Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

49.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – De Vita – Marchesi – Cevolotto, Relatore – Grassi – Merlin Umberto – Togliatti – Corsanego – Dossetti, Relatore – Basso – Lucifero – Moro.

La libertà di opinione, di coscienza e di culto (Discussione)

Presidente – Dossetti, Relatore – Moro – Cevolotto, Relatore – Marchesi – La Pira – Lucifero – Basso – Mastrojanni – De Vita – Togliatti – Grassi – Corsanego – Caristia.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione dello Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente seduta era stata iniziata la discussione sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, sulla base di tre diverse formule rispettivamente presentate dall’onorevole Dossetti, dall’onorevole Togliatti e da lui. Nell’intento di facilitare un accordo tra i diversi punti di vista manifestatisi nel corso della discussione, ha formulato un nuovo articolo composto di due parti. La prima parte: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», riassume il pensiero espresso nella sua formula primitiva e nella prima parte di quella dell’onorevole Togliatti. La seconda parte: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», differisce dalla formula dell’onorevole Togliatti, in quanto questa stabiliva che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati in termini concordatari.

Pone in discussione la prima parte della sua nuova formula:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

DE VITA dichiara di non poter accettare né la formulazione dell’onorevole Togliatti né quella proposta dal Presidente, osservando che il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, chiaramente impostato in un primo tempo su un terreno politico, è andato a poco a poco scivolando sul terreno giuridico, che è assai insidioso. Fa presente che l’ordinamento giuridico della Chiesa, ad esempio in materia di matrimonio, sottrae allo Stato il potere di legiferare sulla sostanza del matrimonio stesso e sugli effetti intimamente connessi con esso, lasciando alla sua competenza gli effetti separabili, cioè puramente civili. Riconoscendo, quindi, la sovranità della Chiesa, si vengono a porre gravi limiti alla sovranità e ai poteri dello Stato; le formule proposte riproporrebbero, perciò, una delle questioni politiche più complesse ed oscure della nostra storia.

Dichiara di non esitare a rivendicare la sovranità dello Stato in tutte quelle materie di privato e pubblico interesse che da qualcuno ancora sono riconosciute di competenza della Chiesa.

MARCHESI dichiara di non essere alieno dall’accettare la prima parte della formula proposta dal Presidente; ma, per quanto riguarda la seconda parte, fa presente che l’ultimo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, così formulato: «I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari», rappresenta il limite estremo di ogni concessione che può essere fatta in materia dai Commissari di parte comunista. Essi non hanno chiesto e non chiederanno una denuncia del Concordato, ed hanno accettato che in sede costituzionale i rapporti tra Stato e Chiesa siano regolati in termini concordatari. Esiste un Concordato stabilito tra la Santa Sede e il Governo fascista: dunque esso mantiene la sua validità fino a che le parti – come sarebbe augurabile – non decidano di emendarlo in quei luoghi che lo spirito democratico dei tempi non più comporterebbe. I colleghi democristiani vorrebbero che quel Concordato pattuito tra Santa Sede e Governo fascista entrasse nel tessuto vitale ed organico della Repubblica italiana.

Fa osservare però all’onorevole Dossetti – il quale ha detto che la garanzia costituzionale del Concordato vigente è richiesta dalla coscienza cattolica italiana – che ci sono moltissimi cattolici italiani che appartengono a partiti diversi dalla Democrazia cristiana; ed è il caso di domandarsi se la coscienza di questi cattolici, appartenenti a tutte le tendenze politiche, esiga veramente il solenne riconoscimento costituzionale del Concordato vigente, o piuttosto non chieda soltanto che la Chiesa cattolica sia libera e rispettata, ma non le si attribuiscano poteri che spettano allo Stato italiano.

Fa presente infine all’onorevole Dossetti, preoccupato per le persecuzioni subite dalla Chiesa in passato, che un articolo della Costituzione non varrebbe certo ad arrestare una eventuale ondata di anticlericalismo, che i comunisti sono i primi a deprecare, e che a scongiurare siffatto pericolo nulla potrà meglio giovare di una riduzione delle pretese avanzate dalla Democrazia cristiana.

Conclude ripetendo di poter accettare solo la formula dell’onorevole Togliatti, sia pure con qualche modificazione di forma.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di poter accettare la formula proposta dal Presidente, solo nel caso che per ordine proprio della Chiesa si intenda l’ordine spirituale. Non può invece accettarla, se il riconoscimento della sovranità riguarda l’ordinamento giuridico della Chiesa, il quale è molto vasto e comprende anche materie che interferiscono nell’ordinamento giuridico dello Stato.

Pur essendo convinto che la Chiesa è troppo sapiente per approfittare di una simile formula oltre certi limiti, la ritiene ambigua e perciò voterà contro di essa.

GRASSI osserva che con la formula dell’onorevole Togliatti «in termini concordatari» non si dice tutto, perché oltre il Concordato c’è il Trattato del Laterano che regola i rapporti tra Stato e Chiesa nella parte più essenziale, e quindi non si può non menzionare questo Trattato. Per quanto riguarda la parte concordataria, fa presente che tutti sono d’accordo nel ritenere che il Concordato possa essere rivedibile, trattando materia mista. Propone pertanto che la formula del Presidente sia modificata in questo senso: «I rapporti sono regolati in base ai Patti Lateranensi».

DE VITA ripete che con l’articolo proposto si apre la strada alla invadenza della legge canonica nel terreno della legge civile. Dichiara di poter accettare la formula dell’onorevole Togliatti, purché vi si aggiunga: «Allo Stato spetta il potere legislativo, integrale ed esclusivo in tutte le materie di privato e pubblico interesse».

CEVOLOTTO, Relatore, fa presente che è stata posta in discussione solo la prima parte dell’articolo proposto dal Presidente e propone che essa sia votata separatamente.

PRESIDENTE, poiché non si fanno obiezioni alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto, mette ai voti la prima parte dell’articolo da lui proposto e così formulato:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

DE VITA dichiara che voterà contro.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara anch’egli che darà voto contrario.

(La prima parte dell’articolo proposto dal Presidente è approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione la seconda parte dell’articolo: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», avvertendo che l’onorevole Grassi ha proposto un emendamento nel senso che si dica «dai Patti Lateranensi», invece che «in base ai Patti Lateranensi».

CEVOLOTTO, Relatore, si dichiara contrario tanto alla formula dell’onorevole Grassi, quanto a quella del Presidente, osservando che i Patti Lateranensi sono ormai una realtà indistruttibile, e nessuno pensa a distruggere lo Stato della Città del Vaticano; ma perché esso continui ad esistere, non c’è bisogno di menzionare i Patti Lateranensi nella Costituzione, come non c’è nessun bisogno di enumerare ed includere nella Costituzione nessun altro trattato.

Fa presente inoltre che nei Patti Lateranensi vi sono parti caduche che potranno essere modificate in avvenire; non vi è quindi ragione di cristallizzare il Trattato con la Santa Sede inserendolo nella Costituzione.

Osserva che anche dicendo – come ha proposto l’onorevole Grassi – «in base ai Patti Lateranensi» non si fa che consacrare nella Costituzione la piena validità di questi Patti. Ritiene che né il Governo italiano attuale, né i Governi futuri vogliano denunciare il Trattato Lateranense, né in tutto né in parte; ma fa presente che, anche senza denuncia, i trattati internazionali si modificano in vari modi e non conviene, quindi, impedire il processo di evoluzione che potranno subire anche i Patti Lateranensi, con l’inserirli nella Costituzione.

Riconosce che il Concordato costituisce una materia più strettamente costituzionale, ma ritiene che ne debba essere fatta menzione solo nella forma proposta dall’onorevole Togliatti, perché non può essere tolta allo Stato la facoltà di risolvere in un determinato modo la questione della modifica di corte statuizioni del Concordato per accordo bilaterale, ed anche di considerare la convenienza di modificarle, ove l’accordo non intervenga. Questa libertà di scelta deve essere lasciata allo Stato. Ricorda ad esempio la questione dell’articolo 5 che diede origine al caso Bonaiuti, sollevando una vera indignazione in tutte le coscienze libere.

MERLIN UMBERTO osserva che l’articolo 5 fu applicato solo in quel caso.

CEVOLOTTO, Relatore, replica che, quando la libertà è ferita in una persona, tutta la libertà è ferita. Ritiene che, prima o poi, il Vaticano dovrà pensare a modificare questo articolo; ma, se il Vaticano non provvede alla modifica, lo Stato deve essere libero di modificarlo per proprio conto.

Rileva che vi sono anche altri punti del Concordato che dovranno formare oggetto di revisione, possibilmente concordata, come, per esempio, la questione della giurisdizione delle cause matrimoniali, che è una vera e propria rinuncia da parte dello Stato alla sovranità nella più gelosa delle sue funzioni.

Per queste ragioni, ripete di essere contrario a menzionare il Trattato Lateranense e il Concordalo nella Costituzione. Non si oppone invece alla formula dell’onorevole Togliatti.

GRASSI, pur riconoscendo giuste le osservazioni dall’onorevole Cevolotto, ricorda che i Patti Lateranensi hanno regolato una questione concernente il territorio italiano, cioè una questione interna dello Stato italiano, e insiste perciò sulla convenienza che essi siano menzionati nella Costituzione. Osserva che tale menzione non impedisce che le parti caduche possano essere modificate, quando si adotti la formula da lui proposta: «in base ai Patti Lateranensi».

MERLIN UMBERTO dichiara di essere sinceramente soddisfatto delle dichiarazioni fatte dagli onorevoli Togliatti e Marchesi, e di prendere atto della formula proposta dall’onorevole Togliatti come di una volontà seria e precisa di non turbare in Italia la pace religiosa. Rileva che gli onorevoli Togliatti e Marchesi, avendo ammesso che il regolamento dei rapporti tra Stato e Chiesa debba avvenire in termini concordatari, ed avendo poi dichiarato di non intendere di toccare sostanzialmente il Trattato e il Concordato con il Vaticano, sono giunti praticamente alle stesse conclusioni dei Commissari di parte democristiana. Infatti, anche essi sono contrari a quel famoso articolo 5, che però, ripete, ha avuto una sola applicazione nel caso Bonaiuti.

TOGLIATTI ricorda che quell’articolo è stato applicato anche in un altro caso, riguardante un prefetto.

MERLIN UMBERTO ritiene che la Santa Sede non sarebbe forse aliena dal consentire ad una modifica di quell’articolo, quando le si facesse presente che esso non corrisponde più al nuovo clima del Paese, dopo aver preso la solenne deliberazione di inserire i Patti Lateranensi nella Costituzione. Quando invece si votasse una formula come quella proposta dall’onorevole Togliatti, la Santa Sede potrebbe dubitare che da parte comunista si manifesti il proposito di discutere un nuovo Concordato. Di fronte ad una simile possibilità i Commissari democristiani dovrebbero prendere una posizione nettamente contraria, perché si tratterebbe di rimettere in discussione una materia delle più difficili, che ha importato anni di lavoro e di discussione tra giuristi di gran valore. Invita perciò i Commissari comunisti ad aderire alla formula proposta dal Presidente, mettendo a verbale che i Commissari di parte democristiana si dichiarano disposti ad adoperarsi affinché quegli articoli che non si ritenessero più confacenti al nuovo clima del Paese siano modificati col consenso delle due parti contraenti.

TOGLIATTI rileva che l’onorevole Merlin ha fatto dichiarazioni interessanti circa il desiderio dei comunisti di mantenere e difendere la pace religiosa nel nostro Paese.

Afferma che i comunisti dal giorno in cui hanno ripreso un’attività aperta in Italia, anzi anche prima, si sono adoperati in questo senso. Non esiste alcun atto della loro politica che tenda in qualsiasi modo a ledere la pace religiosa del popolo italiano. Essi comprendono che si apre per il popolo italiano un periodo difficile, periodo di ricostruzione e di rinnovamento politico ed economico, e che questo processo non deve essere complicato da conflitti religiosi. I compiti che si pongono in questo periodo per le masse lavoratrici, a cui il partito comunista è legato in modo particolare e a cui sono legati anche altri partiti, saranno risolti in Italia attraverso una collaborazione tra gli elementi lavoratori di diverse correnti, e la pace religiosa dovrà conservarsi nel nostro Paese per un lungo periodo di tempo.

Non crede, dunque, che si possa dubitare delle intenzioni dei comunisti, i quali hanno presentato una formula nella quale hanno tenuto conto della richiesta democristiana di un riconoscimento della sovranità della Chiesa. Ma, mentre i comunisti facevano questo sforzo di avvicinamento, i democristiani facevano un movimento opposto, presentando formule sempre più tassative sull’altra questione dei Patti Lateranensi.

Ora, venendo al fondo della questione, dichiara, in risposta ai dubbi avanzati dall’onorevole Merlin, che i comunisti non intendono affatto porre il problema di una revisione del complesso degli accordi tra Stato e Chiesa, come essi sono sanciti dal Trattato e dal Concordato del Laterano. Ma, d’altra parte, non ritengono giustificate le ragioni che sono state portate in favore di un inserimento di quei Patti nella Costituzione. Non vale l’argomento che il Trattato Lateranense regola la materia del territorio dello Stato, perché non c’è nulla di strano che un trattato che regola una materia territoriale non venga richiamato espressamente nella Costituzione.

Invece, contro l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, vi è l’argomento dei possibili ritocchi che verrebbero ad essere esclusi, e potrebbero essere fatti soltanto attraverso un procedimento di revisione costituzionale, almeno come ratifica. E ad esso si aggiungono altri due argomenti: uno di valore psicologico-politico e l’altro di natura dottrinaria.

L’argomento psicologico è che i trattati hanno la firma del fascismo; vale a dire che sono stati conclusi dal Governo fascista. Vorranno i democristiani ignorare questo fatto, chiedendo di inserire nella Costituzione dei Patti che vennero considerati come una delle più grandi opere del regime fascista?

L’argomento dottrinario consiste nel fatto che i comunisti intendono respingere l’affermazione che lo Stato possa avere una religione. Lo Stato non può avere una religione; lo Stato garantisce la religione, ma non ha una religione sua; la religione l’hanno gli individui. Ora nella vecchia Costituzione italiana, cioè nello Statuto Albertino, c’era un articolo che affermava che lo Stato aveva una religione e che questa era la religione cattolica apostolica romana. Questo articolo, che i comunisti respingono per una questione di principio, viene riportato dal Trattato Lateranense e, attraverso questo, verrebbe ad essere inserito nella Costituzione.

I democristiani possono domandare come mai i comunisti intendono di mantenere in piedi il Concordato e il Trattato Lateranense, se poi respingono l’articolo citato. I comunisti rispondono che quell’articolo nella Costituzione Albertina ha un valore storico, ed essi non sollevano la questione, ma si oppongono a che venga inserito nella nuova Costituzione, perché esso potrebbe costituire domani uno strumento internazionale col quale si richiami lo Stato a condizioni giuridiche e a concezioni preesistenti.

Conclude dichiarando di ritenere che il dissidio tra i punti di vista comunista e democristiano non sia insolubile in linea politica, e che esso potrebbe essere risolto facilmente con un atto dell’Assemblea, la quale, nel momento in cui voterà la Costituzione, potrà votare anche un ordine del giorno in cui, nella forma più solenne, dichiari di ammettere che il Concordato e il Trattato del Laterano sono in vigore.

CORSANEGO rileva che la seconda osservazione dell’onorevole Togliatti si presenta molto grave nella sua formulazione. Ma tale gravità è conferita piuttosto da una abilità politica che non da una consistenza sostanziale. Quando poi l’onorevole Togliatti dice: Non vogliamo consacrare nella Costituzione i Trattati Lateranensi perché furono fatti dal fascismo, egli fa un’affermazione pericolosa, perché bisogna prima domandarsi se i Trattati Lateranensi corrispondevano alla volontà della maggioranza del popolo italiano. Se questo era, il fatto che li abbia stipulati il fascismo ha poca importanza. Se si insistesse su questo argomento, si dovrebbe spiegare anche perché l’Italia democratica ha istituito la Repubblica, quando il primo a fondarla fu proprio il fascismo. Come anche ci si dovrebbe domandare perché si parli di socializzazione, quando la prima socializzazione fu fatta proprio dal fascismo repubblicano.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che l’affermazione dell’onorevole Togliatti circa una certa accentuazione delle pretese democristiane non corrisponde alla realtà. Osserva anzi, a questo proposito, che l’onorevole Togliatti è stato il primo a pronunciarsi sulla materia in discussione, facendo affermazioni che, sotto certi aspetti formali, erano più decise di quante ne siano state mai fatte da parte democristiana.

La richiesta di un’affermazione più esplicita nei riguardi dei Patti Lateranensi è giustificata dal fatto che l’onorevole Togliatti, nelle sue nuove proposte, è venuto a restringere la portata del riconoscimento di quei Patti, che egli aveva mostrato di voler effettuare nelle sue precedenti dichiarazioni del 21 novembre.

Per quanto riguarda l’argomento avanzato dall’onorevole Togliatti della firma fascista dei Patti Lateranensi, si richiama alle osservazioni già fatte dall’onorevole Corsanego. Aggiunge che vi sono molti esempi di Patti che hanno assunto un aspetto diverso quando sono apparsi contrastanti con una determinata linea politica, e che non vi è bisogno di richiamare i precedenti storici dei Patti Lateranensi per mostrare come essi già fossero maturi nella coscienza del popolo italiano, attraverso i numerosi tentativi falliti, per vari motivi, prima del fascismo.

Circa la ragione di principio riguardante l’articolo 1 dello Statuto Albertino, osserva che il significato di questo articolo va valutato non per quello che esso dice formalmente, ma per il suo contenuto specifico assunto in relazione all’organizzazione giuridica concreta nella quale si inserisce. D’altra parte, che questo non sia un argomento valido contro la tesi dell’inserzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione, è dimostrato anche dalla proposta fatta in fine dall’onorevole Togliatti, che l’Assemblea, attraverso un atto, sia pure fuori della Carta costituzionale, riconosca il Trattato e il Concordato. La distinzione che egli fa è di carattere estrinseco e riguarda esclusivamente il «pezzo di carta» in cui questa norma verrà scritta. Se invece l’onorevole Togliatti ritiene che questa enunciazione non abbia valore di norma costituzionale, allora non sarà che un voto, un auspicio di cui si può apprezzare il significato al fine di tranquillizzare la vigile coscienza cattolica, ma che non può accontentare chi rappresenta questa coscienza in seno all’Assemblea costituente.

PRESIDENTE comunica che alla formula da lui presentata l’onorevole Lucifero propone di aggiungere un capoverso così formulato:

«Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

BASSO dichiara di non comprendere la ragione per cui si chieda di inserire il concordato ed il Trattato del Laterano nella nuova Costituzione. Osserva che da 17 anni il Trattato e il Concordato con la Santa Sede vivono in Italia, e mai in passato si è chiesto che essi fossero inseriti nello Statuto Albertino. Non vede, pertanto, la necessità di inserirli oggi nella Carta costituzionale; anzi, a suo parere, vi sono ragioni per non farlo.

Osserva a questo proposito che, al fine di assicurare la pace religiosa, è utile all’Italia un Concordato approvato da un Governo il quale sia la legittima espressione della volontà popolare.

All’onorevole Corsanego, fa presente che il concetto degli accordi con la Santa Sede risponde alla volontà del popolo italiano, ma non le singole statuizioni di essi, alcune delle quali debbono essere modificate o aggiornate. Nessuno oggi intende turbare la pace religiosa, e tanto meno i socialisti; essi però ritengono che questa pace deve riposare su una base solida, e non su un Concordato il quale contiene statuizioni contrarie alla loro coscienza giuridica e civile. È necessario modificare alcuni articoli del Concordato, e d’altra parte non è possibile affermare questa necessità, nello stesso momento in cui si chiede che il Concordato venga inserito con tutti i suoi articoli nella Carta costituzionale, precludendo la via ad ogni revisione.

Va inoltre considerato il fatto che alcuni articoli del Concordato contrastano con lo spirito della Carta costituzionale. Ad esempio, l’articolo 5 offende due esigenze della Costituzione: l’indipendenza dello Stato e l’eguaglianza fra i cittadini. Inoltre l’articolo 36, in cui si parla dell’insegnamento religioso come culmine dell’educazione secondo i principî della Chiesa cattolica, offende il principio dell’eguaglianza tra cittadini appartenenti a fedi diverse. Egualmente deve essere modificato l’articolo 20 del Concordato, relativo al giuramento dei vescovi nelle mani del re.

Conclude dichiarando che si può affermare nella Costituzione l’indipendenza della Chiesa ed altri principî che meritano un’affermazione di carattere costituzionale; ma non si può arrivare ad inserire nella Costituzione il Concordato in toto. Il Concordato è un avvenimento importante poiché ha rappresentalo l’avvento in Italia della pace religiosa, fatto storico che nessuno disconosce. Ma è lecito non riconoscere che la specifica forma data allora al Concordato possa ancora rispondere alla situazione attuale.

Quanto all’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero ritiene che esso possa fornire un mezzo più spedito per modificare il Concordato, ma che non soddisfi a quelle esigenze più importanti che non gli consentono di votare a favore della formula proposta dal Presidente.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non poter accettare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Lucifero che aggrava la situazione, perché viene a consacrare nella maniera più rigida l’inserimento del Concordato nella Costituzione, confermando l’impossibilità di modificare il Concordato stesso con atti che non siano bilaterali.

PRESIDENTE osserva che questo non è lo spirito con il quale l’onorevole Lucifero ha presentato il suo emendamento.

CEVOLOTTO, Relatore, obietta che questa, però, ne è la conseguenza, rilevando che, invece, l’emendamento proposto dall’onorevole Grassi costituiva un’attenuazione della formula del Presidente.

Si dichiara favorevole alla formula proposta dall’onorevole Togliatti per le ragioni che il proponente ed egli stesso hanno esposto.

LUCIFERO fa osservare all’onorevole Cevolotto che il problema cui ci si trova di fronte è quello della possibilità di modifiche del Concordato accettate bilateralmente dalla Santa Sede e dallo Stato italiano. Qualora non si dica niente in proposito, per una modificazione del genere bisognerà seguire la procedura della revisione costituzionale.

A questo inconveniente ovvia la dichiarazione che la revisione del Concordato avviene col normale sistema di ratifica. In questo modo, se mai, si attenua, non si aggrava, il peso dell’inserimento del Concordalo nella Costituzione.

PRESIDENTE dichiara di insistere nella sua proposta aggiuntiva, e domanda all’onorevole Grassi se mantiene la sua proposta di emendamento.

GRASSI dichiara di insistervi, perché ritiene che la dizione «I rapporti sono regolati in base ai Patti Lateranensi» possa risolvere sia la questione di sostanza, sia quella di forma accennata dall’onorevole Lucifero. Se si dicesse soltanto «sono regolati dai Patti Lateranensi», potrebbe darsi che per la modifica dei Patti Lateranensi si dovesse ricorrere a strumenti complessi, dato che quella italiana non è una Costituzione flessibile ma rigida; invece con la formula da lui proposta si potrebbe ratificare qualunque nuove accordo, senza bisogno di ricorrere ad una procedura extra-parlamentare.

LUCIFERO chiede che il suo emendamento venga messo ai voti prima della formula proposta dal Presidente, perché ciò potrebbe indurre qualcuno a votare quella parte della proposta che sarebbe per lui inaccettabile senza l’emendamento.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Lucifero che la sua richiesta non può essere accolta, perché il suo è un emendamento aggiuntivo e come tale presuppone una formula precedente.

Mette ai voti in primo luogo la formula proposta dall’onorevole Togliatti: «I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

LUCIFERO dichiara di votare contro, perché ritiene che la formula, richiamandosi solo alla parte concordataria, non contempli quegli altri rapporti che sono previsti dal Trattato. Inoltre, dicendo «in termini concordatari», si lascia adito al dubbio che non ci si riferisca al Concordato vigente.

(La formula Togliatti è respinta con 10 voti contrari e 7 favorevoli).

PRESIDENTE avverte che rimane da porre in votazione la formula da lui proposta, sulla quale l’onorevole Grassi ha presentato un emendamento.

GRASSI dichiara di ritirarlo.

PRESIDENTE pone ai voti la formula da lui proposta: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di votare contro per le ragioni che ha già ampiamente esposto, riservandosi di risollevare la questione, sia nella Commissione plenaria che davanti all’Assemblea Costituente.

DE VITA dichiara di votare contro.

GRASSI dichiara di votare a favore, con l’intesa che egli ritiene che il Trattato e il Concordato debbano essere la base delle relazioni tra Stato e Chiesa, ma che essi vanno modificati in alcune parti. Con questo spirito, voterà anche a favore dell’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Lucifero.

MORO dichiara di votare a favore, sicuro di interpretare in questo modo la coscienza cattolica del popolo italiano, e anche di quella parte cattolica del popolo italiano che milita in altri partiti. Dichiara altresì, che con questo voto i Commissari di parte democristiana non intendono imporre l’affermazione di una maggioranza transitoria, ma vogliono avviare tutta la vita politica italiana verso la pace religiosa, nella certezza che, anche per mezzo del loro contributo, saranno operati nel Concordato quei ritocchi che valgano a rendere i termini della pace religiosa perfettamente aderenti allo spirito liberale e democratico della nostra Costituzione.

(La formula proposta dal Presidente è approvata con 10 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Lucifero: «Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

DOSSETTI, Relatore, riservandosi, quanto al merito della proposizione proposta, di esprimere il suo avviso in sede più opportuna, dichiara di votare contro perché l’adozione di questa norma, quando ancora non si conosce la procedura che verrà adottata per la revisione della Costituzione, gli sembra inopportuna.

GRASSI dichiara di votare a favore per le ragioni già esposte.

TOGLIATTI dichiara di votare a favore.

(L’emendamento aggiuntivo è approvato con 8 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE rileva che la dizione dell’articolo, nel suo testo definitivo, rimano la seguente: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

Discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.

PRESIDENTE apre la discussione sugli articoli proposti dai Relatori in materia di libertà di opinione, di coscienza e di culto. Fa presente che il primo articolo proposto dall’onorevole Dossetti dice:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, purché non contrastino con le supreme norme morali, con la libertà e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, con i principî dell’ordine pubblico».

L’onorevole Cevolotto, a sua volta, ha proposto l’articolo seguente:

«Tutti i cittadini hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza».

Invita i Relatori ad illustrare le loro formule.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che l’articolo 1 della sua relazione non corrisponde propriamente all’articolo 1 proposto dall’onorevole Cevolotto. Il suo articolo riguarda soltanto la libertà di professione di idee e di convinzioni genericamente intesa, mentre l’articolo della relazione Cevolotto riguarda anche la libertà di fede di cui l’oratore fa parola all’articolo 2. Quindi si presentano due eventualità: esaminare, discutere ed eventualmente votare il suo articolo 1 riguardo alla libertà di professione delle proprie idee e convinzioni, oppure fonderlo con la trattazione relativa alla libertà di fede e di coscienza religiosa.

MORO ritiene che si debba fare distinzione tra la libertà di opinione e di coscienza intesa in senso generale, e la professione religiosa. Pertanto le due questioni vanno trattate separatamente.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non essere contrario alla discussione iniziale sull’articolo dell’onorevole Dossetti riguardante la libertà di opinione, restando salva la questione del suo collocamento.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

MARCHESI ricorda che nella relazione sul programma della Democrazia cristiana della primavera scorsa si affermava la necessità che nella Carta costituzionale la religione cattolica venisse riconosciuta come religione di Stato, e se ne ricavava la conseguenza che gli istituti fondamentali dello Stato dovessero conformarsi alla morale cristiana che poi – come risultava da altri passi della relazione – era la morale cristiana cattolica. Rileva quindi come l’onorevole Dossetti faccia proprie le conseguenze che venivano tratte in quella relazione, quando stabilisce nel suo articolo che ogni uomo ha diritto alla libera professione delle idee, purché esse non contrastino con le supreme norme morali. Le quali supreme norme morali proposte dall’onorevole Dossetti – che è una così fervida anima cristiana – non possono che esser quelle della morale cattolica. Ma, con quella semplice parola «purché», si viene a distruggere il principio della libertà di pensiero, il quale pensiero può anche esigere la libertà di concepire e di formulare norme che siano in disaccordo con quelle della morale cattolica. Per queste ragioni dichiara di non accettare l’articolo dell’onorevole Dossetti, così come è stato formulato.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di ritenere l’articolo dell’onorevole Dossetti non necessario, dal momento che nei principî sulla libertà si è già garantita la libertà di esporre le proprie opinioni e di propagandarle.

Quanto alla formulazione dell’articolo, aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Marchesi, aggiungendo che esso rafforza in lui l’impressione che si stia facendo una Costituzione paolotta, mentre le formule dovrebbero essere, per dir così, un poco laicizzate.

LA PIRA fa presente che la stessa terminologia è usata anche in libri di autori non cattolici e non cristiani, e che la Costituzione che si sta facendo non è paolotta, ma umana. Essa ha per termine comune la personalità umana, accettata da tutte le correnti politiche.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che un richiamo alla morale si legge anche nell’articolo 2 proposto dall’onorevole Cevolotto, dove si dice che tutti i cittadini hanno diritto di professare qualsiasi culto che non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon postume, mentre egli aveva semplicemente detto: «all’ordine pubblico e al buon costume», perché i due concetti di ordine pubblico e di buon costume sono concetti più limitati di quanto non sia il concetto di morale. Fa presente inoltre che egli non si è richiamato genericamente alla morale, ma a quelle supreme norme morali che devono essere alla base di ogni convivenza civile.

Ricorda all’onorevole Cevolotto che il professore Jemolo, nel suo opuscolo per la pace religiosa in Italia, ha sostenuto che la nuova disciplina e il nuovo ordinamento giuridico italiani debbono cominciare con una dichiarazione di adesione a quei principî etici del Cristianesimo che rappresentano, indipendentemente da qualsiasi specifica tesi religiosa, la base della nostra coscienza e della nostra civiltà.

Ritiene quindi che il richiamo alle supreme norme morali non possa bastare per qualificare «paolotta» la Costituzione; non ritiene parimenti che il suo riferimento alle norme morali possa suscitare allarmi, perché non ha nulla a che vedere con la relazione sul programma della Democrazia cristiana, cui si è richiamato l’onorevole Marchesi.

LUCIFERO osserva che una buona Costituzione è tutta un dettame morale, e che il richiamo alle supreme norme della morale è nelle norme stesse che la Costituzione detta, e non come richiamo a sé stante. Quindi, pur dichiarando di consentire con le intenzioni dell’onorevole Dossetti, si domanda se è necessario il suo riferimento alle norme morali, e se non sia più pratico e più costituzionale l’accenno al buon costume e all’ordine pubblico.

BASSO, pure essendo ossequiente alle supreme norme morali, si dichiara contrario alla formulazione dell’articolo, in quanto esso esprime un concetto che può essere interpretato in modi diversi, mentre una precisa definizione della norma in esame è di suprema importanza, perché riguarda la libertà di coscienza.

Ricorda che, per avere in sede di Sottocommissione sostenuto una volta che il principio dell’indissolubilità del matrimonio riguardava piuttosto il Codice civile che la Costituzione – e non crede che questa fosse una violazione della morale – è stato attaccato dall’Osservatore Romano che lo ha accusato di volere distruggere il vincolo familiare, di voler introdurre il libero amore, ecc. Ora, quando si stabilisce che la libertà di coscienza può essere sottoposta ad esame in base a una formula suscettibile di interpretazioni diverse, si va incontro al pericolo che questo esame possa variare da persona a persona. Perciò, pur essendo d’accordo che si debbano rispettare le supreme norme morali, ritiene inaccettabile una formula che si richiami alle norme morali, senza averle prima ben definite.

MASTROJANNI ritiene che sia da accogliere la formula dell’onorevole Dossetti, il quale ha esattamente limitato le supreme norme morali a quelle che hanno resistito attraverso il corso dei secoli. La resistenza nel tempo di questa morale accettata da tutti la mette fuori di discussione, e non giustifica le preoccupazioni dell’onorevole Marchesi.

MARCHESI domanda all’onorevole Mastrojanni quali sono secondo lui queste supreme norme morali.

MASTROJANNI risponde che sono quelle – come la morale cristiana cattolica – che attraverso i secoli hanno resistito e sono rimaste integre nella coscienza collettiva.

MARCHESI osserva che tali norme non sono state mai assolute nel tempo; sono materia di esortazione, non di storia; sono state predicate, non praticate.

MASTROJANNI replica che la predicazione del Cristianesimo è servita ad esaltare la norma morale, perché venga praticata con sempre maggiore profondità. Ma il fatto della predicazione non ha fatto che confermare l’esistenza di quella morale universale. Attraverso i secoli non vi è alcun’altra forza morale accettata dalla collettività, né ancora oggi vi è una morale da contrapporre a quella cristiana.

MARCHESI domanda all’onorevole Mastrojanni se egli proibirebbe la pubblicazione dell’opera Così parlò Zarathustra di Nietzsche.

MASTROJANNI dichiara che se quell’opera urta contro l’umana coscienza e suscettibilità, non avrebbe alcuna difficoltà a contrastarla, appunto perché turba le coscienze. Egli è del parere che il bene supremo deve essere difeso. Le manifestazioni del pensiero debbono rientrare in quello che è il patrimonio spirituale dell’umanità. È questo un diritto dell’umanità.

L’onorevole Lucifero ritiene che meglio converrebbe alla nostra Costituzione la formula che pone il limite dell’ordine pubblico e del buon costume. Egli ritiene invece che quegli aspetti particolari possano far parte di leggi speciali, ma nella Costituzione debba affermarsi il principio generale da cui il legislatore trarrà argomento per formulare altri divieti che attingono il loro valore da questa enunciazione generale. Per queste ragioni è favorevole alla formula Dossetti.

DE VITA esprime l’avviso che i principî supremi della morale somiglino un po’ al diritto naturale: sono, cioè, vaghi ed inafferrabili. Ritiene che la morale sia variabile attraverso il tempo e da luogo a luogo. Per queste considerazioni dichiara di non potere aderire alla proposta dell’onorevole Dossetti. Per il resto, aderisce alla dichiarazione fatta dall’onorevole Marchesi.

TOGLIATTI dichiara di non comprendere perché venga proposto l’articolo in esame. Esso – a suo avviso – rappresenta una forma di ipocrisia. Quali sono i principî supremi della morale? Forse: non uccidere e non rubare? Ma è proprio la società, così come è oggi costituita, che spinge ad uccidere e a rubare.

Quali sono le norme morali? Il movimento anarchico può essere dichiarato contro le supreme norme morali; il movimento comunista può essere dichiarato immorale, perché non riconosce quel mito della proprietà che è a base della società capitalistica di oggi, ed è quasi una divinità per alcuni movimenti politici. Si vuol forse, proponendo una norma del genere, esacerbare i rapporti tra i partiti?

Osserva che qui non si mira a giudicare delle azioni, ma delle idee e delle convinzioni, la cui espressione deve essere invece libera. Con una norma del genere, si arriverebbe all’assurdo che un uomo non può più pensare una cosa che a giudizio dei proponenti dell’articolo sia considerata da essi contro le supreme norme della morale, supreme norme che non si conoscono e non vengono precisate.

La verità è che qui si nasconde il tranello della soppressione della libertà di pensiero, di convinzione, e di ogni altro principio di libertà.

Per questi motivi, dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI ritiene che l’onorevole Togliatti abbia esasperato al massimo il pensiero che la formula rappresenta. Le supreme norme morali non possono preoccupare alcuno. La libertà di pensiero non è da esse violata. Qualunque aspirazione politica è salva, perché le supreme norme morali non colpiscono le idee, ma i delitti, quali per esempio l’omicidio o la rapina e ogni lesione al diritto.

TOGLIATTI osserva che con un articolo di legge, quale quello proposto dall’onorevole Dossetti, si sarebbero potuti mettere in prigione e sopprimere i primi predicatori del Vangelo. Quanto all’omicidio e alla rapina, cui ha accennato l’onorevole Mastrojanni, si tratta di materia riguardante il Codice penale. Ripete che l’inserimento di questo articolo nella Carta costituzionale farebbe sì che chi, come i comunisti, respinge ad esempio il diritto di proprietà così come ora è concepito dalla società capitalistica, sarebbe considerato rapinatore ed assassino.

GRASSI rileva che la libertà di opinione è a base dell’articolo proposto, e che essa va qui affermata, perché in nessuna parte della Costituzione ne è stato finora fatto cenno. Crede però che l’onorevole Dossetti sia andato oltre le sue intenzioni con le limitazioni che egli ha poste alla libertà di opinione.

Ritiene che non sia possibile porre una limitazione alla libertà di pensiero nei confronti dei principî affermati dalla Costituzione. L’onorevole Basso ha accennato alla indissolubilità del matrimonio; ed egli si domanda se si possa mai pensare che una opinione diversa possa essere vietata.

Ricorda che una delle ragioni per le quali la prima Costituzione francese fu respinta, derivava dal fatto che in essa vi era un articolo nel quale si dichiarava che i diritti affermati nella Costituzione non potevano essere posti in discussione: sembrò infatti agli elettori francesi che in questa affermazione vi fosse un germe pericoloso contro la libertà.

