo come dilaghi il giuoco clandestino, non represso, anzi tollerato in tutte le città e le borgate d’Italia – ma perché le parole del Ministro erano il crisma, il riconoscimento ufficiale di questa impossibilità per il Governo di evitare il dilagare del male.

Io ritengo che sia necessario uscire da questa politica di incertezza e, direi, di doppio giuoco. O noi partiamo da un criterio superiore di moralità, per cui diciamo che il giuoco d’azzardo è immorale e dobbiamo stroncarlo in tutti i modi – ed allora abbiamo due strade e dobbiamo seguirle entrambe: stroncare davvero il giuoco clandestino attraverso nuove disposizioni draconiane, che vanno dal ritiro della licenza ai vari locali che lo favoriscono, all’arresto preventivo, al mandato di cattura; eliminare inoltre anche le case così dette ufficiali, perché la morale non ammette strappi, eccezioni e deroghe; tanto più che queste case, cioè quelle di Campione, Venezia e San Remo, vivono in deroga ed in violazione stessa delle disposizioni del Codice penale; poiché nessun provvedimento, che non sia una nuova legge fatta appositamente e non una disposizione amministrativa, può derogare alle disposizioni del Codice penale; e nessuna autorità può dichiarare cosa in contrasto a questa affermazione che è una realtà giuridica: la legge speciale è una legge amministrativa, che non deroga alla disposizione del Codice penale, che vieta il giuoco d’azzardo in Italia. Ed allora, o seguire questa strada – ed aboliamo le case di San Remo, Campione e Venezia – oppure arrivare alla regolamentazione, con una legge che ci impedisca di avere il danno e le beffe; le beffe di tutti coloro i quali giocano e fanno i loro comodi e sono in genere la parte peggiore della società, perché il giuoco clandestino è in mano di avventurieri e gangsters, perché giuocano nel rischio solo gli avventurieri ed i gangsters (mi si perdoni il bisticcio). Si giuoca dappertutto e succedono di questi fatti: che si deroga alle disposizioni specifiche con la cosiddetta «tolleranza». Ricordo a questo proposito un episodio clamoroso accaduto in una stazione termale italiana, dove si giuocava con il permesso provvisorio che comportava una percentuale altissima a favore di determinati istituti di beneficienza. Ad un certo momento si è ritirato il permesso. Ebbene: la soppressione non è durata nemmeno ventiquattr’ore. Infatti nella stessa sera della giornata in cui il permesso fu ritirato, si giuocò di nuovo in un luogo distante appena cinquanta metri, senza nemmeno nascondere le luci. Si giuocava non con il permesso regolare, ma con la cosiddetta «tolleranza».

Una voce al centro. Era un permesso rilasciato dagli alleati.

MORINI. No, non era un permesso rilasciato dagli alleati. Ed unico risultato è stato questo: che quel gruppo – che giuocava con la «tolleranza» invece che col permesso normale – non dava più quel 40-50 per cento agli istituti di beneficenza ma intascava integralmente i profitti. Sono a centinaia questi episodi, i quali accadono perché con le cosiddette tolleranze concesse in varie parti d’Italia è possibile ogni supposizione ed ogni sospetto, perché è possibile ogni mercimonio. Ed allora non resta che l’altra strada, quella che noi indichiamo nella nostra interrogazione: disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative che ne convoglino gli eventuali gettiti a scopo di ricostruzione nazionale e cioè, se c’è davvero questa insopprimibile situazione, uscendo da quella che è la forma generica della nostra interrogazione, noi proponiamo che si diano autorizzazioni a centri termali o climatici, a favore però di centri sinistrati e di enti i quali abbiano bisogno di determinati gettiti straordinari per risanare le ferite inferte loro direttamente dalla guerra. (Interruzione al centro). O aboliamo tutto o regoliamo; ma non possiamo ricorrere continuamente alle mezze misure. Ricordatevi che gli unici oppositori a questo nostro programma sono proprio coloro i quali vogliono mantenere il monopolio del giuoco – illegale monopolio – in due o tre centri d’Italia. Io sono d’accordo nell’abolire tutto, ma se dobbiamo concedere delle eccezioni, facciamo in modo che di queste profittino i centri colpiti e gli enti bisognosi senza favoritismi e senza monopoli.

Concludo, signor Presidente: se queste mie brevi osservazioni verranno vagliate, si troverà l’unica soluzione possibile, equa e giusta, che si presenta per il problema che io ho sottoposto alla vostra attenzione.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni degli onorevoli:

Morini, al Ministro dell’interno, «per sapere se sono stati accertati i precedenti politici dell’attuale concessionario del Casinò di San Remo e ciò allo scopo di decidere con cognizione di causa sul visto che il Ministero deve apporre o negare alla deliberazione di concessione 17 aprile 1947 del Consiglio comunale di San Remo»;

Marinaro, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento di verità abbiano le voci che circolano intorno alla gestione del Casinò di San Remo, e specificatamente se sia vero che quel Comune, con tre successive deliberazioni, opportunamente preordinate, abbia concesso la gestione del detto Casinò a tre diversi gruppi finanziari, attualmente in causa fra loro e con lo stesso Comune, il quale, pertanto, sarebbe esposto a notevoli danni, conseguenza ineluttabile della complessa situazione giudiziaria che si è venuta a creare. Nel caso affermativo, se non ritenga opportuno soprassedere, anche per evidenti ragioni di sana amministrazione, dal ratificare l’ultimo contratto di concessione stipulato dal Comune, disponendo senz’altro la chiusura del Casinò, o, quanto meno, se non creda di disporre una rigorosa inchiesta su tutta la situazione e sui fatti ed atti che l’hanno determinata. adottando nel frattempo i provvedimenti cautelativi del caso, allo scopo principalmente di evitare che la deplorata attuale situazione sfoci, come sarebbe assai probabile in uno scandalo di vasta proporzione»;

Sampietro, al Ministro dell’interno, «per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere nei confronti degli attuali concessionari del Casinò di San Remo, delle cui attività e precedenti si sono già fatti eco sia la stampa che, alla Costituente, altri colleghi con specifiche interrogazioni».

Poiché si riferiscono allo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 1° dicembre del 1945, decisa la riapertura del Casinò di San Remo, l’amministrazione comunale di quella città approvava un nuovo capitolato di oneri e indiceva una licitazione privata, a seguito della quale risultò aggiudicatario tale Candini, che peraltro la Giunta municipale dichiarava dopo decaduto e sostituiva con delibera 24 dicembre con un gruppo costituito da tali Aitano, Soldaini e Leone, nonché dalla Compagnia italiana ricostruzione e turismo – CIRT –, gruppo il quale, stipulato il 30 dello stesso mese il relativo contratto, veniva immesso nel possesso del Casinò e lo riapriva al pubblico.

Avendo però la gestione dato luogo ad alcuni rilievi che determinavano l’intervento del Ministero, al quale era stata nel frattempo sottoposta per l’omologazione la concessione della CIRT, ed avendo frattanto un altro gruppo rappresentato dalla Compagnia italiana industria turistica – CIIT – pignorato i mobili del Casinò in dipendenza di taluni crediti vantati verso due dei concessionari ed insieme avanzate al Ministero proposte di una nuova concessione, la Giunta municipale con delibera 8 dicembre 1946, adottata in via di urgenza, dichiarò decaduto il gruppo CIRT, rescisse il contratto 30 dicembre 1945 e concesse la gestione al gruppo CIIT. Tale delibera non venne però ratificata dal Consiglio comunale, non venne sottoposta all’autorità tutoria e non ebbe mai esecuzione. Per contro, il 24 marzo 1947, il Consiglio comunale demandava ad una commissione di studiare e proporre l’applicazione delle richieste ministeriali riflettenti alcune modifiche al contratto e l’osservanza di altre condizioni fra le quali l’estromissione di due dei concessionari, con l’aumento della cauzione da 100 a 180 milioni, e la formulazione di nuovi controlli.

Tale commissione riferì il 17 aprile al Consiglio il quale lo stesso giorno deliberava di accettarne le conclusioni conformi alle evidenti richieste ministeriali.

La commissione intanto aveva già curato un controllo più intenso sull’andamento della gestione del Casinò, disponendo Ira l’altro una severa e rigorosa inchiesta da parte di un ispettore generale. Da tale inchiesta, eseguita nel gennaio 1947, risultò effettivamente che la CIRT era incorsa in alcune irregolarità, non tali però – è sembrato – da rendere consigliabile la dichiarazione di decadenza. Peraltro, le irregolarità stesse, in seguito a continui controlli del Ministero, della Prefettura e del Comune, erano state gradatamente eliminate, cosicché l’inconveniente non costituì un argomento per il Consiglio comunale invocabile per negare alla CIRT la conferma della concessione. Il citato atto 17 aprile 1947 è stato così approvato il 9 giugno successivo dall’autorità tutoria e trovasi attualmente all’esame del Ministero.

Non è perciò esatto che vi siano state diverse concessioni, bensì tre diverse deliberazioni in ordine alla concessione in argomento, che può divenire operativa dopo la prescritta omologazione.

Di esse, una sola ha riportato le approvazioni tutorie che devono precedere il provvedimento di omologazione, e precisamente quella del 17 aprile 1947. Da parte sua, il Ministero, prima di adottare o meno il provvedimento e di sottoporre la concessione a nuovo limite e condizione, sta conducendo una accurata istruttoria, sia dal punto di vista della legalità degli atti come dal punto di vista del merito, data la complessità delle questioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto dopo le dichiarazioni del Sottosegretario all’interno onorevole Marazza, che non ha risposto completamente alla mia interrogazione, nei confronti della quale ha promesso di continuare a fare determinate ricerche. Ora, questa promessa non è specifica e per questo io non mi dichiaro sodisfatto. Uno degli elementi delicati delle concessioni di giuoco che lo Stato fa a determinati enti è il controllo delle subconcessioni. Infatti l’ente concessionario non ha interesse, per varie ragioni, di gestire direttamente come avviene, ad esempio, per il Casinò di San Remo, e naturalmente subconcede; però per questa subconcessione è necessario un controllo che non è soltanto morale, ma che deve essere anche un controllo politico.

Io non sono di quelli che vogliono la persecuzione dei fascisti. All’indomani della liberazione ho detto di perdonare. Riconfermo qui questa mia posizione; però dico anche, che fra plotone di esecuzione, galera ed epurazione da una parte ed i premi di centinaia di milioni dall’altra, in mezzo a queste due forme c’è tutta una gamma di tolleranza, di oblio, di perdono, ma che sia perdono senza premi.

Ora è pacifico che il subconcessionario di San Remo è una delle «belle figure» del fascismo venticinquennale. Dalle stesse ricerche fatte, al Ministero dell’interno è risultato che questo concessionario era uno dei fedeli di Mussolini, che già nel 1924 è stato chiamato all’Ufficio stampa del Ministero dell’interno da dove è passato al Gabinetto particolare del Sottosegretario di Stato Teruzzi; successivamente all’Ufficio stampa di Mussolini; poi al Tevere come Direttore amministrativo; poi Segretario generale del Comitato italo-tedesco dell’autarchia; poi mandato da Mussolini in Albania come consigliere di Verlaci, eppoi passato al Consiglio Nazionale delle ricerche come rappresentante di Mussolini. A tutto ciò aggiungo tre domande: è stato anche fascista repubblichino? È il libellista «Ignifer» contro gli ebrei? C’è una diffida della Questura di Roma nei suoi confronti, perché non si interessi più di affari? Su queste tre domande il Ministro dell’interno farà opportune ricerche e dirà se è vero, o no.

Ora, ufficiosamente, mi si è detto: «Tutte queste cariche che hai denunciato sono, in definitiva, legate al fatto che era funzionario del Ministero dell’interno» Esatto. Però io dico che per dare queste cariche ad un funzionario si è evidentemente cercato un funzionario fascista. Anche mio padre era un funzionario – ma non fascista – e finì in altro modo. Migliaia e migliaia di funzionari non fascisti non sono finiti con quelle cariche. Quindi, questa carica è il termometro del fascismo di quelli che venivano scelti appositamente per questo loro merito.

Io ripeto che non è assolutamente possibile consentire concessioni – che danno 100 milioni al mese al subconcessionario – ad individui di questa specie. E questo per una infinità di ragioni, che potrebbero anche essere queste: che queste centinaia di milioni possono anche finire a certe organizzazioni contro le quali dovremo fare prossimamente una legge apposita, la legge per la difesa della Repubblica.

Finirò con alcune osservazioni, signor Presidente. Il problema non è un problema personale: non so chi sia questo subconcessionario, non ho niente contro di lui. È un problema di ordine generale. Il fascismo è stato posto in essere, si è detto, per determinati eccessi di certi circoli della sinistra. Accetto la formulazione, a patto che si interpreti in questi termini: che certi eccessi spostano verso questo fascismo – che nasce per ragioni proprie, ovunque c’è da difendere il privilegio – determinate categorie che non sarebbero fasciste. Ma, signori del Governo, il fascismo è nato allora e può rinascere, soprattutto per l’impressione di debolezza che diamo attraverso questi fatti. Se nel 1919 – permettetemi la digressione – il Partito socialista avesse risposto alla distruzione dell’Avanti con la distruzione del Popolo d’Italia, forse gli eventi avrebbero preso un altro indirizzo.

Non dobbiamo dare questa impressione di debolezza, perché sarebbe criminoso e colpevole.

Concludo, signor Presidente: io affido al Sottosegretario all’interno il controllo rigoroso dei fatti che ho denunciato e dico al Sottosegretario e al Ministro dell’interno che non si deve, non si può dare una autorizzazione di giuoco a uomini che hanno questi precedenti politici.

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARINARO. Io non mi occuperò degli uomini che sono interessati a questo sciagurato affare. Penso, è anzi mia convinzione, che si tratti di una unione di vampiri, dai peggiori precedenti politici e morali, scaraventatisi addosso a questo affare di San Remo in cerca di lauti e disonesti guadagni.

Ma questa è cosa che non mi riguarda direttamente.

Io intendo occuparmi della faccenda sotto l’aspetto prevalentemente amministrativo, e domando: come è mai possibile che l’Amministrazione comunale di San Remo in soli sette mesi abbia potuto adottare tre diverse e contraddittorie deliberazioni? S’intende, onorevole Sottosegretario, che la concessione è una; ma le parti sono diverse e le condizioni cambiano, di guisa che abbiamo avuto che quella primitiva deliberazione – con la quale ancora sotto l’Amministrazione alleata veniva concesso l’appalto della gestione di San Remo al primo gruppo finanziario – è rimasta in vita per sette mesi in attesa che intanto il Ministero dell’interno desse la sua ratifica, indispensabile, perché, nel frattempo, la città di San Remo era passata sotto l’amministrazione del Governo italiano. Il Ministero dell’interno attende ben otto mesi e non si pronunzia; e intanto quella autorizzazione, con relativo contratto, ha piena esecuzione. A distanza di otto mesi, il Ministero finalmente interviene e fa sapere che potrebbe ratificare soltanto se alcuni componenti del gruppo finanziario venissero estromessi.

Intanto, per tutta risposta, il Consiglio comunale di San Remo plaude a quella gestione e si augura che le cose vadano sempre nello stesso modo. Ma a dicembre, a distanza cioè di tre mesi, muta la scena e la Giunta comunale – non il Consiglio, si noti, che soltanto sarebbe stato competente – ma la Giunta comunale, in via di urgenza, adotta una deliberazione con cui estromette il primo gruppo e dà a un nuovo gruppo finanziario la concessione, gruppo di cui fa parte un torbido speculatore, cui alludeva poco fa l’onorevole Morini. Questo signore si era messo d’accordo infatti con questo successivo gruppo finanziario e, unitosi con dei prestanome – richiamo particolarmente su ciò l’attenzione dell’onorevole Sottosegretario – con i prestanome di un ordine religioso che i primi concessionari avevano finanziato, rimanendo poi delusi nelle loro aspettative, tanto che successivamente avevano creduto opportuno di intromettersi nella gestione del Casinò di San Remo, attraverso dunque, dicevo, questi prestanome, la concessione passa a questo secondo gruppo finanziario.

E intanto il Consiglio comunale è chiamato a ratificare la deliberazione presa in via di urgenza dalla Giunta, ma di fatto la respinge: ciò avviene precisamente dopo due mesi.

Successivamente si giunge alla deliberazione del 17 aprile in base alla quale la concessione per la gestione del Casinò viene data a un terzo gruppo finanziario nel quale entra e rimane sempre quel tale mestatore che ha creato tutta questa difficile situazione sfociata in uno scandalo evidente e di cui si parla dovunque.

Questa deliberazione oggi, a distanza di sei mesi circa, non è ancora stata ratificata dal Ministero dell’interno, il che dimostra che lo stesso Ministero non sa che via scegliere di fronte a così intricata situazione. Ma sta il fatto che, di fronte a questi contratti intorno ai quali sono sorte niente meno quarantasette cause, nelle quali è stato chiamato come responsabile lo stesso Comune e per le quali il Comune è esposto a danni notevolissimi, nonché infine di fronte a ben tre ricorsi dinanzi al Consiglio di Stato, sta il fatto, dicevo, che il Ministero dell’interno non prende ancora l’unica decisione che veramente si impone: quella cioè di chiudere il Casinò di San Remo, anche per considerazioni inerenti alla pubblica moralità, e di disporre una rigorosa inchiesta la quale accerti quali sono stati i fatti che hanno dato luogo a tale incresciosa situazione.

Io mi auguro, pertanto, che l’onorevole Sottosegretario per l’interno vorrà scegliere questa via.

Non è possibile continuare senza compromettere la dignità, il prestigio, il decoro della pubblica amministrazione; non è possibile che si continui a far gestire il Casinò di San Remo in questa complicata situazione giudiziaria e morale senza che il Ministero ne esca menomato nel suo prestigio.

PRESIDENTE. L’onorevole Sampietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SAMPIETRO. Dopo quanto è stato detto dagli onorevoli Morini e Marinaro non ho che da insistere perché venga accolta dal Ministero dell’interno la proposta, se si vuole draconiana, della chiusura per un’inchiesta. E se proprio ciò non fosse possibile o non fosse consigliabile anche per motivi non di ordine pubblico, ma economici, per i dipendenti della organizzazione in San Remo, sarebbe desiderabile che si arrivasse senz’altro all’inchiesta, tanto più che qui si è fatta una precisazione, cioè quella relativa ad un ex alto funzionario del Ministero dell’interno, il quale ex funzionario aveva rapporti nello stesso Ministero dell’interno, da dove egli ha tratto appoggi per poter manovrare e in Roma e fuori di Roma, e particolarmente alla periferia, in San Remo e in quella stessa provincia: sicché dal primo gruppo egli ha potuto passare nel secondo e poi nel terzo, e sia del secondo che del terzo essere il «manovratore».

Per cui concludo, raccomandando ed insistendo perché il Ministero dell’interno provveda a questa inchiesta, che, se vuole essere completa e vuole essere tranquillante, dovrebbe essere collegiale, cioè di più di una persona.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Se l’onorevole Sampietro, accennando ad amicizie di uno dei concessionari con funzionari del Ministero dell’interno, avesse avuto – cosa che non credo – l’intenzione di gettare l’ombra di un dubbio qualsiasi sulla correttezza dell’ufficio che se ne occupa, io debbo vivacissimamente protestare.

MARINARO. Non è più in servizio quel funzionario.

SAMPIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SAMPIETRO. Chiarisco subito: non si tratta di funzionari di carriera, in servizio; si tratta di persona già allontanata dal Ministero dell’interno; comunque, non dell’ufficio del Sottosegretario Marazza.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Colgo l’occasione per riaffermare nel modo più preciso e solenne che i funzionari che si incaricano delle concessioni sono degnissimi della fiducia che in loro ripone il Governo.

SAMPIETRO. Appunto per questo noi insistiamo perché l’inchiesta venga svolta dal Ministero dell’interno e non da altri Ministeri.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Costa, Bettiol, Merlin Angelina e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere per analoga proroga del termine, scadente il 31 luglio, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Ministero del tesoro in un primo momento si era preoccupato delle conseguenze onerose che la esecuzione del piano regolatore di Padova, al pari di quello di altre città, poteva determinare a carico del bilancio dell’ente interessato, attualmente notevolmente deficitario, e di riflesso a carico del bilancio dello Stato. Successivamente, avendo il Ministero dei lavori pubblici prospettato gli inconvenienti che sarebbero derivati dalla mancata concessione della proroga, specie per le prevedibili vertenze con i proprietari di cespiti già espropriati, e avendo fatto altresì presente che i lavori di piano regolatore vengono attuati gradualmente (bene inteso in relazione alle possibilità finanziarie degli enti) il Ministero del tesoro ha aderito alla proroga dei termini proposta per taluni comuni e non ha difficoltà ad aderire a quella del piano regolatore di Padova.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

COSTA. Io potrei dichiararmi sodisfatto. Senonché l’onorevole Sottosegretario ha concluso dicendo che non avrebbe difficoltà ad aderire. M’interessa sapere se e quando aderirà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Appena il Ministero dei lavori pubblici ci richiederà nuovamente l’adesione. Perché in un primo momento, il Ministero dei lavori pubblici aveva chiesto l’adesione e, come ho detto, il Ministero del tesoro si era opposto. Ora, anche in via breve, personalmente, ho fatto sapere al Ministero dei lavori pubblici che il Ministero del tesoro aveva cambiato opinione e avendo già dato l’adesione pel piano regolatore di Ferrara, e per quello di Como, non aveva nessuna difficoltà a dare l’adesione anche per quello di Padova.

Ho parlato personalmente ieri mattina col Capo di Gabinetto del Ministro dei lavori pubblici precisando che il Ministero del tesoro avrebbe dato immediatamente la propria adesione ad una nuova richiesta del Ministero dei lavori pubblici, e il Capo di Gabinetto mi ha assicurato che avrebbe fatto pervenire la richiesta formale, così da provocare la risposta in senso positivo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole La Rocca, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale utilità reale e alla stregua di quale criterio di opportunità, si consente, in una città come Napoli, colpita, forse, come nessun’altra città italiana dalla crisi delle abitazioni, l’abolizione del Commissariato degli alloggi. Anche ad ammettere che tale Commissariato, per colpa o per debolezza di diligenti, non abbia funzionato sino ad oggi come sarebbe stato desiderabile, resta sempre il fatto, certissimo, che l’abolizione del Commissariato non significa e non può significare altro se non il dare mano libera agli speculatori, i quali, profittando delle circostanze, fanno salire alle stelle i prezzi di un qualsiasi piccolo appartamento e provvedono di un alloggio, sia pure a condizioni usuraie, i ricchissimi, cioè quelli che hanno rubato e rubano al mercato nero, e condannano a rimanere sul lastrico i lavoratori onesti e senza casa che, non ostante la migliore loro volontà, non hanno modo di alimentare lo strozzinaggio e sodisfare l’ingordigia insaziata di taluni proprietari, affittuari, mediatori e speculatori d’immobili urbani».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. La mia risposta sarà necessariamente più breve dell’interrogazione. (Si ride). Infatti l’abolizione del Commissariato degli alloggi nella città di Napoli è dovuta alla delibera con la quale quella amministrazione comunale ha deciso di non avvalersi della facoltà concessale dal decreto legislativo 30 giugno 1947 n. 458 ed ha deciso di non chiederne la proroga. Né può il Ministero dell’interno provvedere comunque in contrasto con la delibera stessa, bensì unicamente attendere, come sta di fatto attendendo, all’adozione di mezzi idonei per alleviarne almeno i più gravi inconvenienti, cioè gli sfratti non giustificati.

PRESIDENTE. L’onorevole La Rocca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LA ROCCA. Mi rendevo perfettamente conto, onorevoli colleghi, di ciò che l’onorevole Sottosegretario per l’interno avrebbe detto al riguardo.

So benissimo che le grandi città hanno la facoltà di mantenere o meno il Commissariato degli alloggi. Ma, pure ammettendo che il Commissariato a Napoli, forse per deficienze, per debolezze, per colpa di uomini, non ha funzionato come sarebbe stato desiderabile, osservo che esso costituiva quanto meno un freno alle speculazioni e rappresentava nello stesso tempo una speranza per coloro che vanno alla ricerca di un appartamento, e trovarne uno a Napoli è divenuta una cosa quasi impossibile.

Ma ho voluto cogliere l’occasione per richiamare seriamente l’attenzione del Governo sul grave problema edilizio napoletano, perché, se non si riesce entro breve tempo a dare alla popolazione di Napoli (che supera già il milione) uno sfogo al problema edilizio, questa situazione rischia di esplodere in manifestazioni poco liete, sia dal punto di vista igienico, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista sociale.

Desidero informare il Governo e tutta l’Assemblea della gravità della situazione dal punto di vista del sovraffollamento, che a Napoli sale al due per cento per ogni stanza, dal punto di vista medio, cioè come valore intermedio fra distanze grandissime, nel senso cioè che non è che due persone abitino in una stanza a Napoli, ma a Napoli esiste il doppio, quanto a persone, dei vani disponibili.

Il Governo sa benissimo che nel 1931 furono fatti dei rilievi al riguardo nei maggiori centri urbani e da questi rilievi (chiedo scusa se debbo dare troppo spesso la parola alle cifre) apparì che la concentrazione a Napoli è veramente enorme e preoccupante. Più della metà della popolazione, cioè il 55,8 per cento, beneficia di un solo quarto delle abitazioni (25,6 per cento), mentre la residua parte della popolazione, corrispondente a meno della metà – il 42,2 per cento – beneficia di 3/4 delle abitazioni (74,2), in questo senso: che mentre nei quartieri signorili c’è la possibilità che una persona abiti in una stanza o magari in due, tre, quattro, cinque, nei quartieri popolari c’è un ammassamento che veramente preoccupa ed allarma dal punto di vista igienico, dal punto di vista morale, dal punto di vista sociale, con diciotto persone in una stanza.

La situazione, che si dimostrò già insostenibile, specialmente nel confronto delle altre città, nelle quali la concentrazione apparve notevolmente inferiore, è tale che, mentre a Napoli è del 0.30, a Roma è del 0.20, a Milano del 0.14, a Torino del 0.11, a Genova del 0.4; differenze che diventano ancora più serie quando vengano messe in rapporto col grado medio di affollamento di ciascuna città.

E il distacco appare con maggiore evidenza attraverso un procedimento di riduzione della situazione della città di Napoli in confronto alle altre città: risulta infatti che per sistemare la popolazione napoletana, rispetto alla stessa situazione in atto a Roma nel 1931, sarebbe stata necessaria la costruzione di almeno 130.000 vani nei riguardi di Roma; nei riguardi di Milano (cioè, per adeguare la situazione di Milano a quella di Napoli) sarebbe occorsa la costruzione di 204.000 vani; per quella di Torino ne sarebbero occorsi 253.000; per raggiungere le condizioni medie di affollamento esistenti a Genova, sarebbero stati necessari altri 500.000 vani.

Cosicché la situazione è chiaramente espressa da questo quadro: a Napoli nel 1931 vi era un affollamento di 1.89 per stanza di fronte ad 1.36 per Roma, 1.22 per Milano, 1.13 per Torino e 0.80 per Genova.

Questa situazione, che non è stata in alcuno modo modificata con le successive costruzioni, cioè con quei 25 mila vani costruiti a Napoli dopo il 1931 e che non hanno nemmeno in parte rimediato alle demolizioni avvenute, per una specie di bonifica nel centro della città ai rioni della Carità e al rione Flegreo, con lo scoppio della guerra, è venuta ad aggravarsi, perché sono stati distrutti oltre 60 mila vani nei quartieri adiacenti al porto, alla zona industriale e alla ferrovia; onde la popolazione lavoratrice di Napoli, che abita in questi quartieri, è stata costretta a stringersi nei rioni vicini. A Napoli si ha, quindi, questa situazione: che nei bassi, nei fondaci abbiamo fino a 18, 19, 20 persone in un vano, in un vano dove dormono marito, moglie e figli maschi e femmine delle più diverse età con tutte le conseguenze che ne derivano e su cui non credo sia il caso, per ovvie ragioni, di insistere. Quello che nasce da questa situazione, dal punto di vista igienico, credo non sia il caso di ricordarlo. Basta dare un’occhiata alla statistica, basta ricordare puramente e semplicemente questo; che mentre a Napoli la mortalità per tubercolosi nel 1942-43 costituiva 1,03 di tutte le cause di morte; diventa nel 1944, 1,49; nel 1945, 1,83; nel 1946, il 2 per cento delle cause di tutte le mortalità, e mi pare che questi indici siano più eloquenti di qualsiasi discorso si possa compiere al riguardo, e credo che sia anche opportuno che l’Assemblea e il Governo in particolar modo, siano informati di questo: che vi sono sezioni come Porto, Mercato, San Lorenzo, San Ferdinando, Poggioreale, dove noi giungiamo a un affollamento medio di oltre tre persone per stanza, intendendo, come ho già chiarito, per affollamento medio una specie di cifra intermedia fra valori quanto mai distanti.

Ritengo che il Governo abbia il dovere di sostituire qualcosa a Napoli all’abolito Commissariato alloggi, anche se la legge dà puramente e semplicemente all’Amministrazione questa facoltà. Credo che a Napoli nella condizione in cui essa è oggi, qualche cosa debba esistere per regolare non solo la questione degli sfratti, ma per dare un quartino o un appartamento a chi è senza tetto (e sono centinaia di migliaia di persone), se non altro per arginare, infrenare la speculazione, che raggiunge veramente proporzioni spaventose, proporzioni inaudite.

Credo che il Governo, oltre a dare questa facoltà con provvedimenti eccezionali al Prefetto o ad altri, debba assolutamente, senza lesine, né cavillamenti, intervenire con energia, allo scopo di provvedere alle gravi necessità di Napoli, per la salute stessa della città, che non accetta più di essere luogo di dimenticanza cantato dalle sirene, ma vuole riprendere il suo compito di guida e faro del Mezzogiorno; e non può assolvere questo suo ruolo se è ridotta in condizioni così miserande sotto l’aspetto edilizio. Credo che per la salute dei napoletani, e per l’interesse sociale, per la ricostruzione e ripresa economica della grande città e di tutto il Mezzogiorno, bisogna risolvere urgentemente questo problema, sostenendo tutti gli istituti di costruzione, tutti gli istituti di case popolari, aiutandone le iniziative private, regolando il mercato, disponendo, dal punto di vista patrimoniale, di esentare da ogni imposta le nuove costruzioni, cercando di adottare tutti quei provvedimenti che valgono ad aiutare questa grave situazione nell’interesse di Napoli e nell’interesse del Mezzogiorno. Il problema dev’essere posto sul piano nazionale. Napoli è l’anello di congiunzione tra nord e sud: ed è una delle leve più potenti per la rinascita del nostro Paese.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gasparotto, al Ministro degli affari esteri, «per sapere quale azione abbia svolta o intenda svolgere ulteriormente per ottenere la liberazione degli italiani deportati in Jugoslavia, la cui sorte tristamente ignota – come dice il recente messaggio ricevuto dall’interrogante – da ventisei mesi cagiona lutti e miserie indicibili».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La dolorosa questione degli italiani deportati in Jugoslavia dalla Venezia Giulia è stata sin dal maggio 1945 oggetto della più viva attenzione da parte del Ministero degli affari esteri, che in mancanza di normali rapporti diplomatici con il Governo di Belgrado, si è valso di ogni possibile tramite, al fine di ottenere la loro restituzione od almeno precise notizie sulla loro sorte. In particolare vanno rammentate le ripetute pressanti richieste di intervento rivolte alle Autorità alleate, alle quali da ultimo, nel dicembre 1946, e nel gennaio 1947, vennero trasmesse, per quei passi che esse potessero compiere a Belgrado, elenchi di deportati compilati a cura del Ministero. Passi vennero pure compiuti tramite la Croce Rossa, il Vaticano e direttamente presso la Rappresentanza Diplomatica Jugoslava in Roma.

Recentemente questa Legazione di Jugoslavia presso il Vaticano ha incominciato a fornire qualche notizia su alcuni dei nostri connazionali, che dalle autorità competenti jugoslave sono stati segnalati detenuti in carcere per scontare la pena loro inflitta da tribunali jugoslavi.

In seguito alla recente ripresa delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia, è stato provveduto a fornire la Legazione in Belgrado di tutta la documentazione in materia e degli elenchi dei deportati o internati, affinché essa possa interessarsi dei singoli casi ed esaminare di nuovo la questione nel suo complesso, attraverso contatti diretti con il Governo jugoslavo.

Assicuro che la questione è tenuta vivamente presente dal Governo italiano, e che anche recentemente sono state inviate istruzioni alla Legazione d’Italia in Belgrado affinché intensifichi la sua azione in vista di una soluzione che possa placare l’ansia di tante famiglie, che è condivisa da tutto il popolo italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GASPAROTTO. Prendo atto della sobria risposta del rappresentante del Ministero degli esteri. Prendo atto, più di quello che ha detto che è stato fatto, di quello che promette di fare. Comprendo la gravità e la delicatezza dell’argomento, e mi propongo di parlarne con meditata prudenza per non fare torbide acque già agitate. Si è detto da qualcuno che su questo tema penoso meglio si conviene il silenzio. Ma io non potevo non raccogliere il grido di migliaia di madri che, direttamente, o a mezzo del Comitato dei deportati giuliani, hanno fatto giungere la voce fino a me, dopo aver bussato invano alle porte del Ministero degli esteri. Queste madri hanno il diritto di sapere quello che è avvenuto dei loro figli. Il Comitato dei deportati giuliani mi scrive da Gorizia in data recente: «Non vi è famiglia italiana nelle nostre terre che non sia da ventisette mesi nella più crudele incertezza sulle sorti del suo caro, parente, affine o amico, strappato in una notte angosciosa del maggio 1945 al suo focolare, incarcerato senza ombra di colpa e condannato a un destino tanto più pauroso quanto più ci rimane ignoto».

Un’altra madre italiana da Milano scrive: «sono Edvige Barbieri, una disperata madre italiana che si rivolge al vostro cuore perché mi aiuti a sapere cosa è avvenuto di mio figlio, il Guardiamarina Eugenio Barbieri nato a Fiume il 22 ottobre 1923, dove aveva conseguito il diploma di Capo mercantile all’Istituto nautico. Si trovava nell’aprile 1945 al Comando italiano di marina a Pola. Da notizie del cappellano militare ho saputo che fu fatto prigioniero. Da allora nulla ho più saputo della sorte di questo mio figliuolo».

La moglie di un senatore italiano, la signora Lidia Bacci Urbani, dice: «È necessario che in Italia sorga qualche voce perché l’angoscia delle madri possa essere placata, perché possa essere placato il mio dolore e possa avere notizie del mio amatissimo consorte. Egli è il senatore Icilio Bacci. Arrestato il 21 maggio 1945 (leggo soltanto la parte sostanziale ed ometto le parole più amare) e detenuto nel carcere di Fiume fino al 10 agosto dello stesso anno, fu trasportato poi in luogo ignoto, per essere sottoposto a processo. Dove lo portarono? Che cosa è avvenuto? Egli è vecchio e ammalato… Non è umano che una famiglia debba restare nella più angosciosa ignoranza, né si possono far scomparire le persone senza renderne conto. Non voglio parlare della personalità di mio marito, delle doti sue di uomo e patriota: dirò soltanto che era ed è un italiano, di cui qualcuno deve rispondere».

Icilio Bacci era un fascista, fascista dissidente. In onore alla sua memoria – perché certamente non è più – posso ricordare che non ha aderito al governo repubblichino. È rimasto al suo posto quale preside della Provincia del Carnaro che lui stesso aveva fondata. Ma fascista o non fascista, era un italiano, e il Governo italiano deve difendere tutti i suoi cittadini, perché le madri non possono rinnegare i propri figli.

Perciò, le madri italiane hanno il diritto di sapere se i loro figli sono morti, hanno diritto di sapere perché sono morti, quando sono morti, dove sono morti o dove, almeno, sono sepolte le loro ossa. Se non sarà dato, a tanta distanza di tempo, di poter recuperare le salme, esse hanno diritto di vedersi almeno restituite le ossa.

I cimiteri del confine orientale, il cimitero del mio paese, a tanti anni dalla fine del primo conflitto mondiale, sono tutti pieni di fosse di morti tedeschi e jugoslavi. Noi li conserviamo ancora intatti questi morti, perché le madri possano venire quando vogliano, a riprenderli. Domandiamo che altrettanto sia fatto al di là del confine. Noi abbiamo aperto procedimenti, in obbedienza al trattato di pace, contro gli italiani criminali di guerra: avremmo diritto di domandare reciprocità di trattamento anche contro altri criminali che hanno infierito ed hanno soppresso nostri cittadini senza processo, sospetti di una sola colpa, quella di essere italiani. Ma, signori, troppo dolore e troppe delusioni ci ha dato questa guerra.

Passando l’altro giorno sulla strada di Trieste, alle foci del Timavo, non ho più ritrovato l’erma di pietra che ricordava i morti della Terza Armata. È stata distrutta. Eppure gli eroi della Terza Armata erano morti non per la nostra libertà soltanto, ma anche per la libertà degli jugoslavi. (Applausi).

Domando che la pietra venga rimessa al suo posto. A Trieste, la cella di Oberdan, dove il martire passò le sue ultime ore, per troppo tempo, e non dagli jugoslavi, è stata trasformata in un magazzino di viveri per le truppe alleate. Domando se sia stata riconsacrata.

Nessuno più di me è lontano da alimentare spiriti nazionalistici; ho già detto che la mia stessa origine mi porta ad auspicare con fierezza di animo la riconciliazione col vicino popolo jugoslavo. Ma per ritornare amici, come eravamo un tempo e come intendiamo di ritornare, per riaffratellare gli uomini nella pacifica convivenza dei popoli, occorre che non qui, ma anche al di là dell’Isonzo sia ristabilita la giustizia, e siano rispettate le nostre memorie. Occorre, soprattutto, che sia ristabilito il rispetto alla vita umana, che la storia di tutto il mondo ci insegna essere il termine di passaggio dalla barbarie alla civiltà. (Vivi applausi).

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo replica all’onorevole Gasparotto assicurando che tutti i passi possibili sono stati tentati e saranno compiuti nel futuro.

Invito, tramite l’onorevole interrogante, le famiglie che si sono rivolte a lui e gli altri interessati a fornire dei dati precisi, perché molte volte il Ministero degli affari esteri si trova nella impossibilità di andare incontro alla loro richieste, perché vengono trasmessi dei dati assolutamente insufficienti.

Posso aggiungere che da comunicazioni fatte al Governo risulta che la Jugoslavia ci segue in questo nostro desiderio; il nostro Ministro ed i funzionari che sono a Belgrado – ai quali rendo omaggio per gli sforzi compiuti in questo primo tempo – hanno fatto opera veramente feconda. Ma il compito è molto complesso, anche per le vicende della guerra e la situazione dei luoghi del vicino Stato.

L’appello alla concordia ed alla conciliazione, che l’onorevole Gasparotto ha rivolto in questo momento alla Jugoslavia, sono certo avrà eco favorevole; trasmettendolo, il Ministero degli affari esteri aggiungerà le invocazioni delle madri e dei parenti dei deportati per far sì che questo elemento, che può essere ancora di dissenso, abbia a cessare per la piena riconciliazione tra noi e il popolo vicino, che vivamente auspichiamo. (Applausi).

GASPAROTTO. Ringrazio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio, dei trasporti e dell’agricoltura e foreste, «per sapere se non ritengano necessario ed urgente intervenire, con adeguati provvedimenti, nel grave problema del rifornimento della legna da ardere per il riscaldamento invernale. Questo problema – al pari di quello della persistente ascesa dei prezzi dei generi alimentari – si vien facendo ogni giorno più angoscioso e allarmante, specie per certe categorie della popolazione, prive delle possibilità economiche che consentano loro di fronteggiare i prezzi della legna, avviati a continuo vertiginoso aumento. Ai fini anche del mantenimento dell’ordine pubblico, che verrebbe certamente ad essere, un giorno, turbato, sembra rendersi indispensabile un superiore intervento anche nel campo dei trasporti ferroviari, una parte dei quali dovrebbe essere riservata al rifornimento di determinate collettività particolarmente bisognose».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La larga incetta di legna, fatta in tutte le zone di produzione, con conseguente notevole rincaro del prezzo, è stata prevalentemente determinata dal timore che nella prossima stagione invernale la quantità di combustibile fossile a disposizione per il riscaldamento ad uso civile sarebbe risultata assolutamente insufficiente rispetto alle necessità, specie delle Regioni settentrionali, e pertanto da integrarsi con legna da ardere di libero acquisto sul mercato nazionale.

La nota decisione di massima del Comitato carboni del 31 luglio scorso di accantonare una massa di un milione di tonnellate di combustibili fossili da ripartirsi fra le diverse provincie in relazione alle rispettive necessità nel prossimo inverno – decisione resa esecutiva con la circolare 124 del 25 agosto 1947 del Ministro industria e commercio – risolvendo sostanzialmente il problema del riscaldamento, ha costituito una remora ed ha esercitato una sensibile azione normalizzatrice sul traffico affannoso che la speculazione, facendo leva sulle preoccupazioni diffuse in larghi strati della popolazione, ebbe a provocare nel mercato della legna da ardere.

Si deve anche ritenere che il migliorato andamento dei rifornimenti di combustibili fossili sia destinato ad incidere sull’assorbimento della legna effettuato da parte di alcuni settori industriali, con conseguente aumento della disponibilità per gli usi civili.

Ciò premesso, per ora si esclude che da parte del Ministero dell’industria e commercio, attualmente orientato verso lo sblocco dei combustibili nazionali, si disponga per il ripristino della distribuzione della legna col sistema delle assegnazioni. Qualora particolari situazioni locali in rapporto al problema in argomento richiedessero l’adozione di temporanei provvedimenti di emergenza, dai Prefetti interessati potrebbe venir richiesto al Ministero dell’industria l’autorizzazione a disporre il blocco sulla esportazione di limitate quote di legna da ardere per il soddisfacimento delle esigenze del consumo locale.

In merito poi alla preoccupazione dell’onorevole interrogante, relativa alla opportunità di riservare i mezzi di trasporto per rifornimento di legna a determinate collettività, si precisa che il Ministero dei trasporti, con circolare in data 10 giugno 1947, inviata a tutti i Prefetti dell’Alta Italia, ha provveduto al regolamento di detta materia. Le richieste di tali mezzi di trasporto sono cioè state accettate e si accettano soltanto se il destinatario sia un ente comunale, oppure assistenziale, oppure ospedaliero, oppure ditta di riconosciuta importanza, che acquisti la legna per le proprie maestranze. Le richieste stesse debbono presentarsi alla Direzione generale delle Ferrovie dello Stato per il tramite dei Prefetti delle provincie, nelle quali è destinata la legna. I Prefetti debbono offrire poi la garanzia che la legna verrà effettivamente utilizzata dagli enti suddetti e ciò allo scopo di evitare la speculazione privata.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ARATA. Prendo atto volentieri della risposta dell’onorevole Sottosegretario per quel che riguarda le disposizioni del Ministro in relazione all’eventuale emergenza che dovesse verificarsi in certe località, per cui possa essere ritenuta opportuna qualche provvidenza di carattere straordinario per approvvigionarle di legna.

Prendo atto appunto di questa porta lasciata aperta, per far presente che in realtà quest’emergenza, per talune località, deve già considerarsi avverata. Per quanto riguarda i ribassi di prezzo nella legna, mi auguro che la mia interrogazione possa presto considerarsi superata dagli eventi.

Però, onorevole Sottosegretario, è pure un fatto che oggi la legna ha ancora un prezzo altissimo per certe categorie e per certi portafogli. Non solo, ma è anche vero che il carbone in certe città non fu potuto ancora distribuire. Ormai il freddo ha incominciato a mordere. È bene, specie per quel che riguarda il carbone, che l’onorevole Ministro si preoccupi di venire incontro il più possibile ed il più presto possibile, alle categorie più bisognose, non solo tenendo d’occhio le grandi città – ed è questa la mia preoccupazione, onorevole Sottosegretario – ma anche le piccole città. Infatti anche le maestranze operaie ed i dipendenti di enti pubblici di piccole città soffrono di questa situazione, come nei grandi centri. Su questo punto mi sembra che vi sia qualche lacuna nelle provvidenze adottate dal Governo.

A Piacenza, per esempio, non fa meno freddo che a Torino o a Milano, e la vita non è meno cara che a Milano, a Torino e a Genova: anzi, proprio stamattina mi diceva il prefetto che essa è una delle città dell’Alta Italia dove la vita è più cara. Gli operai di Piacenza e gli impiegati del comune, tanto per fare un esempio, debbono quindi affrontare l’inverno con prospettive che non sono meno terribili di quelle dei colleghi di Milano e delle altre grandi città. Pertanto rivolgo uno speciale appello al Ministro perché si renda conto della situazione e del fatto che l’inverno è purtroppo già iniziato, specie per l’Alta Italia, e voglia pertanto dare seria e pronta attuazione ai suoi lodevoli propositi. In tal senso e con queste riserve posso dichiararmi sodisfatto.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio. Posso assicurare lo onorevole interrogante che il Ministero terrà conto delle sue giuste osservazioni.

ARATA. Per i carri ferroviari il problema è molto grave. Mi rendo conto della inevitabilità di certi inconvenienti, perché quando i mezzi sono scarsi ed i postulanti sono molti è fatale che vi debbano essere degli inconvenienti e che la scelta non sempre corrisponda a criteri di rigorosa giustizia. Io me ne rendo conto, ma anche qui è questione di misura. Se purtroppo, in qualche settore, è inevitabile che nasca qualche scandalo, è però necessario che esso non dilaghi e non diventi la regola. Il problema dei carri ferroviari che devono portare legna a maestranze, collettività o a determinati enti, dev’essere risolto nel modo più conforme possibile a giustizia, senza costringere queste collettività a costosi viaggi a Roma, a lunghi soggiorni in questa città ecc. ecc.

La concessione dei carri ferroviari è un problema sul quale, qua e là, sono sorti sospetti e insinuazioni: vorrei che la parola dell’onorevole Sottosegretario costituisse non solo la promessa, ma la garanzia che anche questo scabroso aspetto dei nostri trasporti ferroviari si avvierà presto verso la normalità, nel segno del dovere e della giustizia.

PRESIDENTE. Per l’assenza da Roma dei Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, sono rinviate ad altra seduta le seguenti interrogazioni:

Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici»;

Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale»;

Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di mera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività»;

Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;

Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;

De Martino, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se esistono speciali ragioni che determinano nell’Azienda della strada la volontà o la necessità di ben mantenere le strade nazionali del Nord, del Centro e di parte dell’Italia meridionale, precisamente fino alla città di Salerno, mentre da Salerno in giù le strade nazionali sono quasi completamente abbandonate».

Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per la prossima annata agraria 1947-48 in merito agli ammassi obbligatori dei cereali e se ritenga di accedere alle generali richieste dei contadini, abolendo i detti ammassi che si sono dimostrati di grave onere per il bilancio dello Stato e di gravissimo peso per i produttori, non dando, d’altra parte, per risultato che una sensibile contrazione della produzione. L’interrogante fa presente che l’abolizione degli ammassi, sia pure sostituita in via provvisoria con quegli accorgimenti che potranno rivelarsi opportuni, consentirà di provvedere con maggiore sicurezza al sostentamento dei meno abbienti, specie addivenendosi alla somministrazione di una parte del salario o stipendio in natura, a cura ed a carico, naturalmente, dei datori di lavoro. Ricorda che, essendo imminenti i lavori preparatori per la semina, questa, nell’ipotesi della persistenza del regime di ammasso, si attuerebbe – dato lo stato d’animo diffuso nelle campagne – su scala ridottissima»;

Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga opportuno soprassedere alla costituzione del Consorzio nazionale canapa, se pure con la sola partecipazione degli agricoltori, essendo tale provvedimento in contrasto con la volontà dei canapicoltori, i quali chiedono la libera disponibilità del loro prodotto. L’ammasso obbligatorio della canapa avrebbe quale risultato un’ulteriore riduzione di tale coltura, con grave danno dell’economia nazionale»;

Giacchero, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se, vista la continua diminuzione delle superfici coltivate a grano e l’insufficienza delle assegnazioni di concimi chimici (circa 13 chilogrammi per ettaro) non ritenga di dovere urgentemente stabilire, prima degli inizi dei lavori di semina, il prezzo del grano per il futuro raccolto del 1948 e impegnarsi ad assegnare ad ogni comune ed a prezzo ragionevolmente proporzionale a quello del grano e tempestivamente un quantitativo sufficiente di concimi chimici»;

Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatoti, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione dei prezzi».

È pure rinviata, su richiesta del Ministro delle finanze, l’interrogazione seguente dei deputati Tremelloni, Segala e Ghidini: al Ministro delle finanze, «per conoscere quale fondamento di verità abbia la notizia, apparsa sui giornali, che in Sicilia è stata abolita la nominatività obbligatoria dei titoli azionari. E per sapere, nel caso in cui la notizia sia esatta, quale atteggiamento intende prendere il Governo».

VINCIGUERRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VINCIGUERRA. Desidererei che l’onorevole Ministro dei lavori pubblici si decidesse a dare una risposta alla mia interrogazione. Non vorrei che rispondesse quando la situazione fosse irrimediabilmente pregiudicata.

PRESIDENTE. Comunicheremo al Ministro dei lavori pubblici il suo desiderio.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bulloni, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio per la soluzione dei problemi connessi con la crisi dell’energia elettrica nell’Alta Italia e se non ravvisi l’opportunità della costituzione di un commissariato permanente per l’Alta Italia, con sede in Milano, che abbia autorità e mezzi e possa applicare sanzioni per imporre e ottenere la disciplina della revisione della produzione e del consumo, il cui maggiore e più importante compito dovrebbe essere la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia fra le società distributrici, e con l’urgenza reclamata dal fine di permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina dell’uso dell’energia elettrica, talché queste possano preparare trasformazione di impianti termoelettrici in impianti a combustibile e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino, perché non si ripeta nel prossimo inverno il danno incalcolabile causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nella fornitura di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno imposto, altresì, alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria ed il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sotto segretario di Stato per l’industria e. il commercio. Con provvedimento legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 5 settembre 1947 sono stati confermati in carica i due Commissari regionali per l’energia elettrica, rispettivamente per l’Alta Italia, con sede in Milano, e per l’Italia Centro-Meridionale, con sede in Roma. Il coordinamento fra i due Commissari, per lo scambio di energia fra il Nord e il Centro Sud, è assicurato dalla Commissione centrale per il razionamento dell’energia elettrica, che tenderà ad unificare, per quanto possibile, e fin dove sarà conveniente, i criteri e i metodi di funzionamento dei due Commissariati, allo scopo di ripartire equamente le disponibilità di energia elettrica e la riduzione di consumo nei periodi di scarsa disponibilità. Sono in corso di attuazione distacchi di forti utenze di energia elettrica, segnatamente allo scopo di ottenere che i bacini idrici si trovino al massimo invaso all’epoca del disgelo.

Anche a questo fine l’energia di supero è stata ceduta dal Nord al Sud, e si è potuto accumulare energia elettrica in bacini che la rendono al Nord in proporzione convenuta. Peraltro, sono stati attuati alcuni collegamenti che saranno pronti per il periodo critico invernale, atti a facilitare e rendere possibile la concessione di maggiore quantità di energia in confronto al passato, anche nell’ambito cioè della giurisdizione di ciascun Commissariato regionale.

La recente maggiore disponibilità di combustibili solidi e liquidi ha consentito di fare maggiori assegnazioni agli utenti, e così resterà alleggerita la richiesta di energia elettrica per quanto si riferisce agli usi domestici ed anche l’industria manufatturiera se ne avvantaggerà.

Si ritiene pertanto che le provvidenze adottate allevieranno gli inconvenienti che si sono verificati lo scorso anno.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BULLONI. Premesso che la mia interrogazione risale al 7 luglio scorso, mi dichiaro solo parzialmente sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario, in quanto la stessa non affronta in modo completo lo specifico oggetto della mia interrogazione, relativo ad un grave problema d’ordine economico e sociale connesso con la crisi della energia elettrica nell’Alta Italia.

Prendo atto soltanto che quest’anno si è anticipata la nomina del Commissario Regionale per l’energia elettrica, cui sono stati estesi fino al 30 aprile 1948, con decreto 25-7-1947, le funzioni e i poteri di cui al decreto del Capo Provvisorio dello Stato in data 26 ottobre 1946.

Incalcolabile è stato il danno causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nelle forniture di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno provocato altresì alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro.

Poiché tale situazione non abbia a ripetersi nel prossimo inverno, occorreva che il Governo, con l’urgenza reclamata dalla gravità del problema, disponesse gli studi necessari per mettere in relazione la crisi dell’ultimo inverno con quella degli anni precedenti al fine di:

1°) individuarne le cause;

2°) provvedere di conseguenza per il futuro.

Sarebbe venuto così a rilevare che la causa principale della crisi non si deve tanto alla inevitabile deficienza di energia invernale (che potrà venire parzialmente attenuata da nuovi impianti) quanto all’indiscriminato consumo di energia senza un proporzionato rapporto colla sua producibilità, e ciò anche per il fatto che il Commissariato regionale per l’energia elettrica venne nominato lo scorso anno solo nel tardo ottobre.

Si sarebbe poi convinto che ad aggravare la crisi ha contribuito il dilagare delle utilizzazioni termiche: nell’industria, a causa della deficienza dei combustibili e del caro costo in confronto del costo dell’energia elettrica; negli usi domestici per cucina e il riscaldamento, a causa della ridotta fornitura di gas, della mancanza di carbone, della carenza e del proibitivo costo della legna.

Così, l’indisciplina dei consumatori, attraverso gli abusivi prelievi di novembre e dicembre; finì per divorare in questi due mesi la razione che sarebbe stata sufficiente fino a marzo, rendendo necessari in gennaio provvedimenti draconiani.

Quali i conseguenti provvedimenti che si sarebbero dovuti adottare?

Per quanto riguarda le industrie, si dovevano rivedere le attuali condizioni di fornitura di energia, per modo che venissero prefissati gli usi e le lavorazioni, che possono utilizzare l’energia durante l’intero anno, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla nei mesi di produzione media, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla solo nei mesi di abbondanza, mirando per tal modo a realizzare nei limiti del possibile l’aderenza del diagramma del consumo con quello della producibilità.

Per quanto riguarda gli usi domestici, si dovevano prescrivere rigide limitazioni all’uso della corrente così detta industriale e proibire l’uso dell’energia elettrica a scopo di riscaldamento.

Ad ogni società distributrice avrebbe dovuto essere assegnata una determinata quota di energia invernale, estiva e media, di quella prodotta nell’Alta Italia, con riguardo alle necessità e alle caratteristiche della zona servita dalla società.

Ma per l’attuazione di tali provvedimenti, in attesa che si costruiscano nuovi impianti, per cui occorreranno lunghi anni, s’imponeva di necessità la immediata costituzione di un Commissariato permanente per l’Alta Italia, che avesse autorità e mezzi e potesse disporre, a differenza del provvedimento attuale, di adeguate sanzioni, legalmente incontestabili, per imporre ed ottenere la disciplina della produzione e del consumo, attraverso la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia tra le società distributrici.

Ognuno avverte, poi, che tale Commissariato, con le attribuzioni e coi poteri ricordati, avrebbe dovuto entrare subito in funzione, per permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina, talché potessero trasformare gli impianti termoelettrici in impianti a combustibile, e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino.

La sede non consente più esauriente discussione in argomento. Credo, però, di avere dato utili suggerimenti, ricavati dalla dolorosa esperienza del passato e dallo studio di tecnici approfonditi in materia.

E mi permetto, concludendo, ricordare al Governo che, nei tempi di emergenza quale l’attuale, esso deve dirigere e controllare i settori più vitali, come il campo della produzione e della distribuzione dell’energia elettrica, per dare la necessaria soddisfazione ad un primordiale interesse della vita nazionale.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni che, trattando lo stesso oggetto, possono essere svolte congiuntamente:

Perrone Capano, Rodi e Monterisi, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Gravina: per conoscere esattamente le cause determinatrici, il modo come si sono svolti e i rimedi che si intendono adottare per eliminare in Puglia e nel Mezzogiorno episodi del genere»;

Pastore Raffaele e Assennato, ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati per assodare le responsabilità per i fatti di Gravina e conoscere quali provvedimenti intendono adottare per fronteggiare la disoccupazione in provincia di Bari, allo scopo di evitare il ripetersi di incidenti»;

Trulli, Coppa e Rodinò Mario, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in ordine alla gravissima situazione che si va determinando in Gravina di Puglia, con probabilità di estensione ai paesi viciniori, per la improvvisa agitazione dei braccianti agricoli, agitazione che si aggrava di ora in ora, e che, dall’altra parte, non trova per opera dell’autorità tutoria, quella immediata garanzia che sarebbe necessaria per evitare conseguenze luttuose. Si aggiunga che gli agricoltori locali sono stati inopinatamente e sproporzionatamente sottoposti a versamenti di denaro alla Camera del lavoro per sodisfare le richieste dei predetti lavoratori, che aumentano senza limiti durante la discussione».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. A Gravina, come in molti altri centri della provincia di Bari, vi è una forte disoccupazione sia nel bracciantato agricolo che nel campo edile e industriale. Il 18 dicembre, la Commissione paritetica per l’avviamento al lavoro della mano d’opera disoccupata, iniziò le operazioni per l’assunzione di circa 150 lavoratori da parte di ditte che avevano provveduto alla denunzia aziendale.

Però talune aziende, malgrado gli accordi intercorsi, si rifiutarono di mantenere gli impegni. Di qui il malcontento che, aggiungendosi al disagio esistente in vasto numero di disoccupati, produsse anche un vivo senso di sfiducia. Si arrivò così alla mattina del 20 corrente, quando i braccianti agricoli, con l’adesione di alcuni prestatori d’opera edili e di altre categorie, proclamavano lo sciopero generale.

Gli scioperanti, in numero notevolissimo, bloccarono il traffico, obbligando a chiudere i negozi e comunque a desistere dal lavoro. Furono istituiti blocchi stradali che inibirono il passaggio sia ai mezzi, sia alle persone che si recavano nelle campagne.

Fu pertanto immediatamente disposto l’invio di un funzionario di prefettura, di un funzionario di pubblica sicurezza e di un primo nucleo di settantacinque uomini. È necessario aver presente che gli scioperanti erano diretti da un comitato di agitazione non controllato né dalla locale autorità comunale né dai dirigenti sindacali. Gli scioperanti avevano infatti manifestato la loro assoluta sfiducia sia nei confronti dell’una che degli altri.

Nel pomeriggio del giorno 21 si riunivano nella sede comunale i rappresentanti del comune, dei locali dirigenti sindacali e degli scioperanti, allo scopo di comporre la vertenza. Ma, durante la riunione, un numeroso gruppo di scioperanti, constatato che essa si protraeva a lungo senza giungere ancora alla dovuta conclusione, irruppe nella sala, determinando una vivace discussione, degenerata ben presto in tafferuglio.

Fu così che rimase ferito un rappresentante degli agricoltori presenti. Ristabilita la calma, l’accordo fu raggiunto. In base ad esso, gli agricoltori presenti, tra i quali era il presidente dell’associazione, si impegnarono, fra l’altro, di anticipare a mezzo cambiale l’importo di quindici giornate lavorative per ogni operaio ingaggiato, nonché di assumere al lavoro per sei mesi un’aliquota di disoccupati.

Gli scioperanti però non vollero prestar fede all’impegno assunto dagli agricoltori sia perché questo era stato sottoscritto solo da un numero limitato di lavoratori, sia perché eccepivano che altre volte si era verificato che promesse fatte ed accordi raggiunti non fossero stati mantenuti.

Sicché, la stessa sera del 21 e la mattina successiva, squadre di scioperanti si recarono nelle masserie della zona lasciando in esse solo il proprietario e un guardiano ed obbligando il rimanente personale a recarsi in paese.

Nel pomeriggio un forte nucleo di scioperanti, presumendo erroneamente che due lavoratori fossero stati fermati dalla pubblica sicurezza e condotti nella caserma dei carabinieri, tentò di penetrare nella stessa caserma, senza però riuscirvi per l’energico contegno tenuto dai militari. Eguale tentativo ripetevano presso il carcere locale, ritenendo che in esso si fossero rifugiati alcuni agricoltori. Anche questo tentativo fu frustrato dal pronto intervento della forza pubblica.

A seguito di questi fatti il giorno 22 mattina fu inviato sul posto un altro contingente di rinforzi, al comando dello stesso comandante della compagnia interna dei carabinieri di Bari, e costituito da mezza compagnia autocarrata, da otto autoblindo, oltre che da un nuovo contingente di uomini.

Questi rinforzi, all’ingresso del paese, furono costretti a forzare il primo posto di blocco, presidiato da un gruppo di dimostranti, e, superando altri tentativi di resistenza, riuscirono a raggiungere il centro dell’abitato. Giunti in piazza Sacelli, con l’impiego di autoblindo scortate da uomini appiedati, i militari riuscirono a disperdere i dimostranti, ma all’altezza della Camera del lavoro, mentre numerosi gruppi affluivano da altri sbocchi stradali, dalla finestra di una casa adiacente alla sede della Camera del lavoro stessa fu sparato qualche colpo di arma da fuoco, e un proiettile colpì di striscio alla mano sinistra uno dei carabinieri, producendogli una lesione guaribile in venti giorni.

La forza pubblica, a scopo di intimidazione, rispose con alcuni colpi di mitra sparati in aria, senza raggiungere, peraltro, l’intento, perché improvvisamente, da varie strade, gruppi imponenti di uomini e di donne, armati di bastoni e taluni anche di armi da fuoco, avanzarono in massa, chiedendo a gran voce «pane e lavoro». Trattavasi di più di cinquemila persone.

Si tentò di contenerne l’urto, ma poiché le forze di polizia, per quanto notevoli, stavano per essere serrate sulla piazza e attaccate da quattro direzioni, nell’impossibilità di fronteggiare la situazione senza arrischiare uno spargimento di sangue a causa, ripeto, del numero inadeguato della forza pubblica, il funzionario preposto al servizio fece ripiegare le forze sulla strada principale Gravina-Bari, all’altezza della caserma dell’Arma, sia per bloccare la massa in un’unica direzione, evitando un attacco alle spalle, sia per scongiurare eventuali tentativi di invasione della caserma.

Ivi la massa urlante contro gli agrari, nel proclamare che non intendeva fare atti di violenza contro la forza pubblica, minacciò gravi rappresaglie contro i datori di lavoro qualora non fossero stati allontanati dalla città i rinforzi giunti nella mattinata, credendo che essi fossero stati inviati a richiesta e su istigazione degli agricoltori per opprimere i diritti dei lavoratori.

Nel corso della giornata del 22 si registrò un episodio di violenza. Verso mezzogiorno, mentre gli scioperanti si agitavano presso il centro abitato, un operaio, tale Cassano, transitando armato di moschetto vicino all’abitazione del proprietario Leone Nunzio, rivolse ad un figlio di questi parole provocatorie, minacciandolo con l’arma. Nella colluttazione che seguì, il Cassano riportava lesioni guaribili in dodici giorni e il Leone lesioni guaribili in oltre un mese. Il Cassano ritornava subito dopo con numerosi compagni, in buona parte armati, sparando in direzione delle porte e delle finestre dell’abitazione del Leone. Facinorosi, quindi, irruppero nello stabile, uccisero a colpi d’arma da fuoco due muli e un cavallo, devastarono infissi e vetri, assalirono il proprietario Leone Nunzio, producendogli lesioni guaribili in giorni dieci.

Intanto nei giorni 21, 22 e 23 corrente si erano svolte nel Municipio di Gravina varie riunioni, con l’intervento di un funzionario di prefettura, di rappresentanti sindacali, della Federterra, dei reduci e combattenti e dei datori di lavoro e lavoratori allo scopo di risolvere la vertenza.

Fino al 25 corrente furono ingaggiati 250 braccianti agricoli e 200 lavoratori. La riassunzione dei rimanenti disoccupati, che si aggirano intorno al migliaio, prosegue lentamente a causa anche della irreperibilità di alcuni datori di lavoro allontanatisi a seguito delle violenze intercorse sul posto.

Indagini sono in corso per gli accertamenti relativi agli autori delle violenze e ai promotori, nei confronti dei quali sarà proceduto a termini di legge.

Nel pomeriggio del 23 corrente si stabilì una calma relativa, e parte delle forze di polizia poté essere ritirata.

Al fine di fronteggiare la disoccupazione, che in provincia di Bari si fa ascendere a settantacinquemila unità secondo alcuni e a quarantamila secondo altri, il prefetto riunì in prefettura il giorno 22 le altre autorità provinciali, gli esponenti delle organizzazioni sindacali, dei partiti politici e dell’Associazione combattenti per discutere circa i mezzi più idonei.

Nella riunione fu deciso di costituire un comitato dei lavori per stabilire quanti disoccupati potranno essere assunti nei vari settori dell’industria, del commercio e della agricoltura. Lo stesso Comitato si interesserà della raccolta di fondi per l’esecuzione di lavori di pubblica utilità.

Fu altresì deciso di esplicare una vasta e coordinata azione per ottenere adeguati stanziamenti di fondi su quelli predisposti dal Ministero competente sul piano nazionale per la prosecuzione e l’inizio di lavori pubblici.

Dopo di che la situazione, deplorevole quant’altre mai, è avviata a distensione. Gli esercizi pubblici che erano rimasti chiusi sono andati rapidamente riaprendosi.

Circa le cause economiche generali che agitano le popolazioni in provincia di Bari e in ciascuna provincia delle Puglie, esse sono ben note al Governo, che conosce lo stato di grande disagio in cui versano i lavoratori e segue la situazione nell’intento di adottare ogni possibile provvedimento per lenire la disoccupazione operaia, particolarmente acuta per cause stagionali nell’agricoltura, e per la crisi particolarmente grave nel campo edilizio.

Il Ministero dell’interno sin dall’inverno scorso ha promosso la costituzione di un’apposita commissione che fu presieduta dall’allora Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, e di cui fecero parte rappresentanti del Ministero dell’interno, del Ministero dell’agricoltura e del Ministero del lavoro, allo scopo di studiare il problema della disoccupazione nelle province pugliesi sotto tutti gli aspetti e proporne i modi di soluzione.

Detta commissione ha presentato una relazione le cui conclusioni riguardano particolarmente la competenza del Ministero dell’agricoltura e di quello dei lavori pubblici.

Per incarico del Ministro dei lavori pubblici, al quale pure è rivolta una delle interrogazioni a cui rispondo, devo dire che, per quanto si attiene ai lavori di sua competenza, risultano eseguiti di recente lavori per 150 milioni di opere stradali e fognature; sono in corso altri lavori stradali per 7 milioni, in via di ultimazione, a carico dell’ultima assegnazione di fondi compresa nel programma, e circa 5 milioni di lavori che saranno autorizzati appena i Comuni avranno aggiornato i prezzi.

Circa i lavori di bonifica che sono eseguiti col controllo dell’ufficio del Genio civile è da segnalare che nello scorso esercizio sono stati eseguiti lavori per 50 milioni.

Vi è poi da attuare un programma di opere a carico delle province, che importano complessivamente 80 milioni di lavori di cui una parte – 20 milioni – è stata già appaltata ed iniziata, e quindi sospesa per un incaglio dipendente dal finanziamento da eseguirsi dal Banco di Napoli; ma, risolte queste difficoltà, sono stati ripresi proprio stamane.

Oltre a questi lavori, è proposito del Ministero dei lavori pubblici di disporne per altri notevoli importi, in modo da apportare un non lieve soccorso a questa che è indubbiamente una delle piaghe più gravi del nostro Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io sono spiacente, nonostante la lunghezza della risposta dell’onorevole Sottosegretario, di non potermi dichiarare sodisfatto della risposta stessa. E questa mia insoddisfazione riflette in modo particolare la risposta relativa al quesito che io ponevo circa le cause che il Governo attribuisce e i rimedi che esso intende attuare per fronteggiare il grave problema dal quale deriva l’episodio di Gravina: episodio, tutta la gravità del quale l’onorevole Sottosegretario ha esposto e che potrebbe essere (Dio sperda l’augurio!) non l’ultimo di una dolorosa catena di episodi simili che abbiamo il diritto e il dovere di prevenire e di evitare.

Ormai è ricorrente – può dirsi – il caso di incidenti più o meno gravi, dell’indole e della portata di quello di Gravina, in Puglia e nel Mezzogiorno, non appena incominciano ad annunciarsi i rigori autunnali.

Il Governo dice: la causa di questi fatti è notoria e risale all’entità della disoccupazione che affligge l’Italia meridionale.

Ora io mi domando: crede il Governo di poter continuare a fronteggiare questo grave e doloroso fenomeno della disoccupazione meridionale e, soprattutto, della disoccupazione pugliese, distribuendo in sostanza legnate ai braccianti e agli agricoltori?

Il Governo parte da un presupposto che a mio avviso è assolutamente sbagliato: è un presupposto che influenza quasi sempre le disposizioni dei prefetti e che si risolve poi in un motivo per aggravare la speculazione che di questa piaga sociale fanno gli agitatori di professione, da un lato, e per far nascere della cattiva volontà e della sfiducia dall’altro, nell’ambiente più direttamente chiamato a fronteggiare il fenomeno stesso.

Si parte – in altri termini – soprattutto dal presupposto che vi possa essere equazione assoluta fra braccianti agricoli, braccianti in genere e agricoltura, nelle province pugliesi e, in modo particolare, nella provincia di Bari.

Ora, questo è assolutamente inesatto: non vi è equazione, ma vi è sproporzione laggiù, notoriamente e notevolmente, fra popolazione e territorio. Basti pensare che nella sola provincia di Bari vi sono duecento abitanti per chilometro quadrato.

Ed allora il problema si circoscrive e si racchiude nella ricerca e nell’adozione del mezzo atto ad occupare, a sistemare preventivamente l’eccedenza di braccia che non trova impiego nell’agricoltura. Sostanzialmente il Governo sino ad oggi (e quando io parlo del Governo non mi riferisco soltanto a questo Governo, ma, in genere, anche ai Governi che hanno preceduto l’attuale, perché – è purtroppo dolorosa la constatazione – sono quasi tutti i Governi che si sono succeduti alla testa dello Stato, che hanno dimenticato e dimenticano sostanzialmente i problemi del Mezzogiorno e trascurano la adozione dei mezzi atti a risolvere una volta per sempre ed adeguatamente i problemi stessi), in sostanza, dicevo, il Governo sin oggi ha adottato in realtà due soli provvedimenti che hanno di mira la finalità di fronteggiare la disoccupazione e di assorbire i braccianti e questi provvedimenti sono: il decreto 16 settembre 1947, n. 929, che è stato definito il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, ed il provvedimento più antico che aveva come finalità l’istituzione e il funzionamento di un ente per la trasformazione agraria e per l’irrigazione di Puglia e Lucania. Ora, sta di fatto che entrambi questi provvedimenti hanno un’efficacia relativa, in quanto l’uno, il primo, chiarisce la situazione e ne risolve un solo aspetto; il secondo è destinato a funzionare e ad esercitare i suoi effetti soltanto in futuro e in un futuro molto lontano.

Ed invero il primo, il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, a che mira? Quali sono gli effetti che può produrre? Da un lato esso tende a compiere quella che è stata chiamata la deflazione della disoccupazione, cioè la selezione dei disoccupati. Ottimo scopo che, raggiunto, varrà ad eliminare dai quadri bracciantili i profittatori della disoccupazione che non sono pochi e non sono poco onerosi. Il secondo obiettivo del decreto stesso è quello di vincolare gli agricoltori, cioè le aziende agricole, al dovere, al compito di assorbire il massimo possibile di unità lavorative di cui ciascuna di esse è suscettibile. Anche questo è un encomiabile obiettivo, ma quando saranno stati raggiunti entrambi tali obiettivi (ed io mi auguro che il decreto sia messo in esecuzione presto e bene in modo che risponda alla sua lettera e al suo spirito) avremo saputo quanti esattamente sono i disoccupati in Puglia, nel Mezzogiorno, in ciascuna provincia, e quale sarà il carico massimo di mano d’opera che l’agricoltura potrà assorbire.

A questo punto, dopo la chiarificazione, il problema rimarrà grave e pesante come prima e più di prima, perché la eccedenza nascente dalla sproporzione di cui parlavo, fra capacità di assorbimento del territorio e popolazione, risulterà in tutta la sua estensione. Il Governo si deve preoccupare in tempo di affrontare questa eccedenza. Ecco tutto. La tattica che si segue, e che è quella che produce i risultati spiacevoli dei quali facevo cenno poco prima, è questa: accertata l’eccedenza, riversarla sull’agricoltura! Ebbene, questo è assurdo. Gli stessi esponenti delle Camere del Lavoro e della Federterra riconoscono che è assurdo e che non si deve verificare perché si traduce in realtà in un grave disturbo per la produzione e nell’imposizione di una ulteriore e gravissima imposta a carico delle aziende, le quali sono già gravate da un carico notevolissimo di imposte. Un operaio costa oggi 300 mila lire all’anno!

Sperare dunque che il decreto possa portare ad una equazione anche relativa fra il bracciantato disponibile e la capacità di assorbimento delle aziende, è sperare troppo perché ormai tutti dovrebbero sapere che, nelle zone di cui ci occupiamo, tutto ciò che era possibile fare con le sole risorse locali e con le sole iniziative degli agricoltori e dei lavoratori locali, è stato fatto. Ciò che si ha da fare richiede l’intervento dello Stato sotto un triplice aspetto: di programmazione, di organizzazione, e di integrazione delle iniziative private. La terra, nelle nostre province, è migliorata largamente, è coltivata ottimamente, è frazionatissima. Dove sussistono ancora aziende medie e aziende grandi la forma di conduzione più largamente praticata è quella della colonia parziaria. Permane ancora la cultura estensiva ove la terra è ingrata e nelle parti malariche che sono quelle relative per l’appunto a comuni come Gravina, come Spinazzola, ecc., nei quali si verifica il maggior numero di episodi deplorevoli del genere di quelli di cui ci occupiamo oggi.

Dunque non si può fare affidamento soltanto su questo decreto diretto a provocare il massimo impiego di mano d’opera nella agricoltura. Si è fatta la legge per l’irrigazione, ma è rimasta sulla carta, e sono rimasti sulla carta anche i pochi milioni che dovevano servire come dotazione di quell’Ente e che sarebbero bastati e basteranno, quando saranno erogati, solamente ad assicurare la costituzione degli uffici, ma non la messa in esecuzione degli obiettivi che l’Ente si propone.

A questo punto abbiamo diritto di domandare e di dire al Governo: ma credete di potere, con palliativi, con interventi saltuari, con provvedimenti una volta sì e una volta no, con soccorsi occasionali attraverso lavori pubblici comunali e sporadici, migliorare questa situazione? In questa maniera voi aggraverete ma non risolverete il problema.

Una voce a sinistra. Gi vuole la riforma agraria.

PERRONE CAPANO. Noi vi diciamo che bisogna fare un serio e organico e tempestivo programma di lavori pubblici, avendo di mira in particolare il settore dell’agricoltura. Bisogna dotare le Commissioni, che si sono costituite per il massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, dei fondi occorrenti perché esse, che avranno nelle mani la dimostrazione matematica, numerica, della esistenza di quote eccedenti la possibilità di assorbimento locale, provvedano, ove occorra, all’assorbimento in lavori pubblici, in lavori utili per l’agricoltura, in riattazione di strade, con la sistemazione dei nostri porti che sono ancora abbandonati e con la ricostruzione di molte nostre città meridionali che sono ancora distrutte; provvedano – dicevo – ad assorbire e a dare tempestivamente lavoro a chi lo chiede, perché chi chiede lavoro e pane ha diritto di avere l’uno e l’altro, come chi dice che non può sopportare un peso oltre certi limiti dice una cosa giustissima.

A questo punto mi si lasci il diritto di dire che quando noi, rappresentanti del Mezzogiorno, chiediamo quello che io ho chiesto per i braccianti e per gli agricoltori delle nostre zone, altro non domandiamo che un atto di giustizia che ci ponga sullo stesso piano dei nostri amici del settentrione di Italia. Per l’Alta Italia si è tempestivamente provveduto e si continua a provvedere; si continuano a sovvenzionare le industrie ed a tutelare gli operai, a distribuire miliardi, affinché le industrie non crollino, affinché gli operai non siano licenziati. Nel Mezzogiorno non si sono distribuiti miliardi a nessuno, e nessuno li ha cercati; perché nel Mezzogiorno abbiamo una coscienza del nostro dovere che è altissima, e un senso ed una predisposizione al sacrificio che sono del pari altissimi. Si tratta di una giustizia equitativa alla quale abbiamo diritto. (Commenti a sinistra).

Anche nei riguardi degli operai potrei dire che è ingiusto il trattamento fatto agli operai meridionali, perché, se un blocco dei licenziamenti vi è stato, è stato quello per gli operai del Nord, non per quelli del Sud. Ed oggi, mentre si apprestano i mezzi per sbloccare i licenziamenti e quindi per licenziare gli operai delle industrie settentrionali, si prepara un progetto che in definitiva riconoscerà maggiori diritti agli operai del Nord di quelli che spettano e spetteranno agli operai del Sud che siano licenziati.

Gli operai e gli industriali del Nord e gli agricoltori ed i lavoratori del Sud devono essere posti sullo stesso piano.

Mi riprometto di ritornare su questo argomento trasformando la mia interrogazione in interpellanza, perché di questo problema dobbiamo parlare ampiamente, e dobbiamo arrivare ad una conclusione concreta e sodisfacente per tutte le singole categorie della produzione e del lavoro. (Applausi al centro e a destra – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Non posso dichiararmi sodisfatto, perché l’onorevole Sottosegretario non ha fatto altro che richiamare la cronaca dei fatti di Gravina, senza risalire alle cause.

Anzitutto non bisogna passare sotto silenzio che l’episodio di Gravina non è stato il solo del genere, ma che nello spazio di due settimane è stato preceduto da quelli di Ginosa e di Putignano.

Quali sono le cause? Il Governo doveva saperle. Le organizzazioni operaie delle Puglie, fin dal 1944, hanno presentato ai Ministri competenti del tempo il piano necessario per la trasformazione agraria, onde fare fronte alla disoccupazione che inevitabilmente si sarebbe dovuta verificare, col cessare dei lavori che gli alleati davano a 35.000 braccianti. Se noi continuiamo a lavorare la terra come la si lavorava quaranta o cinquanta anni fa, si capisce che avremo sempre la disoccupazione, che aumenterà di giorno in giorno.

Dalle statistiche ufficiali si rileva che, a fine settembre, noi avevamo in Puglia centocinquantamila disoccupati. In provincia di Bari, coltivandosi la terra come la coltivava mio nonno, che era un agricoltore, si possono impiegare 16 milioni di giornate lavorative in un anno, che, divise per la popolazione agricola, significano 115 giornate per ogni lavoratore all’anno. Domando al Governo: può un bracciante agricolo vivere lavorando soltanto 115 giorni all’anno?

Si parla sempre di lavori pubblici, ma i lavori pubblici non possono risolvere la situazione: una strada, una volta fatta, non si può rifare. Per cui, d’accordo con l’organizzazione dei datori di lavoro, si stabili di impiegare in agricoltura un numero sufficiente di operai, per potere coltivare il terreno razionalmente, almeno in senso relativo. L’accordo stipulato fu consacrato in un decreto prefettizio, che non è stato rispettato. Ma chi non l’ha rispettato? Questo è il nocciolo della situazione; questo è il motivo per cui molte volte i nostri contadini sono costretti a ricorrere allo sciopero per far rispettare gli accordi già conchiusi e sanzionati con provvedimenti delle Autorità.

Ci sono grossi latifondisti, i quali, come diceva il professore Alemanni, si ricordano di essere proprietari di terreni solo il 15 agosto, quando vengono a riscuotere i canoni di affitto. Sono stati proprio questi a ricorrere al Consiglio di Stato contro il decreto prefettizio, facendo dichiarare incostituzionale il provvedimento.

PERRONE CAPANO. Il Governo ha riparato e ha riparato bene.

PASTORE RAFFAELE. Un pochino in ritardo ed in maniera inadeguata, in quanto al provvedimento legislativo sono state messe le pastoie. L’articolo 6 del decreto 16 settembre 1947 n. 929 stabilisce la nomina di una Commissione ministeriale che deve autorizzare i Prefetti ad emettere i decreti; ma quando si costituirà questa Commissione? È necessario che i contadini facciano lo sciopero generale per indurre il Prefetto a chiedere l’autorizzazione ad emetterli? Perché, in linea transitoria, non si concede ai Prefetti la facoltà di provvedere in merito?

MONTERISI. Occorre la riforma agraria.

PASTORE RAFFAELE. Di riforma agraria si parla soltanto in periodo elettorale; ma, poi, in effetti, si rimanda al nuovo Parlamento! Intanto i decreti già emessi sul collocamento della mano d’opera in agricoltura non vengono applicati in nessun paese della Puglia.

C’è un altro decreto; quello Segni per l’occupazione dei terreni incolti. L’onorevole Perrone Capano diceva che in provincia di Bari i terreni sono coltivati. Mi permetto di osservare: non in tutta la provincia. Noi abbiamo esempi, i quali dimostrano che il decreto Segni troverebbe applicazione nella provincia; però, per i suoi difetti, non è applicato, in quanto è imbrigliato dalla magistratura, la quale non fa altro che sabotare lo spirito della legge.

Per esempio: in data 26 giugno una cooperativa domandò l’assegnazione di terreni incolti. La discussione davanti alla Commissione è avvenuta in data 25 settembre, dopo tre mesi! Intanto, non ostante il tempo trascorso, non s’era nemmeno provveduto ad accertare lo stato di coltivazione dei terreni richiesti, e questo, evidentemente, per dar tempo ai proprietari di procedere a lavorazioni affrettate, per fare apparire il terreno come coltivato e far cadere, quindi, la domanda di concessione; ma, nonostante questo, l’ispettorato agrario, in seguito a sopraluoghi, ha dichiarato incolti ben 75 ettari di terreno.

In seguito al decreto prefettizio di occupazione, la cooperativa si recò a prendere possesso della quota assegnata; ma incontrò l’opposizione del proprietario, il quale, però, si dichiarò propenso a venire ad un accordo.

Sentite ora cosa scrive il legale del proprietario alla cooperativa:

«Vi comunichiamo la proposta di massima trasmessaci in questo momento dal nostro cliente signor Carlo Spagnoletti Zeuli…

«Vorrete tener presente la migliore delle ipotesi e sempre che le decisioni a voi favorevoli risultassero legali contro l’impugnativa del proprietario» (notate bene che il decreto prefettizio non è impugnabile, ma il proprietario terriero pugliese lo impugna ugualmente, detta le sue condizioni, se i contadini vogliono la terra, altrimenti non l’avranno). La lettera continua: «Vi converrà dunque confrontare attentamente i vantaggi offerti dalla enunciata soluzione amichevole, con quelli che un atteggiamento intransigente potrebbe offrirvi solo dopo inevitabile giudizio, cui la vostra intransigenza ci costringerebbe, con tutte le lungaggini, le spese e le incognite proprie di ogni vertenza giudiziaria». Questo scrive il legale del proprietario alla cooperativa! In conclusione dice: se volete i terreni, dovete accettare le condizioni offerte dal proprietario, altrimenti faremo causa, perché noi i denari li abbiamo ed andremo per le lunghe finché vi stancherete di spendere! Mi domando quale sia il mezzo che il lavoratore può opporre: egli non ha denaro e combatte il milionario terriero soltanto con la forza fisica, quella forza fisica che il lavoratore è costretto ad adoperare quando si è vista negata la giustizia! Altra volta i decreti prefettizi sono stati annullati dalla Magistratura in provincia di Bari, per cui c’è un’altra mia interrogazione al Ministro di grazia e giustizia.

E passiamo ai piani di trasformazione ed ai consorzi di bonifica.

In provincia di Bari abbiamo due consorzi di bonifica: quello del Locone e Basentello e quello della Silica. Finora per questi due comprensori sono state progettate opere per 850 milioni. I progetti di massima comportano una spesa a carico dello Stato per due miliardi e 457 milioni, mentre lo opere che dovrebbero essere a carico dei proprietari ammontano a sette miliardi: complessivamente dovremmo avere disponibili circa 10 miliardi, coi quali si potrebbe dar lavoro ad un’immensa massa di disoccupati e mettere a coltivazione una grande estensione di terreno.

Però i consorzi di bonifica, così come sono stati istituiti, sono nelle mani dei grossi agrari, che dispongono del voto plurimo, ed essi fanno soltanto eseguire i lavori che sono a carico dello Stato, rimandando l’esecuzione di quelli che sono a loro carico. Si dice che mancano i piani; ma non è vero. Io ho rivolto un’altra interrogazione al Ministro dell’agricoltura, che mi ha risposto che si sta studiando! In provincia di Foggia, ad esempio, c’è un piano già reso esecutivo, compilato dal professor Carrante, attuale direttore per la produzione agricola al Ministero di agricoltura, e dal professor Medici, che non sono certamente dei sovversivi. Perché non si fa eseguire questo piano? Quanti operai potrebbero lavorare, se venisse attuato quel piano? Ma questo non si fa.

Ebbene, venite a vedere, o signori, come dormono i contadini delle nostre aziende pugliesi. Essi non hanno dormitori, e se non si portano un sacco da casa, dormono sulla paglia nuda, coprendosi col mantello, se lo posseggono! Questi sono i problemi meridionali, i quali allontanano il contadino dalla terra.

Ultimamente e ad iniziativa del Consorzio agrario di Bari, abbiamo introdotto nella provincia la coltivazione del tabacco; ma anche in questo non abbiamo trovato comprensione da parte del Governo.

Le domande di concessione avanzate non sono state accolte dalla Direzione dei monopoli, adducendosi il motivo che l’attuale produzione supera il consumo interno. Anche se fosse così, nella provincia si potrebbe coltivare tabacco per l’esportazione. Il direttore dei monopoli della Turchia, che ha visitato il nostro tabacco alla Fiera del Levante, ha dichiarato che gli era venuto il sospetto che quello non fosse tabacco nazionale, ma tabacco d’importazione, date le sue pregiate qualità. Ora, se le qualità che si possono produrre sono talmente pregiate da potersi esportare, perché non autorizzarne la produzione? Si parla tanto di necessità di esportazione che è la valvola di sicurezza per la nostra economia e poi si arresta la produzione del prodotto esportabile!

Con decreto del luglio 1946, n. 31, vengono concessi sussidi per i miglioramenti agrari. Pare che quest’anno il Governo non abbia stanziato nessuna somma per detti miglioramenti; ed i sussidi assegnati l’anno scorso sono stati erogati col contagocce. I contadini devono prima fare i lavori e poi, dopo sei, sette mesi, avere il danaro!

Noi richiamiamo l’attenzione del Governo sul problema della provincia di Bari.

Anche l’Ente della irrigazione, diceva bene l’onorevole Perrone Capano, è stato fatto sulla carta. Quando s’iniziano i lavori per l’irrigazione? Il decreto stesso è anche monco, perché parla di trasformazioni agrarie solo nelle zone da irrigare, mentre ci sono anche 100.000 ettari di terreno nella provincia di Bari – la Murgia – che bisogna trasformare, perché sono incolti e tenuti a pascolo povero.

È necessario che il decreto venga rivisto, se vogliamo effettivamente provvedere ai bisogni di quei lavoratori. Io mi auguro che il Governo voglia prenderli a cuore.

Nell’ultima ripartizione di fondi, la provincia di Bari è stata trattata peggio delle altre. Con 1 milione e 100.000 abitanti e con la densità di popolazione agricola di 200 abitanti per chilometro quadrato, ha ottenuto molto meno delle altre provincie. Ai deputati della provincia, senza distinzione di colore politico, l’altro giorno l’onorevole Tupini ha promesso che avrebbe riparato l’errore in una prossima ripartizione. Noi ci auguriamo che provveda, e subito. Oggi una parte dei lavoratori è occupata nella raccolta delle olive; ma ben presto questo lavoro avrà termine ed allora il numero dei disoccupati salirà. Che diremo a questa massa che non domanda agi, ma solo lavoro per vivere? Le organizzazioni operaie non avranno la possibilità di evitare incidenti. Allora il Governo sarà costretto ad intervenire. Non sarebbe meglio prevenire i tumulti?

Mi auguro che esso voglia tener presente queste nostre osservazioni e provvedere. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Trulli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TRULLI. Siamo in sede di interrogazione, e a noi non rimane che dichiararci più o meno sodisfatti. È come se volessimo richiudere la prima parte di un libro, che si riaprirà poi; anzi, onorevole Sottosegretario di Stato, ho il dispiacere di dirle che non è improbabile che lei dovrà forse occuparsi ancora di questa dolorosa vicenda: come una metastasi la situazione si è spostata e si sposterà. La mia interrogazione porta una indicazione precisa a questo riguardo: ad Altamura già vi sono i primi segni premonitori di un nuovo sciopero; e voglio raccomandare ai rappresentanti dell’autorità tutoria di esercitare principalmente la loro mansione sotto il profilo spirituale. L’onorevole Pastore sa che io non parlo a nome dei proprietari e degli agricoltori; egli sa che io sono soltanto un lavoratore. I proprietari, gli agricoltori – questa è la situazione – vorrebbero arrivare ad una soluzione; ma appena essi muovono qualche rilievo, fanno qualche critica alle richieste dei lavoratori, questi ultimi (e mi assumo la responsabilità di quello che affermo in questo momento) rispondono preannunciando il ripetersi dei fatti di Gravina. Questa è la dura, l’amara realtà, onorevole Sottosegretario di Stato.

Sono d’accordo perfettamente con l’onorevole Perrone Capano. I problemi locali sono in quelle zone gravissimi, e bisogna discuterli sotto il profilo tecnico, così come hanno fatto sia l’onorevole Perrone Capano che l’onorevole Pastore; bisogna allora trasformare queste interrogazioni in interpellanze.

Devo concludere con la raccomandazione al Governo di occuparsi una buona volta dei problemi del Mezzogiorno, che attendono ancora e sempre di essere risolti. Non voglio parlare di sperequazione, fra Nord e Sud, perché questo argomento è doloroso per tutti noi italiani; ma faccio un appello vivissimo, un appello che parte dal cuore di un figlio di lavoratori, affinché il Governo si occupi del Mezzogiorno, che rimane l’eterno trascurato. Signori del Governo, vi dovete render conto di questa verità: che nel bilancio dei milioni che affluiscono dalle Casse dello Stato al Nord e al Sud vi è sempre una passività a danno dell’Italia meridionale.

E una raccomandazione vorrei fare al collega Pastore. Grave è la nostra situazione. Vi è una esuberanza di manodopera; vi è una relativa indifferenza da parte del Governo. Ma, per carità, in nome del nostro sventurato Paese, a questa povera gente che ha fame, che ha veramente fame, portiamo la nostra voce di pacificazione. Non eccitiamo le folle, onorevole Pastore, non le eccitiamo, mettiamoci nella condizione che la popolazione non reagisca, assalendo la forza pubblica che interviene, come è intervenuta a Gravina, per mettere pace e per evitare che il sangue italiano sia per mano fraterna fatto scorrere sulle nostre piazze. Portiamo una buona volta a quelle popolazioni una nostra parola di pacificazione: faremo con ciò opera veramente meritoria nei confronti dei nostri buoni, generosi lavoratori, che hanno bisogno di essere assistiti, ma che alle invocazioni alla concordia sono sempre state sensibili.

Rinnovo al Governo la raccomandazione di preoccuparsi e di occuparsi delle condizioni delle popolazioni del Mezzogiorno, specialmente alla vigilia dell’inverno. E da noi, onorevole Sottosegretario, l’inverno è duro; e lo sarà specialmente quest’anno.

Si preoccupi il Governo, provveda ed avrà fatto opera meritoria, veramente fattiva, nei confronti del Mezzogiorno. (Applausi).

PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni sono rinviate a domanda dei Ministri interessati:

Caso, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere come intenda sistemare giuridicamente la posizione di alcuni insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro, i quali, non essendo di ruolo, non godono dei benefici di legge pur prestando a volte per decenni il loro incondizionato servizio allo Stato; e se non ritenga opera di giustizia promuovere un decreto legislativo che parifichi agli altri funzionari statali il trattamento da farsi doverosamente agli insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro»;

Martino Gaetano, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni che hanno indotto l’Alto Commissario per l’alimentazione a rifornire l’Italia meridionale, ed in particolare la città di Messina, di pasta alimentare (fabbricata nei pastifici dell’Italia settentrionale) piuttosto che di grano, arrecando così un grave danno alle maestranze ed alle industrie locali».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro del tesoro, per conoscere se, dinanzi all’attuale situazione del mercato dei titoli, evidentemente pregiudizievole all’economia nazionale, non gli risulti che esista una larga speculazione al ribasso, di cui potrebbe essere indice l’entità delle vendite allo scoperto; e se, nel caso affermativo, non creda opportuno adottare urgenti provvedimenti, ivi compreso quello di rendere obbligatoria l’effettiva consegna dei titoli da parte del venditore al momento stesso della vendita.

«Marinaro».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga necessario ed urgente di procedere, oltreché al nuovo censimento demografico (l’ultimo si ebbe 11 anni fa), ad un censimento industriale e commerciale, o almeno ad un’estesa inchiesta industriale che consenta una conoscenza esatta delle attuali condizioni e dell’attuale struttura della attrezzatura produttiva del Paese, dell’occupazione, delle esigenze di rammodernamento degli impianti, dell’ampiezza della riconversione effettuata o da effettuarsi.

«Tremelloni».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se si è già fatto, o s’intende fare, con la sollecitudine che le condizioni attuali richiedono, un approfondito esame delle possibilità di occupazione e di migrazione, riassunto in un organico «bilancio umano», odierno e prospettico, che consenta di evitare forti e improvvise sproporzioni tra le risorse lavorative disponibili e quelle occupate; e per sapere a che punto sono gli studi per un piano organico di rieducazione e di qualificazione professionale, cui più volte si è accennato nei dibattiti parlamentari.

«Tremelloni».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva di far sapere quando intenda rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga giusto ed opportuno, previa, occorrendo, abrogazione della legge 24 giugno 1929, n. 1112, che dava facoltà ai Comuni e alle Provincie di dispensare dal servizio il personale di ruolo per qualsiasi motivo di inidoneità, senza obbligo della preventiva comunicazione agli interessati dei motivi e delle cause della dispensa e colla sola indicazione, anche generica, della causa della dispensa nel relativo provvedimento, concedere ai funzionari dispensati in base a tale legge, di riaprire il giudizio colla garanzia della procedura ordinaria (contestazione dell’addebito, commissione di disciplina, ricorso, ecc.), affinché sia consentita una riparazione anche a quei dispensati senza giusto motivo che, non potendo dimostrare di essere stati dispensati esclusivamente per motivi politici, non possono valersi del disposto del decreto 6 gennaio 1944, n. 9.

«Grilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno portato alla destituzione dell’avvocato Gerardo Marchese da segretario del Comitato provinciale U.N.R.R.A. di Potenza.

«Mancini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga conveniente ed utile provvedere con legge alla revoca di tutti i titoli nobiliari conferiti durante il regime fascista e, nella assoluta maggioranza, per benemerenze di carattere esclusivamente politico.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere per quali ragioni le promesse fatte, con la risposta data il 19 giugno 1947 dal Ministro all’interrogante, non siano state in nessun modo mantenute; tanto che sulla linea Roma-Cassino le condizioni di viaggio, sia per lo stato delle vetture, sia per i continui ritardi di orario, sono – specialmente di fronte all’approssimarsi dell’inverno – addirittura intollerabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se la Ragioneria generale dello Stato, come organo esecutivo, abbia la facoltà di trasformare con norme interne le disposizioni legislative, come è avvenuto con la circolare 21 marzo 1947, n. 117491, la quale nega il compenso per lavoro straordinario ai funzionari dello Stato che sono in missione, adducendo che essi non hanno limitazione di orario per l’incarico ricevuto e che l’indennità di missione rimunera globalmente tutte le prestazioni inerenti all’incarico, mentre l’articolo 5 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 19, precisa con quali assegni non è cumulabile il compenso per lavoro straordinario.

«L’indennità di missione non è compresa tra gli assegni non cumulabili, ed è perciò che nel caso citato, è stata violata la legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti siano allo studio del Governo onde assicurare a coloro che sono privi della vista – i quali si dibattono molto spesso nella più grave indigenza – un lavoro od una assistenza di carattere continuativo, e ciò anche in esecuzione dei principî di solidarietà umana che sono consacrati nella nuova Costituzione. E per conoscere, inoltre, quali provvedimenti siano allo studio per riattivare l’Ente nazionale lavoro per i ciechi di Firenze. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvidenze il Governo intenda attuare nei confronti dei beni dei nostri emigrati in Brasile, posti sotto sequestro. Sono note infatti le favorevoli disposizioni d’animo di buona parte dell’opinione pubblica brasiliana a questo riguardo e la necessità che il Brasile ha di favorire la corrente immigratoria italiana, che tanto incremento ha fornito allo sviluppo, in ispecie agricolo, del paese e che di certo non potrebbe mai svilupparsi nel clima di sfiducia creato dal suddetto provvedimento; ma non si conosce se e che cosa il Governo italiano abbia fatto al fine di una favorevole soluzione del problema che pure riveste notevole importanza nel quadro delle relazioni fra i due paesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno che il Ministero chiarisca l’interpretazione da dare all’articolo 50 della legge 1° settembre 1947, n. 828, istitutiva della imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Infatti, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70, istitutivo degli ultimi buoni del tesoro 5 per cento scadenti il 1° aprile 1950, stabiliva all’articolo 3, comma terzo, che detti buoni saranno accettati come contante in base al prezzo di emissione più interessi maturati in pagamento di una eventuale futura imposta personale straordinaria sul patrimonio, nell’attuale legge nessun cenno è fatto dei buoni del tesoro poliennali, creando lunghe ed incresciose discussioni con l’Amministrazione finanziaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se e quando intendono intervenire in favore del comune di Battipaglia (Salerno), il quale vede frustrata ogni iniziativa di ricostruzione del centro abitato dall’abbandono in cui versa un quartiere completamente demolito nel 1943, dove sorgevano le case di proprietà demaniale, di cui ora rimangono le aree ricoperte di detriti e sporcizie. Le proposte avanzate dall’Amministrazione comunale per ottenere la cessione dei ruderi si arenarono per intralci burocratici, e il Genio civile non ha preso alcuna utile iniziativa. Si impone da parte del Governo un intervento tempestivo ed energico per motivi di igiene, di estetica ma soprattutto per dare a centinaia di famiglie che vivono in condizioni di indescrivibile e incredibile disagio un alloggio decoroso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere se, dinanzi alla persistente, allarmante deviazione degli spiriti – fatta evidente dal succedersi di attentati alla vita dei singoli ed alla sicurezza collettiva e da sintomatiche manifestazioni di intolleranza, precorritrici di guerra civile – non ritenga di dover sottoporre all’esame dell’Assemblea Costituente provvedimenti di emergenza comprensivi della pena di morte, che – applicata con procedura rapida – ove le responsabilità siano palesi o confesse, sarà atto di giustizia esemplare, capace di contenere lo scatenarsi degli istinti primordiali, che minacciano la stessa convivenza civile.

«Altre speciali provvidenze, suggerite dalle supreme esigenze di ricostruzione della vita associata, dovrebbero tendere alla totale pacificazione interna – alla bonifica ed alla tutela dell’infanzia abbandonata – alla difesa del costume e ad assicurare la già invocata integrale oculata e vigile applicazione della legge sulla stampa, per la estrema difesa della società nazionale, insidiata nei superstiti valori morali.

«Di Fausto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Anche l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Governo non vi si apponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24). – Relatore De Palma.

Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’organizzazione del Lavoro. (25). – Relatore Villani.

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29). – Relatore Piemonte.

Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33). – Relatore Bozzi.

Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9). – Relatore Colitto.

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21). – Relatore Cevolotto.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 25 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIII.

SEDUTA DI SABATO 25 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Corbino

Condorelli

Clerici

Di Vittorio

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Moro

Tosato

Romano

Bozzi

Laconi

Presentazione di una relazione:

Cevolotto

Presidente

Sull’ordine del giorno:

Scoccimarro

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa e Schiavetti.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Iniziamo l’esame dell’articolo 92. Se che dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio economico nazionale, composto nei modi stabiliti dalla legge, è organo di consulenza del Parlamenti e del Governo in materia economica; ed esercita le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti; L’onorevole Nitti ha proposto di sopprimerlo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Anche l’onorevole Corbino ha proposto di sopprimere l’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CORBINO. Il problema del quale si tratta ha una importanza rilevante dal punto di vista dell’assetto amministrativo e tecnico-economico del Paese; ma non credo che, malgrado tale importanza rilevante, esso debba trovare una enunciazione esplicita nella Carta costituzionale. Noi abbiamo in Italia una lunga, magnifica tradizione in materia di organi consultivi.

Basta ricordare il Consiglio superiore dell’industria, il Consiglio superiore del commercio, il Consiglio superiore dell’agricoltura, la Commissione consultiva per la pesca, la Commissione permanente per l’industria della seta, il Consiglio superiore del lavoro con gli uffici del lavoro, che allora avevano carattere completamente diverso da quello che hanno oggi; in quanto che erano veramente e semplicemente organi consultivi, per tutto ciò che concerne la legislazione sociale. Quindi, anche senza esplicito riferimento costituzionale, abbiamo sempre avuto organi consultivi necessari e sufficienti per dare al Governo e al Parlamento i mezzi di studio dei problemi economici più gravi del Paese. Tanto meno poi appare la necessità di creare attraverso la Carta costituzionale un organo speciale a questo scopo, quando si tenga presente che abbiamo dato ad ogni Camera un potere d’inchiesta, che non ha neanche il limite nel consenso dell’altra Camera; di modo che il Parlamento può, o attraverso organi permanenti, o attraverso organi transitori predisporre tutte le indagini di cui esso senta la necessità per lo studio continuo dei problemi economici.

Ecco perché io penso che non convenga assolutamente cristallizzare, con una formula che potrebbe rispondere alla necessità di oggi, ma potrebbe non rispondere alle necessità future, la strutturarle competenze, gli attributi di un organo consultivo di questa natura. In subordinata alla proposta di soppressione, io presento una proposta di rinvio, nel senso di coordinare la proposta della Commissione relativa alla creazione del Consiglio economico nazionale, alla proposta di articolo aggiuntivo che porta la firma degli onorevoli Di Vittorio, Bitossi, Bibolotti.

Evidentemente, l’emendamento ora presentato dall’onorevole Clerici vuol essere forse un primo tentativo di coordinare la proposta Di Vittorio con quella dalla Commissione. Per l’estrema complessità della materia converrebbe dar tempo alla Commissione per studiare fino a qual limite possa giungere l’iniziativa legislativa,, della quale parla l’onorevole Clerici – collegandosi probabilmente con la richiesta di riconoscimento del diritto di contribuire direttamente all’elaborazione di una legislazione sociale, di cui all’articolo proposto dal collega Di Vittorio – e per decidere se accogliere l’idea di inserire nel Consiglio economico nazionale un Consiglio economico del lavoro. Comunque, se le mie proposte di soppressione o di rinvio non dovessero essere accettate, in sede di discussione del testo della Commissione o dell’emendamento dell’onorevole Clerici, vedremo come trovare un accordo tra le varie correnti.

PRESIDENTE. Lei fa una questione formale ed immediata di questa sua proposta di rinvio?

CORBINO. Non è una questione immediata. È una delle proposte che potremo poi prendere in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Consiglio economico nazionale, composto nei modi stabiliti dalla legge, è organo di consulenza del Parlamento e del Governo in materia economica.

«In tale materia può esercitare l’iniziativa prevista dall’articolo 68.

«Esso esercita anche tutte le funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

«Aggiungere il seguente comma:

«In ogni Regione è costituito un Consiglio economico regionale, composto nei modi stabiliti dalla legge.

«Il Consiglio economico regionale è organo di consulenza dei pubblici poteri nelle materie interessanti l’economia regionale, ed esercita tutte le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L’onorevole Bertone ha proposto di sopprimere l’articolo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere l’emendamento.

Gli onorevoli Quintieri Quinto, Condorelli, Lucifero e Fabbri hanno presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Il Consiglio economico nazionale, aggiungere: degli esperti».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. È per rendere più ampia la possibilità di scelta, perché ci sono dei tecnici che forse non si potrebbero considerare dei tecnici economici (per esempio gli ingegneri e gli agronomi), per rendere perciò più ampia la scelta anche tra queste persone è per aderire ad una richiesta, che è venuta dall’ordine degli ingegneri che è stato presentato il nostro emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Consiglio economico e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge da tecnici e da rappresentanti delle categorie produttive, è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite; ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione sociale, secondo i principi od entro i limiti stabiliti dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi! Il mio emendamento non ha bisogno di molti chiarimenti, anche perché, come con la solita acutezza ha osservato or ora l’onorevole Corbino, esso tende a conglobare tutto quanto vi è di vitale e di nuovo nell’articolo aggiuntivo presentato dagli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti.

Ma io credo, onorevole Corbino, che, come il secolo scorso si è aperto con la istituzione da parte di Napoleone della Corte dei conti e del Consiglio di Stato – che non erano novità in modo assoluto, ma furono relativamente una novità rispetto alle istituzioni del passato – così a metà di questo secolo, che è per eccellenza e dovrà essere sempre più il secolo del lavoro, sia opportuno che, sia pure in termini generici, adatti e conformi ai lineamenti severi della Costituzione, sia anche stabilito il «Consiglio economico e del lavoro», che acquista un’importanza ben diversa e maggiore, ed in ciò sta la novità, da quelli che erano i vari Consigli consultivi in epoca prefascista e da quelli stessi che rimarranno più limitati e specifici, presso i vari Ministeri.

lo ho proposto la terminologia «Consiglio economico e del lavoro», per dire con un termine vasto e comprensivo che questo Consiglio potrà, com’è evidente – come è già avvenuto con l’esperimento fatto qualche settimana fa a Roma – e sta per rinnovarsi a Milano – suddividersi in tante sezioni e in tanti uffici, quanti man mano lo svolgimento del tempo e delle circostanze suggeriranno e richiederanno.

Ritengo che il termine «Consiglio economico e del lavoro» dia pienamente soddisfazione a quelle, per me legittime e sacrosante aspirazioni, di cui si sono resi interpreti gli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti nel loro articolo aggiuntivo non ancora da essi illustrato.

Ed ecco il mio emendamento. Non è pubblicato, quindi mi permetto di leggerlo: «Il Consiglio economico e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge» (quindi vi è tutta la possibilità dell’evoluzione in sede amministrativa e legislativa secondo i suggerimenti e le esperienze) «da tecnici» (per parte mia nessuna difficoltà a dire esperti in luogo di tecnici; anzi trovo che l’osservazione dell’onorevole Condorelli merita accoglimento e si può sostituire alla parola tecnici quella di esperti che è più larga) «e da rappresentanti delle categorie produttive» (questo è il nocciolo della proposta degli onorevoli sindacalisti Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti) «è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite» (anche qui il solito concetto di adeguare man mano la legislazione alle necessità, emergenze ed opportunità future) «ha l’iniziativa legislativa» (cosa che mi sembra non dover stupire perché all’articolo 68 abbiamo riconosciuto ampiamente questa iniziativa legislativa ad organi ed enti) «e può contribuire alla elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro limiti stabiliti dalla legge». (Anche qui vi è la parte sostanziale della proposta degli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti).

È un articolo, quindi, questo da me proposto che, a mio avviso, dovrebbe essere votato ed avrebbe ragione di avere collocazione nella nostra Costituzione, così come gli altri che indicano le diverse istituzioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Tale Consiglio economico e del lavoro sarà adunque, un organo nuovo, che si svolgerà nel tempo. La Costituzione deve però preannunciarlo ed in certo modo prefigurarlo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Ai sindacati è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori e di controllarne l’applicazione mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro elettivo, nel quale saranno rappresentati il Governo e le categorie produttrici in misura che tenga conto della loro efficienza numerica».

L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di svolgerlo.

DI VITTORIO. Constato con soddisfazione che l’emendamento proposto dall’onorevole Clerici si approssima moltissimo nella sostanza a quello da me proposto.

Vorrei domandare all’onorevole Clerici se non sia possibile fare lievi modifiche al suo emendamento. La prima modifica che propongo è questa: nella dizione dell’onorevole Clerici si dice «Consiglio economico e del lavoro»; io sopprimerei «e» e direi «Consiglio economico del lavoro», in modo che sia possibile comprendere le due idee senza subordinazione dell’una all’altra.

L’altra modifica che propongo è più sostanziale, ed è quella di aggiungere, quando si accenna alla composizione di questo Consiglio, un accenno alla misura della rappresentanza delle categorie produttrici. La frase che vorrei aggiungere è la seguente:

«In misura che tenga conto della loro importanza numerica».

Le categorie produttrici, che possono a giusto titolo essere chiamate a far parte di questo Consiglio economico del lavoro sono numerose, e non tutte hanno la stessa importanza, né dal punto di vista numerico, né da quello produttivo. Allora, è giusto che questa rappresentanza si ispiri, almeno in misura largamente approssimativa, al concetto di una rappresentanza proporzionale in base alla importanza effettiva che ha nel processo produttivo dell’economia del Paese ciascuna categoria.

Ma io non voglio tacere la preoccupazione fondamentale che ho e che è la seguente: era invalso, specialmente in Italia, il costume di considerare (specialmente nel regime corporativo fascista) tutte le categorie di lavoratori e datori di lavoro in condizioni di assoluta eguaglianza, anche nei casi in cui la categoria dei lavoratori, per esempio, rappresenti interessi vitali di un milione di persone, quella dei datori di lavoro rappresenti interessi, altrettanto legittimi, ma di cento persone.

Io comprendo che vi è anche una differenza nella natura di questa rappresentanza, ma io penso che in un regime democratico, il numero delle persone che bisogna considerare, deve avere una importanza ed un riconoscimento perché, se anche una piccola categoria di cittadini ha una importanza particolare in rapporto al capitale che può rappresentare, è anche vero che, se un’altra categoria è tanto vasta da rappresentare una parte imponente della Nazione, abbia un’importanza proporzionata al suo numero.

Perciò io proporrei questo emendamento, e, poiché credo che non sia in contrasto con i principî sociali della parte a cui appartiene l’onorevole Clerici, credo che possa essere accettato anche da lui, almeno questo è l’augurio che io mi faccio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini per esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea ricorda che nel progetto della Commissione era, all’articolo 92, contemplata l’istituzione di un Consiglio economico, come organo di consulenza del Parlamento e del Governo in materia economica, con le attribuzioni che la legge avrebbe stabilito. Quando arrivammo al Titolo dei «rapporti economici» nella prima parte della Costituzione, l’onorevole Di Vittorio ed altri colleghi proposero un articolo che riguardava i sindacati, riguardava il mondo del lavoro, e stabiliva che i sindacati avrebbero avuto il diritto di partecipare alla elaborazione della legislazione sociale nei modi che sarebbero stati regolati dalla legge. L’Assemblea accolse il concetto dell’articolo proposto e rinviò, per un coordinamento, la definizione di questa materia a quando si sarebbe trattato del Consiglio economico. Il momento è venuto.

Temevo che non potesse realizzarsi per oggi un pieno accordo. Ma pei contatti presi, comunicando a vari colleghi una bozza di testo, credo di esservi riuscito. La proposta dell’onorevole Clerici corrisponde, quasi in tutto, alle aspirazioni dell’onorevole Di Vittorio.

Si parte anzitutto dal concetto che non vi debbano essere due organi e due Consigli nazionali separati: quello economico e l’altro del lavoro. È indispensabile un coordinamento di tutta la vita economica e di tutte le questioni del lavoro. Vi potranno essere due sezioni, più sezioni; ma il Consiglio deve essere uno.

Quanto al nome, io personalmente non avrei alcuna difficoltà a chiamarlo «Consiglio economico del lavoro»; perché ciò corrisponde alle mie vedute sopra l’economia del lavoro, che ormai sostituisce quella del capitalismo storico. L’espressione «Consiglio economico del lavoro» corrisponderebbe poi, e riprenderebbe i motivi fondamentali di repubblica fondata sul lavoro, che aprono, come le prime note di una sinfonia, la nostra Costituzione. Ma io non farò mai battaglia per un nome; sono così poco nominalista io! Ciò che importa è la realtà e la concretezza.

L’onorevole Clerici propone di aggiungere un «e»; «Consiglio economico e del lavoro». Non faremo la battaglia dell’«e». L’onorevole Clerici può aver le sue ragioni; temendo che col mettere soltanto «del lavoro» sembrino esclusi i problemi del commercio, dell’industria e di altri settori; (il che per verità non è, dato il modo in cui va compresa la formulazione: «economia del lavoro»). A dirimere ogni dubbio si potrebbe adottare l’espressione: «Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro». Scegliete pure. Se volete, ve ne troverò degli altri. Per non decidere in fretta, potreste lasciare la scelta del nome al momento finale di revisione e di coordinamento del testo della Costituzione.

Un’altra differenza fra l’onorevole Clerici e l’onorevole Di Vittorio c’è; in quanto l’onorevole Di Vittorio ammette bensì che facciano parte del Consiglio anche periti o esperti (si potrebbe accettare quest’ultima espressione «esperti» di un altro emendamento), ma domanda che nel testo dell’articolo si indichi che per le rappresentanze delle categorie produttive si tenga conto della consistenza numerica. Il criterio di distinguere fra categoria e categoria di lavoratori, e fra categoria e categoria di imprenditori, è evidentemente, giusto; ma dà luogo a controversie e dubbi rilevanti, se si vuol trasportare alla proporzione reciproca, ramo per ramo, di lavoratori e di imprenditori; una grossa azienda in società anonima non può contare per uno ed i suoi operai per centomila. Quando si discusse la formazione del Senato, i democristiani, sostenendo la rappresentanza organica, misero avanti il criterio quantitativo del numero, ma aggiunsero l’altro della qualità. Non è detto che non si potrebbe raggiungere un accordo, combinando i due criteri; ma la formula che si otterrebbe sarebbe estremamente generica; e l’ascerebbe l’adito ad incertezze ed a dubbi; potrebbe spaventare e potrebbe essere innocua. Ciò che importa è di vedere le soluzioni concrete, le proporzioni effettive di rappresentanze; e sarebbe meglio non dir nulla nella Costituzione, e rimandare la questione alla legge istitutiva del Consiglio nazionale.

Ciò che importa è che oggi decidiamo, e mettiamo nella Costituzione, il principio del Consiglio economico del lavoro, che esiste in tanti altri paesi, e che sarà sinteticamente espresso, nell’articolo che adotteremo, in modo da poterlo configurare con un tipo nostro ed italiano. Si realizzerà così una delle tenaci aspirazioni, che ho manifestato nei miei libri e nella mia attività, dal 1906 in poi.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Vorrei domandare all’onorevole Clerici se accoglie il mio emendamento nel suo.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha facoltà di rispondere alla richiesta dell’onorevole Di Vittorio.

CLERICI. Aderisco al punto di vista dell’onorevole Ruini particolarmente per quanto riguarda il secondo degli emendamenti che l’onorevole Di Vittorio ha avuto l’amabilità di propormi. Ritengo poi che debba essere lasciato alla legge, che sicuramente andrà evolvendosi secondo le necessità sociali che si svolgeranno in futuro, lo stabilire la proporzione delle diverse categorie e classi rappresentate.

Per la verità, onorevole Di Vittorio, non ho ben capito il concetto da lei sostenuto circa la diversa misura ed il diverso valore delle rappresentanze. Lei intende riferirsi da una parte ai datori di lavoro e dall’altra ai datori di opera, oppure intende il diverso peso sociale ed economico delle diverse categorie produttrici, per esempio i metallurgici di fronte ai fabbricanti di guanti, oppure intende altri concetti?

DI VITTORIO. L’uno e l’altro.

CLERICI. Ma, in realtà, onorevole Di Vittorio, occorre, per non sopravalutare codesta sua preoccupazione, tener presente che siamo davanti ad un organo per ora soltanto consultivo. Io ho viva fede in un parlamento futuro – scusatemi il termine – corporativo (corporativo nel senso buono, sano e democratico della parola); ho perciò molta fiducia che l’organo che noi stiamo per istituire darà larghi frutti in prosieguo di tempo. Ora però non dobbiamo dimenticarci che è un organo consultivo, e in un organo consultivo non ha tanto valore il numero dei rappresentanti quanto il fatto che il numero sia rappresentato. Ciascun rappresentante varrà per quello che esso rappresenta e socialmente e politicamente. I diversi valori di tutte queste rappresentanze saranno secondo il merito valutati e dal Governo e dal Parlamento. Io vorrei quindi pregare l’onorevole Di Vittorio di rimettere tutto questo alla futura legge, la quale presenta maggiori possibilità di modificazioni, e cioè di evoluzione e di progresso.

Quanto poi al primo punto, io riterrei essenziale – e in ciò dissento alquanto anche da ciò che ha detto, con ispirito conciliativo superiore, l’onorevole Presidente Ruini – la particella «e»; essa ha importanza, giacché noi non costituiamo soltanto un consiglio economico del lavoro. Infatti il lavoro, pur avendo, come è indubbio, grandissima importanza nel mondo nostro, e pertanto meritando giusto riconoscimento secondo lo stesso spirito che ci ha animato, come ha poc’anzi ricordato l’onorevole Ruini, nella redazione dei primi articoli della Costituzione, il lavoro dicevo, non è tutto, non può essere tutto: l’economia è più vasta; essa è una direttiva, il lavoro attuazione, indubbiamente una delle principali attuazioni; ma esso non può annullare – e non lo potrebbe neppure in un regime comunista – gli altri settori, le altre categorie della economia. Vi sarà infatti un settore della produzione, uno della circolazione, uno del credito, uno per l’emigrazione, ed altri, ciascuno con singole necessità e problemi, ai quali bisognerà provvedere.

Resto quindi fermo nella mia proposta di denominare tale organo «consiglio dell’economia e del lavoro» o di usare altro termine che esprima i concetti che or ora ho avuto l’onore di esporre.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Aderisco alla formulazione suggerita dall’onorevole Ruini. Per quanto riguarda poi l’altra mia proposta non avrei difficoltà a rinviarla alla legge. Osservo però che non si tratta di una questione di secondaria importanza.

CLERICI. È una questione importantissima.

DI VITTORIO. È una questione di principio, che io vorrei tosse affermata nella Costituzione, la quale ha appunto il compito di fissare determinati principi ai quali si dovrebbe ispirare il nuovo Parlamento, ai quali si dovrebbe ispirare la legislazione della Repubblica italiana.

Ora, io vorrei affermare il principio che non è vero che in tutti gli organismi dello Stato in cui si tratti di interessi di varie categorie di cittadini e di produttori, gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro siano eguali, anche se gli uni sono un milione e gli altri sono, poniamo, dieci o cento. Non è vero questo: non è vero perché, intanto, gli interessi di un milione di persone sono interessi di carattere collettivo, di carattere sociale, mentre quelli di dieci o di cento persone possono anche essere interessi egoistici, anche se legittimi, e, in taluni casi, anche di carattere antisociale, cioè contrastanti con gli interessi generali della società.

Non è giusto quindi porli, in una Costituzione democratica, sullo stesso piano di uguaglianza. Perciò l’affermazione di questo principio potrebbe servire a dare un indirizzo più democratico alla nostra futura legislazione e ad estendere questo criterio anche alle altre categorie, che non siano quelle contrapposte dei lavoratori e dei datori di lavoro, come, ad esempio, quella cui alludeva l’onorevole Clerici. C’è infatti una differenza fra, poniamo, la categoria dei guantai e quella dei metallurgici. Io non vorrei dilungarmi poi a discutere l’osservazione, che, se ben ricordo, in una riunione della Commissione dei Settantacinque, aveva fatto l’onorevole Moro, il quale esprimeva la preoccupazione che nella mia enunciazione il numero potesse essere con rapporto alla qualità. Se fosse così, aggiungerei anche: «tenendo conto dell’importanza numerica e qualitativa», appunto per chiarire che, non intendo contrapporre il numero alla qualità, non intendo soffocare la qualità per il numero.

Del resto, la formula che ho suggerito è molto larga, molto tenue: si dice: «in misura che tenga conto»; quindi non si tratta di fissare un principio rigido, una proporzionale pura, assoluta, ma affermare nella maniera più tenue possibile il principio che non è vero che gli interessi di dieci persone equivalgono agli interessi di un milione o anche di dieci milioni di persone nella società democratica italiana.

È per queste ragioni che io insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Di Vittorio, del suo testo di articolo aggiuntivo, che si riconnette a questo articolo 92, lei conserverebbe l’ultima frase: «in misura che tenga conto della loro efficienza numerica».

DI VITTORIO. Sì, onorevole Presidente, ma vorrei aggiungere, per il motivo che ho già spiegato, «e qualitativa»; appunto per dissipare la preoccupazione che è affiorata.

RUINI, Presidente della Commissione per a Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che i due presentatori degli emendamenti sarebbero d’accordo nell’accettare il nuovo titolo: Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, onorevoli colleghi, il testo presentato dall’onorevole Clerici, che la Commissione ha accolto come base della votazione.

Al testo dell’onorevole Clerici la Commissione ha dichiarato di includere la proposta dell’onorevole Condorelli, sostituendo, cioè, alla parola «tecnici», la parola «esperti»; e l’onorevole Clerici ha accettato questa modificazione.

Vi è poi la modificazione proposta dal Presidente della Commissione, di sostituire il termine «Consiglio economico e del lavoro» con quello di «Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro», accogliendo, così, anche una delle proposte dell’onorevole Di Vittorio, il quale ha dichiarato di accettare questa formula definitiva.

Resta poi da votare in modo particolare la proposta dell’onorevole Di Vittorio di inserire, al punto in cui si parla delle categorie produttive, le seguenti parole; «in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

Allora pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Clerici, con le modificazioni accettate dal proponente:

«Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, composto nei modi stabiliti dalla legge, da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive».

(È approvata).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Di Vittorio, del seguente tenore:

«in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi sembra inammissibile che una questione così importante possa essere decisa da un’Assemblea così poco numerosa. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Nobile, non ci sono dissensi su questo punto. (Approvazioni).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Di Vittorio, riprendendo un concetto già espresso nel nostro ordine del giorno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Di Vittorio: «in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

(È approvato).

Pongo in votazione le seguenti parole: «è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’ultima parte del testo proposto dall’onorevole Clerici:

«ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro i limiti stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Pertanto il testo dell’articolo 92 risulta nel suo complesso, così approvato:

«Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro composto, nei modi stabiliti dalla legge, da esperti e rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa, è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite; ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro i limiti stabiliti dalla legge».

L’onorevole Corbino ha proposto il seguente articolo aggiuntivo 86-bis:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica».

L’onorevole Corbino ha fatto presente che nel testo della Costituzione è previsto il giuramento per il Presidente della Repubblica, ed egli ritiene che sia necessario prescriverlo anche per il Presidente del Consiglio e per i Ministri. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il pensiero della Commissione.

TOSATO. La Commissione accetta la proposta dell’onorevole Corbino.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Corbino testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 93. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione.

La Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e quello anche successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo dello Stato sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente al Parlamento sul risultato del riscontro effettuato.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Romano ha proposto di sostituire il primo comma col seguente:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ROMANO. Ritengo che non si possa oggi discutere questa prima parte dell’articolo 93, in quanto sotto il Titolo quarto, all’articolo 95, ho presentato un emendamento nel quale si sostiene l’unità dell’ordine giudiziario. Ora non è possibile parlare del particolare se non si prende prima in esame il generale. Perché qualora si dovesse affermare il principio dell’unità dell’ordine giudiziario, cadrebbe il Consiglio di Stato come organo giudiziario; pertanto ritengo che si debba rinviare la discussione a dopo esaminato l’articolo 95.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. In ordine a questo emendamento presentato dal collega Romano, io vorrei rilevare che le osservazioni da lui fatte non mi sembra abbiano validità in quanto la frase «e di tutela della giustizia nell’amministrazione» si riferisce anche alla funzione consultiva.

La funzione consultiva e quella giurisdizionale sono aspetti diversi attraverso i quali si raggiunge questo unico scopo che è la tutela della giustizia nell’amministrazione, ed è logico che, anche per ragioni di tecnica, parlando per la prima volta di questo istituto si debba far parola di questa funzione che è predominante.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene che questa espressione di «giustizia nell’amministrazione», che ha una tradizione nei riguardi del Consiglio di Stato, non pregiudichi in alcun modo la questione se la giurisdizione debba essere unica o no. La giustizia nell’amministrazione si riferisce (siamo qui nel titolo dell’amministrazione) al Consiglio di Stato nelle sue funzioni anche consultive: né debbo ricordare che, al di fuori della giurisdizione, vi è il ricorso in via straordinaria al Capo dello Stato, che ha perfettamente lo scopo della giustizia nell’amministrazione. L’onorevole Romano potrebbe benissimo votare quest’articolo, e poi sostenere a suo luogo l’unità della giurisdizione.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, la Commissione non accetta il suo emendamento soppressivo. Lei vi insiste?

ROMANO. Ritengo che sia nei poteri del Presidente dell’Assemblea di rinviare la discussione di questo emendamento perché non è logicamente possibile discutere una parte speciale senza discutere il principio generale affermante l’unità dell’ordine giudiziario, se non si discute cioè l’articolo 95, là dove si afferma il principio dell’unità dell’ordine giudiziario, unità che è stata affermata anche dall’Ordine dei Magistrati. Quindi non è il caso di entrare in questa discussione particolare che pregiudicherebbe la discussione dell’articolo 95.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Vorrei rassicurare l’onorevole Romano che la formula contenuta nell’articolo 93 relativa alla tutela della giustizia nell’amministrazione, non pregiudica affatto l’altra questione dell’unità della giurisdizione, questione che evidentemente sta a cuore all’onorevole Romano. Mi permetto di far rilevare che questa definizione dei compiti del Consiglio di Stato contenuta nell’articolo 93, è compresa nella sezione del Titolo III dedicata, espressamente, alla Pubblica Amministrazione. Quindi in questo Titolo non è pregiudicata alcuna questione che attenga alla funzione giurisdizionale. D’altra parte l’onorevole Romano sa che la funzione di consulenza giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato si estende ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato. Si tratta di ricorsi amministrativi, che sono decisi con provvedimenti amministrativi, ma non hanno grande importanza per la tutela della giustizia nell’amministrazione. Per la decisione di tali ricorsi il parere del Consiglio di Stato è obbligatorio, e, praticamente, vincolante. È rarissimo il caso che il parere del Consiglio di Stato non sia seguito. Il Consiglio di Stato in tutta la sua attività consultiva è uno strumento prezioso, il suo intervento costituisce un apporto considerevole ai fini di assicurare la giustizia dell’amministrazione. Questa sua funzione non può essere trascurata nella definizione dei suoi compiti. Il problema dell’unità della giurisdizione, e quindi della conservazione o meno della competenza giurisdizionale del Consiglio, non resta affatto pregiudicato. Su questo punto l’onorevole Romano può essere tranquillo.

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMANO. Se si tenesse presente il mio emendamento all’articolo 95, il problema si vedrebbe diversamente.

Comunque faccio proposta formale di rinvio dell’esame del primo comma dell’articolo 93.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Romano, tendente a rinviare l’esame del primo comma dell’articolo 93.

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione la prima parte del primo comma:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte della quale l’onorevole Romano chiede la soppressione:

«e di tutela della giustizia nell’amministrazione».

(È approvata).

Passiamo al secondo comma.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo che il secondo comma sia posto ai voti per divisione. Noi voteremo contro il primo periodo, perché riteniamo che non abbia rilievo costituzionale. In altre costituzioni non si fa cenno del controllo di legittimità sugli atti di Governo. Se il primo periodo sarà approvato, voteremo a favore dei successivi, i quali danno compiutezza all’intero comma.

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione per divisione del secondo comma dell’articolo 93.

Pongo in votazione il primo periodo:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e quello anche successivo sulla gestione del bilancio dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione i due successivi periodi del secondo comma:

«Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla, legge, al controllo dello Stato sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente al Parlamento sul risultato del riscontro effettuato».

(Sono approvati).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

(È approvato).

L’articolo 93 è stato pertanto approvato nel testo del progetto.

Abbiamo così concluso, onorevoli colleghi, l’esame e le votazioni, sui primi tre Titoli della Parte II della Costituzione. E credo che possiamo essere sodisfatti del lavoro svolto nel corso di questo mese. Resta il Titolo IV, che è molto importante; rimangono pure da votare alcuni articoli del Titolo V, il Titolo VI e le disposizioni finali e transitorie; ma ritengo che potremo concludere felicemente anche questo lavoro, nonché quello dell’esame delle leggi elettorali e delle altre leggi, entro il termine che ci siamo fissati.

Presentazione di una relazione.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Sull’ordine dei lavori.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Chiedo che nella prossima settimana si metta in discussione il terzo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione sulle limitazioni per responsabilità fasciste all’esercizio dei diritti di elettorato attivo e passivo, onde poter definire la questione rimasta in sospeso con l’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo.

PRESIDENTE. Credo che la Commissione incaricata di questo esame consegnerà nei prossimi giorni le sue conclusioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in ordine alla gravissima situazione che si va determinando in Gravina di Puglia, con probabilità di estensione ai paesi viciniori, per la improvvisa agitazione dei braccianti agricoli, agitazione che si aggrava di ora in ora, e che, dall’altra parte, non trova per opera dell’Autorità tutoria, quella immediata garanzia che sarebbe necessaria per evitare conseguenze luttuose.

«Si aggiunga che gli agricoltori locali sono stati inopinatamente e sproporzionatamente sottoposti a versamenti di denaro alla Camera del lavoro per sodisfare le richieste dei predetti lavoratori, che aumentano senza limiti durante la discussione.

«Trulli, Coppa, Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se e come intenda intervenire, attraverso gli organi competenti, perché siano al più presto regolati i rapporti sorti, in base alle vigenti leggi, fra la Società «Terni», da una parte, e i cittadini privati e le Amministrazioni comunali di una vasta zona della provincia di Rieti, dall’altra, in dipendenza della costruzione, da parte della stessa Società «Terni», di due grandi bacini per la produzione della energia elettrica.

«Più particolarmente, constatate le inadempienze della Società, l’interrogante chiede siano ravvisati i mezzi idonei per ottenere che il diretto intervento del Ministero dei lavori pubblici imponga:

1°) l’esecuzione e ricostruzione delle opere pubbliche sommerse, non ricostruite affatto, o non completate;

2°) la ricostruzione delle private abitazioni sommerse;

3°) la riparazione dei danni di vario ordine prodotti alle reti stradali e il risarcimento di quelli causati alle strade demaniali non ricostruite;

4°) la definizione di tutte le pendenze e vertenze in corso e la risoluzione di tutti i problemi di pubblico interesse previsti dalla legge, attraverso la pubblicazione di un chiaro e tassativo disciplinare, che precisi gli obblighi della «Terni» ed eviti formule incerte che provocano lunghe discussioni e servono a procrastinare od eludere la soddisfazione degli obblighi verso le popolazioni danneggiate;

5°) la concessione agli Enti locali dei canoni, anche arretrati, previsti dalla legge 11 dicembre 1933 ed il loro aggiornamento al valore attuale della moneta;

6°) la concessione a tutti i Comuni rivieraschi – tenuti presenti gli speciali diritti del comune di Rieti – del quantitativo di energia elettrica e degli ulteriori canoni previsti dagli articoli 52 e 53 del decreto 11 dicembre 1933 in conformità delle richieste contenute nel memoriale redatto dall’Amministrazione comunale di Castel di Tora e trasmesso agli organi competenti;

7°) l’adozione infine di provvedimenti che valgano a rassicurare le popolazioni che i privilegi consentiti all’industria non possono e non debbono tradursi in sopraffazioni ai danni di pubbliche amministrazioni e di privati cittadini lasciati indifesi di fronte ai danni delle gravi e intollerabili esigenze industriali quando non siano frenate e controllate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti urgenti intenda adottare per lenire la situazione angosciosa, veramente indegna di un paese civile, in cui vive la popolazione di Vastogirardi (Campobasso) che è senza acqua, senza cimitero, senza fognature, senza scuole e con la illuminazione elettrica soltanto al centro del paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno. Le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 11.10

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 27 ottobre.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEI VICEPRESIDENTI TARGETTI E BOSCO LUCARELLI

INDICE

Congedi:

Bosco Lucarelli

Presidente

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Laconi

Rossi Paolo

Moro

Bozzi

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Perassi

Conti

La Rocca

Clerici

Mastino Pietro

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Colitto

Targetti

Stampacchia

Rubilli

Fuschini

Mazzei

Mortati

Corbino

Corbi

Nitti

Russo Perez

Tonello

Tosato

Martino Gaetano

Arata

Persico

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Benvenuti

Costantini

Dominedò

Carpano Maglioli

Romano

Bettiol

Fabbri

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Bozzi

Piemonte

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cavallari e Rumor.

(Sono concessi).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Storchi per il reato di cui all’articolo 595, secondo capoverso, e 57, n. 1, del Codice penale.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Presentazione di un disegno di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare il seguente disegno di legge:

«Approvazione del Trattato di pace fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947, e relativo scambio di Note».

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questo disegno di legge che sarà inviato alla Commissione competente.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Do lettura del testo concordato dalla Commissione, che sostituisce gli articoli 87 e 88 del progetto di Costituzione, fondendoli in un articolo unico:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale.

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

I colleghi che avevano presentato emendamenti al testo dell’articolo 88 possono adesso, sulla base di questa nuova redazione, considerare l’opportunità o meno di mantenere i loro emendamenti. Coloro che li conservano avranno naturalmente il diritto di svolgerli.

L’onorevole Colitto aveva presentalo i seguenti emendamenti all’articolo 88:

«Al primo comma, alla parola: Un, con la quale il comma si inizia, sostituire: Il, ed aggiungere, dopo le parole: o dell’altra Camera, le seguenti: o di entrambe, o dell’Assemblea Nazionale.

«Al terzo comma, sopprimere le parole: di una delle Camere, ed aggiungere dopo le parole: deve convocare, le seguenti: entro otto giorni dal voto».

Li mantiene?

COLITTO. Il primo emendamento da me proposto è stato incluso nel nuovo testo predisposto dalla Commissione, quindi non ho più ragione di insistere.

Quanto all’altro emendamento pure da me proposto, esso non ha più ragione di essere in quanto il testo è stato modificato sopprimendosi l’ultimo comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti e altri avevano presentato i seguenti emendamenti all’articolo 77:

«Sopprimere il primo comma.

«Sostituire gli altri commi col seguente:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per chiederne la fiducia. La fiducia è accordata da ciascuna delle Camere con voto nominale e a maggioranza assoluta dei presenti. Il rifiuto della fiducia anche da parte di una sola Camera importa dimissioni».

Ora l’onorevole Targetti ha proposto di sostituire all’ultimo comma del testo concordato dalla Commissione alle parole: «un quinto» le altre: «un decimo».

Ha facoltà di svolgere il nuovo emendamento.

TARGETTI. Noi ritiriamo i nostri emendamenti, perché in sostanza la nuova formulazione dell’articolo presentata dalla Commissione accoglie quanto avevamo proposto. In un punto solo non si può aderire al nuovo testo, cioè nella determinazione del numero minimo di presentatori della mozione di sfiducia. La proposta della Commissione stabilisce un quinto come minimo. Noi riteniamo che se si mantenesse così alto il minimo dei presentatori di una mozione di sfiducia, si verrebbe in pratica a ledere il diritto delle minoranze, che, anche quando sono numericamente deboli, hanno sempre il diritto di non trovare ostacoli nel far valere la loro opinione. Anche se i pareri sono ancora discordi sopra il numero dei componenti del nuovo Parlamento, giacché mentre abbiamo deciso che deve esserci un rappresentante per ogni 80 mila abitanti, ci si chiede se la popolazione da tenersi a base debba essere quella stabilita dall’ultimo censimento che è del 1936, o, come parrebbe più logico, quella risultante dai dati aggiornati dall’Istituto di statistica, in qualunque ipotesi l’Assemblea vorrà riconoscere che la necessità dell’adesione di un quinto dei membri componenti la Camera dei Deputati per avere una mozione di sfiducia, toglierebbe la possibilità alle minoranze di farsi valere.

D’altra parte la riduzione ad un decimo ci sembra che non presenti nessun pericolo, perché un decimo dei componenti la Camera rappresenta sempre un numero ragguardevole di deputati ed anche di senatori. D’altra parte, quando manchi una fondata possibilità di buon esito, non sarà facile trovare il numero sufficiente di componenti, rispettivamente nell’una o nell’altra Camera, per iniziare una discussione inutile.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia aveva proposto all’articolo 88 i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: un quarto dei, la parola: quaranta, ed alla parola: tre, l’altra: cinque».

«Sopprimere il terzo comma».

Onorevole Stampacchia, li mantiene?

STAMPACCHIA. Li mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerli.

STAMPACCHIA. Poche parole per dire che lo scopo del primo emendamento è quello di ridurre, come risulta dall’emendamento stesso, il numero dei presentatori della mozione di sfiducia. A mio avviso, la ragione che giustifica la mia proposta non è soltanto quella a cui il compagno e collega onorevole Targetti ha accennato, ma anche l’altra: che, quando occorre raccogliere le firme, il Parlamento possa trovarsi chiuso; deputati e senatori lontani, perciò, da Roma, con dimora spesso sconosciuta. In tale ipotesi, assai ardua diventa la raccolta delle firme di un quinto o anche di un decimo dei componenti la Camera o il Senato. Quindi anche la sessantina di firme – quante, all’incirca, attenendoci al decimo, ne occorrerebbero, calcolando che il Parlamento possa raccogliere seicento deputati col prossimo censimento – costituisce cifra eccessiva.

Ed eccessiva appare anche se si consideri che è doveroso, in regime democratico, dare la possibilità ai piccoli partiti di potersi muovere sopra questo terreno parlamentare, e perciò è doveroso assicurare loro praticamente il diritto di presentare mozioni di sfiducia. Tali mozioni non sempre per fini di schermaglia parlamentare vengono presentate, ma assai spesso per parlare al Paese.

La proposta non credo abbia bisogno di maggiori illustrazioni. Ho poi anche proposto che il termine prima del quale non deve esser messa in discussione la mozione non sia di tre giorni, ma di cinque. I tre giorni mi sembrano troppo brevi perché i deputati possano tempestivamente essere avvertiti (specialmente se la Camera non è aperta) e possano così giungere a Roma in tempo per discutere la mozione. È perciò che ho proposto cinque giorni, anziché i tre di cui nel progetto.

Infine, ho proposto l’abolizione dell’ultimo capoverso di questo articolo, il quale importerebbe che il Governo, avuto il voto di sfiducia da una delle Camere, possa appellarsi all’Assemblea Nazionale. Ma di codesta Assemblea ho detto questa mane, e non mi ripeterò.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita avevano presentato il seguente emendamento all’articolo 88:

«Sopprimere il terzo comma».

Non essendo presenti, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Rubilli aveva proposto di sopprimere il terzo comma dell’articolo 88. Mantiene l’emendamento?

RUBILLI. Ho visto dal nuovo testo dell’articolo 88 che l’emendamento è già accolto: se altri non si oppone a quello che ha proposto la Commissione, prendo atto e ringrazio, ben lieto che sia stato eliminato quel poco serio appello da parte del Governo all’Assemblea Nazionale in caso di voto di sfiducia.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini aveva presentato il seguente emendamento all’articolo 88:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Dopo il voto di sfiducia di una delle Camere, dato con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il Governo deve dimettersi».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Mi limiterò a dichiarare che sono favorevole al nuovo testo concordato fra la Commissione e i proponenti dei vari emendamenti. Però, mi permetto di fare una osservazione sull’ultimo comma, e cioè sul comma che suona così: «La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

Ora, questa limitazione alla possibilità da parte dei deputati, singolarmente considerati, di poter presentare mozioni di sfiducia, ritengo che sia molto grave. L’iniziativa di chiedere una discussione politica, anche se si intende iniziarla con una manifestazione di sfiducia, non deve essere sottoposta ad una così forte limitazione, cioè di un quinto dei membri di ciascuna Camera che la sottoscrivano. Con ciò, secondo me, si offende quello che è il principio del rispetto delle minoranze che, anche se modeste, hanno una funzione utile nelle Assemblee politiche. Un quinto della Camera dei Deputati, che sarà forse di 550 membri, vorrebbe significare che soltanto con centodieci deputati si può presentare una mozione politica. Ciò sarebbe veramente enorme.

Bisogna dunque correggere queste esagerazioni e fissare un numero minore. Vi sono, nel Regolamento della Camera, delle disposizioni molto equilibrate. Si chiedono per l’appello nominale 15 sottoscrittori; per la votazione segreta 20 sottoscrittori. La mozione, con questo Regolamento, poteva essere firmata anche da un solo deputato. Con la proposta del progetto si rende quasi impossibile ai gruppi minori, che non sono pochi, provocare discussioni di politica generale.

Voi credete, mettendo questa limitazione, di impedire le discussioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

CONTI. Gli assalti alla diligenza!

FUSCHINI. Gli assalti alla diligenza si impediscono con l’altra disposizione che stabilisce che una mozione non può essere posta all’ordine del giorno prima di tre giorni dalla sua presentazione. Io vorrei che la Commissione si persuadesse che questa limitazione, rappresentata dall’alto numero di firmatari di una mozione, è eccessiva ed offende la libertà di discussione.

D’altra parte, una disposizione di tal genere non vi è bisogno di metterla nella Carta costituzionale; potrà essere oggetto di una disposizione del Regolamento delle due Camere, anche perché il loro numero di membri è differente e il numero dei sottoscrittori di una mozione deve essere messo in rapporto con il complesso numerico di ogni Camera.

La Commissione non creda di salvare i Governi: quando essi hanno delle forti maggioranze, non possono temere le discussioni; se sono deboli è meglio spazzarli via al più presto.

Le discussioni politiche servono per valutare la forza del Governo e per educare il popolo; non credo siano inutili, ma siano invece necessarie ed indispensabili. Se non ci sono o se si vogliono limitare, credo non si possa instaurare un vero regime democratico. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del secondo comma dell’articolo 88:

«Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consente almeno un quarto dei componenti della Camera».

Ha facoltà di svolgerlo.

MAZZEI. Il nostro emendamento va riferito all’ultimo comma del nuovo testo presentato dalla Commissione.

Il concetto ispiratore dell’articolo del progetto, nonché della nuova formulazione data dalla Commissione, è di assicurare quanto più possibile la stabilità dei Governi in regime parlamentare e cercare di far sì che il regime parlamentare non decada facilmente in parlamentarismo.

Questo criterio generale è avallato da noi repubblicani, che sentiamo fermamente l’esigenza della stabilità dei Governi, esigenza inderogabile per chi non vuole ricadere nel vecchio parlamentarismo e vuole viceversa creare una democrazia nuova, rettificando alla luce dell’esperienza politica del nostro e degli altri Paesi, lo schema tradizionale del regime parlamentare per adeguarlo di tempi nuovi.

Però, noi ci siamo anche preoccupati del pericolo che potrebbe nascere dal richiedere un numero troppo alto di firmatari della mozione di fiducia, come condizione di presentabilità di una mozione del genere ed abbiamo adottato un criterio del tutto diverso da quello del progetto, non solo nella procedura, e che contempera, secondo noi, sia l’esigenza della stabilità dei Governi e dell’eliminazione dei dibattiti che non hanno probabilità di alcun concreto risultato, sia l’altra esigenza di non escludere e non menomare l’esercizio pieno del diritto di opposizione da parte dei gruppi di scarsa consistenza numerica e dei singoli deputati.

Vi rileggo il testo dell’emendamento: «Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consenta almeno un quarto dei componenti della Camera». Cosa si mantiene in questa forma del vecchio testo? L’esigenza generale e basta. Perché, adottando la nostra formula, una mozione di sfiducia può essere presentata anche da un solo deputato, in applicazione del principio dell’iniziativa parlamentare di ogni rappresentante del popolo, che, secondo me, è essenziale a qualsiasi sistema democratico a base parlamentare. Si rispetta questo principio, ma non si dà adito alla possibilità che si abbia una discussione dilagante per giorni e giorni, quando questa discussione non ha probabilità alcuna di consenso. Infatti, può essere presentata da chiunque, dal singolo o da un gruppo per piccolo che sia, una mozione di sfiducia; ma perché possa procedersi alla discussione si richiede – secondo la mia proposta – che consenta alla discussione della mozione almeno un quarto dei componenti dell’Assemblea. Se la cifra di un quarto sembrasse eccessiva, si potrebbe forse, limitare ad un quinto, ma la questione della cifra ha un’importanza minore nel sistema sostenuto da me e da altri amici repubblicani. L’importante è, per noi, che il quarto (o il quinto) dei componenti dell’Assemblea non debba avallare a priori la mozione che un singolo o un piccolo gruppo presenta: basta che una parte notevole dell’Assemblea ritenga che la mozione di sfiducia presentata meriti di essere discussa e che essa sia fondata su motivi sufficienti a dar luogo a un dibattito politico capace di minare le basi di maggioranza su cui il Governo poggia.

Basta, in altri termini, che, dopo trascorsi tre giorni dalla presentazione di una mozione di sfiducia, e precisamente prima dell’apertura della discussione, il Presidente dell’Assemblea chieda e si accerti che vi sia un quarto dei componenti della Camera che consente alla discussione della mozione.

Posta in questi termini la questione, è sufficiente, perché si proceda alla discussione della mozione di sfiducia, che vi sia un certo numero di deputati i quali, senza impegnarsi preventivamente ed in modo assoluto ad appoggiarla e votarla, nella Camera dicano: «Sì, mette conto di discutere questa mozione». Non si tratta di avere a priori oltre un centinaio di impegnativi consensi precostituiti, come nel sistema previsto dal progetto della Commissione dei Settantacinque, che è perciò molto più limitativa della libertà delle opposizioni di quanto non sia il sistema da me illustrato. Il quale non richiede alcun preciso e preventivo impegno di una parte notevole della Camera su di una determinata mozione di sfiducia. Chiunque voglia proporre una mozione di sfiducia può farlo, ma perché abbia luogo la discussione occorre che una parte rilevante dei componenti della Camera la ritenga utile.

Secondo noi la formula illustrata risponde – ripeto – all’esigenza della libera e piena iniziativa parlamentare dei piccoli gruppi delle minoranze, rispettando anche il principio di liberà iniziativa di ogni deputato, e risponde altresì all’esigenza della stabilità del Governo, fondamentale per chiunque non voglia correre il rischio della degenerazione parlamentaristica, che è uno dei più pericolosi incentivi ai colpi di Stato ed alle dittature, forse più pericoloso di quanto non sia l’attribuzione di troppo vasti poteri al Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati aveva presentato il seguente emendamento al vecchio testo dell’articolo:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Il voto di sfiducia, emesso nelle condizioni di cui al comma precedente, obbliga il Governo alle dimissioni, salvo l’applicazione dell’articolo 84».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Si trattava di un chiarimento, ma mi rimetto al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento al nuovo testo della Commissione:

«Sopprimere il primo comma.

«Invertire l’ordine del secondo e del terzo comma, ponendo il terzo comma come primo».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Credo che non ci sia molto da dire. Ho l’impressione che fra il primo e il terzo comma del nuovo testo ci sia una affermazione generica sulla maniera con cui la fiducia deve essere votata. Quindi, io direi: poniamo al Governo l’obbligo di presentarsi entro 10 giorni per chiedere la fiducia, con il che l’affermazione del primo comma diventa inutile, e poi stabiliamo le norme per la concessione della fiducia e per la presentazione della mozione di sfiducia.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi aveva presentato il seguente emendamento al testo iniziale della Commissione:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 87 col seguente:

«La fiducia o la sfiducia sono deliberate su mozione motivata con voto nominale»

Aveva anche proposto di sopprimere l’articolo 88. Mantiene gli emendamenti?

CORBI. Signor Presidente, avendo la Commissione presentato un nuovo testo nel quale vengono accolte talune delle nostre richieste, ritiro gli emendamenti.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Il nuovo testo ha accolto alcune proposte che erano nei miei emendamenti. Sono contento che il primo comma sia riuscito in una forma semplice: «II Governo deve avere la fiducia delle due Camere».

Passiamo all’altro comma: «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale». Io comprendo che si accordi la fiducia o la sfiducia (sono due cose diverse), ma la sfiducia deve essere motivata, mentre la fiducia non è mai motivata. Se non vi è nessuna osservazione vuol dire che si accoglie quello che il Governo dice. Perché motivare la fiducia, cioè dare un certificato di buona condotta? Si può respingere, ma non spiegare perché si accoglie una proposta del Governo.

Quindi, credo che la motivazione non sia completamente felice. Laddove si dice che entro 10 giorni il Ministero dovrà presentarsi alle Camere per avere il consenso o il dissenso di questa Assemblea, credo che il termine di 10 giorni sia arbitrario. Perché in 10 giorni?

Io non so quali siano i termini in altri Paesi. Non ricordo. Ricordo che da noi non vi era mai un termine stabilito di 3, 10, 15 giorni: il Ministero si presentava alla Camera appena poteva, perché il Ministero ha spesso delle difficoltà per cui non può dare immediate e concrete proposte su taluni avvenimenti. Qui si dice che un Ministero si deve presentare alla Camera, naturalmente, ma determinare il termine non è una cosa facile né, spesso, conveniente.

Quanto poi all’ultimo comma, che dice che la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in votazione prima di tre giorni dalla sua presentazione, debbo osservare che in questa Assemblea attuale non vi sono che tre partiti, o forse due partiti, che hanno il quinto della Camera. Anche la proposta di un decimo non mi pare accettabile. Quando avete detto un decimo voi avete già detto una cifra importante: sarebbero 50 persone che desiderano che si voti la sfiducia.

Io pregherei di non mettere limiti di questa natura. Si potrà stabilire secondo la convenienza, onde io propongo che si riduca il più possibile questo numero.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Mi pare di aver compreso che siamo tutti d’accordo sulla impossibilità o quasi di raccogliere cento firme, che sarebbero anche inutili o per lo meno non indispensabili.

Si tratta di stabilire dunque quale è il numero più adatto da preferire. Io proporrei trenta persone, perché bene hanno il diritto trenta deputati di inoltrare la mozione, provocando un serio dibattito sulla politica dal Governo. Formulo quindi questa proposta concreta: che il numero dei proponenti la mozione sia ridotto a trenta.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei domandare alla Commissione se esistono altre Costituzioni nelle quali è stabilito il numero delle firme necessario per presentare una mozione di sfiducia. Se non esistono, io chiederei che si abolisse, perché mi pare sia materia regolamentare.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Avevo proposto al terzo comma dell’articolo 87 di aggiungere, dopo le parole: «con voto nominale» le altre: «al quale i membri del Governo non possono partecipare».

Siccome nell’ultimo testo formulato dalla Commissione non vedo cenno di accoglimento di questo emendamento, vorrei sapere quale è l’atteggiamento della Commissione al riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

TOSATO. Credo sia opportuno, anziché soffermarmi a considerare distintamente e successivamente i singoli emendamenti che sono stati presentati – dei quali veramente non saprei con esattezza quali sono confermati e fino a che punto, e quali sono stati ritirati – credo sia opportuno illustrare il significato e la logica del testo che la Commissione ha presentato. Chiarendovi il testo della Commissione, verranno in considerazione alcune osservazioni che a questo proposito sono state fatte durante lo svolgimento dei vari emendamenti.

Il testo della Commissione segue questo ordine di idee: fissa, nei primi due commi i principî fondamentali; nei commi successivi stabilisce norme di carattere consequenziale e procedurale.

Secondo l’onorevole Corbino, si potrebbe senz’altro sopprimere il primo comma. Da un certo punto di vista l’onorevole Corbino ha anche ragione; infatti, se si dice che ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia, è chiaro che il Governo deve godere la fiducia delle due Camere…

CORBINO. C’è anche il mio secondo emendamento con il quale chiedo di invertire l’ordine del secondo e del terzo comma, ponendo il terzo comma come primo.

TOSATO. La Commissione è partita da un altro punto di vista, fissando anzitutto il principio del Governo parlamentare, in base al quale il Governo deve avere la fiducia delle Camere. Stiamo facendo la Costituzione e la Costituzione deve essere semplice e procedere per principî. Il principio fondamentale che, a nostro avviso, è anzitutto necessario affermare, è quello che il Governo deve godere la fiducia delle Camere.

In questo primo comma presentato dalla Commissione è risolta la questione che ha tanto preoccupato l’Assemblea. Il testo del progetto parlava di Assemblea Nazionale; sono stati accolti tutti gli emendamenti, si è stabilito che il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, le quali – secondo il principio bicamerale – agiranno sempre separatamente.

L’orientamento prevalso in questa Assemblea è così rispettato e sancito. Permettetemi però di manifestarvi al riguardo le mie gravi preoccupazioni. Noi lasciamo aperta la porta a situazioni molto difficili e molto gravi, e che potranno mettere a dura prova, e non so con quale risultato, l’intero edificio costituzionale.

Abbiamo creato due Camere composte ed elette diversamente, l’una col sistema proporzionale, l’altra a collegio uninominale.

So che qualcuno di voi è molto ottimista a questo proposito, in quanto pensa che tra le due Assemblee non si verificheranno mai gravi e profondi conflitti. Me lo auguro. Con tutta franchezza, debbo però confessarvi che personalmente non sono altrettanto ottimista e penso che fra le due Camere gravi dissensi potranno spesso e facilmente verificarsi. Può darsi, ed è molto probabile, data la diversità dei sistemi elettorali, che in una Camera domini una maggioranza di un dato colore, e nell’altra Camera una maggioranza di colore ben diverso. Non so, in questa ipotesi, come si potrà costituire e come potrà funzionare un Governo se questo, come vuole l’onorevole Fabbri, deve reggersi poggiando su due piedi. Andremo incontro a scioglimenti continui? Ad ogni modo, l’Assemblea si è pronunciata contro la riunione delle due Camere per risolvere la questione della fiducia al Governo e non è il caso di insistere sotto questo riguardo.

Il secondo comma, fissa un essenziale requisito di forma. «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante votazione motivata e ad appello nominale». Resta così esclusa qualsiasi possibilità di dubbi e di incertezze. Secondo il testo che noi vi proponiamo, sia per quanto riguarda la concessione, sia per quanto riguardarla revoca della fiducia – revoca che porta come necessaria conseguenza le dimissioni del Governo, occorre un atto specifico, quello appunto che si denomina mozione. Pertanto, al fine di rovesciare il Governo, e di obbligarlo a dimettersi, non è sufficiente, anzi è esclusa, qualsiasi altra forma di manifestazione della volontà – quale, ad esempio, l’ordine del giorno – delle Camere. Occorre un apposito atto, la mozione.

E non basta una mozione pura e semplice: si richiede che la mozione sia motivata. A questo proposito, l’onorevole Nitti ha fatto alcune osservazioni. Egli ha detto – se non ho mal compreso – che, se si possono intendere le ragioni che consigliano l’obbligatorietà della motivazione per l’espressione della sfiducia, non è invece altrettanto facile poter intendere quali siano le ragioni che consigliano la motivazione per la concessione della fiducia. Ora, a me pare che il problema posto dall’onorevole Nitti sia soltanto apparente. È chiaro infatti che quando un Governo si presenta con un determinato programma per chiedere la fiducia alle Camere e riesce ad ottenerla, la mozione che approva le dichiarazioni del Governo e accorda la fiducia, risulta pienamente motivata. Il richiamo e l’approvazione delle dichiarazioni del programma del Governo non costituiscono implicitamente la motivazione della mozione di fiducia?

Il requisito della motivazione si propone di conseguire un duplice effetto. Da un lato, nella concessione della fiducia, di impegnare Governo e Camera ad un dato programma; dall’altro, nella revoca della fiducia, di fissare esattamente i termini del contrasto fra Governo e Parlamento, il che è particolarmente importante nell’ipotesi che si addivenga allo scioglimento delle Camere, affinché il popolo possa pronunziarsi sui termini del contrasto stesso. D’altra parte, attraverso la motivazione, si riesce ad identificare l’opposizione o le opposizioni, e quindi ad accertare se esistono le condizioni che giustificano la caduta del Governo, e la formazione, in sua vece, di una nuova compagine ministeriale.

Che poi la mozione debba essere votata ad appello nominale, è cosa ovvia, intorno alla quale non ci può essere discussione.

Viene in considerazione, a questo punto, una proposta formulata dall’onorevole Tonello. Secondo il collega Tonello, i membri del Governo dovrebbero venire esclusi dal diritto di partecipare alle votazioni di mozioni di fiducia o di sfiducia al Governo. Io confesso che non comprendo quale sia l’intendimento che ha animato l’onorevole Tonello nel presentare questa sua proposta; i membri del Governo sono anch’essi deputati; e il Governo, nella forma parlamentare, non è un insieme che deve stare, come il Presidente, super partes, con i relativi obblighi di astensione, ecc. D’altra parte l’onorevole Tonello consentirà che se i deputati si presentano come Ministri, è sperabile abbiano almeno fiducia in se stessi.

La proposta dell’onorevole Tonello sarebbe accettabile in una sola ipotesi, ipotesi peraltro che non si vede in qual modo potrebbe praticamente tradursi in realtà: nell’ipotesi cioè che quei deputati dell’opposizione, i quali saranno poi eventualmente chiamati, dopo il rovesciamento del Governo, a succedere ad esso, si potessero in qualche modo identificare in tempo utile – il che appunto è impossibile – così da poter escludere ancor essi dal diritto di voto. (Si ride).

La fiducia dunque si accorda al Governo mediante un atto specifico, la mozione, la quale deve essere motivata e approvata ad appello nominale. Una volta costituito, il Governo deve presentarsi alla Camera, per ottenere, si intende, la fiducia. Il testo che la Commissione vi propone stabilisce a questo proposito un termine di 10 giorni, accogliendo così l’emendamento presentato dall’onorevole Targetti.

Contro questo termine della presentazione entro dieci giorni sono state fatte osservazioni, specialmente da parte dell’onorevole Nitti. L’onorevole Nitti ha osservato che è un termine arbitrario. Siamo perfettamente d’accordo. Tuttavia si è ritenuto che stabilire un obbligo del Governo di presentarsi entro un certo termine di fronte alle Camere sia una garanzia per l’attuazione della forma del Governo che si intende costituire, e per il controllo politico da parte delle Assemblee legislative.

Il quarto comma del testo proposto stabilisce che «un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni». Su questo punto, giustificato da ragioni ben note, e che d’altronde si ricollega strettamente alla disciplina del Governo parlamentare che intendiamo istituire, non ci sono state osservazioni, e non è quindi il caso che io mi soffermi.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera».

Questo requisito, contenuto nella prima parte dell’ultimo comma dell’articolo, ha incontrato vivaci resistenze, anzi ostilità. Si è detto che questa disposizione rappresenta una violazione dei diritti delle minoranze; che è una imposizione del tutto arbitraria; perché, in definitiva, nelle Assemblee rappresentative ciascuno può chiedere una discussione sulla politica del Governo, allo scopo anche di rovesciarlo, ecc.

Ora, io vorrei osservare a questo proposito che una discussione sulla politica del Governo può sempre avvenire; basta che anche un solo deputato presenti un’interpellanza. Qui si regola la mozione di sfiducia, che ha un fine specifico: quello di rovesciare il Governo, per costituire un nuovo Governo. Ora, è evidente che un atto di così grande importanza – che segna l’inizio di una vera e propria battaglia politica allo scopo di rovesciare il Governo in carica e sostituirlo con nuovo Governo – può essere giustificato soltanto in quanto ci siano determinate garanzie di serietà, e qualche probabilità di successo.

Non si dà battaglia – una battaglia che determina un lungo periodo di stasi nella attività del Governo e delle Camere – per il solo gusto di dare battaglia. Tutti ricordano gli inconvenienti del passato, quando si aveva continuamente il cosiddetto «assalto alla diligenza». Ciò è inammissibile.

D’altra parte, in pratica, se effettivamente sussiste una qualche possibilità e probabilità di rovesciare il Governo, il requisito che la mozione sia firmata da un quinto dei deputati o dei senatori, non è affatto eccessivo. Ciò che è insopportabile è lasciare libero corso, con grave danno della cosa pubblica, e delle stesse istituzioni democratiche, a qualsiasi velleità crisaiuola. (Commenti). Non basta perciò che la mozione di sfiducia sia firmata da pochi. (Interruzioni dei deputati Russo Perez, Rubilli e Conti).

Ad ogni modo, bisogna scegliere fra due punti di vista diversi ed opposti. Si ritiene opportuno di lasciare a qualsiasi gruppo, anche minimo, di deputati, la possibilità di presentare mozioni di sfiducia, di aprire continuamente discussioni di carattere generale sulla politica del Governo, allo scopo di rovesciarlo, senza che vi sia un minimo di probabilità che questa mozione di sfiducia venga presa veramente in considerazione, agli effetti che essa si propone? O, invece, si vuole che la mozione di sfiducia possa essere presentata soltanto in quanto vi siano già delle probabilità o delle possibilità che la mozione che viene presentata abbia successo? Noi della Commissione seguiamo questo secondo punto di vista, e intendiamo rigorosamente mantenerlo. Decida ora l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’esigenza che la mozione di sfiducia non possa essere posta in discussione se non dopo tre giorni dalla presentazione, l’onorevole Stampacchia, mi pare, propone sia stabilito un termine diverso, di cinque giorni. Ora osservo anzitutto che, dato lo stato odierno delle comunicazioni, in tre giorni si viene da tutto il mondo. Aggiungo poi che il testo stabilisce semplicemente questo, che la mozione non può essere posta in discussione prima di tre giorni, ma non esclude che non possa discutersi dopo tre giorni. Quindi, in definitiva, l’esigenza fatta presente dall’onorevole Stampacchia se non è direttamente sodisfatta, non è nemmeno esclusa.

PRESIDENTE. Chiederò ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Corbino, ella mantiene il suo emendamento?

CORBINO. Lo mantengo. Ma sarei disposto a ritirarlo se si potesse convenire di sopprimere il terzo comma, venendo così incontro anche alla proposta dell’onorevole Nitti, dato che il terzo comma è la conferma del primo con l’aggiunta dell’obbligo della presentazione del Governo entro dieci giorni. Ove si faccia l’ipotesi che il Presidente del Consiglio al decimo giorno abbia un mal di testa e non si possa presentare, si cadrebbe fuori della Costituzione. Propongo, quindi, di sopprimere il terzo comma e di affermare il principio che il Governo deve avere la fiducia. Se la Commissione accetta, allora io consento a ritirare il mio emendamento; se no insisto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione in proposito.

TOSATO. La Commissione insiste nel suo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, ella mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzei, ella mantiene il suo emendamento?

MAZZEI. Lo mantengo e chiedo di conoscere cosa ne pensa la Commissione, dato che ha mostrato di non prenderlo in esame.

PRESIDENTE. La risposta della Commissione era implicita nelle dichiarazioni che sono state fatte.

MAZZEI. Si trattava di una questione del tutto diversa.

PRESIDENTE. Prego allora l’onorevole Tosato di esprimere chiaramente in proposito il pensiero della Commissione.

TOSATO. Se ho ben compreso, l’onorevole Mazzei vorrebbe che la mozione di sfiducia possa essere firmata anche da un solo deputato, ma che non possa essere posta in discussione se essa non ottiene l’adesione di almeno un quarto dei componenti le Camere, dopo di che soltanto la discussione potrebbe avvenire.

Date le ragioni per cui abbiamo stabilito il requisito di un decimo, non mi pare che possiamo accogliere la proposta dell’onorevole Mazzei.

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, mantiene i suoi emendamenti?

STAMPACCHIA. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, mantiene la sua proposta?

RUBILLI. La mantengo.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Può darsi che la mia proposta non fosse sufficientemente motivata; ma la risposta che mi ha dato l’onorevole Tosato non è sodisfacente (Commenti) perché ella, onorevole Tosato, è venuto a dire che se si dovessero astenere dalla votazione i Ministri e i Sottosegretari, dovrebbero astenersi anche quelli che aspirano al Governo. (Commenti – Si ride).

Non è una ragione seria questa che mi si porta avanti. Io ho fatto una questione di dignità e di morale che ha il suo valore anche politico e che praticamente può avere grande importanza. Perché se il Ministero resta in piedi per i voti dei Ministri e dei Sottosegretari, quel Ministero è esautorato. (Approvazioni – Commenti). Questa è la verità!

Voi non potete esautorare la Camera in tal modo! La Camera è sovrana, ed è essa che giudica il Governo. Servirà a voi e servirà anche agli altri, non importa niente. Ma io dico che quando la Camera giudica il Governo, il Governo è sub judice ed è la Camera che deve decidere se il Governo deve o non deve rimanere. Si capisce che coloro che sono al potere vogliono rimanervi finché possono, ma rimanervi senza dignità, non è degno di un Governo. Quindi mantengo la mia opinione e mi appellerò anche al Paese! (Commenti).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io speravo che i chiarimenti dell’onorevole Tosato mi avrebbero meglio illuminato sul significato e sullo scopo dell’ultimo comma di questo nuovo testo che ci è presentato.

Credo di capire che, in sostanza, lo scopo per il quale si specifica o si vuole specificare nella Carta costituzionale la modalità con la quale deve essere discussa una mozione di sfiducia, (cosa che apparentemente non dovrebbe trovar posto in una Carta costituzionale ma, se mai, in un Regolamento della Camera o in un Regolamento del Senato) è da ricercare nel fatto che questa mozione di sfiducia rappresenta un istituto nuovo nel nostro diritto pubblico. Che io sappia, non è mai esistita infatti la mozione di sfiducia. È sempre esistita la richiesta della fiducia da parte del Governo. E se questa è la ragione per la quale la Commissione ritiene che, sulle modalità di discussione della mozione di sfiducia, si debba soffermare la Carta costituzionale, non ho nulla da obiettare. Ma avrei desiderato, allora, aver chiarito meglio perché si richiede un numero di firme di un quinto, di un quarto o di meno o di più membri dell’Assemblea per la discussione di una mozione di sfiducia.

Ha detto poc’anzi l’onorevole Mazzei che, secondo la Commissione, lo scopo è quello di assicurare la stabilità del Governo e, poiché l’onorevole relatore non ha smentito questa affermazione dell’onorevole Mazzei, devo ritenere che veramente questo è il pensiero della Commissione.

Ed allora consentitemi che io esprima la mia meraviglia, onorevoli colleghi! Ma come può essere in giuoco la stabilità del Governo? Se la mozione ha un numero di firme che è pari a un quarto o a un quinto dei membri dell’Assemblea, non è in giuoco la stabilità del Governo; se invece è in numero inferiore, allora è in giuoco la stabilità del Governo! Spiegatemi questo: se non è in giuoco la stabilità del Governo per una mozione di sfiducia che porti un gran numero di firme, come può essere compromessa la stessa stabilità del Governo per una mozione che porti un numero troppo limitato di firme? Può essere – è vero – che, nel corso della discussione, quella che prima era una minoranza diventi maggioranza.. Ma non vi pare allora, che questa è una. ragione sufficiente proprio perché non si imponga un numero così cospicuo di firme per la presentazione della mozione di sfiducia? Se questa possibilità c’è, che nel corso della discussione i deputati si convincano delle buone ragioni di chi ha firmato la mozione di sfiducia, non deve allora essere ritenuta sufficiente anche una sola firma perché la mozione di sfiducia venga discussa? Ma voi potete dirmi che c’è un’altra ragione, non quella della stabilità del Governo: il non far perdere tempo all’Assemblea per sterili discussioni. Potrebbe non essere un argomento serio quello che è portato alla ribalta della opinione pubblica e per cui è invocata la discussione in Assemblea. Questa potrebbe essere una plausibile ragione. Ma allora, non esistono forse i mezzi nella procedura ordinaria, perché tale discussione non abbia luogo? Quando si tratterà di iscrivere all’ordine del giorno, entro il limite di tempo prestabilito di 3 giorni, una mozione di sfiducia, che non è una mozione seria, non potrà il Governo appellarsi alla Camera, e chiedere che venga respinta la richiesta della iscrizione di essa all’ordine del giorno? In verità, io non vedo serie ragioni perché nella nostra Carta costituzionale si abbia a consacrare uno sproposito come questo.

Io penso che noi voteremo per divisione su quest’ultimo comma dell’articolo proposto dalla Commissione. Se così sarà, dichiaro che voterò contro la prima parte di quest’ultimo comma, cioè quella che dice: «la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera».

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Avevo presentato questa mattina un emendamento. Poiché due dei tre concetti da me svolti furono accolti nel testo della Commissione, vi rinunzio senz’altro.

Ma ce n’è un terzo, quello che riguarda la soppressione della «motivazione» per la «mozione di fiducia» e sono lieto di aver avuto in questo il consenso dell’onorevole Nitti.

Ora, la Commissione, mentre è rigida nel richiedere la motivazione per la mozione di sfiducia, mi sembra che non lo sia altrettanto per quel che riguarda la mozione di fiducia.

Vorrei chiedere alla Commissione se insiste nel chiedere che anche la mozione di fiducia sia motivata.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Ma di fatto è sempre motivata, è una motivazione in bianco. Anche adesso quando un Governo si presenta alle Camere ed ottiene la fiducia, l’ordine del Giorno di fiducia reca: «Udite le dichiarazioni del Governo ecc.».

«Udite le dichiarazioni del Governo» è una motivazione in bianco, ma è una motivazione; che richiama il programma esposto dal Governo come motivo della fiducia.

ARATA. Ne prendo atto e in questi sensi rinunzio al mio emendamento anche su questa parte.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ritiro il mio emendamento soppressivo del primo comma, ma insisto sulla soppressione del terzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tonello, mantiene il suo emendamento?

TONELLO. Piuttosto che ostinarmi a mantenerlo, vorrei che rimanesse come una raccomandazione, affidandomi, una volta, tanto, alla coscienza dei colleghi che saranno al Governo. (Commenti).

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione per divisione dell’articolo.

Pongo in votazione il primo comma:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma, del quale l’onorevole Corbino ha proposto la soppressione:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenere la fiducia».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma:

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni».

(È approvato).

Passiamo al quinto comma:

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

Su questo comma vi sono alcuni emendamenti, fra i quali ha la precedenza quello dell’onorevole Mazzei, che più si discosta dal testo della Commissione:

«Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consente almeno un quarto dei componenti la Camera».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei fare un’altra proposta, cioè quella di sopprimere quest’ultimo capoverso, perché, mentre le speciali modalità per il voto di sfiducia si potevano capire nella legge 16 marzo 1946 di fronte all’Assemblea Costituente, che era eletta soltanto per fare la Costituzione e che non aveva carattere strettamente legislativo, non si comprende come nella Costituzione dello Stato si debbano fissare speciali modalità per il voto di sfiducia. Se mai, è questione di Regolamento.

PRESIDENTE. C’è una proposta dell’onorevole Rubilli a questo proposito.

PERSICO. Allora mi associo alla proposta Rubilli.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Desidero chiarire che, secondo il nostro emendamento, la mozione di sfiducia va messa senz’altro all’ordine del giorno, ma per procedersi alla discussione bisogna che vi consenta un quarto dei componenti dell’Assemblea. E ciò è cosa diversa dall’appoggio di cui si parla nel Regolamento della Camera.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Mazzei, di chiarire il valore e il significato di questa sua proposta. È evidente che, nel momento in cui si chiederà alla Camera o al Senato della Repubblica se un quarto dei componenti appoggiano la mozione di sfiducia presentata da un solo deputato, comincia di fatto la discussione di merito sulla mozione di sfiducia. Ritengo perciò che anche soltanto per chiedere se un quarto dei presenti acconsenta che la mozione di sfiducia sia presa in considerazione, sarà necessario mettere all’ordine del giorno la questione, che non si potrà insinuare in fine della seduta, come una qualsiasi comunicazione ordinaria.

Pongo in votazione l’emendamento Mazzei testé letto:

(Non è approvato).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Rubilli:

«Sostituire le parole dell’ultimo comma: La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera, con le seguenti: La mozione di sfiducia deve essere presentata secondo le modalità che sono stabilite dai Regolamenti delle due Camere».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rimandare al Regolamento potrebbe apparire inutile perché si sa che tutte le norme sulla votazione sono stabilite dal Regolamento. La formula del rinvio non migliorerebbe poi, dal lato stilistico, non darebbe lustro al testo della Costituzione.

Vi è un certo stile delle Costituzioni a cui bisogna badare. In quanto al merito è un po’ strano quanto avviene. La seconda Sottocommissione era partita col fermo e concorde proposito di impedire più che fosse possibile l’instabilità e l’eccessiva mutevolezza dei Governi. A tal fine si era pensato da alcuni, perfino, che il Parlamento eleggesse il Governo per un certo tempo; e così via, con una gamma di proposte e di procedure perché i voti di sfiducia non fossero improvvisi e poco meditati. L’idea dell’Assemblea Nazionale venne fuori specialmente qui, per rendere possibile il ricorso contro il voto di sfiducia pronunciato in prima istanza da una Camera. Si avanzarono poi cifre di maggioranze speciali e di quorum, tenendo conto che un Governo può essere in minoranza davanti alle opposizioni, ma queste possono essere non concordi fra loro, e nessuna più forte numericamente del partito al Governo. Non entrerò in particolari, e non esaminerò più a lungo questi temi, che anche fuori d’Italia destano molte preoccupazioni; ed una maggiore stabilità di Governi è quasi una parola d’ordine. Ecco che qui, nell’Assemblea, tutto muta. Nella Commissione dei Settantacinque io dovevo reagire a chi voleva troppo consolidare i Governi, e troppo irrigidire i procedimenti per tenerli in vita. Ma qui si passa da un eccesso all’altro. E viene in prima linea, l’opposta preoccupazione che non sia ferita la libertà di discussione del Parlamento e non siano imposti vincoli alla sua facoltà, di dare o no la fiducia ai Governi.

Insisto soprattutto sulla necessità di non consentire gli «assalti alla diligenza», e le «bucce di limone», su cui si facevano scivolare i Governi, quando, per esempio, a fine seduta si veniva fuori ad un tratto con un ordine del giorno, o dando significato di sfiducia ad un voto qualunque, e si votava di sorpresa. È indispensabile: primo: stabilire che la sfiducia non può essere votata che in base a mozione motivata, da presentarsi almeno tre giorni primi della discussione.

Secondo: che la mozione sia motivata; e ciò non solo per un argomento generale di serietà, nel senso che le decisioni delle Camere siano espressamente ragionate (non dirò come debbono esserlo gli atti dell’Amministrazione) almeno nelle questioni più importanti; ma per la specifica opportunità, quando si apre una crisi, di dare un’indicazione sul modo di risolverla. Terzo: occorre un quorum per la presentazione della mozione di sfiducia. E qui specialmente si apre il dissenso.

La questione diventa impensatamente politica; le estreme sinistre e gli stessi liberali (che pur hanno, nei loro scritti, invocato la stabilità del governo) protestano ora a gran voce perché, richiedendo il quorum di presentazione, si… soffocherebbe la libertà di discussione al Parlamento. Per verità non riesco a capire. La discussione sulla politica del Governo si potrà fare sempre, in mille modi, con interpellanze, con mozioni ordinarie, con l’esame dei progetti di legge. Non si toglie il diritto di discutere alle minoranze. Ma la questione di mutar il governo deve essere posta esplicitamente; con una speciale forma di mozione – la mozione di sfiducia – che, sia pure istituto nuovo nella nostra vita parlamentare, si rivela istituto necessario.

Si tratta di una procedura speciale ed eccezionale. Non solo per render meno instabili i Governi, ma – l’onorevole Martino ha visto bene – per evitare discussioni all’infinito. Sappiamo cosa avviene in simili occasioni, di mozioni di sfiducia come di presentazioni del governo: ciascuno si sente in diritto ed in obbligo di dire la sua; si parla de omnibus rebus et de quibusdam aliis, e le discussioni durano settimane e settimane; sono discussioni panoramiche su tutto ciò che avviene nell’Italia e nel mondo; si va a frugare in ogni angolo dell’amministrazione; si portano questioncelle locali; è un bucato generale, che non si addice alla serietà del Parlamento.

Libertà di discussione, sì; ma norme e cautele per le questioni di sfiducia, e per l’istituto di una speciale mozione, che appunto si stabilisce. Il quorum d’un quinto non può ritenersi eccessivo; se non si trova un quinto dei membri della Camera per dare battaglia, vuol dire che è inutile dare battaglia.

Onorevoli colleghi, credete voi che il Paese sia contento delle continue logomachie sulle questioni di fiducia? Bisogna ricorrere a tali discussioni quand’è necessario; non per perdere tempo. Si eserciti la libera critica nelle forme ordinarie, ma si tenga presente quanto di serietà richiede l’onore ed il prestigio del Parlamento. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Desidero chiarire all’onorevole Ruini che nell’emendamento da noi presentato non si nasconde alcuna buccia di limone; vi è un equivoco da parte sua. Noi abbiamo chiesto la soppressione della prima parte del quinto comma, non della seconda parte; non chiediamo la soppressione dell’intero comma; rimarrebbe la dizione «non può essere posta in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

La seconda parte del comma costituisce materia di legge costituzionale, appunto perché deve rappresentare una garanzia per tutti, per il Governo, per le Camere, per la serietà della discussione.

Per la prima parte sono d’accordo con l’onorevole Ruini che occorrono delle garanzie, per quanto riguarda la discussione relativa al voto di sfiducia. Ma dovremmo essere d’accordo anche su questo: che non si tratta in tal caso di materia costituzionale, ma di materia regolamentare, e sono i Regolamenti delle Camere legislative che dovranno provvedere in proposito.

Mi è sembrato di notare che forse la maggioranza dell’Assemblea neppure condivida il concetto della Commissione, cioè che un quinto dei deputati (cento-centoventi) debba firmare la mozione, tanto meno poi io, lo condivido.

Ed allora abbiamo pensato: a prescindere dalle discordi opinioni sul numero dei deputati firmatari della mozione, effettivamente si tratta di materia regolamentare – perché sono i regolamenti delle rispettive Assemblee che stabiliscono le modalità delle discussioni – e già troppe materie regolamentari abbiamo inserite nella Costituzione (ho di già in precedenza notato, ad esempio, che l’articolo 69 riguarda integralmente solo materie regolamentari); perciò mi sembra che, trattandosi pure di una questione abbastanza delicata, impegnare fin da ora le Camere che verranno sulle modalità con le quali andrà presentata la mozione per un voto di sfiducia ci induca ad assumere una responsabilità che esula un poco dai limiti delle nostre attribuzioni. La seconda parte sì, lo ripeto, può rimanere, poiché riguarda materia costituzionale e perciò noi non ci opponiamo; ma per quanto si riferisce alla prima parte, sia perché c’è pieno dissenso nella maggioranza della Camera rispetto alla proposta della Commissione, sia perché si tratta di materia esclusivamente regolamentare, noi crediamo che il nostro emendamento all’articolo 88 debba essere accolto.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Desidero soltanto dire che allora non sono più d’accordo con l’onorevole Rubilli.

PRESIDENTE. Comunico che sull’emendamento Rubilli è stata chiesta la votazione segreta dagli onorevoli Pajetta Giuliano, Iotti Leonilde, Moranino, Barontini Anelito, Carini, Saccenti, Ricci, Bucci, Laconi, Chiarini, Landi, Grieco, Corbi, Allegato, Imperiale, Pucci, Cavallotti, Ruggeri, Mezzadra, Pajetta Giancarlo.

Si tenga presente che secondo le ultime spiegazioni date dall’onorevole Rubilli questo emendamento non è sostitutivo di tutto l’ultimo comma dell’articolo, ma solo della prima parte che si riferisce al modo di presentazione della mozione e non al termine di tempo entro cui va posta in discussione.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     341

Maggioranza           171

Voti favorevoli        165

Voti contrari            176

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti –Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foresi – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pecorari – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Presentazione di una relazione.

BOZZI. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi onoro di presentare la relazione sul disegno di legge: Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Targetti, il quale propone di sostituire alle parole «un quinto» le altre «un decimo» in maniera che il testo risulti del tenore seguente:

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti la Camera».

Gli onorevoli Bordon, Giacometti, Vernocchi ed altri hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto di questo emendamento.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Volevo domandare se, dato l’esito della votazione, non potrebbe forse essere più utilmente messo in votazione prima di tutti gli altri, l’emendamento presentato dall’onorevole Mazzei che mi sembra forse più adatto per conciliare le tendenze opposte.

L’emendamento Mazzei si potrebbe trasformare in questo senso:

«La discussione di una mozione di sfiducia non può avere luogo prima di tre giorni dalla presentazione e se non vi consenta il quarto dei componenti della Camera».

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, ma è lo stesso emendamento dell’onorevole Mazzei che l’Assemblea ha già respinto: l’abbiamo votato per primo.

Comunico che sull’emendamento Targetti è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Carpano Maglioli, Fiorentino, Tomba, Barbareschi, Fedeli Aldo, Faralli, Vischioni, Pistoia, Vernocchi, Tega, Fornara, Bordon, Costa, Giacometti, Stampacchia, Corbi, Pajetta Giancarlo, Iotti Leonilde, Fantuzzi. Moranino.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     325

Maggioranza           163

Voti favorevoli        170

Voti contrari             155

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte, alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michelis Paolo – De Palma – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Momigliano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Siles – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Presentazione di una relazione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per presentare una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’ultima parte dell’ultimo comma dell’articolo nel testo della Commissione:

«e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

(È approvata).

Il testo unificato degli articoli 87 e 88 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale.

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente articolo aggiuntivo 88-bis:

«Il Presidente della Repubblica può subordinare l’accettazione delle dimissioni del Governo, presentate all’infuori del caso di cui all’articolo precedente, all’espressione di un esplicito voto da parte del Parlamento intorno alla politica governativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Questo emendamento si ricollega ad una prassi già esistente nel vecchio ordinamento costituzionale, di cui ho parlato questa mattina in un altro breve intervento, tendente a rendere chiare le relazioni fra Governo e Parlamento, allo scopo di mettere il popolo, il quale può ad un certo momento essere chiamato giudice di eventuali contrasti, in condizioni di valutarne i termini. Ad ogni modo, mi rimetto a quanto la Commissione riterrà opportuno di fare.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non ha potuto esaminare questo emendamento dell’onorevole Mortati. Quindi credo opportuno che lo si rinvii. Resta approvato l’articolo com’è. Si vedrà in seguito se sia il caso di fare un articolo aggiuntivo o anche un nuovo comma dell’articolo che abbiamo deliberato. Pronunciarsi su due piedi, non mi sembra opportuno.

PRESIDENTE. Vi è, dunque, la proposta da parte del Presidente della Commissione dei Settantacinque di rinviare la decisione in merito alla proposta di un articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati. Se non vi sono osservazioni si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Mi pare che a questo punto dovremmo passare all’esame dell’articolo 84, in relazione alla domanda di sospensiva fatta a suo tempo dall’onorevole Corbino, di rinviare la votazione di questo articolo dopo la votazione degli articoli 87 e 88.

PRESIDENTE. Allora riprendiamo l’esame dell’articolo 84. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere».

PRESIDENTE. Parte degli emendamenti presentati a questo articolo sono stati già svolti in una seduta precedente.

L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 84 col seguente:

«Su proposta del Consiglio dei Ministri e sentito il parere dei Presidenti delle due Camere, il Presidente della Repubblica può decretare lo scioglimento delle Camere legislative solo nel caso in cui in un medesimo periodo di 18 mesi siano avvenute due crisi ministeriali.

«In nessun caso, però, le Camere potranno essere sciolte prima che siano trascorsi diciotto mesi della legislatura».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

NOBILE. L’emendamento non è che la riproduzione di un articolo della Costituzione francese e corrisponde, su per giù, a quello presentato dall’onorevole Carpano. La sola differenza consiste nei limiti di tempo.

Nell’emendamento Carpano si stabilisce che le Camere possono essere sciolte, quando siansi verificate due crisi ministeriali nel corso di sei mesi. Con ciò si verrebbe ad ammettere la possibilità che si abbia una crisi ogni tre mesi! Purtroppo, qualche volta ciò è accaduto in Italia, ma parlarne nella Costituzione mi sembra inammissibile.

Se un emendamento del genere va approvato dall’Assemblea, vorrei, perciò, raccomandare i termini di tempo stabiliti nell’articolo 51 della Costituzione francese, che a me sembrano più ragionevoli. E non ho altro da aggiungere. A me piacerebbe veder approvata una proposta simile per due considerazioni: da un lato essa limiterebbe i poteri di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica; dall’altro, contribuirebbe implicitamente ad una maggiore stabilità del Governo, perché inviterebbe le Camere ad una maggiore riflessione prima di dare per la seconda volta un voto di sfiducia.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere sugli emendamenti.

TOSATO. Relativamente all’articolo 84 sono stati presentati vari emendamenti.

Circa gli emendamenti presentati dagli onorevoli Benvenuti e Dominedò ho avuto occasione di esprimere il pensiero della Commissione. La Commissione è contraria ad ammettere una possibilità di scioglimento della Camera da parte del Presidente della Repubblica in via di prerogativa, cioè, secondo il significato attribuito a questo termine dai presentatori degli emendamenti, senza il concorso di un Ministro che assuma la responsabilità dell’atto del Presidente.

La Commissione resta ferma al principio fondamentale che nessun atto del Presidente possa aver luogo senza la controfirma di un Ministro responsabile.

Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Costantini secondo il quale «il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti» la Commissione è dolente di dover esprimere un apprezzamento negativo. Quando mai i Presidenti delle Camere vorranno assumersi la responsabilità, di accordare al Presidente l’assenso per lo scioglimento delle Camere? Quando mai questi Presidenti, eletti dalle Camere, vorranno assumersi questa responsabilità di fronte ai membri delle Camere? L’emendamento proposto affida ai Presidenti un compito estraneo alle loro funzioni, e li mette, senza ragione, in una situazione impossibile. Praticamente, l’onorevole Costantini se ne renderà conto, lo scioglimento delle Camere non avrà mai luogo, e se avverrà, avrà luogo quando i Presidenti siano sicuri del consenso delle Camere. (Interruzione del deputato Costantini).

Secondo l’emendamento dell’onorevole Nitti i Presidenti delle Camere non dovrebbero essere nemmeno sentiti. Ora, è evidente onorevole Nitti, che il testo della Commissione rappresenta precisamente una transazione: transazione nei limiti del possibile per conservare la natura e gli scopi dell’istituto tra due tendenze opposte, la tendenza che vuol subordinare assolutamente la possibilità del Presidente di sciogliere le Camere all’assenso di organi diversi da quelli del Governo, e l’altra tendenza che vuol realizzare puramente e semplicemente la discrezionalità del Presidente col suo Governo per lo scioglimento delle Camere. Il progetto rappresenta questo tentativo di conciliazione nel senso che per un atto così importante si deve bensì sentire il parere dei Presidenti delle Camere, salvo però l’apprezzamento che di esso faranno il Governo e sopra tutto il Presidente della Repubblica. L’emendamento dell’onorevole Nitti però – leggo meglio – vuole anche limitare il potere del Capo dello Stato allo scioglimento della Camera dei deputati. Ora, la Commissione non può accogliere tale proposta.

L’emendamento presentato dall’onorevole Nitti ha una sua ragion d’essere in relazione alla sua proposta originale relativamente al Senato. L’onorevole Nitti suggeriva, come ricordate, un Senato avente una durata maggiore della durata della Camera dei deputati, e soprattutto un Senato rinnovabile parzialmente ogni biennio o triennio. Ora, dato che l’Assemblea ha respinto questo suggerimento, escludendo il rinnovamento parziale del Senato, non v’è alcuna ragione di limitare lo scioglimento alla Camera dei deputati, escludendone la possibilità per il Senato. Non sarebbe più giustificato, questo trattamento diverso per le due Camere.

Secondo l’onorevole Colitto bisognerebbe precisare che il Presidente può sciogliere entrambe le Camere o anche una di esse.

Il testo della Commissione è generico, dice semplicemente: il Presidente può sciogliere le Camere. Ma io credo che il testo del progetto comprenda implicitamente questa proposta esplicita fatta dall’onorevole Colitto.

Faccio una ipotesi. La Camera dei deputati dura cinque anni, il Senato sei anni. Nel giro di poche legislature l’elezione del Senato, salvo scioglimenti anticipati, potrà cadere dopo due o tre anni da quella della Camera dei deputati; e con l’elezione del Senato manifestarsi una situazione politica totalmente cambiata, cambiata tanto da infirmare il valore rappresentativo della Camera dei deputati, eletta precedentemente.

Ritengo che in questo caso, il Presidente della Repubblica possa sciogliere soltanto la Camera dei deputati, e non il Senato appena uscito dal suffragio popolare.

Comunque, la Commissione non è contraria a questa precisazione proposta dall’onorevole Colitto.

Secondo l’emendamento presentato dall’onorevole Carpano ed altri, il Presidente della Repubblica potrebbe, sì, sciogliere le Camere, ma non prima di un anno dalla loro elezione, e nel caso che si siano verificate due successive crisi di Governo, in seguito a voto di sfiducia, nel periodo di un semestre.

Quindi, secondo questo emendamento, il potere di scioglimento del Presidente sarebbe subordinato a due condizioni: una generale, in ogni caso nessuno scioglimento prima che sia trascorso un anno dalle elezioni delle Camere stesse; seconda condizione, scioglimento possibile soltanto in quanto nel giro di un semestre siano intervenute due crisi ministeriali per voto di sfiducia delle Camere.

La Commissione osserva che, per quanto riguarda il termine di un anno – e questo vale per l’emendamento analogo, sotto questo aspetto, dell’onorevole Nobile (che propone invece un termine di diciotto mesi) – esso evidentemente ha qualcosa di arbitrario e in definitiva servirebbe a frustrare quelle esigenze che si intendono sodisfare precisamente col potere di scioglimento. Può darsi infatti che le esigenze, che giustifichino il potere di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica, si manifestino prima di un anno o di diciotto mesi dalla elezione delle Camere.

Questa arbitrarietà di un termine vale anche per l’altro requisito positivo posto dall’onorevole Carpano: cioè lo scioglimento è possibile soltanto in quanto siano intervenute due crisi nel giro di un semestre. Questo requisito positivo da un lato è arbitrario, dall’altro, in definitiva, potrebbe portare alla conseguenza di subordinare sempre l’esercizio del potere di scioglimento da parte del Presidente alla volontà delle Camere; perché è evidente che, se lo scioglimento è possibile soltanto in quanto le Camere votino la sfiducia al Governo due volte nel giro del semestre, le Camere che non vogliono restare sciolte, potranno facilmente rinviare il voto di sfiducia poco dopo il decorso del semestre dalla crisi precedente, rendendo così sempre impossibile lo scioglimento.

Per queste ragioni la Commissione non può accettare l’emendamento Carpano e quello, analogo, proposto dall’onorevole Nobile.

L’emendamento proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli vorrebbe aggiungere un comma: «In tal caso i poteri delle Camere non sono prorogati fino alla riunione delle nuove Camere».

Tutti ricordano che l’Assemblea ha approvato l’istituto della prorogatio, in forza del quale le Camere, anche scadute, possono essere convocate; s’intende, in circostanze straordinarie, che ne rendono opportuna, anzi necessaria, la convocazione. Secondo l’onorevole Bosco Lucarelli si dovrebbe fare una eccezione a questo istituto della prorogatio nel caso in cui le Camere cessino non per morte naturale, ma per scioglimento.

Ora, credo che questo emendamento sia determinato da preoccupazioni che, in fondo, non hanno effettiva giustificazione. Vi sono due ipotesi da fare: o il Governo è posto in minoranza delle Camere: in Questo caso il Governo può suggerire al Presidente, ed il Presidente consentire, lo scioglimento delle Camere: ed è evidente che in questo caso le Camere non potranno essere convocate per discutere e votare la sfiducia al Governo: ciò è escluso dal fatto che il Presidente ha fatto esercizio del potere di scioglimento; oppure il Governo conserva la fiducia delle Camere. Se ciò nonostante queste vengono sciolte, questo implica tra il Governo e l’Assemblea e tra l’Assemblea ed il Paese un dissidio in forza del quale il Presidente ha ritenuto opportuno sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni. Lo scioglimento può essere anche giustificato dal manifestarsi della necessità di risolvere gravi questioni, questioni del tutto nuove, sulle quali il corpo elettorale non ha avuto occasione di prendere posizione attraverso le elezioni. È evidente che in questi casi non si può invocare la prorogatio dei poteri delle Camere, per discutere della fiducia al Governo. In ambedue le ipotesi indicate si abuserebbe della proroga dei poteri per combattere il Governo e, in definitiva, per porre in discussione lo scioglimento, il che è evidentemente inammissibile e escluso. Per tutte le altre questioni, non attinenti la fiducia al Governo, la possibilità della convocazione dev’essere sempre ammessa, e tanto più, aggiungo, quando le Camere sono sciolte. Gli eventi straordinari che giustificano la convocazione delle Camere scadute possono verificarsi anche a Camere sciolte – si pensi ad esempio al caso di emanazione di decreti-legge di urgenza – e quindi, anche nell’ipotesi di scioglimento, anzi a maggior ragione, la prorogatio ha ragion d’essere. D’altronde ripeto: la proroga non può essere invocata, data la sua natura e la sua funzione, se non per casi ed eventi veramente straordinari e urgenti.

Vengo all’emendamento dell’onorevole Romano, il quale propone di aggiungere questo comma: «Allo scioglimento delle due Camere seguirà l’elezione del Presidente della Repubblica da farsi entro sei mesi dalla elezione delle Camere stesse». Evidentemente questo emendamento, dopo gli articoli che abbiamo già approvato, non ha più ragion d’essere e cade.

La Commissione non è aliena dall’accettare l’emendamento dell’onorevole Laconi, sebbene ritenga sia superfluo. Infatti abbiamo già votato un articolo in forza del quale non si procede ad elezione del Presidente della Repubblica nel caso in cui questa elezione cada nell’ultimo semestre di vita delle Camere. È evidente che una norma di correttezza costituzionale imporrà identica condotta da parte del Presidente della Repubblica per quanto riguarda lo scioglimento.

Tuttavia, se l’onorevole Laconi insiste, la Commissione non ha difficoltà ad accettare la sua proposta.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se intendono mantenerli.

Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Lo ritiro, riservandomi di ripresentarlo quando si discuterà il problema della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Sta bene. E lei, onorevole Costantini?

COSTANTINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, lo mantiene?

NITTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Dominedò?

DOMINEDÒ. Lo ritiro, ma a proposito di questo emendamento debbo una parola di risposta all’onorevole Orlando, il quale mi ha fatto l’onore di un apposito intervento.

Mi è sembrato, in primo luogo, che l’onorevole Orlando collegasse eccessivamente l’ipotesi prospettata nel mio emendamento a quella delle prerogative in via personale. Viceversa, fra i due casi, a prescindere dal distacco obiettivo, vi è questo divario: che nelle prerogative in via strettamente personale, classiche e tradizionali, è senza altro esclusa la controfirma del Governo, mentre qui la controfirma è sempre possibile, anche se non necessaria, agli effetti della validità.

In secondo luogo, l’obiezione che la proposta in parola risulti inconciliabile col principio di irresponsabilità, viene del tutto meno quando invece si postuli un’ipotesi di responsabilità a seguito dell’esercizio di questo potere autonomo e indipendente; ciò che espressamente mi riservavo di fare.

In terzo luogo, ed ultimo, la proposta, piuttosto che rivolta al passato, appare protesa verso il futuro, in quanto tendente ad accogliere un aspetto del potere presidenziale del Capo dello Stato per inserirlo organicamente nel sistema del Governo parlamentare da noi adottato.

Mi rendo conto che questo tentativo di sintesi possa forse eccessivamente turbare lo schema già predisposto dalla Commissione, e perciò, in omaggio alla maggioranza prevalsa nell’ambito del mio Gruppo, non insisto a che l’emendamento sia posto in votazione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Colitto è stato accettato dalla Commissione.

Onorevole Carpano Maglioli, mantiene il suo emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni della Commissione, che devono essere intese come una interpretazione autentica, secondo le quali in questi casi le Camere funzionerebbero solo per gli atti di ordinaria amministrazione, non insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Romano è stato assorbito.

Onorevole Laconi, mantiene l’emendamento?

LACONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Ritiro il mio emendamento in quanto sostanzialmente non differisce da quello dell’onorevole Carpano Maglioli al quale mi associo. Vorrei però, quando verrà in votazione l’emendamento Carpano, proporre che sia votato per divisione, separando quanto concerne il termine di tempo.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il nostro Gruppo voterà favorevolmente all’emendamento che porta il mio nome, in quanto è stata approvata nell’articolo 81 la disposizione che in caso di scioglimento delle Camere i poteri del Presidente sono automaticamente prorogati. Se noi a questo punto non stabilissimo un certo limite nella facoltà del Presidente, riguardo allo scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica avrebbe la possibilità di fare un piccolo colpo di stato legale, e cioè potrebbe sciogliere le Camere per avere prorogati i poteri e avvalersi di questo potere prorogato per influenzare le nuove elezioni. Se domani il Presidente della Repubblica, allo scadere del suo mandato, si trovasse con due Camere le quali in modo evidente non gli fossero favorevoli, egli potrebbe benissimo sciogliere le Camere e prorogare i suoi poteri per avere nuove Camere che potrebbero essere a lui più favorevoli.

Ora, questo sarebbe tanto più grave se per caso non dovesse passare l’emendamento dell’onorevole Carpano, perché allora il diritto di scioglimento del Presidente sarebbe senza limiti in quanto il Presidente potrebbe sciogliere le Camere appena elette. Siccome una tradizione democratica in Italia non vi è ancora, penso che non sia male di stabilire delle clausole a questo riguardo.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Volevo precisare che il nostro Gruppo voterà il testo della Commissione salvo l’emendamento dell’onorevole Laconi, che accetta, e voterà contro tutti gli altri emendamenti. È un problema grave questo, che abbiamo accuratamente esaminato. Non c’è nessun dubbio che nel sistema della nostra Costituzione lo scioglimento anticipato sia una necessità. Si potrebbe pensare diversamente se avessimo ammesso il sistema della legislatura breve, ma con Camere che durano cinque o sei anni e con la mutevolezza della pubblica opinione in Italia, sarebbe impossibile immaginare un sistema diverso. Lo scioglimento è inevitabile. Si deve osservare che l’istituto dello scioglimento è postulato necessario dell’altro istituto che è rappresentato dal referendum popolare introdotto dalla nostra Costituzione. Sarebbe un assurdo intollerabile ed un evidente pericolo politico che una maggioranza parlamentare battuta da un massiccio referendum popolare potesse e dovesse sopravvivere per cinque o sei anni. Ammesso il principio ci pare che la formula più esatta sia quella concordata dalla Commissione e riteniamo pertanto che gli altri emendamenti siano nettamente da respingere.

All’autorevole parola dell’onorevole Orlando si può rispondere che non occorre stabilizzarsi su formule scientifiche; tanto più che, avendo già votato l’articolo 84, abbiamo escluso la interpretazione di un potere personale del Presidente della Repubblica, ed abbiamo creato, non un atto di prerogativa, ma un atto di Governo circondato da una garanzia nuova: la garanzia del parere favorevole dei Presidenti delle due Assemblee.

E vengo all’emendamento presentato dall’onorevole Costantini, nei confronti del quale osservo che le Camere non hanno una naturale tendenza al suicidio, e che, se si dovesse ottenere sempre che i due Presidenti di entrambe le Camere si dichiarassero favorevoli allo scioglimento anticipato della Camera che rappresentano, non arriveremmo mai ad ottenere lo scioglimento quando dall’esito di elezioni parziali la coscienza pubblica deducesse l’assoluta necessità di un mutamento di Governo.

Ma l’emendamento dell’onorevole Carpano è quello che più ci ha preoccupato. Io a questo vorrei opporre la seguente considerazione: supponga l’onorevole Carpano che tre crisi successive rivelino l’impossibilità di costituire un Governo. Abbiamo il caso del comune di Roma, per esempio: può darsi che lo stesso succeda sul piano nazionale… (Interruzione del deputato Carpano Maglioli).

Ma, onorevole Carpano, qui non c’è la possibilità di nominare un Commissario.

Si può nominare un Commissario per l’amministrazione del comune di Roma, ma non per l’amministrazione dell’Italia. Ed io suppongo che se, come si è proposto, non potranno votare i membri del Governo e la maggioranza effettiva è soltanto di quattro o cinque voti, possano anche manifestarsi quattro o cinque successivi dinieghi di fiducia. Ed allora cosa può fare il Capo dello Stato se non può ricorrere alle nuove elezioni? È un caso che si può anche verificare e bisogna, necessariamente, valutarlo.

Del resto dico all’onorevole Carpano: delle due l’una: o le crisi non si verificheranno ed allora è evidente che non c’è bisogno dello scioglimento; o vi saranno crisi multiple, ed allora sarebbe pericoloso porre un limite di tempo prima del quale non sia possibile procedere allo scioglimento.

Del resto, mi pare ovvio che il Presidente della Repubblica, che è anch’egli figlio della stessa maggioranza, sarà estremamente cauto nel valersi di questa facoltà, così come sarà estremamente cauto il Governo. C’è il mito di Saturno nella leggenda, ma non c’è il mito opposto dei figli che mangino il padre. I membri del Governo sono figli della maggioranza e si suppone che non possano battersi contro la maggioranza che li ha espressi. Credo che il Presidente sarà estremamente cauto nel valersi di questa somma sua facoltà. Se poi la maggioranza nuova gli darà ragione tanto meglio; se gli darà torto tanto peggio per lui. Farà come tanti altri Presidenti: se ne andrà.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il nostro Gruppo, ritenendo che il potere di scioglimento delle Camere sia uno strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai reali mutamenti dell’opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle legislature, voterà in favore dell’articolo 84 e contro tutti gli emendamenti modificativi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Costantini:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere col consenso espresso dei rispettivi Presidenti».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione il testo della Commissione con l’emendamento Colitto, accettato dalla Commissione:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse».

(È approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Carpano Maglioli e altri, tendente ad aggiungere al testo ora votato le seguenti parole:

«non prima di un anno dalla loro elezione e nel caso che abbiano dato luogo a due mutamenti di Governo a seguito di voto di sfiducia nello spazio di un semestre».

Su questo emendamento è pervenuta una richiesta di votazione per scrutinio segreto degli onorevoli Maltagliati, Laconi, Vernocchi, Giacometti, Fedeli Aldo, Pistoia, Scoccimarro, Sicignano, Corbi, Grieco, Pesenti, Gallico Spano Nadia, Fedeli Armando, Saccenti e altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     309

Maggioranza           155

Voti favorevoli         116

Voti contrari                        193

(L’Assemblea, non approva).

Hanno preso parie alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bocconi – Boldrini – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Candela – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cosatimi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena –Longo – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia.

Nasi – Negarville – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Laconi, accettato dalla Commissione, tendente ad aggiungere il seguente comma:

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

(È approvato).

L’articolo 84 risulta nel suo complesso, salvo coordinamento, così approvato:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse.

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

Siamo così arrivati quasi al termine di questo Titolo. Occorre che terminiamo l’approvazione degli articoli 89, 90, 91, 92 e 93 entro la giornata di domani.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo sia difficile, perché dobbiamo esaminare l’articolo relativo al Consiglio economico.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, è necessario che finiamo domani, perché nella prossima settimana dovremo esaminare una serie di disegni di legge che sono pronti e devono essere votati prima dell’interruzione dei nostri lavori. D’altra parte, la prossima settimana dovremo risolvere la questione delle Regioni. Se concludiamo domani questa parte, la prossima settimana potremo terminare il nostro programma.

Dovremo, pertanto, domani anticipare l’inizio della seduta.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo sarebbe più conveniente, e molti colleghi sarebbero più contenti, se, anziché anticipare la seduta di domani, si interrompesse adesso fino alle 22, per riprendere con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Corbino.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

(La seduta, sospesa alle 20.45, è ripresa alle 22.30).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, riprendiamo l’esame del secondo comma dell’articolo 52, nel quale, per la prima volta nel progetto di Costituzione, si parla dell’Assemblea Nazionale. Nel testo del progetto esso è di questo tenore:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione».

L’onorevole Perassi ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei casi stabiliti dalla Costituzione»,

Gli onorevoli Bozzi e Nitti avevano proposto il seguente emendamento:

«Nei soli casi preveduti dalla Costituzione le due Camere deliberano congiuntamente».

Onorevole Bozzi, mantiene l’emendamento?

BOZZI. Lo mantengo senza svolgerlo,

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino aveva presentato, insieme agli onorevoli Condorelli e Russo Perez, il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Parlamento si riunisce in seduta plenaria nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Onorevole Corbino, mantiene il suo emendamento?

CORBINO. Aderisco al lesto proposto dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli aveva presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Le due Camere si riuniscono in seduta plenaria nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Non essendo l’onorevole Macrelli presente, il suo emendamento si intende decaduto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se vi ricordate, onorevoli colleghi, avevamo soprasseduto all’esame di questo secondo comma dell’articolo 52 perché non sapevamo che cosa sarebbe stato della riunione in comune delle due Camere. Il concetto della riunione in comune delle due Camere è ormai affermato, sia pure in casi limitati; come l’elezione del Capo dello Stato, e la sua messa in accusa. La riunione delle due Camere c’è; dobbiamo darle un nome? Vi è la proposta dell’anonimato, del nome x; e si informa a tale criterio l’emendamento Nitti-Bozzi, che parla di «deliberazioni» in comune delle due Camere; e come sostanza mi potrebbe bastare, anche perché si mette l’accento sulla «deliberazione» e si dà così alle due Camere riunite un contenuto che va al di là della semplice funzione elettorale o di accusa; e lascia aperte le porte all’avvenire, ad altri casi in cui con modifiche costituzionali si potrà richiedere la riunione delle due Camere.

Non vi ho nascosto, e vi ho detto altre volte, le ragioni per cui fui e sono favorevole a questo istituto, mentre sono nettamente contrario al monocameralismo. Le due Camere lavorano, normalmente, e per definizione, in modo separato; ma – posto che sono tutte due elettive ed a piena parità – nulla vieta che si possano riunire assieme, in date occasioni, per funzioni che possono meglio adempiere che se fossero separate. Con la nostra Costituzione non vogliamo fare salti nel buio; ma anche tentare qualche via nuova, con cautela e prudenza; e così si fa, rendendo possibili le riunioni comuni in casi che debbono essere stabiliti tassativamente dalla Costituzione. Mi sembra strano che siano proprio deputati d’estrema sinistra a non comprendere la portata dell’istituto; e ad aver paura della «terza Camera»; mentre vi è dall’opposta parte chi ha paura che ci si avvia, per siffatta strada, ad una Camera sola. Né una né tre; c’è una riunione, per dati casi, delle due Camere; e l’avete ammessa nella Costituzione: ed è bene che le diamo un nome.

Gli onorevoli Corbino e Perassi propongono di tirar fuori il nome glorioso e tradizionale di Parlamento per designare le riunioni dei membri delle due Camere. Niente di male; significherebbe per un certo aspetto dar maggiore rilievo all’istituto. Parlando di adunanze «plenarie» o «comuni», si sottolinea di più una certa unità e quasi normalità del Parlamento a Camere riunite. Ma può forse sorgere qualche incertezza ed equivoco sul nome di Parlamento; che è usato appunto tradizionalmente per designare le due Camere, quando lavorano separatamente; ora invece verrebbe spostato ad indicare più specificamente i casi – in realtà eccezionali – in cui le due Camere si riuniscono insieme. La dizione Perassi parla di riunione dei membri delle due Camere, e non di riunione delle due Camere; è una sottile distinzione; e può essere accettata, anche se non si chiama la riunione col nome di Parlamento.

Confesso che vorrei ritornare alla espressione originariamente proposta di Assemblea generale; che è adoperata spesso anche all’estero; e che comunque dà la più diretta impressione – meglio che adunanza plenaria o comune – di ciò che si ha, quando le due Camere si riuniscono assieme. La parola, che ha sollevato tante apprensioni e fobie, non le desta più, ora che tutti hanno accolto – seppure a scartamento ridotto, per ora (verranno poi le revisioni costituzionali) – l’istituto della riunione. Ma, qualunque nome si adotti, resta ormai la sostanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere l’emendamento presentato:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione».

PERASSI. Il Presidente della Commissione ha manifestato l’opinione che convenga mantenere la dizione: «Assemblea Nazionale» usata nel progetto per denominare la riunione delle due Camere. Io non avrei difficoltà, tuttavia mi pare che sia da considerare una soluzione anche più semplice.

Noi abbiamo nel progetto il Titolo: «Il Parlamento». Vi si dice anzitutto: «Il Parlamento è composto dalle due Camere». Poiché abbiamo determinato i casi in cui i componenti le due Camere si riuniscono insieme, si tratta ora di dare il nome a questa formazione.

Osservo anzitutto che la formula: «Camere riunite», che è stata da taluni proposta, dal punto di vista tecnico non sarebbe molto felice, perché in realtà non è che le Camere come tali si riuniscono; è che i componenti le due Camere formano insieme un collegio, che prende deliberazioni collegiali, distinte da quella che è la volontà delle singole Camere. La deliberazione di quel che si chiamerà il Parlamento o Assemblea Nazionale non è né un accordo né un atto collettivo, ma l’atto di un organo collegiale, i cui componenti sono individualmente i membri delle Camere. Volendo raffigurare le cose – direi quasi – cinematograficamente, supposto che si tenga in quest’Aula la riunione delle due Camere, è molto probabile che non si vedrebbe distinzione di seggi tra deputati e senatori.

Ora, una volta ben stabilito giuridicamente che questi atti, sia pure pochi (l’elezione, la messa in istato d’accusa e qualche altra elezione che forse verrà), sono di competenza di questo organo in tal modo costituito, si rende necessario di dargli un nome appropriato. Quale nome? Qui sorge la questione: quale scegliere? Se si consultano le Costituzioni dei diversi Stati esteri, nei quali esiste un istituto analogo, si ritrovano diverse denominazioni: Congresso, Assemblea Nazionale, Skupcina, Soviet supremo. Sono tutti nomi che indicano l’organo corrispondente a quello di cui stiamo parlando. Quale di queste diverse denominazioni scegliere? Mi pare che la parola «Parlamento» sia innanzitutto italianissima e poiché è già usata nel Titolo, mi pare convenga usarla anche in questo significato specifico, cioè per indicare il collegio formato con i componenti le due Camere.

Senza voler dare un peso particolare ad esempi stranieri, ricordo che la nuova Costituzione francese segue il medesimo sistema. Voi sapete che nella nuova Costituzione francese la prima Camera si chiama Assemblea Nazionale, la seconda Consiglio della Repubblica. Ora, la parola «Parlamento», nella nuova Costituzione francese, è usata precisamente per indicare l’organo collegiale risultante dall’insieme dei membri dell’Assemblea Nazionale e del Consiglio della Repubblica. Così si dice che l’elezione del Presidente della Repubblica è fatta dal Parlamento.

Per queste considerazioni, prendendo lo spunto dalla proposta fatta dall’onorevole Corbino, mi sono indotto a proporre la parola «Parlamento», formulando il testo nella seguente maniera: «Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione». Dicendosi «solo» nei casi preveduti dalla Costituzione, si precisa rigorosamente quale è la competenza di quest’organo e si toglie quindi qualsiasi preoccupazione che possa essere affiorata nel corso della discussione.

Per queste considerazioni propongo che si adotti questa formula.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io sono autorizzato a difendere, come Presidente della Commissione, la designazione di Assemblea Nazionale, che essa ha fin dall’inizio adottato. Non c’è ragione di accettare l’espressione di «Parlamento» proposta all’ultima parola. Con l’espressione «Parlamento» – ripeto – sembra che si vada più in là che con l’altra «Assemblea Nazionale»; che non è altro che il nome della riunione (eccezionale) delle due Camere; mentre invece, secondo la proposta testé fatta, si vuol parlare proprio di Parlamento in sua adunanza plenaria o comune; come se tale fosse funzione normale; e come se il Parlamento avesse ragione di essere proprio pel suo lavoro in comune. Ho detto perché preferisco «Assemblea generale», che dovrebbe spaventare meno gli ortodossi.

Ma le questioni di nomenclatura contano poco. Andiamo avanti.

PRESIDENTE. Pongo dapprima in votazione la formula degli onorevoli Bozzi e Nitti, che massimamente si allontana dal testo del progetto:

«Nei soli casi preveduti dalla Costituzione le due Camere deliberano congiuntamente».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo ora in votazione la formula proposta dall’onorevole Perassi:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere soltanto nei casi stabiliti dalla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

L’articolo 52 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere soltanto nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Ricordo che abbiamo già approvato il primo comma dell’articolo 60; resta da approvare il secondo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è assunta per la durata di un anno, alternativamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente della Camera dei senatori».

L’onorevole Bosco Lucarelli aveva presentato e svolto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alla parola: anno, sostituire la parola: semestre».

L’onorevole Fuschini aveva proposto di sopprimere il comma ma vi ha rinunziato.

L’onorevole Corbino aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

Quando le due Camere siedono congiuntamente l’Ufficio di Presidenza è quello della Camera dei deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Onorevole Presidente, il contenuto di questo mio emendamento è così chiaro! Si tratta di integrare l’indicazione del Presidente per il Parlamento, ai termini del secondo capoverso dell’articolo 52, con il concetto più largo dell’ufficio di Presidenza. Infatti, quando un’Assemblea così numerosa si riunisce, non sorge soltanto il problema della scelta del presidente, ma sorge anche quello dell’indicazione di tutto l’ufficio di presidenza.

A ciò tende quindi il mio emendamento, il quale indica nell’ufficio di Presidenza della Camera dei deputati l’ufficio competente per presiedere le sedute del Parlamento a Camere riunite.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho alcuna difficoltà ad accoglierlo, salvo il coordinamento dal punto di vista della forma.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Corbino, accettato dalla Commissione:

«Quando le due Camere siedono congiuntamente, l’Ufficio di Presidenza è quello della Camera dei deputati».

(È approvato).

L’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli si intende, così, assorbito.

Passiamo al primo comma dell’articolo 61, sul quale è rimasta in sospeso la decisione relativa alle parole: «e l’Assemblea Nazionale».

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera e l’Assemblea Nazionale adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro membri».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Costantini, Fedeli Aldo, Tonello, Fiorentino, Pistoia, Carpano Maglioli, Fornara, Vernocchi, De Michelis e Mariani Enrico, avevano presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri; l’Assemblea Nazionale applicherà il regolamento della Camera dei deputati.

L’onorevole Conti aveva presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per la seduta dell’Assemblea Nazionale si applica il regolamento della Camera dei deputati».

Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A me pare che sarebbe più opportuno non mettere nulla a questo proposito nella Costituzione: il Parlamento riunito sceglierà il regolamento che vuole.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, a me sembra che sarebbe opportuno introdurre una disposizione a questo riguardo. Le due Camere riunite dovrebbero funzionare di rado, in occasione di circostanze del tutto eccezionali e dovrebbero, quel che è più, riunirsi per poche ore. Se esse dovessero darsi un regolamento, penso che dovrebbero invece protrarre molto a lungo i loro lavori, il che non mi pare sia nell’intendimento di questa Assemblea.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero far osservare che la riunione delle due Camere comporta delle esigenze che non sono naturalmente le stesse delle due Camere che lavorano separatamente. È ben vero che noi abbiamo detto che l’ufficio di presidenza sarà quello della Camera dei deputati; ma, per esempio, circa il modo di fare la votazione per il Presidente della Repubblica, come sul modo di discutere eventualmente la messa in istato di accusa dello stesso Presidente, vi potranno essere delle norme che solo il Parlamento riunito in Assemblea potrà stabilire caso per caso. Non tutte le disposizioni, io penso, del Regolamento della Camera possono essere efficaci per un’Assemblea dove vi sono senatori e deputati. Non basterà in diversi casi applicare sic et simpliciter il Regolamento della Camera; bisognerà lasciare la possibilità che a questo Regolamento siano apportate quelle eccezioni che deriveranno dal modo di funzionare delle Camere riunite.

Ho fatto questa osservazione, perché ne sia tenuto conto dalla Commissione, la quale potrà, se lo creda, trovare un inciso che rispecchi questa mia preoccupazione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare una soluzione in questo senso: noi potremmo non parlare nella Costituzione del regolamento del Parlamento, e nelle Disposizioni transitorie stabilire che per la prima elezione del Presidente, successiva all’entrata in vigore della Costituzione, varranno le norme del Regolamento della Camera, in quanto siano applicabili, salvo poi al Parlamento il diritto di darsi quel regolamento che considererà più opportuno.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Io ritengo che questa del regolamento del Parlamento non sia materia di Disposizioni transitorie; discende dai principî che un organo costituzionale ha un’autonomia interna per quanto riguarda il modo di procedere nell’esercizio delle sue funzioni. Riterrei, quindi, quasi una scorrettezza, dal punto di vista costituzionale, dato il principio dell’autonomia del Parlamento, come di qualsiasi altro organo costituzionale, imporre ad esso il regolamento interno di un’Assemblea piuttosto che di una altra. È una questione questa del regolamento interno del Parlamento, che sarà facile risolvere, soddisfacendo a quelle che sono le esigenze particolari dell’Assemblea, tenendo presenti quelle particolari esigenze cui giustamente faceva cenno l’onorevole Fuschini.

Per questo propongo che nel testo costituzionale non si faccia parola del regolamento interno del Parlamento.

PRESIDENTE. La Commissione, in sostanza, non presenta a questo proposito alcuna proposta.

Chiedo all’onorevole Conti se mantiene il suo emendamento.

CONTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Poiché nessuno dei proponenti dell’emendamento Costantini è presente, si intende decaduto.

Pertanto nella Costituzione non si farà cenno di questo particolare problema.

(Così rimane stabilito).

Nello stesso articolo 61 la formula: «Assemblea Nazionale» è riportata al secondo comma, dove si dice che «le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere e l’Assemblea possono deliberare di riunirsi in Comitato segreto», e al terzo comma, dove si dice che «le deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri, ecc.».

Chiedo il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Propongo che si sostituisca la parola: «Assemblea Nazionale» con l’altra: «Parlamento».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di sostituire nei commi secondo e terzo dell’articolo 61 alla parola: «Assemblea» l’altra: «Parlamento».

(È approvata).

Abbiamo così completato l’esame di tutti gli articoli di questo Titolo.

Passiamo all’articolo 89. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Dicasteri, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.

«I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri.

«La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri».

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca, Grieco, Gallico Spano Nadia, Pajetta Giuliano, Mattei Teresa, Scotti Francesco, Maltagliati, Laconi, Mancini, Corbi, Priolo e Baldassari, hanno proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo periodo del primo comma col seguente:

«Il Presidente del Consiglio è responsabile della politica generale del Governo».

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Il concetto informatore di questo emendamento sta in questo: si intende dare al Presidente del Consiglio – come è giusto – un certo rilievo, ma non s’intende fare del Presidente del Consiglio colui che domina, che sovrasta, che dà la sua impronta personale all’indirizzo generale della politica del Paese, che concentra se non nella lettera del testo costituzionale, nella pratica, un po’ tutti i poteri: quelli dell’Assemblea, in quanto egli, come capo dell’esecutivo governativo, finisce essere lo strumento, il braccio, l’azione della volontà delle Camere popolari; quelli del Presidente della Repubblica, in quanto il Presidente del Consiglio risponde degli atti del Presidente della Repubblica con la firma.

Con tale somma di attribuzioni nelle sue mani, infatti, ha il modo di spianare la strada alla dittatura, come afferma e teme lo stesso onorevole Orlando, che indubbiamente è il più alto, il più autorevole tecnico di questa Assemblea nel campo costituzionale, ed è l’espressione più schietta della corrente liberale.

L’onorevole Nitti, l’altro giorno, in sede di discussione dell’articolo 86 per la designazione del Presidente del Consiglio, si riferiva a quella che è la pratica in alcuni paesi a regime parlamentare; e cioè il Presidente è l’uomo che meglio rappresenta ed esprime l’opinione pubblica in un dato momento e raccoglie la fiducia generale; è la persona più indicata a dirigere la politica, in una determinata situazione.

Ma, in tutti i paesi, non c’è nessuna formula costituzionale che attribuisca dei particolari poteri al Capo del Governo, al Presidente del Consiglio, il quale potrà per suo prestigio personale, per circostanze particolari esistenti nella Nazione, porre il suo sigillo sulla politica generale. Tutti si augurano che possano dalle assemblee popolari esprimersi tanti Cavour, ma non possiamo assolutamente concepire che vi siano dei Cavour per legge, per testo costituzionale; perché, in fondo, quando si attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di dirigere la politica generale del Governo, si ammette che l’indirizzo politico possa essere dato dal Presidente del Consiglio e non più dal Consiglio dei Ministri, nel suo insieme, nel suo complesso, com’è necessario, se non si vuole uscire dal binario del sistema democratico, parlamentare, e mettersi su un altro terreno.

Non è il caso, a quest’ora, di entrare in tanti dettagli sull’argomento. Ma poiché, in sede di discussione dell’articolo 86, è stata richiamata la pratica per sostenere la tesi della prevalenza del premier inglese, c’è qui da ricordare un fatto estremamente semplice. È vero che in Inghilterra il Primo Ministro ha un particolare rilievo: però questo rilievo al Primo Ministro, in Inghilterra, non deriva dalla lettera e neppure dallo spirito della Costituzione. È una questione di fatto; basato su elementi che, fuori del Regno Unito, non esistono al riguardo, e non si possono temere smentite.

Fin dal tempo di Pitt che cosa è avvenuto? È avvenuto che il Primo Ministro, cioè colui che praticamente dà la sua impronta a tutta la politica, colui che dirige il Gabinetto e dirige il lavoro legislativo, è l’uomo più popolare, per essere veramente il Capo di un partito, che, di un determinato periodo storico ha la reale maggioranza nel Paese. Questo accade in Inghilterra dove è sempre esistito il sistema dei due poteri dei Wighs e dei Tories, dei conservatori, e dei liberali; dei conservatori e dei laburisti. Noi qui agiamo in un clima storico completamente diverso, con forze politiche frazionate. Ci auguriamo che si possa giungere ad una situazione che divida il Paese in due forze politiche. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Proprio no.

LA ROCCA. Ed allora è proprio il caso di pensare anche a questo. Ma oggi noi dobbiamo tener conto di quella che è la realtà concreta.

In Inghilterra il Primo Ministro ha l’autorità che esercita non alla stregua del testo della Costituzione, ma per il fatto che il Primo Ministro è il Leader, cioè il Capo del Partito della maggioranza nel Paese e nel Parlamento; e tutti sanno, e qui non è il caso di ricordare, che il Gabinetto inglese è veramente il Comitato, l’espressione schietta della volontà della maggioranza parlamentare. Perciò i poteri, attribuiti concretamente al Primo Ministro in Inghilterra, nascono dal fatto che il Primo Ministro ha un suo rilievo, ha una sua personalità, ha una sua autorità che gli deriva dalla situazione politica particolare. In Italia, allo stato delle cose, non è ammissibile che il Primo Ministro abbia un suo ruolo distinto, in forza di una legge costituzionale. Abbiamo già troppo concesso, consacrando un articolo, nel testo della Costituzione, alla figura del Presidente del Consiglio. Questo non esiste in nessuna Costituzione. Noi rischiamo di fare del Presidente del Consiglio un uomo a cavallo, una statua equestre, alla stregua della legge fondamentale dello Stato. È giusto che egli coordini l’attività dei vari Dicasteri. Ma affermare che il Presidente del Consiglio dirige, cioè è veramente la leva, è il timone, è il motore di tutto il Gabinetto, che dà la sua impronta, la sua fisonomia alla politica generale del Governo, cioè all’indirizzo politico generale del Paese, a me pare che significhi attribuire al Presidente un potere troppo grande, un potere tale da consentirgli di prendere e seguire una sua strada, pure se in contrasto con altri membri del Gabinetto. Ed alla luce dell’esperienza pratica che abbiamo compiuto, credo che non sia il caso di creare le premesse politiche della rinascita di un bonapartismo in Italia. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, dopo le parole: e l’organizzazione dei Ministeri, aggiungere le seguenti: e può stabilire un Consiglio di Gabinetto formato da alcuni Ministri».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Il mio emendamento non ha altro scopo che quello di dare un valore costituzionale ad un istituto che non è né nella prassi costituzionale italiana, né soprattutto in quella di molti altri Paesi. Quando i Ministeri diventano, non direi pletorici ma, per necessità di cose, formati da un numero sempre più notevole di Ministri, spontaneamente, specialmente in momenti gravi ed importanti, si impone la necessità di istituire un Comitato ridotto e riservato a quelli che sono i Ministri principali, cioè a coloro che hanno non solo una responsabilità amministrativa notevole, ma altresì una prevalente responsabilità politica. In Inghilterra, ormai da molti decenni, accanto al Ministero, che è formato da diecine di Ministri, alcuni dei quali con funzioni antiquate, funziona un Consiglio o Gabinetto, che non è stabilito preventivamente secondo la importanza e la natura dei Dicasteri, formato dai più autorevoli rappresentanti delle correnti che esistono anche in un partito e in un governo di partito e dai più autorevoli personaggi del Governo, e cioè il Presidente del Consiglio, il Ministro degli esteri, e il Cancelliere dello Scacchiere, presso a poco il nostro Ministro del Tesoro, che in Inghilterra ha notevole importanza, ed è il secondo Ministro, il capo economico del Ministero, quasi quello che nel Ministero attuale nostro è il Vice Presidente Einaudi. Vi sono a volte altri Ministri, spesso a titolo personale.

Durante l’altra guerra, 1915-18, tanto in Inghilterra, quanto in Francia, quanto in Italia, quanto in Belgio, ed in altri Stati minori, naturalmente per le necessità belliche, sorsero questi comitati ristretti di Ministri, i quali avevano in realtà una prevalenza politica verso i loro colleghi. Ed anche da noi, dopo Salerno, finché è durata l’esarchia, e poi ancora col secondo Ministero De Gasperi, dopo il 2 di giugno, funzionò un Consiglio di Gabinetto il quale, se non vado errato, delibava le principali questioni e dirigeva la politica del Ministero nelle materie più importanti. Basterebbe ricordare la serie delle decisioni e dei decreti, che hanno formato il mezzo di trapasso, così felice, dalla Monarchia alla Repubblica. Dopo era formato dal rappresentante principale di ciascuno dei sei partiti e poi dei tre partiti. Ora, questo istituto, a mio avviso, potrà essere assai fecondo per l’avvenire, anche perché, io penso, che, anziché diminuire, il numero dei Ministri andrà aumentando. È la vita moderna che si complica; e la vita politica, che della prima non è che il riflesso e la sintesi, non può non complicarsi a sua volta. I Ministri dell’epoca del 1848 e del Risorgimento erano 7 o 8. I Ministri dei primi Parlamenti francesi di Luigi XVIII e di Carlo X da cinque e sei. I Ministri nel Seicento si riducevano a 4-5 personaggi intorno al Re.

Però è da chiedersi, e lo chiedo soprattutto ai numerosi onorevoli colleghi che hanno seduto nei vari Ministeri, se è opportuno che la tavola ministeriale si allunghi sempre di più; se questo è efficiente agli effetti di governare, agli effetti di non perdere eccessivo tempo nelle deliberazioni; se è utile ed indispensabile che in tutte le deliberazioni, Ministri, i quali pure hanno grande rilevanza amministrativa, abbiano a sedere sempre con gli altri, o se non sia invece forse auspicabile che i Ministri principali abbiano a formare un più ristretto ed agile comitato permanente per le questioni più importanti di vera rilevanza e sostanza politica.

A questo vuole tendere il mio emendamento, il quale altro non stabilisce se non la facoltà per le leggi future di organizzare un Consiglio di Gabinetto, formato da alcuni Ministri di una frase generica, ma che dà la possibilità di sorgere a questo nuovo istituto, o per dir meglio, lo istituisce e consacra costituzionalmente; giacché io ritengo che di questo istituto, che dovrebbe avere un carattere permanente e, quindi, distinguersi da altri Comitati, suggeriti man mano da ragioni particolari e contingenti, come attualmente è il Comitato Italiano della Ricostruzione, venga fatto un cenno nella nostra Costituzione. Perché questo? Perché in realtà non è soltanto un istituto di carattere amministrativo, al quale le leggi che regolano i Ministeri, provvedano opportunamente, direi naturalmente, ma è anche un istituto che ha riflessi costituzionali, in quanto modifica e persino abroga il principio della parità dei Ministri tra loro, e stabilisce fra i membri di un Governo una posizione per alcuni, che non direi di privilegio, ma per la quale di certo essi collegialmente divengono primi inter pares, caratteristica una volta soltanto del Presidente del Consiglio.

Ritengo cioè che, dato che facciamo una Costituzione che speriamo duri parecchi decenni, sia opportuno inserirvi questo accenno specifico a un istituto, che probabilmente andrà sviluppandosi secondo i bisogni e le necessità future.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Targetti, Costa, Giacometti e Fedeli Aldo hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma dell’articolo 89 sopprimere le parole: e ne è responsabile».

«Sopprimere, pure, la parola: promuovendo».

«Al terzo comma, alle parole: della Presidenza del Consiglio, sostituire le altre: del Consiglio dei Ministri».

«Sopprimere le parole: e l’organizzazione».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CARPANO MAGLIOLI. Proponiamo che al primo comma, dove si dice «Il primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile» si sopprima la dizione «e ne è responsabile».

Ciò perché prima di tutto la responsabilità è dell’intero Governo e non solo del Primo Ministro; secondariamente, perché è in contrasto con quanto è disposto nel secondo comma, dove si legge: «I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro dicasteri». Perciò ci sembra opportuno, anche per togliere questa caratteristica di Primo Ministro che ci ricorda una figura certo non simpatica, di sopprimere la dizione: «e ne è responsabile».

Pensiamo sia opportuno anche sopprimere il «promuovendo», perché pensiamo che ogni Ministro debba avere una certa libertà in materia di attività politica; ed il Presidente del Consiglio dovrà coordinare questa attività al fine di avere il massimo rendimento nella direzione della cosa pubblica.

Infine, al terzo comma, dove dice «La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio» vogliamo sostituire «del Consiglio dei Ministri»: perché non vogliamo né un solo Ministero, né un Primo Ministro, né una Presidenza del Consiglio; ma che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares.

Chiediamo di sopprimere la parola «organizzazione», sempre al terzo comma, dove si legge «e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri». Ogni Ministro deve avere la libertà di organizzare i proprî dicasteri seguendo le linee generali programmate, ma deve poter dare una impronta propria, pur coordinata sempre con gli altri Ministeri, all’azione di direzione del Presidente del Consiglio.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero intervenire nella discussione di questo articolo, specialmente per rilevare che l’articolo 89 non è una novità nel nostro ordinamento costituzionale. Le attribuzioni ed i compiti del Presidente del Consiglio non derivano nella nostra tradizione legislativa parlamentare dalla legge fascista «sul Capo del Governo», ma risalgono ad un periodo molto più lontano, risalgono cioè alla legge, anzi al decreto del 14 novembre 1901, n. 466, col quale si stabilivano quali fossero le competenze, le responsabilità ed i poteri che aveva il Presidente del Consiglio dei Ministri nel passato regime monarchico. È bene ricordare che la figura del Presidente del Consiglio in quel decreto fu stabilita in una maniera molto precisa e molto chiara, che – direi – era più specificata di quanto non sia nell’articolo 89 che stiamo discutendo. Il Presidente del Consiglio aveva, per questo decreto, un potere di controllo ed un potere di rappresentanza di tutto il Gabinetto e l’articolo 6 precisava in una maniera chiara ed esplicita che il «Presidente del Consiglio» doveva mantenere l’unità – come dice il nostro articolo 89 – di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Ministeri e doveva curare l’adempimento degli impegni presi dal Governo nelle sue relazioni col Parlamento e nelle manifestazioni fatte al Paese. Il Presidente del Consiglio presentava al Parlamento i disegni di legge che riguardavano l’amministrazione generale dello Stato ed aveva diritto di chiedere ai Ministri l’elenco dei decreti reali che si portavano alla firma; ciascun Ministro doveva comunicarne la nota preventivamente al Presidente del Consiglio; il Presidente del Consiglio aveva diritto di non mettere all’ordine del giorno determinate pratiche e determinate trattazioni di affari.

Quindi vi era un rapporto di subordinazione dei Ministri rispetto al Presidente del Consiglio: questo per precise disposizioni di questo decreto che fu sempre applicato senza attenuazioni.

La responsabilità politica di fronte alle Camere era sì del Governo nel suo complesso, ma la responsabilità specifica di questo indirizzo era riservata di fatto ed anche, direi, di diritto, per disposizione specifica, al Presidente del Consiglio.

Ora, io non voglio tediare l’Assemblea con osservazioni che sarebbero fuori luogo in questo momento, ma mi sembra che quando l’onorevole La Rocca, nel proporre il suo emendamento, dichiara che «il Presidente del Consiglio è responsabile» ma non «dirige» la politica del Governo, cada in una palese contraddizione, perché non si comprende come si possa concretare una responsabilità qualsiasi in colui che non ha la facoltà di dirigere. Se il Presidente del Consiglio non ha la facoltà di dirigere, di coordinare e di mantenere l’indirizzo politico e le direttive politiche del suo Ministero, quale responsabilità gli si potrebbe attribuire? Quindi se si ammette la responsabilità, come afferma l’onorevole La Rocca, si deve anche ammettere la potestà di dirigere e di mantenere l’unità dell’indirizzo politico.

Gli onorevoli colleghi socialisti mi pare che propongano emendamenti diversi dalla posizione assunta dall’onorevole La Rocca. Ed a questo riguardo trovo che è pure contradittorio il loro emendamento: essi vorrebbero che il Presidente dirigesse la politica generale e non ne fosse responsabile. Qui si invertono i termini: ma come si può pretendere che si diriga e che non si sia nel tempo stesso responsabile?

CARPANO MAGLIOLI. Il decreto del 1901 non parla affatto della responsabilità del primo Ministro.

FUSCHINI. Non è esatto, onorevole Carpano. Se deve mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo, vuol dire che egli dirige il Gabinetto e ne è quindi il maggior responsabile. Anche quando si fa riferimento alla teoria del primo fra eguali, si deve sempre riconoscere che si chiama primo colui che è più responsabile degli altri, altrimenti anche questa frase primus inter pares non avrebbe significato se non si volesse dire che il primo è responsabile prima di tutti gli altri. Il singolo Ministro è responsabile dell’amministrazione che egli dirige sotto l’osservanza delle direttive del Presidente, e quando un Ministro singolo è colpito dalla sfiducia del Parlamento, voi potete ben comprendere che non è ferito nel suo prestigio soltanto il singolo Ministro, ma indirettamente un po’ tutto il Ministero.

Mi sia consentito poi di fare una osservazione molto semplice a proposito dell’emendamento proposto dall’onorevole Carpano al terzo comma. L’onorevole Carpano propone che il numero e l’organizzazione dei Ministeri deve essere stabilito per legge. Ora, se il numero dei Ministeri deve essere stabilito per legge, non capisco per quale ragione la Presidenza del Consiglio non dovrebbe costituirsi in un Ministero. L’onorevole Carpano, che è stato Sottosegretario, e simpatico Sottosegretario, al Ministero dell’interno, avrà facilmente capito e compreso quale somma di servizi oggi sia attribuita alla Presidenza del Consiglio. Ora, questi servizi debbono avere un loro ordinamento burocratico e una loro direzione organica come tutti gli altri servizi che compongono i diversi Ministeri.

In conclusione, ritengo che tanto l’emendamento dell’onorevole La Rocca come quello dell’onorevole Carpano non possano essere accolti dall’Assemblea. Aderisco quindi completamente alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non può accettare nessuno dei tre emendamenti che sono stati presentati relativamente all’articolo 89. L’emendamento dell’onorevole La Rocca e quello dell’onorevole Carpano sembra a noi che si elidano a vicenda. Secondo l’emendamento dell’onorevole La Rocca, il primo comma dovrebbe ridursi alla affermazione generale che il Presidente del Consiglio è responsabile della politica del Governo.

Ora, veramente, questa formulazione non è tale da rispondere alle esigenze cui l’onorevole La Rocca si riferiva. Se noi ci fermassimo ad una considerazione così generica, della responsabilità del Presidente del Consiglio per la politica generale del Governo, probabilmente, anzi certamente, i poteri del Presidente del Consiglio risulterebbero più ampi di quanto non risultino dal testo presentato dalla Commissione, la quale, sì, indica e stabilisce alcuni poteri derivanti dalla responsabilità del Presidente del Consiglio, ma, fissandoli, al tempo stesso li limita.

Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Carpano, anche questo emendamento non trova concorde la Commissione. In un certo senso è un emendamento anche questo un po’ contradittorio. Secondo l’onorevole Carpano, l’articolo 89 dovrebbe limitarsi a stabilire che il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo, sopprimendo la frase: «e ne è responsabile».

L’onorevole Carpano sostiene che questo inciso del progetto è superfluo perché il secondo comma stabilisce chiaramente che i Ministri sono corresponsabili degli atti del Consiglio dei Ministri; ma la verità è che se fosse tolto quell’inciso, e restasse solo l’affermazione del secondo comma, per cui i Ministri sono collegialmente responsabili degli atti del Consiglio dei Ministri, la posizione del Primo Ministro sarebbe completamente svuotata di ogni significato. La conclusione sarebbe questa: che il Primo Ministro dirige e coordina la politica generale del Governo col concorso e col consenso di tutti i Ministri collegialmente responsabili; cosicché la politica del Governo dovrebbe essere diretta totalmente ed esclusivamente dal Consiglio dei Ministri. Per tal modo si affermerebbe una concezione diversa da quella prevalsa nel testo del progetto.

D’altra parte io non comprendo bene le preoccupazioni che sono derivate da questa proposta di emendamento, vero è che è dato al Primo Ministro il potere di dirigere la politica generale del Governo, ma se il secondo comma dell’articolo 89 stabilisce che i Ministri rispondono collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, è evidente che questa responsabilità collettiva dei Ministri in Consiglio dei Ministri implica una necessaria adesione dei Ministri stessi alla politica generale del Presidente del Consiglio, e quindi sostanzialmente una limitazione dei poteri del Presidente del Consiglio: perciò io credo non ci sia ragione di preoccupazione, in quanto i poteri del Presidente del Consiglio non sono così assoluti ed esclusivi, come potrebbe sembrare a prima vista. Ma la figura del Presidente del Consiglio è un’esigenza e un fatto che non si può e non si deve eliminare. È il Presidente del Consiglio che dà tono e fisionomia al Governo; è il Presidente che imprime l’indirizzo fondamentale al Ministero; è il Presidente del Consiglio che mantiene l’unità di indirizzo, che promuove e coordina, nell’armonica generale intesa dei suoi collaboratori, l’attività dei Ministri, individualmente e in Consiglio dei Ministri. La formula proposta dalla Commissione vuol essere l’espressione di un necessario equilibrio ponderato, al fine di assicurare l’unità organica del Governo.

La Commissione non può neppure accogliere la proposta di emendamento presentata dall’onorevole Carpano Maglioli relativamente al terzo comma. L’onorevole Carpano Maglioli propone di specificare che l’ordinamento rinviato alla legge deve riferirsi non già genericamente alla Presidenza del Consiglio, ma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Orbene: o si tratta di una precisazione di carattere meramente formale, e allora essa mi sembra del tutto superflua; o si tratta invece di una precisazione che vuole avere un intendimento sostanziale, quello di attenuare la figura del Presidente del Consiglio, e allora è inaccettabile, in quanto è evidente che l’organizzazione della Presidenza del Consiglio non può riguardare soltanto ciò che si riferisce al Consiglio dei Ministri in senso stretto. La Presidenza del Consiglio ha compiti più vasti, che non attengono soltanto all’attività del Consiglio.

Così pure la Commissione non può accettare l’eliminazione della parola «organizzazione», suggerita pure dall’onorevole Carpano. L’organizzazione del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri sfugge alla potestà regolamentare di competenza propria dell’esecutivo; si tratta di organi di primaria importanza costituzionale il cui regolamento non può essere rilasciato al Governo. È da ricordare d’altra parte che nella prima parte della Costituzione abbiamo fissato una norma di grande portata. Abbiamo stabilito il principio generale della responsabilità diretta dei pubblici funzionarî. È pertanto necessario che in questa materia intervenga assolutamente una legge. Si intende che questa legge non distruggerà una certa potestà dei Ministri di ordinare, in certo modo, gli uffici dipendenti: ma purché ciò avvenga sempre nell’ambito di binari fondamentali stabiliti dalla legge. Ripeto che siamo in sede costituzionale e non in sede regolamentare.

La Commissione non può neppure accogliere l’emendamento presentato dall’onorevole Clerici, il quale suggerisce una formula in base alla quale dovrebbe essere esplicitamente accordata al Presidente del Consiglio la facoltà di stabilire un Consiglio di Gabinetto formato da alcuni Ministri. La proposta non sembra accettabile: essa è superflua o contrastante col principio della determinazione legislativa del numero e dell’ordinamento dei Ministeri. E superflua in quanto il Presidente del Consiglio può sempre istituire, a dati scopi, comitati ristretti di Ministri; è contradittoria al principio indicato, in quanto il numero dei Ministri è fissato per legge, e tutti i Ministri fanno parte del Consiglio. D’altra parte: a che serve una norma che consenta al Presidente di costituire nell’ambito del Consiglio un più ristretto Gabinetto? Essa avrebbe giustificazione in quanto si determinassero le funzioni e i rapporti del Gabinetto col Consiglio e con i singoli Ministri. Il collega onorevole Clerici pensa all’esempio inglese. Ma appunto l’esempio inglese è il risultato di circostanze varie, e per quanto sia entrato ormai fra le istituzioni costituzionali, circa la sua composizione e i suoi compiti rimane un’ampia discrezionalità al Primo Ministro.

In Italia non abbiamo né la tradizione né l’esperienza che consenta di dettare in proposito norme di un qualche contenuto.

Per queste ragioni vorrei consigliare l’onorevole Clerici di non insistere sul suo emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole La Rocca, lei mantiene il suo emendamento?

LA ROCCA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici?

CLERICI. Date le ragioni esposte dall’onorevole Tosato, ritiro il mio emendamento e lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli?

CARPANO MAGLIOLI. Mantengo solo quello relativo a! primo comma, soppressivo delle parole «e ne è responsabile».

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alle votazioni.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi chiediamo che l’articolo sia posto in votazione per divisione, e cioè separando la prima parte che dice: «Il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile», dalla seconda parte, costituita dal periodo successivo.

Chiediamo questa divisione perché siamo dell’opinione – ed è questa la ragione per la quale abbiamo ritirato l’emendamento che si riferiva alla soppressione della parola «promuovendo» – che sarebbe opportuno sopprimere tutta la seconda parte che comincia dalle parole: «mantiene» e finisce con le parole «dei Ministri». A questo proposito noi ci riportiamo anche a quello che ci ha ricordato l’onorevole Fuschini con la sua specifica competenza in materia; ci riportiamo, cioè, alle disposizioni della legge che regola il Consiglio dei Ministri (legge, se non erro, del 1901) e osserviamo che questa legge, questo decreto reale diceva che il Presidente del Consiglio mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo di tutto il Ministero. (L’Assemblea vede che vi è corrispondenza esatta con la formula proposta dal testo della Commissione). Allora noi diciamo: fino a che si tratta di ripetere una formula, una norma che è nel decreto reale relativo al Consiglio dei Ministri, si fa una cosa evidentemente fuori posto.

PERASSI. Perché?

TARGETTI. Perché la considerazione che fa parte di questo decreto dimostra come non sia materia costituzionale, tant’è che vi sono molte Costituzioni che non ne fanno parola.

Poi si aggiunge quello che a noi dispiace, cioè «promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri». Perché? Perché in linea di fatto si intende che debba accadere e sia accaduto che vi sia stata una certa opera di propulsione e di coordinamento da parte del Presidente del Consiglio, il quale, forse, necessariamente è portato ad esercitare. Ma trasformando una situazione di fatto in una situazione giuridica, in una situazione di diritto, si accentua il significato della cosa stessa.

Questa non è una mia semplice osservazione. Uno studioso che si è occupato di queste nostre proposte ha osservato a questo proposito che in questa dizione vi era, si risentiva un po’ il ricordo della figura del primo Ministro dell’epoca fascista; perché questo studioso osservava che in realtà, nella pratica della nostra vita politica prima del fascismo, il Presidente del Consiglio ha avuto sì una posizione di preminenza, ma in realtà è stato sempre il suo Ministero, il suo Governo, che ha rappresentato un determinato indirizzo, tanto che si sono avuti casi in cui il Ministero prendeva nome non solo dal Presidente del Consiglio ma anche da qualche Ministro. Ricordo ai più anziani il Gabinetto Zanardelli-Giolitti, ai meno anziani il Gabinetto Sonnino-Salandra. Questo per dire che nella pratica il Presidente del Consiglio non era quello che da sé solo dava, il colorito al Ministero, ma vi erano casi in cui questo tono, questo colorito veniva dato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli interni. Ed in genere il colore era dato dall’insieme del Ministero. Questa figura del Presidente del Consiglio noi vorremmo che fosse mantenuta nell’Italia repubblicana invece di porre il Presidente del Consiglio in una posizione di assoluta preminenza che lo fa un po’ assomigliare al Primo Ministro di così infausta memoria.

Tanto meno noi concordiamo con quanto ha detto l’onorevole Fuschini che per la nomina fatta sopra sua proposta i Ministri fossero quasi in uno stato di subordinazione rispetto al Presidente del Consiglio.

TOSATO. Non è subordinazione.

TARGETTI. D’accordo, tutt’altro che subordinazione. Per queste considerazioni, affrettatamente esposte, proponiamo la soppressione del secondo periodo dell’articolo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Farò una brevissima dichiarazione di voto, pur riconoscendo alle osservazioni fatte dal collega onorevole Targetti rispetto al loro contenuto storico, un fondamento di verità. Ma, appunto perché le sue osservazioni hanno carattere solamente storico, mi pare che non siano conciliabili con la realtà del momento presente, realtà che ad un certo punto è incompatibile con l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca.

In sostanza nessuno meglio di me sarebbe felicissimo se noi potessimo avere un Presidente del Consiglio che lasciasse ai suoi Ministri il compito di fare quel che vogliono e se ne potesse andare a spasso dalla mattina alla sera. Vuol dire che lo Stato non si occuperebbe più d’altro che di quelli che erano i suoi compiti secondo la concezione del vecchio Stato liberale.

Ma noi abbiamo fatto una Costituzione in cui abbiamo imposto allo Stato tanti di quegli obblighi, per cui deve provvedere dall’assistenza ai lattanti negli stabilimenti dove vi sono gestanti od altro, al latifondo, all’organizzazione dell’industria e dei trasporti, per cui quel Governo che verrà da domani in poi dovrà provvedere a centomila cose che richiederanno un’unità strettissima di indirizzo e l’obbligo del Capo del Governo di esercitare un’effettiva direzione politica di tutti i rami del Ministero.

Ecco perché, pur riconoscendo nelle osservazioni dell’onorevole Targetti qualcosa che mi ricorda i bei tempi antichi e che ho letto sui libri (Interruzione del deputato Targetti) …e allora, onorevole Targetti, che tutti e due abbiamo letto sui libri; credo che il testo della Commissione risponda meglio alle caratteristiche del Governo che noi dovremo formare dal 1948 in poi.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che anche il primo periodo del primo comma dell’articolo 89 dovrà essere votato in due parti distinte. Infatti vi è l’emendamento dell’onorevole Carpano, a tenore del quale bisogna sopprimere le parole: «e ne è responsabile». E pertanto faremo una prima votazione su questa frase: «Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo»; successivamente su quest’altra frase: «e ne è responsabile»; ed infine voteremo il secondo periodo di questo primo comma.

Pongo quindi in votazione la prima parte del primo comma:

«Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo».

(È approvata).

Pongo ora in votazione le parole:

«e ne è responsabile»

delle quali l’onorevole Carpano Maglioli ha chiesto la soppressione.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Passiamo al secondo periodo del primo comma:

«Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Dicasteri, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri».

Ricordo che l’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere questo secondo periodo.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri»

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione sostituisce la parola: «personalmente» con l’altra: «individualmente».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il secondo comma testé letto, con la modifica di forma proposta dalla Commissione.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri».

(È approvato).

L’articolo 89 risulta pertanto votato nel testo proposto dalla Commissione, salvo la modificazione apportatavi dalla stessa all’ultimo momento, sostituendo la parola: «individualmente» all’altra: «personalmente».

Passiamo all’articolo 90. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Primo Ministro ed i Ministri possono essere messi in istato d’accusa dalle due Camere per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni».

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione propone direttamente due emendamenti a questo articolo. Anzitutto: sostituire al «Primo Ministro», il «Presidente del Consiglio dei Ministri», secondo la terminologia accolta dall’Assemblea; alle parole «possono essere messi», sostituire le parole «sono messi», secondo la formula già usata per il Presidente della Repubblica. E infine, alle parole «dalle due Camere per atti compiuti» sostituire: «dal Parlamento per reati commessi».

PRESIDENTE. Sta bene. Do lettura del nuovo testo, quale risulta dopo le proposte della Commissione:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

A questo articolo l’onorevole Corsanego, aveva proposto il seguente emendamento:

«Alle parole: essere messi in stato di accusa dalle due Camere, sostituire le parole: essere messi in stato di accusa da ciascuna delle due Camere».

Analogo emendamento aveva presentato l’onorevole Bettiol.

Questi emendamenti sono però integralmente accolti nel nuovo testo formulato dalla Commissione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Nel testo è detto che per la messa in istato di accusa del Presidente del Consiglio e dei Ministri occorre la decisione dell’una e dell’altra Camera. Io credo invece che basterebbe una delle due Camere e quindi propongo la seguente formulazione:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri possono essere messi in istato di accusa da ciascuna delle due Camere per i reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni».

Se si tratta di un reato non c’è motivo che alla denuncia si arrivi solo attraverso la deliberazione di entrambe le Camere.

PRESIDENTE. Trattandosi di un emendamento presentato nel corso della discussione, domando se è appoggiato.

(È appoggiato).

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Pongo ai voti il nuovo testo dell’articolo 90 proposto dalla Commissione, di cui do ancora una volta lettura:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Passiamo agli emendamenti aggiuntivi.

L’onorevole Romano ha proposto due articoli aggiuntivi. Il primo (art. 90-bis) è del seguente tenore:

«Il Governo non può battere moneta senza la previa autorizzazione del Parlamento».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Pare che l’articolo aggiuntivo proposto sia stato appreso da qualcuno come una stranezza; ebbene, penso che non vi sia nulla di strano giacché una norma consimile è esistita anche in Inghilterra. Ho voluto appositamente controllare un commento della Costituzione inglese in modo da essere sicuro del precedente costituzionale.

Per illustrare l’emendamento aggiuntivo proposto, ritengo necessario richiamare i precedenti legislativi riguardanti gli istituti di emissione. La legge fondamentale, che regolava i tre istituti di emissione, cioè Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, legge che in gran parte regge tuttora l’unico istituto di emissione, è quella del 10 agosto 1943, n. 449, che fu detta di riordinamento degli istituti di emissione.

Insieme con varie modificazioni successive essa venne fusa in un primo testo unico del 1900 approvato con regio decreto 9 ottobre 1900, n. 373, ed in un secondo testo unico del 1910, approvato con regio decreto 28 aprile 1910, n. 204.

Modificazioni di capitale importanza del testo unico del 1910 si ebbero col regio decreto 17 giugno 1928, n. 1377, decreto col quale furono sanzionati gli accordi conclusi il 5 maggio 1928 tra il Tesoro e la Banca d’Italia. Altre modificazioni pur esse importanti si ebbero nel 1935 in ordine alla circolazione dei biglietti. In ultimo vi è stato il decreto di riforma bancaria del 1936 per effetto del quale, oltre ad essere state mutate la figura giuridica e la costituzione della Banca d’Italia, nuove norme sono state stabilite nei riguardi del suo ordinamento, delle sue operazioni e delle sue funzioni.

Nell’articolo primo del decreto del giugno 1928 si legge: «Saranno presi accordi tra il Ministero delle finanze e la Banca d’Italia per evitare aumenti di circolazione negli stessi margini risultanti dal rapporto proporzionale considerato nell’articolo 4 del regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325».

Quindi l’istituto unico di emissione, supremo regolatore del mercato, ha il dovere di mantenere la circolazione dei propri biglietti in determinati limiti e di non accrescerla in modo non rispondente al migliore andamento del mercato monetario.

In tal maniera il limite della circolazione effettiva rimaneva affidato alla prudenza dell’istituto di emissione, che doveva tener conto del mercato monetario e della riserva, che veniva distinta in ordinaria e straordinaria. Questo sistema fu temporaneamente modificato nel 1935, disponendosi la sospensione in linea provvisoria ed eccezionale dell’obbligo della riserva (regio decreto-legge 21 luglio 1935, n. 1293, e regio decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1647).

Col sistema fino ad oggi adottato siamo venuti a trovarci nella condizione di non conoscere il volume della massa circolante, anche perché, dopo l’invasione del nostro territorio, hanno funzionato più torchi in Italia: quello italiano, quello tedesco e quello americano. Altra confusione è stata originata dall’abbandono delle nostre intendenze in Jugoslavia e in Africa.

Penso che sia venuto il momento di tenere una buona volta conto che a parità di circolazione e di volume di merci le variazioni dei prezzi sono proporzionate a quelle della quantità di moneta.

Tutto ciò mi ha indotto, col conforto del precedente avanti accennato, a proporre una norma che possa costituire un freno alla circolazione cartacea. Nell’emissione della moneta il legislatore deve preoccuparsi di costringere il Governo ad una condotta seria. La carta moneta è un credito, fonte di questo credito è la fiducia. Le industrie, l’agricoltura ed il commercio ruotano intorno a questa fiducia.

La vita di questa fondamentale attività dell’uomo si svolge appunto in quel complesso di operazioni che avvengono attraverso le banche, le quali sono diventate tanti sistemi planetari ruotanti intorno a quegli astri di fiducia che sono le banche di emissione. Lasciare incontrollata l’emissione di carta moneta significa lasciare aperto il varco a pericoli diversi. Quando un Governo intende preparare una guerra fa prima girare il torchio e con la carta-moneta mette in moto gli alti forni. Allo stesso espediente ricorre quando vuole attuare un protezionismo industriale.

Il Parlamento, rimasto estraneo a questi atti, che incidono nella vita del Paese, viene a trovarsi in un secondo tempo di fronte al fatto compiuto. Penso quindi che sia doveroso controllare l’emissione della carta moneta, giacché la fiducia nella moneta è in rapporto alla condotta più o meno seria del Governo. Controllare questa condotta è dovere dei Parlamenti.

Oggi prevale la tendenza a tutto controllare, anche quando il controllo costituisce un intralcio.

Invece per l’emissione della moneta ci si rimette alla prudenza dell’istituto di emissione.

Se la moneta rappresenta in qualche modo la fiducia che si può riporre in un popolo, questo ha il diritto ed il dovere di vigilare e controllare a mezzo dei suoi rappresentanti la nascita della moneta, strumento onnipotente ed onnipresente della vita economica del Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il proprio avviso sull’articolo aggiuntivo 90-bis proposto dall’onorevole Romano.

TOSATO. La Commissione non può accettare questo articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

L’onorevole Romano ha proposto inoltre un articolo aggiuntivo 90-ter del seguente tenore:

«Durante la stessa legislatura nessun membro del Parlamento può essere chiamato più di una volta a far parte del Governo.

«Tale divieto è limitato a due terzi dei membri del Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Lo scopo del mio articolo aggiuntivo era di ravvivare la legge della circolazione dell’élite, di quella circolazione che mira appunto a formare la classe dirigente del Paese e ad impedire il formarsi del «feudo politico», come lo chiamava Gaetano Mosca, feudo alle volte più preoccupante di quello terriero; ma, vista la temperatura dell’Assemblea, ritiro la mia proposta. (Commenti prolungati).

Questi commenti denotano in chi li fa una mancanza di riguardo e quelli fatti alla mia proposta precedente, sul controllo parlamentare delle emissioni monetarie, dimostrano che alcuni non hanno compreso l’importanza del problema. (Commenti). Questa è un’offesa che si fa al Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, le ho permesso di esprimere alcune parole di protesta, ma la prego di contenersi.

ROMANO. Nessuno di coloro che hanno dimostrato di non comprendere la serietà del problema può affermare che il Paese non desideri un controllo parlamentare sulle emissioni.

PRESIDENTE. Passiamo alla Sezione II del Titolo III: La Pubblica Amministrazione. Per questa sera occorrerebbe deliberare in merito all’articolo 91. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I pubblici uffici sono organizzati in base a disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

«I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

«I pubblici impiegati membri del Parlamento non possono conseguire promozioni se non per anzianità».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Corbino, tendente a sopprimerlo.

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CORBINO. Ho proposto la soppressione di tutto l’articolo per non presentare una serie di emendamenti che per essere illustrati avrebbero fatto perdere molto tempo all’Assemblea. Ho l’impressione che questo articolo contenga alcune norme completamente superflue. Qualcuna potrebbe restare, qualche altra potrebbe essere trasferita più opportunamente ad altri articoli già approvati. Ma in fondo, tutto o quasi l’articolo potrebbe essere soppresso. Se tuttavia l’Assemblea decide di esaminare i singoli capoversi, vedremo quello che si può salvare. Sin d’ora vorrei raccomandare alla Commissione di spostare all’articolo 62 l’ultimo capoverso, perché credo che sarebbe meglio collocare la relativa disposizione insieme con quella che determina i casi di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, tendente a sostituire l’intero articolo 91 con il seguente:

«L’organizzazione dell’Amministrazione centrale e di quella locale è regolata dalla legge».

Ma l’onorevole Colitto non è presente.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio mio, come subordinato a quello soppressivo da me proposto, l’emendamento Colitto, con il quale la materia dell’articolo 91 sarebbe riassunta in una formula assai breve.

PRESIDENTE. Sta bene. Seguono due emendamenti degli onorevoli Numeroso e Bettiol, del seguente tenore:

«Al primo comma, sopprimere le parole: in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I pubblici impiegati esercitano le toro funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione».

BETTIOL. Vi rinunziamo.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano, tendente a sopprimere l’ultimo comma.

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’articolo così come è formulato nella sua ultima parte, di cui ho chiesto la soppressione, contiene una vera e propria sanzione contro i funzionari dello Stato, colpevoli unicamente di essere stati eletti membri del Parlamento. Tanto valeva dichiarare la incompatibilità tra il mandato politico ed il pubblico impiego.

L’ultima parte dell’articolo 91 contiene quasi un implicito incoraggiamento al professionismo politico. Il funzionario, il quale sa che, accettando il mandato politico, dovrà rassegnarsi alla fine della sua carriera, è indotto a rinunziare ad un cammino ormai sbarrato e a darsi al professionismo politico. È di questo che bisogna preoccuparsi, è questa la mala pianta di oggi; ed è quasi puerile preoccuparsi nella Carta costituzionale della eventuale promozione dell’impiegato dello Stato, promozione che potrebbe essere sospettata di acceleramento in dipendenza della veste di deputato e di senatore.

Non aumentiamo per via indiretta le file del professionismo politico. Tutti sappiamo che la promozione per un impiegato statale importa un misero giovamento, cioè l’aumento di qualche centinaio di lire mensili. Sono le funzioni occulte, quelle che incidono nell’alta banca e nella grande industria, che possono turbare la serenità e la obiettività del mandato politico, non lo scatto del povero Travet.

Con l’ultimo capoverso, di cui ho chiesto la soppressione, per via indiretta si pongono d’altra parte i funzionari più retti dello Stato nella condizione di rinunziare a qualsiasi attività politica, e si sottrae quindi alla libera scelta dell’elettore tutta una classe benemerita, che oggi in Italia ha raggiunto quasi un milione di uomini.

Ho dato una fugace lettura all’elenco dei deputati di questa Assemblea: solo una quarantina sono alle dipendenze dello Stato: professori di Università, pochi consiglieri di Stato, tre magistrati, alcuni professori di scuole medie, qualche impiegato ferroviario e, se non erro, un maestro elementare. Se si tiene conto che gli impiegati dello Stato oltrepassano il milione, la percentuale non è preoccupante.

Bisogna poi considerare il sistema delle promozioni nel nostro ordinamento amministrativo. Le modalità variano da una amministrazione all’altra: si può essere promossi per concorso per esame, per concorso per titoli, per merito distinto, per merito comparativo, per scrutinio, per anzianità. I meno capaci arrivano con quest’ultimo sistema, cioè, per anzianità. Ebbene, all’impiegato dello Stato eletto deputato si lascia aperta solo questa via. A nulla vale che egli si distingua con esami o con pubblicazioni; la via è sbarrata. L’Amministrazione non potrà valersi di un buon elemento condannato a rimanere nel grado inferiore perché eletto deputato. È opportuno poi osservare che le influenze politiche ordinariamente operano meglio dal di fuori, quando il protetto non è nell’agone politico.

Concludendo, la norma di cui ho chiesto la soppressione è inopportuna o quanto meno eccessiva. Anche vi fosse qualche caso sporadico di quelli che hanno preoccupato i compilatori del progetto, la rarissima eccezione non deve far nascere la sensazione di carattere generale, che preventivamente colpisce tutta una classe, che più si sente legata alla vita dello Stato. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha presentato il seguente emendamento

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«I componenti del Parlamento, che siano pubblici impiegati, o impiegati di enti pubblici o controllati dallo Stato, non possono conseguire promozioni nell’impiego, né nomine ad uffici direttivi, anche temporanei, né trasferimenti».

Non essendo l’onorevole Calamandrei presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Invito l’onorevole Tosato ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti testé svolti.

TOSATO. La Commissione non può accettare la proposta radicale fatta dall’onorevole Corbino di sopprimere l’intero articolo 91, perché questo articolo contiene disposizioni aventi grande importanza costituzionale: si fissa il principio che l’organizzazione dei pubblici uffici deve essere fatta per legge; si fissa quello che nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza al fine di precisare la responsabilità personale dei funzionari; si stabilisce il principio fondamentale dell’obbligo del concorso per coprire i pubblici uffici, ed infine quelli che i pubblici impiegati sono esclusivamente al servizio dell’Amministrazione e non possono, quando sono membri del Parlamento, conseguire promozioni se non per anzianità.

Sono tutti principî di carattere fondamentale, di importanza costituzionale, che la Commissione ritiene opportuno vengano fissati nella Costituzione. Si vedrà poi, in sede di coordinamento, se sia opportuno togliere qualche sovrabbondanza verbale: ma la sostanza dell’articolo dovrebbe rimanere.

Per quanto riguarda poi l’emendamento presentato dall’onorevole Romano, la Commissione dichiara di essere di parere avverso e pertanto non può accoglierlo. È da notarsi infatti che tale emendamento non tiene alcun conto della linea di conciliazione fra opposte esigenze seguita dalla Commissione. Fra la esclusione infatti di qualsiasi possibilità di promozione, di trasferimento od altro, e l’assoluto mantenimento di ogni diritto in questo senso da parte degli impiegati dello Stato che siano stati eletti deputati, la Commissione ha seguito una linea intermedia sulla quale intende rimanere ferma.

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca e Togliatti hanno presentato il seguente comma aggiuntivo:

«La legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni».

Domando se sia appoggiato.

(È appoggiato).

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Signor Presidente, a me parrebbe di ingiuriare l’Assemblea se illustrassi questo emendamento, che è basato su un concetto universalmente accolto, che cioè debba essere esercitato un controllo sulla pubblica Amministrazione. Da chi? Evidentemente da chi è la fonte, la sorgente della sovranità, del potere. Noi, in sede costituzionale, non possiamo entrare in particolari e dobbiamo pertanto rinviare alla legge la determinazione dei modi e delle forme in cui questo controllo, quanto mai necessario, si esercita sulla pubblica Amministrazione.

PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il proprio parere su questo emendamento.

TOSATO. Alla Commissione sembra che questo emendamento sia per lo meno superfluo, nel senso che la legge può sempre stabilire forme di controllo non previste dalla Costituzione e non previste ancora dalle leggi vigenti. Vi sono d’altra parte già leggi fondamentali che assicurano un controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni. Per l’Amministrazione centrale, vi sono infatti i controlli esercitati dai membri delle assemblee rappresentative; per quanto riguarda gli enti locali di pubblica amministrazione, sia regionali che provinciali e comunali, il controllo è esercitato attraverso gli organi rappresentativi di questi enti locali.

La possibilità di stabilire ulteriori forme di controlli popolari sulla pubblica Amministrazione, secondo le esigenze fatte presenti dagli onorevoli presentatori, non è affatto esclusa; non essendovi alcuna disposizione costituzionale che ponga in materia divieti, una estensione e un ulteriore incremento dei controlli popolari è sempre possibile. Perciò l’emendamento proposto appare superfluo.

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti all’articolo 91 se, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Tosato, li mantengano. Onorevole Corbino?

CORBINO. Rinunzio al mio emendamento e anche a quello dell’onorevole Colitto.

PRESIDENTE. Onorevole Romano?

ROMANO. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Calamandrei, l’emendamento si intende decaduto. Onorevole La Rocca?

LA ROCCA. Insistiamo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alle votazioni. Voteremo l’articolo 91 comma per comma.

Pongo in votazione il primo comma, del quale do nuovamente lettura:

«I pubblici uffici sono organizzati in base a disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io pregherei di mettere questo comma ai voti per divisione, in quanto sono d’accordo per il concorso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, ma credo eccessivo, e credo anche che possa essere un grave errore, quello di rendere obbligatorio il concorso anche per gli impiegati degli enti di diritto pubblico, perché con l’espressione generica di enti di diritto pubblico si abbraccia un’infinità di enti, molti dei quali, fra l’altro, regolano il rapporto di impiego con i loro dipendenti in base alla legge sull’impiego privato, con la competenza, quindi, dei tribunali ordinari per le relative controversie, le quali non rientrano nella competenza del Consiglio di Stato.

Se, ad esempio l’Ente per la protezione degli animali, per cambiare un cassiere o un usciere, dovesse fare un pubblico concorso, la spesa per il pubblico concorso sarebbe superiore allo stipendio di molti mesi dell’impiegato.

L’espressione «enti pubblici» è di una genericità tale che vi sarebbero compresi innumerevoli enti: è inutile fare un’esemplificazione. Comunque, se per ogni impiegato si dovesse fare un concorso, sarebbe la fine del mondo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Indubbiamente l’osservazione dell’onorevole Fabbri è pertinente date la molteplicità e la varietà degli enti di diritto pubblico.

Noi ci rendiamo perfettamente conto del fondamento della obiezione da lui sollevata. Vorrei pregare però l’onorevole Fabbri di trasformare la sua richiesta in suggerimento alla Commissione, la quale cercherà una formula più esatta.

Sul principio generale che per gli uffici pubblici, intesi in senso stretto, occorra un pubblico concorso, credo siamo tutti d’accordo, perché esso rappresenta una garanzia.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Il mio spirito è il più vicino possibile alla richiesta dell’onorevole Tosato; solo mi domando se è una questione di coordinazione e di sola opportunità di dicitura, che possa rientrare nella competenza del Comitato di redazione, quella di far sparire gli enti pubblici, oppure di farne una precisazione tale di determinate categorie, onde per lo meno si comprenda che si tratta di quegli enti pubblici, ad esempio, i cui dipendenti sono soggetti alla giurisdizione del Consiglio di Stato. Stabilendo un criterio direttivo si potrà pervenire in senso lato ad una certa classificazione, ma, in difetto, varianti di pura forma alla norma potrebbero far nascere un pasticcetto.

Mi rimetto comunque al parere dell’Assemblea.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Volevo accennare appunto alla possibilità e al compito della Commissione di trovare una formula restrittiva rispetto a quella generica e amplissima di «enti di diritto pubblico». Comunque, mi permetto di far osservare all’onorevole Fabbri che nell’ultima proposizione del comma si dice «salvo i casi stabiliti dalla legge»; in questa formula si ha precisamente la possibilità di venire incontro alle difficoltà sollevate dallo stesso onorevole Fabbri.

PRESIDENTE. Di fronte alla richiesta dell’onorevole Fabbri, occorre comunque votare per divisione.

Pongo in votazione le parole:

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e negli enti di diritto pubblico»

(Non sono approvate).

Pongo in votazione le restanti parole:

«si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

(Sono approvate).

Pongo ai voti il terzo comma nel testo del progetto:

«I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

(È approvato).

Ricordo che l’onorevole Romano ha presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma, il quale, nel testo del progetto, è del seguente tenore:

«I pubblici impiegati membri del Parlamento non possono conseguire promozioni se non per anzianità».

Pongo in votazione questo comma, ricordando che i colleghi favorevoli all’emendamento soppressivo manifesteranno la loro volontà votando contro il comma stesso.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo ora in votazione il comma aggiuntivo proposto dagli onorevoli La Rocca e Togliatti che rileggo:

«La legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni».

(Non è approvato).

Il testo approvato dell’articolo 91 è pertanto quello del progetto, con la soppressione, nel secondo comma, delle parole «e negli enti di diritto pubblico».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 10.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se, dato il grave onere che l’aumento delle tasse universitarie costituisce per gli studenti con modesti mezzi di fortuna, non ritengano opportuno procedere ad una conveniente ed equa riduzione.

«L’interrogante chiede risposta urgente.

«Priolo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti abbiano presi per evitare che la ristampa dell’Enciclopedia Treccani venga affidata ancora a quegli elementi fascisti che già ne avevano diretto la compilazione.

«Spallicci, Chiostergi, Camangi, Azzi, Magrini, Paolucci, Zuccarini, Longhena».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno sistemare in pianta stabile gli insegnanti delle scuole elementari, che abbiano prestato almeno cinque anni di servizio provvisorio, ripetendosi il trattamento di favore – che fu accolto da tutti con grande soddisfazione – usato a taluni gruppi di personale assunti appunto in servizio nella scuola prima del 1937 a titolo provvisorio. (Vedasi regio decreto 22 novembre 1937, n. 1998). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni, per le quali la città di Campobasso non è stata ancora riconosciuta come stazione climatica montana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali è stato improvvisamente soppresso il servizio automobilistico Miranda-Isernia, in provincia di Campobasso, che di tanta utilità era anche per numerosi lavoratori dei due paesi e per studenti; e per sapere se non ritenga necessario senz’altro ripristinarlo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se, di fronte ai gravi e numerosi inconvenienti verificatisi nella funzione dei giudici conciliatori, non ritenga opportuno:

  1. a) di ridurre il limite della competenza per valore dei giudici conciliatori;
  2. b) di ripristinare le preture soppresse dal fascismo, con congruo aumento delle sezioni distaccate;
  3. c) di affidare ai pretori la sistematica assistenza e sorveglianza dei giudici conciliatori, in modo da rendere possibile l’efficace svolgimento della loro funzione, che di fatto in tanti piccoli Comuni è ora sovente costretta a rinunziare a far valere in tale sede le proprie ragioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere che cosa intende fare per accelerare l’istituzione a Napoli del Centro raccolta emigranti per l’Argentina.

«Il ritardo nell’attuazione, per difficoltà burocratico-amministrative, danneggia gravemente non solo la città e il porto napoletano, ma soprattutto gli emigranti meridionali che sono costretti, pur essendo numerosi, a sacrifici notevoli per raggiungere altri porti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Bosco Lucarelli, Firrao, Nicotra Maria, Carratelli, Quintieri Adolfo, Castelli Avolio, Codacci Pisanelli, Reale Vito, Rodinò Ugo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 0.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Colonnetti

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bettiol

Monticelli

Corbi

Tosato

Calosso

Lussu

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Fabbri

Mortati

Corbino

Bozzi

Macrelli

Fuschini

Arata

Stampacchia

Tonello

Targetti

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha dichiarato di esser pronto a rispondere all’interrogazione presentata nella tornata del 16 settembre ultimo scorso dai deputati Colonnetti, Giacchero, Firrao, Di Fausto, di cui do lettura:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvedimenti intendano adottare di fronte all’allarmante moltiplicarsi dei disastri edilizi, e se non credano giunta l’ora di prendere in considerazione le proposte che i vari organi del Consiglio nazionale delle ricerche hanno ripetutamente formulate per un miglioramento della tecnica delle costruzioni – proposte che sono state fino ad ora rese vane dalla resistenza passiva della burocrazia e dall’ostinato rifiuto del Tesoro a concedere quel minimo di mezzi finanziari che sarebbero stati necessari per la loro attuazione.

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se l’onorevole Colonnetti e i colleghi che si sono uniti alla sua interrogazione avessero esteso la medesima anche al Ministro del tesoro forse la risposta del Governo potrebbe essere più sodisfacente.

In ogni caso l’onorevole Colonnetti mi ha fornito la gradevole occasione di esaminare tutti i precedenti della materia che formano oggetto dell’interrogazione.

Come l’onorevole Colonnetti sa, la materia della produzione dei leganti idraulici è disciplinata da una legge fondamentale, quella del novembre 1939, legge che non fa che raccogliere tutte le istanze, le considerazioni, gli studi, le proposte che prima di essa furono elaborati dal Consiglio nazionale delle ricerche.

La materia dovrebbe essere di competenza speciale del Ministero dell’industria e commercio. Senonché anche il mio Ministero se n’è occupato a più riprese e a volta a volta ha adottato determinati provvedimenti.

Non voglio risalire molto lontano. Mi limito solo alle circolari che sono state emanate dal Ministero dei lavori pubblici nell’aprile 1945 e nel gennaio 1946. Con queste circolari, spedite ai vari uffici del genio civile, gli ingegneri del genio civile erano invitati – e rimangono quindi tuttora invitati – ad esercitare una assidua opera di controllo sia nelle cementerie, sia nei luoghi ove il cemento viene adoperato.

Questo controllo dovrebbe farsi mensilmente, e consiste nel prelievo di una quantità idonea di cemento che viene spedita ai laboratori più vicini, i quali dispongano di mezzi per gli accertamenti.

Compete ai laboratori rilasciare dei certificati attestanti se il cemento che viene immesso al consumo è più o meno idoneo ad essere utilizzato.

Copia dei certificati viene mensilmente mandata al mio Ministero, che li esamina. E quando nulla ha da dire al riguardo, naturalmente, non fa che prenderne atto; quando invece trova che il prodotto è inferiore ai limiti di resistenza o di tolleranza o comunque deteriore per qualità, ne fa segnalazione al Ministero dell’industria e commercio per gli opportuni provvedimenti.

Tutte queste ispezioni e questi controlli sono sempre regolati dalla legge fondamentale del novembre 1939.

Inoltre il mio Ministero, nell’aprile di questo anno, per intensificare la sorveglianza e il controllo, ha emanato nuove disposizioni in virtù delle quali il controllo non si limita soltanto alle cementerie e ai luoghi doveri cementi vengono adoperati, ma deve farsi anche in forme cosiddette volanti presso i luoghi di spedizione, durante il trasporto e dovunque essi si trovino. A seguito di tali accertamenti improvvisi o saltuari, se ne risulta una qualità di cemento diverso o di qualità inferiore a quella denunciata all’esterno, si fa anche luogo a denunzia penale per frode in commercio ai sensi dell’articolo 515 del Codice penale.