TOGLIATTI dichiara che, dopo l’accenno ai reati fatto dall’onorevole Mastrojanni, appaiono chiare le intenzioni dell’articolo in discussione. Fa presente che ogni giorno legge giornali di parte cattolica, nei quali si dice che le dottrine politiche che egli professa sono contro le supreme norme morali. È chiaro che, se domani quella parte avesse la maggioranza, egli sarebbe dichiarato fuori legge soltanto perché crede nei principî del socialismo e nella trasformazione della proprietà dei mezzi di produzione e dei mezzi di scambio.

Lasciando da parte l’anarchismo e il comunismo, che sono dottrine politiche, se si desse domani il caso di una eresia religiosa, si potrebbe dire, in base a quest’articolo, che essa è contro le supreme norme morali.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non vedere la ragione dello sdegno manifestato dall’onorevole Togliatti. Osserva anzitutto che, per quella particolare manifestazione che è l’opinione religiosa, si ammette che possa subire un limite nei riguardi dell’«ordine pubblico e buon costume», come è detto nella sua proposta e della «morale» per giunta, come è detto nella formulazione dell’onorevole Cevolotto. Ora, se questo lo si ammette per una manifestazione della coscienza religiosa, non vede perché non possa essere ammesso anche per ogni opinione in genere, in quanto sia contrastante con l’ordine pubblico o il buon costume. Potrà essere, questa, materia opinabile, ma non è cosa che desti sospetti o che possa giustificare la qualifica di forma ipocrita ad essa data dall’onorevole Togliatti.

Quanto poi al richiamo alle supreme norme morali, fa presente che un richiamo esplicito alla «morale» è contenuto anche nella formula dell’onorevole Cevolotto, e chiarisce che l’espressione «supreme norme morali» si riferisce a quei supremi principî morali che non riguardano questa o quella forma di organizzazione della società o di disciplina dell’economia, perché questo non ha niente a che vedere con essi. Supremo principio morale è, ad esempio, quello che proibisce le persecuzioni razziali.

CEVOLOTTO, Relatore, spiega che la sua formula si riferisce a tutt’altro campo. Essa afferma che tutti i cittadini hanno il diritto di professare quella religione e quel culto che desiderano, purché esso non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume. È necessario fare una tale specificazione, perché si può dare il caso di un culto che sia per se stesso immorale. Vi sono state sette religiose che hanno professato il principio che bisogna peccare molto per poi pentirsi e salvarsi. Un tal principio sarebbe contrario alla morale. Questa è la portata ristretta della sua formula.

DOSSETTI, Relatore, osserva che non è in base ad eventuali intenzioni che si deve giudicare, ma in base alla portata oggettiva della norma che si propone. Rileva che quanto dice l’onorevole Cevolotto è tradizionalmente compreso nel concetto di buon costume. Quando si fa un richiamo alla morale senza limitazioni, si richiama qualche cosa di ancor più estensivo delle supreme norme morali.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che la parola «morale» può essere tolta dalla sua formula.

DOSSETTI, Relatore, replica che a lui premeva sottolineare che, anche partendo da un punto di vista che non sia il suo, si può arrivare a stabilire limitazioni più gravi di quelle che egli propone, senza che l’onorevole Togliatti accusi l’onorevole Cevolotto di ipocrisia.

MARCHESI rileva che la «morale» richiamata dall’onorevole Cevolotto è la morale del regolamento di polizia.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare che la dizione «contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume» è una formula tradizionale della legislazione italiana, ed egli ha inteso qui adoperarla con quel significato e con quel valore.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che, data l’interpretazione che egli ha inteso dare alla sua proposta, non può che insistere perché venga posta in votazione.

BASSO osserva che l’articolo, quando fosse approvato, andrebbe soggetto ad interpretazioni diverse dalla interpretazione personale che ne ha dato il proponente onorevole Dossetti. Ritiene logica l’interpretazione datane dall’onorevole Mastrojanni, ed è contro di essa che intende reagire, come hanno già reagito gli onorevoli Togliatti e Marchesi.

Osserva che nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti si dice che non si possono manifestare le proprie idee o convinzioni, quando esse contrastino con le supreme norme morali, con la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione. Ora, fra i diritti che la Costituzione garantisce vi è il diritto di proprietà. Approvando l’articolo dell’onorevole Dossetti, si verrebbe ad impedire ogni manifestazione di opinioni contrarie al diritto di proprietà, così come esso si esercita nella civiltà capitalistica; si verrebbero pure a impedire tutte le associazioni per il divorzio.

L’onorevole Mastrojanni ha detto che per lui è molto chiaro che le «supreme norme morali» non sono che quelle della religione cattolica. Ora, per la religione cattolica, il Santo Padre è infallibile quando parla ex cathedra, in materia di morale. Accogliendo l’articolo dell’onorevole Dossetti ci si verrebbe quindi a sottoporre all’interpretazione autentica del Santo Padre in materia di morale. Praticamente l’accoglimento della proposta Dossetti significherebbe rendere impossibile qualsiasi manifestazione di pensiero. Si pensi, ad esempio, alle associazioni naturistiche ed a quelle per il controllo delle nascite, che sono associazioni fiorentissime in Paesi di alta civiltà e che verrebbero senz’altro proibite in base all’articolo in discussione. Ciò non implica da parte sua un giudizio di merito sulle predette associazioni: è certo però che egli è favorevole a che queste associazioni esistano e non siano soppresse da quel regime di polizia che verrebbe ad essere instaurato con l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

Rileva che si potrebbe, eventualmente, comprendere la portata ed il significato dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti, qualora esistesse un testo che fissasse tassativamente le norme della morale. Si potrebbe discutere l’opportunità o meno di richiamarle nella Costituzione, ma almeno si saprebbe a che cosa ci si vuol riferire. Invece, così come è formulato l’articolo, non può essere accolto e pertanto ne propone la soppressione.

LUCIFERO dichiara che, se fosse sicuro che l’articolo venisse interpretato nel puro senso delle supreme leggi della morale cattolica, lo accetterebbe, perché esse sono le supreme leggi morali di tutti.

Osserva, però, che nell’articolo vi è una certa improprietà di impostazione. La morale produce la legge, ma la legge non è che il precipitato storico della morale, non è «la morale». Nella legge si fa l’applicazione della morale vigente nell’epoca. La legge è quindi un’applicazione della morale, ma non la richiama. Questo articolo pone di fronte ad una serie di problemi che un interprete di cattiva volontà può torcere come vuole. Compito del legislatore e del costituente è di sviluppare la morale nelle leggi, non di richiamarla come articolo di Codice. Lo stesso fatto che si sia sentita la necessità di spendere tante parole dall’una e dall’altra parte per dire con quale significato si voleva adoperare la parola «morale», dimostra la difficoltà della sua interpretazione.

Dichiara pertanto di associarsi, per motivi diversi da quelli detti dagli altri oratori che lo hanno preceduto, alla proposta di sopprimere quest’affermazione.

CORSANEGO fa notare che la frase che ha destato tanto scandalo si trova in quasi tutte le Costituzioni. La Costituzione dell’Estonia, ad esempio, dice: «È garantita la libertà di manifestare le proprie idee con parole, scritti, stampe, rappresentazioni grafiche o di scultura. Essa non può essere limitata che nell’interesse della morale o della sicurezza dello Stato». Analoghe disposizioni si trovano nella Costituzione democratica spagnola, in quella lituana ed in altre Costituzioni.

TOGLIATTI fa presente che, se alcune sue espressioni possono avere offeso qualche Commissario, si dichiara disposto a rettificarle e a ritirarle, ma prega l’onorevole Dossetti di ritirare l’articolo proposto, onde si possa cercare un accordo su altra formula di comune consenso.

MORO dichiara di non poter concordare con le osservazioni fatte dall’onorevole Lucifero. È vero che la legge è un precipitato storico della morale, ma ciò non toglie che proprio per questa ragione le norme di legge debbano richiamarsi esplicitamente a criteri morali.

Per quanto riguarda il merito della proposta, intende difendere la sincerità con la quale essa è stata formulata. I rappresentanti della Democrazia cristiana sono cristiani e cattolici e sono abbastanza aperti, conoscendo il mondo moderno, per sentire che le loro idee non sono da tutti condivise. Tuttavia, vi è una convivenza civile in Italia e nel mondo tra persone che professano apertamente il Cristianesimo ed altre che solo naturalmente ne seguono la morale; e sia gli uni che gli altri sentono che c’è una moralità comune che li unisce, frutto della civiltà ed elemento comune che permette di vivere insieme realizzando una umanità civile.

A chi ha affermato che una norma come quella proposta può essere pericolosa, fa osservare che essa può essere pericolosa non perché la sostengono i democristiani, ma perché domani potrebbe rappresentare, nelle mani di chi non ha eguale lealtà ed apertura di spirito, un pericolo per la libertà. I democristiani possono sinceramente affermare che nelle loro mani non sarebbe pericolosa, perché essi sono uomini non soltanto cristiani, ma dotati di una spiritualità ricca ed aperta.

MARCHESI obietta che una norma del genere non è pericolosa nelle mani dell’onorevole Moro, ma sarebbe pericolosissima nelle mani di altre persone le quali, in base ad essa, si riterrebbero autorizzate a mandare al rogo i comunisti.

MORO ammette che la norma possa essere pericolosa, ma chiede che i Commissari diano atto della onestà delle intenzioni di chi l’ha proposta.

PRESIDENTE ritiene opportuno sospendere la seduta per qualche minuto per dar modo ai Commissari di chiarire meglio tra di loro il proprio pensiero.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

DOSSETTI, Relatore, comunica che, avendo l’onorevole Togliatti chiarito il suo pensiero, ed essendosi dichiarato disposto a venire ad un accordo sopra una nuova formulazione, non ha nessuna difficoltà a sopprimere l’articolo 1, purché nel successivo articolo da lui proposto come secondo, si faccia menzione della libertà di espressione delle proprie idee. Tale articolo dovrebbe avere, all’inizio, la seguente dizione:

«Ogni uomo ha diritto alla libera manifestazione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa, ecc.».

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene che, se si vuole introdurre il principio della libertà di manifestazione delle proprie idee, questo principio deve essere staccato dall’altro che riguarda la libertà di fede e di coscienza.

CARISTIA ritiene che, se anche si vuol discutere sulla libertà di opinione, del resto ammessa da tutti, le norme relative dovrebbero essere collocate in altra sede.

PRESIDENTE spiega che la Commissione si riservò appunto di discutere il principio della libertà di opinione in questa sede, in quanto poteva avere una connessione con gli articoli che riguardano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa; ma si intende che questi articoli dovranno poi trovare la loro sede nel primo capitolo, che riguarda i diritti fondamentali della personalità umana.

CARISTIA osserva che, dal momento che è stata già garantita la libertà di stampa, basterà dire: è garantita ai cittadini la libertà di opinione, che si esplica in determinati modi. Per quanto riguarda la libertà di coscienza e di culto, adotterebbe una formula molto più semplice.

CEVOLOTTO, Relatore, concorda nella proposta di riunire tutti i concetti nell’articolo 2 della relazione Dossetti, ma ne propone una formulazione diversa.

DOSSETTI, Relatore, dichiara doversi intendere che la sua proposta di fusione dei due articoli in uno solo, cioè nell’articolo 2, è naturalmente subordinata all’inquadramento dell’articolo 2 stesso, nel senso che la libertà di espressione delle proprie idee e convinzioni resti sempre circoscritta da quel limite supremo che è contenuto in fondo all’articolo. In caso contrario, ritirerebbe la sua proposta.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta di domani, ed invita i Relatori onorevoli Dossetti e Cevolotto a trovare una formula dell’articolo 2, possibilmente concordata.

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assente giustificato: Mancini.

MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

48.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

Presidente – Mancini – Cevolotto – Togliatti – Marchesi.

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Togliatti – Dossetti, Relatore – Cevolotto, Relatore –Caristia – Mancini – La Pira – De Vita – Merlin Umberto – Moro.

La seduta comincia alle 12.

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente la Sottocommissione ha proceduto alla revisione dei primi tre articoli concernenti i principî dei rapporti culturali.

Sottopone all’esame, per la revisione, i rimanenti articoli approvati sullo stesso tema.

MANCINI, all’articolo 4, propone di rendere tassativa la disposizione che l’insegnamento primario e postelementare è obbligatorio fino al 14° anno di età, sopprimendo perciò, al termine dell’articolo, nella proposizione «almeno fino al 14° anno di età» la parola «almeno».

CEVOLOTTO fa osservare che, con la parola «almeno», l’obbligatorietà può andare anche oltre i quattordici anni di età, che è un limite minimo. Se si toglie questo termine, si peggiora la situazione rispetto al principio dell’obbligatorietà dell’insegnamento, che si voleva affermare con l’articolo in esame.

TOGLIATTI si associa alla osservazione dell’onorevole Cevolotto.

MARCHESI fa presente che il termine «almeno» era contenuto nell’articolo formulato dall’onorevole Moro, e che egli lo aveva lasciato perché aveva ritenuto che esprimesse un concetto giusto.

MANCINI ritira la sua proposta di soppressione del termine «almeno».

(L’articolo 4 è approvato. L’articolo 5 non dà luogo ad osservazioni).

MARCHESI, sull’articolo 6, osserva che nel testo concordato dalla prima e dalla terza Sottocommissione l’articolo concernente la protezione dei monumenti da parte dello Stato è stato soppresso, e fa presente la necessità che invece esso sia mantenuto.

PRESIDENTE chiarisce che l’articolo è stato considerato superfluo dal Comitato che ha coordinato gli articoli approvati dalla prima e dalla terza Sottocommissione.

MARCHESI fa osservare al Presidente che l’articolo in esame è oggi più che mai necessario, poiché la seconda Sottocommissione, che si occupa delle autonomie regionali, ha attribuito alla competenza delle Regioni la protezione e la manutenzione dei monumenti che costituiscono patrimonio nazionale. Dichiara di non poter accettare questo principio, e di ritenere pertanto opportuno introdurre nella Costituzione un articolo che metta sotto la protezione dello Stato i monumenti artistici, storici e naturali, a chiunque appartengano e in qualsiasi parte del territorio della Repubblica.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Marchesi che si renderà interprete del suo desiderio in sede di Comitato misto, e propone che la forma dell’articolo in esame sia modificata nel modo seguente: «I monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica ed a chiunque appartengano, sono sotto la protezione dello Stato».

CEVOLOTTO dichiara di ritenere imprecisa l’espressione «monumenti naturali», poiché il monumento è sempre qualche cosa che sorge per opera dell’uomo.

MARCHESI fa osservare all’onorevole Cevolotto che il monumento è una testimonianza di qualche cosa, è un ricordo, una memoria, e che d’altra parte la parola «monumento» ha assunto un significato così esteso e generico che può essere accettata.

CEVOLOTTO non insiste sulla sua osservazione riguardante l’espressione «monumenti naturali», ma fa osservare che l’altra espressione «sotto la protezione dello Stato» è alquanto generica e può avere un significato troppo lato permettendo al privato, che non abbia i mezzi per curare e mantenere questi monumenti, di rivolgersi allo Stato per pretendere che vi provveda lo Stato stesso.

MARCHESI chiarisce che lo Stato deve appunto intervenire quando non ci siano i mezzi da parte del privato, ma può anche imporre al proprietario, che abbia i mezzi, la custodia e la manutenzione di questi monumenti.

CEVOLOTTO dichiara di non insistere nella sua osservazione.

(L’articolo viene approvato nella formulazione proposta dal Presidente).

PRESIDENTE essendo esaurito l’esame degli articoli concernenti i principî dei rapporti culturali, propone alla revisione i sei articoli che riguardano la famiglia.

(Non dànno luogo ad osservazioni).

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE riapre la discussione sugli articoli riguardanti lo Stato come ordinamenti giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti, ricordando che in una precedente seduta egli e l’onorevole Togliatti avevano presentato due formulazioni diverse sullo stesso argomento.

Gli articoli presentati dall’onorevole Togliatti erano i seguenti:

Art. 1. – «Lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa o ecclesiastica».

Art. 2. – «Lo Stato riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nei limiti dell’ordinamento giuridico della Chiesa stessa».

Art. 3. – «I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

Gli articoli da lui proposti erano così formulati:

Art. 1. – «Le norme di diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento della Repubblica. Le leggi della Repubblica non possono contraddirvi».

Art. 2. – «La Repubblica riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nella sfera dell’ordinamento giuridico di essa».

Art. 3. – «I Patti Lateranensi – Trattato e Concordato – attualmente in vigore sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato».

TOGLIATTI dichiara di essere disposto a riunire in uno solo i tre articoli da lui proposti.

PRESIDENTE fa presente che, tra gli articoli che egli ha proposto, ce ne è uno che non riguarda i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, ma le norme di diritto internazionale che dovrebbero far parte dell’ordinamento della Repubblica.

Domanda alla Commissione se essa ritiene che questo articolo debba essere discusso prima di passare all’esame degli articoli riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, in merito ai tre articoli presentati dall’onorevole Togliatti, rileva che a parte le differenze formali il secondo può rappresentare una base utile di discussione essendo formulato precisamente nello spirito del principio che egli ha affermato.

Ritiene invece insufficiente il terzo degli articoli in cui l’onorevole Togliatti ha affermato in modo più esplicito e in termini più comprensibili ciò che l’oratore aveva cercato di stabilire negli articoli 5 e 6 proposti nella relazione. Fa osservare a questo proposito che esiste accordo tra lui e l’onorevole Togliatti circa l’affermazione del riconoscimento dell’indipendenza reciproca sia dello Stato che della Chiesa; ma rileva altresì che, oltre alla affermazione che i rapporti intercorrenti tra di essi devono in linea di principio essere regolati in termini concordatari e quindi con atto di diritto esterno, non si può non introdurre nella Costituzione anche un richiamo a quegli atti di diritto esterno sussistenti storicamente come disciplina concreta delle relazioni tra Stato e Chiesa, quali sono i Patti Lateranensi.

Fa presente che il principio del riconoscimento dei Patti Lateranensi era stato accettato esplicitamente anche dall’onorevole Togliatti nelle dichiarazioni da lui fatte nella seduta della Sottocommissione del 21 novembre: dalla quale risulta chiaro che l’onorevole Togliatti era disposto a riconoscere nella Costituzione ciò che chiamava uno stato di fatto attuale e giuridico; non essendo intervenute da allora ad oggi ragioni così gravi da giustificare un mutamento della situazione, ritiene che ne consegua che l’onorevole Togliatti dovrebbe essere tuttora disposto ad accettare un richiamo ai Patti Lateranensi come necessario complemento dell’architettura degli articoli riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa.

Rileva che al riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi oggi in vigore possono essere opposte una serie di obiezioni tecniche, quale ad esempio la opportunità di alcune modificazioni ai Patti in vigore; ma osserva che tali obiezioni hanno uno scarso rilievo, e che è invece necessario vedere realisticamente ciò che vi è al fondo della questione.

Dichiara a tale proposito che, perché si possa vedere nella nuova Costituzione un rispetto effettivo e non soltanto formale della coscienza cattolica del popolo italiano, è necessario che non si contraddica a quella fondamentale realtà storica con cui si è composto un dissidio secolare sistemando i rapporti fra Stato e Chiesa; non si può quindi fare a meno del riconoscimento dei patti esistenti. Quando, sia pure sotto il velame di esplicite dichiarazioni di rispetto, ci si rifiuta a questo riconoscimento costituzionale in nome di pretese difficoltà tecniche, i democristiani hanno ragione di sospettare che sotto tale atteggiamento si nasconda qualcosa di più che una semplice ragione tecnica: che vi sia cioè una ragione politica, e non si voglia dare agli italiani quella garanzia che i democristiani considerano fondamentale e che essi chiedono venga affermata nella Costituzione.

Aggiunge che alcune manifestazioni di un certo valore giustificano il sospetto che, negando in modo imprevisto ed imprevedibile il riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi, e opponendo d’altra parte delle pretese ragioni tecniche, si voglia di fatto mantenere una linea politica di equilibrio che da un lato consenta di sfruttare i vantaggi derivanti da una dichiarazione di rispetto per la coscienza cattolica, e dall’altro di minare profondamente la coscienza stessa. Cita a tale riguardo un articolo pubblicato dal nuovo settimanale di lotta politica Vie nuove, diretto dal vicesegretario del Partito comunista e di cui è autorevole collaboratore lo stesso onorevole Togliatti, articolo nel quale, sotto il titolo «Roma Vaticana», vengono riferiti alcuni giudizi del giornalista inglese Wickham Steed contenenti affermazioni false e denigratorie nei riguardi della religione.

Dichiara di non voler attribuire all’articolo citato un significato più grave di quello che si poté attribuire al manuale di religione presentato in una delle sedute precedenti dall’onorevole Togliatti, ma riconferma che, se le dichiarazioni fatte dai Commissari di altra parte nei riguardi dei patti esistenti sono veramente sincere, la sola conseguenza logica che se ne può trarre è che si deve arrivare ad introdurre nella Costituzione quell’unica effettiva garanzia che oggi può tranquillizzare la coscienza dei cattolici, senza recar pregiudizio alle coscienze non cattoliche.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che l’onorevole Dossetti è già entrato nel merito della discussione prendendo come base la proposta dell’onorevole Togliatti, mentre ancora si deve decidere se debba o no avere la precedenza la discussione sull’articolo relativo all’adozione delle norme di diritto internazionale.

Ricorda di aver proposto un articolo che corrispondeva alla prima parte dell’articolo successivamente presentato dal Presidente, il che dimostra che anche per il Presidente questo era il primo punto da risolvere. Fa presente che, se la Sottocommissione è disposta a prendere come base della discussione la proposta presentata dall’onorevole Togliatti, egli non si opporrà, ma non vede la ragione per cui non si debba prima discutere e votare l’articolo proposto dal Presidente, il quale tratta una materia non compresa negli articoli dell’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI dichiara che gli è indifferente discutere prima o dopo sull’articolo riguardante le norme del diritto internazionale. Osserva però che questo articolo non è persuasivo, poiché esso riconosce norme del diritto internazionale che non esistono. Esistono principî di diritto internazionale elaborati da una scienza molto complicata, ma per i quali non esiste una codificazione, poiché vi sono soltanto delle norme che entrano nei trattati internazionali, e questi trattati costituiscono l’unica codificazione del diritto internazionale. Nei Codici civili dei singoli Stati vi sono alcune norme di diritto internazionale relative, soprattutto, allo stato giuridico dei cittadini, norme di diritto privato in generale; mentre per quel che riguarda il diritto pubblico internazionale tutto rimane nell’ambito dei principî generali e fa parte del costume o della consuetudine.

Per queste considerazioni, affermare che le norme del diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento dello Stato vuol dire inserire nella Costituzione un articolo che si può prestare ad equivoci.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Cevolotto di discutere in primo luogo la questione del diritto internazionale in genere, per passare poi ad esaminare la questione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica.

CARISTIA dichiara che si asterrà dalla votazione in quanto ritiene che essa sia perfettamente inutile.

(La proposta Cevolotto è approvata con 15 voti favorevoli, 1 contrario e 1 astenuto).

CEVOLOTTO, Relatore, riconosce giuste le osservazioni dell’onorevole Togliatti circa il riconoscimento delle norme di diritto internazionale, e ricorda di aver presentato nella sua relazione una formula alquanto diversa da quella del Presidente, e così concepita: «Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana». Questa formula, che corrisponde, salvo varianti formali, alla formula della Costituzione di Weimar adottata anche da altre Costituzioni, va incontro alle obiezioni dell’onorevole Togliatti, e risponde all’aspirazione per un allargamento della base dei rapporti internazionali in cui intervenga un riconoscimento di norme comuni tra tutti gli Stati.

Per queste ragioni propone che sia adottato l’articolo contenuto nella sua relazione, invece di quello proposto dal Presidente.

CARISTIA ritiene che la formula proposta dall’onorevole Cevolotto sia più adeguata, anche tenuto conto delle osservazioni svolte dall’onorevole Togliatti, che però non sono del tutto esatte. Osserva a tale proposito che se è vero che il diritto internazionale non è codificato come il diritto interno, non si può dire in maniera assoluta che esso consti soltanto di quei principî che si trovano nell’uno o nell’altro manuale di diritto internazionale più o meno autorevole, perché vi è anche una parte di questa materia che, bene o male, è codificata in atti bilaterali.

Rileva inoltre che occorre fare una distinzione tra le convenzioni che gli Stati stipulano tra di loro, e le convenzioni che derivano da conferenze di molti Stati che emanano delle norme le quali si attuano poi negli ordinamenti interni dei singoli Stati. Le norme sulla condotta della guerra, sulla protezione dei lavoratori, sull’abolizione di certi sistemi, sono norme codificate in varie conferenze ed hanno una loro attuazione dipendente dalla loro natura di norme di diritto internazionale.

MANCINI riconosce che vi sono principî generali dinanzi ai quali ognuno deve inchinarsi; osserva però che oggi, in un momento di continuo contrasto tra popoli e popoli, dopo che una guerra ha devastato il diritto e il rispetto alle norme dei rapporti tra le genti, è il caso di domandarsi quali norme generali di diritto internazionale si debbano tener presenti nella Costituzione, essendo esse state superate dal diritto del vincitore sul vinto, come è dimostrato chiaramente dalle decisioni prese dalla Conferenza dei Quattro Grandi contro l’Italia.

Per queste considerazioni, ritiene inutile mettere nella Costituzione un’affermazione circa l’accettazione delle norme del diritto internazionale, e si dichiara contrario sia alla formula proposta dal Presidente che a quella dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto, la quale in sostanza ha un valore identico a quella proposta dal Presidente.

PRESIDENTE dichiara che, quando egli formulò il suo articolo, fu guidato dal pensiero di differenziare le figure dei due rapporti: rapporti internazionali in generale e rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Aggiunge di accettare comunque la formula dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di ritenere che i due concetti debbano essere affermati congiuntamente. Si riserva, pertanto, quando si riproporrà la discussione sui rapporti tra Stato e Chiesa, di proporre che al testo che ora si approverà se ne aggiunga un altro relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa.

PRESIDENTE, rilevato che l’onorevole Dossetti ha dichiarato di aderire, per ora. alla formula proposta dall’onorevole Cevolotto, intende da parte sua fare analoga dichiarazione.

TOGLIATTI dichiara di accettare la formula dell’onorevole Cevolotto togliendo la parola «come». Non può accettare il principio contenuto nella formula del Presidente, che cioè le leggi dello Stato non possono contraddire alle norme di diritto internazionale, poiché ritiene che per scopo di rappresaglia si possa violare una norma di diritto internazionale.

PRESIDENTE rileva che anche non adottando la formula da lui proposta, il concetto sarà sempre implicito.

LA PIRA dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto.

DE VITA, pur ripetendo di essere contrario alla tecnica della Costituzione, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto, poiché si tratta di una norma di diritto internazionale generale, per la quale è possibile una specie di adattamento automatico.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare all’onorevole Mancini che, nonostante la guerra, sono sopravvissute alcune norme generalmente adottate nelle varie conferenze internazionali, come ad esempio quella relativa all’abolizione della schiavitù.

Fa presente inoltre che la Costituzione intorno a cui si sta lavorando deve valere per l’avvenire e che quindi la formula in discussione ha valore in quanto afferma che l’Italia accetterà, come facenti parte del suo diritto interno, quelle norme di diritto internazionale che sorgeranno dalle varie conferenze e che saranno accettate da tutti.

MANCINI osserva che questo può essere un programma buono per l’onorevole Cevolotto. La Chiesa ha fondato l’unità politica dei popoli attraverso il Cristianesimo. I socialisti cercano di fondare l’unità politica attraverso i lavoratori. Come, socialista, egli crede a questo avvenire e non può quindi votare la proposta dell’onorevole Cevolotto.

MERLIN UMBERTO fa presente che la Carta costituzionale francese dice nel preambolo: «La République française, fidèle a ses traditions, se conforme aux règles du droit publique international». Questa formula con tiene un’affermazione che vale non solo per il futuro ma anche per il passato, e giova sperare che le norme cui si riferisce diventino efficaci e capaci di ulteriore sviluppo.

MORO domanda se l’articolo in discussione abbia riferimento anche ai trattati internazionali, oppure si riferisca alle norme internazionali generali. Deve essere chiarito cioè se i trattati, una volta stipulati, facciano parte di diritto, senza bisogno di una legge applicativa, dell’ordinamento dello Stato italiano.

CEVOLOTTO, Relatore, prega l’onorevole Moro di non insistere sulla sua richiesta perché la questione da lui proposta richiederebbe una lunga discussione la quale darebbe luogo a una eccessiva casistica. Dichiara di non ritenere opportuno inserire una tale specificazione nella Costituzione. Sarà lo svolgimento del diritto internazionale che stabilirà in seguito quando e come vi sia l’acquisizione automatica nel diritto interno delle convenzioni e dei trattati internazionali, il che non sempre avviene, neanche ora.

Per quanto riguarda qualche caso particolare, la questione potrà essere sollevata in un secondo tempo.

DOSSETTI, Relatore, risponde all’onorevole Moro che si riservava di sollevare la questione cui l’onorevole Moro ha fatto cenno.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Dossetti se crede di dover rispondere alla domanda dell’onorevole Moro, dopo aver aderito alla formula dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, risponde che bisogna distinguere: norme di diritto internazionale generale; norme di diritto internazionale positivo (i trattati); accordi tra Stato e Chiesa. Dichiara che nell’esprimere il suo assenso alla formula Cevolotto in merito al primo problema, non ha inteso pregiudicare né la seconda né la terza questione.

MORO si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Dossetti, riservandosi di intervenire quando saranno sollevate tali questioni.

MANCINI dichiara che potrebbe accettare la formula dell’onorevole Cevolotto solo nel caso che l’espressione: «Le norme del diritto delle genti» fosse sostituita dall’espressione: «Le norme dei rapporti internazionali».

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che ci sono altri rapporti non giuridici come, ad esempio, le convenzioni postali.

MORO domanda all’onorevole Mancini che differenza egli fa tra diritto delle genti e norme dei rapporti internazionali.

MANCINI risponde che il diritto delle genti non esiste più, mentre i rapporti internazionali saranno stabiliti dalle convenzioni future.

MORO dichiara di non ritenere che il diritto delle genti sia stato annullato; esso può essere stato violato, e proprio il fatto che i criminali di guerra sono stati giudicati e condannati, dimostra che vi è un diritto in base al quale si è proceduto alla loro condanna. Il diritto delle genti va ricostituendosi, e l’Italia contribuirà a questa ricostituzione dichiarando la sua fedeltà alle norme elementari del vivere internazionale.

MANCINI dichiara di essersi ispirato a questo principio, proponendo di sostituire con le parole «rapporti internazionali» le parole «diritto delle genti».

DE VITA propone di sostituire alla dizione «diritto delle genti» quella di «diritto internazionale generale».

PRESIDENTE osserva che in tal caso si parla di diritto pubblico.

MORO propone che si dica «diritto internazionale pubblico».

PRESIDENTE osserva che questa sarebbe la dizione migliore, e domanda all’onorevole Cevolotto se l’accetta.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di accettarla.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mancini se accetta l’emendamento sostitutivo «diritto pubblico internazionale».

MANCINI ripete che il diritto internazionale oggi non esiste.

TOGLIATTI dichiara di non accettare questa ultima formula proposta perché con essa si viene a invadere un altro campo. Accetta soltanto la primitiva formula dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Cevolotto, che ritiene raccolga la maggioranza delle adesioni ed è così formulato:

«Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, propone di togliere il termine «italiana» perché si è sempre parlato nei precedenti articoli soltanto di Repubblica.

MORO ricorda che l’onorevole Togliatti ha proposto di togliere anche il termine «come».

MANCINI propone la seguente formula: «Le norme dei rapporti tra i popoli generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica».

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mancini.

(È respinta con 15 voti contrari e 1 voto favorevole).

Mette ai voti la formula dell’onorevole Cevolotto modificata secondo gli emendamenti accettati dal proponente:

«Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica».

(È approvata con 15 voti favorevoli e 1 voto contrario).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi e Lucifero.

MARTEDÌ 10 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

47.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 10 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento

Presidente – Lucifero – Togliatti – Cevolotto – Moro – Mancini –Merlin Umberto – Amadei – Caristia – De Vita – Marchesi.

La seduta comincia alle 11.

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE, data l’assenza dell’onorevole Dossetti, ritiene che non sia il caso di riprendere la discussione che era rimasta in sospeso al termine dell’ultima riunione. Propone perciò di riesaminare, dal punto di vista formale, gli articoli riguardanti i principî dei rapporti civili, con esclusione degli articoli 1, 2, 3, e dell’articolo 17, sui quali la Sottocommissione si riserva di ritornare per un più approfondito esame.

LUCIFERO non ritiene che la Sottocommissione possa in questa sede tornare su quanto ha deliberato. Anche per quello che riguarda la questione di forma, la competenza non può essere che del Comitato di coordinamento, il quale ha lo scopo di dare una forma univoca a tutta la Costituzione.

TOGLIATTI si dichiara sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Lucifero. Non sarebbe contrario, però, a rileggere gli articoli, sia per ragioni di coordinamento che per la necessità di qualche eventuale piccolo ritocco.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lucifero che non si tratta di un riesame di merito, ma soltanto di forma, prima di inviare gli articoli al Comitato dei 18.

(Gli articoli 4, 5 e 6 non danno luogo ad osservazioni).

TOGLIATTI, sull’articolo 7, osserva che nel primo capoverso, invece di: «è vietata ogni violenza fisica e morale», si dovrebbe dire: «è vietata ogni violenza fisica o morale», per evitare che si possa da taluno intendere che la violenza debba essere fisica e morale nel medesimo tempo.

CEVOLOTTO concorda con l’onorevole Togliatti. Ritiene che si debba usare la particella disgiuntiva «o», altrimenti in sede di interpretazione si potrebbe ritenere che sia vietata la violenza fisica, solo quando si sommi con quella morale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sostituire alla dizione: «è vietata ogni violenza fisica e morale» l’altra: «è vietata ogni violenza fisica o morale».

(La proposta è approvata all’unanimità).

MORO, sull’articolo 8, propone che nella prima proposizione si sopprima la parola «definitiva», lasciando, in questo modo, alla legge di decidere se l’innocenza dell’imputato debba essere presunta fino alla condanna definitiva o no.

MANCINI è d’avviso che per condanna si debba intendere quella definitiva.

PRESIDENTE ritiene che la proposta dell’onorevole Moro non possa essere accolta in quanto non concerne una revisione di forma, ma un mutamento sostanziale circa una questione su cui la Sottocommissione ha già espresso il suo parere mediante un voto.

(La Sottocommissione concorda).

TOGLIATTI, sull’articolo 9, in cui è detto che la pena di morte non è ammessa, domanda se la Commissione ritenga fuor di luogo sollevare, a questo punto, la questione della pena dell’ergastolo, che essendo altrettanto inumana quanto da pena di morte, dovrebbe essere parimenti soppressa.

Fa presente che, comunque, si riserva di riprospettare la questione della esclusione della pena dell’ergastolo in sede di Comitato di coordinamento e in sede di Commissione dei 75.

LUCIFERO si associa alle considerazioni dell’onorevole Togliatti, che hanno un valore sostanziale, oltre che di umanità. Trattasi di una condanna talmente grave che, dopo i trenta anni, interviene quasi sempre la concessione della grazia sovrana, per cui si potrebbe consacrare nel diritto ciò che attualmente avviene come prassi.

PRESIDENTE non è insensibile alle umane osservazioni dell’onorevole Togliatti, ma desidera far rilevare che la pena dell’ergastolo, la quale si commina solo in casi di eccezionale gravità, mette il condannato in condizioni di non poter fruire di tutti quei decreti di amnistia che, succedendosi anche a breve distanza uno dall’altro, gli permetterebbero di riavere la libertà dopo pochi anni.

Teme, inoltre, che l’abolizione della pena dell’ergastolo potrebbe essere un incentivo a commettere delitti efferati, essendosi soppressa l’unica pena, quella di morte, capace di incutere paura ai grandi criminali.

MERLIN UMBERTO ricorda il delitto commesso recentemente a Milano da una donna, che ha barbaramente ucciso la moglie del suo amante e i suoi tre figlioletti, di cui uno appena di dieci mesi. In casi come questo, non si può non dare alla coscienza popolare la soddisfazione di sapere che colui che è stato capace di compiere un così nefando delitto non potrà più uscire dal carcere.

MANCINI osserva che la sua esperienza professionale lo porta ad essere completamente d’accordo con l’onorevole Togliatti. Cita l’episodio di un condannato all’ergastolo, che ha preferito suicidarsi pochi giorni dopo la condanna. Per quanto concerne le amnistie, ricorda al Presidente che dai beneficî in esse previsti è stato sempre escluso il reato di omicidio.