Recentemente ho dato anche nuove disposizioni ai funzionari del mio Ministero perché, in unione a quelli del Ministero dell’industria, studino e propongano altri sistemi di accertamento e di controllo, rapidi e semplici, onde corrispondere alle esigenze denunciate dall’onorevole Colonnetti. Il quale è certamente informato delle trattative in corso tra i funzionari del mio Dicastero e quelli del Consiglio nazionale delle ricerche, al fine di correggere e aggiornare con nuove e più adatte disposizioni la legge del 1939.

Detti studi sono ormai a buon punto ed è nei miei propositi tradurli al più presto in norme di legge.

Assicuro pertanto l’onorevole Colonnetti ed i colleghi che con lui hanno firmato l’interrogazione, di tenermi a loro disposizione per qualsiasi eventuale suggerimento e proposta, in modo che le nuove auspicate provvidenze corrispondano all’aspettativa del Paese, il quale ha diritto di pretendere che i materiali di costruzione abbiano i necessari coefficienti di stabilità e garantiscano perciò la maggiore tranquillità. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COLONNETTI. Io sono grato al Ministro dei lavori pubblici per le sue dichiarazioni che ci confermano – sebbene non ce ne fosse davvero bisogno – il suo vivo e fattivo interessamento al problema ed il suo alto senso di responsabilità nella gestione dell’Amministrazione alla quale presiede.

E penso che, proprio per questo suo senso di responsabilità, non gli spiacerà ch’io mi permetta di richiamare la sua attenzione su di uno stato di fatto che è in stridente contrasto con le sue intenzioni e con le disposizioni da lui emanate.

È verissimo che a disciplinare la tecnica delle costruzioni in cemento armato vige il decreto del 16 novembre 1939, n. 2229, il quale ha precisamente per iscopo di provvedere a quella vigilanza ed a quei controlli che io invoco in questo momento.

Dice quel decreto – all’articolo 2 – che «la qualità e le proprietà dei materiali impiegati nella esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice ed armato devono essere comprovate, prima e durante il corso dei lavori, da certificati rilasciati da uno dei laboratori ufficiali».

Aggiunge – all’articolo 16 – che da queste prove deve risultare una certa resistenza dei calcestruzzi, soggetta a certe condizioni che io per brevità non vi starò qui ad elencare, ma che in ogni caso «non dovrà mai risultare inferiore a 120 chilogrammi per centimetro quadrato, per i conglomerati di cemento normale.

«Non raggiungendosi a 28 giorni di stagionatura la resistenza richiesta, la prova dev’essere ripetuta a 60 giorni su altri provini prelevati contemporaneamente ai primi.

«Qualora nella seconda prova la resistenza prescritta non sia raggiunta, il direttore dei lavori provvede, secondo i casi, alla sospensione dei lavori, ed eventualmente al rafforzamento delle opere o alla loro demolizione».

Finalmente – all’articolo 50 – quel decreto impone al direttore dei lavori «l’obbligo di allegare ai documenti di collaudo i certificati delle prove eseguite a norma delle disposizioni precedenti».

Ora, in questo, come in tutti i decreti, c’è un comma che manda «a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare».

Io non so bene a chi spetti di fare osservare le disposizioni che ho riferito; se all’autorità tutoria in generale (ai prefetti, per esempio) oppure agli organi tecnici dello Stato. Ma so che quelle disposizioni non sono osservate e che nessuno si occupa di farle osservare.

I laboratori ufficiali ricevono bensì continuamente dei campioni di cementi e di calcestruzzi da provare.

Ma i risultati sono spesso, troppo spesso, di gran lunga inferiori ai limiti regolamentari. Su cementi dichiarati da 500 chilogrammi per centimetro quadrato, si riscontrano resistenze che raggiungono a mala pena i 350 chilogrammi. Calcestruzzi che dovrebbero sopportare 120 chilogrammi per centimetro quadrato, si rompono sovente sotto carichi di soli 65, 70, 75 chilogrammi: poco più della metà del prescritto!

Di fronte a risultati di questo genere sono relativamente poche le richieste di prove a due mesi; esse d’altronde confermano quasi sempre le insufficienze già constatate alla scadenza di 28 giorni.

Ora, i laboratori ufficiali hanno soltanto il dovere di comunicare i risultati delle prove a chi le prove stesse ha richieste; essi non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di indagare se e dove i materiali di cui si tratta vengono impiegati e messi in opera: non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di accertare se, là dove i risultati sono sfavorevoli, le costruzioni in corso vengano, come di dovere, sospese o rinforzate o demolite.

Ma abbiamo ragione di dubitare molto che questo si faccia!

Perciò qualche direttore di laboratorio di mia conoscenza ha creduto suo dovere richiamare, sui risultati cui sopra ho accennato, l’attenzione del Genio civile.

Io non dubito che l’ingegnere Capo del Genio civile avrà fatto il suo dovere trasmettendo quelle segnalazioni al Ministero dei lavori pubblici. Non dubito che il Ministero dei lavori pubblici avrà fatto il suo dovere trasmettendole al Ministero dell’industria.

Non so che uso debba farne il Ministero dell’industria. Ma ciò che io chiedo al Ministro è se nel frattempo qualcuno si è incaricato di identificare e mettere in mora coloro che impiegavano quei materiali, e di impedire che quelle costruzioni venissero ultimate e collaudate.

Consentite, onorevoli colleghi, che a questo proposito io vi racconti un piccolo episodio che dimostra fino a quale punto si sia giunti.

Alcuni giorni or sono un nostro collega, da molti di voi ben conosciuto ed apprezzato, l’onorevole Casalini, che in questo momento è Vice sindaco di Torino, mi raccontava che, avendo avuto qualche dubbio sopra una costruzione in corso per scuole municipali, si era recato personalmente sul posto ed esaminando la struttura in cemento armato aveva constatato che in alcuni punti il calcestruzzo si sgretolava sotto la semplice pressione della mano, lasciando scoperti i ferri dell’armatura perfettamente puliti – indice non dubbio di inesistente aderenza – sicché aveva dovuto personalmente provvedere a far sospendere i lavori e ad ordinare che tutta un’ala del fabbricato fosso rifatta.

Ma tutto questo è avvenuto in una scuola di Torino per lo zelo e la personale competenza dell’onorevole Casalini.

Non possiamo pensare di affidarci soltanto all’alea di siffatti interventi personali. Ci deve essere qualche organo che funzioni per arrestare abusi di questo genere, abusi che hanno portato a disastri, a vittime umane. Non basta che ad ogni disastro si promuova un’inchiesta onde stabilire le responsabilità. Attraverso l’inchiesta si troverà sempre una qualche causa occasionale che spiega l’incidente. Ma vi è un fatto, universalmente accertato, il quale basta da solo a spiegare tutti i disastri, ed è che vi sono sul mercato notevoli quantità di cementi di pessima qualità e che questi vengono regolarmente ed impunemente utilizzati, senza che direttori di lavori e collaudatori intervengano ad impedirlo, senza che le autorità provvedano ad accertare e a colpire le responsabilità di costoro.

Se l’ultimo articolo del decreto che io vi ho citato fosse applicato, se cioè i collaudatori effettivamente esigessero ed allegassero i certificati di prova dei materiali rilasciati dai nostri laboratori, quanti collaudi sarebbero negativi!

Il Ministro ha accennato agli studi in corso.

Anche su questo punto mi permetto di dirgli che egli si fa delle illusioni sulla rapidità e sulla efficacia di tali studi.

Questi sono infatti cominciati da tempo, auspici i suoi predecessori; e, sulla base di essi, è stato redatto il nuovo testo che io da mesi ho in bozze sul tavolo. Questo nuovo testo, fra l’altro, porta a 160 chilogrammi per centimetro quadrato il limite inferiore di resistenza, dei calcestruzzi che, nel vecchio testo, era di 120 chilogrammi, dimostrando chiaramente che la Commissione ha riconosciuto insufficiente la norma vigente.

Ma che valore ha questo, se, mentre le bozze del nuovo decreto girano da un Ministero all’altro e da ciascuno di essi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attesa di raccogliere tutti i necessari consensi, si continuano ad impiegare impunemente calcestruzzi che non rispondono né alle norme nuove né alle vecchie?

Il Ministro ha alluso all’opportunità che la mia interpellanza fosse rivolta anche al Ministro del tesoro.

Io non ho mai mancato di cogliere ogni occasione per tormentare il Ministro del tesoro, allo scopo di ottenere da lui i mezzi necessari per il finanziamento di ogni genere di studi e di ricerche. Ed accetto il cortese rimprovero dell’onorevole Tupini e lo assicuro che continuerò ad insistere.

Qui, oggi, una cosa mi preme soprattutto, ed è di attirare la di lui attenzione e la vostra, onorevoli colleghi, sopra l’aspetto tecnico del problema e sulla necessità di provvedimenti.

Sono tuttavia grato all’onorevole Ministro per la sua osservazione, la quale mi permette di segnalare e di lamentare le continue difficoltà che il Ministero del tesoro frappone a tutte le nostre richieste di finanziamento; di segnalare e di lamentare le condizioni di non funzionalità in cui sono troppo spesso lasciati i nostri laboratori di ricerca.

Conviene che si sappia, qui e fuori di qui, che ogni studio, ogni ricerca opportunamente finanziata si tradurrebbe in progressi reali della nostra tecnica che è rimasta arretrata in questi ultimi anni. All’estero si sono fatti progressi notevoli; la tecnica delle costruzioni si è affinata e perfezionata, si sono introdotti nell’uso comune i cementi ad alta resistenza, i cementi espansivi, e si è diffuso l’impiego dei cementi armati precompressi.

Da noi esiste una Commissione per i cementi ad alta resistenza, che fu costituita nel 1938 o forse nel 1939: non lo so con precisione, perché in quell’epoca io ero considerato un reprobo e non ne facevo parte. Ma ne faccio parte da tre anni, e vi posso dire che essa si raduna regolarmente una volta all’anno col solo risultato di rinviare ogni decisione alla volta successiva.

Ora i cementi ad alta resistenza si fabbricano all’estero, ed in Italia esiste una fabbrica che è in condizione di produrli; ma io ho l’impressione che è ancor lontano il giorno in cui li potremo impiegare nelle nostre costruzioni.

La stessa cosa accade per i cementi armati precompressi.

Da parte del Consiglio nazionale delle ricerche sono state formulate proposte intese ad ottenere dal Ministero dei lavori pubblici l’autorizzazione all’impiego in Italia, della nuovissima tecnica, e la sua regolamentazione. La questione, dal punto di vista tecnico, è matura a tal segno che travi precompressi si incominciano a costruire e ad impiegare senza alcuna autorizzazione e senza alcun controllo; il che può anche dar luogo a gravi inconvenienti. Ma il regolamento relativo è sempre allo studio!

Io segnalo questo stato di cose al Ministro non per uno sterile e vano desiderio di fare critiche, ma per dargli una prova concreta di collaborazione fattiva, e soprattutto per dimostrargli la fiducia che nutro nella sincerità dei suoi propositi e nel senso di responsabilità con cui regge il suo Dicastero.

Egli sa che il Consiglio nazionale delle ricerche è a disposizione per ogni genere di studi, e chiede soltanto che questi studi non restino lettera morta, come è accaduto, per esempio, per tutte le proposte fatte dai diversi Congressi che il Consiglio delle ricerche ha promossi in vista della ricostruzione edilizia. Raccolte in un grosso volume, quelle proposte stanno ad attestare lo spirito di iniziativa e la volontà di collaborazione degli ingegneri e degli architetti italiana però neppur una di esse è stata dal Ministero presa in considerazione.

Al Ministro noi saremo grati se egli vorrà per l’avvenire più largamente valersi dell’opera nostra, appoggiando e valorizzando, coll’autorità che gli deriva dalla sua altissima carica, quegli studi che il Consiglio va promuovendo su temi, in ordine ai quali qualunque nuovo ritrovato, qualunque anche lieve progresso tecnico si traduce in un risparmio di materiali e quindi in un concreto vantaggio per l’economia nazionale. (Applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

In relazione all’articolo 85, approvato ieri, l’onorevole Bettiol ha presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni alla legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Mi permetto di attirare l’attenzione dell’Assemblea su un argomento piuttosto importante che ieri non è stato trattato quando si è parlato della responsabilità penale e politica del Presidente della Repubblica per reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni: vale a dire il problema del trattamento giuridico penale riservato al Presidente della Repubblica, per quei fatti che violano la legge penale commessi mentre il Presidente della Repubblica è in carica.

Il quid iuris in questo determinato caso non è puramente cerebrale e astratto, ma potrebbe avere nel nostro Paese, come ne ha avuto in altri, manifestazioni concrete.

Le soluzioni possibili dal punto di vista teoretico sono tre: prima, il Presidente sta completamente al di sopra della legge penali, come il monarca del tempo passato, ciò che è in contrasto irriducibile coi fondamentali principî democratici, ai quali si ispirala nostra Costituzione; seconda, considerarlo soltanto esente da pena, cioè ammettere che in concreto il reato si possa raffigurare, ma per motivi particolari rinunziare all’applicazione della pena, tanto durante il tempo in cui il Presidente è in carica che dopo; questa sarebbe una immunità di carattere personale, che si avvicina alla esenzione completa dall’obbligo di osservare la legge penale: terza soluzione è quella che guarda il problema sotto il profilo della giurisdizione e considera i fatti perpetrati dal Presidente della Repubblica come fatti per i quali non si può esperire azione penale, mentre il Presidente della Repubblica rimane in carica; si tratterebbe di una pura esenzione da giurisdizione. Ritengo che quest’ultima soluzione sia, dal punto di vista politico, la più adeguata alle premesse democratiche della Costituzione e risponda quindi alle direttive politiche fondamentali, alle quali dobbiamo ispirarci.

Detto questo, mi permetto di presentare o come comma aggiuntivo o come articolo a sé il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni della legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

Resta chiarito che questa esenzione da giurisdizione dura fin quando il Presidente è in carica; quando il Presidente ritorna privato cittadino, questo suo privilegio processuale viene meno ed egli può essere tradotto davanti ai giudici per rispondere del reato perpetrato mentre era in carica, a1 di fuori dell’esercizio delle sue funzioni.

Ma, se durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente commette un grave reato, penso che la forza delle cose sia tale, da creare in concreto l’obbligo di dimissioni da parte del Presidente della Repubblica.

Non si deve dimenticare che gli articoli della Costituzione non sono principî meramente ideali, ma sono ancorati alla realtà politica e sociale.

PRESIDENTE. Ieri sera l’onorevole Bozzi si era riservato di fare una proposta analoga e l’Assemblea aveva accettato senz’altro di discuterla.

L’onorevole Bettiol ha iniziato la discussione, svolgendo l’articolo aggiuntivo da lui redatto.

Ma ve n’è un altro sulla stessa materia, che porta le firme degli onorevoli Monticelli, Arcangeli, Bosco Lucarelli, Camposarcuno, Ferrarese, De Palma, Angelini, Fuschini, Balduzzi, Cappi e De Unterrichter Maria:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Monticelli ha facoltà di svolgerlo.

MONTICELLI. L’osservazione fatta ieri sera dal collega onorevole Bozzi, mise in rilievo questa lacuna del progetto di Costituzione, che consente la possibilità, per il Presidente della Repubblica, di essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni. Io ritengo che durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente della Repubblica non debba essere esposto alla prima denunzia che potrebbe essere fatta non soltanto per un reato colposo, ma anche per un reato come la diffamazione o l’ingiuria, che lo costringerebbe a dover render conto delle sue azioni prima al Procuratore della Repubblica e poi al Magistrato. Ciò verrebbe ad infierire notevolmente sulla sua autorità.

Queste considerazioni, ed i rilievi fatti stamane dall’onorevole Bettiol, che in sostanza collimano perfettamente con l’osservazione che io ed altri colleghi abbiamo fatto, in quanto nessuna sostanziale differenza vi è fra noi, perché il collega Bettiol parla di esenzione dalla legge penale finché il Presidente è in carica, mentre noi sosteniamo che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto, finché è in carica, a procedimento penale, dimostrano che anche se la forma è diversa, il concetto è lo stesso. L’importante è che la norma, sotto forma di articolo aggiuntivo, venga inserita nella Costituzione a garanzia della figura del Presidente della Repubblica e soprattutto allo scopo di assicurargli quella giusta posizione di indipendenza di cui egli ha bisogno. Perciò insisto affinché l’Assemblea voti questo nostro articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al testo proposto dall’onorevole Bettiol: «salvo che le Camere riunite non ravvisino un caso di impedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Condivido il concetto informatore dell’emendamento presentato dall’onorevole Bettiol, ma mi sembra che su una materia così delicata sia un dovere delle Camere riunite poter stabilire quando si ravvisi impedimento, perché il Presidente della Repubblica possa ancora mantenere le funzioni delle quali è stato investito.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non ha avuto la possibilità di riunirsi per esaminare gli emendamenti presentati poco fa. Già ieri ho avuto occasione di accennare alle ragioni in base alle quali, sia in sede di Commissione dei Settantacinque, sia, ancor prima, in sede di seconda Sottocommissione, non è sembrato opportuno stabilire una norma precisa nella Costituzione relativamente alla responsabilità penale del Presidente per fatti che non si ricolleghino né direttamente né indirettamente all’esercizio delle sue funzioni. In particolare, una sospensione completa del procedimento penale, per reati comuni, a favore del Presidente, è sembrata eccessiva. D’altra parte un’assimilazione completa del Presidente della Repubblica con i deputati, estendendo al primo le identiche immunità previste per i secondi, non è sembrata adeguata alla figura e alla posizione del Presidente. Oggi la questione torna con gli emendamenti proposti dall’onorevole Bettiol e dall’onorevole Monticelli ed altri. In sostanza i due emendamenti coincidono nell’idea fondamentale che sia sospeso il procedimento penale a carico del Presidente per gli eventuali reati da lui commessi, che non si riconnettono affatto all’esercizio delle sue funzioni. La, Commissione, a questo punto, dopo quanto ho detto, può fare soltanto rilievi di pura forma; si può rilevare che, mentre sotto un certo aspetto sarebbe preferibile, dal punto di vista formale, l’emendamento proposto dall’onorevole Monticelli, in cui si afferma che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni, d’altra parte l’emendamento Bettiol è più sodisfacente; in quanto fa espresso riferimento ai casi per i quali si contempla la sospensione di procedimento penale a carico del Presidente.

Per quanto riguarda l’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Corbi, la Commissione ritiene che è forse superfluo; in questi casi si ha uno di quegli impedimenti per i quali è già prevista la sospensione delle funzioni e la supplenza del Presidente da parte del Presidente del Senato.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Io non vedo la necessità di costituire al Capo dello Stato una posizione speciale. Noi abbiamo una magistratura che è sovrana ed è uno dei poteri dello Stato.

Ora, la stessa immunità parlamentare mi pare che sia sorta in antico, soprattutto come una difesa del potere sovrano.

Esiste una magistratura, ed io non capisco perché le si debba togliere questa funzione. Perfino presso certi popoli coloniali vi è la possibilità di chiamare dinanzi al giudice il governatore che rappresenta il potere sovrano .

Poiché abbiamo una magistratura, non comprendo perché non dobbiamo farla funzionare in maniera ordinaria. Sarebbe un procedimento più semplice lasciar fare alla magistratura, nella quale dovremmo avere fiducia. Piuttosto, si dovrebbe migliorare la magistratura, che non è ancora davvero indipendente.

FUSCHINI. Che cosa si dovrebbe fare?

CALOSSO. Ci vuole una magistratura abbastanza buona. (Interruzione dell’onorevole Badini Confalonieri).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

CALOSSO. Non mi pare, d’altra parte, che sia una misura eccessivamente democratica togliere alla magistratura una zona del suo ufficio, salvo il motivo specifico di difenderla da un regime assoluto. Comunque, io voterò contro.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione con la quale mi sono consultato, resta ferma nella sua idea che non sia opportuna in materia, una disposizione espressa della Costituzione.

Tuttavia, se l’Assemblea ritiene di dover invece stabilire una disposizione su questo argomento, proporrei questo testo:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camere riunite ravvisino un caso di impedimento all’esercizio delle funzioni medesime».

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha dichiarato di mantenere la sua convinzione precedente: che non sia necessario inserire una norma di questo genere nel testo della Costituzione. Ove tuttavia, l’Assemblea lo ritenesse necessario, la formulazione accettata dalla Commissione è quella comunicata dall’onorevole Tosato, formulazione nella quale si è tenuto conto delle proposte degli onorevoli Bettiol, Monticelli e Corbi.

Chiedo all’onorevole Bettiol se mantiene il suo emendamento.

BETTIOL. Lo ritiro ed accedo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?

MONTICELLI. Insisto nella mia formulazione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se la Commissione conserva l’emendamento che è stato testé letto, io dichiaro che voterò contro, rimanendo coerente alle decisioni che furono prese all’unanimità in seno alla Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Noi abbiamo formulato un nuovo testo in un modo diverso da quello proposto dall’onorevole Monticelli, per prestazione tecnica, non per andare contro il progetto, che dobbiamo mantenere perché così fu stabilito a suo tempo; ma riteniamo che – se fosse respinto – sarebbe preferibile la dizione che ha letto poc’anzi l’onorevole Tosato.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Faccio presente che io posso aderire alla proposta ora fatta dal Presidente della Commissione per la Costituzione, solo nel caso che si proceda alla votazione per divisione.

PRESIDENTE. Non si tratta per intanto di votare semplicemente per divisione, si tratta di votare un testo oppure un altro. Il testo della Commissione non combacia col suo, onorevole Monticelli. Do lettura del testo proposto dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni»,

Il testo della Commissione è invece il seguente:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camera riunite ravvisino un caso di impedimento dell’esercizio delle funzioni medesime».

MONTICELLI. Mi pare che vi sia una differenza tra le due proposte, in quanto il mio emendamento è più lato.

PRESIDENTE. Non discutiamo sulle cose su cui siamo d’accordo, onorevole Monticelli. Lei ha chiesto che si voti per divisione. Ora, che cosa si può votare per divisione? II testo della Commissione. Il suo testo non si può votare per divisione, perché contiene un solo concetto; per questo, se lei chiede di votare per divisione, implicitamente accetta che si voti sul testo della Commissione.

MONTICELLI. La mia dichiarazione era subordinata a quanto ha detto il Presidente della Commissione. Egli ha detto, riferendosi alla formulazione dell’articolo proposta dall’onorevole Tosato: lei può fare le sue riserve votando contro, quando si tratterà della votazione sulla seconda parte.

Ora, invece, si chiede di decidere se occorra dare al Presidente della Repubblica una esenzione da giurisdizione più larga o più ristretta, e quindi se si debba applicare il concetto di restringere la esenzione soltanto per i fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni. È logico che in tal caso vi è contrasto. E poiché non ci siamo capiti, io insisto sulla mia formulazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Monticelli, il Comitato dei diciotto prima di tutto, voglio ripeterlo, non può che mantenere la originaria proposta di non mettere nulla nella Costituzione, proposta deliberata a suo tempo per le considerazioni così largamente svolte in seno alla seconda Sottocommissione. Certo è che, dopo aver parlato della irresponsabilità negli atti di ufficio, non si dice nulla di quelli fuori ufficio; si deve ritenere per essi la responsabilità: ma la Sottocommissione ha ritenuto che o si tratterà di violazioni lievi, e non si darà corso ai procedimenti; o di violazioni gravi, che rendano impossibile la sua permanenza in ufficio: nei quali casi si avrà una delle figure dell’impedimento, di cui parla altrove la Costituzione. L’argomento è così delicato che la Commissione ritenne a suo tempo che fosse meglio lasciarne la risoluzione alla prassi.

Non disconosco tuttavia, che l’opposta tesi di contemplare la questione con qualche norma può avere – appunto per la delicatezza del tema – qualche argomento a favore: ove prevalesse, è bene che vi sia un testo tecnicamente ben congegnato. Ci troviamo di fronte tre formule. Quella Monticelli, che ci sembra preferibile all’altra Bettiol, perché parla di sottoposizione a procedimento penale, anziché di violazione di norme penali. Invece la formula Bettiol è più completa, in quanto precisa che si tratta di atti compiuti fuori dell’esercizio delle funzioni di Presidente. Infine la terza proposta Corbi è che, stabilita in massima la temporanea immunità finché dura l’ufficio, si dia la possibilità alle Camere unite di intervenire nei casi più gravi, ravvisando l’esistenza di uno degli impedimenti, che implicano la sospensione del Presidente dalle sue funzioni; nel qual caso il giudizio avrà luogo, e – ove dia luogo a condanna – l’impedimento diventerà assoluto ed il Presidente cesserà dalla sua carica.

Noi del Comitato dobbiamo rimanere fedeli alla proposta originaria di non metter nulla; ma, ove l’Assemblea decida diversamente, ci sembra che non potrebbe ammettersi immunità anche temporanea, senza che nei casi gravi si possa colpire un Presidente reo di gravi reati commessi. Con che si cercherebbe di tradurre in un articolo la soluzione di fatto, che si proponeva la Commissione col silenzio.

CORBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBI. Alle varie formule proposte noi avremmo preferito quella concordata poco fa dalla Commissione, anche perché in essa era stato tenuto conto dei nostri suggerimenti. Tuttavia, poiché abbiamo udito ora l’onorevole Ruini, il quale è tornato ad essere del parere di non introdurre alcun testo nella Costituzione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No: lo sono sempre stato; l’ha detto anche l’onorevole Tosato. La Commissione non ha mai mutato il punto di vista manifestato ab origine. Ha solo, ed era suo dovere, incanalato tecnicamente la discussione.

CORBI. Comunque sia, poiché l’onorevole Ruini ci ha manifestato che la Commissione è del parere di non introdurre alcun testo, che cioè essa è contraria a questo articolo aggiuntivo, qualunque ne sia la formulazione, poiché noi condividiamo questa posizione, dichiaro che voteremo contro tutti i vari emendamenti proposti al riguardo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io chiedo che la votazione avvenga per divisione in rapporto a «salvo che».

PRESIDENTE. Voteremo prima l’emendamento Monticelli, dove non esiste il «salvo che»; eventualmente dopo, se non risulterà approvato il testo dell’onorevole Monticelli, voteremo per divisione quello della Commissione.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. In seguito alle spiegazioni fornite dall’onorevole Presidente della Commissione, io dichiaro di aderire alla formulazione dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Sta bene; metteremo subito in votazione il testo della Commissione, secondo la richiesta dell’onorevole Condorelli.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di osservare che ci si sta disorientando, mentre, in seguito agli interventi dei colleghi che hanno testé parlato e soprattutto in seguito a quello dell’onorevole Corbi, la situazione era stata sufficientemente chiarita. L’emendamento della Commissione non può essere messo in votazione, perché la Commissione è per l’abolizione dell’articolo aggiuntivo. Pertanto, il collega Monticelli non può far suo il testo proposto dalla Commissione, perché la Commissione in sostanza lo ritira. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, precisiamo i termini della questione. La Commissione aveva stabilito di non includere questo testo e, di fatto, essa è rimasta fedele a questo suo punto di vista, come ha dichiarato ora l’onorevole Ruini. Poiché, tuttavia, sono stati presentati dei testi aggiuntivi, la Commissione ha cercato di dare al concetto espresso in questi testi aggiuntivi la formulazione che ad essa è sembrata migliore: ma è evidente che essa è subordinata al non accoglimento da parte dell’Assemblea del punto di vista di non introdurre nella Costituzione questo articolo aggiuntivo.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Onorevole Presidente, per semplificare, faccio mio il testo elaborato dall’onorevole Tosato, rinunziando alla mia formulazione.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro qualsiasi emendamento che pretenda riempire la lacuna e modifichi il silenzio mantenuto nel testo di progetto della Costituzione, perché resto coerente alle conclusioni cui pervenimmo nella Sottocommissione. In sostanza noi ritenemmo che la formulazione della norma era nella fattispecie soverchiamente difficile, in quanto bisognava fare un’ipotesi di reato; e anche il dire, come propone l’onorevole Bettiol, «reati al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni» avrebbe quasi significato che, viceversa, nell’esercizio delle sue funzioni il Capo dello Stato reati avrebbe potuto commettere, purché non fossero di tradimento o di violazione della Costituzione.

La sospensione dell’azione penale finché era in carica, era norma che pure preoccupava dal punto di vista che sarebbe sembrato che da parte delle Assemblee non fosse mai, in nessun caso, revocabile la nomina del Presidente; mentre noi pensavamo invece che, anche senza dirlo, trattandosi di una nomina da parte del Parlamento, in occasione della quale non si scioglie l’organo che ha fatto questa nomina, sia sempre possibile, in astratto, pensare anche alla legittimità della revoca. Allora, delle due l’una: o il fatto cosiddetto penale era di così lieve entità che non valeva assolutamente la pena di occuparsene (e soltanto alla scadenza dei sette anni il giudice avrebbe in pratica potuto pensare alla sua perseguibilità), oppure, viceversa, se il fatto fosse di tale gravità da rendere necessario un procedimento penale, ed avveniva durante l’esercizio delle funzioni, sarebbe stato agevole senz’altro al Parlamento constatare l’incompatibilità, per questa ipotesi concreta di delinquenza intervenuta da parte del Presidente della Repubblica, e quindi revocandolo, sostituirlo con un altro.

Io trovo, quindi, che politicamente, la soluzione più brillante fu quella del silenzio, perché in una Costituzione non si possono prevedere tutte le infinite fattispecie, per delle ipotesi che a priori si palesano molto difficili ad accadere. E anche di fronte all’esempio dell’onorevole Bozzi, il quale faceva l’ipotesi di un investimento colposo con l’automobile, ricordo benissimo che in Commissione dicemmo: «Speriamo che lo chauffeur non sia stato nominato direttamente dal Capo dello Stato e che sia commesso di un determinato ordinamento amministrativo, cosicché si possa procedere contro lo chauffeur, senza disturbare il Presidente della Repubblica che viaggiava a bordo della macchina».

Questa fu la ragione concreta per cui, dopo un profondo esame, deliberammo che ci fosse nel testo del progetto una lacuna, un vuoto. A questo vuoto e a questa lacuna io mi attengo fedelmente.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Volevo porre semplicemente una questione regolamentare: chiedere cioè se sia opportuno e conforme al Regolamento mettere la questione nei termini proposti, visto che c’è una pregiudiziale, cioè la proposta di non dire niente, di conservare il silenzio sulla questione che l’onorevole Monticelli vorrebbe regolamentare.

Mettendo in votazione una formulazione di carattere positivo, si fa venire meno la possibilità di un’espressione chiara del pensiero dei votanti. Infatti vengono necessariamente a confluire nel voto contrario all’emendamento tanto coloro che ritengono più opportuno eliminare dalla Costituzione ogni statuizione sull’argomento, quanto coloro che, pur ammettendo una disciplina della materia, non consentono nella formulazione proposta con l’emendamento.

PRESIDENTE. Non esiste alcuna pregiudiziale; nessuno l’ha posta, e pertanto l’onorevole Monticelli ha diritto di presentare il suo emendamento.

MORTATI. La Commissione l’ha posta.

PRESIDENTE. La Commissione non può porre pregiudiziali. Essa ha semplicemente esposto il suo avviso sulla proposta fatta.

Pongo in votazione la prima parte dell’articolo aggiuntivo nel testo della Commissione, fatto proprio dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Essendo stata respinta questa prima parte, non possiamo procedere alla votazione della seconda.

Passiamo all’esame dell’articolo 87. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Primo Ministro e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia.

«La fiducia è accordata su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

Ha facoltà di svolgerli.

CORBINO. Ho proposto la soppressione del primo comma dell’articolo 87, perché mi pare inutile che si dica che Presidente del Consiglio e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento quando, al secondo comma, si dice: «Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale» (o alle Camere) «per chiederne la fiducia». È quindi evidente che nel secondo comma è implicito il concetto contenuto nel primo comma.

D’altra parte la questione potrebbe prospettarsi sotto il problema della fiducia del Parlamento, cioè a dire delle Camere riunite, e quindi collegarsi con l’articolo 88.

Siccome per quanto concerne l’articolo 88 io resterò nell’ordine di idee che la fiducia debba essere data separatamente da ciascuna delle due Camere, sono contrario all’affermazione contenuta nel primo capoverso dell’articolo 87.

Quanto all’emendamento soppressivo dell’ultima parte del terzo comma, esso è subordinato al fatto che l’Assemblea respinga l’emendamento Nitti-Bozzi, soppressivo dell’intero comma.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nitti e Bozzi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

Il Governo deve avere la fiducia del Parlamento».

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

In assenza dell’onorevole Nitti, ha facoltà di svolgere l’emendamento l’onorevole Bozzi.

BOZZI. Il primo emendamento proposto dall’onorevole Nitti e da me ha un carattere meramente formale: anziché dire: «Primo Ministro e Ministri», si dice: «Il Governo», perché nell’articolo precedente è detto come è costituito il Governo.

L’altro emendamento da noi presentato mira appunto a sopprimere il secondo e terzo comma.

Vi sono enunciazioni superflue o pericolose. Perché fare obbligo al Governo di presentarsi alle Camere entro 8 giorni? Se circostanze di forza maggiore lo costringessero a presentarsi entro un termine maggiore, che cosa succederebbe? Qual è la sanzione? La decadenza del Governo, forse? Evidentemente non è il caso di inserire una norma di questo genere nella Costituzione.

Anche l’ultimo comma, dove si dice che la fiducia è accordata su mozione motivata, appare superfluo. Si capisce che la fiducia fa seguito ad una discussione che traccia implicitamente le linee del compito governativo. La fiducia si dà sulla base delle dichiarazioni del Governo. Motivata può essere, invece, la mozione di sfiducia.

Valore maggiore ha invece l’ultimo alinea, dove si richiede per la fiducia la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea. Questa maggioranza assoluta è per noi eccessiva; può essere difficile raggiungerla. Cosa succederà allora? Perché vogliamo rendere tanto difficile la costituzione del Governo? Noi proponiamo la soppressione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgerlo.

MACRELLI. Insieme col collega De Vita avevo presentato un emendamento all’articolo 87 per la soppressione del secondo e terzo comma.

Però ho creduto opportuno di presentare stamattina un emendamento che non è più soppressivo, ma completa la dizione dell’articolo 87.

Infatti il primo comma dell’articolo 87 nella sua formulazione può prestarsi ad equivoci pericolosi. II Presidente del Consiglio e i Ministri devono avere la fiducia del Parlamento. Noi pensiamo che il Governo debba assumere una responsabilità, solidale anche per quel che riguarda gli atti dei singoli Ministri. E allora abbiamo presentato questo emendamento sostitutivo dell’articolo 87:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Entro 10 giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle due Camere per chiederne la fiducia».

Non credo che questo emendamento abbia bisogno di illustrazioni. Le parole e lo spirito servono esattamente ad interpretare il pensiero dei proponenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: alle Camere.

«Al terzo comma, alle parole: dei componenti l’Assemblea, sostituire le parole: dei componenti di ciascuna Camera».

Ha facoltà di svolgerli.

FUSCHINI. Non voglio aggiungere nessun chiarimento ai miei emendamenti, che si riferiscono semplicemente al problema dell’Assemblea. Siccome l’Assemblea Nazionale è caduta, io avevo proposto questo emendamento per sostituire ad essa le due Camere: ogni Camera deve dare la fiducia al Governo.

Ma ho l’impressione che la Commissione abbia redatto un nuovo testo che tiene conto dei vari emendamenti, e domanderei al Presidente se è pervenuto al suo seggio questo nuovo testo della Commissione, perché allora la discussione potrebbe essere risparmiata.

Certamente è fuori di dubbio che tanto la fiducia quanto la sfiducia devono esser date dalle due Camere separate. Quindi ogni atto di fiducia di una Camera sola non è sufficiente per mantenere in vita un Governo, mentre è sufficiente l’atto di sfiducia di una sola Camera per farlo cadere.

È bene però conoscere se la Commissione ha disposto un nuovo articolo per poterci regolare.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, fino a questo momento non ho ricevuto nessun testo elaborato dalla Commissione, ma solo un testo dell’onorevole Tosato, presentato a titolo personale. Per questo motivo non ne ho dato e non ne darò lettura, se non quando darò la parola all’onorevole Tosato perché lo svolga.

L’onorevole Arata ha presentato gli emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire: alle Camere.

«Sostituire il terzo comma col seguente: «La fiducia è accordata con voto nominale, a maggioranza».

Ha facoltà di svolgerli.

ARATA. Rinunzio a svolgere il primo emendamento perché, oltre alle ragioni che sono state accennate, credo che la questione dell’Assemblea Nazionale sia chiarita e definita.

L’altro emendamento concernente il terzo comma, è diretto, in primo luogo, a depennare la parola «motivata» dal testo del comma, nel senso che la fiducia intenderei venisse accordata con voto nominale, a maggioranza, su mozione, ma senza dire che questa debba anche essere motivata. Questo perché, se noi siamo persuasi che le parole inutili in una Costituzione sono, più che inutili, dannose, in quanto possono prestarsi ad equivoci, dovremmo anche convenire che questo particolare requisito, di cui dovrebbe rivestirsi la mozione di fiducia, possa essere senz’altro trascurato. Noi stiamo invero contemplando il caso di un Governo che si presenta per la prima volta alle Camere per rispondere, non già di una attività che abbia svolto, ma unicamente nel programma che intende attuare. Tutta la sua attività si compendia, cioè, nell’enunciazione di un programma e nella formulazione di certe promesse.

In questo caso che cosa noi dobbiamo motivare? che cosa, cioè, può e deve motivare una mozione di fiducia? Dovrà la mozione, tradursi nella solita formula: «La Camera, udite le comunicazioni del Governo, le approva», oppure dovrà essere una formula diversa? Nel primo caso non c’è bisogno alcuno di inserire nella Costituzione un qualsiasi obbligo di motivazione, perché quella formula si usa, direi quasi, da tempo immemorabile, e mai s’è sentito il bisogno di renderla obbligatoria in un qualsiasi testo di legge o di regolamento. Oppure si vuole una motivazione più vestita, più completa; ma, onorevoli colleghi, in questo caso mi sembra che non faremmo una cosa seria, a mio modesto avviso, perché noi, in fondo, andremmo ad esigere una motivazione che si convertirebbe in questo giro di parole, in questa tautologia: «La Camera esprime la sua fiducia al Governò perché il Governo le dà fiducia». Non può essere, infatti, diversamente, perché una mozione di fiducia che deve approvare un Governo non per l’opera e per l’attività che ha prestato, ma unicamente per il programma e per le promesse che ha enunciate, non può, evidentemente, motivare niente. E allora non sembra forse più serio erigere che la motivazione, in quanto non è che la base di un giudizio positivo o negativo in relazione ad una attività prestata, venga formulata dopo che si sia maturata la situazione di fatto che un tal giudizio possa giustificare e legittimare? Queste sono le osservazioni che ho voluto prospettare, nella fiducia di non avere detto cose inesatte e nella fiducia quindi che il mio emendamento venga accolto.

Per quello che riguarda la maggioranza qualificata, il problema è certamente più serio.

Con l’articolo 61 noi abbiamo votato la norma di principio secondo cui le deliberazioni dell’Assemblea, per essere valide, debbono essere votate a maggioranza dei presenti, e con la presenza della maggioranza dei componenti il corpo votante. Questo in linea di massima. Abbiamo però votato anche delle eccezioni, e cioè che la Costituzione indicherà i casi in cui viene richiesta una maggioranza qualificata.

Ora è evidente che, perché sia richiesta, questa maggioranza qualificata, debba trattarsi di una votazione che abbia un oggetto di speciale gravità, e comportante effetti giuridici a politici di speciale rilievo. È quindi da vedere se la votazione sulla mozione di fiducia ad un Governo, che si presenta per la prima volta alla Camera, abbia questo carattere. Indubbiamente, a prima vista, questo carattere di speciale importanza balza agli occhi.

Scopo, infatti, del progetto, nel richiedere una maggioranza qualificata, è che il Governo parta con un numero minimo di suffragi tale da garantire che il percorso sia il più sicuro, il più lungo, il più saldo che sia possibile. Ma a me sorge questo dubbio, o cioè che noi, nella preoccupazione che il Governo possa avviarsi verso un cammino il più lungo ed il più sicuro possibile, si finisca addirittura col non farlo partire affatto. Mi sorge cioè il dubbio che, trattandosi di un nuovo Governo, il rimedio sia troppo energico e possa produrre degli effetti peggiori del male che si vuole combattere.

Si vuole, infatti, che il Governo possa intraprendere la sua opera con un particolare numero di suffragi, e cioè superiore alla maggioranza. semplice.

Ebbene, che faremo il giorno in cui l’Assemblea, per la sua composizione politica, o per il numero degli assenti o per quello degli astenuti (sempre possibili di fronte ad un Governo per il quale c’è soltanto l’attesa), che faremo, dunque, se, per tutte queste cause, l’Assemblea non potrà dare quella votazione e cioè non potrà esprimere dal proprio seno quella tale superiore maggioranza? E che faremo se, trattandosi di una votazione su mozione di fiducia, il Governo avrà la maggioranza qualificata in una Camera, mentre nell’altra, composta, ad esempio, di 550 deputati, con 50 assenti e 100 astenuti, 150 votano la sfiducia, e 250 la fiducia? Che faremo di fronte a questi risultati? Vorremo noi ugualmente impedire al Governo ogni possibilità di esperimento?

lo penso, onorevoli colleghi, che la questione sia talmente seria da imporsi alla vostra attenzione anche senza bisogno di altre parole. D’altra parte, io so di parlare a persone più intelligenti e più sperimentate di me, e pertanto mi limito a porre la tesi e ad impostare il tema. La conclusione, poi, la Assemblea la trarrà da sé.

Mi permetto solo un’ultima osservazione.

È mia convinzione che il progetto, nel chiedere che la mozione di fiducia debba essere motivata e che debba ottenere la maggioranza assoluta dei componenti la Camera, abbia tenuto presente che la votazione avvenga innanzi ad un’unica Assemblea: l’Assemblea Nazionale. Ora, una volta eliminata l’Assemblea Nazionale e una volta ammesso che la votazione avviene in due Camere distinte, a me sembra che una maggioranza semplice, cioè non qualificata – ottenuta dal Governo nelle due Camere – equivalga (come valore sintomatico, informativo, politico) alla maggioranza qualificata ottenuta in una sola Camera.

Ecco perché io penso che anche questo mio emendamento verrà benevolmente accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Seguono i seguenti tre emendamenti presentati dall’onorevole Stampacchia:

«Al secondo comma, alle parole: All’Assemblea Nazionale, sostituire: a ciascuna delle due Camere.

«Al terzo comma, alle parole: con voto nominale, aggiungere: cui non partecipano i membri del Governo, ed alle parole: l’Assemblea, sostituire: di ciascuna delle due Camere.

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il Governo s’intende dimesso di diritto, se non abbia la fiducia di ciascuna delle due Camere».

Ha facoltà, di svolgerli.

STAMPACCHIA. Poche osservazioni, e con brevi parole – com’è mio costume – sugli emendamenti da me presentati.

Voglio innanzi tutto, per prendere le mosse al mio dire, ricordare che l’articolo 87 prevede che il voto di fiducia il Governo debba domandarlo in partenza – come direbbe l’onorevole Arata – dinanzi all’Assemblea Nazionale. Ora di accordo – io e il mio Gruppo – che il Governo prima d’iniziare la sua fatica è mestieri si accerti di godere la fiducia del Parlamento, che rappresenta il Paese. Però qui è da fermare preliminarmente che, secondo la nuova struttura costituzionale dello Stato, entrambi i due rami del Parlamento rappresentano il Paese, a differenza della vecchia struttura per la quale il Senato, di nomina regia, non poteva arrogarsi tale rappresentanza e, potrei aggiungere, non se l’arrogò mai: se pure in qualche momento eccezionale e storico espresse con molta vivacità ed efficacia il sentimento della Nazione.

Tanto ricordato, voglio rilevare che della proposta Assemblea Nazionale, ora in esame, si è già discusso parecchio; e – se non m’inganno – la tendenza della maggioranza di noi tutti è di non parlarne più, di non ammetterla quale una terza Camera e di statuire soltanto la riunione plenaria dei due rami del Parlamento per qualche speciale, eccezionale funzione, come la nomina del Presidente della Repubblica ed altra analoga, da fissare nella Costituzione in termini e limiti rigorosamente tassativi. E da tener presento ancora che, pur essendo una parte della Costituente propensa al sistema unicamerale, non di meno, di accordo e per l’accordo, il sistema bicamerale è prevalso. Adottato tale sistema, ritengo doversi garantire rigorosamente l’autonomia delle istituite due Camere, le quali trovansi sì sul medesimo piano, perché entrambe elettive, ma restano pur distinte l’una dall’altra con figura e personalità proprie, perché giustamente le volemmo differenziate – per evitare incongruente duplicato – dando alla base di ciascuna una struttura elettorale diversa. Da ciò deriva intuitivamente, che il Governo è indispensabile si abbia la fiducia di entrambi i due rami del Parlamento considerati singolarmente e singolarmente consultati.

In vero, chiamando le due Camere confuse insieme in Assemblea plenaria per dare il voto di fiducia al Governo o per altri oggetti, a quali conseguenze si perverrebbe? Che di fatto annulleremmo il sistema bicamerale stesso, in quanto che creeremmo un’Assemblea di nuovo tipo. L’onorevole Nitti ha detto di quale tipo, dimostrandone l’assurdità.

In essa tutti i voti si fonderanno e tutti avranno lo stesso valore, quale sia la loro origine: della Camera dei deputati o del Senato. Ora, ricordiamo quello che ha osservato in proposito l’onorevole Corbino. Noi potremmo avere una maggioranza artificiosa, la quale effettivamente, o sia pure eventualmente, potrebbe non rispondere al pensiero dell’una o dell’altra Camera. Noi riteniamo – ripeto – che il Governo debba avere la fiducia di entrambe le Camere, ma singolarmente prese. In altri tempi bastava la fiducia da parte della Camera dei deputati, poiché – per quanto io ricordo e so – il Senato non era e non fu mai chiamato a dar voto di fiducia al Governo. Però la struttura albertina era assai diversa: il Senato era di nomina regia, e doveva perciò avere una funzione legislativa soltanto moderatrice di quelli che potevano essere gl’impeti della Camera elettiva se il voto popolare portasse masse di sinistra alla predetta Camera. Oggi, invece, abbiamo le due Camere, le quali entrambe hanno un’origine elettiva e popolare, senza però che alcuna delle due abbia funzione moderatrice dell’altra, essendosi soltanto voluto che l’elaborazione separatamente fatta da ciascuno dei due rami del Parlamento giovasse ad un giudizio più ponderato. Il voto di ciascuna delle due Camere bisogna adunque che valga per se stesso. È per questo che noi abbiamo voluto differenziarle all’origine, creando il collegio uninominale pel Senato e invece per la Camera dei deputati il collegio plurinominale a base proporzionale. Dunque, vi sono delle differenze; e se si sono volute, per differenziare le due Camere, non possiamo fondere insieme i voti dell’una Camera e dell’altra, e giungere al risultato, previsto – come ricordai – dall’onorevole Corbino, che la maggioranza di una delle due Camere resti jugulata, soverchiata dal voto dell’altra: che la maggioranza di quindici, venti o più voti di fiducia o sfiducia risultanti dal voto di 500 deputati possa essere messa nel nulla da una differenza in senso contrario risultante dal voto di 200 senatori. Il mio pensiero personale è – e ritengo di interpretare il pensiero di tutti i compagni – che il voto di fiducia – e aggiungo di sfiducia – debba valere sia che provenga da una Camera, sia dall’altra. Il Governo deve avere il voto di fiducia della Camera dei deputati ed il voto di fiducia del Senato perché possa assumere di fronte al Paese d’avere la fiducia del Parlamento. Ed ora passando al terzo comma dell’articolo 87, ricorderò che esso dice: «La fiducia è accordata, su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea». Io ho proposto che si aggiunga dopo le parole «con voto nominale» le altre: «a cui non partecipano i membri del Governo».

È ridicolo, infatti, che i Ministri ed i Sottosegretari diano il voto di fiducia a se stessi, nel momento in cui si deve stabilire se essi godano la fiducia del Parlamento. È successo qualche volta – in tempo remoto – che un Governo è rimasto, per pochissimi voti, anche per uno solo, e ciò perché i giudicabili avevano giudicato di loro stessi, partecipando alla votazione, votandosi la fiducia. Nel capoverso si parla poi di «maggioranza assoluta». Bisogna vedere se sia proprio il caso di volere detta maggioranza assoluta, senza correre il rischio delle manovre dei gruppi o di partiti tendenti ad evitare la formazione di una maggioranza assoluta nella votazione riguardante la fiducia o la sfiducia al Governo.

È per queste considerazioni che io proporrei di sostituire alle parole «maggioranza assoluta» le parole «maggioranza dei presenti».

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, Ella non ha presentalo alcun emendamento a questo proposito. Siccome il concetto è stato già svolto da numerosi altri colleghi, la prego di attenersi agli emendamenti da lei proposti.

STAMPACCHIA. Ha ragione; «la maggioranza assoluta» mi è sfuggita nello stilare l’emendamento, pure essendo nella mia intenzione di parlarne. Comunque in riguardo ho detto il mio pensiero.

Vengo infine a svolgere l’emendamento aggiuntivo.

Noi abbiamo detto che il Governo, anche in partenza, deve avere il voto di fiducia delle due Camere; è però necessario – perché il precetto non corra, qualche volta il rischio di rimanere senza effetto ed inefficace – che vi sia la sanzione per il caso che il Governo non abbia la fiducia; cioè occorre che si dica espressamente che il voto di sfiducia o la mancata fiducia importa di diritto le dimissioni del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Tonello:

«Al terzo comma, dopo le parole: con voto nominale, aggiungere: al quale i membri del Governo non possono partecipare».

Ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. L’onorevole Stampacchia ha poco fa dichiarato di accettare l’aggiunta che io ho proposto a quest’altro capoverso dell’articolo 85. Dichiaro però che questa idea di aggiungere l’esclusione dei membri del Governo dalla partecipazione al voto di fiducia verso se stessi, comprendendo cioè sia i Ministri che i Sottosegretari, mi venne durante l’ultima votazione sulla fiducia al Governo (Si ride al centro).

Rimasi sconcertato e meravigliato nel vedere giovincelli imberbi di politica che correvano a votare la fiducia verso se stessi. (Commenti al centro). Oh Dio! Ad una certa età, quando si hanno i capelli bianchi, si può anche avere fiducia in se stessi, perché tutta l’esperienza passata della vita può dimostrare fino a qual grado può giungere questa fiducia anche nel cervello degli altri. Ma quando si è giovani in politica è meglio lasciarsi giudicare dagli altri ed avere tanta modestia da attendere questo giudizio dagli altri. Perciò, onorevoli colleghi, io ho proposto che dal voto siano esclusi i Ministri e Sottosegretari. Si tratta di una ventina di voti circa dai quali dipende la vita o la morte di un Ministero. Che direste voi di un Ministero che sta in piedi soltanto perché è riuscito ad ottenere la maggioranza con i voti che ha dato a se stesso, pur non avendo la fiducia della Camera? I Ministri ed i Sottosegretari sono sub judice, e debbono per ciò essere giudicati nella loro opera e deve essere appunto la Camera a giudicare. Se essi avranno ben operato e non avranno rimorsi sulla coscienza avranno senza dubbio i voti della Camera. Mi pare che una simile proposta dovrebbe essere accettata da tutti i colleghi.

COSTANTINI. Infatti il principio vale per tutti.

TONELLO. Infatti se vale per un Ministero, poniamo per il Ministero De Gasperi, domani potrebbe valere per il Ministero Tonello (Si ride). Non v’è parzialità: vale per tutti e per ciò invito i colleghi ad accettare un principio di moralità pubblica e di critica morale che un individuo deve fare nel valutare la propria opera e le proprie azioni. Per ciò insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione ha presentato il seguente nuovo testo:

«Il Presidente del Consiglio e i Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«La fiducia è accordata su mozione motivata e votata ad appello nominale».

Proseguiamo, intanto, nello svolgimento degli emendamenti.

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento:

«All’ultimo comma sopprimere la parola: assoluta, dopo la parola: maggioranza».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento è stato già accolto nella formulazione della Commissione di cui si è data ora lettura, ed è quindi il caso di aggiungere solo brevissime considerazioni a quelle già enunciate da altri colleghi, come l’onorevole Corbino, che hanno fatto proposte analoghe. In sostanza, la soppressione del requisito della maggioranza assoluta pel voto di fiducia si basa sulla considerazione della attuale situazione politica italiana, caratterizzata dalla mancanza di grandi partiti e dalla necessità di dar vita a Ministeri di coalizione. In presenza di una siffatta situazione può sembrare opportuno, proprio ai fini della stabilità del Governo, non richiedere una maggioranza assoluta. Chi propose il testo del progetto, e fra questi anch’io, si indusse a porre la condizione della maggioranza assoluta nella convinzione che essa potesse contribuire a dare maggiore saldezza alla compagine del Governo.

Ma una più matura considerazione ha portato a ritenere che il mantenimento di una disposizione di questo genere potesse in certi casi riuscire controproducente, ed anzitutto rendere più difficile la risoluzione delle crisi, prolungando il periodo di carenza del Governo, ed in secondo luogo rendere più debole la compagine del Ministero, che, dovendo contare su un maggior numero di consensi, sarebbe costretto ad includere nel suo seno elementi di maggiore eterogeneità, e, quindi, perdere di compattezza. È chiaro che più sono i gruppi e gruppetti che entrano nella coalizione di Governo più si accrescono le possibilità di crisi, per l’uscita dalla coalizione stessa di qualcuno di essi.

Siccome il mio emendamento presuppone il mantenimento degli ultimi due commi, e viceversa vi sono proposte di sopprimerli, se il Presidente me lo consente, io dirò brevissimamente le ragioni che, a mio avviso, ne consigliano il mantenimento.

La proposta di sopprimere gli ultimi due commi nella loro totalità, o quella recentemente svolta dall’onorevole Arata che vuole eliminare l’obbligo della motivazione per la mozione di fiducia, muovono da un fraintendimento dello spirito che ha accennato la formulazione della norma. Spirito che può così riassumersi: mettere i deputati che votano la fiducia di fronte alla responsabilità del voto che danno: impegnarli, quindi, di fronte al Paese al programma di Governo cui essi aderiscono e costringerli a dire le ragioni dell’eventuale successivo loro distacco dalla coalizione di Governo.

Una delle cause di instabilità del Governo è costituita dalle crisi extraparlamentari, dall’improvviso ritiro dalla coalizione dei Gruppi che appoggiano il Governo, di uno di essi, ritiro che può determinare una crisi senza che si conoscano le ragioni che l’hanno determinata. A risanare tale situazione giova il prescrivere l’adesione espressa e positiva ad un certo programma di Governo precisamente formulato, onde dar modo al corpo elettorale di valutare l’atteggiamento dei Gruppi che ritirano l’adesione al Governo, il cui programma sia stato da loro approvato.

L’obbligo, quindi, di un conferimento della fiducia in modo esplicito, ed attraverso un’indicazione dei motivi per cui è data, giova a rendere chiari i termini delle relazioni fra Governo e Parlamento, ed a costringere i Partiti a dichiarare le ragioni di dissenso sopravvenute, ciò che consente al popolo un giudizio consapevole, al momento delle elezioni, sull’attività, dei suoi mandatari. Accettato il principio consacrato nei due commi in discussione, sarà facile intendersi sulle modalità di attuazione, modificando eventualmente in modo più elastico il termine prescritto per la presentazione del nuovo Governo alle Camere. L’importante è, ripeto, sancire che il Ministero non può ritenersi costituito in modo definitivo se non sia investito dalla fiducia, con voto positivo. Ciò che importa come conseguenza che non sia possibile uno scioglimento delle Camere da parte di un Governo prima che si sia ad esse presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma:

«La fiducia o la sfiducia è deliberata su mozione motivata con voto nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Noi abbiamo presentato un emendamento sostitutivo del terzo comma dell’articolo 87 e anche un emendamento soppressivo dell’articolo 88. I due articoli sono strettamente legati fra loro.

PRESIDENTE. Ora parliamo dell’articolo 87, poi parleremo dell’articolo 88.

CORBI. La giustificazione dell’emendamento proposto da me all’articolo 87 sta appunto nel fatto che questo articolo è strettamente legato a quello successivo. Perciò chiedo di svolgere contemporaneamente i due emendamenti.

Non sono d’accordo anzitutto con quei colleghi che hanno sostenuto la necessità di una maggioranza qualificata: in secondo luogo i due emendamenti da me proposti tendono ad evitare una procedura che necessariamente genererebbe conflitti ed inconvenienti gravi.

Si sostiene nel primo comma dell’articolo 88 che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. Penso invece che convenga rimettere alla prassi, e non a norme costituzionali, una decisione che spetta al giudizio ed alla sensibilità politica del Governo; il quale giustamente potrà ritenere di dimettersi a seconda della Camera che respinge una sua proposta (la quale può implicare la fiducia), considerandone la maggiore o minore autorevolezza.

Nel secondo comma dello stesso articolo si vuole che un quarto dei componenti dell’Assemblea sia il numero minimo per presentare una mozione di sfiducia; mi sembra che la richiesta sia eccessiva, perché quello di proporre la sfiducia non solo è un diritto delle minoranze, ma è diritto di ogni deputato. E invero chi può escludere che nel corso di una discussione un solo deputato possa esporre argomenti e fatti tali da raccogliere la maggioranza dei consensi? Io credo poi che sia opportuno sopprimere senz’altro anche la seconda parte di questo comma che più opportunamente può essere inserita nel Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Corbi, mi perdoni, lei non sta cercando di motivare la sua proposta di emendamento all’articolo 87 richiamandosi alla sua proposta riguardante l’articolo 88: ma sta spiegando comma per comma perché propone la soppressione dell’articolo 88. In questo modo, anticipa troppo gli eventi.

All’onorevole Stampacchia, che voleva ugualmente illustrare un emendamento all’articolo 88, ho rivolto preghiera di rinunciarvi. La prego di tener conto di queste considerazioni e di rimanere nel quadro della discussione.

CORBI. La proposta di soppressione dell’articolo 88 trova riferimento nella formula da me proposta per l’articolo 87.

PRESIDENTE. Comprendo; ma resti nel quadro della discussione.

CORBI. Restando nel quadro della discussione, insisto sugli emendamenti proposti. Ho preso atto dell’emendamento proposto dalla Commissione che, mi sembra, si rende partecipe di quanto da me esposto e mi auguro che questo stesso emendamento sia accolto dall’Assemblea. Penso insomma che sia opportuno fondere gli articoli 87 e 88 in un solo articolo composto di tre brevi e semplici formulazioni.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Costantini, Costa, Ghislandi, Fedeli Aldo, Cosattini e Giacometti hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma dell’articolo 87».

 

«Sostituire gli altri commi col seguente:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per chiederne la fiducia. La fiducia è accordala da ciascuna delle Camere con voto nominale e a maggioranza assoluta dei presenti. Il rifiuto della fiducia, anche di una sola Camera, importa dimissioni».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. L’accenno specifico alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica non ha altro significato che di porre l’articolo in relazione alle norme della Costituzione già approvate per il Parlamento. L’emendamento si propone poi di stabilire in modo esplicito le conseguenze del voto di sfiducia.

È certo – si può essere tutti d’accordo – che la Costituzione avrebbe anche potuto fare a meno di occuparsi di questa materia. perché c’era una prassi che aveva un valore indiscusso ed avrebbe seguitato ad averlo anche per l’avvenire. Ma, una volta affermato il principio del voto di fiducia, e che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su di un disegno di legge non porta come conseguenza le dimissioni del Governo, noi crediamo sia necessario fare la previsione anche nell’altro senso, cioè dire chiaramente che un voto di sfiducia, o il rifiuto del voto di fiducia, domandato dal Governo a tenore della Costituzione, porta alle dimissioni del Governo stesso.

Dato che il progetto ha voluto fissare un termine entro il quale il Governo deve presentarsi alle Camere per chiederne la fiducia, noi proponiamo di prolungarlo, portandolo da otto a dieci giorni.

È comunque probabile che alcune delle nostre proposte possano essere ritirate in seguito al nuovo testo dell’articolo che presenterà il Comitato di redazione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dato lo stretto legame che esiste fra gli articoli 87 e 88, prospetto l’opportunità che siano svolti, prima che la Commissione esprima il proprio parere, anche gli emendamenti relativi all’articolo 88; e di affrontare successivamente la votazione complessiva su tutto l’argomento della fiducia e della sfiducia.

PRESIDENTE. È stato preannunciato un nuovo testo della Commissione in materia. Quando pensa che possa essere presentato, onorevole Tosato?

TOSATO. Ci riserviamo di presentarlo al termine dello svolgimento di tutti gli emendamenti, anche perché immagino che, come al solito, avremo qualche emendamento dell’ultima ora.

PRESIDENTE. Credo che sarebbe meglio che rinviassimo ora la discussione, ma che, all’inizio della seduta pomeridiana, la Commissione presentasse il suo nuovo testo. Avremmo così il vantaggio che alcuni dei presentatori di emendamenti, trovandoli probabilmente accolti in esso, potrebbero rinunziare a svolgerli.

TOSATO. Faremo allora tutto il possibile per presentare all’inizio della seduta pomeridiana il nuovo testo.

Una voce. Bisognerebbe allora iniziare la seduta alle 17.

PRESIDENTE. La seduta sarebbe convocata per le 16. Potremo invece iniziarla alle 16.30. In quella mezz’ora i membri della Commissione potranno tentare di raccogliere le loro idee per presentare, all’inizio della seduta, il nuovo testo.

Onorevoli colleghi, tengano presente che, non appena avremo concluso le votazioni sul Titolo in esame, l’Assemblea dovrà discutere e votare sull’articolo 123, che contiene l’elencazione delle Regioni. Dovremo affrettarne la discussione, perché le decisioni definitive in merito sono state sollecitate dal Ministero dell’interno, cui occorrono per poter redigere il progetto di legge relativo alla elezione del Senato della Repubblica.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Bordon

Lussu

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Corbino

Colitto

Tosato

Benvenuti

Badini Confalonieri

Fuschini

Perassi

Costa

Nobile

Mastino Pietro

Bettiol

Sicignano

Bozzi

De Martino

Preti

Conti

La Rocca

Nitti

Fabbri

Laconi

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Bettiol

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

BORDON. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Sono venuto ieri in quest’Aula, dopo che era stato votato l’articolo 79 ed ho appreso che, mentre nella mattinata era stato approvato l’emendamento presentato dagli onorevoli Laconi, Carboni ed altri, secondo il quale l’articolo 79 sarebbe così formulato: «II Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale eletti dal Consiglio, in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza», successivamente, nel pomeriggio, l’onorevole Corbino aveva presentato un emendamento aggiuntivo del seguente tenore: «ad eccezione della Valle d’Aosta».

Ora, a prescindere dal fatto che l’emendamento non è stato adottato con procedura conforme al Regolamento, di fronte a questa formula imprecisa e generica, mi domando quale portata essa abbia e cosa siasi voluto dire con essa. Deve intendersi che con l’articolo 79 la Val d’Aosta non potrà, in base al criterio numerico della sua popolazione, partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica senza alcun delegato, che non siano il suo rappresentante alla Camera e al Senato, o significa solo che la Regione non vi partecipa col numero fissato per le altre Regioni? Ecco le ragioni di dubbio che richiedono maggiori precisazioni e chiarimenti, poiché ritengo che la prima ipotesi sia senz’altro da scartare.

Se è vero che la Val d’Aosta non possa, in base alla sua popolazione (che non è però solo di 60.000 abitanti, come erroneamente si disse, ma di 90.000) partecipare a tale elezione con tre delegati, non mi parrebbe logicamente fondata che essa non possa prendervi parte anche con un delegato.

Comunque, la formula deve rispecchiare la volontà precisa dell’Assemblea, e poiché lo stesso onorevole Corbino conviene nel riconoscere che egli non intendeva dare al suo emendamento altra portata che quella di ridurre, per la Valle d’Aosta, in ragione della sua popolazione, il numero dei delegati ad uno solo, è evidente che questa formula va chiarita, perché ad essa non si dia un contenuto diverso da quello che fu nell’intenzione dell’Assemblea.

La precisazione tanto più si impone, in quanto non si potrebbe in ogni caso introdurre nel testo l’eccezione proposta, ad evitare false interpretazioni, senza menzionare espressamente la ragione numerica della popolazione, dalla quale tale emendamento fu suggerito.

Per queste ragioni, formulo il voto che il Comitato voglia, in sede di redazione dell’articolo in esame, esprimere esattamente quella che è la volontà dell’Assemblea, e in conformità ad essa, precisare che, la Valle d’Aosta, parteciperà all’elezione del Presidente con un solo delegato.

LUSSU. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. È una semplice dichiarazione sul processo verbale. Effettivamente ieri nel pomeriggio, quando si è votato l’emendamento dell’onorevole Corbino, io, distratto da un’altra riunione per un altro problema costituzionale, non mi sono trovato nell’Aula. Se fossi stato presente, sento il dovere di dichiarare, che secondo la mia coscienza, non avrei permesso che senza nessuna obiezione l’emendamento dell’onorevole Corbino passasse. Mi sembra, infatti, straordinario che mentre con quell’emendamento si vuole difendere la partecipazione delle Regioni, nel modo con cui è indicata, alle elezioni del Presidente, si escluda da questa partecipazione la Regione della Valle d’Aosta. Se fossi stato presente avrei proposto una modifica a quell’emendamento. Sarebbe stato opportuno cambiare totalmente sistema, se tale sistema non avesse potuto consentire la partecipazione di tutte le Regioni, nessuna esclusa, alle elezioni presidenziali.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, poiché ella ha, quanto meno, sfiorato la questione procedurale, quasi facendo una censura per il metodo che si è seguito, voglio farle presente che, ogni volta che l’Assemblea con la sua azione concreta, modifica di fatto una norma del Regolamento, senza che si sollevino eccezioni, ciò significa che l’Assemblea ha inteso di farlo con la potestà che le compete, né da parte di deputati assenti si possono sollevare obiezioni. Lei non doveva neppure accennare a ciò. Ma poiché lei ha parlato, era mio dovere fare questa precisazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche io non sono lieto del modo con cui l’onorevole Bordon ha messo la questione, infirmando ciò che, con assoluta correttezza, il nostro Presidente ha fatto, nei riguardi di una deliberazione presa dall’Assemblea, come era suo diritto.

Del resto, tutta la posizione che l’onorevole Bordon ha preso è inesatta. Non si può ora dire: noi ritorniamo su una deliberazione. Io dovrei oppormi. Non c’è che un punto di vista che merita considerazione, ed è questo: l’Assemblea ha preso una deliberazione, la cui interpretazione può essere dubbia. Può apparir dubbio che si sia voluto togliere alla Valle d’Aosta ogni rappresentante del Consiglio regionale nell’elezione del Capo dello Stato; o si sia voluto attribuirne meno di tre. A nome del Comitato dichiaro che non abbiamo nulla in contrario ad attribuire un rappresentante alla Val d’Aosta, e considereremo la questione nella revisione e nel coordinamento finale del testo di Costituzione.

(Il processo verbale è approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che, poiché l’Assemblea ha stamane deciso di rinviare di qualche giorno l’elezione di tre membri dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana, iniziamo ora col secondo punto dell’ordine del giorno: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Stamattina abbiamo proceduto, in sede di articolo 71, all’approvazione per alzata di mano del primo comma; poi all’approvazione per appello nominale della prima parte del secondò comma dell’emendamento Bozzi. Dopo che ho proclamato il risultato di quella votazione, l’onorevole Bozzi ha dichiarato di ritirare l’ultima parte del suo emendamento; e pertanto la votazione alla quale abbiamo proceduto questa mattina esaurisce il nostro lavoro nei confronti dell’emendamento Bozzi.

Pongo ora in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse».

(È approvato).

Al terzo comma c’è l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, in parte sostitutivo del terzo comma e in parte aggiuntivo, del seguente tenore:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

La Commissione ha dichiarato di non accogliere questo emendamento.

Pongo in votazione il primo comma di questo emendamento.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo e il terzo comma aggiuntivi.

(Non sono approvati).

Pongo in votazione il terzo comma dell’articolo 71, nel testo della Commissione, includendovi i due emendamenti Perassi e Colitto, accettati dalla Commissione:

«Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

(È approvato).

L’articolo 71 nel suo complesso resta pertanto così approvato:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nei termini fissati dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Possiamo passare ora all’esame dell’articolo 67, che avevamo provvisoriamente accantonato, in attesa di decidere sopra gli altri articoli di questo Titolo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Proporrei di soprassedere ancora all’articolo 67, per la grossa questione se la fiducia o la sfiducia debba essere data dall’Assemblea Nazionale o no. Intanto si potrebbe seguire l’ordine indicato dall’onorevole Corbino.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In relazione alla votazione avvenuta sull’articolo 71, si potrebbe completare l’articolo 83, per quel capoverso dell’emendamento Caronia, che era rimasto in sospeso e che era subordinato appunto all’articolo 71.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo si farà in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Esaminiamo allora l’articolo 67. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha già svolto il seguente emendamento e ha dichiarato di ritirarlo:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere».

L’onorevole Colitto ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:

«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Caronia e Giordani hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere la parola: collettivamente.

«Subordinatamente, sostituire il comma col seguente:

«Le leggi sono formate con il concorso delle due Camere».

Poiché i proponenti sono assenti, s’intende che abbiano rinunziato allo svolgimento.

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Essendo l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto di carattere formale, lo pregherei di volerlo trasformare in raccomandazione; ne sarà tenuto conto in sede di revisione formale.

Per quanto riguarda la sostanza dell’articolo 67, mi pare che, dopo la votazione intervenuta relativamente al potere del Presidente della Repubblica di rinviare alle Camere le leggi da esse deliberate, il principio fissato nell’articolo 67 per cui il potere legislativo spetta alle due Camere resta confermato.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Aderisco all’invito dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 67 nel testo proposto dalla Commissione:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 85. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti che ne assumono la responsabilità.

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione.

«In tali casi può essere messo in stato di accusa dall’Assemblea Nazionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello degli onorevoli Dominedò e Benvenuti, del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato, sostituire le parole: Gli atti del Presidente della Repubblica, esclusi quelli in via di prerogativa, non sono validi se non controfirmati».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Il concetto di dare un potere autonomo al Presidente deriva dalla necessità – a mio avviso – di metterlo in condizioni di affrontare un’azione di incostituzionalità per leggi e decreti e regolamenti che gli fossero proposti e che fossero in contrasto con l’ordinamento costituzionale dello Stato. Vorrei porre un quesito alla Commissione, nel senso cioè che fosse chiarito nell’articolo 85 cosa si intende con questa forma: «il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione». Vorrei porre formalmente il quesito alla Commissione, affinché sia chiarito se per violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica debba intendersi la violazione di quelle norme specifiche che riguardano le sue specifiche attribuzioni, ovvero anche, come io fermamente ritengo, il perfezionamento di atti legislativi di qualsiasi tipo, che nel loro contenuto sostanziale concretino una violazione delle libertà, costituzionali o dell’ordinamento costituzionale dello Stato. Io mi schiero, ripeto, a favore di questa seconda soluzione. Ritengo cioè che il Presidente della Repubblica sia responsabile per violazione della Costituzione anche in relazione agli atti legislativi, alla cui elaborazione egli naturalmente non ha partecipato, ma ai quali egli conferisce efficacia colla promulgazione. Responsabilità da limitarsi rigorosamente al caso della incostituzionalità, direi anzi, di anticostituzionalità dei provvedimenti legislativi sottoposti alla sua firma.

Naturalmente, qui sorge un problema delicato: è il problema della situazione che si viene a creare qualora il Presidente della Repubblica, posto dinanzi ad atti, leggi, regolamenti, che violino sostanzialmente le libertà dei cittadini o l’ordinamento costituzionale dello Stato, si rifiuti di firmarli e di promulgarli, onde non incorrere in responsabilità per violazione della Costituzione. In questo caso vi è una soluzione semplice, che evita ogni arresto al meccanismo legislativo dello Stato. Quella cioè di munire il Presidente di azione di incostituzionalità da esercitarsi (all’atto stesso del rifiuto della firma) contro qualsiasi atto che il Presidente stesso, per non incorrere in responsabilità per violazione della Costituzione, non firma né promulga. Solo dopo che la Corte Suprema avrà confermato la costituzionalità, il Presidente firmerà e promulgherà.

Ecco, onorevoli colleghi, come risorge il problema della «prerogativa»: termine che riconosco improprio e che dovrebbe piuttosto definirsi potere autonomo del Presidente della Repubblica: tale potere, di agire per incostituzionalità, non potrebbe evidentemente mai venire esercitato qualora il Presidente dovesse munirsi della controfirma di quegli organi (nella fattispecie del Governo) i quali a lui sottopongono per l’approvazione proprio quegli atti che, costituzionalmente, egli non può firmare perché anticostituzionali.

Onorevoli colleghi, il giorno in cui il Presidente della Repubblica, nell’assumere la propria funzione, giura fedeltà alla Costituzione, potrà tale atto venire interpretato nel senso che egli, dopo il giuramento, diventi costituzionalmente obbligato a firmare e promulgare atti incostituzionali, atti violatori delle libertà dei cittadini? In questo senso risorge fatalmente la necessità di introdurre l’emendamento da me proposto che modificherei così: nel senso cioè che nessun atto del Presidente della Repubblica sarà valido se non controfirmato dal suo Governo «salvo le eccezioni stabilite dalla Costituzione».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Crispo, Cifaldi, e Morelli Renato, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: può essere messo, sostituire le seguenti: sarà messo; e dopo le parole: stato di accusa, aggiungere le seguenti: e giudicato».

Nessuno dei firmatari è presente.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. In assenza dell’onorevole Crispo e degli altri firmatari dell’emendamento, lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BADINI CONFALONIERI. Si tratta di un emendamento esclusivamente formale.

È chiaro che se il Presidente della Repubblica commette un alto tradimento o una violazione della Costituzione, egli «deve» essere messo in istato di accusa, non «può» essere messo in istato di accusa.

Per quanto riguarda il secondo emendamento, cioè l’aggiunta dell’espressione «e giudicato», dichiaro di ritirarlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Al terzo comma, alle parole: dall’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: da ciascuna Camera».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Al terzo comma si accenna al caso che il Presidente può essere messo in istato di accusa dall’Assemblea Nazionale, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Ora, io ho sostituito alle parole «dall’Assemblea Nazionale», le altre «da ciascuna Camera», perché su questo punto dell’accusa a carico del Presidente, ogni Camera deve essere libera nella sua autonomia di mettere in istato di accusa il Presidente della Repubblica. Questo emendamento non ha bisogne di ulteriore illustrazione. Una volta che l’Assemblea Nazionale non esiste più, è necessario sostituire all’Assemblea Nazionale la potestà di ogni Camera separata, per poter stabilire il caso di tradimento, ecc. Effettivamente, quando noi abbiamo chiesto che il Presidente della Repubblica giuri fedeltà alla Costituzione, ciò è già abbastanza impegnativo perché egli adempia al suo primo dovere di fare rispettare la Costituzione.

Se il Presidente della Repubblica dovesse egli stesso garantire, con il proprio esame sulle leggi che gli vengono sottoposte per la firma, il rispetto della Costituzione, noi daremmo al Presidente della Repubblica una preoccupazione quotidiana, perché anche senza volerlo, anche quando egli avesse i mezzi adatti per fare questo esame minuto dal punto di vista giuridico, il Presidente sarebbe messo nella condizione di essere sempre titubante nelle sue decisioni, e nella stessa situazione si troverebbe il Ministro che controfirma i decreti del Presidente della Repubblica.

Ora bisogna avere un po’ di garbo in queste disposizioni, altrimenti, per volere tutelare il rispetto della Costituzione, rischiamo di porre gli organi più importanti, come il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro, in una condizione di perenne travaglio.

Dal momento che noi abbiamo creato un organo apposito per garantire il rispetto della Costituzione, e dal momento che le Camere sono esse sole responsabili della formazione delle leggi, non è concepibile di rendere responsabile il Presidente della Repubblica, che è obbligato a promulgare le leggi anche se in queste vi è qualche disposizione che viola la Costituzione.

Vi è il rimedio della Corte Costituzionale, per cui non vi è alcuna necessità di chiamarne responsabile il Presidente della Repubblica.

Pertanto, limiterei la messa in istato di accusa del Presidente della Repubblica soltanto al caso di alto tradimento.

Mi sono permesso di fare queste osservazioni che non so se possano essere accolte dall’Assemblea; comunque, esse rispecchiano il mio modo di vedere.

In sostanza, si tratta di sopprimere al secondo comma le parole: «e per violazione della Costituzione».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma coi seguenti:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il primo comma dell’articolo 85 nel testo del progetto dice:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti che ne assumono la responsabilità».

Perché è stato detto che ogni atto del Presidente della Repubblica esige la controfirma, non soltanto dei Ministri proponenti, ma anche del Primo Ministro? L’idea che ha ispirato questa disposizione si riconnette ad altre del progetto nelle quali si delinea, con particolare rilievo, la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri. Seguendo questa idea, si è voluto includere la disposizione che stiamo discutendo. Senonché, considerando bene le cose da un punto di vista pratico, ci sembra che la disposizione sia andata un po’ oltre il necessario, in quanto dicendosi che qualsiasi atto del Presidente della Repubblica deve essere controfirmato anche dal Primo Ministro, si stabilisce una norma eccessivamente pesante: basti pensare alle conseguenze pratiche della sua applicazione.

Tenuto conto di queste considerazioni essenzialmente pratiche, ho presentato un emendamento col quale si propone di modificare la disposizione in questo senso:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica, che saranno determinati dalla legge, devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

Le ragioni di questo emendamento, come ho detto, sono ragioni essenzialmente pratiche. Rilevo, a questo riguardo, che la prassi attuale è stabilita dal Testo unico delle leggi sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi e decreti, il cui articolo 14 dice: «Le leggi e i decreti devono portare alla fine, oltre la data, la firma del re e la controfirma del Ministro proponente. Le leggi devono essere controfirmate anche dal Capo del Governo, Primo Ministro, e così pure i decreti per i quali sia stata necessaria una deliberazione del Consiglio dei Ministri». Questo è il sistema attuale; ora, senza scendere a troppi particolari nella Costituzione, quello che sembra opportuno è di indicare certi atti particolarmente importanti del Presidente della Repubblica per i quali sembra consigliabile e necessario costituzionalmente che, oltre la firma del Ministro proponente, vi sia anche la controfirma del Presidente del Consiglio.

Per gli altri, è bene lasciare alla legge il compito di determinare per quali occorra anche tale controfirma del Presidente del Consiglio e per quali invece essa non si ravvisi necessaria. Ritengo opportuno rilevare che per alcuni atti costituzionali del Presidente della Repubblica, non espressamente indicati nel secondo comma del mio emendamento, la controfirma del Presidente del Consiglio è costituzionalmente obbligatoria in base al primo comma, in quanto si tratta di atti emanati su proposta del Presidente del Consiglio.

Queste dunque le ragioni, di carattere essenzialmente pratico, che hanno inspirato l’emendamento che propongo all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Primo Ministro, sostituire le parole: Presidente del Consiglio dei Ministri».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Invito l’onorevole Tosato a esprimere il parere della Commissione intorno agli emendamenti presentati.

TOSATO. La Commissione accoglie anzitutto l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi per evidenti ragioni di carattere pratico.

Per quanto riguarda poi, l’emendamento presentato or ora dall’onorevole Costa, io pregherei il collega Costa e l’Assemblea di volere per il momento soprassedere sulla questione della denominazione più opportuna da riservare al Presidente del Consiglio. La questione terminologica è collegata con quella più sostanziale della figura e delle attribuzioni del Presidente del Consiglio; sarà opportuno quindi esaminarla in sede di discussione del successivo articolo 86. La definizione che prevarrà in quella sede avrà valore anche per tutti gli altri articoli ove si fa menzione del Presidente del Consiglio.

Per quanto riguarda poi gli altri emendamenti, di carattere sostanziale, non ho bisogno di molte parole per pronunciarmi. Con l’emendamento presentato dall’onorevole Benvenuti si insiste nella proposta di escludere dalla necessità della controfirma dei Ministri responsabili taluni atti del Presidente della Repubblica.

Ricordo che, a questo proposito, già ieri sera l’onorevole Orlando ci ha illustrato le ragioni fondamentali in base alle quali non è possibile accogliere l’emendamento. Io non entro qui nella questione teorica e storica intorno all’origine e al contenuto del concetto di prerogativa. Qui la prerogativa ha un significato del tutto particolare: qui significa atto del Presidente non controfirmato dal Ministro responsabile.

Ora, è evidente che noi non possiamo accogliere l’emendamento perché esso infirmerebbe un principio relativo ad un argomento che non consente posizioni eccezionali. L’irresponsabilità del Presidente non può patire eccezioni. Noi riteniamo essenziale al tipo di ordinamento che si sta creando con questa Costituzione, che nessun atto del Presidente sia valido se non è controfirmato dal Ministro competente, il quale ne assume la responsabilità. Altrimenti la figura del Capo dello Stato subisce una radicale trasformazione.

Per quanto riguarda poi l’emendamento presentato dall’onorevole Crispo e da altri colleghi, la Commissione propone la dizione «è messo in stato di accusa», anziché «sarà messo», come i presentatori dell’emendamento propongono.

Circa i due emendamenti presentati dall’onorevole Fuschini, il secondo dei quali coincide in parte, se non erro, con quello presentato dall’onorevole Benvenuti, la Commissione si pronuncia sfavorevolmente. L’onorevole Fuschini propone che la messa in stato di accusa del Presidente sia di competenza non dell’Assemblea Nazionale, ma delle due Camere.

La Commissione non è concorde per questa ragione: qui non si tratta di riaprire la discussione sull’Assemblea Nazionale; la Commissione ricorda soltanto questo elemento di fatto: il Presidente della Repubblica è eletto a Camere riunite; ora, sembra che se il Presidente è eletto dalle Camere riunite, anche l’accusa deve essere riservata alle Camere sempre riunite. Ciò tanto più per la considerazione che un atto di accusa del Presidente può portare effettivamente alla deposizione del Presidente stesso. Mi pare che sia tale la delicatezza, l’importanza e la gravità dell’atto di accusa del Presidente che, se organo competente ad eleggere il Presidente sono le due Camere riunite, siano egualmente competenti le stesse Camere riunite per l’atto di accusa.

Ad ogni modo, su questo deciderà, come sempre, del resto, l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’altro emendamento presentato all’articolo 85, cioè relativamente alla proposta di escludere una responsabilità del Presidente della Repubblica per violazione della Costituzione, io debbo richiamare l’attenzione dell’Assemblea su un punto che ha una certa importanza. Noi ci siamo preoccupati di dare al Presidente della Repubblica una certa consistenza, sia pure limitata a quella di essere guardiano e custode della Costituzione. Era logico, quindi, che, partendo da questo concetto, si rendesse il Presidente responsabile per violazione della Costituzione. Se il Presidente è responsabile degli atti posti in essere in contrasto con la Costituzione, è chiaro che il Presidente avrà il potere e il dovere di opporsi agli atti incostituzionali del Governo, appunto per non essere coinvolto ed essere corresponsabile. Quindi, il fatto che il Presidente sia responsabile per violazione della Costituzione, rafforza in un certo senso la posizione del Presidente. Indubbiamente, la responsabilità del Presidente per violazione della Costituzione può dar luogo a gravi inconvenienti. Siamo perfettamente d’accordo. Ma, a che cosa di riferisce sostanzialmente il pensiero della Commissione proponendo di sancire la responsabilità del Presidente per violazione della Costituzione? Evidentemente a violazioni gravi, commesse con dolo o colpa grave. È chiaro che per una violazione della Costituzione puramente formale non si avrà mai la messa in accusa del Presidente. Ma una responsabilità del Presidente per violazioni sostanziali e gravi della Costituzione a noi sembra un elemento indispensabile per concretare quella figura di Presidente che noi abbiamo precisamente voluto creare.

Mi pare che non vi siano altri emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha fatto pervenire la redazione definitiva del suo emendamento a questo articolo:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi e non firma atti di nessun genere che violino le libertà costituzionali o gli ordinamenti costituzionali della Repubblica. Ove tali leggi o atti siano proposti alla sua approvazione, egli propone azione di incostituzionalità nelle forme previste dalla Costituzione».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei proporre la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 85, che si riferisce alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica in caso di alto tradimento; e la ragione che mi muove a fare questa proposta è la seguente: che se si parla di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, e non si dice altro, rimane poi, a sapere come mai si regolerà la rappresentanza dello Stato mentre pende il procedimento davanti all’Assemblea Nazionale.

Quindi, mi sembra che la miglior cosa sarebbe abolire il comma in questione, a meno che non si precisi nella Costituzione stessa chi regge lo Stato mentre pende il giudizio contro il Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

TOSATO. La Commissione non può accettare l’emendamento dell’onorevole Benvenuti.

Per quanto riguarda la promulgazione delle leggi il Presidente si troverà in questa situazione: egli è obbligato a promulgare le leggi. Se avesse da fare osservazioni e rilievi rispetto alla costituzionalità di una legge per motivi di indole formale, ma soprattutto di indole sostanziale, è evidente che avrà il diritto e il dovere di usare del suo potere di rinviare la legge. Dopo di che è obbligato a promulgarla, e per un atto obbligatorio egli non può essere responsabile. Abbiamo stabilito infatti che il potere legislativo spetta alle due Camere. Se le Camere hanno deliberato, e nel caso di rinvio, confermato l’approvazione di una legge, il Presidente deve promulgarla e sarà esente da responsabilità, limitatamente s’intende alla costituzionalità sostanziale, non formale, della legge.

Per tutti gli altri atti che non attengono all’esercizio della funzione legislativa, è evidente che la responsabilità del Presidente della Repubblica sussiste, nei limiti, s’intende, in cui può essere accertata la sua responsabilità per violazioni della Costituzione, per tutti gli atti cioè, in cui il Capo dello Stato deve costituzionalmente intervenire.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Nobile, mi permetto di ricordare che quando ieri abbiamo parlato dei casi di impedimento del Presidente si è fatto esplicito riferimento al caso della messa in istato d’accusa del Presidente.

Per queste ragioni la Commissione non può accogliere le proposte degli onorevoli Benvenuti e Nobile.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, ella mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. A me sembra che si debba tener conto delle considerazioni del collega onorevole Fuschini, il quale ha messo in relazione il problema della responsabilità costituzionale del Capo dello Stato con la creazione della Corte costituzionale. Senonché tutto il ragionamento dell’onorevole Fuschini, nel merito del quale non entro, ha come premessa che esista il sindacato di costituzionalità e l’organo relativo.

Poiché a tutt’oggi quest’organo non è entrato nella Costituzione, io, onorevole Presidente, proporrei che la decisione sul mio emendamento sia rinviata in quella sede per esaminare se fra i soggetti attivi dell’azione di incostituzionalità debba stare come io ritengo, il Presidente della Repubblica e in quali condizioni.

Quindi rinvierei a quella sede la discussione e la votazione di questa materia.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, lei chiede che il suo emendamento sia rinviato a dopo che sia decisa la questione della Corte costituzionale. Ma osservo che, comunque, la Corte costituzionale, se sarà costituita, avrebbe un compito che nulla ha a che fare con la violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica, perché la Corte dovrebbe controllare se le leggi sono o no costituzionali, mentre, quando si parla di violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica, ci si riferisce agli atti del Presidente indipendentemente dalla formazione delle leggi e quindi dal loro contenuto. Comunque la Commissione si è pronunciata circa la sua proposta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far rilevare che l’Alta Corte costituzionale giudica anche dei Ministri. Quindi un certo riferimento vi può essere con quello che l’onorevole Benvenuti propone. Si tratta di vedere, se il Presidente della Repubblica (io non sarei di questa opinione) possa promuovere azione di incostituzionalità; mentre d’altra parte potrebbe egli essere oggetto di giudizio di incostituzionalità. La proposta Benvenuti di rinvio è opportuno sia accolta.

PRESIDENTE. Faccio osservare che il rinvio dell’emendamento implicherebbe anche il rinvio dell’esame del secondo comma dell’articolo in discussione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Io penso che, nel momento in cui si stanno stabilendo le responsabilità del Presidente della Repubblica e, nello stesso tempo, si considera la possibilità di renderlo responsabile per violazioni della Costituzione, il principio sul quale dovrebbe poggiare l’eventuale sua responsabilità debba essere subito stabilito, e debba essere subito stabilito indipendentemente dalle riserve e dalle considerazioni dell’onorevole Fuschini. S’intende che la responsabilità per violazione della Costituzione dev’essere limitata ai casi in cui sussista una responsabilità personale e dolosa del Presidente della Repubblica.

Ove invece si tratti di una responsabilità puramente fondata sul fatto che egli completa, in base alla Costituzione, l’operato delle Assemblee, allora non vi sarà una responsabilità punibile.

Ove noi rimandassimo la questione a quando sarà discussa l’istituzione dell’Alta Corte costituzionale, potremmo creare l’organo diretto a correggere le violazioni della Costituzione, ma lasciare impunite le violazioni commesse e volute dal Presidente.

Siccome poi la valutazione cui si dovrà procedere per decidere se vi sia una tale violazione che determini o no l’opportunità di una denuncia, sorgerà solo di fronte ai casi pratici, toglierei la formula «sarà denunciato» e metterei «può» essere denunciato, così come è detto ora nell’articolo 85.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Cerchiamo d’intenderci. Onorevole Benvenuti, se lei insiste perché sia modificato il testo dell’articolo 85, la Commissione deve respingere il suo emendamento e chiedere che si voti l’articolo 85, per le ragioni dette dall’onorevole Tosato, perché verremmo a creare una figura di Capo dello Stato diversa da quella che abbiamo voluto. L’onorevole Benvenuti, sia pure per un nobile scrupolo di tutela della costituzionalità, verrebbe a distruggere la figura del Capo dello Stato che abbiamo delineato. Se si vota ora l’articolo 85 nel nostro testo, non abbiamo difficoltà acché sia a suo tempo, a proposito della Corte costituzionale, esaminato se e come sarà possibile un intervento del Capo del Governo. Rinvio dell’emendamento Benvenuti, per quella parte che può coesistere con l’articolo 85, va bene; ma non rinvio dell’articolo 85. Bisogna dunque, la prego, che ella rinunci alla prima parte del suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Ritiro la prima parte. Quanto alla seconda, mi riservo di ripresentarla in sede di garanzie costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, lei mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Io ho ascoltato le ragioni che ha addotto l’onorevole Tosato. Ritengo che la sua dichiarazione possa tradursi in una formula da inserirsi nel testo della Costituzione nel senso che si dica: «violazione dolosa della Costituzione».

Se la Commissione accetta la inclusione della parola «dolosa» io ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

TOSATO. La Commissione accoglie l’emendamento in via di raccomandazione, accettandone il concetto, sul quale siamo d’accordo. Si tratta di trovare la formula più opportuna.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Presenterò un emendamento all’articolo 85, perché mi pare, in sostanza, che nel secondo comma dove è detto: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione» i fatti non siano specificati. Bisognerebbe mantenere per il Presidente della Repubblica un principio di libertà, fondamentale per tutti i cittadini, dal più umile a quello che è più in alto nella gerarchia politica. Vorrei che questo articolo suonasse un po’ diversamente, nel senso che si dicesse «tranne che per i delitti di alto tradimento», in modo che ci si richiamasse ai delitti di «alto tradimento», quei delitti che sono pubblicati nel Codice penale sotto un apposito titolo.

Vorrei anche che si dicesse «o per attentato alla Costituzione», perché la formula «violazione della Costituzione», anche se si specifica che si tratta di violazione dolosa, non configura un reato. Nel Codice penale, invece, esiste un articolo particolare nel quale si parla di «attentato alla Costituzione».