Richiama poi l’attenzione sul fatto che quando si verificano delitti così gravi, che esorbitano i limiti dell’umanità, vi è sempre in chi li commette un fondo di malattia e di anormalità, che anche da un punto di vista scientifico non può essere colpito così inumanamente. È da considerare, infatti, che l’ergastolo porta con sé la segregazione cellulare che nessun condannato arriva a completare, senza aver momenti di oscuramento mentale.

CEVOLOTTO concorda con i sentimenti di umanità espressi dagli onorevoli Togliatti e Mancini; prega però i colleghi di voler riflettere sulla gravità della questione, prima di prendere una decisione.

Premesso che la segregazione cellulare è stata abolita, è d’avviso che l’argomento dovrebbe formare oggetto di norme di Codice penale, piuttosto che di Costituzione, trattandosi in sostanza di modificare l’attuale sistema delle pene e carcerario.

MANCINI obietta che la segregazione cellulare esiste anche attualmente, sotto il nome di «isolamento».

MORO è d’accordo con l’onorevole Cevolotto che la questione rientri nella competenza del legislatore penale, in sede di riforma del sistema delle pene e carcerario. Circa la sostanza dell’emendamento che si vorrebbe introdurre, pone in evidenza l’esigenza della difesa della società umana che è compromessa dal moltiplicarsi di atti nefandi. Soppressa la pena di morte, l’ergastolo è rimasto l’unico motivo di inibizione al delitto. Per i casi patologici, a cui accennava l’onorevole Mancini, il legislatore penale potrà studiare dei sistemi più perfezionati di accertamento e potrà altresì prevedere delle diminuzioni di pena per i casi di carattere eccezionale, umanizzando ad ogni modo la detenzione. D’altra parte bisogna tener conto dell’esistenza del potere di grazia, conferito al Capo dello Stato, che, senza venir meno alla esigenza di una intimidazione preventiva, può interrompere la pena dell’ergastolo nei casi in cui il colpevole sia considerato degno di rientrare nella società.

LUCIFERO dichiara di non credere affatto al potere inibitorio della pena per coloro che, per temperamento o per particolare stato d’animo, sono portati a commettere simili delitti. Circa la questione delle amnistie, crede che si potrebbe trovare una formula mediante la quale la pena massima di 30 anni, comminata senza attenuanti, impedisca di usufruire di qualsiasi condono di pena.

Ad ogni modo, è d’avviso che bisognerebbe sempre stabilire che la segregazione cellulare deve essere proibita, come inumana e perciò contraria all’ultimo comma dell’articolo in esame.

MANCINI non crede anch’egli alla efficacia intimidatrice della pena, tanto è vero che il maggior numero di delitti si verifica proprio nelle nazioni dove è prevista la pena di morte.

Gli sembra che 30 anni di privazione della libertà siano più che sufficienti per soddisfare le esigenze del diritto. Ricorda che in Italia la pena dell’ergastolo non era prevista e che fu introdotta come surrogato della pena di morte.

PRESIDENTE condivide il parere dell’onorevole Cevolotto che la questione debba formare oggetto di revisione del sistema penale e carcerario. Ad ogni modo ritiene che prima di arrivare anche ad un semplice voto, l’argomento dovrebbe essere più attentamente sceverato ed approfondito.

MORO fa presente all’onorevole Lucifero che l’abolizione della segregazione cellulare deve intendersi inclusa nell’articolo della Costituzione che garantisce a ciascun cittadino un trattamento umano.

PRESIDENTE, riassunta la discussione, dà atto all’onorevole Togliatti del voto espresso per l’abolizione della pena dell’ergastolo, cui si sono associati gli onorevoli Lucifero e Mancini. Trattandosi però di argomento di tale importanza da meritare di essere più approfondito, ritiene che la Sottocommissione possa essere concorde nel rinviarlo in sede più opportuna.

(Così rimane stabilito).

AMADEI propone che il secondo comma dell’articolo («La responsabilità penale è personale») divenga primo comma.

MORO è d’accordo.

(La Sottocommissione approva la proposta dell’onorevole Amadei. – Gli articoli 10 e 11 non danno luogo ad osservazioni).

AMADEI, all’articolo 12, osserva che nell’ultimo capoverso, in luogo di: «La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata», sarebbe più opportuno dire: «per tal modo conosciute».

(La Sottocommissione concorda – L’articolo 13 non dà luogo ad osservazioni)

PRESIDENTE, sull’articolo 14, ricorda che in sede di discussione dell’articolo fu fatta una riserva circa l’opportunità di apposito riferimento alle società segrete.

Ritiene giunto il momento di sciogliere tale riserva.

TOGLIATTI aggiungerebbe all’ultimo comma l’espressione seguente: «Sono proibite le associazioni segrete».

AMADEI si associa alla proposta dell’onorevole Togliatti, e per collegare l’espressione con il concetto precedente, direbbe: «Sono parimenti proibite le associazioni segrete».

LUCIFERO è d’avviso che il concetto sia troppo vago e tale da dare adito ad errate interpretazioni da parte degli organi di polizia con conseguenti abusi.

A suo avviso si dovrebbe invece aver riguardo al fine che queste associazioni segrete perseguono, precisandosi che sono proibite le associazioni aventi un fine politico, che possa minacciare o minare la Costituzione dello Stato.

PRESIDENTE ritiene che in un regime di democrazia non si possano concepire società segrete di alcun genere che, a suo avviso, dovrebbero essere proibite alla pari di quelle aventi un’organizzazione militare. Le società segrete si possono soltanto concepire in un regime dittatoriale, quando la libertà è limitata o inesistente, ma non in un regime democratico dove ogni associazione può vivere alla luce del sole. Pertanto, se si vuole fare una Costituzione democratica, bisogna essere logici, affermando il divieto di ogni associazione segreta, senza bisogno di scendere nella Costituzione a specificazioni che potrebbero essere imperfette, o incomplete. Sarà compito del legislatore stabilire quali possono essere le società segrete, o che si presumano tali, nei confronti delle quali si debba applicare il divieto.

CEVOLOTTO pensa che quando si parla di società segrete, alcuni intendono di riferirsi alla massoneria. Precisa che la massoneria non può ritenersi un’associazione segreta, essendo noti a tutti i suoi programmi, i suoi dirigenti e la sua sede. Bisognerebbe quindi stabilire che cosa si intenda per società segreta, perché non crede che certe forme particolari di riservatezza, sia per quanto riguarda particolari deliberazioni, sia nei confronti dell’elenco dei soci, bastino per qualificare una società come segreta, non potendosi pretendere, senza violare la libertà dei cittadini, che sia di assoluto dominio pubblico anche tutto ciò che riflette la vita interna delle associazioni, specialmente se di carattere politico. La proibizione deve perciò rivolgersi principalmente a quelle società che segretamente tendono a minare la compagine dello Stato e che agiscono contro la legge. Si dichiara pertanto contrario alla formula proposta dall’onorevole Togliatti.

CARISTIA è d’accordo con il Presidente che non possano concepirsi in regime democratico società segrete. A suo avviso, però, il tener celato lo statuto, o gli elenchi dei soci, incide in minima parte sulla natura segreta della società, il cui carattere di segretezza va piuttosto ricercato nel fatto che questa caratteristica rappresenti lo scopo precipuo di tale società.

Ritiene quindi che non sarebbe difficile trovare gli estremi per definire quando una associazione è veramente segreta.

MORO propone le seguenti due formule, di cui la seconda sostitutiva dell’ultimo comma dell’articolo in esame: «Sono proibite quelle associazioni che hanno consacrato nel loro statuto il vincolo della segretezza»; «Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare o col vincolo del segreto sono vietate».

PRESIDENTE ripete che qualunque specificazione potrebbe essere incompleta. Fa poi osservare che se si sancisce il divieto delle associazioni che nel loro statuto consacrino il vincolo della segretezza, le società che vorranno mantenersi segrete, non introdurranno nel loro statuto ltale norma. Pertanto insiste nel ritenere che la Costituzione si debba limitare ad un’affermazione normativa generale che indirizzi la vita, la legge, il costume del Paese, riservando al legislatore di stabilire gli elementi caratteristici delle associazioni che si vogliono proibire.

MORO precisa di aver inteso esprimere il concetto che il carattere della segretezza dovesse essere essenziale e non transitorio nell’associazione, e che per tanto non si potesse fare a meno di consacrarlo nello statuto. Ad ogni modo, più che lo statuto, si deve vedere il fatto sostanziale, vale a dire l’intenzione della società di essere segreta.

DE VITA pensa che l’unico criterio distintivo potrebbe essere quello di ritenere segrete quelle associazioni che tendono a non far conoscere la propria esistenza.

MORO è d’accordo con l’onorevole De Vita. Il carattere della segretezza deve essere essenziale alla natura dell’associazione e non deve riguardare i particolari del suo funzionamento.

MANCINI concorda anch’egli con l’onorevole De Vita, che per società segreta si debba intendere non quella di cui si ignorino le finalità o il numero dei soci, ma quella che mira a mantenere segreta la propria esistenza.

MORO propone la dizione: «Sono proibite le società che hanno come carattere essenziale la segretezza».

PRESIDENTE ritiene che la formula dell’onorevole Togliatti sia la più esauriente.

Mette, pertanto, ai voti la seguente dizione aggiuntiva: «Sono parimenti proibite le associazioni segrete».

CEVOLOTTO dichiara che voterà a favore di questa formula, nel senso che debbono essere proibite le associazioni che tendano a mantenere segreta la loro esistenza.

DE VITA dichiara di votare a favore, secondo l’interpretazione che ha dato precedentemente.

MORO dichiara di votare a favore, secondo quanto ha esposto in precedenza.

MANCINI dichiara di votare a favore, nel senso che devono intendersi per associazioni segrete quelle che cercano di nascondere la propria esistenza.

(La proposizione aggiuntiva è approvata all’unanimità).

MARCHESI, sull’articolo 15, dichiara di riservarsi di domandare in sede competente l’abolizione della casistica contemplata nell’articolo stesso».

DE VITA si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Marchesi.

(Gli articoli 15, 16 e 18 non danno luogo ad osservazioni).

PRESIDENTE, essendo esaurita la revisione degli articoli relativi ai principî dei rapporti civili da sottoporre al Comitato di coordinamento, salvo per quanto concerne gli articoli 1, 2, 3 e 17, sui quali la Commissione si è riservata di ritornare per un esame più approfondito, sottopone a revisione gli articoli relativi ai principî dei rapporti sociali (culturali).

(I primi tre articoli non danno luogo ad osservazioni).

Rinvia il seguito della discussione alla seduta successiva.

La sedata termina alle 13.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Dossetti, Mastrojanni.

GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

46.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Sui lavori del Comitato di coordinamento

Lucifero – Presidente – Dossetti – La Pira – Togliatti – Caristia – Moro – Cevolotto.

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – Moro.

La seduta comincia alle 11.

Sui lavori del Comitato di coordinamento.

LUCIFERO, in merito ai lavori del Comitato di coordinamento, raccomanda che questo, tenuto conto del fatto che alcune correnti politiche non vi sono rappresentate, non esorbiti dal compito di un coordinamento puramente formale, ed eviti qualsiasi modificazione di carattere sostanziale che alteri comunque le deliberazioni adottate dalla prima Sottocommissione.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Lucifero che si renderà interprete di questa sua raccomandazione, aggiungendo che quanto forma oggetto di essa è stato già fatto presente in seno al Comitato di coordinamento, che infatti ha indirizzato il suo lavoro in questo senso.

DOSSETTI rileva che il Comitato si è messo su questa via in seguito al fermo atteggiamento tenuto in seno al Comitato stesso dai rappresentanti della prima Sottocommissione, i quali hanno ribadito il punto di vista espresso dall’onorevole Lucifero nella sua raccomandazione.

LA PIRA domanda se i componenti la prima Sottocommissione sono d’accordo sul principio che nessuna parte degli articoli formulati debba essere portata al Comitato di coordinamento prima che la Sottocommissione abbia effettuato una revisione totale del suo lavoro. Domanda anche se gli articoli stessi, nuovamente approvati dalla prima Sottocommissione in sede di revisione, potranno essere toccati dal Comitato di coordinamento, sia per quanto riguarda la loro sostanza che il loro collocamento.

DOSSETTI dichiara di ritenere inopportuno che gli articoli formulati dalla prima Sottocommissione siano sottoposti al Comitato di coordinamento prima che la Sottocommissione stessa abbia avuto il tempo di procedere alla loro revisione, soprattutto perché gli argomenti trattati negli articoli sono strettamente collegati tra loro, e di natura che si condizionano a vicenda.

Fa presente che la Sottocommissione sta attualmente discutendo un tema estremamente delicato ed importante, e dichiara a tale proposito che i democristiani non possono prescindere dalla soluzione che avrà codesto problema nell’atto in cui dovranno prendere una posizione definitiva nei riguardi degli altri argomenti già discussi e approvati dalla prima Sottocommissione, ma da questa non ancora coordinati.

TOGLIATTI rileva la gravità delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Dossetti, poiché il far dipendere quanto la Sottocommissione ha già approvato dal voto che essa darà su determinati articoli non ancora approvati costituisce un fatto non del tutto normale, e tale ad ogni modo da destare serie preoccupazioni, potendo portare a rimettere in discussione tutto quello che è stato già deliberato.

A tale proposito, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul senso di solidarietà a cui si informa il suo lavoro, e fa presente che questa solidarietà dovrà manifestarsi soprattutto in sede di Commissione dei 75, in cui si dovranno trarre le conseguenze dell’esame di tutti i punti di vista.

Dichiara di aver sollevato la questione perché, come l’onorevole Dossetti ha mostrato di annettere ad alcuni punti di vista un valore sostanziale e ad altri punti un valore solo secondario, anche per i comunisti esistono punti di vista sostanziali ed altri secondari. Ad esempio, il Partito comunista attribuisce un’importanza fondamentale di principio al fatto che l’organizzazione regionale, salvo il caso di alcune Regioni, sia introdotta nella Costituzione in modo tale che non venga ad infrangere l’unità politica dello Stato italiano; ed è preoccupato per alcune decisioni che su questo problema sono state prese dalla seconda Sottocommissione.

Parimenti il Partito comunista, il quale considera fondamentale un’organizzazione sostanzialmente democratica in cui la sovranità sia posta nelle mani del popolo che la esercita attraverso l’Assemblea legislativa e gli organismi da essa emanati, è preoccupato dal fatto che si possa derogare da questo principio favorendo la creazione di istituti forniti di poteri che limitino quelli delle Assemblee legislative che esprimono direttamente la volontà popolare.

Dichiara che su queste questioni d’interesse fondamentale i Commissari di parte comunista prenderanno una posizione politica, assumendo però atteggiamenti che terranno conto anche di tutte le altre questioni.

DOSSETTI precisa che nel fare le precedenti dichiarazioni, non esattamente interpretate dall’onorevole Togliatti, ha inteso riferirsi proprio ad una dichiarazione di carattere generale fatta dall’onorevole Togliatti in una delle riunioni della Commissione dei 75, in cui si discusse se il progetto di Costituzione dovesse essere completo prima di essere presentato alla Commissione plenaria e quindi all’Assemblea Costituente. In quell’occasione l’onorevole Togliatti sostenne giustamente che alla Commissione plenaria dovesse essere presentato un testo completo, così da poter essere valutato in maniera globale nelle sue diverse parti. Analogamente egli, affermando che non si potevano sottoporre al Comitato coordinatore alcune parti del lavoro della prima Sottocommissione, prima che essa avesse esaurito la discussione di tutti i problemi in esame, non intendeva affatto dire che si dovessero rimettere in discussione principî già approvati, ma solo prospettare l’eventualità che in sede di comitato di coordinamento si potesse essere disposti a fare delle ulteriori concessioni su qualche punto dei principî già fissati. Ma, affinché i Commissari rappresentanti di un partito si trovino in condizioni di decidere se una determinata modificazione di un articolo già approvato risponde ad una valutazione politica generale, è necessario che essi dispongano del testo completo della Costituzione.

Nei riguardi del dubbio espresso dall’onorevole Togliatti circa l’eventuale atteggiamento dei democristiani, afferma che essi non sono usi a revocare le decisioni già prese e che si ritengono impegnati dalle dichiarazioni da essi fatte su un determinato argomento. È però possibile che il Comitato di coordinamento li metta di fronte ad eventuali attenuazioni di alcuni principî per cui essi ritengano indispensabile avere dinanzi prima il quadro generale.

Circa le questioni di competenza della seconda Sottocommissione cui ha accennato l’onorevole Togliatti, dichiara che personalmente non è meno contrario dell’onorevole Togliatti ad uno smembramento dello Stato attraverso la Regione, e a qualunque Assemblea legislativa che non rispecchi un’organizzazione genuinamente democratica.

Conclude affermando che, perché si possa portare un contributo di comprensione reciproca e di collaborazione alla soluzione dei vari problemi, è necessario che la prima Sottocommissione proceda al completamento di quei principî che sono di sua competenza.

TOGLIATTI rileva che nel dibattito sviluppatosi tra lui e l’onorevole Dossetti si riflettono problemi fondamentali della vita italiana nella misura in cui essi rientrano nel lavoro della prima Sottocommissione. Esprime il suo compiacimento per il fatto che l’onorevole Dossetti ha dichiarato di concordare su alcune questioni cui egli ha accennato, e di ritenere possibile, in sede di Comitato di coordinamento, qualche ritocco a decisioni già prese.

È d’avviso che scopo dell’attuale dibattito debba essere appunto quello di preparare ulteriori avvicinamenti dei punti di vista più discordanti e che perciò la migliore cosa sia quella di chiarire le proprie posizioni.

DOSSETTI conferma che il senso delle dichiarazioni scambiate tra lui e l’onorevole Togliatti è che tanto i democristiani quanto i comunisti si ritengono impegnati da quanto è stato deliberato dalla prima Sottocommissione, eccetto i casi per i quali si sia fatta un’esplicita riserva.

CARISTIA fa presente il caso di quei deputati che, non facendo parte della Commissione per la Costituzione, hanno già manifestato qualche dissenso e delle riserve su quanto è stato approvato dalle Sottocommissioni.

Ritiene che questi deputati, evidentemente, dovrebbero avere il diritto di presentare degli emendamenti in sede di Assemblea plenaria.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Caristia che le riserve fatte da questi deputati potranno essere certamente risollevate in sede di Assemblea Costituente. Comunque, si tratta di questioni che non ritiene debbano essere sollevate in questa sede.

Circa poi la proposta avanzata di non presentare al Comitato di coordinamento nessuna parte del lavoro della prima Sottocommissione, finché questa non abbia completato la revisione di almeno uno di quei capitoli sui quali il Comitato stesso dovrebbe intervenire, considerata anche la necessità di non lasciare il Comitato senza materia che possa formare oggetto del suo lavoro, propone che vengano demandati all’esame del Comitato coordinatore quegli articoli già approvati dalla prima Sottocommissione che non siano suscettibili di provocare dibattiti o dissensi. Tali articoli potrebbero essere quelli facenti parte del primo dei capitoli esaminato dalla Sottocommissione, che riguarda i principî dei rapporti sociali, fatta eccezione di tre articoli che investono questioni di carattere generale, cioè precisamente il primo, il secondo e il penultimo.

MORO si dichiara contrario alla proposta del Presidente per le ragioni di principio già esposte dall’onorevole Dossetti e per altre ragioni di ordine pratico.

LUCIFERO si dichiara contrario alla proposta del Presidente, riferendosi a quanto ha già precedentemente esposto.

Esprime inoltre il senso di imbarazzo provato nell’ascoltare le dichiarazioni che sono state scambiate tra l’onorevole Togliatti e l’onorevole Dossetti. Mentre infatti ritiene che i membri della Sottocommissione abbiano non solo una funzione politica ma anche una funzione tecnica, non disgiunta da una funzione di riguardo verso decisioni che, oltre ad essere inquadrate nella concezione politica propria di ogni membro della Sottocommissione, sono inquadrate anche nella loro coscienza individuale, ha avuto l’impressione che il dibattito tra gli onorevoli Togliatti e Dossetti trascendesse quelle funzioni.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta del Presidente per ragioni pratiche. Fa presente che, nella seduta dell’Assemblea costituente che avrà luogo il 10 dicembre, sarà presentata una domanda di rinvio dei poteri della Commissione dei 75 fino al 1° gennaio e che per quella data i lavori della Commissione stessa dovranno essere ultimati definitivamente per dar modo all’Assemblea costituente di discutere il progetto di Costituzione in tempo utile onde procedere a quelle nuove elezioni che l’opinione pubblica del Paese chiede siano fatte entro il maggio o il giugno al più tardi.

Fa presente quindi la necessità di mettere in grado il Comitato di coordinamento di funzionare subito per poter accelerare tutto il lavoro.

LUCIFERO rileva che le considerazioni dell’onorevole Cevolotto non possono confortare la proposta del Presidente, perché i membri della Commissione non debbono interessarsi a quello che si dice fuori del loro ambiente. Essi debbono cercare di dare al popolo italiano quella Costituzione che ritengono la migliore nella loro coscienza, e la loro azione non può essere influenzata dai commenti della stampa più o meno qualificata.

PRESIDENTE mette ai voti la sua proposta di demandare al Comitato di coordinamento gli articoli del primo tema, riguardante i principî dei rapporti civili già approvati dalla Sottocommissione, ad eccezione del primo, del secondo e del penultimo articolo che investono questioni di carattere generale.

(La proposta è respinta con 9 voti contrari e 6 favorevoli).

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

 

PRESIDENTE, riprendendo la discussione sul tema dei rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti, chiede ai Relatori se è stato loro possibile concordare nuove formule da sottoporre all’esame della Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che non gli è stato possibile vedersi con il Correlatore onorevole Dossetti, per concordare una nuova formula, e propone che intanto la Sottocommissione cominci col rivedere il materiale già elaborato da sottoporre all’esame della Commissione di coordinamento, riservandosi di elaborare poi definitivamente le norme relative al tema dei rapporti tra Stato e Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, domanda all’onorevole Cevolotto se nella sua proposta si intenda implicita la riserva che i testi che la Sottocommissione dovrebbe cominciare a rivedere non saranno sottoposti al Comitato di coordinamento prima che le norme siano state sistemate in quell’ordine che la Sottocommissione crederà di dar loro.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che la Sottocommissione invierà i testi al Comitato coordinatore quando lo stimerà opportuno.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Dossetti se, non essendosi raggiunto l’accordo su un articolo sostitutivo, intende che si ponga ai voti l’articolo 4 nella formulazione da lui proposta.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di ritenere troppo affrettata la procedura richiesta dal Presidente e che sia possibile fare un ulteriore sforzo per raggiungere un accordo sulla base delle formule sostitutive e modificative presentate alla fine della seduta precedente e non ancora prese in esame.

MORO propone che la seduta venga sospesa per dar modo ai Commissari di consultarsi.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che dall’onorevole Togliatti e da altri Commissari sono stati proposti i seguenti articoli, in sostituzione di quello dell’onorevole Dossetti:

«Lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa od ecclesiastica».

«Lo Stato riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nei limiti dell’ordinamento giuridico della Chiesa stessa».

«I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

DOSSETTI, Relatore, chiede di poter riflettere sulla portata del nuovo articolo proposto che diverge notevolmente da quello da lui presentato.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla prossima seduta, dando comunicazione dei seguenti articoli da lui preparati, che gli sembrano comprensivi ed esaurienti tutta la materia:

«Art. 1. – Le norme di diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento della Repubblica. Le leggi della Repubblica non possono contraddirvi».

«Art. 2. – La Repubblica riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nella sfera dell’ordinamento giuridico di essa».

«Art. 3. – I Patti Lateranensi, Trattato e Concordato, attualmente in vigore, sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato».

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Mancini e Mastrojanni.

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

45.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – Togliatti – Marchesi – Caristia – Moro – De Vita – Grassi.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE legge e pone in discussione l’articolo 4 della relazione Dossetti e l’analogo della relazione Cevolotto, rispettivamente così formulati:

«Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

«Le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, fa presente che i due articoli non hanno alcuna rispondenza reale. Il suo articolo afferma infatti semplicemente un principio già esistente in molte Costituzioni, cioè che le norme del diritto delle genti sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica.

Nell’articolo dell’onorevole Dossetti, invece, da una prima affermazione diversa dalla sua ma ancora accettabile che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale, si fa discendere come conseguenza, mediante un «perciò», il riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico internazionale, nonché dell’ordinamento degli altri Stati. Su quest’ultima conseguenza non può essere d’accordo, perché non vede la ragione per cui il riconoscersi membro della comunità internazionale debba implicare anche il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, in quanto si può essere membri della comunità internazionale e non riconoscere, almeno costituzionalmente, l’ordinamento di qualche Stato, come, ad esempio, quello del Governo falangista spagnolo. È portato perciò a ritenere che l’affermazione del riconoscimento degli altri Stati come ordinamenti giuridici originari sia stato previsto unicamente per arrivare alla successiva conseguenza, cioè al riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa, non come Città del Vaticano, ma proprio come Chiesa. Ora, dal riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa potrebbero derivare alcuni inconvenienti, pure se non di eccezionale gravità, potendosi, ad esempio, sostenere che il sacerdote, in quanto la sua attività è regolata dall’ordinamento della Chiesa, non sia soggetto all’ordinamento dello Stato italiano, anche nelle questioni indipendenti dall’Autorità ecclesiastica. A suo avviso, invece, tutto quanto attiene alla Chiesa dovrebbe essere regolato mediante concordati, senza bisogno di uno speciale riconoscimento costituzionale.

Concludendo, come non ritiene che nella Costituzione debbano essere riconosciuti gli ordinamenti giuridici degli altri Stati, tanto meno ritiene che debba essere riconosciuto l’ordinamento della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, illustra brevemente il suo articolo rilevando che la prima proposizione: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale» è di tale evidenza che ben difficilmente crede che possa incontrare obiezioni. La susseguente affermazione: «perciò riconosce come ordinamento originario l’ordinamento giuridico internazionale», non può parimenti essere messa in dubbio, in quanto è una conseguenza della precedente.

Prima di entrare nel vivo della questione, sente la necessità di premettere un chiarimento specifico intorno al concetto di ordinamento originario. Con la locuzione «originario» ha inteso adottare una terminologia, entrata ormai nella dottrina più recente (in sostituzione delle espressioni «indipendente o sovrano» che potrebbero ingenerare equivoci), per indicare la caratteristica di un ordinamento giuridico il quale abbia, se non proprio tutti i caratteri che si ritenevano tipici della sovranità, intesa come potestà superiore, per lo meno il carattere di «asseità», cioè di essere un ordinamento per sé stante, il cui fondamento non derivi dal riconoscimento di un altro ordinamento. Ora, gli sembra difficile che si possa contestare che l’ordinamento giuridico internazionale e quello dei singoli Stati non abbiano la caratteristica della asseità, cioè di sussistere indipendentemente dal potere degli altri Stati. Comprende che l’onorevole Cevolotto non sia disposto a riconoscere, per esempio, l’ordinamento giuridico della Spagna franchista, ma con l’affermazione del riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati, non si vuole fissare l’obbligo di riconoscere tutti gli Stati, ma solamente si vuole significare che se si entra in determinati rapporti giuridici con un altro Stato, evidentemente all’ordinamento giuridico di tale Stato non si potrà contestare il carattere di ordinamento originario. Perciò, quando si intavolassero con la Spagna delle trattative, riconoscendola quindi come Stato, non si può non riconoscere l’originarietà del suo ordinamento giuridico.

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene che si possa riconoscere uno Stato, senza bisogno di riconoscere nella Costituzione l’originarietà del suo ordinamento. Il fatto che dal riconoscimento di uno Stato derivi necessariamente o meno il riconoscimento del suo ordinamento giuridico come originario, gli sembra sia piuttosto materia delle norme di diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, teme di non essere stato bene compreso. Ripete che se si entra in contatto con uno Stato – contatto non di fatto ma di diritto – non si può non riconoscergli il carattere di originarietà che è strettamente connesso alla sua qualità di essere un ordinamento statuale.

L’unica obiezione che si potrebbe fare e che la norma è tanto evidente ed è tanto in concreto praticata nella realtà giuridica di tutti gli Stati, che può diventare superfluo il dirlo, sebbene molte Costituzioni, come quella spagnola del 1921 e quella di Weimar, ne abbiano fatto esplicitamente menzione.

CEVOLOTTO, Relatore, limiterebbe l’articolo alla sola affermazione che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce come originario l’ordinamento giuridico internazionale, ritenendo che la parte successiva non sia materia di Costituzione. Come ha già detto, ritiene che l’onorevole Dossetti insista col principio del riconoscimento da parte dello Stato italiano della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, per arrivare al riconoscimento, come originario, dell’ordinamento giuridico della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, per dimostrare l’infondatezza dell’ultima osservazione dell’onorevole Cevolotto, rende noto che i professori Ago e Morelli, Relatori presso il Ministero della Costituente in materia di rapporti fra gli Stati, avevano presentato uno schema di articolo del tutto analogo al suo, senza l’ultima frase riguardante il riconoscimento, come originario, dell’ordinamento giuridico della Chiesa. Pertanto la norma che ha proposta, anche se cadesse l’ultima parte, relativa al riconoscimento della Chiesa, avrebbe una sua fondata giustificazione. La proposta Ago-Morelli, anzi, indipendentemente dal riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa, arrivava più in là dello stesso oratore, in quanto affermava che fanno parte integrante del diritto dello Stato, senza bisogno di un atto specifico di tradizione nel diritto interno, anche le norme di diritto internazionale positivo, e cioè i singoli trattati. Secondo tale principio, dal momento che lo Stato firma un trattato, automaticamente il suo diritto interno si adegua subito al diritto esterno.

Ritiene quindi necessario fornire qualche chiarimento sull’ultima parte dell’articolo che sembra destare le maggiori preoccupazioni mentre, a suo giudizio, il concetto contenuto nell’ultima parte dell’articolo stesso non dovrebbe suscitare alcuna reazione. Esso, infatti, afferma un principio ammesso unanimemente dalla dottrina fin dal 1870, che cioè l’ordinamento della Chiesa è un ordinamento giuridico sui generis, che non può essere considerato come quello di una società privata, perché ha evidentemente in sé i caratteri dell’originarietà, anche se non è di derivazione statuale come quello degli altri Stati, o interstatuale come il diritto internazionale. Cita come una delle più appariscenti manifestazioni della originarietà dell’ordinamento della Chiesa il diritto di legazione, che più di altri elementi mette in evidenza questa particolare caratteristica dell’ordinamento della Chiesa, la quale sussisterebbe anche se non si approvasse l’ultima parte dell’articolo 4. Esclude, poi, assolutamente che anche l’interpretazione più «diabolica» possa portare all’inconveniente a cui ha accennato l’onorevole Cevolotto, perché nell’atto stesso in cui si riconosce l’originarietà dell’ordinamento della Chiesa, se ne afferma anche l’estraneità, e quindi la distinzione rispetto all’ordinamento giuridico dello Stato. Come avviene per l’ordinamento giuridico internazionale, il cui riconoscimento non influisce sui rapporti interni dei cittadini con lo Stato, così il sacerdote e il fedele, pur essendo soggetti all’ordinamento giuridico della Chiesa, quando entrano in contatto con lo Stato, non saranno evidentemente sottratti alle norme proprie dell’ordinamento giuridico statuale.

Osserva, inoltre, che il riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa non toglie allo Stato la possibilità di disconoscere qualche norma dell’ordinamento giuridico canonico, in contrasto con le norme statuali. Del resto tutti i trattatisti sono d’accordo nell’affermare che nel suo complesso il Regno d’Italia unificato ha ricevuto come presupposto generale l’ordinamento giuridico-canonico, compresso però in moltissime disposizioni che l’ordinamento giuridico statuale ha ritenuto opportuno disconoscere. Perciò il non riconoscere l’originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa sarebbe, a suo avviso, non solo contrastante con la realtà politica, ma anche con quella giuridica.

TOGLIATTI ricorda che in materia di problemi relativi alla organizzazione dello Stato italiano, da parte democristiana si sostenne che i diritti dello Stato non dovevano essere considerati come originari, in quanto tali erano in primo luogo i diritti della persona e, in secondo luogo, quelli della famiglia.

Domanda perciò per quale motivo, essendosi respinto il concetto di originarietà dello Stato italiano, si richieda ora di riconoscerlo per gli altri Stati.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che quanto ha detto l’onorevole Togliatti non risponde al pensiero del gruppo democristiano. Tiene a sottolineare ancora una volta la posizione del suo Gruppo che, di fronte al fenomeno del pluralismo degli elementi giuridici, afferma ad un tempo resistenza di diritti originari della persona, della famiglia, dello Stato e di altri istituti e società come quelle religiose e in particolare della Chiesa cattolica. L’affermare l’originarietà dei diritti della persona non significa per nulla un conformismo alla tesi pessimistica manichea, che disconosce l’esistenza dello Stato e dei diritti che devono ad esso essere riconosciuti.

Premesso questo, desidera precisare che l’aggettivo originario ha un significato diverso, a seconda che si riferisca al singolo ovvero all’ordinamento giuridico. Nel primo caso si intende che ci sono diritti della persona anteriori al riconoscimento che ne possa fare qualsiasi società umana, come, per esempio, il diritto alla vita. Nel secondo caso, invece, il termine ha un’altra portata, volendosi indicare un ordinamento giuridico che sta a sé, che è indipendente e che ha quella caratteristica che aristotelicamente si definisce dell’asseità. Pone in evidenza che il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e di quello della Chiesa, è precisamente la presa di posizione, assunta dalla dottrina dell’ultimo trentennio, contro la tesi esclusivista della statualità del diritto, vale a dire che originario sia solo l’ordinamento giuridico dello Stato. Di fronte a manifestazioni come quelle internazionali della Chiesa, le quali hanno evidentemente una caratteristica giuridica che non si può disconoscere, la dottrina ha escogitato il concetto dell’ordinamento giuridico originario per sé stante, indipendentemente dall’ordinamento giuridico dello Stato.

Per eliminare qualsiasi diffidenza, mette nuovamente in luce che la base della teoria democristiana è il principio della distinzione tra i due ordinamenti, perché nel momento stesso in cui si afferma l’esistenza di un ordinamento giuridico della Chiesa, come originario, si vuole che tale ordinamento sia indipendente e non confondibile con quello dello Stato, cosicché ambedue procedano per strade distinte e indipendenti. È intendimento anzi dei democristiani, come è dimostrato dai loro ultimi studi, di accentuare ancor più tra i due poteri questa distinzione, che tutti ritengono come premessa essenziale dello sviluppo democratico e dell’educazione politica del popolo italiano.

MARCHESI non avrebbe alcuna obiezione da muovere all’articolo in discussione, salvo quella dell’inutilità, ma non si potrà mai persuadere che l’onorevole Dossetti abbia potuto proporre una norma che sia superflua. Perciò l’articolo 4 deve essere considerato non isolatamente, ma in relazione con gli articoli 6 e 7, con i quali costituisce un tutto armonico strettamente collegato. Se ben ricorda, questo insieme di norme, in una precedente riunione, era stato messo in giusta luce dall’onorevole Basso che, tra l’altro, a proposito dell’articolo 5 del Concordato, riferendosi al caso del professor Buonaiuti, aveva espresso l’avviso che lo Stato non potesse abdicare alla propria sovranità, intaccando il principio fondamentale della eguaglianza giuridica di tutti i cittadini. All’onorevole Dossetti, che in quella occasione aveva obiettato che un uomo quando assume un impegno solenne verso la Chiesa, sa a quali conseguenze va incontro in caso di violazione, fa presente che quell’uomo, obbligandosi dinanzi alla legge canonica ed alla Chiesa, sapeva però di non assumere una eguale obbligazione dinanzi alla legge civile. Ritiene che uno Stato non possa disonorare se stesso riconoscendo gli effetti civili e retroattivi a una obbligazione religiosa di carattere spirituale. L’articolo 5 del Concordato deve considerarsi una grossa spina confitta nel cuore della pace religiosa che si è creata, sul cui solco non comprende perché si sia voluto gettare il germe di una lotta religiosa che i comunisti intendono scongiurare e che, qualunque parte prevalga, non potrà dare buoni frutti.

Per quanto riguarda lo spirito che anima la democrazia cristiana, ricorda il Codice sociale di Malines, che, redatto nel 1926 sotto la guida del Cardinale Mercier, avrebbe dovuto e potuto costituire il Codice sociale del cittadino cattolico rispetto allo Stato. Questo Codice non ammetteva lo Stato etico, che potesse sostituirsi alla Chiesa nella vita spirituale, ma riconosceva lo Stato di diritto ponendo una distinzione chiara e netta tra diritto e morale, tra competenze giuridiche e competenze etiche. In questo trattato si affermava, in sostanza, che il limite del lecito etico non coincide col limite del lecito giuridico, che il reato non coincide col peccato. Ora, se allo Stato compete la repressione del reato, non comprende perché da parte democristiana si voglia che lo Stato partecipi anche alla repressione del peccato.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di condividere le osservazioni dell’onorevole Marchesi, che non intaccano per nulla quanto ha dichiarato ad illustrazione del suo articolo 4. In tale articolo, infatti, si afferma il principio del riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, ma non si parla affatto del riconoscimento di singole norme di questi ordinamenti. Prega però l’onorevole Marchesi di tener nettamente distinto quello che è il problema del riconoscimento del carattere di originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e della Chiesa, dall’altro problema (di cui ha discusso in una precedente seduta con l’onorevole Basso) del valore nello Stato italiano di norme dell’ordinamento giuridico della Chiesa e viceversa. In relazione a tale questione, si era prospettata la eventualità della confusione dei poteri fra i due ordinamenti con l’assorbimento da parte della Chiesa di funzioni statuali, o da parte dello Stato di funzioni religiose, ma – ripete – una cosa è il valore giuridico nello Stato di norme proprie dell’ordinamento della Chiesa, ed altra cosa è il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e di quello della Chiesa. Quando l’articolo 34 del Concordato riconosce effetti civili al matrimonio celebrato dal ministro del culto, vi è un complesso di norme canoniche che entra, in un certo modo, nel diritto dello Stato. Nel caso dell’articolo 5, invece, non vi è l’ingresso, mediante il rinvio, nel diritto dello Stato di una norma canonica, che non esiste, ma si tratta del riconoscimento da parte dello Stato, con un atto della sua sovranità, di una determinata conseguenza giuridica dello status proprio del sacerdote nell’ambito della Chiesa cattolica. Per comprendere questa norma, che oggi politicamente potrebbe non essere conveniente, ammette che occorra un certo stato d’animo e l’accettazione di taluni principî, forse, di una società cristiana di tipo diverso da quello attuale. L’articolo 4, però, tocca un problema che non ha niente a che vedere con quello dell’articolo 34 o dell’articolo 5 del Concordato, in quanto il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico canonico non implica il riconoscimento di singole disposizioni, e tanto meno attribuzione di determinate conseguenze giuridiche nell’ordinamento statuale in relazione alle norme proprie della Chiesa.

Per quanto riguarda in particolare l’articolo 5 del Concordato, se si concludesse per la sua inaccettabilità, trattandosi di una norma contenuta in un atto bilaterale, l’unica via legittima sarebbe quella che lo Stato italiano facesse presente alla Chiesa l’intolleranza di una vasta parte dell’opinione pubblica nei riguardi del suddetto articolo e ne chiedesse la soppressione o la modificazione.

MARCHESI osserva che nessuno, da parte comunista, ha mai pensato, o penserà, di negare la personalità giuridica internazionale della Santa Sede, che vigeva assai prima dei Patti del Laterano, né di domandare, nemmeno in questa sede, la denuncia di tali Patti. Si vuole solo che la Costituzione non si ritenga impegnata dalle norme concordatarie, le quali continueranno ad aver vita fino a che le circostanze e la saggezza delle due parti contraenti lo permetteranno in relazione alla coscienza politica e giuridica dei tempi. Dichiara, pertanto, di essere contrario all’articolo 4 dell’onorevole Dossetti.

ROSSETTI, Relatore, rileva che l’onorevole Marchesi non ha risposto alla sua precisazione che l’articolo in discussione non ha alcuna attinenza col problema del riconoscimento di determinate norme canoniche da parte dello Stato.

MARCHESI risponde di aver fatto notare l’armonia esistente tra gli articoli 4, 6 e 7, di cui potrebbe anticipare rapidissimamente le conseguenze che ne possono derivare.

PRESIDENTE propone che la discussione si accentri sulla questione fondamentale, se cioè sia, o meno, da approvare il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati e di quello della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, comprende che l’onorevole Marchesi voglia discutere in blocco tutti gli articoli, temendo da una prima affermazione di essere portato a successive ammissioni, ma desidera gli sia consentito di dichiarare nuovamente che l’articolo 4 ha un valore indipendente dai successivi, per i quali, se qualche espressione può destare la preoccupazione che si voglia arrivare ad un confessionalismo dello Stato, è disposto ad accogliere tutte le eventuali modifiche che si riterranno opportune. L’articolo 4, invece, tratta un principio che non può essere modificato e che rimarrà sempre, anche se non sarà affermato nella Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene opportuno riportare la discussione sul suo binario, cioè ad una questione soprattutto di logica e di tecnica della Costituzione, lasciando da parte tutte le questioni teoriche sul diritto originario degli altri Stati e della Chiesa.

Senza entrare nel merito delle dotte osservazioni dell’onorevole Dossetti, rileva che l’articolo in discussione è composto di due parti, messe in relazione con un «perciò», che non ha ragion d’essere, perché la conseguenza non è in rapporto con la premessa. Uno Stato infatti può essere membro della comunità internazionale, senza dover riconoscere nella Costituzione l’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati. Se si ammettesse questo principio, senza discriminazione, si avrebbe la conseguenza di dover riconoscere l’ordinamento giuridico di qualsiasi Nazione, mentre lo Stato potrebbe trovarsi nella necessità o convenienza di entrare in contatto con un altro determinato Stato, senza riconoscerne l’ordinamento.

Per quanto attiene, poi, al riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa, il problema diviene ancora più grave, perché vi possono essere Stati che, pur essendo membri della comunità internazionale, non riconoscono l’ordinamento giuridico della Chiesa, considerandola, come per esempio gli Stati Uniti, alla stregua di una società privata. Né ha valore l’obiezione che gli Stati Uniti hanno una legazione presso la Santa Sede, in quanto tale rappresentanza è presso lo Stato del Vaticano e rientra nelle norme di diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, obietta che ciò è inesatto, inquantoché legazioni straniere presso la Santa Sede esistevano anche quando non vi era lo Stato della Città del Vaticano.

CEVOLOTTO, Relatore, crede che la questione della rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede, anche prima che fosse sorto lo Stato della Città del Vaticano, sia una questione particolare, che non implichi il riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa. A suo avviso, però, prima ancora di decidere se la Sottocommissione è favorevole al riconoscimento della originarietà dell’ordinamento della Chiesa, dovrebbe porsi la questione se sia, più o meno, opportuno inserire una norma del genere nella Costituzione. La questione del valore delle norme del diritto della Chiesa nel diritto interno, per quanto importante, potrebbe essere oggetto di patti bilaterali, la cui pratica attuazione e durata, come ha rilevato l’onorevole Marchesi, dipenderà dalla sapienza e dalla prudenza delle due parti contraenti. A questo proposito, esprime il parere che sarebbe necessario procedere ad una revisione delle norme concordatarie, naturalmente con trattative in sede diplomatica, come ha accennato l’onorevole Dossetti.

Conclude affermando che, poiché sotto il velo del riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati si vorrebbe inserire nella Costituzione il principio del riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, prenderebbe come base di discussione solo la prima parte dell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti, a cui aderisce, rinunziando alla sua formulazione.

CARISTIA pensa che si potrebbe forse discutere della opportunità o meno di introdurre questo articolo nella Costituzione, ma per quanto riguarda il suo contenuto non crede che debba dar luogo a eccessive preoccupazioni, perché in sostanza non si fa altro che affermare una posizione dottrinale che oramai è nella coscienza di tutti i cittadini. Si dice, infatti, in primo luogo, che lo Stato è membro della comunità internazionale, di cui riconosce l’originarietà dell’ordinamento. Su questa parte ritiene che non vi possano essere dubbi, dato che da tutti gli studiosi è pacificamente riconosciuta l’esistenza di una comunità internazionale, capace di emanare delle norme giuridiche di per sé stanti. In secondo luogo lo Stato riconosce, come originari, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e quello della Chiesa cattolica. Ora che la Chiesa abbia un ordinamento giuridico suo particolare, un complesso di norme cioè che valgano non soltanto come norme disciplinari, ma anche di diritto, è un principio che non si può disconoscere e che è ammesso anche da parte di scrittori ebrei.

Qualche preoccupazione potrebbe nascere in un secondo tempo, in relazione alle conseguenze che possono derivare dal riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, per la possibilità di un eventuale conflitto fra le sue norme e quelle dello Stato, ma, come ha spiegato l’onorevole Dossetti, si tratta di un problema del tutto diverso, che non è pregiudicato dal riconoscimento della Chiesa come ordinamento originario. Gli sembrano quindi eccessive le preoccupazioni che sono state sollevate.

TOGLIATTI osserva che la formulazione dell’onorevole Dossetti porta a riconoscere come originari l’ordinamento giuridico internazionale e quelli degli altri Stati. Per quanto concerne l’ordinamento giuridico internazionale, trattasi di norme che si evolvono continuamente e che non si può ancora sapere quale sviluppo prenderanno, specialmente in relazione alla Organizzazione delle Nazioni unite. Ora, affermare nella Costituzione che è originario un ordinamento che non si conosce e che si sta sviluppando sulla base di consuetudini e di affermazioni di fatto, che poi diventeranno di diritto, gli sembra una cosa eccessiva e fuori luogo.

Per quanto si riferisce agli ordinamenti degli altri Stati, poiché i rapporti con essi sono stati sempre fondati su un principio di reciprocità, esprime il dubbio che con la formula in discussione si venga a concedere agli altri Stati un particolare riconoscimento, senza sapere se all’Italia sarà fatto eguale trattamento. Esprime, infine, la sua perplessità anche circa l’affermazione relativa all’ordinamento della Chiesa, nei cui riguardi i democristiani potrebbero, a suo avviso, egualmente ottenere lo scopo che si prefiggono, formulando non dei principî teorici, ma delle richieste più pratiche e concrete. D’altra parte, nota una contraddizione nelle affermazioni dell’onorevole Dossetti, perché se l’ordinamento della Chiesa è riconosciuto ormai da tutti come originario, non vede per quale motivo da parte democristiana si insista tanto affinché venga riconosciuto costituzionalmente. A parte il fatto che sente una certa riluttanza ad inserire nella Costituzione il riconoscimento di un ordinamento che non conosce, gli sembra che un riconoscimento costituzionale potrebbe quasi infirmare l’originarietà stessa dell’ordinamento della Chiesa, perché, se fosse veramente originario, non avrebbe alcun bisogno di un riconoscimento.

Pertanto prega i colleghi democristiani di non insistere su questo articolo e li invita ad accettare la formula dell’onorevole Cevolotto, che considera assai più precisa e concreta.

MORO fa osservare che nessuna delle questioni poste in evidenza dalla discussione è pregiudicata dalla dichiarazione contenuta nell’articolo. Infatti, quando si parla dell’ordinamento giuridico internazionale, si prescinde da quella che sarà l’Organizzazione delle Nazioni unite, ma si vuole alludere ad un ordinamento internazionale che ha una vita autonoma ed una originarietà, per cui le norme che esso pone non traggono la loro forza obbligante dalla volontà esclusiva degli Stati membri della comunità internazionale, ma hanno un potere normativo che spetta agli Stati come tali. Così anche per i singoli Stati non si può non riconoscere i loro ordinamenti come originari, ma tale norma non obbliga ad avere relazioni con tutti gli Stati, comunque costituiti, ma tende solo a precisare che quando lo Stato entra in contatto con gli altri Stati, si pone su di una posizione di parità giuridica, che si esprime attraverso la forma dei trattati internazionali. Analogamente, per quanto attiene alla Chiesa, riconoscere nella Costituzione l’originarietà del suo ordinamento significa porre su di una base di parità i rapporti che verranno a stabilirsi tra Stato e Chiesa. Come dal riconoscimento dell’originarietà degli Stati scaturisce la necessità di regolare i rispettivi rapporti attraverso trattati, così dal riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento della Chiesa scaturisce la necessità di regolare le materie di comune interesse sulla base di un atto che sia al di fuori dell’ordinamento dello Stato e dell’ordinamento della Chiesa. Questo regolamento sarà fatto successivamente; ed è convinto che anche i colleghi di parte avversa riconosceranno la necessità che lo Stato non vi provveda unilateralmente, ma attraverso un atto bilaterale, come è il Concordato. Pertanto l’unica conseguenza che scaturisce dall’ultima parte dell’articolo è la non ammissibilità di un regolamento unilaterale da parte dello Stato, che incida in materie così profondamente attinenti non solo alla religione, ma alla morale e alla civiltà del popolo italiano.

Perciò più che la consistenza concreta dei Patti lateranensi, la quale, come ha detto l’onorevole Dossetti, può essere oggetto di una revisione che è del resto prevista in un articolo dei Patti stessi, crede sia molto più importante affermare nella Costituzione il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento della Chiesa, che ponendo su di un piano di eguaglianza i rapporti tra Stato e Chiesa contribuirà a mantenere quella pace religiosa che oggi regna in Italia.

DE VITA prega l’onorevole Dossetti di volergli chiarire se e quali conseguenze giuridiche possono derivare dal riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e dell’ordinamento della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, ripete che nessuna delle argomentazioni che sono state svolte incide sulla sostanza dell’articolo che ha proposto. La prima obiezione, che non possa riconoscersi la comunità internazionale in quanto non si conosce come verrà a formarsi e organizzarsi, non ha ragion d’essere, perché non si tratta di impegnarsi a riconoscere le varie strutture dell’Organizzazione delle Nazioni unite, ma di riconoscere l’esistenza di un ordinamento giuridico internazionale, indipendente dalla legislazione dei singoli Stati. Questo riconoscimento, che è già implicito nella norma con cui si è rinunziato alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, non implica il riconoscimento delle singole norme positive di quell’ordinamento internazionale, ma solo di alcuni principî supremi che costituiscono le norme di diritto internazionale generale. Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico degli altri Stati non ha parimenti valore l’obiezione che non si debba impegnare lo Stato a riconoscere tutte le altre Nazioni, perché il riconoscimento della originarietà dei loro ordinamenti tenderebbe semplicemente, come ha detto l’onorevole Moro, a fissare il concetto che se si entra in contatto con gli altri Stati, vi si entra su una posizione di parità. Si può quindi ignorare il regime della Spagna franchista o quello della Russia sovietica, ma se si entra in relazione con uno di questi Stati si deve attribuire loro, non il carattere di una società privata, ma quello di Stato, vale a dire di un ordinamento originario, come quello italiano.

Per quanto attiene al riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa, si limita a leggere alla Sottocommissione il seguente brano estratto dalle lezioni del professore Jemolo, autore non sospetto, in quanto tenace e geloso difensore dell’indipendenza e delle prerogative dello Stato: «Crediamo pertanto che oggi possa insegnarsi con assoluta tranquillità che il diritto della Chiesa va considerato dall’angolo visuale dello Stato italiano, così come lo considera la Chiesa allorché lo ritiene diritto qualitativamente eguale a quello emanato dallo Stato, nel senso che entrambi i diritti emanano da istituzioni che sono fonte di ordinamenti giuridici indipendenti, sicché sono concepibili rinvii dall’uno all’altro diritto».

Circa la necessità di inserire tale riconoscimento nella Costituzione, all’onorevole Togliatti, che è di avviso contrario, fa presente che è un diritto della coscienza cattolica italiana di pretendere che la Costituzione, come garantisce tanti altri diritti forse meno importanti, garantisca che domani lo Stato non devii bruscamente dalla linea di fatto oggi esistente e non presuma di mettere la Chiesa alla stregua di qualsiasi società privata, invadendo così una funzione spettante ad essa in modo esclusivo, di disciplinare cioè in maniera autonoma il fenomeno religioso.

Lasciando da parte ogni discussione tecnica, che aveva lo scopo di dimostrare che sotto la norma non si nascondeva alcun secondo fine, da un punto di vista politico, l’alternativa che viene proposta ai membri della Sottocommissione è se riconoscere o meno la Chiesa come un ordinamento originario, che ha il diritto di regolare con propri ordinamenti giuridici i suoi rapporti con i fedeli, cioè di dare o non dare alla coscienza cattolica italiana la garanzia costituzionale che lo Stato non si assumerà le funzioni della Chiesa, arrogandosi il diritto di regolare con norme proprie il fenomeno religioso.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che se, come ha detto l’onorevole Dossetti, l’articolo avesse la sola portata di riconoscere come originari gli ordinamenti dei vari Stati, si tratterebbe di una questione teorica, che non dovrebbe trovare sede in una Costituzione, che deve essere eminentemente pratica. Il punto cruciale del problema è stato invece posto dall’onorevole Moro, il quale ha chiaramente precisato che riconoscere come originario l’ordinamento della Chiesa vuol dire mettere questa in condizioni di parità con lo Stato, con la conseguenza che i rispettivi rapporti dovranno essere regolati sempre da patti bilaterali, o da concordati.

A parte il fatto che implicitamente verrebbe ad affermarsi nella Costituzione il riconoscimento del Concordato e dei Patti del Laterano, si dichiara contrario a porre lo Stato costituzionalmente in condizioni di parità con la Chiesa, perché nel caso di una questione su cui non fosse possibile raggiungere l’accordo, lo Stato deve poter prendere la sua risoluzione, anche indipendentemente dalla volontà della Chiesa.

Sarebbe, però, favorevole a studiare una formula nella quale si dicesse che le relazioni tra Stato e Chiesa sono regolate mediante il Concordato e, a tale proposito, cita una formula proposta dal professore Jemolo: «Lo Stato regola i rapporti giuridici con la confessione cattolica cercando, per quanto sia possibile, di concludere concordati con la Santa Sede».

Una formula di questo genere ritiene che potrebbe essere presa come base di discussione per giungere ad una dizione che sia idonea ad essere inserita nella Costituzione, ma non può essere d’accordo sul riconoscimento di una parità che obbligherebbe in ogni caso lo Stato a non esercitare la sua sovranità, anche quando vi sia l’impossibilità di raggiungere un accordo.

Lo scopo principale a cui mira l’onorevole Dossetti, cioè di assicurare una posizione di libertà alla Chiesa cattolica italiana, riconoscendole una situazione di reale indipendenza dallo Stato, a suo giudizio può egualmente raggiungersi con l’articolazione che l’oratore stesso ha proposto in materia di libertà di culto non solo della Chiesa cattolica, ma di tutte le Chiese.

Tiene a precisare che non intende affatto affermare che non debba mantenersi il sistema concordatario, salvo le necessarie modificazioni da apportare mediante trattative bilaterali, ma è d’avviso che nella Costituzione non si possano mettere vincoli che creerebbero situazioni particolari dello Stato rispetto alla Chiesa.

GRASSI rileva che nell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti si fanno delle precisazioni che o sono superflue, oppure dicono qualche cosa che sarebbe bene dire più chiaramente. Il concetto iniziale, che lo Stato italiano si riconosce membro della comunità internazionale, a suo parere è espresso inesattamente, in quanto il riconoscimento di uno Stato come membro della comunità internazionale non dipende da questo, ma da tutta la società internazionale. Dato che la situazione di fatto dell’Italia oggi non è ancora stata chiarita, con una simile affermazione sembrerebbe che si voglia precedere quello che dovrebbe essere un riconoscimento internazionale. Circa l’ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, come originari, gli sembra che non vi possano essere dubbi, perché tutti gli Stati, per il fatto stesso che sono membri della comunità internazionale, sono ordinamenti giuridici originari, in quanto non derivano da altri ordinamenti statuali. Anche per quanto riguarda la Chiesa, nessuno può disconoscere, come del resto è ammesso dalla dottrina, che la Chiesa ha un suo diritto originario. La questione invece sorge per il fatto che mentre tutti gli altri membri della comunità internazionale agiscono in un proprio territorio su cui esplicano il loro diritto originario, la Chiesa si trova a svolgere la sua attività in correlazione con un altro ordinamento giuridico, ossia con lo Stato italiano. Dalla coesistenza dei due ordinamenti nascono problemi teorico-pratici relativi agli individui considerati come cittadini e come fedeli, per cui è necessario e indispensabile che i rapporti tra l’ordinamento della Chiesa e quello dello Stato siano disciplinati mediante un apposito regolamento, la cui forma non può essere altro che quella del Concordato.

Ammesso questo punto fondamentale, senza attardarsi in inutili costruzioni teoriche, ritiene sarebbe più opportuno affermare sinteticamente che si riconosce la Chiesa come ordinamento giuridico originario che deve trovare nei rapporti con lo Stato un regolamento che possa tranquillizzare l’animo dei cattolici, in modo che non si arrivi a forme giurisdizionali dello Stato sulla Chiesa.

PRESIDENTE osserva che la discussione svoltasi ha dimostrato che la Commissione non è ancora in condizioni di poter arrivare ad una conclusione e quindi ad una votazione. Per tentare ancora uno sforzo per arrivare ad una conclusione possibilmente concorde, ritiene opportuno che i due Relatori, onorevoli Cevolotto e Dossetti, si riuniscano insieme ad altri due Commissari allo scopo di cercare di arrivare ad una formula accettabile almeno dalla maggioranza. Personalmente ha preparato delle formule, ed anche l’onorevole Togliatti ha preparato uno schema di articoli che potrebbero essere studiati dai Relatori e dagli altri due Commissari che ad essi si aggiungeranno.

DE VITA è del parere che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti debba essere senz’altro soppresso. Di questo fa proposta formale e chiede che sia messa in votazione.

DOSSETTI, Relatore, potrebbe anche essere d’accordo con l’onorevole De Vita sul fatto di mettere senz’altro in votazione l’articolo proposto, facendo presente che una sua eventuale soppressione non potrebbe avere altro significato che quello di lasciare aperta la possibilità di un giurisdizionalismo statuale.

PRESIDENTE osserva che non si tratta di domandare la soppressione pura e semplice dell’articolo. Al punto in cui si è arrivati, gli sembra che non si possa arrivare ad una votazione, senza presentare, come si è sempre fatto, proposte di emendamenti sostitutivi.

CARISTIA esprime il desiderio che gli onorevoli Commissari che si occuperanno di superare la questione tengano presente non soltanto l’articolo in discussione, ma anche gli altri che con esso sono connessi.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Caristia che, in sostanza, tutta la discussione si è imperniata sulla materia dei rapporti tra lo Stato italiano e gli altri Stati e sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

DE VITA dichiara di ritirare la proposta precedentemente fatta.

PRESIDENTE propone il rinvio della discussione alla prossima seduta.

(La Commissione approva).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Lucifero, Mancini e Mastrojanni.

MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

44.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Togliatti – De Vita – Dossetti, Relatore – Caristia – Grassi – Moro – La Pira – Corsanego – Lucifero – Amadei – Marchesi.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE fa presente che, secondo l’ordine dei lavori precedentemente stabilito, dovrebbero essere messi in discussione gli articoli 2 e 5 della relazione dell’onorevole Cevolotto.

Quanto all’articolo 3: «Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge ed hanno gli stessi diritti e doveri. La nascita, il sesso, la razza, la condizione sociale, le credenze religiose, o il fatto di non avere alcuna credenza, non possono costituire la base di privilegio o di inferiorità legale», può intendersi soppresso, in quanto il suo concetto è contenuto nell’articolo 2 dei principî generali, già approvato.

Per l’articolo 4, che tratta del riconoscimento delle norme del diritto delle genti da parte della Repubblica italiana, poiché l’argomento è stato trattato anche dall’onorevole Dossetti, dovrà cercarsi di arrivare ad una fusione.

Per semplificare, pone in discussione l’articolo 5, sul quale non crede vi sarà luogo a dissensi:

«La bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa».

Domanda innanzi tutto se sia necessario o meno mettere un simile articolo nella Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che un articolo sulla bandiera vi è in tutte le Costituzioni.

TOGLIATTI riconosce l’opportunità dell’articolo, ma, così come è formulato, gli sembra insufficiente, in quanto non dice se i colori della bandiera sono disposti nella direzione orizzontale o in quella verticale. Rimane, inoltre, aperto il problema dell’emblema della Repubblica italiana che, se venisse approvato dalla Costituente, dovrebbe occupare il centro della bandiera.

CEVOLOTTO, Relatore, propone che, in analogia a quanto è stabilito nel corrispondente articolo della Costituzione francese, si dica:

«La bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa, a tre bande verticali di eguali dimensioni».

DE VITA osserva che se non si stabilisce l’emblema, la bandiera italiana potrebbe confondersi con quella messicana.

PRESIDENTE ritiene opportuno lasciare per il momento impregiudicata la questione dell’emblema.

Mette ai voti l’articolo nel testo proposto dall’onorevole Cevolotto.

(È approvato all’unanimità).

Apre la discussione sull’articolo 2 della relazione Cevolotto, così formulato:

«Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la Costituzione e le leggi».

DOSSETTI, Relatore, osserva che tale articolo si connette strettamente con il suo articolo 2, formulato nel modo seguente:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi».

Con questo articolo ha inteso riferirsi principalmente a quello che è il fondamento della sovranità dello Stato, derivante dall’ordinamento giuridico e dalla configurazione che questo ordinamento fa dello Stato, mentre nell’articolo 2 dell’onorevole Cevolotto si fa riferimento principalmente all’esercizio della sovranità, specificando che «tutti i poteri spettano al popolo», che può esercitarli direttamente o indirettamente. Affrontando il problema della sovranità dello Stato, riterrebbe necessario affermare congiuntamente i due concetti relativi sia al fondamento che all’esercizio della sovranità. Per questo motivo, ha proposto all’onorevole Cevolotto una formula risultante dalla fusione dei due articoli.

CEVOLOTTO, Relatore, dà lettura della formula concordata:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

«Tutti i poteri sono esercitati dal popolo direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti».

Precisa che nella sua dizione aveva seguito la formula tradizionale mazziniana, ma poiché in sostanza l’espressione: «Tutti i poteri sono esercitati dal popolo» ha lo stesso significato, ha aderito alla proposta dell’onorevole Dossetti.

DOSSETTI, Relatore, spiega che la prima parte dell’articolo ha precisamente lo scopo di specificare in termini più corretti quello che è il concetto della sovranità dello Stato. Non sarebbe stato esatto, infatti, parlare secondo una dottrina politica che risale al secolo scorso, di sovranità del popolo, perché la sovranità è dello Stato, e il popolo è il soggetto che l’esercita. Il concetto di sovranità popolare della formula mazziniana aveva senso in quanto lo si contrapponeva alla sovranità del principe, che era il soggetto in cui si identificava lo Stato e che esercitava tutti i poteri inerenti allo Stato stesso.

Ciò premesso, gli è sembrato più corretto e più conforme all’impostazione della Costituzione di parlare di sovranità dello Stato, che si fonda sull’ordinamento giuridico stabilito dalla Costituzione e dalle altre leggi da essa derivanti, mentre i poteri, che sono in concreto il modo con cui si attua la sovranità dello Stato, emanano dal popolo che li esercita o direttamente, o mediante i suoi rappresentanti.

CARISTIA non crede che sia necessario dichiarare nella Costituzione che la sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico, essendo questa una cosa naturale e da tutti pacificamente ammessa. È necessario, invece, stabilire chi esercita la sovranità ed i relativi poteri. Tale esigenza è già, a suo avviso, in modo concreto e corretto, affermata nell’articolo dell’onorevole Cevolotto a cui si dichiara favorevole.

DE VITA si dichiara anch’egli favorevole alla formula dell’onorevole Cevolotto. Osserva che, secondo la dottrina mazziniana, la sovranità risiede nel popolo e non nello Stato.

GRASSI prega l’onorevole Dossetti di non insistere nella sua proposta, in quanto con essa si entrerebbe in un campo dottrinale che non è quello delle norme costituzionali. Oltre il fatto che, addentrandosi in una discussione teorica, sarebbe molto difficile giungere ad una conclusione, la formula dell’onorevole Dossetti non è molto felice, perché la sovranità dello Stato non consiste nei limiti in cui si esplica, ma è il potere di comando, che in tanto si chiama sovranità, in quanto nega che vi sia un’altra autorità al di sopra di essa.

A suo giudizio, quello che la Costituzione deve fissare è che la sovranità viene dal popolo. Lo Stato, che è depositario del potere di comando, lo esercita attraverso gli organi del suo ordinamento, ma questi organi sono azionati e ricevono autorità e forma dal popolo che, direttamente o indirettamente, dà ad essi tutta la capacità della sua sovranità.

Ritiene, pertanto, preferibile la formula dell’onorevole Cevolotto, che senza avere pretese giuridiche esplica un concetto fondamentale giuridico e politico di una Costituzione democratica.

MORO non entra nella disputa sottile e interessante se la sovranità spetti al popolo o allo Stato, ma non può essere d’accordo con l’onorevole Grassi quando ritiene non necessaria la specificazione dei limiti giuridici e politici in cui si esplica la sovranità dello Stato. Dopo venti anni di arbitrio del potere esecutivo che avevano portato alla creazione di una dottrina per la quale la sovranità dello Stato consisteva nell’assoluta potenza, o prepotenza, si deve affermare nella Costituzione che il potere dello Stato è un potere giuridico, e che lo Stato comanda nei limiti della Costituzione e delle leggi ad essa conformi. Questa precisazione è tanto più necessaria in relazione all’articolo 3 formulato dall’onorevole Dossetti, nel quale si precisa come al singolo, o alla collettività, spetti la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. Solo dopo aver dichiarato che la sovranità dello Stato è nell’ambito dell’ordinamento giuridico, si ha la possibilità di sancire nella Costituzione il diritto di resistenza contro gli atti di arbitrio dello Stato.

Dopo una esperienza storica come quella vissuta, non crede si possa fare a meno di fissare con la massima chiarezza i seguenti concetti: sovranità dello Stato nell’ambito della legge; organi del popolo o delegati dal popolo all’esercizio della sovranità; diritto e dovere di resistenza del singolo e della collettività agli atti arbitrari dello Stato.

LA PIRA ricorda che tutta la più recente letteratura di diritto pubblico si è preoccupata di riaffermare il concetto di stato di diritto, e d’altra parte, tutta la Costituzione è stata imperniata sul fatto che lo Stato ha dei limiti di diritto naturale e di diritto positivo.

Ritiene, pertanto, che l’articolo così come è stato proposto dall’onorevole Dossetti sia fondamentale e che debba far parte della Costituzione.

CORSANEGO fa presente che l’onorevole Cevolotto ha aderito alla formula proposta dall’onorevole Dossetti, sicché l’articolo si presenta come concordato fra i due Relatori.

LUCIFERO dichiara di non essere stato convinto dalle argomentazioni svolte dagli onorevoli La Pira, Moro e Dossetti, che, anzi, lo hanno confermato nella decisione di votare a favore del testo proposto dall’onorevole Cevolotto. Richiede, perciò, che se si dovesse mettere ai voti l’articolo concordato dai due Relatori, esso sia messo ai voti per divisione.

TOGLIATTI dichiara di concordare sostanzialmente con le considerazioni svolte dall’onorevole Moro. In netta opposizione a quella profonda deviazione verificatasi nella dottrina giuridica, in senso assolutistico e reazionario, per opera del diritto tedesco attraverso una deformazione dell’hegelismo, ritiene che in una Costituzione fatta dopo il fascismo, un’affermazione quale quella proposta dall’onorevole Dossetti non sia da respingere, a condizione che si affermi anche che il depositario della sovranità è il popolo.

DOSSETTI, Relatore, precisa che era sua intenzione far seguire all’articolo 2, da lui proposto, un ulteriore articolo, o un secondo comma, nel quale si dicesse che tutti i poteri emanano dal popolo, che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti.

CARISTIA nota che qualunque Paese retto liberamente da una Costituzione ha una sovranità che si esercita entro i limiti imposti dalla legge e dalla Costituzione. Perciò affermare il principio che la sovranità ha dei limiti è una cosa, a suo avviso, perfettamente inutile, perché lo Stato, in quanto è democratico, ha di per sé una sovranità limitata, derivante anche dal fatto che la sovranità proviene dal popolo. Il fascismo aveva sorpassato questo concetto, perché forma di Governo che non era né liberale né democratica.

Concludendo, ritiene assolutamente inopportuno l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti. Non crede parimenti giusto inserire il diritto alla resistenza in una Costituzione, nella quale vi sono molti mezzi per resistere legalmente agli arbitri.

GRASSI riconosce che l’onorevole Dossetti si è preoccupato che lo Stato, nella esplicazione della sua autorità sovrana, non possa andare oltre i limiti dell’ordinamento giuridico; ma affermare che la sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico è, a suo avviso, una espressione priva di significato pratico perché lo Stato, concepito democraticamente, non è altro che l’ordinamento giuridico. A dimostrare meglio l’inutilità di tale affermazione, ricorda che la dottrina tedesca dei tempi dell’impero, pur essendo interamente fondata sullo stato di diritto, non impedì che nel suo ambito si sviluppasse il massimo strapotere statale.

A suo parere, il concetto che deve essere affermato nella Costituzione è quello dell’onorevole Cevolotto, cioè che il potere emana dal popolo, principio squisitamente democratico e comune a tutte le attuali tendenze politiche del Paese.

PRESIDENTE non comprende l’opposizione alla formula concordata, dato che in essa non si sopprime il concetto affermato nell’articolo dell’onorevole Cevolotto, ma vi si aggiunge un principio che mira a soddisfare un’altra esigenza. Ritenendo inutile ogni ulteriore discussione, pone ai voti l’articolo concordato, di cui dà nuovamente lettura, avendo subito nella seconda parte qualche leggera modificazione:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

«Tutti i poteri emanano dal popolo che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti».

LUCIFERO dichiara di votare contro, senza più insistere nella votazione per divisione, perché nella seconda parte non si afferma più il principio, contenuto nella dizione dell’onorevole Cevolotto, che la sovranità risiede nel popolo.

DE VITA dichiara di votare contro, perché nella prima parte si personifica lo Stato come un ente che sovrasta il popolo.

AMADEI, pur dichiarando che voterà in ogni caso a favore dell’articolo concordato, propone la seguente dizione: «La sovranità dello Stato emana dal popolo e si esercita nell’ambito dell’ordinamento giuridico, sia direttamente che mediante rappresentanti da esso eletti». Ritiene che questa formula metta meglio in evidenza la sovranità dello Stato come emanazione dal popolo.

LUCIFERO, dovendosi assentare, dichiara che vota contro anche alla formula dell’onorevole Amadei, se questa sarà posta ai voti, in quanto, a suo parere, la sovranità non emana né promana dal popolo, ma risiede nel popolo stesso.

AMADEI, dato che la sua formula risponde ai medesimi concetti di quella concordata, se i Relatori insistono sul loro articolo, dichiara di ritirare la sua proposta.

DOSSETTI e CEVOLOTTO, Relatori, insistono sul loro articolo.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dai Relatori.

(È approvato con 12 voli favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto).

Fa quindi presente che nella relazione dell’onorevole Cevolotto è formulato un articolo i cui concetti sono stati trattati con maggior diffusione dall’articolo 3 dell’onorevole Dossetti, che, se sarà preso come base di discussione e accolto, dovrebbe essere collocato dopo quello testé approvato.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole ad assumere come base di discussione l’articolo 3 dell’onorevole Dossetti, in quanto trattasi di una formula già accolta in altre Costituzioni.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 3 dell’onorevole Dossetti:

«La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino».

MARCHESI domanda a quali organi dovrebbe essere devoluta la garanzia di tale diritto che, a suo avviso, dovrebbe avere una base giuridica e non rivoluzionaria. Infatti una insurrezione contro i poteri dello Stato non avrebbe bisogno di appellarsi ad un articolo della Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde all’onorevole Marchesi che, trattandosi di materia contemplata nel Codice penale, la garanzia giuridica è data dall’autorità giudiziaria. In sede costituzionale si afferma soltanto una direttiva, ma sarà poi compito della legge penale sancire e regolare concretamente il principio.

MARCHESI si dichiara soddisfatto della spiegazione dell’onorevole Cevolotto, ma avrebbe preferito che fosse stata usata la formula dell’articolo 21 della Costituzione francese: «Qualora il Governo violi la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri». Con le parole «sotto ogni forma» si implica il ricorso a forme anche non strettamente legali.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non aver nulla in contrario ad accettare la formula della Costituzione francese, pur essendo dell’avviso che le parole «sotto ogni forma» possano ritenersi assorbite dall’espressione: «la resistenza individuale e collettiva».

MARCHESI crede che per resistenza individuale e collettiva possano intendersi solo le manifestazioni regolabili dall’autorità giudiziaria.

DOSSETTI, Relatore, essendo sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Marchesi, ripete di non aver nulla in contrario ad accettare la dizione della Costituzione francese.

GRASSI fa presente che l’articolo 21 della Costituzione francese risponde ad un momento storico particolare della Francia, in quanto si è voluto affermare che la resistenza francese al governo Pétain, durante il periodo dell’occupazione tedesca, è stata un sacro diritto ed un dovere del popolo. Invece nel caso in esame si vuole affermare il diritto alla resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali. Considera quindi la formula proposta dall’onorevole Dossetti più ampia di quella francese, in quanto si sancisce un principio generale, già affermato in dottrina, che cioè l’atto compiuto dal pubblico potere al di fuori della legge può essere oggetto di ribellione individuale o collettiva. È perciò favorevole alla proposta Dossetti.

CARISTIA pensa che il diritto alla resistenza non possa essere inserito in una Carta costituzionale, sia perché, se considerato individualmente, oltre la difficoltà di poterne definire la natura, ogni cittadino ha altri modi per far valere le sue ragioni; sia perché, da un punto di vista collettivo, corrisponde ad un movimento chiamato rivoluzione, che quando fosse riuscito ad affermarsi, non avrebbe alcun bisogno di appellarsi ad un articolo della Costituzione.