Quindi credo che dal punto di vista tecnico e politico sia più felice la mia espressione che quella contenuta nel progetto di Costituzione, per cui, ripeto, propongo che si dica al secondo comma del l’articolo 85 «tranne per i delitti di alto tradimento o per attentato alla Costituzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Bettiol, sono le formule costituzionali consuete. Si tratta di questo: noi non possiamo lasciare che la nostra Costituzione non dica una parola delle violazioni della Costituzione che il Presidente della Repubblica può compiere. È vero che il Presidente è irresponsabile, e che la responsabilità dei suoi atti è dei Ministri che li controfirmarono; ma vi possono essere dei casi nei quali il Presidente, agisce senza chiedere la controfirma, e viola la Costituzione; o altri atti predeterminati da lui personalmente, sia pure con l’assenso dei Ministri, per violare la Costituzione; ed allora deve esser colpito. Né basterebbe dire «alto tradimento», che è ipotesi più specifica; mentre vi sono altre violazioni, che meritano di esser colpite.

Sembrerebbe giusto che fossero colpite solo le violazioni dolose, o anche solo quelle dove è colpa grave, non le altre semplicemente colpose; ma è un punto che, per la sua espressione giuridica, dovrei ancora meditare.

Debbo poi osservare, su un altro punto, all’onorevole Bettiol che, in giudizi di violazione della Costituzione, e di denuncia, a tale effetto, del Presidente della Repubblica, non occorre che il Presidente della Repubblica incorra in una rubrica di reato specificato dalla legge penale. In materie analoghe, per giudizi di Ministri all’Alta Corte (e cioè al Senato) durante lo Statuto albertino, si è ritenuto – ed Orlando ha scritto al riguardo una pagina ammirabile – che vi possa esser giudizio e condanna anche per atti non rubricati appositamente nel Codice penale, ma che implichino violazione costituzionale. E del resto la rubrica è qui: nella disposizione della Costituzione, che cercheremo di precisare in sede di revisione e coordinamento.

Pregherei l’onorevole Bettiol di non insistere nel suo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Sicignano, insieme con l’onorevole Musolino, ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire le parole: per violazione della Costituzione, con le altre: per azione contro la Costituzione».

D’onorevole Sicignano ha facoltà di svolgerlo.

SICIGNANO. Ho creduto di presentare questa mia modifica, alla quale avevo per altro pensato molto tempo fa, perché dallo svolgimento della discussione mi sono accorto che l’Assemblea vuole formulare un concetto più chiaro e preciso di quello che si legge nel progetto, il quale parla semplicemente di violazione della Costituzione.

Ora poiché si è detto che questa violazione della Costituzione potrebbe indurre a gravissimi provvedimenti, col deferimento ad una speciale Corte di Giustizia del Presidente della Repubblica, io credo che questo concetto vada formulato nei termini da me precisati, perché il concetto espresso dalla parola azione include l’altra di dolo ossia azione voluta scientemente.

Perché un’azione contro la Costituzione implica e contiene sicuramente il concetto della volontarietà dell’atto compiuto dal Presidente della Repubblica. Non qualunque involontaria violazione della Costituzione, che potrebbe essere eventualmente consumata anche dalle normali Camere legislative, può far sottoporre il Presidente della Repubblica a questo grave procedimento, ma soltanto un’azione con la quale egli viola la Costituzione e pertanto la sovranità popolare e le pubbliche libertà.

Soltanto in questi casi si può dire che il Presidente della Repubblica si pone contro la Costituzione dello Stato; e soltanto in questi casi potremmo chiedere che si ricorra a questo gravissimo provvedimento, e che il Presidente della Repubblica non sia più degno di coprire l’altissima carica. Perciò prego di accettare questa precisazione che dà una maggiore chiarezza al concetto che vogliamo esprimere.

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io non intendo fare un emendamento, ma intendo chiedere una spiegazione senza la quale mi troverei in difficoltà nel votare. Qui si prevede la irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.

Io domando: per gli atti illeciti, per i reati, che il Presidente può compiere fuori dell’esercizio delle sue funzioni, esiste una regolamentazione o no?

TOSATO. No!

BOZZI. Se, per esempio, il Presidente della Repubblica guida un’automobile, investe una persona e l’uccide può essere o no processato?

PRESIDENTE. Di questo si dovrebbe parlare in sede di Commissione.

BOZZI. Io noto come dicevo che vi è una grave lacuna, ed è bene che l’Assemblea lo sappia. Metto da parte l’idea del delitto doloso; ma per i reati colposi, per le contravvenzioni, il Presidente può essere chiamato in giudizio. Ci si dovrà richiamare per analogia all’immunità prevista per i deputati, ma vi potrà essere un giudice che constaterà che l’immunità è prevista per i deputati e i senatori e non per il Presidente della Repubblica. Il problema è di responsabilità: secondo me, va risolto. Noto questa lacuna. Non faccio un emendamento, ma richiamo l’attenzione dell’Assemblea su questo punto.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino propone di sostituire la forma negativa dell’articolo 85 con una forma positiva e cioè:

«Gli atti del Presidente della Repubblica sono validi se controfirmati, ecc.».

L’onorevole De Martino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE MARTINO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione a proposito dell’emendamento Sicignano.

TOSATO. Prego l’onorevole Sicignano di non insistere nel suo emendamento, perché la formula «violazione della Costituzione» è una formula ormai comune, rispetto alla quale non vedo nessuna ragione di modificazioni. In una Costituzione non si possono fare tutte le precisazioni che si vorrebbero.

Desidero rispondere a una domanda dell’onorevole Bozzi. Perché il progetto di Costituzione non parla della responsabilità del Presidente per atti che non si connettono all’esercizio delle sue funzioni? L’onorevole Bozzi sa perfettamente che abbiamo discusso la questione in sede di Commissione, e ne abbiamo discusso ampiamente. Siamo giunti alla conclusione che non era opportuno stabilire a questo proposito una norma precisa. Si tratta dei reati compiuti dal Presidente fuori dell’esercizio delle sue funzioni.

È evidente che per questi reati egli è responsabile. Questo almeno il punto di vista della Commissione. Ma noi abbiamo ritenuto egualmente inopportuno sia stabilire l’improcedibilità verso il Presidente durante il periodo del suo mandato, sia assimilare a questo proposito il Presidente ai membri delle Camere, attribuendogli le medesime immunità.

PRETI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiedo se votando questo comma si pregiudichi la questione del decreto di scioglimento delle Camere. Cioè, se noi votando secondo quanto ci viene proposto e stabilendo che ogni atto del Presidente della Repubblica deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, intendiamo dire che anche il decreto di scioglimento delle Camere deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio, di guisa che questi ne assume la responsabilità? Oppure no?

TOSATO, Relatore. Senz’altro.

PRETI. Dunque votando in questo modo pregiudicheremo senz’altro la votazione dell’articolo 84.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di rispondere.

TOSATO. Nessun atto del Presidente può essere posto in essere senza la controfirma del Ministro responsabile.

D’altra parte, se la Costituzione assicura al Presidente il potere di scioglimento, è evidente che questo potere può essere posto in essere dal Presidente della Repubblica in quanto ci sia il Ministro che ne assuma la responsabilità.

PRETI. L’interpretazione data dall’onorevole Tosato mi conferma che noi pregiudichiamo l’articolo 84. Infatti dello scioglimento delle Camere non deve essere propriamente responsabile il Primo Ministro, dato che questo atto, così come la designazione del Presidente del Consiglio, costituisce una effettiva decisione del Presidente della Repubblica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace di dover fare un’osservazione. Si ha pienamente diritto di discutere, ma a questo modo si va all’infinito.

Gli emendamenti, dice il Regolamento, devono essere presentati due giorni prima, o in caso diverso con dieci firme; e la Commissione ha diritto di chiedere il rinvio per quelli che vengono presentati all’ultima ora.

Finora non ci siamo valsi di questo diritto. Ma, se continua la pioggia di emendamenti all’ultima ora, dovremo chiedere il rinvio, perché, anche su questioni puramente tecniche, non si può decidere su due piedi.

L’onorevole Bozzi si è riservato di presentare una formulazione concreta per la questione se il Presidente della Repubblica sia perseguibile o no per reati commessi fuori dell’esercizio delle sue funzioni. Presenti le sue proposte, e le esamineremo. Non so se, come si è accennato, potrebbe adottarsi la garanzia di una autorizzazione del Parlamento per dar corso al giudizio penale. Mi pare istituto non adeguato.

BOZZI. E per i deputati?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Pei deputati e senatori è un’altra cosa. Qui è in giuoco il Capo dello Stato; e se vi deve essere espressa garanzia, dovrebbe essere un’altra. Ma riparleremo a parte della questione, quando discuteremo dell’emendamento che l’onorevole Bozzi presenterà; ed allora vedremo se mettere una garanzia o no.

COSTA. Ma nell’articolo 65 si è provveduto per i deputati ed i senatori!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Preti osserva che non si può approvare l’articolo 85, senza decidere implicitamente sull’articolo 84, che abbiamo rinviato. Non mi sembra; si potrebbe, ammesso il principio generale della irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti controfirmati dai Ministri, ammettere una sola eccezione, lo scioglimento delle Camere, in cui non vi sarebbe controfirma, e vi sarebbe quindi responsabilità. Ma l’onorevole Preti è recisamente contrario alle funzioni che sarebbero «prerogative» del Capo dello Stato; e mi sembra che non dovrebbe ammettere eccezione al principio dell’articolo 85, anche nel caso dell’articolo 84.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini, nel senso cioè che il problema da me sollevato non è pregiudicato dalla votazione del secondo comma dell’articolo 85, che riguarda un altro ordine di problemi, cioè la responsabilità del Presidente della Repubblica nell’esercizio delle sue funzioni.

Io, se lei consente, onorevole Presidente, mi riservo di presentare domani un emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, naturalmente non si tratterà di un emendamento all’articolo 85, ma di un articolo aggiuntivo.

BOZZI. Evidentemente.

PRESIDENTE. Allora concludiamo. Onorevole Costa, per l’emendamento da lei presentato resta inteso che, a seconda della decisione che si prenderà sull’articolo 86 esso acquisterà validità o meno.

Onorevole De Martino Carmine: la proposta da lei presentata sarà presa in considerazione dal Comitato nella redazione definitiva del testo della Costituzione. Lei, onorevole Sicignano, insiste nel suo emendamento?

SICIGNANO. Non insisto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bettiol?

BETTIOL. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del testo dell’emendamento Perassi accettato dalla Commissione come sostitutivo del primo comma dell’articolo 85:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge, devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

Voteremo questi due commi separatamente. Pongo in votazione il primo comma:

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

(È approvato).

E adesso passiamo al secondo comma del testo della Commissione, che è del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione».

A questo comma l’onorevole Bettiol ha proposto di sostituire alle parole: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione», le altre: «tranne che per i delitti di alto tradimento e per attentato alla Costituzione».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Pongo ora in votazione la prima parte di questo secondo comma, nel testo della Commissione:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte nella formulazione Bettiol: «tranne che per i delitti di alto tradimento e per attentato alla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione il testo della Commissione: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione».

(È approvato).

Onorevole Fuschini, le chiedo se mantiene il suo emendamento a questo comma, tendente ad aggiungere la parola «dolosa» dopo «violazione».

FUSCHINI. Sono ossequiente alla dichiarazione che ha fatto la Commissione e aderisco alla sua proposta.

PRESIDENTE. Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 85.

Faccio presente che l’onorevole Nobile ha presentato una proposta soppressiva di tutto il comma. Chiedo all’onorevole Nobile se mantiene la sua proposta.

NOBILE. La ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ultimo comma con l’emendamento Crispo nella forma accettata dalla Commissione:

«In tali casi è messo in stato di accusa dalle Camere riunite a maggioranza assoluta dei loro membri».

(È approvato).

L’articolo 85 risulta nel suo complesso così approvato:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio.

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione.

«In tali casi è messo in stato di accusa dalle Camere riunite a maggioranza assoluta dei loro membri».

Onorevoli colleghi, abbiamo così finito di esaminare il Titolo relativo al Parlamento e al Capo dello Stato, salvo gli articoli ed i commi che riguardano l’Assemblea Nazionale.

Ma per esaurire del tutto questa materia, dobbiamo ancora prendere in esame l’emendamento presentato dall’onorevole Preti, che riguarda il Titolo di questa parte della Costituzione. L’onorevole Preti ha proposto di sostituire l’attuale intestazione «Il Capo dello Stato» con l’altra: «Il Presidente della Repubblica».

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PRETI. Avevo presentato lo stesso emendamento a proposito dell’articolo 83: ma mi arresi in quella sede alle ragioni esposte dall’onorevole Tosato.

Per quanto riguarda l’intitolazione, però, credo che la Commissione dovrebbe a sua volta rendersi conto delle ragioni già da me esposte.

In tutte le Costituzioni democratiche il corrispondente Titolo è intestato a «Il Presidente della Repubblica», in quanto vengono con ciò meglio precisate e designate le funzioni di questo organo costituzionale. Conservare ancora nel titolo «Il Capo dello Stato» potrebbe anche significare un riallacciamento a quelle costituzioni ottocentesche, con la tradizione delle quali – come ha detto oggi l’onorevole Ruini – noi vogliamo nettamente rompere.

Per questo confido che la Camera vorrà accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI. La Commissione accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Preti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Preti di sostituire l’intestazione del Titolo: «Il Capo dello Stato» con l’altra: «Il Presidente della Repubblica».

(È approvata).

Passiamo ora all’esame del titolo III.

IL GOVERNO

Sezione I.

Il Consiglio dei Ministri.

Si dia lettura dell’articolo 86:

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Governo della Repubblica è composto del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, e dei Ministri.

«Il Presidente della Repubblica nomina il Primo Ministro e, su proposta di questo, i Ministri».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: Primo Ministro, Presidente del Consiglio, sostituire le parole: Presidente dei Ministri; o, subordinatamente: Presidente del Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CONTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Colitto:

«Al primo comma, dopo le parole: del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, aggiungere le seguenti altre: del Consiglio dei Ministri».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. La norma dell’articolo 86, a mio avviso, deve subire una piccola modificazione.

Gli organi, infatti, dell’Amministrazione centrale sono non soltanto il Primo Ministro e i Ministri, ma anche il Consiglio dei Ministri. Questo è tanto vero che la sezione prima della parte del progetto di Costituzione di cui ci stiamo occupando, è intitolata appunto «Consiglio dei Ministri». Ora, se il titolo ha per intestazione «Il Governo» e la Sezione prima ha per intestazione «Il Consiglio dei Ministri» vuol dire che, secondo il progetto, non può ritenersi che l’espressione Governo sia uguale a Consiglio dei Ministri.

Anche nel primo comma dell’articolo 86 è scritto che il Primo Ministro è Presidente del Consiglio. Senonché non si vede, poi, il Consiglio tra gli organi centrali dell’Amministrazione dello Stato. Il Consiglio dei Ministri, come tutti sanno, è l’organo che svolge di continuo la funzione di coordinamento dell’attività amministrativa posta in essere dai vari Ministri, seguendo l’indirizzo politico generale segnato dalle Camere e dal Capo del Governo, e delibera su tutti gli affari che, per la loro natura o per la loro importanza, richiedono un accordo ed una collaborazione dei membri del Governo.

Ecco perché ho presentato un emendamento, che tende appunto a porre tra gli organi dell’amministrazione attiva dello Stato, a fianco del Primo Ministro e dei Ministri, il Consiglio dei Ministri.

Che se poi con la parola «Governo» s’intende indicare il Consiglio dei Ministri, allora propongo che nel primo comma dell’articolo alle parole «Il Governo» siano sostituite le altre «Il Consiglio dei Ministri».

Mi rendo conto che nell’articolo ricorre più volte la parola «Ministri», il che dà vita ad un periodo che all’orecchio suona non troppo dolcemente; ma io penso che occorra, per ora, guardare alla sostanza, rinviando ad un secondo momento il lavoro di lima, da un punto di vista, starei per dire, musicale.

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca, Grieco, Spano e altri hanno presentato il seguente emendamento:

Sostituirlo con il seguente:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Questo nostro emendamento, onorevoli colleghi, è ispirato al concetto di impedire che il Gabinetto, cioè l’organo dell’esecutivo governativo, appaia come costituito di due elementi diversi e distinti: il Primo Ministro e i Ministri. Il concetto veramente democratico – praticato del resto per anni anche in Italia – è che il Gabinetto debba costituire un organo collegiale, che risponda nel suo insieme dell’indirizzo generale del Governo.

Non è che ci si voglia opporre ad una dizione di sapore più o meno mussoliniano, ma è che tendiamo ad impedire che nel Gabinetto venga a costituirsi una funzione staccata, preminente, avulsa e del tutto indipendente dal Ministero: quella del suo Presidente. Il Gabinetto deve essere un organo unico, investito nella fiducia dei Parlamento, lasciando da parte, a questo proposito, la questione dei Ministri, che sono poi nominati dal Presidente della Repubblica, senza, cioè, entrare nel merito del particolare che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio, il quale, poi provvede a proporre i singoli Ministri.

PRESIDENTE. Ricordo che l’onorevole Costa si era riservato di ripresentare all’articolo 86 l’emendamento già svolto in sede di esame dell’articolo 85, col quale proponeva di sostituire alle parole: «Primo Ministro» le altre: «Presidente del Consiglio dei Ministri».

Invito pertanto l’onorevole Tosato a pronunziarsi a nome della Commissione sugli emendamenti presentati, tenendo presente anche quello dell’onorevole Costa.

TOSATO. Prescindiamo per un momento da quella che può essere una pura questione di parole, se si debba cioè parlare di Primo Ministro o di Presidente del Consiglio dei Ministri: è una questione, sotto un certo aspetto, puramente terminologica. Esaminerò quindi senz’altro l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca e dagli altri colleghi. Secondo questo emendamento, «il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri». Ora, faccio presente che, se l’Assemblea approva questo emendamento, ne deriverebbero conseguenze inaccettabili. La conseguenza sarebbe questa: che il Governo dello Stato sarebbe un organo collegiale, che dovrebbe agire sempre collegialmente, in quanto i Ministri, come tali, non figurano più come organi costituzionali; esistono soltanto in quanto fanno parte del Consiglio dei Ministri e deliberano in Consiglio dei Ministri. Questa sarebbe la conseguenza logica dell’accoglimento di questa formula.

Altra conseguenza dell’accoglimento di questa formula sarebbe la seguente: il ritorno a posizioni antiche, superate, caratteristiche dei primi ordinamenti costituzionali, quando tutti i Ministri erano nella stessa posizione di fronte al Capo dello Stato, e il Capo dello Stato nominava indistintamente, uno per uno, i singoli Ministri, ponendoli tutti, però, sullo stesso piano. Donde, in definitiva, un aumento del potere del Capo dello Stato, al quale è riservato lo stesso potere di scelta sia per quanto riguarda il Primo Ministro, sia per quanto riguarda tutti gli altri Ministri. Io credo che queste semplici considerazioni siano sufficienti a far comprendere la inammissibilità di questo emendamento che viene proposto dall’onorevole La Rocca.

In secondo luogo, l’onorevole La Rocca ha riconosciuto che il Governo deve essere qualche cosa di organico. Orbene, se l’onorevole La Rocca e gli altri firmatari di questo emendamento avvertono questa necessità dell’unità organica del Governo, è evidente che questa unità organica può essere assicurata soltanto in quanto vi sia un Primo Ministro, il quale ha precisamente il compito di ridurre ad unità organica la pluralità dei Ministri, di mantenere l’unità organica del Gabinetto e di far sì che la politica necessariamente unitaria del Governo sia concordemente e fedelmente perseguita da tutti i membri del Governo.

Per queste ragioni i colleghi della Commissione qui presenti non possono accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca.

Vorrei pregare inoltre l’onorevole Conti di non insistere nel suo emendamento. Presidente del Governo: è una formula del tutto nuova. In queste materie credo sia opportuno seguire la tradizione. Vi sono due termini tradizionali relativamente a questa materia: Primo Ministro e Presidente del Consiglio. L’Assemblea scelga fra questi due quello che ritiene più opportuno.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Colitto: è una questione di forma. Sostanzialmente siamo d’accordo. Ella propone la formula: «Il Governo è composto del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, del Consiglio dei Ministri, e dei Ministri, ecc.». Esattissimo. Ma vi sono esigenze di forma, ripetizioni che conviene evitare. La formula del progetto: «Primo Ministro, Presidente del Consiglio», è ellittica, ma contiene quanto ella vorrebbe specificare.

PRESIDENTE. Chiedo ai singoli presentatori di emendamenti se li mantengono. Onorevole Conti?

CONTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca?

LA ROCCA. Lo mantengo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Mi pare questa una discussione in gran parte inutile. In ogni Paese il Capo dello Stato incarica un deputato o un senatore, diciamo così, di formare il Governo. Questa è la regola, dovunque; dovunque esistono queste forme costituzionali, vi è un incaricato di fare il Governo. L’incaricato di fare il Governo è un uomo che riassume o tutta la situazione politica o una gran parte, ed è sempre, o quasi sempre, dotato, se non di grande autorità, per lo meno di esperienza. Ora, l’idea di abolire, diciamo così, il Primo Ministro e di fare una specie di formazione collettiva, l’idea di dire che il Primo Ministro e tutti i Ministri sono eguali mi pare assurda. Ma eguali in che cosa? Sono disuguali, perché il Primo Ministro ha una grande funzione: egli deve agire non solo come coordinatore, ma deve assumere la responsabilità politica dell’azione di Governo.

In ogni Paese il Primo Ministro ha una speciale funzione. Nel Paese da cui vengono le forme costituzionali, l’Inghilterra, il Primo Ministro è una figura a sé, e non si può considerare che si possano formare organizzazioni collettive senza la responsabilità del Primo Ministro.

Perché il Primo Ministro ha una funzione non solo di capo, ma di coordinatore. Tutti i Ministri variano frequentemente, ma non il Primo Ministro. Nei grandi Paesi costituzionali come l’Inghilterra, i Primi Ministri variano pochissimo. Voi troverete che in cento anni di storia parlamentare i Primi Ministri durano ciascuno nella loro carica dieci, dodici, quattordici o quindici anni. Perché il Primo Ministro che rappresenta tutti i partiti e tutte le organizzazioni, è una persona che deve avere non solo un prestigio personale, ma anche una grande esperienza politica. Ed in un Paese come l’Inghilterra, maestra nella pratica costituzionale, il Primo Ministro viene in generale da un’alta carica politica, in modo da riassumere tutta una storia costituzionale. Negli ultimi cinquant’anni il Primo Ministro è stato scelto fra i Cancellieri dello Scacchiere; è cioè un uomo che ha potuto studiare la formazione di tutti i dicasteri.

Il Primo Ministro è dunque diverso dagli altri, sia per autorità, sia per esperienza. Non si nomina mai Primo Ministro una persona nuova alla vita politica. Anche un giovane può essere un grande Ministro, ma un giovane non è mai Primo Ministro. Bisogna risalire nella storia ad una figura come quella di un Pitt per trovare un’eccezione.

Provenendo, come dicevo, dalla carica di Cancelliere dello Scacchiere, il Primo Ministro in Inghilterra ha già potuto rendersi conto dell’andamento di tutti i Ministeri e conoscere tutte le amministrazioni. Quindi non è soltanto un propulsore, ma anche un coordinatore.

La nomina di Ministri che non abbiano alcuna differenza fra loro, non è un concetto democratico, ma semplicemente un equivoco. Si capisce che in un Governo di Gabinetto tutti i Ministri, avendo la loro azione particolare, hanno anche la loro personale responsabilità e con i loro errori e con le loro diversità d’indirizzo possono provocare la crisi di Governo. Ma la direzione finale della politica spetta sempre al Primo Ministro.

Quindi prego di non insistere in una modificazione che non ha alcuna necessità storica, né alcuna necessità politica. È un’idea demagogica che tutti i Ministri debbano essere uguali. In pratica questa uguaglianza forzata è impossibile e non risponde ad alcuna utilità.

Quanto al nome di Primo Ministro o Presidente del Consiglio la cosa è piuttosto indifferente. Ma credo che sia meglio conservare il vecchio titolo italiano di Presidente del Consiglio. Perché cambiare? Le novità devono servire per le cose utili, e non per le inutili.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei osservare che la distinzione fra i Ministri e il Presidente del Consiglio dei Ministri è già acquisita – se non mi sbaglio – alla nuova Costituzione attraverso l’emendamento che oggi stesso abbiamo approvato dell’onorevole Perassi.

Quindi, rimettere in discussione un punto già definitivamente acquisito mi pare superfluo. Una differenza fra Presidente del Consiglio e singoli Ministri è stata già statuita.

Si riduce dunque la questione, secondo me, ad una questione di nomenclatura: se si debba parlare di Presidente del Consiglio dei Ministri o di primo Ministro. Confesso che questa dicitura «primo Ministro» mi suona straordinariamente male e, quindi, sarei propenso a parlare esclusivamente del Presidente del Consiglio e dei singoli Ministri. In questo senso è la mia proposta formale.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni. L’emendamento dell’onorevole La Rocca deve avere la precedenza, poiché si allontana più di ogni altro dal testo della Commissione.

Lo rileggo:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

È stato chiesto su questo emendamento l’appello nominale dagli onorevoli Bettiol, Siles, Lizier, Coppi, Angelucci, Bosco Lucarelli, Rapelli, Monticelli, Bertone, Restagno, Rodinò Ugo, Recca, De Michele, Chieffi, De Martino, Jervolino.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che sulla interpretazione di questo emendamento si è stabilito un certo equivoco, che tiene distinti perfino i colleghi del Partito socialista da noi, io penso sia utile che io dichiari a nome del mio Gruppo che noi voteremo favorevolmente all’emendamento dell’onorevole La Rocca, intendendo che esso non esclude affatto la figura del Presidente del Consiglio (Commenti al centro), la cui esistenza è non solo contemplata da un articolo che abbiamo già votato, ma sarà anche contemplata, senza nostra opposizione, da articoli che voteremo in seguito.

BERTONE. Chi lo nomina?

LACONI. L’unica cosa che noi vogliamo escludere è la doppia nomina che attualmente è contemplata dall’articolo 86. Questa doppia nomina noi crediamo non abbia ragione d’essere; basta un solo atto di nomina di tutto il Governo, dato che concepiamo la figura del Presidente del Consiglio come un primus inter pares.

Con questa precisazione dichiaro che voteremo a favore dell’emendamento dell’onorevole La Rocca.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei spiegare all’onorevole La Rocca ciò che avviene finora e che non ha dato luogo a nessun dubbio, e risponde ad una corretta piassi costituzionale; venuta fuori con un senso profondamente democratico in Inghilterra. Il Consiglio dei Ministri inglese era presieduto dal Re, ma una volta un balordo Re di Casa Hannover, che non sapeva parlare l’inglese, non andò più alle sedute; ed allora il Consiglio dei Ministri acquistò una sua individualità, si svolse in Governo di Gabinetto; e lo presiedé il più autorevole dei Ministri, un personaggio a ciò indicato, che assunse un compito di preminenza e di direzione sugli altri Ministri. Nacque di qui la figura del Primo Ministro, che non ha nulla da fare con quella del Cancelliere, responsabile davanti al Capo dello Stato e non al Parlamento. Il Primo Ministro, designato in sostanza dal Parlamento, è un istituto che difatti esiste nelle Costituzioni scritte ed in quelle non scritte, come l’inglese. Badate bene, voi oppositori che non volete parlarne, non vi opponete ad una innovazione; cancellate ciò che già esiste dovunque. Altro è la questione del nome; se non volete mettere Primo Ministro e volete attenervi invece alla espressione per noi tradizionale di Presidente del Consiglio dei Ministri, niente di male; ciò che importa è la sostanza dell’istituto, che non vogliamo distruggere, ma confermare nel testo della Costituzione.

Anche l’onorevole Laconi mi sembra non tenga conto di quanto già avviene, e non vi è nessuna ragione che sia modificato. In caso di crisi il Capo dello Stato, dopo aver incaricato un uomo politico di formare il nuovo Gabinetto, lo nomina, ove egli riesca, Presidente del Consiglio con un decreto distinto; poi, su proposta del Presidente stesso, nomina i Ministri che comporranno, sotto la presidenza del già nominato Presidente, il Consiglio dei Ministri. Sono due atti distinti di nomina; e che siano distinti è perfettamente logico e costituzionalmente corretto.

Volete buttar giù la prassi ormai consolidata ? Noi vogliamo conservarla; e – poiché la nostra è una Costituzione scritta – scriverla nella Costituzione. Se non la mettessimo, sembrerebbe che accogliessimo le obiezioni che abbiamo qui udite e che vanno al di là dell’espressione formale, volendo intaccare il concetto stesso di Presidente del Consiglio; togliamo pure il nome di Primo Ministro; ma resta la figura direttiva e coordinatrice del Presidente, che traduce in atto l’indispensabile esigenza della unità e solidarietà di Gabinetto. (Proteste al centro).

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Aderisco, nella sostanza, al concetto espresso dall’onorevole Ruini.

Noi non intendiamo in alcun modo sopprimere la figura del Presidente del Consiglio che, d’altra parte, è definita dal successivo articolo 89; la nostra proposta comporta che il Presidente della Repubblica nomini il Presidente del Consiglio e questi i Ministri. (Commenti al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prendo atto con piacere che ella viene incontro ad una soluzione che era stata proposta dall’onorevole Fabbri, e che potrebbe essere accolta.

LACONI. V’è un equivoco (Commenti).

PRESIDENTE. Desidero far presente che v’è un emendamento il quale modifica in tutto il testo proposto dalla Commissione. Mi pare quindi che non si possa parlare di equivoco, quando ci si trova di fronte a due testi completamente diversi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’equivoco sorge dall’interpretazione che della nostra proposta dà l’onorevole Ruini. Se il Presidente della Commissione dice che noi, attraverso l’emendamento che abbiamo proposto, vogliamo sostituire una tecnica ad un’altra, sbaglia, perché noi non vogliamo affatto abolire l’attuale tecnica della nomina del Governo, cioè la consultazione di un particolare esponente politico e la nomina, attraverso questa consultazione, del Governo. Tutto questo noi sappiamo che è nella prassi e rimarrà; però questo non ha rilievo costituzionale e pensiamo che non debba risultare nella Costituzione. Il farlo risultare nella Costituzione significa rendere responsabile rispetto al Capo dello Stato e rispetto alle Camere il Primo Ministro: significa accettare il metodo delle dimissioni del Primo Ministro che comportano automaticamente le dimissioni del Governo. Noi pensiamo che questo metodo non sia democratico (Commenti al centro), anche se è stato introdotto dal Gabinetto De Gasperi. (Commenti).

Riteniamo che, anche se questa prassi dovesse essere seguita in avvenire, essa non debba però avere rilievo costituzionale. Non si deve riconoscere al Presidente del Consiglio il diritto di considerarsi rappresentante unico di tutto il Governo; la sua volontà deve essere sempre condizionata al voto di tutto l’organo collegiale, che egli presiede.

Per queste ragioni, insistiamo nel nostro emendamento. (Commenti al centro).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’emendamento La Rocca che è stato così modificato:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«Il Presidente del Consiglio e i Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Trulli.

Si faccia la chiama.

COVELLI, Segretario, fa la chiama:

Rispondono sì:

Allegato – Assennato.

Baldassari – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bonomelli – Bucci.

Cacciatore – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Chiarini – Colombi Arturo – Corbi – Cremaschi Olindo.

De Michelis Paolo – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.

Maffi – Magnani – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Mattei Teresa – Mezzadra – Molinelli – Montalbano – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nobili Tito Oro.

Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Sapienza – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sicignano – Stampacchia.

Togliatti.

Vischioni.

Zannerini.

Rispondono no:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castiglia – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foa – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gasparotto – Germano – Ghidini – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Labriola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lizier – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magrini – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Perugi – Piccioni – Ponti – Preziosi – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Salizzoni – Sampietro – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Siles – Simonini – Spallicci – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi –; Treves – Trimarchi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso.

Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Martino Gaetano – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento La Rocca:

Presenti e votanti     348

Maggioranza           175

Hanno risposto     90

Hanno risposto no    258

(L’Assemblea non approva).

Presentazione di una relazione.

BETTIOL. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Ho l’onore di presentare la relazione al disegno di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora al primo comma dell’articolo 86, che l’onorevole Costa ha proposto sia così modificato:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente, dal Consiglio dei Ministri e dai Ministri».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Aderirei all’emendamento Costa se si dicesse: «il Presidente del Consiglio dei Ministri».

PRESIDENTE. Questa è la proposta dell’onorevole Colitto, che voteremo dopo.

CORBINO. Il Consiglio dei Ministri, che forma il titolo della Sezione, non è ricordato in nessuno degli articoli della Sezione stessa, salvo che nell’articolo 89 in via incidentale.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io, subordinatamente, ho chiesto che la formulazione dell’articolo fosse modificata. Invece di dire «Il Governo della Repubblica è composto», ho proposto che si dica «Il Consiglio dei Ministri è composto». Se la Commissione accetta questa formulazione la si potrebbe votare.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Il Comitato di redazione non ha avuto la possibilità di raccogliersi per esaminare questi emendamenti. Quindi, non posso rispondere che a titolo personale.

Personalmente, vorrei pregare l’onorevole Corbino e gli altri proponenti di queste modificazioni, che dopo il voto testé intervenuto hanno un carattere solamente formale, di trasformarle in raccomandazioni, delle quali sarà tenuto conto in sede di revisione finale. Ormai, sostanzialmente, la questione è decisa attraverso il voto dato.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Propongo di votare il primo comma dell’articolo 86 per divisione. Automaticamente, si verranno in tal modo a risolvere tutti i quesiti proposti.

PRESIDENTE. Ma v’è una diversa formulazione proposta dall’onorevole Colitto. La mantiene, onorevole Colitto?

COLITTO. Non insisto su questa proposta. Mantengo invece il mio primitivo emendamento, che non è soltanto di forma.

PRESIDENTE. Onorevole Costa, mantiene il suo emendamento?

COSTA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, mantiene l’emendamento?

CONTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Procediamo allora alle votazioni sul primo comma dell’articolo 86 per divisione, inserendo via via i vari emendamenti sostitutivi e aggiuntivi.

Pongo in votazione le parole, di cui all’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Costa:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, sono approvate).

Occorre ora porre ai voti le parole, di cui all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Colitto:

«dal Consiglio dei Ministri».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei chiedere quale è il pensiero della Commissione su questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, la Commissione ha fatto questa sola osservazione: che l’articolo non risulterà troppo piacevole dal punto di vista fonetico, per la continua ripetizione della parola «Ministri», e ha rivolto ai presentatori di emendamenti l’invito di rimettersi per l’elaborazione conclusiva alla Commissione stessa, che avrebbe tenuto conto delle varie proposte.

Pongo in votazione l’emendamento Colitto:

«dal Consiglio dei Ministri».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole del progetto:

«e dai Ministri».

(Sono approvate).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo del progetto, coordinato con il risultato delle votazioni testé avvenute:

«Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questi, i Ministri».

(È approvato).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Evidentemente il coordinamento con la sostituzione delle parole «Primo Ministro» con le altre «Presidente del Consiglio dei Ministri» dovrà avvenire anche per le altre norme già approvate: ad esempio per l’articolo 85.

PRESIDENTE. Certamente.

Do lettura del testo dell’articolo 86 quale risulta approvato, salvo, naturalmente, il coordinamento:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Consiglio dei Ministri e dai Ministri.

«Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questi, i Ministri».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se non credano opportuno diminuire l’onere delle tasse universitarie, che rendono difficile la possibilità di frequenza ai corsi agli studenti meno forniti di mezzi di fortuna.

«Spallicci, De Mercurio, Paolucci, Della Seta, Macrelli, Facchinetti, Fortuna».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Gravina: per conoscere esattamente le cause determinatrici, il modo come si sono svolti e i rimedi che si intendono adottare per eliminare in Puglia e nel Mezzogiorno episodi del genere.

«Perrone Capano».

«Ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati per assodare le responsabilità per i fatti di Gravina e conoscere quali provvedimenti intendono adottare per fronteggiare la disoccupazione in provincia di Bari, allo scopo di evitare il ripetersi di incidenti.

«Pastore Raffaele, Assennato».

«Ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se intendano rivedere la posizione giuridica dei direttori didattici e degli ispettori scolastici, inquadrando i primi nel grado VIII e ciò per eliminare la grave ingiustizia per cui essi, all’apice della carriera, raggiungano soltanto il grado IX, come i maestri elementari. L’interrogante segnala l’urgenza del problema, data l’agitazione in atto e lo sciopero minacciato.

«Riccio».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo si riserva di far conoscere quando potrà rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

COVELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quando presumibilmente sarà riattivata del tutto la ferrovia Porrettana (tratto Pistoia-Bologna), così necessaria alla ripresa del traffico in quel settore montano e se non ritenga opportuno accelerare i lavori di ricostruzione con tutti i mezzi possibili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti ha adottato o intende adottare per la migliore manutenzione o sistemazione delle strade nella provincia di Pistoia, oggetto di precedenti premure dell’interrogante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere:

  1. a) se nella imminenza della scadenza del termine per la presentazione delle dichiarazioni, agli effetti della imposta progressiva sul patrimonio, non ritenga opportuno ed urgente di dare istruzioni e chiarimenti ai denuncianti sul modo con cui essi debbono contenersi relativamente al valore da dichiarare per i fabbricati nei casi in cui essi abbiano presentato domanda di rettifica ai sensi della circolare 18 giugno 1947, n. 79880;
  2. b) se non ritenga equo ed opportuno di dare disposizioni agli Uffici delle imposte affinché, in attesa di definizione delle domande di rettifica presentate dai contribuenti, ai sensi della predetta circolare, diano esecuzione agli sgravi in tutti i casi in cui siano rivalutati per cinque i valori dei fabbricati definiti almeno negli anni 1945 e 1946 e ciò prima della scadenza della rata del ruolo ora passato in riscossione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici, del tesoro e delle finanze, per sapere come gli Istituti per le case popolari, finanziati dallo Stato per la ripresa della costruzione delle abitazioni, possono integrare le somme loro assegnate con prestiti a mutuo, dato che gli istituti di credito dichiarano di non essere in grado di fornire i capitali richiesti a lungo termine ed alle condizioni che sarebbero compatibili coi canoni di affitto che gli inquilini di tali Istituti possono corrispondere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Simonini, D’Aragona».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se creda di emettere senza ulteriore ritardo le norme relative alla liquidazione dei danni per le case occupate dalle truppe degli Alleati, considerando che molte famiglie hanno subito la perdita quasi completa di mobili, suppellettili, indumenti anche di non lieve valore, e ridotte quasi in uno stato d’indigenza aspettano con ansia un giusto, legittimo risarcimento, mentre le autorità locali competenti dicono di non poter procedere in alcun modo all’esame delle relative pratiche, essendo ancora in attesa delle suddette norme.

«L’interrogante fa rilevare l’urgenza del problema. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali difficoltà si frappongano alla pubblicazione dei risultati dell’inchiesta espletata dalla Giunta provinciale amministrativa di Frosinone sulle irregolarità con cui si svolsero il 31 marzo 1946 le elezioni amministrative nel comune di Torrice. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non intenda accogliere la deliberazione del Consiglio comunale di Burgio (Agrigento), in data 24 novembre 1946, diretta ad ottenere il ripristino in detto comune della Pretura, arbitrariamente soppressa nel 1923 dal governo fascista. Il pretore di Ribera ha trasmesso la richiesta anzidetta con parere favorevole, basandosi sui dati dei procedimenti civili e penali del quinquennio 1942-46, secondo i quali nell’antica giurisdizione della ripristinanda Pretura si sono avuti 806 processi penali e 141 processi civili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montalbano».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Orlando Vittorio Emanuele

Nitti

Carpano Maglioli

Clerici

Corbino

Costantini

Bozzi

Tosato

Benvenuti

Nobile

Codacci Pisanelli

Colitto

Perassi

Mastino Pietro

Preti

Caronia

Laconi

Fabbri

Dominedò

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Bozzi

Presidente

Sull’ordine del giorno:

Caronia

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caroleo e Lazzati.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri sono stati svolti gli emendamenti presentati all’articolo 84 ed hanno anche preso la parola alcuni colleghi per esporre particolari considerazioni sugli emendamenti stessi.

Spetta adesso alla Commissione di esprimere il suo avviso. Ha pertanto facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero, prima di parlare dell’articolo 84, fare un breve cenno sulle osservazioni che la voce autorevolissima di Orlando ha fatto al nostro progetto di Costituzione. Vorrei dirgli una semplice e rispettosa parola di risposta.

Orlando ieri ha mostrato la sua meravigliosa freschezza di mente, quando ha contrapposto ad una tesi di prerogative, che sapevano un po’ di Medio Evo, il concetto della responsabilità ministeriale e della irresponsabilità del Capo dello Stato, che è un canone acquisito alla forma di Stato parlamentare, di cui egli è stato insuperato teorico e maestro. Questo concetto rimane anche nella nuova fase di Stato più democratico che ora viviamo e che la Commissione ha cercato di assumere a base del suo progetto.

Ma Orlando ha preso occasione per alcuni rilievi appunto sull’indirizzo da noi seguito nella parte finora approvata della Costituzione. Si è più specialmente lagnato perché noi avremmo tolto al Presidente della Repubblica un contenuto di funzioni essenziali, così da renderlo più fantoccio del re, che era già fantoccio.

Potrei far presente l’insieme, non esito a chiamarlo imponente, delle attribuzioni che abbiamo dato con l’articolo 83 al Capo dello Stato: per le leggi e decreti, per la nomina dei funzionari, per i rapporti internazionali, per le forze armate e la guerra, per la grazia ed il condono; mentre in altri articoli gli abbiamo attribuito di nominare e revocare i Ministri e di sciogliere le Camere. La figura del Presidente della Repubblica risulta (anche per la espressione raccolta e densa della nostra formulazione) abbastanza forte e spiccata. Noi non possiamo ricorrere alle aureole vaghe ed in gran parte vane che circondavano la figura del re (e del resto, onorevole Orlando, non ha ella detto che il re era già un fantoccio?). Fantoccio o no, non possiamo rievocare quello spettro: «il re è morto»; e non possiamo, nel vecchio gergo, ripetere «viva il re!».

Come ho detto in altri interventi, lo Stato parlamentare, nella fase storica che Orlando vive ancora, aveva due piloni: uno era il re, che aveva sempre della «grazia di Dio», e l’altro era il Parlamento, la «volontà del popolo»; tra i due piloni si lanciava l’arco di ponte del Gabinetto. Ora il pilone del re è definitivamente ed irremissibilmente caduto; e dobbiamo certamente sostituirlo, perché è necessario un Capo dello Stato; che deve fra l’altro reggere uno dei lati dell’arco di ponte. Ma è impossibile, ed Orlando si illude se crede che possa essere ricostituito come prima; un re nei panni del Presidente della Repubblica; il pilone risorge in altra forma, nell’edificio che si ricompone ormai anche sotto altri aspetti in forme rinnovate; e possiamo ancora chiamarlo Stato parlamentare; ma non è più precisamente il tipo storico caro all’onorevole. Orlando. È qualcosa di diverso, perché tutte le sue fondamenta sono ormai nella sovranità popolare; anche il pilone del Capo dello Stato; e si noti che la sovranità popolare non si esprime neppur più nella sola costituzione del Parlamento; ha altre emanazioni, ad esempio il referendum. Né del resto noi facciamo questione di nomenclatura e di etichetta; sarà sempre lo Stato parlamentare; ma questa è una formula che ha varie realizzazioni storiche; e noi teniamo d’altra parte a calcare che, caduto il potere del re, non vogliamo che il Parlamento diventi tutto; perché sarebbe andar incontro alla concezione estremista e rivoluzionaria che vuol fare del Parlamento il vero e solo sovrano, il quale, dopo la investitura, una volta tanto dal popolo, è l’unico padrone; e tutti gli altri organi dello Stato sarebbero suoi commessi, dal Presidente della Repubblica alla Magistratura. No; l’etichetta dello Stato parlamentare si presta proprio alla concezione ultraparlamentare, e piuttosto di Convenzione e di Assemblea, che si vorrebbe ora far strada. Noi cerchiamo di reagire all’assalto, ricorrendo più largamente alla sovranità popolare in altre sue manifestazioni, ed al sistema di equilibri e di contrappesi che non deve sparire, ma rivive in forme nuove, fra i poteri che attingono alla fonte del popolo, esso sì sovrano.

Mi perdoni l’onorevole Orlando se, senza fare teorie che sarei nei suoi confronti incapace di fare, ho esposto le idee base da cui siamo partiti. Vengo ora alle sue specifiche osservazioni. Egli si è lagnato perché abbiamo «tolto» (la parola «tolto» rivela che egli ha sempre davanti agli occhi la figura del re) la facoltà di iniziativa legislativa, che è in sostanza il decreto con cui il re autorizzava il Governo a presentare disegni di leggo alle Camere. Intervento formale, per la responsabilità non sua, ma del Governo; ad ogni modo intervento che si addice al Capo dello Stato. Ebbene; posso assicurare l’onorevole Orlando che noi abbiamo sempre pensato che eguale intervento dovesse esercitare il nostro Presidente della Repubblica.

Non l’abbiamo detto, perché lo ritenevamo implicito in tutto il sistema, pel quale gli atti più importanti del potere esecutivo si svolgono formalmente con atti del Presidente della Repubblica. Nulla vieta di aggiungere all’elenco delle attribuzioni dell’articolo 83 che il Presidente della Repubblica «autorizza con suo decreto la presentazione alle Camere dei disegni di legge del Governo». Non è necessario, ma dirlo non contrasta affatto, anzi interpreta il nostro pensiero.

Che noi volessimo attribuire al Capo dello Stato funzioni di questo genere, risulta dal fatto che, sempre nell’articolo 83, gli abbiamo attribuito la facoltà di promulgare le leggi, di emanare decreti aventi forza di legge e regolamenti. L’onorevole Orlando può notare che per questi ultimi atti abbiamo parlato di «emanare», il che egli troverà giuridicamente corretto. Abbiamo bensì riconosciuto al Capo dello Stato la facoltà di promulgare, non già di sanzionare le leggi. L’onorevole Orlando lamenta che abbiamo lasciato cadere questo fulmine della sanzione che è sempre rimasto spuntato nelle mani del re. L’istituto delle sanzione è rimasto sempre sulla carta; non fu usato mai in quasi un secolo di Regno: salvo in un caso, che lo stesso Orlando ci ha insegnato; un solo caso d’un minuscolo trattato di commercio con un minuscolo Stato; che le Camere avevano approvato; ma poi il Governo si accorse che era un errore; e pregò il re di… non sanzionare. Tutto qui. Della sanzione non se ne fece mai nulla; tanto che i giuspubblicisti parlavano di «desuetudine».

Noi non potevamo lasciare al Presidente della Repubblica un potere di sanzione, che lo avrebbe, almeno in via di principio, fatto partecipe della funzione legislativa. Ma gli abbiamo – ed è stato perfettamente possibile con la sola figura della promulgazione – conferito la facoltà di un veto sospensivo, nel senso di chiedere un riesame della legge alle Camere. È qualcosa di più sostanzioso ed effettivo della sanzione; e si addice al compito del Capo dello Stato come regolatore fra i poteri dello Stato; non occorre risuscitare, per il gusto di una affermazione in sostanza teorica, perché rimasta sempre lettera morta, la facoltà regia della sanzione.

Noi non abbiamo nessuna simpatia per certe vecchie frasi che suonano, solenni ma vuote – e nella loro portata antidemocratiche – nelle Costituzioni degli Stati parlamentari nella fase storica dei due piloni, e del re.

Veda, onorevole Orlando, vi sono tre disposizioni dello Statuto albertino che la Commissione, e credo tutta l’Assemblea, non può accogliere; tre reliquati. L’articolo 3: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere»; l’articolo 5: «Al re solo appartiene il potere esecutivo»; l’articolo 68: «La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce». È, sistematicamente, la preminenza del re nei tre poteri fondamentali. Ma sono disposizioni pompose e di fastigio; che lo stesso svolgimento dello Stato parlamentare aveva già svuotato, nella stessa età dei re.

Ho già detto della prima disposizione, a cui tengono tanto i nostalgici – anche se non della realtà – della concezione monarchica. Il re partecipe del potere legislativo; il re «terza Camera», terzo ramo del Parlamento. La frase viene dalla vecchia Inghilterra; ma ormai è superata e vuota; lo riconoscono gli stessi costituzionalisti inglesi dei nostri giorni; ormai la «terza Camera» è come la parrucca che i giudici inglesi tengono in capo nell’esecuzione delle loro funzioni. Noi non l’abbiamo conservata. In uno Stato democratico, come quello che noi pensiamo e viviamo, il Presidente della Repubblica non può far parte del potere legislativo, alla pari del Parlamento; può bensì, come Capo dello Stato, regolatore dei poteri, promulgare e chiedere con un veto il riesame; come può sciogliere le Camere; senza che si debba invocare la defunta teoria della terza Camera!

Quanto alla seconda disposizione, che fa del potere esecutivo un appannaggio del re, è un’altra impostazione eccessiva. Si sentirebbe l’onorevole Orlando di metterla nella nostra Costituzione pel Presidente della Repubblica? Lo svolgimento storico del sistema parlamentare è stato, anche nella fase dei re, nel senso di attribuire la realtà del potere esecutivo al Gabinetto. Vero è che gli atti più importanti di governo han luogo, formalmente, attraverso interventi e decreti del Capo dello Stato; e ciò noi l’abbiamo conservato, come è giusto, per lo stesso concetto e per la posizione del Capo dello Stato; ma abbiamo preferito – ed anche questo ci sembra un progresso – indicare punti concreti d’intervento, come all’articolo 83, piuttosto che rievocare la insussistente ed antidemocratica impostazione del passato.

Non nascondo che ci siamo preoccupati di distinguere il Capo dello Stato dal Governo. In certo senso, è vero, Governo in senso lato potrebbe riferirsi anche al Capo dello Stato, in quanto gli atti di governo si estrinsecano per suo mezzo. E, senza dubbio, il Presidente della Repubblica ha soprattutto rapporto col potere esecutivo; ma non ne è il detentore come nello Statuto albertino, né il capo. Per noi il Capo dello Stato non è capo del Governo; resti ben fermo che non abbiamo accettato la forma di repubblica presidenziale, di tipo americano, in cui il Capo dello Stato è anche Capo del Governo. È un regime che ha fatto magnifica prova al Nord, pessima al Sud d’America; e non si è mai trapiantato in Europa, dove si è invece realizzato per forze storiche, nel solco dell’esempio e della «scoperta» inglese, il tipo di Governo parlamentare o di Gabinetto, che nessuno scrittore, neppure

straniero, ha studiato più genialmente dell’onorevole Orlando. Noi a questo tipo europeo vogliamo esser fedeli; – beninteso con gli ulteriori sviluppi cui ho accennato – il Capo dello Stato non è capo del Governo, anche se, nella sua qualità di supremo regolatore, ha esplicazioni di rapporti più continuativi con l’esercizio delle facoltà di governo; rapporti che – in ciò è l’inverso del sistema americano – avvengono con la irresponsabilità del Capo dello Stato e con la responsabilità dei membri del Governo, per gli atti che il Presidente della Repubblica compie come Capo dello Stato. Teniamo fermo questo caposaldo, perché ci sembra necessario; né vogliamo avventurarci in forme completamente nuove e distaccate dalle preesistenti; sentiamo di dover andare più in là; ma senza salti nel buio; dove sono i salti nel buio, onorevole Orlando? È stato lei, non lo dimentichiamo mai, che ha pronunciato qui nell’Aula la frase bellissima; che noi viviamo in un momento, in cui il vecchio muore, ed il nuovo non è nato. Non possiamo conservare ciò che muore; manteniamo gli istituti e le forme che ci sembrano indispensabili per cercar, intanto, le vie del nuovo.

Infine, per l’ultimo degli inammissibili reliquati albertini, che fa anche del potere giudiziario un appannaggio del re, non dirò neppure poche parole; la giustizia, nello Stato democratico, non può che emanare dal popolo, ed essere esercitata in suo nome, con tutte le necessarie garanzie per l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati. Il Capo dello Stato non ha lui il potere giudiziario, anche se pur qui interviene come altissimo regolatore; e noi nel nostro progetto lo abbiamo messo, fra l’altro, alla Presidenza del Consiglio supremo della magistratura.

Mi pare di avere così chiarito il pensiero che anima il nostro progetto, e che è diverso in più punti dal pensiero dell’onorevole Orlando. Il nostro progetto non si mette per nulla sulla china, che condurrebbe allo Stato ultraparlamentare, ed in realtà totalitario, degli estremisti di sinistra. Abbiamo ascoltato qui le affermazioni su tali direttive degli onorevoli Togliatti e Nenni; che però ne han fatto una meta d’avvenire; ed intanto nella Commissione hanno, essi o i loro seguaci, accolto le linee fondamentali della Commissione. Il progetto è ben lontano dalla concezione degli onorevoli Togliatti e Nenni; ma lo è anche da quella troppo conservatrice degli onorevoli Orlando e Nitti; lo ripeto ancora una volta. Questi due altissimi parlamentari, che sono anche altissimi pensatori, pensano alla Costituzione in forme ormai superate; e vedono l’edificio ancora come se il pilone del re non fosse caduto. Non vogliono il ritorno dei Savoia e della monarchia, ma la loro è una concezione ancora monarchica, che non si addice alla democrazia repubblicana, che noi cerchiamo di fondare.

Non le dispiaccia, onorevole Orlando, se ho osato rispondere ad un maestro come lei. Io credo che soprattutto, nel cercare oggi di spingersi avanti nelle vie democratiche del costituzionalismo, si imita il suo esempio, quando in altri momenti ed in altri tempi, ella segnò passi avanti, che l’Italia vuole oggi superare. (Applausi).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare perché c’è stato un fatto personale, scientifico e giuridico, da parte dell’onorevole Ruini, il quale ha creduto dunque di rispondere alle considerazioni da me fatte qui, le quali muovevano da questa constatazione: un dissenso profondo. L’onorevole Ruini ha confermato il dissenso, sicché io non posso che dargli atto di una cosa di cui ero d’altronde convinto. Quindi, anche per questa ragione non mi soffermerò sui particolari, perché, se mi vi soffermassi, sarebbe come rifare la discussione generale e non credo che sia il momento, né che ce ne sia l’opportunità.

Ma qualche osservazione particolare potrò fare, specialmente quando l’onorevole Ruini mi considera come un minore democratico, come un democratico più attenuato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ora, lascio stare che lo spunto del mio discorso di ieri fu dato da una preoccupazione nettamente opposta.

Qui c’è la teoria dei piloni. L’amico Ruini dice che nel sistema passato c’è il pilone re e il pilone Camere.

Io avrei molte cose da dire, perché il concetto dell’istituto parlamentare è non di distinguere e di contrapporre i piloni, ma di unificarli nel Capo dello Stato. Il che è vero, e dev’essere vero per tutte le forme di Governo. In primo luogo.

In secondo luogo, anche ammettendo l’analogia col ponte e col pilone, io dico: l’antico pilone fu demolito come species re, ma ciò non significa che fu demolito come genus, cioè come Capo dello Stato. Il pilone fu abolito come re, ma non come Capo dello Stato.

E allora, se io persisto nel considerare i rapporti fra quei due organi sovrani, non mi sembra che ciò l’autorizzi a dire che sono meno democratico.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non l’ho detto mai!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Oppure, che si sopravaluti codesta vostra democrazia sotto forma di una diminuzione dei poteri del Capo dello Stato?

Io dico che non sono meno repubblicano in confronto a voi, se voglio un Capo dello Stato repubblicano con più larga competenza e quindi maggiore autorità del Capo dello Stato monarchico! Il mio punto di vista si pone contro il vostro: posso avere ragione io come potete avere ragione voi, non ho mai aspirato all’infallibilità. Ma il vostro giudizio, come qualificazione politica della mia tendenza, non corrisponde al sentimento mio, né, obiettivamente, alla mia maniera di considerare l’argomento.

Voi, mio caro amico, avete citato alcune disposizioni dello Statuto Albertino, ma sono quelle ormai sorpassate dalla consuetudine. Esse non esistevano più!

Voi avete detto: non vogliamo la dichiarazione di principio contenuta in quello Statuto che solo al re appartiene il potere esecutivo. E apparteneva forse solo ad esso? Neanche per sogno! Io non ho censurato o riprovato per non avere riprodotta quella dichiarazione senza effettivo contenuto, ma ho detto: avete esautorato il Presidente della Repubblica per ciò che riguarda competenza ed attribuzioni nell’ordine del potere esecutivo. E ve ne darò subito la prova. Intanto, per ciò che riguarda l’iniziativa che io lamentavo essere stata tolta al Presidente. Voi replicate di averla attribuita al Governo ed aggiungete che non sarebbe incompatibile una tale attribuzione con quell’altra: di potere aggiungere persino in sede di coordinamento (tanto vi pare ovvia la conseguenza!) che la presentazione del disegno di legge proceda per mezzo di un decreto del Presidente della Repubblica.

Va bene, ma con ciò voi avete dato al Presidente della Repubblica la qualità di Capo del Governo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. No? Vedete dove spunta subito la difficoltà, onde io dicevo oggi che parliamo due lingue diverse! Ed è difficoltà di sostanza, ma non perché noi muoviamo da punti di vista diversi si può essere autorizzati a trovare me in contradizione. Io sono coerente ai miei principî, quando trovo che è questo uno dei difetti maggiori del vostro sistema, di cui si dovrebbe riparlare in sede di articolo 86, perché non si capisce come questo Governo si colleghi col Presidente della Repubblica, se ne dipenda o sia autonomo. Voi mi dite che l’iniziativa da voi attribuita al Governo può essere esercitata con decreto del Presidente, ma poi negate che il Presidente sia Capo del Governo.

Vi è sfuggito or ora quello che io vorrei considerare come un lapsus linguae, e non credo che ci persisterete, dicendo in via di contrapposizione che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri è il Capo del Governo. Ma Capo del Governo si qualificava Mussolini! E l’espressione Capo del Governo la inventò Mussolini!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vogliamo la Repubblica presidenziale.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma la Repubblica presidenziale è tutt’altra cosa! Certo è, comunque, che voi avete dato al Presidente del Consiglio una qualità di Capo di Governo che era stata fatta propria precisamente dal dittatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma in Inghilterra è la stessa cosa.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma non vedete come tutte queste proposizioni non legano fra di loro? Avete rotto proprio quell’unità, fra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, che è la caratteristica di quella forma parlamentare, creata proprio in Inghilterra. Insomma bisogna che si sappia quali siano i rapporti fra i Ministri e il Capo dello Stato. Il vostro progetto non lo dice: inconcepibile lacuna. La potrete correggere e farete bene; ma sinora non si dice, non si precisa il rapporto giuridico che lega il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri col Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne riparleremo.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. E vi pare lacuna di poco? Non si sa bene: i Ministri rispondono verso chi? Voi dite: rispondono verso il Parlamento, ma questo è un secondo momento. Rispondono essi verso il Capo dello Stato? E se non è così, quale sarà il nesso che lega questi due organi?

Ho parlato troppo, onorevole Presidente, e chiedo scusa. Ad ogni modo qui è una questione fondamentale in cui noi divergiamo.

Evidentemente voi non fate il sistema parlamentare. Fate un’altra cosa. È un salto nel buio, ma l’Italia ha buone gambe e nessuno più di me augura che cascherà con molta eleganza e potrà ritrovarsi felicemente in piedi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo 84:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera dei deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Quale è il sistema bicamerale riguardo allo scioglimento della Camera Alta, sia in regime repubblicano, sia in regime monarchico? Sia che il Senato sia di nomina governativa, cioè emanazione del re, sia che sia elettivo, non si scioglie mai. Questa è una regola costante, a cominciare dall’Inghilterra dove pure la Camera dei Pari ha una diversa funzione e una diversa formazione. La Camera dei Pari non si scioglie mai, resta sempre immobile, anche quando avvengono cambiamenti nella Camera dei Comuni. Nella Camera dei Comuni spesso vi sono le elezioni ad un solo mese di distanza, o a due o tre mesi. La Camera dei Lords, anche in quei trambusti, non è stata mai toccata. Ora le due sole Repubbliche a sistema bicamerale, non tenendo conto della Repubblica svizzera, dove vi è una diversa struttura, sono l’America e la Francia. Il Capo dello Stato non ha il diritto di sciogliere le Camere Alte. In America, il Senato durava sei anni e si rinnovava ogni due, in Francia durava due anni e si rinnovava per un terzo ogni due anni. Dunque la Camera Alta, dove esiste, ha una certa stabilità ed è garantita dalla stessa Costituzione, in quanto il Presidente della Repubblica non può scioglierla.

Ora io mi preoccupo di questa innovazione. Per la prima volta si costituisce un Senato che può essere sciolto ogni quindici giorni, ogni mese, ogni tre mesi. Il Senato, così, perde quella stabilità che costituisce il maggior pregio di questa istituzione.

Io non oso insistere, perché non so i partiti che decidono in queste questioni se sono già impegnati e se ne fanno questione essenziale per la dignità del Paese, ma io richiamo alla logica l’Assemblea. Che cosa volete fare? Volete rendere tutto incerto? Ed allora sancite un Senato che ha la sola differenza nei confronti della Camera, di essere meno numeroso.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Cosattini, Faralli, Vernocchi, Fedeli Aldo, hanno presentato un emendamento all’articolo 84 così formulato:

«Dopo la parola: Camere, aggiungere le seguenti: «non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo a due mutamenti di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

CARPANO MAGLIOLI. L’emendamento che ho proposto insieme ai miei colleghi e compagni, tende a trasformare l’articolo 84 con questa precisa dizione: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo ad un mutamento di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

Il nostro emendamento tende a mantenere la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le due Camere ma intendiamo che questa facoltà, che può portare a quelle pericolose conseguenze particolarmente illustrate dal nostro maestro Vittorio Emanuele Orlando e dall’onorevole Clerici, abbia delle limitazioni e queste limitazioni, perché siano efficienti, devono essere oggettive.

Sostanzialmente, quando si può e quando si deve ricorrere al provvedimento dello scioglimento delle Camere? Quando il Parlamento non può più correttamente funzionare; e non lo può più quando non può più esprimere un Governo che abbia capacità di vita durevole e quindi capacità di una direzione costante, capace di amministrare la cosa pubblica. Solo in queste eventualità si potrà fare ricorso al grave provvedimento dello scioglimento delle due Camere.

Pare evidente a noi che a questa ampiezza di poteri è necessario imporre dei limiti, che non devono essere lasciati né all’opinione del Presidente dell’Assemblea né all’opinione personale del Presidente della Repubblica, ma devono essere indicati con dei fatti.

Ora, noi, con il nostro emendamento, che presentiamo all’esame della Camera e sottoponiamo al suo accoglimento, proponiamo due limiti. Il nostro emendamento non è una novità: non fa altro che riprodurre, più o meno fedelmente, l’emendamento contenuto nella Costituzione francese all’articolo 51.

Uno dei limiti che noi indichiamo è che sia trascorso almeno un anno dalle elezioni delle Camere; è necessario un anno di esperimento, sì che si possa evitare di ricacciare il Paese nell’agitazione elettorale e nel turbamento che provoca sempre la convocazione dei comizi.

Il nostro emendamento fissa un altro limite oggettivo. Allo scioglimento delle Camere si deve pervenire quando le Camere non esprimono le direttive per un Governo che abbia una capacità di vita abbastanza tranquilla e prolungata nel tempo, un Governo durevole ed efficiente ad una azione politica ed amministrativa tale da sodisfare alle esigenze della Nazione.

E allora, noi diciamo che è necessario porre altri limiti e precisamente due: mutamenti di Governo nello spazio di sei mesi a seguito di voto di sfiducia: voto che indica come il Parlamento non funziona e il Governo non è espresso con chiarezza dal Parlamento, con conseguente paralisi dell’istituto parlamentare, paralisi della vita della Nazione.

Solo con il concorso di queste gravi condizioni oggettive, solo allora, il Presidente ha facoltà, ove lo creda e sentiti i Presidenti delle Assemblee, di sciogliere le Camere, e di convocare di nuovo i comizi elettorali per sentire direttamente la voce del popolo e per avere dal popolo l’indicazione per una amministrazione salda, efficiente e capace di dirigere la cosa pubblica.

Per queste considerazioni pensiamo che il nostro emendamento possa trovare accoglimento, perché è ispirato al concetto di consentire un Governo durevole mediante l’attribuzione della facoltà di scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica. Ma, nello stesso tempo, contempera queste due esigenze con l’altra esigenza non meno sentita, di porre dei limiti oggettivi non facilmente superabili, limiti oggettivi che valgano a impedire l’abuso di questa facoltà. Per queste considerazioni chiediamo che il nostro emendamento sia esaminato con attenzione; lo sottoponiamo alla vostra saggezza: e confidiamo possa trovare benevolo accoglimento.

Ripeto, non si tratta di una novità: all’articolo 51 della Costituzione francese vi è una disposizione analoga, che limita oggettivamente questo grave potere di scioglimento delle Camere; lo limita in forma concreta, in modo da tutelare la volontà popolare e, nello stesso tempo, cercando di assicurare l’efficienza di un Governo duraturo, per la difesa dell’Amministrazione della cosa pubblica.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Nell’emendamento testé svolto si parla delle due Camere; la durata dell’una non coincide più con quella dell’altra: il Senato ha sei anni di vita, la Camera cinque.

Un conto è parlare di un anno dall’inizio della legislatura, un conto è parlare delle elezioni generali delle due Camere.

Forse gli onorevoli proponenti non hanno riflettuto su questa circostanza. Nel progetto primitivo Camera e Senato duravano cinque anni ed erano eletti contemporaneamente.

Noi, invece, abbiamo stabilito che la Camera è eletta per cinque anni ed il Senato per sei. Il che vuol dire che se il decorso del termine inizia dalla elezione della Camera, allora abbiamo un anno, in cui non è possibile lo scioglimento. Se guardiamo all’anno, riferendoci tanto alla Camera, quanto al Senato, abbiamo due termini a quo, che si vanno inseguendo ed intersecando fra di loro in modo, a mio avviso, irrazionale.

CARPANO MAGLIOLI. Noi intendiamo: un anno dall’elezione di ciascuna Camera.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei presentare una mozione d’ordine.

Ho l’impressione che la discussione dell’articolo 84 non si possa fare, se non dopo aver discusso gli articoli 86, 87 ed 88; perché, in sostanza, il problema che noi dobbiamo esaminare è il problema dei poteri del Presidente rispetto allo scioglimento delle Camere; e il problema dello scioglimento delle Camere si pone in stretta correlazione col problema dei termini e delle condizioni della fiducia o della sfiducia al Governo.

Ed allora, a me pare che sarebbe meglio cominciare ad affrontare il problema fondamentale del Governo, e, se mai, in sede di modalità per la formazione del Governo affermare il diritto, illimitato o limitato, del Presidente di sciogliere le due Camere. Propongo, perciò, di rinviare la decisione sull’articolo 84 a dopo che avremo esaurito la materia oggetto degli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In realtà, il nesso non è così stretto, come potrebbe apparire. Ma io trovo che l’Assemblea, in questo momento, sopra una questione così importante, come è quella dello scioglimento delle Camere, non ha ancora idee molto precise. Giunge quindi opportuna, e noi l’accogliamo per ragioni pratiche, più ancora che logiche, la proposta dell’onorevole Corbino. Si potrebbe, subito dopo l’articolo 83, esaminare e decidere sull’articolo 71, che riguarda la promulgazione, e fu rimandato, ma ora l’abbiamo affrontato, a proposito dell’emendamento Caronia, che coincide con un articolo aggiuntivo dell’onorevole Bozzi; pel cosiddetto veto sospensivo. Esaurito il tema dell’articolo 71, potremo passare agli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Corbino propone di sospendere l’esame dell’articolo 84 sino a che l’Assemblea non abbia preso le sue decisioni in ordine agli articoli 86, 87 ed 88 del Titolo III, relativi al Governo. L’onorevole Ruini, a nome della Commissione, ha dichiarato di ritenere che si possa accedere a questa proposta. Io desidero sentire se vi sono dei colleghi i quali abbiano delle obiezioni da sollevare.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi pare che la proposta dell’onorevole Corbino tenda a rimettere la discussione dell’articolo 84 a dopo la discussione degli articoli 86 e seguenti, per motivi di tecnica legislativa, mentre secondo le dichiarazioni del Presidente della Commissione si dovrebbe aderire alla proposta dell’onorevole Corbino per ragioni di opportunità e non per ragioni di tecnica legislativa. Cosa se ne deve dedurre? Che sospendiamo l’esame, secondo la proposta dell’onorevole Corbino o che rimandiamo a tempo indeterminato la discussione sull’articolo 84?

PRESIDENTE. Ho detto ben chiaramente, onorevole Costantini, che sospenderemmo in attesa di aver risolto i primi tre articoli del terzo Titolo. Che poi si accetti questo rinvio per una ragione o per un’altra non ha importanza. Importante è che si sia concordi nel sospendere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le ragioni del rinvio possono essere diverse, ma importante è che non si perda tempo e che intanto si proceda all’esame degli altri articoli.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, la proposta dell’onorevole Corbino si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 71, il cui esame era stato rinviato.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

PRESIDENTE. A questo articolo, l’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, in una delle passate sedute io sostenni la necessità che il Presidente della Repubblica non fosse tenuto estraneo dal processo formativo della legge e credetti di dover sostenere che al Presidente della Repubblica dovesse essere attribuita la potestà di sanzione, cioè una forma di partecipazione diretta al processo, di creazione di quell’atto complesso che è la legge. Questa proposta non è stata approvata.

Si può ripiegare su un’altra posizione.

Io ritengo indispensabile, anche per le ragioni dette magistralmente dall’onorevole Orlando, che debba essere attribuito al Capo dello Stato il potere che risulta dall’emendamento aggiuntivo da me proposto. È questo un potere di veto direi, un potere in qualche modo sospensivo; ma non è un veto nel senso rigoroso della parola, perché il Capo dello Stato non impedisce già che la legge abbia definitivamente vigore, ma esprime un suo apprezzamento attraverso un messaggio motivato e richiama, su queste sue ragioni, l’attenzione delle due Camere perché rimeditino sul problema. È un invito a riflettere ancora, che credo non si possa negare.

Il sistema proposto è questo: il Capo dello Stato promulga le leggi, entro un certo termine (si dice 30 giorni, ma il termine potrebbe essere anche ridotto); entro questo termine può rimettere la legge votata dalle Camere alle Camere stesse perché rimeditino. In quali casi ciò può avvenire? Può avvenire per ragioni di legittimità, per non perfetta formazione della legge, e può avvenire anche per ragioni di merito. Noi abbiamo votato che il Presidente della Repubblica deve essere supremo garante e custode della Costituzione. Ora, può anche darsi che una legge votata dal Parlamento, non interpreti esattamente, sia in contrasto con una norma della Costituzione. E noi vogliamo negare a colui che abbiamo definito il garante e custode della Costituzione, di dire al Parlamento: «Badate, che questa legge, secondo il mio punto di vista, non è in armonia, ma è in contrasto aperto con la norma costituzionale?».

Ma c’è anche un’altra ipotesi che possiamo raffigurarci. Noi non l’abbiamo ancora votato, ma mi sembra che sia nell’ordine di idee della maggioranza di dare al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere o una o tutte e due le Camere. Che significa questo? Significa che il Capo dello Stato, al vertice di tutti i poteri, deve avere la sensibilità di sentire il Paese e di avvertire quando il Paese è per avventura in contrasto con la sua rappresentanza parlamentare. Ora, un fatto di questo genere si può verificare anche nei confronti di una legge. Può darsi che una legge, pur votata dal Parlamento, in un determinato momento non sia l’espressione genuina della corrente popolare, e pertanto non trovi il consenso popolare. Si determina allora nel Paese un attrito. Ebbene, il Capo dello Stato che dev’essere un po’ il termometro di questa situazione, può richiamare l’attenzione delle Camere perché rimeditino sulla legge votata.

Io credo che quest’invito a riflettere ancora non possa essere negato, se non vogliamo esautorare completamente il Capo dello Stato.

Detto questo, che è la ratio della disposizione, da me proposta, io credo che i termini di essa non possono essere discussi. In essa si dice che nel termine nel quale il Capo dello Stato deve fare la promulgazione, egli può, con messaggio motivato, cioè dando la giustificazione del suo punto di vista, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Che cosa faranno le Camere? Se le Camere riconfermano la precedente deliberazione, il Capo dello Stato è obbligato a promulgare la legge.

Un principio di questo genere credo sia stato già approvato con l’emendamento dell’onorevole Caronia, ma io trovo che questo emendamento va integrato in tutti i suoi aspetti, e va messo in relazione con la promulgazione cui si collega. Io invito la Camera a riflettere su questa mia proposta, che è di fondamentale importanza, perché altrimenti noi escludiamo completamente il Capo dello Stato dal potere legislativo.

Il Capo dello Stato diventa colui che promulga, colui che attesta se le Camere hanno regolarmente votato, e dà esecutorietà a questa legge: atto importante, ma sempre sul piano esecutivo, senza nessuna possibilità di intervento nella determinazione se l’atto fondamentale, che è la legge, debba o no entrare in vigore subito o abbia bisogno di un ulteriore, più approfondito esame. Io invito l’Assemblea ad approvare questo conferimento di potere al Capo dello Stato, potere che egli eserciterà naturalmente, sempre sotto la responsabilità governativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Io ho già avuto occasione di manifestare ieri l’opinione della Commissione relativamente ad un emendamento analogo presentato dall’onorevole Caronia. La Commissione ritiene opportuno, anzi necessario, ammettere una qualche partecipazione del Capo dello Stato, sia pure nella forma più attenuata, all’esercizio del potere legislativo. L’emendamento presentato testé dall’onorevole Bozzi riprende e integra nei suoi complementi necessarî, la proposta dell’onorevole Caronia. Pertanto la Commissione è favorevole all’accoglimento dell’emendamento dell’onorevole Bozzi.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io non so se si voglia, attraverso l’emendamento Bozzi, dare valore, come in una certa parte dello svolgimento che egli ha fatto sembrerebbe, alle funzioni del Presidente della Repubblica. Se è questo, se non si tratta cioè che di una questione di prestigio, possiamo anche aderire; ma, se all’infuori della questione di prestigio, si volesse ammettere questo diritto di veto per proporre un riesame della materia legislativa già deciso dalle Camere, allora permettetemi di sollevare dei dubbi. E i dubbi sorgono spontanei in tutti coloro che fermino la propria attenzione sul modo con cui le leggi vengono discusse ed elaborate in regime bicamerale, cioè attraverso il doppio esame della Camera dei deputati e del Senato.

Onorevoli colleghi, i progetti vengono presentati: sono 550 deputati che discutono, esaminano, deliberano un determinato provvedimento legislativo. Il provvedimento passerà quindi al Senato, composto di circa 300 senatori, il quale procederà ad un riesame della materia e ad una nuova e separata decisione. Che dopo una così lunga procedura si senta il bisogno, su invito del Capo dello Stato, di far ripetere questo esame da parte dei due organi legislativi, mi sembra un assurdo. Ed allora, io dico: se vogliamo per questa strada dare valore alle funzioni del Capo dello Stato, ognuno può pensarla come crede, e qualcuno potrà dire sì e qualche altro no. Ma se vogliamo effettivamente e seriamente discutere sulla reale opportunità di fare riesaminare le leggi dopo tutte queste deliberazioni, cui ho fatto semplicemente cenno, allora mi permetto di esprimere una opinione in netto dissenso con quella dell’onorevole Bozzi e con quella del rappresentante della Commissione dei settantacinque che vi ha aderito.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, vorrei chiedere soltanto una spiegazione all’onorevole Bozzi: se l’atto presidenziale, col quale la legge viene rinviata a nuovo esame debba o non debba essere munito della controfirma del Primo Ministro.

PERASSI. Necessariamente tutti gli atti del Presidente della Repubblica debbono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio.

BENVENUTI. Allora, mi consenta l’onorevole Bozzi di fargli osservare che la sua esposizione non è stata esatta. Egli ha affermato erroneamente che il suo emendamento rimedierebbe al caso di una legge presentata al Presidente e che non trovasse il consenso popolare. Problema fondamentale e da tutti sentito, ma l’emendamento Bozzi non vi rimedia – esso rimedia ad un conflitto tra il Governo e le Camere, tra il Governo e la legge, ma non rimedia all’altro conflitto tra la legge e il corpo elettorale. Quest’ultimo conflitto resta insoluto: in quanto la richiesta di rinvio alle Camere non potrebbe evidentemente venir controfirmata proprio da quel Governo che propone al Presidente la promulgazione della legge. Viene così risolto un solo aspetto del conflitto.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io sono d’accordo con l’onorevole Bozzi, per due ragioni. La prima è che, se si è disposti a concedere al Capo dello Stato il potere maggiore, quello dello scioglimento delle Camere, a maggior ragione gli si deve concedere la possibilità di rinviare una legge per un riesame.

Questo riesame potrebbe essere giustificato in molti casi; ad esempio, quando la legge sia stata approvata con una piccola maggioranza, sicché venga il dubbio che la legge non sarebbe passata se il numero dei deputati o senatori presenti fosse stato maggiore.

Che male c’è, in un caso simile, che il Capo dello Stato rinvii la legge alle Camere dicendo: riesaminatela? Mi pare che non vi possa essere nessuna ragione in contrario.

PRIOLO. Con quale criterio si dovrà riesaminare?

NOBILE. Si potrà riesaminare sulla base del messaggio motivato.

Si deve, poi, anche considerare che una tale procedura potrebbe talvolta servire ad evitare lo scioglimento delle Camere.

Per queste ragioni, sono favorevole all’emendamento Bozzi.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli aveva presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le prime quattro parole con le seguenti: Le leggi sono sanzionate e promulgate…».

Questo emendamento è ormai stato superato dalla deliberazione di ieri, relativa alla promulgazione delle leggi (articolo 83).

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato anche il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, reputo opportuno richiamare l’attenzione dell’Assemblea sopra due atti molto importanti della formazione delle leggi, cioè la promulgazione e la pubblicazione. È stata mossa l’accusa che si sia tentato surrettiziamente, secondo l’elegante espressione del Presidente della Commissione dei Settantacinque, di introdurre qui il principio della irretroattività della legge in genere. In verità onorevoli colleghi, io non so se possa effettivamente parlarsi di un artificio e di un subdolo tentativo. In realtà, trattandosi della formazione delle leggi, dovendosi accennare in particolare al momento in cui una legge entra in vigore, si è evidentemente affrontato il problema dell’efficacia della legge in generale e dell’efficacia della legge nel tempo, in particolare.

Ora, trattandosi dell’efficacia della legge nel tempo, ritengo non sia inutile prendere in esame questo problema della retroattività della legge in genere, problema che noi abbiamo esaminato soltanto a proposito della legge penale.

Quando si iniziano gli studi giuridici, uno dei primi principî che si incontrano è precisamente quello della irretroattività della legge. Purtroppo in un recente passato, il principio è stato ripetutamente violato, e tanto più noi dobbiamo ora stare in guardia perché esso sia difeso.

Con l’emendamento proposto, sostengo, quindi, innanzitutto, che le leggi non debbano avere efficacia retroattiva. Ma vi sono altri due punti cui accenno e che mi preme di mettere in rilievo. Per quello che riguarda la pubblicazione, non v’è nulla di particolare da aggiungere a quello che è il testo proposto dalla Commissione; ma, per quello che riguarda invece la promulgazione, ho già accennato ieri sera che si tratta di un atto della più grande importanza, in quanto attiene a quello che è il problema della conoscibilità della legge con assoluta certezza.

Noi abbiamo visto, infatti, onorevoli colleghi, come alle volte un’«e» invece di un «o» possa mutare profondamente il senso e lo spirito di una disposizione normativa. Ma quella che propongo alla vostra attenzione è una questione di non poco rilievo, ed è precisamente la questione che riguarda i testi unici. Infatti noi sappiamo che fra gli scopi della civiltà, oltre quello di fare delle giuste leggi, è anche quello di far conoscere queste giuste leggi. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’importanza del problema e soprattutto sul significato di progresso che ha nella storia.

Ricordiamo, infatti, che un tempo la conoscenza delle leggi era considerata patrimonio esclusivo del patriziato; basterebbe rammentare, a questo proposito, le leggi decemvirali. La conoscenza delle leggi è stata, quindi, per lungo corso di tempo patrimonio esclusivo della parte più conservatrice dei popoli. E, a proposito della necessità di divulgare le leggi e della importanza che assume questo problema, mi permetto di ricordare un precedente che può servire a rallegrare l’Assemblea. Sappiamo dalla storia cinese (Commenti) che, nel sesto secolo avanti Cristo, Sciutrian, consigliere di Stato del principe di Zin, rimproverava con una lettera, conservata tuttora, Ze-cian, allora principe di Cen, perché aveva fatto pubblicare le leggi penali su vasi di ferro, invece di tenerle nascoste (vedi Andreozzi, Le leggi penali degli antichi cinesi, Firenze, 1878, pag. 34).

Il consigliere cinese affermava che era molto migliore il tempo in cui la gente rispettava la legge senza conoscerla e senza conoscere il limite fino al quale poteva spingersi senza commettere un reato.

Mi son permesso di richiamare questo precedente storico, perché, se non si verifica più tale fenomeno, ve ne sono, però, altri non molto dissimili, come quello di opporsi alla lotta contro l’analfabetismo, perché la diffusione della cultura avrebbe propagato il malcostume. Non mancano i fenomeni odierni che possono in un certo senso assimilarsi alla preoccupazione di non far conoscere le leggi.

In materia di conoscenza della legge vi può essere un oscurantismo volontario, come quello del patriziato romano, che voleva impedire alla plebe di conoscere le leggi, tanto che sorse il tribuno Tarentilio Arsa, il romagnolo dell’epoca, probabilmente, il quale al grido «la conoscenza delle leggi o il caos» ottenne la codificazione decemvirale.

Oltre quello volontario vi è però, anche un oscurantismo involontario, ma, oggi, non meno colpevole. Attraverso una legislazione a getto continuo che non sia poi successivamente coordinata, si può arrivare ad una confusione tale che gli stessi studiosi ed esperti della materia non sono in grado di conoscere quale sia la norma vigente in un determinato campo.

Per rimediare a questo inconveniente si è sentita quella tale esigenza che spinse Giustiniano a trarre dalle leggi il troppo e il vano, in maniera che fossero conosciute. (Commenti).

Per conoscere le leggi non basta emanarle e promulgarle, ma bisogna anche ad un certo momento riunirle, coordinarle. Tale coordinazione è normalmente avvenuta attraverso i testi unici. Ma se i testi unici potevano risolvere il problema in parte, non lo risolvevano in tutto, in quanto che non si sapeva con esattezza quale valore dovesse attribuirsi ad essi. In altri termini, se si trova una norma in un testo unico, si può ritenere che essa sia effettivamente vigente, o bisogna andare a vedere il testo legislativo in cui è stata per la prima volta emanata?

La questione è stata molto discussa. Si andava a vedere in che termini era stata redatta la delega da parte del potere legislativo, quando vi era stata, e, secondo i casi, si concludeva per il valore autentico del testo unico o meno. In altri termini, siccome non vi erano disposizioni specifiche al riguardo, il prendere in mano un testo unico era comodo, sì, ma lasciava sussistere l’incertezza che si fosse andati oltre i limiti della delega e che la norma riportata non fosse esattamente quella un tempo emanata. Di qui la conseguenza che, basandosi sul testo unico, si poteva essere tratti in errore.

Per eliminare questi inconvenienti, siccome ritengo che il testo unico sia rivolto in genere a fornire un nuovo documento per la conoscenza della legge, a mutarne la sola fonte di cognizione, cioè il solo documento, la sola parte materiale, sarebbe opportuno che nella Costituzione si accennasse al problema, e risultasse come il testo unico debba considerarsi quasi come una nuova promulgazione. Qual è il valore da attribuire a questa nuova promulgazione? Qual è il valore, del testo originariamente emanato rispetto al nuovo testo unico? Il problema non si presenta per la prima volta nel campo dell’emanazione delle leggi…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di tener conto del tempo.

CODACCI PISANELLI. Finisco subito. Quando una materia sia disciplinata completamente da una legge nuova, la legge precedente si ritiene abrogata; è una forma di abrogazione questa di disciplinare nuovamente e completamente una determinata materia. Così, seguendo lo stesso principio, si potrebbe attribuire questa efficacia abrogativa, estintiva o, se si preferisce, novativa, alla nuova promulgazione d’una norma giuridica.

Ecco perché propongo che si accenni ai testi unici, che si riconosca ad essi il valore di una nuova promulgazione, che si riconosca ad essi il valore di novare la fonte di cognizione, per esprimersi in termini tecnici. Ma attraverso questi aridi termini tecnici, mi propongo soprattutto di contribuire a quel progresso cui tutti aspiriamo, che deve realizzarsi oltre che negli altri campi, anche in quello della conoscenza delle leggi, perché, se è importante l’osservanza delle leggi e il fare delle leggi giuste, è altrettanto importante che le leggi siano da tutti conoscibili.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Caronia e Aldisio:

«Al primo comma, aggiungere le parole seguenti: salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere per un nuovo esame o per il referendum».

Non essendo l’onorevole Caronia e l’onorevole Aldisio presenti, s’intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: abbiano come sopra dichiarato l’urgenza, sostituire le seguenti altre: stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. L’articolo 71 dispone che le leggi entrino in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione.

Ora, può ben darsi che, per ragioni varie, sia necessario che la legge entri in vigore in un termine diverso.

È perciò che io ho proposto di sostituire alle parole del progetto le seguenti altre: «salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Il progetto dispone: «salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

La dizione da me proposta sembrino da preferire, perché più ampia. Essa abbraccia indubbiamente un numero di casi maggiore di quello che abbracci il testo del progetto. Probabilmente la dizione dell’articolo 71 che leggiamo nel testo del progetto deriva dal fatto che l’articolo 71 dovette essere posto in relazione col primo comma del successivo articolo 72; ma, poiché questo primo comma è stato falcidiato dall’Assemblea Costituente, penso che il mio emendamento, non essendo più in relazione con la prima parte dell’articolo 72, possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, sostituire le parole: ventesimo giorno, con le altre: quindicesimo giorno».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. All’ultimo comma dell’articolo 71 si dice: «Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

Può parere strano che si sia parlato del ventesimo giorno, mentre nella nostra prassi legislativa la vacatio legis è di quindici giorni. Perché si è parlato di venti giorni? Perché questo termine aveva una ragion d’essere in quanto collegato col successivo articolo 72, che prevedeva nel suo primo comma il referendum cosiddetto sospensivo o fermativo della legge, precisandone alcune modalità di procedura.

Ora, l’Assemblea ricorda che l’articolo 72 è stato – dopo lunga discussione – dimezzato, nel senso che è rimasto di esso solo l’ultima parte, che prevede soltanto il referendum abrogativo.

In queste condizioni non c’è più ragione di dire «ventesimo giorno». Si può tornare al termine tradizionale.

Perciò propongo che nell’ultimo comma dell’articolo 71 si sostituisca la parola «ventesimo» con la parola «quindicesimo», cioè: «Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno, ecc.».

Aderisco poi, personalmente, a quanto ha proposto l’onorevole Colitto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto di parlare per una breve osservazione sull’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli. Egli sostiene la necessità che le norme giuridiche relative ad una determinata materia siano raccolte e coordinate in unico testo, in base a decreto del Capo dello Stato. Su questo concetto sono pienamente d’accordo.

Non sono però per nulla d’accordo su quanto ha affermato l’onorevole Codacci Pisanelli illustrando l’emendamento, poiché egli ha detto che la norma giuridica disciplinata e regolata in unico testo disposto dal Capo dello Stato costituisca una nuova promulgazione della legge. Non solo egli ha detto ciò, ma lo ha confermato col dire che si verificherebbe una specie di novazione; vale a dire noi finiremmo col far sì che il Capo dello Stato possa modificare la legge. Su questo non possiamo consentire, cioè permettere che si attribuisca al Capo dello Stato per una via indiretta ciò che per la via diretta gli viene negato. La norma giuridica dovrà essere raccolta e coordinata in unico testo che serva a precisarne la dizione, che serva a fissarne la formulazione definitiva, senza però che minimamente il contenuto e lo spirito della legge possano essere alterati. Quindi io intendo approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, perché vi sia una materiale raccolta, in unico testo coordinato, delle norme giuridiche, le quali però devono avere la significazione e la portata loro attribuita dalle Camere legislative.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lei ha svolto il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Vorrei chiarire solo un malinteso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

CODACCI PISANELLI. Sono perfettamente d’accordo con l’oratore che mi ha preceduto. È appunto perché intendo che non possa essere modificata la norma, che ho parlato di testi unici con valore di nuova promulgazione.

MASTINO PIETRO. E di novazione.

CODACCI PISANELLI. È sempre promulgazione. Ora, la promulgazione non potrebbe modificare il testo deliberato dall’Assemblea legislativa. Quando parlo di nuova promulgazione, mi riferisco semplicemente alla parte documento, non alla parte contenuto della norma. Del resto, se non adotteremo la formula proposta, il testo unico presenterà l’inconveniente precedente. Cioè potrà darsi che non riproduca esattamente il testo originario e a rigore non giovi a nulla, perché occorrerà sempre andare a vedere il testo originario. Solo questo volevo dire. Sono perfettamente d’accordo con il mio interlocutore, ma intendevo fare in maniera che il testo unico servisse ad assicurare la certezza della norma.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso sopra gli altri emendamenti.

TOSATO. La Commissione accoglie l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto e l’emendamento presentato or ora dall’onorevole Perassi.

Per quanto riguarda il più ampio emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, questo emendamento solleva due questioni di ordine diverso: una questione molto grave e di indole generale relativa al problema della irretroattività della legge; l’altro problema relativo ai testi unici.

Per quanto riguarda la irretroattività della legge, vorrei ricordare che l’Assemblea ha già votato un articolo che sancisce la irretroattività della legge in materia penale. Nelle altre materie, pur essendo d’accordo, di massima, sul principio generale e fondamentale della irretroattività della legge, la Commissione, dopo di avere esaminato in tutti i suoi aspetti la questione, non ritiene opportuno inserire nella Costituzione una specifica norma che stabilisca, senza eccezioni, la non retroattività della legge. Tale norma rigida potrebbe dar luogo ad inconvenienti. Si pensi, ad esempio, alle gravi difficoltà che sorgerebbero in materia di modificazioni in aumento degli stipendi, cui si ritenga di dare efficacia retroattiva.

Per quanto riguarda l’altro problema relativo ai testi unici, io ritengo che la Costituzione debba essere molto sobria e che la Costituzione debba occuparsi soltanto di ciò che è veramente essenziale. Ora, relativamente al problema dei testi unici le questioni sono due: o si tratta puramente e semplicemente di accogliere in un unico testo, senza introdurvi modificazioni, le disposizioni legislative contenute in leggi diverse, ed allora questa è cosa che può fare il Governo, come può fare qualsiasi privato; o si tratta, invece, ed è questo soltanto il problema pratico, di coordinare varie disposizioni legislative contenute in leggi diverse, allo scopo di coordinarle non solo dal lato formale, ma anche sostanziale, apportandovi le necessarie modificazioni, e allora, evidentemente, occorre una delegazione legislativa già prevista e disciplinata dalla nostra legislazione. Per questa ragione la Commissione non è favorevole all’accoglimento dell’emendamento Codacci Pisanelli.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Avevo chiesto di parlare sul punto relativo al messaggio presidenziale sospensivo della legge. Posso parlarne ora?

PRESIDENTE. Sì, nell’emendamento Bozzi si parla appunto del messaggio.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Prendo argomento da questo punto su cui ora l’Assemblea è chiamata a pronunciarsi, per mettere in rilievo la gravità delle deliberazioni che si stanno per prendere. Qui si tratta di sapere se il Presidente, il Capo dello Stato, in questo momento solenne della vita della Nazione, quale è la proclamazione del diritto, debba essere del tutto estromesso. Come dissi oggi stesso, io penso che sia una curiosa maniera di affermare devozione verso la Repubblica quella di volere il Capo dello Stato di questa Repubblica quanto meno autorevole sia possibile.