Dichiara, pertanto, che voterà contro l’articolo.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole all’articolo 3 della relazione Dossetti. All’onorevole Marchesi fa rilevare che la formula della Costituzione francese è un po’ retorica e demagogica, mentre in una Costituzione, quanto meno si abbonda in aggettivi, tanto più hanno efficacia le norme che si sanciscono.

PRESIDENTE è favorevole a sopprimere nell’articolo che il diritto alla resistenza è anche un dovere, perché tale affermazione avrebbe solo allora un significato concreto quando fosse stabilita una sanzione in caso di trasgressione.

DOSSETTI, Relatore, ritiene che si debba affermare che la resistenza non solo è un diritto, ma è un dovere, suscettibile di determinare delle sanzioni, in caso di inosservanza, salvo stabilire di volta in volta la sanzione in relazione alle singole situazioni ed alle conseguenze che ne sono derivate, come si è verificato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole ad affermare che la resistenza è anche un dovere, specialmente nei riguardi di alcune categorie di cittadini, come per esempio i pubblici ufficiali che devono avere il dovere di opporsi a un ordine del superiore che sia contrario alle norme della Costituzione. La distinzione tra i casi in cui sia un dovere e quelli in cui sia soltanto un diritto, potranno essere specificati da una legge speciale.

MORO crede che la richiesta dell’onorevole Marchesi, circa l’articolo 21 della Costituzione francese, abbia avuto principalmente lo scopo di individuare il significato della, norma in discussione. A parte la non opportunità di copiare l’articolo della Costituzione francese, sostanzialmente la formula proposta dall’onorevole Dossetti raggiunge lo stesso scopo del suddetto articolo 21, vale a dire di sancire il diritto alla rivoluzione, dandogli una giustificazione etico-giuridica.

Insieme a questa giustificazione si è posto però un limite, perché in tanto la rivoluzione è legittima in quanto nasca da uno stato di indebita compressione dei diritti di libertà sanciti dalla Costituzione.

A quanto è stato dichiarato dai Relatori sull’espressione: «dovere», aggiunge che essa può essere intesa anche come un dovere morale, che è bene sia affermato dalla Costituzione, nel senso che la passività, di fronte all’arbitrio dello Stato, costituisce inosservanza di un dovere morale fondamentale.

Crede, pertanto, che la norma abbia un preciso e netto significato giuridico, in quanto pone un criterio direttivo al legislatore penale, affinché non consideri come reati degli atti commessi con apparenza delittuosa, ma che hanno invece il nobile scopo di garantire la libertà umana.

TOGLIATTI può accettare l’articolo in esame, quantunque annetta poca importanza alla giustificazione legale di una rivoluzione, perché, a suo avviso, ciò che legittima una rivoluzione è la vittoria. Però, fa rilevare che la formula, così come è stata redatta dall’onorevole Dossetti, pur essendo accettabile, potrebbe dar luogo in un domani ad inconvenienti nella pratica legislativa. Fa così l’esempio di uno sciopero fiscale di fronte ad una nuova imposizione di tasse da parte dello Stato.

Ad ogni modo, dichiara che voterà favorevolmente, perché in caso contrario potrebbe sembrare che si voglia precludere la via all’azione di resistenza contro un potere tirannico.

PRESIDENTE osserva che la teoria del successo, posta come base di legittimazione di ogni rivoluzione, non gli sembra accettabile, in quanto sarebbe stata legale anche la rivoluzione fascista.

CARISTIA è d’accordo con l’onorevole Togliatti che lo stato di fatto si traduce sempre in uno stato di diritto. Non gli sembra quindi una cosa utile sancire nella Costituzione una giustificazione della rivoluzione.

PRESIDENTE domanda ai Relatori se insistono nel presentare l’articolo.

DOSSETTI, Relatore, non fa dell’articolo una questione di principio, ma dato che le obiezioni che sono state fatte non sono insuperabili, e che lo stesso onorevole Togliatti non si è dichiarato contrario, gli sembra che esso possa essere messo in votazione.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo 3 della relazione Dossetti:

«La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino lo libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino».

CARISTIA dichiara che voterà contro questo articolo perché lo ritiene superfluo.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione.

MARCHESI dichiara che, rinunciando alla sua proposta, voterà a favore.

(L’articolo è approvato con 10 voti favorevoli, 2 astenuti e 1 contrario).

PRESIDENTE fa presente che dovrebbe essere discusso l’articolo 4, che nella relazione dell’onorevole Cevolotto è così formulato: «Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana». Tale articolo nella relazione dell’onorevole Dossetti è del seguente tenore: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

Considerando che gli articoli 4 e 6 della relazione Dossetti coinvolgono, tra l’altro, il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, pone la questione se non sarebbe il caso di affrontare prima la trattazione dei diritti relativi alla libertà di opinione, di coscienza e di culto, in quanto diritti che dovrebbero integrare quelli fondamentali dell’uomo e del cittadino, che sono stati approvati nel primo tema dei lavori della Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, fa rilevare che il suo articolo l’afferma soltanto che le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana, mentre l’articolo 4 dell’onorevole Dossetti imposta un altro problema, perché viene a trattare del riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, entrando così nel vivo di una questione che potrà dare luogo a notevoli discussioni, date le conseguenze che ne possono derivare.

È, quindi, dell’avviso di rinviare l’argomento alla prossima seduta, esaminando, invece, l’articolo 5 dell’onorevole Dossetti, sul quale più facilmente si potrà arrivare ad una deliberazione.

DOSSETTI, Relatore, è d’accordo. Per quanto riguarda la questione posta dal Presidente, richiama il principio, espresso da più parti nella Sottocommissione, che gli articoli relativi alla libertà di coscienza e di culto, e quelli relativi ai rapporti tra Stato e Chiesa, naturalmente sotto punti di vista diversi e forse contrastanti, sono da considerare come direttamente collegati. La loro trattazione e votazione perciò dovrebbe essere connessa e reciprocamente condizionata. Non ritiene, quindi, opportuno spostare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione sia d’accordo nel rinviare alla loro rispettiva sede sia l’argomento che riguarda i diritti di libertà, di coscienza e di culto, sia quello relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa, in quanto l’uno è condizionato dall’altro. Sottopone, pertanto, all’esame della Sottocommissione l’articolo 5 dell’onorevole Dossetti:

«Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

«Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della Patria».

CEVOLOTTO, Relatore, non ha niente in contrario alla prima parte dell’articolo, il cui concetto è stato già adottato in altre Costituzioni. Nutre invece forti dubbi sulla seconda parte perché, pur essendo convinto che in relazione all’Organizzazione delle Nazioni Unite potranno stabilirsi delle norme per cui tutti gli Stati debbano consentire a limitazioni della loro sovranità, non vede il motivo di introdurre nella Costituzione un principio di questo genere, che, a suo avviso, è piuttosto materia di trattative e di rapporti internazionali. Data la variabilità dei rapporti internazionali, pensa che farne cenno nella Costituzione vorrebbe dire cristallizzare una materia che è di per se stessa mutevole.

Per queste ragioni, propone di limitare l’esame e l’eventuale approvazione alla sola prima parte dell’articolo.

CORSANEGO prega l’onorevole Cevolotto di recedere dalla sua opposizione alla seconda parte dell’articolo. Gli sembra infatti opportuno affermare nella Costituzione questo principio dell’autolimitazione della sovranità, in considerazione che quasi tutte le rovine che si sono verificate in questi ultimi tempi sono dovute alla protervia con cui ogni Stato ha voluto sostenere in modo assoluto, senza limitazioni, la propria sovranità. Se si vuole veramente arrivare ad un lungo periodo di pace tra i popoli, bisogna invece che le Nazioni si assoggettino a norme internazionali che rappresentino veramente una sanzione. Fare una Costituzione moderna che finalmente rompa l’attuale cerchio di superbia e di nazionalismo, e sia una mano tesa verso gli altri popoli, nel senso di accettare da un lato delle limitazioni nell’interesse della pace internazionale e col riconoscere dall’altro un’autorità superiore che dirima tutte le controversie, gli sembra che sarebbe mettere la Repubblica italiana tra i pionieri del diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, rileva che forse l’onorevole Cevolotto non ha tenuto nel debito conto una espressione del suo articolo e cioè l’inciso: «a condizioni di reciprocità». Mediante questo inciso, mentre da un lato si afferma il principio internazionale così bene illustrato dall’onorevole Corsanego, dall’altro si vuole precostituire nella Costituzione quasi un alibi di fronte alle altre Nazioni con le quali l’Italia si trova in fase di trattative, per non accettare eventuali limitazioni di sovranità, se non a condizione di reciprocità. Quindi, sotto tutti i punti di vista, l’articolo si rivela non solo opportuno, ma addirittura necessario.

CEVOLOTTO, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla possibilità che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per una qualsiasi ragione, non sia più in grado di funzionare. In tal caso, rimarrebbe in sospeso nella Costituzione una formula senza più alcuna giustificazione.

Circa l’inciso: «a condizioni di reciprocità», fa rilevare che se da parte delle Nazioni Unite si ritenesse opportuno, nell’interesse della pace, di chiedere solo ad una determinata Nazione delle limitazioni al suo diritto di sovranità, come l’uso di certi porti e campi di aviazione, in questo caso non si verificherebbe la condizione di reciprocità nei riguardi di altre Nazioni. Ad ogni modo non è contrario alla norma e finirà anche per accettarla, se per ragioni di principio si ritiene opportuno inserirla nella Costituzione. Ripete però che, a suo avviso, trattasi di una norma da discutere quando l’Italia entrerà a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Attraverso questa società di Stati si formeranno anche i diritti superiori che spetteranno a questa organizzazione internazionale, a cui, nell’interesse della pace generale, ogni Stato dovrà sottostare.

CARISTIA non dissente dal contenuto dell’articolo, che esprime anzi un concetto diffusissimo nell’ambito degli studiosi e nella coscienza di ogni popolo civile, ma ritiene che esprimerlo nella Costituzione sia perfettamente superfluo.

TOGLIATTI dissente dalla opinione dello onorevole Caristia, perché, a suo avviso, si tratta di un principio che deve essere affermato nella Costituzione, per chiarire la posizione della Repubblica italiana di fronte a quel grande movimento del mondo intiero, che, per cercare di mettere la guerra fuori legge, tende a creare una organizzazione internazionale nella quale si cominci a vedere affiorare forme di sovranità differenti da quelle vigenti.

In particolare, il principio della rinuncia alla guerra come strumento di politica offensiva e di conquista, oltre il fatto che è compreso in tutte le Costituzioni, deve essere sancito nella Costituzione italiana per un motivo speciale interno, quale opposizione cioè alla guerra che ha rovinato la Nazione.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che, dopo le spiegazioni avute, non insiste nella sua opposizione, tanto più che, data la condizione di reciprocità, l’Italia rinuncerà ad una parte della sua sovranità quando anche altre Nazioni come l’U.R.S.S. avranno fatto la stessa rinuncia.

DE VITA accetta la dizione proposta dall’onorevole Dossetti. Propone, però, che alla parola «Stato» sia sostituita l’altra «Repubblica».

DOSSETTI, Relatore, dichiara di accettare l’emendamento.

PRESIDENTE osserva che in sede di coordinamento si potrà decidere sulla collocazione più idonea da dare all’articolo che, a suo avviso, dovrebbe essere collegato alla parte relativa alle questioni di diritto internazionale. Al concetto, già contenuto nell’articolo, di una autolimitazione della sovranità per l’organizzazione e la difesa della pace, aggiungerebbe quello di una eventuale autolimitazione ai fini della collaborazione tra le Nazioni.

Premesso che egli è favorevole all’idea degli Stati Uniti d’Europa, ritiene opportuno esprimere fin d’ora il concetto della collaborazione tra le Nazioni, affermando così un principio originale che non è compreso in nessuna delle Costituzioni moderne.

MORO ritiene che quanto propone l’onorevole Presidente sia già implicito nell’articolo dell’onorevole Dossetti.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che, in linea di principio, non è contrario alla proposta del Presidente, la quale rispecchia anche il suo pensiero. Osserva però che invertendo la costruzione della frase, vale a dire dicendo: «necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace», apparirebbe meglio il principio della collaborazione tra le Nazioni, giacché quando si parla di «organizzazione» si intende non semplicemente il fatto negativo dell’evitare le guerre, ma anche quello positivo di una collaborazione internazionale per il bene comune.

PRESIDENTE ritiene che, effettivamente, mettendo in primo luogo la difesa della pace, la formula sarebbe più rispondente al concetto da lui espresso. Ricorda che l’onorevole De Vita ha proposto di sostituire alla parola «Stato», la parola «Repubblica».

CARISTIA propone di fondere i due commi dell’articolo.

DOSSETTI, Relatore, è d’accordo.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo nella seguente formulazione:

«La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace».

(È approvato all’unanimità).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Basso, Mancini, Mastrojanni.

VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

43.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Mancini – Presidente – Togliatti – Cevolotto, Relatore – Grassi – Caristia – Lucifero – Mancini – Mastrojanni – Dossetti, Relatore – De Vita – Moro – Basso – Marchesi – La Pira.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

MANCINI dichiara che, se fosse stato presente nella seduta precedente, avrebbe votato a favore della proposta dell’onorevole Togliatti, nel senso cioè di specificare che lo Stato italiano è una repubblica democratica di lavoratori.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Togliatti nella precedente riunione aveva presentato la seguente proposta:

«La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo né davanti alle Assemblee legislative».

La formulazione di tale proposta, in relazione alle osservazioni di altri Commissari, è stata dallo stesso onorevole Togliatti così modificata:

«L’adozione della forma repubblicana è definitiva: né l’iniziativa popolare, né il voto delle Assemblee legislative possono metterla in discussione».

TOGLIATTI fa presente di aver ritenuto di modificare la sua primitiva proposta, i cui termini troppo recisi potevano forse essere interpretati nel senso che la propaganda dell’idea monarchica fosse da considerarsi come sovversiva. Pur non escludendo che nella legge si possa anche arrivare a questa affermazione, ha voluto cercare una formula meno drastica che esprimesse lo stesso concetto, escludendo in termini costituzionali la possibilità, per esempio, di indire un referendum sulla forma istituzionale dello Stato, senza condannare per questo la propaganda dell’idea monarchica come sovversiva.

CEVOLOTTO, Relatore, vorrebbe chiarito il significato delle parole: «iniziativa popolare».

GRASSI fa presente che il referendum è una proposta che le autorità dello Stato fanno al popolo perché esso dica se accetta o meno una determinata forma istituzionale, mentre l’iniziativa popolare è la facoltà del popolo di proporre direttamente una legge per rivedere la forma istituzionale dello Stato. Ritiene, però, che parlare di iniziativa popolare, quando ancora non si sa se questa sarà consentita nella Costituzione, sia una cosa tecnicamente e giuridicamente non opportuna.

CARISTIA è d’avviso che la proposta dell’onorevole Togliatti potrebbe avere un significato più preciso e più concreto, se collocata nella parte relativa ai modi di revisione della Costituzione. In Itale sede, crede, potrebbe anche stabilirsi un limite assoluto al potere di revisione della Costituzione, come è previsto in quella francese.

CEVOLOTTO, Relatore, ricorda che il concetto espresso dall’onorevole Caristia era contenuto in un suo ordine del giorno che è stato respinto.

LUCIFERO è del parere che ogni affermazione contenuta in una Costituzione sia definitiva senza bisogno di dirlo specificatamente. Tale definitività, però, è soltanto relativa, nel senso che ha valore fino al giorno in cui la volontà popolare, manifestata nelle forme legali, non intenda modificarla.

Osserva, poi, che se si adottasse la formula dell’onorevole Togliatti, anche la petizione alle Assemblee legislative (che, a suo avviso, rientra nell’iniziativa popolare) pure se presentata nelle forme previste dalla legge, costituirebbe un reato. Fa quindi rilevare che da un punto di vista giuridico, poiché le leggi, anche quelle costituzionali, sono il portato della coscienza generale in un determinato momento storico del Paese (coscienza che può variare a seconda delle contingenze), non sarebbe ammissibile sancire determinate norme fisse ed eterne in una Costituzione, nel senso cioè che non possano essere tangibili, nemmeno se le situazioni e i tempi rendessero necessario di trasformarle.

Tale concetto, oltre che antigiuridico, sarebbe anche assurdo, perché ciò che si vuole soffocare troverebbe egualmente il modo di esplodere e di affermarsi al di fuori delle normali procedure.

Dichiara, inoltre, di essere contrario alla formula dell’onorevole Togliatti per un altro motivo particolare. Premesso esser di avviso che, divenuto lo Stato repubblicano, i monarchici debbano diventare una disciplinata, civica massa inquadrata nelle nuove forme dello Stato, non crede però opportuno non tener conto di questa massa di oltre 10 milioni di cittadini, cui la suddetta formula potrebbe dare la sensazione che si vogliano prendere contro di essa atteggiamenti di ostracismo. Tale sensazione si acuirebbe, poi, maggiormente, se i monarchici venissero a conoscenza dell’intenzione dell’onorevole Togliatti di statuire, in sede di legislazione, che la propaganda dell’idea monarchica è un atto sovversivo che deve essere represso. Questa intenzione è assai grave, perché in uno Stato democratico ognuno dovrebbe essere libero di propagandare le sue idee nei termini consentiti dalla legge. D’altra parte, è risaputo che ogni persecuzione non costituisce altro che un lievito del pensiero, un incremento all’idea che la fa meglio fiorire. Pertanto, se si vuol fare una Costituzione non solo democraticamente, ma anche politicamente, concepita, la Sottocommissione dovrebbe respingere la proposta dell’onorevole Togliatti, che rappresenterebbe politicamente un assurdo, perché da un lato verrebbe a creare una maggiore divisione tra gli italiani, che si deve cercare invece di unificare, e dall’altro rafforzerebbe quell’idea che si vorrebbe soffocare.

TOGLIATTI precisa che, nel parlare della possibilità di una legge che riconoscesse come reato la propaganda monarchica, ha inteso alludere a particolari casi in cui gli elementi monarchici si mettessero sul terreno dell’organizzazione armata e del colpo di Stato. In questi casi ritiene legittimo, anche in un regime democratico, che lo Stato repubblicano cerchi di difendersi. Come ha già affermato nella precedente riunione, non vuole precludere assolutamente la strada al manifestarsi di un’opinione contraria, ma fissare un’àncora che politicamente ritiene necessaria e indispensabile per la stabilità del nuovo regime repubblicano, senza escludere la possibilità che nell’avvenire possa crearsi una situazione tale, per cui quest’àncora potrebbe divenire inservibile.

Costituzionalmente, l’articolo che ha proposto vuol significare una remora di più per una sua eventuale abrogazione, nel senso cioè che se in un domani vi fosse una maggioranza monarchica nel Parlamento, prima di poter proporre una riforma istituzionale, dovrà iniziare il procedimento per l’abrogazione di questo articolo, come del resto è avvenuto negli Stati Uniti per sopprimere il regime secco. Ricorda che anche nella Costituzione francese vi è un articolo di analogo contenuto, che dovrebbe essere abrogato prima di poter prendere in esame una proposta di mutamento costituzionale. La questione quindi, costituzionalmente, non è rilevante e non si presta affatto alle critiche mosse dall’onorevole Lucifero.

LUCIFERO non avrebbe alcuna difficoltà ad accettare una particolare procedura di revisione della Costituzione, specialmente nei riguardi della forma istituzionale, se si fosse accettato l’ordine del giorno proposto nella precedente seduta dall’onorevole Cevolotto, nel senso cioè di trattare la questione non nei principî generali, ma, come ha fatto la Costituzione francese, nel capitolo relativo alla revisione della Costituzione. Tiene a richiamare nuovamente l’attenzione dell’onorevole Togliatti e di tutta la Sottocommissione sulla reazione che un articolo di questo genere potrebbe portare in seno ad una notevole parte dell’opinione pubblica. Non avrebbe, invece, alcuna preoccupazione se si adottasse una formulazione sul genere di quella della Costituzione francese, mettendola nella sede appropriata. Dal punto di vista del diritto costituzionale, la questione non ha forse grande rilevanza, perché quando un convincimento è entrato nell’animo delle masse, lo consenta o meno la Costituzione, la volontà popolare trova sempre il modo di esprimersi e di farsi valere. La sua preoccupazione è, invece, di carattere politico per le reazioni che l’articolo provocherebbe in un notevolissimo settore del Paese, reazioni che potrebbero nuocere al consolidamento della nascente Repubblica.

CEVOLOTTO, Relatore, è d’avviso che l’ultimo testo proposto limiti molto l’estensione della norma, rendendo sempre più evidente la difficoltà di una formulazione non coordinata con le disposizioni relative alla revisione della Costituzione. Può essere d’accordo che l’iniziativa popolare non dovrà avere tale ampiezza da poter chiedere il mutamento della forma istituzionale dello Stato, però fa osservare che la Sottocommissione non sa ancora in che forme e in che limiti l’iniziativa popolare sarà concessa.

Potrebbe essere parimenti favorevole al divieto per le Assemblee legislative di deliberare sul mutamento della forma istituzionale, che, se sarà ammesso, dovrà essere circondato da eventuali garanzie, ma approvando fin d’ora tale divieto si rischia, a suo avviso, di fare un lavoro inutile, o almeno provvisorio, perché è probabile che nel capitolo relativo alla revisione della Costituzione si escluda la possibilità per le Assemblee legislative di poter intervenire con un voto immediato sulla questione istituzionale. L’articolo proposto, quindi, dovendo necessariamente essere coordinato con le norme che saranno stabilite per la revisione della Costituzione, ritarderebbe la presentazione all’Assemblea dei 75 del progetto di Costituzione, nella parte attinente alla Sottocommissione, fino a quando tutto il progetto non sarà terminato. Dato il risultato della votazione della precedente riunione, non vede però come sia possibile uscire dalla situazione.

MANCINI crede che si debba discutere ed approvare in questa sede l’articolo dell’onorevole Togliatti per ragioni politiche, giuridiche e di opportunità.

Per ragioni politiche, perché, avendo proclamato la Repubblica, la Costituzione deve essere repubblicana e, come tale, non può non contenere delle norme che rendano più difficile o impossibile un ritorno della monarchia. Per ragioni giuridiche, perché, contrariamente a quanto è stato affermato dall’onorevole Lucifero, le leggi non sono il prodotto spirituale della coscienza di tutto il popolo, ma della maggioranza. Ora quando tale maggioranza ha dimostrato di preferire una particolare forma politica, come quella che è stata ratificata dalle elezioni del 2 giugno, la legge deve intervenire perché la minoranza non contrasti con essa. Per ragioni di opportunità, infine, perché preoccupandosi delle reazioni che l’articolo potrebbe suscitare nell’animo dei monarchici, si cadrebbe in un altro errore, simile a quello in cui si è incorsi a proposito dell’amnistia. Ritiene infatti che in questo campo l’indulgenza sarebbe causa di pericolo per la Repubblica e per la democrazia, sia in relazione a certe manifestazioni criminali dei monarchici, sia perché la democrazia, che si identifica con la Repubblica, in tanto esiste in quanto sappia difendere se stessa.

L’articolo proposto dall’onorevole Togliatti risponde, quindi, a suoi avviso, ad un elementare sentimento di legittima difesa della Repubblica.

MASTROJANNI ritiene che la Repubblica, essendosi ormai affermata nella coscienza popolare, non debba temere gli assalti di alcuno, anche se sconsideratamente qualche fanatico può essere andato oltre quello che è il sentimento prevalente.

Dichiara, poi, di non potere accettare il concetto di democrazia, così come lo ha espresso l’onorevole Mancini, perché sarebbe in perfetto contrasto con lo stesso significato della parola democrazia. Se, come vorrebbe l’onorevole Mancini, non si ammettesse la possibilità di discutere sulla forma istituzionale, non si avrebbe più un regime repubblicano democratico, ma il più preoccupante regime assolutista. La democrazia, invece, è la libera espressione del pensiero di tutti, nei limiti consentiti dalla legge, per l’esercizio di quelle libertà originarie, imprescrittibili, sacre e inalienabili che sono state sancite nell’esordio della nuova Costituzione.

Condivide, invece, le osservazioni dell’onorevole Lucifero, che ha obiettivamente messo in luce la questione, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico.

Dal punto di vista giuridico, infatti, l’affermazione della immutabilità di una norma è antigiuridica per eccellenza, perché le leggi rispecchiano quella che è la morale prevalente nella coscienza popolare, che essendo, a sua volta, il risultato di concezioni e di situazioni oggettive, è suscettibile nel tempo di tutte le possibili variazioni e non può quindi ritenersi immutabile.

Dal punto di vista politico, non vi è dubbio che un’affermazione come quella dell’onorevole Togliatti, offenderebbe i sentimenti di una grande massa di cittadini, che hanno dimostrato di prediligere un’altra forma istituzionale.

In un momento in cui dovrebbe prevalere, nei confronti di questa tutt’altro che trascurabile massa di cittadini, il criterio della persuasione e della forza del ragionamento, sarebbe un atto politicamente inopportuno sancire solennemente nella Carta costituzionale la impossibilità, persino, di discutere sulla forma istituzionale, in relazione ad un eventuale diverso orientamento della coscienza popolare.

Concorda che la democrazia repubblicana debba difendersi, ma l’onorevole Mancini gli deve dare atto che nessuna istituzione, quali che siano le coercizioni, può logicamente affermarsi e sussistere se non risponde spontaneamente a quella che è la coscienza collettiva del popolo. Per ciò, la difesa della Repubblica italiana sta appunto nella coscienza del popolo italiano e se questa è matura, nulla vi sarà da temere. D’altra parte, ricorrendo a questa norma coercitiva, antigiuridica e anticostituzionale, si potrebbe ingenerare il dubbio che la Repubblica non risponda effettivamente alla coscienza popolare. Ritiene, invece, che la Repubblica italiana possa durare, se è effettivamente nella coscienza del popolo, e la forza materiale e spirituale di questa affermazione deve costituire la più efficace garanzia per escludere la possibilità di attentati contro la Repubblica.

Conclude condividendo in subordine l’opinione dell’onorevole Cevolotto, nel senso di demandare la questione alla seconda Sottocommissione che dovrà redigere un articolo relativo alla possibilità e alle modalità per poter addivenire alla revisione del testo costituzionale.

MANCINI obietta all’onorevole Mastrojanni che se nella coscienza del popolo esiste la difesa della Repubblica, tale difesa non può esprimersi che mediante una legge, in quanto democrazia significa libera espressione delle proprie idee, nei limiti però consentiti dalla legge, rappresentando il prodotto spirituale della maggioranza dei cittadini. Poiché attualmente la maggioranza è repubblicana, ha il dovere di difendere e consolidare la Repubblica con l’arma democratica più adatta, costituita appunto da una legge mirante ad impedire eventuali insidie da parte della minoranza.

BASSO esprime l’avviso che la discussione sia uscita fuori binario, trattandosi in sostanza di stabilire una norma la quale affermi che la forma repubblicana dello Stato non può essere modificata con quello che sarà il normale procedimento di revisione della Carta costituzionale, ma eventualmente con una procedura di secondo grado.

CARISTIA propone la chiusura della discussione generale.

(La proposta, messa ai voti, è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Dossetti e La Pira hanno presentato un ordine del giorno così formulato:

«La prima Sottocommissione delibera che la Costituzione debba dichiarare la definitività della forma repubblicana dello Stato e garantirla costituzionalmente. Rinvia alla seconda Sottocommissione l’elaborazione tecnica di questo principio».

Personalmente preferirebbe la seguente dizione:

«La prima Sottocommissione dichiara che la forma repubblicana è definitiva e deve essere garantita costituzionalmente, ecc.».

Rende noto che l’onorevole Togliatti accetterebbe l’ordine del giorno degli onorevoli Dossetti e La Pira, emendandone così la prima parte:

«La prima Sottocommissione delibera che la forma repubblicana è definitiva e che essa non può fare oggetto di una proposta di revisione della Costituzione».

Domanda agli onorevoli Dossetti e La Pira se accettano l’emendamento dell’onorevole Togliatti.

DOSSETTI, Relatore, nella sostanza, è d’accordo con l’onorevole Togliatti sulla necessità di affermare nella Costituzione la definitività della forma repubblicana, ed individuare il modo per escludere che essa possa essere messa in discussione. Quanto alla forma, però, si dichiara contrario ad affermare nella Costituzione che la forma repubblicana non possa in alcuna maniera formare oggetto di proposte di revisione, perché evidentemente si direbbe una cosa che giuridicamente non può essere accettata.

Ognuno sa quanto gli stiano a cuore certi principî fondamentali riguardanti i rapporti fra Stato e Chiesa; eppure, se venisse proposto, si dichiarerebbe egualmente contrario ad affermare nella Costituzione l’impossibilità di una loro revisione. Sancire perciò nella Costituzione che la forma repubblicana non può formare oggetto di una revisione, sarebbe un non senso, in quanto si verrebbe a sottolineare un atteggiamento di cristallizzazione anti-democratico. Si dichiara, invece, disposto a specificare quali attività debbano essere impedite, come per esempio l’iniziativa popolare, nel senso che non sia possibile che domani, in una città o in una regione, si attui un’iniziativa per mettere in discussione la forma repubblicana.

Data la concordanza di sostanza, se si dovesse venire ad una votazione, evidentemente sarà favorevole alla primitiva formula dell’onorevole Togliatti e, in caso estremo, alla nuova formula. Pregherebbe però l’onorevole Togliatti di rimettere effettivamente la determinazione tecnica delle garanzie sostanziali alla seconda Sottocommissione.

CARISTIA non vede niente di antigiuridico e di assurdo nella formula dell’onorevole Togliatti, il cui concetto è riportato più volte anche dalla stessa Costituzione francese e da altre Costituzioni. Giuridicamente, infatti, si può porre un limite ad un determinato potere, che nel caso in questione, è il potere di revisione.

DE VITA è perfettamente d’accordo con l’onorevole Caristia. Non si tratta di una immutabilità della legge, come ha sostenuto l’onorevole Mastrojanni, ma di porre il legislatore di fronte ad un limite, oltre il quale non può andare. Questo limite significherebbe, in sostanza, una procedura di secondo grado per la revisione della forma costituzionale dello Stato.

DOSSETTI, Relatore, ripete che è d’accordo sulla sostanza, ma è d’avviso che non corrisponda a uno spirito democratico l’escludere a priori la revisione della forma istituzionale.

Se per modificare la Costituzione che è ora in elaborazione, si richiedesse la convocazione di una nuova Assemblea costituente, evidentemente non si potrebbe disconoscere ad essa lo stesso potere che ha l’attuale Costituente. Per questo motivo una simile affermazione, anche se fornita di significato politico, non può ritenersi giuridicamente esatta.

TOGLIATTI ritiene che la questione sia stata posta giuridicamente dall’onorevole De Vita. La formula presentata è di compromesso, in quanto tiene a che su una deliberazione di questo genere vi sia la maggioranza.

DOSSETTI, Relatore, riafferma che la sua preoccupazione è che giuridicamente tale formula sia inesatta e antidemocratica.

MASTROJANNI osserva che l’onorevole Dossetti è sostanzialmente d’accordo sulla formula dell’onorevole Togliatti, ma si preoccupa di salvare la forma.

Gli sembra però che questo sistema non sia ortodosso, perché la forma e la sostanza debbono coerentemente non essere in contrasto e se si vuole che il popolo possa apprendere dalla sola lettura della Costituzione quello che essa vuol dire, si deve essere il più chiari possibile, senza usare eufemismi che sono da condannare in modo assoluto, perché antidemocratici. Perciò, se si vuole precludere ogni possibilità di revisione della forma istituzionale, si deve formalmente e sostanzialmente dirlo.

Circa l’esempio, portato dall’onorevole Caristia, di Costituzioni straniere, rivendica a Roma il diritto di insegnare, d’avere insegnato e di continuare a insegnare per il futuro quelli che sono i fondamenti del diritto.

CARISTIA obietta all’onorevole Mastrojanni che, a parte il rispetto per il diritto di Roma, che è comune a tutti, ha citato le altre Costituzioni soltanto a titolo di esemplificazione. Ad ogni modo, la disposizione dovrebbe essere collocata non nella sede in esame, ma in quella relativa ai modi di revisione della Costituzione.

MORO è del parere che in sede di Costituzione si debba far cenno alla definitività della forma istituzionale, ma fa rilevare che il problema della garanzia costituzionale della Repubblica è un problema complesso che va oltre la questione della revisione della Costituzione e di cui dovrà occuparsi la seconda Sottocommissione.

Ritiene, pertanto, opportuno limitarsi a sancire il principio che «l’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva», facendolo seguire da un ordine del giorno nel quale si affermi che: «La prima Commissione, avendo sancito il principio della definitiva adozione del regime repubblicano, rinvia alla seconda Sottocommissione per tutte le opportune garanzie costituzionali».

BASSO si dichiara contrario ad una affermazione generica che la forma repubblicana dello Stato è definitiva, inquantoché una norma del genere avrebbe carattere puramente pedagogico e potrebbe anche urtare una parte notevole dell’opinione pubblica. Sarebbe favorevole invece ad un’affermazione come quella proposta dall’onorevole Togliatti, la quale è veramente una norma avente valore eminentemente giuridico. In sostanza, si viene a porre il principio che una revisione in materia istituzionale non potrebbe essere proposta, se prima non sia stato soppresso questo articolo. La seconda Sottocommissione stabilirà poi le norme mediante le quali si possa addivenire alla revisione della Costituzione.

LUCIFERO non avrebbe alcuna difficoltà ad accettare il principio enunciato dall’onorevole Basso, cioè che, per determinate riforme costituzionali, si debba seguire una procedura speciale di secondo grado. Ma affermare che la forma repubblicana è definitiva gli sembra perfettamente inutile, sia perché la definitività, come ha già detto, deve sempre intendersi in modo relativo, sia perché la formula, che ha votato favorevolmente, ossia «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica», già afferma un concetto di per sé definitivo.

Dichiara, infine, di non aver difficoltà a rinviare alla seconda Sottocommissione la stesura delle speciali procedure alle quali dovrebbe essere sottoposta una eventuale pratica di revisione istituzionale.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà a favore della proposta dell’onorevole Togliatti, inquantoché ritiene anch’egli necessario che in questa materia si abbia una votazione di maggioranza. Sarebbe, invece, contrario a mettere nella Costituzione un principio isolato circa la definitività della forma repubblicana dello Stato, perché ciò potrebbe far supporre che vi sia alcuno che possa immaginare che la Repubblica è provvisoria.

PRESIDENTE ritiene anch’egli che affermare che la Repubblica è definitiva, oltre ad essere superfluo, sembrerebbe tradire quasi la preoccupazione che la Repubblica non fosse tale. Prega, pertanto, i colleghi di non volere insistere su una tale affermazione.

Sarebbe invece favorevole ad una formula che, senza ripetere quella francese, dicesse che effettivamente la forma repubblicana dello Stato si sottrae al procedimento normale di revisione della Costituzione.

All’onorevole Togliatti, che giustamente si preoccupa che su questa questione venga raggiunta una larga maggioranza, fa rilevare che se si insiste su certe formule, si rischierà di avere una maggioranza così debole da essere più pregiudizievole che non il passare sotto silenzio la questione.

Personalmente, proporrebbe due formule identiche nella sostanza, ma differenti nella forma, una come articolo e l’altra come ordine del giorno.

La prima è così formulata:

«La forma repubblicana dello Stato non è soggetta al normale procedimento di revisione della Costituzione».

La seconda è la seguente:

«La prima Sottocommissione delibera che la forma istituzionale dello Stato non debba essere soggetta al normale procedimento di revisione della Costituzione e rinvia per la formulazione definitiva alla seconda Sottocommissione».

Qualora la Commissione fosse d’accordo sul merito, dovrebbe stabilire se dare la preferenza all’articolo o all’ordine del giorno.

CEVOLOTTO, Relatore, non sarebbe favorevole ad esporre il concetto sotto forma di un articolo che, data la dizione proposta, potrebbe dare l’impressione che fosse proprio la Costituente ad indicare che con un procedimento straordinario si possono modificare le istituzioni repubblicane. Qualora il concetto venisse inserito e coordinato con gli articoli riguardanti la revisione della Costituzione, assumerebbe, invece, un altro aspetto e valore. Tuttavia, dichiara che se la Sottocommissione preferirà la forma dell’articolo, voterà favorevolmente.

PRESIDENTE osserva che, rendendosi interprete del disagio derivante dal fatto che non siano state ancora stabilite le forme di revisione della Costituzione, ha proposto lo stesso concetto anche come ordine del giorno.

MORO ritiene anch’egli che non sia il caso di formulare un articolo, poiché trattasi di una materia in cui la Sottocommissione non è competente.

È, pertanto, favorevole all’ordine del giorno.