Badate, voi aprite la via ad una quantità di conflitti pericolosissimi, perché non è possibile che un Capo dello Stato, a meno che non sia un fannullone, un fainéant, possa adattarsi ad essere e restare estraneo al compimento dell’atto, in cui la volontà dello Stato si manifesta nella forma più solenne. L’onorevole Ruini mi ha detto, che la sanzione non fu mai applicata, e che si tratta di un elemento affatto decorativo.

Si può intanto rispondere che qualche volta anche gli elementi decorativi hanno la loro importanza e la storia insegna come all’autorità si addica un carattere augusto. Ma, anche dal lato sostanziale, sa il collega Ruini la ragione per cui la sanzione era caduta in disuso? Non perché il Capo dello Stato si estraniasse da questo potere, ma perché sussisteva un istituto che qui vedo abolito, se non m’inganno, perché io non mi raccapezzo più in queste disposizioni che sono state sospese, riprese, accantonate, emendate… Comunque, non m’inganno nel ritenere che non ci sia più traccia di sessioni, come periodi del lavoro parlamentare e legislativo. Or si capisce come gli uomini politici nella vita normale dello Stato, prima subalpino e poi parlamentare, non fossero mai ricorsi al rifiuto della sanzione, perché attraverso la proroga della sessione raggiungevano il medesimo fine, con mezzi assai più semplici. Il rifiuto della sanzione infatti poneva un contrasto aspro, aperto, violento fra Capo dello Stato e Parlamento, il che era prudente evitare, in tanto più in quanto non era necessario. Bastava ricorrere appunto alla proroga della sessione, ed allora, secondo la disposizione dello Statuto, una delle conseguenze era che tutti i disegni di legge cadevano…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiudevano la sessione, non la prorogavano.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Appunto, ma la espressione proroga è della Costituzione inglese. Vi sto dicendo che non si ricorreva alla sanzione, perché c’era il mezzo più semplice di chiudere le sessioni. Ma voi togliete al Capo dello Stato la facoltà della proroga delle sessioni, e gli togliete pure la sanzione.

Si può bene supporre che una data legge apparisca al Capo dello Stato come rovinosa di interessi vitali dello Stato. Sapete che mezzo gli resterà? Guardate in quali fossi (stavo per dire abissi, ma è meglio non drammatizzar troppo ed uso la parola «fossi») insabbiamo questo nostro disordinato ordinamento: un Capo dello Stato lo chiamate responsabile – questo poi è un altro punto – e lo inviate all’Alta Corte per alto tradimento, e sta bene, ma anche per violazione della Costituzione.

La violazione della Costituzione è una espressione molto elastica. Si potrà sempre affermare che con una data legge la Costituzione fu violata. Chissà quante volte lo si dirà.

L’interpretazione di un testo può sempre dar luogo a dubbi! Ora, voi dichiarate niente meno che il Capo dello Stato può essere tradotto in Alta Corte per violazione della Costituzione e poi gli affidate la promulgazione di una legge che può essere la violazione della Costituzione. Egli verrebbe così ad essere per lo meno lo strumento di un eventuale delitto gravissimo. È allora umanamente spiegabile che egli ricorra ad ogni mezzo per impedirlo. Prima bastava una semplice chiusura di sessione, ora dovrà servirsi dello scioglimento della Camera: rimedio incomparabilmente più grave e più pericoloso.

Io voterò l’emendamento dell’onorevole Bozzi, che considero come un male minore. Ma badate bene, onorevole Ruini! Quando voi dicevate: «i piloni!». Che Repubblica facciamo noi? A meno che non si voglia fare come l’abate Siéyès.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ripugna a voi stesso passare alcune notti a scrivere delle Costituzioni su svariati modelli e poi metterle in pubblico come vestiti confezionati dalla «Rinascente». Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione, con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atti di una volontà capace, libera. Non c’è bisogno di ricorrere ai cinesi antichissimi ricordati dall’onorevole Codacci Pisanelli. Tutta la storia delle Costituzioni dimostra che sono i popoli nella loro storicità che le formano e il costume che le consacra.

Quante forme di repubbliche abbiamo? Due: la parlamentare e la presidenziale. Non si deve pretendere di creare una terza specie, che non si sa bene che sia. In questo momento io non faccio una digressione. Io voterò l’emendamento Bozzi, ma questo emendamento suppone la Repubblica presidenziale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

PERASSI. In Francia c’è.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. L’istituto è proprio della Repubblica presidenziale; nella forma parlamentare il Capo dello Stato è sempre presente nelle persone dei Ministri. Allora noi facciamo una repubblica presidenziale? No, perché i Ministri rispondono al Parlamento e non al Presidente. Dunque, sarebbe una repubblica parlamentare? Ma se è una repubblica parlamentare, come si collega il voto del mio amico Bozzi con questo Consiglio di Ministri, con questo Presidente di Consiglio, che ha visto nascere e crescere quella legge di cui poi il Capo dello Stato potrà dire: «Non mi piace»? Vedete che conflitto può nascere?

In fatto di istituzioni bisogna adottare istituzioni consacrate dall’uso. Queste si possono modificare con successivi adattamenti, perché allora diventa questo un modo di progresso ed anche di trasformazioni imposte dalla vita concreta. Ma l’aver fatto una repubblica che non si sa bene se sia parlamentare (perché in molti casi è ultraparlamentare) o presidenziale, è veramente quel salto nel buio cui ho alluso dianzi o per cui c’è da augurarsi che non ne derivino fratture o contusioni gravi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi. Egli, in sostanza, cerca di far entrare per vie traverse nella Costituzione, una specie di sanzione attenuata. Ma non è questo che conta.

Il fatto è che a noi sembra che l’emendamento Bozzi in regimo di Repubblica parlamentare sia controproducente. Infatti, poniamo che il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato, domandi alle Camere una nuova deliberazione. Poniamo che le Camere confermino la deliberazione già presa. Ebbene, dopo questa conferma, indubbiamente, la figura del Presidente della Repubblica viene ad essere sminuita.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Due semplici rilievi, specialmente per quanto riguarda l’intervento dell’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

Evidentemente, Presidente Orlando, qui vi sono due diverse concezioni del Governo parlamentare e della figura del Capo dello Stato.

Vorrei ricordare che l’articolo 88, nel testo proposto dalla Commissione, dice che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. A quale preoccupazione risponde questo comma? Evidentemente a quella di rendere più stabile possibile il Governo e di non costringerlo alle dimissioni, se una qualsiasi sua proposta non è accolta dalle Camere.

Ora, un caso di proposta governativa non accolta dalle Camere può essere questo: un disegno di legge presentato alle Camere da parte del Governo non è accolto oppure è approvato dalle Camere con profondi emendamenti, che investono da vicino la politica generale del Governo. In questo caso, evidentemente, il potere del Governo, cioè del Presidente insieme col suo Governo, di rinviare alle Camere per un nuovo esame una legge da esse già deliberata, può servire ad evitare certe possibilità, quali le dimissioni del Governo o lo scioglimento delle Camere.

Per quanto riguarda l’altro rilievo fatto dal Presidente Orlando e anche dall’onorevole Preti, cioè l’avere stabilito nel progetto che il Presidente della Repubblica è responsabile non soltanto per alto tradimento, ma anche per violazione della Costituzione, siamo perfettamente d’accordo. Qual è la situazione del Presidente? Egli deve promulgare le leggi e quindi non può essere responsabile di un atto evidentemente obbligatorio. Tuttavia, se teniamo presente la posizione e la funzione, che abbiamo voluto attribuire al Presidente della Repubblica, di organo che non concorre a determinare positivamente e sostanzialmente le decisioni politiche del Governo, e d’altra parte non è nemmeno un organo puramente decorativo, con funzione simbolica, se teniamo presente che, secondo questa nostra Costituzione, il Presidente ha compito fondamentale, sebbene non esclusivo – è prevista infatti la Corte Costituzionale – di salvaguardare e di tutelare l’osservanza della Costituzione nello svolgimento dell’attività degli organi costituzionali, sembra sommamente opportuno che, proprio per questa sua altissima funzione, il Presidente, prima di pubblicare una legge, possa avere il potere di rinviarla alle Camere stesse, per un riesame.

Per queste ragioni, insistiamo sull’emendamento Bozzi, senza tema di introdurre così nella Costituzione un elemento proprio e caratteristico del Governo presidenziale; tanto più che questa possibilità del Presidente di rinviare alle Camere una legge da esse deliberata, non è caratteristica esclusiva della Repubblica presidenziale, essendo adottata anche dalla Costituzione di Repubbliche parlamentari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla proposta della retroattività della legge civile, che è stata esaminata dalla dottrina e dai Governi con tanta attenzione e pazienza, in tutti i paesi; e tutti hanno riconosciuto che non è possibile prescriverla in senso assoluto e senza possibilità di eccezione, come si farebbe qui, mettendola nella Costituzione. Abbiamo provveduto, come era necessario, stabilendo la irretroattività delle pene. Non possiamo stabilire il principio stesso, rigidamente, in altri rami del diritto. Come fare in una società come la nostra, così piena di movimento e di trasformazioni economiche? Né si tratta, con l’irretroattività, di tutelare diritti quesiti (di cui è comunque ben difficile la definizione); vi sono casi in cui la retroattività può esser utile… ad esempio agli impiegati, cui si concedano aumenti retroattivi di stipendio. Se fosse sancita l’irretroattività, non se ne farebbe nulla. Meglio lasciare che il principio sia stabilito, nei termini più opportuni, nei Codici, ma lasciando a leggi particolari, per date materie, la possibilità di deroghe.

Non vorrei replicare all’onorevole Orlando; mi limito a chiedergli se vi è stato mai un caso in cui si sia chiusa una sessione per non dare la sanzione ad una legge. Il Governo ha in più casi chiuso la sessione perché non andava d’accordo con le Camere, e voleva così influire sul lavoro legislativo; ma è tutt’altra cosa che la sanzione.

L’onorevole Orlando ha detto con tanta nobiltà: state alla tradizione! Noi vogliamo attenerci ad essa, e ad essa ci siamo attenuti, in quanto non era in contrasto con esigenze irreducibili del processo democratico. Ma non possiamo, per il feticismo della tradizione, conservare ciò che è ormai un anacronismo. Né possiamo tenere in vita, come cose vive, disposizioni già morte, come i tre famosi reliquati di articoli dello Statuto albertino, di cui ho già parlato. Non vogliamo risuscitare fantasmi. E tradizione vuol dire non fermarsi, ma camminare nel suo solco. Jaurès diceva che un fiume non rinnega la fonte, mentre va alla foce.

Né giova badar troppo ai nomi ed alle etichette. Stato parlamentare può avere vari significati. Può anche voler dire – lo ho ripetuto – lo Stato ad un solo Parlamento da cui dipendono come commessi tutti gli altri organi dello Stato…

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Non significa questo!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo; ma non si può credere di risolvere i problemi con posizioni teoriche e con designazioni, che riferendosi a varie situazioni e tipi storici, si prestano a varie interpretazioni.

Non tengo affatto ai due piloni, che non è una teoria, ma un’immagine per richiamare l’attenzione. Mi serve a dire che il pilone che dobbiamo riedificare non è quello del re. Non pensiamo neppure come avviamento ad un sistema presidenziale; tutt’altro: il nostro Presidente della Repubblica non è Capo del Governo; è un moderatore supremo fra i poteri dello Stato, in un edificio che basa tutto sulla sovranità popolare.

Non possiamo indulgere a ciò che è troppo vecchio, e – si noti – era già vuoto di contenuto. Vogliamo camminare avanti, con cautela ma con fermezza. La Costituzione non può essere immobile; saranno necessarie modificazioni ed aggiunte, per tener conto appunto dell’esperienza che si farà. È l’indirizzo che deve essere chiaro e sicuro. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

CARONIA. Vi rinunzio e aderisco a quello Bozzi.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

CODACCI PISANELLI. Il primo è ormai superato. Insisto, invece, sul secondo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento dell’onorevole Colitto, dato che è stato accettato dalla Commissione, naturalmente s’intende mantenuto. E così pure per quanto riguarda gli emendamenti Perassi e Bozzi.

Passiamo ora alle votazioni.

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 71 nel testo del progetto, che coincide col primo comma del testo proposto dall’onorevole Bozzi e che è del seguente tenore:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma che nel testo Bozzi è del seguente tenore:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Su questo comma gli onorevoli Moro, Benvenuti, Uberti, Salizzoni, Cremaschi Carlo, Balduzzi, Coppi, Giordani, Bosco Lucarelli, Valenti, De Palma, Bertone, Romano, Orlando Camillo e Tozzi Condivi hanno chiesto la votazione per appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se questo può servire a far ritirare la domanda di appello nominale, io dichiaro che il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento Bozzi, in quanto ritiene che esso sia controproducente, e cioè che indebolisca anziché rafforzare il Capo dello Stato e che stabilisca un pericolo nell’interno del potere esecutivo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Bozzi e dal punto di vista mio personale credo di farlo con motivi di coerenza in quanto io mi sono opposto tenacemente, nella forma più decisa, perché fosse stabilito nella Costituzione – e mi pare che la maggioranza della Costituente abbia poi deciso d’accordo con me – l’obbligo assoluto, che vi era secondo la proposta della Commissione, che l’un ramo del Parlamento si pronunciasse in un certo brevissimo termine, quando l’altro si era pronunciato, approvando un disegno di legge.

Io ho sostenuto che questa coartazione, questa pretesa necessità e questa specie di messa in mora, era assolutamente assurda, e che anzi un ramo del Parlamento avesse perfettamente diritto di non pronunciarsi, se in questo senso era la sua inclinazione e se il Governo non credeva esso di porre in contrario una questione di fiducia, appunto perché la non pronuncia di uno dei due rami del Parlamento avrebbe sortito un effetto analogo a quello che era il decreto di chiusura di sessione, la soppressione del quale istituto rendeva più che mai necessaria questa indipendenza dei due rami del Parlamento l’uno dall’altro.

Ritengo però che una volta che ormai v’è questa possibilità che un progetto di legge, anche approvato da un ramo della Camera, possa essere lasciato cadere, cade completamente la coerenza logica di ammettere che il Presidente, emanazione dei due rami del Parlamento, di fronte ad una legge divenuta perfetta per l’approvazione dei due rami del Parlamento, e contro la quale approvazione egli aveva tutta la possibilità di intervenire tempestivamente, non possa opporre una forma indiretta di effetti moratori e di richiesta di seconda pronuncia, perché la seconda pronuncia, per le esigenze del mio punto di vista politico, è già esaurita dal sistema parlamentare bicamerale.

Per questi motivi, che io ritengo di coerenza logica e conformi al sistema parlamentare bicamerale, voterò contro l’emendamento Bozzi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiedo che il secondo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi all’articolo 71 sia posto in votazione per divisione. E più precisamente vorrei fossero escluse dalla prima votazione le ultime parole: «a maggioranza assoluta dei loro membri», in quanto può darsi che vi siano deputati disposti a votare il resto dell’articolo, ma non queste ultime parole.

PRESIDENTE. Sta bene.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome dei colleghi del mio Gruppo, che noi voteremo a favore di tutto l’emendamento Bozzi, aderendo sostanzialmente alle dichiarazioni della Commissione, in correlazione delle quali noi intendiamo costruire un tipo più robusto di Governo parlamentare, in parte già contemplato da altre Costituzioni.

COSTANTINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Per le ragioni che ho esposto dianzi, il Gruppo parlamentare socialista voterà contro l’emendamento Bozzi. Dirò solo che vi è un altro motivo oltre a quelli già detti: ed è la considerazione della crisi che verrebbe a determinarsi tra il Presidente della Repubblica ed il potere legislativo, nella ipotesi in cui – nel riesame del provvedimento legislativo – esso ottenesse una maggioranza relativa anziché assoluta dalle Camere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro di votare a favore di tutto l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, in quanto non sembra esatto che contrasti col concetto della Repubblica parlamentare. L’ultima parte dell’emendamento dispone che il Presidente della Repubblica debba procedere in ogni caso alla promulgazione della legge se le Camere confermano la precedente propria deliberazione, il che sta a dimostrare che la Repubblica parlamentare ha libertà assoluta di movimento.

Si è osservato da parte dell’onorevole Laconi che la votazione di questo emendamento verrebbe ad avere un effetto controproducente, in quanto risulterebbero diminuite le funzioni e la figura del Presidente della Repubblica ove le Camere confermassero la precedente propria deliberazione, in contrasto con l’atteggiamento del Presidente stesso.

A questo io rispondo che col votare l’emendamento non intendiamo riferirci al maggiore o minore prestigio del Presidente della Repubblica, che non è in discussione, ma a quello che può essere il vantaggio del Paese, rappresentato dalla possibilità, per le Assemblee legislative, di meglio riflettere sulle proprie decisioni.

PRESIDENTE. Di fronte alla domanda dell’onorevole Preti di votare questo emendamento per divisione, in modo da escludere dalla prima votazione le parole finali «a maggioranza assoluta dei loro membri», chiedo ai presentatori della domanda di appello nominale se, dopo le dichiarazioni di voto, mantengano la loro richiesta; e, in caso affermativo, se la mantengano tanto per la votazione della prima parte dell’emendamento Bozzi quanto per quella delle predette parole finali.

MORO. Manteniamo intanto la domanda di votazione nominale per la prima parte, riservandoci di decidere in seguito per la seconda.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sul secondo comma dell’emendamento Bozzi (escluse le parole finali: «a maggioranza assoluta dei loro membri», sulle quali si voterà in seguito), del quale do ancora una volta lettura:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

Comincerà dall’onorevole Spallucci.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

DE VITA, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bonino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cosattini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fanfani – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Galati – Garlato – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Malfa – La Pira – Leone Giovanni – Lizier – Lussu.

Malvestiti – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perrone Capano – Ponti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Romano – Roselli – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spallicci – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vicentini – Villabruna.

Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bennani – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallotti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Chiostergi – Colombi Arturo – Corbi – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Michelis Paolo – Donati – D’Onofrio.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Massini – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mezzadra – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni.

Pajetta Giuliano – Paolucci – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo.

Saccenti – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sicignano – Simonini – Stampacchia.

Targetti – Togliatti – Tomba – Tonello.

Vernocchi – Veroni – Villani – Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso.

Dozza – Dugoni.

Fantoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Martino Gaetano – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     341

Maggioranza           171

Hanno risposto     197

Hanno risposto no    144

(L’Assemblea approva).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Ritiro la seconda parte del mio emendamento: «a maggioranza assoluta dei loro membri».

PRESIDENTE. Sta bene. Resta pertanto conclusa la votazione sull’emendamento dell’onorevole Bozzi.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

Presentazione di una relazione.

BOZZI. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione della Commissione speciale per il disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Sull’ordine del giorno.

CARONIA. Chiedo di parlale sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. All’ordine del giorno della seduta pomeridiana è stabilita la votazione per la nomina di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana.

Propongo che questa votazione sia rinviata, perché i deputati non sono ancora orientati sulla scelta dei candidati.

Chiederei quindi un rinvio a mercoledì o a giovedì della settimana prossima perché ci si possa meglio orientare sulla scelta.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, l’elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana è tolta dall’ordine del giorno della seduta pomeridiana di oggi e rinviata ad altra seduta.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.45.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Corbino

Moro

Benvenuti

Fuschini

Colitto

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lami Starnuti

Nitti

Costantini

Aldisio

Codacci Pisanelli

Caronia

Gasparotto

Azzi

Preti

Clerici

Persico

Dominedò

Perassi

Rossi Paolo

Bosco Lucarelli

Romano

Orlando Vittorio Emanuele

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Caronia

Sansone

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

1°) «Approvazione del Protocollo di emendamento degli Accordi, Convenzioni, Protocolli sugli stupefacenti e dell’annesso Protocollo stesso»;

2°) «Approvazione dello scambio di note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947»;

3°) «Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»;

4°) «Approvazione dei seguenti accordi conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio:

  1. a) «Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di note 23 giugno 1946;
  2. b) «Scambio di note per l’annullamento dell’articolo 7 dal Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946»;
  3. c) «Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947;
  4. d) «Scambio di note per l’applicazione immediata, a titolo provvisorio, dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1947»;

5°) «Approvazione dei seguenti Accordi conclusi a Roma fra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947:

  1. a) «Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia;
  2. b) «Protocollo addizionale all’accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia»;

6°) «Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946»;

7°) «Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947:

  1. a) «Accordo commerciale;
  2. b) «Accordo di pagamento;
  3. c) «Scambio di note».

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questi disegni di legge, che saranno inviati alla Commissione competente.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo proseguire nelle votazioni relative all’articolo 79, alle quali abbiamo dato inizio nella mattinata.

Ricordo che si è proceduto a due votazioni, in base alle quali la prima parte dell’articolo 79 risulta così formulata:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze».

L’onorevole Corbino ha presentato un emendamento aggiuntivo, del seguente tenore:

«Ad eccezione della Val d’Aosta».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Volevo soltanto far notare che l’eccezione non è fatta per la Val d’Aosta come Val d’Aosta, ma unicamente perché la Val d’Aosta, con una popolazione di poco più 60 mila abitanti, ha già un senatore e un deputato e quindi, è già rappresentata nell’Assemblea con un votante per ogni 30 mila abitanti, mentre per tutto il resto degli italiani si ha un votante ogni 50 mila abitanti. Concedendo altre rappresentanze, noi accentueremmo il principio del voto plurimo, e non credo che ciò corrisponda alle condizioni generali che sono state già inserite nella Costituzione.

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Ruini non abbia nulla da aggiungere a quanto ha detto nella mattinata;

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Cordino:

«ad eccezione della Val d’Aosta».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma, che nel testo della Commissione è del seguente tenore:

«L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi».

Mi fermo a questa prima parte, perché occorre mettere in votazione l’emendamento Tosato, il quale ha dichiarato di volerlo conservare a titolo personale.

Pongo in votazione questa prima parte del secondo comma.

(È approvata).

Segue l’emendamento dell’onorevole Tosato, così formulato:

«Se al terzo scrutinio non si raggiunge la maggioranza, il Presidente sarà eletto a suffragio universale diretto. Le Camere riunite designano un candidato di maggioranza ed un candidato di minoranza».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. L’emendamento è stato presentato a titolo personale. Il nostro Gruppo, ritenendo che, attraverso al sistema di elezione stabilito questa mattina, è garantita l’autorità del Capo dello Stato, voterà contro.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. A titolo puramente personale dichiaro che voterò favorevolmente all’emendamento Tosato, per varie considerazioni che non sto qui a riassumere; ma specialmente perché alla prima elezione – che avrà portata storica – del Presidente della Repubblica, dopo la promulgazione della Costituzione non potranno intervenire le rappresentanze regionali perché le Regioni non saranno ancora costituite. Aderisco pertanto all’emendamento dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato, di cui ho dato testé lettura.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la seconda parte del testo in esame:

«e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri che compongono l’Assemblea a questo fine».

(È approvato).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero soltanto far rilevare che, nella ipotesi in cui noi non approveremo altri casi di riunione del Parlamento in seduta plenaria, potremo aggiungere all’articolo 79 la disposizione relativa alla Presidenza della seduta del Parlamento, analogamente a quanto avviene per la Costituzione francese, che affida all’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati la Presidenza dell’Assemblea Nazionale. Si potrà presentare eventualmente un emendamento aggiuntivo al riguardo, dopo che avremo trattato tutta questa parte.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ora all’articolo 80. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono eleggibili i cittadini che hanno compiuto quarantacinque anni di età e godono dei diritti civili e politici.

«L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.

«L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alla parola: quarantacinque, sostituire la parola: cinquanta».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Non c’è bisogno di illustrare questo emendamento. Io propongo in sostanza che l’età del Presidente della Repubblica sia elevata da 45 a 50 anni, anche per una ragione di rapporto con l’età dei senatori che abbiamo elevata da 35 a 40 anni.

Del resto, credo che elevare l’età del Presidente sia indispensabile per assicurarsi una maggiore esperienza di vita in colui che è chiamato a coprire una così alta carica.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto, così formulato:

«Al secondo comma, alla parola: carica, sostituire le parole: pubblico ufficio».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Indubbiamente l’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con gli altri uffici pubblici, i quali importino una qualsiasi sottomissione, anche transitoria, ad un’autorità. Nulla da dire circa la sostanza della norma. Il mio emendamento attiene alla forma. Ritengo che, esistendo incompatibilità tra l’ufficio di Presidente e gli altri uffici pubblici, questo occorra affermare nella Costituzione, usando queste parole e non altre, anche perché mi sembra che non sia opportuno usare in un testo giuridico parole diverse per esprimere uno stesso concetto..

Ecco perché ho proposto che alla parola «carica» siano sostituite le altre «pubblico ufficio».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Crispo:

«Al secondo comma premettere le parole: fuori del caso di cui all’articolo 82».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Nell’articolo 80 si prevede l’incompatibilità dell’ufficio di Presidente della Repubblica con qualunque altra carica e ciò in contradizione con quanto è stabilito nell’articolo 82, in cui è detto che l’ufficio di Presidente della Repubblica può essere esercitato dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, il quale diventerebbe provvisoriamente Presidente della Repubblica in caso di impedimento fisico o di assenza, o di incapacità giuridica del Presidente titolare, tutte ipotesi contemplate nell’articolo 82.

Allora io dico che occorrerebbe premettere alla norma, nella quale si prevede l’incompatibilità, le parole: «Fuori dei casi di cui all’articolo 82».

Si potrebbe osservare che la funzione del Presidente della Repubblica nel caso dell’articolo 82 è limitata appena a 15 giorni; ma, indipendentemente dal fatto che per l’articolo 80 – quando cioè le Camere siano sciolte – questo termine può essere di gran lunga maggiore, a mio avviso la durata della funzione non pregiudica il principio che è quello dell’incompatibilità. Che la funzione duri poco o molto, se si è voluto stabilire questa incompatibilità, occorre anche stabilire una precisazione all’articolo 80.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

TOSATO. A noi sembra che questo emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo non sia necessario, e non soltanto perché si tratta di una sostituzione del Presidente della Repubblica a titolo puramente provvisorio. Ritengo opportuno tener presente il testo dell’articolo 82 del Progetto, che reca: «Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate, ecc.».

Dunque non si tratta di assunzione di carica, ma di esercizio di funzione a titolo provvisorio, di supplenza. Perciò l’eccezione all’articolo 82 non è necessaria. Evidentemente, le incompatibilità previste dall’articolo 80 non sussistono per chi temporaneamente ne fa le veci. Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini, la Commissione ritiene non opportuno elevare il limite di età da 45 a 50 anni. L’età richiesta dal Progetto rappresenta un termine medio.

Per quanto riguarda, infine, l’emendamento dell’onorevole Colitto, pregherei l’onorevole collega di volerlo trasformare in raccomandazione, della quale sarà tenuto conto al momento della revisione finale degli articoli approvati da questa Costituente.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo?

COLITTO. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo. mantiene il suo?

CRISPO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione dell’articolo 80. Pongo innanzi tutto in votazione il primo comma con l’emendamento dell’onorevole Fuschini, non accettato dalla Commissione:

«Sono eleggibili i cittadini che hanno compiuto cinquanta anni di età e che godono dei diritti civili e politici».

(È approvato – Commenti – Approvazioni).

Pongo in votazione il secondo comma: «L’Ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo, che la Commissione ha dichiarato di non accogliere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei aggiungere un’altra preghiera all’onorevole Crispo. Noi abbiamo seguito come criterio – comune a quasi tutte le buone Costituzioni – di non citare articoli e commi, per non dare un carattere di regolamento alla Costituzione, ed anche per una ragione di estetica. Quindi, inteso che lo spirito è salvato e che si tratta di funzioni provvisorie e non di ufficio, pregherei l’onorevole Crispo di desistere.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Se si stabilisce un principio fondamentale, che cioè non possono cumularsi le cariche con quella di Presidente della Repubblica, ed invece nell’articolo 82 questo cumulo si prevede, io chiedo che per una questione di tecnica legislativa si dica, come ho proposto: «fuori del caso di cui all’articolo 82».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Crispo, di aggiungere alla fine del secondo comma le parole:

«Fuori del caso di cui all’articolo 82».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma dell’articolo 80:

«L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 81. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

«Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente dell’Assemblea Nazionale convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica.

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione dei Presidente della Repubblica ha luogo entro quindici giorni dalla costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

PRESIDENTE. A questo articolo gli onorevoli Caronia e Aldisio hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «Il Presidente della Repubblica viene eletto per sei anni e può essere consecutivamente rieletto non più di una volta».

Non essendo presenti, si intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: per sette anni, aggiungere: e non è rieleggibile».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Rinunzio all’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: il Presidente dell’Assemblea Nazionale, le parole: il Presidente più anziano per età di una delle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Ho proposto di sostituire le parole «Il Presidente dell’Assemblea Nazionale» con quelle di «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere» (quindi o il Presidente della Camera dei deputati o il Presidente del senato), nel senso cioè che sia il più anziano tra i due al quale spetti di indire, entro i trenta giorni, la convocazione delle Camere riunite e dei consiglieri regionali, perché si proceda alla nomina del Presidente.

Lo stesso vale per l’articolo 82.

Mi pare che sia una soluzione che non offenda nessuna delle due Camere. In caso diverso dovremmo in questa sede dare la prevalenza all’una o all’altra Camera. Siccome mi pare, dalle discussioni avvenute, che non si voglia dare la prevalenza ad una delle due Camere, credo che sia più opportuno riferirsi ad una condizione di carattere obiettivo, che si può verificare nei riguardi ora del Presidente di una Camera ora del Presidente dell’altra. Quindi, credo sia una soluzione che si possa accettare.

PRESIDENTE. Forse, onorevole Fuschini, il problema che lei pone (e che è analogo a quello posto dall’onorevole Corbino in relazione a chi debba assumere la Presidenza dell’Assemblea Nazionale al momento dell’elezione) lo potremo risolvere nel momento in cui risolveremo il quesito generale circa il Presidente delle sedute in comune delle due Camere.

L’onorevole Crispo ha presentato insieme con gli onorevoli Cifaldi e Morelli Renato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: sono prorogati, sostituire la parola: perdurano».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CRISPO. L’ultima parte dell’articolo 81, dice testualmente: «Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Evidentemente penso che, nell’intenzione dei compilatori dell’articolo, si volesse dire: «Nel frattempo s’intendono prorogati i poteri del Presidente della Repubblica»; perché, così come è redatto l’articolo, esso si presterebbe a questa interpretazione letterale: che occorresse eventualmente un atto di proroga ed eventualmente un organo delegato per compiere questo atto di proroga.

Onde, data questa equivoca interpretazione che quella dizione consente, vorrei che si sostituisse alle parole «sono prorogati» la parola «perdurano». L’intera frase suonerebbe, pertanto: «Nel frattempo perdurano i poteri del Presidente in carica».

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per quattro anni»

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Le altre Costituzioni, oltre a fissare termini, stabiliscono altre convenzioni ed ammettono o non ammettono la possibilità da parte del Presidente di essere rieletto. Se si ammette che il Presidente possa essere rieletto, il termine di quattro anni è più che sufficiente.

Perché in America non si è mai voluto variare questo termine? La Francia volle adottare il termine di sette anni, ma la Francia fece una Costituzione repubblicana con criteri monarchici, perché quella del 1875 fu una Costituzione scritta da monarchici, che lasciò al Presidente funzioni e attribuzioni esteriori piuttosto monarchiche che repubblicane.

L’America ha conservato la tradizione repubblicana ed il Presidente è eletto per quattro anni, e ciò è tanto difficile a mantenere in America quanto non sarebbe da noi. L’elezione del Presidente avviene per suffragio universale a doppio grado, perché si fa la scelta dei designati a nominare il Presidente e sono essi che lo designano, e la procedura è piuttosto costosa e complicata.

Ma fra i tanti emendamenti proposti alla Costituzione (proposti e non mai accettati se non in piccolo numero) non vi è stato mai quello di cambiare la durata della funzione del Presidente. Il Presidente dura quattro anni, termine molto ampio o almeno abbastanza largo, perché vi è sempre il correttivo della rielezione. Quando si crede che sia utile conservare una grande personalità, la si rielegge. In generale pochi Presidenti sono stati rieletti.

Ora il termine di 7 anni da noi è lungo e bisogna che il Paese sia consultato dopo un certo tempo. Quattro anni nei paesi moderni costituiscono un lungo tempo. Noi vogliamo fare un termine di 7 anni e lo abbiamo accettato perché c’è in Francia, senza badare che là il popolo viene troppo scarsamente consultato ed anche in questa nostra Costituzione c’è la tendenza a consultarlo con scarsezza. Ora, un termine di 4 anni per il Presidente della Repubblica è un tempo sufficiente da noi. Se ci abbandoniamo ad un lungo periodo di durata presidenziale, determiniamo proprio quella tendenza di allontanarci dalla consultazione popolare, la quale tendenza dopo 7 anni è ancora più grave che dopo 4, perché ci si è fatta l’abitudine. E però io credo che non abbiamo nulla da perdere riducendo questo termine a quello stabilito per il Presidente della Repubblica in America; beninteso, se vi è la necessità della rielezione può accadere, come è accaduto per Roosevelt, non solo la seconda, ma, caso unico, la terza rielezione. Lasciamo al popolo la libertà di scegliere; consultiamo il popolo. Che bisogno c’è di fissare un lungo termine? Il popolo può cambiare opinione sulla persona, non solo, ma sull’ambiente della persona.

I Presidenti che sono stati perduti, lo sono stati per le persone che li l’attorniavano, all’infuori delle loro colpe personali o dei loro errori, perché pare che non ne avessero mai; avevano però la disgrazia che si vendevano le decorazioni della Legion d’Onore. Ora noi non abbiamo questa necessità. Credo anche che la scelta del Presidente debba essere fatta in tal modo da dargli sempre la sensazione che il suo ufficio non è duraturo, perché soltanto questa sensazione lo avvicina alla realtà. Più si allontana il Presidente dalla realtà e meno opere compie.

In caso di mancanza o di morte del Presidente, chi lo deve sostituire? Si procede, in Francia, rapidamente alla nomina del nuovo Presidente. In America non è facile, perché bisogna fare tutta la procedura di una elezione per una così grande Repubblica, e per di più elezione a doppio grado. In America c’è un sistema che parrebbe contradittorio. Il Vicepresidente della Repubblica è Presidente del Senato, senza essere senatore. Prova mirabile di senso politico, perché tiene fra il potere esecutivo ed il potere legislativo una comunicazione diretta. Se muore il Presidente o non può funzionare, egli succede al Presidente, e se mancano tutti e due allora è stabilita una serie di gradazioni. Diventa Presidente in questo caso il Segretario di Stato, cioè il Ministro degli Affari esteri, oppure a lui segue nella via della graduatoria il Presidente della Corte Suprema. Noi non abbiamo bisogno di fare questa gerarchia, perché noi facciamo rapidamente l’elezione e in pochi giorni si provvede al successore, ma ciò che mi pare necessario adesso è di fissare i limiti della carica di Presidente. Io credo utile fissarli in 4 anni.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: Assemblea Nazionale, le parole: Camera dei deputati».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Non tendo ad una sostituzione relativa all’assunzione della Presidenza, in relazione all’osservazione che avevo già fatto a proposito dell’articolo 79. Credo che debba essere proprio un’attribuzione del Presidente della Camera dei deputati quella di convocare le Camere riunite o l’Assemblea Nazionale per la elezione del Presidente. Ciò appare tanto più necessario in quanto che noi abbiamo stabilito di far partecipare all’elezione del Presidente i rappresentanti dei Consigli regionali. Occorre, quindi, una preparazione elettorale presso i consigli regionali, che richiederà un lungo preavviso. La questione può poi collegarsi al successivo articolo 82 per quanto concerne l’esercizio dei poteri del Presidente dell’Assemblea Nazionale, in caso di impedimento del Presidente della Repubblica, ma vedremo poi come si possa risolvere questo problema.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io mi renderei conto, onorevoli colleghi, delle preoccupazioni che hanno determinato l’emendamento dell’onorevole Nitti, se nel nostro Paese noi avessimo in animo di creare una Repubblica sul tipo americano, cioè una repubblica presidenziale.

Ma la nostra è una repubblica parlamentare. I poteri del Presidente, del Capo dello Stato sono poteri limitati, sono poteri soggetti a costante controllo delle due Camere del Parlamento. Ora io non credo che, protraendo il termine fino a sette anni, vi sia pericolo di perpetuare, come ha detto l’onorevole Nitti, la tendenza al potere del Presidente eletto. E questo dico perché sia mantenuto il termine proposto dalla Commissione, anche per una ragione di praticità. In effetti, noi abbiamo stabilito che il Senato dura in funzione sei anni. Sarebbe strano che la stessa Camera, cioè gli stessi deputati e gli stessi senatori venissero convocati ogni quattro anni per ripetere la nomina del Presidente della Repubblica. Se il Senato dura sei anni, è logico che la nomina del Presidente, avvenga ogni sette anni, perché in tal caso avremo differenti Assemblee che provvederanno alla designazione.

Questa ragione mi sembrerebbe sufficiente a mantenere il termine stabilito dal progetto di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere II suo parere sugli emendamenti presentati.

TOSATO. Prendo in considerazione anzitutto l’emendamento presentato dall’onorevole Nitti, il quale propone che il Presidente sia eletto per quattro anni.

L’onorevole Nitti si richiama all’esempio americano, però io non credo che, almeno sotto molti aspetti, questo esempio americano sia a nostro proposito calzante.

Osservo anzitutto che, in linea generale, il periodo di durata dall’organo rappresentativo in America è molto inferiore a quello da noi previsto. In secondo luogo bisogna ricordare che il Presidente della Repubblica degli Stati Uniti d’America è non soltanto Capo dello Stato, ma anche Capo del Governo, ed allora si capisce che un Capo dello Stato che abbia anche gli effettivi poteri di Capo del Governo debba essere continuamente in contatto con la volontà popolare, di fronte alla quale è direttamente responsabile. D’altra parte, come osservava esattamente l’onorevole Costantini, stabilire che il Presidente dura in carica 4 anni significherebbe andare incontro a questa eventualità, che le stesse Camere vengano ad eleggere il Presidente per due volte consecutive: il che non mi pare opportuno. Sembra invece opportuno prolungare entro certi limiti la durata del Presidente al di là della vita delle Camere, al fine di assicurare, nella vita dello Stato, un elemento di stabilità.

Il fatto che il Presidente sia eletto per sette anni, mentre le Camere sono elette rispettivamente per 5 e 6 anni, serve a sodisfare l’esigenza di una certa permanenza, di una certa continuità nell’esercizio delle pubbliche funzioni; mentre contribuisce a rafforzarne l’indipendenza rispetto alle Camere che lo eleggono. Che le Camere si rinnovino e il Presidente resti, significa svincolare il Presidente dalle Camere, dalle quali deriva, e rinvigorirne la figura. Per queste ragioni la Commissione non accoglie l’emendamento Nitti.

Vi è poi l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini. Con questo emendamento si propone di sostituire al secondo comma, alle parole: «il Presidente dell’Assemblea Nazionale» – della quale non si deve parlare più! – «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere».

L’onorevole Corbino propone invece che anziché il Presidente dell’Assemblea Nazionale, o, come vorrebbe l’onorevole Fuschini, anziché il Presidente più anziano per età di una delle due Camere, si designi senz’altro il Presidente della Camera dei deputati. La Commissione è in generale più favorevole all’emendamento Fuschini, partendo soprattutto da questa considerazione: noi abbiamo due Assemblee rappresentative; non c’è nessuna ragione che giustifichi la preferenza all’una Assemblea piuttosto che all’altra.

Quello che è importante è che chi supplisce il Capo dello Stato sia un componente delle Assemblee rappresentative. Sotto questo aspetto la proposta dell’onorevole Fuschini è forse la più conveniente e la più adatta al compito.

CORBINO. Non si tratta di sostituire il Capo dello Stato; si tratta di convocare le Camere riunite.

TOSATO. Anche limitatamente al compito di convocare le Camere riunite, la proposta Fuschini sembra preferibile.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, che, al terzo comma, propone di sostituire al termine «prorogate» il verbo «perdurano», osservo che la proroga dei poteri del Presidente è analoga alla proroga dei poteri delle Camere. Dell’istituto della prorogatio si è già più volte parlato in questa Assemblea. Si tratta di un istituto che serve ad assicurare, in qualche modo, la continuità dell’esercizio delle pubbliche funzioni. Ed è un istituto in forza del quale un organo, anche scaduto, ha la possibilità di continuare ad esercitare, sia pure limitatamente, i suoi poteri, e ciò non in base ad un atto speciale, che concede la proroga stessa, ma di diritto. Dato che la proroga prevista dei poteri del Presidente si inquadra nel medesimo istituto della proroga dei poteri delle Camere, la Commissione propone di conservare l’identità della terminologia, anche per concetti di necessaria simmetria.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Crispo, mantiene ella il suo emendamento?

CRISPO. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Tosato, rinunzio.

PRESIDENTE. Onorevole Aldisio?

ALDISIO. Ritiro l’emendamento anche a nome dell’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti?

NITTI. Rinunzio al primo; mantengo la proposta di soppressione del secondo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, mantiene l’emendamento?

CORBINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 81.

Poiché l’onorevole Nitti ha ritirato il suo emendamento al primo comma, pongo in votazione il primo comma nel testo proposto dalla Commissione:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni».

(È approvato).

Sul secondo comma c’è la proposta di soppressione da parte dell’onorevole Nitti. Come di consueto, non porremo in votazione la proposta di soppressione, trattandosi di un comma, il quale contiene un solo concetto. Coloro che sono favorevoli alla soppressione voteranno contro la formulazione positiva che sarà posta in votazione.

Sul secondo comma vi sono due emendamenti: quello dell’onorevole Fuschini e quello dell’onorevole Corbino.

L’onorevole Fuschini propone che si dica: «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere» in luogo della formula: «il Presidente dell’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non può accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Nitti, di soppressione del secondo comma; si avrebbe in tal caso una grave lacuna di carattere costituzionale e in questa materia ciò non è opportuno.

Ho già dichiarato che la Commissione, invece, accoglie l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini, salvo una migliore formulazione, che potrebbe essere la seguente: «il più anziano di età dei presidenti delle Camere».

FUSCHINI. Aderisco.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino propone che la formula: Il «Presidente dell’Assemblea Nazionale» sia sostituita dall’altra: «Il Presidente della Camera dei deputati».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero chiarire le ragioni, per le quali insisto per il Presidente della Camera dei deputati.

All’articolo 82 io aderirò al concetto di affidare la sostituzione del Presidente della Repubblica al Presidente del Senato, per impedire che nella stessa persona si possano riunire le tre cariche di Presidente di una delle due Camere, di Presidente dell’Assemblea Nazionale e di Capo dello Stato, sia pure temporaneamente.

Siccome l’Assemblea Nazionale certamente si riunirà presso la Camera dei deputati e quindi dovrà essere diretta dall’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, è giusto che il padrone di casa faccia gli inviti.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Corbino, la Commissione ritiene sia opportuno accettare il suggerimento.

PRESIDENTE. Poiché la Commissione, attraverso la parola dell’onorevole Tosato, rende manifesto di aderire alla proposta dell’onorevole Corbino, è evidente che l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini deve avere la precedenza, poiché esso non è accolto dalla Commissione.

FUSCHINI. Mi rimetto alla Commissione.

PRESIDENTE. Devo interpretare le sue parole come ritiro dell’emendamento?

FUSCHINI. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il secondo comma con l’emendamento dell’onorevole Corbino, accolto dalla Commissione:

«trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea Nazionale per l’elezione del Presidente della Repubblica».

(È approvato).

Pongo quindi in votazione il primo periodo del terzo comma:

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro quindici giorni dalla Costituzione delle nuove Camere».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo del terzo comma:

«Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

(È approvato).

L’articolo 81 risulta pertanto così approvato:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

«Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica.

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro 15 giorni dalla Costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Passiamo ora all’articolo 82. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge.

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate dal Presidente dell’Assemblea Nazionale.

«Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente dell’Assemblea Nazionale indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti.

Gli onorevoli Crispo, Cifaldi e Morelli Renato hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, dopo la parola: impedimento, aggiungere le seguenti: o se egli sia messo in istato di accusa, e alle parole: dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, sostituire le seguenti: dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Il giudizio sull’impedimento di cui al comma precedente è devoluto all’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerli.

CRISPO. Dei miei emendamenti all’articolo 82, il primo si riferisce all’assunzione delle funzioni del Presidente della Repubblica nel caso di suo impedimento. Secondo la votazione che è seguita or ora, parrebbe che queste funzioni dovessero essere assunte dal Presidente del Senato. Ora, se si ha riguardo alla norma dell’articolo 84, che conferisce al Presidente della Repubblica, sia pure temporaneo, il potere di sciogliere le Camere sentiti i Presidenti delle Camere stesse, può verificarsi questa situazione: che il Presidente del Senato, divenuto provvisoriamente Presidente della Repubblica, se avesse vaghezza, sia pure durante la brevissima durata della sua carica, di avvalersi della facoltà di cui all’articolo 84, dovrebbe consultare se stesso e dovrebbe sciogliere una delle Camere di cui egli è Presidente.

Ed allora, io proponevo che le funzioni del Presidente della Repubblica, che come è chiaro sono funzioni prevalentemente esecutive, fossero assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, anche per un’altra ragione, perché un’Assemblea legislativa come è il Senato, ha una funzione che può vincolare i poteri esecutivi del Presidente della Repubblica, onde, pur non trovandoci noi nel caso di una Repubblica presidenziale, tenendosi conto della breve durata delle funzioni del Presidente della Repubblica, mi parrebbe opportuno che queste funzioni fossero assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Interruzione del deputato Fuschini).

Al capoverso dell’articolo è detto: «Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, ecc.» Evidentemente, la parola «impedimento» sta a significare o l’assenza o la malattia e, io penso, anche un caso di incapacità giuridica determinata da evidente, constatata infermità mentale. Mancherebbe, a mio avviso, una ipotesi che dovrebbe essere ugualmente contemplata, cioè quella prevista dall’articolo 85 nel caso in cui, per alto tradimento o per violazione della Costituzione il Presidente della Repubblica fosse messo in istato di accusa, perché si dovrebbe precisare se per effetto dello stato di accusa la decadenza dalla carica del Presidente si verifica ope legis. Dunque, non essendo contemplata questa ipotesi, a mio avviso, dovrebbero essere aggiunte dopo la parola «impedimento», le seguenti parole: «o se egli sia messo in istato di accusa».

Vi è poi ancora una mia proposta di modifica. Poiché si prevede il caso dell’impedimento o nell’impedimento è compreso anche, come rilevavo or ora, l’impedimento determinato da una incapacità giuridica sopraggiunta, io proponevo col mio emendamento questo quesito: qual è l’organo che accerterà questo impedimento? Poiché per effetto dell’impedimento cessa la funzione del Presidente della Repubblica, quale sarà l’organo delegato ad accertare le condizioni perché si dichiari sussistente l’impedimento? Nel mio emendamento, tenendo conto di quanto si era detto a proposito dell’Assemblea Nazionale, questo accertamento è devoluto all’Assemblea Nazionale, o a quell’organo che si renderà competente a provvedere a norma dell’articolo 82.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Al primo e al secondo comma, alle parole: Presidente dell’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: Presidente più anziano per età di una delle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Non c’è bisogno che lo svolga perché è uguale a quello precedente. Vorrei fare però alcune osservazioni sulle proposte dell’onorevole Crispo.

Trovo giusto l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo per quello che si riferisce al caso in cui il Presidente della Repubblica sia posto in istato di accusa, ma trovo imbarazzante, stabilire qual è l’organo che deve constatare l’impedimento. L’onorevole Crispo ha fatto un emendamento che poteva aver valore quando si parlava ancora dell’Assemblea Nazionale. Poiché si tratta di stabilire un giudizio sull’impedimento, invece dell’Assemblea Nazionale, chi lo darà? Le Camere riunite o separate? Questo è un problema che l’onorevole Crispo si è posto, ma non ha risolto. Quindi, bisogna che la Commissione esamini anche questo problema.

Per quanto si riferisce invece alla sostituzione del Presidente della Repubblica, nel caso di impedimento da parte del Presidente del Consiglio, io faccio osservare che per effetto dell’articolo 85, primo comma, nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Presidente del Consiglio.

Quindi se il Presidente del Consiglio esercitasse contemporaneamente la funzione di Presidente della Repubblica e di Presidente del Consiglio, questa disposizione non potrebbe essere realizzata, perché il Presidente del Consiglio controfirmerebbe un atto che egli stesso emana come Presidente della Repubblica, venendo così meno quella garanzia che la Costituzione ha voluto stabilire, disponendo che il Presidente del Consiglio controfirmi, per assumerne la responsabilità degli atti del Presidente della Repubblica.

Quindi, non mi pare che si possano attribuire al Presidente del Consiglio le funzioni di Presidente della Repubblica in caso di impedimento di questi e ritengo sia opportuno mantenere ferma la soluzione indicata dall’onorevole Corbino, oppure quella che io ho proposto. Queste due soluzioni possono essere opportune per equilibrare i poteri che si controllano a vicenda. Perché questo è appunto il sistema parlamentare: ogni potere deve controllare l’altro. In questo equilibrio sta tutta la forza del sistema parlamentare. Per queste ragioni non sono favorevole alla proposta dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto, con l’onorevole Caronia, il seguente emendamento:

«Sostituire le ultime parole del primo comma: dell’Assemblea Nazionale, con le seguenti: del Senato della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento da noi proposto assume in questo momento un carattere di simmetria, perché mentre abbiamo attribuito al Presidente della Camera dei deputati il compito di convocare la speciale Assemblea per la elezione del Capo dello Stato, potremmo attribuire al Presidente del Senato il compito di sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento. Essendo venuto meno il concetto di devolvere queste funzioni al Presidente dell’Assemblea Nazionale, alla quale non sono stati attribuiti compiti per il momento, resta da stabilire chi debba sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento.

Il nostro emendamento precisa chi possa essere investito delle funzioni di Capo dello Stato. Parlo di Capo dello Stato espressamente per confermare quanto ha detto un collega che ha parlato prima di me, circa l’inopportunità che queste funzioni vengano attribuite al Presidente del Consiglio dei Ministri, che è il Capo del potere esecutivo.

Se noi vogliamo mantenere al Presidente della Repubblica questo compito, che è affermato nello stesso progetto di Costituzione, di rappresentare l’unità dello Stato, è più opportuno non devolvere tali funzioni al Capo del potere esecutivo.

Quanto alla opportunità di sostituire al Presidente della Repubblica il Presidente del Senato, non faccio appello al parallelo con quanto avviene nel sistema statunitense, perché il nostro sistema, che è parlamentare, non si può confondere col sistema presidenziale degli Stati Uniti; ma, da una parte si può tener conto di quel criterio di simmetria a cui ho prima accennato; per cui, mentre il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato avrebbe il compito di sostituire lo stesso Presidente della Repubblica in caso di impedimento. E, d altra parte, come si segue il principio dell’anzianità per far presiedere le Assemblee prive di un Presidente, così, trattandosi di un Senato, caratterizzato, tra l’altro, dall’anzianità dei suoi membri che dovranno avere almeno quaranta anni, sarebbe opportuno di attribuire al Presidente del Senato e non ad altri, il compito di sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siamo d’accordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

TOSATO. Gli emendamenti che sono stati proposti dagli onorevoli Crispo, Cifaldi o Morelli tendono evidentemente a riempire delle lacune apparenti che, volutamente, la Commissione ha lasciato nel progetto di Costituzione.

Anzitutto, l’onorevole Crispo propone che sia aggiunto ai casi di impedimento permanente il caso in cui il Presidente della Repubblica sia posto in stato di accusa.

Ora, la Commissione ritiene che non sia il caso di parlare esplicitamente dello stato di accusa del Presidente a questo proposito; si può ritenere intanto, che se il Presidente della Repubblica è posto in stato di accusa, l’evento rappresenta già, per se stesso, un caso di impedimento del Presidente della Repubblica, caso nel quale si fa luogo a quella supplenza che è stata prevista.

D’altra parte, stabilire costituzionalmente in modo esplicito che in caso di accusa da parte delle Camere riunite il Presidente immediatamente è sostituito, potrebbe anche essere pericoloso, perché, in tal caso, attraverso l’accusa, le Camere potrebbero avere uri mezzo, uno strumento del quale potrebbero abusare per sospendere il Presidente dall’esercizio delle sue funzioni, ciò che non sarebbe conforme al sistema previsto.

Per quanto riguarda la proposta che il Presidente della Repubblica sia sostituito dal Presidente del Consiglio, mi pare siano pertinenti le osservazioni già fatte dal collega Fuschini. L’ufficio di Presidente del Consiglio dei Ministri e l’ufficio di Presidente della Repubblica sono due uffici distinti, che non possono essere riuniti in una medesima persona, tanto più – come ricordava l’onorevole Fuschini – che tutti gli atti del Presidente della Repubblica devono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. In questo caso veramente si avrebbe una lesione di uno dei principî fondamentali che regola tutta l’attività del Presidente del Consiglio.

CRISPO. Anche gli uffici di Presidente della Repubblica e del Presidente del Senato sono distinti.

TOSATO. Onorevole Crispo, se attribuiamo al Presidente del Consiglio il potere di sostituire il Presidente della Repubblica abbiamo questa eventualità: che in un determinato momento nella medesima persona si riuniscano due uffici distinti e diversi, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Repubblica.

Noi riteniamo che ciò non sia opportuno e non sia conforme al sistema parlamentare.

D’altra parte, per quanto riguarda l’ultimo emendamento proposto dall’onorevole Crispo, quello relativo all’accertamento dell’impedimento, giudizio che dovrebbe essere deferito all’Assemblea Nazionale, la Commissione, per evidenti motivi di opportunità non ha ritenuto né conveniente, né prudente stabilire a questo proposito norme precise.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro che mi aspettavo una duplice risposta dall’onorevole Tosato, che non è venuta. Io ritengo molto più affini alle funzioni del Presidente di una Repubblica parlamentare le funzioni del Presidente del Consiglio, anziché le funzioni del Presidente del Senato, per ragioni così ovvie che non inette nemmeno conto di rilevare.

Ma io avevo fatto un rilievo rimasto senza risposta. Io ho detto che per l’articolo 84 il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. Si potrebbe osservare che nessun Presidente provvisorio, che abbia una durata limitata di carica potrà pensare a sciogliere le Camere. Ma questo non vale a risolvere la questione. Resta il fatto che il Presidente della Repubblica, comunque provvisorio, ha il diritto di sciogliere le Camere. (Commenti).

Voci. No! No!

TOSATO, Relatore. È un ufficio interinale: non ha questo potere.

CRISPO. E chi lo dice? Allora bisogna stabilirla questa norma.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, mi scusi, ma debbo farle presente che, se lei conserva i suoi emendamenti, non ha diritto di illustrarli ulteriormente. Solo nel caso che li ritirasse, ella avrebbe diritto, di motivarne il ritiro. Mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo?

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

CARONIA. Mantengo l’emendamento svolto dall’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione, nel testo della Commissione, le seguenti parole del primo comma:

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento».

(Sono approvate)

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo:

«o se egli sia messo in istato di accusa».

(Non è approvato).

Pongo adesso in votazione il secondo emendamento sostitutivo dell’onorevole Crispo:

«esercitate dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

(Non è approvato).

Pongo allora, in votazione la formula proposta dell’onorevole Corbino, accettata dalla Commissione:

«esercitate dal Presidente del Senato della Repubblica».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma: «Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente dell’Assemblea Nazionale indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

Avverto però che a questo testo va apportata la seguente modificazione a seguito dell’approvazione dell’emendamento Corbino all’articolo 81 l’espressione: «Presidente dell’Assemblea Nazionale», va sostituita dall’altra: «Presidente della Camera dei deputati».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Crispo:

«Il giudizio sull’impedimento di cui al comma precedente è devoluto all’Assemblea Nazionale».

(Non è approvato).

Pertanto l’articolo 82 nel suo complesso risulta così approvato:

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate dal Presidente del Senato della Repubblica.

«Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

Passiamo all’articolo 83. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti.

«Nomina, ai gradi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quando sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere.

«Ha il comando delle Forze armate; presiede il Consiglio supremo di difesa; dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale.

«Presiede il Consiglio superiore della Magistratura.

«Può concedere grazia e commutare le pene».

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, vorrei ricordare che era rimasto sospeso l’articolo 71, in cui si parla della promulgazione delle leggi. E siccome mi pare che qui riprendiamo in esame la questione, sarebbe forse opportuno esaminare adesso l’articolo 71; o, per lo meno, tenerlo presente.

PRESIDENTE. Per intanto esaminiamo l’articolo 83 che elenca già una serie di funzioni attribuite al Presidente della Repubblica. Successivamente potremo, se mai, esaminare l’articolo 71, che rientra in questa elencazione.

CODACCI PISANELLI. Ritengo che logicamente, l’articolo 71 venga prima, in quanto vi si stabilisce che, per quanto riguarda la formazione delle leggi – di cui ci siamo già occupati – la promulgazione – è attribuita al Capo dello Stato.

D’altra parte, siccome alcuni emendamenti attribuiscono la facoltà di sanzionare le leggi al Capo dello Stato, sarebbe forse più opportuno esaminare prima tale questione e successivamente l’elenco dei poteri che gli competono.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la pregherei di esprimere l’avviso del Comitato sulla questione sollevata dall’onorevole Codacci Pisanelli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non capisco perché si debba rinviare la discussione in corso e riprendere l’esame dell’articolo 71. Discutiamo invece dell’articolo 83 e decidiamo in un senso o nell’altro: da questa decisione dipenderà la sorte dell’articolo 71. Non mi pare opportuno sovvertire l’ordine della discussione ed occuparci adesso dell’articolo 71.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, credo che possiamo attenerci a quello che ha detto l’onorevole. Ruini. A seconda del risultato della discussione sul secondo comma dell’articolo 83, potremo riprendere l’esame dell’articolo 71, adeguandolo alla decisione che sarà presa.

Si tratta di decidere se il Capo dello Stato promulga o sanziona. Lo decidiamo in questa sede. (Interruzione del deputato Fabbri). Se l’Assemblea approva il secondo comma così com’è nel testo della Commissione, è pacifico che il primo comma dell’articolo 71 sarà votato così come è stato proposto dalla Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Ritengo che dal punto di vista del metodo sarebbe opportuno seguire l’ordine che avevo proposto, perché questo articolo ha valore prevalentemente elencativo. Senza dubbio, stabilisce dei poteri particolari, ma siccome si richiama a quanto è stato stabilito a proposito della formazione delle leggi, sarebbe opportuno esaminare adesso la parte che precedeva la determinazione dei poteri spettanti al Capo dello Stato, e che abbiamo solo rinviata appunto per esaminarla quando ci saremmo occupati delie facoltà da attribuire al Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, fa una proposta formale?

CODACCI PISANELLI. Sì.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, onorevoli colleghi, l’onorevole Codacci Pisanelli propone di interrompere l’esame dell’articolo 83 e di ritornare all’articolo 71.

CODACCI PISANELLI. Anche all’articolo 67.

PRESIDENTE. Allora, veramente, mi pare che non sia il caso di accettare la sua proposta. Purtroppo qualche volta ci è avvenuto di dover accantonare qualche questione; ma abbiamo sempre cercato di procedere secondo lo schema del progetto. La sua proposta lo sovverte. Comunque la sottopongo all’Assemblea.

(Non è approvata).

L’onorevole Benvenuti ha presentato i seguenti emendamenti all’articolo 83:

«Al primo comma, dopo le parole: è il Capo dello Stato, inserire: è il supremo custode della Costituzione».

«Sopprimere gli ultimi due commi».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerli.

BENVENUTI. Io ero nell’ordine d’idee di svolgere i miei emendamenti dopo che fosse stata trattata la questione della sanzione da parte dell’onorevole Codacci Pisanelli.

Il nostro emendamento, sul piano strettamente giuridico, sarà svolto dal collega onorevole Dominedò, il quale illustrerà in termini tecnici il concetto degli atti in via di prerogativa, atti che nel concetto dei miei emendamenti dovrebbero essere riconosciuti al Presidente della Repubblica.

Vorrei prima spiegare attraverso quale processo mentale io, semplice cittadino, che ha vissuto questo periodo storico, sono arrivato a rendermi conto della necessità di conferire al Capo dello Stato alcuni particolari poteri che siano del tutto indipendenti dall’approvazione o disapprovazione – e, quindi, dalla firma o controfirma – del Governo in carica.

Noi abbiamo lungamente discusso i modi di designazione del Capo dello Stato e li abbiamo discussi – a mio modesto avviso – mettendo il carro prima dei buoi; perché prima avremmo dovuto definire la figura del Capo dello Stato, i poteri del Capo dello Stato, il tipo di Capo dello Stato che vogliamo creare, dopo di che avremmo avuto gli elementi sufficienti per renderci conto della necessità di munirlo o meno di un determinato prestigio per l’esercizio delle sue funzioni.

L’esame delle funzioni del Presidente della Repubblica va fatto sotto un duplice profilo, in relazione ai due compiti essenziali che a lui incombono. Si tratta di due compiti fondamentali: 1) sbarrare la strada a qualsiasi provvedimento incostituzionale (leggi, decreti o regolamenti) che gli venga sottoposto da parte del Governo in carica; 2) ristabilire la concordanza fra la volontà popolare (quale si esprime nella regina delle assemblee, l’Assemblea delle assemblee, ossia i comizi elettorali) e l’Assemblea parlamentare nei suoi due rami.

Rispetto al primo compito sorge il problema della sanzione.

Ecco perché avrei desiderato vedere risolto prima questo problema.

Problema della sanzione. Io dico francamente (e se i colleghi giuristi e più esperti di me mi illumineranno ne sarò lieto) che non ho ancora compreso se nel nostro nuovo ordinamento costituzionale il Capo dello Stato debba o non debba promulgare dei provvedimenti che siano contrari alla Costituzione; ossia se egli sia un semplice organo di promulgazione di una volontà legislativa cui rimane estraneo, oppure se possa esercitare un sindacato ed eventualmente trovare un rimedio per la incostituzionalità degli atti che gli sono sottoposti. Io temo che nel sistema così come è elaborato nel nostro progetto costituzionale, il Capo dello Stato debba semplicemente promulgare e non possa esercitare alcun esame di costituzionalità.

Ove così stessero le cose, noi ci troveremmo nella singolare situazione di dover riconoscere, a posteriori, che la monarchia durante il ventennio avrebbe agito costituzionalmente. Firmando tutto quanto il Governo fascista le sottoponeva, la monarchia altro non avrebbe fatto se non anticipare il sistema costituzionale elaborato dagli autori del nostro progetto.

Quando i fautori della monarchia (nelle varie pubblicazioni in cui ne viene svolta la difesa) sostengono che dopo il 3 gennaio il Re non poteva rifiutarsi di firmare tutta la legislazione liberticida, sostanzialmente adombrano la tesi giuridica del nostro progetto; ciò qualora (come pare) esso escluda che il Capo dello Stato possa e debba sindacare, sotto il profilo della costituzionalità, il contenuto della volontà legislativa, quale gli viene sottoposta nei decreti e progetti di legge. Ecco quindi l’origine del mio emendamento. Prescindiamo dal problema della sanzione o della promulgazione. Io penso che, sia che il Presidente promulghi (e in questo caso dopo la formalità della promulgazione), sia che il Presidente sanzioni (e in questo caso all’atto in cui rifiuta di sanzionare), deve esser riconosciuta al Capo dello Stato l’azione per promuovere immediata dichiarazione di incostituzionalità dei provvedimenti stessi da lui promulgati, ovvero non sanzionati. Naturalmente per una simile azione, per un simile atto del Capo dello Stato, questi non ottiene e non otterrà mai la controfirma del primo Ministro che propone l’atto incostituzionale. Quindi tanto vale dichiarare apertamente che noi non riconosciamo il Capo dello Stato come supremo tutore della Costituzione.

In questo senso c’è un emendamento mio che ha carattere platonico. Ciò che veramente importa è che non riconosciamo al Capo dello Stato la facoltà di proporre azione di incostituzionalità per le leggi che gli vengono sottoposte per la sanzione.

Secondo (su questo si intratterrà il collega Dominedò al cui emendamento ho aggiunto la mia firma): Problema dello scioglimento delle Camere.

Io penso, onorevoli colleghi, che il mio ottimo amico onorevole Clerici, il quale si è battuto perché dalla nostra Costituente uscisse una Costituzione priva del Capo dello Stato, sarà sodisfatto. Mi consentano gli onorevoli membri della Commissione di dire che i suoi voti sono stati sostanzialmente esauditi…

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Avveniva lo stesso per il Re.

BENVENUTI. La cosa era diversa perché il Governo regio era fiduciario e del Re e del Parlamento. Nel nostro sistema, a mio avviso, il governo è fiduciario esclusivamente dell’Assemblea. Quindi il conflitto più probabile non è quello di un tempo, che si verificava fra il Governo del Re e l’Assemblea, ma il conflitto più probabile è quello fra il binomio Governo-Assemblea e quell’«Assemblea delle Assemblee» che è la volontà popolare. È a questo punto che il Capo dello Stato deve poter intervenire: e quando questo conflitto si verifica significa che il Governo e l’Assemblea non rappresentano più la volontà popolare: in questo momento si deve poter consultare il Paese.

La formula sciogliere le Camere non piace a nessuno. Il Presidente deve, a mio parere, poter in qualsiasi momento indire le elezioni, ferme restando in carica le Camere coll’istituto dalla prorogatio. Ma in qualsiasi momento il Presidente della Repubblica dovrebbe essere in condizione di consultare il Paese. E questo non lo potrà mai ottenere colla controfirma del Presidente del Consiglio, qualora fra la maggioranza parlamentare, di cui il Governo è emanazione, e la volontà del Paese vi sia conflitto. È in questo conflitto che deve entrare di Capo dello Stato per deferirne la risoluzione al Paese. E per questo deve avere poteri autonomi che non potrebbe mai avere se dovesse preventivamente ottenere la controfirma di quel Governo nei confronti del quale chiede il verdetto della volontà popolare.

Ecco lo spirito dell’uno e dell’altro dei miei emendamenti.

Complessivamente la mia proposta consta di quattro parti. Rinuncio alle altre parti, ma mi fermo ai soli capi, a sensi dei quali dovrebbe venir riconosciuto in via di prerogativa al Presidente della Repubblica il diritto di proporre azione di incostituzionalità contro le leggi ed i provvedimenti che sono proposti alla sua promulgazione o sanzione, nonché di indire nuove elezioni con decisione autonoma e indipendente dal parere e quindi dalla controfirma del Governo.

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: rappresenta l’unità nazionale, sostituire le seguenti altre: e lo rappresenta nella sua unità».

«Al terzo comma, alle parole: ai gradi indicati dalla legge, sostituire le seguenti: salva diversa disposizione di legge».

«Al quinto comma, sopprimere le parole: presiede il Consiglio supremo di difesa».

Ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Non comprendo appieno la formula del primo comma: «Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale». Il Presidente della Repubblica per l’altissima funzione che come tale è chiamato a compiere nella vita dello Stato, rappresenta lo Stato nella sua unità e nella sua continuità. Solo poeticamente può darsi che sia simbolo di tale unità.

Di qui il mio emendamento, che tende a sostituire una formula che sembrami tecnicamente precisa ad una formula certamente poetica, ma giuridicamente di colore piuttosto scuro.

È noto che spetta al diritto pubblico interno di ciascuno Stato stabilire l’organo che ha la «rappresentanza» (jus repraesentationis omnimodae) anche nei rapporti internazionali.

Di regola è il Capo dello Stato. Ma bisogna dirlo. E questo, appunto, io dico col mio emendamento, che perciò penso sia meritevole di accoglimento.

Ora non tutti i funzionari dello Stato sono nominati con decreto del Capo dello Stato. Occorre, pertanto, usare, a mio avviso, una formula, che tenga di ciò conto, diversa da quella usata nel progetto, per la quale sembra che tutti i funzionari debbano essere nominati con decreto del Capo dello Stato, la legge intervenendo solo per precisare i gradi, cui debbono essere nominati. È perciò che io ho proposto che alle parole «ai gradi indicati dalla legge» siano sostituite le altre «salva diversa disposizione di legge».

Penso, infine, (e così mi occupo del terzo emendamento da me proposto) che non sia il caso di affermare nella Costituzione che il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa, di tale Consiglio non essendosi parlato in altra parte della Costituzione, sì che non si sa né se è opportuno che un Consiglio siffatto vi sia, né come dovrebbe essere formato, né quali dovrebbero essere le sue attribuzioni e perché, d’altra parte, non so se possa tale Consiglio essere compreso nel novero degli organi costituzionali, dei quali soltanto sembrami che si debba parlare in un testo costituzionale.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Caronia e Aldisio hanno presentato il seguente emendamento all’articolo 83:

«Inserire, dopo il terzo, i seguenti commi:

«Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame o per richiederne il referendum.

«Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CARONIA. L’emendamento non ha bisogno di lunga illustrazione. La prima parte dove si propone che il Capo della Repubblica «Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame e per richiederne il referendum», è nella logica delle cose. Se si è dato il diritto di poter rinviare la legge al referendum su proposta di 500.000 elettori e di sette Consigli regionali, a maggior ragione questo diritto deve esser dato al supremo moderatore, quale è il Capo dello Stato. Nell’emendamento è detto: «Con provvedimento motivato». Ciò naturalmente perché l’azione del Capo dello Stato che rinvia la legge non sia un atto arbitrario, ma giustificato da validi motivi.

Il secondo punto dell’emendamento con cui si propone di dare al Capo dello Stato la possibilità di inviare messaggi ai due rami del Parlamento, sia all’apertura sia durante le sessioni, mi pare sia una funzione di notevole importanza e che non debba incontrare opposizioni.

In momenti particolarmente gravi per la situazione interna del Paese o per la situazione internazionale, mi sembra opportuno dare al Capo dello Stato la possibilità di prendere l’iniziativa di inviare alle due Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse.

Prego l’Assemblea di voler accogliere i due emendamenti.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca hanno proposto di sostituire il quinto comma col seguente:

«Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GASPAROTTO. Il quinto comma dispone che il comando delle Forze armate è attribuzione del Presidente della Repubblica; egregiamente, soggiunge che il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio supremo di difesa. La sostanza è pienamente accettata. Domando una modificazione di forma. Questa dizione presuppone l’esistenza di un organo, il Consiglio supremo di difesa, che non esiste. Esiste, per creazione fascista, una commissione di difesa, presieduta dal Presidente del Consiglio, della quale fa parte oltre al Ministro della difesa (a capo degli antichi dicasteri della guerra, della marina e dell’aviazione), il Capo di stato maggiore generale, ufficio che potrà restare o anche essere soppresso. Ora, non a questo organo certamente il quinto comma proposto dalla Commissione si riferisce, perché è altra cosa.

Pertanto il mio emendamento si limita a domandare una aggiunta: «costituito secondo la legge». Cioè, si riferisce a un organo nuovo, da crearsi mediante legge.

Senonché l’onorevole Colitto proporrebbe addirittura la soppressione dell’attribuzione del Presidente di presiedere il Consiglio supremo di difesa. Non trovo giusta la proposta, perché, se il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate, logicamente deve avere anche la presidenza del Consiglio supremo di difesa.

Come la Commissione vede, domando assai poco; ma la modificazione aggiuntiva è indispensabile.

PRESIDENTE. L’onorevole Azzi ha proposto il seguente emendamento:

«Al quinto comma, dopo le parole: ha il comando delle Forze armate, aggiungere le parole: e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato maggiore della difesa».

Ha facoltà di svolgerlo.

AZZI. Il mio emendamento aggiunge dopo le parole: «il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate» le parole: «e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa ed in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa».

Questo emendamento trae origine dalla esperienza della recente guerra, sulla quale mi pare sia inutile insistere.

Osservo che parecchie Costituzioni straniere, e fra queste alcune elaborate dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale, hanno già limitato questa facoltà dei rispettivi Capi di Stato, ponendo il problema nei seguenti termini.

La vecchia Costituzione francese del 1848 diceva:

«Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate, senza potere mai comandarle personalmente».

La Costituzione francese del 1875:

«Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate».

La Costituzione estone del 1938:

«La difesa nazionale dipende direttamente dal Presidente della Repubblica che nomina il Capo delle Forze armate sia in guerra che in pace».

Passando alle Costituzioni elaborate dopo la seconda guerra mondiale, vediamo che la prima Costituzione francese del 1946 ripeteva la dizione di quella del 1875: «Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate»; ma la seconda Costituzione francese del 1946, quella vigente oggi, modifica quella dizione e dice: «Il Presidente della Repubblica assume il titolo di capo delle Forze armate». Sottolineo la parola: «titolo», perché è probatoria per quel che io debbo dire.

La Costituzione russa, aggiornata dopo la seconda guerra mondiale, dice: «Il Praesidium supremo dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche nomina e revoca il Comando supremo delle Forze armate». Infine la Costituzione jugoslava così si esprime: «Il Comandante supremo dell’esercito jugoslavo viene nominato dalla Skupcina popolare».

A mio avviso la formula più felice è quella adottata dalla Costituzione francese: «Il Presidente della Repubblica ha il titolo di Capo dalle Forze armate». Si tratta quindi di un’altissima carica affidata al Presidente della Repubblica, ma non dell’effettivo comando delle Forze armate, perché questo effettivo comando deve competere esclusivamente a chi sappia e possa amministrare, addestrare, preparare ed impiegare le Forze armate. Ed è soltanto per non copiare la dizione della Costituzione francese che io mi sono limitato ad aggiungere alla dizione della nostra Costituzione: «Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate» quella: «lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa» o il Capo di Stato Maggiore generale, se questa carica sarà conservata nella nostra organizzazione militare.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al quinto comma, alle parole: dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: dichiara la guerra deliberata dalle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Il mio emendamento non è che un emendamento di coordinamento con la deliberazioni già prese dall’Assemblea, che avevo previsto. E non ha quindi bisogno di svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: è il Capo dello Stato.

«Al secondo comma, sopprimere le parole: ed emana.

«Sostituire il terzo comma con il seguente: nomina, ai gradi indicati dalla legge, gli alti funzionari dello Stato».

Ha facoltà di svolgerli.

PRETI. Il primo comma dell’articolo 83 dice che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato. Ora, questa dizione non mi sembra caratteristica delle nuove Costituzioni democratiche. A mio avviso essa era spiegabile quando il cosiddetto Capo dello Stato era in effetto l’organo sovrano: è questa infatti una dizione ereditata dalla monarchia costituzionale ottocentesca. Oggi, secondo me, non si può giuridicamente parlare di Capo dello Stato, in quanto l’organo preminente nello Stato è, come tutti sanno, il Parlamento. (Interruzione al centro). Al di fuori di esso non vi è un «capo», ed è a ragione perciò, che nella Costituzione francese non si parla di Capo dello Stato, ma sempre e solamente di Presidente della Repubblica.

Il secondo comma dell’articolo dice: «promulga le leggi ed emana i decreti legislativi e i regolamenti». Io ho voluto consultare la Gazzetta Ufficiale ed ho rilevato che oggi, per quanto riguarda i decreti legislativi, si usa la formula: «promulga». Quella che io propongo è dunque la dizione usata attualmente, e non capisco perciò, per quale motivo si dovrebbe cambiare la dizione adottata da quando l’onorevole De Nicola funge da Capo Provvisorio dello Stato.

TOSATO. È stato un istituto recentissimo degli anni passati quello della promulgazione dei decreti!

PRETI. Ma stavo dicendo, onorevole Tosato, che per gli attuali decreti legislativi si usa la formula «promulga». Perciò, mi sembra che si dovrebbe continuare ad usare la formula che già oggi si usa.

Tanto più che, dicendosi nella Costituzione, che il Presidente della Repubblica «emana» i decreti legislativi, mentre per contro «promulga» le leggi, si potrebbe pensare ch’egli esplichi una diversa funzione in ordine alla emanazione di questi due tipi di norme giuridiche.

La sua funzione invece è la medesima. Come le leggi sono opera del Parlamento, ed il Presidente della Repubblica le promulga, nel senso che ne dichiara efficacia, così i decreti legislativi sono senza dubbio opera del Governo, ed il Presidente della Repubblica li deve «promulgare», in quanto ne dichiara l’efficacia.

Per quanto concerne i regolamenti, il termine «promulgare» sarebbe per lo meno nuovo. Non vedo però quali difficoltà vi dovrebbero essere per adottare questa nuova dizione, che interpreta la realtà giuridica delle funzioni presidenziali.

Mi sembra comunque che nel secondo comma dell’articolo 83 sia inutile accennare alla emanazione dei regolamenti: è forse più che altro una reminiscenza dello Statuto al bertino.

La Costituzione francese non parla della generica emanazione dei regolamenti, ed a mio avviso fa bene. Da questo deriva che il Presidente della Repubblica emana regolamenti solo in relazione alle materie di sua specifica competenza previste nel titolo della Costituzione che lo riguarda. Per le rimanenti materie i regolamenti vengono emanati con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, risparmiandosi una inutile formalità.

Attualmente il Capo Provvisorio dello Stato emana decreti su materie di secondarissima importanza: modificazione di ragione sociale di cooperative, modificazione di statuti di università, riconoscimento della personalità giuridica di opere pie, passaggi di gestione di acquedotti, ecc. ecc.

Credo che se anche in Italia per tutte queste materie provvedesse con proprio decreto il Presidente del Consiglio o addirittura il Ministro competente, saremmo più aderenti alla realtà.

In conclusione perciò proporrei, per questo comma, di non fare cenno dei regolamenti, e subordinatamente di usare la formula «promulga le leggi, i decreti legislativi e i regolamenti». Se però, si giudica il termine «promulgare» inconciliabile con il regolamento, si dica: «promulga le leggi e i decreti legislativi ed emana i regolamenti di sua competenza».

Per quanto riguarda il terzo comma, devo osservare che è esagerato attribuire al Presidente della Repubblica la nomina di tutti i funzionari dello Stato, posto che ciò significa pretendere un suo decreto per qualunque nomina. Mi sembrerebbe che solamente la nomina degli alti funzionari dovesse farsi per decreto del Presidente della Repubblica: ed è perciò che ho presentato un emendamento in questo senso. Se poi anche al testo attuale del terzo comma si intende dare questo significato ed il Presidente della Commissione è disposto a precisarlo, allora io posso anche ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Clerici, Uberti, Zerbi, Chatrian, Del Curto, Bosco Lucarelli, Badini Confalonieri, Siles, Bubbio, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere all’articolo 83 il seguente comma: Può concedere le onorificenze della Repubblica».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Rinunzio a svolgerlo.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Ho chiesto di parlare perché ho presentato un articolo 85-bis, del seguente tenore: «Il Presidente della Repubblica può inviare messaggi alle Camere». Ho visto poi, che l’onorevole Caronia, in un suo emendamento al secondo comma, ha proposto la stessa cosa: «Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

La formula usata dall’onorevole Caronia è più generica e farebbe supporre che il Presidente possa inviare i messaggi normalmente all’apertura ed eccezionalmente durante le sessioni. Invece, il concetto che ha ispirato il mio emendamento è diverso. Noi non abbiamo in Italia l’istituto dei messaggi del Capo dello Stato. Avevamo solo il discorso della Corona all’apertura della legislatura o delle sessioni quando la legislatura si divideva in parecchie sessioni. Invece, in America abbiamo l’abitudine dei messaggi del Presidente della Repubblica, che hanno un valore notevole perché indicano, nel momento in cui i lavori parlamentari devono svolgersi, gli argomenti più importanti che interessano il Paese. La Francia, nella sua recente Costituzione, all’articolo 37 ha stabilito questa norma: «Il Presidente della Repubblica comunica col Parlamento attraverso messaggi indirizzati all’Assemblea Nazionale».

Qui vi è qualche cosa di più complesso da considerare, perché sussiste una specie di trait d’union fra Parlamento e Presidente della Repubblica; il che fa pensare che il Presidente della Repubblica, quando c’è un dibattito molto grave, comunica il suo pensiero al riguardo attraverso un messaggio indirizzato all’Assemblea Nazionale.

Forse una formula così drastica non sarebbe opportuna nella nostra Costituzione, perché potrebbe far dubitare che noi volessimo far entrare l’opera personale del Capo dello Stato nella formazione delle leggi. Affermandolo nella Costituzione noi diamo la possibilità al Capo dello Stato di intervenire, con un messaggio alla Camera o al Senato, oppure alla Camera e Senato insieme, per dare un suggerimento, per dire una parola pacificatrice e rasserenatrice, nei momenti più gravi della vita nazionale; il che potrebbe essere di grande utilità. Ecco perché io ritengo opportuna l’approvazione del mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non è favorevole all’emendamento presentato dall’onorevole Benvenuti relativo all’articolo 83, l’emendamento cioè con il quale si propone di inserire, dopo la parola «Presidente», «il Capo dello Stato è il supremo custode della Costituzione». Tale compito deriva dai poteri che gli sono attribuiti e dai suoi rapporti con gli altri organi costituzionali; insomma dal complesso delle norme costituzionali, dalle quali la figura del Presidente risulta delineata nella sua natura e nei suoi compiti.

Per quanto riguarda il primo emendamento presentato dall’onorevole Colitto, mi permetto di osservare che, evidentemente, se il Capo dello Stato rappresenta lo Stato, è naturale che lo rappresenti nella sua unità. Quando nel testo dei progetto si dice che il Presidente rappresenta l’unità nazionale, si fa riferimento allo Stato non in senso giuridico preciso, ma allo Stato nella sua unità storica, morale.

L’onorevole Colitto propone inoltre di sostituire alle parole: «ai gradi indicati dalla legge», le parole: «salva diversa disposizione di legge».

A questo proposito vi è anche un emendamento presentato dall’onorevole Preti così formulato: «nomina ai gradi indicati dalla legge gli alti funzionari dello Stato». Al Capo dello Stato dovrebbe così essere dato il potere di nominare soltanto determinati funzionari, quelli più alti; per tutti gli altri la competenza dovrebbe essere propria del Governo.

La Commissione non accoglie né l’emendamento Colitto, né l’emendamento Preti. Noi riteniamo preferibile il criterio di riservare al Capo dello Stato non un potere generale di nomina, ma solo le nomine contemplate specificamente dalla Costituzione e dalle leggi.

Pertanto proponiamo il testo seguente:

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato».

Segue poi l’emendamento presentato dagli onorevoli Caronia ed Aldisio:

«Inserire, dopo il terzo, i seguenti commi:

«Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame o per richiederne il referendum.

«Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

La prima parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Caronia e dall’onorevole Aldisio trova in parte consenziente la Commissione, nel senso che la Commissione ritiene che sia opportuno attribuire al Presidente la facoltà di rinviare alle Camere un progetto approvato dalle Camere stesse. Si intende che se, successivamente al rinvio da parte del Presidente, le Camere insistono ed approvano a maggioranza assoluta il progetto stesso, evidentemente in tal caso il Presidente sarà obbligato a promulgare ugualmente la legge.

In questo senso la Commissione è favorevole all’accoglimento parziale dell’emendamento presentato dall’onorevole Caronia, adottando questa formula: «Il Presidente può rinviare alle Camere una legge già approvata per un riesame», con la precisazione che ho già indicato. Per quanto riguarda il potere di messaggio, la Commissione è pure consenziente. Ritiene però preferibile parlare di questo potere di messaggio e stabilire quindi:

«Può inviare messaggi al Parlamento», adottando precisamente la formula proposta dall’onorevole Persico.

Per quanto riguarda l’emendamento Gasparotto, Chatrian, Moranino ed altri, la Commissione concorda perfettamente con l’esigenza fatta presente dall’onorevole Gasparotto riguardo alla necessità di indicare che questo Consiglio supremo di difesa dovrà essere costituito secondo la legge.

Per quanto riguarda l’altro emendamento presentato a questo proposito dall’onorevole Azzi, la Commissione non è concorde nel ritenerlo opportuno.

L’onorevole Azzi propone di aggiungere alla fine dell’articolo le parole: «e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa, e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa».

Ora, osservo anzitutto che, forse, a questo proposito l’onorevole Azzi ha manifestato delle preoccupazioni che non sono fondate, in quanto non bisogna dimenticare che il Capo dello Stato non è responsabile, quindi gli atti del Capo dello Stato devono essere coperti dalla responsabilità di un Ministro. Pertanto è chiaro che in tempo di pace l’esercizio elettivo del comando delle Forze armate, proprio del Presidente, è esercitato con la responsabilità del Governo e, in particolare, del Ministro della difesa; mentre per il tempo di guerra si regolerà il problema sempre in base all’identico principio della irresponsabilità del Capo dello Stato, secondo la soluzione che al problema dell’effettivo comando delle Forze armate in tempo di guerra sarà dato dalla legge.

Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Fuschini, osservo che esso concorda con quello già presentato dall’onorevole Chatrian. Abbiamo già approvato la formula secondo la quale la guerra viene deliberata dalle Camere: è chiaro che, una volta deliberata la guerra dalle Camere, occorre l’organo che dichiari all’esterno questa deliberazione, e pertanto è opportuno ricordare fra i poteri del Presidente della Repubblica questo potere di «dichiarare la guerra deliberata dalle Camere», secondo la formula proposta dall’onorevole Gasparotto.

Vi è, infine, un emendamento dell’onorevole Preti, secondo il quale si dovrebbe abbandonare la formula: «Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato».

Io vorrei osservare all’onorevole Preti che si potrà discutere circa il contenuto dei poteri che rientrano nell’ambito della competenza del Capo dello Stato; ma in ogni Stato evidentemente e necessariamente esiste un Capo dello Stato. Sia questo Capo dello Stato un organo collegiale sia esso un organo individuale, sempre comunque si manifesta la necessità di un Capo dello Stato, che, in certo senso, riassuma e dichiari all’esterno gli atti più salienti degli organi costituzionali dello Stato, quali sono appunto la deliberazione di guerra, l’approvazione di una legge, ecc.

Di questo Capo dello Stato non si può fare a meno. A me sembra, quindi, che la formula del progetto non sia impropria e che essa corrisponda al tipo più evoluto dello Stato repubblicano parlamentare.

L’altro emendamento presentato dall’onorevole Preti è un emendamento che mi pare riguardi soprattutto una questione di forma.

In generale e in via di massima la Commissione concorda sulla fondatezza dei rilievi fatti dall’onorevole Preti. Però pregherebbe l’onorevole Preti di trasformare su questo punto il suo emendamento in una raccomandazione, di cui la Commissione terrà il massimo conto al momento della revisione del testo costituzionale.

Per quanto riguarda i regolamenti, anche a questo proposito pregherei l’onorevole Preti di trasformare il suo emendamento in una raccomandazione. Come ho detto all’onorevole Codacci Pisanelli, la Commissione esaminerà se sia o meno il caso di specificare esattamente quale debba essere l’ambito della potestà regolamentare del potere esecutivo, se cioè questa potestà vada limitata ai regolamenti di esecuzione o possa, in taluni casi, avere una portata più lata. È questa una questione tecnica che, ripeto, mi pare opportuno rinviare al giudizio del Comitato di coordinamento.

V’è infine l’emendamento dell’onorevole Clerici, nei riguardi del quale la Commissione non è contraria, salvo a esprimere le proprie riserve per quello che si riferisce alla forma, perché è evidente che al Presidente si può attribuire il potere di accordare onorificenze, ma che occorrerà una legge che regoli la materia.

Mi pare di avere così risposto a tutti i presentatori di emendamenti all’articolo 83.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato ora un emendamento, il quale si pone in relazione con il problema che era stato sollevato a proposito dell’articolo 71. L’onorevole Codacci Pisanelli propone che il secondo comma dell’articolo 83 sia sostituito con il seguente:

«Sanziona e promulga le leggi ed emana i decreti legislativi».

Propone poi che sia aggiunto il seguente comma:

«Emana, con suoi decreti, i regolamenti indipendenti e quelli di organizzazione».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Non ho molto da aggiungere, onorevoli colleghi, a quanto è stato già detto a proposito dell’opportunità di non escludere il potere di sanzione del Capo dello Stato. Ma, agli altri argomenti che sono stati addotti al riguardo, riterrei giovevole aggiungerne un altro, che forse non è stato ancora sufficientemente considerato, e cioè che io ritengo che, in fondo, la preoccupazione di non far partecipare il Capo dello Stato alla funzione legislativa non è fondata. È infatti mia convinzione che nella funzione legislativa si debba distinguere l’attività di statuizione da quella di documentazione. In altri termini, il legislatore provvede a dare contenuto e forma alla norma, ma ciò non è sufficiente perché la legge possa dirsi perfetta e perché essa raggiunga i suoi scopi.

Bisogna infatti offrirne ancora un documento, attraverso il quale ognuno possa conoscerla con assoluta presunzione di certezza. Ora, il compiere questo atto è appunto compito precipuo del Capo dello Stato, cui abbiamo infatti attribuito il potere di promulgare la legge. E allora, se noi ammettiamo che il Capo dello Stato, almeno sotto questa forma, almeno esercitando questa attività meno elevata di quella di statuizione, partecipi alla funzione legislativa, tanto vale non rinunziare a quella facoltà che non è già, come taluno ha creduto di rilevare, una caratteristica delle monarchie, ma che invece è funzione peculiare del Capo dello Stato.

Queste dunque le ragioni che aggiungo alle altre già addotte perché non venga esclusa, dalle funzioni del Capo dello Stato, la facoltà di sanzione. Quanto, del resto, ha detto poco fa l’onorevole Relatore, il quale ha parlato a nome del Comitato di redazione, mi sembra confermi l’opportunità di far partecipare il Capo dello Stato alla funzione legislativa, giacché l’onorevole Relatore ha detto appunto di attenersi al criterio di coloro i quali ritengono che il Capo dello Stato possa rinviare alle Assemblee legislative un progetto già votato. Gli diamo in questa maniera una facoltà di controllo, una facoltà di partecipare in fondo, sia pure sotto la sola forma del controllo, all’esercizio della funzione legislativa, intesa pure come attività di statuizione. E allora non ci lasciamo fuorviare dalla preoccupazione che ammettere la sanzione sia mantenere un istituto caratteristico del sistema monarchico; pensiamo, invece, che si tratta di fare in maniera che le tre diverse funzioni statali abbiano un centro di riunione nel Capo dello Stato, e quindi anche la funzione legislativa venga ricondotta al concetto di unità dello Stato attraverso la partecipazione del Presidente della Repubblica non soltanto all’attività di documentazione, ma anche all’attività di statuizione.

E richiamo l’attenzione dei colleghi sulla seconda parte dell’emendamento da me presentato. Anzitutto propongo di scindere le due affermazioni che sono contenute nel comma cui l’emendamento si riferisce. In questo comma si parla dell’emanazione dei decreti legislativi e si parla poi dell’emanazione dei regolamenti. Ritengo opportuno fame due commi distinti: parliamo da una parte dell’emanazione dei decreti legislativi, che rappresentano l’esercizio della funzione legislativa formale; parliamo in un altro comma dei regolamenti, che rappresentano l’esercizio della funzione legislativa in senso sostanziale.

Un onorevole collega che mi ha preceduto ha ritenuto sufficiente parlare di promulgazione ed escludere la parola emanazione. Non sono d’accordo con lui, appunto per le ragioni precedentemente esposte; egli forse non teneva presente che nella funzione legislativa bisogna distinguere l’attività di statuizione da quella di documentazione. Se noi parlassimo semplicemente di promulgazione, escluderemmo il Capo dello Stato dalla parte più importante della funzione legislativa. Se dicessimo semplicemente «promulga i decreti legislativi», ci troveremmo di fronte ad una situazione anomala.

PRETI. Lo diciamo anche adesso.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, lei ha già esposto il suo pensiero.