TOGLIATTI dichiara invece di essere favorevole a definire la questione con un articolo, in quanto ritiene che la Commissione sia competente a decidere, rientrando nella sua specifica competenza tutto quanto attiene alla forma istituzionale dello Stato. Il coordinamento e la collocazione definitiva dell’articolo potranno successivamente essere effettuati in altra sede. Inserirebbe l’articolo proposto dal Presidente subito dopo la definizione: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica».

PRESIDENTE crede che un ordine del giorno raccoglierebbe più facilmente il consenso della grande maggioranza dei Commissari.

MASTROJANNI si dichiara contrario sia all’ordine del giorno che all’articolo, in quanto ritiene che non si possa alludere ad un procedimento non normale di revisione della Costituzione quando ancora non si conosce quale sarà quello normale. Di conseguenza, esprime il voto che la discussione sia rinviata a quando l’apposita Sottocommissione avrà stabilito i mezzi normali di revisione della Costituzione.

LUCIFERO si associa all’onorevole Mastrojanni. Si dichiara contrario all’articolo, perché non ritiene che la materia sia di competenza della prima Sottocommissione. Per quanto riguarda l’ordine del giorno, ripete che non sarebbe alieno ad una forma particolare di procedimento per determinate revisioni costituzionali, ma prima di potersi pronunciare, desidererebbe averne esatta conoscenza. Inoltre, data la sua forma vaga e negativa, non crede che tale ordine del giorno potrebbe riuscire di soddisfazione dei monarchici, dai cui voti è stato inviato alla Costituente. Per questi motivi è contrario all’ordine del giorno e all’articolo.

CARISTIA dichiara che voterà a favore dell’ordine del giorno, ritenendo che la norma dovrebbe essere rinviata al capitolo relativo ai modi di revisione della Costituzione.

MORO in relazione a quanto ha precedentemente affermato, domanda che sia messo ai voti il seguente articolo:

«L’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva».

Nel caso che fosse respinto, voterà l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI dichiara che voterà favorevolmente la proposta dell’onorevole Moro.

MANCINI afferma che voterà anch’egli favorevolmente la proposta dell’onorevole Moro, specialmente dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che la questione, così come è stata impostata, non lascia a tutti i repubblicani altra via che di votare a favore della proposta dell’onorevole Moro, perché essendo stata portata sul terreno politico, una votazione contraria implicherebbe necessariamente il sospetto che si nutra qualche riserva mentale sulla forma repubblicana.

Data questa impostazione, per quanto tutto il suo passato di repubblicano elimini ogni dubbio in proposito, voterà favorevolmente. Dichiara, però, che portare sul terreno politico una questione che avrebbe dovuto essere esclusivamente tecnica, è andare contro alla possibilità di fare una buona Costituzione.

MASTROJANNI si associa alle ultime considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione proposta dall’onorevole Moro.

(È approvata con 13 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la proposizione seguente, avvertendo che dovrà seguire a quella testé approvata: «e non può essere oggetto di normale procedimento di revisione della Costituzione».

(È approvata con 15 voti favorevoli e 2 contrari).

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di riservarsi di discutere in sede di Commissione plenaria sul collocamento di questo articolo e di proporre che venga inserito nella parte relativa alla revisione della Costituzione.

PRESIDENTE fa presente che vi è una proposta aggiuntiva dell’onorevole Togliatti, così formulata:

«I beni della Casa di Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

CEVOLOTTO, Relatore, prospetta due dubbi. Il primo è se la Costituzione sia il luogo adatto per includere una disposizione che gli sembrerebbe piuttosto oggetto di una legge speciale. Il secondo dubbio è di natura politica, in quanto mettendo una simile disposizione nella Costituzione, teme che si possa vedere in essa un’apparenza di persecuzione e di accanimento particolari contro la monarchia, dando così esca ad eventuali ed incresciose polemiche e fornendo i mezzi di propaganda all’azione della massa monarchica, di cui non si può disconoscere la notevole entità, come è stato dimostrato dal referendum istituzionale.

Per questi motivi, pur non avendo un pensiero preciso sulla questione, ha l’impressione che il collocamento della disposizione in questa sede non sia politicamente opportuno.

TOGLIATTI spiega che si tratta appunto di una misura di garanzia per eliminare gli strumenti della propaganda monarchica, che sono costituiti oggi dai beni della Corona.

Circa la votazione del 2 giugno, ricorda che essa ebbe luogo in particolari circostanze politiche per cui non può avere un valore assoluto il numero dei voti raggiunto dai monarchici. Ad ogni modo, appunto perché la Repubblica non ha ottenuto una maggioranza assoluta di voti, bisogna che si garantisca contro un ritorno della monarchia.

Ritiene, poi, che l’argomento possa far parte della Costituzione, dal momento che essa è la prima Costituzione repubblicana. Ricorda anche che in quasi tutte le Costituzioni repubblicane, sorte dopo la soppressione della monarchia, vi è un’altra norma, che si propone di presentare all’esame della Sottocommissione, relativa al divieto di residenza nel territorio della Repubblica per i membri della ex casa reale.

CEVOLOTTO, Relatore, è d’avviso che questa seconda norma possa essere accolta senza discussione.

MARCHESI rileva che moltissimi italiani, durante gli anni, non dirà della tirannia, ma della malavita fascista, pensavano che il popolo italiano, restituito alla libertà mediante la sua rappresentanza nazionale, non avrebbe esitato a mettere in stato di accusa la monarchia dei Savoia, non per ragioni ideologiche, ma soltanto per un atto di riparazione nazionale, in relazione alla complicità continua e necessaria che essa ha dato per più di 20 anni al fascismo. Probabilmente la nave che portava in Egitto l’ex re d’Italia, portava un uomo che in un Paese non occupato dai vincitori sarebbe stato dichiarato reo di delitto capitale. Ora non si domandano processi, ma crede che non si possa spingere la generosità fino al punto di riconoscere che i Savoia possano conservare i loro beni in una Nazione che hanno portata alla rovina.

LUCIFERO è contrario alla proposta dell’onorevole Togliatti per diversi motivi, tra i quali, in primo luogo, il fatto che la materia non può formare oggetto di una norma costituzionale, ma di una legge speciale, che sarebbe del resto assai discutibile, in quanto sancirebbe il principio che un cittadino possa essere spogliato dei suoi beni, senza che concorra una sentenza del magistrato. Per questa ragione ritiene che i beni privati di casa Savoia debbano restare di proprietà dei legittimi proprietari.

Senza entrare nella discussione delle osservazioni dell’onorevole Marchesi, non essendo questa la sede adatta, si rende interprete dei sentimenti di affetto e di devozione non solo suoi, ma anche di moltissimi italiani, verso la famiglia Savoia che ha reso innumerevoli servizi al Paese.

MASTROJANNI è anch’egli d’avviso che ogni decisione in ordine ai beni di casa Savoia debba formare oggetto di una legge speciale, ritenendo che la Costituzione non sia giuridicamente né politicamente adatta ed opportuna per affermazioni di tal genere.

MANCINI è favorevole alla proposta dell’onorevole Togliatti, oltre che per le ragioni addotte dal proponente, anche perché crede che i beni della famiglia dei Savoia siano beni usurpati, da considerarsi come profitti del regime monarchico.

PRESIDENTE desidera soltanto fare considerare che con l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti si porrebbe in essere una sanzione, la quale si giustificherebbe solo in seguito ad una sentenza. Inoltre non crede che il far deliberare dalla Costituzione una sanzione sia conforme al suo carattere, fondato su enunciazioni di diritto e su affermazioni di principio.

TOGLIATTI tiene a mettere in evidenza che non si è fatto luogo ad un processo e ad una sentenza capitale, unicamente per la preoccupazione di non turbare la pace politica del Paese. Ma non si deve, a suo avviso, da questo fatto trarre ingiustificate conseguenze giuridiche, nel senso che i Savoia, non essendo stati processati, non debbano perdere i loro beni, in relazione anche alle migliaia di cittadini che per loro colpa furono privati dei beni e della Patria.

PRESIDENTE osserva che rimane sempre impregiudicata la questione se, cioè, in una Costituzione convenga adottare una sanzione. D’altra parte, per quella nota di umanità che gli è consueta, non crede che sarebbe veramente una cosa umana privare una famiglia di beni che non possono considerarsi usurpati o come profitti di regime. Pertanto, anche per questa ragione, è contrario alla proposta dell’onorevole Togliatti.

LA PIRA può essere d’accordo con l’onorevole Togliatti nel senso che effettivamente qualche cosa bisogna togliere alla famiglia Savoia, ma gli sembra che vi sia una evidente sproporzione tra l’oggetto proprio della Costituzione e l’oggetto specifico della proposta in discussione. È del parere, quindi, che l’argomento della confisca dei beni di casa Savoia dovrebbe formare piuttosto oggetto di una legge speciale.

CEVOLOTTO, Relatore, insiste perché la materia relativa alla proposta dell’onorevole Togliatti sia rinviata ad una legge speciale.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare la proposta dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, condivide il dubbio dell’onorevole La Pira che vi sia una sproporzione tra l’oggetto proprio della Costituzione e l’oggetto specifico della proposta Togliatti. Ad ogni modo, se si giungerà ad una votazione, dichiara che voterà favorevolmente.

CEVOLOTTO, Relatore, propone il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione ritiene che la questione della confisca dei beni dei Savoia non faccia parte della materia costituzionale, pur affermando che essa dovrà essere risolta in senso positivo per mezzo di una legge speciale».

Gli sembra che tale formula sia chiara, esplicita e non dia luogo a possibilità di dubbi.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non essere favorevole alla dizione della prima parte dell’ordine del giorno Cevolotto, perché, pur essendo dell’avviso che l’argomento non debba far parte della Carta costituzionale, ritiene che possa rientrare nella competenza di quelle leggi costituzionali le quali dovranno porre in applicazione la Costituzione e che la Costituente dovrà approvare.

PRESIDENTE rileva che per eliminare il dubbio dell’onorevole Dossetti sarebbe sufficiente sostituire alle parole: «della materia costituzionale», le altre: «della Carta costituzionale».

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti.

GRASSI dichiara di votare contro, in quanto è favorevole all’ordine del giorno Cevolotto.

MORO domanda all’onorevole Togliatti se accetterebbe di sostituire la sua formula con la seguente: «La legge disporrà idonee misure per l’avocazione allo Stato dei beni dei Savoia». Con tale dizione sarebbero superate le difficoltà circa l’asserita incostituzionalità della materia, rinviando l’attuazione del principio alle leggi aggiuntive alla Costituzione.

TOGLIATTI accetterebbe, se la formula fosse più tassativa, vale a dire: «Verrà disposta con legge la confisca dei beni di casa Savoia».

MASTROJANNI rileva che evidentemente l’articolo avrebbe sempre sapore e carattere di sanzione. Pone in evidenza, però, che se si esamina la causale di questa sanzione nei confronti dei Savoia, causale che è di una tale vastità da rendere inutile qualsiasi accenno, emerge subito l’assoluta sproporzione tra di essa e l’effetto che si vuole raggiungere e che rimarrebbe limitato nel campo puramente economico. Gli sembra quindi che di fronte alla storia si farebbe una figura poco edificante.

TOGLIATTI risponde all’onorevole Mastrojanni che casa Savoia ha già avuto una prima sanzione del suo operato con il referendum ed una seconda sanzione dalla Costituzione repubblicana con le sue norme antimonarchiche.

PRESIDENTE rende noto che l’onorevole Moro propone un articolo così formulato:

«La legge disporrà per l’avocazione allo Stato dei beni di casa Savoia».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di mantenere il suo ordine del giorno per le ragioni precedentemente svolte.

TOGLIATTI dichiara di essere favorevole alla nuova dizione dell’onorevole Moro.

MASTROJANNI fa rilevare che con la formula dell’onorevole Moro si viene a dare un ordine al legislatore, perché metta in pratica un desiderio della Costituente. Il compito del legislatore è invece soltanto quello di tradurre in leggi i principî che saranno affermati nella Costituzione.

Per questa ragione prega il proponente di trovare un’altra formula che sia conforme alle esigenze di carattere costituzionale e giuridico.

MORO è dell’avviso che la legge, a cui ha fatto cenno, debba essere una legge aggiuntiva della Costituzione, quindi fatta dallo stesso organo sovrano, ossia dalla Costituente.

MASTROJANNI obietta che la Costituente è delegata a fare la Costituzione e non le leggi costituzionali, che sono di competenza del legislatore.

GRASSI dichiara che voterà contro l’articolo dell’onorevole Moro. Non c’è dubbio che la Costituzione possa deferire al legislatore incarichi speciali in determinati limiti, ma nel caso in discussione non si tratterebbe di stabilire i limiti di un principio costituzionale, ma di una questione sostanzialmente specifica. Ritiene perciò preferibile attenersi all’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

CARISTIA si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Grassi e dichiara che anch’egli voterà a favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Moro, in quanto intende mantenere il suo ordine del giorno.

LA PIRA dichiara che, per coerenza a quanto ha detto precedentemente, voterà contro l’articolo; voterà invece a favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE dichiara che, per le ragioni già esposte, voterà contro l’articolo.

Mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Moro:

«La legge disporrà l’avocazione allo Stato dei beni di casa di Savoia».

(È approvato con 9 voti favorevoli e 8 contrari).

Mette in discussione l’altro articolo proposto dall’onorevole Togliatti, così formulato:

«Ai membri della casa Savoia è proibita la residenza sul territorio della Repubblica».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’articolo in quanto lo ritiene inutile, dato che ormai è consuetudine che i membri delle famiglie reali, che hanno perduto il trono, risiedano fuori delle Nazioni sulle quali hanno regnato.

Ciò premesso, voler inserire un provvedimento del genere nella Costituzione, significherebbe dargli un carattere di odiosità che non farebbe altro che urtare la sensibilità di una notevole parte dell’opinione pubblica.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di votare a favore dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, in quanto lo ritiene, nella presente situazione storico-politica italiana, un provvedimento di difesa dell’ordine repubblicano.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

(È approvato con 14 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assente giustificato: Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

42.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Togliatti – Moro – La Pira – Basso – Grassi – Mastrojanni – Marchesi – Caristia – Lucifero – De Vita – Dossetti, Relatore – Amadei.

La seduta comincia alle 11.10.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE apre la discussione sui primi quattro articoli formulati dal Relatore onorevole Cevolotto, che si riferiscono alla definizione dello Stato italiano.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di aver formulato quattro succinti articoli, poiché si riserva di rinviare al preambolo alcune enunciazioni di carattere generale sulla materia. In particolare, nel primo articolo ha espresso il concetto che lo Stato italiano è una repubblica democratica; mentre nel secondo ha posto l’altro concetto che tutti i poteri spettano al popolo, che li esercita o delega secondo la Costituzione e le leggi.

Fa presente che la prima formulazione si trova in moltissime Costituzioni, e per tanto ritiene che debba essere inclusa anche nella Costituzione italiana; della seconda, invece, si potrebbe anche fare a meno, in quanto non viene specificato in che modo i poteri vengano esercitati dal popolo. Chiarisce ad ogni modo di avere messa la forma dell’esercizio diretto della democrazia, che può manifestarsi ad esempio mediante referendum, e la forma della delega che è quella normale della nomina dei rappresentanti.

PRESIDENTE pone in discussione il primo articolo proposto dall’onorevole Cevolotto, così formulato: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica».

TOGLIATTI propone che, in coerenza con gli articoli approvati in tema di lavoro, alle parole: «repubblica democratica» si aggiunga «di lavoratori». Fa presente che, per evitare equivoci, l’aggiunta potrà anche essere ampliata in: «lavoratori del braccio e della mente».

Avverte inoltre di aver presentato altri due emendamenti aggiuntivi all’articolo in esame. Il primo è il seguente: «La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo né davanti alle Assemblee legislative». Il secondo è così formulato: «I beni della Casa Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

PRESIDENTE pone in discussione il primo emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Togliatti, in base al quale il primo articolo risulterebbe così formulato: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica di lavoratori».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non opporsi alla proposta di emendamento dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE, pur riconoscendo il primato che spetta al lavoro nello Stato italiano, primato riconosciuto negli articoli cui ha fatto riferimento l’onorevole Togliatti, osserva che l’aggiunta proposta dice troppo e dice troppo poco, prestandosi ad interpretazioni equivoche. Per dare alle parole «di lavoratori» un significato preciso, bisognerebbe farla seguire da altre parole riproducenti alla lettera gli articoli nei quali si è già affermato che la Repubblica deve essere fondata sul lavoro, con le relative opportune specificazioni. Quanto all’altra aggiunta «del braccio e della mente», questa avrebbe per effetto una formulazione estremamente difettosa dell’articolo in discussione. Ritiene perciò preferibile la formula dell’onorevole Cevolotto.

MORO ritiene che tutti possano essere d’accordo sulla sostanza della proposta dell’onorevole Togliatti. Ad eliminare le preoccupazioni suscitate dall’espressione «repubblica democratica di lavoratori», propone che alla formula dell’onorevole Cevolotto si aggiunga l’articolo già approvato riguardante i rapporti economici: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta nelle organizzazioni economiche, sociali e politiche è il fondamento della democrazia italiana».

LA PIRA si associa alla proposta dell’onorevole Moro.

BASSO ritiene che le due proposte dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Moro si integrino a vicenda, e che pertanto l’articolo citato dall’onorevole Moro debba essere aggiunto alla formula dell’onorevole Cevolotto emendata secondo la proposta dell’onorevole Togliatti. Fa presente che, attraverso quell’articolo, il termine «lavoratori» rispecchia tutti coloro che esplicano un’attività sociale, ed è quindi escluso il timore di interpretazioni arbitrarie.

GRASSI si dichiara favorevole alla formula dell’onorevole Cevolotto e contrario alla specificazione proposta dall’onorevole Togliatti. Ricorda che fin dai tempi di Aristotele si è affermato che le forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, democrazia. Ritiene che aggiungere una specificazione al termine «democrazia» non sia compito della Commissione e non risponda alla realtà della vita politica.

MASTROJANNI si associa alle considerazioni dell’onorevole Grassi, aggiungendo che il lavoro come fondamento della democrazia è già stato oggetto di particolare considerazione da parte della Sottocommissione e che inserire, dopo la definizione dello Stato, un concetto particolaristico costituirebbe un errore anche dal punto di vista dell’estetica della Costituzione.

MARCHESI fa osservare all’onorevole Grassi, il quale si è riferito a una definizione aristotelica dei diversi tipi di reggimenti politici, che anche gli antichi affermavano che le tre forme di governo citate recavano in sé i germi della degenerazione; e la storia ha dimostrato che esse si sono pervertite nel corso degli avvenimenti. D’altra parte, la parola «democrazia» è seriamente compromessa dalla documentazione storica dei significati che le sono stati attribuiti, ed è ormai una parola svuotata di contenuto. Se si ricorda che il movimento fascista fu favorito in larga parte da correnti che si dicevano democratiche, si capisce quale differenza vi sia tra la democrazia fittizia e la vera democrazia cui oggi aspira l’Italia. Tutti riconoscono inoltre che il lavoro, fattore vecchio dello sfruttamento umano, è invece nuovo e imponente nell’organizzazione politica e sociale della vita pubblica, e la stessa Commissione lo ha affermato nella formulazione dei suoi articoli. Pertanto, va approvata l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, la quale non intende per lavoratori soltanto quelli del braccio, ma tutti coloro che convertono la propria attività individuale in un’attività sociale. La parola «lavoratori», che poteva destare sospetti e avversioni mezzo secolo fa, oggi, dopo quanto è avvenuto, non può significare altro che il cittadino nella più alta espressione della propria attività.

Conclude dichiarando di associarsi alla proposta dell’onorevole Basso.

CARISTIA ritiene che, contrariamente a quanto hai affermato l’onorevole Marchesi, la democrazia possa anche oggi avere il suo significato, specialmente se incrementata e perfezionata in modo da poter veramente significare governo del popolo e per il popolo. Democrazia significa lotta pacifica e civile tra i partiti, rispetto delle minoranze, possibilità di controllo su tutte le manifestazioni delle amministrazioni dello Stato e del potere esecutivo in genere: compiti fondamentali in qualsiasi tipo di democrazia. Che la democrazia degeneri è un fatto umano, questo non esclude che essa si possa riprendere; né va escluso che alla nuova democrazia debbano concorrere le forze del lavoro.

Ritiene però che detti concetti vadano inseriti nel preambolo e che per l’articolo in esame debba essere mantenuta la formulazione scheletrica proposta dal Relatore onorevole Cevolotto.

LA PIRA riconosce che oggi esistono effettivamente due tipi di democrazia: una limitata al campo politico, derivata dai principi liberali del 1789, ed una estesa al campo dell’economia. Questo nuovo tipo di democrazia deve essere specificato ed affermato, come del resto ha già fatto la Sottocommissione approvando gli articoli in tema di lavoro. Se sono giuste le osservazioni dell’onorevole Caristia, ha anche ragione l’onorevole Marchesi di preoccuparsi che il concetto di democrazia venga specificato in rapporto alla situazione attuale. Ritiene pertanto che si debba accogliere la proposta dell’onorevole Moro, che mira ad integrare il concetto di democrazia contenuto nella formula dell’onorevole Cevolotto, estendendolo al campo economico, con l’aggiunta dell’articolo già approvato in sede di rapporti economici.

BASSO fa osservare che, né da parte comunista né da parte socialista, si è negato il principio democratico, ma si è soltanto detto che esso deve essere specificato secondo le nuove esigenze. Che la forma di democrazia, scaturita dalla Rivoluzione francese, fosse già in crisi prima della guerra 1915-18, è una constatazione fatta non soltanto da scrittori socialisti, ma da studiosi appartenenti a tutte le correnti politiche.

Ora il dire che lo Stato italiano è una Repubblica democratica non specifica nulla nei riguardi delle trasformazioni che il concetto di democrazia ha subìto nel corso degli ultimi 150 anni. Invece l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti afferma un nuovo tipo di democrazia che ha per fondamento il lavoro nelle sue diverse manifestazioni, e sostituisce alla democrazia a base individualistica una democrazia di lavoratori, intendendo per lavoratore colui che converte la sua attività patrimoniale, intellettuale o manuale in un bene sociale. Tale esigenza è talmente sentita da essere non soltanto l’espressione del pensiero socialista, anche di altre correnti politiche italiane quali ad esempio, quelle rappresentate da impartito che ha sentito la necessità, di denominarsi: partito democratico del lavoro.

Conclude affermando che l’articolo, per essere costituito armonicamente in tutti i suoi concetti, deve risultare dalla formula dell’onorevole Cevolotto, integrata dalla specificazione «di lavoratori» proposta dall’onorevole Togliatti, nonché dall’aggiunta, proposta dall’onorevole Moro, dell’articolo approvato in sede di rapporti economici.

GRASSI replica all’onorevole Basso che quello che cambia non è tanto il concetto di democrazia quanto il contenuto della democrazia stessa: le forme della democrazia mutano secondo le fasi storiche e secondo la partecipazione del popolo alla vita politica, ma la democrazia rimane sempre.

Si dichiara favorevole a che la Costituzione stabilisca che il lavoro partecipa in pieno alla democrazia italiana; è contrario invece alla dizione «repubblica di lavoratori», perché essa fa sorgere il sospetto che si parli di una repubblica classista, e non più di una repubblica democratica per tutto il popolo.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Basso che dagli studiosi cui egli ha accennato non sempre è denunziata la crisi profonda della democrazia, perché ve ne sono di quelli che validamente la difendono e l’apprezzano.

MASTROJANNI rileva che, per integrare il concetto di democrazia, bisogna tener conto di tutti gli elementi di cui il concetto stesso si era venuto svuotando negli ultimi tempi. Uno solo di tali elementi è stato identificato: il lavoro. Ma ve ne sono altri di cui si dovrebbe tener conto nella formula perché il ripristino del concetto di democrazia sia integrale: quelli che si riferiscono alla libertà di tutti gli individui, al riconoscimento delle necessità dell’esistenza. La Costituzione non può dare la preferenza ad alcuni fattori soltanto, ma deve riconoscerli tutti. Quando si identifica nella Costituzione, la Repubblica italiana solo attraverso la concezione del lavoro, si viene a trascurare quanto non può essere compreso in questa vasta ed essenziale categoria. Ora egli non ritiene opportuno ed equo che non si dia asilo nella Repubblica democratica italiana a coloro che, per ipotesi, potessero essere considerati non appartenenti alla grande categoria dei lavoratori. Il vero concetto di democrazia è: asilo per tutti, tolleranza per tutti. Invece, completando il concetto di repubblica democratica con la precisazione proposta dall’onorevole Togliatti, encomiabile di per se stessa, ma inopportuna per le sue conseguenze, si verrebbe a fare una repubblica classista.

MORO osserva che tutti concordano sulla necessità della specificazione «Repubblica democratica», ma non ci si può nascondere che l’indicazione proposta dall’onorevole Togliatti potrebbe apparire alla pubblica opinione come una affermazione di una particolare ideologia, di uno speciale partito.

Domanda perciò all’onorevole Togliatti se egli accetterebbe una definizione più oggettiva della Repubblica, aggiungendo alla formula dell’onorevole Cevolotto le parole: «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale». Potrebbe poi seguire – come ha già proposto – un capoverso riproducente l’articolo già approvato dalla Sottocommissione in materia di rapporti economici.

TOGLIATTI fa presente che la formula da lui proposta risponde esattamente agli articoli sul lavoro approvati dalla Commissione, il primo dei quali diceva che: «Il lavoro… è il fondamento della democrazia italiana». Con questo il concetto di democrazia veniva collegato col concetto di lavoro; onde la formulazione già approvata dalla Sottocommissione troverebbe la sua espressione giuridica più concisa nel termine «Repubblica democratica di lavoratori», che non restringe il concetto di democrazia, ma specifica quale è il contenuto sociale della democrazia stessa. Né può intendersi, come ha affermato l’onorevole Mastrojanni, che si vogliano escludere dalla vita del Paese certe categorie di cittadini, perché negli articoli successivi viene specificato in che senso è inteso il dovere del lavoro.

Ricorda l’invito da parte della Commissione plenaria ad usare formule il più possibilmente costituzionali e giuridiche; ora la dizione che egli ha proposto risponde a questa esigenza, riassumendo in una formula costituzionale la sostanza dei concetti espressi anche negli articoli successivi.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Togliatti il suo parere in merito alle proposte dell’onorevole Moro.

TOGLIATTI dichiara di accettare soltanto la prima proposta, di inserire cioè, subito dopo la formula che egli ha presentato, il capoverso già approvato in tema di rapporti economici.

MARCHESI fa osservare che, se la formula proposta dall’onorevole Togliatti dovesse essere limitata alle parole «è una repubblica democratica di lavoratori» si giustificherebbero le preoccupazioni che sono state manifestate. Ma, poiché a queste parole si propone di far seguire, come esplicazione, l’articolo sul lavoro già approvato dalla Sottocommissione, non ci sarà più dubbio per nessuno che non si tratta di una repubblica socialista, ma di una repubblica fondata su quei principî che la Sottocommissione stessa ha già approvati.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che, qualora si aggiunga all’articolo da lui proposto l’articolo già approvato, si rende più che mai necessaria l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, altrimenti non si avrebbe ragione di aggiungere il capoverso stesso, e si dovrebbe lasciarlo dove è presentemente collocato.

Poiché ritiene utile di specificare di che genere di repubblica si intenda parlare, ed accoglie l’emendamento proposto dall’onorevole. Togliatti, aggiuntivo delle parole «di lavoratori», è favorevole a che il testo dell’articolo sul lavoro venga trasportato a questo punto come capoverso.

PRESIDENTE mette ai voti la formula originaria dell’onorevole Cevolotto: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica».

(È approvata all’unanimità).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti di aggiungere le parole «di lavoratori».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’aggiunta, non perché ritenga che lo Stato italiano non sia uno Stato di lavoratori, ma perché questa aggiunta potrebbe dare alla Costituzione stessa un carattere classista.

DE VITA dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti, in quanto ritiene che qualunque aggiunta alle parole: «è una repubblica democratica», non possa essere se non una specificazione unilaterale.

CARISTIA dichiara che voterà contro la proposta aggiuntiva dell’onorevole Togliatti, ritenendola inopportuna.

MORO dichiara che voterà a favore della formula proposta dall’onorevole Togliatti, tenendo conto dei chiarimenti dati alla proposta stessa dall’onorevole Marchesi e con la speranza che essa venga costantemente interpretata in avvenire nel modo con cui l’ha interpretata l’onorevole Marchesi.

LA PIRA dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti per le ragioni già espresse, e perché il concetto è già consacrato negli articoli che seguono, particolarmente in quello cui ha fatto cenno l’onorevole Moro.

 

GRASSI dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti, poiché tiene che essa verrebbe a dare alla Costituzione un carattere classista.

PRESIDENTE, confermando quanto ha già precedentemente osservato in merito, alla proposta dell’onorevole Togliatti, dichiara che voterà contro.

Mette ai voti la proposta.

(È respinta con 8 voti contrari e 7 favorevoli).

LA PIRA dichiara di far sua la proposta dell’onorevole Moro, tendente ad aggiungere alle parole: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica» le altre «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale».

BASSO dichiara che si asterrà dal votare tale proposta.

GRASSI propone che sia espresso il voto che l’Ufficio di Presidenza, in sede di coordinamento, tenga presente la possibilità di coordinare l’articolo testé approvato con l’altro approvato a suo tempo in materia di rapporti di lavoro, e modificato dal Comitato di coordinamento.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Grassi, poiché ognuno deve assumere in questa sede la sua responsabilità. Nel caso specifico tiene a dichiarare che voterà contro qualunque aggiunta alle parole «Lo Stato italiano è una repubblica democratica», poiché ritiene che qualunque aggettivazione della parola «democratica» significhi dare alla Costituzione un valore programmatico, e questo è contro ai suoi principî, in quanto la Costituzione deve essere aperta a tutte le tendenze, di qualunque tipo, purché oneste.

CARISTIA dichiara che voterà contro la proposta La Pira per le stesse ragioni già espresse prima.

PRESIDENTE dichiara che voterà contro l’aggiunta proposta, perché lo stesso concetto può meglio esprimersi e trovare più adatto collocamento in un capò verso.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro, associandosi pienamente alle considerazioni già espresse dall’onorevole Lucifero.

MORO dichiara di ritenere opportuno trovare una formula intermedia, che possa essere accettata da tutti, e prega l’onorevole La Pira di non insistere nel ripresentare come sua una proposta dall’oratore già precedentemente ritirata.

LA PIRA dichiara di non insistere.

MORO ritiene che non debba essere adottato come capoverso il testo dell’articolo nella formula coordinata, ma quello originariamente votato dalla prima Sottocommissione.

LUCIFERO concorda.

PRESIDENTE ricorda che il testo dell’articolo approvato dalla Sottocommissione era così formulato: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

Questo articolo, in sede di coordinamento, fu tramutato nel seguente: «La Repubblica democratica italiana ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

Comunica che l’onorevole Moro propone che come capoverso dell’articolo in discussione sia adottato il testo dell’articolo originariamente approvato dalla Sottocommissione.

GRASSI fa osservare che sono stati deferiti al Comitato di coordinamento dei poteri, per cui questo Comitato ha formulato un articolo in un determinato testo; quindi, non si può ora adottare un testo nuovo. Ritiene che la Commissione possa soltanto esprimere il voto che l’articolo proposto come capoverso venga connesso con l’altro già formulato dal Comitato di coordinamento.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con quanto ha esposto l’onorevole Grassi circa la questione pregiudiziale da lui posta. Fa osservare che il Comitato di coordinamento ha proceduto alla formulazione di un articolo del tutto nuovo. D’altra parte, non poteva procedere ad un coordinamento, in quanto non esisteva un articolo della terza Sottocommissione che corrispondesse a quello formulato dalla prima. Ritiene però che, così agendo, il Comitato stesso abbia esorbitato dalle sue attribuzioni, poiché ha modificato un articolo già approvato da una Sottocommissione.

Non riconosce al Comitato di coordinamento, nominato con un compito specifico, il diritto di modificare una deliberazione presa a maggioranza da una Sottocommissione, delibazione che potrà essere eventualmente modificata soltanto in sede di Commissione plenaria.

Per queste ragioni si dichiara favorevole alla proposta dell’onorevole Moro, cioè che, come capoverso, si mantenga l’articolo nel testo formulato dalla prima Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare all’onorevole Lucifero che la terza Sottocommissione, pur non avendo formulato un articolo corrispondente, aveva però trattato lo stesso tema dei diritti economici del lavoro, di competenza comune delle due Sottocommissioni. Il Comitato di coordinamento non doveva soltanto discutere sugli articoli che erano stati formulati dalla prima e dalla terza Sottocommissione, ma anche coordinare tutto il lavoro ed occuparsi della formulazione definitive di tutta la materia. Quindi se i Commissari della terza Sottocommissione, ai quali bisogna riconoscere una competenza anche in questa materia, hanno richiesto delle modificazioni agli articoli che erano stati formulati dalla prima Sottocommissione, avevano tutto il diritto di farlo e il Comitato di coordinamento, nell’accedere a questo desiderio, non ha esorbitato dal compito assegnatogli.

Non ritiene che oggi la Sottocommissione possa ritornare al testo originario dell’articolo: essa deve servirsi del testo coordinato per aggiungere un capoverso all’articolo in esame, ed egli non ha nulla in contrario ad accedere a questa soluzione. Propone pertanto che all’articolo da lui formulato, il quale dice: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica», venga aggiunto un capoverso formulato nel modo seguente:

«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

LUCIFERO replica all’onorevole Cevolotto che il Comitato di coordinamento ha profondamente modificato il senso dell’articolo formulato dalla prima Sottocommissione, e con ciò è andato al di là delle funzioni ad esso attribuite.

MORO fa rilevare che la Sottocommissione non sta facendo un coordinamento e neppure uno spostamento di collocazione di una formula da una parte all’altra della Costituzione, nel quale caso si troverebbe impegnata da quanto è stato deciso in sede di coordinamento. Essa sta elaborando un nuovo articolo, nel quale ritiene necessario definire la sostanza della democrazia italiana, e a questo scopo può servirsi liberamente della formula che le sembra più conveniente. Pertanto, insiste perché venga adottata la formula originaria da lui proposta.

PRESIDENTE mette anzitutto ai voti il capoverso secondo la formula proposta dall’onorevole Moro, che è del seguente tenore:

«Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà contro questa aggiunta, perché è favorevole alla formulazione espressa dal Comitato di coordinamento.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di votare a favore del capoverso aggiuntivo proposto dall’onorevole Moro. Dichiara altresì che se fosse stato presente alla votazione della prima parte dell’articolo, avrebbe votato a favore della formula proposta dall’onorevole Togliatti, che cioè la Repubblica italiana è una repubblica di lavoratori.

LUCIFERO dichiara di votare a favore della formula aggiuntiva, che è quella originariamente proposta dalla prima Sottocommissione, perché, pur essendo contrario al suo contenuto, ritiene che si debba mantenere la formula deliberata dalla maggioranza della prima Sottocommissione e che il comitato di coordinamento non abbia il diritto è la facoltà di introdurre modifiche sostanziali a quanto la maggioranza della prima Sottocommissione ha deliberato.

CARISTIA dichiara di votare contro, perché ritiene inopportuno il capoverso aggiuntivo.

MASTROJANN1 dichiara di votare contro l’aggiunta, perché la ritiene inopportuna in questa sede.

(Il capoverso aggiuntivo proposto dall’onorevole Moro è respinto con 8 voti contrari, 7 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso aggiuntivo nella formulazione approvata dal comitato di coordinamento, che è la seguente:

«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

MORO dichiara di votare a favore di questa aggiunta, perché la ritiene indispensabile come un chiarimento alla prima parte dell’articolo già approvato.

LUCIFERO dichiara che voterà contro il capo verso aggiuntivo, in quanto esso rappresenta una formulazione nuova di cui egli non condivide il contenuto.

GRASSI dichiara che voterà a favore della formula aggiuntiva in quanto, avendo fatto parte del comitato di coordinamento, ha già votato a favore di questa formula in quella sede.

MASTROJANNI dichiara di votare contro la formula, perché, pur concordando col suo contenuto, ritiene che essa debba restare al posto assegnatole in un primo tempo.

AMADEI dichiara di votare a favore della formula, perché esprime lo stesso concetto contenuto nella proposta dell’onorevole Togliatti.

(Il capoverso aggiuntivo è approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari).

 

PRESIDENTE mette ai voti l’intero articolo così formulato:

«Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

(L’intero articolo è approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari).

Pone in discussione il secondo degli articoli proposti dall’onorevole Cevolotto così formulato:

«Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la Costituzione e le leggi».

Comunica che l’onorevole Togliatti ha presentato i seguenti due emendamenti aggiuntivi dell’articolo stesso:

«1°) La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo, né davanti alle Assemblee legislative;

«2°) I beni della casa Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

Apre la discussione sul primo di questi emendamenti aggiuntivi.