CODACCI PISANELLI. Comunque, non ritengo sia opportuno sopprimere la parola «emana», in quanto che noi dobbiamo riconoscere nel Capo dello Stato la facoltà non soltanto di documentare, ma anche quella di partecipare alla statuizione della norma, quanto ai decreti legislativi e ai regolamenti.

Finalmente, riguardo ai regolamenti, mi permetto di elencare le diverse categorie.

Il progetto ha, in fondo, una lacuna, perché accenna in genere ai regolamenti, senza precisare a quali regolamenti si riferisce.

È secondo me, senza dubbio, un progresso quello di aver stabilito che i regolamenti possono essere emanati soltanto con decreto del Capo dello Stato. In questa maniera finiamo per escludere i regolamenti ministeriali, ai quali la maggioranza di coloro che se ne sono occupati negli ultimi tempi è recisamente contraria, come può desumersi dalle pubblicazioni delle commissioni che hanno preparato i lavori dell’Assemblea Costituente.

Stabilendo che i regolamenti possano essere emanati soltanto con decreto del Capo dello Stato, noi risolviamo anche, d’altra parte, il grave problema relativo al fondamento della potestà regolamentare, sul quale si è tanto discusso e che nella nostra Costituzione trova un’adeguata soluzione, in quanto si stabilisce espressamente che spetta al Capo dello Stato la potestà regolamentare, la potestà, cioè, di emanare leggi in senso sostanziale per l’esecuzione delle leggi formali, anche in materia non disciplinata dalla legge – e sono questi i regolamenti indipendenti.

Ritengo, infine, che sia opportuno attribuire, come già è avvenuto nel passato, al Capo dello Stato la potestà regolamentare in materia di organizzazione.

Queste sono le ragioni per cui propongo nell’emendamento: anzitutto che la facoltà di sanzionare le leggi sia attribuita al Capo dello Stato, e, in secondo luogo che la potestà regolamentare trovi nella nostra Costituzione sicuro fondamento e adeguata specificazione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Ho già avuto occasione di rendere noto il punto di vista della Commissione riguardo alla forma di partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio del potere legislativo. Secondo la Commissione, non è opportuno attribuire al Capo dello Stato il potere di sanzione della legge. Sanzione della legge significa approvazione della legge. Con questo atto il Capo dello Stato parteciperebbe direttamente ed effettivamente alla formazione della volontà legislativa. Ora questa attribuzione, questa competenza, porterebbe ad una trasformazione di quella figura del Capo dello Stato alla quale la Commissione ha ritenuto di restar ferma e rispetto alla quale mi sembra orientata anche l’Assemblea.

D’altra parte nei limiti in cui l’emendamento presentato dall’onorevole Codacci Pisanelli può rispondere a qualche esigenza, sotto questo aspetto l’emendamento è stato già soddisfatto, in quanto ho dichiarato che la Commissione è favorevole a riconoscere l’opportunità che il Presidente della Repubblica possa avere il potere di rinviare alle Camere una legge già deliberata dalle Camere stesse. Si tratta, sostanzialmente, di un potere di veto sospensivo che alla Commissione sembra sufficiente.

Per quanto riguarda le altre proposte dell’onorevole Codacci Pisanelli, cioè di considerare in due diversi commi i poteri di promulgazione delle leggi e dei decreti aventi forza di legge, e la potestà regolamentare, di questa proposta sarà tenuto conto in sede di redazione definitiva.

Prego l’onorevole presentatore di trasformare in raccomandazione anche la sua proposta riguardante la specificazione del contenuto e dei limiti della potestà regolamentare, perché si tratta di un argomento così tecnico per il quale l’Assemblea non è forse la sede più opportuna.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengono. Onorevole Benvenuti, mantiene i suoi emendamenti?

BENVENUTI. Aderisco al concetto dell’onorevole Tosato, nel senso che è una dichiarazione platonica quella del mio primo emendamento. Comunque, siccome dei poteri effettivi del Presidente si parlerà dopo, ritiro tutti i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene i suoi emendamenti?

COLITTO. Non insisto nel secondo mio emendamento, perché la nuova formula che è stata proposta dalla Commissione implicitamente accoglie tale mio emendamento.

Circa il terzo, poiché si è accolto l’emendamento dell’onorevole Gasparotto, nel quale si dice che il Consiglio supremo di difesa è «costituito secondo la legge», il mio emendamento, in un certo senso, non ha più ragion d’essere.

Non insisto neppure (per quanto a malincuore) sul primo emendamento; ma mi permetto di raccomandare alla Commissione di usare, nella redazione definitiva della norma, una formula meno poetica e più tecnica.

PRESIDENTE. Sta bene. La Commissione ha dichiarato di fare proprio l’emendamento dell’onorevole Caronia, salvo alcuni adattamenti.

Circa l’emendamento dell’onorevole Gasparotto, l’onorevole Perassi ha preparato una formulazione che tiene conto delle votazioni già avvenute, nel senso di sostituire alle parole: «dichiara la guerra», le altre: «dichiara lo stato di guerra». Credo che l’onorevole Gasparotto accetterà questa modifica. Vi è poi la formula: «Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge», che la Commissione ha dichiarato di accettare.

Onorevole Azzi, mantiene il suo emendamento?

AZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Quello dell’onorevole Fuschini viene assorbito dalla formulazione di cui ho dato lettura. L’emendamento dell’onorevole Clerici, salvo la formulazione, è stato accolto dalla Commissione.

Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Mantengo la prima parte relativa alla sanzione.

Quanto alla seconda parte mi rimetto al Relatore, il quale ha detto che terrà presente quanto ho sottolineato in questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene i suoi emendamenti?

PRETI. Per il terzo comma la Commissione ha dato una nuova formulazione che tiene conto delle esigenze da me esposte. Quindi lo ritiro.

Sul primo comma non insisto.

Per quanto riguarda il secondo comma, ho inteso che l’onorevole Tosato lo accetta come raccomandazione. Però non deve allora accettare come raccomandazione quanto ha proposto l’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. E infatti lo ha respinto; più che respingere non poteva fare.

PRETI. L’onorevole Codacci Pisanelli aveva parlato anche di regolamentazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accetteremo la terminologia.

PRESIDENTE. È stato accettato, infine, l’emendamento dell’onorevole Persico.

Possiamo passare ora alla votazione.

Poiché sono stati ritirati gli emendamenti che erano stati presentati ed in parte accolti come raccomandazione dalla Commissione, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 83 nel testo della Commissione:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, tendente ad aggiungere prima di «promulga» le parole «sanziona e». Ricordo che questo emendamento non è stato accettato dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. A. questo comma sarebbe logico far seguire la seconda parte del mio emendamento.

TOSATO. La Commissione ha dichiarato che accetta parzialmente l’emendamento Caronia, in questa formula:

«Può rinviare alle Camere una legge da esse già deliberata per nuovo esame».

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se l’Assemblea vota l’emendamento Caronia, accolto dalla Commissione, fermo restando che non si parla di sanzione, occorrerà evidentemente coordinarlo poi con l’articolo 71, che parla appunto della promulgazione delle leggi e stabilisce il termine in cui devono essere promulgate; e allora dovremo inserire questo potere del Capo dello Stato di un rinvio per riesame. Quindi, per ora votiamo il principio generale. C’è già una proposta dell’onorevole Bozzi all’articolo 71 che voteremo subito dopo. Intanto vogliamo affermare il concetto che questo potere di rinvio, che c’è anche in Francia, è un semplice messaggio perché sia riesaminato il progetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi mi aveva fatto pervenire una proposta di emendamento all’articolo 71 della quale non avevo dato lettura perché eravamo in sede di articolo 83; ma poiché la materia è connessa al contenuto di questo emendamento, ne do ora lettura. L’Assemblea vedrà se non sia opportuno, tenendo conto delle dichiarazioni della Commissione, rinviare anche la votazione di merito a quando esamineremo l’articolo 71, cioè a fra poco, perché ormai siamo giunti alla fine del Titolo.

L’onorevole Bozzi ha proposto la seguente formula:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione. Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Non si tratta adesso di porre in discussione e di votare questo emendamento dell’onorevole Bozzi all’articolo 71: io ne ho dato lettura per sentire sia dall’onorevole Caronia, come dalla Commissione se, ferme restando le assicurazioni dell’onorevole Tosato, non ritengano opportuno rinviare la votazione di merito all’esame dell’articolo 71.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rinviamo.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Avevo proposto un emendamento all’articolo 71 più semplice di quello dell’onorevole Bozzi. L’emendamento suonava così:

«Salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere».

Adottando questa dizione di potrebbe oggi votare il mio emendamento, senza pregiudicare la sostanza di quello che sarà l’articolo 71.

PRESIDENTE. Poiché le cose dette restano e la Commissione ha dichiarato che in linea di principio accede alla sua proposta, forse è opportuno esaminare il suo emendamento in sede di articolo 71.

CARONIA. Non insisto.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Resta ancora l’ultima parte dell’emendamento Caronia che coincide con la proposta dell’onorevole Persico, che la Commissione accetta:

«Può inviare messaggi al Parlamento».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Questa formula diventa il terzo comma dell’articolo in esame.

Passiamo alla votazione del terzo comma del progetto, che diventa quarto, lasciato in sospeso in seguito al giusto richiamo dell’onorevole Caronia:

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma del progetto, che diviene quinto;

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quando sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere».

(È approvato).

Segue il quinto comma – che diviene sesto – in cui bisogna tener conto dell’emendamento Gasparotto che la Commissione ha dichiarato di accettare e dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Azzi. Il testo del quinto comma, con l’emendamento Gasparotto, risulta del seguente tenore:

«Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».

Pongo in votazione la prima parte:

«Ha il comando delle Forze armate».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Azzi, non accettato dalla Commissione.

«e lo esercita in tempo di pace tramite il Minestro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato maggiore della difesa».

(Non è approvato).

Pongo in votazione le parole:

«presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge».

(Sono approvate).

Ed infine pongo in votazione l’ultima parte:

«dichiara lo Stato di guerra deliberato dalle Camere».

(È approvato).

A proposito del comma successivo: «Presiede il Consiglio superiore della Magistratura», gli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Sansone, Preti, Treves, Rossi Paolo, Lami Starnuti, Fiorentino, Pistoia, Barbareschi hanno proposto che la votazione dell’articolo sia rinviata a quando sarà esaminato l’articolo 97 sull’ordinamento giudiziario.

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione accetta.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Può concedere grazia e commutare le pene».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Clerici, accettato dalla Commissione.

«Concede le onorificenze della Repubblica».

(È approvato).

L’articolo 83 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti.

«Può inviare messaggi al Parlamento.

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quanto sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere.

«Ha il comando delle Forze armate; presiede il Consiglio supremo di difesa, costituito secondo la legge; dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

«Può concedere grazia e commutare le pene.

«Concede le onorificenze della Repubblica».

Resta in sospeso la votazione relativa alla presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura e quella relativa al rinvio alle Camere, per un nuovo esame, delle leggi approvate, questione che sarà esaminata in sede di articolo 71.

Dobbiamo ora passare all’articolo 84.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Poiché è stato presentato da altri colleghi un emendamento nella forma dell’articolo aggiuntivo 85-bis, relativamente all’obbligo del giuramento del Presidente della Repubblica, mi parrebbe che questo tema abbia carattere preliminare rispetto alla materia contemplata dagli articoli 84 e seguenti, in quanto integra la figura del Presidente e la sua disciplina, anche in relazione a questo aspetto formale, che è stato ora sottoposto al nostro esame e sul quale dovrà deliberare l’Assemblea.

Se, quindi, l’onorevole Presidente convenisse nell’ordine di graduazione che io sottopongo, il tema del giuramento dovrebbe precedere quello dello scioglimento delle Camere.

PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, abbiamo la consuetudine di esaminare gli articoli aggiuntivi sempre in fine del Titolo, salvo a dar loro una collocazione opportuna. Non vedo in che cosa la facoltà da concedersi al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere stabilita nell’articolo 84, possa essere subordinata al fatto che egli presti o meno il giuramento. Non vedo il nesso logico.

DOMINEDÒ. Non c’è nessuna subordinazione, lo riconosco io per il primo, ma mi parrebbe che risolvere il problema del giuramento attenga alla definizione preliminare e compiuta della figura del Presidente. È una questione d’ordine formale, non logico.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario, salvo la osservazione che la proposta di emendamento da parte dell’onorevole Perassi e dell’onorevole Mortati, alla quale lei evidentemente si riferiva è recentissima, ed i colleghi quindi non ne hanno avuto conoscenza. Se la mettessi in discussione ora, giustamente qualcuno potrebbe chiedere la sospensione della seduta per poter esaminare l’emendamento, mentre ciò che attiene all’articolo 84 è da lungo tempo noto ed è stato quindi certamente esaminato dai deputati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Molto probabilmente la questione del giuramento solleverà meno difficoltà e, quindi, non ho ragione di oppormi alla richiesta dall’onorevole Dominedò.

PRESIDENTE. Se nessuno si oppone alla proposta dell’onorevole Dominedò do lettura dell’articolo 85-bis presentato dagli onorevoli Perassi e Mortati:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione avanti le Camere riunite».

Sullo stesso argomento è stato presentato un altro articolo aggiuntivo a firma degli onorevoli: Clerici, Bozzi, Uberti, Fuschini, Avanzini, Micheli, Malvestiti, Cremaschi Carlo, Ferrari, Alberti, Ambrosini, Titomanlio Vittoria, Firrao, Colombo Emilio, Salizzoni, Marconi, Coppi, Cappelletti, Guerrieri Emanuele, De Caro Gerardo, Chatrian, Benvenuti, Zuccarini, Nenni, Rossi Paolo, Treves, Preti, Crispo, Persico, Costantini, Tonello, Corbino, Carpano Maglioli, Gasparotto, Maffi, Laconi, Gullo Fausto, Vernocchi, Della Seta, Azzi, Perrone Capano e Reale Vito:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere l’ufficio, presta giuramento di fedeltà alla Costituzione davanti alle Camere riunite».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo.

PERASSI. Com’è noto, la questione del giuramento è rimasta riservata, nel senso che l’Assemblea Costituente avrebbe esaminato caso per caso quali sono gli organi per i quali il giuramento è prescritto.

Si pone ora il problema per il Presidente della Repubblica. Le formule proposte in parte coincidono; vi è però una differenza nella formulazione. Nel testo presentato dal collega Mortati e da me si dice che: «il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione», anziché limitarsi a dire: «giura fedeltà alla Costituzione». Ci sembra che la formula da noi proposta sia preferibile.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici, che è il primo firmatario del secondo articolo testé letto, ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. È questione di forma. Mi associo a quello dell’onorevole Perassi, e ritiro il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, qual è l’avviso della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta il testo Perassi-Mortati.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Questa proposta, che non è stata pubblicata e che è stata presentata all’ultima ora, mi ha sorpreso. Vi è proprio bisogno di mettere l’obbligo del giuramento nella Costituzione?

Io sono venuto qui, in questa Assemblea, con l’idea che le vecchie formule fossero in gran parte abolite. Trovo che aumentano ogni giorno. Nessuna monarchia ne ha abusato da noi, come se ne incomincia ad abusare oggi. Vi sono già tante cose che abbiamo ammesso; abbiamo ammesso anche che il Presidente della Repubblica può accordare decorazioni, che non esistono, nella previsione che si creino in avvenire. Abbiamo tanto desiderio di fare decorazioni? Ed allora, perché avete ammesso questa cosa inutile ed assurda? Se si dovranno concedere delle decorazioni, sarà la Camera che deciderà se il Presidente può accordarle, ed in quale forma. (Commenti).

Adesso, si propone l’inutile aggiunta del giuramento del Presidente della Repubblica. Quanto tempo abbiamo perduto in quest’Aula per parlare dei vari giuramenti da istituire per il Capo provvisorio dello Stato! Non ho mai sentito tanti discorsi sul giuramento. Sentite proprio il bisogno di determinare questa materia? Sentite proprio il bisogno di stabilire se e come deve giurare il Presidente della Repubblica?

Non lo avete sentito questo bisogno, tanto è vero che ve ne venite all’ultima ora con questa proposta.

Io vi prego di sopprimere questa parte e di rinunciare al giuramento.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

ROSSI PAOLO. Mi duole di non poter condividere il parere espresso dall’illustre Presidente Nitti, ma ormai abbiamo messo il giuramento nella Costituzione, e non so perché il Capo dello Stato, che dovrebbe ricevere il giuramento dei Ministri, non dovrebbe a sua volta prestarlo!

Il messaggio cristiana: «Nolite jurare, sia la vostra parola: sì, sì; no, no» è un alto messaggio e ne sentiamo il valore, ma indubbiamente non si può concepire che proprio il Capo dello Stato, il quale riceve il giuramento altrui, sia esonerato dal prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione.

Abbiamo certamente abusato, per il passato, del giuramento. Per esempio, il giuramento dei professori universitari, che è rimasto adesso soltanto per i professori delle scuole medie, era una cosa assurda. Pretendere il giuramento di fedeltà da parte di un professore per consentirgli il diritto di insegnare greco, o astronomia, o anatomia comparata, è una cosa assurda. Ma non è assurdo affatto che giuri, nella forma più solenne, fedeltà alla Costituzione, il Capo dello Stato.

Se escludessimo il giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alla Repubblica del Capo dello Stato, faremmo una Costituzione anomala. Non ci sono, ch’io mi sappia, né Costituzioni monarchiche, né Costituzioni repubblicane, né Costituzioni moderne, né Costituzioni antiche, che non prevedano questo atto formale e solenne di dichiarazione di fedeltà del Capo dello Stato alla Repubblica, o alla monarchia se c’è la monarchia, e comunque alla Costituzione ed alle leggi fondamentali che reggono lo Stato.

Per queste ragioni, io e il mio Gruppo voteremo a favore del giuramento.

GULLO FAUSTO. Non dimenticate che è il Capo supremo delle Forze armate!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Perassi:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione avanti le Camere riunite».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 84. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere».

PRESIDENTE. Ricordo che l’onorevole Benvenuti ha già svolto il seguente emendamento, in sede di articolo 83:

«Sostituire col seguente:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere.

«Promuove, ogni qual volta lo ritenga del caso, azione di incostituzionalità delle leggi, decreti e regolamenti che vengano proposti alla sua firma.

«Presiede il Consiglio superiore della magistratura e nomina con decreto, su designazione del Consiglio stesso, i magistrati.

«Nomina i funzionari della Presidenza della Repubblica.

«I poteri di cui al presente articolo sono esercitati dal Presidente della Repubblica in via di prerogativa: per la loro validità non è necessaria la controfirma del Primo Ministro, né dei Ministri».

L’onorevole Dominedò ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: può, aggiungere le parole: in via di prerogativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Eccomi pronto a dare ragione dell’emendamento proposto all’articolo 84. In queste norme del progetto di Costituzione, il potere del Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento delle Camere è contemplato indiscriminatamente, indifferenziatamente, rispetto agli altri poteri del Capo dello Stato contemplati nell’articolo precedente dello stesso progetto.

Penserei allora che in un tema di tale importanza, il quale veramente deve servire a collocare il Capo dello Stato al vertice dell’ordine costituzionale che stiamo costruendo, ponendolo nella sua veste di tutore e custode della Costituzione al di sopra del Parlamento attraverso la potestà di scioglimento, penserei, dicevo, che nell’esercizio di tale funzione debba adottarsi quella particolare configurazione giuridica per cui, in sede costituzionale, convenga parlare di poteri spettanti al Capo dello Stato «in via di prerogativa», nel senso di un potere proprio, esclusivamente pertinente. Se poi, allo scopo di meglio differenziare questa ipotesi dalle mere funzioni di carattere personale, si volesse adottare un’altra formula, in luogo di quella del «potere in via di prerogativa», ripetuta dalla Costituzione estone e da altri testi, si potrebbe forse preferibilmente parlare di «potere autonomo» o «potere esclusivo», inerente all’organo piuttosto che alla persona.

Qualora si riuscisse così a configurare questo potere del Capo dello Stato, esclusivamente ad esso spettante, la conseguenza sarebbe la seguente: che l’atto compiuto dal Capo dello Stato, nell’esercizio nel potere conferitogli nella così detta via di prerogativa, non avrebbe bisogno, agli effetti della validità giuridica e costituzionale, della controfirma del Primo Ministro ed in genere del Governo.

La ragione che ispira l’emendamento è pertanto essenzialmente quella di attribuire nella sua pienezza questo potere di risolvere i conflitti con le Camere, nel caso in cui la volontà del Parlamento risulti in antitesi con la coscienza del paese, poiché un potere di scioglimento delle Camere, il quale sia legato agli effetti della sua validità alla necessità essenziale della controfirma dello stesso Governo promanante dalle Camere sciolte, finirebbe per essere mutilato nel momento stesso in cui lo si formula. L’articolo 84 va quindi visto in stretta connessione sia con il primo comma dell’articolo 85, il quale subordina la validità degli atti compiuti dal Capo dello Stato alla controfirma dei Ministri competenti, sia col secondo comma dello stesso testo, relativamente alla materia della responsabilità, sulla quale si dovrà altrove tornare.

È perciò che, laddove l’emendamento proposto dovesse essere accolto, bisognerebbe correggere conseguentemente il primo comma dell’articolo 85 in questi termini: «Gli atti compiuti dal Capo dello Stato, tranne quelli nell’esercizio del potere in via di prerogativa, non sono validi se non controfirmati dal Primo Ministro e dai Ministri competenti». E altrettanto dovrebbe logicamente dirsi per il problema della responsabilità politica, non essendo più invocabile un principio di irresponsabilità per gli atti non coperti dalla firma del Governo.

Pare che queste previe enunciazioni di principio servano a porre in evidenza il significato giuridico da un lato, e quello politico dall’altro, di una proposta mirante in definitiva a quella finalità ultima che può dirsi della elevazione di prestigio e del rafforzamento di potere del Capo dello Stato, onde rendere storicamente attuabile il suo compito di supremo moderatore della Costituzione. Probabilmente, una proposta di tanto rilievo potrebbe essere contemperata da una eventuale delimitazione della potestà di scioglimento. Forse la potestà di scioglimento, spettante in via di prerogativa con le caratteristiche e gli effetti sin qui delineati, potrebbe ad un tempo essere circoscritta, venendo ricondotta a determinate condizioni, collegata a determinati limiti. È perciò che altri colleghi si riservano di studiare questo delicato punto, per sottoporre all’Assemblea possibili emendamenti riguardanti una delimitazione del potere di scioglimento: in questo caso, tali emendamenti costituirebbero quasi la naturale contropartita dell’accresciuto potere presidenziale a seguito della qualificazione in via di prerogativa.

Richiamando, quindi, i precedenti costituzionali testé citati e tenendo presente un complesso di finalità che attengono insieme all’ordine giuridico ed all’ordine politico, oserei ritenere che se l’Assemblea entrasse nell’ordine di idee di valutare l’opportunità di dare nuova configurazione a questo potere centrale di scioglimento, vera chiave di volta della nostra costruzione costituzionale, si riuscirebbe nel duplice intento di rafforzare la posizione del Capo dello Stato, e di inquadrarne insieme la figura in quei principî che abbiamo voluto preservare, muovendoci nell’orbita del Governo parlamentare e non del Governo presidenziale.

Poiché sia ben fermo che, anche configurando il potere di scioglimento nel quadro dei poteri spettanti nella così detta via di prerogativa, non si altererebbe concettualmente la struttura costituzionale che l’Assemblea ha prescelta come la più rispondente in Italia all’attuale momento storico. Noi infatti ci muoveremmo sempre nell’orbita di un regime parlamentare e non presidenziale, se è vero che il Presidente non si sovrapporrebbe all’esecutivo, bensì sarebbe solamente investito di questa funzione centrale, ma delimitata e circoscritta, proprio allo scopo di ristabilire l’equilibrio fra i poteri dello Stato, dimostrandosi così l’autentico moderatore della Costituzione, capace di riavvicinare il Parlamento al paese e di dirimere il conflitto con un Governo non più rispondente alle esigenze della coscienza comune.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole. Colitto:

«Alle parole: sciogliere le Camere, sostituire: sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Questo emendamento mira a rendere più chiara la dizione dell’articolo.

Io mi sono domandato: può il Capo dello Stato sciogliere anche una soltanto delle Camere? Se a questo interrogativo possiamo rispondere affermativamente, è opportuno formulare la norma in guisa che nessun dubbio sorga in proposito.

Ho perciò proposto la seguente formula: «entrambe le Camere o anche una sola di esse». Non trovo tuttavia alcuna difficoltà ad abbandonare eventualmente questa formula e ad accettarne qualsiasi altra, che potrà, secondo la Commissione, rendere meglio il concetto da me espresso.

Osservo peraltro che la formula da me proposta è stata già usata in altre norme di questa Costituzione e si trova adottata anche in molte disposizioni del Codice penale e nelle leggi, che attualmente la Commissione dei Settantacinque sta esaminando, di riforma di alcune parti del Codice penale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«Aggiungere il seguente comma:

«In tale caso i poteri delle Camere non sono prorogati fino alla riunione delle nuove».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Noi abbiamo, nell’articolo 58 già approvato, stabilito che i poteri delle Camere sono prorogati sino alla riunione delle Camere nuove. Ma questa facoltà noi l’abbiamo vista in rapporto alle Camere le quali si sciolgano per compiuto termine. Qui viceversa l’ipotesi è completamente diversa, giacché qui ci troviamo di fronte a Camere che sono sciolte in virtù di un provvedimento eccezionale.

Ora, se nell’ipotesi dell’articolo 58 ci trovavamo di fronte a Camere che avevano regolarmente svolto la loro azione, per cui sembrava opportuno che ad esse fosse concessa una proroga delle loro funzioni fino alle Camere nuove, viceversa la posizione contemplata dall’articolo 84 è, come ho detto, completamente diversa, perché noi prorogheremmo delle Camere che il Capo dello Stato ha ritenuto non poter funzionare. Quindi, abbiamo una contraddizione in termini, perché, da un lato, abbiamo delle Camere che non possono funzionare; dall’altro, abbiamo la proroga dei poteri delle Camere stesse.

Dal punto di vista poi dell’opportunità, io mi domando come si pensa che potrebbero funzionare queste Camere che si trovassero di fronte ad un decreto di scioglimento e quali si pensa che sarebbero i loro rapporti con l’esecutivo. È evidente che non potrebbe determinarsi se non un gravissimo attrito, uno stato di fatto molto pericoloso e molto grave.

Mi sono permesso quindi di presentare un emendamento con il quale, in caso di scioglimento delle Camere, tale proroga non avvenga come viceversa avviene regolarmente per l’articolo 58, quando le Camere abbiano regolarmente funzionato e si siano sciolte per compiuto termine.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:

«Aggiungere il seguente comma:

«Allo scioglimento delle due Camere seguirà l’elezione del Presidente della Repubblica da farsi entro sei mesi dalla elezione delle Camere stesse».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Vi rinunzio, onorevole Presidente. Avrei infatti mantenuto l’emendamento se fosse stata stabilita la nomina del Capo dello Stato a suffragio diretto dei popolo, giacché scopo dell’emendamento stesso era quello di frenare l’eventuale strapotere del Presidente della Repubblica; ma, dopo l’approvazione dell’articolo 79 nel senso che tutti sanno, non vi è più questa necessità.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Costantini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 84 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTANTINI. Io penso, onorevoli colleghi, che lo spirito che ci anima nel presentare questi emendamenti sia sostanzialmente il medesimo, da qualunque parte essi provengano. In sostanza, lo spirito, che mi ha determinato a presentare l’emendamento testé letto, è quello di evitare pericoli che noi oggi possiamo solo temere, perché l’avvenire è sulle ginocchia di Giove. Per disgrazia, abbiamo il ricordo e l’esperienza del passato che ci inducono a molta prudenza.

Dalla semplice lettura di questo articolo, che siamo chiamati ad approvare, cioè dell’articolo 84, noi rileviamo che il potere concesso, o in via di concessione, al Presidente della Repubblica, è enorme. Badate: il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. E non si parla – perché non è possibile fare una casistica – delle ragioni che possono determinare o imporre un provvedimento di questo genere. Si dice «può», e non si dice altro, perché altro non si può dire.

E allora, nella tema che in un prossimo o magari lontano avvenire vi sia un Presidente della Repubblica il quale abusi dei suoi poteri e sciolga le Camere, quando le Camere non dovrebbero essere sciolte, che cosà dobbiamo fare? Io penso che, sostituendo – non sarà una formula prefetta – a quel «sentiti i Presidenti», il consenso dei Presidenti delle due Assemblee legislative, noi avremmo, anziché la responsabilità, la iniziativa individuale del massimo rappresentante della Repubblica ed anche quella di coloro che, col consenso delle Assemblee legislative, rappresentano le Assemblee stesse.

È una garanzia che io propongo sia stabilita per tutelare, nelle forme che sono consentite alle nostre umane possibilità, questa democrazia che abbiamo ottenuto con tanta fatica e che dobbiamo custodire con ogni diligenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento, da porre in votazione, secondo il proponente, solo nel caso che l’articolo sia approvato nel testo del progetto:

«Aggiungere il seguente comma:

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

L’onorevole Laconi non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Io mi ero proposto di prendere la parola sull’articolo 85 o sull’articolo 86 ma, per essere interamente sincero, onorevole Presidente, dirò che nel mio proposito vi sarebbe una specie di dichiarazione di voto che vale per tutto il passato e per tutto l’avvenire; quindi, questo riassunto sintetico del mio pensiero di prima e di poi sarebbe tutto a vantaggio del lavoro dell’Assemblea. E volevo scegliere, come ho detto, l’articolo 85 o l’articolo 86, dove si pone un quesito che mi pare insoluto e fondamentale, cioè a dire: questo Governo della futura Costituzione che rapporti avrà con il Presidente, Capo dello Stato? È un problema che credo non risoluto ed è fondamentale, poiché è quello da cui si qualifica la forma di Governo che si vuole adottare.

Dico che avrei preso argomento da uno di questi due articoli per una motivazione di voto verso il passato e verso l’avvenire, cioè per spiegare la scarsa mia partecipazione ai lavori finora diretti alla creazione della nuova Costituzione e quella, temo, egualmente scarsa, ai lavori futuri. Ricordo, dunque, che io nella grande discussione generale manifestai dei concetti di carattere fondamentale che ebbero la sfortuna, o meritarono, diremo più modestamente, la sfortuna, di non essere accolti, di essere radicalmente disattesi. Io ne prendo atto con doverosa modestia, ma spiego la scarsezza della mia cooperazione per il fatto stesso che il dissenso cade su quello che è lo spirito fondamentale, e non riguarda una differenza analitica su questa o su quella espressione, ma su tutte le parti essenziali di questa costruzione di diritto pubblico. In tal caso, non ci si può mettere d’accordo! È come parlare due lingue diverse reciprocamente incomprese!

Ora, uno dei punti più gravi del mio dissenso è stata la esautorazione completa di questo futuro Capo dello Stato repubblicano. Si direbbe che si tratti quasi di una specie di sfiducia anticipata, di un sospetto continuo verso l’abuso dei poteri concessi, onde sono considerevolmente ridotte le attribuzioni del Capo di Stato quali spettano ordinariamente nei regimi monarchici. Or, tutti ricorderanno lo spirito satirico onde, precisamente a causa di questa scarsezza di poteri, era stato attribuito ai re costituzionali l’appellativo di «re travicello». E tenete conto che v’era di mezzo il rispetto verso la maestà del re!

Ora, io mi domando quali epiteti saranno riservati a questo futuro Presidente di Repubblica al quale si trasferiscono i poteri che prima erano pertinenti al Capo dello Stato monarchico e per cui quegli era ritenuto «un travicello», ma si trasmettono in una misura ancora più ridotta! Si può dire che non rappresenti più nulla!

Ora, con questa convinzione che io avrei voluto illustrare a proposito del coordinamento della responsabilità di cui all’articolo 85 e dei poteri del Governo o Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 86, non mi sarei però davvero aspettato che mi si fosse data occasione di intervenire per il motivo inverso, cioè per lo scioglimento della Camera per quanto qui si parli di scioglimento delle due Camere, mentre lo Statuto albertino non si riferiva né poteva riferirsi che solo ad una; il quale scioglimento contemporaneo fa una certa impressione, e desta qualche preoccupazione.

Ma comunque è un’attribuzione che è talmente nell’interesse del funzionamento della Costituzione e della politica di un Paese, che non saprei comprendere come si possa prescinderne.

Ma vi è il mio amico e collega (vorrei dire discepolo) a cui ho voluto e voglio tanto bene e verso cui professo tanta stima, l’onorevole Dominedò, che nientedimeno ne farebbe un potere personale! Perché, badiamo bene: la formula è in via di prerogativa. L’espressione «prerogativa», che ci viene dalla Costituzione inglese, indica un potere non attribuito alla persona, ma attribuito solo in quanto funzionario, sia pure supremo, sia pure organo rappresentante della sovranità dello Stato. Ma, l’onorevole Dominedò nello specificare che il potere di scioglimento è conferito in via di prerogativa avverte che si tratta di una ipotesi diversa ed anzi contrastante e cioè come potere autonomo, esclusivo e quindi eccezionale: in una parola, personale.

Ora io mi ricordo che come deputato, ma prima come professore, ho sostenuto quella lotta nel campo scientifico (che poi fu superata perché nessuno più ne dubitò) sulla questione: se fossero potute rimanere delle attribuzioni del Capo dello Stato che non avessero carattere di prerogativa, perché tutte le attribuzioni del Capo dello Stato erano prerogative, cioè a dire non erano conferite alla persona ma bensì all’organo come rappresentante la sovranità dello Stato.

La questione fu sollevata da prima dai costituzionalisti francesi della monarchia di luglio, e, per verità, in questa categoria di diritti personali rimasti al re cui si dava il titolo di maiestatici, si comprendeva lo scioglimento della Camera. Ma questa speciale estensione non fu presa molto sul serio; si continuò invece a ridurre siffatti diritti pretesi maiestatici a questi due ordini di attribuzioni: il diritto di grazia e i titoli nobiliari. Questa opinione ebbe qualche rappresentante in Italia, nei primi tempi sotto l’impero dello Statuto albertino, limitatamente dunque alla grazia ed agli ordini nobiliari.

Qualcuno diceva: queste attribuzioni sono ancora di natura personale, residui dei diritti propri dei monarchi, senza alcun concorso di altri organi costituzionali. Quando il re fa la grazia, la fa come persona, non la fa in quanto rappresenta lo Stato e quindi in quanto prerogativa nel loro senso costituzionale. E così pure i titoli nobiliari. Per i titoli nobiliari vi sarebbe stata una maggior ragione, perché quella competenza si collegava con una tradizione secondo cui il conferimento del titolo era atto di personale volontà del Sovrano collo stesso titolo specifico delle monarchie assolute e lo Statuto albertino aveva detto che questo diritto si manteneva nella sua figura storica. Ciò malgrado, noi giuspubblicisti della nuova scuola ci rifiutammo di ammettere queste interpretazioni. E questa era democrazia, come la intendevamo verso il 1890, onde ora dovrei passare per un estremista. Abbiamo detto: nient’affatto; il Capo dello Stato della monarchia, secondo lo Statuto albertino, non ha nessun potere personale; tutti i suoi poteri sono esercitati in quanto rappresentante dello Stato e tutti sottoposti al principio generale della responsabilità ministeriale. E queste tendenza prevalse perché la grazia fu sotto la controfirma del Ministro Guardasigilli e gli ordini nobiliari furono sotto la generale competenza del Primo Ministro e Ministro dell’interno attraverso la Consulta araldica, come ufficio dipendente dalla Presidenza del Consiglio.

Ora dobbiamo fare questo po’ po’ di passo retrogrado nel senso, che sessanta anni fa ci sembrava antidemocratico, antiliberale, di riconoscere un potere personale, vuol dire un potere per cui non si risponde, non più nel re ma nel Presidente della Repubblica! Per verità a me pare che questa semplice esposizione storica dimostra l’assoluta impossibilità di aderire a quella proposta.

DOMINEDÒ. Ma noi ci riserviamo di toccare il problema della responsabilità quando esamineremo il secondo comma dell’articolo 85.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Nelle cose dette dal mio amico Dominedò vi è una parte in cui sono disposto a consentire, cioè in quanto egli trova, quasi come in una extrema ratio, finalmente un mezzo di assicurare l’autorità di questo Presidente: autorità di tanto ridotta se non addirittura demolita. Ben poco gli è rimasto anche in confronto del potere del Capo dello Stato monarchico.

Ha, sì, il comando delle forze di terra e di mare, ma poi, viceversa, l’attività militare ritorna al Governo come Ministero della guerra o comandi di Stato maggiore, che non dipendono da lui o almeno non risulta che dipendano da lui, e ciò anche a prescindere dal particolare prestigio di un re che era pure, o si presumeva che fosse, un tecnico rivestito di gradi militari.

Ora a proposito di un siffatto Presidente della Repubblica, siccome esautorato, l’amico Dominedò trovava che effettivamente non inquadra in questa esautorazione questo potere di scioglimento delle Camere che realmente ha una portata almeno simbolicamente grandissima; onde, per rafforzare sempre più quell’autorità, pensava di attribuirla in quella forma eccezionale.

E, in verità, nel senso di questa tendenza, io potrei consentire, perché penso io pure che eccessiva è stata la riduzione di quell’autorità. Per esempio, gli si è levata l’iniziativa. Or nell’iniziativa si afferma per di più la natura giuridica del Capo dello Stato e si giustifica l’intervento dell’autorità di esso come di colui che stando al vertice della vita di un popolo deve avere la sensibilità più acuta e più pronta di un bisogno nel campo della politica, del diritto, dell’economia del Paese. Gli avete pure tolto la sanzione. Lo avete escluso dal potere legislativo. Non gli appartiene il potere giudiziario, e questo è naturale. Io non so più se gli spetta il potere esecutivo. E quando dovesse discutersi qualcuno degli articoli relativi a questo argomento vi parteciperei, per manifestare, almeno, i miei dubbi. Ed allora è naturale la domanda: cosa ci sta a fare? E si risponde: ha il potere di sciogliere le Camere. E l’onorevole Dominedò acutamente pensa che nel giusto intento di rinforzarne l’autorità gioverebbe di attribuirgli quella competenza come un diritto personale, non in quanto è il rappresentante della sovranità dello Stato, ma si chiami, non so, oggi Enrico De Nicola, o domani non so chi altro, poiché non intendo fare pronostici in questa delicata materia, mentre l’affidarsi a una persona dovrebbe soprattutto dipendere dalla fiducia verso quella data persona. Or, vedete, questo potere che per se stesso è indubbiamente grave, può diventare minaccioso tanto più quanto meno poteri gli avete dato. (Approvazioni).

Abbiamo tutti vissuto questa vita parlamentare d’Italia. Ricordate un caso in cui si sia fatta la grossa questione politica di fronte ad uno scioglimento, come determinato da intenti di sopraffazione politica? Io non me ne ricordo. Io non me ne ricordo e credo di poterlo escludere perché tutto il congegno dei meccanismi parlamentari rendeva poco facile che il potere esecutivo ricorresse a quell’atto violento. Poiché è violento; come negarlo? È un atto di volontà di un individuo che soverchia e dissolve la rappresentanza della Nazione. Ma è tanto meno possibile di negare questa competenza al Presidente della Repubblica, quanto più grave mi appare quella esautorazione. Ma, fermato questo punto, che vi sia da parte della prima Camera della Repubblica d’Italia, che vuole riaffermare la democrazia nel suo senso più ampio, la dichiarazione con cui si attribuisce ad un organo dello Stato un potere personale sottratto alla responsabilità, mi sembra una cosa veramente così straordinaria che per mio conto non saprei prestare il mio assenso, poiché ne resterebbe profondamente turbato tutto lo spirito della Costituzione. Io che mi dolgo che l’autorità del Capo dello Stato sia stata di tanto sminuita, vi dico la verità, di fronte a questo potere che lo fa diventare una specie di sovrano assoluto, resto perplesso. Lasciatelo sotto la responsabilità, ed allora va bene. Non si possono conciliare due cose incompatibili. Se il potere è personale, vuol dire che non se ne risponde. È una forma, sia pure limitata, di potere assoluto e quindi in perfetta contradizione con quello spirito democratico di cui l’Assemblea si è dimostrata animata. Il pericolo è appunto l’esautorazione del potere esecutivo. Occorre un rafforzamento del potere esecutivo ed io vorrei arrivare all’elezione popolare, appunto per rafforzarlo. Ma, tornando al punto di partenza, credo, ciò malgrado, che sia radicalmente contrastante con lo spirito democratico il riconoscere un potere personale. (Vivi, generali applausi).

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, mi trovo confuso di dover parlare dopo un maestro come l’onorevole Orlando, alle cui osservazioni dichiaro subito di acconsentire pienamente. Parlo però anche per dichiarazione di voto, per aggiungere, mi illudo, una postilla (non è che una diretta conseguenza, postilla, dicevo, e corollario di quello che ha già prospettato l’onorevole Orlando). Chiedo all’onorevole Dominedò, al caro ed illustre collega Dominedò, come mai può congegnare il suo emendamento che, in sostanza, porterebbe all’assurdo di un Presidente della Repubblica che senza, ed eventualmente contro, il parere del Primo Ministro e dei Ministri, scioglie le Camere. Ed allora io gli chiedo come mai si può inquadrare giuridicamente questo fatto con le due disposizioni, che sono nell’articolo 85, per cui da una parte il Presidente della Repubblica non deve rispondere dei suoi atti; e dall’altra ciascun suo atto non è valido se non è controfirmato dai Ministri.

Qui invece avremmo un atto non controfirmato da alcun Ministro e del quale quindi nessuno dei Ministri risponde, mentre non ne risponderebbe del pari neppure il Presidente della Repubblica. E allora pongo quest’altro interrogativo all’onorevole Dominedò: E se, come può avvenire, il Paese, nella duplice elezione dei senatori e dei deputati, decidesse poi contro il Presidente della Repubblica che sciolse la Camera, che cosa succederebbe? Normalmente succedeva, secondo l’antica prassi, che era vera legge costituzionale, questo: il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, che avevano sottoscritto e assunto la responsabilità dello scioglimento della Camera, rispondevano essi dell’atto politico e davano le dimissioni. In questo stava la sanzione per l’atto disapprovato dal Paese. Secondo l’emendamento Dominedò, invece, avremmo il Presidente della Repubblica che non risponde non solo alle Camere ma neppure al Paese sovrano, che lo ha sconfessato. Allora capiterebbe con ogni probabilità quel fatto, straordinario, che si è verificato in Francia nel 1878, allorquando il Presidente MacMahon sciolse la Camera sul parere del Duca De Broglie, Presidente del Consiglio; ed il popolo rispose rimandando al Parlamento coloro che erano stati sciolti e che si erano coalizzati fra loro. Si arrivò così al famoso dilemma di Leone Gambetta: sottomettersi o dimettersi; ed a seguito di ciò MacMahon dovette dare le dimissioni, benché istituzionalmente ciò fosse escluso dalla Costituzione di recente votata. Il fatto fu talmente grave che da allora nessun Presidente della Repubblica sciolse più la Camera. Quindi, e, meglio ancora, nessun Presidente del Consiglio osò più chiedere il provvedimento. E con la disposizione dell’onorevole Dominedò noi introdurremmo nella Costituzione un principio assurdo, perché avremmo un Presidente della Repubblica che non risponderebbe di ciò che esso facesse di sua testa e quindi con la sua esclusiva ed espressa responsabilità; un principio per di più che sarebbe fomite di disordini.

DOMINEDÒ. C’è la riserva. Il problema resta aperto.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Svolgimento di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha fatto sapere di essere pronto a rispondere alle due seguenti interrogazioni presentate ieri sera con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati presi dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica allo scopo di proteggere i porti e gli aeroporti italiani, e particolarmente quelli meridionali, dal pericolo di una estensione dell’epidemia colerica che in atto colpisce i porti dell’Egitto.

«Caronia, Dominedò».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti o quali misure cautelari e preventive siano stati emesse o si emetteranno per evitare che navi provenienti dall’Egitto possano provocare casi di colera in Napoli e dintorni; considerando a tal fine il forte agglomerato urbano di Napoli e le condizioni veramente pietose degli ospedali cittadini che non possono dare – nonostante gli sforzi di dirigenti e personale – alcuna garanzia alla cittadinanza stessa.

«Sansone».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Secondo precise indagini esperite dagli organi centrali e periferici dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, risulta che, prima ancora della presentazione delle due interrogazioni e prima ancora della comunicazione ufficiale da parte del Governo egiziano dell’avvenuta epidemia di colera in quello Stato, erano state disposte dall’Alto Commissariato stesso tutte le misure del caso, per impedire contagi negli aerodromi ed aeroporti, dove fanno scalo gli aerei provenienti dall’Egitto.

Secondo disposizioni, che rispondono alle vecchie convenzioni internazionali, aggiornate, si è stabilito che l’atterraggio degli aerei provenienti dall’Egitto e l’approdo delle navi ai porti sono ammessi soltanto in particolari zone attrezzate allo scopo. I passeggeri e gli equipaggi in arrivo sono sottoposti a particolari visite, intese ad accertare eventuali infezioni o malattie, conformemente a una procedura ormai acquisita.

Sta in fatto che fino ad oggi non è stato accertato in queste visite nessun caso di colera. Ed è stato disposto che, qualora sia accertata la presenza di infermi, affetti o sospetti di infezione colerica, essi vengano sbarcati con particolari cautele e ricoverati in appositi locali di isolamento; e che tutto il personale esistente a bordo dei mezzi di trasporto sia, in tale evenienza, sottoposto alle prime misure di profilassi e tenuto in particolare stato di contumacia.

Per quanto riguarda l’arrivo di merci da parte dell’Egitto, è stata impartita una disposizione in base alla quale è vietata l’importazione di prodotti orticoli, mentre gli oggetti di biancheria e di abbigliamento sono sottoposti a particolare trattamento, che dà garanzia di non portare il contagio.

Inoltre è stato disposto per la vaccinazione anticolerica degli equipaggi e dei passeggeri delle navi e degli aerei diretti in Egitto o provenienti dall’Egitto, nonché di tutto il personale di bordo che sta a contatto con le persone viaggianti. Infine è stato richiesto alle autorità comunali di intensificare le misure per impedire l’accesso a bordo di questi mezzi da parte di estranei.

Aggiungo, per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole Sansone, che a Napoli vi è un ospedale di isolamento, attrezzato per il trattamento di contumacia, nel caso si verificasse la dannata ipotesi cui fanno cenno le due interrogazioni. Mi auguro che questo rimanga del tutto in stato di previsione e che non occorra mettere in atto quanto è stato predisposto.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CARONIA. Mi dichiaro sodisfatto in parte delle assicurazioni dell’onorevole Andreotti.

Egli ci fa sapere che sono state messe in opera tutte le norme di profilassi abituali per proteggere la Nazione da una eventuale epidemia. Ma viviamo in un periodo speciale e non dobbiamo contentarci dei provvedimenti abituali, che valgono solo in tempi normali. Occorrono ben altri provvedimenti, che io prospetto alla Presidenza del Consiglio, perché essa possa, a sua volta, passarli alle autorità competenti.

È a tutti noto che si esercita in questo periodo un contrabbando intensissimo, attraverso le vie del mare. Sono piccoli piroscafi, barche, zattere, che dalle nostre spiagge portano materiale prezioso per la nostra alimentazione (bestiame, grano ed altri cereali) in regioni dell’Africa, dell’Albania, dell’Egitto, e viceversa dall’Egitto, dalle altre coste Africane, dalla Grecia, in maniera incontrollata, portano altre materie, non necessarie, alle nostre spiagge, non ai porti, ma alle spiagge deserte. È opportuno che, sia per ragioni economiche sia per ragioni igieniche, si intensifichi la sorveglianza su questa forma di contrabbando, affinché con il traffico incontrollato non si introducano ospiti indesiderabili e non s’introducano e non si propaghino infezioni contagiose, quale il colera, assai temibili per il nostro paese. Insisto che la Presidenza deb Consiglio si faccia zelante presso le autorità competenti per ovviare non solo al danno della nostra economia ma anche al pericolo per la salute del nostro popolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Sansone ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SANSONE. Prendo atto di quanto ha dichiarato il Sottosegretario alla Presidenza circa le misure precauzionali predisposte per la tutela dei porti e degli aerodromi dell’Italia meridionale. Io ho voluto richiamare l’attenzione del Governo sulla situazione particolare di Napoli, che è esposta, data l’importanza del suo porto, ad una possibilità di contagio, che per la città sarebbe veramente fatale, considerate la sua situazione di agglomerato urbano che vive in condizioni tuttora antigieniche e la situazione ospedaliera di Napoli, che è veramente grave e sulla quale richiamo l’attenzione del Governo.

Ma non tutte le cautele opportune sono state usate: ne manca almeno una, a mio avviso, poiché non si è pensato alla disinfestazione delle navi e degli aeromobili, perché, notate bene, gli insetti, gli animali e le cose che sono sui natanti possono propagare il colera a bordo delle navi e degli aerei. Sarebbe perciò opportuno predisporre che tutte le navi e gli aerei che vanno o provengono dal Levante siano sottoposti a disinfestazione, perché è inutile tenere le persone sotto controllo e in quarantena, se sulle navi permane la possibilità che si determinino nuovi casi. È noto infatti che la «Reuter» ha diffuso in questi giorni la notizia del caso di un marinaio inglese, colpito da colera a bordo di una nave approdata nel porto di Napoli. La notizia è stata smentita, ma dall’episodio possiamo ricavare elementi per dubitare che vi siano casi occulti. È proprio su questo che richiamiamo l’attenzione del Governo: infatti non basta emettere le norme, ma occorre verificare se alla periferia si attuino ed occorre vigilare affinché tutti i medici provinciali facciano le eventuali denunce di tutti i casi occulti. Io ritengo che nei pressi del porto di Napoli – secondo notizie che mi sono state date, ma che non voglio avallare – vi siano casi occulti, che per la città di Napoli sarebbero il principio di una grave situazione.

Noi potemmo uscire dal tifo petecchiale, durante l’occupazione alleata del 1944, con uno sforzo veramente eroico che la città sopportò, ma oggi l’infezione colerica sarebbe la rovina della città. Su questo io ho voluto richiamare, con la mia interrogazione, l’attenzione del Governo.

Non basta emettere norme e fare telegrammi, ma occorre creare posti di vigilanza speciale, considerando soprattutto che la città di Napoli non ha una adeguata attrezzatura ospedaliera e che si trova in una situazione di super-popolazione che tutti conoscono. Prego perciò il Governo di provvedere. Siamo qui a dare il segnale d’allarme e mi auguro che le nostre parole non siano disperse al vento; noi abbiamo il dovere di tutelare la vita di migliaia di cittadini abbandonati a loro stessi. Prego ancora una volta il Governo d’intensificare la sua azione, con opportune disinfestazioni a bordo delle navi e degli aeromobili e con una accentuata vigilanza degli uffici provinciali sanitari e degli uffici sanitari di porto. Insisto presso il Governo che dette disposizioni si attuino in modo da evitare il pericolo colerico che, ripeto, sarebbe veramente grave e letale per la città di Napoli. Approfitto di questa occasione per richiamare l’attenzione del Governo sulla precaria situazione ospedaliera della città di Napoli. Lei, onorevole Andreotti, ha detto poco fa che a Napoli vi è un ospedale, il «Cotugno», che «sarebbe» attrezzato per la cura di siffatte malattie infettive. Lei ha detto: un ospedale che «sarebbe» attrezzato, mentre avrebbe dovuto dire: un ospedale che è attrezzato. Io le dico che il «Cotugno» è sì un ospedale specializzato per malattie infettive, ma le condizioni attuali di questo ospedale non sono tali da fronteggiare un’eventuale epidemia di colera.

Chiedo all’onorevole Andreotti, e per esso al Governo, di portare la massima attenzione su questo problema, che interessa vasti strati della popolazione di Napoli e dintorni e dell’Italia meridionale.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere nei confronti degli attuali concessionari del Casinò di San Remo, delle cui attività e precedenti si sono già fatti eco sia la stampa che, alla Costituente, altri colleghi con specifiche interrogazioni.

«Sampietro».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Interesserò il Ministro dell’interno affinché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, sui provvedimenti adottati e su quelli che si possono adottare immediatamente, al fine di ostacolare la diffusione della stampa scandalistica e di correggere il pessimo costume di periodici e di giornali corruttori, per troncare la morbosa propaganda scritta ed illustrata del vizio, del delitto e del suicidio, i cui tragici effetti sono quotidianamente accertabili.

«Roselli, Mannironi, De UnterrichTer Jervolino Maria, Sampietro, Salizzoni, Montini, Restivo, Viale, Cappi, Bastianetto, Carboni Enrico, Rumor, De Maria, La Pira, Codacci Pisanelli, Salvatore, Dominedò, De Palma, Stella, Baracco, Avanzini, Valenti, Giordani, Saggin, Sartor, Gui, Conci Elisabetta, Scalfaro, Bertola, Siles, Morelli Luigi, Firrao, Bubbio, Moro».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se abbia notizia delle agitazioni in corso tra la gioventù universitaria a seguito del recente enorme aumento delle tasse scolastiche, e se non ritenga opportuno procedere ad un riesame del provvedimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno esaminare benevolmente, per migliorarlo, lo status giuridico-economico-amministrativo degli aiutanti di cancelleria e segretaria giudiziaria, che da 20 anni esercitano le funzioni del cancelliere in tutti gli uffici giudiziari d’Italia. Tali impiegati si trovano ancora all’ultimo grado della gerarchia statale (grado 12°, gruppo C). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati o debbono essere adottati per migliorare alquanto le competenze dei pensionati dell’Istituto nazionale di previdenza sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intende prendere in considerazione la posizione dei giovani delle classi 1923, 1924 e 1925 i quali, in quanto frequentanti nell’anno scolastico 1942-1943 i corsi di Università o l’ultimo anno di scuola media superiore, ebbero la facoltà di ritardare la chiamata alle armi; mentre, sopraggiunto il periodo della dominazione nazista nelle provincie del Nord, essi furono, talvolta con serie minacce seguite da azioni e con rappresaglie contro genitori e parenti, quasi tutti costretti a presentarsi alle armi e poi forzatamente instradati in Germania per istruzione. Circostanze varie non permisero a molti di sfuggire alla feroce sorveglianza e sottrarsi alla deportazione. Così passarono in servizio militare circa un anno e mezzo.

«Tale servizio non viene ora computato ed i giovani in parola, ritenuti in blocco colpevoli di quiescenza alla Repubblica di Salò, si trovano, oramai su venticinque anni e pronti ad iniziare una carriera dopo aver terminati gli studi, a dover ancora assolvere per intero i loro obblighi militari con pregiudizio per il doro avvenire.

«Un benevolo riesame del caso sembra inoltre giustificato dal fatto che il disagio colpirebbe solo gli studenti delle provincie settentrionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferreri».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà, iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

  1. – Votazione per la nomina di tre membri dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Per una risposta a interrogazioni urgenti:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Tosato

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobili Tito Oro

Laconi

Moro

Carpano Maglioli

Macrelli

Corbino

Costantini

Nitti

Perone Capano

Russo Perez

De Vita

Dominedò

Carboni Angelo

Romano

Fuschini

Lombardi Riccardo

Presentazione di una relazione:

Villani

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Pignatari.

(È concesso).

Per una risposta a interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Comunico che il Governo ha fatto sapere che risponderà nella seduta pomeridiana alle due interrogazioni urgenti presentate ieri dagli onorevoli Caronia e Dominedò e dall’onorevole Sansone, relativa alle misure da prendere nei porti ed aeroporti dell’Italia meridionale, per scongiurare l’eventualità che l’epidemia colerica in atto nei porti dell’Egitto si estenda all’Italia.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri è terminato lo svolgimento di tutti gli emendamenti presentati all’articolo 79, primo articolo del secondo Titolo, relativo al Capo dello Stato.

L’onorevole Tosato ha ora presentato il seguente emendamento.

«Dopo le parole: due terzi, sostituire il testo del progetto con il seguente:

«Se al terzo scrutinio non si raggiunge tale maggioranza, il presidente sarà eletto a suffragio universale diretto. Le Camere riunite designano un candidato di maggioranza ed un candidato di minoranza».

L’onorevole Tosato ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TOSATO. Ho già avuto l’occasione di spiegare la ragione di questo emendamento, che ho presentato stamane, durante il discorso che ho tenuto a seguito della discussione generale in qualità di relatore: non è quindi il caso che io mi ripeta. Mi limiterò semplicemente ad osservare che l’emendamento da me presentato tende ad assicurare quello che è stato il criterio fondamentale che ha ispirato la Commissione nel presentare il testo del progetto. La Commissione ha dato la sua preferenza, per l’elezione del Presidente, al sistema indiretto: elezione, quindi, da parte delle Assemblee legislative. Ha ritenuto tuttavia che fosse necessario che il Presidente eletto dall’Assemblea fosse l’espressione di un largo suffragio delle Assemblee stesse; e per questo ha richiesto che il Presidente venisse eletto a maggioranza qualificata di due terzi.

Il testo del progetto fa intendere chiaramente che questa è veramente una esigenza fondamentale di tutta l’economia del progetto, in quanto il secondo comma dell’articolo 79 dice esattamente che l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi e che solo dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta. Ciò significa che si tende in tutti i modi possibili a ottenere, attraverso una ripetizione di scrutini – per mezzo dei tre scrutini – questa maggioranza di due terzi. La ragione è evidente. Si ritiene che, soltanto in quanto il Presidente abbia raccolto questo largo suffragio e sia l’esponente di una larghissima base parlamentare, soltanto in questo caso, possa avere quella autorità morale e politica, derivante appunto dal diffuso consenso che lo sorregge, tale da consentirgli di poter effettivamente esercitare quei poteri che gli sono assicurati dalla Costituzione.

Tuttavia è evidente che il testo del progetto doveva prevedere il caso che le Assemblee non riescano a mettersi d’accordo nell’eleggere il Presidente al suffragio richiesto di due terzi.

In questa ipotesi, secondo il progetto, basta, dopo il terzo scrutinio, la maggioranza assoluta dei membri. Ora, io ritengo che un Presidente eletto, dopo ripetuti scrutinîi, soltanto a maggioranza assoluta, e quindi esponente di una maggioranza che può essere anche effimera e contingente, non presenti quei presupposti che sono assolutamente indispensabili per poter svolgere la sua funzione, funzione che non è di partecipazione effettiva, sostanziale, all’esercizio del potere politico, ma è funzione fondamentale di tutore e di guardiano della Costituzione.

Per assicurare al Presidente questa funzione, questa possibilità, questa necessità, di essere effettivamente il tutore e il guardiano della Costituzione, occorre che egli abbia, una larga base; ed è per questo che, secondo l’emendamento da me presentato, io proporrei questa soluzione: se dopo tre scrutini le Assemblee non riescono ad eleggere il Presidente a maggioranza di due terzi, in questo caso soltanto il Presidente sarà eletto a suffragio universale diretto.

È una ipotesi che probabilmente per evidenti ragioni, dirò così, di prudenza parlamentale, non si verificherà mai, e che servirà soltanto a questo: a raggiungere precisamente quello che si vuole, e cioè che i membri delle Camere si mettano d’accordo per scegliere come Presidente una persona che, raccogliendo larghissimi voti ed essendo l’esponente non soltanto di partiti di maggioranza, ma godendo almeno in parte, anche del consenso delle minoranze, possa avere quella posizione morale e quell’alto prestigio che gli è indispensabile per svolgere effettivamente la sua altissima funzione. Ritengo superfluo aggiungere altre considerazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della. Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio alcune brevi dichiarazioni, a nome del Comitato di redazione; prescindendo dalle mie opinioni personali che voi ben conoscete, perché ho avuto occasioni ripetute di esprimerle nei miei interventi nella discussione generale.

Il Comitato non può che attenersi alle soluzioni deliberate prima dalla seconda Sottocommissione, e poi dalla Commissione plenaria dei Settantacinque. Sono sorti, è vero, nuovi dibattiti, cioè quelli di Assemblea; ma non possono essere decisi con un voto di maggioranza in seno al Comitato; è ora l’Assemblea che deve decidere.

Sono stati impostati due tipi di soluzioni: elezione da parte delle Camere riunite o da parte del popolo.

Vi sono poi due proposte marginali a tali soluzioni.

Sul primo tipo di elezione è stata presentato dall’onorevole Fuschini un emendamento, che merita attenzione. L’onorevole Fuschini, che è un sostenitore dell’ente Regione, ha però osservato che l’aggiunta ai membri delle due Camere di due rappresentanti per ogni Consiglio regionale, mentre non sposta quasi nulla numericamente (si tratterebbe, infatti, dell’aggiunta di una quarantina di membri agli 800-900 componenti delle due Camere), costituisce, d’altra parte, un pericolo – egli dice – perché i Consigli regionali designeranno un solo elemento di maggioranza e quindi non sarà rispecchiata la proporzione dei gruppi. La conseguenza sarebbe che è meglio lasciar cadere la piccola aggiunta. Meglio le Camere senz’altro; Si potrebbe, è vero, tra elezione popolare o delle Camere, scegliere la terza via di un collegio speciale, con maggior numero di membri oltre quelli delle Camere; ma non è facile congegnarlo, né si sono fatte proposte concrete al riguardo.

L’onorevole Tosato suggerisce che, se non si raggiunge in seno alle Camere riunite una maggioranza qualificata di due terzi, si debba ricorrere all’elezione popolare. È pur questa una proposta intermedia o di terza via, che stimolerebbe i membri delle Camere a mettersi d’accordo, ed eviterebbe d’altra parte che il Capo dello Stato fosse scelto con scarsa votazione. L’onorevole Tosato riconosce che sarebbe opportuno interpellare il popolo su due soli candidati. Non comprendo bene se dovrebbero essere i due che hanno ottenuto maggiori voti nelle votazioni riuscite inefficaci, o se si debba procedere ad una designazione posteriore ad hoc.

Ripeto che il Comitato non può prendere un atteggiamento di maggioranza o di minoranza. Esprimo l’avviso che la soluzione dovrebbe essere il più che possibile netta e chiara in un senso o nell’altro.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Devo rilevare che l’onorevole Presidente della Commissione non ha riferito sull’emendamento da me proposto.

Io proponevo anche che l’elezione del Presidente seguisse immediatamente a maggioranza assoluta, senza bisogno di tre precedenti esperimenti a maggioranza di due terzi.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Esprimendo un avviso non deliberato dal Comitato, ritengo che la soluzione proposta dall’onorevole Nobili, che è stata criticata dall’onorevole Carboni, non possa essere attendibile; perché è necessario ottenere il maggior numero possibile di consensi per l’elezione del Capo dello Stato; e se bisognerà accontentarsi di una meno piena maggioranza, ci si dovrà arrivare con una successiva votazione. Mi pare che le osservazioni dell’onorevole Carboni abbiano un notevole peso.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei pregare di sospendere per breve tempo la seduta, per modo che, dato che la questione è di enorme importanza, fra tanti emendamenti i Gruppi ed il Comitato di redazione possano trovare una soluzione comune.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi associo alla richiesta dell’onorevole Laconi, chiedendo una breve sospensione che ci permetterebbe di trovare una soluzione comune, facilitando così il corso dei lavori.

CARPANO MAGLIOLI. Mi associo anche io alla proposta Laconi.

PRESIDENTE. È auspicabile che, data questa unanime predisposizione ad accordarsi, le diverse correnti fra le quali si divide l’Assemblea, trovino, durante l’interruzione, un punto d’incontro.

(La seduta, sospesa alle 11.25, è ripresa alle 12.5).

Presentazione di una relazione.

VILLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ng ha facoltà.

VILLANI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: «Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro nelle sue prime 28 sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del lavoro».

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Comunico due emendamenti, elaborati durante la sospensione, che sono stati presentati in questo momento alla Presidenza.

Il primo, degli onorevoli Laconi, Carboni Angelo Moro, Targetti, Macrelli è del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: con la partecipazione ecc., sostituire le seguenti: con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale eletti dal Consiglio, in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

Il secondo, firmato dagli onorevoli Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Mazzei, Bernabei, Parri, Magrini, Della Seta, Azzi, Perassi è così formulato:

«Sostituire le parole: con la partecipazione ecc., con le seguenti: con la partecipazione di tre consiglieri designati da ciascun Consiglio regionale».

Mi sembra che tra i due emendamenti vi sia una coincidenza nella parte sostanzialo; comunque, a questo riguardo, i presentatori ne chiariranno il concetto.

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgere brevemente il suo emendamento.

LACONI. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MACRELLI. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Vorrei sapere, onorevole Macrelli, se lei e gli altri firmatari dell’emendamento aderiscono alla formulazione più precisa e particolareggiata presentata dagli altri colleghi.

MACRELLI. Vi aderisco.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei sapere che significato ha, sia nell’emendamento Laconi, che in quello Macrelli, la dizione: «Assemblea Nazionale». È sempre una questione accantonata?

PRESIDENTE. Evidentemente, è sempre un punto che ci riserviamo di esaminare. Anche a questo proposito si pone la questione che si era posta nelle votazioni di ieri e dell’altro giorno.

Resta ancora accantonato il problema se queste Camere riunite, alle quali devono aggiungersi i rappresentanti dei Consigli regionali, formano un organo speciale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Senza entrare nel merito dell’emendamento proposto, sorge però una questione: le prime Camere che saranno elette non potranno avere i rappresentanti della Regione, perché probabilmente queste non saranno costituite.

Ed allora come avverrà la nomina del Presidente della Repubblica?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è una norma transitoria; c’è il numero V delle norme transitorie.

Piuttosto, vorrei chiedere: la Valle d’Aosta avrà tre rappresentanti, oltre i due – un deputato ed un senatore – che parteciperanno all’elezione?

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Noi non abbiamo ancora, io credo, discusso criteri che informano la nomina del Capo dello Stato e adesso entriamo già nei dettagli.

Qui ci sono delle questioni fondamentali su cui bisogna prima chiarire le idee. Da chi è nominato il Capo dello Stato? Il Capo dello Stato, il quale non ha grandissimi poteri, ma tuttavia ha grandi poteri, il Capo dello Stato deve essere l’espressione di partiti, o deve essere all’infuori dei partiti?

Noi dobbiamo pure porre questi problemi.

Prima questione: chi elegge il Capo dello Stato? Le altre sono collegate à questa.

Il Capo dello Stato può essere eletto in due modi: o, come avviene negli Stati Uniti d’America, da tutti i cittadini con suffragio universale e in forma indiretta con duplice elezione; oppure può essere eletto, come avviene negli altri Stati, soprattutto europei, dalle Assemblee legislative. Quindi è su questa prima questione che ci dobbiamo fissare e decidere, prima di entrare nel dettaglio. Vi sono tendenze che io sento da una parte e dall’altra; vi sono inframmettenze, come questa storia inverosimile delle Regioni. Ammettiamo dunque che il Capo dello Stato sia eletto dalle Camere legislative, che sono in Italia più numerose che in qualunque altro Paese.

Le Camere legislative in Italia rappresentano tutti gli elettori.

Ora, a me basta avere un’Assemblea enorme che si debba riunire; fortunatamente abbiamo evitato la minaccia dell’Assemblea Nazionale, e perché vogliamo aggiungere le rappresentanze delle Regioni? Badate che la Francia è il Paese che ha il più gran numero di comuni ed i senatori, in Francia, sono eletti dai comuni, perché la Francia conferisce alla vita politica dei comuni una grandissima importanza. È così rappresentata nel Senato tutta la varietà della vita comunale, dai più piccoli comuni ai più grandi, come Parigi e Lione, che hanno speciali ordinamenti.

Ora, in Francia nessuno pensa a introdurre nell’elezione dei Presidenti della Repubblica i comuni, che sono certamente, per la Francia qualche cosa di assai più importante di quello che non siano per noi le Regioni. E badate anche che la Francia ha un grandissimo numero di comuni, mentre noi ne abbiamo ben pochi, perché il nostro costume e la nostra tradizione sono essenzialmente cittadini.

Sorge poi la questione: chi rappresenta, in questo caso, la Repubblica? Sono naturalmente gli stessi elettori; e che cosa vengono a dire e, soprattutto, che cosa vengono a fare i rappresentanti delle Regioni? Vengono a far numero? E non sono forse le Regioni già rappresentate dai deputati e dai senatori? Qui si fa, qui si vuol fare, come con le comparse nei teatri. Perché dunque vogliamo fare questa enormità?

Vi è poi un’altra questione che mi interessa e su cui mi preme di richiamare la vostra attenzione: quella cioè della durata del Presidente della Repubblica. È una questione che dobbiamo tener presente anche in vista di questa discussione.

Vorrei poi anche pregarvi di cercare di evitare tutte le questioni incerte, perché non è assolutamente possibile che noi si voglia e si possa prevedere tutto:

Se non è eletto il Presidente con quel numero di voti necessario, che cosa si fa?

Nel caso che manchi quel numero di voti, poiché non basta avere la semplice maggioranza, si passa per una serie di procedure, e si finisce nella forma americana impura, cioè al suffragio generale diretto.

Ma perché avete tutto questo bisogno di cambiare, se l’America e la Francia, che hanno fatto esperimenti per tanti anni, si contentano di non risolvere simili problemi; perché volete poi complicare le cose, mettendo ancora l’ipotesi di casi che non sono avvenuti, e forse non avverranno? Basta la semplice votazione: primo, secondo scrutinio, come si fa abitualmente nei Paesi che hanno questo regime, e poi basta la semplice maggioranza.

Non complichiamo le cose con istituzioni che non hanno a che fare con questo problema e con difficoltà che non esisteranno nella realtà. Contentiamoci dell’esperienza degli altri Paesi repubblicani e non aggiungiamo niente.

Vi prego poi, entrando nel dettaglio, di tener conto di questa realtà e di non complicare, ma piuttosto di semplificare queste procedure.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Io credo, onorevoli colleghi, che i due emendamenti Laconi e Macrelli debbano essere respinti e si debba invece accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Carboni ed altri.

Evidentemente, la partecipazione delle rappresentanze regionali vuole significare la volontà di dare una rappresentanza alla periferia. (Commenti).

NITTI. Ma perché?

PERRONE CAPANO. Ora a me sembra che i Consiglieri regionali non rappresenteranno le Regioni più e meglio di quello che non abbiano a rappresentarle i deputati e i senatori delle singole Regioni. Non mi pare poi chiara la locuzione che è diretta ad assicurare la rappresentanza delle minoranze in seno ai singoli Collegi regionali. Una maggioranza e una minoranza si determinano intorno a problemi concreti; la materia di questi problemi sarà pel caso costituita dalla scelta tra due uomini o due tendenze.

Ma come potrà aver luogo questa determinazione, io vi domando, prima che si riunisca l’Assemblea che dovrà procedere all’elezione? Mi sembra, quindi, una duplice incongruenza quella postulata dai due emendamenti, e dichiaro, perciò, che voterò contro di essi.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti, già svolti, se li mantengono.

L’onorevole Damiani non è presente, si intende pertanto decaduto il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, a maggioranza assoluta».

Chiedo all’onorevole Russo Perez se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo italiano a suffragio universale e diretto».

RUSSO PEREZ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole De Vita se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

DE VITA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dominedò se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto da tutto il popolo italiano».

DOMINEDÒ. Dopo aver affermato, in linea di principio, il significato che può avere l’investitura diretta ai fini del rafforzamento e dell’elevazione della figura del Capo dello Stato, credo di aver adempiuto al mio dovere ma, per restare in armonia con i concetti prevalsi nell’ambito del mio Gruppo, non posso insistere perché l’emendamento sia posto in discussione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Carboni, se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

CARBONI ANGELO. Lo ritiro, avendo aderito a quello dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Romano, se mantiene il suo emendamento sostitutivo del primo comma:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo».

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento sostitutivo del primo comma?

FUSCHINI. Dichiaro che, siccome nell’emendamento concordato fra i colleghi del l’estrema sinistra e quelli della Democrazia cristiana è stato corretto come io desideravo l’inconveniente della rappresentanza regionale, nel senso che è ammessa anche la rappresentanza delle minoranze dei Consigli regionali, non ho ragione di insistere nel mio emendamento, anche perché viene mantenuta la proposta principale della Commissione per la nomina da parte delle Camere riunite in Assemblea del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Nobili se mantiene il suo emendamento col quale ha proposto di sopprimere al primo comma le parole: «con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi».

NOBILI TITO ORO. Devo ritirare l’emendamento che ho svolto a nome e per incarico del mio Partito; ma siccome l’ho svolto in aderenza perfetta con le mie profonde convinzioni, dichiaro di non poter spingere la mia disciplina fino a votare il contrastante emendamento sostitutivo or ora concordato fra le rappresentanze dei Gruppi.

Quindi mi asterrò dalla votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, mantiene il suo emendamento testé letto?

TOSATO. Lo mantengo a titolo personale.

PRESIDENTE. Restano allora i seguenti testi: il testo concordato del quale ho dato lettura poco fa; poi i testi quasi uguali proposti dagli onorevoli Russo Perez, Romano e De Vita, e infine il testo dell’onorevole Tosato.

È evidente che le formulazioni che più si allontanano dal testo originario della Commissione sono quelle degli onorevoli Russo Perez, De Vita, Romano, con i quali si propone che l’elezione del Presidente della Repubblica sia direttamente rimessa al popolo sulla base del suffragio universale e diretto.

Chiedo ai tre proponenti di indicare su quale delle tre loro formule desiderano che si voti.

RUSSO PEREZ. Credo che possiamo rimetterci al Presidente, che ha interpretato esattamente il nostro pensiero.

PRESIDENTE. Mi pare allora che la formula dell’onorevole De Vita sia la più completa e sintetica:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto». Voteremo quindi su questa formula.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Devo dire le ragioni di apparente anomalia, per cui i miei compagni di Gruppo voteranno contro l’emendamento De Vita, nonostante che ci siamo dichiarati a favore del sistema della Repubblica presidenziale. Ora, elemento necessario della Repubblica presidenziale è anche l’elezione diretta del Capo dello Stato; tuttavia essa non costituisce da sola il sistema di Repubblica presidenziale.

Quali sono le ragioni del nostro voto contrario? Qual è la ragione per cui se il sistema presidenziale fòsse stato messo in votazione noi avremmo votato per esso, e non per quello parlamentare? La ragione è quella di consentire che il programma del Governo risultante da una determinata consultazione elettorale sia concordato prima delle elezioni e non dopo, in modo che il corpo elettorale sia chiamato a decidere su un programma di Governo già concordato; in quanto è essenziale per il sistema della Repubblica presidenziale che il Capo dello Stato non solo sia eletto a suffragio universale e diretto, ma che nomini esso stesso il Governo scegliendolo dalle Camere elette a suffragio universale.

Ciò significa che per la stessa elezione del Capo dello Stato è necessario un accordo preventivo dei partiti, accordo alla cui base è un programma, e su questo programma il corpo elettorale viene chiamato a pronunciarsi, là dove nel sistema di Repubblica parlamentare tale accordo tra i Partiti avviene dopo la consultazione elettorale, appunto in base alla proporzione dei partiti che costituiscono la maggioranza.

La pura e semplice elezione del Capo dello Stato di per sé non costituisce che una rettifica, e a nostro avviso una rettifica peggiorativa, del sistema di nomina del Capo dello Stato, senza avvicinare per niente il tipo di Repubblica parlamentare al tipo da noi patrocinato di Repubblica presidenziale.

Per queste ragioni noi voteremo contro l’emendamento De Vita.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento De Vita:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento concordato Laconi, Carboni Angelo, Moro, Targetti e altri, sostitutivo del primo comma dell’articolo 79:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che noi dobbiamo votare per divisione, staccando la prima parte: «Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale» dalla seconda parte: «con la partecipazione, ecc.». Ciò perché, probabilmente, sulla prima parte saremo tutti d’accordo. Il dissenso è sulla partecipazione della rappresentanza regionale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del primo comma dell’articolo 79 nel testo del progetto:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale».

(È approvata).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Occorre ora votare sull’emendamento proposto dagli onorevoli Laconi, Carboni Angelo, Targetti e Moro, sostitutivo della seconda parte dello stesso primo comma.

La formula proposta è la seguente:

«con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

Su questo emendamento gli onorevoli Badini Confalonieri, Bozzi, Crispo, Villabruna, Bonino, Corbino, Preti, Fabbri, Reale Vito, Rumor, Condorelli, Colitto, Cotellessa, Russo Perez, Miccolis, Perrone Capano, Marinaro, Venditti, Caporali e Covelli, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto. Indico la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione segreta e invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     331

Maggioranza           166

Voti favorevoli        223

Voti contrari            108

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontirii Ilio – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Camangi – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Clerici – Coccia-– Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pecorari – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restivo – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vi– centini – Vigo – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caso.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Fantoni.

Guariento.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Gasparotto

Ghidini

Tosato

Corbino

Azzi

Fabbri

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Persico

Benvenuti

Meda

Fuschini

Codacci Pisanelli

Carpano Maglioli

Leone Giovanni

Moro

Rodi

Uberti

Nobile

Rubilli

Sullo

Arata

Mortati

Bettiol

Restivo

Russo Perez

De Vita

Romano

Nobili Tito Oro

Carboni Angelo

Dominedò

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sansone

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Corbino

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Cairo rinunziato a far parte della Commissione speciale per l’esame delle leggi elettorali, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Morini.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Essendo stati svolti tutti gli emendamenti presentati all’articolo 75, il rappresentante del Comitato dei diciotto, onorevole Ghidini, risponderà a quanto è stato detto in merito al secondo comma dell’articolo 75, all’amnistia e all’indulto.

L’onorevole Ghidini ha facoltà di parlare.

GHIDINI. Onorevoli colleghi, il mio intervento è limitato al secondo comma dell’articolo 75, cioè all’amnistia ed all’indulto.

Io devo dire riassuntivamente le ragioni per le quali la Commissione ha elaborato la disposizione, devo controllare i dubbi che si sono manifestati durante la discussione e devo anche esaminare gli attacchi, piuttosto vivaci, che sono stati mossi.

So perfettamente che a tutti è nota la nozione giuridica dell’amnistia e dell’indulto. Un tempo si era pensato che l’amnistia e l’indulto fossero una prerogativa del potere sovrano. Avverto, prima di continuare, che non voglio qui fare una trattazione di carattere giuridico dei tema, ma soltanto una rapida esposizione e pochi accenni.

L’articolo 8 dello Statuto albertino disponeva che il Re concede la grazia e commuta le pene. L’uno e l’altro istituto sono profondamente diversi dall’amnistia e dall’indulto. L’articolo 6 chiariva la facoltà del Governo nel senso che non poteva sospendere l’osservanza delle leggi o dispensarne. Però, a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, che parve a taluno un atto di cortigianeria, l’articolo 8 fu interpretato estensivamente, considerando l’amnistia e l’indulto come prerogativa sovrana, compresi nell’articolo stesso.

Ma successivamente, si può dire dal 1865, e comunque dal 1913, non c’è dubbio che è il potere legislativo titolare del diritto di amnistia ed indulto. Prima la prassi e poi la legge (ed i colleghi penalisti ricorderanno l’articolo 589 del Codice di procedura penale del 1913) ha disposto che l’amnistia è concessa con decreto reale su proposta del Ministro di grazia e giustizia sentito il Consiglio dei Ministri. Il che esclude che si tratti di un motu proprio. Quindi oggi indubbiamente per consentimento comune, anche della giurisprudenza e della dottrina, l’amnistia e l’indulto sono un atto del potere legislativo. Il decreto che li concede rappresenta un atto di delegazione della funzione legislativa. Ma, ripeto, il titolare del diritto è sempre il potere legislativo, e quindi si tratterà solo di vedere come lo debba esercitare. Il diritto può essere esercitato nei diversi modi che sono affiorati nella discussione di questi due giorni e negli emendamenti che furono presentati. Si tratta, quindi, di vedere quale è la soluzione migliore. La Commissione ha adottato la seguente: «l’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

Sulla tesi della Commissione si è svolta in questi giorni una critica aspra da parte di molti colleghi, che prendo rapidamente in esame attraverso gli emendamenti proposti. Il primo chiede che l’amnistia e l’indulto siano deliberati dalle due Camere. È l’emendamento dell’onorevole Persico al quale si è associato l’onorevole Carpano. L’emendamento rispetta il principio accolto dalla Commissione, che cioè la deliberazione dei due provvedimenti è affidata direttamente al potere legislativo, rappresentato dalle due Camere. Però le due Camere devono agire separatamente; questo è il concetto. Concetto che la Commissione respinge, in vista dei gravi inconvenienti che nascerebbero dall’attuazione di una tale proposta. Un inconveniente è stato accennato dall’onorevole Persico, che cioè, nell’attesa fra la deliberazione di una Camera e la deliberazione dell’altra, si determini una speranza così fondata da costituire un incitamento a delinquere. Ciò sarebbe tanto più facile, in quanto si tratterebbe di quella delinquenza piccola e media, nella quale la controspinta della pena è, generalmente, meno efficace. Ma a questo inconveniente si può portare rimedio disponendo che l’applicazione dell’amnistia e dell’indulto debba riguardare soltanto reati commessi in epoca antecedente alla presentazione del progetto. L’inconveniente può quindi essere facilmente rimosso.

L’inconveniente più grave e non rimediabile è un altro. È inevitabile che ci debba essere un lasso di tempo tra la decisione della Camera dei deputati e la decisione del Senato: non è possibile che le due decisioni siano prese simultaneamente. È inevitabile un certo distacco, anche per la natura del Senato, che esercita un controllo sopra l’attività legislativa della Camera, e anche per ragioni di indole materiale. Non è possibile che le due decisioni avvengano contemporaneamente. Vi sarà, quindi, sempre un intervallo di tempo, più o meno lungo a seconda della fretta o della diligenza di coloro che saranno chiamati a formare l’uno e l’altro ramo del Parlamento. Durante questo intervallo, che possiamo chiamare il «tempo di nessuno» cosa accadrà? È inutile negarlo: quello che accadrà (mi pare che lo abbia accennato anche l’onorevole Leone) sarà la paralisi nella giustizia. La giustizia si fermerà; non vi sarà tribunale, giudice istruttore, ecc., che, di fronte alla decisione già presa da una delle due Camere, non reputi conveniente l’attendere l’altra decisione. E questa potrà tardare due mesi, un mese, 15 giorni, secondo la fretta, la diligenza e le possibilità. Durante questo periodo l’attività della giustizia si arresterà, inevitabilmente. Nessuno può negare la gravità di un tale evento.

Un procuratore della Repubblica che debba emettere un ordine di cattura e sa che oggi vi è già una decisione di amnistia e che fra 15 giorni o un mese verrà la decisione definitiva, che cancellerà quel fatto dal novero dei reati, si asterrà dallo spedire l’ordine di cattura.

Voi opporrete che il tempo che intercederà fra l’una e l’altra decisione sarà breve. Me lo auguro, ma non ci credo. Ma c’è di più. Non sempre accadrà che la deliberazione del Senato sia in ogni parte conforme a quella della Camera dei deputati. Le due decisioni potranno essere difformi, e allora ci troveremmo di fronte o ad un conflitto negativo – se il Senato respingerà la proposta – o ad un conflitto parzialmente positivo, se il Senato dovesse in parte approvare e in parte modificare taluna delle disposizioni relative alla amnistia o all’indulto. E allora, mi domando, come questo conflitto sarà risolto? E quanto potrà durare?

In sostanza, non è assolutamente negabile che l’inconveniente sia estremamente grave; inconveniente che si traduce appunto nella cosiddetta incertezza del diritto, la quale è fonte di una quantità di guai per la giustizia; per quella giustizia che, per essere seria ed efficace, ha bisogno di immediatezza o quanto meno dì celerità.

Quindi sarebbe desiderabile che la decisione fosse unica. Ma perché la decisione sia unica, unica deve essere l’Assemblea e, quindi, affinché promani dal potere legislativo, occorre che i due rami del Parlamento possano deliberare in una Assemblea unica. L’Assemblea unica è adunque necessaria: chiamatela come volete, chiamatela «Camere riunite» o chiamatela in qualsiasi altro modo, ciò non importa; è questione di parole, ma bisogna che ci sia, perché bisogna deliberare in modo collegiale e quindi attraverso un’unica Assemblea politica.

Contro questa Assemblea unica che la Commissione ha chiamato, senza dissensi, Assemblea Nazionale, oggi invece da molte parti si insorge, mettendo in rilievo gli inconvenienti che ne potranno derivare.

La principale obiezione è formulata con questa domanda: come potete voi pretendere che decida intorno ad una amnistia e ad un indulto, che involgono un’infinità di questioni di carattere tecnico, un organismo così pletorico? Come pretendete che una così vasta Assemblea discuta di un tema tecnico di tanta gravità e complessità? Una Camera di mille membri?

Intanto il numero di mille è esagerato perché non si arriva a settecento. Ma in verità la risposta non vale se non per significare che l’argomento ha il vizio di provare troppo. Infatti, varrebbe anche in confronto della sola Camera dei deputati. Anche se ci limitiamo a questa soltanto, non si eviterebbe l’inconveniente affacciato. È adunque un argomento che prova troppo.

Anche recentemente abbiamo discusso la legge sull’imposta patrimoniale, che non è certamente un tema meno grave dell’amnistia o dell’indulto, e non abbiamo avuto da lamentare né il caos né la Torre di Babele.

Inoltre non dobbiamo esagerare la realtà. Molte amnistie riguardano uno o due reati e non di più. In questo caso è evidente che la discussione non potrà essere così laboriosa e complessa come si teme. A questo proposito ricordo che nel ’45 ci furono non due amnistie, ma due decreti disponenti la non punibilità di certi reati. Decreti che, al pari dell’amnistia, costituivano una rinunzia alla pretesa punitiva dello Stato. In quei due casi il decreto ha un solo articolo. Inoltre bisogna rilevare che l’amnistia ha carattere essenzialmente politico, più che giuridico. Le questioni di carattere giuridico in materia di amnistia c di indulto sono sempre limitate.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Leone, che ne propone la delegazione al Governo. La Commissione non lo accetta, perché ritiene che l’esercizio del diritto di concedere l’amnistia deve spettare direttamente al potere legislativo. Se poi l’Assemblea Nazionale o la Camera dei deputati o se il Senato dovessero impartire anche delle direttive, come vorrebbe il proponente, allora tanto varrebbe che la Camera dei deputati o il Senato o l’Assemblea Nazionale formulassero loro per intero il provvedimento.

Piuttosto farei un’osservazione (in questo momento io esco forse dall’orbita precisa del pensiero della Commissione) piuttosto, dico, potrei riconoscere che vi sono dei casi nei quali la solennità dell’intervento dell’Assemblea Nazionale appare sproporzionata all’entità di certi provvedimenti d’amnistia; ad esempio, quando si tratta di amnistie che riguardano reati contemplati da leggi finanziare forse, in questo caso, la delegazione può essere effettivamente utile; e ciò non solo per la speciale tecnicità della materia, ma anche perché il Governo, in queste materie, è giudice migliore di un’Assemblea legislativa, soprattutto in vista delle ripercussioni di carattere finanziario che può avere l’estinzione del reato. Ma quando si tratta di altri reati, colpiti da sanzioni detentive, non è così. Noi pensiamo che in questi casi la competenza debba spettare all’Assemblea Nazionale.

Sull’opera del Governo in questa materia sono piuttosto scettico. Vi sono degli esempi recenti, dei ricordi di recenti amnistie, che in verità non denunciano nel Governo un’attitudine, alla elaborazione di amnistia e di indulti, molto tranquillante.

Quindi non ci sembra il caso, ammaestrati come siamo dalle esperienze del passato, anche recente, di affidare senz’altro al Governo il potere di emanazione di decreti di amnistia e di indulto.

Si potrebbe anche osservare – permettetemi la malignità – che talora un Governo potrebbe emanare un provvedimento di clemenza non tanto a scopo di pacificazione sociale, ma piuttosto di finalità di carattere meno elevato. Si sa che l’amnistia, soprattutto in certi momenti della vita politica del Paese, può conciliare al Governo la benevolenza e la gratitudine dei beneficati, i quali non sono pochi, perché intorno alle loro persone vi è sempre un circolo di amici, di familiari, di conoscenti, di aderenti, ecc.

A favore della nostra tesi richiamo, onorevoli colleghi, alla vostra attenzione questo concetto: che le amnistie sono provvedimenti di natura essenzialmente politica e che, pertanto, l’organo costituzionale più adatto a promulgarli è quello stesso che è designato dalla legge a determinare le direttive politiche del Paese.

Osservo, inoltre, che le amnistie e gli indulti sono e dovranno essere provvedimenti eccezionali.

Taluno pensa che le amnistie, o almeno certe amnistie, sono provvedimenti che per la loro importanza sono troppo al disotto dell’alta dignità di un’Assemblea Nazionale e che pertanto sarebbe sminuire l’Assemblea Nazionale affidandole così modesto ufficio.

Riconosco che tutto questo può essere vero in taluni casi, ma in altri assolutamente no.

Ad esempio l’amnistia del 22 giugno 1946, fu tale per la sua ampiezza e per la sua significazione politica che ebbe una risonanza nazionale e anche internazionale. Uguale risonanza nazionale ed internazionale ebbe quella a cui ha accennato l’onorevole Nitti, a favore dei disertori. Il che vuol dire che vi sono dei casi di particolare importanza, che meritano di essere decisi dal più alto consesso.

A limitare il numero delle amnistie, è rivolto l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli. Le amnistie – egli chiede – devono essere approvate come se fossero leggi costituzionali, secondo il quorum di queste. Ma io penso che lo scopo si possa raggiungere per altre vie. Penso, ad esempio, che quante volte la concessione di un’amnistia sarà assegnata ad una Assemblea di carattere eccezionale come è l’Assemblea Nazionale, di altrettanto sarà diminuito il numero di queste amnistie.

Era invalso un uso quasi morboso di dare amnistie ad ogni momento, ma il fatto stesso che oggi siamo in regime repubblicano renderà meno facile il ripetersi di questo guaio. Saranno evitate almeno le amnistie che si succedevano ad ogni lieto evento della Casa reale.

Una voce. Ci sono gli anniversari.

GHIDINI. Con questo ritengo di avere esaurito le ragioni per le quali in linea di massima abbiamo ritenuto, con l’adesione di una gran parte dell’Assemblea dei settantacinque, che l’amnistia e l’indulto devono essere deliberati dall’Assemblea Nazionale. Comunque, che debba essere il potere legislativo ad assumere in modo diretto la responsabilità dell’amnistia e dell’indulto.

Contro questo comma dell’articolo 75 sono state usate delle parole gravi, nelle quali parve persino che il buon gusto fosse soffocato dall’indignazione che ha sollevato l’animo di qualche collega. Si è parlato di stranezza, di stoltezza, e così via.

E siccome queste accuse sono partite da uomini di alto valore politico, non può un giudizio di questo genere non lasciare nell’animo nostro un senso di perplessità.

Se noi però meditiamo su questa censura ci sembra di poter essere tranquilli.

C’è pure l’autorità di qualcuno che ci conforta nel nostro principio. Io ricordo che vi fu una relazione a un vecchio progetto di legge in materia, relazione che comincia così: «La proposizione che il concedere amnistie è atto di potestà legislativa non ammette dubbi né nel campo della dottrina, né in quello del diritto pubblico comparato, né, infine, sul terreno del vigente diritto positivo».

La relazione continua con la enumerazione di leggi le quali confermano l’assunto di questa proposizione iniziale. E prosegue: «Nel nostro ordinamento il potere legislativo non ha limiti nella facoltà di delegazione; perciò, almeno dal 1865 in poi, la norma proibitiva dell’articolo 6 dello Statuto, dianzi rammentata, non ha potuto infirmare la perfetta validità dell’esercizio della delegazione da parte del potere esecutivo attraverso gli innumerevoli decreti reali di amnistia che sono stati promulgati in questo periodo. La delegazione ricevuta crede ora il potere esecutivo di dovere restituire e propone al Parlamento di avocare la concessione delle amnistie all’organo cui appartiene naturalmente il potere.