LUCIFERO osserva che con questa formula si giungerebbe a stabilire dei vincoli alla sovranità popolare. Il popolo si è data la forma repubblicana e, finché vuole tale forma, è giusto che essa sia mantenuta. Se domani però la maggioranza dei cittadini si orientasse in un senso diverso circa la forma istituzionale dello Stato, il popolo ha tutto il diritto di poterla cambiare. Dichiara di ritenere che qualunque limitazione alla sovranità popolare sia contraria alla democrazia.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che la formula proposta dall’onorevole Togliatti non contrasta la possibilità dell’esplicazione della volontà popolare, ma mira soltanto ad impedire che si possa modificare la forma istituzionale dello Stato senza modificare la Costituzione, e che la forma istituzionale dello Stato possa essere messa in discussione, per esempio sotto la forma del referendum.

Osserva però che la formula è superflua perché, se vuole ovviare al pericolo che si chieda in qualunque momento un referendum che implichi una modificazione della forma repubblicana assunta dallo Stato, lo svolgimento di questo referendum è già reso impossibile dalla Costituzione che si sta facendo. Parimenti superflua essa è se si vuol dire semplicemente che una modificazione della forma repubblicana non può avvenire se non attraverso quelle forme che la Costituzione detterà per la modificazione della Costituzione stessa.

D’altra parte, sarebbe non solo fuori di luogo, ma inutile, cercare di impedire che, anche nelle forme previste per la revisione della Costituzione, si potesse eventualmente chiedere, ove ci fosse una maggioranza che lo pretendesse, di modificare la forma istituzionale dello Stato. Ritiene, quindi, che l’emendamento proposto dall’onorevole Togliatti esprima la lodevole intenzione di dare una sicurezza alla forma repubblicana dello Stato, ma in realtà nulla aggiunga e nulla tolga a quello che nella Costituzione sarà previsto.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Togliatti se, in base alla formula da lui proposta, dovrebbe essere considerato come reato un articolo di giornale che discutesse la forma repubblicana dello Stato.

TOGLIATTI dichiara che l’aggiunta da lui presentata si propone di ancorare lo Stato italiano alla forma repubblicana. Tale formula ha una funzione storica e politica di notevole valore.

Ritiene giuridicamente non esatta l’osservazione dell’onorevole Lucifero, che con questa aggiunta si verrebbe a limitare la sovranità popolare; perché è proprio la sovranità popolare che ha scelto la forma istituzionale dello Stato e l’ha decisa per l’avvenire. Fa presente d’altra parte che l’ultima Costituzione della Repubblica francese contiene un articolo, il 95, il quale dice pressappoco quanto è detto nella formula da lui proposta, e cioè che la forma repubblicana dello Stato non può formare oggetto di revisione.

Rispondendo infine al Presidente, chiarisce che l’affermare che la forma repubblicana non può essere messa in discussione davanti al popolo e davanti alle Assemblee legislative, vuol dire che costituzionalmente la forma repubblicana diventa la forma permanente dello Stato italiano, ma non vuol dire certamente che sia un reato discutere la forma repubblicana dello Stato e dichiararsi monarchici. Questa, se mai, è una questione che riguarda la legislazione penale.

PRESIDENTE fa presente di aver posto la domanda solo perché il pensiero espresso nella formula risultasse chiaro.

TOGLIATTI dichiara di ritenere che la sua formula non possa prestarsi all’interpretazione cui aveva accennato il Presidente con la sua domanda. Questo in esame è un articolo di Costituzione, non un articolo di Codice penale. Se in un articolo di Codice penale venisse fatta la stessa affermazione e poi seguissero le sanzioni, allora si potrebbe pensare che il contrastarvi costituisca un reato. Ma il dire nella Costituzione che la forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo, né davanti alle Assemblee legislative, non può voler significare altro, se non che non si può ripetere una consultazione popolare per decidere se lo Stato debba assumere la forma repubblicana o la forma monarchica, e che non si può nemmeno riproporre una tale questione davanti alle Assemblee legislative. Conclude ripetendo che la formula da lui proposta risponde all’esigenza di ancorare lo Stato italiano alla forma repubblicana, anche per evitare motivi di dissenso e di discordia che potrebbero sorgere in seno alle masse.

GRASSI fa osservare all’onorevole Togliatti che, mentre la formula della Costituzione francese è chiara, quella da lui proposta si presta alla interpretazione cui ha accennato il Presidente, e si risolve in un bavaglio imposto all’opinione pubblica italiana, contravvenendo ai più elementari principî della democrazia.

Ritiene che, o la Repubblica è fondata sulla convinzione generale, oppure non sarà certamente la Costituzione a mantenerla con le sue dichiarazioni. Un’affermazione come quella proposta dall’onorevole Togliatti sarebbe pericolosa, perché darebbe al Paese la possibilità di dover ricorrere all’insurrezione qualora si formasse in Italia una situazione la quale permettesse una restaurazione monarchica. Si dichiara perciò contrario all’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, aggiungendo che potrebbe accedere alla norma contenuta nell’articolo 95 della Costituzione francese, ma formulata altrimenti.

MASTROJANNI dichiara di essere contrario all’aggiunta dell’onorevole Togliatti, e di dissentire anche dalle considerazioni dall’onorevole Cevolotto sull’argomento. Ritiene che la formula precluda ogni possibilità alle aspirazioni di una massa di italiani, i quali sarebbero costretti a ricorrere alla violenza. Per evitare ciò si deve restare in pieno regime democratico, rispettando quelle libertà di pensiero, di coscienza, di stampa che sono state affermate come diritti inalienabili e imprescrittibili del cittadino. Una Costituzione può affermare delle realtà storiche, ma non può impegnare per l’avvenire l’evoluzione del pensiero. In un regime democratico deve essere consentito, in qualsiasi momento, di portare sulla ribalta della vita politica e sulla scena della storia quella che oggi potrebbe sembrare un’affermazione apodittica.

DE VITA si dichiara d’accordo sullo spirito della proposta dell’onorevole Togliatti, in cui non vede alcuna limitazione della sovranità popolare. Ritiene che in regime repubblicano possano essere lecite alcune attività se mantenute entro determinati limiti, ma altre attività le quali superano questi limiti, possono essere benissimo considerate come attentati all’ordine costituito. Ritiene quindi che debba essere approvata una proposta come quella Togliatti, la quale tende effettivamente a rafforzare quest’ordine costituito che è l’ordine repubblicano.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Togliatti ha emendato la sua formula in questo senso:

«La forma repubblicana dello Stato non può essere oggetto di proposta di revisione costituzionale».

DOSSETTI, Relatore, propone una breve sospensione della seduta per dare ai Commissari la possibilità di riflettere su una norma la cui portata può provocare dissensi, pur essendo tutti d’accordo nei riguardi dell’obiettivo finale che è quello di consolidare definitivamente la Repubblica.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti propone la seguente formula sostitutiva di quella proposta dall’onorevole Togliatti:

«La forma repubblicana è definitiva. Né l’iniziativa popolare né il voto dell’Assemblea legislativa possono metterla in discussione».

CEVOLOTTO, Relatore, per mozione d’ordine, dichiara di ritenere che, così come è nella Costituzione francese, la questione in esame debba avere il suo collocamento non in questa sede, ma là dove si tratta del modo di modificare o di rivedere la Carta costituzionale. Propone quindi che la questione venga demandata alla seconda Sottocommissione, pregando questa di farne oggetto di una deliberazione.

MORO si dichiara contrario alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto perché, avendo la prima Sottocommissione fissato la forma dello Stato, con il dichiarare che la forma dello Stato italiano è quella repubblicana democratica, ha il diritto di dire che questa forma è definitiva.

GRASSI si dichiara favorevole alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto, perché alla prima Sottocommissione spetta solo di affermare qual è la forma dello Stato italiano, e non di stabilire se il tipo di Costituzione debba essere rigido o flessibile.

DE VITA si dichiara contrario alla mozione dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE fa presente che la Costituzione francese colloca la questione in esame in un capitolo speciale dove si parla della revisione della Costituzione.

Ritiene che la questione della revisione della Costituzione sia di tale gravità e di carattere così generale da costituire il compito non già di una delle tre Sottocommissioni, ma dell’Assemblea Plenaria. Spetterà a questa di decidere circa la rigidità o flessibilità della Carta Costituzionale.

MORO fa presente che il problema in esame è soprattutto politico, perché ci si trova di fronte ad una istituzione repubblicana di recente creata in Italia, mentre ancora sussistono forze politiche disorganizzate, le quali alimentano le speranze di alcuni strati del popolo in un ritorno monarchico, sfruttandone la ingenuità.

Queste forze pensano che sia possibile il ritorno del re in Italia, e che ciò possa avvenire attraverso una decisione popolare o una semplice maggioranza conseguita nelle Assemblee parlamentari. La Sottocommissione deve preoccuparsi di questa situazione, e affermare una norma che dica al popolo italiano che vi è una sanzione sovrana che non può essere messa in discussione. Tale norma può trovare la sua più opportuna espressione in una formula che non si preoccupi troppo della revisione della Costituzione, ma delle speranze che vengono alimentate nell’ingenuità popolare e che costituiscono un pericolo per la stabilità dell’ordine costituito in Italia.

TOGLIATTI si dichiara contrario alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto per i motivi esposti dall’onorevole Moro. Afferma che non si tratta in questa sede di preparare o di escludere la revisione del regime repubblicano, ma di risolvere un problema che esiste nel Paese, introducendo un motivo di pacificazione politica.

MASTROJANNI si dichiara favorevole alla mozione proposta dall’onorevole Cevolotto ed illustrata dall’onorevole Grassi, osservando che le ragioni addotte dall’onorevole Moro non sono convincenti. Contesta all’onorevole Moro il diritto di definire ingenuo il popolo italiano, classificando come ingenuo un sentimento radicato nel suo animo.

Fa presente inoltre che il problema se la Costituzione debba essere rigida o flessibile esula dalla competenza della Sottocommissione, e che l’affermazione con la quale si vorrebbe togliere al popolo la possibilità di ritornare su altre posizioni, non risponde ai principî delle libertà che con tanta solennità sono stati più volte affermati in questa Costituzione.

DE VITA ripete che la formula proposta dall’onorevole Togliatti non significa diminuzione della sovranità popolare. Un articolo del genere, inserito nella Costituzione, ha il significato che finché esso vige, nella Costituzione non può essere posta in discussione la forma istituzionale dello Stato. È chiaro, però, che l’articolo della Costituzione può essere modificato attraverso i modi di revisione previsti.

PRESIDENTE mette ai voti la mozione d’ordine presentata dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara che voterà a favore di tale mozione.

DOSSETTI dichiara di associarsi alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Moro.

(La mozione dell’onorevole Cevolotto è respinta con 6 voti favorevoli, 8 contrari e 1 astenuto).

LUCIFERO propone che, stante l’ora tarda, la seduta venga rinviata.

TOGLIATTI osserva che, dovendosi soltanto procedere ad una votazione, è opportuno continuare la seduta.

LUCIFERO obietta che non si tratta di votare, puramente e semplicemente, ma di fare una discussione sul merito della proposta avanzata dall’onorevole Togliatti.

MARCHESI propone che la questione del rinvio o meno della seduta venga messa ai voti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinviare alla seduta di domani la discussione sul merito della proposta dell’onorevole Togliatti.

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

La seduta termina alle 13.20.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Mancini e Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

41.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – La Pira – Togliatti – Mastrojanni – Merlin Umberto – Basso.

La seduta comincia alle 11.

Discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE ricorda che, come si era in precedenza stabilito, la presente riunione deve essere dedicata ad un riassunto quanto più conciso possibile delle relazioni degli onorevoli Cevolotto e Dossetti.

Dà la parola al primo Relatore onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore, non crede che occorra riassumere la sua relazione, perché in essa sono esposti concetti alla portata di tutti. Quello che gli importa è di porre in evidenza i punti di convergenza e di divergenza tra le sue proposte e quelle dell’onorevole Dossetti. Per la parte che si riferisce allo Stato alcuni punti di divergenza sono più che altro formali, in quanto, mentre nella sua formulazione ha cercato di ridurre al minimo gli articoli, in quella dell’onorevole Dossetti si è abbondato in affermazioni come quella dell’articolo 1, di carattere teorico, o filosofico-morali. È questa una questione di metodo e di impostazione, su cui crede sarà facile trovare un punto di intesa.

Rileva in particolare che nella prima parte l’onorevole Dossetti ha innestato questioni che dovrebbero invece essere trattate nella seconda parte, cioè in quella relativa alla libertà di culto e alle relazioni tra Chiesa e Stato, come nell’articolo 4 che tratta del riconoscimento da parte dello Stato dell’ordinamento della Chiesa, e nell’articolo 6 nel quale si stabilisce che le norme di diritto internazionale, come gli accordi attualmente in vigore tra lo Stato e la Chiesa, fanno parte dell’ordinamento dello Stato. Secondo questo ultimo articolo, il principio affermato dallo stesso oratore, che le norme di diritto internazionale universalmente riconosciute possono far parte del diritto interno dello Stato, viene ad essere esteso anche agli accordi tra lo Stato e la Chiesa, che invece hanno piuttosto carattere di convenzioni particolari tra due Stati. In relazione a tali convenzioni particolari, sorge quindi il problema se esse possano essere richiamate nella Costituzione come facenti parte del diritto interno dello Stato italiano. Questa affermazione viene maggiormente accentuata dal successivo articolo 7, nel quale si fa un esplicito richiamo agli Accordi del Laterano, che rimangono confermati non solo come base del diritto nelle relazioni tra Stato e Chiesa, ma anche come riaffermazione del principio contenuto nell’articolo 1 del Trattato Lateranense, che la religione cattolica è la religione dello Stato.

Da quanto ha esposto discendono due punti sostanziali di divergenza con l’onorevole Dossetti, sui quali molto probabilmente non tenterà nemmeno di giungere ad un accordo e su cui forse si discuterà meno di quello che potrebbe credersi, perché le rispettive posizioni sono state chiarite già tante volte che nessuno potrà pensare di poter addurre nuovi argomenti per convincere la parte avversa.

Non ha richiamato nelle sue proposte il principio che la religione cattolica è la religione dello Stato, che era sancito nell’articolo 1 dello Statuto Albertino, ma che l’evoluzione del diritto costituzionale in Italia aveva messo in realtà in desuetudine. Ricorda a tale proposito una monografia dello Jemolo che, subito dopo la prima guerra mondiale, sosteneva che il suddetto articolo era stato addirittura abrogato da leggi posteriori in contrasto con il principio in esso contenuto. Lo Stato italiano, quindi, da confessionale si era messo sulla strada di divenire aconfessionale, quando è intervenuto il Trattato del Laterano, che ha rimesso in vita l’articolo 1 dello Statuto Albertino.

Si domanda a questo proposito se nel fare la nuova Costituzione si è o meno vincolati da questo Trattato. Personalmente ritiene che un trattato, sia pure di carattere internazionale, non possa vincolare l’Assemblea costituente.

Tiene poi a precisare che l’omissione del principio di cui sopra non è stata motivata dall’intento di rinviare la questione in sede di discussione di trattati, ma perché, riferendosi il Trattato Lateranense all’articolo 1 dello Statuto Albertino, per il fatto stesso che la nuova Costituzione non contenesse più la enunciazione dell’articolo 1 dello Statuto medesimo, il richiamo del Trattato Lateranense non avrebbe più una base e verrebbe automaticamente a cadere.

A suo avviso, la Costituzione dovrebbe essere quella di uno Stato aconfessionale, sia nella forma che nella sostanza, sull’esempio della Costituzione francese, che pure è stata deliberata da una Assemblea nella quale il partito popolare aveva una parte notevole. Di proposito non parla di Stato laico, potendosi a questa definizione dare, per ragioni quasi storiche, un significato di anticlericalismo, al quale si dichiara invece assolutamente contrario. In primo luogo, perciò, non bisognerebbe ripetere l’articolo 1 del Trattato del Laterano. In questo campo è profondamente diviso dall’onorevole Dossetti e reputa che l’accordo non potrà essere raggiunto. È convinto, infatti, che se si ripetesse il concetto di quell’articolo, si verrebbe di nuovo a creare uno Stato confessionale, anche se si ammettessero poi tutte le possibili disposizioni sulla libertà di culto e di propaganda per le altre religioni. La sua posizione parte, invece, dal principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle minoranze. Se si ammette questo principio essenziale della libertà umana, cioè il diritto delle minoranze, si deve logicamente venire alla conclusione che tale diritto è uguale a quello delle maggioranze e quindi la regolamentazione giuridica deve essere per ambedue fondamentalmente la stessa. Riconosce che la regolamentazione amministrativa nei riguardi della religione cattolica dovrà essere diversa da quella per altre religioni, perché incide su fenomeni di portata diversa, ma ciò non toglie che il principio costituzionale debba essere eguale per tutti. Inoltre, creando uno Stato confessionale, si dovrebbero poi lamentare le stesse conseguenze che si sono già avute nel passato. Cita due casi in particolare. Il Codice penale – che è posteriore al Trattato del Laterano – regola negli articoli 402 e seguenti i reati contro la religione dello Stato, fissando le relative pene. Nell’articolo 406 si prevede però che per i delitti contro i culti ammessi, tali pene possano essere diminuite. Questa norma può essere giusta finché la religione dello Stato ha una sua particolare preminenza, ma non è giusta, e non deve essere tale, secondo i suoi principî, se tutte le religioni devono avere diritto di uguaglianza di trattamento.

Il secondo caso, che desidera citare, riguarda una sentenza della magistratura, la quale, nell’assolvere per mancanza di dolo un sacerdote accusato di aver strappato ad un ministro valdese e fatto bruciare delle Bibbie di traduzione protestante, afferma chiaramente che i diritti di propaganda degli altri culti devono essere considerati sotto il riflesso che vi è una religione preminente delle Stato. Ora lo Stato non è una persona fisica che possa avere una o l’altra religione e quindi la religione dello Stato non può avere altro significato che quello dello Stato confessionale. Allora, qualunque sia la libertà che si vuole dare agli altri culti, per quanto larghi si voglia essere nelle concessioni, vi sarà sempre il presupposto della religione predominante di Stato, alla luce della quale soltanto dovrà essere interpretata la libertà garantita alle altre religioni.

Per questo motivo, se per caso la Costituzione dovesse – per volere della maggioranza – ammettere il principio della religione di Stato come posizione di ripiego, gli articoli che stabiliscono la garanzia e la libertà dei vari culti ammessi, dovrebbero essere molto più ampliati di quello che in origine egli aveva ideato.

Passa quindi ad un altro punto di dissenso, vale a dire al richiamo che nella formulazione dell’onorevole Dossetti è stato fatto al Concordato e in genere ai Patti Lateranensi.

Rileva innanzi tutto che si deve ammettere la possibilità di modificare, sia pure senza volerli denunciare, il Trattato del Laterano e il Concordato per quanto riguarda certe statuizioni che non possono essere più ammesse. Il suo partito non soltanto non può consentire che siano richiamati nella Costituzione né il Trattato né il Concordato, né l’affermazione che essi rimangono in vigore, dovendo a questo provvedere il Governo in sede di relazioni internazionali, ma non può neanche lasciare immutato il Concordato stesso. A parte la questione dell’insegnamento religioso nelle scuole che sarà oggetto di discussione successiva; a parte la rinunzia di sovranità rappresentata dal fatto che lo Stato italiano abbia abdicato a una delle sue maggiori funzioni, cioè a decidere sulle cause relative al matrimonio, vi è una questione a cui, a suo avviso, si dovrà per forza provvedere ed è quella relativa all’articolo 5 del Concordato, affinché non si possa ripetere che un cittadino, per il solo fatto di essere stato privato dell’abito talare, non possa essere assunto, né conservato in un insegnamento, in un ufficio o impiego, nei quali sia a contatto col pubblico. Non ha nessuna simpatia per i preti spretati, ma quando si tratta di uomini dell’altezza morale di un Buonaiuti o della scienza di un Bertrando Spaventa, non può assolutamente ammettere che siano messi al bando della società.

Riassumendo, due sono i punti di maggiore disaccordo: cioè, la riaffermazione del principio dell’articolo 1 del Trattato Lateranense ed il richiamo alle norme del Concordato. Crede che, a prescindere da questi due punti, in tutto il resto sia facile trovare un punto di intesa, trattandosi di questioni più di forma che di sostanza.

DOSSETTI, Relatore, non crede che sia il caso di rispondere punto per punto alle osservazioni particolari fatte dall’onorevole Cevolotto, per quanto le sue argomentazioni siano tutte abbastanza discutibili. Enuncia semplicemente il principio fondamentale al quale si è ispirata la sua articolazione, che è volutamente più esplicita e più esauriente di quella dell’onorevole Cevolotto, in quanto contempla la libera esplicazione della vita religiosa interiore ed esteriore, le manifestazioni individuali ed associate della fede, l’esercizio del culto sia pubblico che privato. I democristiani in questo campo sono stati coerenti con la tesi basilare alla quale hanno ispirato ogni loro presa di posizione in ordine ai vari problemi della Costituzione, vale a dire al riconoscimento di quella che è la realtà sociale. Per questo motivo, esplicitamente, nella maniera più decisa e nella convinzione di rispecchiare un pensiero genuinamente cristiano, nella dizione proposta affermano il riconoscimento di questa pluralità della vita religiosa. Anche se come cattolici si riservano un giudizio di valore in ordine alla vera religione, come riconoscimento costituzionale non hanno alcuna riserva in ordine al pluralismo delle varie religioni. Ritiene che, sia l’onorevole Cevolotto, che tutti i fautori della libertà di coscienza e di culto, dovrebbero sentirsi tranquillizzati da questa dichiarazione.

Passando al problema fondamentale delle relazioni con la Chiesa cattolica, reputa che, pur restando fermo il principio dell’eguaglianza e della libertà religiosa di tutti i cittadini, non si possa negare che la Chiesa cattolica, si pone di fronte allo Stato in generale, e in particolare in Italia, come una realtà sociale evidentemente molto diversa dai fenomeni religiosi che si concretano in altre confessioni e in altre associazioni religiose. Non è soltanto un problema della parità di diritti di maggioranze o di minoranze, a cui alludeva l’onorevole Cevolotto, ma si tratta di una realtà che l’uomo politico non può assolutamente ignorare, il fatto cioè che la Chiesa cattolica è veramente una istituzione con tutti i caratteri e tutte le funzioni fondamentali di un ordinamento giuridico autonomo, vale a dire le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria.

Questo stato di fatto è non solo un dato politico, che per gli italiani ha un particolare significato, ma è anche un dato scientifico dal quale non si può assolutamente prescindere. I più illustri e moderni cultori del diritto italiano e straniero, cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, hanno infatti riconosciuto che l’ordinamento canonico è l’esempio tipico e più caratteristico di un ordinamento giuridico, non riconducibile nell’ordinamento dello Stato. Dunque, indipendentemente da un giudizio di valore religioso, non può negarsi di essere di fronte a questo fenomeno della Chiesa che è un ordinamento giuridico originario, non riducibile all’ordinamento dello Stato, avendo una sfera di competenza propria in cui esso si esprime con assoluta libertà di movimento.

Quando l’ordinamento dello Stato entra in contatto con questo ordinamento giuridico, non può comportarsi come se fosse di fronte ad altre forme embrionali che non sono ancora arrivate a consolidarsi, ma deve invece porsi sullo stesso piano di relazioni come quando si trovi in contatto con l’ordinamento giuridico di altri Stati e con quello internazionale. Da questa constatazione discende la conseguenza giuridica e politica che i rapporti tra Chiesa e Stato non possono essere regolati unilateralmente per un atto diretto di una delle due parti, ma soltanto attraverso un atto bilaterale, che sia il reciproco riconoscimento della originarietà autonoma dei due ordinamenti. Nel momento in cui la Chiesa da una parte e lo Stato dall’altra presumessero di regolare questi rapporti unilateralmente, cesserebbe ogni distinzione tra i due ordinamenti e si avrebbe o la teocrazia o il giurisdizionalismo.

Pertanto, se si vuole affermare il principio della distinzione dei due ordinamenti, evidentemente si deve riconoscere in entrambi il carattere di originarietà e la necessità di accordi bilaterali.

Questa premessa teorica non incide, a suo avviso, sul giudizio di valore nei riguardi della Chiesa cattolica, perché ammette la possibilità che quando lo Stato si trovi nei confronti di un altro culto nella stessa situazione in cui si trova con la Chiesa cattolica (cioè di un’istituzione con un proprio ordinamento giuridico) possa entrare in contatto anche con ossa attraverso un atto bilaterale, come del resto è previsto in alcune Costituzioni.

In Italia, in particolare, stima che si debba tenere conto del fattore politico, nel senso cioè di ammettete che la Chiesa cattolica rappresenta un fenomeno che non può essere messo su un piano di parità di fatto, restando fermo il principio della parità di diritto nei confronti delle altre religioni.

Ripete che se si ammettesse che attraverso la Costituente si possa incidere su quello che è stato un regolamento bilaterale di rapporti, si verrebbe a distruggere la distinzione tra i due ordinamenti, annullando quel principio di libertà che si vuole affermare.

Circa l’obiezione che il Concordato contenga principî che alla coscienza di taluno possono essere totalmente o parzialmente estranei, rileva che nulla impedisce che lo Stato chieda alla Chiesa di modificare determinate disposizioni del Concordato.

Per riassumere, crede che due siano i pilastri da mettere come fondamento dell’edificio che si vuole costruire. Da un lato il principio della libertà piena, completa delle diverse confessioni religiose; dall’altro il principio della necessaria bilateralità della disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sul primo ritiene già raggiunto l’accordo, in quanto da parte democristiana, che poteva essere sospettata di elevare delle difficoltà, si è riconosciuto che non vi è alcuna difficoltà. Sul secondo principio deve invece raggiungersi l’accordo, e si augura che possa, dal seguito della discussione, trovarsi una soluzione.

Conclude affermando che, se si giungesse ad un riconoscimento pieno del principio fondamentale della distinzione dei due ordinamenti, per tutto il resto sarebbe facile trovare un punto di intesa.

PRESIDENTE apre la discussione generale.

CEVOLOTTO, Relatore, precisa che la sua proposta di non fare menzione nella Costituzione dei rapporti tra Stato e Chiesa, non impedisce che il Governo regoli e continui a regolare con un Concordato le sue relazioni con la Chiesa, essendo anche quella in vigore una convenzione che potrà durare – attraverso opportune modificazioni parziali – fino a quando una delle due parti non reputi opportuno di denunziarla.

LA PIRA, riassunti i punti di divergenza, si dichiara favorevole incondizionatamente ai concetti esposti dall’onorevole Dossetti.

Tralasciando le questioni particolari, che potranno essere risolte in sede di revisione di Concordato, si pone la domanda se si possa disconoscere l’esistenza di quell’ordinamento giuridico originario rappresentato dall’ordinamento giuridico canonico. Se esiste questo ordinamento giuridico originario, che è essenziale nella struttura del Cattolicesimo, lo Stato, nel disciplinare costituzionalmente i suoi rapporti, non può non tener conto della sua esistenza. Quindi il problema preliminare è quello di pronunziarsi sulla esistenza di tale ordinamento giuridico.

Il secondo problema è quello di sapere attraverso quale lente debba essere guardato il fenomeno della Chiesa cattolica. A suo modo di vedere, esistono due diverse lenti: una illuminista e l’altra anti-illuminista. La lente illuminista è una lente dissociante, per la quale la religione è un fatto privato, interiore della coscienza, che, come tale, non ha alcuna rilevanza costituzionale nella società e quindi nello Stato. La lente anti-illuminista è invece di concretezza storica, che potrebbe quasi definire di aperto materialismo storico, secondo la quale la religione non è un fatto puramente privato e interiore di coscienza, ma è anche un fatto associativo, come è dimostrato dallo stesso nome del cattolicesimo: Ecclesia.

Ora, se si riconosce che la Chiesa cattolica è essenzialmente una società rilevante per la struttura sociale e per quella dello Stato, ne viene come conseguenza che deve avere un suo ordinamento giuridico, da cui lo Stato non può prescindere.

Premessa la necessità che l’ordinamento dello Stato deve riflettere la struttura reale della società in tutti i suoi elementi, se si abbandona la mentalità illuminista e si guarda la realtà con l’occhio della concretezza storica, gli pare logico affermare che nella Costituzione dello Stato deve essere rispecchiato anche l’ordinamento della Chiesa cattolica. Si dichiara convinto che nel futuro, quando a poco a poco si sarà perduta la mentalità illuminista, nessuno Stato potrà prescindere dal rispecchiare nella sua Costituzione l’ordinamento della Chiesa.

Conclude dichiarando di aderire alla tesi dell’onorevole Dossetti, non soltanto come credente, ma in quanto si sarebbe in contraddizione con la realtà sociale se si volesse fare una Costituzione moderna sulla base delle vecchie concezioni illuministe, sorte dalla riforma protestante.

Su tutte le altre questioni ritiene che possano trovarsi punti di intesa, ma due pilastri – ripete – desidera siano affermati; libertà religiosa per tutti; rapporti bilaterali fra i due ordinamenti originari della Chiesa e dello Stato.

TOGLIATTI riconosce che il problema è di difficile soluzione. La Sottocommissione si trova di fronte ad uno stato di fatto costituito dai Patti Lateranensi e ad una esigenza di principio relativa all’indipendenza dello Stato dalla Chiesa e quindi della completa libertà di coscienza e di culto.

Circa lo stato di fatto, premessa l’indissolubilità del Trattato e del Concordato, ritiene che nessun partito abbia l’intenzione di volerlo modificare, annullando i due suddetti atti. Per quanto riguarda l’esigenza di principio, non può trascurarsi che essa è in contraddizione con alcune affermazioni dei suddetti patti, specialmente nei riguardi della parità di diritto di tutti i culti (e quindi di tutte le chiese di fronte allo Stato), la quale dovrebbe tradursi in una parità di fatto, che invece non può aversi, in quanto esiste il Concordato.

Si domanda come sia possibile uscire da questa contraddizione senza da un lato dare motivo ad una lotta politica nel Paese, e dall’altro essere obbligati a inserire nella Costituzione dei principî che contrastino con la sua coscienza civile e giuridica. Crede che la soluzione si potrebbe trovare in una formula da studiarsi di comune accordo, nella quale si riconoscesse essenzialmente l’indipendenza della Chiesa dallo Stato, enumerando specificatamente quali sono i suoi diritti. Personalmente sarebbe però contrario ad inserire nella Costituzione un simile principio di carattere generale che troverebbe una sede più adatta e opportuna in un trattato di diritto pubblico o di filosofia.

Dichiara, poi, di non comprendere il significato del riconoscimento dell’ordinamento primario giuridico degli altri Stati e della Chiesa. A suo avviso, una affermazione di questo genere sarebbe priva di contenuto concreto sia politico che costituzionale, perché è come se si volesse riconoscere che tutti gli Stati sono in sostanza degli Stati con parità di diritti.

Tutto considerato, non sarebbe contrario ad inserire nella Costituzione un articolo in cui si dica che la Chiesa cattolica, che corrisponde alla fede religiosa della maggioranza degli italiani, regola i suoi rapporti con lo Stato per mezzo dell’esistente Concordato. Una formulazione di questo genere reputa che potrebbe essere di gradimento dei democristiani.

DOSSETTI, Relatore, non starà a dimostrare, per quanto facile, il contrasto che lo divide dall’onorevole Togliatti, ma si limita a fargli osservare che proponendo di dichiarare nella Costituzione l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa e della Chiesa dallo Stato, senza volerlo, richiama in vita una formula che già una volta ha garrito sull’orizzonte italiano: «Libera Chiesa in libero Stato». Senza entrare nel merito di questa formula, mette in evidenza che da parte democristiana si tiene piuttosto ad affermare l’originarietà dei due ordinamenti, da cui deriva naturalmente l’indipendenza dell’uno e dell’altro potere nel campo di competenza proprio a ciascuno. Questo principio è assolutamente pacifico ed è dimostrato da tutta la dottrina degli ultimi decenni, dalla enciclica Immortale Dei di Leone XIII, fino ai pensatori più recenti. Però, se nella Costituzione si affermasse solo che lo Stato è indipendente dalla Chiesa e viceversa, crede che non si sarebbe detto niente per garantire da un lato l’indipendenza della Chiesa e dall’altro la indipendenza dello Stato, contro tutte le possibili rispettive invasioni, che in pratica si sono sempre verificate. Dichiara perciò di non potere accettare tale formula, anche se teoricamente esprime dei concetti che i democristiani potrebbero condividere. Bisognerebbe quindi, a suo avviso, usare una formula nuova nella quale si affermasse in primo luogo il riconoscimento della originarietà dei due ordinamenti giuridici per mettere in evidenza il concetto della irriducibilità di un potere all’altro – su cui anche l’onorevole Togliatti è d’accordo – ed in secondo luogo i modi concreti con cui si regolano i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

Ritiene inoltre inutile, superfluo e praticamente vano il tentativo di un’elencazione dei diritti della Chiesa che da un lato potrebbe essere incompleta, e dall’altro costituirebbe una elencazione di attività esteriori, senza tener conto di quella che è la realtà interna e strutturale della Chiesa stessa.

Se l’onorevole Togliatti ritiene di proporre che nella Costituzione sia affermato nettamente il principio dell’indipendenza rispettiva dei due poteri, troverà i democristiani pienamente concordi, purché si aggiunga il concetto che questi due distinti poteri, che hanno ciascuno una sfera ben definita di rapporti e di competenza, entrano in contatto attraverso quel determinato ordinamento concreto costituito dai Patti Lateranensi. Questa precisazione non contrasta né in linea di diritto, né in linea di fatto, con il riconoscimento della libertà degli altri culti perché, come ha detto precedentemente, ove si presentasse un’altra Chiesa che avesse non soltanto la base e il numero dei credenti della Chiesa cattolica, ma anche la sua struttura e il suo ordinamento giuridico, lo Stato dovrebbe fare un concordato anche con questa Chiesa.

MASTROJANNI osserva che la formula proposta dall’onorevole Dossetti gli fa sorgere serie preoccupazioni. Ritiene che l’intento dell’onorevole Dossetti nell’affermare che lo Stato si riconosca membro della comunità internazionale, sia quello di arrivare al riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, attraverso il riconoscimento di tale comunità internazionale.

Poiché secondo le concezioni del suo partito sarebbe felicissimo se si addivenisse agli Stati Uniti di Europa e anche di altri continenti, non avrebbe nulla da obiettare alla formula dell’articolo 4, proposto dall’onorevole Dossetti: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

Gli sembra però inopportuno che sia proprio l’Italia a incominciare a rinunciare alla sua autonomia di Stato per riconoscersi parte della comunità internazionale, con la conseguenza di considerare come relativa la sua autorità statale e come invece preminente quella della sua funzione di partecipe della comunità internazionale. Da un punto di vista etico e giuridico in ordine alla concezione dello Stato, non crede di potere accettare questa formulazione, secondo la quale, sullo stesso piede, la Chiesa e lo Stato, come Stati diversi, sono egualmente partecipi della comunità internazionale.

La Chiesa, a differenza degli Stati, poiché, i suoi ordinamenti si estendono in tutto il mondo cattolico, dovrebbe esercitare la sua sovranità e l’esercizio dei suoi diritti non solo nello Stato italiano, ma in tutti gli Stati cattolici del mondo. La proposta contenuta nell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti sarebbe accettabile solo se da parte degli altri Stati appartenenti al mondo cattolico venisse fatto alla Chiesa quel riconoscimento che si propone debba fare lo Stato italiano.

Può essere d’accordo sull’ultimo comma dell’articolo 7, in quanto, essendo le funzioni della Chiesa e dello Stato separate, ed anche diverse, è logico che le rispettive relazioni siano regolate da un concordato, ma non vede per quale motivo si dovrebbe fare un’affermazione come quella contenuta nell’articolo 4, a meno che non si voglia ratificare una situazione di fatto e di diritto già esistente, che cioè la Chiesa e lo Stato hanno ciascuno un proprio ordinamento naturale. In conseguenza della coesistenza contemporanea in Italia di due ordinamenti giuridici egualmente indipendenti, i relativi rapporti, identificandosi con quelli di due diversi Stati, è chiaro che debbano essere regolati da un concordato, come previsto dall’ultimo comma dell’articolo 7, ma, ripete, non vede la ragione dell’affermazione dell’articolo 4.

DOSSETTI, Relatore, osserva all’onorevole Mastrojanni che, riconoscendo che i rapporti tra Chiesa e Stato debbano essere regolati dagli Accordi Lateranensi, cioè da un atto di diritto esterno e non di diritto interno, si viene a riconoscere alla Chiesa anche una personalità giuridica di diritto internazionale. Poiché i rapporti tra Chiesa e Stato si sviluppano su un piano che è di diritto esterno, con l’articolo 4 ha inteso precisamente affermare il principio che lo Stato riconosce gli ordinamenti giuridici esterni, cioè: l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa cattolica. Una volta che l’onorevole Mastrojanni ha dichiarato di accettare l’ultimo comma dell’articolo 7, non vede il motivo della sua preoccupazione, a meno che non sia contrario al riconoscimento che verrebbe dato da parte dello Stato alla comunità internazionale. Ma questo riconoscimento, a suo giudizio, è indispensabile, se non si vuole mettersi al di fuori del diritto internazionale.