«La partecipazione sempre più larga e quasi completa dei cittadini alla formazione della rappresentanza politica elettiva dà una necessaria maggiore ampiezza e attività alle funzioni politiche del Parlamento. E poiché il concedere amnistie è funzione eminentemente politica, giova che l’esercizio diretto della medesima sia ripreso dal Parlamento. Solo in tal guisa sarà data al popolo la più completa guarentigia, non solo intorno alle ragioni di opportunità politica e di utilità sociale del provvedimento, ma altresì intorno alla giusta estensione di esso a casi e categorie di fatti che veramente si coordinino alle ragioni di utilità e di opportunità che ne costituiscono il presupposto».

Questa relazione rivendica al Parlamento la deliberazione diretta delle leggi di amnistia e di indulto. È opera di un giurista della capacità di Ludovico Mortara, ed il Progetto è stato presentato alla Camera – se non erro – da un Governo che era presieduto dall’onorevole Nitti.

Il che vuol dire che noi abbiamo oggi il disappunto di essere in contrasto con l’onorevole Nitti del 1947, ma abbiamo il compiacimento di essere d’accordo con l’onorevole Nitti del 1920, nello splendore della sua attività di politico e di scienziato. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di rispondere, a nome della Commissione, a coloro che hanno presentato e svolto emendamenti in merito al primo comma dell’articolo 75.

TOSATO. Prima di esaminare i singoli emendamenti che sono stati presentati al primo comma dell’articolo 75, credo opportuno premettere due brevi osservazioni di carattere generale.

L’articolo 75, al primo comma, si occupa dei problemi inerenti alla mobilitazione e alla deliberazione della guerra.

Per quanto riguarda la mobilitazione generale, credo che sia appena necessario ricordare che, generalmente, in tutti gli Stati, non solo monarchici, ma anche repubblicani, questo potere rientra nel più ampio potere attribuito al Capo dello Stato, di disporre delle forze armate. Questo ampio potere di disporre delle forze armate comprende precisamente anche il potere di mobilitazione sia generale, sia parziale.

La Commissione, quando ha esaminato l’argomento, si è posta la questione se era opportuno rilasciare alla competenza generale di disporre delle forze armate proprio al Capo dello Stato anche questo potere speciale particolarmente delicato ed importante della mobilitazione. Ed è soltanto a questo proposito che ha creduto opportuno distinguere (e la distinzione non è stata creata da noi, perché è molto antica) fra mobilitazione parziale e mobilitazione generale, ritenendo essere più prudente e conveniente che soltanto per la mobilitazione generale, che più direttamente impegna lo Stato in situazioni gravi che spesso, se non sempre, conducono alla guerra, in questi casi soltanto sia opportuno limitare il generale potere di disposizione delle forze armate proprio al Capo dello Stato, per attribuirle invece, eccezionalmente in questo settore particolare, in questo momento così delicato della mobilitazione generale, alle Camere.

Osservazioni analoghe debbo fare per quanto riguarda la deliberazione della guerra. Voi sapete che in tutti gli stati monarchici al Capo dello Stato, al Re, spetta non soltanto la dichiarazione della guerra, ma anche la deliberazione della guerra. Sono due momenti distinti, quello della formazione della volontà, e quello della estrinsecazione della volontà. Invece negli Stati repubblicani si scinde la competenza in ordine a questi due diversi momenti, cioè si conserva al Capo dello Stato repubblicano il potere di dichiarare all’esterno lo stato di guerra, sia agli effetti internazionali, sia agli effetti interni, mentre si riserva generalmente agli organi rappresentativi diretti del popolo, alle Camere, il potere di deliberare la guerra. A questo proposito la Commissione si è quindi uniformata semplicemente a quello che è l’indirizzo generale di tutti gli Stati repubblicani.

Ed ora veniamo direttamente, dopo queste necessarie premesse di indole generale, all’esame dei singoli emendamenti che considererò in ordine, diremo così, logico, a seconda della loro distanza maggiore o minore dal testo della Costituzione.

Viene prima di tutto in considerazione l’emendamento, mi pare, presentato dall’onorevole Persico, che è quello che più degli altri si scosta dalla concezione che ha ispirato il progetto.

Secondo l’onorevole Persico «Soltanto le due Camere possono con legge deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra».

Quindi, secondo l’onorevole Persico, non si dovrebbe attribuire questo potere di mobilitazione generale e di deliberazione dell’entrata in guerra alle due Camere riunite, ma soltanto alle due Camere agenti separatamente. Perché la Commissione dei settantacinque ha preferito due Camere riunite insieme anziché le due Camere deliberanti separatamente, secondo la norma generale derivante dal principio bicamerale?

Perché in questi casi di grande urgenza si è ritenuto che la convocazione delle due Camere in unica Assemblea potrebbe essere più conveniente e più opportuna, e d’altra parte la materia è così importante che forse la solennità dell’Assemblea è più confacente alla solennità della materia. Aggiungo che non riesco veramente a immaginare e a giustificare la possibilità di un contrasto fra le due Camere, e l’utilità di giocare a questo proposito col principio bicamerale.

Viene poi in considerazione l’emendamento presentato dall’onorevole Fuschini, che pure si distanzia notevolmente dall’ordine di idee seguito nel progetto.

Secondo l’onorevole Fuschini, spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare maggiori poteri al Governo in caso di guerra. Quindi, se ho ben capito, l’onorevole Fuschini non vuole parlare direttamente né di dichiarazione di guerra né di deliberazione di guerra, né di mobilitazione generale o parziale. Vuole risolvere il problema nell’intervento delle Camere in queste materie così delicate attraverso la necessità da parte delle Camere di accordare maggiori poteri e soprattutto maggiori mezzi finanziari al Governo per il caso di guerra.

A noi sembra che questo testo dell’onorevole Fuschini, che pure rispecchia una tesi che in parte risponde anche ad una prassi, ad un modo di comportarsi del passato, non dia sufficiente garanzia in quanto è troppo generico.

D’altra parte, approvando semplicemente e puramente quell’articolo, noi lasciamo impregiudicato il problema relativo alla determinazione dell’organo competente a dichiarare e deliberare la guerra.

La Commissione, nel progetto, ha seguito l’indirizzo generale dello Stato repubblicano che scinde, come ho spiegato prima, il momento della dichiarazione dal momento della deliberazione, per attribuire quest’ultima alla competenza delle Assemblee.

Emendamento Meda-Clerici.

Secondo questo emendamento, spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale.

Ora, a noi sembra che questo emendamento sia ancora più generico di quello Fuschini, e d’altra parte, almeno sotto certi aspetti, non sia accettabile, perché il deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale è di competenza assoluta ed esclusiva del potere esecutivo.

Gli organi del potere legislativo intervengono soltanto a titolo di garanzia, quando lo Stato versi in così gravi situazioni, per assumersi soprattutto la responsabilità della deliberazione della guerra, attestare così più direttamente l’unità, il consenso e l’impegno di tutto il popolo.

Il punto di vista consacrato in questo emendamento, che, in definitiva, viene a spostare notevolmente le competenze proprie e, secondo noi, necessarie e insostituibili del potere esecutivo, spostarle cioè dal potere esecutivo al potere legislativo, non è, a nostro avviso, accettabile.

Emendamento Gasparotto-Chatrian ed altri.

Secondo l’onorevole Gasparotto, si dovrebbe parlare soltanto di mobilitazione, senza distinzione fra mobilitazione generale e mobilitazione parziale.

E su questo punto concorda perfettamente l’emendamento presentato dall’onorevole Azzi.

Ora, io ho già spiegato perché la Commissione ha ritenuto opportuno distinguere fra mobilitazione generale e mobilitazione parziale.

Noi siamo partiti da questo punto di vista: è di competenza e deve necessariamente restare di competenza degli organi dell’esecutivo la disposizione delle Forze armate. Nella disposizione delle Forze armate rientra anche il potere di mobilitazione, sia militare che civile. Vogliamo limitare, per evidenti ragioni di garanzia, questi poteri del potere esecutivo? Allora sottraiamo al potere esecutivo quello e solo quello che è particolarmente essenziale ed importante: il potere di mobilitazione generale. Perché, d’altra parte, se noi riteniamo che il potere esecutivo ha non solo il potere, ma anche e soprattutto il dovere, di provvedere a tutto ciò che è necessario alla difesa del territorio dello Stato contro eventuali aggressioni, è evidente che il potere esecutivo deve avere anche i poteri di fare questa mobilitazione più o meno parziale, di prendere provvedimenti che sono indispensabili assolutamente per la difesa dello Stato. Sotto questo aspetto, l’emendamento Gasparotto è contradittorio. Come fa e come può il Governo prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, se non può disporre in nessun modo, nemmeno limitatissimamente, la mobilitazione?

L’onorevole Gasparotto ammette tale potere e dovere del Governo in casi di «aggressioni improvvise». La limitazione è da un lato eccessiva, dall’altro superflua. Non dimenticate che avete già approvato una norma secondo la quale, in casi di urgente necessità, il Governo ha il potere di emanare decreti legge.

Cade a questo proposito un’osservazione relativamente a quanto diceva giorni fa l’onorevole Nitti: «la guerra non si delibera più; la guerra non si dichiara: la guerra si fa». Siamo d’accordo: questa è una constatazione di fatto. Lo stato di guerra precede spesso di fatto, è una triste esperienza, la dichiarazione di guerra. Ciò non significa, che la dichiarazione, sebbene successiva, sia irrilevante. Comunque, bisogna tener presente a questo punto un’altra considerazione: quando uno Stato è aggredito da un altro Stato, lo stato di guerra si afferma di diritto; quando lo Stato è aggredito, il Governo ha non solo il diritto, ma il dovere di provvedere immediatamente, senza che vi sia bisogno di un testo costituzionale che gli conceda questo potere. Non facciamo quindi dell’umorismo, troppo facile, ma fuor di luogo, sul testo del progetto.

L’emendamento Gasparotto soggiunge: «e convoca di urgenza l’Assemblea Nazionale». Perché? Per avere maggiori poteri, per avere gli stanziamenti finanziari necessari. Ma resta appunto da vedere se, per deliberare su questi oggetti sia più opportuno che le Camere agiscano in unica Assemblea o se si proceda invece secondo la norma per cui le due Camere agiscono indipendentemente e separatamente.

L’emendamento dell’onorevole Terranova propone una aggiunta: «Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6, e previa la consultazione delle Assemblee regionali». Per quanto riguarda questa «previa consultazione delle Assemblee regionali», il richiamo mi sembra veramente fuori proposito. Per quanto riguarda «sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6», non è affatto necessario richiamare l’articolo 6.

L’articolo 6 contiene una disposizione fondamentale del nuovo ordinamento costituzionale; e quello che è consacrato in questo articolo vale nonostante che vi possano essere altri articoli che possono avere una certa attinenza. S’intende che tutti i poteri del Capo dello Stato e della stessa Assemblea sono sempre limitati da quella disposizione generale contenuta nell’articolo 6. Ritengo, quindi, superfluo qualsiasi richiamo all’articolo 6 delle disposizioni generali. E prima che superfluo, dannoso. Il richiamo all’articolo 6 non ne conferma, ma ne indebolisce la portata.

L’osservazione vale anche per l’emendamento proposto dall’onorevole Damiani, il quale vorrebbe aggiungere al testo del progetto che, in relazione all’articolo 6, la guerra può essere dichiarata soltanto in caso di legittima difesa.

PRESIDENTE. Quell’emendamento è decaduto. C’è l’emendamento dell’onorevole Nobile, presentato questa mattina.

TOSATO. La Commissione non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Nobile, perché sopprimere un articolo non significa risolvere o sopprimere il problema. La questiona esiste, gravissima: può sorgere uno stato di guerra, ad un certo momento può sorgere la necessità di dover deliberare sulla guerra. Bisogna risolvere il problema. A chi spetta questo potere? al Capo dello Stato o alle Assemblee? Bisogna decidersi; non possiamo chiudere gli occhi. Per le ragioni esposte la Commissione resta ferma al suo testo.

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare alla votazione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che noi qui siamo di fronte a due problemi completamente diversi uno dall’altro, e che quindi esigerebbero, come probabilmente accadrà, due votazioni diverse, perché la guerra e la mobilitazione sono un problema a sé, e l’amnistia e l’indulto costituiscono un altro problema completamente separato. In ogni caso penso che si dovrebbe accedere alla proposta dell’onorevole Azzi e di qualche altro, cioè che si facciano due articoli diversi ove il contenuto dei due capoversi riesca a salvarsi dalle critiche fatte. Per l’amnistia e l’indulto aderisco all’emendamento Leone, che mi pare risolva meglio il problema dal punto di vista politico e giuridico.

Mi permetto di insistere presso l’Assemblea perché non si richieda l’intervento delle due Camere, per la mobilitazione, perché per me la mobilitazione è funzione del Capo dello Stato. Se egli è il comandante supremo delle Forze armate e non gli diamo il potere di fare la mobilitazione, quando occorra, non capisco come il Capo dello Stato potrebbe diventare comandante supremo.

Ma il problema più grave per me è quello della dichiarazione di guerra.

Non dobbiamo dimenticare che non siamo più all’epoca, in cui le guerre si dichiaravano mandando gli araldi e ricevendo gli araldi dell’avversario, o lasciando all’avversario l’onore di tirare per primo. Oggi la guerra, quando scoppia, scoppia per la volontà deliberata di uno Stato aggressore, che predispone i mezzi aerei, bombe atomiche, razzi volanti, apparecchi radio comandati, più adatti per raggiungere nel tempo più rapido possibile risultati decisivi. Come è possibile convocare l’Assemblea Nazionale quando tutti i centri ferroviari sono paralizzati, le grandi città probabilmente in disordine, per dichiarare la guerra?

Non dobbiamo poi, dimenticare che la dichiarazione di guerra ha effetti importantissimi non soltanto rispetto a tante situazioni di ordine civile, che esistono all’interno del territorio, ma anche nei riguardi internazionali, per le navi italiane mercantili e da guerra, gli aerei, ed i cittadini, che si trovano all’estero, rispetto alla posizione giuridica dei quali il momento della dichiarazione di guerra può avere effetti talvolta decisivi.

Ecco perché ritengo che, malgrado il nostro desiderio di limitare i poteri dell’esecutivo in questa materia, si debba purtroppo lasciare ad esso la facoltà di dichiarare la guerra.

D’altra parte occorre rilevare che un potere esecutivo che voglia fare una guerra aggressiva, presumibilmente ha già il consenso delle Camere; in caso contrario, esso non potrebbe preparare la guerra, perché le Camere gli negherebbero la fiducia.

Rimettiamo dunque al potere esecutivo una facoltà che un tempo dipendeva dalle prerogative del re, e che oggi dipende dalle caratteristiche tecniche della guerra.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Ho troppo rispetto per il collega Corbino, perché non mi senta in obbligo di replicare alle sue osservazioni e, nel tempo stesso, alle altre, pur tanto sensate, del Relatore della Commissione onorevole Tosato.

Bisogna, per capirci, parlar chiaro.

Intende il Parlamento spossessarsi del supremo diritto e della suprema responsabilità di mobilitare e dichiarare la guerra? Intende esso delegare questo suo potere al Governo?

Il principio informativo del testo stesso redatto dalla Commissione e degli emendamenti proposti dagli onorevoli Azzi, Clerici, Meda, Persico e dallo stesso onorevole Terranova culmina in questo: che la Costituente intende avocare alle due Camere, riunite o no, perché questa questione sarà discussa in seguito, il supremo potere e la sua suprema responsabilità, potrei dire il supremo onore o la suprema sventura, di dichiarare la guerra: questo è il primo punto.

Secondo punto. È necessario che tutti convengano su questa verità realistica: che mobilitazione ormai vuol dire guerra, e che la mobilitazione generale non esiste più, perché colla voce di mobilitazione generale, si intende mobilitazione militare, cioè la mobilitazione di tutte le forze di terra, di mare e di cielo e nel tempo stesso mobilitazione civile. Dichiarare di colpo la mobilitazione generale vorrebbe dire paralizzare con simile provvedimento tutta la vita nazionale ed arrestare o quanto meno sconvolgere tutta l’attrezzatura industriale del Paese. Tanto è vero questo, che nell’ultima guerra si sono avute tutte mobilitazioni parziali e le stesse mobilitazioni parziali sono avvenute in termini ed in forma graduali. Questa è una verità acquisita alla storia recente, e contro di essa non possiamo ribellarci. Ecco perché il generale Azzi ed io siamo concordi – anche per aver sentite le opinioni dei competenti – nel domandare la soppressione di questa voce: «mobilitazione generale» e lasciare il termine generico di: «mobilitazione». Nel tempo stesso riconosciamo – ed ecco perché non concordo con il Relatore nel senso di sopprimere la seconda parte del mio emendamento – che bisogna richiamare l’attenzione sia di quello che sarà il Presidente della Repubblica sia del Governo sull’obbligo di provvedere ad immediate opere di difesa non solo di fronte alle aggressioni, ma anche di fronte al pericolo delle aggressioni. Il che si potrà fare col richiamo degli specializzati, con l’ammassamento di truppe alla frontiera minacciata e con gli altri provvedimenti preparatori. Ma è bene che questo sia detto. Non creda l’onorevole Nobile che la dichiarazione di guerra non avvenga più. Tutt’altro: nell’ultima guerra vi fu la nostra dichiarazione di guerra alla Francia e quella della Francia e dell’Inghilterra alla Germania, per quanto già fossero iniziate le operazioni militari in Albania, nei Sudeti ed in Moravia e Cecoslovacchia. La dichiarazione di guerra può avvenire, come è avvenuta infatti da parte di taluni paesi, Francia e Inghilterra, i quali hanno creduto doveroso di uniformarsi alla prassi costante delle leggi internazionali. Ma, ripeto, il punto fondamentale della questione è questo: attraverso l’esperienza dell’ultima guerra è da ritenersi che la mobilitazione generale non avvenga più, e che, quindi, subordinare soltanto alla generalità ed alla totalità della mobilitazione il potere e la responsabilità del Parlamento, vuol dire sottrarre il Parlamento a questo suo supremo diritto e dovere, e delegarlo al Governo. Contro la delegazione al Governo noi siamo decisi, e per questo è bene pronunziarsi con tutta chiarezza.

AZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Vorrei pregare i colleghi, specialmente coloro i quali hanno avuto già occasione di parlare per svolgere i loro emendamenti, di non ripetere ancora una volta le considerazioni già esposte, sia pure in forma polemica con chi ha espressa altra tesi. Onorevole Azzi, ha facoltà di parlare.

AZZI. A quanto ha già detto l’onorevole Gasparotto, debbo aggiungere la considerazione che la mobilitazione generale non si fa quasi mai e ad ogni modo costituisce la fine della mobilitazione, perché, come sappiamo, la mobilitazione generale deriva dalla somma di singole mobilitazioni parziali più o meno occulte che vanno a sboccare nella mobilitazione generale, magari dopo dichiarata la guerra. Quindi la parte più pericolosa di questa non è la mobilitazione generale, ma l’inizio della mobilitazione, perché da questo inizio possono derivare conseguenze di carattere interno e di carattere internazionale, le quali possono anche trascinare – non volendo – alla guerra. Perciò, insisto sull’emendamento presentato dall’onorevole Gasparotto e da me, di togliere cioè la parola «generale» dopo la parola «mobilitazione».

Per quanto riguarda l’osservazione fatta dall’onorevole Corbino devo dire che non la condivido, perché ritengo che delegare al Governo la facoltà di dichiarare la guerra costituisca un errore psicologico, in quanto che il popolo che deve combattere la guerra, meglio e più volentieri la combatterà se saprà che la guerra è stata dichiarata da tutti i rappresentanti del popolo liberamente eletti. La ritengo soluzione antidemocratica, perché, come ha detto l’onorevole Gasparotto, il Parlamento in questo modo rinunzia alla sua responsabilità proprio nel momento in cui questa responsabilità diventa per esso più grande per le deliberazioni che si devono prendere in circostanze così eccezionali. Ritengo in contrasto questo procedimento proposto dall’onorevole Corbino col principio prudenziale sancito nell’articolo 6 della nostra Costituzione, e lo ritengo infine pericoloso per l’arbitraria ed errata interpretazione che può essere data dal Governo alle cause che potrebbero determinare la guerra.

Ricordo a questo proposito, senza voler iniziare una polemica, che siamo entrati in guerra contro l’Africa Orientale per l’aggressione ammaestrata di Ual Ual, che fu da noi preparata proprio per determinare un pretesto di guerra.

CORBINO. Ma allora in Italia si era sotto un regime dittatoriale antidemocratico.

AZZI. Vi era un Governo non controllato dal Parlamento, e noi, delegando al Governo i poteri, rinunciamo al nostro controllo e lo lasciamo arbitro di fare quello che vuole. (Commenti).

Ho espresso la mia idea; in contrasto con quella dell’onorevole Corbino, e per riconfermare il mio accordo con quella dell’onorevole Gasparotto.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei chiedere un chiarimento all’onorevole Gasparotto ed agli altri firmatari del suo emendamento. In sostanza, mi pare che essi escludano la mobilitazione generale, ma ritengano tuttavia indispensabile che sia il parlamento a dare l’autorizzazione per una mobilitazione qualsiasi, cioè minore, e dunque, parziale; le misure di difesa in genere sono invece, secondo il loro punto di vista, affidate al Consiglio dei Ministri. Ma fra le misure di difesa non rientrano anche, ad esempio, gli eventuali richiami di alcune classi? E gli eventuali richiami di alcuni classi non costituiscono una mobilitazione parziale? Ed allora? Io chiedo ai presentatori dell’emendamento se non ritengano opportuno sopprimere l’accenno alla mobilitazione, dicendo cioè che spetta all’Assemblea la dichiarazione di entrata in guerra e spetta invece al Consiglio dei Ministri l’insieme delle misure di difesa.

GASPAROTTO. Ho già detto. Per esempio, richiamo di classi specializzate. Del resto, non dovrei dire troppo. Esistono tante forme larvate di preparazione militare.

FABBRI. Ad ogni modo i presentatori dell’emendamento hanno capito il mio concetto e possono, ove lo credano opportuno, tenerne conto.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Secondo il mio costume, farò alcune osservazioni molto semplici. Vi sono tre questioni; quella della mobilitazione, quella dell’entrata in guerra e quella dei poteri da concedere al Governo, dato che c’è stata anche questa ultima proposta dell’onorevole Fuschini che entra nel quadro dei temi che ora dobbiamo trattare.

Per quanto riguarda la mobilitazione, la seconda Sottocommissione tenne presente l’opportunità di sottrarre la mobilitazione generale alla competenza di un Governo, che potrebbe disporla anche indipendentemente dalla guerra come attentato alle libertà fondamentali. Prescindendo da questo riflesso, e considerando la mobilitazione soltanto nei riguardi della guerra, si era pensato di riservare, mediante una norma costituzionale, al Parlamento l’atto più pieno e formale della mobilitazione generale, salvo alle leggi stabilire le norme per la mobilitazione parziale. Ma i tecnici fanno ora presente che non vi è effettiva distinzione fra i vari i gradi di mobilitazione, e quindi potete, colleghi dell’Assemblea, togliere ogni specificazione e dosatura.

Sta ad ogni modo il fatto, e qui parlo dell’emendamento Gasparotto, che se non mettiamo nella Costituzione alcuna norma per la mobilitazione, potrà ugualmente ad essa ricorrere il Governo, come potrà ricorrere ad ogni altra norma necessaria per la difesa dello Stato, in via di urgenza e di necessità, con decreto-legge, in base alla norma generale che abbiamo messo nella Costituzione.

Aggiungo che l’emendamento dell’onorevole Gasparotto non mi sembra del tutto preciso, perché parla di aggressioni improvvise; ma vi possono essere altri casi (ad esempio la mobilitazione d’altri paesi), in cui il Governo è costretto a prendere misure di difesa e disporre la mobilitazione. «Aggressione» è toppo poco; se si mettesse «pericolo» sarebbe frase troppo generica. Né è priva di una certa efficacia l’osservazione dell’onorevole Fabbri; perché se noi riserviamo la mobilitazione alle Camere, e poi stabiliamo che in caso di aggressione si debbono prendere provvedimenti, sorge il dubbio se si possa fare la mobilitazione con atto di urgenza.

Secondo punto: la entrata in guerra. È da ritenere che con lo stato attuale della tecnica della guerra, nell’età che ormai si chiama della bomba atomica, la guerra si aprirà con aggressioni improvvise e non con cavalleresche dichiarazione di araldi, come al buon tempo antico. Il paese molto probabilmente, e più spesso, si troverà in guerra senza una previa proclamazione di essa, senza indugio, prima che si possa raccogliere il Parlamento e provvedere alla difesa in via della massima urgenza. Ma ciò non toglie che il Parlamento non debba, appena è possibile, intervenire. Vi è un atto necessario; ed è quello di stabilire – sarà di fatto più spesso riconoscere – che vi è la guerra; e che ne derivano conseguenze giuridiche di grandissimo rilievo, sia nei rapporti dei cittadini all’interno, sia nei rapporti esteri con stati e cittadini esteri. Non occorrono esemplificazioni. Si tratta, in sostanza, di deliberare lo «stato di guerra». L’espressione «stato di guerra» mi sembra la più esatta giuridicamente, e direi anche, psicologicamente. Ora volete che questa deliberazione dello stato di guerra sia lasciata al Governo? È compito del Parlamento: avremo queste fasi: difesa immediata con atto del Governo; deliberazione dello stato di guerra da parte del Parlamento; dichiarazione formale di guerra che spetta, come dice un altro articolo della Costituzione, al Capo dello Stato.

Il Parlamento avrà poi un altro compito – ecco il terzo punto – su cui ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea l’onorevole Fuschini: accordare al Governo i necessari poteri. Non direi pieni poteri; né poteri adeguati; «necessari» mi pare l’espressione migliore.

Tutto ciò premesso, vi proporrei di stabilire che «l’Assemblea Nazionale o il Parlamento o le Camere riunite deliberano lo stato di guerra», e poi aggiungerei «e concedono i poteri necessari al Governo».

Non entro qui nel problema se si debba parlare di Assemblea Nazionale o di Parlamento (come propone con un suo emendamento l’onorevole Corbino) o di Camere riunite. A me sembra che non vi sia niente di male a dare un nome alle riunione delle due Camere; e – piuttosto che Parlamento, designazione che indica normalmente le due Camere, anche considerando che lavorino distintamente – si potrebbe usare l’espressione di Assemblea Nazionale, che ha per sé la tradizione di tante costituzioni straniere; e non risulta così eretica e pericolosa come appare all’onorevole Nitti. Ma di ciò a suo tempo.

La questione da decidere qui è se, per la deliberazione dello stato di guerra e la concessione dei poteri al Governo, convenga che le Camere deliberino insieme, o ciascuna per conto suo. È una deliberazione che non richiede discussioni minute e tecniche; e può avvenire in poche ore; in un’ora; è un compito che può benissimo essere adempiuto a Camere riunite. Ciò darà all’atto una solennità ed una grandezza che avrà anche effetti psicologici nel Paese. Né saprei concepire che una Camera decidesse lo stato di guerra e l’altra no. Ritengo che occorre la riunione delle due Camere.

In ogni modo ho voluto suggerire una formula tecnica che può prestarsi alle varie soluzioni, e che è sintetica e chiara.

PRESIDENTE. Desidero rammentare prima di passare alle votazioni su questo articolo, che ancora stamane, l’Assemblea ha riconosciuto l’opportunità di deliberare per prima cosa quali siano le particolari questioni che richiedono una decisione delle due Camere riunite, salvo a definire poi il modo di funzionamento e la denominazione che le due Camere riunite dovranno assumere.

Pertanto, anche in questo articolo, sia nel testo della Commissione come in tutti gli emendamenti che sono stati presentati e svolti e che metteremo in votazione, ogni indicazione che si riferisca all’Assemblea Nazionale per ora resta sospesa.

Dobbiamo semplicemente votare in ordine a questa questione: se la mobilitazione generale, l’entrata in guerra o altri atti di analoga importanza, debbano dipendere da una deliberazione delle due Camere riunite, oppur no.

Ora, dopo le risposte che hanno dato gli onorevoli Ghidini, Tosato e Ruini ai presentatori di emendamenti, domanderò a questi se conservano o meno, gli emendamenti stessi.

Poiché l’onorevole Terranova non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Ritiro la prima parte del mio emendamento e conservo la seconda.

PRESIDENTE: L’onorevole Benvenuti mi ha fatto pervenire il testo di un emendamento alla formulazione dell’onorevole Gasparotto.

«Dopo le parole: uno Stato straniero, sostituire il testo con le seguenti parole: il Consiglio dei Ministri propone al Presidente della Repubblica i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese.

«Il Presidente della Repubblica dà corso ai provvedimenti e convoca d’urgenza l’Assemblea Nazionale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei pregare l’onorevole Benvenuti di considerare se non sia il caso di ritirare il suo testo che è alquanto complesso, e non è necessario. Ripeto ancora una volta che, in base all’articolo da noi già votato sui provvedimenti d’urgenza e necessità, il Governo ha facoltà di provvedere senza perdere tempo.

Noi non faremmo con il testo proposto dall’onorevole Benvenuti, se non ripetere quella disposizione e – noti il collega Benvenuti – verremmo nel tempo stesso a diminuire la portata dei provvedimenti che il Governo può e deve prendere.

PRESIDENTE. Onorevole Gasparotto, accetta la proposta dell’onorevole Benvenuti?

GASPAROTTO. Onorevole Presidente, la proposta dell’onorevole Benvenuti è intuitiva. Mi parrebbe offensivo per qualsiasi Governo supporre che, di fronte a frangenti dai quali può dipendere la vita e la morte dei cittadini, esso possa restare inerte.

PRESIDENTE. Allora non l’accoglie.

GASPAROTTO. Onorevole Presidente, io proporrei questo testo: «Spetta all’Assemblea Nazionale di deliberare sulla mobilitazione e sullo stato di guerra e sui poteri da delegare al Governo stesso».

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Benvenuti, ella mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. No, onorevole Presidente, non lo mantengo sia perché aderisco alla proposta Gasparotto-Ruini, sia perché ritengo di dover prendere atto delle dichiarazioni dell’onorevole Gasparotto e di quelle dei rappresentanti della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Meda, mantiene l’emendamento?

MEDA. Onorevole Presidente, sarei disposto a ritirarlo, ma desidererei prima conoscere il testo preciso della Commissione.

PRESIDENTE. Ne do lettura: «L’Assemblea Nazionale delibera lo stato di guerra e concede al Governo i necessari poteri». Questa, onorevole Meda, è la proposta dell’onorevole Ruini.

MEDA. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, mantiene il suo?

AZZI. Accetto la formula del Presidente della Commissione, con l’aggiunta però della parola «mobilitazione», già proposta dall’onorevole Gasparotto e da me.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene l’emendamento?

CODACCI PISANELLI. Lo mantengo. Richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che presso i popoli civili l’amnistia e l’indulto sono sempre concessi con leggi di carattere costituzionale.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli, lei mantiene il suo emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo ritiro e aderisco all’emendamento dell’onorevole Persico.

Per quanto riguarda la prima parte dell’articolo, aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Leone Giovanni, mantiene il suo emendamento?

LEONE GIOVANNI. Lo mantengo.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, a nome del mio Gruppo, chiedo una breve sospensione, di dieci minuti, per deliberare sul nuovo testo propostoci dall’onorevole Ruini, che importa una notevole modificazione sia rispetto al testo originale, sia rispetto agli emendamenti che questa mattina abbiamo discusso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Poiché si tratta di due temi completamente staccati – ed è anzi stata fatta la proposta di farne due articoli – sarebbe bene che li considerassimo distintamente, anche come ultimo scambio di idee; perché, quando si passerà al secondo comma, farò alcune osservazioni, diro così, finali, come ho già fatto per il primo comma.

FUSCHINI. Deliberiamo di fare due articoli: uno che si riferisce alla guerra e uno all’amnistia.

PRESIDENTE. Lo stesso testo della Commissione ne fa intanto due commi separati; la questione di dividerli in due articoli è, direi, di carattere secondario. In questo momento decidiamo sul merito e votiamo intanto separatamente, prima sulla mobilitazione e lo stato di guerra e poi sull’amnistia e l’indulto. La divisione in due articoli è un problema che può essere risolto alla fine.

PERSICO. Vi è la proposta dell’onorevole Terranova, che prevede appunto la divisione in due articoli.

PRESIDENTE. Ma vi è anche quella dell’onorevole Azzi.

Se non vi sono osservazioni circa la richiesta dell’onorevole Benvenuti, la seduta è sospesa per un quarto d’ora. Chiedo all’onorevole Benvenuti se vi insista.

BENVENUTI. Insisto nella mia richiesta.

(La seduta, sospesa alle 17.35, è ripresa alle 17.50).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, do lettura dei due testi del primo comma dell’articolo 75, sui quali dobbiamo decidere.

Il primo è quello dell’onorevole Ruini:

«L’Assemblea Nazionale delibera lo stato di guerra e concede i necessari poteri al Governo».

L’altro è il testo proposto dall’onorevole Gasparotto:

«Il Parlamento delibera la mobilitazione e lo stato di guerra e conferisce al Governo i necessari poteri».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si tratta di aggiungere al testo iniziale la parola «mobilitazione»; ciò che il Comitato non ritiene necessario.

PRESIDENTE. Rammento ancora una volta che i termini: «Assemblea Nazionale» e «Parlamento» per ora non hanno un valore conclusivo allo scopo della votazione. Queste parole vogliono soltanto significare che coloro che propongono questi testi intendono che le deliberazioni relative allo stato di guerra siano prese congiuntamente dalle due Camere.

MORO. Chiedo di parlare, per dichiara razione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi voteremo contro queste formulazioni. Poiché la questione è impostata, noi intendiamo che le due Camere debbano deliberare separatamente.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Voterò contro le formule proposte.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Ritengo che sarebbe opportuno dividere le questioni e decidere prima se il Parlamento debba deliberare a Camere riunite o separate e quindi, stabilire la materia delle deliberazioni.

PRESIDENTE. Mi sembra che si voglia riaprire una discussione già esaurita. Lei, onorevole Uberti, in questo momento ci ripropone la questione di ieri sera e di questa mattina. In questo momento noi stiamo cercando di risolvere questa questione: se debbano esservi particolari deliberazioni da attribuirsi alle due Camere in seduta comune. Se alla fine di questa votazione risultasse che l’Assemblea non intende affidare nessuna deliberazione alle due Camere insieme riunite, allora non vi sarà un organo in cui si unificano le due Camere. Ma se, con le votazioni che faremo, si stabilisse anche una sola materia per la quale le due Camere dovessero decidere insieme, la questione di principio se le due Camere si possono costituire in unica Assemblea sarebbe risolta, salvo il funzionamento e la struttura dell’organo unificato.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei proporre una piccola variazione di forma, che tuttavia ha una qualche importanza, vale a dire che si dicesse: «Le Camere riunite deliberano» non «lo stato di guerra» ma «sullo stato di guerra».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene. Si terrà presente la sua proposta in sede di coordinamento.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Mi sembra che si dovrebbe stabilire con un criterio generale come dovranno procedere le due Camere quando occorrerà una delle deliberazioni che si prevedono in questo articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, le faccio osservare che su questo punto l’Assemblea ha già deciso la procedura da seguire.

Pongo in votazione la formula dell’onorevole Gasparotto, che è un emendamento al testo della Commissione per quanto ne riprenda in parte il contenuto:

«Il Parlamento delibera la mobilitazione e lo stato di guerra e conferisce al Governo i necessari poteri».

Comunico che è stata presentata una richiesta di appello nominale dall’onorevole Sullo e altri.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei domandare all’onorevole Gasparotto se con l’espressione «Il Parlamento» intenda le Camere separate o riunite.

GASPAROTTO. Intendo lasciare questo impregiudicato. La mia è una questione di merito. E cioè, resta impregiudicato se la deliberazione sull’entrata in guerra e la deliberazione sulla mobilitazione spetti alla Assemblea Nazionale, ove venga istituita, o alle Camere separatamente o congiuntamente. Di questo si parlerà a parte.

PRESIDENTE. È evidente, onorevole Moro, che se lei pone una domanda di questo genere, la risposta non può essere che quella che le ha dato l’onorevole Gasparotto. Ma mi pareva che fosse abbastanza chiaro che in questo momento, indipendentemente dal significato che i presentatori degli emendamenti dànno al soggetto del loro emendamento, noi votiamo su questa questione: se le Camere devono essere riunite o no, e pertanto il termine: «Parlamento», e l’altro: «Assemblea Nazionale» vogliono proprio indicare le Camere riunite. Coloro che votano favorevolmente alla formula proposta, approvano che le Camere decidano insieme; coloro che votano contro, non respingono il merito, ma intendono affermare che le Camere non devono deliberare unite.

MORO. Allora noi voteremo contro questa formula.

AZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AZZI. A me pare che facendo la votazione in questi termini, noi che abbiamo presentato un emendamento alla sostanza dell’articolo, finiamo per vederlo respinto per una questione di forma.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, ho già precisato lo scopo della votazione. Qualora l’emendamento fosse respinto, la questione di merito verrebbe riproposta.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Desidererei chiedere una delucidazione in rapporto all’aggiunta della parola «mobilitazione» che ha fatto l’onorevole Gasparotto. Io credo che la mobilitazione rientri nei poteri che il Parlamento dà al Governo e quindi è inutile aggiungere la parola «mobilitazione».

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

Si tratta dunque di decidere se le due Camere debbano sedere assieme per deliberare sulla mobilitazione, sullo stato di guerra e sul conferimento al Governo dei poteri necessari a questo scopo.

Vi erano alcuni emendamenti, ritirati dai presentatori, che ponevano molto chiaramente la questione. Ora, io non ho la facoltà di proporre formulazioni; ma se qualche collega volesse prendere una iniziativa in questo senso, ciò faciliterebbe le decisioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Proporrei di far votare la seguente formula:

«Le Camere riunite deliberano la mobilitazione». Così il senso del voto è chiaro. Noi votiamo contro, intendendo respingere il principio.

PRESIDENTE. Si potrebbe anche votare per divisione. Per prime si voterebbero le parole: «Le Camere riunite» e successivamente la materia della deliberazione.

Onorevole Sullo, mantiene la richiesta di appello nominale?

SULLO. La ritiro.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Sarebbe bene che si votasse prima sulle parole «Le Camere», poi sulla parola «riunite», ed infine sulle singole materie.

PRESIDENTE. Allora si vota per divisione in tre parti.

Pongo in votazione le parole:

«Le Camere».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la parola:

«riunite».

Coloro che votano favorevolmente accettano il criterio che le deliberazioni vengano prese in seduta comune dalle due Camere. Resta salva, poi, la decisione sul nome che devono avere le due Camere così riunite e sul funzionamento dell’organo che risulterà formato dalla loro unione.

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione, non è approvata).

Pongo in votazione le parole:

«deliberano la mobilitazione».

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Voterò contro, ritenendo che soltanto la dichiarazione dello stato di guerra rientri nelle competenze della Camera. Una volta che è chiarito che per mobilitazione s’intende non solo la mobilitazione generale ma anche un parziale richiamo di classi, ritengo che il richiamo parziale di classi rientri in quelle tali facoltà e misure di difesa da delegarsi al Governo.

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione non sono approvate).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«Deliberano lo stato di guerra».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e conferiscono al Governo i necessari poteri».

(Sono approvate).

Il primo comma dell’articolo 75 risulta così approvato nel seguente testo:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i necessari poteri».

Passiamo al secondo comma dell’articolo. Il testo della Commissione è del seguente tenore:

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

S’intende che le parole: «dall’Assemblea Nazionale» dovranno essere sostituite in sede di coordinamento.

L’onorevole Bettiol mi ha fatto pervenire in questo momento un testo modificato dell’emendamento al secondo comma dell’articolo 75, svolto dall’onorevole Leone Giovanni:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica, dietro delegazione delle Camere, e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

Onorevole Fuschini, mantiene l’emendamento al secondo comma?

FUSCHINI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene l’emendamento?

CODACCI PISANELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli, mantiene l’emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, mantiene l’emendamento?

AZZI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli: «L’amnistia e l’indulto non potranno essere concessi se non mediante leggi di natura costituzionale».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del nuovo testo dell’emendamento Bettiol, testé letto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea deve decidere: o deferire senz’altro alle Camere, secondo come propone l’emendamento dell’onorevole Persico, oppure ammettere una delegazione o autorizzazione.

Se si prende questa seconda via, io prego di attenersi al testo dell’onorevole Bettiol, che mi sembra preferibile dal punto di vista tecnico.

PRESIDENTE. Se ho ben udito, l’onorevole Ruini ha riconfermato che la Commissione si attiene al testo presentato, ed ha fatto presente all’onorevole Bettiol e agli altri firmatari le ragioni per cui non accetterebbe il loro emendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi pareva che l’onorevole Ruini non avesse voluto dire questo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io debbo chiarire che, poiché il nostro compito è quello di trovare la formulazione più precisa possibile, ho prospettato quale essa è, a nostro avviso, sia nell’ipotesi che l’Assemblea voglia dare direttamente alle Camere la concessione dell’amnistia e dell’indulto (ed in tal caso la formula preferibile è dell’onorevole Persico); sia nell’ipotesi che entri nell’ordine di idee di una autorizzazione o delegazione delle Camere al Governo (nel qual caso il testo proposto dall’onorevole Bettiol è tecnicamente preferibile agli altri).

PRESIDENTE. Mi sembra che il testo presentato dall’onorevole Bettiol non permetta all’Assemblea di pronunciarsi in ordine al quesito principale: se le Camere debbano dare questa delegazione riunite oppure ciascuna nella propria sede. Io penso, quindi, che a questo emendamento dell’onorevole Bettiol bisogna ad un certo momento, con un emendamento all’emendamento, inserire la solita parola «riunite», sulla quale l’Assemblea si pronunzierà.

Porrò in votazione prima questa formula:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere»; e poi la parola «riunite». Se l’Assemblea non l’accetta, porrò ai voti allora la formulazione della Commissione, includendo naturalmente anche in essa la parola «riunite».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io volevo semplicemente osservare questo: mi pare che la procedura proposta dal Presidente non sia strettamente regolamentare, perché, essendoci degli emendamenti che modificano il testo della Commissione, essi dovrebbero essere posti in votazione per primi.

Quanto alla formulazione della proposta di emendamento nel senso di disporre l’amnistia con legge di delegazione, mi pare che quella proposta dell’onorevole Fuschini sia tecnicamente più esatta di quella dell’onorevole Bettiol. E ciò nella considerazione che, essendoci l’articolo 83 in cui è detto che il Presidente della Repubblica emette i decreti legislativi, mi pare che quando si dispone che l’amnistia si concede con decreto legislativo sia inutile precisare l’organo che emette questo decreto. Abbiamo un articolo di carattere generale che stabilisce la forma dei decreti legislativi; quindi basterà affermare il principio che l’amnistia è concessa su delegazione: rimettendosi per l’esercizio della delegazione alle norme generali. Mi pare, quindi, che l’altra formula proposta dall’onorevole Fuschini, pur coincidendo pienamente con quella del collega Bettiol, sia formalmente più esatta.

Quanto al merito, la ragione per cui io e l’onorevole Fuschini e gli altri firmatari insistiamo su questo emendamento, è che esso tende a conciliare – e felicemente concilia – due esigenze che sono state prospettate, due difficoltà che si presentano in ordine all’amnistia, cioè l’esigenza che non sia affidato alla discrezionalità del Governo questo atto importante e delicato che fa cadere l’azione penale, e viceversa sia tenuta presente l’altra esigenza della difficoltà tecnica della formulazione di questo atto e, quindi, dell’opportunità che esso venga affidato al potere esecutivo. C’è, quindi, il contemperamento, il tentativo di conciliazione di queste due esigenze contrastanti, che depone dell’opportunità dell’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, questo emendamento è già stato svolto prima.

Ad evitare contestazioni, onorevoli colleghi, vorrei che con precisione si dicesse se l’emendamento Bettiol è stato presentato a titolo personale dall’onorevole Bettiol, oppure debba intendersi come sostitutivo dell’emendamento presentato prima e che portava anche le firme di altri deputati.

BETTIOL. Ho presentato questo emendamento a titolo personale, come chiarimento ad un altro emendamento da me sottoscritto.

Soltanto, intendevo che si riconoscesse un particolare risalto alla figura del Presidente della Repubblica, in ordine alla concessione di questo particolare beneficio. Non è un potere proprio del Presidente, perché si sostiene la necessità della delegazione da parte del Parlamento; ma c’è una tradizione in tutti i paesi per cui è il Capo dello Stato, come tale, che concede questo particolare beneficio, salvo delega da parte del Parlamento. Non è un provvedimento motu proprio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una questione puramente tecnica. Ripeto che la dizione dell’onorevole Bettiol è preferibile. Mettendo «per decreto legislativo» come vuole l’onorevole Mortati, si trasferisce alle Camere la facoltà di concedere amnistia ed indulto, che è finora spettata al Capo dello Stato; e si prescrive che alla concessione debba aver luogo sempre «un decreto legislativo». Non suona bene, a mio avviso, che la forma del decreto legislativo, da considerarsi come un’eccezione, diventi, almeno per una singola materia, normale ed obbligatoria. È preferibile la linea seguita dall’onorevole Bettiol: che la facoltà di far amnistia ed indulto rimane al Capo dello Stato; ma occorre, perché la metta in essere, un consenso del Parlamento. Dichiaro che preferirei dire «autorizzazione» anziché «delegazione» del Parlamento; appunto per render più chiaro che non si tratta di una figura perfettamente eguale a quella del decreto legislativo. Sarebbe piuttosto nell’intesa dell’onorevole Bettiol, una delegazione impropria e sui generis. Meglio parlare di «autorizzazione», ciò che non vieta che, nel dare l’autorizzazione, il Palamento non possa subordinarlo a criteri e principî direttivi che il Capo dello Stato deve seguire. Avverrà di fatto che il Governo presenterà più spesso un disegno di legge, che conterrà o lo stesso testo dell’amnistia ed indulto, o i criteri e principî direttivi; ed il Parlamento darà l’autorizzazione o la negherà o la subordinerà a modificazione. Ad ogni modo, sarà da vedere in sede di revisione e di coordinamento della Costituzione, se sarà meglio parlare di «delegazione» od «autorizzazione».

Qui mi preme notare che, in sostanza, la proposta Bettiol e quella Mortati hanno una portata sostanzialmente non diversa. Rappresentano tutte due una conciliazione che mi sembra opportuna, fra la soluzione di deferire la concessione al Parlamento (al qual riguardo sono stati avanzati qui dubbi, soprattutto per la necessità di una elaborazione del provvedimento, che non si addice alle Camere) e l’altra soluzione di consacrare la facoltà al Capo dello Stato. La formula Bettiol è tecnicamente preferibile; anche perché è più breve e di stile più costituzionale.

Si presta poi all’aggiunta rapida e breve che l’amnistia e l’indulto non si applicano a reati commessi successivamente alla richiesta di autorizzazione o delegazione. Abbiamo sentito molti rilievi sul pericolo della speculazione sull’amnistia e sull’incoraggiamento a compier reati mentre si discute il provvedimento. Non è inutile stabilire ciò che l’onorevole Bettiol propone; e che non vieta, se occorre, di stabilire sul provvedimento una data anteriore; comunque mai dopo la richiesta.

RESTIVO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESTIVO. Signor Presidente, desidererei sottoporre all’Assemblea l’opportunità di una considerazione: qui si parla di una delega che la legge dovrebbe dare al potere esecutivo perché questo emetta l’atto e conceda l’amnistia. Si arriverebbe pertanto a un assurdo giuridico, che cioè l’organo il quale dà la delega non potrebbe poi emanare l’atto. Credo quindi che, in tal modo, si cadrebbe in una situazione inammissibile dal punto di vista logico.

PRESIDENTE. Non resta allora, onorevoli colleghi, che passare alla votazione. Desidero però far prima una breve osservazione. Se l’Assemblea accetterà la formula proposta dall’onorevole Bettiol, mi sembra che sarà forse opportuno che il Comitato di redazione coordini il testo nel senso che sono le Camere il soggetto di questa disposizione; e ciò in armonia alla dizione degli articoli precedenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accolgo perfettamente questa osservazione del Presidente dell’Assemblea e aggiungo che, passando alla formula dell’onorevole Bettiol, si deve vedere se essa non debba essere collocata nel titolo del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte dell’emendamento Bettiol:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione la parola: «riunite».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte dell’emendamento:

«e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

(È approvata).

L’articolo 75 risulta così approvato, salvo coordinamento, nel seguente testo:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i necessari poteri.

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

Quanto alla proposta di dividere in due articoli la formulazione testé approvata la Commissione ne terrà conto nella redazione definitiva.

Abbiamo concluso così Titolo primo della seconda parte relativo al potere legislativo.

Passiamo ora al Titolo II:

«Il Capo dello Stato».

Si dia lettura dell’articolo 79.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale, con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi a maggioranza assoluta.

«L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri che compongono l’Assemblea a questo fine».

PRESIDENTE. L’onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, a maggioranza assoluta».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo italiano a suffragio universale e diretto».

L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. I sistemi per l’elezione del Capo dello Stato possono essere diversi: suffragio diretto da parte di tutta la massa degli elettori; elezione da parte delle due Camere riunite, che sarebbe il sistema classico; e la elezione da parte di un Collegio speciale, per il quale la fantasia può sbizzarrirsi ad immaginare un’infinità di sottoclassi.

La nostra Commissione ha scelto il secondo sistema, leggermente contaminato dal terzo, cioè l’elezione da parte dell’Assemblea Nazionale con la partecipazione, come dice qualcuno, simbolica di alcuni membri espressi dalle Assemblee regionali; simbolica perché il numero dei partecipanti è lieve, una quarantina in tutto.

I motivi della scelta non sono esplicitamente detti, ma sono impliciti nei motivi che portarono alla reiezione del primo sistema. Il suffragio diretto del popolo è stato escluso per un motivo di pura teoria, e perciò assolutamente inconsistente (La Rocca), e cioè che la elezione diretta muterebbe la caratteristica del sistema parlamentare, introducendovi un elemento del sistema presidenziale; e per un motivo pratico, la necessità di evitare che il Capo dello Stato, sentendosi troppo forte e troppo indipendente dai due rami del Parlamento, possa assumere atteggiamenti alla Giulio Cesare, la necessità di evitare quel che si dice appunto cesarismo, che, in lingua povera significa dittatura, tirannia. E si cita la esperienza di altri paesi, tra i quali la troppo citata Repubblica di Weimar. Sta di fatto che il Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, non è un personaggio coreografico. A parte il considerare che egli, come ben dice l’onorevole Ruini, è il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale prima che temporale della Repubblica, a parte il considerare che rappresenta l’unità e la continuità della Nazione, la forza dello Stato, che rimane ferma ed uguale nel fluttuare e nel mutare di uomini e di partiti, egli ha dei poteri veramente eccezionali, come per esempio la nomina e quindi la revoca del Primo Ministro e dei Ministri (e si pensi che la scelta di un uomo può avere, a volte, influenza decisiva sulla situazione politica di un Paese), la facoltà di indire il referendum in caso di dissenso legislativo fra i due rami del Parlamento ed infine lo scioglimento delle Camere per dare il passo all’opinione pubblica, scioglimento che da taluno (Blum) è ritenuto la chiave di volta di ogni ordinamento democratico.

In queste condizioni mi pare che il Capo dello Stato abbia bisogno di forza morale e di indipendenza, e non vedo perché non debba ripeterle direttamente dal popolo.

È risaputo da tutti che il Presidente non deve avere funzioni di partito e che l’elezione da parte delle due Camere lo rende appunto troppo prigioniero di esse. È per questo che taluni preferiscono (Mortati) il collegio speciale, mentre è chiaro che il vero modo di distaccare il Capo dello Stato dai movimenti politici e di renderlo imparziale è l’elezione diretta. Difatti anche il Relatore Tosato afferma che tale esigenza è soddisfatta, ma solo in parte, dal sistema adottato dall’articolo 79 del nostro progetto di Costituzione.

Intanto il suffragio diretto è stato respinto all’unanimità da quel collegio di 8 membri che fu nominato dalla seconda Sottocommissione, prima Sezione. Esso ritenne imprudente che il Capo dello Stato fosse esponente diretto del popolo e opinò che tale forma avrebbe reso difficile il funzionamento del sistema parlamentare. Di quel Comitato facevano parte uomini dell’Unione democratica nazionale (Bozzi), e della Democrazia cristiana (Tosato-Mortati): democrazia, demos, popolo, repubblicani storici come Penassi e Conti, uomini dal motto «Dio e Popolo», quasi due divinità; socialisti e comunisti, che si credono i soli autentici rappresentanti del popolo, di cui invocano spesso la sovranità, quando non invocano addirittura quella della piazza. Mancavano i monarchici, che credono alla sovranità del re; i liberali e i qualunquisti, che si dice credano alla sovranità dei blasoni e dei forzieri. Ebbene, proprio gli idolatri del popolo hanno avuto paura del popolo! Perché ciò? Bisogna pensare che ognuno sogni un Capo dello Stato tutto di suo gusto, che possa secondare i suoi interessi? Che i migliori tra noi ne sognino uno che possa seguire le loro ideologie e servire i loro partiti?

I pericoli dell’elezione diretta sono immaginari. Weimar non espresse Hitler ma Hindenburg. L’investitura da parte di Hindenburg fu per Hitler più producente del suffragio popolare. Il resto nacque dalla megalomania di Hitler e dalle follie di Versailles. Perché un dittatore nasca non è necessario che costui riceva i pieni poteri dal popolo. Ho l’impressione che Mussolini non li abbia ricevuti dal popolo e sulla maniera con cui li ricevette vi sono qui, in questa Assemblea, alcuni che potrebbero illuminarci. Il cesarismo nasce dal temperamento degli uomini e dalla situazione delle cose. Bisogna augurarsi che i temperamenti dei Presidenti futuri non siano inclini alla tirannia e, quanto alle cose, siamo noi che dobbiamo agire in modo da non creare le condizioni propizie al nascere delle dittature.

Ma poi, un’altra osservazione: il senso dell’eccesso della propria forza può derivare, non dal fatto di essere stato eletto dal popolo anziché dall’Assemblea, ma, se mai, dalla certezza di poter contare per l’avvenire sul favore popolare, qualunque cosa si faccia, comunque ci si regoli.

Una volta eletto, con qualsivoglia sistema, il Capo dello Stato, i suoi poteri non mutano, sono quelli che promanano dalla legge.

Il solo modo di evitare quella certezza di cui parlavamo, quella che concerne l’avvenire, sta nel proibire la rielezione. Non vi è dubbio, secondo me, che un giorno la storia, seppur già la cronaca non lo dice, chiamerà dittatura quella di Roosevelt. Da che nacque quell’eccesso di forza che permise a lui, dopo aver promesso alle madri americane non far versare in Europa una sola goccia di sangue dei loro figli, di portare il popolo americano alla guerra? Non dalla elezione diretta, ma dalla prima e, soprattutto, dalla seconda rielezione. Si dirà che il divieto della rielezione impedisce la riconferma del migliore, ove il Paese abbia avuto la fortuna di esprimerlo e di portarlo a Capo dello Stato; ma si ricordi che il migliore cesserà d’esser tale quando sarà diventato l’insostituibile. No, non esistono ragioni serie per respingere la proposta mia e di altri colleghi per il suffragio diretto. Solo il suffragio diretto può portare alla suprema magistratura l’uomo che sia, come noi vogliamo, non uno strumento, ma un moderatore dei partiti.

P PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’onorevole Russo Perez ha fatto cenno ai repubblicani storici, anzi a quelli storici e a quelli preistorici; ma, manco a farlo apposta, è proprio un repubblicano storico, e non preistorico, che ha presentato un emendamento che è identico al suo. Forse però i motivi che mi hanno ispirato sono diversi, ma io sono fermamente convinto che il sistema di elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Repubblica sia il sistema più democratico.

Ma, oltre questa considerazione, un’altra considerazione, a mio avviso importante, mi ha indotto a presentare questo mio emendamento. Il Presidente della Repubblica ha, ad esempio, il potere di sciogliere le due Camere. Ora è chiaro che con l’emendamento proposto dalla Commissione, il Presidente viene ad essere eletto dalle due Assemblee, sia pure integrate da una piccola aggiunta. Ma io non comprendo come il Presidente della Repubblica, espressione delle due Camere, possa avere i poteri per sciogliere le Camere stesse. Ora, perché il Presidente della Repubblica abbia effettivamente questi poteri, io ritengo, anche necessari, occorre che abbia un maggior prestigio, e questo maggior prestigio gli può derivare soltanto dalla elezione diretta da parte del popolo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’emendamento che ho proposto presuppone un piccolo rilievo, perché io penso che gli articoli riguardanti il Capo dello Stato avrebbero trovato migliore collocazione sotto il Titolo primo della parte seconda del progetto. Il collocamento sotto il Titolo secondo in qualche modo sminuisce il prestigio del Capo dello Stato. Questa collocazione non è in armonia con l’alta funzione morale e con le prerogative attribuite dalla Costituzione al Presidente della Repubblica.

Prescindendo da questo rilievo, che ha la sua importanza e che formerà oggetto di discussione per quanti in avvenire esamineranno la Carta costituzionale, è certo che un Presidente eletto dall’Assemblea non potrà essere che espressione dei partiti e quindi di questi sarà prigioniero.

Quello che più lascia perplessi è che, data la struttura dell’organizzazione politica di oggi, l’elezione in realtà sarà l’espressione della volontà di pochi uomini, di quelli cioè che detengono le redini dei partiti.

Un capo dello Stato asservito ai partiti non potrà essere né libero, né sereno. Egli arriva all’apice della piramide dello Stato con degli obblighi, che se non gli saranno rinfacciati, certo gli saranno ricordati.

Questo rientra tra i numeri negativi della democrazia indiretta, la quale il più delle volte finisce per essere un travisamento della volontà originaria, cioè della volontà del popolo.

Ma io mi domando: quali sono i nostri poteri, quali i limiti del mandato datoci dal popolo?

Pur sapendoci investiti di un mandato in bianco, dobbiamo considerare che il popolo ci ha dato incarico, per la compilazione della Carta costituzionale, di fare quello che da sé non avrebbe potuto fare, non già quello che può direttamente compiere.

Penso quindi che andremmo al di là del mandato se togliessimo al popolo il diritto dell’elezione diretta del Capo dello Stato. I compilatori del progetto spiegano l’elezione del Capo dello Stato da parte dell’Assemblea adducendo la preoccupazione dello strapotere del Presidente, il pericolo della dittatura. Un Presidente, eletto con suffragio diretto, se raccogliesse in Italia una ventina di milioni di voti, si sentirebbe indubbiamente lusingato della fiducia quasi totalitaria; quindi egli potrebbe sentirsi al disopra dell’Assemblea.

Il rilievo è esatto, ma solo in parte, giacché è anche giusto che il Presidente rimanga al disopra dell’Assemblea.

Solo così egli potrà mantenersi estraneo alla competizione dei partiti e potrà assicurare l’armonia e la solidarietà delle diverse istituzioni, elevandosi a simbolo dell’unità del Paese.

Questa estraneità, che è una non trascurabile garanzia, non potrebbe avere un Presidente eletto dall’Assemblea.

In questo caso sorgerebbe anche la preoccupazione dell’intrigo del giuoco politico nella nomina degli alti funzionari dello Stato, demandata al Presidente della Repubblica dal comma terzo dell’articolo 83.

Va poi rilevato che la possibilità di uno strapotere è esclusa dal comma primo dell’articolo 85 ove è detto che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal primo Ministro e dai Ministri competenti che assumono la responsabilità.

A questo punto potrebbe affacciarsi un rilievo. Si può dire: per l’articolo 83 il Presidente della Repubblica emana decreti legislativi e regolamenti, nomina ai gradi indicati dalla legge i funzionari dello Stato, può concedere grazie e commutare pene.

Per questi atti, giusto il disposto dell’articolo 85, potrebbe essere rifiutata la controfirma dal Primo Ministro e dai Ministri responsabili.

Quindi possibilità di contrasto!

Il Presidente della Repubblica può reagire e sciogliere le Camere dopo aver semplicemente sentito i due Presidenti. Qui sta il pericolo dello strapotere. Ma questo potrà essere frenato, sensibilmente frenato, disponendosi che al rinnovo delle due Camere deve seguire la elezione del Presidente della Repubblica.

Sciogliere le due Camere significa constatazione della esistenza di un contrasto tra il paese ed i suoi rappresentanti.

Fra questi deve comprendersi anche il Presidente della Repubblica.

Quando questi saprà che allo scioglimento delle due Camere è legata anche la sua fine, sarà molto pensoso prima di addivenire ad un provvedimento di tanta gravità.

Si creerebbe così un validissimo freno al potere concesso dal comma primo dell’articolo 84 al Presidente della Repubblica.

Aggiungasi che la nomina del Presidente della Repubblica demandata al popolo alleggerirebbe la responsabilità dell’Assemblea.

Concludendo, una volta eliminato il pericolo dello strapotere non mi pare giusto ricorrere al suffragio indiretto, che costituirebbe violazione di un diritto spettante al popolo, diritto al quale il popolo col mandato in bianco datoci non ha rinunziato.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dalle Camere riunite in Assemblea Nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Dirò brevemente le ragioni, per le quali io sono convinto che l’elezione del Presidente della Repubblica, in questo inizio della vita della Repubblica stessa, non sia politicamente opportuno deferirla al popolo.

Si dice che, se è eletto direttamente dal popolo, il Presidente della Repubblica acquisterebbe maggiore prestigio.

Io contesto questa affermazione: ritengo che un Presidente della Repubblica, il quale ottenga i voti dei due terzi dell’Assemblea Nazionale, avrebbe lo stesso prestigio.

Devo osservare che, per quella deficienza di educazione politica – mi si permetta il dirlo – della grande massa elettorale, la quale si lascia guidare più dalle impressioni e dai sentimenti che dal raziocinio e dalla valutazione politica, sarebbe un grave pericolo affidare a questo corpo elettorale la scelta del primo Magistrato della Repubblica.

Si crede e si afferma, erroneamente, che il popolo agirebbe di sua spontanea volontà, come se fra il popolo non si dovessero contare anche coloro, ed in prima linea, che formano i partiti politici. Non è possibile pensare che la elezione del Presidente della Repubblica venga da un corpo elettorale distaccato dai partiti. Questi indirizzeranno, oltreché le elezioni politiche, anche l’elezione del Presidente della Repubblica. Non pensare a questo vuol dire non pensare alla realtà politica, che si prospetta. Non si può sfuggire all’intervento dei partiti. La cosiddetta volontà degli elettori sarà sempre influenzata dai partiti. Ed io non mi preoccupo dei partiti, ma di quelle correnti sentimentali, che affiorano troppo spesso nel nostro corpo elettorale e fanno che esso – come disse un grande politico italiano, Don Luigi Sturzo – vada, per sentimenti e risentimenti, ora all’estrema destra ed ora all’estrema sinistra. Il pendolo della situazione politica è sempre oscillante verso le forme estreme; ed è oscillante, perché è guidato più che da educazione politica, da sentimenti e da impressioni. Ma se non sbaglio, essere guidato anche da sentimenti e da impressioni è una caratteristica dei popoli latini; è lo stesso difetto che credo abbia il popolo francese come si è visto anche nelle elezioni avvenute l’altro ieri. Insisto comunque nel dire che non si libera la nomina del Presidente della Repubblica dalla influenza dei partiti deferendola al popolo con il suffragio universale. E se non ci si libera, allora è opportuno e politicamente più saggio che il Presidente sia nominato dai rappresentanti che il popolo ha liberamente eletti, i quali hanno maggiore possibilità di scegliere elementi adatti per questa alta funzione, senza dimenticare che vi è una situazione in Italia che dobbiamo aver presente. Ed è questa: noi non vorremmo che attraverso la nomina popolare del Presidente della Repubblica si riaccendesse un contrasto – molto facile ad accendersi nel nostro Paese – tra nord e sud. Questo è stato sempre un lato pericoloso della nostra situazione interna che, se si può superare in un’Assemblea, è difficile superarlo in un vastissimo corpo elettorale, così tormentato da opposti sentimenti, qual è quello italiano. È necessario, se vogliamo l’unità del nostro Paese, evitare tutto ciò che possa mettere in pericolo questa unità. Sempre mirando a questo scopo, sarei in via di massima d’avviso che non sia opportuno inserire nell’Assemblea, che dovrà provvedere alla nomina del Presidente della Repubblica, i rappresentanti dei Consigli regionali. Sono stato e sono un sostenitore della Regione – sia pure con accenti di meditata ponderazione – e ritengo che sia doveroso attendere la formazione dei Consigli regionali e rendersi conto del loro funzionamento, prima di decidere se rappresentanti di tali Consigli debbano partecipare alla nomina del Presidente della Repubblica.

Comunque, anche quando l’Assemblea volesse stabilire che i Consigli regionali debbano partecipare a tale nomina occorrerà emendare l’articolo. In questo si dà la facoltà ai Consigli regionali di mandare due rappresentanti, cioè il Presidente del Consiglio regionale, che sarà naturalmente il rappresentante della maggioranza del Consiglio regionale stesso, ed un altro delegato, nominato dal Consiglio regionale, che sarà anche questo un rappresentante della maggioranza. Orbene, perché le minoranze dei Consigli regionali dovrebbero essere trascurate questa altissima funzione della nomina del Presidente della Repubblica? Basta accennare a questa lacuna che offende il sistema democratico per comprendere l’opportunità di correggere la disposizione che esaminiamo. Ma vi è ancora da rilevare che fra questi partecipanti alla nomina del Presidente della Repubblica e i membri delle due Camere vi è anche una differenza elettorale di grado. Infatti i rappresentanti dei Consigli regionali sarebbero elementi di terzo grado, mentre la elezione del Presidente della Repubblica affidata ai componenti le due Camere rappresenterebbe un’elezione di secondo grado.

Ritengo che queste considerazioni abbiano un certo peso per cui confido che l’Assemblea non vorrà trascurarle nel prendere le sue decisioni.

La nomina da parte del popolo del Presidente della Repubblica non ci preoccupa, ma ci preoccupano gli inconvenienti che possono derivare da una campagna elettorale relativa a una nomina di così alto rilievo. I partiti avranno maggiori difficoltà di accordarsi e ciascuno di essi vorrà avere il proprio candidato e si dovrà impegnare a fondo per farlo riuscire. Ogni candidato sarà quindi soggetto a polemiche vivaci e forse durissime e sarà bersaglio di tutti i moderni mezzi di propaganda e di pubblicità. Anche quel candidato che riuscirà vittorioso non sarà stato risparmiato dagli attacchi della passione politica e il suo prestigio personale riuscirà in qualche modo ferito.

Io ritengo dunque che bisogna evitare questi inconvenienti ed aver fede nel Parlamento di domani che sarà certamente capace di dare alla Repubblica un Presidente degno e capace. Né si dica che un Presidente nominato dalle Camere sarebbe vincolato alle Camere stesse. No, signori: le funzioni ed i poteri che si danno al Presidente della Repubblica lo pongono al di sopra dell’Assemblea che lo ha eletto, per cui dal momento stesso in cui è eletto, egli sovrasta l’Assemblea stessa dalla quale proviene, e diventa il supremo collaboratore e moderatore insieme. Basti pensare al potere, riconosciutogli dall’articolo 84, di sciogliere le Camere, per intuire come il Presidente sia in una condizione di peculiare prestigio di fronte alle Camere e possa per ciò stesso essere in grado di guidare rettilineamente e in maniera saggia il Paese. Questo è il suo compito; e a questo compito il Presidente nominato dall’Assemblea non verrà meno perché sarà responsabile non solo di fronte all’Assemblea, ma anche di fronte all’intero Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro:

«Al primo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Mi pare, onorevoli colleghi, che l’emendamento del Gruppo socialista trovi già aperta la porta dall’autorevole parola del collega Fuschini nello svolgimento del suo emendamento che nella parte centrale coincide perfettamente col nostro.

L’articolo 79 affida l’elezione del Presidente della Repubblica alle due Camere riunite (le chiameremo eventualmente, con nome risonante di sacri ricordi, Assemblea Nazionale), con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e del Consigliere designato dai Consigli medesimi a maggioranza assoluta. Noi gli contrapponiamo la proposta di escludere la partecipazione dei rappresentanti dei Consigli regionali e chiediamo che l’elezione del Presidente avvenga a maggioranza assoluta, senza bisogno del triplice esperimento per il raggiungimento della maggioranza speciale di due terzi. Detto questo, occorrono poche considerazioni a chiarimento dell’emendamento. La prima parte di esso, relativa alla devoluzione alle due Camere riunite della elezione del Presidente della Repubblica, è stata esaurientemente svolta già dal collega Fuschini; per questo, e perché l’ora tarda non consentirebbe una trattazione sistematica, mi limiterò a poche osservazioni.

Si dice da alcuni, e se ne sono fatti eco gli emendamenti dei quali abbiamo ascoltato lo svolgimento, che la elezione del Presidente della Repubblica da parte del popolo, a suffragio universale diretto, darebbe alla sua figura un maggior rilievo, prestigio ed autorità. La relazione scritta dell’onorevole Ruini, pur senza criticare il progetto, sottolinea questa tendenza; e afferma anche che gli conferirebbe una maggiore indipendenza; indipendenza che procederebbe dal fatto che egli non dovrebbe al giuoco dei partiti, nelle due Camere riunite, la propria elezione, ma la dovrebbe direttamente al popolo. In conseguenza di ciò non si creerebbero quei vincoli di riconoscenza che sono atti a turbare, in momenti decisivi, l’obiettivo orientamento di un Capo di Stato.

Egregi colleghi, si è detto sempre in questa Assemblea che ormai il movimento elettorale è nelle mani dei partiti politici: è vero o non è vero ciò? Se è vero, non si comprende la distinzione che si fa a questo riguardo tra elezione da parte delle Camere riunite, ossia del Parlamento, e la elezione a suffragio universale, da parte del popolo.

I partiti politici sono presenti e dominanti nell’una e nell’altra manifestazione. Essi agiscono indifferentemente sulla consultazione popolare come sul Parlamento. E pertanto il temuto vincolo di riconoscenza dovrebbe, se mai, crearsi più potente dopo il più poderoso intervento occorso nella consultazione popolare che non per effetto della ordinaria azione svolta sul Parlamento. La verità più vera e meno indegna di questo sacro istituto è che un uomo ritenuto meritevole di ascendere alla prima Magistratura nazionale non sarebbe mai capace di subordinarsi, nell’esercizio delle sue alte funzioni, a sentimenti di compromesso politico.

D’altra parte una distinzione si sarebbe dovuta fare dai critici della risoluzione adottata all’unanimità dal Comitato di redazione: quale è la forma di reggimento repubblicano verso la quale la nostra Costituzione si è decisamente orientata? Non è certamente la forma presidenziale, ma quella parlamentare. Io comprendo che nelle forme presidenziali il Presidente, che ha la somma dei poteri se pur controllati da altri organi elettivi, costituiti per lo più a suffragio indiretto, debba ripetere la elezione direttamente dal popolo; ma non so vedere come e perché il Presidente non potrebbe ripeterla dal Parlamento in quelle Costituzioni che al Parlamento hanno conferito tutti i poteri del popolo medesimo.

Col passaggio del potere dal popolo al Parlamento, questo è automaticamente investito del diritto di formare e di eleggere gli altri organi necessari alla compagine statale: dal Governo al Capo dello Stato. E pertanto mi pare che il nostro emendamento (che fa propria su questo punto la risoluzione della Commissione) debba incontrare l’approvazione della nostra Assemblea.

Quanto poi alla parte soppressiva del nostro emendamento, e cioè alla esclusione della partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, io sento il dovere, di fronte allo svolgimento che l’onorevole Fuschini ha onestamente dato al coincidente emendamento proprio, di accennare soltanto, nello svolgimento del mio, le ragioni che lo consigliano. Queste ragioni sono state già esposte anche da me, in precedenti incontri.

Non credo di commettere, così facendo, un errore di valutazione: a parte l’autorità che l’onorevole Fuschini meritamente gode in quest’Assemblea ed esercita sul proprio Gruppo, io devo tener conto che egli, non avendo dichiarato di esprimere soltanto un pensiero personale, abbia parlato in nome e per incarico del suo partito.

Comunque, il nostro pensiero si può riassumere in poche parole: le Regioni, se debbono essere (e per questo sono state istituite) organo di decentramento amministrativo, non si debbono ingerire in quella che è l’azione politica del Parlamento della Repubblica. Qui, in questa Assemblea, che si chiamerà «Nazionale» o delle «Camere riunite», che cosa rappresenterebbero i membri delle Regioni? Una estensione del suffragio diretta a costituire qualche cosa di mezzo fra la elezione parlamentare e la elezione diretta da parte del popolo? Non sarebbe serio nemmeno il pensarlo. E tuttavia, se il fine fosse questo, perché non estendere la partecipazione alla elezione anche ad un limitato numero di rappresentanti dei comuni, da eleggersi nell’ambito di ciascuna provincia? Questo concetto io ebbi già occasione di illustrare quando si tentò di varare la proposta di far partecipare i Consigli regionali alla elezione dei senatori.

La verità è che il progetto si inspira al criterio di fare delle Regioni veri organi politici destinati a creare lo Stato federativo. E va tenuta presente anche una considerazione che faceva l’onorevole Fuschini e che risponde ai principî di sana democrazia: perché far risultare i rappresentanti delle Regioni solo dalla maggioranza dei Consigli regionali, e non anche eventualmente dalle minoranze col sistema di designazione proporzionale? Anche questo motivo, per quanto subordinatamente ed incidentalmente, è stato da noi considerato, sebbene non sia stato assunto come determinante della nostra opposizione. I sostenitori del progetto hanno rilevato, in sua difesa, che si tratta comunque di una rappresentanza puramente simbolica.

Ma questa rappresentanza simbolica, che per lo meno oscillerebbe attorno ai quarantaquattro membri, potrebbe o non potrebbe assumere una influenza decisiva sul risultato della elezione? Se nel comma secondo con l’articolo 79 la Commissione si è preoccupata di prevedere la difficoltà di raggiungere la maggioranza speciale dei due terzi, è da presumere che anche un solo voto possa essere decisivo nella elezione del Presidente. Chi non ha presente che importanti nostre deliberazioni sono emerse dal pareggio assoluto dei voti contrastanti? Non si dica dunque che quarantaquattro voti non costituiscano se non una rappresentanza simbolica.

Per questi motivi, e senza ripetere tutte le ragioni che concorrono ad escludere le Regioni dall’attività politica centrale, noi siamo nettamente contrari alla partecipazione dei rappresentanti regionali alla riunione delle Camere che dovrà eleggere il Presidente della Repubblica. Questa esclusione avrà anche il merito di distruggere un sospetto largamente diffuso dai sostenitori della Regione colla pretesa d’impiegare tali enti in funzioni che vanno troppo al di là di quelle per le quali furono creati. In proposito ricordo una dichiarazione eloquente fatta in questa Assemblea dall’onorevole Ambrosini nella relazione di chiusura della discussione generale sulle Regioni. Egli disse, in quell’occasione, di essere stato rimproverato dal suo partito per aver troppo contenuto la riforma. Dunque, il suo partito avrebbe avuto l’intenzione che le Regioni fossero andate anche al di là di quel troppo che disgraziatamente si è fatto. La constatazione è grave e deve farci pensosi.

Per questo, onorevoli colleghi, noi risolutamente insistiamo nella soppressione della partecipazione delle Regioni alla elezione presidenziale; essa sarebbe estranea, incompatibile, ingiustificata sotto tutti i punti di vista.

E ora passo a illustrare brevemente l’altra parte dell’emendamento. Ho conservato nel primo comma, onorevoli colleghi, la locuzione «a maggioranza assoluta».

Questa maggioranza assoluta prima si riferiva alla designazione dei consiglieri da parte dei Consigli regionali. Soppressa tale designazione, essa si riferisce alla elezione del Presidente. Viene così soppressa la corrispondente indicazione nel secondo comma e trasferita al primo. Il secondo comma rimane così circoscritto alla prescrizione della votazione a scrutinio segreto; scompare dunque la parte relativa alla prescrizione della maggioranza speciale dei due terzi, che si dovrebbe tentare di raggiungere, in esperimenti successivi, fino a tre volte, per passare poi alla proclamazione a semplice maggioranza assoluta dopo il terzo insuccesso.

Orbene, onorevoli colleghi, noi pensiamo che esporre un candidato alla prima Magistratura del Paese a tentativi ripetuti di elezioni prima che se ne affermi il risultato positivo, prima che si formi la maggioranza prescritta, sarebbe un indebolire in partenza la sua autorità ed il suo prestigio. Accontentiamoci invece che la elezione avvenga subito a maggioranza assoluta; e quando tale maggioranza, in una Assemblea composta di tanti e così diversi partiti, si sarà raggiunta, si dovrà tranquillamente riconoscere che il Presidente della Repubblica ha riscosso la fiducia dei rappresentanti veri e genuini della grande maggioranza del popolo italiano; e, non in virtù di un’antiquata formula sacramentale, ma in forza di una realtà attuale e sempre più profondamente operante, avrà diritto di essere da questo momento considerato il Capo, atteso e veramente voluto, di tutti e singoli i cittadini italiani!

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carboni Angelo, Gullo Rocco, Villani, Ghidini, Arata, Fietta, Montemartini, Bocconi, Preti e Treves hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

L’onorevole Carboni Angelo ha facoltà di svolgerlo.

CARBONI ANGELO. Il nostro emendamento concorda nella sostanza con quelli presentati dagli onorevoli Fuschini e Nobili Tito Oro. Un mio lungo discorso su questa materia non avrebbe, a quest’ora, altro effetto se non quello di sciupare quanto già egregiamente è stato detto dall’onorevole Fuschini e ribadito dall’onorevole Nobili Tito Oro. Mi limiterò pertanto a rilevare solo la differenza che corre tra il mio emendamento e quello dell’onorevole Nobili Tito Oro, per quanto riguarda la maggioranza richiesta per l’elezione del Presidente della Repubblica. L’onorevole Nobili ha spiegato poco fa che egli intende ridurre questa maggioranza, fin dal primo scrutinio, alla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea. Noi invece aderiamo al concetto espresso dall’articolo 79 del progetto di Costituzione e cioè che sia opportuno richiedere in un primo momento la maggioranza di due terzi, mentre soltanto dopo i primi due scrutini sarebbe giocoforza accontentarsi della maggioranza assoluta.

L’onorevole Nobili Tito Oro eccepisce che in questa maniera si finisce con il diminuire la figura del Presidente eletto da uno scrutinio che sia il terzo o successivo al terzo. Orbene, questa obiezione non mi pare fondata, perché sarà molto probabile che i componenti delle due Camere riunite – o come altro vorremo chiamarle – nel loro senso di responsabilità e di patriottismo faranno confluire le loro simpatie verso un determinato candidato, il quale non sarà più il candidato di una parte, ma sarà il candidato della grande maggioranza del Paese.

Noi abbiamo avuto l’esempio di ciò nell’elezione del Capo provvisorio dello Stato, il quale, entrambe le volte, è stato eletto a maggioranza qualificata; maggioranza qualificata che serve appunto a conferire alla figura del Presidente della Repubblica quel rilievo, quel prestigio e quell’altezza che veramente ne fanno grande la funzione e atta a contribuire efficacemente alla vita del Paese.

Noi siamo quindi d’accordo con coloro che propongono di deferire la nomina del Presidente della Repubblica alle Camere, riunite insieme; concordiamo sul punto che questa nomina si faccia a scrutinio segreto e su quello, che, in un primo momento, essa si faccia a maggioranza qualificata di due terzi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Dominedò e Benvenuti hanno presentato un emendamento tendente a sostituire l’articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto da tutto il popolo».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che basteranno brevi rilievi, dopo l’impostazione e lo svolgimento che al tema hanno dato altri oratori sotto diversi angoli visuali. Ma conviene prospettare all’Assemblea quanto da più parti sia profondamente sentita l’esigenza dell’investitura diretta ai fini del rafforzamento di potere e dell’elevazione di prestigio del Capo dello Stato.

Se si vuole, secondo lo spirito della Costituzione, che il Capo dello Stato sia il supremo moderatore dell’indirizzo politico del Paese, il tutore e custode della Costituzione, se questo si vuole (come è comprovato dall’articolo 84, che rappresenta la chiave di volta del sistema, conferendo al nostro Presidente della Repubblica il potere di scioglimento delle Camere, nello stesso modo in cui la Costituzione di Weimar conferiva al Presidente della Repubblica tedesca, eletto per suffragio diretto, il potere di congedare il Gabinetto), se tutto ciò è, come è, spetta a noi compiere un passo oltre.

Allo scopo di rendere effettivo il ruolo di supremo moderatore del Capo dello Stato, a noi pare che, in coerenza con tale punto di partenza, postulato e premessa di tutta la materia, occorra apprestare i mezzi adeguati per la realizzazione del fine. E allora l’esigenza è questa: che il Capo dello Stato, il quale, allo scopo di assicurare l’unità e la stabilità della politica del Paese, domani potrà sovrapporsi alle stesse Camere dalle quali promana, evidentemente dovrà essere messo in una tale condizione per cui, se si vorrà rendere pieno ed operante l’esercizio del suo potere, egli risulti in un rapporto di investitura diretta idoneo al fine. Si tratta cioè di porre al di sopra delle Camere, che dovranno essere giudicate, il supremo organo che sta al vertice della nostra costruzione costituzionale, ed è chiamato ad esprimere il giudizio. Si tratta di creare un rapporto di democrazia diretta, che sovrasti all’ipotesi della pura e semplice democrazia rappresentativa.

Questo dal punto di vista della impostazione costituzionale. Il tema è così grave e profondo, che meriterebbe evidentemente un’analisi ulteriore. Ma il fatto che siamo in sede di esame di emendamenti e non di discussione generale, nonché la circostanza che altri colleghi hanno sotto diverso aspetto toccato il tema, mi mettono nella necessità di enunciare la sola impostazione della materia, rimettendomi per il resto alla valutazione che di essa saprà dare l’Assemblea.

Si obietta – con vivezza lo ha fatto il collega e amico Fuschini – che questo ricorso alla democrazia diretta, sovrapponentesi alla democrazia rappresentativa, allo scopo di conferire al supremo magistrato del Paese la pienezza dei suoi poteri, ci pone nella possibilità di dubitare di quella maturità del corpo elettorale, la quale costituisce la premessa di fatto acciocché un sistema, che in via di principio appare l’ideale, possa in concreto rispondere alle proprie finalità.

Mi permetto di rispondere che se volessimo dubitare dell’adeguato grado di maturità popolare, dell’educazione politica del corpo elettorale, ci troveremmo allora dinanzi ad un argomento che corre il rischio di non provare perché altrimenti proverebbe troppo. Il preteso e ripetuto difetto di maturità potrebbe infatti coinvolgere anche le correnti, i movimenti e i gruppi espressi dallo stesso corpo elettorale immaturo. Non abusiamo di argomenti che, applicati per absurdum, finiscono per ritorcersi contro l’intendimento di coloro stessi che li proposero.

D’altra parte, è innegabile che il principio della democrazia diretta è destinato a prevalere su quello della democrazia rappresentativa anche da un punto di vista politico oltre che costituzionale. Perché, se è vero che il giuoco dei partiti risulta insopprimibile anche nella ipotesi di ricorso diretto alla consultazione popolare, evidentemente tale giuoco assume in tal caso un ruolo inferiore, proprio perché indiretto o mediato. Nessuno potrà in definitiva contestare la priorità dell’ipotesi in cui l’investitura sia rimessa alla parola diretta ed ultima del Paese, analogamente a quanto avviene tutte le volte che per la deliberazione in materie di suprema importanza si sostituisca il principio del referendum a quello della creazione di meri organi rappresentativi della volontà popolare.

Dopo aver così visto l’aspetto costituzionale e quello politico del problema, non resta che un’obiezione da tener presente. Se nella redazione costituzionale noi ci siamo ispirati al concetto del Governo parlamentare, non finiamo invece per gravitare verso il concetto del regime presidenziale con una innovazione che può sotto taluni aspetti apparire radicale?

Mi permetto e credo di poter obiettivamente rispondere che il regime parlamentare è nella sua attuazione concreta suscettibile di ricevere diversi adattamenti, i quali non daranno storicamente luogo a forme atipiche in senso stretto, bensì potranno determinare sintesi nuove e vitali. Nulla esclude infatti che mentre si sorregge la suprema potestà mediante un’investitura superiore, perché diretta e popolare, chi possa ad un tempo preferire l’essenza del principio parlamentare, per cui il Governo promana dal Parlamento e dinanzi a questo è responsabile.

Per queste considerazioni noi desideriamo sottoporre alla valutazione dell’Assemblea un problema di così alta portata, nell’intendimento ultimo di servire al prestigio delle nuove istituzioni dello Stato italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Sono stati svolti così tutti gli emendamenti proposti all’articolo 79.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati presi dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica allo scopo di proteggere i porti e gli aeroporti italiani, e particolarmente quelli meridionali, dal pericolo di una estensione dell’epidemia colerica che in atto colpisce i porti dell’Egitto.

«Caronia, Dominedò».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti o quali misure cautelari e preventive siano stati emesse o si emetteranno per evitare che navi provenienti dall’Egitto possano provocare casi di colera in Napoli e dintorni; considerando a tal fine il forte agglomerato urbano di Napoli e le condizioni veramente pietose degli ospedali cittadini che non possono dare – nonostante gli sforzi di dirigenti e personale – alcuna garanzia alla cittadinanza stessa.

«Sansone».

«Al Ministro della difesa, per conoscere se – in relazione al fatto che, dopo 1’8 settembre 1943, civili italiani, non aventi obblighi militari col Governo nazionale, hanno prestato servizio in reparti alleati che combattevano sul mare o sui fronti, con mansioni di varia natura aventi carattere prettamente militare; e che, non trattandosi di servizio di fatica, tale attività rientrava nel quadro generale dello sforzo bellico per piegare la Germania in armi, tanto che non pochi morirono o rimasero – tale servizio dia diritto alla qualifica di combattente o se, comunque, l’onorevole Ministro intenda emettere un provvedimento legislativo che tale diritto riconosca, fissandone le condizioni.

«Riccio Stefano».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del bilancio e dell’industria e commercio, per conoscere i motivi per i quali, dai finanziamenti finora deliberati per molte industrie, specie del settentrione, sia stata esclusa la massima industria mineraria italiana, quale è quella del carbone del Sulcis ed i cui progetti di impianti, destinati a raddoppiare l’attuale produzione, sono stati approvati dal CIR e dagli altri organi ministeriali fin dal dicembre 1946.

«Mannironi».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere perché la sopraintendenza ai monumenti e alle gallerie di Bari si è opposta alle deliberazioni del Consiglio comunale di Spinazzola (Bari) del 31 maggio e 25 luglio 1947, con le quali si sostituivano i toponimi della Piazza Plebiscito con quello di Piazza della Repubblica, di Corso Umberto I con Corso Antonio Gramsci e di Corso Vittorio Emanuele II con quello di Giacomo Matteotti.

«Pastore Raffaele».

«Ai Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se siano loro noti gli incidenti avvenuti di recente nelle officine Breda di Sesto San Giovanni a danno di operai ed impiegati della corrente sindacale cristiana e precisamente:

1°) il 18 settembre 1947 a danno dell’operaio Fustella Carlo, il quale, chiamato nell’ufficio dall’impiegato Innocenti Gottardo, contornato da altre 10 persone, veniva colpito e ferito con calci e pugni dall’operaio Sala Enrico, membro del Partito comunista italiano e della commissione interna dello stabilimento, sol perché aveva lealmente ammesso di aver fatto in precedenza la osservazione che le continue sottoscrizioni e i ripetuti prelievi alle paghe tra gli operai dello stabilimento a favore del Partito comunista italiano e di sue istituzioni gli ricordassero in qualche modo sistemi in uso in un recente passato;

2°) il 25 settembre 1947 a danno prima di Assi Angelo, rappresentante della corrente sindacale cristiana, al quale l’impiegato Carrà, membro dell’esecutivo della sezione aziendale del Partito comunista italiano, intimava di togliere il manifesto con il quale dignitosamente e moderatamente la corrente sindacale cristiana dello stabilimento aveva deplorato l’episodio Fustella, nonché di spiegare pubblicamente tale episodio come frutto di equivoco, altrimenti non si sarebbero potuti garantire i membri della corrente sindacale cristiana dalla violenza degli operai; ed a danno lo stesso giorno, qualche ora dopo, di parecchi operai ed impiegati percossi, offesi, espulsi dai loro uffici (così fra gli altri l’impiegato Ferrari Giammaria dall’ufficio personale sezione prima, l’ingegnere Rhò, dall’ufficio sezioni impianti, l’impiegato Correi, capo ufficio personale, sezione quarta).

Gli interroganti chiedono altresì di sapere se consti agli onorevoli Ministri della parzialità e pavida acquiescenza a fatti consimili, che si ripetono periodicamente, da parte dei dirigenti dello stabilimento e degli amministratori della società Breda e per conoscere con quali provvedimenti e mezzi ritengano di impedire che siffatti episodi abbiano a ripetersi.

«Clerici, Meda, Lazzati, Castelli Edgardo, Balduzzi, Sampietro».

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Sottolineo la necessità di una risposta urgente del Governo alle interrogazioni dell’onorevole Caronia e mia, in quanto occorre tranquillizzare le popolazioni meridionali, che sono state poste in allarme dalle voci di casi di colera nel porto di Napoli.

PRESIDENTE. Interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere alle interrogazioni urgenti di cui ho dato lettura, con particolare riguardo a quelle degli onorevoli Caronia e Sansone.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Cavallari, ammalato, ho chiamato a far parte della Commissione per le leggi elettorali l’onorevole Gullo Fausto.

Sai lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che, in previsione della sospensione dei lavori nei primi giorni del prossimo novembre, l’Assemblea dovrà probabilmente tenere sedute anche nel pomeriggio di sabato e nella mattinata di lunedì prossimi.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero richiamare l’attenzione della Presidenza sulla necessità che noi non si perda tempo nel nostro lavoro, e che appunto, in vista di una interruzione di alcuni giorni, collegata con la ricorrenza della festa dei Santi e del giorno dei Morti, si utilizzino interamente le giornate di sabato e di lunedì.

Eventualmente lunedì mattina, se la Presidenza crede, si potrebbero svolgere le interrogazioni e lunedì pomeriggio si potrebbe continuare la discussione sul progetto di Costituzione.

È interesse di tutti che si dia la sensazione che vogliamo finire presto i nostri lavori.

PRESIDENTE. Accetto il suggerimento di dedicare, occorrendo, la seduta antimeridiana di lunedì alle interrogazioni e quella pomeridiana alla materia costituzionale.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno portato alla sostituzione del direttore dell’ufficio provinciale dell’assistenza post-bellica di Ascoli Piceno:

«Molinelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quando verrà determinato, nel bilancio 1947-48, lo stanziamento del fondo per i sussidi governativi per i miglioramenti fondiari, stabiliti col regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, contenente nuove norme per la bonifica integrale, in modo che possano venir corrisposti agli aventi diritto i relativi contributi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim dell’Africa Italiana, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per far rientrare sollecitamente dall’Africa (Eritrea e Somalia) i numerosi ex militari e funzionari colà rimasti, privi di assistenza e soprattutto dei mezzi necessari per le spese di viaggio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se e come intendano ovviare:

1°) al disordine persistente in molti distretti militari in ordine alla documentazione prescritta per le pensioni di guerra, talché le domande del servizio pensioni rimangono spesso inevase per lunghi mesi e non di rado per interi anni;

2°) ai ritardi enormi con cui le Commissioni mediche, o per lentezza o per deficienza di personale, procedono alle visite richieste dalla Direzione generale pensioni di guerra e necessarie alla liquidazione delle pensioni stesse. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.