Indipendentemente dal diritto internazionale positivo, vi sono, infatti, norme di diritto internazionale generale, come quelle relative al diritto di guerra o al diritto di navigazione, che debbono essere riconosciute per il semplice fatto che anche l’Italia fa parte della comunità internazionale.

Premesso che in questa affermazione la sua posizione, anche se espressa in altri termini, è perfettamente analoga a quella dell’onorevole Cevolotto, precisa che la sua formula rappresenta l’adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale. Gli sembra che in questo momento il non riconoscere la necessità di questa partecipazione alla comunità internazionale sarebbe andare contro a quella solidarietà internazionale che si vuole riedificare. Una volta ammessa tale necessità, l’affermazione relativa al riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa non è che un’applicazione specifica dello stesso principio, in relazione alla quale l’onorevole Mastrojanni non dovrebbe avere alcuna esitazione, dal momento che ha dichiarato di accettare il concetto contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 7.

MASTROJANNI dichiara di non essere soddisfatto dei chiarimenti, perché non vede la necessità di giungere alle conclusioni dell’onorevole Dossetti attraverso delle premesse che nella Costituzione non avrebbero ragion d’essere. È logico, infatti, che uno Stato, in quanto tale, partecipi necessariamente alla vita internazionale e riconosca l’ordinamento giuridico degli altri Stati, senza che vi sia bisogno di affermarlo nella Costituzione. Sotto un certo aspetto, potrebbe anche affermarsi che uno Stato è tale in quanto è riconosciuto dagli altri Stati, ma in conseguenza della originarietà dei suoi diritti uno Stato può esistere anche prescindendo dal riconoscimento altrui. Quindi la Chiesa, anche se non venisse riconosciuta come Stato, esisterebbe sempre come ordinamento giuridico originario. Ora la sua preoccupazione deriva dal fatto che avendo messo sullo stesso livello tutti gli Stati, in quanto la loro esistenza si fonda sopra un diritto originario che non ha bisogno di un riconoscimento altrui, la Chiesa, sia che venga o non venga riconosciuta come Stato, esercita lo stesso i suoi diritti in base all’originarietà del suo ordinamento giuridico e può imporli a coloro che aderiscono ai suoi principî. Si domanda allora quali gravi conflitti potrebbero sorgere se la Chiesa, oltre quanto consentitole dai trattati internazionali, volesse esercitare i suoi diritti nello Stato, anche nei riguardi di coloro che non aderissero alle sue concezioni.

Dichiara che, essendo cattolico, non è spinto da determinati preconcetti contrari ai principî della Chiesa, ma desidera porre in evidenza la possibilità di conflitti di natura gravissima che potrebbero derivare dal fatto che la Chiesa, per il raggiungimento delle sue altissime finalità, potrebbe imporre leggi alle quali dovrebbero soggiacere non solo i credenti ma anche i non credenti.

Di fronte alle gravi conseguenze che potrebbero derivare da una dizione che si presta a tutte le interpretazioni, non vede la possibilità di dare la sua adesione, a meno che non si specifichi chiaramente il contenuto dell’articolo 4, in modo da evitare ogni degenerazione nel campo legislativo.

PRESIDENTE ritiene che quando verrà in discussione l’articolo 4, l’onorevole Mastrojanni potrà fare proposte concrete.

MERLIN UMBERTO dichiara di essere d’accordo con i colleghi Dossetti e La Pira, e di prendere atto con vivissima soddisfazione delle dichiarazioni dell’onorevole Togliatti relative sia alla inscindibilità dei Patti Lateranensi, sia alla affermazione di non voler turbare la pace religiosa che esiste in Italia. Non è, invece, affatto d’accordo con il collega Cevolotto, il quale, sotto l’apparenza di non voler fare ciò, di fatto ha dichiarato che il Concordato merita di essere completamente distrutto o quasi, in quanto ha attaccato una materia fondamentale, quale è quella relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali.

Fa innanzi tutto osservare all’onorevole Cevolotto che l’articolo 1 dello Statuto Albertino non è mai stato considerato come inesistente, né vi è mai stata in Italia una legge che abbia avuto il coraggio di abrogarlo. Riconosce che la scuola liberale sosteneva l’inesistenza di tale articolo in quanto sarebbe stato superato dalle condizioni di fatto esistenti, ma tale affermazione non rispondeva a verità, perché se lo Stato nel 1848 poteva essere confessionale, non era tale soltanto per l’articolo 1 dello Statuto, ma per tutto l’insieme delle disposizioni di legge come, in particolare, quelle relative ai tribunali ecclesiastici o alla ammissione nelle carriere statali in relazione al requisito della confessione religiosa. Per eliminare qualsiasi dubbio, precisa di essere nettamente contrario a ricostituire uno Stato confessionale, ma ritiene che tale non possa considerarsi lo Stato che riconosca una realtà come quella che la religione cattolica è la maggiore religione, perché professata dalla quasi totalità dei cittadini italiani. Non comprende, poi, perché l’onorevole Cevolotto voglia discutere l’articolo 1 dello Statuto Albertino, che in sostanza è l’articolo 1 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, dal momento che egli stesso ha scritto nella sua relazione che quando in una qualsiasi cerimonia ufficiale dovesse essere celebrato un rito religioso, tale rito si dovrebbe svolgere nelle forme e nei più grandi templi della Chiesa cattolica.

Data questa affermazione e la dichiarazione che non si tende a far rivivere uno Stato confessionale, ma veramente libero, non comprende l’opposizione alle proposte avanzate dai democristiani. La prova che si voglia creare uno Stato veramente libero è negli articoli della sua relazione dove, a proposito della libertà di coscienza e della cultura, sono contenute disposizioni così ampie da tacitare tutte le possibili preoccupazioni di parte avversa.

Circa i ritocchi che l’onorevole Cevolotto desidererebbe apportare ai Patti Lateranensi, concorda nella necessità di modificazioni in relazione alla mutata forma costituzionale dello Stato e può assicurare che la Chiesa, la quale si è sempre dimostrata saggia e tempista, ha già cominciato essa stessa a modificare alcune disposizioni del Concordato, come quelle relative al giuramento dei Vescovi e alle preghiere per il Capo dello Stato.

CEVOLOTTO, Relatore, precisa di avere inteso dire che la parte relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici avrebbe potuto, in separata sede, essere oggetto di nuove trattative, onde addivenire a modificazioni opportunamente concordate tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

MERLIN UMBERTO obietta che è proprio su questo punto che la Santa Sede si dimostrerà assolutamente intransigente.

Tiene a porre in evidenza che nel rinvio che lo Stato fa alle norme del diritto canonico ed ai tribunali ecclesiastici non deve ravvisarsi una rinuncia ad una sua supremazia, perché, in base all’articolo 17 del Concordato, le deliberazioni delle autorità ecclesiastiche in materia matrimoniale vengono dallo Stato fatte proprie, previa sentenza di delibazione. Crede che se non si vuole annullare il Concordato lo si deve dire chiaramente, ma allora non lo si deve colpire proprio in un punto fondamentale, come è quello riguardante la materia matrimoniale.

Rileva che quando l’onorevole Togliatti si preoccupa di affermare l’indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, non fa che affermare un principio della dottrina cattolica, la quale non ha mai aspirato alla supremazia della Chiesa sullo Stato, ma insegna che sia l’una che l’altra hanno pieno diritto di supremazia e di indipendenza nell’ambito degli ordinamenti propri a ciascuno. Poiché però il matrimonio è un contratto che ha un fine fondamentalmente etico e religioso, la Chiesa giustamente rivendica a sé la regolamentazione di questo istituto, con quei controlli da parte dello Stato che sono previsti nel Concordato.

Concludendo, ritiene possibile un accordo con l’onorevole Cevolotto solo quando egli accetti di riconoscere che il Concordato ed il Trattato non vanno toccati, salvo, si intende, le necessarie eventuali revisioni che però dovranno essere effettuate unicamente mediante trattative tra le due parti contraenti e non con deliberazioni prese unilateralmente dallo Stato italiano, mettendo l’altra parte di fronte al fatto compiuto.

Reputa, infine, assolutamente necessario che le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti – le quali rispondono in pieno al suo convincimento – che cioè non si deve rimettere in discussione in Italia la pace religiosa, siano consacrate nella Costituzione con un articolo come quello proposto dall’onorevole Dossetti, che corrisponde in pieno alle convinzioni ed ai sentimenti dei rappresentanti della democrazia cristiana.

BASSO desidera, prima di entrare nel merito della discussione, chiedere alcuni chiarimenti all’onorevole Dossetti. È convinto che nessuno pensa di rimettere in discussione il Trattato e il Concordato, ossia la pace religiosa, ma prima di dare valore costituzionale ai due suddetti atti, ritiene necessario domandarsi se alcune norme di essi non feriscono alcuni principî che gli sono cari. Intende riferirsi in modo particolare all’articolo 1 del Trattato, dove si parla della religione ufficiale dello Stato, e più ancora all’articolo 5 del Concordato, per il quale la Chiesa si attribuisce il diritto di impedire allo Stato di assumere o mantenere al suo servizio, in impieghi a contatto col pubblico, persone che abbiano rivestito l’abito ecclesiastico. In questa limitazione non può non vedersi una limitazione dell’indipendenza dello Stato.

DOSSETTI, Relatore, obietta all’onorevole Basso che la sovranità dello Stato è fatta salva per il fatto stesso che ha accettato questa limitazione, allo stesso modo che non è intaccata la sovranità della Chiesa quando ammette che i suoi Vescovi prestino giuramento al Capo dello Stato. Si tratta quindi di una autolimitazione che lo Stato o la Chiesa si pongono, come può avvenire in un qualsiasi contratto bilaterale.

BASSO osserva che in certi casi lo Stato, anche se è sovrano quando volontariamente accetta delle limitazioni, non lo è più quando le abbia accettate, come nella ipotesi che rinunziasse alla sua indipendenza per diventare colonia di un’altra Nazione. È chiaro che nel momento in cui dichiara di voler rinunciare alla sua indipendenza è ancora Stato sovrano, ma non lo sarà più quando tale dichiarazione sia stata fatta ed accettata dall’altra parte contraente. A suo avviso, quando nel 1929 lo Stato ha accettato questa limitazione, ha rinunciato alla sua indipendenza, ma non è detto che non possa oggi riacquistarla.

DOSSETTI, Relatore, fa rilevare all’onorevole Basso che se avesse voluto portare un esempio più adatto alla sua tesi avrebbe dovuto, se mai, citare non l’articolo 5 del Concordato, ma l’articolo 34, il quale porta effettivamente una limitazione più concreta dei poteri dello Stato, ma anche quest’ultimo articolo non ferisce, a suo giudizio, la sovranità dello Stato. Ricorda in proposito la chiara e netta opinione espressa dal professore Chiovenda, la cui autorità in materia non può essere disconosciuta, che lo Stato non distrugge la sua sovranità quando si pone delle autolimitazioni in vista di contrattazioni con altri Stati. La legislazione ecclesiastica ha vigore in Italia appunto in quanto nella legislazione italiana vi è un esplicito rinvio ad essa. È questo il principio del rinvio che non menoma affatto la sovranità dello Stato. Cita l’esempio dello Stato della Città del Vaticano, il quale fa rinvio addirittura a dei codici dello Stato italiano.

BASSO domanda all’onorevole Dossetti se egli non crede che l’articolo 5 non ferisca anche il principio fondamentale della uguaglianza di tutti i cittadini, che è stato già approvato in un articolo della Costituzione. Afferma che nessuno pensa di toccare il Trattato ed il Concordato, ma si vuole che essi non entrino a far parte della materia costituzionale.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Basso che quando si fanno dei concordati non solo è riconosciuta reciprocamente la sovranità delle due parti contraenti, ma si definiscono chiaramente la sfera e i limiti rispettivi delle due sovranità.

Per quanto riguarda l’articolo 5 del Concordato, il potere che la Chiesa esercita sui suoi ministri trova, da parte dello Stato, un riconoscimento che non costituisce una rinunzia alla sovranità, ma è stato accordato invece in funzione della sua stessa sovranità.

BASSO insiste nel ritenere che il Concordato ed in particolare l’articolo 5, non debbano essere richiamati nella Costituzione.

DOSSETTI, Relatore, desidera ribadire quanto già affermato dall’onorevole La Pira. Come il fenomeno familiare si è ritenuto talmente importante da giustificare l’intervento costituzionale, così il fenomeno ecclesiastico è di tali dimensioni che quasi tutte le Costituzioni se ne occupano, sia nel senso di ammettere, che di negare l’organizzazione originaria della Chiesa. È quindi necessario che la Costituzione prenda posizione in questo campo e l’unica soluzione è quella di riconoscere i Patti Lateranensi che regolano già tutta la materia.

Risponde all’onorevole Basso che l’articolo 5 del Concordato non ferisce il principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini, perché riconoscendosi la Chiesa come ordinamento giuridico, si viene anche a riconoscere in particolare la sua gerarchia e quindi il legame che stringe ad essa i suoi ministri.

Colui che accetta liberamente di essere ordinato sacerdote sa a quali obbligazioni va incontro e quale è lo status giuridico che acquista nel momento che riceve il sacramento dell’ordine. Nell’articolo 5 del Concordato, lo Stato ha riconosciuto appunto il rapporto interno che lega i sacerdoti alla Chiesa. È evidente che in questo caso non si intacca il principio della libertà dei cittadini, in quanto si tratta di persone che si pongono volontariamente su di una posizione di differenziamento dagli altri cittadini nel momento in cui liberamente accettano quel determinato status giuridico.

PRESIDENTE, allo scopo di rendere più spedita la risoluzione di tutte le questioni, prega gli onorevoli Relatori di volersi riunire con gli onorevoli Togliatti, Mastrojanni, Basso e Lucifero e di tentare l’elaborazione di una formula concordata da sottoporre alla discussione nella prossima riunione.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, De Vita e Mancini.

MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

40.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti politici (Seguito della discussione)

Presidente – Basso – La Pira – Merlin Umberto, Relatore – Moro – Cevolotto – Mastrojanni – Togliatti – Caristia – Dossetti.

La seduta comincia alle 18.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti politici.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 4 proposto dall’onorevole Basso, la cui discussione fu rinviata alla seduta odierna:

«Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute, sino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale, a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa e di altre leggi».

Apre la discussione sull’articolo.

BASSO dichiara che l’articolo da lui proposto si inserisce in un evidente processo di trasformazione delle nostre istituzioni democratiche per cui alla democrazia parlamentare, non più rispondente alla situazione attuale, si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti già in atto. Ha ritenuto opportuno fare riferimento a questa democrazia nella Costituzione, attribuendo ai partiti che abbiano una forza riconosciuta attraverso un certo numero minimo di voti ricevuti, funzioni di carattere costituzionale, quali ad esempio la presentazione di liste elettorali, senza ricorrere al deposito davanti notaio, il diritto di promuovere azioni davanti alla istituenda Suprema Corte costituzionale, la difesa delle libertà costituzionali e altri compiti riguardanti una materia che è appena in formazione. Il principio del riconoscimento ai partiti di attribuzioni di carattere costituzionale rappresenta una specie di avviamento a superare tutte le forze di tipo puramente individualistico antiquato con una nuova concezione di democrazia di partiti, e pertanto deve trovare posto in una formula della Costituzione.

LA PIRA dichiara di accedere in linea di principio alla tesi dell’onorevole Basso, perché essa corrisponde a una visione organica dello Stato attuale ed anche ad una particolare concezione della dottrina cattolica.

Per quanto invece riguarda le attribuzioni da darsi ai partiti e il numero di voti che ne definisca la consistenza, è del parere che si rinvii la materia all’esame della seconda Sottocommissione. La prima Sottocommissione si deve limitare ad affermare il principio che ogni partito legalmente costituito ha una rilevanza costituzionale.

MERLIN UMBERTO, Relatore, informa di aver tenuto presente, insieme al Correlatore Mancini, l’articolo dell’onorevole Basso, e dichiara che entrambi non hanno ritenuto di poterlo accettare, anzitutto per i dubbi che potevano sorgere circa il limite di cinquecentomila voti, e in secondo luogo perché si è pensato che tutto quanto riguarda l’organizzazione e il riconoscimento dei partiti dovesse formare oggetto di una legge speciale e non di una norma costituzionale.

Propone quindi che le disposizioni contenute nell’articolo in esame siano rinviate alla legge speciale che organizzerà i partiti.

MORO dichiara di concordare con l’onorevole Basso sul principio che la nostra democrazia si debba avviare verso le forme organiche da lui prospettate, ma ritiene che nel porre queste affermazioni sorgano numerosi problemi che la Commissione non può risolvere per ragioni di competenza. Ad esempio, il riconoscimento della funzione costituzionale dei partiti presuppone la soluzione del problema della personalità giuridica che ad essi non è stata ancora riconosciuta.

Propone pertanto che la Commissione si limiti a formulare una norma semplicissima la quale dica che ai partiti, nelle condizioni previste da questa stessa Costituzione, sono conferite quelle funzioni costituzionali che la Costituzione crederà di deferire ad essi. La seconda Sottocommissione dovrà definire le condizioni in presenza delle quali queste funzioni possono essere attribuite e determinare quali funzioni costituzionali debbono essere attribuite ai partiti stessi.

CEVOLOTTO fa osservare che la questione trattata nell’articolo in esame è di una gravità eccezionale. Riconosce che se le elezioni si faranno ancora con il sistema proporzionale, ci si avvierà necessariamente verso il conferimento ai partiti di una personalità e di funzioni costituzionali che finiranno per sostituire quelle finora attribuite al Parlamento. Ritiene però che tutta la materia riguardante il riconoscimento dei partiti, le loro funzioni ed altre questioni del genere, sia compito non della prima ma piuttosto della seconda Sottocommissione, la quale, dopo aver studiato l’argomento, potrà anche concludere negativamente giudicando prematura ogni decisione. È quindi del parere che la materia trattata dall’articolo in esame debba essere rinviata alla competenza della seconda Sottocommissione, affinché si innesti nella struttura costituzionale che la seconda Sottocommissione darà in concreto allo Stato.

MASTROJANNI osserva che del tema trattato dall’articolo in esame non si era mai fatto cenno nel programma di lavoro della prima Sottocommissione, e che non è possibile discutere l’argomento senza che esso sia stato illustrato preventivamente da una dettagliata relazione. Non vede come un partito possa essere investito di funzioni costituzionali finora demandate allo Stato, e prega pertanto i Relatori di chiarire questo argomento, su cui si riserva poi di prendere la parola.

TOGLIATTI osserva che la disposizione in esame presenta un aspetto positivo, come uno stimolo che viene dato a tutti i cittadini a partecipare alla vita pubblica. Essa in sostanza ha valore in quanto, riconoscendo una determinata posizione nello Stato ai partiti politici che hanno una certa ampiezza, invita i cittadini a organizzarsi politicamente. La norma tende, insomma, a far uscire la grande massa dallo stato di disorganizzazione in cui si trova ancora presentemente, portando così la vita democratica verso un livello più elevato.

Quanto alle funzioni dei partiti, ritiene che esse debbano essere attribuite in modo da non dare una rigidità all’organizzazione dei partiti stessi, la qual cosa costituirebbe un pericolo perché si ridurrebbe praticamente la democrazia in forme prestabilite dopo la consultazione elettorale. È del parere che i grandi partiti abbiano il diritto di esprimere la loro opinione su determinati problemi fondamentali del Paese, e che il loro valore costituzionale possa essere fissato volta per volta nelle leggi costituzionali o nelle leggi che applicano la Costituzione. Fa presente che la consultazione dei grandi partiti sarebbe opportuna per la formazione di un governo, e che si potrebbe pensare ad una partecipazione legislativa da parte dei partiti alla formazione di determinati organi costituzionali, o di determinati organi di controllo dello Stato. Questo accrescerebbe il senso della loro responsabilità e darebbe una maggiore serietà all’attività politica del Paese.

Accenna anche alla funzione che potrebbero avere i partiti per l’organizzazione della stampa. Se venissero creati degli organi che abbiano un potere di controllo sulle fonti d’informazione, i grandi partiti, che rappresentano notevoli parti organizzate della opinione pubblica, avrebbero diritto di dire la loro parola in misura tale da essere ascoltata più di quella di un qualsiasi privato. Conclude affermando che la norma va accettata come un esperimento che vale la pena di tentare.

CARISTIA dichiara di concordare con l’opinione dell’onorevole Merlin che la materia in esame debba essere rinviata alla legge speciale. Ritiene che il presupposto fondamentale per accordare funzioni costituzionali ai partiti sia quello di riconoscere ad essi la personalità giuridica, ma non crede sia opportuno accordare tale riconoscimento in questa sede.

CEVOLOTTO risponde all’onorevole Togliatti che il controllo sulla stampa è l’ultima delle funzioni che dovrebbe essere attribuita ai partiti, perché essi sarebbero tratti ad accanirsi contro la stampa dei partiti avversari. Se si istituisse il controllo sulla stampa, esso dovrebbe essere esercitato da un organo al disopra e al di fuori dei partiti.

Fa presente che quell’irrigidimento cui l’onorevole Togliatti ha accennato come ad un pericolo da ovviare, avverrà in ogni modo, perché attribuendo funzioni costituzionali solo a quei partiti che abbiano avuto un certo numero al minimo di voti nelle elezioni, s’immobilizzerà la struttura dei partiti fino alle nuove elezioni.

Concorda con l’onorevole Caristia che la questione può essere risolta dalla legge speciale, e ritiene che in ogni caso l’esame della materia debba essere demandato alla seconda Sottocommissione.

MASTROJANNI fa osservare che l’argomento in esame non può essere rinviato alla seconda Sottocommissione, poiché spetta alla prima affermare i principî di massima che offrono alla seconda Sottocommissione la possibilità di lavoro coerente. Si dichiara decisamente contrario a qualsiasi affermazione sull’argomento, perché ne intravede i pericoli che inciderebbero sui principî stessi della democrazia. Tale affermazione tende a rafforzare i partiti di massa i quali manterrebbero stabilmente la loro posizione e influirebbero costantemente su tutti gli organismi della vita nazionale, riesumando il sistema fascista per il quale i rappresentanti del Governo erano coartati nell’esercizio delle loro funzioni dalla Federazione fascista. Inoltre l’influenza dei partiti di massa determinerebbe i pavidi ad associarvisi per timore di non essere favoriti, mentre lascerebbe i partiti di minoranza in uno stato di assoluta inferiorità. Per queste ragioni ritiene che non sia da farsi assolutamente menzione nella Costituzione di questo principio.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Mastrojanni che tutti i partiti sono da considerarsi, almeno in potenza, partiti di massa in quanto tutti si rivolgono alla massa del popolo al fine di avere il maggior numero di voti nelle elezioni.

MASTROJANNI aggiunge che, con l’applicazione della norma proposta, le funzioni parlamentari verrebbero svuotate, poiché i partiti, avendo la possibilità di intervenire con funzioni costituzionali nella vita politica del Paese, si sostituirebbero agli organi parlamentari ed amministrativi, e i deputati diventerebbero dei dipendenti dei partiti dovendo rispondere a questi dell’esercizio del loro mandato.

DOSSETTI dichiara di considerare la norma in esame fondamentale per la Costituzione, e rileva che le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni non tengono conto del fatto che oggi la democrazia si orienta verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia parlamentare di cinquant’anni fa, indirizzo che è necessario interpretare e convogliare perché dalla possibilità di disciplina e di consolidamento di questa nuova realtà democratica dipenderà la possibilità di sussistenza della democrazia.

Ritiene dunque che la norma debba essere espressa nella Costituzione, ma che debba anche essere meditata in vista del pericolo che essa possa bloccare l’avvenire cristallizzando il presente, o peggio, il passato.

Riconosce che l’onorevole Basso, affermando che la determinazione dei compiti costituzionali dei partiti dev’essere effettuata in base ai risultati elettorali, s’è riferito all’unico criterio oggettivo per stabilire quali partiti avessero diritto al riconoscimento costituzionale; ma teme che tale criterio sia inadeguato e pericoloso, e che la norma possa portare a conseguenze più vaste di quelle previste dal proponente stesso, dicendo troppo poco e insieme troppo, poiché essa non determina quali debbono essere le funzioni dei partiti, e nello stesso tempo fa pensare che le sue applicazioni possano essere così vaste da escludere dalla vita politica tutti gli altri partiti che non abbiano realizzato il minimo di voti richiesto.

Conclude affermando di non essere persuaso che la formula dell’onorevole Basso sia la più adeguata, e che d’altra parte egli si troverebbe imbarazzato se dovesse elaborarne un’altra sostitutiva.

MORO propone che la Commissione si limiti ad una dichiarazione di principio in termini generalissimi, rinviando poi a quanto sarà detto nella Costituzione in merito. Tale dichiarazione potrebbe essere formulata così:

«Ai partiti politici sono attribuite funzioni di carattere costituzionale, a norma di questa Costituzione, nelle condizioni da essa previste».

DOSSETTI fa presente che invece di formulare un articolo, sia pure nei termini molto generali proposti dall’onorevole Moro, sarebbe meglio, come ha fatto in qualche occasione la seconda Sottocommissione, formulare un ordine del giorno il quale dica che la prima Sottocommissione ritiene necessario inserire nella Costituzione l’affermazione del principio del riconoscimento costituzionale dei partiti, e rinvia l’articolazione della norma ad un Comitato formato in collaborazione tra prima e seconda Sottocommissione.

TOGLIATTI dichiara che potrebbe accettare la formula presentata dall’onorevole Moro solo nel caso che vi fosse specificata una graduatoria tra i partiti. Ritiene che sia un assurdo mettere tutti i partiti sullo stesso piano perché, se non fosse fatta alcuna differenza tra essi, qualunque esigua associazione di persone potrebbe affermare di essere un partito e di voler godere del diritto di avere funzioni costituzionali. Si scardinerebbe così tutto l’ordinamento politico dello Stato precipitandolo nel caos.

MORO dichiara che era nelle sue intenzioni stabilire la differenza a cui ha accennato l’onorevole Togliatti quando affermava nella sua proposta che le condizioni devono essere fissate dalla seconda Sottocommissione. Tra queste condizioni deve essere fissato anche il criterio differenziatore tra i partiti che possono godere di funzioni costituzionali e quelli che non possono goderne.

BASSO fa presente all’onorevole Mastrojanni che, quando si parla di democrazia, non bisogna pensare a quella certa forma di regime politico che per molto tempo è stato definito come democrazia, ma che non lo è. Tale forma di regime è stata condannata dalla Storia, e oggi si è entrati in una fase in cui non vi è dubbio che la vita politica si va fissando in nuove forme strutturali. Si può dire che tale vecchia forma di democrazia è stata soppressa nel 1919 con l’abbandono delle elezioni a sistema uninominale per adottare quelle a sistema proporzionale. Affermare che la norma in discussione uccide la democrazia è perciò un non senso storico, poiché proprio attraverso questa forma di democrazia di partito, si sono cominciati ad eliminare i difetti della democrazia. È chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si intendeva una volta non si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l’esistenza di una disciplina di partito, ma il deputato è libero nell’espletamento del suo mandato.

La lotta democratica, anziché nell’interno del Parlamento, si stabilisce nell’interno dei partiti. Questo nuovo sistema permette di superare il vecchio trasformismo dei tempi di Agostino De Pretis, impedisce il ripetersi delle crisi ministeriali e dà un maggior senso di responsabilità all’azione dei deputati e dei partiti.

Dichiara di non aver determinato nella formulazione dell’articolo le funzioni da attribuire ai partiti, perché era difficile fissarle, ma esclude che si voglia attribuire a questi partiti funzioni che sono proprie dello Stato. Una delle funzioni che, per esempio, potrebbero essere loro riservate è quella delle consultazioni in sede di crisi parlamentare.

Ritiene ingiustificata la preoccupazione che la norma possa cristallizzare la vita politica del Paese, e non vede i pericoli prospettati dall’onorevole Dossetti, poiché, nello spazio che intercorre tra una elezione e l’altra, tutti i partiti potranno formarsi, vivere e lottare senza che vi sia alcuna limitazione alla loro attività.

Dopo cinque anni, il partito che avrà ottenuto un determinato numero di voti potrà ottenere che gli siano riconosciute funzioni costituzionali.

Non crede che la formula proposta dall’onorevole Moro possa essere approvata perché, se si ritiene che la materia è di competenza della seconda Sottocommissione, tanto vale rinviare tutta la questione all’esame della Sottocommissione stessa.

Insiste pertanto nella sua proposta, ma se essa non dovesse essere accolta, dichiara che aderirà all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

MORO aderisce all’ordine del giorno Dossetti e ritira la sua proposta di articolo.

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara di aderire all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

CEVOLOTTO aderisce anch’egli all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI fa osservare all’onorevole Basso che il suo concetto della democrazia attuale è per lo meno prematuro, poiché l’Assemblea costituente solamente da sei mesi sta sperimentando le sue funzioni, e pertanto non comprende come si possa, in base ad un esperimento così breve, affermare nella Costituzione un principio che risponde a un desiderio dell’onorevole Basso, ma non rappresenta la realtà dei fatti.

Richiama al senso della responsabilità i Commissari perché non ci si arroghi il diritto di definire il concetto di democrazia dopo appena sei mesi di esercizio della rappresentanza parlamentare. Ritiene che un’affermazione come quella proposta sulle funzioni costituzionali di certi partiti sia arbitraria in quanto svuota del suo contenuto l’esercizio del diritto parlamentare. Afferma che, se si vuole sopprimere il Parlamento, egli in questo caso eleverebbe la sua protesta; se si vuol lasciare il Parlamento integro, nella sua alta funzione, è del parere che non si debba incrinare quello che è il patrimonio di tutti coloro che hanno operato per garantire questa libertà della vita parlamentare. Si domanda qual è la ragione per cui il partito debba sostituirsi al Parlamento, quando è l’espressione dei partiti attraverso la loro conformazione numerica e attraverso la loro posizione ideologica e programmatica. Conclude dichiarando di ritenere prematuro introdurre la norma proposta e negando alla Sottocommissione il diritto di affermare un principio che contrasta con i diritti dei cittadini, i quali hanno mandato i loro rappresentanti alla Camera per fare la Costituzione in base ai criteri che furono già espressi e non per esautorare l’autorità del Parlamento.

PRESIDENTE comunica l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali.

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

MASTROJANNI dichiara di essere contrario all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI dichiara che egli prenderebbe la stessa posizione dell’onorevole Mastrojanni nei riguardi dell’articolo proposto dall’onorevole Basso, se dovesse significare un esautoramento del Parlamento. Ma non ritiene che l’articolo abbia questo significato. Si tratta soltanto di una integrazione di funzioni costituzionali già praticamente attuata, com’è facile dimostrare esaminando il modo con cui si sono sviluppate le crisi governative agli inizi del regime parlamentare e il modo con cui si sviluppano oggi. Nel primo periodo parlamentare i membri del Parlamento erano dei notabili tra i quali prevaleva colui il quale aveva doti politiche superiori e, quando vi era una crisi da risolvere, il capo dello Stato convocava queste eminenti personalità.

Oggi invece sono consultati i capi partito e, poiché in materia costituzionale ciò che fa testo è la consuetudine, il capo partito è entrato nel diritto costituzionale. Fa presente che il capo dello Stato, consultando il capo partito in merito alla crisi governativa, non esautora affatto il Parlamento: il capo partito interviene in quel determinato momento della vita costituzionale con funzioni consultive in appoggio all’azione parlamentare o a quella governativa.

Rileva che questo sistema è già praticato in altri Paesi a regime parlamentare, come ad esempio l’Inghilterra dove i partiti hanno una funzione riconosciuta costituzionalmente, tanto è vero che il capo del partito di opposizione è una personalità politica costituzionale che occupa in Parlamento un seggio speciale e gode di uno speciale assegno.

Anche la Costituzione americana attribuisce alle Convenzioni (assemblee) dei partiti che designano i candidati alle cariche pubbliche, funzioni costituzionali, e attribuisce un valore costituzionale anche alle elezioni delle assemblee primarie per la nomina dei delegati alle Convenzioni dei partiti.

Ritiene perciò che l’affermazione del principio proposto dall’onorevole Basso non sia tale da infirmare il sistema parlamentare, perché questo può benissimo adattarsi ad esso ed anzi vi si sta adattando. Chi afferma tale principio è lungi dal voler sopprimere il Parlamento.

PRESIDENTE propone la chiusura della discussione generale, salvo a dare la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(La chiusura della discussione è approvata).

MASTROJANNI fa osservare all’onorevole Togliatti che i capi partito, appunto perché tali, sono nel Parlamento, e quindi vengono interpellati non in quanto sono capi partito, ma come parlamentari e capi di un gruppo parlamentare. L’onorevole Togliatti ha rappresentato il capo partito come avulso dalla vita parlamentare; egli invece lo inquadra nella vita parlamentare.

TOGLIATTI ricorda all’onorevole Mastrojanni le consultazioni dell’onorevole Giolitti con Don Sturzo, il quale non è mai entrato nel Parlamento.

MASTROJANNI dichiara che non c’è bisogno di introdurre per questo una norma nella Costituzione, e che rimane fermo nel suo atteggiamento.

BASSO dichiara di associarsi alle considerazioni svolte dall’onorevole Togliatti e di aderire all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni secondo la quale esula dalla competenza della Commissione parlare nella Costituzione di quanto è contenuto nel principio espresso dall’articolo dell’onorevole Basso e anche nell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI dichiara che, se interpretasse l’articolo nel senso con cui viene interpretato dall’onorevole Mastrojanni, voterebbe a favore della proposta Mastrojanni. Egli però non ritiene esatta tale interpretazione e quindi voterà contro la proposta.

(La proposta dell’onorevole Mastrojanni è respinta con 1 voto favorevole e 13 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

CARISTIA propone che l’ordine del giorno sia votato per divisione, perché nella seconda parte si parla dell’attribuzioni di compiti costituzionali ai partiti, principio a cui alcuni Commissari possono essere favorevoli e altri no.

BASSO propone di semplificare l’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti dicendo nella prima parte: «riconoscimento di funzioni costituzionali ai partiti politici», invece di «riconoscimento giuridico dei partiti politici».

CARISTIA fa osservare che i partiti non possono avere quei compiti costituzionali se prima non hanno ottenuto il riconoscimento giuridico.

MORO rileva che l’ordine del giorno comprende due concetti: il primo riguarda il principio del riconoscimento giuridico, il secondo quello del riconoscimento di attribuzioni costituzionali ai partiti senza parlare di riconoscimento giuridico. Propone perciò anch’egli che l’ordine del giorno sia votato per divisione.

BASSO chiede all’onorevole Dossetti se accetta la sostituzione dell’espressione «riconoscimento giuridico» con quella «riconoscimento di funzioni costituzionali», per evitare che si apra una discussione che sarebbe troppo lunga sull’attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico e di diritto privato.

DOSSETTI chiarisce che, col suo ordine del giorno, ha voluto dire che finora i partiti sono ignorati o pressoché ignorati dal diritto, e che occorre quindi che vengano riconosciuti. Non intendeva entrare in merito alla questione della personalità giuridica di diritto pubblico e di diritto privato, ma soltanto affermare che i partiti diventano rilevanti per il diritto mentre praticamente in questo momento non lo sono.

BASSO dichiara di essere favorevole solo alla seconda parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti, perché l’affermare anche il concetto contenuto nella prima parte, potrebbe dare al riconoscimento giuridico un senso molto più ampio, sul quale egli non può essere d’accordo. Quando si attribuiscono ai partiti funzioni costituzionali è implicito il riconoscimento giuridico per quel tanto che è necessario all’esercizio di dette funzioni.

MORO dichiara di votare a favore dell’intero ordine del giorno, trattandosi di un rinvio alla seconda Sottocommissione cui spetterà di discutere e concatenare i due principî.

BASSO dichiara di ritirare la sua proposta di sostituire alle parole «riconoscimento giuridico» le altre: «riconoscimento di compiti costituzionali».

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione dell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici».

(La proposizione è approvata con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la seconda proposizione:

«e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali».

(La proposizione è approvata con 12 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette ai voti la terza proposizione:

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

(È approvata con 12 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette ai voti l’intero ordine del giorno:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali.

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

(L’ordine del giorno è approvato con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Comunica che l’ultimo articolo proposto dall’onorevole Basso è del seguente tenore:

«Nessuna prestazione o servizio dello Stato può determinare situazioni di ingiustificato privilegio di fatto a beneficio di singoli o di categorie di cittadini».

BASSO dichiara di non insistere su questo articolo e di ritirarlo.

PRESIDENTE fa presente che la discussione dell’intero tema riguardante le libertà politiche, con gli articoli ad esso relativi, è terminata e che la Sottocommissione, nella prossima seduta, passerà all’esame dell’ultimo tema ad essa assegnato: «Lo Stato come ordinamento giuridico ed i suoi rapporti con gli altri ordinamenti».

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Lucifero e Mancini.